Avengers: The King Of Terror

di evil 65
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Eccomi qui con la mia prima long dedicata all'MCU. In questa storia, che sarà un crossover in minima parte con l'universo di Godzilla, gli eroi più potenti della Terra ( e oltre ) si ritroveranno costretti a combattere contro l'acerrimo nemico del sauro radioattivo più famoso nella storia del cinema.
King Ghidorah ( noto anche come Il Re Del Terrore ) è il Galactus de facto dei monster movie, una creatura che vaga di pianeta in pianeta per nutrirsi della forza vitale dei suoi abitanti, un villain che farebbe sembrare il Thanos MCU una minaccia di poco conto. Per tale motivo, TUTTI gli eroi di questo universo cinematografico saranno costretti a riunirsi ancora una volta per fermarlo.
Il King Ghidorah di questa storia avrà l'aspetto della controparte che apparirà nell'imminente Godzilla : King Of The Monsters ( qui potete vederlo in azione : https://www.youtube.com/watch?v=Eq_RlNU4sl4 ) ma i suoi poteri saranno un mix di tutte le versioni comparse nei film di Mothra e Godzilla. Inoltre, sarà in grado di parlare.
Nella trilogia di Mothra era in grado di comunicare con la telepatia, qui avrà proprio una parlata alla Smaug ( immagivatevelo con la voce di Luca Ward ). Sarà l'unico personaggio di Godzilla a comparire. 
Cercherò di essere il più fedele possibile alla time-line MCU ( la fic si svolge 5 anni dopo Endgame ). Inoltre, vi saranno varie ship in questa storia...non vi dico quali ;).
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare una recensione !



Avengers : The King Of The Terror

“ Mostro è un termine relativo. Per un canarino un gatto è un mostro. Noi siamo solo abituati ad essere il gatto”
( Dr Henry Wu – Jurassic World )
 
La nuvola era sorta direttamente dalla baia di New York, giungendo così in fretta, piccola e rabbiosa, che molte persone non ebbero nemmeno il tempo di issare gli ombrelli al cielo.
I piccioni cominciarono a trovare rifugio negli anfratti dei grattacieli, come se fossero stati investiti  da una vampata, mentre tutta la città fu invasa da una fosca disperazione e dal sopraggiungere del vento.
E poi venne la pioggia. Una pioggia cupa e pesante, come avevano predetto i meteorologi.
Cominciò a battere sulle piccole case di Hell’s Kitchen, che aumentavano di valore ogni giorno di più. Offuscò i tetti di tegole rosse di Harlem, infangando i viali alberati del quartiere.
Sulla costa, onde d'argento fuso si incresparono e si mischiarono nella tempesta settembrina.
I ponti della città sembrarono levitare, e New York cominciò a galleggiare come una fortezza nascosta nella nebbia.
La pioggia schiacciò le piante di fior di vetro che orlavano i prati delle grandi società, facendo scintillare Central Park.
 Il mondo era prolifico, i mercati in espansione, mentre le piscine rischiavano di traboccare e le colline fulve sembravano già più verdi.
Come il denaro, la pioggia arrivò in una valanga, avvolgendo la baia, deliziando i meteorologi che l’avevano preannunciata, superando ogni previsione, saturando l'aria e facendo calare sul cimitero una gigantesca mano fantasma. Quasi come se volesse annunciare con prepotenza la fine di un’era.
Perché quel giorno segnava il primo anniversario della morte di Anthony Stark, alias Iron Man, fondatore degli Avengers, uccisore di Thanos…salvatore dell’Universo stesso.
Per molti anni, dall’alto del loro Olimpo, gli Avengers avevano tentato esorcizzare le paure più profonde con cui tutti gli umani erano costretti a confrontarsi quotidianamente, in un mondo che in meno di una generazione era riuscito a rendere i suoi abitanti più fragili ed insicuri, costringendoli ad indossare una corazza.
Tony Stark era forse stato il più influente tra tutti loro. 
Un uomo senza super poteri, un ricco borghese figlio d’arte baciato dalla fortuna di essere cresciuto in un ambiente stimolante e protetto, come molti rampolli eredi di fortune milionarie.
Cosa aveva reso Tony Stark un supereroe universlae come Iron Man? Le sue scelte.
Tony Stark, proprio come un moderno Ulisse, aveva sempre cercato di spingere oltre i propri limiti la sua intelligenza, sfruttando al massimo l’enorme patrimonio di famiglia, perché da positivista aveva sempre avuto l’ambizione di salvare il mondo che lo circondava.
In un’epoca in cui la tecnologia era riuscita ad ammaliare ogni essere umano, anche nei nuovi modelli di vita sociale indubbiamente più poveri, il paladino conosciuto come Iron Man aveva sempre tracciato il profilo di un pioniere delle nuove possibilità tecnologiche, convinto che il mondo potesse offrire a tutti democraticamente le stesse opportunità, proprio con la diffusione capillare dei ritrovati di una nuova rivoluzione scientifica che lo vedeva come un generoso Prometeo del ventunesimo secolo.
In molti erano accorsi al cimitero delimitante Central Park, per rendere omaggio alla memoria dell’uomo.
Sull’altare costruito per l’occasione, di fronte all’immensa folla riunita per l’elogio, spiccavano un totale di quindici figure ben distinte, affiancate da una foto a grandezza naturale di Tony Stark in persona.
Tutti conoscevano quegli individui dall’aspetto bizzarro.
Ormai vi erano supereroi sparsi in tutto il mondo, ma quei quindici? Erano ritenuti migliori in assoluto.
Non perché erano i più potenti, e infatti non lo erano. Non tutti, almeno. E non solo perché erano stati i primi. Ma perché erano speciali. L'avevano dimostrato più e più volte.
Avevano fatto scelte difficili, avevano dato l'esempio, facendo ciò che era giusto, non ciò che era più facile. E alla fine erano arrivati sempre in cima, salvando ogni uomo, donna o bambino dell’universo dalla minaccia di un folle.
Avevano molti nomi, ma ognuno di loro era conosciuto con il proprio appellativo.
Capitan America, il primo Vendicatore, ormai ritiratosi dall’azione per trascorrere una vita tranquilla. Spiderman, l’uomo dotato delle capacità di un ragno. Il Dottor Strange, lo stregone supremo. Hulk, l’uomo più forte sulla terra. Capitan Marvel, l’eroina giunta dallo spazio. Wanda Maximoff, la Scarlett Witch. War Machine, il braccio destro di Iron Man. Falcon, l’erede di Capitan America. Bucky Burns, il lupo bianco. Pantera Nera, il re di Wakanda. Clint Burton, noto ai più come Occhio di Falco. I coniugi Scott e Hope Lang, conosciuti come Antman e Wasp. Per non parlare dei loro predecessori, Hank e Janet Pym.
Tutti giunti in quel cimitero per ricordare un amico…un compagno di squadra…un leader…e un salvatore.
Allo scoccare di mezzogiorno, scese sul palco il sindaco di New York, James Erbert, un uomo basso e tarchiato, con il volto segnato dal tempo e le orecchie da topo. Era stato eletto tre anni dopo lo schioccò causato da Thanos, quando gli Stati Uniti avevano cominciato a mostrare i primi segni di ripresa economica.
Si fermò di fronte al microfono posto sulla piattaforma e compì un paio di colpi di tosse.
 << In un'epoca in cui il cinismo era un'epidemia globale, Tony Strak ci ha dato qualcosa di cui andare fieri, un sogno a cui non dobbiamo permettersi di spegnersi >> cominciò con tono calmo e solenne. << Una nazione si fonda sullo spirito del suo popolo. La prova della grandezza di una nazione è la coesione dei suoi cittadini in tempi di crisi. I soli limiti a quel che possiamo raggiungere sono i limiti che diamo alle nostre speranze >>
Detto questo, girò brevemente la testa in direzione del ritratto posto sul palco.
<< Un anno fa, quest’uomo ci ha voluto ricordare la grandiosità delle nostre speranze. C'è stato un momento, ma parlo di secoli fa, in cui eravamo tutti un solo popolo. Tutti noi speravamo, ci sentivamo tutti un po' più fieri e un po' più grandi. Provavamo tutti gli stessi timori e lo stesso entusiasmo >> continuò, gli occhi fissi sulla folla. << Quest’uomo ci ha fatto sentire uniti, ci ha fatto capire che non ci sono obiettivi che non possiamo raggiungere se ci manterremo uniti. Non esistono parole adeguate per esprimere la nostra gratitudine a Tony Stark. Però…possiamo onorare la sua memoria>>.
Indietreggiò di alcuni passi e fece cenno a qualcuno tra gli spettatori di avvicinarsi.
Molte persone trattennero il fiato, mentre una giovane donna dai lunghi capelli rossi e dal lungo abito nero cominciò a camminare verso il palco, accompagnata da una bambina che non poteva essere più vecchia di sei anni.
Costei era Pepper Potts, moglie di Tony Stark e madre di Morgan Stark, figlia dell’omonimo Avenger.
Il sindaco si fece da parte, mentre la vedova prese posto di fronte al microfono e, con gli occhi leggermente bagnati dalle lacrime, iniziò dicendo : << Vi sono grata di essere qui oggi, per ricordare mio marito. Tutti noi siamo addolorati per la perdita di un grande uomo…e un padre altrettanto meraviglioso >>
Strinse brevemente la mano della figlia, mentre questa volgeva alla madre un sorriso triste.
Si udirono alcuni singhiozzi dalla folla, ma Pepper non sembrò badarci e riprese a parlare.
<< Ma siamo qui anche perché abbiamo ricevuto un dono prezioso. Noi…tutti noi, abbiamo avuto il privilegio di vivere una vita in cui Tony Stark era presente >> disse con un sorriso rivolto al resto dei Vendicatori. << Colui che era conosciuto come Iron Man possedeva molte doti straordinarie, e le ha usate per la nostra salvezza. Nessuna di queste qualità merita di essere ricordata più della sua incredibile abilità di riconoscere il prossimo nel momento del bisogno, e il suo incrollabile coraggio nel dare loro aiuto, indipendentemente dal prezzo da pagare >>
La donna trattenne un sussulto, sbattendo le palpebre e afferrando saldamento il microfono.
Era visibilmente turbata, ma nessuno tentò di avvicinarsi a lei. Era una persona orgogliosa, e lo sapevano tutti.
Poi, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, Pepper prese un paio di respiri calmanti e volse nuovamente la propria attenzione nei confronti dei cittadini raccolti.
<< Dobbiamo sforzarci di accettare la sua perdita…e andare avanti. È un comportamento che tutti noi dobbiamo a Tony Stark, l’uomo che ci ha insegnato cosa voglia dire essere eroi >> sussurrò, mentre allungava una mano in direzione della folla.
<< Oggi vedo una magnifica città e uno splendido popolo sollevarsi da questo abisso. Vedo le vite per le quali ha sacrificato la sua, pacifiche, utili…prospere e felici >>
E dopo aver pronunciato tali parole, con il cuore pesante e il volto bagnato dalle lacrime, posò lo sguardo sulla foto che ritraeva il marito ormai defunto.
Volse al fantasma dell’amato un ultimo sorriso, immaginandoselo affianco ancora una volta, con quell’espressione fiduciosa mista ad arroganza, eppure colma di pentimento e amore per il prossimo.
<< Tony Stark ci lascia con una profonda lezione >> disse con determinazione ritrovata, girandosi verso gli spettatori rapiti. << Ognuno di noi deve provare a crescere…per diventare una sorta di Iron Man. Tutti, per lo meno, ci possiamo provare. Grazie al coraggio di saper affrontare le scelte più ambiziose e spingendoci sempre al massimo. Senza dimenticarci, comunque, di dover indossare una solida corazza per lasciarci proteggere, ma non perdendo mai il solare entusiasmo di chi vuole cambiare il mondo partendo dalla sfida più dura: migliorare…noi stessi >>.
 

Prologo

Nell’universo conosciuto, tra meraviglie ed energie infinite, esiste una cerchia ristretta costituita dagli esseri più potenti del creato. Sono certo che saprete di chi parlo.
Tuttavia, c’è qualcosa dentro questi campioni che non conoscete. Una verità segreta che ciascuno di loro porta nella parti più oscure e recondite della propria anima. Il timore…la certezza…che perderanno. Che un giorno, nonostante la loro forza e il loro coraggio…ogni persona…e ogni cosa…moriranno.
E se domandaste a questi dei, a questi vendicatori e distruttori, come credono che questo nostro meraviglioso universo arriverà alla sua fine cruenta e inevitabile? Con voce tremante e il cuore pensante e sincero vi direbbero tutti la stessa identica cosa…finirà nello stesso modo in cui è finita ogni storia mai narrata. Con la morte. La morte…e nulla di più.
Quel giorno, la morte proveniva dallo spazio.
Era un corpo celeste nebuloso, antico quanto l'universo stesso, nato dal grembo di un'immensa nube di ghiaccio, rocce, polvere e gas nello stesso periodo in cui si erano formati i pianeti esterni del sistema solare, 4,6 miliardi di anni prima. Non appena le sue particelle disperse si erano condensate in una massa solida del diametro di oltre un chilometro e mezzo, aveva cominciato a sfrecciare in silenzio nel vuoto dello spazio, descrivendo un percorso che lo aveva portato verso un sole lontano, a metà strada dalle stelle più vicine, dopo un viaggio durato molte migliaia di anni.
Al suo interno vi era una creatura. Questa creatura incarnava una visione: il vuoto assoluto, definitivo. Molto tempo prima, quando era ancora solo un cucciolo appena uscito dall’uovo dell’emi-vita, aveva concepito l'universo come ciò-che-non-era-sua-madre, e vi aveva scorto il suo posto: un buco, oscuro e profondo. 
Eppure esisteva, ne era certo. Pensava di essere l’unico a esistere davvero, assieme a sua madre. 
Ma più il tempo passava, più la fame della creatura cresceva assieme a lui, e così fece la sua intelligenza. Arrivò alla conclusione che sua madre non lo amava per quello che era, per la sua sacra specificità, ma solo per la sua natura di figlio, il fatto che le appartenesse, per lo spazio che occupava nell'aria come prova tangibile del suo potere. Che allegria, provò, dopo quell’attimo di realizzazione infantile. Che splendida realizzazione!
Per questo motivo la uccise, nutrendosi delle sue carni. E allora la bestia scoprì l’omicidio e il piacere derivato dall’assorbire la forza vitale di un altro essere vivente.
E quando fu abbastanza grande da lasciare il nido, miliardi di anni orsono, la creatura iniziò a vagare per lo spazio, desiderosa di provare ancora una volta quella sensazione. E ancora…e ancora.
Grazie a quel cibo nutriente, la creatura conduceva la sua esistenza in un semplice ciclo di veglia per mangiare e sonno per viaggiare. Aveva creato una catena alimentare a sua immagine e la rimirava con orgoglio dai suoi perfidi occhi scarlatti. L’universo era il suo mattatoio, e le varie razze che lo abitavano erano i suoi greggi.
Fu così che, inconsapevoli del destino che aleggiava sopra le loro teste come una ghigliottina, molti pianeti caddero sotto il peso della sua fame insaziabile.
E molto presto, per una sfortunata coincidenza, un altro corpo celeste avrebbe attirato gli occhi spietati, freddi e maliziosi della bestia.
Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell'estremo limite della Spirale Ovest di una galassia, vi era un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'era un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, erano così incredibilmente primitive da credere che gli aerei fossero un'ottima invenzione.
Alcuni anni prima, una titanica battaglia tra un gruppo di questi nativi e un membro della razza nota ai più come gli Eterni, Thanos, era terminata con il rilascio improvviso di un’energia densa quanto potente, le cui onde e particelle viaggiarono per l’intero cosmo senza mai fermarsi, per innumerevoli anni luce.
A miliardi di kilometri da quella pianeta, la creatura avvertì un mutamento nel ritmo dello spazio, qualcosa che sostituì il vuoto freddo e intangibile. Uno sbalzo di energia improvviso, che la costrinse a fermare la sua avanzata.
La bestia non aveva visto l’impulso causato dalle Gemme dell’Infinito, ma ne aveva sentito l’odore e le terminazioni nervose di cui era cosparso il suo corpo registrarono le nuove vibrazioni e le segnalarono al cervello.
Era successo qualcosa di nuovo. Per la prima volta da sempre, qualcosa di nuovo.
E così, dopo un momento di esitazione, spinto dalla fame e dalla curiosità di quella fonte improvvisa di nutrimento, la creatura cominciò a puntare verso il pianeta Terra.
 


La Providence, una nave colonizzatrice di classe Venator, aveva meno di un'ora di vita davanti a sé.
Entro quarantacinque minuti, infatti, si sarebbe trasformata in una tomba collettiva per gli uomini a bordo: 2150 persone in tutto, tra passeggeri e membri dell'equipaggio.
Una tragedia imprevista, una crudele beffa, che la cristallina serenità dello spazio, calmo e deserto, non lasciavano minimamente supporre.
Perfino le meduse astrali, che veleggiavano ormai da una settimana nella scia di carburante e idrogeno della nave, proseguivano con languida indifferenza nel vuoto freddo e apparentemente senza vita dello spazio, come se i loro sensi acuti, placati da quella dolce atmosfera ( in senso figurato ), non presagissero il minimo allarme.
All’interno della nave faceva caldo come dentro a un forno.
Nella torre di controllo, l'operatore del vascello, Brady Corbet, accese una sigaretta con il mozzicone di quella precedente, appoggiò i piedi su un condizionatore portatile e si alzò dal posto di comando per la ronda mattutina.
Completato il giro di controllo nell’area di ipersonno dell’equipaggio, l’uomo si avviò nella sala adiacente. Lungo le pareti, l’uno affianco all’altro, erano disposti più di duemila congelatori individuali : una sfida al tempo e alla comprensione.
Dietro gli sportelli si intravedevano i volti di uomini, donne e bambini. Cullati da sogni rassicuranti, tutti dormivano tranquilli.
La responsabilità di garantire loro la sopravvivenza, lo stato di salute e soprattutto il loro futuro ricadeva tutto sulle spalle di Brady e l’equipaggio. Un compito che loro avevano preso molto sul serio.
In lontananza, un  lampo color ambra richiamò la sua attenzione. L’uomo si avvicinò alla fonte di luce e controllò il monitor diagnostico della capsula. Analizzò velocemente i dati, inserì la rettifica necessaria e subito la luce intermittente color ambra tornò verde e costante. Ne fu soddisfatto.
Forse si era trattato di un semplice sbalzo di corrente. Abbastanza comune nello spazio.
Ora doveva controllare l’unità di contenimento degli embrioni.
Aprì il primo di una serie di cassetti, ciascuno dei quali custodiva un embrione umano a un diverso stadio di sviluppo, e corse lo sguardo sui monitor. Le luci erano verdi, come aveva osservato Halo, il computer di bordo. Tutto andava bene.
L’uomo si concesse un sorriso.
Poi, all’improvviso, una voce calma e informativa, quasi femminile, riecheggiò per tutta la lunghezza della nave.
<< Brady…forse abbiamo un problema >>
L’uomo si drizzò di scatto.
Il programma del computer di bordo includeva molte competenze. Capacità diagnostiche, abilità tecniche, conoscenze enciclopediche e sfumature linguistiche.
<< I sistemi hanno registrato un picco anomalo di energia elettromagnetica. L’analisi è in corso >>
<< Dove ? >>
<< Molto vicino : settore 100. La fonte era mascherata, motivo della strana…anzi, tardiva individuazione. Una concatenazione unica di distorsioni spaziali e gravitazionali ha impedito di coglierla per tempo. Chiedo scusa, l’analisi iniziale era stata insufficiente a misurarne l’intensità e la vicinanza. Una seconda valutazione suggerisce la possibilità che l’evento abbia conseguenze significative. Rischio elevato >>
<< Probabilità della collisione ?>> domandò Brady, sentendosi improvvisamente la gola secca.
<< Imminente. Prossimità esterna. Calcoli esatti in fase di elaborazione>>
Senza attendere dettagli, l’uomo lasciò la stanza dei coloni e si precipitò sul ponte, comunicando i comandi mentre correva.
<< Halo, manda subito un SOS alla nave più vicina e avvia il risveglio dell’equipaggio ! >>
<< Eseguo. I nuovi calcoli indicano che il fenomeno è accompagnato da un oggetto la cui massa supera i due kilometri quadrati. Forse un meteorite. Impatto tra cinque, quattro, tre… >>
L’ondata di energia che precedeva il corpo celeste restò invisibile, ma i suoi effetti furono inequivocabili. L’onda d’urto che scosse la nave fu sufficiente a far perdere a Brady l’equilibrio, a superare gli scudi di protezione dello scafo e a scatenare il caos all’interno della nave spaziale.
L’uomo cercò di rimettersi in piedi. Per la nave non poteva fare niente, tranne sperare che Halo trovasse il modo di resistere.
Avvertì un senso di impotenza, mentre da uno degli oblò del vascello riuscì a identificare la sagoma di qualcosa…qualcosa di spaventoso, che sembrava uscito direttamente dagli incubi più reconditi della mente umana.
Poi sì udì un grido, misto al riso di una iena, e Brady fu costretto a tapparsi l’orecchio.
Il grido echeggiò per la nave come il ruggito di una belva rabbiosa, una sorte di lugubre invocazione alla morte.
Alla prima voce se ne unì una seconda… poi una terza, finché l'oscurità non fu squarciata da un macabro coro di lamenti.
Finita l'ossessiva serie di gemiti, un silenzio inquietante regnò per qualche attimo.
Poi, venne aperto uno squarcio nello scafo della nave…




 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Alcune note che vi invito a considerare, prima di leggere il capitolo. Ogni buona storia che si rispetti ha bisogno di un buon antagonista, certo, ma anche di protagonisti ben delineati. Ragion per cui, questo capitolo e il prossimo saranno incentrati soprattutto sugli Avengers, anche se l’ombra di Ghidorah aleggerà sulla trama come un presagio ineluttabile.
Per la rivelazione del kaiju mi sono molto ispirato al film Lo Squalo. I vari protagonisti, infatti, incapperanno nei numerosi disastri causati dalla creatura, percepiranno la sua minaccia imminente, ma Ghidorah in sé comparirà più tardi.
Inoltre, in questo capitolo comparirà la prima ship della storia. In molti potrebbero sorprendersi dei personaggi coinvolti, ma la coppia è presa direttamente dal fumetto.
Da sempre fan di questo accoppiamento, ho deciso di riadattarlo ai canoni MCU per integrarlo nella fan fiction, anche se sarà solo una trama di contorno.
Questa storia, dopotutto, si concentrerà soprattutto sullo scontro fisico e mentale degli Avengers con King Ghidorah ( sì, sarà un confronto anche psicologico ).
Se volete conoscere la storia dietro a questa coppia, consiglio di leggere le fan fiction prequel ( So Wrong e The Captain, The Spider and the Clown ). Con questo detto, vi auguro una buona lettura !
Oh, ho anche realizzato un trailer per questa fic : https://www.youtube.com/watch?v=hshR4DmJtNA

 

Capitolo 1 

4 anni dopo

Carol Danvers dormiva. E sognava.
La linea di confine rispetto ai suoi pensieri abituali era profonda, ma a lei certe distinzioni non interessavano. Le importava solo che i contenuti del suo sonno fossero appaganti.
Qualcosa le sfiorò le labbra. Un tocco leggero, caldo, una pressione delicata ma sufficiente a riscuoterla.
Riconoscendone l'origine, la curva appena imbronciata delle sue labbra si distese in un sorriso, poi lei aprì gli occhi.
Sospeso su di lei c'era un volto familiare. Carol ormai ne conosceva ogni dettaglio, ogni tratto o cicatrice. Non che queste fossero molte, e comunque erano a mala pena visibili al di sopra della pelle. Col tempo ne sarebbero arrivate altre, e lei lo sapeva. Era il destino comune dei guerrieri, di quelli come lui.
E con ogni probabilità, una buona parte le avrebbe causate lei stessa. Era nella natura delle cose.
E in fondo lei ci sperava. Gli piaceva l'idea di quell'incisione reciproca sul viso.
Il giovane volto di Peter Parker, ventiduenne e noto al grande pubblico come Spiderman, le sorrise di rimando.
<< Buongiorno>> sussurrò << Ho creato una granata web >>.
Era una nuova informazione, ma non certo quella che si aspettava.
Con un verso a metà tra un gemito e una risata, l’eroina conosciuta ai più come Capitan Marvel si nascose sotto il cuscino.
Lui ridacchiò e lo gettò da parte. Carol sbattè le palpebre e i grandi occhi castani della donna gli rivolsero uno sguardo intenerito. Dominavano un volto giovanile eppure serio, con la fronte attraversata da una frangetta di capelli biondi, leggermente sparati verso l’alto.
Aveva l'aria di una donna spesso assorta nei suoi pensieri, cui tuttavia non sfuggiva mai nulla del mondo circostante, temprata dal conflitto.
<< Coraggio, pigrona. Guarda! >>
Strofinando il lato scolorito di un piccolo cubo, Peter proiettò un ologramma che prese forma sotto i loro occhi e restò sospeso a mezz'aria.
Raffigurava la mappatura generica di un filamento di DNA.
Reggendo il cubo sul palmo, il vigilante usò una mano libera per manipolare l'immagine, facendola ruotare e attivando lo zoom per passare ad una prospettiva migliore.
Con un dito sovrascrisse una nota, la ingrandì per renderla più leggibile e poi la eliminò con un gesto.
Una volta individuata la prospettiva che cercava, spostò di lato una colonna di appunti per mostrare l’immagine senza intralci. Il suo entusiasmo era palpabile.
<< Ecco,vedi? Ho creato una sostanza capace di destabilizzare le molecole della tela una volta a contatto con l’aria. In pratica, una tela di piccole dimensioni capace di espandersi e crescere di almeno dodici volte la sua massa originale per intrappolare l’avversario >>.
Con un'espressione rassegnata e divertita, Carol scosse la testa una paio di volte, poi afferrò un cuscino e puntò lo sguardo sul ragazzo.
<< Mi hai svegliato per questo? Ti prego, dimmi di no>>
<< Ho anche preparato il caffè>> rispose lui, in tono contrito << E sta nevicando >>
Lei sospirò, affondò per un momento la faccia nel cuscino, poi si costrinse ad alzarsi. Sarebbe bastato chiedere e lui glie l'avrebbe portato a letto, ma il suo caffè aveva sempre un sapore strano, tanto valeva prepararselo da sola.
Fuori nevicava davvero.
Grossi fiocchi si depositavano sui cornicioni e sui tetti dei palazzi,addolcendo la desolazione del panorama urbano. La metropoli era stanca, scoraggiata, visibilmente allo stremo. Qualche raro passante affrontava a fatica le strade innevate, ciascuno per conto suo, senza alzare lo sguardo o rivolgere la parola agli altri. Tutti irradiavano una cupezza identica a quella degli edifici che li sovrastavano. La neve, la vita e il futuro non erano fonte di gioia per nessuno, per le vie di New York.
Preparato il caffè, Carol prese la tazza e tornò a letto. Peter le aveva rubato il posto e ora se ne stava sdraiato ad armeggiare con l’ologramma.
<< Diverrà la punta di diamante del mio arsenale >> disse con tono soddisfatto, prima di corrugare la fronte. << Ripensandoci, forse dovrei ridurre la tensione, altrimenti potrebbe impiegare giorni a dissolversi. È difficile da dire. La resistenza della tela è importante, ma non devo trascurare l'effetto estetico >>
Carol bevve un sorso di caffè e restò a guardarlo in silenzio.
Avrebbe potuto commentare, esprimere un'opinione, se non altro per fargli capire che lo stava ascoltando e che lei aveva la sua attenzione, ma non gli andava d'interromperlo. Voltandosi, tornò a sbirciare il paesaggio invernale oltre la finestra.
Ricordava ancora il giorno in cui incontrò Peter per la prima volta. Un ragazzino forte e coraggioso di appena diciassette anni, costretto a crescere troppo in fretta e a combattere in una guerra per il destino dell’universo.
Lo aveva visto affrontare orde di nemici in solitaria, con il solo scopo di proteggere una flebile speranza. Già all’epoca era rimasta non poco impressionata dalle sue abilità e dalla sua dedizione ad un'unica e semplice causa : usare i suoi poteri per proteggere i deboli e gli oppressi. Una causa nobile che non molti adolescenti avrebbero deciso d’intraprendere, se data l’occasione.
Negli anni successivi, l’entrata di Carol nei Vendicatori aveva permesso ai due di lavorare assieme più volte. E più il tempo passava, più l’affetto che provava per Peter era cresciuto, così come Peter stesso. Da semplice ragazzino con un grande cuore si era trasformato in un giovane uomo temprato dalla battaglia e dall’esperienza, un vero pilastro della comunità supereroistica.
Avevano affrontato così tante sfide, fin dal giorno in cui il vigilante si era assunto la responsabilità di dichiarare i sentimenti che aveva cominciato a sviluppare per lei. Eppure, se un qualsiasi osservatore esterno avesse chiesto loro quale fosse la natura della loro relazione...beh, nessuno dei due sarebbe stato in grado di rispondere.
<< Dovresti pensare meno a queste cose e più ai tuoi voti universitari >> disse dopo qualche minuto di silenzio, attirando l’attenzione del ragazzo. << Ho saputo che nell’ultimo esame sei a mala pena riuscito a passare con una D3 >>
Al sentire tali parole, il vigilante trasalì d’istinto.
<< Chi te lo ha detto? >> chiese con voce leggermente umiliata.
Carol sorrise divertita, appoggiandosi alla parete della stanza.
<< Pepper >> rivelò con tono malizioso, mentre Peter si accasciava con un tonfo.
Bevendo gli ultimi sorsi di caffè, la donna si avvicinò all’arrampica-muri e cominciò ad armeggiare con i suoi capelli spettinati.
<< Allora, vuoi dirmi cosa ti frulla in quella testa? >> domandò con voce calma e rassicurante.
Peter alzò gli occhi, incontrando lo sguardo della bionda.
<< Ho solo avuto molte cose a cui pensare. Pattugliare la città richiede tempo, e i miei doveri di vendicatore… >>
<< Sai che non dovresti metterli davanti allo studio, Peter >> lo rimproverò lei. << Sei all’ultimo anno di college, e hai finalmente l’occasione di guadagnarti una buona laurea >>
Quasi si aspettava una scusa. Invece, con sua grande sorpresa, il ragazzo rimase fermo e immobile, apparentemente perso nei suoi pensieri.
A quel punto, una rivelazione cominciò a farsi strada nella mente di Carol. Quasi si era dimenticata che giorno fosse oggi.
<< È a causa dell’anniversario, non è vero? >> sussurrò con ton comprensivo, accarezzando il volto del compagno.
Peter le rivolse un sorriso triste, confermando i suoi sospetti.
<< Mi manca >>
<< Lo so, piccolo >> disse lei, posandogli un casto bacio sulla fronte. << Ma so anche che lui non vorrebbe farti perdere la possibilità di ottenere una buona vita >>
<< La mia vita è buona. Dopotutto…ho te >> ribattè il vigilante, facendola ridacchiare.
<< Sai cosa intendo >> sbuffò lei, colpendolo scherzosamente sulla spalla.
Il sorriso sul volto di Peter si fece molto più luminoso, e Carol lo considerò come una vittoria. Sì alzò dal letto e afferrò un telecomando posto sull’unica tv presente nell’appartamento.
<< Hai qualcosa da mangiare? >> chiese senza guardare Peter, mentre questi entrava in cucina.
Il ragazzo aprì il frigo…e si blocco.
All’interno del congelatore, infatti, vi era una rana. Sembrava morta.
Come diavolo ci era finita lì? Forse era risalita dal lavandino…u
Ugh, era proprio per motivi come questo che non voleva portare Carol nel suo appartamento.
<< Ehm…hai qualche discendenza francese? >> domandò il vigilante, mentre la bionda in questione gli lanciava un’occhiata stranita.
<< Ehm…No >>
<< Allora non c'è nulla di commestibile qui >> disse con una scrollata di spalle.
Nel mentre, la donna cominciò ad armeggiare con i canali della tv, fermandosi solo quando ne trovò uno che trasmetteva il notiziario del mattino.
L’immagine raffigurava un uomo di almeno trentacinque anni, dai corti capelli neri, la barba ben curata e vestito con un elegante completo grigio. Indossava un paio di occhiali dalle lenti rosse e portava nella mano destra un bastone bianco, come quelli usati dalle persone cieche. Affianco a lui vi era un uomo leggermente più paffuto, dai lunghi capelli rossi tirati all’indietro.
A completare il tutto vi era la figura del Commissario di New York, George Stacy, un individuo alto e tarchiato dai corti capelli argentati e gli occhi blu elettrico, apparentemente sulla cinquantina.
<< Signor Nelson, signor Murdoch, è vero che state entrambi indagando sul caso del Kingpin? >> domandò una voce esterna e femminile, probabilmente la persona che si stava occupando del servizio.
L’espressione dell’uomo cieco, sotto cui comparve la scritta “ Matt Murdoch – Avvocato Distrettuale”, rimase calma e distaccata.
<< "Il Kingpin" si chiama Wilson Fisk. È solo un uomo, come tutti. Ma si pone al di sopra della legge >> dichiarò con tono impassibile.
<< Questo non significa che lo sia >> dichiarò Stacy, ricevendo un’occhiata stizzita da parte dell’uomo dai capelli rossi.
<< Sul serio? Allora vada ad arrestarlo >> commentò questi, mentre Murdoch annuiva d’accordo.
<< Tutti sanno su cosa si basa la fortuna della famiglia Fisk. Gioco, racket, droga. Il solo pensiero che la città continui a fare affari con lui mi ripugna>>
<< Sta lanciando delle accuse abbastanza pesanti contro Wilson Fisk >> rispose freddamente il Commissario. << L’uomo è stato scagionato da ogni accusa, e ora è solo un importatore di scarpe italiane. Me ne sono perfino comperato un paio! E sono straordinariamente comode >>
Detto questo, volse alla telecamera un sorriso accomodante.
<< E poi, a questa città possono fare molto comodo i proventi delle importazioni Fisk >>
<< Denaro sporco >> si intromise Murdoch, alzando leggermente la voce. << E vuole ripulirlo qui. Non permetteremo che questo accada…non più >>
A quel punto, l’immagine della trasmissione cambiò di colpo, mostrando un uomo alto e dalla corporatura massiccia, calvo e vestito con un elegante giacca bianca. Costui non era altri che Wilson Fisk, conosciuto dalla criminalità organizzata di New York con il soprannome di Kingpin.
<< È lui il tipo che ti da problemi? >> domandò Carol, indicando il televisore.
Dietro di lei, Peter incrociò le braccia e si appoggiò al muro del salotto.
<< Da quando è uscito di prigione, il livello di criminalità di New York è salito parecchio >> commentò seccamente, fissando il boss del crimine con disgusto a mala pena celato.
Carol girò la testa verso di lui.
<< Sai…potrei andare nel suo ufficio proprio ora. Fargli fare un giro sulla stella nana più vicina e risolvere il problema >> disse con un ghigno malizioso, facendo ridacchiare il compagno.
<< Apprezzo l’offerta, ma posso gestirlo da solo >> disse questi, con una scrollata di spalle. << E poi, l’ultima cosa che voglio è che quel pelatone accusi la mia ragazza di sequestro e tentato omicidio >>
<< Oh…Quindi ora sono la tua ragazza? >>
Peter si bloccò di colpo. Alzò gli occhi in direzione di Carol…e noto che l’espressione sul volto della donna era diventata molto più seria e custodita.
Inconsapevolmente, si ritrovò a deglutire.
<< Non lo sei? >> chiese con tono apparentemente disinvolto, cercando di apparire fiducioso nonostante l’argomento trattato.
A quel punto, Carol si alzò dal letto e si voltò completamente verso di lui, incrociando ambe le braccia davanti a sé.
<< Vuoi che lo sia? >>
E, nonostante quella fosse una domanda apparentemente innocente, Peter riuscì a percepirvi un sottofondo di inquisizione. A volte dimenticava che quella donna aveva un passato militare alle spalle.
<< Io…sono abbastanza sicuro che questa sia una domanda trabocchetto >> azzardò con esitazione.
Per qualche minuto lei rimase a guardarlo senza parlare. A mano a mano che il silenzio si prolungava, lo sfarfallio che lui sentiva allo stomaco si trasformò in un battito d'ali, e non poté fare a meno di pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato. 
Invece di rispondere, Carol fece un passo verso di lui, e poi accadde tutto troppo in fretta per capirci qualcosa. Un attimo prima era a un metro da lui, e quello dopo gli aveva posato la mano su un fianco e le stava abbracciando. Poi, chinò la testa e lo baciò.
Le sue labbra erano morbide. Forse fu per il fatto che l'aveva colto di sorpresa, ma ricambiò il bacio e si rese conto che era esattamente ciò che aveva desiderato facesse.
Dopo circa un paio di minuti, Carol fu la prima a staccarsi e fissò il ragazzo dritto negli occhi.
<< Peter, lo sai che mi piace passare il tempo con te. Sei carino, divertente, intelligente…e sei bravo a letto >> aggiunse con una lieve punta di ironia, facendolo ridacchiare.
Poi, l’espressione sul volto della giovane donna si fece improvvisamente seria.
<< Ma non credo che una relazione fissa potrebbe funzionare tra noi >> disse con tono di fatto, sorprendendo il compagno.
Questi prese a scrutarla con un cipiglio.
<< Sai bene cosa provo per te >>
<< Peter...>>
<< E so che anche tu provi lo stesso per me >> continuò questi, suscitando un sospiro da parte di Carol.
<< Non è così semplice >>
<< Perché no?>> disse il vigilante, implacabile, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Il volto della bionda fu attraversato da una miriade di emozioni. Era evidente che stava cercando di trovare le parole giuste per rispondere ad una simile domanda senza ferirlo.
<< Siamo supereroi >> affermò dopo un attimo di silenzio, spingendo l’arrampica-muri ad inarcare un sopracciglio.
<< E allora? Questo è solo una delle tante cose che abbiamo in comune >>
<< Non possiamo preoccuparci l'uno per l'altra mentre combattiamo i criminali >> continuò caldamente l’altra, con uno sguardo d’ammonimento.
Peter si limitò a scrollare le spalle.
<< Troppo tardi per questo. Qualcos'altro?>> disse con tono impertinente, mentre la giovane donna rilasciava un gemito e si portava una mano alla fonte.
<< Ugh... è una follia. Voglio dire, guardaci. Sul serio... guardaci! >> disse indicando le loro rispettive figure.
Peter sembrò leggermente ferito da quell’invito, e il cuore di Carol mancò un battito. Quegli occhi da cucciolo riuscivano sempre a farle fare marcia indietro.
<< È a causa della differenza di età? >> domandò il ragazzo, abbassando leggermente la testa.
La supereroina si affrettò a rassicurarlo, alzandogli il mento e costringendolo a guadarla in faccia.
<< Ne abbiamo già parlato, sai bene che invecchio molto più lentamente di qualsiasi essere umano. Biologicamente parlando abbiamo solo 6 anni di differenza >> sussurrò con tono serio, prima di arricciare le labbra in un sorriso malizioso.<< E non sarei certo la prima donna ad uscire con qualcuno di più giovane. Detto questo, sai anche che il mio tempo sulla Terra è limitato. Ho un’intera galassia da pattugliare…doveri che non posso ignorare, lontano da qui. Riusciamo a vederci sì e no a mala pena tre mesi all’anno! >>
<< Potresti restare qui >> sbottò il vigilante, senza rendersi conto di quanto quell’idea suonasse ipocrita anche alle sue stesse orecchie.
Carol gli posò nuovamente una mano sulla guancia, scrutandolo con occhi caldi e amorevoli.
<< Vorrei tanto poterlo fare >> mormorò a bassa voce.
Poi, si chinò ancora una volta verso di lui, baciandolo teneramente, prima sulla guancia e poi sulle labbra.
Peter ripose con gioia alla dimostrazione di affetto e, anche se solo per un momento, dimenticò l’angoscia che aveva provato fino a pochi secondi prima.
Quando la guardò negli occhi, lei rivide il ragazzo allegro e spensierato che aveva amato durante questi ultimi mesi e il giovane che amava ancora.
<< Ci prendiamo il resto della giornata libera? >> sussurrò lui, sopra le sue labbra.
Carol roteò gli occhi, apparentemente divertita.
<< Non posso, ho un appuntamento con Fury tra mezz’ora >> disse con voce stanca, suscitando un gemito scontento da parte del compagno.
<< Ugh, non puoi lasciarmi in questo modo. Hai idea di cosa significhi passare il resto della giornata con un erezione? >> mormorò con un broncio che Carol non potè fare a meno di considerare “ adorabile”.
<< Vuoi un po’ di sollievo? >> chiese lei, posandogli un dito sul labbro inferiore. << Portami una bella A di Chimica avanzata >>
Al sentire tali parole, Peter la fissò con uno sguardo incredulo misto a divertimento.
<< Mi offri sesso in cambio di un buon voto? >>
<< Cerco solo di riportarti sul giusto binario >> ribattè l’altra, con una scrollata di spalle.
Fatto questo, si allontano da lui con un balzo, premendo un braccialetto che portava al polso. Nel giro di pochi secondi, la vestaglia che la donna indossava cadde a terra, venendo prontamente sostituita dall’uniforme rossa e blu ci Capitan Marvel.
Ormai consapevole che la supereroina non stesse affatto scherzando, Peter le lanciò un’espressione indignata.
<< È impossibile che io passi da una D ad una A in meno di una settimana! >> esclamò con una punta di panico, mentre Carol gli inviava un sorriso impertinente.
<< Allora non mi sarà possibile alleviare le tue pene >> disse lei, prima di aprire la finestra dell’appartamento. Nel mentre, la figura della bionda cominciò a illuminarsi di un accecante bagliore dorato.
<< Incredibile cosa può fare un piccolo incentivo >> aggiunse con un occhiolino malizioso.
E, detto questo, si lanciò oltre la vetrata, prendendo il volo e lasciandosi dietro un Peter Park visibilmente stizzito.
L’adolescente rilasciò un sonoro sospiro e si preparo per cambiarsi. Dopotutto, New York non si sarebbe certo salvata da sola…e in più, ora doveva occuparsi anche della questione riguardante lo studio.
Ebbe appena il tempo di compiere un passo.
Come dal nulla, sentì una forza invisibile e sconosciuta atterrargli sulla schiena con la stessa intensità di un treno in corsa. Il cuore cominciò a battergli a mille, mentre i peli sul corpo si drizzarono e una sensazione di nausea e malessere si fece strada dentro ci lui.
Peter dilatò le pupille e cominciò a respirare a fatica. Si sentiva come…un uccello nelle grinfie di un gatto, fu la prima analogia che gli venne in mente.
Era il suo senso di ragno…e stava impazzendo. Non era mai stato così spaventato in vita sua. L’ultima volta che aveva provato qualcosa di simile era stato durante l’ultima battaglia con Tha…
Poco prima che potesse terminare quel pensiero, tutto si fermo di colpo.
Il vigilante si drizzò di scatto e cominciò a guardarsi attorno con aria frenetica. Niente sembrava fuori posto.
Saltò alla finestra e spese almeno un minuto buono a scrutare il cielo. Niente. Nessun’astronave, nessun’invasione…niente.
Emise un sospiro di sollievo e si accasciò al muro dell’appartamento.
Cosa diavolo era stato?
 
                                                                                                                                                      * * * 
 
C'era un tempo prima degli uomini, un tempo ancor prima che il mondo esistesse, quando il cosmo era solo il nero vuoto dell'abisso di Ginnunga.
Le distese ghiacciate di Niflheim si estendevano dall'estremo Nord, e le terre delle luminose e scintillanti fornaci del gigante Muspell, chiamate Muspellsheim, all'estremo Sud.
Nel grande abisso di Ginnunga, i freddi venti settentrionali incontrarono le calde brezze che soffiavano da sud e il turbinio di neve e frandine si sciolse e gocciolò nel nulla per formare Ymir, padre di tutti i giganti del ghiaccio.
 I giganti lo chiamarono Aurgelmir, colui che fa bollire il fango. Da questo gocciolio di brina si formò pure la prima mucca, Audhumla, che con il suo latte alimentò Ymir e con la lingua leccò un blocco di sale, dando luce al primo degli dei, Buri. In tempi successivi, Bor, il figlio di Buri, ebbe tre figli dalla gigantessa Bestla, Odino, Vili e Ve, e furono loro a uccidere il grande Ymir e a portare il suo corpo nel freddo centro dell'abisso di Ginnunga. Con il suo sangue crearono i laghi, i fiumi e i mari e con le sue ossa scolpirono le montagne. Con i denti massicci formarono le pietre e la ghiaia. Con il cervello le nuvole e con il cranio costruirono il cielo e lo stesero in alto sopra la terra. Fu così che i figli di Buri costruirono il mondo che sarebbe diventato la casa dei figli degli uomini.
O almeno questo era ciò che la madre di Thor, Frigga, era solita narrare al figlio e a suo fratello Loki durante la sera, prima che andassero a letto.
Con il volto chiuso in un piccolo sorriso, Thor ricordò quelle storie con affetto.
Secondo la mitologia asgardiana, al centro dell’universo si ergeva il frassino Yggdrasil, il più grande e il migliore di tutti gli alberi, e sotto le radici di Yggdrasil dimorano le tre vergini, le norne, che non smettevano mai di lavorare, impegnate ai loro telai, filando e forgiando le vite di ogni uomo e di ogni donna, tessendo ciò che doveva fuoriuscire dal caos e dalle infinite possibilità.
Gli stessi dei di Asgard erano solo fili del manufatto delle norne, e neppure loro, come gli uomini mortali e i giganti, potevano dare una sbirciata ai fili delle loro esistenze o conoscere il giudizio di quelle dita agili e instancabili.
Solo le tre vergini conoscono la lunghezza di ogni filo, là sotto le radici del frassino del Mondo. 
Era così anche per Thor, che aveva cercato la gloria e la morte valorosa inseguita da coloro che desiderano entrare nel palazzo di Odino e combattere con gli altri dei nella battaglia decisiva all'avvento del Ragnarök…giorno in cui aveva perso tutto. La sua casa…il suo popolo…suo fratello. Tutto era ormai svanito nell’oscurità dello spazio.
Attualmente, il dio del tuono sedeva con gli occhi chiusi e le gambe incrociate sul pavimento della Milano, una navetta classe M la cui velocità e destrezza non erano seconde a nessuno, meditando sulla propria esistenza.
A pochi metri di distanza spiccava Il martello di Thor, noto come Mjollnir.
I nani Brokk ed Eitri lo avevano fabbricato per lui migliaia di anni prima, direttamente dal cuore di una stella morente.
Era uno dei tesori degli dèi. Quando Thor scagliava il martello contro un bersaglio, l'arma volava precisa nella direzione indicatagli e sempre faceva ritorno fra le forti mani del suo possessore . C’era perfino un tempo in cui poteva rimpicciolirlo e nasconderlo nella tunica, per poi ingrandirlo di nuovo. Era un martello perfetto in tutto tranne una cosa: l'impugnatura era leggermente corta, e quindi Thor doveva farlo roteare con una mano sola. 
Il resto della stanza era occupato da un totale di cinque individui dall’aspetto inusuale, almeno per gli standard asgardiani.
Il più “ normale” era un giovane uomo apparentemente sulla trentina, dai corti capelli biondi e la barba ispida, vestito con una giacca in pelle color rosso sangue e pantaloni anfibi di seconda mano.
Era seduto all’unico tavolo presente nell’ala, assieme ad un essere umanoide dalla testa calva, la cui pelle grigia e coriacea era stata incisa da numerosi segni di natura apparentemente tribale.
A pochi metri di distanza, intenta a giocare con un vecchio gameboy terrestre degli anni 90, vi era un’aliena dai lunghi capelli castani, occhi privi di bianco e vestita con un abito verde attillato. Tratto distintivo era sicuramente il paio di antenne che le ornavano la testa, caratterizzate da punte luminose.
A completare il tutto erano un procione dalla struttura fisica vagamente simile a quella di un bambino e un albero umanoide alto circa un paio di metri.
Costoro erano, rispettivamente, Peter Quill, Drax il distruttore, Mantis, Rocket e Groot, una squadra di eroi disadattati conosciuta con molti nomi in tutto l’universo, anche se il più comune tra i loro appellativi rimaneva sicuramente quello che si erano scelti circa una decina di anni orsono :  “ I Guardiani della Galassia”.
<< Quindi, ricapitolando… >> disse Rocket, mentre era intento ad armeggiare con un fucile a protoni. << Odino ora vive nel Valhalla. Ed è l’unico dio che vive in un grande palazzo?>>
<< No. Ci sono molti palazzi >> rispose Thor, mantenendo gli occhi chiusi e una posizione rilassata. << Una volta che sarò morto, io vivrò a Thrudheim >>
Il procione annuì contemplativo.
<< Giusto, giusto…e a Freyr è stato donato il palazzo d'Alfheim, quando ha perso il suo primo dente…>>
<< Esatto >> confermò l’ex Avenger. << E vicino c'è il Valhalla, vasto e scintillante d'oro, e ogni giorno Odino sceglie gli uomini uccisi che lo raggiungeranno. Loro si armano e combattono nella grande corte, e si ammazzano a vicenda. Ma, notte dopo notte, tornano ad alzarsi e fanno rientro al palazzo per festeggiare. Il tetto è fatto di scudi e le travi sono lance, le panche sono ricoperte di armature. Un lupo sorveglia l'ingresso occidentale e un aquila si libera sopra di esso. Ci sono 540 porte, e quando l’universo giungerà alla sua fine,  800 guerrieri marceranno fuori da ogni porta stando fianco a fianco per combattere il Grande Nemico ancora una volta >>
<<  …e poi la gente dice che siamo noi quelli strani >> commentò l’esperimento genetico, lanciando un’occhiata laterale in direzione di Groot.
In tutta risposta, l’albero si limitò a scrollare le spalle, borbottando un : << Io sono Groot >>
Nel mentre, a pochi metri dal trio, Peter era impegnato in un’accesa discussione a senso unico con un certo guerriero.
<< Te lo dico io, Drax, Nebula sta cercando di sabotarmi! Ogni volta che tento di mettere le cose a posto con Gamora, lei finisce sempre con l’interromperci >> borbottò amaramente.
Di fronte a lui, l’alieno era intento ad estrarre da una scatola quelle che avevano tutta l’aria di essere caramelle gommose di vari colori. Le aveva disposte tutte in fila, scrutandole attentamente con fare metodico, come se stesse cercando qualcosa.
<< Sei ancora arrabbiato con lei per averti preso a calci qualche mese fa?>> chiese Drax, senza nemmeno alzare gli occhi in direzione di Quill.
<< Ha avuto un colpo di fortuna! >> ribattè caldamente l’altro, prima di fermarsi di scatto. << Okay, cinque o sei colpi di fortuna. Comunque, non è questo il punto...>>
<< Lo sapevo, la scatola stava mentendo! >> esclamò all’improvviso l’alieno, facendo sobbalzare il capitano della nave. << Erano trentadue sapori, non trentaquattro!>>
Peter lanciò al compagno di squadra un’occhiata visibilmente irritata, per poi accasciarsi sullo schienale della sedia.
<<  C'è qualcosa che non va qui, Drax, me lo sento >>
<< Di solito sono io quello paranoico, e neanche io vedo nulla>> commentò Rocket, con un roteare degli occhi.
Mantis, che nel frattempo aveva cominciato a prendere nota della conversazione, decise di abbandonare il gioco e intervenire.
<< Perché non vai semplicemente a parlare con Gamora? >> chiese con tono perplesso, ricevendo un’occhiata incredula da parte di Peter.
<< Cosa, io? Parlare con lei? Scordatelo!>>
<< Se hai paura di parlare con lei, lo faccio io per te >> disse Thor, dalla sua posizione sul pavimento.
La reazione fu quasi istantanea. 
<< No! >> esclamò l’ex-ravager, visibilmente allarmato.
Dopotutto, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che l’uomo più affascinante che avesse mai incontrato ( per quanto detestasse ammetterlo ) rimanesse da solo con il suo interesse amoroso. Certe cose non finivano mai bene, e lo sapeva per esperienza personale.
<< Fai davvero tristezza >> borbottò Rocket, scuotendo la testa e ricominciando ad armeggiare con il blaster.
Nel mentre, Groot alzò la mano destra, attirando l’attenzione di Quill.
<< Io sono Groot >> offrì la creatura, con una scrollata di spalle.
L’umano prese a fissarlo con aria perplessa, mentre Rocket annuì d’accordo.
<< Groot ha ragione, potresti non avere un’altra occasione. Nebula è attualmente nella cabina di guida, dovresti approfittarne >> disse con un sorriso malizioso.
Peter sembrò prendere in considerazione le parole del procione parlante, soppesando brevemente lo sguardo su ogni membro della squadra.
<< Sai una cosa? È esattamente quello che ho intenzione di fare >> dichiarò con fiducia ritrovata, prima di fuoriuscire dalla stanza con passo marcato e sicuro.
 
 
La cabina di Gamora, come quella dei suoi colleghi, era stata progettata per occupare il massimo spazio concesso dai limiti strutturali ed economici della navetta. Entro quei parametri, era dotata di ogni comfort. Il letto era addossato a una parete, sotto un oblò esagonale che mostrava una visione multipla del cosmo all’esterno, e la luce era regolabile : più intensa per leggere, soffusa o colorata nel caso di altre attività.
Senza perdere tempo a bussare, Peter entrò con prepotenza all’interno della stanza.
<< Ehi, Gamora! Volevo... Judas Priest!>> esclamò basito, sorpreso dalla visione che prese forma di fronte a lui.
Gamora era esattamente come la ricordava. Corpo esile e femminile, capelli neri e cadenti, pelle verde e occhi lucidi, colmi di determinazione e spirito combattivo. Ciò che aveva sorpreso l’umano, tuttavia…era quello che stava indossando.
<< Problemi?>> chiese l’ex figlia di Thanos, che attualmente vestiva in un elegante abito con spalline, che le arrivava fino alle caviglie.
Quill scosse prontamente la testa.
<< No, no, è solo che, uh... non... Non ti avevo mai vista in un vestito prima d'ora >> balbettò con il volto leggermente arrossato.
La Zen Whoberi si limitò a scrollare le spalle.
<< Sto solo provando qualcosa di nuovo, è stata un’idea di Mantis. Non ti piace? >>
<< È, uh... carino >> fu l’unica cosa che l’uomo riuscì a dire, dopo un momento di esitazione.
Gamora lo fissò stranamente, facendo sì che Peter si ricordasse il motivo per cui era venuto.
Tuttavia, poco prima che potesse anche solo aprire bocca…
<< Ragazzi, la nave ha rilevato una trasmissione di soccorso lanciata circa mezz’ora fa>> proclamò la voce fredda e distaccata della sorella di Gamora, Nebula, attraverso gli altoparlanti della nave.
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare all’interno dell’alloggio, mentre un certo capitano prese a fissare il dispositivo con fare incredulo.
Gamora girò la testa verso Quill.
<< Esci, devo cambiarmi >> ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Peter aprì e chiuse la bocca un paio di volte, come se stesse cercando le parole giuste per argomentare. Tuttavia, quando lo sguardo dell’aliena si fece più intenso, l’ex-ravager procedette ad uscire dalla cabina senza protestare.
Una volta fuori, lanciò un’occhiataccia in direzione di uno degli altoparlanti.
<< Lo sapevo! >>
 
                                                                                                                                                      * * *  

L’enorme sagoma dell’astronave incombeva cupa, ostile e inquietante per la sua somiglianza con una parte ben distinta dell’anatomia femminile. I fasci della Providence frugarono il gigantesco squarcio disposto lungo la fiancata del veicolo, in cerca di qualcosa di solido su cui riflettersi.
Scrutando le pareti della nave, Thor non riusciva a capire se fossero fatte di metallo, plastica, vetro o tessuti organici. Quelli che sembravano sostegni ricurvi avrebbero potuto benissimo essere le costole di una bestia gigantesca, e il tunnel che conduceva da entrata le sue viscere. Purtroppo, la tenebra dello spazio era troppo fitta, e il poco che era possibile distinguere appariva uniformemente scuro…e senza vita.
<< Sembra messa davvero male >> commentò Drax, fissando intensamente il relitto.
<< Forse è stata abbordata >> offrì Gamora, soppesando lo sguardo sull’enorme ferita aperta lungo il telaio del veicolo.
Rocket strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Chiunque l’abbia fatto…doveva avere armi davvero belle grosse. E molto potenti >> sussurrò con circospezione.
Thor girò brevemente la testa in direzione di Mantis.
<< Ci sono forme di vita a bordo? >>
<< Alcune, ma sono poche. A giudicare dalle dimensioni della nave, direi che la maggior parte dell’equipaggio è morta >> rispose la donna, leggermente sconsolata.
Peter rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Dovremmo combattere, non è vero? >>
<< È altamente probabile >> disse freddamente Nebula, a pochi passi da lui. L’aliena dalla pelle blu aveva già armato il proprio blaster e sembrava pronta ad andare in guerra.
Inconsapevolmente, Thor si ritrovò a sorridere. Erano anni che lavorava con lei, eppure il suo entusiasmo per la lotta non smetteva mai di provocargli un forte senso di nostalgia. Per certi versi gli ricordava Syf, la sua vecchia amica.
Aaaah, quante battaglie avevano combattuto assieme…
Scosse la testa da quei pensieri. Ora non era il momento di rivangare il passato.
Dopo aver preso un respiro profondo,  procedette a camminare fino allo spogliatoio della nave. 
Una volta indossate le tute protettive, il gruppo entrò nel riletto.
Con i loro grossi caschi, il carico di attrezzature e le tute pressurizzate che spiccavano arancioni nel buio dello spazio profondo, avevano l’aspetto di giganteschi scarafaggi monocoli.
Senza esitare, com’era suo compito, Quill si era subito messo in testa alla fila.
Finora la sua torcia non aveva rilevato nulla di mobile. Gli unici suoni percepibili erano il gocciolare costante di qualcosa, e di tanto in tanto un sibilo, probabilmente provocato dai meccanismi interni della nave che cercavano di impedire all’aria di fuoriuscire dall’atmosfera artificiale.
 A volte provenivano dall’esterno, a volte dall’interno. Come un mantice, riflettè l’uomo. O un polmone.
Dentro il relitto della nave spaziale mancava la luce, ma non l’acqua.
Sulle superfici irregolari scorreva una quantità di piccoli rivoli quasi muti. In alcuni punti si raccoglievano in pozze superficiali.
La squadra cercò di evitarne il più possibile, non volendo constatare se si trattassero di coaguli di idrogeno o carburante infiammabile.
Imboccato un altro corridoio, si trovarono davanti ad una serie di oggetti che a prima vista sembravano statue. Avvicinandosi, Gamora si rese conto che erano tute.
Non era possibile indovinarne la funzione, poteva trattarsi di tute spaziali, di sopravvivenza, per la vita quotidiana o per chissà quale attività che sfuggiva alla sua comprensione, ma il dato più interessante erano le dimensioni.
Le forme apparivano umanoidi, bi-simmetriche, e le proporzioni sembravano simili alle sue, anche se progettate per corpi molto più grandi.
Nebula la affiancò e restò in silenzio a scrutare gli involucri, prendendo appunti e rilevamenti con la strumentazione esterna. Non fece commenti e l’altra non ne chiese. Dopotutto, quando la sorella aveva qualcosa di utile da dire…bhe, lo esprimeva senza bisogno di incoraggiamenti.
Facendo correre lo sguardo sull’ambiente cupo e umido, Peter provò un disagio crescente. Infilò una mano in tasca, afferrò saldamente il blaster e cominciò a rigirarselo tra le dita.
La sala successiva era leggermente più grande delle altre. Diversamente dalle precedenti, era sormontata da un altissimo soffitto a volta, e le pareti ricurve che la reggevano non mostravano traccia di giunti o bulloni, saldature o altri sostegni interni. Una rampa appena inclinata conduceva a una gigantesca piattaforma elevata al centro esatto del pavimento.
Sulla pedana, una consolle curva abbracciava uno strumento ignoto. Era difficile stabilire se si trattasse di un’arma, oppure di un timone.
La rampa mandò un leggero clangore sotto i loro passi.
Arrivati in cima, trovarono un sedile vuoto.
<< Bhe… se non altro sappiamo che il capitano non è qui >> commentò Peter, cercando di sdrammatizzare l’intera situazione.
Nel mentre, Thor cominciò a scrutare l’area circostante.
<< È troppo strano >> brobottò a se stesso, dopo un’attenta analisi della stanza.
La dichiarazione non passò inosservata alle orecchie di Nebula, che si voltò verso di lui.
<< Che cosa ?>>
<< Avete notato cadaveri da quando siamo entrati? >> proseguì il dio del tuono, attirando l’attenzione dei vari guardiani.
<< No, nemmeno uno >> acconsentì Nebula, la cui posizione si era fatta molto più tesa di quanto non fosse fino a pochi secondi prima.
Rocket iniziò ad annusare l’area circostante.
<< Allora…dove sono finiti tutti? >> disse con sospetto. Nessuno fu in grado di rispondergli.
Mentre il procione illuminava con la torcia i vari artefatti, Peter scese dalla rampa e si avvicinò alla console centrale per indagare la strumentazione.
Il pannello non mostrava pulsanti, leve, monitor o altri comandi riconoscibili. Gli unici elementi ad averne l’aspetto erano una quantità di sferette di varie dimensioni incastonate nel pannello. L’ex Ravager era stato ben attento a non toccarle, ma la sua cautela si ritrovò superflua : la tecnologia alla base della console era troppo avanzata per affidarsi ad un sistema rudimentale come il contatto fisico.
La sua mano passò sopra un intarsio smerigliato e…
Nel punto esatto in cui si trovava Drax, un ologramma prese vita. Colto alla sprovvista, l’alieno si scansò di scatto, estraendo un coltello e permettendo all’immagine di rivelarsi appieno.
Per quanto sfocata e indistinta, era evidente che rappresentava uno dei passeggeri della nave.
L’alieno in questione era alto quasi tre metri, dalla testa calva e dalla carnagione pallida.
Il tono della sua voce era distintamente maschile, e accompagnava lo stesso messaggio ripetuto più e più volte : “ Vi prego, aiutateci, siamo stati attaccati, non possiamo sconfiggerlo!”
<< Mala'kak >> disse Rocket all’improvviso, attirando lo sguardo di Peter.
<< Che cosa? >> domandò questi, mentre il procione indicava l’ologramma.
<< È il nome di questa specie. Tipi molto riservati, io e Groot ne abbiamo incontrati alcuni durante una delle nostre precedenti missioni nell’orlo esterno. Però è strano, di solito non si avventurano mai così lontano da casa >> mormorò contrito, mentre analizzava con attenzione il messaggio della creatura.
Mantis non potè fare a meno di cogliere la profonda desolazione che traspariva dalla voce.
<< La sentite? >> mormorò, mentre il messaggio echeggiava nella vasta cassa di risonanza della sala. << Così piena di angoscia…>>
<< Sono io quello angosciato, cazzo >>
Seriamente turbato dall’aura sinistra di quel luogo, Rocket non si era fatto scrupoli a tagliare contro con la retorica dell’aliena. << Mi dispiace per questo povero bastardo, ma cosa diavolo è successo qui? >>
Sollevò il blaster  e continuò dicendo : << Questa situazione non mi piace per niente, ragazzi >>
<< Io sono Groot >> acconsentì Groot, con voce solenne.
Thor, invece, non rispose.
Fissava come ipnotizzato l’ologramma che si muoveva all’interno della sala.
Davanti ai loto occhi, la figura si era voltata per guardarsi alle spalle e rimase come pietrificata. A giudicare dall’espressione sembrava nervosa…e spaventata.
Incapace di trattenere oltre la curiosità, Thor si avvicinò all’ologramma dell’alieno. Questi lo ignorò, fissando impietrito la sagoma che si trovava dietro di lui.
Infine, il dio del tuono cercò di sfiorarlo, e a quel punto l’immagine si ingrandì di botto, avvolgendo l’intera stanza in una luce abbagliante e rivelando ciò che era stato nascosto agli occhi della squadra.
Vi era…una bocca. Irta di denti acuminati, grande quanto la stanza stessa. Ogni dente pareva delle dimensioni di una colonna, bianco e immacolato anche nella penombra della nave.
E anche se l’immagine raffigurata dall’ologramma non aveva il massimo della risoluzione…Thor riuscì comunque a intravedere il volto della creatura a cui appartenevano quelle immense fauci.
<< Non è possibile >> sussurrò, compiendo un passo all’indietro.
Rocket alzò la testa, pronto a commentare le parole dell’asgardiano…e si bloccò.
<< Thor, attento! >>



Dum, dum, duuuuuuuuuuuuum ! 
Yep, sono un infame. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto !
Per chi non lo sapesse, Matt Murdoch e Foggy Nelson sono i protagonisti della serie MCU Daredevil. Matt è proprio Daredevil in persona, mentre Wilson Fisk è il suo acerrimo nemico, noto anche come Kingipn, che potete vedere in azione anche nel film di Spiderman uscito quest'anno ( Spiderman : Un nuovo universo ). Sì, in questa storia inserirò anche i personaggi delle serie tv marvel legate all'MCU, come Jessica Jones, The Punisher, Agent's of Shield ecc...
Inoltre, preciso che la nave trovata dai Guardiani non è la stessa attaccata nel primo capitolo, quella era una nave colonizzatrice di umani, questa appartiene ad una razza aliena completamente diversa. Infattoi, questo cap si svolge 4 anni dopo il prologo ( 5 anni dopo Endgame ).


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Ed ecco qui un nuovissimo capitolo ! Ragazzi, ve lo dico subito, andate a vedere Godzilla : King of the Monsters! È un vero spettacolo per gli occhi, probabilmente il miglior monster movie che abbia mai visto, adatto anche a chi non è un fan del genere perché incorpora un sacco di elementi! King Ghidorah ha fatto davvero sembrare Thanos come un gattino, questa versione è probabilmente la più potente mai apparsa sul grande schermo.
Approfitto anche di questo momento per ringraziare tutti i nostri recensori, siamo davvero felici che questa storia abbia ricevuto una buona risposta di critica. Faremo del nostro meglio per mantenerla su questi livelli!
Ed ora, vi auguro una buona lettura, e vi consiglio di leggere le note a fine capitolo.



Capitolo 2

<< Thor, attento! >>
L'urlo di Rocket riecheggiò nelle orecchie del dio del tuono come un colpo di pistola, costringendolo a voltarsi. In quel preciso istante, un’ombra calò su di lui.
Un'aberrazione, come l’asgardiano non ne aveva mai viste prima di quel momento.
Aveva otto gracili zampe, quattro paia di occhi grandi quanto un chicco di riso, accompagnati da una coppia di enormi fauci dotate di zanne aguzze e affilate come coltelli. Il corpo della bestia sembrava coperto da una sorta di esoscheletro color sabbia, come quello dei granchi, ed era all’incirca delle dimensioni di un’auto.
Una persona qualunque sarebbe rimasta impietrita di fronte ad una simile visione…ma Thor non era certo una persona qualunque.
Temprato da anni di guerra e morte, il dio del tuono riuscì a schivare l’assalto con estrema facilità, scostandosi leggermente di lato.
Rendendosi conto di aver fallito, la creatura emise un suono agghiacciante e si voltò in direzione della potenziale preda. I Guardiani non persero tempo e cominciarono a sparare verso l’essere sconosciuto. Questi, tuttavia, fu lesto a saltare lungo le pareti della stanza, schivando ogni proiettile.
Qualunque cosa fosse quella creatura…era agile. Molto agile. Ma non abbastanza per sfuggire ai colpi di Thor.
Attingendo alle proprie riserve di energia, il dio del tuono la ridusse in fin di vita con un semplice e preciso fulmine scaturito direttamente dalle sue mani.
L’animale emise un urlo disperato, un misto tra un latrato e il grido di un bambino. Poi, dopo una lunga e agonizzante serie di spasmi, il suo corpo fumante smise di muoversi.
Il silenzio tornò a regnare nella stanza.
Thor si accasciò sul pavimento della nave, nel tentativo di metabolizzare quanto aveva appena visto.
<< Che diavolo è quella cosa?! >> esclamò Peter, la pistola ancora puntata in direzione della bestia ormai morta.
Gamora si fermò a pochi passi dal cadavere, analizzandolo con fare metodico.
<< Non lo so, ma qualunque cosa sia…è sicuramente il motivo per cui non abbiamo trovato cadaveri su questo relitto >> sussurrò freddamente, guardandosi attorno per altre eventuali minacce.
Accanto a lei, Rocket prese fissare la creatura con un’espressione corrucciata.
<< Sbaglio o assomiglia ad una pulce troppo cresciuta? >> borbottò quasi a se stesso, attirando l’attenzione di Mantis.
<< Una pulce? >> domandò l’aliena, non avendo familiarità con il termine.
L’esperimento genetico annuì in risposta.
<< Sì, una pulce. Quei piccoli bastardi mi hanno sempre dato problemi, li riconoscerei ovunque >> borbottò con voce stizzita, toccando l’esoscheletro dell’insetto con la punta del piede.
Nel mentre, Nebula si era avvicinata a Thor per constatare le sue condizioni, ma lui la rassicurò con un rapido gesto della mano.
 << Ehm… va tutto bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma >> gli disse Rocket, dopo aver notato l’espressione pallida sul volto dell’asgardiano.
Questi rilasciò un sospiro affranto.
<< Non è niente, dolce coniglio. Mi sono solo ricordato qualcosa… >>
<< Ti dispiace renderci tutti partecipi? >> si intromise Quill, con una punta di sarcasmo.
Thor prese un profondo respiro, portandosi la mano sul viso e massaggiandosi la mascella.
Gli ci vollero un paio di minuti per rammentare le storie di suo padre, e lasciare così che la nostalgia prendesse il sopravvento sulla sua millenaria e stanca memoria, colma di ricordi e rimpianti.
Non poteva fare a meno di pensare a quanto gli mancasse la sua famiglia, Odino, Frigga…e Loki. Ma quello non era il tempo per dolersi, e così si fece coraggio.
 << La bestia che abbiamo visto nell’ologramma…penso ci conoscerla >>
<< Una vecchia fiamma? >> chiese Drax, ricevendo un’occhiata stizzita da parte di Mantis. << Che c’è? Io non giudico mica >>
<< No >> sussurrò Thor, attirando l’attenzione del gruppo. Era dai tempi di Thanos che non lo vedevano così scosso.<< Una creatura potente…antica quanto l’universo stesso >>
E, detto questo, fece loro cenno di sedersi.
<< Prego, amici miei, lasciate che vi racconti una storia. Una storia…che fino ad oggi ritenevo una semplice leggenda >>
A quelle parole, i suoi compagni di squadra si accomodarono, i volti adornati da espressioni turbate e incuriosite al tempo stesso.
<< Mio padre, Odino, me la raccontava spesso. All’alba dei tempi, prima ancora del gigante Ymir, vi era una creatura che seminava discordia nell’universo. Una gigantesca serpe dorata che strisciava fra le stelle e si nutriva di nebulose come se fossero il suo pane quotidiano. Essa minacciava Asgard, il mio regno, e così Odino, insieme a suo padre Bor e ai suoi fratelli Vili e Vé, decise di affrontarla. Si narra che l’energia sprigionata da quello scontro fece tremare tutti i nove mondi >> rivelò con timore reverenziale, mentre i Guardiani lo ascoltavano rapiti. << Per secoli lottarono, finché i Vili e Vé non persero la vita per cercare di salvare mio padre. Odino, distrutto dal dolore, usò il suo potere per incorporare dentro di sé la forza e l’anima dei suoi fratelli deceduti, ottenendo così una potenza senza eguali…quella che nei tempi antichi era conosciuta come la Forza di Odino >>
<< Un nome davvero originale >> commentò Rocket, ricevendo uno schiaffo in testa da parte di Groot. L’esperimento genetico lanciò un’occhiataccia al compagno, ma decise di rimanere in silenzio.
Nel mentre, Thor riprese a parlare.
<< Col nuovo potere acquisito, Odino e Bor sconfissero la serpe, gettando il suo corpo ferito dal ramo più alto di Yggdrasil, l’albero del mondo. Ho sempre creduto che questa fosse una favola inventata da mio padre per alleviare la mia fanciullesca brama di storie epiche… ma a quanto pare mi sbagliavo. Ricordo che da infante solevo dormire con un occhio aperto, nel timore che la primordiale serpe potesse divorare le mie carni nel sonno >>
<< E sei assolutamente sicuro che questa “serpe” fosse proprio la creatura che abbiamo visto nell’ologramma? >> domandò Quill, con voce dubbiosa.
Thor annuì in accordo.
<< Riconoscerei quelle fattezze ovunque, erano le stesse delle illustrazioni contenute nei racconti >>
<< E come si chiama questa creatura? >> chiese Nebule, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
Il dio del tuono rilasciò un secondo sospiro.
<< Lui ha molti nomi, ma tra la mia gente è conosciuto come Jormungandr, la serpe primordiale. Si narra che le sue spire fossero talmente grandi da poter avvolgere tutta Midgard >> disse con voce solenne, prima di fissare il pannello da cui era partita la proiezione.
<< Quando l’ho intravisto nell’ologramma…Era come se fossi tornato indietro nel tempo, insieme a Odino e Bor, sul campo di battaglia. Con la gola assetata di sangue e il cuore pulsante, fremente per la gloriosa lotta che per eoni sarebbe stata cantata per le vie di Asgard. Ma insieme a quei sentimenti di onore e virtù…ho provato anche la paura. Poiché nessun Aesir sano di mente vorrebbe mai trovarsi di fronte un simile nemico, considerato da Odino stesso come molto più potente, pericoloso e crudele del Gigante di Fuoco Surtur >>
<< Sì, abbiamo capito. Grosso serpente mitologico, molto brutto e cattivo, ti fa cagare nei tuoi mutandoni divini e bla bla bla >> si intromise Rocket, incrociando ambe le braccia davanti a petto.<< Ma se è stato lui a fare tutto questo… ora dove sarà diretto? >>
Di fronte ad una domanda tanto logica e necessaria, Thor arricciò il volto in un’espressione di profonda contemplazione.
<< Jormungandr brama unicamente la distruzione. Per lui, i pianeti non sono altro che gustosi animali da caccia, che egli può braccare e divorare con la stessa facilità con cui un leone divora una gazzella. Se ha deciso di visitare questo quadrante dello spazio… a quest’ora potrebbe essere diretto ovunque >>

                                                                                                                                            * * *

Da tempi immemorabili, la Terra è bombardata da misteriosi corpi astrali.
Frammenti dell'universo infinito attraversano la nostra atmosfera in un'invasione che non ha fine. Sono le meteore, le stelle cadenti tanto care ai cuori dei vari poeti.
Delle migliaia che si dirigono verso la Terra, moltissime vengono distrutte da una grande fiammata appena penetrano negli strati d'aria che la circondano. Solo una piccola percentuale di esse sopravvive e di queste la maggior parte cade nelle acque che ricoprono due terzi del pianeta.
Tuttavia, fin dalla notte dei tempi, qualche meteora riesce a colpire la crosta terrestre, aprendovi immensi crateri d'ogni forma e dimensione.
Le meteore potevano giungere in qualsiasi momento di qualsiasi giorno, da pianeti appartenenti a costellazioni la cui luce morente era troppo lontana per essere vista da occhi terrestri.
Giungevano dall'infinito, arcano segno di vita dalle illimitate vastità dello spazio. La loro natura era quasi del tutto sconosciuta, il loro segreto inesplorato.  Giacevano inerti nella notte…e aspettavano.
Quel giorno, uno dei quei misteriosi corpi celesti aveva scelto la Terra come suo prossimo bersaglio. Più specificatamente, uno stato relativamente isolato del Nord America.
Attualmente, le acque gelide dell'Alaska ghermivano le barche da pesca allineate lungo il molo, che tendevano gli ormeggi quasi volessero scappare via con la marea.
L'acqua, nel piccolo porto di Angoon – un villaggio di pescatori sul versante occidentale dell'isola di Admiralty, al largo delle coste sudoccidentali dell'Alaska – seppure increspata dalla pioggia e nera come l'acciaio per il cielo nuvoloso, era limpidissima, una finestra che, sotto palafitte erose dal tempo, si apriva su un mondo di stelle marine grandi come il coperchio di un bidone della spazzatura, meduse delle dimensioni di palloni da baseball e cirripedi come pugni di uno scaricatore. Questa era l'Alaska: una terra così esuberante di vita da caricare un uomo, risollevarlo e persino riportarlo indietro dall'aldilà.
Da qualche parte, in alto, la luna risplendeva bella e piena... ma quel giorno, ad Angoon, infuriava una tormenta di neve.
Il vento fischiava, battendo a tutta forza la strada principale del villaggio. Gli spazzaneve municipali avevano rinunciato da un pezzo a liberare le vie.
Arnie Hooper, un vecchio pescatore dell’isola, era stato colto dalla tormenta a quindici chilometri dal paese, ed era stato costretto a fermare il carrello azionato da un motore diesel e rifugiarsi nella baracca degli attrezzi e dei segnali di una vecchia ferrovia, dove, aspettando che finisse la nevicata, fu il primo a testimoniare la discesa del meteorite.
Arrivò basso e luminoso, un corpo celeste di circa un chilometro che, anziché aumentare di velocità una volta a contatto con la forza di gravità del pianeta, sembrò rallentare a mezz’aria. Quasi come se non fosse un meteorite…ma un mezzo di trasporto dotato di freni.
Arnie fu l’unico a testimoniarne la discesa in prima persona. Tuttavia, l’impatto sarebbe stato rilevato anche da altri…


Era l’autunno del 2027.
Tutta Miami e tutti i suoi abitanti erano rimasti colpiti e sconvolti dall'assassinio del Procuratore Attorney, avvenuto in circostanze straordinarie e inspiegabili.
Il pubblico era già al corrente di quei particolari del delitto che erano emersi dalle indagini condotte dalla polizia, poiché i fatti relativi al decesso erano stati resi pubblici appena pochi secondi dopo l’accaduto. Dopotutto, l’uomo era precipitato dal municipio con il corpo completamente in fiamme, prima di sfracellarsi al suolo di fronte a centinaia di civili e passanti.
Non che tutti brancolassero nell’ombra, al contrario. C’erano alcune persone che erano ben consapevoli delle cause imputabili alla morte del presunto funzionario pubblico.
Una di queste stava attualmente camminando nei pressi di una vecchia casa abbandonata, al 221 di Baker Street, New York.
A dispetto di quello che un qualunque passante avrebbe potuto inizialmente pensare, la suddetta abitazione non era altro che una messa in scena semplice ma astuta, concepita da un uomo che conosceva bene la curiosità dei suoi simili. E perfettamente adatta allo scopo.
Brutta e massiccia, la struttura arrivava a sei metri d'altezza, sostenuta da grosse gambe di legno che partivano da una piattaforma. Su quelle gambe era stato costruito un alloggiamento a sezione triangolare con le estremità aperte.
Da uno degli angoli superiori della struttura sporgeva una protuberanza arrotondata con due feritoie, come due occhi. I fianchi erano coperti di pelli. La piattaforma che sosteneva le gambe giaceva orizzontale sul terreno.
Tutti gli abitanti che posavano i propri occhi su quella roccaforte si stupivano di quanto fosse brutta e mal ridotta, provando l’istinto improvviso e innaturale di allontanarsi da essa il più rapidamente possibile. Così facendo, rimanevano inconsapevoli del fatto che si trattasse di una semplice illusione creata per mascherare quello che era il Sancta Sanctorum, abitazione dello Stregone Supremo e Vendicatore Stephen Strange.
L’uomo in questione attraversò la barriera invisibile con passo lento e marcato, ritrovandosi di fronte alle vere fattezze dell’edificio : una suntuosa villa vittoriana dalla copertura in blu magenta, punto focale delle linee magiche che attraversavano il continente americano, e uno dei luoghi più sorvegliati e sicuri dell’intero pianeta.
Una volta entrato, Strange fu reso partecipe di una visione piuttosto insolita. Il suo collaboratore, Wong, sedeva nella penombra del salotto, le mani incrociate di fronte ad un volto impassibile dalle fattezze orientali.
Lo Stregone Supremo inarcò un sopracciglio.
<< Sei sulla mia sedia >> osservò con tono di fatto.
Wong lanciò una rapida occhiata al suddetto mobile.
<< Sì…immagino di sì >> ammise senza vergogna, prima di tornare a fissare l’Avenger. << Dove diavolo sei stato? >>
<< Ho avuto della roba di cui occuparmi >> rispose Strange con una scrollata di spalle, suscitando un roteare degli occhi ad opera del monaco.
<< Enigma sopravvalutato, soprattutto a quest’ora del mattino >> disse con tono incrollabile.
Lo stregone cominciò salire le scale che conducevano al piano superiore e Wong fu costretto a seguirlo.
<< Niente di apocalittico >> continuò Stephen, << Solo un demone che stava impersonando il procuratore di Miami per liberare il maggior numero possibile di criminali >>
E, detto questo, estrasse un ampolla da sotto la veste. All’interno del contenitore spiccava una sorta di vapore rossastro, con chiazze luminose che delineavano la forma di un volto grottesco.
Wong scrutò l’oggetto con circospezione e rilasciò un sospiro rassegnato.
<<  Avresti potuto avvertirmi. Ti ho fatto una minestra, ma si è raffreddata >> borbottò amaramente.
Strange camminò fino ad una porta blindata, lanciando al monaco un sorriso divertito.
<< Scusa, non volevo farti preoccupare >>
<< Ero preoccupato per il Sancta Sanctorum >> ribattè l’altro, visibilmente stizzito. << Senza lo Stregone Supremo...>>
<< È comunque in grado di sopravvivere un paio di giorni senza di me >> lo ammonì l’Avenger, mentre compiva un paio di rapidi movimenti con la mano libera.
Come ad un segnale, i vari lucchetti e meccanismi di blocco della porta si aprirono di scatto, rivelando gli interni della stanza.
La cripta era formata da un ambiente centrale a pianta rettangolare, con volta a botte misurante circa tra 5,60 per 9,90 metri.
Ogni parete della stanza era ricoperta da credenze, armadi e cassaforti in legno massello, sopra i quali erano disposti ordinatamente vari oggetti dalle fattezze antiche. Oggetti che andavano da semplici vasi ad amuleti di fattura orientale, prelevati direttamente dalle sabbie del tempo.
Questo era probabilmente il posto più pericoloso dell’intera città, poiché esso conteneva tutti quei demoni, spiriti maligni ed esperimenti delle arti oscure che i vari stregoni supremi susseguitisi nel tempo erano riusciti a intrappolare.
<< A tal proposito, non mi tratterrò a lungo. Ho percepito una distorsione energetica in Perù circa due ore fa  >> continuò Strange, mentre riponeva l’ampolla all’interno di un cassetto.
Al sentire tali parole, Wong si ritrovò a sospirare ancora una volta. Era tipico di Strange non tener conto della propria salute a favore dei suoi compiti da stregone.
<< Dovresti prima mangiare qualcosa. Mantenerti in forze >>
<< Quando torno >> disse l’uomo, con fare disinvolto.
Il dispiacere sul volto del monaco si fece man mano più evidente.
<< Sei troppo ostinato quando si tratta di lavoro, lo sai?>>
<< Per questo sono il migliore in quello che faccio >> ribattè l’altro, con un occhiolino malizioso.
Fece per uscire dalla stanza, quando…
STUNG!
Strange si voltò di scatto, attirato dal rumore improvvise. Aveva decisamente sentito qualcosa sbattere…eppure, nelle stanza, nulla sembrava fuori posto.
Wong si affiancò a lui, scrutando a sua volta gli interni della cripta. Forse era entrato un topo.
Poi, lentamente, il suono cominciò a ripetersi, questa volta a intervalli regolari. Strange si rese conto che proveniva da uno dei cassetti.
Lo stregone, dopo aver lanciato un’occhiata guardinga al compagno, fece per avvicinarsi…ma un secondo Stung! richeggiò alla sua sinistra, facendolo sobbalzare. E poi un altro, proveniente da un terzo cassetto. E un altro ancora.
Ed entro appena mezzo minuto, ogni singolo mobile o barattolo presente nella stanza cominciò a tremare o a sbattere, come se tutto ciò che contenesse quella camera si fosse finalmente svegliato da un sonno primordiale e avesse scelto quel momento esatto per rendere nota la sua presenza.
Era come se ogni demone o spirito catturato durante i secoli…fosse agitato per qualcosa.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile,  tuttavia, l’intera manifestazione si fermò di colpo.
Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità di quella prigione.
<< Ok…questa è nuova >> mormorò Strange, il volto adornato da un’espressione a metà tra l’incredulità e la preoccupazione.
Cosa diavolo era appena successo?

                                                                                                                                                       * * * 

Carol si tenne in equilibrio sulla cima del serbatoio idrico a forma di torre, il punto più alto di tutta l’area, e guardò la città di cartapesta che si estendeva sotto di lei. Si trattava solo di un paio di edifici e di piccole strade con facciate, che, da quell’angolazione, parevano banali. Nonostante ciò, rispetto al resto dello stato, sembrava normale. Normale e pacifica. Non era difficile trovare gente che gironzolasse là intorno, perché era un posto dove, per un paio di isolati, si poteva camminare su un marciapiede e far finta che il mondo avesse ancora un senso.
Carol aveva visitato quel luogo solo  due volte. La prima volta quando era solo un villaggio costruito per ospitare le famiglie dei vari scienziati che partecipavano al programma nucleare. Un’amica di un’amica ce l’aveva portata un mare di anni prima, e avevano passato un pomeriggio a visitare i vari centri di ricerca e a fare qualche volo. Al tempo le era sembrato uno dei posti più fantastici del mondo. 
Fu proprio da quella visita che la città di cartapesta gli rimase per sempre impressa nella memoria. La seconda volta era stata di notte, con il costume addosso.
Si trovava esattamente nello stesso punto, in cima alla torre del serbatoio, mentre il vento le scorreva tra i capelli. Un piccolo viaggio a ritroso nella memoria, dopo il suo ritorno sulla Terra avvenuto circa dieci anni prima. Sembrava passata un’eternità.
Situato nelle piane del Nevada, quel piccolo villaggio era stato trasformato in uno dei maggiori centri di ritrovo dell’alto comando degli Stati Uniti d’America, nonché base di uno Shield ormai riformato e completamente ripulito dall’Hydra.
Carol scrutò la zona con circospezione, fino a quando i suoi occhi non si posarono su una figura ben distinta. Un uomo alto e di colore, vestito con una sontuosa giacca in pelle nera e pantaloni abbinati. Tratto distintivo era sicuramente la benda che gli correva sull’occhio destro, risultato di un incidente di cui lei stessa era stata partecipe.
La figura in questione non era altri che Nick Fury in persona, direttore dello Shield e fondatore del progetto Avengers.
Attualmente, l’uomo era intento a leggere una copia cartacea del New York Times.
Un terremoto in Perù aveva mietuto un numero imprecisato di vittime. Il governo peruviano sottolineava che le ottime strutture architettoniche avevano contenuto i danni, ma le riprese dei cellulari evidenziavano macerie e cadaveri coperti di polvere.
Una piattaforma petrolifera era in fiamme nel golfo del Messico, forse per colpa di un sabotaggio, anche se nessuno se ne assumeva la responsabilità. Dal punto di vista diplomatico, tutte le nazioni intorno si comportavano come una banda di ragazzini che rompono una finestra giocando a baseball e scappano a casa senza pensarci due volte.
A Los Angeles, l’FBI era da quaranta giorni a un punto di stallo con l’esercito privato del Culto di Thanos.  L’allegra combriccola si rifiutava di pagare le tasse, rispettare i principi della costituzione o consegnare la loro scorta di armi automatiche.
In calce alla prima pagina, la foto di una giovane donna dalla faccia scavata di fronte a un capannone sugli Appalachi, con un neonato in braccio : Cancro nel paese del carbone.
La notizia ricordò a Fury la fuoriuscita di sostanze chimiche in un torrente del posto, trentacinque anni addietro. Come risultato, l’erogazione idrica era stata sospesa per una settimana. A quanto pare la faccenda si era risolta, ma da allora lui aveva sempre e solo bevuto acqua in bottiglia, per non rischiare.
Il sole gli scaldava la faccia.
Nick guardò brevemente in direzione di due grandi olmi gemelli in fondo al viale. Gli alberi gli facevano pensare a fratelli, sorelle, mariti e mogli. Lui era certo che sottoterra le loro radici fossero avvinghiate in una struttura indissolubile.
Montagne rosso scuro sbucavano in lontananza, mentre le nuvole sembravano squagliarsi di un cielo carta da zucchero. Gli uccelli volavano e cantavano. Era un peccato mortale che la gente non apprezzasse lo splendore di quel tratto di deserto.
Invece Fury non era un irriconoscente. Non si sarebbe mai immaginato di potersi permettere un panorama simile. Si chiese quanto sarebbe dovuto diventare decrepito e flaccido prima di riuscire a cogliere il senso della fortuna di alcuni e della scalogna toccata ad altri.
Certo, morire e tornare in vita aveva pesantemente influenzato questo particolare cambiamento di visione. E forse non era stato nemmeno l’unico.
In quel momento, una luce abbagliante lo costrinse ad alzare lo sguardo in direzione della volta celeste.
Carol Danvers atterrò dolcemente di fronte a lui, il volto adornato da quel sorriso che era riservato solamente ad una cerchia ristretta di persone.
<< Sei ingrassato >> dichiarò la giovane donna, dopo averlo scrutato attentamente da capo a piedi.
Fury roteò il suo unico occhio.
<< E tu sei una visione come sempre >> ribattè con un’espressione impassibile, mentre procedeva ad abbracciare la mezza Kree.
Quest’ultima restituì il gesto con affetto, pur facendo attenzione a non esercitare troppa forza. Dopotutto, avrebbe potuto spezzare la colonna vertebrale di un normale essere umano senza nemmeno rendersene conto.
<< Perché sei ancora qui? >> chiese di punto in bianco, dopo essersi staccata.
Fury indicò brevemente un edificio a pochi metri da loro. A differenza delle case di cartapesta era fatto interamente di cemento e quello che aveva tutta l’aria di essere marmo bianco. Inoltre, la struttura di base rettangolare era abbastanza grande da poter passare per una base aerea, come ci si sarebbe aspettato dal nuovo quartier generale dello Shield.
<< Dentro non si può fumare >> rivelò Fury, mentre estraeva un pacchetto di sigarette dalla tasca del giaccone.
Carol lo fissò stranamente.
<< Da quando fumi? >>
<< Da quando sono stato trasformato in un mucchietto di polvere al vento >> ribattè l’altro, scrollando le spalle e tirando fuori dalla scatola un paio di cicche. << Ho capito che la vita è troppo breve. Ne vuoi un po'? >>
<< No, grazie >> rispose la bionda, fissando il pacchetto con lieve disgusto. Non le era mai piaciuto l’odore del fumo, le ricordava troppo…suo padre.
Scosse rapidamente la testa da quei pensieri e tornò a guardare la base, notando la presenza di un cospiscuo gruppo di uomini armati vestiti con uniformi di fattura militare.
<< E loro? >> chiese con una punta di curiosità.
Fury accese la propria sigaretta e lanciò una rapida occhiata in direzione dell’accozzaglia di soldati.
<< Sono qui con la squadra speciale di sicurezza, il vice presidente parteciperà all'evento>>
<< Una squadra speciale di sicurezza? >> disse Carol, visibilmente sorpresa. << Per un incontro formale dello Shield? Mi sembra eccessivo >>
<< Credo sia più dovuto al fatto della tua presenza >> rispose Fury, prendendo una rapida boccata di fumo.
La giovane donna lo fissò sbalordita.
<< Non sono altro che un diplomatico>> disse con tono di fatto, incrociando ambe le mani davanti al petto.
Al sentire tali parole, il direttore non potè fare a meno di abbaiare una piccola risata.
<< Non sottovalutarti, Carol.  Per loro sei un incidente internazionale in attesa di accadere >> rivelò con una scrollata di spalle, facendo sussultare la mezza Kree.
L’eroina nota come Capitan Marvel arricciò ambe le labbra in una smorfia scontenta.
<< A volte mi chiedo come tu riesca a lavorare con queste persone >>
<< Perché sono l'ultima speranza dell'umanità contro la tua razza, signorina Danvers >> disse una voce improvvisa alle spalle del gruppo.
Carole strinse i pugni, riconoscendo all’istante quel timbro nasale e compiaciuto al tempo stesso. Apparteneva ad una delle poche persone su questo pianeta che erano capaci di farla infuriare con la loro sola presenza.
Fury mantenne un’espressione impassibile, porgendo al nuovo arrivato un cenno rispettoso del capo.
<< Senatore Kelly, un piacere come sempre >> disse con tono informale, confermando i sospetti di colei che lo affiancava.
Carol si voltò. Dietro di lei aveva appena preso posto la figura di un uomo alto e magro, apparentemente sulla cinquantina, dai corti capelli castani tirati all’indietro. Indossava un paio di occhiali da vista e un completo blu scuro.
Costui non era altri che Robert Kelly, Senatore alla camera di Washington e uno dei maggiori esponenti delle leggi promulgate a sfavore degli umani dotati di poteri.
<< Di cosa sta parlando? L'umanità non ha bisogno di protezione da noi >> disse freddamente Carol, assottigliando lo sguardo.
Kelly abbaio una risata, come se avesse appena sentito uno scherzo divertente.
<< Ah, Miss Carol, vorrei tanto avere il suo ottimismo. Credere che voi non siate altro che gli angeli custodi giunti tra noi comuni mortali per rispondere alle nostre preghiere >>
E, dopo aver detto questo, l’espressione sul volto dell’uomo si fece improvvisamente molto più seria.
<< Ma anche Lucifero era un angelo, o sbaglio? >>
<< Un’analogia del tutto fuori luogo >> rispose la donna, con un sonoro sbuffo.
Il senatore si strinse nelle spalle.
<< Io non credo. Dopotutto, gli accordi di Sokovia erano stati approvati proprio per questo. Ma sembra che dopo l’incidente con…Thanos… >> disse con una punta di esitazione, << la gente abbia preferito dimenticare >>
<< Non dovrebbe soffermarsi sul passato >> ribattè Carol, il tono di voce ornato da una punta di insistenza.
Kelly si limitò a roteare gli occhi.
<< Sto parlando di adesso. Statisticamente parlando, gli Avengers rappresentano la più grande minaccia alla sicurezza globale>>
<<  Ricordo che dicevamo la stessa cosa dei sovietici >> disse all’improvviso Fury, attirando l’attenzione della coppia.
Il senatore prese fissarlo stranamente, mentre questi lasciava cadere a terra la sigaretta e la spegneva con il piede.
<< Fu in quel periodo che mi resi conto di una cosa : il nemico non è mai così cattivo come si pensa... E forse noi non siamo poi così buoni>> continuò il direttore dello Shield, facendo ridacchiare Kelly.
<< Parole di un vero politico >> commentò l’uomo. Fatto questo, procedette ad allontanarsi, non prima di aver lanciato un cenno beffardo in direzione di Carol.
La bionda schioccò la lingua, visibilmente infastidita.
<< Non lo sopporto >>
<< Mi domando il perché >> borbottò Fury, con un sospiro scontento.
Certe cose non cambiavano mai.
Anche dopo anni, l’umanità riusciva sempre a ripetere gli stessi errori. Era come se ci provasse gusto.
Con quel pensiero in mente e il cuore pesante, l’uomo cominciò a seguire il senatore dentro alla base, affiancato rapidamente la figura di Carol.

                                                                                                                                                       * * *

La ragazza era nuda, e stava appoggiata con la schiena contro una parete coperta di mucillagine giallastra.
All'improvviso, prima che avesse la possibilità di lottare contro il panico che ingigantiva dentro di lei, il viscidume cominciò  salire lungo le cosce del suo corpo indifeso.
In preda a un terrore folle, la ragazza prese a urlare, mentre l'orrore continuò a strisciare sulla pelle nuda e sudata. Gli occhi quasi le schizzarono dalle orbite.
Spinta dalla forza della disperazione, cominciò a dibattersi. Fu inutile... i polsi e le caviglie erano saldamente incatenati alla superficie di una parete.
 A poco a poco, la mucillagine ripugnante salì all'altezza dei seni. E poi, mentre l'orrore indescrivibile le sfiorava le labbra, un ruggito vibrante e una voce fantasma echeggiarono nella camera buia.
<< Wanda? Wanda! >>
Il sonno indotto dalla droga svanì nel nulla e la ragazza incominciò una lotta tormentosa per riprendere i sensi. Una luce fioca e nebbiosa accolse gli occhi che si schiudevano lentamente, e un lezzo atroce di putredine le penetrò nelle narici.
Era tutto irreale, impossibile, si rese conto al momento del risveglio. Doveva essere stato un incubo.
Una volta messa a fuoco l’area circostante, Wanda Maximoff notò la presenza di colui che l’aveva svegliata. Si trattava di Bobby Singer, il figlio dei vicini.
Un ragazzino dai corti capelli biondi e gli occhi azzurri, che a parere della ragazza sembrava uscito direttamente dal film “Il sesto senso”.
<< Come diavolo sei entrato? >> borbottò attraverso la bocca impastata, mentre cercava di alzarsi. Uno sforzo che si rivelò del tutto inutile.
Nel mentre, il bambino indicò il retro dell’appartamento.
<< Hai dimenticato di chiudere la porta >>
<< E perché sei qui? >> continuò l’ex-Avenger, fissandolo con occhi arrossati e leggermente bagnati dalle lacrime.
Bobby si limitò a stringersi nelle spalle.
<< Ti ho sentito urlare e mi sono spaventato. Pensavo che ti fosse entrato un ladro in casa >>
<< Bhe, come puoi vedere sto bene >>
<< Non mi sembra>> ribattè l’altro, scrutandola con circospezione.
La giovane donna sbuffò stizzita. A volte quel ragazzino poteva essere una vera seccatura. Gli ricordava Pietro…
Scosse la testa per liberarsi da quel pensiero, cosa che si rivelò una pessima linea d’azione.
Come dal nulla, un forte dolore le attraversò le tempie, facendola trasalire.
Bobby la fissò preoccupato, prima di sollevare le labbra in un piccolo sorriso.
<< Stanotte ho sognato che mangiavo una torta al cioccolato con Capitan America >> rivelò casualmente.
Poi, arricciò il volto in una smorfia.
 << No, non è vero, me lo sono inventato. In realtà ho sognato la mia insegnante. Continuava a dirmi che ero nell’aula sbagliata, io continuavo a dirle che ero in quella giusta, e allora lei rispondeva d’accordo, riprendeva la lezione per un po’, e poi mi ripeteva che ero nella stanza sbagliata, io le ripetevo che no, ero in quella giusta, e così via. Esasperante al massimo. Tu che cos’hai sognato? >>
<< Uhm…>>
Wanda si sforzò inutilmente di ricordarlo. La nuova medicina sembrava renderle il sonno più pesante.
Prima le capitava di avere incubi su Visione. In genere il suo vecchio amante aveva lo stesso aspetto dell’ultima volta che l’aveva visto, con la pelle marezzata di grigio, come se fosse un cadavere sbiadito.
Wanda aveva chiesto al Dottor Banner se pensava che i sogni c’entrassero qualcosa con il senso di colpa. L’uomo l’aveva guardata di traverso con la sua espressione da mi-stai-prendendo-in-giro che la mandava in bestia ma aveva imparato a sopportare, e poi le aveva domandato se credeva o no che i conigli avessero le orecchie grandi e lunghe. Va bene. Ricevuto.
Comunque, Wanda non sentiva la mancanza degli incubi su Visione…ora aveva solo incubi e basta. Un grande miglioramento, a parer suo.
<< Scusa, Bobby, niente di niente. Se ho fatto un sogno, ormai è bello che sparito >> borbottò amaramente.
Fatto questo, usò il muro adiacente per sostenersi e riuscì ad alzarsi in piedi.
L’odore dell’appartamento era quasi insopportabile. Wanda sentì accapponarsi la pelle nuda e si sforzò di non vomitare, stringendo la vestaglia. Il puzzo era un misto di sostanze chimiche bruciate, fumo stantio di marujana e cibo avariato. La ragazza si guardò intorno con il più flebile dei respiri.
Quella stanza una volta era usata da un gruppo di spacciatori per la produzione di metanfetamine, ecco perché era riuscita a comprarla nonostante il suo scarso fondo monetario.
Al centro vi era una cucina a gas attaccata con tubi ingialliti a due bombole bianche. Sul bancone contro la parete, boccioni d’acqua, una confezione aperta di sacchetti a chiusura ermetica, pezzi di sughero, cumuli di fiammiferi usati e un lavello portatile collegato ad una macchinetta che si snodava dall’esterno. Sul pavimento, bottiglie sia vuote che piene di vari liquori e lattine schiacciate.
Dopo aver estratto alcune pillole che teneva nella vestaglia, ne afferrò una e bevve un rapido sorso, accompagnato dalle capsule.
Wanda chiuse gli occhi e immaginò di sognare.
L’appartamento era diventato un rudere. Folti rampicanti salivano lungo le antiche pareti della stanza, spettinati dalla bellezza settembrina. Il tetto era cosparso per metà, consumato dal tempo e ridotto ad una gronda. Qualche lucertola scorrazzava su un cumulo di detriti rugginosi. Farfalle piroettavano nell’aria. Un intenso odore di terra e foglie impregnava i resti dell’abitazione.
Bobby le era accanto e sbirciava emozionato attraverso un buco del muro.
<< Perché bevi tanto? >>
La visione si infranse.
Wanda emise un gemito. Bhe, era stato bello finchè era durato.
La sua esistenza era migliorata di netto grazie alle pillole del Dottor Banner. L’aspettava sempre un luogo sereno e felice. Bisognava dare credito a quell’uomo : la chimica ti aggiustava la vita.
Wanda riaprì gli occhi. Il bambino lo fissava con aria stranita.
<< Cosa c’è che non va? >> le chiese.
<< Nulla, ero in paradiso, punto e basta. E la tua boccaccia ha rovinato tutto >>
<< Non capisco >>
<< Non importa >> sbuffò la Scarlet Witch, lasciando cadere la bottiglia vuota sul pavimento.
Bobby fissò la scena con un’espressione vagamente disgustata.
<< Devi ancora rispondermi. Perché bevi tanto? >> ripetè con maggiore enfasi.
Wanda lo fisso impassibile.
<< Perché ho paura >> rispose con voce fredda e distaccata, suscitando uno sguardo confuso ad opera del bambino.
<< Anch'io ho paura, però non bevo >>
<< La tua paura e la mia sono di due generi diversi >> ribattè la ragazza, compiendo un gesto sprezzante con la mano destra.
L’espressione sul volto di Bobby si fece ancora più perplessa.
<< Non capisco >>
<< Col passare degli anni aumentano le cose che non riusciamo più ad aggiustare >> continuò l’altra, mentre apriva il cassetto del comodino ed estraeva alcuni vestiti.
Bobby abbassò lo sguardo a terra, prima di lanciarle un’occhiata pietosa.
<< Ci si stanca? >>
<< Sì, ci si stanca. Ora esci, mi devo cambiare >>
Bobby fece come ordinato, con grande soddisfazione dell’ex-Avenger.
Una volta sola, la ragazza rilasciò un sospiro affranto. Solo un’altra allegra giornata per Wanda Maximoff, niente di nuovo.
Doveva parlare con Banner, e alla svelta.




Com'era ? Spero bello ! Ebbene sì, i fan di Thor e della mitologia norrea avranno notato che abbiamo integrato il mito di Jormungand con il retroscena di King Ghidorah. Ci è davvero dispiaciuto quando l'MCU si è rifiutato di utilizzare questo mito, uno dei nostri preferiti, quindi abbiamo deciso di realizzarne la nostra versione. 
L'animale incontrato nella nave è, come ha detto Rocket, una vera e propria pulce gigante. Potete immaginare a quale creatura era attaccata...
La meteora con il quale viaggia Ghidorah, nel frattempo, è giunta sulla Terra, e l'arrivo della creatura non è passato inosservato alle forze del male.
Nel mentre, vi ho fornito una rapida panoramica di come il pianeta si stia ancora riprendendo dallo schiocco di Thanos. I fan degli X men avranno sicuramente riconosciuto Robert Kelly, uno dei maggiori sostenitori delle leggi anti-mutanti, che qui ho deciso di rendere un sostenitore delle politiche anti-superumani. 
E sì...Wanda non è messa bene, la morte di Visione l'ha colpita molto.
Nel prossimo cap...Ghidorah farà finalmente la sua apparizione !

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ed ecco un nuovissimo capitolo ! Un po' in ritardo, perchè ero in vacanza in una zona senza internet.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare una recensione!



Capitolo 3

<< Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, il Baghavad-Gita. Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice, "Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi."Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell'altro. >>
( Robert Oppenheimer )



La dottoressa Jane Foster appoggiò i suoi appunti e guardò fuori dal finestrino del velivolo.
Il CH-53 Super Stallion si abbassava velocemente.
Una forte brezza scuoteva l'elicottero lungo trenta metri. Sembrava quasi cadere sulla piattaforma in mezzo al mare, e la donna si domandò come un affare tanto gigantesco potesse stare a galla.
Più di cinquecento miglia marine a nord-est di New York, c'era la USS Marine LDH-8, una città galleggiante, strana e irta di strutture, col fascino di un mezzo spaziale uscito da Alien. Due ettari di libertà e novantasettemila tonnellate di diplomazia, così la definiva Nick Fury. Una vecchia reliquia di uno Shield ormai perduto, in fase di riabilitazione : un elivelivolo.
L'elicottero virò.
Con un movimento circolare, il Super Stallion si mosse verso il punto di atterraggio e si posò.
Attraverso i finestrini laterali, Jane vide un uomo con una tuta da lavoro gialla che dava indicazioni al pilota.
Qualcuno dell'equipaggio la aiutò a slacciarsi la cintura e a indossare il casco, cuffie, jacket e occhiali protettivi. Il volo era stato sgradevole e la donna si sentiva mal messa sulle gambe.
Con passi incerti scese dall'elicottero, passò sotto la coda del Super Stallion e si guardò intorno.
Sulla pista d'atterraggio c'erano poche persone. Quel vuoto aumentava l'impressione di un posto surreale: una distesa asfaltata, pressochè infinita, punteggiata di fortificazioni, lunga 257 metri e larga 32.
Jane lo sapeva con precisione.
Dopotutto, era una scienziata col debole per i numeri, quindi aveva cercato di sapere tutto il possibile sul fiore all’occhiello dello Shield, ma in quel caso la teoria capitolava di fronte alla realtà. La vera nave non aveva nulla a che fare coi disegni dei progetti e i dati tecnici.
Nell'aria aleggiava un intenso odore di petrolio e kerosene, cui si mischiava quello di gomma calda e sale.
Il ponte era spazzato da un vento violento che sembrava strapparle la tuta. Non era certo un luogo adatto per i viaggi di piacere.
C'erano uomini con giubbotti colorati e cuffie antirumore che correvano da tutte le parti. Uno le andò incontro, mentre alcuni soldati scaricavano l'elicottero. Avevano un giubbotto bianco.
Jane cercò di ricordare. Il bianco era il colore dei responsabili della sicurezza. Quelli in giallo dirigevano il traffico degli elicotteri sul ponte, quelli vestiti di rosso si occupavano del carburante e delle armi.
Il freddo le entrò fin sotto la pelle.
<< Mi segua! >> gridò l'uomo, per sovrastare il fragore dei rotori che si stavano fermando.
Indicò l'unica costruzione della portaerei. Pareva un condominio ed era sormontata da antenne e da enormi parabole.
Mentre seguiva il suo accompagnatore, Jane si toccò meccanicamente il fianco con la mano destra. Poi le venne in mente che, con indosso la tuta, non poteva prendere le sigarette. Non aveva potuto fumare neanche sull'elicottero.
Volare sul oceano col vento forte per lei non era un problema, ma l'astinenza da nicotina non riusciva a reggerla. Era così da quando ebbe il suo incontro con la morte circa 14 anni fa, per mano della gemma dell’infinito nota come Aether.
L'uomo aprì un portellone e lei entrò nell'isola, come veniva chiamato quell'edificio nel gergo della Marina.
Dopo aver oltrepassato una doppia paratia, si trovò a respirare aria fresca e pulita, ma non riuscì a cancellare la sensazione di soffocamento che quel luogo le comunicava.
L'incaricato della sicurezza la affidò a un uomo che Jane conosceva molto bene. Era molto più alto di lei, apparentemente sulla sessantina, con i capelli bianchi tirati all’indietro e occhi blu elettrico. Costui era il dottor Erik Selvig, suo vecchio amico e capo di una divisione governativa del tutto nuova.
Entrambi si strinsero la mano. Negli ultimi anni, la donna aveva spesso lavorato con lui per tenere sotto controllo l’attività extraterrestre del pianeta, dopo che entrambi erano stati reclutati dallo Shield.
<< Allora, che cos'hai per me? >>domandò lei, ricevendo un sorriso da parte del collega
<< Ora te lo mostro>>
e, detto questo, l'uomo la condusse fino ad una sala conferenze, all’interno della quale era presente un proiettore olografico.
Cominciò a frugare nelle tasche della giacca ed estrasse un telecomando nero, per poi puntarlo direzione del marchingegno.
<< È arrivato stamattina, siamo stati fortunati a ricevere la segnalazione. Uno dei pescatori che abitano nella zona si è ritrovato bloccato in una tormenta e lo ha visto precipitare >>
<< Non è stato rilevato dai satelliti? >> domandò l’astrofisica, visibilmente perplessa. Dopotutto, nel periodo successivo all’invasione di New York avvenuta nell’ormai lontano 2012, il governo degli Stati Uniti aveva lanciato diversi satelliti di rilevamento avanzato attorno all’orbita di tutto il pianeta, così da poter rilevare in anticipo ogni possibile incursione aliena.
In risposta alla domanda della donna, Selvig scosse prontamente la testa.
<<  No, e questa è la parte interessante. Vedi questo picco magnetico improvviso? >> disse indicando una distorsione che circondava una seziona apparentemente vuota dello spazio esterno al pianeta. << Sembra che lo abbia nascosto durante la discesa a qualunque apparecchio elettrico. Se non avessimo rilevato l’anomalia…bhe, sarebbe potuto passare del tutto inosservato >>
Jane scrutò l’immagine con occhi pieni di fascino nascosto.
<< Che cos’è? Un meteorite? >> chiese con voce perplessa, lanciando un’occhiata in direzione dell’amico.
Questi sorrise in modo malizioso.
<< È quello che ho pensato anche io, all’inizio. Tuttavia… >>
Cambiò l’immagine dell’ologramma, rivelando una serie di grafici e numerazioni.
<< Guarda le velocità dell’anomalia >> disse indicando una serie di misure ben precise, nella parte più bassa della schermata.
Jane lesse il tutto con attenzione metodica…e il cuore le mancò un battito.
<< Ha rallentato >> sussurrò incredula.
Selvig annuì in conferma.
<< Già >>
<< I meteoriti non rallentano >> osservò la mora, con tono di fatto.
Se possibile, il sorriso sul volto del compagno sembrò allargarsi.
<< Specialmente uno che, a giudicare dalle letture del campo magnetico, sembra avere un diametro di almeno un paio di chilometri >> rivelò con un tono che a mala pena riusciva a trattenere la propria eccitazione.
Senza perdere tempo, Jane incontrò gli occhi di Selvik con un’espressione determinata quanto risoluta.
<< Portami laggiù >>
 
                                                                                                                                                    * * * 

La nebbia divenne meno densa, il cielo si rischiarò, e, circa mezz’ora dopo l'ordine di restare a terra, uno dei piloti diede il via.
Il capo squadriglia ritrasmise la comunicazione ai velivoli pronti al decollo, e questi sollevarono densi veli di polvere, trasformandosi momentaneamente in fantasmi. Poi si alzarono sopra la portaerei, allineandosi dietro al comandante e puntando a ovest, in direzione della loro nuova destinazione: la costa dell’Halaska.
Il Kiowa 58 di Jane volava sotto di loro, leggermente a destra, cosa che alla donna ricordò l'immagine di un film di John Wayne, una colonna di uniformi blu dietro a uno scout indiano che, in groppa al suo pony, si teneva a un lato della pista.
Pur non potendo vederlo, immaginava che Selvig stesse ancora leggendo il giornale. Forse l'oroscopo.
Dopo circa tre ore di volo, pini e gli abeti sottostanti cominciarono ad apparire e sparire come bianche fumate.
La nebbia volava contro i due parabrezza anteriori del Chinook, danzava e spariva.
Il volo era molto turbolento - come stare in una lavatrice – ma Jane non si era aspettata nulla di diverso. Aveva affrontato di peggio.
Si rimise la cuffia e ascoltò la musica che veniva trasmessa. Niente di entusiasmante, ma meglio dei Pearl Jam. Quello che la donna temeva era l'inno della squadra. Ma avrebbe ascoltato anche quello. Dopotutto, non c’era niente di meglio da fare.  
Sotto le basse nubi, cominciarono ad apparire sorci di una foresta apparentemente infinita.
<< Red  Boy Leader, qui Red 2 >>
<< Ricevuto, Due >>
<< Contatto visivo con il Body. Confermato?>>
Per un istante il pilota non fu in grado di dare conferma, poi ci riuscì.
Ciò che Jane vide le mozzò il fiato.
Una cosa era guardare una foto, un'immagine delimitata da un bordo, una cosa che potevi tenere tra le mani. Questo era ben diverso.
<< Conferma, Due. Red Group, qui Red Boy Leader. Rimanete nelle vostre posizioni attuali. Ripeto: rimanete nelle posizioni attuali >>
Uno per uno, gli altri elicotteri confermarono di aver ricevuto l'ordine.
Il Chinook e il Kiowa si tennero a circa un chilometro dal corpo estraneo, in direzione del quale si vedeva un'enorme striscia di alberi caduti di lato, come se fossero stati falciati da un gigantesco taglia erba. Alla fine di questa striscia c'era una zona paludosa. Tronchi morti si levavano al cielo, quasi volessero lacerare le nubi.
Il corpo sconosciuto, un gigantesco masso rosso scuro del diametro di circa un paio di chilometri, spuntava al centro della zona d’impatto, circondato da rami spezzati.
L'elicottero si posò a 100 metri, dove si levava una ripida parete rocciosa, in gran parte franata nel terreno instabile.
Sulla superficie del corpo erano ricaduti terra e resti di pini spezzati.
Dopo appena 45 minuti, il campo base era stato già allestito, disseminato di tende e apparecchiature militari.
Quando si avvicinarono all'oggetto, Jane non potè fare a meno di spalancare la bocca, in stato di shock.
Il meteorite, anche se ormai dubitava fortemente che si trattasse solo di questo, aveva una forma tondeggiante e cromata, con rivestimenti di roccia scarlatta che percorrevano l’intera superficie come uno strato di guano. In alcuni punti era illuminato da un intenso bagliore dorato.
<< Potrebbe essere un’astronave? >> sussurrò Jane, mentre controllava la temperatura del corpo estraneo.
Con sua grande sorpresa era incredibilmente freddo. Come se la discesa nell’atmosfera non lo avesse nemmeno scalfito, confermando l’ipotesi del rallentamento improvviso.
Selvig la seguì a ruota, controllando l’area per eventuali tracce di radiazioni.
<< Il fatto che al giorno d’oggi venga considerata un’ipotesi plausibile…bhe, mi fa accapponare la pelle ogni volta >> borbottò l’uomo, internamente sollevato che il contatore geiger non segnasse niente di anomalo.
Nel mentre, la donna gli rivolse un sorriso ironico.
<< Abbiamo visto di peggio >> affermò con dato di fatto. E in fondo era vero, lo sapeva pure lui.
Dopo le avventure passate con Thor, l’invasione perpetrata da Loki, gli elfi oscuri, Asgard…ormai, nel mondo, era rimasto ben poco che potesse stupire quella donna. E, per certi versi, questo non finiva mai d’infastidirlo.
Dopo aver constatato che non vi fosse traccia di pericolo, la coppia di scienziati cominciò a raccogliere i primi campioni di roccia dalla sezione esterna dell’oggetto. Furono costretti ad utilizzare un kit di plastica, poiché qualunque cosa che fosse composta anche solo in minima parte di metallo veniva attratta dalla superficie del corpo e lì vi rimaneva bloccata. Il campo magnetico esercitato da quell’affare doveva essere enorme.
Una volta raccolto il necessario, la coppia tornò al campo base e cominciò ad analizzare il materiale estratto.
<< C'è un fattore negativo in ciascuno dei campioni raccolti >> constatò Jane, dopo aver osservato al microscopio un pezzo della roccia.
Selvig la affiancò, il volto adornato da un’espressione incuriosita.
<< Un fattore negativo? >>
<< Già, guarda tu stesso. Neanche un punto di estinzione positivo, in nessuno di loro >> confermò la donna, facendo spazio al compagno.
Questi osservò la composizione del campione con fascino rapito.
<<  Ah, davvero? È strano… >>
<< E guarda questo: ho fatto un'analisi della superficie. Ad eccezione di una traccia di fosfato di ferro, in quantità minima, sono tutti silicati: quarzo, feldspato, pirosseni... appartengono tutti al gruppo silice, cioè ai silicati solidi, ma sono combinati in un modo che non esiste in nessuno dei pianeti del nostro sistema solare! >> esclamò l’astrofisica, con un sorriso estatico. << Qualunque cosa sia...viene da lontano. MOLTO…molto lontano >>
Selvig passò brevemente la testa dalla compagna al microscopio, prima di rilasciare un sospiro rassegnato.
<< D’accordo, contatterò Fury >> disse con un roteare degli occhi. Dopotutto, quando si trattava di oggetti o individui provenienti da altri mondi…bhe, la precauzione non era mai troppa.
<< Mettiamo in quarantena l’area e…>>
L’uomo non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Come dal nulla, l'intera regione fu improvvisamente battuta da uno dei più violenti temporali che gli abitanti della zona avessero mai visto. Gran parte di loro vivevano nelle zone presso la costa e videro le prime nubi farsi strada verso il punto in cui era caduto il meteorite.
La nebbia viaggiò attraverso la superficie dell'acqua ad una velocità allarmante, bianca e innaturale.  I sempreverdi sull'altro lato della costa iniziarono ad assumere un aspetto polveroso e abbattuto.
Verso occidente , grandi masse purpuree si andavano ammassando lentamente come un esercito. Dentro di loro saettavano lampi e rimbombavano tuoni.
L'aria prese ad agitarsi a raffiche, prima sollevando le chiome come fruscelli, per poi farle ricadere.
Jane osservò il tutto con aria perplessa.
<< Pensavo che la tempesta fosse passata >>
<< Si, anche io >> borbottò Selvig, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
E poi…la terra cominciò a tremare.
Dal centro della cittadina di Angoon, circa 20 km dal sito d’impatto, i pochi uomini e donne che riempivano le strade a quell’ora del giorno sussultarono all’unisono, non appena un lieve boato d’assestamento fece vibrare i vetri negli infissi e le pareti di ogni edificio.
Qualche persona borbottò infervorata, chiedendosi se questa era una zona a rischio sismico, ma tranne qualche sguardo interrogativo e un paio di occhiate scambiate, nessuno pensò di attribuire a quella piccola e apparentemente innocua avvisaglia una nota d’importanza.
Dopotutto, era un paese tranquillo, lì non succedeva mai niente degno di nota, e mai sarebbe successo. O per lo meno, questo era il luogo comune cui tutti erano pronti a scommettere prima che quella giornata svelasse loro quanto erano stati ingenui.
Quando la prima, lieve ondata lasciò il posto al tumulto che ne sarebbe seguito, i più svegli compresero fin da subito che si erano enormemente sbagliati.
Un grande sisma, il più potente mai registrato in tutta l’Alaska, e il primo che si avvertì in questa regione, investì il paesino facendo crepare tutte le strutture nell’area circostante e sfondando i sentieri d’asfalto su cui gli abitanti cercavano di reggersi in equilibrio.
Gli alberi iniziarono a scuotersi, smossi dalle radici, tavolini e sedie caddero sugli sventurati avventori dei locali, ustionando qualcuno con le roventi bevande rovesciate dalle tazze, mentre le macchine e i mezzi di trasporto si ribaltavano su un fianco, ferendo gli incauti passeggeri.
I soldati che in quel momento si trovavano troppo vicini al meteorite incontrarono una morte rapida e improvvisa, tra le urla di chi, invece, era stato solo costretto ad osservare.
Mentre tutto andava a rotoli fin troppo velocemente, una ramificazione di fratture, che come una ragnatela si estendeva per un raggio di trenta-quaranta metri, cominciò a sollevarsi dal centro del sito come un cumulo di terra smosso da una trivella laboriosa in via d’emersione.
Si formò una grande collina di macerie, pietra e polvere alta decine di metri, che poi implose su se stessa inghiottendo il meteorite stesso, mezzi di trasporto, tende e innumerevoli soldati che, troppo scossi per reagire, finirono divorati dall’enorme voragine che vi si venne a creare.
Alcune persone, tra le più lontane dalla catastrofe, erano cadute in preda a una paralisi raggelante e, sebbene le loro parti razionali le supplicassero di fuggire, i muscoli non davano loro retta, rifiutando di muoversi. Furono loro i primi a vederlo.
( Track 1 : https://www.youtube.com/watch?v=zR2p8NhrGKk )
Dal cratere emerse qualcosa di gigantesco, che portò con sé grandi blocchi di fango, neve e detriti.
Per primo si levò un grande e vertiginoso braccio, al quale era attaccata una membrana di carne e sangue che ne legava l’estremità uncinata al corpo titanico. Sembrava quasi l’ala di un pipistrello…ed era grande quanto un Jumbo 747.
Calò sul sito dell’impatto, aggrappandosi al ciglio del baratro.
La seconda ala uscì subito dopo e questa cadde sul terreno, smuovendo una folata di polvere che oscurò per un momento la visibilità dei soldati raggruppatisi nella zona.
La prima  testa del mostro, e con essa il resto del corpo, fuoriuscì dalla gigantesca fossa in coda ai possenti arti. La seguirono altre due, ognuna collegata alla massiccia figura da un lungo collo irto di spuntoni.
<< Mi stai prendendo in giro >> sussurrò Selvig, il volto adornato da un’espressione che rasentava estrema paura mista a sorpresa e rassegnazione. Jane si ritrovò concorde con la reazione dell’amico.
L’enorme titano s’inchinò sulle sue robuste gambe, ansimando pesantemente – forse per recuperare le forze – e infine si sollevò in posizione bipede, rivelando così le sue reali fattezze.
Alto forse 160 metri (stima provvisoria calcolata sulle sue proporzioni rispetto agli alberi ) era rivestito da uno spesso strato di scaglie dorate.
La possente muscolatura delle gambe cadeva ai lati di un torace leggermente più esile, privo di arti anteriori. Il tutto era sorretto da una coda appuntita grande quanto il corpo stesso, terminante con due estremità. Ognuna di esse era caratterizzata da uncini grandi quanto le colonne di un tempio.
Ogni testa era allungata, di fattezze rettiliane, adornata da numerose protuberanze ossee che partivano direttamente dal centro della fronte e dai lati del cranio, simili a corna. Occhi rossi come il sangue squadravano la terra sottostante, in cerca di un bersaglio su cui rivolgere la propria furia.
La creatura scosse il corpo per liberarsi dalle scorie che si erano accumulate nelle infossature tra le scaglie.
I blocchi di macerie che ne caddero furono per lui nient’altro che fuliggine, ma erano abbastanza grandi da poter uccidere qualunque essere umano che incautamente si fosse fatto trovare sulla loro linea di caduta.
Poi, la testa centrale, le cui corna erano assai più pronunciate rispetto a quelle delle altre due, voltò verso un gruppo di soldati fermo un centinaio di metri più in là, fissandoli con uno sguardo feroce…e, per un attimo, sembrò sorridere.
La bestia si girò, scuotendo la zona col suo passo pesante e sollevano pezzi di terriccio fusi a neve semi-sciolta.
Allo stesso tempo, la testa di destra squadrò gli alberi che ascendevano nei dintorni. Studiò la neve sottostante, le montagne e le strutture militari erette lungo il perimetro dello schianto, come uno scrupoloso demolitore che pianificava per tempo il modo più efficace per radere al suolo il suo obiettivo.
Incontrò di nuovo gli sguardi confusi e impauriti del suo minuscolo pubblico ed emise un flebile verso, un misto tra il sibilo di un serpente e il ringhio di un coccodrillo.
Nel mentre, la testa di sinistra si abbassò, scrutando con un luccichio curioso il corpo ormai morto di un soldato che era stato investito da un detrito. Aprì leggermente la bocca, rivelando una fila di orridi denti pallidi e immacolati, attraverso i quali si fece strada una lingua biforcuta.
Torrenti di bava densa e putrescente tracimarono dalle labbra, rilasciando efflussi irrespirabili che puzzavano di carogna e deterioramento. Allo stesso tempo, la testa cominciò a tastare il corpo inerme dell’essere umano.
Jane, che stava osservando la scena da dietro un tronco caduto, notò che sembrava quasi un gatto intento a giocare con la preda appena uccisa.
I suoi occhi rosso sangue avevano un luccichio curioso, quasi infantile. Pareva sinceramente felice della scoperta che aveva appena fatto!
Poi, la testa centrale della bestia si abbassò al livello del cadavere, sibilando a quella di sinistra con fare decisamente più minaccioso…come se la stesse rimproverando.
Di fronte a quella vista, Jane non potè fare a meno di sgranare gli occhi. Che quelle teste…fossero dotate ognuna di pensiero indipendente? Sapeva di serpenti che possedevano una caratteristica simile, a causa di alterazioni genetiche subite durante la cova. Ma per un’animale così grande, avere ben tre personalità distinte che condividevano uno stesso corpo…bhe, era semplicemente inaudito, violava tutto ciò che conosceva sull’ordine naturale! Ma del resto, quella creatura dalle apparenze draconiche pareva tutto fuorchè naturale.
Mentre la donna era impegnata in quelle divagazioni mentali, la testa centrale del mostro ringhiò alle altre due, e queste si drizzarono come una coppia di soldati fedeli pronti a eseguire gli ordini del loro apparente comandante.
Poi, la creatura gonfiò ventre e petto. Un bagliore giallastro cominciò a diffondersi lungo le scaglie dei lunghi colli, seguito da un brusio basso e ritmato, come il rumore provocato dal motore di un aereo in procinto di decollare.
A quel punto qualcuno trovò la forza di battere in ritirata, capendo cosa stava per succedere, ma non tutti ebbero la stessa prontezza di spirito.
<< Jane, corri! >> esclamò Selvig, spingendo la compagna con forza. E fu proprio quell’azione tempestiva che salvò la vita della scienziata.
Il titano spalancò le mascelle…e, come dal nulla, un torrente di scariche elettriche si riversò sulla zona, riducendo in cenere qualunque cosa o persona si trovasse nel suo raggio d’azione.
Soldati di ogni razza vennero spazzati via dall’intensità di quei colpi, mentre gli alberi e le rocce nel circondario si polverizzarono in schegge taglienti. Selvig fu tra i primi a subire quell’orribile destino, mentre il tutto veniva accompagnato da un grido assordante e da un riso grottesco.
A diversi chilometri dal sito,  nel paese di Angoom, le crepe sulle pareti causate dal sisma si espansero a tal punto che alcune costruzioni finirono per collassare su se stesse, svanendo dalla mappatura del villaggio.
La bestia richiuse la bocca e, mentre i sopravvissuti cercavano di capire cosa fosse avvenuto, cominciò a infierire su qualunque cosa le capitasse a tiro, sferzando la zona con le ali e sollevando un’ondata di polvere, detriti e fango che sommerse gran parte dei superstiti.
Al contempo, le varie teste della creatura ripresero il loro attacco, scatenando lampi e saette sull’area circostante. Ai soldati non fu data nemmeno la possibilità di rispondere al fuoco.
Jane si lanciò in una fuga rocambolesca verso la foresta, evitando a mala pena una delle scariche. L’onda d’urto causata dal colpo, tuttavia, fu abbastanza forte da sbalzare il suo corpo contro una roccia, facendole perdere i sensi.
Nel mentre, la creatura osservò la propria opera con apparente soddisfazione, visibilmente compiaciuta della devastazione che aveva appena causato.
Notando la mancanza di movimento, il suo antico cervello arrivò alla conclusione che non vi fossero sopravvissuti. Giunto a questa realizzazione, spalancò le immense ali e sollevò una densa nube di polveri e neve, facendo calare una cupa ombra sull’intera foresta.
Quasi come ad un segnale, la tempesta cominciò a farsi man mano più minacciosa, mentre la pioggia aumentò d’intensità. E quando la creatura prese il volo, portandosi dietro rami morti e  cadaveri fluttuanti, il cielo divenne un riecheggiare di lampi e tuoni.
King Ghidorah, la morte dorata…era giunto sulla Terra.



Com'era? Spero bello!
Ghidorah fa la sua prima apparizione ufficiale, e chi ha visto il nuovo film di Godzilla ( o quelli vecchi in cui compare ) sa bene quale minaccia rappresenta per l'intero pianeta. Da solo potrebbe spazzare via Thanos e la sua armata al completo, quindi potete ben capire quanto i nostri eroi dovranno faticare per contrastarlo.
E sì, ogni testa del personaggio, come nel nuovo film, avrà una personalità distinta. Il regista ha rivelato che ogni testa ha un nome proprio :
- Ichi ( la centrale )
- Ni ( quella di destra )
- San aka Kevin ( quella di sinistra )

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Rivedere per la terza volta Godzilla : King of the Monsters mi ha davvero caricato. In questo aggiornamento ho scritto la mia prima battaglia aerea, quindi spero di averla resa bene.
Lo scontro sarà accompagnato dalla colonna sonora di Rodan ( Track 3 ), che nel film Godzilla : King of the Monsters è il kaiju con la theme più epica, perfetta per uno scontro aereo di questo tipo ( soprattutto a partire dal min 2:30 ). 
Detto questo, vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare una recensione!




Capitolo 4

La sala conferenze era articolata secondo una sovrapposizione di più piani.
Ciascuno di essi presenziava altrettanti seggi disposti in ordine decrescente lungo una fila di dodici scrivanie, ordinatamente costruite su un totale di cinque diversi ordini di altezza.
Nei balconi superiori, posizionati lungo le facciate laterali e parallelamente ordinati rispetto alla zona riservata al Vice-Presidente, spiccavano numerosi posti a sedere, tutti occupati .
Fury si trovava nella parte superiore della stanza, parzialmente nascosto nella penombra. Ad affiancarlo era la figura ben piazzata del colonnello James Rhodes, conosciuto al pubblico generalista con il soprannome di War Machine.
Finita la campagna contro Thanos, era diventato uno dei principali punti di riferimento dei Nuovi Avengers e, dopo aver impressionato il Presidente con un rapporto sulla sicurezza globale, era stato chiamato proprio nel consiglio di sicurezza nazionale, per poi essere scelto come Segretario di Gabinetto.
Rhodes aveva subito adottato una linea di condotta molto dura.
Per molti aspetti, il suo pensiero era ancora più intransigente di quello dell’amministrazione repubblicana, ma in lui l’elemento trainante era il patriottismo. Il tutto con una certa dose di progressismo liberale, probabilmente dovuta alla brutta esperienza subita durante gli Accordi di Sokovia, che lo aveva lasciato incapace di camminare senza l’uso di protesi cibernetiche.
Carol Danvers, alias Capitan Marvel, si trovava pochi posti più in basso.
Da più di venti minuti, ormai, la donna era impegnata in un acceso dibattito con il Senatore Kelly. L’argomento della discussione? L’approvazione di un atto di registrazione per identificare ogni singola persona sulla Terra dotata di abilità sovraumane.
<< Negli ultimi anni, gli esseri umani dotati di superpoteri hanno saputo coesistere pacificamente con il resto della popolazione, per cui non vedo il motivo di interrompere tali rapporti...>>
<< Una scelta di parole esemplare >> la interruppe Kelly con tono brusco. << Tuttavia, Signorina Danvers, temo che non abbia centrato il nocciolo della questione. Ovvero, l'argomento di questo incontro. In poche parole...i superumani sono pericolosi? >>
<< Ritengo che questa sia una domanda scorretta, senatore. Dopotutto,anche la persona sbagliata al volante può essere pericolosa>> argomentò la bionda.
<< Ma noi diamo una patente per guidare>> ribattè l’uomo, arricciando ambe le labbra in un sorriso ferino.
Carol annuì d’accordo.
<< Sì, ma non per vivere>> rispose con tono fermo.
Poi, volse la propria attenzione nei confronti delle varie persone raccolte nella stanza.
<< Vice-Presidente, signori, perfino voi non potete negare che molti dei superumani che hanno coraggiosamente rivelato la propria identità agli occhi del mondo...sono stati accolti con paura, violenza e perfino rabbia. A causa di questa ostilità, io invito il governo a mantenere stabili i rapporti tra le due razze. Obbligare i superumani a uscire allo scoperto non farà altro che...>>
<< Uscire allo scoperto? >> chiese Kelly, strabuzzando gli occhi. << Io mi chiedo cos'abbia la comunità dei superumani da aver tanta paura di rivelarsi al mondo >>
<< Non ho mai detto questo...>>
Carol non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Maria Hill, Vice-Direttore dello Shield, scelse proprio quel momento per entrare nella stanza, attirando l’attenzione delle varie persone raccolte.
<< Vice-Direttore Hill, siamo nel bel mezzo di un incontro >> la rimproverò Fury, sebbene internamente fosse piuttosto grato dell’interruzione improvvisa.
Ansimante, la donna prese un paio di respiri calmanti e volse al superiore un’espressione visibilmente agitata.
<< Direttore Fury, signori, sono sinceramente dispiaciuta, ma…c’è una cosa che dovete vedere >> disse con tono d’urgenza.
E, senza nemmeno aspettare la conferma di qualcuno, la donna si diresse verso l’unico oloproiettore della camera.
Fury la seguì con lo sguardo, pensando con divertimento alla scarsa conoscenza del genere umano che caratterizzava il suo vice.
Era un eccellente soldato e una straordinaria stratega, ma faticava a distinguere gli uomini dalle macchine. Sembrava quasi convinta che, nel corpo umano, ci fosse da qualche parte un settore da programmare in modo da essere sicuri che le istruzioni fossero eseguite. Era forse la sua unica debolezza.
Giunta a destinazione, la donna cominciò ad attivare l’oloproiettore.
Il dispositivo in questione era collegato alla rete satellitare del pianeta attraverso un connettore remoto, quindi poteva anche essere utilizzato per accedere alle registrazioni dei canali televisivi.
Armeggiando con il telecomando del congegno, Maria fece scorrere una serie di video lungo la parte destra della schermata, fino a quando non trovò quello che la interessava davvero.
<<  È stato trasmesso cinque minuti fa >> rivelò con uno sguardo cupo, aprendo il file in questione.
Il video mostrava quello che aveva tutta l’aria di essere un notiziario. Fury non conosceva la rete che lo stava trasmettendo, forse una locale.
Nello studio televisivo c’era una donna ben vestita. Il volto dai tratti asiatici denotava una bellezza severa. Sembrava cinese. No…era una mezza cinese. C’era un dettaglio decisivo che stonava con il resto.
Erano gli occhi, chiari, acquamarina, assolutamente non asiatici.
In sovrimpressione c’era scritto “Trisha Tanaka” .
La donna cominciò dicendo : << Non è una trovata pubblicitaria, né una replica di The Day After Tomorrow. Un uragano di Forza 6, proveniente dall’Alaska, ha seminato caos e distruzione in gran parte del Nord America >>.
Al sentire tali parole, ogni singola persona presente nella stanza rilasciò un sussulto. Perfino Kelly perse la propria espressione serafica e la sostituì con uno sguardo assai turbato.
<< La tempesta, apparentemente venuta dal nulla, ha raggiunto in poche ore gli Stati Uniti dopo aver attraversato il Canada, e ora si dirige verso New York ad una velocità di 3000 km orari, devastando qualunque cosa si trovi sul suo cammino. Ancora non abbiamo una stima delle vittime coinvolte, ma si presume che il numero di morti e feriti sia drasticamente alto >> continuò la cronista, cupamente.
Fury strinse gli occhi, assorbendo ogni informazione con la precisione di un computer.
Per quanto ne sapeva, gli uragani non si muovevano mai così in fretta. Erano tempeste localizzate, che si sviluppavano nelle zone tropicali del pianeta. Inoltre, era abbastanza sicuro che  un uragano non potesse superasse la Forza 5.
Le successive parole della donna confermarono i suoi pensieri.
 << L’uragano, il più potente mai testimoniato a memoria d’uomo secondo gli esperti, attualmente sta sorvolando lo stato del Connecticut. Il nostro inviato sul posto, Steven Harrington, sta per trasmettere dal luogo del disastro >>
L’immagine cambiò di colpo, rivelando uno scenario a dir poco agghiacciante.
La cittadina da cui veniva trasmesso il servizio sembrava un vero e proprio campo di battaglia. Il cielo era in fiamme, mentre detriti di ogni forma e dimensione aleggiavano e sferzavano a mezz’aria come se impazziti.
La gente urlava e correva da ogni parte, mentre i venti smuovevano gli alberi, issavano i mezzi di trasporto e riducevano le abitazioni ad ammassi informi ci cocci e fabbricati.
In mezzo a quella catastrofe vi era un uomo di mezza età dai corti capelli castani tirati all’indietro, lo sguardo fisso in direzione della telecamera.
<< È una scena apocalittica! >> urlò il rinomato Steven, facendosi scudo con le braccia per ridurre l’attrito con il vento. << L’uragano ha già spazzato via tre quartieri e procede ad una velocità allarmante verso i centri maggiormente abitati! Le evacuazioni sono già cominciate, ma dubito seriamente che tutto avranno il tempo…porca puttana, avete visto ?! >>
La visuale della telecamera puntò verso destra, dove un’esplosione titanica ridusse in cenere una coppia di case.
L’onda d’urto generata dal contraccolpo fu abbastanza forte da sollevare un camion e a farlo schiantare contro un’altra abitazione.
<< È il caos, è indescrivibile!>> continuò il cronista, compiendo alcuni passi lontano dalla zona d’impatto. << Si ha davvero l’impressione di vivere in un incubo terrificante, ma non è un sogno! È la real…>>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase. Un cartellone pubblicitario grande quanto una macchina calò sull’uomo, interrompendo la trasmissione.
Nella sala conferenze regnava il silenzio più totale. Nessuno sembrava sapere cosa dire o fare per argomentare quella visione scoraggiante, al limite della follia.
Poi, Fury girò la testa in direzione di Rhodes.
<< Qual è la base aerea più vicina? >> chiese con tono urgente, facendo sobbalzare il colonnello.
Questi cominciò a fare mente locale per rispondere alla domanda dell’uomo.
<< Quella nella città di Trenton, dieci minuti dallo stato >> lo informò dopo un attimo di silenzio.
Fury annuì a se stesso.
<< Dì loro di inviare un drone d’alta quota in mezzo a quell’affare >>
<< Un momento, non hai l’autorità per…>> si intromise Kelly, prima di essere prontamente interrotto da Rhodes.
<< Sì, ce l’ha >> dichiarò questi, inchiodando il senatore sul posto.
Fatto questo, volse al Direttore dello Shield un’occhiata scettica.
<< Pensi che riuscirà a superare la tempesta?>>
Fury si portò una mano al mento, apparentemente in profonda contemplazione.
<< Di loro di rivestirlo con uno strato di gomma e polimeri non conduttori >> ordinò dopo alcuni secondi. << Possiamo solo sperare che abbiano un pilota abbastanza esperto da fargli evitare i fulmini >>.
 


Quando si tratta di un uragano, la velocità dei venti - come la maggior parte delle cose che si accumulano – cresce in maniera esponenziale: un vento che soffia a 300 chilometri orari non è semplicemente 10 volte più forte di un vento che raggiunge i 30, ma ben 100 – e di conseguenza sarà molto più distruttivo. Se a questo effetto acceleratore si aggiunge quello di svariati milioni di tonnellate d’aria, il risultato, in termini di energia, sarà straordinario.
In un giorno, un uragano tropicale può liberare tanta energia quanta ne consuma. In un anno, una delle nazioni industrializzate di media estensione, come l’Inghilterra o la Francia.
Come si forma un uragano? A causa di un improvviso cambiamento di temperatura. Serve solo questo. Un piccolo sbalzo di pressione può provocare la nascita di una delle più grandi calamità generate da Madre Natura.
C’erano pochissime cose capaci di volare all’interno di un uragano. I droni B-22 erano tra queste.
Uno di loro decollò alle ore 13:00 dalla base aerea di Trenton,situata nel New Jersey.
Il nome in codice della missione era GRAND ZERO.  A pilotare il rover da remoto era il maggiore Ford Brody, che aveva servito nella Guerra del Golfo e in Iraq.
Il velivolo era equipaggiato con le più avanzate strumentazioni di navigazione, ma volare attraverso un uragano non era certo una delle mansioni per cui era stato progettato.
Alle 13:05 una spia rossa del quadro comandi divenne ambra.
Ford assunse il controllo del mezzo e cominciò a metterlo in posizione. Sotto di esso, la base aerea scomparve tra le nuvole.
Brody parlò al microfono .
<< Stiamo per aprire le danze, signore >>.
Dal Nevada, il colonnello James Rhodes rispose : << Roger, maggiore. Buona fortuna e cerca di volare il più possibile vicino al centro di quell’affare >>
<< Sarà fatto >> ribattè Ford.
Alle 13:20,la spia ambra cominciò a pulsare. Un paio di minuti dopo, divenne verde.
A quel punto, l’uomo vide sul video lo scenario che si stagliava nei cieli del Connecticut.
Sì, in quel momento la parola “ Inferno” era forse il termine più adatto per indicare ciò a cui stava assistendo.
Il drone stava trasmettendo anche nella sala conferenze della base in Nevada, e le varie persone raccolte al suo interno trattennero il fiato.
Quello fu forse il momento peggiore. La lunga, eterna tensione che una tempesta produceva questo effetto: l’attesa interminabile della catastrofe culminante.
BAM! Il modulo fu investito da una corrente d’aria che lo spinse prima verso l’alto e poi verso il basso. I comandi erano elettronici, non manuali, ma Brody rischiò comunque di perdere il controllo. Era come essere finiti nel turbine di un tornado, e di quelli mostruosi, per giunta.
Le spie del drone cominciarono a lampeggiare, mentre gli allarmi si attivarono a intermittenza.
Fortunatamente, la macchina evitò abilmente la maggior parte dei fulmini più grandi. Alcune scariche riuscirono a colpirne la superficie, ma il rivestimento di gomma stava facendo il suo lavoro.
Nell’aria densa di umidità, il passaggio del modulo suscitò vortici nella foschia, lasciandosi una lunga scia alle spalle.
Infine, il velivolo raggiunse l’occhio del ciclone, come veniva amichevolmente chiamato dai metereologi. Fu allora che l’orrore cominciò a palesarsi sui volti degli spettatori raccolti.
( Track 2 : https://www.youtube.com/watch?v=McjvF5MB_2I )
<< Ma che diavolo…>> sussurrò Carol, gli occhi fissi sulla gigantesca sagoma che ora occupava la visuale del drone.
Un essere gigantesco, come mai ne aveva visti durante i suoi numerosi viaggi in giro per il cosmo.
Dotato di ali grandi quanto quelle di un aereo di linea e un corpo massiccio, adornato dalla presenza di tre lunghi colli. Ciascuno di essi terminava con una testa piccola e affusolata, simile a quella di un serpente. Anche nella penombra della tempesta, la donna riuscì a intravedere tre paia di occhi color rosso sangue che illuminavano le fattezze di quei volti orrendi e ghignanti.
Carol non credeva nel male inteso come entità concreta, ma in quel momento le sembrò di fissare l’oscurità stessa fatta di ossa e carne. Era semplicemente spaventoso, ma riuscì a nascondere il proprio disagio.
<< Ditemi che lo state vedendo anche voi >> borbottò Rhodes, mentre la figura del drago si palesava in mezzo all’uragano, circondata da nubi rabbiose e lampi occasionali. Maria annuì inconsciamente, la bocca leggermente spalancata
Al contempo, Fury fissò la creatura con fare attonito, rimanendo in silenzio per circa un minuto buono.
Volse la propria attenzione nei confronti di Carol.
<< In quanto tempo pensi di poterlo intercettare ? >> chiese con un tono molto più agitato di quanto la donna lo avesse mai sentito prima.
<< Direi 30 minuti >> rispose lei, passando brevemente la testa dal direttore alle immagini trasmesse.
Fury annuì, e prese un respiro profondo.
Poi, girò la testa in direzione di Maria, la cui carnagione era diventata pallida come quella di un fantasma.
<< Contatta di nuovo la base…e digli di preparare un attacco aereo, immediatamente >>.

                                                                                                                                                                     * * *

I bambini sognano spesso di diventare supereroi…vere superpoteri e salvare la gente. Ma non pensano mai a come è la vita di un supereroe quando non è in missione. Non è molto diversa da quella degli altri.
L'eroe soffre, ama, desidera, spera, ha le sue paure e ha bisogno di persone che lo aiutino in certe questioni. E questa è forse la parte più difficile della sua vita. 
Nessuno lo sapeva meglio di Wanda Maximoff, alias Scarlett Witch.
All’età di appena undici anni aveva perso i suoi genitori in un bombardamento. Sette anni dopo, era stato il turno di suo fratello. Dieci anni fa, anche se per lei ne erano passati solo cinque…aveva perso la persona più importante della sua vita.
Attualmente, la giovane donna era sdraiata su un lettino terapeutico, all’interno di una stanza dagli interni accoglienti e confortevoli. Niente di troppo sfarzoso, qualche mobile sparso, un paio di scaffali ricolmi di libri e un grazioso tavolino al centro. In poche parole, aveva l’aria di uno studio classico.
A pochi metri da lei, seduto su una poltrona sovradimensionata, vi era un uomo il cui aspetto avrebbe fatto inarcare parecchie sopracciglia.
Il semplice fatto che indossasse dei vestiti, nonostante l’enorme stazza del suo fisico, pareva di per sé un miracolo. Era alto quasi tre metri, aveva una corporatura muscolosa…e la pelle verde.
Non c’era una sola persona sul pianeta che non conoscesse l’identità di questo bizzarro individuo : Bruce Banner, alias L’incredibile Hulk, uno dei vendicatori originali.
Dopo la guerra contro Thanos, in pochi si sarebbero aspettati la scelta di carriera che  l’ex studioso di fisica termonucleare aveva scelto d’intraprendere.
Dopo aver perseguito una laurea in psicologia, infatti, Banner aveva deciso di aprire una clinica per persone dotate di abilità sovraumane, riservata a tutti quegli individui con abilità speciali che avevano difficoltà ad ambientarsi nella società o a controllare i propri poteri.
In breve tempo, lo studio era diventato meta frequente di molti superumani, tra cui la stessa Wanda.
<< Di solito, quando la gente mi chiede come sto, la vera risposta è “sto di merda” >> cominciò lei con voce impassibile, gli occhi rivolti in direzione del soffitto. << Ma non posso dire “sto di merda”, perché non ho una buona ragione per stare di merda. Quindi, se dico “sto di merda”, poi loro dicono “Perché, cosa c’è che non va?”, e io devo dire “Non saprei, tipo… tutto?”. Quindi invece, quando la gente mi chiede come sto di solito dico “Alla grande” >>
Rilasciò un sospiro affranto.
<< Ma quando oggi il figlio dei vicini mi ha chiesto se stavo passando una bella giornata, ho pensato, beh, oggi posso davvero permettermi di sentirmi di merda, oggi ho una buona ragione, così gli ho detto “Beh, oggi è il giorno in cui ho perso la persona più importante della mia vita” >> terminò con un sorriso autoironico.
Poi, girò leggermente la testa in direzione di Banner.
 << E la cosa peggiore? In quel preciso momento mi sono resa conto di quanto sia incasinata la mia vita >> continuò con tono di fatto, mentre affondava ulteriormente nel lettino.
Alzò la mano destra e la serrò in un pugno, quasi come se volesse afferrare un qualcosa di invisibile, sospeso a mezz’aria.
<< Mi sono stancata di vivere odiando gli altri, disprezzando il mondo, portandogli rancore. Mi sono stancata di vivere senza amare nessuno. Non ho un amico, nemmeno uno. E soprattutto non posso amare me stessa. Sai perché? >> chiese retoricamente, mentre il medico la scrutava con attenzione. << Perché sono incapace di amare gli altri. Ed è soltanto amando gli altri, ed essendo amati, che si impara ad amare se stessi. Io…voglio solo dimenticare. Voglio solo essere in grado di andare avanti >>
A quel punto, un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità della stanza. L’unico suono udibile era il leggero brusio provocato dal sistema di riscaldamento dell’edificio.
Dopo circa un minuto di quiete totale, Banner si tolse gli occhiali e vi diede una rapida pulita.
<< Sai…>> disse all’improvviso, attirando l’attenzione della ragazza, << i ricordi sono solo un combustibile per alimentare la vita. Che un ricordo sia importante o meno, in pratica fa lo stesso, è soltanto combustibile. La vita va avanti comunque. Un foglio di giornale, un libro di filosofia... è uguale, quando finiscono nel fuoco diventano semplici fogli di carta. Non è che il fuoco mentre brucia pensa "toh, questo è Kant" o "ecco la nuova edizione di Batman!". Per il fuoco sono soltanto fogli di carta, niente di più. Bhe, con i ricordi è la stessa cosa. Quelli importanti, quelli belli, quelli brutti.. sono solo combustibile, tutti quanti senza distinzione >>
Annuì alle proprie parole e si picchiettò la tempia della testa.
<<  E se per caso quel combustibile non ce l'avessi, se il cassetto dei ricordi dentro di me non esistesse, penso che già da un bel po' sarei impazzito. Mi sarei perso per sempre, intrappolato in qualche miserabile buco. È grazie alle esperienze e agli insegnamenti scaturiti dai brutti ricordi che posso continuare a tirare avanti. Quando penso di non farcela più, quando sto per gettare la spugna, in qualche modo riesco sempre a venirne fuori. I brutti ricordi, per quanto spiacevoli…sono parte di ciò che sei, e di quello che vuoi diventare. Devi solo smetterla di vederli come un ostacolo, e usarli come combustibile >>
<< La fai sembrare facile >> ribattè l’altra, con un sonoro sbuffo.
In tutta risposta, Banner si limitò a scrollare le spalle, come se avesse sentito quella dichiarazione un milione di volte.
Wanda rimase ulteriormente in silenzio. Poi, si alzò a sedere e fissò intensamente il medico.
<< Voglio degli anti depressivi >> disse con tono convinto, suscitando un sopracciglio inarcato da parte di questi.
<< Perché ? >>
<< Ho solo bisogno di loro per precauzione >> argomentò l’ex Avenger, scrollando le spalle a sua volta.
Banner la fissò di rimando, scrutandola attentamente da capo a piedi.
<< Cechov ha scritto: “Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari” >> rispose con tono impassibile.
Al sentire tali parole, Wanda incrociò ambe le braccia davanti al petto, il volto adornato da un’espressione corrucciata.
<< Che significa? >>
Il medico si mise in piedi di fronte a lei, sovrastando la sua esile figura.
<< Vuol dire che in un racconto non si devono introdurre oggetti se non sono necessari. Se in un racconto spunta una pistola, è necessario che a un certo punto della narrazione venga fatta sparare. Cechov amava scrivere racconti privi di fronzoli >> spiegò l’uomo.
La Scarlet Witch roteò gli occhi.
<< È questo che ti preoccupa. Pensi che se la pistola appare in scena, sicuramente farà fuoco? >>
<< Assumendo il punto di vista di Cechov, sì>>
<< Quindi potendo vorresti evitarti di procurarmi la “pistola” >>
<< È un'arma pericolosa e illegale. Inoltre, aggiungerei che Cechov è uno scrittore attendibile.
<< Ma questo non è un romanzo. Stiamo parlando del mondo reale>> ammonì lei, con tono sprezzante.
Banner socchiuse gli occhi e guardò fisso il volto della donna.
<< Chi può dirlo?>> domandò retoricamente, per poi arricciare ambe le labbra in un sorriso complice.
Wanda rilasciò un secondo sospiro.
<< Quindi non me li darai >>
<< Sarei un pessimo medico se lo facessi >> confermò l’altro, con tono di scuso.
Suo malgrado, la giovane donna si ritrovò a sorridere. In cuor suo sapeva che lo stava facendo per il proprio bene, era quel tipo di essere umano. Ciò non lo rendeva meno irritante, ma era meglio dell’indifferenza che riceveva dalla maggior parte delle persone.
<< A volte mi chiedo perché continuo a venire da te >>
<< Lo hai detto tu stessa, non hai amici >> rispose l’altro, posandole dolcemente una mano sulla spalla. << Ma vuoi comunque parlare con qualcuno, e io sono l’unico che potrebbe scaraventarti in un muro nel caso avessi uno scatto d’ira >>
<< Penso che potrei batterti >> ribattè lei, con un ghigno accattivante.
Banner abbaiò una sonora risata.
<< Continua a ripetertelo, magari un giorno ci crederemo entrambi >> disse allegramente, mentre la guidava verso l’uscita.
La donna si sistemò il vestito e fece per attraversare la porta.
<< Wanda…>> la fermò il medico, facendole girare la testa.
L’espressione sul volto dell’uomo sembrava essersi addolcita, anche se era difficile da dire a causa del suo aspetto generale.
<< Fatti forza. Potrebbe sembrarti una frase clichè…ma la notte è sempre più buia prima dell’alba >> disse con voce gentile.
Wanda, leggermente toccataa dalle parole del medico, sorrise tristemente.
 << E per favore >> continuò Banner, con tono molto più serio, << Smettila di prendere…bhe, qualunque droga tu stia prendendo >>
La giovane donna sussultò e fece per controbattere. Tuttavia, dopo aver aperto e chiuso la bocca un paio di volte, abbassò la testa e annuì lentamente. Perché le persone attorno a lei dovevano sempre essere così attente?
Con quel pensiero in mente, uscì dalla stanza e chiuse la porta alle spalle.
Una volta fuori dall’edificio, cominciò a dirigersi verso Central Park. Ormai, per lei era diventata una sorta di tradizione giornaliera : una visita dal medico e poi dritta al parco per prendersi un gelato, a discapito del tempo.
E mentre la donna iniziò a camminare con passo lento e marcato…il vento cominciò a salire in tutto lo stato del New Jersey.

                                                                                                                                                       * * *

Il motore cominciò a rombare. Sulle ali erano state caricati dei missili terra-aria a lunga gittata, capaci di aprire un buco di diversi metri nella fiancata di una corazzata americana.
I jet erano pronti al decollo, frementi per la battaglia imminente.
Il caporale Alice Willaims arrivò di corsa e, muovendo abilmente le mani, tolse i cunei alle ruote del proprio velivolo. Lo stesso fecero i suoi compagni.
Dieci minuti dopo, I jet rombanti decollarono uno dopo l’altro, alzandosi in volo in formazione impeccabile sopra l’immensità dell’oceano atlantico.
Dopo altri dieci minuti…si trovarono di fronte alla tempesta. Un turbinare di nubi nere come la notte, costantemente bombardate da lampi e saette. Un agglomerato di tornado e furenti masse gassose sospese nel cielo come bianche fumate.
<< Dio mio…è come se il cielo fosse vivo >> sussurrò uno dei piloti, coprendosi occasionalmente gli occhi a causa dei fulmini troppo intensi. Williams si ritrovò d’accordo con lui.
Deglutendo a fatica, la donna rispose con un debole : << Forse perché lo è >>.
Poi, alzò la punta dell’aereo e cominciò a superare lo strato temporalesco superficiale, rapidamente seguita dal resto della squadriglia.
A bordo dei caccia non c’era spazio per l’immaginazione. I vari piloti erano tutti troppo impegnati a resistere alla realtà concreta degli scossoni che cominciarono a sballottarli senza sosta.
Era solo l’effetto del vento, ma ogni volta sembrava di schiantarsi contro una parete rocciosa. Chi avrebbe mai detto che l’aria fosse tanto solida? Pensò Williams, stringendo i comandi.
Ancora peggiori della turbolenza erano le incessanti scariche elettriche che laceravano le nubi intorno a loro, talmente frequenti e vicine da illuminare a giorno l’interno dell’abitacolo.
Sono solo fulmini, continuava a ripetere tra sé il caporale, cercando di farsi coraggio.
Sembrava impossibile che gli aerei riuscissero a resistere a tutti quegli scossone, ma Williams sapeva che erano stati progettati apposta. Malgrado quella consapevolezza non le impedisse di provare preoccupazione, era conscia che il destino della squadra dipendeva da lei e si sforzò di mantenere la calma. Senza motivo le venne in mente una canzone e fischiettarla le fu di conforto. Anche se i suoi compagni non riuscirono a sentirla per via degli schianti e del frastuono, la radio della consolle era abbastanza vicina da trasmetterla al centro di comando.
Poi, senza preavviso, gli scossoni cessarono, sostituiti dal cigolio minaccioso ma familiare delle viti nelle paratie della cabina. Dopo un istante anche quel suono sparì, e l’aereo sbucò fuori dalla copertura nuvolosa. A labbra strette, Williams si concesse un sorriso di sollievo.
Avevano superato quella tremenda tempesta, e apparecchiature ed equipaggio erano incolumi.
( Trak 3 : https://www.youtube.com/watch?v=WJfdTPTFDbc )
Infine, dopo quel breve attimo di respiro, videro la figura del mostro palesarsi in mezzo a quell’inferno, una bestia la cui sola massa sembrava occupare l’intero orizzonte. Perché lui era la tempesta…e la tempesta era parte di lui.
<< Contatto visivo confermato >> sussurrò Williams, stringendo ancora una volta i comandi del caccia.
 
<< Williams, dovete attirare l’attenzione di quel figlio di puttana in qualunque modo tu ritenga necessario. Cercate di fargli cambiare rotta >> disse Rhodes alla radio. Maria Hill era accanto a lui nella sala di controllo, mentre i tecnici lavoravano con fredda determinazione ed efficienza intorno a loro.
La missione assegnata da Rhodes al gruppo di piloti era quella di allontanare il più possibile la creatura dai centri abitati, possibilmente verso il mare, dove sarebbe stata intercettata dalla marina.
Una voce femminile si fece udire dalla radio.
 << Ricevuto, signore. In avvicinamento…1000 metri. Ce l’ho nel mirino >>.
 
Il cielo sopra le campagne si riempì improvvisamente delle raffiche di mitragliatrici, mentre i vari piloti si ritrovarono di colpo di fronte all’immensa mole del loro avversario.
I proiettili, tuttavia, rimbalzarono innocui sulle scaglie dorate del mostro, come pioggia appena caduta.
Williams arricciò amble le labbra in una smorfia e scese in picchiata, pericolosamente vicino ad una delle teste della bestia.
Notando il velivolo, il capo di sinistra fece scattare le fauci a mezz’aria ma colpì il vuoto. Al contempo, la testa centrale rimase immobile, limitandosi a fissare quegli strani insetti meccanici con la coda dell’occhio.
Poi, dopo aver raggiunto il fianco della creatura, Williams premette l’interruttore che azionava il lancio dei missili.
Ne sparò due, ed entrambi finirono dritti poco sotto le ali del mostro, sprigionando fiamme lungo la membrana. In risposta a quell’attacco inaspettato, Ghidorah lanciò un urlo di pura sorpresa. 
 
<< Bel colpo, Williams >>
Rhodes strinse silenziosamente un pugno in segno di vittoria, sentendo il messaggio di uno dei piloti. Guardò Fury, che già stava passando alla mossa successiva. Si sporse verso il microfono e parlò con decisione. << Griffin, mira alle teste, cerca di colpirgli gli occhi >>
La voce del pliota rispose forte e chiara.
<< Affermativo, sono a sessanta metri dal bersaglio >>
 
L’aereo virò bruscamente, si tuffò e piantò un paio di missili nel collo della testa di destra, che rilasciò un ringhio agghiacciante. Il resto dei piloti seguì l’esempio.
Colpita diverse volte ma apparentemente non danneggiata gravemente, la creatura continuò la propria avanzata, non prima, però, di aver lanciato un’occhiata furente in direzione dei suoi assalitori.
Poi, il mostro si lanciò in picchiata su quel mare di nubi tonanti. Sopra di lui, i jet si avvicinarono a tutta velocità, facendo rimbombare il suono dei motori sopra la tempesta.
Il rumore parve irritare ulteriormente l’enorme rettile che, con un sibilo minaccioso, si tuffò tra le masse gassose e scomparve alla vista della squadriglia.
Un silenzio inesorabile sembrò calare nelle profondità del tifone, come se una mano fantasma fosse discesa dal cielo per avvolgere quell’inferno in una quiete innaturale.
I vari piloti cominciarono a guardarsi attorno freneticamente, lanciando occhiate occasionali alla strumentazione. La tempesta, tuttavia, rendeva impossibile qualunque rilevamento a lunga distanza.
E, poi, come dal nulla, l’immensa ombra di Ghidorah fuoriuscì dalle nubi con un battito d’ali.
<< Bersaglio a ore due ! >>
Non appena udirono la voce di Williams, il resto dei combattenti fissò con orrore i monitor, notando l’intermittente punto luminoso rosso che indicava la bestia, mentre questa compariva alle spalle della squadriglia.
 
<< Griffin, ti sta puntando…sganciati! >> urlò Rhodes nel microfono della radio.
<< No! È stato colpito, è stato colpito! >>
Il grido di Williams annunciò la brutta notizia, mentre uno dei punti verdi spariva dal radar.
 
Nel cielo, trafitto da un feroce e inaspettato attacco nemico, uno dei caccia si disintegrò in una pioggia di metallo rovente e schegge scintillanti. L’aereo di Williams virò, nel tentativo di sottrarsi alle inarrestabili raffiche del mostro, ma uno dei motori fu messo fuori uso da un colpo ben assestato.
<< Manovra evasiva, ora!>> ordinò Rhodes afferrandosi al bordo del tavolo fino a farsi sbiancare le nocche. La sua voce era ferma. Non si poteva dire lo stesso di quella del caporale.
<< Le teste mi circondano da ogni lato…non riesco a staccarmele di dosso !>>
Il tono di Williams era teso, come quello di chi parla a denti stretti. << Ho un motore fuori uso! Posso sfruttare solo la metà della mia velocità! >>
La risposta di Rhodes fu istantanea, il tono decisamente urgente.
<< Lanciati, Williams, ora ! >>
 
Senza perdere tempo, la donna azionò il sedile eiettabile. Nella frazione di pochi secondi, l’abitacolo dell’aereo venne sostituito dall’immensità del cielo.
Sentendo l’aria fredda e la pioggia bagnarle il volto Williams tentò di attivare il paracadute. Non ne ebbe la possibilità.
La testa centrale di Ghidorah spalancò le fauci, chiudendole proprio sopra la piccola figura della donna. Il tutto sotto gli sguardi attoniti della squadriglia e del centro di comando.
Uno dei piloti, che volteggiava al di sopra della creatura, era deciso a vendicare il caporale. Imprecò, poi scese in picchiata, avvicinandosi alla schiena del bersaglio.
<< Jason, fermati, è pericoloso!>> urlò uno dei suoi compagni, che aveva notato quell’azione. Tuttavia l’aereo di Jason continuò ad avvicinarsi al mostro, e quando gli fu davanti effettuò una repentina cabrata e cominciò a sparare.
In quel momento, un lampo abbagliante cancellò le ombre della tempesta.
Il drago vomitò dalle fauci della testa centrale una vampata di luce bianca. L’aereo di Jason oscillò come se fosse fatto di carta e, in pochi secondi, fu avvolto dalle fiamme.
Gli aerei sopravvissuti virarono con la scattante energia di una banda che fa dietro-front al fondo del campo del Rose Bowl, e le calibro 50 entrarono in azione.
I proiettili s'inabissarono nella pelle della bestia, ma la creatura sembrò non accorgersene nemmeno. Poi, ogni singola testa spalancò le fauci irte di denti acuminati.
A quel punto,il nuovo  capo squadriglia, subentrato immediatamente dopo morte di Willaims, ebbe una terribile premonizione.
<< Bastardo!>>
Ad urlare era stato un giovane ragazzo di nome Alex Newell, quasi ansante per l'impazienza.
E, anticipando l'ordine del compagno, uno dei caccia si abbassò oltre lo strato inferiore dell’uragano, mentre i rotori sollevavano una tempesta di gas e acqua piovana, appiattendo le nubi.
<< No, negativo. Risalire alla posizione precedente più cinquanta! >> gridò il caposquadriglia,  tirando la barra e facendo risalire il velivolo. Nonostante i tuoni, l'uomo sentì le rimostranze dell’equipaggio.
Vide che Alex si era già allontanato. Quali che fossero le tortuosità della sua mente, il pilota non era uno stupido, e i suoi istinti funzionavano alla perfezione.
<< Ma signore...>>
<< Ripeto, ripeto, dobbiamo risalire subito! >>
E poi, il corpo di Ghidorah rilasciò un’altra vampata di scariche elettriche.
L'esplosione scaraventò il caposquadriglia contro il sedile e sbalzò in alto l’aereo di Alex come se fosse un giocattolo. Sentì qualcuno bestemmiare e strattonò la barra.
Alle sue spalle si levarono delle grida, ma, sebbene tutti gli uomini avessero riportato ferite, l'unico a morire fu lo stesso Alex.
<< Maledizione >> berciò uno dei piloti, ma il caposquadriglia pensò che fossero passati almeno trenta secondi prima che l'uomo ci fosse davvero riuscito, secondi che gli parvero ore. Dietro lui, qualcuno stava ancora urlando.
Poi, l’aereo del caposquadriglia colpì il fianco del mostro e cominciò a precipitare. E poi un altro. E un altro ancora.
Ghidroah aveva preso a roteare su se stesso, e ogni volta che compiva quell’azione le sue immense ali si schiantavano contro un membro della piccola flotta.
I cacciatori erano diventati le prede, e non c’era nulla che potessero fare per ribaltare una situazione tanto disperata.
Dopo meno di un minuto…erano tutti morti.
 
Dal centro di comando, Fury e il resto del personale osservarono i monitor con sguardi cupi e il cuore pesante, mentre il volto di ogni pilota coinvolto dall’operazione passava dal verde al rosso, segnalandone il decesso.
Poi, quando sembrava che le cose non potessero peggiorare oltre, uno dei tecnici attirò l’attenzione del Direttore.
<< Signore…è sopra New York >>.
 


Com'era? Spero bello !
Nel prossimo cap, Ghidorah arriva a New York e avrà il suo primo incontro con un Avenger. Che cosa starà cercando proprio in quella città?
Sta a voi scoprirlo...

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ed ecco un nuovissimo capitolo! Wow, era da tanto tempo che non aggiornavo una storia così velocemente, non pensavo che sarei riuscito a pubblicare almeno un capitolo a settimana. Vedrò di continuare a mantenere il ritmo!
In questo aggiornamento avremo qualche citazione al film Spiderman : Un Nuovo Universo e a Tolkien.
Inoltre, ho realizzato un altro piccolo trailer per la storia :https://www.youtube.com/watch?v=rA1ChCzWDhQ
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare una recensione!
 

 
Capitolo 5

 
Peter Parker si tirò la maschera sulla fronte, abbassandola sugli occhi.
Buio totale per una frazione di secondo. Allineò i fori in modo da poterci vedere e continuò a calarsela sul naso, la bocca, e infine il mento.
Si guardò allo specchio : era diventato Spiderman ancora una volta.
Aprì la finestra della camera e si arrampicò sul muro esterno, con il rosso e il nero del costume che si confondevano con i mattoni e l’intonaco.
Quando arrivò sul tetto, lasciò spaziare lo sguardo sulla città. Gli edifici maestosi, i vialetti e più al centro i grattaceli che si protraevano verso il cielo come dita pronte a ghermire qualcosa.
Peter arretrò di qualche passo e ispirò a fondo, assorbendo in sé tutto ciò che aveva attorno e ricacciando indietro tutte le ansie. Poi decollò.
Prese la rincorsa e saltò giù dall’edificio. E allora guizzò da un tetto all’altro, con la stessa facilità con cui avrebbe saltato delle pozzanghere su un marciapiede, finchè non giunse nei pressi di Time Square.
Allora si tuffò in planata, sparando ragnatele da entrambe le mani per attaccarsi agli edifici, ai pali del telefono e a qualsiasi struttura fosse a portata, per poi rilanciarsi di nuovo in aria, volando altissimo sopra le persone che riempivano le strade come formiche.
Non badava nemmeno a dove stava andando, voleva solo assaporare la sensazione che gli dava volare. La sensazione che gli dava precipitare sapendo che non si sarebbe schiantato a terra.
Infine si appollaiò sul tetto di un grattacielo e prese ad osservare l’area circostante, prima di zumare con lo sguardo su un edificio in particolare: una delle numerose filiali delle Stark Industries sparse per la città. Vere e proprie miniere d’oro per chiunque fosse interessato ad accaparrarsi tecnologia di alto livello.
Il senso di ragno prese a vibrare nella sua testa.
Vide un totale di cinque uomini, armati di pistole e fucili automatici, i volti coperti da dei cappucci neri.
Criminali, sicuramente. E sembravano essere gli unici individui presenti nella stanza, al ventesimo piano del palazzo.
Peter prese un respiro profondo, e sparò un paio di ragnatele per creare una sorta di catapulta. Fatto questo, la utilizzò per lanciarsi contro la vetrata dell’edificio.
L’impattò non gli fece alcun effetto e non attuì minimamente la sua avanzata. Colpì uno dei ladri in pieno petto, scaraventandolo dall’altra parte della stanza.
I suoi compagni issarono le armi quasi d’istinto ma, forse troppo sorpresi dalla comparsa improvvisa del vigilante, non spararono.
Peter si levò alcuni pezzi di vetro dalla tuta, porgendo al gruppo di criminali un saluto pigro.
<< La ricreazione è finita, signori. E voi…sembra che finirete tutti in punizione >> disse con tono ironico.
<< Perché la tua presenza non mi sorprende ?>> commentò una voce monotona alla destra del ragazzo, cosa che lo spinse a voltarsi di colpo. A quanto pare c’era un’altra persona nella stanza…e una che l’arrampica-muri conosceva molto bene.
La figura in questione era poco più alta di lui, coperta da un’armatura meccanica aderente, simile alla sua Iron tuta. Il volto era nascosto da una maschera nera come la notte, di cui erano visibili solo le lenti bianche che fungevano da apparato visivo. Indossava un paio di guanti artigliati e non portava armi.
Il tutto era completato da un lungo mantello viola che gli arrivava fino alle scarpe.
<< Prowler! >> urlò Peter, indicando il braccio destro e sicario personale di Wilson Fisk in persona.
<< Sei sveglio come sempre >> ribatte il supercriminale, con fare impassibile.
Preso in contropiede dal commento dell’uomo, il vigilante tentò di replicare.
<< Sì? Beh, e tu ... non sei davvero tutto lì! >>
<< Oh, bella prova. Se avessi avuto un altro minuto probabilmente avresti pensato a una replica dignitosa >> rispose l’altro, battendo ambe le mani con fare beffardo.
Poi, volse la propria attenzione nei confronti dei sottoposti.
<< Uccidetelo >> ordinò con tono freddo.
Di colpo il senso di ragno di Peter si mise a vibrare al massimo, segnalandogli che uno degli uomini stava per eseguire l’ordine. Ma prima che riuscisse anche solo a premere il grilletto della propria arma, il supereroe gli aveva agguantato saldamente il polso.
Usando due dita soltanto, gli spezzò le ossa pisiformi che permettono alla mano di ruotare. I
l ladro lanciò un urlo straziante e cercò di difendersi con l’altra mano. Ma non appena si piegò su se stesso per il dolore, Peter gli rifilò un montante, facendolo oscillare all’indietro contro uno dei suoi compagni.
Gli altri due alzarono i fucili e premettero il grilletto all’unisono.
Con superba maestria, il vigilante schivò ogni colpo, compì un balzo e atterrò proprio di fronte ad uno dei criminali. Un poderoso calciò allo stomaco fu sufficiente per mandarlo a sbattere contro il muro opposto della stanza.
Peter si rivolse all’ultimo scagnozzo, ma in quel preciso istante il suo senso di ragno riprese a vibrare.
L’arrampica-muri si voltò, appena in tempo per evitare un pugno da parte di Prowler.
I successivi secondi divennero una sfocatura di colpi e corpo a corpo.
Sinistro, sinistro, schivata. Gancio sinistro, schivata. Montante destro, dritto al mento.
Peter si morse la lingua, mentre uno dei pugni del villain lo prendeva in pieno volto. Il sapore metallico del sangue gli riempì la bocca, e, prima che potesse riprendersi, un calcio al petto lo scaraventò all’indietro, mandandolo a sbattere contro una colonna.
Poi arrivò un assalto furibondo da parte dell’avversario, una vera e propria gragnola di pugni.
Il ragazzo fece del suo meglio per pararne il più possibile, prima di afferrare una lampada da tavolino e spaccarla sulla testa di Prowler.
Il villain rovinò a terra, e Peter gli sparò addosso una ragnatela per immobilizzarlo. Tuttavia, l’avversario riuscì ad evitare il colpo e a rialzarsi in piedi con una rapida capriola, mentre dai suoi guanti cominciarono a fuoriuscire proiettili.
Peter si scansò appena in tempo e mollò un pugno all’uomo. Questi lo ripagò con la stessa moneta, e i due andarono avanti a scambiarsi colpi, fin quando il supereroe sparò un’altra ragnatela, anticipando la mossa successiva del sicario.
Come previsto, Prowler scartò di lato e la tela si attaccò ad una scrivania…ma anche quello rientrava nel piano.
Peter arrotolò il filo vischioso attorno al polso destro e con uno strattone si tirò dietro il mobile, rovesciando gli oggetti che vi stavano sopra con una cacofonia tintinnante. Il rivale si voltò di scatto per evitare che la scrivania gli rovinasse addosso, e fu allora che Peter usò il lanciatore nell’altra mano per avvolgergli le gambe in una ragnatela. Distrarre e sconfiggere.
Poi, il ragazzo scaricò un fiume all’apparenza interminabile di ragnatela, finchè il villain si ritrovò intrappolato in una sorta di bozzolo bianco.
<< È finita >> decretò Peter, guardando l’uomo che si dibatteva per cercare di liberarsi. Al contempo, notò che il quarto scagnozzo se l’era data a gambe. Pazienza, non sarebbe andato troppo lontano.
Prowl alzò la testa, pronto ad inveire contro il vigilante…e si bloccò, lo sguardo puntato oltre le spalle del ragazzo.
Sotto la maschera, Peter inarcò un sopracciglio.
Si voltò in direzione della finestra. E in quel momento, il suo senso di ragno esplose.
 
                                                                                                                                                  * * * 
 
Soffiava un freddo vento settembrino, e Wanda Maximoff incrociò le braccia mentre lasciava correre lo sguardo sull'acqua della baia di New York.
Quando era arrivata sulla spiaggia c'era gente che passeggiava lungo la riva, ma le nubi l'avevano fatta allontanare già da un pezzo. Adesso era sola.
La ragazza si guardò intorno.
L'oceano, che rifletteva il colore del cielo, pareva ferro liquido, le onde si frangevano regolari sulla battigia. Pesanti nubi scendevano lentamente, e la nebbia incominciava a infittirsi nascondendo l'orizzonte.
In un altro luogo, in un altro  tempo, avrebbe avvertito la grandezza dello spettacolo che la circondava, ma ora, mentre se ne stava lì sulla sabbia, si rese conto di non provare nulla.
In un certo senso, era come se non si trovasse nemmeno lì, come se fosse tutto un sogno.
E poi…sentì un brivido attraversarle la totalità del suo corpo, con la stessa intensità di una scossa elettrica.
Accadde tutto con estrema rapidità.
Improvvisamente il cielo si rannuvolò completamente, e raffiche di vento che sollevavano nubi di polvere si levarono in direzione del litorale, investendo e gettando a terra chiunque tentasse di mettersi fortunosamente al riparo.
Sul mare, su cui incombeva ormai la penombra della tempesta, iniziarono a sollevarsi violenti spruzzi e giganteschi marosi, simili a quelli di uno tsunami, che andarono a sferzare la banchina.
Un rombo di cavalloni…Il sibilo del vento che infuriava.
Si udì un boato da far rizzare i capelli, tanto forte da spingere a chiedersi se le profondità della terra, proprio sotto i piedi di tutti, non avessero appena ceduto.
Wanda alzò lo sguardo e vide l’intera scena con occhi bagnati dall’orrore.
( Track 4 : https://www.youtube.com/watch?v=Owae32L5ZOU )
A 10 000 piedi sopra la città vi era un Boeing 747. Al suo interno vi erano almeno 200 persone, tra cui un giovane di trentasette anni appena tornato da una vacanza in Germania. Fu lui il primo a testimoniare l’attacco del mostro.
Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all'aeroporto di New York.
Finalmente, aveva pensato il ragazzo. Sono di nuovo in America. E quello fu anche il suo ultimo pensiero.
Girò appena lo sguardo verso il finestrino…e vide l’immensa ombra attraversare la coda dell’aereo come se fosse fatto di carta, aprendovi uno squarcio.
Appena pochi secondi dopo, il velivolo cominciò a precipitare.
Superò il fiume Hudson tuonando, come se fosse sostenuto dalla mano di Dio. Un drogato, in un vicolo, alzò gli occhi e pensò di avere un’allucinazione.
Il rumore dei motori fece accorrere la gente alle finestre, le facce rivolte verso l’alto come pallide fiamme. Le vetrine tintinnarono e andarono in frantumi. Le cartacce per le strade si sollevarono mulinando vorticosamente. Un poliziotto lasciò cadere la sigaretta e si portò le mani alle orecchie, gridando senza poter sentire la propria voce.
L’aereo continuava ad abbassarsi. Adesso si muoveva sopra i tetti delle case come un gigantesco uccello. L’ala di destra mancò il fianco dell’Empire State Building di soli tre metri.
Il tuono riempì il mondo.
Al contempo, Peter Parker, alias Spiderman, fissò atterrito la finestra dell’edificio in cui si trovava.
Il panorama scintillante della città era sparito. L’intera vetrata era riempita dal velivolo in arrivo.
Le luci di posizione si accendevano e si spegnevano, e per un istante, un folle istante di totale sorpresa, orrore e incredulità, il supereroe potè vedere la propria maschera riflessa sul muso dell’aereo.
Senza nemmeno tener conto delle conseguenze, cominciò a correre contro la parete opposta dell’edificio.
Pochi secondi dopo, l’aereo colpì in pieno il palazzo, a tre quarti della sua altezza. Le velocità era leggermente superiore agli ottocento chilometri orari.
L’esplosione fu tremenda, incendiò il cielo e fece piovere fiamme per una distanza di venti isolati, nei pressi di Time Square.
Peter non ebbe nemmeno il tempo di soffermarsi sul fatto che Prowl e i suoi scagnozzi erano quasi sicuramente morti. Sfondò la vetrata dell’edificio poco prima che il velivolo lo colpisse e utilizzò l’onda d’urto conseguente per scaraventare il proprio corpo il più lontano possibile dal centro dell’impatto.
Cadde sulla strada duecento metri più avanti, utilizzando una ragnatela per attutire il colpo. Tuttavia, si ruppe comunque diverse ossa.
Attorno a lui, la gente cominciò a correre a gridare, in preda ad un’isteria di massa.
Ignorando il fischio costante che gli martellava le orecchie, il ragazzo alzò gli occhi al cielo e rimase come impietrito di fronte a ciò che vide.
La grande ombra scese come una nuvola cadente. Ed ella apparteneva ad una creatura alata. Ma non era un uccello, poiché dorato e sprovvisto di penne.
Era forse un demone? Nessuno degli umani presenti ebbe la possibilità di domandarselo, poiché l’ombra volante puntò verso terra e, infine, piegando le ali, lanciò un urlo gracchiante che scosse gli animi di ogni essere vivente nel raggio di diversi chilometri.
Un totale di tre lunghi colli fuoriusciva dal corpo tozzo del mostro. Ciascuno di essi sorreggeva una piccola testa dalle fattezze rettili.
Ogni capo terminava con un paio di corni aguzzi, coronati da denti affilati e occhi rossi come il sangue.
La bestia si posò sulla strada, provocando un sonoro tonfo e sollevando una nube di detriti.
Il denso fumo della polvere avvolse la zona, mentre il selvaggio ruggito della creatura si faceva strada attraverso di esso. Infine emerse dalle volute di pulviscolo, e ogni particolare del suo raccapricciante aspetto fu visibile.
Era talmente grande da costringere chiunque ad alzare lo sguardo verso il cielo per poterne vedere la sommità.
I cittadini che si trovavano nella zona d’atterraggio rimasero completamente immobili, troppo spaventati anche solo per prendere in considerazione la possibilità di fuggire.
( Track 5 : https://www.youtube.com/watch?v=SVOEkEb1JCY )
Proprio in quel momento, un rumore metallico lacerò il cielo a nordest, segnando l’apparizione di una formazione di caccia.
Fu proprio quello il segnale che spinse i vari passanti a cercare riparo. Poco dopo, una pioggia di proiettili si riversò su tutta la zona, investendo il corpo del drago e facendo a pezzi tutto ciò con cui entrava in contatto.
Incurante dei bozzoli che gli venivano scaricati addosso, Ghidorah emise un sordo ululato.
Avanzando, abbattè con una zampa un grande deposito, schiacciò al suolo un’inferriata e violò il quartiere di Time square.
Gli aerei virarono, riprendendo l’assalto, il tutto mentre mostro sembrava fuori di sé dalla rabbia.
Ogni volta che espiravano furiosamente, le tre teste sollevavano una tempesta di polvere, mentre si guardavano attorno aprendo le fauci e continuando ad emettere versi orripilanti.
La gente si rifugiò nei vicoli, tenendosi la testa tra le mani e raggomitolandosi su se stessa.
Poi, il drago tricefalo rilasciò un sibilo, proprio mentre i caccia cominciarono ad avvicinarsi.
L’enorme massa del suo corpo aveva iniziato a tremare visibilmente e in maniera minacciosa.
Il bagliore dorato che lo circondava si concentrò sui lunghi colli, e questi presero a irradiare una luminosità sempre più intensa. Le fauci si aprirono ancora una volta, mettendo in evidenza cavità oscenamente rosse, e quando tutti pensarono che la creatura stesse per emettere l’ennesimo ruggito furente, accadde ancora una volta l’impensabile.
Dalle gole eruttò un raggio dorato e abbagliante, che illuminò a giorno tutti i dintorni e che si conficcò attorno all’area come un coltello incandescente.
Qualsiasi cosa colpisse prese immediatamente fuoco, e in pochi istanti tutta la zona si tramutò in un infernale mare di fiamme.
Gli aerei furono troppo lenti e vennero tutti polverizzati nella frazione di pochi secondi. I loro resti precipitarono a terra, distruggendo gli edifici sottostanti e uccidendo gli ignari passanti che non erano ancora riusciti  a trovare riparo.
Ghidorah, la cui furia non accennava minimamente a dileguarsi, iniziò a dirigersi verso il centro di Time Square, vomitando quel penetrante bagliore incandescente su qualsiasi cosa, calpestando e abbattendo ogni edificio sul suo percorso.
Tramite i telegiornali e i film, molti avevano visto di cosa fosse capace un lanciafiamme a piena potenza. Da quella piccola bocca, simile a quella di un normale fucile, poteva essere proiettata una divampante colonna di fuoco di almeno quindici metri, utile a stanare in un colpo solo tutti i bersagli appostati all’interno di un edificio. Ma il bagliore elettrico che eruttava dalle fauci dell’essere diffondeva in pochi istanti una colonna centinaia di volte più potente di qualsiasi lanciafiamme, e la sua intensità luminosa era simile a quella di un riflettore che fende il cielo notturno.
Perfino membri della polizia correvano ovunque in cerca di una via di scampo. Dietro di loro, Ghidorah, come una montagna vivente, schiacciava passo dopo passo tutti gli edifici più bassi. Qualsiasi palazzo di grandi dimensioni veniva invece abbattuto dai fasci elettrici.
Le autopompe dei vigili del fuoco iniziarono a convergere in quella direzione a sirene spiegate, ma l’incombente presenza dell’immensa bestia impedì loro di mettersi all’opera. I vigili del fuoco rimasero impotenti a guardare la scena, accerchiando la zona da lontano, stupefatti di quanto stava accadendo.
Una volta giunto al centro della piazza, il drago si fermò di colpo. Rizzandosi di scatto in tutta la sua altezza, Ghidorah si guardò intorno con occhi fin troppo penetranti per essere quelli di un semplice animale.
Incurante di quanto stesse accadendo, la campana dell’orologio sulla torre al lato opposto della strada rintoccò, come faceva ogni giorno.
Ghidorah fissò per alcuni istanti quello strano oggetto rumoroso, tanto che molti furono lieti di aver letto perplessità nel profondo del suo sguardo bestiale. Poi, la testa di destra emise un tremendo ululato, e con i denti afferrò saldamente l’edificio.
Lo strattonò fino a quando non riuscì a spezzarlo, poi ne estrasse i resti dell’orologio e li sparpagliò per tutta la zona, sotto lo sguardo apparentemente divertito della testa centrale.
Sulla terrazza di una stazione radio, un annunciatore continuava a gridare nel microfono per informare gli ascoltatori. Ma il suo tono era disperato, quasi un grido di morte.
<< Incredibile, assolutamente incredibile! Questo assurdo avvenimento sta accadendo proprio ora, davanti ai miei occhi. Dopo il passaggio della creatura, l’intera Time Square è diventata un mare di fiamme. Non importa dove punti lo sguardo, sono visibili solo fumo e macerie! A chiunque mi stia ascoltando, vi ricordo che questo non è nè uno spettacolo teatrale né un film! Si tratta di un evento reale, che sta accadendo proprio in questo istante…>>
Si bloccò di colpo, quando vide che la testa di sinistra stava puntando direttamente verso di lui, quasi come se lo stesse fissando.
L’uomo spalancò la bocca in un grido silenzioso, mentre la creatura sorrideva con intenti malevoli.
Aprì le fauci, e da esse si preparò a fuoriuscire un altro bagliore. Tuttavia, poco prima che il mostro potesse completare l’azione, qualcosa di piccolo saltò sul muso dell’essere, costringendolo a fermarsi.
Gli occhi del drago si concentrarono sull’intruso, mentre la testa emetteva un grugnito perplesso.
Il suono attirò l’attenzione delle altre due, che presero a fissare il compagno con lieve interesse.
Peter cercò di non sudare, mentre si ripeteva mentalmente che quella era forse l’idea più stupida che gli fosse mai venuta in mente.
Tenendosi in equilibrio tra le narici del mostro, alzò la mano destra e disse : << Drago cattivo! >>
Poi, sparò una granata web dritta nell’occhio del rettile, che gridò per la sorpresa.
Con un ringhio apparentemente irritato, la testa di destra spalancò le fauci e tentò di addentare il supereroe. Questi compì un balzo a mezz’aria, evitando l’attacco e atterrando sulla cima di quella centrale.
La testa in questione si sollevò di scatto, facendogli perdere momentaneamente la presa. Il tutto mentre quella di destra riprendeva l’assalto con insistenza, scoccando le robuste mascelle a mezz’aria.
Capendo che non sarebbe durato a lungo in quella posizione, Peter si lasciò cadere sulla strada.
Il capo dalle fattezze rettili sibilò per la collera e spalancò nuovamente la bocca irta di denti acuminati.
Il torrente di energia elettrica investì l’area circostante con l’intensità di un treno in corsa, sollevando pezzi di cemento e automobili.
Fortunatamente per l’arrampica-muri, la conseguente nuvola di polvere lo nascose brevemente alla vista del mostro. Questo era tutto ciò di cui il ragazzo aveva bisogno.
Senza perdere tempo, si lanciò all’interno del primo edificio che gli capitò a tiro, sperando con tutto il cuore che il drago tricefalo non l’avesse notato.
Una volta trovato un punto in cui potersi nascondere, scrutò il panorama che si stagliava oltre l’ingresso di quell’improvvisata roccaforte.
Il cielo della metropoli, che nel giro di poche ore era irriconoscibilmente cambiata, ridotta all’ombra di ciò che era stata, era ancora offuscata dal fumo e dalle fiamme che non accennavano a disperdersi.
Peter si guardò rapidamente attorno, notando che non era solo. C’erano altre persone assieme a lui, visibilmente terrorizzate.
Una madre e i suoi figli si trovavano accovacciati, senza muoversi minimamente, vicino  all’ingresso posteriore dell’edificio, malgrado dalle finestre sopra le loro teste uscissero fiamme.
La donna stringeva forte i suoi due bambini, e bisbigliava, come se stesse pregando, tra le faville che si riversavano su di loro.
<< Stiamo per raggiungere papà, piccoli miei…fra poco rivedremo papà >> sussurrò quasi a se stessa, mentre i corpicini dei figli cominciarono a tremare.
Peter avrebbe voluto avvicinarsi, per dire loro che tutto si sarebbe risolto, che non c’era nulla di cui avere paura. Ma in quel momento…
<< Allora…mortale >> risuonò una voce bassa e cavernosa, costringendo il supereroi a bloccarsi.
Peter girò appena lo sguardo e intravide l’enorme testa centrale del drago che si abbassava al livello della strada.
Poi, la creatura sembrò arricciare ambe le labbra in un sorriso crudele, mostrando i denti acuminati.
<< Avverto il tuo respiro. Percepisco la tua paura >> sibilò il mostro, mentre il cuore del ragazzo cominciò a battere a mille.
Quella bestia…quella creatura che aveva portato così tanta morte e distruzione in meno di mezz’ora…aveva appena parlato. Era un essere dotato di intelligenza, un’intelligenza apparentemente umana.
Aveva fatto tutto questo di sua spontanea volontà, uccidendo tutte quelle persone con la consapevolezza che sarebbero morte e che altri avrebbero sofferto.
Un’ondata di rabbia attraversò il corpo del supereroe, mentre il drago tricefalo continuava a guardarsi attorno con occhi malevoli.
 << Dove ssssei, tu? Dove sei ?>> sussurrò, dopo aver preso un paio di annusate dell’aria circostante.
La creatura girò intorno alla fiancata dell’edificio e giunse nel punto da cui Peter era entrato. Sostò là, mentre la testa di sinistra si piegò all’ingiù, verso il terreno.
Peter si voltò a guardare la madre e i bambini. I loro volti erano tesi, mentre cercavano di nascondersi nella penombra della stanza.
L’enorme testa si girò indietro formando un arco, mascelle aperte, e poi si fermò vicino ai finestrini laterali del grattacielo. Nel bagliore di un fulmine, Peter vide muoversi il luccicante occhio del rettile.
Stava guardando dritto dentro l’edificio.
Il respiro di uno dei bambini stava uscendo in striduli, terrorizzati singulti. La madre si distese e gli strinse il braccio, sperando di calmarlo.
Al contempo, la testa continuò a guardare a lungo. Poi si sollevò nuovamente, fuori dalla visuale.
<< Coraggio, non fare il timido >> disse quella centrale, con cupo divertimento. << Mostrati alla luce >>.
Poi, la testa di destra si chinò, bloccando la visuale del ragazzo. Si mosse attorno alla fiancata dell’edificio, verso il punto in cui si trovava la famiglia.
La bestia sbuffò, un profondo ruggito assordante che si mescolò ad un altro tuono. Affondò le fauci nel muro del grattacielo e con una scrollata ne strappo via una pezzo di notevoli dimensioni.
L’intero edificio tremo, mentre pezzi di soffitto caddero pesantemente lungo il pavimento della stanza.
Peter sentì l’alito caldo e nauseabondo della creatura e una spessa, grossa lingua infiltrarsi nella stanza attraverso il buco appena aperto. La protuberanza, simile a quella di un serpente, leccò avidamente attorno, poi la testa si sollevò bruscamente.
Peter ebbe appena il coraggio di scrutare oltre il proprio nascondiglio, e vide la testa centrale che scrutava i dintorni con un luccichio dubbioso negli occhi.
<< C’è qualcosa in te…qualcosa di diverso. Qualcosa dentro di te. Posso sentirlo…che striscia tra le tue carni come un insetto. Una creatura delle ombre >> sibilò all’improvviso, facendo schioccare le mascelle.
Come dal nulla, una presenza sconosciuta sembrò discendere sul corpo di Peter, inchiodandolo sul posto.
Proprio com’era accaduto quella stessa mattina, si sentiva come un animale in trappola. Percepì un brivido attraversargli la spina dorsale, i muscoli, le ossa…come se le parole della creatura avessero allarmato qualcosa dentro di lui, qualcosa di primitivo e oscuro.
<< Lo sento scorrere nelle tue vene…nel tuo sangue >> continuò il mostro, facendo le fusa con sadico piacere. << È affamato. Pensi di poterlo controllare? >>
Peter deglutì a fatica, con la gola improvvisamente secca.
Lanciò una rapida occhiata in direzione della famiglia, che ora avevano gli sguardi terrorizzati puntati direttamente su di lui.
Prendendo un paio di respiri calmanti, il supereroe fece loro segna di rimanere in silenzio e fuoriuscì lentamente dal nascondiglio, passando per lo squarcio aperto nel fianco dell’edificio.
La sua presenza attirò immediatamente l’attenzione del mostro tricefalo.
Il drago guardò Peter, piegando indietro la testa centrale per fissarlo col suo grande occhio color sangue. Si mosse vicino al ragazzo e cominciò a scrutarlo.
<< Ah, eccoti qua, mortale! Nell’ombra>> disse con un sorriso malizioso, mentre la testa di destra lo scrutava con intenti malevoli. Al contempo, quella di sinistra sembrò ridacchiare, un riso simile a quello di una iena, e prese ad osservarlo da varie angolazioni.
<< Come va? >> salutò Peter, alzando la mano desta con fare disinvolto.
La testa centrale si piegò ulteriormente in avanti e cominciò ad annusarlo.
<< Ho viaggiato a lungo, ma non rammento di aver mai fiutato la tua specie prima >> commentò con vivo interesse. << Chi sei tu, da dove provieni? Posso chiedere?>>
Il ragazzo deglutì una seconda volta, cercando di mantenere una mente lucida e i nervi saldi nonostante l’assurdità dell’intera situazione.
<< Io…io sono Spiderman >> disse dopo alcuni secondi di silenzio.
Se possibile, il sorriso sul volto della creatura sembrò farsi più grande.
<< Spiderman ? Un nome davvero interessante >> sibilò quasi a se stesso, prima di inclinare leggermente la testa. << E dimmi…Spiderman…che cosa sostieni di essere? >>
<< Sono…ugh… >> si interruppe bruscamente, percependo il puzzò di morte che proveniva dalle fauci dell’essere, << Sono…umano >>
<< Ah, umani, sì…un termine assai più familiare >> commentò il drago, con tono di voce decisamente più sprezzante. << Una razza di parassiti. Vermi che brulicano nel cosmo come mosche sulla carne morta. Convinti della propria superiorità sulle altre specie >>
Annuì a se stesso e tornò a scrutare attentamente il ragazzo.
<< Ma tu…non sembri completamente umano, o sbaglio ?>> chiese con quel luccichio curioso negli occhi, mentre la lingua biforcuta della testa di sinistra indugiava pericolosamente vicino al suo corpo.
Tentando di ignorare quell’azione, Peter si concentrò su quella centrale, che sembrava essere l’unica del trio a possedere la capacità di parlare. Doveva essere il leader.
Prese un respiro profondo e disse : << Bhe, no. Vedi, io sono un supereroe…>>
<< Un eroe ! >> esclamò all’improvviso il drago, facendolo sobbalzare.
La testa centrale scoppiò in una sonora risata, venendo prontamente imitata da quella di sinistra. Quella di destra, al contrario, si limitò a fissare il ragazzo con aria stoica, stringendo appena le palpebre degli occhi.
<< Questo si che è interessante >> commentò il mostro, dopo quella breve manifestazione di divertimento.
Peter deglutì una terza volta e compì un paio di colpi di tosse.
<< E tu…ehm…chi sei ? Uhm…se non sono troppo indiscreto, ovviamente >> disse rapidamente, per nulla desideroso di far infuriare quell’abominio.
Il mostro inarcò un sopracciglio e rilasciò uno sbuffo sprezzante.
<< Questo pianeta dev’essere molto più primitivo di quanto pensassi se le voci delle mie gesta non sono giunte alle vostre orecchie >> affermò con tono di fatto.
Poi, allargò le immense ali, sollevando una nuvola di polvere e detriti. Peter dovette fare appello a gran parte della propria forza per evitare di essere sbalzato via dalla corrente d’aria improvvisa.
La testa centrale sorriso sottilmente e proclamò a gran voce : << Sono Ghidorah! Dominatore di Exifaculus(1)... indiscusso signore di tutto ciò che contemplo. E di molto che non contemplo! Miliardi di vite sono mie, da graziare oppure spegnere come la fiamma di una candela. Le maggiori macchine da guerra mai create mi rendono omaggio. Sono la cosa più vicina ad un essere supremo che l'universo abbia mai conosciuto da tempo immemore >>
<< E anche molto pieno di se stesso >> borbottò Peter a bassa voce, attirando lo sguardo sospettoso dell’essere.
<< Che cos’hai detto ?>> chiese questi, con tono pericoloso.
Rendendosi conto del proprio errore, il ragazzo si affrettò a placare la creatura.
<< Ah, ehm, ho detto che la vostra presentazione non rende certo giustizia alla tua, ehm…enormità, o possente Ghidorah >>
<< Credi davvero che le lusinghe ti terranno in vita? >> domandò l’altro, con un sottofondo di divertimento.
Il sangue di Peter gli si gelò nelle vene.
<< Oh, no, certo che no >> disse rapidamente, compiendo un inconsapevole passo all’indietro.
<< No, infatti >> confermò il drago, prima di avvicinare nuovamente la testa all’esile figura del supereroe. << Ma devo ammettere di essere, almeno in parte…colpito >>
<< C-colpito ?>> balbettò questi, rabbrividendo alla vicinanza che separava i due.
La creatura ridacchiò ancora una volta.
<< Oh, assolutamente ! Vedi, Non avevo mai incontrato un eroe vivo prima d'oggi. Credevo esistessero solo in poesia >>  affermò con sadico divertimento.<< Ah, ah, deve essere un peso terribile, però, essere un eroe. Un mietitore di gloria, falciatore di mostri! Tutti che ti tengono continuamente d'occhio per controllare se ti comporti ancora in modo eroico. Senz'altro sai di che cosa parlo >>
E, per quanto potesse sembrare strano, Peter lo sapeva bene. Dopotutto, era stato criticato dalla stampa diverse volte, con molte persone che lo ritenevano una minaccia per il semplice fatto che, rispetto agli altri Avengers, la sua identità rimaneva tutt’ora un mistero.
Consapevole di aver toccato un nervo scoperto, Ghidorah ridacchiò soddisfatto.
 << Prima o poi la vergine del raccolto commetterà un errore sul mucchio di fieno.  E che scomodità! Dover stare eretto tutto il tempo, usare sempre un nobile linguaggio. Dev'essere logorante a lungo andare>> commentò con tono quasi accondiscendente, mentre con il lungo collo circumnaviga l’esile figura del vigilante.
Peter strinse i pugni, cercando di nascondere il proprio disagio.
<< Ma senza dubbio dà anche delle soddisfazioni >> sibilò il drago, facendo schioccare la lingua biforcuta. << La piacevole sensazione d'immensa superiorità, i facili successi con le femmine... E la gioia che proviene dal conoscersi a fondo, quella sì che è una grande compensazione. La certezza assoluta che in qualsiasi pericolo, davanti a qualsivoglia avversità, non cederai, ti comporterai con la dignità dell'eroe…fino alla tomba >>
E poi, l’enorme testa si tirò indietro, issandosi da terra e scrutando il ragazzo con quel luccichio malevolo negli occhi color sangue.
<< Sono quasi tentato di lasciarti andare. Osservare come coloro a cui tieni cominciano a spegnersi attorno a te…mentre le persone che affermi di proteggere si ribellano e ti conducono al patibolo >> sussurrò con un ghigno predatorio.
E, anche se solo per un istante, Peter sperò che Ghidorah lo avrebbe fatto davvero. Tuttavia, le successive parole del drago furono sufficienti a schiacciare anche quella flebile speranza.
<< Ma non  lo farò. Il nostro piccolo gioco finisce qui >> dichiarò la bestia, mentre anche i suoi compagni sorridevano con aspettativa. << Quindi, dimmi…ereoe. Come scegli di morire?>>
Peter ebbe un brivido improvviso.
Poi, la testa centrale si spinse in avanti verso di lui, con le mascelle aperte.
 
 

Dum, dum, duuuuuum! Peter è vivo? Oppure è morto? Dovrete aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo ;)
Ebbene sì, in questa fan fiction Ghidorah sa parlare. Dopotutto, un buon villain non deve solo rappresentare una sfida sul piano fisico, ma anche quello psicologico.
Nel film Mothra 3 e nell’anime Godzilla – Il Mangia Pianeti, il drago in questione possedeva la capacità di comunicare con gli umani attraverso la telepatia, ma qui ho preferito dargli una parlata alla Smaug ( Immaginatevelo pure con la voce di Luca Ward ), infatti alcune frasi che pronuncia sono proprio un omaggio al Re sotto la Montagna.
Solo la Testa Centrale può parlare, ma le altre due possono comunque capire il linguaggio umano.
( 1 ) Exifaculus è un pianeta del film Godzilla – Il Mangia Pianeti, la cui razza è completamente asservita a Ghidorah e vaga per lo spazio alla ricerca di pianeti da consumare sotto i comandi del loro signore.
Prowler, invece, è l’antagonista secondario del film Spiderman – Un Nuovo Universo ( ve lo consiglio vivamente ), ed è il braccio destro di Wilson Fisk, alias Kingpin.
Ecco un’immagine del personaggio.https://villains.fandom.com/wiki/Prowler_(Spider-Man:_Into_the_Spider-Verse)
Nel prossimo capitolo avremo la prima grande battaglia della storia, per cui non perdetevelo !

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Come sempre, vi consiglio di visitare le note piè di pagina, nel caso vi sentiate confusi da alcuni contenuti o informazioni inserite nella storia.
Ero piuttosto indeciso su quale musica usare per accompagnare lo scontro devastante che avverrà nel capitolo, ma alla fine penso di aver fatto la scelta giusta.
Vi auguro una buon lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare una recensione!
 
 
Capitolo 6
 
Nel laboratorio di biologia al terzo piano delle Pym Industries, Scott Lang , 40 anni, abbassò lentamente nella gabbia di vetro le pinze di plastica. Poi, con un colpo secco, immobilizzò il centopiedi afferrandolo dietro la testa.
L’artropode sibilò e squittì furioso, mentre Scott allungava la mano, lo teneva stretto dietro le antenne filiformi e lo tirava su verso la fiala per la mungitura.
Strofinò la membrana della fiala con un tampone impregnato d’alcol, vi fece affondare le mandibole uncinate dell’animale e stette a guardare mentre il veleno giallognolo colava nel recipiente di vetro.
La dose raccolta era deludente, appena pochi millimetri. Gli sarebbe servita una mezza dozzina di centopiedi per poter estrarre sufficiente veleno per i suoi studi, ma non laboratorio non c’era spazio per accoglierli.
Esisteva un terrario a San Francisco, ma gli animali tendevano ad ammalarsi e Scott voleva avere gli esemplari a portata di mano, così da poterne controllare la salute.
Il veleno veniva facilmente contaminato dai batteri : per questo aveva disinfettato la membrana con l’alcol e teneva la fiala posata su uno strato di ghiaccio.
La ricerca di Scott verteva sulla bioattività di certi polipeptidi presenti nel veleno  dei centopiedi e il suo lavoro s’inseriva in un vasto progetto che comprendeva serpenti, rane, ragni, e tutti quegli animali che producevano tossine neuro attive.
Scott aveva appena rimesso il centopiedi nella gabbia, quando nel laboratorio entrò una seconda figura. Una donna alta e dai lineamenti delicati, con lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Si trattava di Hope Lang, moglie di Scott e partner del supereroe Antman, nota con il nome di Wasp.
<< Vedo che non indossi i guanti >> osservò la mora, con un cipiglio scontento.
<< Nope >> replicò Scott, il volto adornato da un sorriso impertinente. << Ho acquistato una certa sicurezza >>
<< Ne sono sicura >> ribattè l’altra, baciandolo rapidamente sulla guancia. << Ma l’ultima cosa che voglio è dover trascinare mio marito all’ospedale per il morso di una scolopendra gigante…anche se sarebbe molto divertente da raccontare a papà >>
L’uomo arricciò le labbra in un broncio, come se le parole della donna lo avessero realmente ferito. Quest’ultima si limitò a roteare gli occhi. Scott era sicuramente una persona dalla mente brillante, ma a volte si comportava proprio come un bambino.
<< Hai già dato da mangiare al nostro amichetto? >> chiese con circospezione, mentre procedeva ad indossare il camice da laboratorio.
Scott lanciò una rapida occhiata in direzione del centopiedi e fece una smorfia.
<< Ugh, lo sai che detesto vedere quella roba >>
<< Ricordami il perché >> disse l’altra, incrociando ambe le braccia davanti al petto e lanciando al compagno un sorriso divertito.
L’uomo scrollò le spalle.
<< Mi sembra talmente crudele >>
<< Tutti devono mangiare, Scott >> ribattè Hope, tirando fuori un barattolo contente alcuni grilli ancora vivi.
Poi, afferrò un paio di pinze e le usò per inserirne uno all’interno della gabbia del centopiedi.
Non appena l’insetto atterrò nel terrario, l’artropode si drizzò di colpo e fece scattare le fauci, agitando le antenne. Sembrava quasi un serpente sul punto di attaccare.
Il grillo cominciò a saltare da una parte all’altra del contenitore, mentre il centopiedi si avvicinava alla preda con passo furtivo. Una volta che la distanza tra i due animali venne ridotta a soli pochi centimetri, l’artropode balzò in avanti e affondò gli uncini nel ventre del grillo, iniettando copiose quantità di veleno nel suo organismo.
L’insetto iniziò a contorcersi e il centopiedi lo avvolse con le sue spire in un abbraccio mortale, impedendo ogni tentativo di fuga. Il tutto sotto lo sguardo disgustato di Scott.
<< Vedi, è proprio per questo che sono diventato vegetariano >>
<< Non credi che le piante provino sentimenti? >> ribattè Hope, con tono canzonatorio.
Il marito la fissò stizzito e abbaiò una finta risata.
<< Ah, ah, molto divertente >> borbottò a bassa voce.
Hope si limitò a sorridergli. Poi, si fermò davanti ad una tavola di dissezione e cominciò a lavorare con il bisturi su un grosso coleottero nero.
<< Cos’hai lì? >> chiese Scott, affiancandosi alla moglie e osservando il suddetto animale con estrema attenzione.
<< Un coleottero bombardiere >> rispose lei, senza mai distogliere lo sguardo dall’esemplare. << Un Pheropsphus australiano che spruzza in modo esplosivo >>
<< E che cos’ha di speciale ?>> domandò l’uomo, visibilmente incuriosito. Dopotutto, aveva già visto Hope lavorare su certi animali, ma questa specie non gli era familiare.  
I coleotteri bombardieri traevano il loro nome dal fatto che erano in grado di sparare fuori un getto di fluido caldo e nocivo, puntandolo in tutte le direzioni, da una specie di torretta rotante posta sull’estremità dell’addome. Il fluido era sufficientemente sgradevole da tenere lontani i rospi e gli uccelli che avrebbero voluto mangiarseli e abbastanza tossico da uccidere sul colpo gli insetti più piccoli.
Le modalità del meccanismo erano state studiate fin dai primi anni del XX secolo ed erano ormai note.
<< Grazie a certe sostanze immagazzinate nel corpo… >> spiegò la donna, << i coleotteri producono uno spruzzo bollente di benzochinone. Hanno due sacche nella parte posteriore dell’addome : le sto sezionando adesso, le vedi? La prima sacca contiene l’idrochinone e l’ossidante, il perossido d’idrogeno. La seconda sacca è una camera di reazione, rigida, contenente enzimi, catalisi e per ossidasi. Quando viene attaccato, tramite un muscolo il coleottero riversa il contenuto della prima sacca nella seconda, dove tutti gli ingredienti si combinano dando origine ad un getto esplosivo di benzochinone >>
<< E questo particolare coleottero? >> chiese Scott, sedendosi accanto a lei.
Hope iniziò ad aprire il torace dell’animale.
<< Nel suo armamento c’è qualcosa in più. Produce anche un chetone, il 2-tridecanone. Il chetone possiede proprietà repellenti, ma agisce anche da tensioattivo, agente bagnante che accelera la diffusione del benzochinone. Voglio sapere da dove viene fabbricato, in modo da poterlo replicare e usarlo come arma. Un po’ come con i miei attacchi ad energia, potrebbe rivelarsi molto utile in battaglia >>
<< Non credi che lo fabbrichi il coleottero?>>  domandò l’altro, con un’espressione contemplativa.
Hope scrollò le spalle e comincio ad incidere la parte inferiore dell’addome.
<< Non necessariamente, no. Potrebbe aver immagazzinato dei batteri in grado di confezionare il chetone >>
Scott annuì comprensivo.
In fondo, succedeva abbastanza spesso in natura. Produrre sostanze chimiche per difendersi consumava energia, perciò se un animale poteva incorporare batteri in grado di fare il lavoro al posto suo, tanto meglio.
Mentre la moglie era intenta a dissezionare l’insetto, l’uomo estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e cominciò a far scorrere le notizie del giorno. In un mondo come il loro era diventato un buon modo per tenersi aggiornati sulle potenziali situazioni che richiedessero il loro intervento, o quello di altri umani dotati di capacità fuori dal comune.
Poi, come dal nulla, un servizio ben specifico attirò l’attenzione del supereroe.
Aprì il suddetto file…e rimase come pietrificato da ciò che mostrava l’articolo.  Fu costretto a rileggerlo più volte, per essere sicuro che non fosse un qualche tipo di bufala.
Tuttavia, il fatto che alla fine dello scritto fosse stato inserito pure un video riguardante l’evento…bhe, fu la prova definitiva di ciò che stava accadendo a New York in quel preciso istante.
<< Ehm…amore >> disse con voce tremante, attirando lo sguardo della donna.<< Penso che dovresti vedere questo. E sarà anche il caso di recuperare subito le tute >>
 
                                                                                                                                                    * * *
 
Facendosi schermo con una mano dal fulgore del sole, Daisy Johnson, nome in codice Quake, posò gli occhi color nocciola sullo spettacolo del gabbiano che planava elegantemente nella scia della nave da crociera, volteggiando sopra il picco di carico poppiero.
Ammaliata, rimase diversi minuti a contemplare l'ineguagliabile grazia con cui l'uccello marino si librava in volo, finché, con moto subitaneo d'impazienza, non si drizzò a sedere sulla malandata sedia a sdraio consumata dalla salsedine. Senza che se ne accorgesse, sulla schiena abbronzata apparvero i segni rossi, distanziati a intervalli regolari, impressi dalle stecche dello schienale.
Si guardò intorno, ma del personale addetto al ponte di coperta neanche l'ombra, perciò ne approfittò per riassettarsi pudicamente il reggiseno a balconcino del succinto bikini e mettersi così più a suo agio.
Era diventata un’Avenger poco meno di due anni fa, ma aveva lavorato per lo Shield dalla prima invasione di Chitauri avvenuta nel 2012.
Da quel momento in poi, aveva avuto ben poche occasioni di godersi una meritata vacanza, motivo per cui era intenzionata ad approfittare di questa crociera offerta dall’agenzia il più possibile, prima che la prossima ed ennesima crisi globale la richiamasse al fronte.
Con un sospiro contento, si accasciò ancora una volta sulla sdraio, quando…
BZZZZZZ
Il comunicatore che si portava sempre appresso cominciò a suonare.
Era un dispositivo collegato ad un canale riservato, ragion per cui sapeva esattamente chi la stesse contattando. E dato che aveva avvertito più volte quella persona di non chiamarla a meno che il mondo non fosse sull’orlo della catastrofe più totale…bhe, diciamo solo che la donna divenne presto consapevole del fatto che la giornata stava per prendere una piega alquanto diversa da quella che aveva inizialmente sperato.
Daisy afferrò il comunicatore e se lo portò all’orecchio, con uno sguardo visibilmente stizzito.
<< Phil Coulson, giuro che se questa non è la fine del mondo, io…>>
<< Mi dispiace dovertelo dire… >> annunciò la voce di un uomo che secondo i record ufficiali dello Shield era morto nel 2012 per mano di Loki Laufeyson, << ma penso proprio che potrebbe esserlo >>.
 
                                                                                                                                                               * * * 
 
Budapest non era certo nuova alla guerra.
In molti secoli di sangue, la capitale ungherese era stata contesa e occupata da una lunga serie di conquistatori -unni, goti, magiari, turchi, asburgici, nazisti e sovietici — prima di ottenere, alla fine del Ventesimo secolo, la tanto agognata indipendenza.
Ma quei semplici conflitti durati appena pochi anni erano ben poca cosa, in confronto all'oscura guerra senza tempo che si combatteva tra le ombre della città : la guerra al terrorismo. E attualmente stava prendendo piede in una strada per lo più abbandonata, situata nella periferia ovest del complesso urbano.
Al centro della schermaglia vi erano due figure dalle fattezze assai inusuali.
La prima apparteneva ad un uomo alto e ben piazzato, dalla muscolatura prominente e dai lunghi capelli castani che gli arrivavano fino alle spalle. Tratto distintivo era il braccio destro, metallico e lucente sotto i raggi del sole pomeridiano, simbolo inconfutabile della sua identità : Bucky Barnes, il Lupo Bianco, ex agente dell’Hydra conosciuto come il Soldato d’Inverno.
Ad affiancarlo era un uomo di colore poco più basso di lui, indossante una spessa armatura cremisi, la cui parte posteriore era adornata dalla presenza di una coppia di ali rivestite in kevlar e acciaio temprato.
Costui era uno dei primi Avengers che presero posto nella squadra dopo la crisi Ultron avvenuta nell’ormai lontano 2014 : Sam Wilson, alias Falcon.
Sotto il rumore dei colpi, il rinomato supereroe sentì alcuni uomini abbaiare degli ordini.
Prese le armi e balzò a mezz’aria, le ali meccaniche che si aprivano come un ventaglio. Le pistole automatiche spararono ciascuna due, quattro, sei, otto scariche prima che avesse toccato terra nello spazio che si era aperto in mezzo ai combattenti nemici.
Con un rapido calcio spaccò le mascelle di due avversari. Un calcio rotante ne fece cadere a terra altri tre.
A pochi metri da lui, Bucky risistemò le pistole nelle fondine, si portò il braccio metallico alla schiena e afferrò due manganelli. Uno scatto di ciascuno polso e si allungarono di sessanta centimetri.
Iniziò a frantumare le teste dei terroristi con rapida e spietata efficienza.
Le armi cominciarono a ruotare, ora pervasi da un bagliore bluastro. Ogni volta che entravano in contatto con un corpo, questo veniva attraversato da una forte scarica di volt, non abbastanza forte da uccidere una persona ma comunque sufficientemente potente da impedirgli di rialzarsi.
L’uomo rotolò dietro ad un ammasso di calcestruzzo, seguito rapidamente dal compagno.
<< Come diavolo siamo finiti in questa situazione ?! >> urlò Sam, ricevendo un’occhiata visibilmente stizzita da parte dell’ex agente dell’Hydra.
<< Ci siamo finiti perché tu hai fatto saltare la nostra copertura! >>
<< Stavano per sparare all’ostaggio! >>
<< E adesso sparano a noi! >> ribattè l’altro, indicando brevemente la zona circostante.
Affianco a lui, il supereroe fece per controbattere ma si ritrovò incapace di argomentare.
<< Io la considero una vittoria >> borbottò amaramente.
In quel preciso istante, una sonora esplosione riecheggiò alle loro spalle, sollevando pezzi di terriccio e polvere.
Bucky lo fissò seccamente.
<< …Ok, forse poteva andare meglio >> ammise Sam, mentre il compagno riprendeva a sparare con un sonoro : << Tu dici ?! >>
La situazione era ormai disperata. Entrambi gli uomini sapevano bene che non sarebbero durati a lungo senza l’arrivo di rinforzi, ma l’intervento di forze armate statunitensi avrebbe potuto causare un incidente diplomatico. Erano da soli…e con le spalle al muro.
All’improvviso, il comunicatore che Sam portava sulla cintura cominciò a lampeggiare, segnalando l’inoltro di una chiamata.
Con un ringhio sommesso, l’uomo afferrò il dispositivo e se lo portò alla bocca.
<< Siamo un po’ impegnati in questo momento! >> urlò attraverso la cacofonia degli spari, mentre un proiettile gli passava ad appena pochi millimetri dalla testa.
<< Mollate quello che state facendo e tornate alla base >> ordinò una voce femminile dall’altro capo della linea.
Per un attimo, Sam credette di aver sentito male.
<< Quale parte di “ impegnati” non hai capito?! >>
<< Il fuoco di copertura è in arrivo>> ribattè freddamente la voce, sorprendendo il supereroe.
Questi volse la propria attenzione nei confronti di Bucky, il quale sembrava a sua volta piuttosto perplesso a causa delle parole fuoriuscite dal comunicatore.
<< Quale fuoco di copertura? >> domandò Sam. La risposta non tardò ad arrivare.
Lo sentirono arrivare: un mugolio crescente che giungeva dal lato ovest della volta celeste, un mmmm che crebbe fino a diventare un MMMMM nello spazio di pochi secondi.
Dal cielo stava cadendo qualcosa di piccolo e molto veloce. Sospese nell’aria restavano spirali di fumo bianco che fuoriuscivano dalla parte posteriore. Sembrava quasi un jet in miniatura.
Poi, qualcosa si schiantò rumorosamente nel quartiere, scalzando pezzi di strada e terroristi.
Entro appena pochi secondi, il drone sganciò altre quattro bombe a breve raggio, annientando ogni opposizione in un tempo talmente breve che perfino Bucky si ritrovò incapace di trattenere la propria ammirazione per quel piccolo e letale aggeggio.
<< …Ne voglio uno >> disse Sam, dopo un momento di silenzio. E, in cuor suo, il Lupo Bianco non potè fare a meno di pensare la stessa identica cosa.
L’uomo fuoriuscì lentamente dal nascondiglio, il fucile sempre puntato in direzione dell’area nemica. Squadrò l’intera zona con occhi fin troppo attenti per quelli di un semplice essere umano e, dopo aver constatato che gli avversari fossero stati completamente annientati dall’attacco, fece segno al compagno di abbandonare la copertura.
Questi rilasciò un sospiro di sollievo e cominciò a sgranchirsi le gambe.
Fatto questo, afferrò ancora una volta il comunicatore.
<< Allora, quale sarebbe il problema? >>
<< Penso che sarà meglio discuterne una volta che sarete qui >> rispose la voce, suscitando un sopracciglio inarcato da parte dell’uomo.
<< Roba grossa? >> chiese con tono colmo d’anticipazione.
La voce sembrò esitare per qualche istante.
<< Oh, credimi…è decisamente MOLTO grossa >>.
 
                                                                                                                                                          * * *

New York 
 

Ghidorah si spinse in avanti verso la figura di Peter, con le mascelle aperte.
Tuttavia, poco prima che le fauci del mostro potessero assaporare la carne del vigilante, una sfocatura dorata colpì la bestia sul fianco, mandandola a schiantarsi contro il grattacielo più vicino.
L’impatto risuonò per tutta la città, mentre l’edificio crollava a terra e riversava cocci e detriti nella piazza come pioggia cadente.
Con il cuore che ancora gli batteva a mille, Peter riuscì a mettere a fuoco l’identità del suo salvatore.
Di fronte a lui aveva appena preso posto la figura di Carol Danvers, avvolta da una luminosa quanto calda luce abbagliante.
Gli dava le spalle e aveva lo sguardo fisso in direzione del grande drago disteso a terra.
<< Sai… questa cosa del salvataggio all’ultimo minuto sta diventando ripetitiva >>  commentò l’arrampica muri, mentre camminava fino alla bionda.
Girò la testa verso Ghidorah, che aveva cominciato a scrollarsi di dosso i pezzi di fabbricato.
<< E’ parecchio forte, meglio approfittare di questo momento per… >>
<< Tu prendi i civili e vattene da qui >> lo interruppe lei, zittendolo all’istante. << Me ne occuperò io >>
<< Sì… ascolta… >> disse il vigilante, con una voce che trasudava insicurezza e timore per la vita della donna che amava, << So che sei potente, ma credimi, questo tipo potrebbe essere troppo anche per te. Quando me lo sono trovato davanti…bhe, il mio senso di ragno è completamente impazzito! Non ho mai provato niente di simile, nemmeno in presenza di Thanos >>
<< Peter, per favore…vai, prima che si rialzi >> continuò l’eroina, lanciandogli una rapida occhiata. << Non farmelo ripetere un’altra volta >>
Spiderman esitò per qualche istante, ma alla fine decise di darle ascolto. Non era mai una buona idea contestarla quando usava quel tono.
Tornò dentro l’edificio che pochi minuti prima aveva usato come rifugio e afferrò saldamente la madre e le figlie.
Una volta fuori, volse brevemente lo sguardo in direzione di Carol.
Avrebbe tanto voluto combattere al suo fianco, ma sapeva che sarebbe stato più un peso che un vero aiuto. Internamente, si maledì per non essere abbastanza forte da sostenere un simile scontro.
Durante la guerra civile non aveva combinato niente, contro Thanos si era rivelato inutile…e adesso la situazione non era cambiata. Tony era morto e lui rimaneva il solito ragazzino che non poteva fare nulla senza l’aiuto di persone più potenti.
Ma quello non era certo il tempo di dolersi, non quando c’erano ancora così tante persone bisognose di assistenza. Così, prese con sé la madre i suoi pargoli, sparò una ragnatela e si dileguò lontano, lasciandosi dietro Carol.
( Track 7 : https://www.youtube.com/watch?v=YcwdjuQ3UR4 )
Nel mentre, Ghidorah si era rialzato da terra, apparentemente inalterato dalla potenza del colpo subito.
Le tre teste osservarono la nuova minaccia con ardito interesse, in silenzio.
Probabilmente, un cultore d’arte non avrebbe avuto alcun problema a paragonare quella scena ad una rappresentazione vivente di San Giorgio contro il Drago.
<< Chi sei tu, che osi metterti contro di me? >> chiese la testa centrale, con stupore misto a divertimento.
<< Capitan Marvel, protettrice dell’Universo >> rispose Carol, librandosi in volo e fermandosi di fronte agli occhi color sangue della creatura.
 Ghidorah si limitò a scrutarla.
<< Protettrice dell’Universo? Un titolo alquanto presuntuoso, se posso permettermi >> disse dopo un’attenta analisi. Allo stesso tempo, la testa di sinistra scoppiò in una risata isterica, quasi come se trovasse l’intero concetto piuttosto esilarante.
Il drago appiattì il corpo come quello di un serpente e compì alcuni passi in avanti.
<< E dimmi, quel mortale con cui ho avuto il piacere di conversare poco fa…è forse un tuo conoscente? >> chiese indicando brevemente il punto in cui Spiderman si era dileguato.
Carol strinse le mani in pugni serrati, ma riuscì a mantenere la propria rabbia sotto controllo.
<< Siamo parte della stessa squadra, gli Avengers >> rispose freddamente. << Forse hai sentito parlare di noi >>
Dopotutto, la sconfitta di Thanos aveva fatto notizia in tutta la galassia, rendendo la banda di supereroi piuttosto famosa nella maggior parte dei mondi abitati.
 Il volto di Ghidorah, tuttavia, non traspariva altro che semplice curiosità.
<< Avengers? Non rammento di aver mai udito questo nome, prima d’ora, ma lo trovo altisonante e solenne>> commentò, apparentemente rapito dalle parole della donna.
Poi, il sorriso del drago si fece assai più predatorio.
<< Affrontarti potrebbe rivelarsi un’esperienza illuminante >>
<< Vuoi forse mettermi alla prova? >> ribattè l’altra, assumendo una posizione difensiva. << Fatti sotto, mostro. Ti farò rimpiangere di aver messo piede su questo pianeta >>
<< Ah, una tale fiducia! Spero davvero che tu possa soddisfare le mie aspettative >> disse la bestia, colta da un’insana euforia per la potenza proclamata dalla supereroina.
Era forse vero quello che lei sosteneva di essere? L’antica belva non poteva saperlo con certezza, ma era ansiosa di metterla alla prova.
Con quel pensiero in mente, la creatura spalancò le fauci, rivelando un bagliore rossastro che iniziò lentamente a farsi strada dal fondo della gola. Il ventriglio posto al di sotto del collo cominciò anch’esso ad assumere una colorazione vicino al giallo oro, mentre l’aria intorno alla bestia divenne calda e soffocante.
Carol non perse tempo e si lanciò contro di lui, colpendolo in pieno stomaco e gettandolo a terra, sollevando parte del manto stradale.
Ghidorah si rialzò immediatamente, e la testa di sinistra provò ad azzannare la figura della donna. Quest’ultima fu lesta a schivare il colpo e a contrattaccare con un raggio di energia cosmica.
La testa di destra si mosse appena per evitare il proiettile e ne approfittò per provare a divorarla. Con lieve sorpresa dell’idra, tuttavia, Carol bloccò le fauci a mezz’aria, prima che potessero chiudersi su di lei. Poi, colpì il muso del drago con un poderoso pugno, allontanandolo di alcuni metri.
Il colosso era pesante, perfino per lei, ma non si diede per vinta e attaccò ancora con tutte le sue forze.
Mirò un montante dritto alla testa centrale di Ghidorah, spedendolo nuovamente al suolo.
Il mostro tricefalo si rialzò con un ringhio infastidito, e i suoi colli si illuminarono nuovamente di quel bagliore dorato. Pochi secondi dopo, dalle bocche fuoriuscirono un totale di tre raggi che si condensarono in un unico attacco.
Per nulla intimorita da colpo imminente, la donna allargo le braccia e si limitò a incassarlo. L’azione stupì non poco l’enorme bestia, che manifestò la sua sorpresa attraverso un lieve allargamento degli occhi.
Nel mentre, Carol sfruttò il suo potere innato per assorbire l’energia dei raggi. Poi, mosse le mani in avanti.
Ne scaturì un attacco così forte che, al suo passaggio, gli spettatori rimasti intrappolati nel fuoco incrociato poterono sentire l'ondata di calore scavare nella superficie delle loro pelli.
Stavolta,per respingerlo, Ghidorah fu costretto a evocare dal nulla uno scintillante scudo elettromagnetico scaturito direttamente dalle sue ali.
Il proiettile di luce, quale che fosse l’energia di cui era composto, non provocò danni visibili alla protezione, ma ne trasse un rintocco assordante, molto simile a un gong.
Un altro zampillo di gravitoni scaturì dalle fauci della bestia.
Carol compì una rapida piroetta su se stessa, evitando i raggi. Poi, la testa di destra scattò all’indietro, per poi muoversi in avanti a imitazione di una frusta.
Una lunga fiamma sottile partì dalla sua bocca e cominciò ad attrarre a sé qualunque oggetto metallico presente nella zona circostante, come un magnete. Poco dopo, il gruzzolo di auto, camion e cartelli stradali volò in direzione dell'avversaria.
Questa porse ambe le mani in un movimento quasi di preghiera e le allargò come per respingere l'enorme accozzaglia. In effetti, l’ondata di energia risultante fu abbastanza potente da ridurre in cenere i proiettili sovradimensionati, sparpagliandone i resti per tutto il quartiere.
Ghidorah sorrise eccitato e si preparò ad infierire di nuovo, mentre Carol fece lo stesso.
Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che eruppero tra loro, al centro esatto della piazza, segnarono il punto in cui gli attacchi si incontrarono.
Ben presto, i fili d’oro che univano il drago e la supereroina andarono in mille pezzi.
Le teste del mostro e le mani della donna rimasero unite, mentre un centinaio di raggi disegnarono archi al di sopra dei loro corpi, finchè i due non si ritrovarono rinchiusi all’interno di una rete d’oro, una gabbia di pura elettricità statica, oltre la quale qualsiasi cosa sembrava dissolversi nell’oscurità causata dall’uragano.
Le mani di Carol presero a vibrare più intensamente che mai…e anche il raggio tra lei e Ghidorah cambiò.
Era come se grossi zampilli di luce scivolassero su e giù per il filo incandescente che li univa, sollevando pezzi di strada, distruggendo i mezzi di trasporto abbandonati e scalfendo gli edifici.
Carol sussultò, mentre il drago aumentava l’intensità di ogni attacco. Ora il raggio si muoveva verso di lei,allontanandosi dall’avversario.
Mentre gli zampilli si avvicinavano al suo corpo, le dita delle mani iniziarono a farsi più calde e la donna temette che, ben presto, avrebbero iniziato a prendere fuoco.
Con quel pensiero in mente, concentrò ogni singola particella del corpo sullo sforzo di ricacciare i raggi indietro, verso Ghidorah, le orecchie invase da un trillo infernale, gli occhi ardenti, fissi nei confronti dell’avversario.
Compì un rapido movimento con la schiena, spingendo gli attacchi verso l’altro.
Un esplosione di energia riecheggiò per tutta la zona, mentre ambe i raggi andarono a infrangersi nella volta celesta, illuminando l’oscurità che aleggiava sulla metropoli.
Carol sparò verso il cielo e si levò in cerchio al di sopra della bestia.
Ghidorah la seguì con lo sguardo maligno, con le teste che dondolavano sui lunghi colli.
La donna strinse gli occhi e scese a picco proprio mentre l’idra spalancava le bocche ancora una volta. Carol evitò i raggi di gravitoni, ma la punta della coda si alzò sferzante per intercettarla e, mentre deviava a sinistra, una delle lunghe punte gli scalfì la schiena, strappandole parte dell’abito.
La supereroina sentì un bruciore intenso, ma la ferita non sembrava troppo profonda. Sfrecciò attorno al dorso del drago e sparò un altro raggio di energia contro il petto della creatura.
Ghidorah indietreggiò e sbattè violentemente contro un palazzo, facendolo crollare su se stesso.
La nuvola di detriti risultate avvolse l’intera zona nell’oscurità, nascondendo temporaneamente la figura dell’idra alla vista della donna.
<< Ti è bastato, mostro? >> chiese lei, arricciando ambe le labbra in un sorriso vittorioso. Tuttavia, quella sensazione di trionfo fu assai di breve durata.
Il fumo si diradò, e da esso fuoriuscì un Ghidorah completamente incolume.
Internamente, Carol ebbe non poco timore di fronte a quella visione. Cinque anni fa, un attacco di tale portata era stato più che sufficiente per aprire un buco nella nave ammiraglia di Thanos, eppure…quella creatura l’aveva incassato come se nulla fosse.
La testa centrale sorrise divertita.
<< Dimmi una cosa… donna. Ti ritieni davvero degna di essere definita la protettrice dell’Universo? A me sembri solo una stolta ragazza che si dà troppe arie. Ho sfruttato solo un terzo del mio potere, ma se davvero quello era il tuo colpo migliore… lascia che ti mostri il mio! >> esclamò, allargando ambe le ali. 
Queste si illuminarono e, prima che Carol potesse fare qualcosa per difendersi, prima ancora che potesse muoversi, fu colpita da numerose scariche elettriche fuoriuscite dalla punta di ogni falange. E provò dolore.
Era un dolore al di là di qualunque cosa che la giovane donna avesse mai provato. Perfino le ossa parevano in fiamme.
La testa stava per spaccarsi, mentre gli occhi le rotearono fuori dalle orbite.
Voleva che finisse…che si spegnesse…voleva morire. E poi…tutto passò, così com’era iniziato.
La donna cadde a terra e si rimise in  piedi a fatica, mentre le teste di Ghdiorah sorridevano all’unisono.
<< Ti piace? >> domandò quella centrale, porgendosi in avanti. << Non uso molto spesso questo attacco, dovresti sentirti onorata. Si chiama Agonia Beam, e stimola direttamente i recettori nervosi del dolore, fino all'ultimo. Immagina il peggior dolore che tu abbia mai sentito nella tua vita, moltiplicato un migliaio di volte. Ora immagina che continui…Per sempre >>
In quel momento, il sorriso sul volto della creatura sembrò farsi più grande.
<< Oh, è vero... non ti serve immaginarlo >> dichiarò con tono di fatto.
E poi, un’altra serie di scariche fuoriuscì dalle ali del mostro, avvolgendo il corpo di Carol come una rete.
La donna cominciò ad urlare. Era troppo doloroso perfino per lei.
Quelle scariche elettriche erano impossibili da assorbire anche col suo potere. La scagliarono al suolo, intaccando il suo sistema nervoso, facendola imprecare in preda ad agonizzanti spasmi.
Per la prima volta nella sua vita avrebbe voluto chiedere pietà… ma Ghidorah non mostrava pietà per nessuno.
Quando la tortura elettrica finì, il drago si mosse in avanti e iniziò a schiacciarla sotto il peso delle sue possenti zampe.
La calpestò più e più volte, come se non fosse altro che un insetto.
Le ossa della donna iniziarono a rompersi come cristalli, gli organi cedettero, perdendo sangue, e i sensi cominciarono ad affievolirsi.
Il drago ripetè l’opera almeno cinque volte. Tuttavia, nonostante lo stato in cui si trovava, la supereroina riuscì comunque a rialzarsi, sebbene a stento.
Ghidorah rise di fronte a quel futile atto di sfida.
La testa di sinistra scattò verso di lei, affondando le zanne anteriori nella sua spalla e facendola urlare con tutto il fiato che aveva in gola. La donna aveva ormai perso l’uso del braccio destro e il suo grido di dolore riecheggiò per tutta New York.
Spiderman lo avvertì, e si voltò verso la provenienza di quella gutturale e spettrale invocazione di aiuto.
A cinquecento metri dal vigilante, Carol era di nuovo per terra, a faccia in giù.
L’odore dell’asfalto le riempiva le narici. Sentiva il suolo freddo e duro sotto la guancia e il cervello che le premeva nelle tempie. Le faceva male ogni centimetro del corpo, e il punto in cui Ghidorah l’aveva morsa era come un livido lasciato da un pugno di ferro.
Si inginocchiò e alzò lentamente lo sguardo, trovandosi di fronte ad una scena alquanto singolare: la testa di sinistra cominciò a sputacchiare, come se l’aver tastato la sua carne le avesse procurato il più grande dei dispiaceri. La stava volutamente umiliando, paragonandola a semplice sporcizia.
<< Il tuo sapore è disgustoso, donna, tanto quanto il tuo ego >> commentò quella centrale. << Non mi hai procurato il benché minimo stimolo. E ora…muori come l’insetto schifoso che sei! >>
Ghidorah aprì nuovamente le fauci, preparandosi a colpirla ancora una volta con i suoi raggi.
Incapace di muoversi, l’eroina conosciuta come Capitan Marvel chiuse gli occhi…e attese la fine inevitabile.
 
 
 
Dum, dum, duuuuuum ! Sì, sono davvero un infame.
Spero che lo scontro tra Carol e Ghidorah vi sia piaciuto, è la prima volta che ne faccio uno di questo genere. Credetemi, non è stato facile far combattere un drago gigante con tre personalità contro una piccola umana dai poteri cosmici, quindi mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate.
E sì, per quanto Carol sia forte, non poteva reggere contro una bestia che si pappa stelle a colazione.
La capacità di Ghidorah di utilizzare raggi che stimolano il dolore è presa direttamente da Mothra 3, anche se un attacco molto simile è stato usato nel nuovo film di Godzilla. Lo scudo elettromagnetico è preso da dal Ghidorah di Godzilla vs Evangelion, mentre la frusta magnetica dal Ghidorah di Godzilla Final Wars.
Daisy Johson, aka Quake, è la protagonista di Agents Of Shield assieme a Phil Coulson, che in realtà non è morto in Avengers 2012 per mano di Loki, ma è sopravvissuto a causa di eventi che vengono narrati nella suddetta serie. Quake è uno dei personaggi MCU più potenti, quindi mi sembrava d’obbligo inserirla nella storia. Dopotutto, contro Ghidorah sarà necessario tutto l’aiuto possibile.
La voce femminile che ha contattato Bucky e Sam appartiene ad una donna comparsa nei film di Capitan America. Vediamo se indovinate chi è…e no, non è Nat. Lei è morta definitivamente.
Nel prossimo cap, scopriamo perché Ghidorah si è recato proprio a New York…

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Ecco un aggiornamento fresco di giornata !
Quest’oggi accompagno il capitolo con un video da me personalmente realizzato dedicato alle varie versione di King Ghidorah, dal 1964 al 2019 : https://www.youtube.com/watch?v=thVgf1OxDPA
Inoltre, vi consiglio di andare subito a vedere il nuovo Spiderman, è stato stupendo. Ho apprezzato soprattutto il personaggio di Mysterio, tra i migliori dell’MCU, a mio parere.
Naturalmente, per ragioni di continuità, le vicende della pellicola verranno ignorate da questa fan fiction.
E ora vi auguro una piacevole lettura, come al solito vi invito a revisionare le note per maggiori chiarimenti. Spero che abbiate bene in mente il secondo capitolo di questa storia, perché farà il suo ritorno una letale comparsa ;)
 


Capitolo 7
 
Il poco sonno che Clint Barton riuscì a concedersi fu irregolare, e interrotto da una serie di incubi.
In uno stringeva tra le braccia l’esile figura di Natasha, e prima di morire la donna gli diceva “ lasciami andare”.
Si svegliò alle quattro emmezzo, sapendo perfettamente che non sarebbe più riuscito a riaddormentarsi.
Aveva l’impressione di essere entrato in un piano dell’esistenza assolutamente insospettato, e si disse che tutti provavano sensazioni simili nel cuore della notte. Tanto bastò perché si convincesse ad alzarsi e andare in bagno a lavarsi i denti.
Laura dormiva come sempre, con le coperte rimboccate che la trasformavano in una massa indistinta, con un ciuffo di capelli che faceva capolino dalla cima. Non c’erano fili grigi tra i suoi capelli, ma primo o poi sarebbero arrivati, come stava accadendo a lui.
Poco male. Il trascorrere del tempo era un mistero, ma un mistero assolutamente normale.
Il soffio del condizionatore aveva fatto cadere sul pavimento alcuni dei fogli che Laura aveva stampato per una raccolta fondi. Li rimise sul comodino, prese in jeans, decise di poterseli mettere per un altro giorno e andò alla finestra, tenendoli sotto un braccio.
La prima luce della grigia alba cominciava a insinuarsi nell’oscurità. Sarebbe stata una giornata calda.
Si infilò i pantaloni e una maglietta dei Led Zeppelin, controllò ancora una volta che Laura dormisse e uscì dalla stanza, con i vecchi mocassini consumati che usava come scarpe appesi a due dita della mano sinistra.
Uscì, e percorse il sentiero boschivo che delimitava la tenuta, finchè non arrivò al cimitero del paese.
Accostò sul bordo di un piccolo pendio, scese e rimase a contemplare la tomba che le persone il lutto- e i cacciatori di emozioni che si fingevano addolorati – avevano cercato di trasformare in un santuario.
C’erano tanti bigliettini luccicanti sui quali predominavano parole come dolore e paradiso. C’erano palloncini, alcuni mezzo sgonfi, altri portati di recente. C’era una statuina della Madonna, che qualche buontempone aveva decorato con un paio di baffi. C’era anche un orsetto, che gli provocò una fitta al cuore. Il suo corpo marrone e grassottello era ricoperto di muffa.
“ Natasha Romanoff” proclamava la scritta incisa sul mausoleo. “ Amica, compagna, eroina…Avenger”.
Oggi era l’anniversario della sua morte, spesso passato in secondo piano rispetto a quello di Tony Stark. Ma la cosa non lo aveva mai infastidito. Dopotutto, era ben consapevole del fatto che Natasha fosse una persona semplice, e non avrebbe apprezzato una parata in suo onore.
Quel pensiero riuscì a farlo sorridere, anche se solo per poco.
Rientrò in casa circa un paio di ore dopo, dirigendosi subito in cucina. Ad attenderlo vi era un uomo piuttosto anziano, probabilmente di età non inferiore ai settant’anni, con corti capelli argentati tirati all’indietro. Indossava un paio di jeans strappati e una giacca marrone chiaro
Sentendolo arrivare, la persona si voltò, il visino cauto e in allerta, rivelando le fattezze di Steve Rogers. Capitan America, il primo Avenger…precursore dell’età d’oro dei supereroi. Un uomo che aveva segnato la storia dell’umanità, ormai ridotto alla vecchiaia, una reliquia dei tempi andati.
Non appena gli occhi azzurri dell’uomo si posarono sulla figura di Clint, il supersoldato arricciò le labbra in un piccolo sorriso.
L’arciere rispose al gesto e vide alcune tazze posate su un vecchio vassoio della coca cola. Anche il suo volto si accese in un sorriso raggiante.
<< È quello che spero? >> chiese con tono colmo d’anticipazione.
Steve abbaiò una risata.
<< Sì, se speravi in un caffè. Io lo prendo nero, ma ho portato tutto l’occorrente. Mia moglie lo prendeva bianco e dolce. Come me, o almeno era quello che diceva >>
<< Va bene nero anche per me >> rispose Clint, prendendo una tazza e portandosela alle labbra.
Nel mentre, Steve posò il vassoio sul tavolo della cucina. L’arciere  gli si sedette davanti, accavallando le gambe e continuando a gustarsi la bevanda fumante.
<< Non c’è niente di meglio di un bel caffè nero e forte la mattina >> commentò quasi a se stesso.
Steve annuì in accordo e, dopo aver preso un paio di sorsi dalla propria tazza, fissò l’ex compagno di squadra con un sopracciglio inarcato.
<< È da molto che sei sveglio? >>
<< Non dormo granchè >> disse l’altro, evitando così di rispondere alla domanda. << E qui si sta molto bene. L’aria è pulita >>
<< Forse dovrei trasferirmi. Dove vivo io, ormai, si sente il puzzo delle nuove raffinerie, e a me fa venire il mal di testa >> borbottò l’ex Avenger con una smorfia scontenta.
Passarono un paio di minuti in totale silenzio, accompagnati solo dall’odore del caffè. Poi, quando quel breve lasso di tempo giunse al termine, Steve volse nuovamente la propria attenzione nei confronti di Clint.
<< Sei già andata a visitarla? >> domandò con un sottofondo di malinconia, ricevendo in cambio una scrollata di spalle ad opera dell’arciere.
<< Ero sveglio e con nient’altro da fare, ho pensato di approfittarne >>
<< Capisco. Oggi seguiremo la solita tappa? >>
Clint gli lanciò un sorriso canzonatorio.
<< Sicuro di riuscire a reggere, vecchietto ?>> chiese con divertimento.
Steve rilasciò un sonoro sbuffo.
<< Ho combattuto contro un esercito alieno, ragazzo. A confronto il tour degli alcolici sembrerà una visita al centro benessere dello Shield >> commentò con un ghigno autoironico.
Ormai, sia per lui che per Clint, era diventata un’abitudine annuale recarsi ad ogni bar della cittadina e ubriacarsi per commemorare la morte di Natasha e di tutti quelli che avevano perso la vita durante la battaglia con Thanos. Una tradizione insolita, ma che in cuor loro sapevano che i loro compagni caduti avrebbero trovato divertente. Tranne Visione, lui l’avrebbe solo trovata solo bizzarra.
<< Posso unirmi a voi? >> arrivò una voce alla spalle del duo, costringendoli a voltarsi.
Era Laura, con la sua tazza di caffè in mano. Clint le fece segno di sedersi.
<< Mi dispiace tanto se ti abbiamo svegliato >> disse con tono di scusa.
<< Eri più silenzioso del solito >> rispose lei, con un sorriso impertinente. << Ma hai ancora molta strada da fare. Avrei anche potuto riaddormentarmi, ma ho sentito il profumo di caffè, e non ho resistito >>
Detto questo, baciò il marito sulla guancia e camminò fino al televisore del salotto, che confinava direttamente con la cucina.
<< Ci sarete per il discorso del Presidente? >> chiese mentre armeggiava con i canali.
Steve abbaiò un’altra risata, compiendo un beffardo saluto militare.
<< Non me lo perderei per nulla al mondo >> affermò con voce più pomposa, facendo ridacchiare sia la donna che Clint.
Nel mentre, la donna aveva finalmente trovato la stazione che trasmetteva il notiziario del giorno. Alzò il volume…e sì blocco.
<< O mio Dio >> sussurrò incredula, portandosi una mano alla bocca e attirando l’attenzione del marito.
Questi si precipitò rapidamente verso di lei, seguito da Steve.
Ciò che videro, una volta che i loro occhi si posarono sulla schermata del televisore, fu una scena che sarebbe rimasta per sempre impressa nelle loro memorie.
<< Io…non so davvero come descrivere l’orrore che ha colpito New York appena mezz’ora fa! >> esclamò una voce fuori campo, dalla cadenza femminile. << Questa…creatura è sbucata fuori dal nulla, distruggendo qualunque cosa si trovasse sul suo cammino. L’Avenger nota come Capitan Marvel ha tentato di combatterla, ma a nulla sono valsi i suoi sforzi per frenarne l’avanzata. Il mostro l’ha ridotta in fin di vita, e sembra che sia sul punto di sparare il colpo di grazia. Questo non è uno scherzo, signore e signori ! Forse stiamo per assistere alla tragica morte di un Vendicatore… >>

                                                                                                                                            * * * 
 
 
30 minuti prima
 
Jessica Jones rilasciò un sospirò, appoggiata a un lampione, in fondo alla strada dove aveva vissuto per sei anni.
Tipici palazzi newyorkesi : grigi, squadrati, quanto di più lontano dal bello si potesse immaginare. Aveva sognato spesso, magari dopo giornate particolarmente stressanti, di andarsene. Trasferirsi in qualche città affascinante: Los Angeles, ad esempio, che le era sempre piaciuta, o forse proprio all’estero. Londra, magari.
Ma New York era la sua città. Con tutti i suoi difetti, lo sporco, il traffico, il tempo orribile…lei non riusciva a staccarsene. Né riusciva ad andarsene da quell’angolo di strada, di fronte al palazzo dove aveva vissuto i suoi ultimi cinque anni di vita.
Ogni giorno aveva percorso quel marciapiede per raggiungere il bar più vicino. Ogni notte era rientrata, di solito stanca, con il mal di testa.
Ogni giorno, ogni notte. Ripetendosi che lei non era come tutti gli altri incastrati nello stesso meccanismo. Finchè non era morta nello schiocco…e poi tornata in vita.
Oggi era l’anniversario di quell’evento, non solo per lei, ma per almeno altre 3,5 miliardi di persone.  E come ogni anno, avrebbe passato la suddetta giornata a ubriacarsi nel suo bar preferito.
Facendo attenzione che non passassero macchine, la donna dai folti capelli neri camminò con passo felpato fino al marciapiede dall’altro capo della strada, e dopo altri cento metri raggiunse il luogo designato.
Poi tirò fuori un portafoglio molto poco adatto per una della sua età e pagò l’ingresso alla ragazza appoggiata con i gomiti al bancone della biglietteria, una tipa con i capelli viola e un tubino di pelle. Era la prima volta che la vedeva, doveva essere nuova.
Senza perdersi in chiacchiere, le timbrò il dorso della mano e la guardò perplessa, probabilmente dopo averla riconosciuta da qualche servizio televisivo. Non era certo famosa come gli Avengers, ma era comunque una dei superumani più conosciuti in America, e tra i bassifondi di New York era considerata una sorta di celebrità, anche se il termine “ leggenda metropolitana” forse le si addiceva di più.
Salì le scale foderate con i poster di vecchi concerti di band dai nomi incomprensibili, a stento leggibili sotto la luce sanguigna, fino al pianerottolo dove un gruppo di ragazzi faceva la fila per entrare.
Quando fu il suo turno, mostrò a un buttafuori in camicia scura il timbro.
Jessica scostò la pesante tenda nera oltre la quale tutti gli altri clienti in attesa erano spariti e, con una manata, spalancò la porta di metallo appena al di là, mandandola a sbattere contro la parete.
E un muro di suono la travolse.
Era una sala in penombra. A sinistra il bancone del bar affollato di clienti con boccali di birra, a destra un palco vuoto. In mezzo al caos : gente che urlava e sovrastava la musica a tutto volume, si dimenava e sculettava. Era come essere investiti da un treno di sensazioni, troppo forti e tutte insieme.
Superò i divanetti neri su cui erano stravaccati ubriachi e fidanzatini e s’infilò in un’altra porta, che sbucava in un corridoio. Lo percorse tutto ed entrò nella zona bar adiacente alla discoteca.
La stanza era immersa nella penombra e quasi del tutto deserta, uno dei motivi per cui spesso si recava qui. Non le erano mai piaciuti i posti affollati. Inoltre, costava poco e per un lavoro come il suo, ovvero quello di detective privato, era l’ideale.
Infine c’era la ciliegina sulla torta : l'odore di quel luogo era di birra stantia, da lei considerato il migliore del mondo.
Il barista, John Barrow, l'accolse con un sorriso, dicendo: << Benvenuta, Jessica. Posso offrirti un hamburger, o forse...>>
<< Vorrei un Bloody Mary>> lo interruppe la detective. << Doppio. Acqua a parte >>
<< Beve sempre come un uomo? >> domandò un giovane ragazzo seduto di fronte al bancone. Era castano, dai profondi occhi marroni, e vestiva in modo abbastanza trasandato : giacca in pelle nera e jeans attillati, molto simile a lei.
<< Di solito da un bicchiere >> replicò la donna, con scarsa coerenza.
Avrebbe voluto controbattere con una risposta più arguta, ma si sentiva molto stanca... e profondamente afflitta, a causa di quella dannata giornata. La sensazione di tramutarsi in polvere, mentre la vita le sfilava dal corpo…ancora la tormentava.
 Camminò fino ad uno degli sgabelli posti davanti al bancone e si sentì ancora più rasserenata quand'ebbe in corpo metà del contenuto del bicchiere.
<< Spero che mi scuserà >> disse il giovane, affianco a lei. << Le assicuro che non intendevo offenderla. È che qui dentro ti prende la malinconia di pomeriggio, e quando arriva una persona nuova…bhe, mi viene da parlare di getto, senza pensare >>
<< È colpa mia >> minimizzò Jessica. << Non ho passato proprio la più bella giornata della mia vita >>
Scolò il bicchiere e sospirò.
<< Ne vuoi un altro?>> chiese John, il volto adornato da un sorriso comprensivo.
La donna fece per accettare l’offerta…e si bloccò. E anche il barista e il suo compagno di bevute si drizzarono di colpo.
I bicchieri e le bottiglie presenti nella stanza cominciarono a tremare, accompagnate da un fischio acuto che riuscì a superare la cacofonia della discoteca.
La donna ebbe appena il tempo di chiedersi che cosa fosse. E poi, la scossa titanica squarciò l’intero edificio, sollevando tavoli e sedie, spegnendo le luci del locale e facendo cadere a terra tutte le persone che si trovavano nelle immediate vicinanze.
All’inizio Jessica pensò che si trattasse di un terremoto, ma quando non arrivarono altre scosse cominciò a prendere in considerazione la possibilità che fosse caduta una bomba. Poi, qualcosa attirò l’attenzione della detective.
Udì un leggero scricchiolio seguito da alcuni rintocchi.
Alzò lo sguardo verso il soffitto, e ciò che vide le mozzò il fiato. Posò lo sguardo in un punto ben preciso della copertura, dove era andato a crearsi uno squarcio nel marmo che reggeva le paratie del locale.
Evidentemente la scossa era stata più forte di quanto avesse inizialmente pensato.
Jessica socchiuse gli occhi e udì ancora quello scricchiolio. La crepa formatasi dopo l’impatto iniziò a ramificarsi l’ungo tutto il soffitto e raggiunse l’estremità opposta delle pareti.
 All’aumentare dell’anfratto, pezzetti di roccia e marmo si riversarono sul pavimento seguiti, questa volta, da un suono stridulo e prolungato. Poi  la giovane ebbe una rivelazione: stava per crollare!
Non ebbe neanche il tempo di alzarsi. Il blocco da 10 tonnellate cedette sotto il suo stesso peso e iniziò a precipitare lungo le pareti dell’edificio, intagliandole come fossero burro.
Senza perdere tempo, Jessica si lanciò contro il ragazzo che aveva affianco, con un solo pensiero in mente : salvarlo.
 
                                                                                                                                            * * *
 
Nonostante gli occhi chiusi, Carol riuscì comunque a vedere il mondo attorno a lei passare da nero a giallo nella frazione di un secondo, mentre percepì il calore del colpo imminente scavarle nella pelle come un coltello.
Udì il riecheggiare del tuono, seguito dal brusio inconfondibile del lampo…ma non accadde niente.
L’aria cominciò a scorrere sul suo corpo con maggiore intensità, facendosi più fredda, mentre l’Avenger si accorse che qualcosa la stava sorreggendo.
Aprì gli occhi con esitazione, ritrovandosi tra le braccia di Spiderman.
Dietro di loro, l’attacco di Ghidorah esplose nel terreno con la stessa intensità di una bomba sganciata a diversi chilometri d’altezza, sollevando una densa colonna di fumo e detriti.
La donna alzò lo sguardo in direzione di Peter, che cominciò a volteggiare da un grattacielo all’altro come una libellula.
 << Ti… >> sussurrò flebile, nonostante il dolore che sentiva allo sterno, << Ti avevo detto di andartene >>
<< Per tua fortuna ho deciso di ignorarti >> ribattè allegramente il compagno, anche se Carol riuscì a percepire un sottofondo di preoccupazione.
Inconsapevolmente, arricciò ambe le labbra in un sorriso rassegnato.
<< Sei davvero uno stupido >> disse con tutto l’affetto di cui era capace in quella situazione, prima di tossire un rivolo di sangue.
La presa del vigilante si fece istintivamente più salda e rassicurante.
<< Devo portarti subito in ospedale…O mio Dio ! >>
Il senso di ragno prese a vibrare.
Peter compì una rapida rotazione su se stesso, sparando una ragnatela ed evitando appena in tempo una scarica elettrica che gli passo a pochi centimetri dal corpo, così vicina da bruciargli parte del costume.
Il ragazzo girò rapidamente lo sguardo verso l’immensa figura di Ghidorah.
A sparare il colpo era stata la testa di destra, i cui occhi erano illuminati da un luccichio furioso.
Mentre la coppia di supereroi si allontanava ulteriormente, questa dilatò le fauci ancora una volta, pronta a rilasciare una seconda scarica. Tuttavia, poco prima che potesse farlo…
<< Lasciali andare >> ordinò imperiosamente la testa centrale, costringendo la compagna a fermarsi bruscamente.
Il capo lanciò al leader uno sguardo visibilmente infastidito, scoprendo i denti in un ringhio grottesco.
La testa centrale, tuttavia, si limitò a stringere gli occhi con aria minacciosa, cosa che spinse lo sfidante a fare marcia indietro. Il tutto sotto l’espressione divertita della testa di sinistra.
<< Non rappresentano alcuna minaccia per noi. Sono solo infanti >> dichiarò quella centrale, con tono impassibile.
Poi, alzò il collo e cominciò ad annusare l’area circostante, come se stesse cercando di localizzare qualcosa. Dopo circa un minuto buono, sembrò trovarla.
Le tre teste puntarono all’unisono verso una destinazione ben precisa, cominciando ad avanzare con passo lento e marcato e abbattendo ogni edificio che si trovasse sul loro cammino, come se non fossero altro che castelli fatti di carte.
Proseguirono, fino a quando non si trovarono davanti ad un’abitazione dalle fattezze malandate e trascurate.
Sul tetto coperto di tegole arrugginite spiccava una figura bizzarra : un uomo apparentemente di mezza età, dai folti capelli neri completi di barba con pizzetto, indossante abiti orientali color blu cielo, e un lungo mantello rosso alle spalle.
Ghidorah prese un’altra rapida annusata e sorrise compiaciuto.
<< Ma tu guarda…questa sì che è una sorpresa >> commentò la testa centrale, scrutando con attenzione quell’insolito individuo.<< Era da parecchio tempo che non incontravo un membro della vostra razza. Puzzi di magia e paura, mago >>
In risposta a quella dichiarazione, Stephen Strange si limitò a stringere ambe le palpebre degli occhi.
<< Tu non appartieni a questo mondo >> disse con tono  di fatto, cercando con tutto se stesso di mantenere una mente lucida.
“ Andiamo, Stephen, non è il tuo primo rodeo” sussurrò a se stesso, ripensando a quella volta in cui si era ritrovato faccia a faccia con Dormammu. Ed era morto…molte volte. Tante volte da perderne il conto.
Forse era accaduto centinaia di volte…o forse migliaia. Non riusciva a ricordarlo. Ricordava solo il dolore di ciascuna di quelle morti.
Ma questa volta non aveva una Gemma del Tempo che lo avrebbe aiutato. Questa volta, se fosse morto qui, proprio su questo tetto…sarebbe stata l’ultima.
Di fronte a lui, il drago ridacchiò, apparentemente divertito.
<< Un’osservazione molto arguta >> disse con cupa ironia, mentre l’Avenger prendeva un paio di respiri calmanti. Dio, poteva sentire l’odore di morte e sangue che fuoriusciva dalla bocca di quell’essere. Ed era disgustoso.
<< Dichiara lo scopo della tua visita >> disse dopo un attimo di silenzio, congratulandosi mentalmente con se stesso per aver mantenuto una voce ferma.
Le varie teste di Ghidorah arricciarono le labbra in un sorriso agghiacciante.
<< Banchettare >> rispose quella centrale, cosa che spinse l’uomo ad inarcare un sopracciglio.
<< Con cosa? >> chiese perplesso.
Il ghigno sul volto del mostro, se possibile, sembrò farsi più spaventoso.
<< Con te >> rispose la bestia. E in quel momento, un brivido attraversò il corpo di Strange, anche se lo stregone fece appello ad ogni oncia del proprio autocontrollo per non darlo a vedere.
<< Con loro >> continuò il drago, puntando brevemente il muso verso un gruppo di persone alla ricerca di una qualche forma di riparo.
Poi, Ghidorah scrollò le spalle.
 << Un po’ di quello…un po’ di quell’altro… Con tutto questo >> disse allargando ambe le immense ali, e sollevando una nuvola di polvere.
Stephen cercò di non soffermarsi sul fatto che quell’azione aveva fatto sembrare il drago ancora più grande di quanto fosse apparso ad una prima occhiata, e si cimentò in un sorriso disarmante.
<< Potrebbe restarti sullo stomaco >> commentò con tono apparentemente non impressionato.
Al sentire tali parole, Ghidorah abbaiò una risata che riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere e oltre.
<< Forse. Dopotutto, è la prima volta che visito un pianeta con una simile quantità di energia residua >> disse con uno schioccare delle mascelle.
Notando l’espressione confusa sul volto dell’Avenger, le creatura riprese a parlare.
<< Questo mondo ha così tanti campioni a proteggerlo, eppure i suoi abitanti sono…primitivi al meglio. Probabilmente non lo avrei mai notato, se non fosse stato per quell’anomalia >>
<< Anomalia? >> chiese Strange, il tono di voce ornato da una lieve punta di curiosità.
La testa centrale annuì in conferma, mentre quella di sinistra prese a fissare l’uomo con un sorriso snervante.
<< A giudicare dalla velocità di rotazione del pianeta, è avvenuta circa cinque cicli solari fa>> confermò il mostro. <<  Vagavo nel vuoto, quando percepii un cambiamento nella canzone del cosmo. Fu rapido e improvviso…come uno schiocco >>
Il tempo parve fermarsi. Un silenzio inesorabile sembrò calare sull’abitazione, come l’ombra proiettata da una mano fantasma.
Gli occhi di Strange si dilatarono al pari di piatti, mentre i ricordi di ciò che era avvenuto cinque anni fa risuonarono nella sua mente sotto forma di immagini apparentemente sconnesse e urla distorte. Il giorno in cui ben due persone avevano usato il potere di tutte le Gemme dell’Infinito contemporaneamente.
Che fosse stata proprio l’energia sprigionata da quegli eventi ad attirare questo abominio sulla Terra? Era una possibilità che non andava esclusa, e attualmente era anche la più sensata.
<< Ho seguito l’anomalia, fino a quando non mi sono ritrovato su questa “Terra”, se non sbaglio. Un nome piuttosto insolito >> commentò Ghidorah, ricordando le parole di Capitan Marvel.
Strange compì un paio di colpi di tosse.
<< E cosa ti porta davanti alle mura del Sancta Sanctorum? >> domandò con tono colmo d’aspettative.
La testa centrale si abbassò, fissando l’uomo dritto negli occhi. E, anche se solo per un momento, lo stregone si sentì perso in quei pozzi di morte e sangue che aveva come orbite. 
<< Un’ottima domanda. Vedi, quando sono atterrato ho rilevato una firma di energia molto simile a quella prodotta dall’anomalia, ma molto più intensa e concreta. È stata lei a condurmi di fronte alla tua dimora >> spiegò il mostro, il volto adornato da quel sorriso apparentemente intramontabile.
Al sentire tali parole, Strange cominciò a sudare fredda. Ora sapeva esattamente il motivo di questa visita inaspettata…uno che, se fosse venuto alla luce, avrebbe messo in allarme ogni singola persona presente sul pianeta.
A dispetto di quello che pensava il governo americano, infatti, Steve Rogers non era riuscito a riportare tutte le Gemme dell’Infinito al loro luogo d’origine. La Gemma dell’Anima, infatti, non poteva essere restituita a Vormir, pianeta da cui era stata prelevata, a causa delle circostanze speciali utilizzate per la sua convocazione.
Consapevole del fatto che non avrebbe potuto lasciarla incustodita, con la possibilità che fosse nuovamente adoperata per compiere azioni deplorevoli, l’uomo aveva custodito l’artefatto per gli ultimi 50 anni, fino a quando non lo aveva passato nelle mani di Strange, conscio che ormai era troppo vecchio per garantirne la sicurezza.
Lo stregone aveva accettato di preservare il fardello dell’ex soldato, e aveva nascosto l’oggetto dall’incommensurabile potere all’interno del Sancta Sanctorum.
Mentre la mente dell’uomo stava correndo a mille, il sorriso di Ghidorah sembrò farsi più grande.
<< Bene, bene. Una Gemma dell’Infinito…qui? Quale inaspettata meraviglia >> sibilò allegramente il mostro.
Strange rilasciò un sussultò e rafforzò all’istante i propri scudi mentali.
“ Dannazione!” urlò a se stesso. Non aveva valutato la possibilità che questa creatura fosse in grado di leggere i pensieri degli altri. Era stato stupido e incauto, e adesso quell’abominio era consapevole della posizione di uno degli oggetti più potenti dell’intero universo.
<< Stai fuori dalla mia testa >> sibilò a denti stretti, suscitando uno sguardo d’avvertimento ad opera del drago.
<< Pensi di avere qualche pretesa su di me, mago? Su di me, che sono la Morte ?! >>
<< Non sei certo il primo a considerarti tale >> ribattè freddamente l’uomo.
Ghidorah strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Ma sono l’unico in grado di sostenere un simile titolo >> disse con un ringhio, per poi allargare le immense ali una seconda volta.
 << Io sono Ghidorah! Ho macellato colei che mi ha dato alla luce, che mi ha alimentato forzatamente in questo inferno chiamato vita. La scia del mio passato color porpora è stata dipinta con il sangue dei miei nemici e alleati allo stesso modo >> proclamò a gran voce, mentre fulmini e saette cominciarono a risuonare nella zona. << La morte è con me ogni secondo del giorno! Ogni mio momento viene speso nell'affrontare la morte o nel venerarla! Allora dimmi… chi sotto le stelle è più adatto di me ad essere l’incarnazione terrena della Morte? >>
Nonostante la presentazione, tuttavia, Strange si limitò a fissare la creatura con disgusto.
<< Le tue parole non mi inganno, demone. Io so bene che cosa sei >> disse con fiducia ritrovata, cosa che sorprese non poco il mostro tricefalo.
<< E che cosa sono, mago? >> domandò retoricamente.
Lo stregone rilasciò un sonoro sbuffo.
<< Sei esattamente come gli altri, solo amplificato. La stessa razza di mostri a cui ho dato la caccia negli ultimi anni. Un essere maligno e spregevole…un sovrannaturale pezzo di merda >> continuò con un sorriso ironico, mentre gli occhi di Ghidorah si riempivano di rabbia. << Vuoi sapere qual è l’unica differenza tra te e loro? È la dimensione del tuo ego >>
<< E con quella convinzione dirai addio a questa vita >> sibilò irosamente la testa centrale, mentre quella di destra rilasciava un ringhio grottesco, come se morisse dalla voglia di conficcare i denti nelle carni dell’uomo. Allo stesso tempo, il capo di sinistra abbaio un’acuta risata, mentre il leader si abbassava ulteriormente e spalancava le fauci.
<< Ora dimmi…scellerato. Come farai a sfidarmi, ora? >> chiese con tono canzonatorio.
E la risposta non tardò ad arrivare.
<< Wong, adesso ! >> urlò Strange, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Accadde tutto nella frazione di pochi secondi.
La figura di Wong fuoriuscì da un edificio proprio alle spalle di Ghidorah. La testa di sinistra ebbe appena il tempo di voltarsi, mentre l’uomo allargava le braccia, le richiudeva a mo’ di preghiera e le riapriva in poco meno di un secondo, spingendo il corpo in avanti come se stesse per colpire qualcuno.
Di fronte al drago, Strange abbassò la mano destra e alzò quella libera, compiendo un arco con il dito indice.
Il mondo attorno a lui e al mostro cambiò e sembrò andare in pezzi. Il vuoto dell’aria venne sostituito da lastre trasparenti che sembrarono fuoriuscire direttamente dal nulla, mentre la città di New York cominciò a ruotare su se stessa, dal basso verso l’alto, come il coperchio di un vassoio argentato.
L’enorme metropoli in fiamme venne sostituita da una città immacolata, e pure il cielo tornò a rischiararsi.
Ghidorah si guardò intorno con aria basita.
<< Che diavoleria è mai questa? >> ringhiò tra i denti, volgendo in direzione dell’Avenger uno sguardo funesto.
Per nulla intimorito dalla minaccia implicita della bestia, quest’ultimo si limitò a sorridere.
<< Siamo nella Dimensione Specchio. Una realtà parallela alla nostra, in cui non esiste altro se non ciò che noi stregoni siamo in grado di farvi entrare. Immaginala come un riflesso dell’universo >> disse con una scrollata di spalle, per poi indicare l’area circostante. << In questo posto non ci sono vie di fuga. Qualunque cosa porto qui…vi rimane intrappolata >>
Ghidorah rimase in silenzio per quello che sembrò un tempo interminabile, gli occhi color sangue fissi sulla figura dell’uomo. Strange si sentì dissezionato da quello sguardo maligno, ma riuscì a mantenere i nervi saldi.
Poi, la creatura arricciò le labbra in un ghigno divertito.
<< Davvero tante belle parole, mago…se non fosse per un piccolo dettaglio >>
 << E sarebbe? >> ribattè l’altro, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Ghidorah fece schioccare le mascelle e cominciò ad avanzare.
<< Se davvero questa Dimensione Specchio fosse in grado di contenermi a tempo indeterminato…tu te ne saresti già andato >> disse con tono di fatto, volgendo a Strange un’occhiata maliziosa.
L’uomo rimase in silenzio, mentre l’ombra del mostro lo sovrastò in tutta la sua grandezza.
<< Puoi tenermi qui dentro solo finchè sei presente, non è vero? Questo si che è un peccato >> ridacchiò beffardo, proprio mentre l’avversario assumeva una posizione difensiva.
<< Non mi hai condotto in questo posto per intrappolarmi. No…tu mi ci hai portato per combattere, in modo tale che il nostro scontro non faccia danni alla tua preziosa città >>
E, detto questo, l’idra spalancò le immense ali ancora una volta, drizzando la coda come un serpente e preparandosi allo scontro imminente. Quasi in contemporanea, Strange compì un paio di rapidi movimenti con le mani, evocando dal nulla una coppia di scudi dorati.
Di fronte a quella palese manifestazione di sfida, il sorriso sui volti di Ghidorah si fece più selvaggio.
<< Allora viene a me, mago. Mostrami di cosa sei capace! >>>
 
                                                                                                                                                        * * * 

La nuvola di polvere di  si dissolse nell’aria.  Jessica aprì leggermente gli occhi e iniziò a tossire.
Si guardò intorno. Nella stanza sembrava non esserci anima viva. C’era solo uno fischio acuto che le martella va costantemente il timpano senza mai accennare a fermarsi.
Si mise le mani sulle orecchie e il suono cessò per poi ricominciare non appena se le tolse dal capo. Era confusa. Confusa e spaventata.  Aveva visto soffitto scendere e poi...
Si voltò di scatto ed emise un sospiro di sollievo. La figura del ragazzo giaceva immobile affianco a lei, apparentemente illesa. Sembrava svenuto, a giudicare dagli occhi chiusi e dal movimento ritmato del torace. Doveva essersi preso un bello spavento.
Fu in quel momento che la donna si rese conto che la parete esterna del locale era completamente crollata, sostituita da un’apertura rettangolare attraverso cui stava filtrando la luce pomeridiana, mista a cenere e puzzo di fumo.
Si girò in direzione delle macerie e rilasciò un sussulto.
John era accasciato a terra, poco distante dal blocco di marmo, e aveva la gamba destra schiacciata sotto un grosso pezzo delle paratie, ricoperta di sangue.
Jessica si alzò in fretta e furia e iniziò a dirigersi verso l’uomo con il ragazzo con l’intenzione di aiutarlo. Prima che potesse raggiungerlo, tuttavia, qualcosa la colpì allo stomaco, facendola sbattere contro il muro. Alzò leggermente la testa… e si blocco.
Di fronte a lei aveva appena preso posto la figura dell’essere più strano e raccapricciante che la giovane donna avesse mai visto. Sembrava quasi una pulce sovradimensionata.
La creatura la studiò attentamente con otto piccoli occhietti neri e maligni.
Chino il capo, aprendo e richiudendo le mascelle irte di denti aguzzi.
Jessica guardò dritto davanti a se senza battere ciglio. L’enorme artropode annusò un paio di volte, dilatando le narici, e con la sua inspirazione scosse i capelli della mora.
Poi, la creatura girò la testa verso il corpo esamine di John. Spalancò le fauci ed emise uno strillo.
 


 
Dum, Dum, Duuuum ! Yep, la pulce del terzo capitolo è tornata! O meglio, una pulce, l’altra è morta stecchita. Che cosa saranno queste misteriose creature? E perché compaiono ovunque Ghidorah decida di fare colazione ? Le risposte arriveranno, non vi preoccupate.
La capacità di Ghidorah di leggere i pensieri è presa da Mothra 3.
Per chi non lo sapesse, Jessica Jones è la protagonista della serie MCU Jessica Jones, disponibile su Netflix. Se non l’avete vista ve la consiglio vivamente, è stupenda.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Ecco un nuovissimo capitolo! Stavolta non ho avvisi particolari ( a parte che è il mio compleanno ), come sempre vi invito a leggervi le note a fine aggiornamento per avere un quadro migliore della situazione.
Ah, sto scrivendo una fan fiction che funge da prequel per questa storia e approfondisce la storia tra Carol e Peter.
Qui potete trovare il link : https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3850018&i=1
Approfitto anche per ringraziare tutti coloro che hanno inserite questa storia tra le preferite, seguite o ricordate. Inoltre, un grazie speciale a tutti quelli che l’hanno recensita! Sul serio, il vostro supporto è ciò che mi spinge a scrivere così velocemente.
Detto questo, vi auguro una buona lettura ;)

 

Capitolo 8
 
La Milano era sospesa nel firmamento, circondata da innumerevoli stelle e nebulose di una bellezza sublime e suggestiva. A rendere l’esperienza ancora più sconvolgente c’era la profondità pressoché infinita dello spazio circostante.
Da quella posizione, lo splendore intergalattico si estendeva in ogni direzione, senza l’intralcio di pianeti o lune.
Era una visione mozzafiato, ma al tempo stesso fredda e disarmante. Quell’universo vuoto era del tutto indifferente alla presenza del vascello, così come dei suoi occupanti.
Thor rimase fermo e immobile, a contemplare il paesaggio che si stagliava oltre l’oblò della propria cabina.
Ormai si era rinchiuso nella stanza da quasi un giorno, più precisamente da quando Rocket aveva confermato la traiettoria che Jormungand stava seguendo, attraverso le segnalazioni delle varie navi scomparse nell’ultima settimana. E, con grande orrore dell’asgardiano, tale destinazione si era rivelata essere proprio la sua seconda casa : Midgard, la Terra, dove ora vivevano i resti del suo popolo.
I pensieri dell’uomo vennero interrotti da un bussare alla porta.
<< Non disturbare la mia quiete, Quill. E nemmeno tu, Rocket >>
<< Nessuno dei due. Volevo solo vedere come stavi >>.
Il suono di quella voce costrinse l’asgardiano a riconsiderare le sue parole. L’avrebbe riconosciuta ovunque. Apparteneva a Nebula, la sorella di Gamora…ex figlia del Titano Pazzo, Thanos.
Thor aveva fatto parte dei Guardiani per quasi cinque anni, e nonostante avesse legato con tutti i membri della squadra, il suo rapporto con la donna in questione era assai diverso. Una relazione nata dal cameratismo e dal reciproco rispetto che provavano l’uno nei confronti dell’altra in quanto guerrieri.
Entrambi avevano storie molto simili e avevano passato bene o male le medesime sofferenze.
Gli altri membri dei Guardiani solevano scherzare sull'argomento, supponendo che tra i due ci fosse del tenero... anche se in pochi osavano esternare tali pensieri. Dopotutto, nessuno sapeva cosa fosse più doloroso: se i coltelli di Nebula conficcati nella schiena o la Stormbraker di Thor piantato sulla testa.
<< ... Entra pure >> rispose il tonante, dopo un breve momento di pausa.
Ed ecco che la figura della cyborg fece capolino nella stanza, attraversandola con passo leggero ed elegante, per poi sedersi accanto a lui. 
Rimase in silenzio, mentre Thor attese pazientemente che rivelasse il motivo della sua visita improvvisa.
Anche se cercò in tutti i modi di nasconderlo, la donna era un po' imbarazzata. Ogni volta che si trovava in presenza di Thor, infatti, aveva difficoltà ad elaborare una linea di condotta adeguata.
Era un suo compagno di squadra, dunque era suo dovere provare a scuoterlo dal suo stato demoralizzato. Dopotutto, un guerriero demotivato era un pericolo mortale per l'intero gruppo. O, almeno, questo era quello che aveva continuato a ripetersi dal momento in cui aveva deciso di venirgli a parlare.
 Allora…cosa la stava trattenendo? Non lo sapeva, era la prima volta che affrontava simili sensazioni, che già da diversi mesi avevano cominciato a tormentarla. Erano scomode…e la cosa non le piaceva per niente. In quel momento si sentiva come se il suo stomaco fosse stato sostituito da un macigno.
Si ripromise di parlarne con Gamora a tempo debito. Magari sarebbe stata in grado di capire cosa non andava in lei, e darle qualche consiglio su come affrontare il tutto.
Con quel pensiero in testa, si fece coraggio e prese un respiro profondo.
<< Come va? >> chiese con voce apparentemente neutrale, prima di darsi mentalmente una pacca sulla fronte. Sapeva benissimo che non stava bene. Quello era sicuramente il modo peggiore con cui avrebbe potuto cominciare una simile conversazione.
Thor si limitò a scrollare le spalle. 
<< Al solito. Traumi del passato, sai com'è >> rispose disinvolto, abbozzando un sorriso forzato.
Nebula annuì comprensiva.
<< È a causa di... Jormu... come hai detto che si chiama? >>
<< Puoi chiamarlo Ghidorah >> disse l’altro, agitando la mano destra con fare sprezzante. << Sulla maggior parte dei pianeti è conosciuto con quel nome >>
<< Capisco >> borbottò la donna, mettendosi le mani in grembo e abbassando lo sguardo.
Voleva parlargli, provare a farlo elaborare, ma si ritrovò incapace di farlo. Si sentiva come bloccata, portatrice di un peso troppo grande anche per una guerriera come lei.
Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri traditori. Lei era Nebula, per l’amor degli dei! Figlia di Thanos, colui che le aveva inflitto innumerevoli torture fin da quando era una bambina.
Aveva affrontato un esercito intero a testa alta, e aveva prevalso contro tutti quelli che avevano cercato di ucciderla.
Una semplice conversazione non poteva certo essere così difficile.
<< Non è solo Ghidorah, vero? >> chiese con tono brusco, attirando gli occhi di Thor.
<< Cosa te lo fa credere? >> 
<< Il tuo sguardo. È lo stesso che ho io quando ripenso a... bhe, tutto >>
<< Tu dici? >>
<< Non fare del sarcasmo con me. Non ti si addice >> ribattè freddamente la donna, stringendo ambe le palpebre con fare minaccioso.
Se ne pentì quasi subito. Il volto dell’asgardiano, infatti, venne attraversato da un lampo di rabbia.
<< È così? Beh, allora mi scuso profondamente. Scusa se sono troppo occupato a preoccuparmi delle sorti della Terra, dei miei compagni, che per colpa di quella bestia rischiano di fare la stessa fine del mio popolo! Dei miei genitori! La fine che ha fatto mio fratello…per colpa di tuo padre! >> esclamò, mentre numerose scariche elettriche cominciarono ad avvolgere la sua possente figura.
Nebula si tirò indietro con uno sguardo preoccupato, cosa che spinse il dio del tuono a calmarsi.
Era da molto tempo che non si sfogava così di fronte a qualcuno. E quella donna non meritava certo la sua ira.
Dopo aver ripreso la sua compostezza, volse alla cyborg un’espressione visibilmente dispiaciuta.
<< Scusa, non volevo alzare la voce così.  Ho perso il controllo, e…>>
<< Fermati >> ordinò Nebula, interrompendolo prima che potesse completare la frase. << Sono io a... dover... chiedere scusa >>
Thor la fissò sorpreso.
Nebula era sempre stata una persona molto orgogliosa, dopotutto. Il fatto che fosse disposta a scusarsi con lui…bhe, era a dir poco inaudito. Inutile dire che l’asgardiano si ritrovò piuttosto toccato dal tentativo della cyborg di farlo sentire meglio.
<< Sono stata indelicata >> continuò lei, incurante dei pensieri che stavano attraversando la mente del tonante. << Volevo solo capire... e ora lo so. Io e te... in un certo senso... siamo simili. Abbiamo sofferto entrambi e abbiamo perso la nostra famiglia >>
<< Ma tu hai ancora tua sorella >> aggiunse Thor con rammarico, ripensando a Loki. 
<< È vero, ma i Guardiani e gli Avengers... non sono come dei fratelli? Hai lottato insieme a loro, sei quasi morto insieme a loro, hai sofferto e gioito insieme a loro. Questo vi... ci... rende fratelli, in un certo senso. Un tempo vivevo solo di odio e rammarico. Rammarico per non riuscire a compiacere mio padre e odio verso mia sorella. Poi ho capito…che vivere nel passato è futile >>
Detto questo, arricciò le labbra in un sorriso autoironico.
<< Tuttavia, i brutti ricordi fanno parte di noi tanto quanto quelli belli. Sono ciò che hanno plasmato il nostro cammino, il risultato delle nostre scelte, che siano state giuste o sbagliate. Ed è attraverso quei ricordi che siamo in grado di migliorare…e onorare coloro che sono caduti per permetterci di arrivare fino a questo punto >>.
Inconsapevolmente, anche l’asgardiano si ritrovò a sorridere.
Si sistemò accanto a lei e disse : << Sei molto saggia. Forse più di me >>
<< Non credo, no. Ho semplicemente imparato dai miei errori >>
<< Hai perfettamente ragione, ma per me non è facile dimenticare. Specialmente Loki, il fratello che avevo finalmente ritrovato e che persi subito dopo. Ricordo troppo bene quando giocavamo insieme da piccoli. Poi crescemmo, e durante l'adolescenza... iniziò ad essere perseguitato dagli altri asgardiani a causa della sua diversità. E io non feci nulla per impedirlo, inebriato dalla mia posizione di erede al trono ed eroe di Asgard. Loki deve essersi sentito tradito... così, odio e invidia presero il sopravvento su di lui. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se... se io non fossi diventato l'arrogante che imparò a detestare >> sussurrò a bassa voce.
Nel mentre, Nebula gli posò una mano sulla spalla, nel tentativo di confortarlo.
<< Questo nessuno può saperlo. Ciò che conta è che lui ti abbia perdonato, e ovunque sia adesso... ti sorride. Lui ti vuole bene, ed è l’unica cosa che importa >> disse con la voce più gentile che riuscì a trovare.
Thor le lanciò un sorriso grato. Così facendo, entrambi si ritrovarono a specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra, per quello che sembrò un tempo interminabile.
Fu allora che Nebula si rese conto, forse per la prima volta da quando si erano conosciuti…che le pupille azzurre dell’uomo erano stupende. Le ricordavano i cieli tersi dei più bei pianeti dell'universo, tra cui la stessa Terra.
Al contempo, Thor cominciò ad annegare nei pozzi neri e lucidi che la cyborg aveva per occhi, ricolmi di una forza d’animo che nei suoi lunghi anni come principe aveva riscontrato solo nei guerrieri più capaci e terminati.
Entrambi si tesero, i muscoli carichi di tensione e anticipazione.
Senza che se ne rendessero conto, i loro corpi cominciarono a muoversi da soli, avvicinandosi lentamente. Finché...
<< Thor, alza il culo, Quill dice che siamo arrivati nel Sistema Solare della Terra! >>
La voce di Rocket li fece drizzare di scatto, spingendoli ad allontanarsi bruscamente.
Il piccolo procione attraversò la porta della camera, rimanendo piuttosto sorpreso nel vederli insieme.
<< Ehm... che stavate facendo? >> chiese con un sorriso canzonatorio.
<< Niente! >> risposero all'unisono, cercando di celare il reciproco imbarazzo.
L’esperimento genetico si limitò a roteare gli occhi.
<< Certo, come no...  ora muovetevi, forza! >>
 
                                                                                                                                                       * * * 
 
( Track 8 : https://www.youtube.com/watch?v=3XJ5Rm77wp4 )
Un battito d’ali, secco e sottile, mentre pezzi di edifici galleggiavano nel vuoto dell’aria.
Il vento soffiava, dapprima increspando le vetrate dei grattaceli, poi sempre più forte, scuotendo le macchine posate sulla strada.
Un fruscio che portava con sé la maledizione del cosmo, l’eco straziante di una disgrazia imminente.
Il tuono del drago.
Quelli furono forse i momenti peggiori che Strange avesse passato fino ad allora. Gli orribili suoni dell'ira di Ghidorah echeggiavano nella Città Specchio come un urlo che preannunciava la morte.
Il drago poteva scendere in qualsiasi momento, da qualunque parte.
Non ebbe neanche il tempo di preparare un piano di difesa. La bestia arrivò rimbombando dall’alto, lambendo di scariche i fianchi degli edifici, sbattendo le grandi ali con un rumore simile al ruggito del vento.
Il suo fiato ardente e luminoso bruciò la strada davanti a Strange, e l’uomo fu costretto ad evocare dal nulla una barriera argentata per proteggersi.
Si alzarono fasci guizzanti, alla cui luce danzarono le ombre nere dei palazzi che li circondavano. Poi il buio ricadde, mentre l’idra lo sorpassava e puntava ancora una volta verso di lui.
Strange non si lasciò intimidire e lanciò un incantesimo per contrattaccare.
Il proiettile di luce viola attraversò l'aria con un sibilo prolungato, ma venne prontamente evitato da una rapida virata dell’avversario.
Ghidorah levò la testa di destra, e un fulmine sfrecciò in direzione del mago, che si voltò e svanì in un guizzo del mantello.
Per alcuni secondi l'immagine dell'uomo venne sostituita da una figura distorta e innaturale che, come un vortice rosso, si materializzò alle spalle dell’idra.
Il drago  non si scompose, mentre la testa di sinistra si girò e sparò contro Strange un altro raggio di gravitoni. Tuttavia lo mancò, e colpì invece un grattacielo al centro del campo di battaglia. L’edifico, dopo aver preso fuoco, esplose in una miriade di schegge e frammenti, che cominciarono a galleggiare a mezz’aria come palloncini ricolmi di elio.
Poi, le tre teste spararono in contemporanea. Allo stesso tempo, un raggio arancione, la cui forma ricordava vagamente quelli prodotti dal mostro tricefalo, scaturì dalle mani di Strange.
I due attacchi si incontrarono a mezz’aria in un tripudio di saette e scariche di natura elettrica, che cominciarono a volteggiare per la zona come stelle filanti, sollevano cocci e pezzi di manto stradale in ogni direzioni.
Scoppi e rintocchi risuonarono per tutta la lunghezza della Times Square alternativa, mentre le finestre dei palazzi andavano in frantumi, riversando scaglie di vetro su tutta la piazza.
Strange iniziò a indietreggiare a causa della potenza del colpo, e sentì la schiena accasciarsi contro la parete dell’edificio che aveva alle proprie spalle.
Rilasciò un sibilo e iniziò a roteare il braccio in rapide e veloci contrazioni a spirale.
Entrambi gli attacchi assunsero la forma di una tromba d'aria, nera come la pece, ed esplosero in una miriade di granelli lucenti.
Ghidorah ringhiò per il fastidio e sparò un altro raggio di gravitoni. Strange evocò dal nulla un secondo scudo, che deviò il colpo proprio verso una rappresentazione perfetta dell’Empire State Building.
Nell'istante successivo, tutto quanto l'edificio esplose in varie direzioni, investendo quel tratto della città con una grandine di mattoni e vetri, sotto la quale non avrebbe potuto sopravvivere chiunque non fosse più grande di uno scarafaggio.
Mentalmente, Strange si ritrovò a congratularsi con la propria lungimiranza, anche se contenere una creatura di tale potenza all’interno della Dimensione Specchio…bhe, si stava dimostrando più stancante di quanto avesse inizialmente pensato.
Di fronte a lui, Ghidorah strinse gli occhi con aria minacciosa, spalancando le ali e cominciando ad agitarle con movimenti rapidi ma eleganti.
Automobili e veicoli si piroettarono nell'aria come altrettanti giocattoli.
Un furgone bianco percorse pacificamente un tratto della strada, restando tre metri sopra l’asfalto, con le ruote che giravano inutilmente nell'aria, i battenti del portellone posteriore appesi per i cardini deformati, attrezzi e timer che cascavano fuori rotolando fra le macerie.
Strange riuscì appena in tempo ad evitarlo, me venne comunque preso in pieno da una macchina.
Notando lo stregone in difficoltà, Ghidorah sorrise e sparò un altro raggio di gravitoni.
L’onda termica risultante fece sbandare lo stregone, mandandolo a schiantarsi contro un emporio , dove passò come uno spazzaneve su macchine per scrivere e schedari.
Il suolo tremò in un fremito simile a una scossa tellurica. In tutta la zona esplosero le finestre.
Strange riapparse sulla cima di un grattacielo pochi secondi dopo, il mantello e i vestiti leggermente bruciacchiati, mentre l’avversaria si voltava verso di lui.
Riuscì a mantenersi in piedi per pura forza di volontà, ansimando pesantemente.
<< Posso andare avanti tutto il giorno >> ringhiò a denti stretti, lo sguardo fisso in direzione di Ghidorah.
La creatura si posò a terra, e lo scrutò con i suoi occhi maliziosi per quello che parve un tempo interminabile.
<<  Tu stai mentendo >> disse la testa centrale, arricciando ambe le labbra in un ghigno consapevole. << La tua specie è così facile da capire. Respiro affannato, battito cardiaco accelerato, i feromoni che generate, sono tutto porte d’accesso della vostra natura limitata. Non puoi nascondermi nulla >>
Strange deglutì a fatica, mentre la testa di sinistra cominciò a ridacchiare istericamente, come se lo stesse schernendo. Al contempo, quella di destra sorrise in modo sadico, scoprendo le lunghe zanne e schioccando la lingua biforcuta.
<< Lascia che ti chiarisca la situazione.  Ormai so quali abilità speciali possiedi. Posso vedere le migliorie dentro di te >> continuò Ghidorah, avanzando verso l’Avenger. << Posso captare l’attività elettrica del tuo cervello. So quali mosse ti stai preparando a compiere. Ho già affrontato il nostro scontro in un milione di modi diversi nella mia mente. Posso colpirti prima che tu te ne renda minimamente conto >>
Detto questo, allargo le grandi ali, facendo cadere un’ombra sull’area circostante.
<< Io sono ciò che ogni creatura sogna di diventare. Io sono quello che i bambini vedono quando pensano per la prima volta alla morte. Questo è ciò che significa essere Ghidorah! >> proclamò con voce forte e tonante, mentre il corpo della creatura s’illuminava di un bagliore dorato.
Scariche elettriche fuoriuscirono dalla punta delle ali, intaccando il manto stradale e sollevando pezzi di cocci a mezz’aria.
Strange evocò dal nulla un altro paio di scudi, mettendosi in posizione di difesa.
<< Non ti permetterò di minacciare ulteriormente questo pianeta >> disse freddamente, ricevendo un sorriso di scherno ad opera del mostro.
<< Perché no? >> chiese l’idra, con una scrollata di spalle.
<< Le cose vanno e vengono, mago. È questo il succo. Fra miliardi e miliardi di anni ogni cosa sarà andata e venute molte volte, in varie forme. Perfino io me ne sarò andato. Qualcuno mi ucciderà assurdamente. Un vero peccato, la perdita di una rimarchevole forma di vita. I conservazionisti protesteranno, ne sono sciuro >> disse sorridendo alla propria autoironia.
Poi, le tre teste lanciarono allo stregone ghigni ricolmi di malizia.
<< Insignificante, però. Questi palazzi e questi sassi.. tutto passerà. Puf! >> sbuffò quella centrale. << Io…ne sto solo anticipando il percorso >>
A quanto pare, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Strange urlò di rabbia e balzò verso il drago, la mano destra avvolta in uno scudo e quella sinistra issante una scintillante lancia d’argento.  Ghidorah sì limitò ad agitare la coda, colpendo in pieno la figura dell’Avenger.
La protezione di Strange venne ridotta ad un semplice ammasso di scintille vaganti, mentre il corpo dello stregone si schiantò dritto contro un grattacielo, trapassandolo da parte a parte.
Cadde a terra, rotolando lungo la strada per un centinaio di metri, fermandosi solo quando incontrò una macchina al centro della carreggiata.
Sussultò a causa del dolore. Probabilmente si era rotto un femore e qualche costola.
E mentre si stava rialzando, Ghidorah atterrò proprio di fronte a lui, sollevando una densa nuvola di polvere.
<< Ognuno di voi mortali è buono solamente a macellare altri mortali! Di combattere e combattere finché le ossa dei vostri nemici non saranno sparpagliate sui campi di battaglia, solo per tornare a combattere la generazione successiva come un raccolto ben riuscito! >> disse la testa centrale, inclinandosi in avanti e fissando Stephen dritto negli occhi.
<< Pensi davvero di avere qualche speranza? Guardami ! Sotto l'epidermide della storia del cosmo…pulsano le vene del mio cammino. Questi pianeti, le stelle... anche un individuo profondamente ignorante può avvertire che essi sono pregni di energia e di significato. Quel significato sono io. Sono io quell'energia. Un giorno tutti gli esseri viventi diranno, guardandosi indietro…che sono stato il precursore della fine >>
E, dopo aver sibilato queste parole, il mostro allargò ambe le ali una seconda volta, sovrastando la minuscola figura dell’Avenger. Strange, ora in piedi, evocò un altro scudo, più grosso dei precedenti.
Al contempo, i colli di Ghidorah s’illuminarono di un rosso acceso.
<<  Super o ordinario, sei semplicemente un uomo. E io…sono un dio!>> esclamò, scaricando un torrente di energia elettrica sullo stregone.
Ondate di calore, bagliori di luce, fumo nero ed il suono dell'esplosione si sparsero in tutte le direzioni.
Stephen strinse i denti, facendo appello a tutte le sue forze per sostenere la potenza di quell’attacco.
Il colpo aveva generato delle terribili scariche da 3000 gradi Celsius. A temperature sopra i 2000 gradi il corpo umano si scioglieva prima di bruciarsi, perciò non sarebbe sopravvissuto a lungo. Presto sarebbe finito come la strada, squagliato come una scultura di zucchero, spiaccicato sull'asfalto, alla stregua di un pezzo di chewing gum usato.
E man mano che l’energia dell’uomo si consumava…la Dimensione Specchio cominciò ad infrangersi, fino a quando non venne sostituita dalla New York vera e propria.
Il ritorno improvviso di Ghidorah mandò nel panico tutti quei passanti che incautamente si erano avvicinati al punto in cui era scomparso pochi minuti prima, con la falsa speranza che Strange li avesse finalmente salvati da quella temibile minaccia.
Quegli stessi passanti vennero subito inceneriti a causa delle scariche elettriche che il mostro stava riversando sullo stregone.
Tuttavia, notando il cambio improvviso di paesaggio, la bestia terminò l’assalto e si drizzò di colpo, sorridendo soddisfatta.
Strange cadde in ginocchio, ormai privo di energie.
Tutte e tre le teste dell’idra si girarono verso di lui, scoprendo le mascelle in ghigni derisori.
<< Giovane stolto. Solo ora comprendi la follia delle tue azioni >> commentò quella centrale, spalancando ancora una volta le fauci.
La gola del mostro prese a vibrare, e l’uomo attese con un’espressione rassegnata la morte imminente.
“ Dunque è così che finisce” sussurrò a se stesso. “ Bhe…suppongo che potesse andarmi pe…”
Non ebbe il tempo di terminare quel pensiero.
Un bagliore scarlatte illuminò l’area di fronte a Ghidorah. Sì udì un brusio prolungato seguito da un rintocco assordante, mentre l’aria attorno al petto del mostro si riempiva di scariche rosso sangue miste a lampi.
Il drago tricefalo venne spinto all’indietro di diversi metri, come se fosse stato colpito in pieno da un treno invisibile.
Cercò di utilizzare le ali per rimanere ancorato a terra, ma la forza d’impattò fu abbastanza grande da sollevarlo. Atterrò a circa duecento metri dalla figura di Strange, che nel frattempo si era voltato in direzione del suo misterioso salvatore.
Wanda Maximoff emerse dalla nuvola di polvere, con le mani allungate di fronte a sé e gli occhi adornati da un intenso bagliore rosso, di cui il corpo era parzialmente avvolto.
<< Stai lontano da lui >> ringhiò, prima di inginocchiarsi accanto al mago.
L’uomo avrebbe voluto parlarle, forse per ringraziarla, o anche per dirle di correre e non voltarsi indietro. Ma era troppo stanco anche solo per compiere una di quelle azioni, e si limitò a fissare la giovane donna con occhi colmi di sollievo.
Questa gli sorrise, mentre la figura di Wong compariva al confine della zona di guerra e si lanciava in una corsa rocambolesca verso la coppia.
Senza perdere tempo, aiutò lo stregone ad alzarsi, mormorando qualcosa che suonò vagamente come un “ Grazie a Dio”.
Sicura che l’uomo fosse ora in buone mani, Wanda volse completamente la propria attenzione nei confronti di Ghidora.
Il drago si era avvicinato al trio con fare guardingo, gli occhi fissi in direzione della nuova arrivata.
<< Un’altra sfidante giunge in soccorso dei caduti. La cosa sta diventando irritante >> commentò la testa centrale.
Wanda strinse ambe le palpebre degli occhi.
<< Credimi, ho appena cominciato >> sibilò con rabbia, mentre le sue mani cominciarono a illuminarsi di luce scarlatta.
La testa di sinistra osservò l’azione con un luccichio infantile negli occhi, apparentemente incuriosita da quell’insolita spettacolo pirotecnico. Il sentimento non sembrava condiviso da quella di destra, che lanciò all’Avenger un ringhio minaccioso.
<< Pensi davvero di potermi affrontare da sola? Di riuscire dove così tanti hanno fallito?>> domandò quella centrale, sorridendo beffardamente.
Poi, spalancò le fauci, pronto a scaricare un torrente di energia elettrica contro la giovane donna. Non ne ebbe la possibilità.
Una sfocatura nera arrivò da dietro il mostro.
L’aria tra quella misteriosa figura e il corpo dell’idra s’increspò, come la superficie di un mare mossa dalle onde. Allo stesso tempo, un trillo assordante, misto all’eco di un tono, riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere, frantumando le vetrate nel raggio di diversi metri e costringendo gli spettatori, Wanda compresa, a tapparsi le orecchie.
Il suono interessò pure le teste di Ghidorah, che rilasciarono un ruggito di dolore e collera, interrompendo il loro attacco imminente.
Daisy Johnson, aka Quake, atterrò con grazia sulla cima di un grattacelo, per nulla influenzata dall’onda sonica che aveva appena generato.
<< Non è da sola >> disse con un sorriso fiducioso, attirando lo sguardo furente del drago tricefalo.
E poi, altre tre figure presero posto attorno alla bestia. Una visione che risollevò i cuori di tutte quelle persone che non erano riuscite a fuggire dall’area, nascoste tra i palazzi cadenti.
Gli eroi noti come War Machine, Falcon e il Lupo Bianco…erano giunti in loro soccorso.
<< Scusate il ritardo, vi dispiace se ci uniamo alla festa? >> disse Rhodey, facendo un rapido cenno di saluto in direzione di Wanda e Quake. Queste annuirono di rimando, mentre le teste di Ghidorah cominciarono a scrutarli con fare minaccioso.
<< Fury, aggiornarci >> disse Bucky, premendo sull’auricolare che indossava.
La voce del Direttore dello Shield non tardò a farsi sentire.
<< Quell’affare ha resistito ai colpi di Carol come se niente fosse, dubito che riuscirete anche solo a scalfire la sua corazza. Mirate agli occhi e alle teste, sembrano essere il suo unico punto debole >>
<< Ricevuto >> rispose Sam, prima di cambiare frequenza. << Sharon, dacci fuoco di copertura >>
<< Eseguo >> proclamò una voce femminile.
In quel preciso istante, una pioggia di proiettili cadde sulla schiena di Ghidorah, prendendolo di sorpresa.
La creatura ruggì di rabbia e alzò lo sguardo verso la volta celeste. La forma affusolata del Queen Jet fuoriuscì dalla coltre di nubi, sfrecciando sopra l’immensa figura del drago.
La testa di destra strinse gli occhi e sparò un raggio di gravitoni contro quella nuova minaccia. Il velivolo, tuttavia, evitò il colpo con superba maestria, scomparendo ancora una volta in mezzo alle nuvole.
Inutile dire che Ghidorah non era affatto divertito dalla piega che avevano preso gli eventi.
<< Non ho tempo per voi insetti >> disse la testa centrale, allargando le ali.
Wanda e Quake si misero in posizione di difesa, pronte a respingere qualsiasi attacco che la creatura avrebbe riversato su di loro. Tuttavia…non accadde nulla. O meglio, qualcosa accadde, ma non quello che le giovani donne si aspettavano. Così come gli altri vendicatori, del resto.
Le squame che costituivano il corpo di Ghidoraha cominciarono a vibrare, producendo una serie di schiocchi bassi e ritmati. Alcune scaglie s’inclinarono, sollevandosi dallo strato di pelle e rivelando qualcosa che avrebbe perseguitato gli incubi delle persone raccolte per i giorni avvenire.
Sotto quelle squame, infatti…vi erano degli insetti. Insetti grossi quanto una macchina, simili a pulci. Tutti dotati di fauci irte di denti acuminati.
La creature cominciarono a strisciare sul corpo di Ghidorah, riversandosi a terra come pioggia. Ed erano centinaia, forse migliaia. Un piccolo esercito fuoriuscito direttamente dal corpo di quella bestia.
Forse erano parassiti, oppure esseri legati in maniera simbiotica alla bestia, risultato di un muto accordo scaturito da anni e anni di evoluzione congiunta.
Nessuno degli Avengers ebbe la possibilità di soffermarsi sull’argomento.
<< Bhe…questa è una cosa che non si vede tutti i giorni >> commentò Daisy.
E poi, le creature si lanciarono verso gli eroi con uno strillo congiunto.
 
                                                                                                                                                         * * *
 
La pulce gigante si scagliò contro Jessica con un balzo.
La donna  non perse tempo e si lanciò di corpo verso la bestia, proprio mentre questa spalancava le fauci. Riuscì a bloccarle poco prima che si chiudessero su di lei, facendo appello a tutta la sua forza.
L’animale ruggì e ficcò una zampa artigliata nella spalla della detective. Quest’ultima trasalì per il dolore, ma si costrinse a non urlare.
Una rabbia e un’esasperazione incontenibili ebbero la meglio sul buon senso e, armata solo della proprie mani, cominciò a tirare. 
Si udì un sonoro Crack!, mentre Jessica strappava le mandibole del mostro.
Dal corpo dell’insetto sgorgò una sostanza verde che si riversò sul corpo della detective, con suo grande disgusto.
La donna lasciò andare il cadavere della pulce, ansimando a causa dello sforzo. E fu allora che udì un gemito alle proprie spalle.
Il ragazzo che fino a pochi minuti prima stava bevendo con lei si era ormai ripreso dallo svenimento e aveva cominciato a muoversi.
Jessica corse verso di lui, inginocchiandosi al suo fianco.
<< Ti senti bene? >> chiese con tono preoccupato, mentre il compagno di bevute tossiva a causa della polvere.
<< Sì…io…credo di sì. Sono solo un po’ scosso >> borbottò attraverso i denti. Aveva il volto completamente ricoperto di fuliggine e un sontuoso livido che gli percorreva la fronte.
Jessica annuì sollevata.
<< Come ti chiami? >>
<< F…Ford >> ribattè l’altro, con voce rauca.
La donna gli tirò un paio di delicate pacche sulla schiena.
<< Jessica, piacere >> disse con tono rassicurante, ricevendo in cambio un sorriso ironico.
<< Sì, lo so chi sei >>
La detective si limitò a roteare gli occhi. Almeno aveva conservato il suo umorismo, e non sembrava traumatizzato da ciò che era appena accaduto.
La stanza attorno a loro era buia a causa della polvere, ma leggermente illuminata dalla luce che attraversava la coltre.
Mentre Jessica aiutava il ragazzo ad alzarsi, udì un sonoro ticchettio provenire dall’esterno del bar.
Presi dal panico, i due si accasciarono dietro ad un grosso pezzo di soffitto, poggiato contro il bancone del locale.
<< Non fare un suono >> ordinò al donna, suscitando un cenno tremante da parte di Ford.
Si porse oltre il detrito per avere una migliore visuale della zona.
La detective udì un sibilo che crebbe e si spense lentamente, seguito da quel ticchettio inconfondibile. Poteva essere anche il vento, eppure sapeva che non lo era.
Affianco a lei, il ragazzo deglutì a fatica.
<< Stiamo per morire, vero? >>
<< Non se ho qualcosa da dire a riguardo >> ribattè freddamente la donna. Si porse in avanti e tornò a fissare l’area circostante.
Nell’oscurità della sala vide le verdi superfici rettangolari dei tavoli ormai rovesciati. Fra questi un’altra pulce gigante si muoveva agevolmente, silenziosa come uno spettro, ad eccezione del leggero rintocco provocato dalle mascelle simili a forbici.
La donna rabbrividì. Quel mostro era di costituzione più robusta rispetto al precedente. Lo si vedeva nonostante parte del corpo fosse coperta da uno dei mobili.
Jessica intravide solo la parte superiore dell’esoscheletro, le due zampe anteriori strette lungo i fianchi e la testa massiccia irta di piccoli occhi maligni.
L’artropode stava all’erta; mentre avanzava guardava da una parte all’altra, muovendo il capo con bruschi movimenti, come un cane. Procedeva deciso.
Di tanto in tanto si chinava, abbassando il muso fin sotto i tavoli.  Jessica lo vide annusare rapidamente l’aria.
Poi la testa scattò all’insù, vigile, dondolando rapidamente avanti e indietro per perlustrare l’area. E allora la donna capì : veniva verso di loro. Aveva sentito l’odore!
Si accasciò rapidamente contro il mobile per non farsi vedere. Ford se ne accorse.
<< Che succede? >>
La supereroina non rispose. Gli fece segno di mantenere il silenzio e iniziò a spingerlo verso la parte più interna della stanza.
Lentamente, molto lentamente ,i due si posizionarono dietro un tavolo ed emisero un sospiro impercettibile.
Jessica tirò nuovamente fuori la testa per analizzare la situazione. Con suo grande orrore, la pulce aveva cominciato a banchettare con il corpo di John.
L’uomo emise un gemito, seguito da grugniti sofferenti, indicanti del fatto che fosse ancora vivo. Poi, la pulce gli stacco la testa.
Jessica si portò una mano alla bocca per evitare di gridare, ma il movimento improvviso le fece cozzare il gomito contro la superficie del tavolo. La bestia alzò la testa di scatto, come colpita da un fulmine, e puntò il muso in direzione del loro nascondiglio.
Jessica nascose il capo senza un secondo pensiero.
La creatura sbuffò ed aprì le fauci, esponendo file di denti affilate come rasoi. Fissò nuovamente in avanti, muovendo il capo a scatti da una parte all’altra.
La donna sentì il cuore mancarle un battito. Adesso avevano l’insetto a pochi metri di distanza.
Vedeva la bava vischiosa e lucente che si riversava sul pavimento, e le piccole  contrazioni nervose dei peli sulle zampe.
Jessica prese un paio di respiri calmanti e fece cenno al compagno di spostarsi.
Senza produrre il minimo rumore, i due zampettarono dietro al bancone.
La creatura, intanto, porse la testa all’estremità del loro precedente nascondiglio e iniziò ad annusare le assi in legno.
Jessica si voltò nuovamente verso Ford e gli mise una mano sulla spalla. Questi la fissò in preda al terrore.
<< Ti fidi di me? >> chiese la donna, con tono colmo d’anticipazione.
In tutta risposta, il ragazzo si limitò ad inarcare un sopracciglio, sussurrando: << Ho altra scelta ?>>
<< Non credo >>
E, detto questo, Jessica mise i piedi sulla superficie verticale del bancone. Poi, afferrò una lattina di birra e la lanciò verso la parete opposta della stanza ,facendolo cadere proprio di fronte a dove la coppia si era nascosta.
La pulce alzò la testa di scatto e puntò in direzione dell’oggetto. Si avvicino con cautela e iniziò a grattarlo con le zampe, ringhiando minaccioso. Jessica non aspettava altro.
Prese un respiro profondo e,con tutta la forza che aveva in corpo, spinse il bancone con una flessione delle gambe.
Il mobile, per quanto grande, finì per soccombere alla forza sovraumana della supereroina, e si scardinò da terra.
L’insetto non se ne accorse in tempo, e venne schiacciato dal peso del legno dritto contro il muro.
Jessica si alzò in fretta e furia, buttandosi di peso contro il bancone e intrappolando la bestia urlante.
<< Aiutami ! >> ordinò con voce imperiosa, scuotendo Ford dal suo stato di terrore.
Il ragazzo si affiancò alla donna e cominciò a spingere, mentre la pulce scalciava e ringhiava come impazzita. Allo stesso tempo, il muro iniziò a bagnarsi del suo sangue, e numerosi schiocchi segnalarono la rottura dell’esoscheletro.
Alla fine, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, Jessica compì un ultimo passo in avanti, inchiodando la creatura alla parete con un sonoro Crack!.
La bestia, ormai morta, vi rimase appiccicata, con il bancone conficcato nel corpo.
Al contempo, la donna rilasciò un sospiro di sollievo. Era stata dura…ma ce l’avevano fatta.
Girò lo sguardo in direzione di un ansimante Ford.
<< E ora…andiamocene di qui. E cerchiamo di capire cosa cazzo sta succedendo in questa dannata città >>.
 
 

E così, ecco svelata la natura delle pulci. Sono tipo pesci pilota che seguono Ghidorah ovunque vada, nutrendosi dei suoi avanzi e fornendogli supporto nel caso debba affrontare dei combattimenti. L’idea è tratta dal film Cloverfield, in cui il mostro protagonista ha lo stesso metodo di difesa.
E sì, Thor e Nebula…eh eh…non so davvero come diavolo questa coppia mi sia venuta in mente, ve lo assicuro. Ma volevo inserirla !
Nel mentre, Strange è ormai sfinito e Wanda è finalmente entrata in campo, assieme ad altri comprimari.
Il prossimo scontro, al contrario dei precedenti, sarà molto più psicologico. Una vera e propria battaglia mentale in cui l’anima di uno di loro verrà messa di fronte ai propri demoni…
Inoltre, vedremo come Peter si sta prendendo cura di Carol, che nel frattempo è messa molto male.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Ecco qui un nuovissimo capitolo !
Come annunciato nel precedente, la prima parte di questo aggiornamento presenterà combattimenti fisici, mentre la seconda sarà teatro di uno scontro molto psicologico.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare un commento!
 

 
Capitolo 9
 

Peter atterrò dolcemente sulla cima di un palazzo, il corpo di Carol ancora saldamente tenuto tra le braccia.
Una volta scesi a terra, la donna emise un gemito sofferente, cosa che spinse il vigilante a posarla delicatamente contro il muretto della copertura.
<< Fammi vedere >> disse con tono preoccupato, ricevendo uno sguardo tagliente da parte della donna.
<< Sto bene, posso ancora combattere… >>
<< Carol ! >> ribattè Peter, interrompendola prima che potesse terminare la frase.
La supereroina sussultò, sorpresa dallo sfogo improvviso del compagno. Questi rilasciò un sospiro, afferrandole ambe le mani con fare rassicurante.
 << Fammi vedere >> disse con voce più gentile, cercando di metterla a proprio agio. Carol era una donna molto orgogliosa, lo sapeva bene. Odiava apparire debole di fronte agli altri, ma essere testarda in una situazione del genere non le avrebbe certo giovato.
La bionda distolse lo sguardo, annuendo appena per dargli il suo tacito assenso.
Peter procedette ad alzare parte della tuta, rivelando lo stomaco dell’Avenger. Era completamente ricoperto di lividi, e una profonda ferita ne percorreva il fianco, da cui stavano fuoriuscendo fiotti di sangue.
<< Dobbiamo raggiungere subito un ospedale >> disse il ragazzo, dopo un’attenta analisi.
Carol compì un paio di colpi di tosse.
<< N-no, niente ospedale >> sussurrò a bassa voce.
Il vigilante la fissò incredulo.
<< Carol, sei messa davvero male… >>
<< Non saprebbero come aiutarmi >> ribattè a denti stretti, tentando di frenare un’altra ondata di dolore.
Peter allora comprese: non stava rifiutando la possibilità di ricevere cure. Era assai improbabile che qualunque ospedale possedesse l’attrezzatura necessaria per rattoppare qualcuno come lei, la cui biologia aliena la rendeva assai diversa da qualunque essere umano normale, a partire dal sangue stesso.
<< Di cos’hai bisogno? >> chiese, dopo un attimo di silenzio.
Carol sembrò prendere in considerazione la domanda del compagno.
<< Energia. E parecchia >> rispose, per poi scoppiare in un altro attacco di tosse. Alcune gocce di sangue le colarono dalle labbra, riversandosi a terra. Fu una visione che riuscì a scuotere Peter fino al midollo.
<< Dovrebbe esserci una centrale elettrica nelle vicinanze >> disse il ragazzo, issandola ancora una volta tra le braccia.
La donna annuì soddisfatta.
<< Portami lì >> ordinò con voce stanca, mentre numerosi boati cominciarono a risuonare dal centro della città.
Peter lanciò una rapida occhiata in quella direzione. La battaglia con Ghidorah era ricominciata…e dubitava seriamente che sarebbe finita presto.
 
                                                                                                                                                      * * * 
 
Rhodey avanzò, mentre il suolo tremava a ogni suo passo.
Lanciò per aria le pulci che affollavano il vialetto, sollevò le braccia e l’armatura evidenziò settecentredici possibili bersagli.
Il primo passaggio con gli M-2 trasformò in hamburger una decina di quelle bestie.
L’uomo osservò i contatori delle munizioni precipitare con numeri a tre cifre, mentre un secondo passaggio distruggeva altri venti di quegli affari e apriva un varco attraverso l’incrocio.
In quel momento, una pulce almeno tre volte più grande delle altre gli saltò addosso, facendolo cozzare sull’asfalto. Gli interni dell’armatura cominciarono a tingersi di rosso.
Rialzandosi a fatica, l’uomo notò che l’insetto si trovava ad appena pochi metri da lui, pronto a completare l’opera.
Senza perdere tempo, Rhodey afferrò una Cadilliac Nera e la scaraventò sull’animale, appiattendolo al suolo. L’eroe fece un balzo nel cielo e atterrò pesantemente sul tettuccio della macchina. Tutte e quattro le ruote esplosero e i cristalli andarono in mille pezzi.
Sotto il veicolo, la creatura rilasciò un grido assordante. Parte della testa e una zampa erano rimaste bloccate sotto lo sportello del passeggero ed erano coperte di vetri infranti.
La creatura cominciò ad aprire e chiudere le mascelle, fissando l’Avenger con rabbia.
<< Dio, sei proprio brutto >> commentò questi.
Il mostro si mosse e allungò un artiglio per afferrarlo, ma il movimento fu lento e impacciato. La macchina cigolò, mentre la creatura cercava di spingerla via.
Rhodey alzò il braccio destro, pronto a finire l’avversario. Tuttavia, poco prima che potesse farlo, una zampa irta di peli si aggrappò alla sua gamba e lo sbattè giù dal veicolo.
La nuova pulce, grande quanto quella che si trovava sotto il mezzo di trasporto, scaraventò l’Avenger sul marciapiede. La testa dell’eroe urtò contro il manto stradale con un sonoro tonfo.
Poi, il corpo dell’uomo venne lanciato in aria dalle mascelle di un altro insetto, prima di essere sbattuto al suolo ancora una volta. Le orecchie iniziarono a ronzargli.
La terza pulce spostò di lato la macchina e lo guardò. A quel punto, Rhodey attivò i meccanismi d’aereazione della tuta, sfidando la gravità, e sferrò un pugno con tutta la sua forza, dritto contro il cranio dell’avversario.
Decine di giganteschi denti si frammentarono e volarono in tutte le direzioni lungo la strada non appena le mascelle del mostro finirono in pezzi.
Rhodey si girò e lanciò un secondo colpo che distrusse la cassa toracica di un’altra pulce, riversando sangue verde sul manto stradale.
L’ero sferrò un terzo colpo contro l’ultimo nemico, e poi un quarto e infine un quinto, fino a quando l’insetto non iniziò a retrocedere. Con un altro impulso di energia, l’uomo riuscì a prendere la schiena in una mano e una zanna nell’altra.
Poi si avvinghiò al petto del mostro e girò la testa dell’artropode . Il cranio si volse verso sinistra…e smise di muovermi.
<< Questa sarà una lunga giornata >> borbottò amaramente.
Due isolati più in là, Bucky continuava a combattere da terra, cercando intanto di ricaricare le pistole e liberare la mente.
Compì una scivolata a terra…e fece fuoco. I corpi degli insetti caddero uno dopo l’altro, a ogni colpo sparato, e, sino a quando non si rimise in piedi, l’uomo non si fermò di certo per controllare quanti di quei proiettili fossero stati fatali per le bestie. Troppo pochi, a giudicare dal fatto che continuavano a venirgli addosso.
Svuotò i caricatori per darsi un momento di respiro e poi ne inserì di nuovi. Erano gli ultimi.
Sam era impegnato a combattere con altre pulci a circa una ventina di metri di distanza. Fra loro c’era un varco riempito con centinaia, forse migliaia, di quegli animali.
Le pistole dell’Avenger fecero fuoco ancora una volta, eliminando un’intera fila di quegli affari, fino a quando l’uomo non riuscì a raggiungere un pick-up abbandonato in mezzo alla strada.
Le pulci lo videro arrivare e si misero a ringhiare. Si lanciarono verso di lui, caricando come una mandria di tori infuriati.
Una di loro cadde all’istante contro i colpi del soldato e Bucky usò il cadavere come trampolino di lancio.
Mentre era sospeso a mezz’aria, l’uomo risistemò le armi nella fondina e con un calcio lanciò uno degli insetti fuori dal pick-up. Con gli stivali si piazzò sul veicolo e dette un pugno ad un’altra pulce con il braccio metallico.
La bestia incespico all’indietro e urtò un suo simile, facendolo cadere sulla strada.
Bucky sparò dritto tra le mascelle della creatura, facendole a pezzi.
Con la protesi bloccò un artiglio che stava per colpirlo allo stomaco, piegò la zampa della pulce e con un colpo ben assestato allo sterno riuscì a perforarne l’esoscheletro.
La creatura urlò per il dolore e Bucky procedette a colpirla con un calcio, facendola cadere sulla schiena. Poi sparò al ventre scoperto dell’essere, uccidendolo all’istante.
Lanciò brevemente un’occhiata alle proprie spalle: Quake e Wanda erano ancora impegnate a combattere contro Ghidorah, i cui attacchi si erano fatti man mano più aggressivi e insistenti.
La testa di destra del mostro balzò verso Wanda che, con uno scatto, riuscì a schivarla. La dentatura del drago si fracassò al suolo proprio accanto ai piedi della donna.
La Scarlett Witch colse l’attimo : afferrò telecineticamente una delle pulci e la scagliò contro il muso della bestia. Ne prese altre due e, usandole come mazze, colpì il cranio del mostro per tre volte prima che gli insetti si maciullassero completamente.
La testa centrale scattò in avanti per addentarla, ma Wanda aveva già spiccato il volo.
Lanciò contro la schiena del drago un’ondata telecinetica, facendolo crollare pesantemente sulla strada.
Si preparò a lanciare un altro attacco. Tuttavia, prima che potesse farlo, una pulce la assaltò da dietro, facendola cadere sulla strada.
La giovane donna se ne liberò con un rapido attacco telecinetico, ma venne assalita da almeno una decina di quegli insetti.
A un centinaio di metri da lei, Ghidorah decise di approfittare del momento di difficoltà in cui si trovava l’ex Avenger. Prese la mira, spalancò le fauci e…
Un’onda sonora sbattè la testa di sinistra contro l’edificio accanto, facendo incespicare il mostro all’indietro.
Il collo della creatura si mosse avanti e indietro, come quello di un serpente, prima che qualcosa nella sua faccia distorta si focalizzasse su Quake, lanciando un ringhio.
<< Aaaaah >> disse la donna. << Ho attirato la tua attenzione, ragazzone? >>
La risposta dell’idra arrivò sotto forma di un raggio di gravitoni, che Daisy fu costretta a schivare.
Sotto di lei, Wanda era riuscita ad uccidere la maggior parte dei suoi assalitori.
Uno di loro la colpì alle spalle, mentre altri due si lanciarono in una carica frontale.
La Scarlet Witch allungò la mano destra e sferrò mentalmente un colpo di energia psichica contro gli artropodi. Si scrollò di dosso quello che cercava di morderla e gli fece esplodere le mascelle.
Poi, sentì un grido di avvertimento proveniente da Quake.
Si voltò, appena in tempo per vedere le tre teste di Ghidorah che facevano un balzo in avanti. Le bocche della creatura assomigliavano ad una pianta carnivora armata di denti e zanne.
Istintivamente, Wanda alzò ambe le mani per proteggersi, evocando dal nulla uno scudo telecinetico.
Il drago ringhiò e sbuffò come impazzito, mentre i denti affilati intaccavano la barriera scarlatta nel tentativo di superarla. Nonostante ciò, la supereroina fece appello a tutta la forza che aveva in corpo per mantenere quella posizione, le labbra strette in una smorfia, gli occhi illuminati di rosso.
Piantò i piedi per terra e lanciò un urlo di pura collera, cominciando a spingere indietro il mostro. Inutile dire che Ghidorah si ritrovò piuttosto sorpreso dalle azioni della giovane donna.
Qui, di fronte a lui, per la prima volta da innumerevoli millenni, una mortale lo stava mettendo in difficoltà. A nulla erano valsi i suoi tentativi di colpirla con i raggi di gravitoni, i poteri telecinetici di questa umana si stavano rivelando una vera sfida. Era potente, la testa centrale dovette ammettere a se stesso. MOLTO potente.
Eppure…qualcosa d’insolito attirò l’attenzione del drago tricefalo. Udì una massa di pensieri indistinti e confusi farsi strada nella propria mente. E, dopo aver prestato maggior attenzione alla cosa, si rese conto che era proprio quella donna a proiettarli.
Inizialmente pensò che dovesse trattarsi di un qualche attacco mentale, magari un maldestro tentativo d’intrusione. Tuttavia…ben presto si rese conto che quei pensieri erano troppo disordinati, pieni di rabbia, dolore…e rimpianto.
Fu allora che il mostro arrivò ad una sorprendente realizzazione : quella mortale, la cui mente era abbastanza forte da generare attacchi telecinetici in grado di contrastarlo…aveva una mente completamente esposta, senza alcun tipo di difesa. Stava proiettando i propri pensieri all’interno del cervello di Ghidorah…senza manco rendersene conto.
“Per quale motivo?” fu il primo pensiero che passò per la testa centrale dell’idra.
Vi erano diverse possibili ipotesi. Forse era meno potente di quello che aveva inizialmente pensato, ma ne dubitava fortemente, soprattutto dopo quell’incredibile manifestazione di abilità offensive.
Oppure nessuno le aveva mai insegnato a sviluppare correttamente i suoi poteri, il cui utilizzo era limitato all’apprendimento autodidatta.
Quest’ultima opzione suscitò un sorriso malefico  da parte di Ghidorah. Ora sapeva esattamente quale sarebbe stato il corso d’azione più idoneo per ribaltare lo scontro a suo favore.
La testa centrale fece segno alle altre due di farsi indietro, cosa che spinse la coppia ad osservarlo con aria confusa. Tuttavia, ben sapendo che non era nel loro interesse disobbedire agli ordini del loro “ comandante”, le due teste fecero come ordinato.
Al contempo, il capo centrale si abbassò a terra, incontrando lo sguardo di Wanda.
Questa strinse gli occhi e si preparò ad attaccare ancora una volta. Allo stesso tempo, le pupille di Ghidorah sembrarono illuminarsi…e il mondo della giovane donna cominciò a crollare.
 
                                                                                                                                                         * * *
 
Buio. Fu la prima cosa che Wanda vide, una volta aperti gli occhi.
Il mondo attorno a lei era buio…e faceva freddo.
Poi…venne la luce. E la realtà attorno a lei cambiò con un vorticare di colori e forme, lasciando posto ad uno scenario piuttosto familiare.
Una stanza completamente ricoperta di cocci, macerie e assi di legno spezzate. Sul pavimento inclinato, poco più in basso, vi era una granata, sulla cui superficie cilindrica spiccava un'unica e semplice parola : Stark.
Questo era un sogno. Non lo sembrava, ma doveva esserlo per forza. Per prima cosa, aveva già vissuto una volta il 15 Luglio del 2005, e le sembrava terribilmente ingiusto doverlo rivivere. Poiché quello era lo stesso giorno in cui erano morti i suoi genitori.
Secondo, ricordava un sacco di cose avvenute negli ultimi mesi, soprattutto le sue conversazioni con il Dottor Banner.
L’immagine cambiò di colpo.
Questa volta niente oscurità : la via dei ricordi, per il bene o per il male, era illuminata da lampade ad arco. Ma il film era confuso, come se il montatore avesse alzato un po’ il gomito a pranzo e non si ricordasse più il filo conduttore. In parte, ciò era dovuto alle deformazioni in termini temporali.
Wanda aveva l’impressione di vivere nel passato, nel presente e nel futuro, tutto in contemporanea.
Vide il corpo di Pietro che la stringeva, sussurrandogli dolcemente che sarebbe andato tutto bene.
Altra inquadratura. Adesso c’erano varie persone assiepate intorno a lei. Sembravano molto alte, e Wanda pensò che quella doveva essere come una soggettiva dalla bara.
Sull’ambulanza era priva di sensi, ma poteva comunque contemplare se stessa, come se fosse fuori dal suo corpo. Poi c’era qualcos’altro : mentre le tagliavano i calzoni, scoprendo l’anca che aveva l’aria di essere fatta di due maniglie maldestramente congiunte, sopraggiunse un arresto cardiaco. Sapeva esattamente di che cosa si trattasse, perché lei e Pietro non si erano mai persi un episodio di Doctor House, ed ecco che le varie persone raccolte cercarono di rianimarla.
Uno dei paramedici portava al collo un crocifisso che le sfiorò il naso.
Perché nessuno le aveva mai detto che era morta durante il trasporto? Pensavano che forse fosse troppo piccola per sapere una cosa del genere?
<< Pronti! >> gridò l’altro paramedico, e proprio prima dell’elettrostimolazione, il conducente si girò e Wanda vide che era uno degli scienziati che anni dopo l’avrebbero presentata a Strucker. Da quanto tempo l’avevano tenuta d’occhio?
Poi le spararono una scarica…e il suo corpo sobbalzò. E, sebbene la Wanda al di fuori non avesse un corpo, ricevette comunque l’elettricità, un colpo rovente che accese l’albero del suo sistema nervoso.
La parte di lei che era sulla barella si divincolò come un pesce fuor dall’acqua, poi si placò.
Il paramedico accasciato dietro guardò il monitor e disse : << Niente, prova di nuovo >>
E quando l’altro eseguì l’azione, avvenne un taglio netto nella visione e si ritrovò legata ad un letto d’ospedale. Era completamente sola.
A fatica, scostò le coperte e posò i piedi a terra e, pur sentendo i punti sull’anca e sul ventre tirare e strapparsi, riversando quello che doveva essere sangue trasfuso lungo la gamba, attraversò la camera senza zoppicare, superando un raggio di sole che proiettava una fuggevole ma molto umana ombra sul pavimento, e arrivò alla porta.
Non vista, imboccò il corridoio, passando accanto a una barella e a due infermiere che, ridendo, guardarono delle foto, e si diresse un eco ripetitivo. Non la notarono nemmeno.
Le luci del corridoio cominciarono a tremolare.
Il sangue scorreva lungo la gamba, il fondo del pigiama era rosso, ma lei non avvertì alcun dolore. Ne temeva alcun tipo di infezione. Era al sicuro, racchiusa nella propria mente, e niente avrebbe potuto farle del male.
Aprì una porta scorrevole…ed entrò.
Un’altra stanza d’ospedale, completa di televisore…e Ghidorah la aspettava al suo interno.
O meglio, un’immagine della testa di Ghidorah. Non era neanche propriamente un immagine, era troppo distorta, dai contorni indefiniti. Forse un qualche tipo di proiezione.
La Scarlet Witch non ebbe il tempo di soffermarsi sulla cosa, poiche, appena pochi secondi dopo il suo arrivo, la creatura cominciò a parlare.
<< Saluti, Wanda Maximoff. È un piacere poterti incontrare di persona >> affermò la bestia.
La voce, benché potente, era mite. La voce d'una cosa che portava la morte, calma come i rami secchi e il ghiaccio di un lago quando il vento ci soffia sopra.
L’ex Avenger si guardò attorno, deglutendo a fatica.
<< Dove sono? >> chiese con un filo di voce. Allo stesso tempo, Ghidorah sembrò sorriderle.
<< Ormai dovresti averlo intuito >> rispose con un sottofondo di cupo divertimento.
E sì, ormai Wanda ne aveva decisamente un’idea. Erano nella sua mente. O, almeno, in una rappresentazione del suo inconscio.
La giovane donna strinse ambe le mani in pugni serrati, fissando intensamente gli occhi immateriali dell’idra.
<< Perché mi hai portato qui?>>
<< Chi è Visione? >> chiese la bestia. E, non ottenendo risposta, fece di nuovo uno dei suoi sorrisi a bocca chiusa, immobile.
<< Ecco >> disse con tono canzonatorio. << Entrambi poniamo domande cui l’altro non vuole rispondere. Lasciamo perdere, che ne dici? Le mettiamo da parte come le carte di riserva di quel vostro gioco…come si chiama?>>
<< Le carte di riserva del cribbage >> rispose Wanda, camminando lentamente fino alla parete opposta della stanza e scrutando sospettosamente la testa fluttuante. Non era attaccata a niente, nemmeno ad un collo. Era tutto muso, fauci, denti e corna.
<< Da dove vieni? >> chiese, dopo aver circumnavigato la totalità di quella proiezione.
<< Dal pianeta X >> fu la risposta del drago. << Veniamo da un pianeta in estinzione per mangiare pizza, comprare a credito e imparare il francese >>.
Wanda sussultò.
Quella...era la voce di Pietro. Quel mostro stava usando la sua voce! Ma come diavolo…
<< Questo mondo è davvero strano >> continuò Ghidorah, riadattando il proprio linguaggio…solo che, come Wanda notò con evidente incredulità, la voce della cosa era diventata la sua, quella di Wanda stessa. Tutto ciò che stava passando…era una sorta di mega allucinazione, ora lo sapeva.
Una volta che ebbe raggiunto quella realizzazione, la camera vibrò di tante radici rosse. Crebbero sul pavimento, sul davanzale della finestra, sulle stecche delle veneziane. Si diffusero sulla lampada e lungo il soffitto, sul flacone del glucosio, sul trespolo accanto al letto.
Piccole sbavature scarlatte pendevano dalla maniglia della porta del bagno e dalla manovella per azionare il meccanismo per regolare l’inclinazione del letto. La testa fluttuante di Ghidorah…era ormai sparita, come se non ci fosse mai stata.
Wanda sì girò verso l’uscita della stanza…e si bloccò. Un brivido freddo le percorse la spina dorsale.
Davanti e lei, una sagoma alta più di un metro e ottanta iniziò a farsi strada al di fuori dell’oscurità.
La figura si fece avanti, distendendo le membra. Un paio di occhi rossi si aprirono, scintillando brevemente, e si fermarono su di lei, costringendola a compiere un passo all’indietro.
Wanda avrebbe riconosciuto quelle sembianze ovunque. Era lo stesso inarrestabile, invincibile e insensibile Ultron responsabile di tante morti e tanti rischi che lei e gli Avengers avevano affrontato in passato.
Un’intelligenza artificiale creata per il benessere del mondo. Vedendo l’umanità stessa come un imperfezione del grande schema delle cose, aveva identificato nell’estinzione l’unica opzione possibile per preservare la pace tanto ambita.
Quando lo aveva visto per l’ultima volta, all’interno di un treno, gli aveva fatto esplodere il torace. Tutto sommato, era stato un disguido non da poco. Qualsiasi umano sarebbe morto…ma non una creatura come lui.
E adesso il petto dell’androide omicida sembrava a posto : la medicina cibernetica aveva fatto passi da gigante, pensò ironicamente.
La creatura grigia levò una mano in una sorta di fiacco saluto. L’arto aveva cinque dita, terminanti con artigli, dai quali colava una sostanza rossa. Probabilmente sangue, o forse solo olio.
<< Ciao, Wanda >> disse con la sua inconfondibile voce metallica, un eco di morte misto al graffiante suono di un radiatore appena acceso.
La Scarlett Witch compì diversi passi all’indietro, mentre l’androide si sedeva comodamente sul letto dell’ospedale.
<< È impossibile >> sussurrò la donna, ricevendo un sorriso divertito ad opera della macchina. Aveva dimenticato quanto potesse essere espressiva quella cosa, nonostante non fosse umana.
<< Solo se pensi che lo sia >> rispose Ultron, con fare cospiratorio.
In quel momento, una piccola sagoma zampettò sul pavimento della stanza, facendo incespicare la donna.
L’intruso, quale che fosse, si arrampicò sul letto, fino alla figura dell’androide, rivelandosi per quello che era: una versione in miniatura di quelle pulci che Wanda aveva combattuto fino a pochi secondi prima.
La piccola bestia si accoccolò tra le gambe di Ultron, che prese ad accarezzarla con fare affettuoso.
“ The Itsy Bitsy Spider” sussurrò la mente di Wanda, ricordando quella vecchia canzone che sua madre le cantava sempre da piccola.
Presa dal panico, si voltò in direzione della porta…ma questa era sparita, sostituita da un muro bianco e immacolato.
La giovane donna urlò di rabbia e sbattè un pugno sulla parete in cartongesso, non producendo danni visibili.
Fatto questo, girò la testa verso un Ultron visibilmente divertito.
<< Tu…tu sei morto. Ti ho visto morire >> sibilò a denti stretti.
L’androide si limitò a scrollare le spalle, movimento che suscitò un gemito di dispiacere ad opera della pulce.
<< Ormai dovresti averlo capito, ragazza mia >> disse con tono beffardo. << Non puoi uccidermi. Sono inevitabile…come le tasse! >>
Poi, indicò la Scarlett Witch con un gesto drammatico, gli occhi rossi che lampeggiavano nella penombra della stanza.
<< Io per te ci sarò sempre >>
<< Esci fuori dalla mia testa! >> gridò Wanda, sprigionando un’ondata di energia scarlatta.
Tuttavia, sia Ultron che la pulce rimasero completamente inalterati da quella manifestazione di potenza, e perfino la stanza ne uscì immacolata.
Il robot simulò un’espressione sinceramente sorpresa.
<< Ora, perchè dovrei farlo? Abbiamo così tanto tempo da recuperare! Ma come dovremmo spenderlo? >> borbottò quasi a se stesso, mentre un certo artropode cominciò a ridacchiare.
Dopo quello che sembrò un tempo interminabile, la macchina schioccò le dita della mano destra, schizzando piccole gocce di sangue(olio?) sul materasso del letto.
<< Ci sono! Guarderemo insieme la televisione >>
<< Non voglio…>>
<< C’è un film che vorrei vedere. Piacerà anche a te. S’intitola “ I Have No String!”. Itsy Bitsy, il telecomando! >>
La pulce lanciò a Wanda un’occhiata particolarmente ostile, poi zampettò sul guanciale con una rumore raspante. Sul comodino c’era un telecomando coperto di polvere.
Itsy Bitsy lo prese tra i denti, si girò e strisciò di nuovo verso Ultron, il quale lo afferrò e lo puntò verso un televisore comparso dal nulla.
Sullo schermo, visibile benché annebbiato dalle radici che ricoprivano il vetro, comparve l’immagine di Sokovia.
Al centro dello schermo si stava svolgendo una battaglia titanica. Centinaia di Robot alti quanto un uomo che imperversavano per le vie della città, combattendo contro gli Avengers.
E prima ancora che la porta di un abitazione si aprisse e Wanda vedesse se stessa uscire con le mani illuminate di rosso, le fu chiaro che quegli eventi si erano già verificati. In sottofondo cominciò a suonare “I Have No String”, direttamente dal film di Pinocchio del 1943, targato Disney.
<< Bene >> commentò Ultron, parlando dal centro del cervello di Wanda. << Abbiamo perso i titoli di testa, ma il film è appena cominciato >>
È proprio ciò che temeva Wanda.
<< Ti prego… >> piagnucolò la giovane donna. << Io…non voglio…non voglio rivederlo >>
<< Sshhh >> ordinò Ultron, e Itsy Bitsy mise in mostra i suoi terribili denti, come a suggerirle di non fare la maleducata. << Adoro questa canzone. A te piace?>>
<< Come fa a piacerti? >> chiese, ignorando il ghigno della pulce, che, come entrambi sapevano, non rappresentava alcun pericolo per lei.
<< Era la canzone che cantavi mentre tu…tu…>>
<< Sta zitta e guarda il film >> ordinò bruscamente il robot, facendola sussultare. << L’inizio è un po’ lento, ma in seguito migliora >>.
Wanda intrecciò le mani in grembo e guardo “ I Have No String” , le cui star sembravano essere proprio i Vendicatori.
E poi…arrivò il momento che per tanti anni aveva cercato di dimenticare. Clint Burton che afferrava un bambino inerme tra le braccia…
<< No…no… >>
Pietro Maximoff, suo fratello, che correva in direzione dell’uomo, mentre il Quinjet volava a tutta velocità verso di loro…
<< Pietro! >>
Ultron che attivava le armi del velivolo, che fecero fuoco su tutti e tre. Pietro che salvava Clint e il bambino…morendo nel tentativo.
Wanda si portò una mano alla bocca per trattenere un urlo disperato, mentre copiose lacrime cominciarono a fuoriuscirle dagli occhi.
<< Pietro… >> sussurrò a bassa voce, mentre la stanza cominciò a cambiare ancora una volta.
Alzò lo sguardo verso Ultron e balzò all’indietro. Ora, l’androide sembrava una sorta di esperimento genetico fallito. In parte robot…in parte Ghidorah, la cui testa aveva sostituito quella della macchina omicida. Itsy Bitsy gli zampettava sulle spalle, strofinando le lunghe mascelle sulle corna del drago.
La camera d’ospedale venne sostituita da un vuoto nero e apparentemente senza fine.
<< Deve essere davvero frustrante essere ingabbiato come un grillo in una mente limitata >> commentò Ghidorah, per poi schioccare le dita della mano destra.
Quel mondo di nulla e oscurità lasciò il posto a centinaia di immagini. Foto in movimento che raffiguravano popoli, individui…malattie, povertà, guerre…morte e dolore. Umanità.
<< Credono di pensare. Non hanno una visione globale, un sistema totale, solo schemi vagamente somiglianti, non hanno più identità di un ponte o di una ragnatela >> disse l’idra, attirando l’attenzione di Wanda. << Ma si lanciano sugli abissi attaccandosi a una tela di ragno, e a volte ce la fanno, e con quello sono convinti d'aver risolto la questione! Potrei raccontarti mille tediosissime storie dell’assurdità che caratterizza voi mortali, specialmente gli umani >>
Il mostro lanciò alla donna un sorriso maligno, gli occhi rossi che lampeggiavano tra le ombre.
Al contempo, lo sguardo di Wanda si posò su una scena ben precisa. E, per poco, la Scarlet Witch fu tentata di correre e non voltarsi indietro.
Quella era la testimonianza del suo fallimento. La morte degli ambasciatori wakandiani, che come conseguenza aveva portato alla creazione degli Accordi di Sokovia, e alla conseguente Guerra Civile tra supereroi.
Si portò ambe le mani alla testa e crollò in ginocchio, mentre le grida di orrore e dolore dei testimoni riecheggiavano come colpi di pistola all’interno della sua testa. Il tutto sotto gli occhi divertiti di Ghidorah.
<< Siete un’unica razza, con gli stessi obiettivi, gli stessi sogni, le stesse paure. Mangiate lo stesso cibo, dormite tutti nello stesso modo. Quindi dovete trovare un modo per differenziarvi… per giustificare il fatto di uccidervi gli uni con gli altri >> disse con tono vagamente disgustato, mentre il suo corpo cominciò a mutare. << Confini, nazioni, quartieri, religioni, nomi, moda. Uccidereste per un paio di scarpe. I vostri leader vi sfruttano per la loro sete di potere, e voi siete felici di permetterglielo, in modo che possano uccidere quelli che avete deciso che non sono come voi >>.
Ora, grandi ali avevano preso il posto delle braccia metalliche, una lunga coda biforcuta fuoriusciva dalla parte posteriore del corpo, non più metallico, ma fatto di carne, ossa e squame dorate. Tre lunghi colli partivano direttamente dalla cima del busto, adornati da volti crudeli e sorridenti.
<< Siete una razza di folli >> terminò freddamente la testa centrale di Ghidorah.
E mentre il suono delle urla si faceva sempre più forte…la figura della Scarlett Witch cominciò a tremare.
Radici rosse, come quelle della stanza d’ospedale, iniziarono a protrarsi dall’oscurità, avvolgendo il corpo inerme della giovane donna.
Di fronte a lei, il drago sorrise soddisfatto.
 << Ascoltami bene Wanda Maximoff :quello che senti adesso non è morte, è vita... un nuovo tipo di vita. Libera dal dolore >> sibilò attraverso le zanne acuminate.
La pelle dell’ex Avenger era ormai completamente ricoperta da quei viticci. La sua figura era completamente immobile.
<< Apri i tuoi occhi Wanda.Vedi,ciò che vedo io. Senti,ciò che sento io...>> riprese la bestia, ghignando malignamente. << E andiamo a ululare alla luna insieme>>.
E fu dopo che l’idra ebbe pronunciato tali parole…che la mente di Wanda andò in frantumi.
 
                                                                                                                                                         * * *

Un silenzio di tomba attraversò l'aria di Times Square.
Sebbene Wanda fosse rimasta intrappolata nella sua stessa mente per circa un’ora, in realtà erano passati solo pochi secondi nel mondo esterno.
<< Wanda, ti senti bene? >> chiese Quake, avvicinandosi alla Scareltt Witch con aria preoccupata. Ghidorah si trovava a pochi passi da loro, ma non stava facendo alcun tentativo di attacco.
Quando l’ex Avenger iniziò a spalancare lentamente le palpebre, ciò che rivelò in seguito, alla vista della supereroina, suscitò un intenso brivido lungo la spina dorsale della donna.
Non più pupille rosse, così com’erano state durante l’intera battaglia...ma occhi gialli come il sole, a tratti neri e senz'anima, rivelazioni di una nuova e temibile oscurità.
Quake compì un paio di passi all’indietro, mentre Wanda si girava lentamente verso di lei, con movimenti quasi meccanici.
Allo stesso tempo, la testa centrale di Ghidorah si abbassò a terra, affiancando la figura della Scarlett Witch.
<< Ti è stato dato un dono prezioso. La libertà…dalle tue paure e legami >> sussurrò con voce suadente, facendo scattare la lingua biforcuta. << Puoi ora scorgere l’infinita intelligenza e la salvezza che io ho portato. Sei pronta a servirmi? >>
<< Sì >> rispose la donna con voce monotona, facendo sussultare Daisy.
Il sorriso sul volto del drago sembrò farsi più grande.
<< Sei pronta ad essere uno strumento della mia volontà? >>
<< Sì >> ripetè Wanda, mentre il suo corpo cominciò a illuminarsi di un intenso bagliore rosso.
Ghidorah posò gli occhi su Quake, che compì un passo all’indietro.
<< Allora…uccidi! >>
 


Credo ormai di essermi sprecato con i Dum, Dum, Duuuuuuum !
Ebbene sì, Ghidorah ha preso il controllo della mente di Wanda. Tecnica che utilizzò nel film Mothra 3 per controllare una dei protagonisti.
Spero davvero che la battaglia mentale tra i due sia stata angosciante quanto speravo e abbastanza realistica, mi sono divertito molto a giocare con l’inconscio della Scarlet Witch per realizzare visioni agghiaccianti e disturbanti. Questo perché sono un grande fan dell’horror…e uno scrittore abbastanza infame, lo ammetto.
Ultron è il mio antagonista MCU preferito dopo Thanos, per cui ci tenevo davvero a fargli fare un cameo.
Nel prossimo cap, Ghidorah tirerà fuori il suo asso nella manica, e avremo anche il ritorno di Jane Foster.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Con questo aggiornamento si entra nella terza parte della storia, che commemorerò con questo fan-trailer da me creato : https://www.youtube.com/watch?v=juE5dD22V3k
Come al solito, vi invito a controllare le note a fine capitolo per maggiori chiarimenti.
Vi informo già che tutte le informazioni scientifiche che troverete nell’aggiornamento sono vere.
Buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!

 

Capitolo 10
 
Jane Foster si svegliò di colpo, le orecchie martellate da un fischio ritmato e costante.
Alla mente della donna si presentò una visione nitida, come il ricordo del latte gocciolante sul mento del padre o della sua ex assistente, Darcy, che scappava dallo studio dopo averle rubato una ciambella, come se avesse dei razzi ai piedi.
Vide i soldati che l’avevano accompagnata, Selvig e il resto degli scienziati che perivano a decine, mentre cercavano di scappare da una bestia uscita direttamente dai meandri dell’inferno. Vide la neve macchiarsi del loro sangue innocente.
Questa visione la ferì in modo del tutto inaspettato, lacerando un punto che non era ancora morto, ma solo assopito. Era quello spazio che aveva reagito con tanta forza alle urla dell’amico, che aveva creato quell’effetto sonoro che per poco non le fece scoppiare la testa dal dolore.
Jane raddrizzò la schiena, vide sangue fresco sul palmo della mano e lanciò un grido, cercando in tutti i modi di toglierselo di dosso. Così facendo, lasciò una suntuosa striscia rossa sui vestiti.
Iniziò a guardarsi intorno, il volto adornato da un’espressione terrorizzata.
La radura era praticamente bruciata.
Il nulla. Niente corvi, niente ghiandaie, niente picchi o scoiattoli. Si udiva solo il vento e, ogni tanto, il plop attutito di un piccolo strato di neve che cadeva dai rami. La fauna selvatica locale se ne era andata, come un buffo corteo di animali usciti da un cartone animato.
Poi, i ricordi di ciò che era avvenuto poche ore prima le tornarono tutti in una volta, con la stessa intensità di un treno in corsa.
Senza perdere tempo, la donna iniziò a incamminarsi verso il punto in cui erano atterrati.
Non nevicava più, ma il cielo era ancora buio e il vento sembrava sul punto di rafforzarsi. La radio non aveva forse parlato di una bufera in due tempi? Non se ne ricordava, e non aveva poi molta importanza.
Da qualche parte, a Ovest, risuonò un’enorme boato. Jane guardò in quella direzione, ma non vide nulla, solo grandi masse purpuree. La tempesta si era allontanata.
Varcò il confine del campo base, camminando sulla neve segnata dai solchi delle jeep militari, e si avvicinò alla tenda principale, la cui parte esterna era quasi del tutto crollata a causa del vento. Il generatore ronzava, e le assi di metallo ancora in piedi erano ormai sul punto di crollare.
Jane si fermò a esaminare la strumentazione, per lo più intatta, anche se alcune antenne sembravano bruciate. Tutto sommato, si era aspettata di peggio.
Rimase dov’era per un istante, cercando di ricordare la sistemazione delle apparecchiature. Selvig sarebbe stata più brava di lei – a occhi chiusi, facendo ondeggiare l’indice, le avrebbe scritto tutto nei minimi dettagli – ma in questo caso Jane pensava di poter fare a meno dell’abilità dell’amico ormai defunto. Dopotutto, aveva aiutato anche lei a sistemare la tenda. E gran parte della apparecchiature presenti nel campo base le aveva comprate personalmente con i finanziamenti dello Shield.
Ma ciò che la interessava davvero era la posizione del cellulare appartenuto all’uomo, che come da manuale aveva lasciato nella stanza prima che si recassero dal meteorite. E conoscendo l’amico, probabilmente era protetto dalla stessa identica password che usava da quando lo aveva conosciuto più di vent’anni fa: Jeanne, il nome della sua defunta moglie.
Accese le apparecchiature di rilevamento e, dopo quasi dieci minuti passati a girovagare per la tenda, riuscì a trovare anche il dispositivo di comunicazione. Era caduto a terra, ma sembrava in buone condizioni.
Jane digitò la parola d’ordine.  L’intuizione si rivelò corretta, con suo grande sollievo.
Fatto questo, la donna cominciò a scorrere i contatti. E fu proprio in quel momento…che i monitor presenti nella tenda cominciarono a lampeggiare di rosso.
 
                                                                                                                                             * * * 
 
Il quartiere di Harlem non era certo nuovo ai cambiamenti inaspettati.
Negli anni venti, fu il centro in cui nacque un movimento culturale nero detto rinascimento di Harlem, che fu un tempo di produzioni artistiche come il jazz, i cui spettacoli erano destinati solo a gente bianca.
Harlem fu anche una delle prime zone in cui i ragazzi di strada iniziarono a ballare a ritmo di canzoni hip hop.
Nel corso del periodo immediatamente successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il quartiere divenne meta di molti immigrati ispano-americani. In pochi anni, anche a causa di una sorta di periodo di decadenza generale dell’area, si trasformò in una zona povera, con un elevato tasso di disoccupazione e criminalità.
Per anni conosciuto come il quartiere più pericoloso, malfamato e decadente all'interno dell'isola di Manhattan, a partire dalla metà degli anni novanta del XX secolo cominciò a cambiare faccia, grazie soprattutto alla volontà dei suoi abitanti, decisi a mutare la situazione in meglio.
Un’opera che negli ultimi anni era stata portata avanti da Luke Cage, ormai rappresentate ufficiale della popolazione nera di New York.
Lo chiamavano con molti nomi : Powerman, l’uomo a prova di proiettile, oppure il protettore di Harlem.
E in quanto tale, il superumano aveva speso l’ultima mezz’ora a combattere una mandria di strani insetti che aveva cominciato ad attaccare la gente del quartiere come cani randagi. Inutile dire che non era esattamente il modo con cui si era aspettato di terminare la giornata.
<< Vuoi combattere ancora, schifoso Frankestein di merda?! >>
Luke Cage si avvicinò ad una delle pulci, sferrandogli un cazzotto con la forza di un locomotore.
Il gigantesco insetto barcollò all’indietro, andando a sbattere contro una recinzione metallica come un missile su un paravento in bambù. Fece a brandelli la tettoia di una vecchia macchina sportiva e finì la sua corsa contro un minivan parcheggiato lì accanto.
Luke saltò dietro a un'altra pulce, coprendo sei metri a ogni balzo che faceva.
<< Avanti! >> urlò. << Io e te, mostriciattolo! È quello che volevate, no?>>
Lanciò in aria una moto e l’animale fu costretto a compiere un salto all’indietro per scansarla.
Un quartetto di pulci afferrarono con i denti le braccia dell’eroe. Luke non si scompose nemmeno e frantumò le mascelle degli insetti come se fossero di carta, lanciando via i corpi e scaraventandoli a decine di metri da lui.
Poi, strappò l’asse di un veicolo e la usò come mazza. La fece roteare attorno a sé, ma uno degli artropodi la afferrò all’estremità. Una rapida mossa e la sbarra di acciaio si ruppe contro il volto dell’uomo.
L’insetto balzò in avanti, atterrandolo e preparandosi a mordergli la testa. Tuttavia, poco prima che potesse farlo, una sfocatura nera spedì l’animale dritto contro la finestra di un grattacielo.
Luke dilatò le pupille per la sorpresa, compiendo un passo all’indietro. Nello stesso istante, la figura di Jessica Jones atterrò di fronte a lui con un balzo, il volto adornato da un sorriso divertito.
<< Sei diventato lento >> commentò la donna.
<< E tu puzzi di alcol >> ribattè caldamente Luke, con un roteare degli occhi.
Era tipico di Jessica cercare in tutti i modi di punzecchiare gli altri alla prima occasione. Una delle ragioni principali per cui non aveva molti amici, ma in fondo sapeva che questo era esattamente ciò a cui mirava. Ecco perché si erano lasciati…
Liberando la testa di quei pensieri, si rese conto che la sua vecchia amante non era sola. Ad affiancarla c’era un giovane ragazzo poco più giovane di lei, con capelli castani e dal vestiario molto simile.
<< Lui chi è? >> chiese il protettore di Harlem, indicando il nuovo arrivato.
Jessica inarcò un sopracciglio, lanciando una rapida occhiata in direzione del compagno di bevute. L’aveva davvero seguita fino a qui? Sinceramente se ne era quasi dimenticata, anche se fece del suo meglio per nascondere la cosa.
<< Ford, Luke. Luke, Ford >> disse dopo un attimo di silenzio, indicando i rispettivi uomini.
<< Salve >> salutò il ragazzo, mentre Luke si limitò a porgergli un cenno del capo.
Poi, il protettore di Harlem volse la propria attenzione nei confronti di Jessica.
<< Sai che cosa sta succedendo? >>
<< Speravo potessi spiegarmelo tu >> rispose lei, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
L’uomo rilasciò un sospiro scontento.
<< Brancolo nel buio. La tempesta è arrivata circa un’ora fa, c’è stato un boato, e poi questi affari sono sbucati fuori dal nulla >> disse indicando i cadaveri delle pulci che aveva ucciso.
Jessica assimilò le informazioni con la precisione di un computer, prendendo una rapida panoramica dell’area circostante.
<< Da dove veniva il boato? >> chiese all’improvviso, attirando lo sguardo del vigilante.
Questi sembrò pensarci su, prima di indicare una parte ben precisa della città.
<< Sembrava vicino al centro. Times Square, probabilmente >> disse con tono vagamente convinto. Non era il massimo, ma per Jessica era comunque abbastanza.
Girò la testa verso Ford e gli posò le mani sulle spalle.
<< Hai un posto dove andare? >> domandò seriamente, mentre il ragazzo arrossiva a causa della vicinanza con la donna.
Annuì rapidamente, ricevendo un sorriso soddisfatto da parte della detective.
<< Allora ci salutiamo qui >> disse Jessica, superandolo e procedendo a dirigersi verso il centro di New York.
Ford la fissò incredulo.
<< Aspetta, e tu dove vai ?>>
<< A Times Square >> rispose la detective, senza nemmeno voltarsi.
Il ragazzo lanciò una rapida occhiata in direzione di Luke. Questi scrollò semplicemente le spalle, come se fosse abituato al comportamento impulsivo di quella strana donna.
Poi, senza nemmeno dare tempo a Ford di argomentare, cominciò a seguirla.
 
                                                                                                                                                * * * 
 
Quake porse ambe le mani in avanti, generando una possente onda sonica che investì qualunque cosa incontrò sul suo cammino, dalle macchine al manto stradale. Wanda fece lo stesso con i suoi poteri, e i due attacchi si incontrarono a mezz’aria.
L’onda d’urto risultante si propagò fino alla cima degli edifici che le circondavano, manifestandosi sotto una pioggia di vetri taglienti e cocci. Quake si scansò all’indietro per evitarli, mentre l’avversaria si limitò ad evocare dal nulla uno scudo telecinetico sopra la testa, che fermò l’avanzata dei detriti cadenti.
<< Wanda, non voglio farti del male >> disse Quake, mettendosi in una posizione difensiva.
In tutta risposta, gli occhi della Scarlett Witch balenarono di giallo. Poi, la donna porse la mano destra in avanti, compiendo un rapido movimento con il polso.
Allo stesso tempo, un totale di quattro macchine volarono in direzione di Quake. L’Avenger alzò le braccia e generò un’altra onda sonica, riducendo i veicoli ad un ammasso di ferraglia.
Si voltò, appena in tempo per frenare un pugno telecinetico ad opera dell’ ex-Avenger.
<< Ok, pessima scelta di parole >> borbottò a denti stretti, mentre i suoi piedi cominciarono ad affondare nel manto stradale.
La Scarlett Witch non rispose e prese a bersagliare Quake con una raffica di calci e pugni, tutti accompagnati da un intenso bagliore rosso. Ognuno di quei colpi, unito ai poteri della donna, era l’equivalente di una moto in corsa, e Daisy fu costretta a fare appello ad ogni oncia della propria forza per frenarli.
<< Wanda, ti sta controllando! >> urlò, evitando un pugno che generò diverse crepe sull’asfalto. << Torna in te! >>
Ma la Scarlett Witch rimase in silenzio, continuando ad attaccarla come se non volesse più fare altro.
Ad un certo punto, Quake riuscì ad afferrarle il polso, abbassando la testa e colpendola con un poderoso calcio dritta allo stomaco. Il colpo, unito ad un’onda sonora più debole, fu sufficiente e spedire l’avversario contro un bus che si trovava a circa dieci metri dalla coppia.
L’impattò spinse il veicolo verso un lampione, ne distrusse i finestrini e deformò la copertura in alluminio.
Quake sorrise soddisfatta. Tuttavia, quell’espressione vittoriosa fu assai di breve durata.
Wanda si alzò da terra come se nulla fosse, circondata da un’intesa aura rossa. Attorno a lei, detriti e pezzi di metallo cominciarono a volteggiare come sacchetti di plastica.
L’Avenger deglutì a fatica.
<< Ehm…scusa? >> disse con tono imbarazzato.
E poi, Wanda le scaraventò addosso il bus, spedendola nel quartiere adiacente.
Poco più in là, Ghidorah stava osservando la lotta con aria divertita.
Internamente, si ritrovò impressionato dalle capacità combattive e dal potere di quella Wanda Maximoff. Forse, dopo aver completato ciò per cui era venuto su questo sporco pianeta, l’avrebbe portata con lui. Una forza lavoro preventiva, come quei parassiti che lo seguivano come mosche.
Ma non ora non era certo il tempo di soffermarsi su simili pensieri. Con i difensori della Terra ormai occupati, era finalmente giunto il momento che tanto aveva atteso.
<< Siete pronti, fratelli miei? >> chiese la testa centrale, rivolta alle altre due.
Quella di destra annuì risoluta, mentre la testa di sinistra ridacchiò entusiasta, facendo scattare la lingua biforcuta.
La testa centrale sorrise soddisfatta. Poi, il mostro tricefalo allargò ambe le ali.
La tempesta che aleggiava sopra New York sembrò crescere d’intensità, mentre numerosi tuoni e lampi iniziarono a saettare da ogni dove, investendo palazzi, persone occasionali e qualunque cosa fosse così sventurata da trovarsi sul loro cammino.
 << Ecco il tuono. Che tremi la terra >> sussurrò il drago, per poi lanciare un ruggito proveniente da un altro mondo. Un grido che sembrava scaturito dai meandri più bui dell’inferno stesso, accompagnato dal freddo riso della mietitrice.
E mentre la terra cominciò a tremare…la bestia lanciò un grido di guerra che risuonò per tutta la lunghezza di quella città ormai devastata.
<< Noi siamo il fulmine! Noi siamo…MORTE! >>

                                                                                                                                         * * * 
 
( Theme : https://www.youtube.com/watch?v=0xd07goJFmA )
Per capire meglio quello che sarebbe accaduto su tutto il pianeta di lì a poco, è necessaria prima una piccola lezione di scienze.
Sostanzialmente, è possibile affermare che la Terra sia costituita da tre parti essenziali. Partendo dall'interno, infatti, abbiamo il Nucleo contenente ferro e nichel, che costituisce la componente principale del Campo Gravitazionale terrestre.
Lo avvolge poi il Mantello, il quale ha una viscosità molto elevata, ed infine lo strato più esterno, noto come Crosta. 
La parte più superficiale del Mantello e la Crosta vanno a costituire quella che è definita come Litosfera, che scorre a sua volta su un piccolo strato parzialmente fuso del mantello sottostante detto Astenosfera. 
Vi sono poi due tipi di crosta: quella continentale, che è spessa ma leggera (profonda circa 30 km), e quella oceanica, che è più sottile della precedente ma più pesante (profonda circa 10 km).
La Litosfera però, non è un involucro unico e continuo, ma è costituita da più pezzi che interagiscono tra loro. Si hanno infatti margini divergenti, dove due pezzi, o meglio due placche, divergono. E in prossimità di queste zone, note come dorsali medio oceaniche, nuova crosta viene prodotta in continuazione a causa della risalita e successiva solidificazione del mantello sottostante, che risale lungo questa voragine.
Oltre a questi margini esistono anche quelli definiti come convergenti dove, al contrario, le due placche si scontrano come quelle macchinette elettriche tipiche delle sagre di paese.
Lungo i suddetti margini una placca subduce, ovvero, sprofonda sotto la seconda.
Quando si viene a scontrare una placca oceanica con una continentale, a far sempre una brutta fine sarà la placca oceanica, mentre quella continentale si salverà. Nel caso di due placche oceaniche…una delle due sprofonderà, generando uno spostamento improvviso di acqua calda verso la superficie del mare e portando alla creazione delle cosiddette onde anomale, o tsunami. 
I parole povere, quando la nuova crosta nasce è molto leggera, e come tutti i giovani si da delle arie, tutta gagliarda. Purtroppo, prima o poi l'età comincia a farsi sentire e la povera sfortunata diventa più fredda e più densa, tanto che il mantello sottostante su cui scorre non può più sorreggerla, e quindi va "in subduzione".
Nei pressi di dorsali medio oceaniche, proprio nel punto in cui la placca subduce, in contatto con le rocce della crosta può entrare dell'acqua marina, e questo causa la loro alterazione.
Le rocce alterate diventando idratate, e quando raggiungono una certa profondità (a causa della placca che sprofonda) liberano l'acqua che racchiudevano, lasciandola scorrere nel mantello in cui sono immerse.
Così facendo il mantello si idrata, e il suo punto di fusione si abbassa: si generano così fenomeni di magmatismo, eruzioni e scosse sismiche.
Il margine del pacifico era uno dei principali punti di sbocco di tale fenomeno, "decorato" da apparati vulcanici e terremoti che illuminavano la placca oceanica in subduzione, andando a formare il cosiddetto Anello di Fuoco. Ma tali disastri ambientali erano limitati a zone piuttosto isolate, e non costituivano un pericolo per le popolazioni locali.
Tutto questo era possibile soprattutto grazie al Campo Gravitazionale della Terra, che impediva alle placche di galleggiare sul mantello e modificare continuamente l’assetto esterno del pianeta.
Ma quando Ghidorah lanciò quel ruggito di sfida, esattamente alle ore 18:00 di New York City, non lo fece solo per dare spettacolo. No, perché lui cominciò a modificare la gravità del pianeta che aveva scelto come prossimo pasto, con conseguenze a dir poco devastanti.
In tutto il mondo era in corso un disastro. Improvvisamente gli idrati decomposti di metano presenti nei mari del Nord – fino a poco prima stabili estensioni di ghiaccio che s’infilavano nei sedimenti del fondale – crollarono su loro stessi.
Per un tratto di centocinquanta chilometri, il legame ghiacciato di acqua e metano si trasformò in un’esplosione di gas.
Mentre i sismografi di tutto il mondo registravano lo smottamento delle varie scarpate, il magma si apriva la strada verso la libertà, facendo saltare le pareti verticali, strappando pezzi di roccia, facendo tremare l’intero pianeta come una pentola a pressione. E le placche tettoniche cominciarono a galleggiare.
Nel giro di qualche secondo, chilometri cubi di detriti e lava crollarono.
In una mostruosa reazione a catena, le masse scivolarono l’una sull’altra, sfondando le ultime strutture ancora solide e trasformandole in fango.
L’Anello di Fuoco, con i suoi centinaia di vulcani esterni e sottomarini, esplose con una cacofonia di esplosioni pari a 2000 bombe atomiche sparate in contemporanea dalla stratosfera.
Sui confini delle altre placche franarono milioni di tonnellate di fango, magma e macerie.
Quando le prime propaggini della salvina raggiunsero la California, sulla faglia sismica tra Los Angeles e San Fransisco non c’erano più barriere, ma c’era soltanto una massa libera che precipitava sempre di più, devastando tutto ciò che poco prima aveva forma e struttura.
Una parte della placca si diresse a Ovest, e infine sì fermò contro i banchi che circondavano la Placca del Pacifico, distruggendo ambe le città con un terremoto di almeno 9.8 gradi della scala Richter, il più grande mai registrato a memoria d’uomo.
In Norvegia, una parte della salvina si divise lungo il rialzo tra l’Islanda e il continente europeo. La maggior parte, però, avanzò nel canale tra Regno Unito e Shetlands, come un gigantesco scivolo. Nulla riuscì a fermarla, e ciò provocò la formazione di numerosi tsunami.
In Indonesia, la situazione era anche peggio. Lo stesso bacino abissale che migliaia di anni prima aveva accolto la nascita della Fossa delle Marianne, ora si stava riempiendo di tonnellate e tonnellate di magma e metano fuoriusciti dal fondale, che procedevano inarrestabili verso l’alto ad una velocità inimmaginabile.
Allo stesso tempo, crollò lo Zoccolo Continentale. Fu semplicemente strappato via per una larghezza di cento chilometri. E ciò portò anche all’eruzione del Monte Fuji, in Giappone.
In meno di 30 minuti, erano già morte almeno 10 milioni di persone.

                                                                                                                                                  * * * 
 
All’interno della base dello Shield, nel Nevada, la situazione non era certo delle migliori.
I vari schermi che costituivano la sede di comando iniziarono a illuminarsi di rosso, mentre la terra sotto i piedi di tutti cominciò a tremare.
Gli allarmi suonavano come se impazziti, mentre scintille e pezzi di calcestruzzo scendevano dal soffitto.
<< Che diamine sta succedendo?! >> esclamò Fury, tenendosi ai bordi del tavolo tattico per evitare di cadere.
Affianco a lui, Maria non era messa meglio.
<< Non lo sappiamo, signore! Sono state rilevate scosse sismiche in tutto il mondo! >> disse la donna, cominciando a far scorrere il laptop che teneva tra le mani. << Tokyo, Los Angeles, Pechino, Roma, Hawaii…sono ovunque!>>
L’uomo fece per chiedere ulteriori informazioni, ma in quel preciso istante il telefono che teneva nella tasca della giacca cominciò a suonare. Una musica bassa e ritmata, come quella utilizzata dai primi telefoni satellitari degli anni 90.
Conosceva il numero che lo stava chiamando: apparteneva a Erik Selvig, il capo della sezione scientifica dello Shield.
Senza perdere tempo, Fury si portò il dispositivo all’orecchio destro, tappandosi l’altro per bloccare la cacofonia di suoni e urla che stava riecheggiando per tutta la stanza.
<< Pronto? >>
<< Fury, grazie al cielo! >> rispose una voce assai familiare dall’altro capo della linea. E non era certo di chi si aspettava.
<< Dottoressa Foster? >> domandò incredulo. << Perché ha il telefono di Selvig? >>
<< Selvig è morto, signore >> disse la donna, sorprendendo la spia.
<< Com’è successo? >>
<< Eravamo stati inviati ad indagare un meteorite caduto in Alasaka e…e…non lo so, qualcosa ha attaccato il campo base, ha ucciso Selvig… >>
<< Questa “cosa” sembrava per caso uscita direttamente da un romanzo di Tolkien? >> la interruppe Fury.
Ci fu una breve pausa.
<< Come lo sa? >>
<< Diciamo solo che non è per niente timida >> borbottò l’uomo, lanciando una rapida occhiata verso gli schermi e gli allarmi della base.
Sentì la donna deglutire dall’altro capo della linea.
<< Non importa, non ti ho chiamato per questo. Sapete cosa sta succedendo in tutto il mondo?>>
<< 2012 versione 4D? Sì, ce ne siamo accorti >> rispose sarcasticamente Fury. In quel preciso istante,una forte scossa sismica colpì l’edificio, e il Direttore si ritrovò a terra.
L’uomo lanciò un’imprecazione, mentre Jane riprese a parlare.
<< Penso di conoscerne la causa >>
<< Spiegati >> ordinò Fury, usando il tavolo per rialzarsi. Notò pigramente che Maria era riuscita a tenersi in piedi nonostante la potenza dell’urto. Dio, stava diventando vecchio.
<< Qualunque cosa sia quel mostro… penso che stia invertendo la gravità del pianeta. I miei strumenti stanno rilevando linee gravitazionali che partono direttamente dal meteorite e arrivano fino a New York, avvolgendo l’intero pianeta come una rete. E ciò sta provocando un’inversione della polarità del Campo Gravitazionale terrestre, con conseguente smottamento delle placche che costituiscono la Crosta. Ed è solo l’inizio! >>
<< E cosa succederà una volta che avrà completato l’opera? >> domandò il direttore, con un sottofondo di rassegnazione.
La risposta arrivò veloce…e prevedibile.
<< La terra collasserà su se stessa…e di noi non rimarrà altro che polvere nel vuoto dello spazio >>.
 
                                                                                                                                                 * * *                     

Lo tsunami generato dallo smottamento della Placca del Pacifico viaggiò all’inizio in tutte le direzioni a una velocità che toccava i settecento chilometri all’ora, con creste molto lunghe e basse. Soltanto la prima ondata trasportò un milione di tonnellate d’acqua e una corrispondente quantità di energia.
Dopo pochi minuti, raggiunse il margine della piattaforma continentale.
Il fondale marino, divenuto più pianeggiante,frenò l’onda e ne rallentò il fronte, senza però ridurre l’energia trasportata. Le masse d’acqua continuarono a spingersi in avanti e, dato che la velocità era diminuita, cominciarono ad accavallarsi. Più il fondale diventava basso, più lo tsunami si alzava, mentre la lunghezza delle sue onde si restringeva drammaticamente.
Sulle loro creste cavalcavano le onde di una tempesta. Allorchè lo tsunami raggiunse le prime piattaforme di trivellazione sullo zoccolo continentale del Nord America, la velocità era scesa a quattrocento chilometri all’ora, ma esso era diventato alto cinquanta metri.
Quindici metri non erano un’altezza tale da preoccupare eccessivamente tali strutture. Almeno fino a quando si trattava di normali onde da tempesta.
Ma le ondate che si propagavano dal fondale del Pacifico alla superficie dell’acqua, accompagnate da montagne di detriti, avevano l’effetto d’urto di un jumbo jet e le staccarono dalle fondamenta.
Pochi minuti dopo, l’onda raggiunse le coste dell’Alaska, abbastanza alta da superare la linea degli alberi.
Jane, che aveva ancora il cellulare di Selvig all’orecchio, vide l’enorme massa d’acqua che procedeva implacabile nella sua direzione.
<< O mio Dio >> sussurrò a bassa voce, facendo cadere il dispositivo di comunicazione.
Per chi viveva nei pressi del mare, gli tsunami era l’incubo per antonomasia. E Jane l’aveva capito subito, quello era proprio un maremoto.
Se la terra tremava, solitamente si perdeva ogni controllo. Il materiale si deformava e si strappava. C’erano fughe di massa e incendi. Se un terremoto faceva vibrare una città, si poteva soltanto sperare che non succedesse di peggio, che il fondale marino non sprofondasse e non franasse, che le costruzioni ancorate al suolo reggessero.
Ma subito dopo la scossa c’era un altro problema contro cui non c’era nulla da fare. Proprio nulla.
E quel problema stava raggiungendo il luogo d’impatto del meteorite ad una velocità di trecento chilometri orari.
Jane lo vide avvicinarsi e comprese che non c’erano più speranze. Si girò e fuggì dalla zona come una lepre.
Successe tutto in fretta.
Inciampò e cadde a causa del terreno reso scivoloso dalla tempesta. Istintivamente si aggrappò ad un tronco spezzato.
Dietro di lei esplose un rumore infernale, una serie di ruggiti e rimbombi, come se il mondo attorno a lei stesse per crollare.
Percepì le prime gocce d’acqua bagnarle il viso…l’aria che le scorreva tra i capelli…lo sferzare del vento…
Apetta…il vento?
Perché non stava annegando? L’onda si trovava ad appena pochi metri da lei, ormai avrebbe dovuto trovarsi sott’acqua. Forse la potenza dell’impatto l’aveva uccisa sul colpo. Era già morta? Ma allora perché riusciva a sentire freddo ?
Aprì gli occhi…e si bloccò. Si trovava tra le braccia di un uomo che pensava non avrebbe mai più rivisto.
Thor Odinson aveva i capelli più corti di quanto ricordasse, e la folta barba dorata con la quale lo aveva conosciuto ora era scura e malmessa, macchiata dal tempo trascorso. Ciò che era rimasto invariato erano gli occhi, azzurri al pari del cielo stesso.
Abbassando lo sguardo si rese conto che stavano volando. Lo tsunami aveva completamente sommerso l’area, e ora l’immensa massa d’acqua salata stava trasportando tronchi d’albero e detriti sotto di loro.
Si strinse attorno al corpo dell’asgardiano, cercando di non pensare a tutte quelle povere persone che si trovavano nei villaggi circostanti, probabilmente tutte morte. Non si poteva scampare ad un disastro di tale portata.
Poi, la donna udì un sibilò basso e ritmato, seguito da un mugolio e dal suono di paratie che venivano aperte. Come un aereo sul punto di imbarcare.
Pochi secondi dopo, sia lei che Thor passarono attraverso l’apertura di un velivolo, ritrovandosi su un ponte di metallo.
Il dio la lasciò andare delicatamente, permettendole di compiere alcuni passi indietro. Poi, l’astrofisica alzò lo sguardo in direzione del suo salvatore.
<< Jane >> salutò Thor, il volto adornato da un placido sorriso.
La reazione della donna fu istantanea.
<< Thor!>> esclamò felice, saltando addosso all’uomo e avvolgendo ambe le braccia attorno al suo collo. << Non penso di essere mai stata così felice di vederti >>.
Inizialmente sorpreso, l’asgardiano restituì affettuosamente il gesto. Almeno, fino a quando non udì un sonoro colpo di tosse alle proprie spalle.
Entrambi si staccarono rapidamente l’uno dall’altra.
A compiere quel suono era stata Nebula, la cui figura era affiancata dal resto dei guardiani.
Jane prese rapidamente coscienza dei loro aspetti piuttosto bizzarri, ma non si soffermò troppo sulla cosa. Dopotutto, aveva letto i loro file come qualsiasi membro dello Shield.
<< Allora, non vuoi presentarmi ai tuoi amici? >> chiese con voce esitante, notando che l’aliena blu la stava fissando molto più intensamente degli altri.
<< Lei chi è? >> disse allo stesso tempo Nebula, stringendo gli occhi in direzione di Thor.
Ignaro dell’atmosfera tesa che aleggiava nella cabina, il tonante si limitò a picchiettare amichevolmente la schiena dell’astrofisica.
<< Miei compagni, vi presento Jane, una vecchia amica >>
<< Ex fidanzata >> aggiunse lei, con un sorriso imbarazzato.
Thor ridacchiò, mentre la mano destra di Nebula si fece molto più vicina al coltello che portava nella cintura. Quill fu l’unico ad accorgersene, e compì alcuni passi lontano dalla cyborg.
<< Una specie di ragazza >> acconsentì l’asgardiano, lanciando a Jane un sorriso affettuoso.
La donna arrossì intensamente.
Nebula sembrava ormai pronta ad avventarsi su di lei, ma venne prontamente fermata dalla voce di Rocket.
Il procione aveva tra le mani un tablet olografico, dai bordi arrugginiti, ma comunque funzionante.
<< Se avete finito con la gara di sguardi… >> disse l’esperimento genetico, mostrando al gruppo lo schermo del dispositivo, << penso di aver localizzato il nostro amico >>.
 
                                                                                                                                                          * * *  

Come gran parte delle città presenti in Nord America, New York non si trovava vicino ad alcuna zona sismica. Per tale motivo, gli effetti causati dallo smottamento improvviso della varie placchi furono minimi, anche se la metropoli venne comunque colpita da una scossa abbastanza forte da far tremare anche i grattacieli più alti, senza però causare alcun tipo di vittima.
Poco male, Ghidorah avrebbe potuto distruggere quella città anche da solo.
Il drago tricefalo osservò la devastazione causata con un sorriso soddisfatto. Poi, chiudendo gli occhi, le tre teste cominciarono ad espandere il proprio campo telepatico, lo stesso che pochi minuti prima avevano utilizzato per prendere il controllo della mente di Wanda.
<<  Ascoltatemi, abitanti di questo mondo >> esordì la testa centrale, la cui voce profonda e malevola fu udita da ogni persona o animale presente sulla Terra. << Questo è un messaggio, un messaggio per ogni uomo, donna e bambino : voi avete perduto voi stessi, ma io sono giunto fino a voi. Il giorno della resa dei conti è arrivato >>.
Fece una pausa, in modo da permettere al suo nuovo pubblico di accettare la presenza estranea all’interno delle loro menti.
<<  "Jormungand", "Apophis", "Ghidorah"…mi hanno chiamato in molti nomi, nella mia lunga vita. Io sono nato dalla morte! Ero là a creare la scintilla e alimentare la fiamma dell’universo, a far girare la ruota di innumerevoli civiltà. E quando le foreste venivano disboscate per prosperare di nuovo, io ero là per darla alle fiamme! >> esclamò, scoprendo i denti in un sorriso agghiacciante. << Tutti i vostri palazzi, tutte le vostre città, tutti i vostri grattacieli e i vostri templi crolleranno…e dalle loro ceneri sorgerà l'alba di una nuova liberazione. E non potrete far nulla per impedire quanto sta per giungere >>
La creatura bevve del terrore e dello sgomento che percepì dalle menti che stava toccando, una massa indistinta di tante piccoli luci intrappolate nel vuoto che era la sua anima crudele.
<< Questo messaggio ha un'unica ragione, una sola: a coloro coi più grandi poteri...non ostacolatemi. Per tutti voi…è arrivato il tempo di morire >> sussurrò, pronto a interrompere il collegamento.
In quel preciso istante, una sfocatura verde apparve nel campo visivo della bestia, atterrando sulla cima di un palazzo che si trovava a pochi metri da essa.  Le tre teste si voltarono di scatto, puntando all’unisono in direzione del nuovo arrivato.
Era l’essere umano più strano che avessero mai visto. Piccolo in confronto a loro, certo, ma almeno tre volte le dimensioni di un umano normale. Ed era verde come l’erba di un campo appena potato.
<< No…ora è tempo di spaccare! >> disse Bruce Banner, battendo ambe le mani l’una contro l’altra.
E prima che Ghidorah potesse controbattere…l’Avenger noto come Hulk fece un balzo a mezz’aria, lanciandosi contro il mostro.
 



Com’era? Spero bello!
Ebbene sì, Ghidorah sta invertendo la gravità del pianeta. Questa sua capacità è presa direttamente dal film anime Godzilla – Il Mangiapianeti.
Il motivo per cui lo stia facendo sarà spiegato più avanti.
Luke Cage è il protagonista della serie MCU Luke Cage, e il co-protagonista della serie Jessica Jones ( e sì, era l’amante della protagonista per buona parte della prima stagione ).
Ford è un personaggio preso direttamente dal film di Godzilla uscito nel 2014.
Nel mentre, Wanda e Quake se le stanno dando di santa ragione ( e Wanda ha ovviamente il vantaggio ). Inoltre, Banner è entrato ufficialmente nella mischia e presto verrà raggiunto da Thor.
Come se la caverà con il mostro tricefalo ? Tutto questo e altro nel prossimo capitolo di Avengers : The King Of Terror!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Ho realizzato un trailer per So Wrong, la storia che funge da prequel per questa fan fiction e che narra l’evoluzione del rapporto tra Peter e Carol. Potete trovarlo qui : https://www.youtube.com/watch?v=N0xou51TK00&t=1s
Vi auguro una buona lettura e, come al solito, vi invito a leggere le note a piè di pagina, anche perché, d’ora in avanti, pubblicherò un’omake comica alla fine di ogni capitolo.
Ah, per evitare fraintendimenti, vi ricordo che i nomi ufficiali delle teste di Ghidorah ( scelti personalmente dal regista ) sono Ichi ( quella centrale ), Ni ( quella di destra ) e Kevin ( quella di sinistra ).
Così, per sdrammatizzare un po’ la situazione ;)
 

 
Capitolo 11
 
Quando il pugno di Bruce Banner si scontrò con il corpo di Ghidorah, convinto che la sua forza avrebbe sfondato la pelle del titano con grande facilità, si trovò a dover ingurgitare un boccone troppo amaro nello scoprire che le scaglie della bestia erano molto più resistenti di quanto avesse inizialmente pensato. E non solo.
La pelle della creatura si comportò come una molla, che assorbì tutta l’energia residua causata dall’impatto, restituendone parte come in un ritorno di fiamma.
Tuttavia, il colpo ebbe comunque l’effetto sperato. Ghidorah rimbalzò all’indietro, atterrando con la coda nel Fiume Hudson e portandosi dietro un gracile ponte che con grinta eroica aveva retto fino quel punto alle pressioni del pomeriggio.
Bruce grugnì di dolore, non appena il contraccolpo causato dalla corazza della bestia cominciò a farsi sentire, scuotendolo fino alle ossa.
Durante i suoi precedenti scontri con l’esercito, le misere armi utilizzate dai militari per combatterlo non gli avevano oltrepassato nemmeno lo strato superficiale della cute, e la grande ondata di energia scaturita dalle Gemme aveva finito con l’ustionargli semplicemente il braccio destro, provocandogli a malapena qualche piaga da bruciore, che tornava a farsi sentire ogni volta che la pelle sfregava contro qualcosa. Ma stavolta il male fu acuto e prepotente, esattamente come quando si era battuto contro Thanos.
Ghidorah, nel mentre, utilizzò le ali uncinate per rimanere ancorato al letto del fiume, ma anche lui stava subendo gli effetti di quel colpo. Il dolore partì dal ventre, come un immane pugno sferratogli da un avversario della sua stessa stazza, e s’impose attraverso il suo intero corpo.
I fasci muscolari gli dolsero e le ossa scricchiolarono, mentre la vista gli si fece confusa, anche se solo per un secondo.
Densi fiumi di saliva gli caddero dalle fauci, gocciolando misti a sangue nella limpida acqua del fiume.
Il mostro digrignò i denti e urlò di pura rabbia.
Si rialzò con gran fatica, mentre l’odio germinava in lui a ritmo esponenziale. Non poteva concedere a quelle misere creature di prendersi gioco di lui, doveva eliminarle, ora che aveva ridotto le loro forze al minimo.
Scosse il corpo per asciugarsi dall’acqua che lo bagnava dalle ginocchia in giù e aprì di poco le mascelle, solo per accorgersi che non era più in grado di produrre i suoi raggi di gravitoni. Schioccò la lingua per il fastidio. Evidentemente ne aveva fatto troppo uso durante le altre battaglie, e adesso il suo corpo aveva bisogno di ricaricare. Ci sarebbero voluti almeno dieci minuti.
Poco male, pensò con furia rinnovata. Lo avrebbe fatto alla rude maniera.
Contrasse la deforme dentatura in una smorfia collerica, compiendo due brevi passi in avanti nell’acqua ora sempre più torbida, e ritrovandosi di fronte alla figura del nuovo avversario.
Questi si trovava in cima al cornicione di un piccolo grattacielo, eppure Ghidorah riusciva comunque a superarlo in altezza.
Bruce alzò lo sguardo verso l’enorme sagoma della creatura, per poi lanciare un fischio apparentemente impressionato.
<< Cavoli. Sei davvero grosso >> commentò ad alta voce, mentre il drago lo fissava con un luccichio furioso negli occhi.
L’Avenger lanciò una breve occhiata all’area circostante. Fatto questo, cominciò a grattarsi la testa con fare imbarazzato.
 << Mi dispiace di averci messo tanto tempo, sono rimasto bloccato nel traffico >>
<< Osi sfidarmi? Pazzo! >> ringhiò Ghidorah, abbassando la testa centrale di fronte alla nuova minaccia.
In tutta risposta, Bruce si limitò a sbuffare.
<< Sì, non sei il primo a dirmelo >> borbottò con un sorriso divertito.
L’azione sembrò irritare ulteriormente il drago, che fece scattare la lingua biforcuta.
<< Ho sconfitto tutti i guerrieri che la tua gente a inviato per uccidermi, eppure persistete nei vostri tentativi di affrontarmi. Perché non lo avete ancora capito? Non potete sconfiggermi! Siete solo formiche al cospetto di un re! >>
<< Sì, te lo concedo, siamo piuttosto testardi. È uno dei nostri più grandi difetti…e un punto di forza anche maggiore >> disse l’altro, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
<< Sappi che gli Avengers non molleranno finché riusciranno a respirare. Cosi faranno tutti gli altri. Io? Ho un problema un po' diverso >> ammise, togliendosi gli occhiali e posandoli delicatamente sul cornicione del palazzo. << Sento di vivere in un mondo fatto di carta pesta. Devo sempre fare attenzione a rompere niente. Non fare del male a nessuno. Non posso mai permettermi di perdere il controllo, nemmeno per un attimo, o qualcuno potrebbe morire>>
Si tolse la maglia e la giacca, piegandole e mettendole vicino agli occhiali. Il tutto sotto lo sguardo incredulo della testa centrale, mentre le altre due fissavano le azioni dell’uomo con sdegno ed evidente curiosità.
<< Ma tu sei forte, non è vero? >> chiese Bruce, scrocchiando il collo. << Quindi è finalmente arrivata per me la grande opportunità di lasciarmi andare... e dimostrare una volta per tutte qual è la mia vera potenza>>
Al sentire tali parole, Ghidorah rilasciò un ringhio basso e gratturale, allargando le immense ali ancora una volta e inarcando il bacino, assumendo una posizione difensiva.
Al contempo, Bruce porse le mano in aventi e divaricò leggermente le gambe.
<< Sono dieci anni che non mi trasformo completamente. Sinceramente, non so che succederà >> disse quasi a se stesso, mentre la coda di Ghidorah cominciò a vibrare come quella di un serpente a sonagli.
Poi, l’uomo prese un respiro profondo.
 << D’altro canto… >>
( Track 10 : https://www.youtube.com/watch?v=t-Jf_5uYCPE )
BOOM!
L'esplosione causata dal rilascio di energia fu bianca e onnicomprensiva.
Ad appena un centinaio di metri lungo l'asse di strade che conduceva a Central Park, guizzò nel cielo velato una brillante scintilla verde, come un fulmine che saetta all'insù invece che verso il suolo.
Un istante dopo, l'esplosione titanica squarciò il centro della tempesta come una lanterna.
L’onda d’urto risultante cancellò prima il palazzo su cui Bruce si era trovato fino a pochi secondi prima, poi gli alberi adiacenti al quartiere, e poi gran parte della strada.
I vari sopravvissuti che si trovavano nella zona iniziarono a gridare, ma non furono mai in grado di udire se stessi a causa del boato devastante e progressivo causato del repentino sprigionamento di dieci anni di collera repressa, mista ad energia gamma.
La maggior parte delle persone si coprì gli occhi e indietreggiò barcollando, calpestando altri civili e lasciando cadere tutto ciò che tenevano tra le mani.
Poi, la luce verde cominciò a schiarirsi…e da essa fuoriuscì la figura di Bruce Banner.
Sebbene sembrasse per lo più uguale a prima, Ghidorah riuscì comunque a notare alcune sostanziali differenze. I cappelli neri dell’uomo, ad esempio, erano diventati più lunghi, e gli arrivavano fino alle spalle.
La sua muscolatura era diventata più pronunciata, ricoperta di vene, e la pelle era illuminata da un debole bagliore, come una barra di Plutonio. E poi c’erano gli occhi : non più marroni, ma un paio di smeraldi verdi, misti a capillari rossi.
Hulk alzò la mano destra.
I muscoli dell’Avenger produssero acuti rumori di contrazione, quando le sue dita si strinsero le une sulle altre con tanta veemenza da poter quasi solidificare l’aria.
Prese slancio per sferzare il colpo, un frontale avvolto da un’aura di puro potere che presto avrebbe scaricato su Ghidorah con la forza di un cataclisma.
Sorrise, mostrando i pallidi denti, e prese un respiro profondo.
<< Hulk…SPACCA! >>
Balzò verso il drago e lo picchiò in pieno petto, scagliandolo via dalla strada, e poi giù verso la parte bassa del quartiere, dove si districavano i resti diroccati della città.
Come un ariete che niente sulla Terra avrebbe potuto arrestare, il golia verde compì un altro balzo contro il corpo dell’idra, sbattendovi addosso con tutto il peso della sua massa.
L’energia dell’impatto fu assorbita all’istante dalla pelle del mostro, attraversandone gli spessi strati frutto di milioni di anni di evoluzione, ma penetrò comunque all’interno della sua muscolatura, come un’onda di marea pronta a travolgere qualunque cosa nel suo raggio d’azione.
Più in basso, lo squadrone di poliziotti capitanato da George Stacy, Commissario di New York, si vide precipitare addosso gli oltre centocinquanta metri dell’immenso Ghidorah, quando ormai erano sul punto di completare l’evacuazione del quartiere.
<< Oh cazzo…via di qui, leviamoci di torno! >> imprecò rumorosamente, disperdendosi insieme agli altri cadetti, cercando di evitare la traiettoria del corpo.
Osservarono poi il drago atterrare disastrosamente sul dorso, a duecento metri dalla loro posizione, tenendosi stretto a ogni appiglio disponibile per fronteggiare lo spostamento d’aria scaturito dall’impatto.
<< Mio Dio! >> esclamò un ufficiale, che insieme al superiore aveva scelto quello specifico palazzo come riparo. << Signore… c-che cosa facciamo adesso?>> gli chiese con tono incerto.
Entrambi avevano gli occhi congelati sull’enorme massa distesa al suolo, che sembrava stesse soffrendo non poco per la rudezza della caduta.
Poco dopo, Hulk atterrò sul corpo della bestia, sollevando una densa nube di polveri e detriti che sparò verso l’alto come un petardo.
Il capitano della polizia studiò l’area circostante, e poco più in su riconobbe il Deus Ex Machina di quell’imprevisto sviluppo, e… non poté crederci.
<< Beh, ragazzo. Si direbbe che ci hanno appena messo in panchina >> concluse, rassegnandosi all’evidenza.
Ghidorah si rialzò da terra, scrollandosi di dosso le macerie degli edifici che avevano cercato inutilmente di frenare la sua avanzata.
Le tre teste sibilarono all’unisono, mentre la figura di Hulk atterrava davanti a loro con un ruggito.
<< Hulk spacca stupido drago! >> disse il golia verde, sbattendo ambe i pugni l’uno contro l’altro.
Ghidorah spalancò le ali come il cappuccio di un cobra, agitando la coda come un sonaglio.
Poi, cominciò a correre, dando esibizione di una velocità che non gli si sarebbe mai potuta attribuire. Correva, mentre evocava il suo grido di battaglia, e protendeva in avanti le teste, pronto a sfondare l’ultima difesa eretta dagli abitanti di quel pianeta.
Alcuni passanti gridarono. Altri si coprirono gli occhi e si rifugiarono nello loro ultime, insensate preghiere, mentre anche Hulk cominciò una rocambolesca carica verso l’avversario.
I più illusi – quelli che ancora credevano di avere una speranza – tentarono di scappare nelle direzioni più casuali, ma se le loro menti razionali, asfissiate dal cieco istinto di sopravvivenza, avessero potuto esprimersi, quasi sicuramente gli avrebbero detto di rinunciare. A quella velocità, mai si sarebbero allontanati per tempo, prima che le possenti zampe del titano facessero terra bruciata dei fragili corpi di cui erano fatti.
E quando i due mostri si incontrarono a mezz’aria, l’onda d’urto risultante frantumo ogni finestra nel raggio di almeno tre chilometri.
 
                                                                                                                                                    * * * 
 
Nella centrale elettrica, la radio trasmetteva un programma di musica classica in FM.
Il brano era la Sinfonietta di Janacek. Non esattamente la musica più adatta da sentire in un edificio di quel tipo. E del resto nemmeno il guardiano del posto sembrava ascoltarla con troppa attenzione.
L'uomo, di mezza età, era impegnato a guardare in silenzio la fila interminabile di macchinari che aveva davanti, come un pescatore provetto che, ritto a prua, scruta un minaccioso gorgo di correnti.
Allorchè, sprofondato nella sedia che usava per le pause occasionali, ascoltò la musica con occhi leggermente socchiusi.
In quel preciso istante, un sonoro clang! attirò la sua attenzione.
Vide la porta da cui era entrato mentre veniva scardinata e scagliata direttamente contro la parete opposta della stanza. Poco dopo, la figura di Spiderman fece un passo nell’ala, sorreggendo tra le braccia quella di Capitan Marvel.
“ Bhe, questa è una cosa che non si vede tutti i giorni” pensò l’uomo, mentre la coppia di supereroi si incamminava verso di lui.
<< Dov’è il generatore della centrale? >> chiese Peter, ansimante, ricevendo in cambio un sopracciglio inarcato.
<< Avete l’autorizzazione per stare qui? Questa è una zona riservata >> disse la guardia con voce annoiata. Supereroi o meno, avrebbe continuato a fare il suo lavoro. Dopotutto, non voleva certo essere licenziato a causa di semplice negligenza o favoritismo.
Carol alzò lo sguardo, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
<< Ti ha fatto una domanda >> disse freddamente.
L’uomo, tuttavia, si limitò a scrollare le spalle, estraendo dalla tasca dei pantaloni un walkie-talkie.
<< E io vi ripeto che questa è un’area riserva...>>
Non ebbe il tempo di terminare la frase.
La donna, ancora sorretta da Spiderman, allungò la mano con un rapido scatto e afferrò il colletto della guardia, tirandola a sé.
<< Voglio essere gentile >> ringhiò a denti stretti, mentre i suoi occhi cominciarono a illuminarsi di un intenso bagliore dorato. << Conterò fino a cinque. Uno... Quattro... >>
<< Se fossi in te  le risponderei >> commentò Peter.
L’uomo deglutì per la paura.
<< D-di là >>  disse indicando un corridoio ben preciso alla destra della coppia. Sopra l’entrata spiccava un cartello con sopra scritta la parola DANGER.
Il cipiglio sul volto di Carol venne rapidamente sostituito da un sorriso accomodante.
<< Grazie per la collaborazione >> disse piacevolmente, lasciando andare la guardia e pattandogli la testa.
Peter cominciò a incamminarsi verso la loro nuova destinazione, le braccia saldamente avvolte attorno al corpo dell’amante.
<< C’era proprio bisogno di spaventarlo in quel modo? >> domandò nervosamente.
Carol si limitò a lanciargli un ‘occhiata impassibile.
<< Siamo un po’ di fretta >> disse con tono vagamente sarcastico, indicando con la mano libera la sua figura martoriata. Internamente, Peter si ritrovò concorde con le parole della donna.
Dopo quasi un minuto, raggiunsero la sala in cui era presente il generatore principale dell’edificio, un enorme accozzaglia di fili e macchinari collegati ad un pannello di controllo.
<< Bene, eccoci qui >> dichiarò il vigilante.
In quel preciso istante, Carol perse la presa sulle spalle del compagno e crollò a terra con un sonoro tofo.
Le lenti di Peter si spalancarono per la sorpresa e il terrore.
<< Carol! >> urlò, accovacciandosi accanto alla donna e issandole la testa in grembo. Aveva la bocca sporca di sangue e i lividi ben visibili nelle parti stracciate della tuta avevano cominciato a farsi più evidenti.
<< Strappa quel cavo…e passamelo >> sussurrò la supereroina, indicando un grosso tubo di plastica che partiva direttamente dal pannello del generatore.
Peter annuì rapidamente, posò con delicatezza la testa della bionda sul pavimento della stanza e corse verso il generatore.
Una volta lì, afferrò il cavo con ambe le mani e prese un respiro profondo.
<< Mi raccomando, stai attento >> borbottò Carol alle sue spalle, cosa che fece sorridere il ragazzo. Era lei quella in punto di morte, eppure continuava a preoccuparsi per lui. A volte, quella donna poteva essere davvero cocciuta.
<< Farò del mio meglio per non rimanere fulminato >> rispose ironicamente il vigilante, facendo appello a tutta la forza che aveva in corpo per separare il tubo dal pannello.
Scintille e scariche elettriche cominciarono a zampettare nel punto esatto in cui il cavo era stato troncato. Peter fece del suo meglio per tenersi lontano, anche se riuscì comunque a percepire l’elettricità statica che gli attraversava la tuta.
Cammino fino alla figura sdraiata di Carol e le posò accanto il tubo.
Questa non perse tempo. Lo afferrò con la mano destra e se lo portò al petto.
La reazione fu praticamente istantanea.
La donna inarcò la schiena e lanciò un sibilo, mentre un enorme quantità di energia elettrica gli attraversava il corpo. Allo stesso tempo, la figura della bionda cominciò a illuminarsi, sempre più intensamente.
<< Chiudi gli occhi ! >> urlò, e Peter fece proprio questo.
Pochi secondi dopo, un bagliore d’immane potenza, come non se ne erano mai visti a memoria d’uomo, avvolse l’intero quartiere al pari di una coperta fatta di pura luce, illuminando l’oscurità della tempesta.
 
                                                                                                                                                * * * 
 
Hell’s Kitchen sembrava ormai un quartiere fantasma, dal momento che tutti gli abitanti avevano trovato rifugio o erano stati evacuati. Per le strade non vi era più anima viva.
Nel bel mezzo di quella città vuota, fra le luci dei lampioni, si muovevano solo due automezzi. Si trattava dei furgoni che la polizia locale stava utilizzando per evacuare le prigioni dei vari distretti.
All’interno di quelle auto dai fari scintillanti, criminali dallo sguardo maligno si fissavano l’uno l’altro, come a scambiarsi un segnale segreto per dare l’avvio a un piano ben progettato.
Uno di loro gridò all’improvviso, cadendo dolorante dal sedile.
<< Ehi, che succede laggiù? >> chiesero gli agenti della scorta, che si trovavano con i prigionieri sul retro del furgone. E subito si chinarono per aiutare l’uomo ad alzarsi.
In circostanze normali, probabilmente non sarebbero mai caduti per un trucco simile. Tuttavia, l’arrivo di Ghidorah e la situazione in generale li avevano resi spaventati e incauti oltre ogni misura.
<< Adesso! >>
I criminali, che fino a quel momento erano stati tranquilli, scattarono all’improvviso e sottrassero le pistole dalle fondine dei due poliziotti, colpendoli violentemente con le casse.
Estrassero le chiavi delle manette, appese alle cinture della coppia, e dopo circa un minuto furono tutti liberi.
Aperta a calci la porta posteriore, i prigionieri fuggirono con un balzo, rotolando a terra e sparpagliandosi in tutte le direzioni.
Nell’udire rumori sospetti provenienti dal retro del furgone, il poliziotto al volante frenò bruscamente e fermò il mezzo, producendo un forte stridulo sulla strada bagnata. Aprì la portiera e scese con un balzo.
<< Fermi! Fermi o sparo! >> urlò, notando le sagome dei prigionieri che si stagliavano nella luce dei lampioni. Sopra di loro, la tempesta causata da Ghidorah continuava implacabile.
Il poliziotto sparò alcuni colpi di avvertimento, poi verso i fuggitivi.
Uno dei prigionieri, colpito alla gamba, cadde in avanti. Gli altri si dileguarono immediatamente, nascondendosi nei vicoli.
La sirena di un’autopattuglia risuonò in strada. Alcuni criminali alzarono scompostamente le mani in segno di resa. Al contempo, I fanali della volante illuminarono le figure di tre prigionieri intenti a fuggire nei vicoli laterali.
<< Fermi, voi! >>
I vari agenti, divisi in gruppi, cominciarono ad inseguirli.
I tre fuggitivi, correndo a perdifiato, avvistarono un’auto parcheggiata davanti a un benzinaio. Era carica di taniche di carburante e recava in cima una bandierina gialla che sventolava nella tempesta.
Entrarono veloci nel mezzo e, dopo aver armeggiato con i fili posti sotto il volante, accesero il motore e partirono a tutta velocità.
<< Maledizione! >> esclamò il primo secondino giunto sul posto,  battendo il piede a terra con frustrazione, mentre li vedeva fuggire.
Tuttavia, la corsa dei criminali fu assai di breve durata.
Sì udì il colpo di un’arma da fuoco e il suono di una gomma da ruota che scoppiava.
L’auto sterzò di lato. Scivolando sulla strada bagnata, le ruote stridettero in maniera assordante.
La benzina si sparse tutt’intorno, e qualcosa fece attrito con l’asfalto accendendo una scia di scintille.
Accadde tutto in un istante.
L’auto dei prigionieri si stagliò nel buio come una meteora infuocata, e veloce come un proiettile andò a sbattere contro un muro. L’esplosione delle taniche di carburante sollevò il veicolo a mezz’aria, facendo innalzare fino al cielo una grossa colonna di fiamme.
La benzina fuoriuscita dall’auto, avvolta dalla vampata, fece prendere fuoco alle taniche e, in pochi secondi, una seconda fiamma rosso cremisi zampillò nel cielo notturno.
Il giovane poliziotto emise un sussulto e compì un passo all'indietro. Si voltò in direzione del punto da cui era partito lo sparo e sentì il respiro mozzarsi in gola.
In mezzo alla coltre di nebbia, con un andatura felpata rivolta nei suoi confronti, vi era un uomo di corporatura massiccia, indossante una giacca nera in pelle e una maglietta altrettanto scura, su cui era disegnato un pallido teschio.
Il volto pieno di cicatrici, segnato da dure battaglie susseguitesi negli anni, era chiuso in un espressione seria e impassibile. Nella mano destra portava un fucile a canne mozze, e in quella sinistra una piccola mitragliatrice automatica.
Come ogni altro poliziotto di New York, il giovane ufficiale avrebbe riconosciuto quell’individuo anche in mezzo ad una folla. Non vi era alcun dubbio! Si trattava di Frank Castle…noto anche come il Punisher.
Quando l’uomo era più giovane, e non ancora una macchina di morte che imperversava per i bassifondi di New York, la moglie e i figli gli erano stati portati via davanti agli occhi. Questo evento lo aveva spinto a diventare il Punisher, un uomo determinato a debellare il crimine di strada in ogni sua forma.
Ma come affermato, questo accadde molti anni fa, e nel grande disegno universale non era nemmeno degno di nota.
<< Non muoverti! >> ordinò il secondino, puntando la pistola in direzione dell’uomo. Dopotutto, era pur sempre un vigilante ricercato dalla legge e aveva appena commesso un triplice omicidio di fronte a lui.
Frank sembrò non averlo sentito. Continuò a camminare, alzò il fucile e, prima ancora che il poliziotto potesse premere il grilletto nella propria arma, sparò un colpo che centrò qualcosa alle spalle dell’uomo.
Sì udì uno strillo animalesco, cosa che fece voltare di scatto il poliziotto.
A pochi passi da lui giaceva il corpo agonizzante di un strano insetto grande quanto un cane. Dal punto esatto in cui Frank lo aveva colpito, stava fuoriuscendo uno strano liquido verde, probabilmente il suo sangue.
<< Oddio >> mormorò l’agente.
In quel preciso istante, notò una serie di ombre che cominciarono a strisciare verticalmente dai muri degli edifici.
L’uomo deglutì a fatica, mentre le pulci caddero sul manto stradale come foglie al vento, mettendo in mostra i denti acuminati e ringhiando nella sua direzione.
Il secondino era talmente concentrato su quelle orribile bestie da non accorgersi che Castle si era fermato proprio accanto a lui.
<< Dovresti andartene a casa, ragazzo >> disse con voce bassa e autoritaria, facendo sussultare il poliziotto.
Questi passò brevemente lo sguardo dal vigilante all’esercito di insetti, prima di cimentarsi in una rocambolesca fuga nella direzione opposta.
Frank sbuffò sprezzante e ricaricò le armi. Allo stesso tempo, le pulci balzarono in avanti.
<< Comincia la festa >> borbottò l’uomo.
Appena pochi secondi dopo, una cacofonia di spari risuonò per tutta Hell’s Kitchen, attirando l’attenzione di una figura ben distinta.
 
                                                                                                                                               * * * 
 
( Track 7 : https://www.youtube.com/watch?v=YcwdjuQ3UR4 )
Il devastante combattimento tra Ghidorah e Hulk stava proseguendo da quasi venti minuti, e il loro campo di battaglia si era esteso fino a distruggere senza alcuno sforzo perfino il Chrysler Building.
Il corpo a corpo sembrava momentaneamente essere stato accantonato, mentre l’enorme mostro tricefalo era intento a bersagliare l’avversario con ripetuti fasci di gravitoni fuoriusciti direttamente dalle sue fauci.
Hulk non fu certo da meno, e cominciò a lanciare contro il drago qualunque cosa gli capitasse a tiro, dalle macchine ai camion di taglia più grossa, puntando contro quelli che la sua mente primitiva gli suggeriva fossero i punti deboli dell’alieno.
L’idra, ergendosi in piedi tra le fiamme color cremisi, continuò a bersagliare l’Aveneger con ostinazione.
Hulk schivò l’ultimo colpo e si lanciò contro Ghidorah.
La spaventosa lotta tra i due mostri arrivò a consumarsi sopra la metropolitana della città, nei pressi del luogo in cui si erano nascosti numerosi civili.
Molti di loro trattennero il respiro, mentre sopra di essi proseguiva la più spaventosa battaglia che avesse mai preso luogo in quella città.
Le due creature, continuando a bersagliarsi l’un l’altra, finirono per cadere nel Fiume Hudson ancora una volta.
Il soffitto della metropolitana crollò, e l’acqua del canale si riversò al suo interno con un tremendo boato.
Un’immensa massa d’acqua si diresse verso i fuggitivi, trascinando con sé sedie e vagoni. Con grida disperate, le persone furono risucchiate dalla corrente, che sradicò anche i binari in un solo istante.
Nel mentre, tra le acque del fiume, la battaglia tra titani procedeva implacabile.
Hulk balzò a mezz’aria, finche non si trovò di fronte alla testa centrale di Ghidorah. I suoi enormi pugni risuonarono sul muso della bestia.
Infine, tirò una ginocchiata tra i suoi denti, spostando il cranio di diversi metri.
Il drago, a sua volta, fece scattare la testa di destra in avanti, inchiodando il corpo dell’Avenger sul letto fangoso del fiume. Questi allontanò l’alieno con una spinta dei piedi e sferrò i suoi pugni sulle gambe dell’essere, facendolo incespicare.
Con un saltò all’indietro atterrò sul marciapiede che confinava con il canale.
Poi, afferrò tra le mani un lampione. Il metallo stridette, mentre veniva strappato via dal marciapiede.
Infine, il golia verde alzò lo strumento come se fosse una clava e sorrise.
Il colpo successivo investì la testa centrale di Ghidorah, e la vibrazione si propagò lungo la superficie del fiume, increspandola.
Il drago rilasciò un sibilo irritato e si lanciò in avanti.
Afferrò il corpo dell’Avenger con le zampe posteriori, sbattendolo contro il manto stradale della città e trascinandolo per una lunghezza di almeno duecento metri.
Si fermò di colpo, lasciando che la figura di Hulk proseguisse ininterrotta la sua avanzata, fino a sbattere contro un palazzo delle imposte.
Il golia verde fuoriuscì poco dopo dalle macerie, ricoperto di fuliggine e pezzi di calcestruzzo.
Con gli immensi grattacieli sullo sfondo, si avventò su Ghidorah, cercando una breccia in quella che sembrava una difesa impenetrabile. Il drago contrattaccò, facendo scattare le fauci come un serpente.
I due titani continuarono a colpirsi a vicenda senza alcun risparmio, pugno contro morso, scontrandosi ripetutamente e provocando un fragore assordante, mentre gli edifici nei dintorni finivano rasi al suolo dalle vampate occasionali di Ghidorah.
Atterriti da quell’incredibile spettacolo, i civili che non erano ancora riusciti a trovare riparo si dimenticarono di fuggire, rimanendo immobili a osservare la scena.
Con versi minacciosi, il drago e Hulk continuavano ad avvinghiarsi e mollare la presa, studiandosi e saggiando la quantità di energie rimaste all’avversario.
Nell’istante in cui l’Avenger sembrò essere in affanno, il mostro tricefalo si girò di scatto e gli assesto un colpo di coda. Il golia verde crollò in avanti e Ghidorah, approfittando di questo momento di debolezza, iniziò a battere con forza la punta uncinata sull’avversario, ripetutamente e senza pietà.
A molti sembrò che per Hulk fosse arrivata la fine. Il suo spirito combattivo pareva evaporare poco alla volta. Poi, come dal nulla, emise un ruggito di pura collera.
Evitò l’ultimo colpo di coda e balzò in avanti, riversando tutta la sua massa sul petto di Ghidorah con un violento colpo. Il mostro fu scagliato contro l’Empire State Building, distruggendone un fianco e facendo tremare il suolo.
Dopo il crollo della facciata laterale, la struttura dell’edificio cedette. Il simbolo del centro città fu ridotto a semplici macerie in pochi istanti.
Rotolando, Ghidorah affondò nel manto stradale, sollevando una densa nuvola di polvere e detriti. Nello stesso istante, il grattacelo gli cadde addosso.
Hulk atterrò poco dopo, ammirando la propria opera e lanciando verso il cielo un grido di vittoria.
<< Stupido drago! >> urlò, sollevando ambe le braccia. << Hulk è il più forte che c’è! >>
In quel preciso istante, la figura dell’idra emerse dall’accozzaglia di detriti e pezzi di edificio, respirando affannosamente.
La testa di sinistra emise uno strano lamento, quasi un grido di aiuto, mentre le altre due si voltarono furenti in direzione dell’avversario ancora in piedi.
Hulk socchiuse gli occhi, preparandosi ad attaccare ancora una volta.
Sì lanciò in avanti, pronto a colpire la bestia…
Non ne ebbe la possibilità. Un intenso bagliore rosso si abbattè contro il corpo del golia verde, spedendolo contro la cima di un grattacielo.
Wanda Maximoff calò sulla strada, con i lunghi capelli sospesi a mezz’aria e gli occhi che menavano lampi.
Ripreso dal colpo improvviso, Hulk si alzò in piedi e puntò lo sguardo in direzione della nuova minaccia.
Ringhiò e saltò in avanti. Tuttavia, poco prima che potesse anche solo trovarsi a un metro dalla Scarlet Witch, questa alzò la mano e si limitò ad afferrare telecineticamente il corpo dell’Avenger, sbattendolo prima contro il manto stradale, per circa tre volte, poi contro un altro edificio.
Hulk sballottò da una parte all’altra della strada, come la pallina di un flipper, mentre l’immensa figura di Ghidorah si rialzava da terra con un sorriso soddisfatto.
<< Lo sai che un corpo vivo e uno morto contengono lo stesso numero di particelle? Non c'è alcuna differenza sostanziale in quanto a struttura >> commentò la testa centrale, avvicinandosi alla coppia.
<< La vita e la morte…sono astrazioni non quantificabili >> sibilò, abbassando i lunghi colli all’altezza di Wanda. <<  È tutto quello che siete per me : energia rinnovabile. Solo cibo >>
Detto questo, fece un rapido cenno alla Scarlet Witch.
La giovane donna non esitò nemmeno un istante e tirò a sé la figura di Hulk. Poi, allargo le braccia a immagine e somiglianza di una croce, e il golia verde la seguì a ruota, come una marionetta.
Il mostro ringhiò e cercò di liberarsi da quella forza sconosciuta, ma si ritrovò incapace di farlo.
<< Tienilo fermo >> ordinò Ghidorah, mentre le varie fauci del drago cominciarono a illuminarsi di un familiare bagliore dorato.
Hulk dilatò le pupille. Anche la sua mente, seppur primitiva, era ben consapevole del fatto che un colpo del genere, sparato ad una distanza così ravvicinata, avrebbe causato danni considerevoli anche ad uno come lui.
Ringhiò, più che deciso a non mostrare paura o debolezza di fronte all’idra.
( Track 11 : https://www.youtube.com/watch?v=bmjYdc56gus )
E fu in quel momento…che un bagliore accecante illuminò le tenebre della tempesta ancora una volta.
Le tre teste di Ghidorah si fermarono di colpo, alzando gli occhi al cielo e drizzandosi come serpenti di fronte ad una potenziale minaccia.
Le nubi si aprirono. Thor calò giù da cielo, lasciando una scia di fulmini dietro di sé.
Disegnò un arco sopra la strada, fino ad arrivare sopra l’immensa figura del drago.
L’asgardiano si diede una spinta verso il basso, veicolando la forza di gravità sui propri piedi e chiedendo obbedienza. E la forza di gravità, dopo una brevissima resistenza, riconobbe la sua superiorità.
Planò a mezz’aria sopra i grattacieli, levitando come un fantasma. Il mantello rosso sbatteva alle sue spalle, mentre fumo e saette fuoriuscivano dalla bocca e dal naso, circondandogli il cranio come un’aureola luminosa.
Alzò ambe le mani, tirò un urlo e lasciò cadere Stormbreaker come un’ascia.
La grande Lama circolare iniziò a muoversi nel vuoto, spostandosi sul collo sinistro di Ghidorah. Da prima affondò sul muscolo tiroideo, recidendogli i legamenti anteriori, e quindi ruotò tutto intorno, scardinandogli la testa dal resto del corpo.
Il cranio dell’essere cadde pesantemente a terra.
Sul volto senza vita della testa si era disegnata una smorfia indefinibile, che rimase tale anche quando rotolò via, fuggendo dal suo tronco.
Brevi spasmi animarono ancora la carcassa, mentre il picco si tingeva di rosso.
Le altre due teste urlarono come se impazzite, mentre i pensieri di quella centrale correvano a mille.
Dolore! Qualcuno lo aveva ferito gravemente! Una cosa del genere non era successa da innumerevoli millenni !
Non c’erano parole che potessero descrivere la sua collera, il tipo di collera che si poteva vedere solo in un essere che fino a pochi minuti prima si considerava intoccabile.
Il drago eruttò fasci di gravitoni, riempiendo il quartiere di scariche e scuotendo le fondamenta dei palazzi.
Il suo unico pensiero era di dare la caccia a quel miserabile che aveva osato nuocergli, finchè non lo avesse preso, dilaniato e ridotto a semplici escrementi.
Si voltò in direzione di Thor, che nel frattempo era atterrato sulla cima di un grattacielo, Stormbreaker di nuovo in una mano e Mjolnir nell’altra.
In tutto il mondo, le persone che stavano assistendo allo scontro in diretta cominciarono ad esultare, ora consci del fatto che quella creatura era tutt’altro che invincibili, che poteva essere ferita, e quindi uccisa. Nella base dello Shield, perfino Fury si concesse un piccolo sorriso.
Ma tale entusiasmo ebbe vita assai breve.
Sì udì un suono strano, come se qualcosa di molle stesse cercando di farsi strada all’interno di un condotto. Il collo mozzato di Ghidorah cominciò a lampeggiare, mentre uno strano ammasso di carne rosa e deforme iniziò a farsi strada dal punto esatto in cui era stato decapitato.
Thor strinse la presa sulle proprie armi, mettendosi in posizione di difesa.
Al contempo, la testa centrale dell’idra si chinò vicino al collo mozzato, e addentò la sostanza, che ora aveva assunto una conformazione simile a quella della placenta.
Lo strato vischioso si aprì…e da esso fuoriuscì un muso. E poi degli occhi…e infine delle corna.
Pochi secondi dopo, sotto lo sguardo attonito di ogni spettatore, la testa di sinistra del drago tornò alla sua forma originaria, come se non fosse mai stata scalfita.
Il cranio appena formato compì un paio di colpi di tosse, vomitando un liquido vischioso. Poi, volse uno sguardo furente in direzione di Thor, seguito dai suoi fratelli.
In quel preciso istante, la mente di ogni singola persona che aveva assistito a quella scena raccapricciante venne attraversata da un unico e semplice pensiero.
“ Così non vale, però!”
 
 
 
Com’era? Spero bello!
Sto cercando in tutti i modi di non far sembrare i vari combattimenti ripetitivi.
Quello tra Ghidorah e Capitan Marvel, infatti, si basava soprattutto sull’utilizzo di attacchi energetici, mentre quello tra Ghidorah e Strange era più tattico, con uso di trucchi da parte di entrambi. Questo tra Hulk e Ghidorah, invece, è stato un corpo a corpo vero e proprio.
E quella tra Thor e Ghidorah…bhe, sarà un po’ l’apice della storia, un mix di tutti e tre.
Frank Castle, alias Punisher, è il protagonista della serie Marvel/Netflix The Punisher.
In questo capitolo mi sono concentrato molto su come i vari abitanti di New York stanno affrontando la catastrofe che si è abbattuta su di loro, criminali e poliziotti compresi. Frank era il pretesto perfetto per mostrare questo lato delle cose, essendo un personaggio molto più ancorato alla strada rispetto agli altri.
E ora…l’omake!
 
 
Omake :
 
Ichi : Odio questi Avengers ! Noi gli lanciamo addosso qualunque cosa, e loro…
 
Squuuek!
 
* Ichi si blocca di colpo e abbassa lo sguardo molto lentamente. Poi, lancia un’occhiata impassibile alla sua sinistra *
 
Ichi : Kevin…cosa sono…QUELLI ?
 
*Sia Ichi che il fratello abbassano lo sguardo, evidenziando un paio di sandali ai piedi. Sandali che raffigurano proprio le miniature degli Avengers…*

Kevin * visibilmente imbarazzato* : Ehm…non lo so, è che mi sembravano così eleganti…

Ichi : Noi abbiamo meno di 24 ore per liberarci di questi BUFFONI…o l’intero piano che abbiamo pianificato per gli ultimi 5 anni se ne va in fumo…
 
*Gli occhi di Ichi si fanno man mano sempre più rossi, mentre Kevin comincia a piagnucolare per la paura*
 
Ichi : E TU…indossi…i loro…ARTICOLI FIRMATIIII !
 
Skrrrrrrrrrrrrr
 
*Ichi e Kevin si bloccano di colpo, girandosi lentamente verso destra…appena in tempo per vedere Ni intento a sorseggiare da un bicchiere a forma e immagine di Hulk.
Notando di essere osservato, la testa passa brevemente lo sguardo dalla bevanda ai fratelli, sorridendo nervosamente *
 
Ni : Eh eh…sete ?
 
Ichi : GHAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA !

 BOOM !
 
Il resto, come si sul dire…è storia.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 
Ecco un nuovissimo capitolo!
Si tratta dell’aggiornamento più lungo scritto fino ad ora per questa storia, e uno dei più impegnativi dal punto di vista del contenuto e della resa finale, quindi spero davvero che vi piacerà.
Come al solito, vi invito a controllare le note finali per eventuali chiarimenti, plus la breve Omake comica realizzata per l’occasione.
Ed ora…buona lettura!



Capitolo 12 
 
“Un giorno, il dio Thor, figlio della terra, stava pescando nel mare del serpente, usando una testa di bue come esca. Jormungand s'impennò, e le onde colpirono le coste mentre si attorcigliava e contorceva come una furia. Erano ugualmente forti, il serpente e il dio in quella lotta furiosa. Il mare ribolliva intorno a loro, ma poi l’amo venne rimosso e il serpente strisciò libero e s'inabissò di nuovo, velocemente, sotto le onde. E presto il mare fu calmo di nuovo come se nulla l'avesse disturbato”
( Neil Gaiman )


Poco prima delle 20:00, su tutta New York aveva cominciato a scendere uno strano crepuscolo, probabilmente favorito dalle nubi della tempesta.
L’orizzonte meridionale della città, lungo la costa, si andava ingombrando di lampi e saette, e da quella direzione giungevano attraverso i quartieri cupi rimbombi lontani.
Le nubi già presenti sulla metropoli si gonfiarono.
Governata da una fotocellula, l’illuminazione stradale entrò in funzione con mezz’ora di anticipo sull’orario consueto, anche in quelle strade in cui non era stata ancora attivata manualmente.
La confusione regnava in tutta la città, i cui quartieri erano invasi da veicoli della polizia statale e unità mobili della televisione. Nell’aria surriscaldata e immota s’intrecciavano le comunicazioni radio.
E in mezzo a tutta quella cacofonia vi erano Thor e Ghidorah, gli occhi puntati l’uno nei confronti dell’altro.
L’asgardiano sentì il vento della tempesta che fischiava fra palazzi e grattacieli. Era un suono inquietante, pieno di desolazione. La pioggia che si abbatteva sui parabrezza delle macchine aveva trasformato il paesaggio in un’allucinazione vacillante.
Quando il tonante e Ghidorah si fermarono all’incrocio tra Times Square e la Brodway, la pioggia si fece così intensa e violenta che produsse un fragore abbastanza forte da lenire il suono dei tuoni occasionali.
L’enorme drago fissò intensamente il nuovo avversario, prendendo una rapida annusata.
<< Figlio di Odino >> ringhiò la testa centrale, stringendo ambe le palpebre degli occhi. Le altre due la seguirono a ruota, scoprendo i denti in smorfie grottesche.
Thor inarcò un sopracciglio.
 << Tu mi conosci? >>
<< Conoscevo tuo padre >> sibilò la bestia, dilatando le narici ancora una volta.
<< Aaaaaah, sono passati molti eoni dalla nostra gloriosa battaglia. Il giorno in cui ho ucciso i suoi fratelli >> continuò con un ghigno beffardo. << Abbiamo dimenticato i tratti del suo volto…abbiamo dimenticato il suono della sua voce…ma non dimenticheremo mai il suo fetore, nè il sapore del suo sangue maledetto >>
Compì un passo in avanti, facendo scattare le mascelle, la coda che vibrava per la rabbia a mala pena contenuta.
<< Esso scorre in voi. E vi tradisce…altezza >> disse con un luccichio crudele negli occhi scarlatti, prima di volgere la propria attenzione nei confronti dei suoi compagni. << Gioite, fratelli miei, perché oggi consumeremo non solo questo mondo…ma anche la nostra vendetta >>
Al sentire tali parole, la presa di Thor sulle proprie armi si fece più ferrea.
Strinse gli occhi, mettendosi in posizione di attacco.
<< Ti avverto, lurido verme. Lascia in pace la Terra e tornate nel buco da cui sei strisciato fuori! >>
<< Altrimenti, smilzo? Mi ucciderai? >> chiese beffardamente il drago.
Sul volto dell’asgardiano andò a formarsi un sorriso eccitato, vibrante d’anticipazione per la battaglia imminente.
<< Il senso è più o meno quello >> disse con un ringhio, mentre la bestia allargava le immense ali.
<< Allora vieni avanti, figlio di Odino…fatti ammazzare! >> urlò, caricando in avanti con un ruggito che scosse gli animi di ogni singola persona rimasta in quella città rovente.
( Track 12 : https://www.youtube.com/watch?v=Z4vZIqYCk0Q )
Il dio lanciò un grido di battaglia, e rispose alla provocazione menando un colpo d'ascia che fendette le dure scaglie della serpe.
Il mostro accusò il colpo, incespicando all’indietro. Doveva ammetterlo, quell'arma era formidabile, abbastanza resistente da ferirlo. Ed era proprio dal suo scontro con Odino che qualcuno era stato capace di compiere una simile impresa.
Tuttavia, non si perse d'animo. Era ora di passare al contrattacco.
Con la testa di sinistra menò una frustata,  spedendo l’avversario contro un grattacielo. Poi, spiccò un balzo e atterrò sopra di lui, schiacciandolo al suolo con tutto il suo mastodontico peso.
<< Debole >> sibilò il mostro, lanciandosi in avanti per addentare il corpo dell’asgardiano.
Prima che potesse farlo, tuttavia, qualcosa di piccolo e veloce si abbattè sulla testa centrale del drago, facendolo cadere sul fianco destro.
Thor sorrise, mentre il martello Mjolnir tornava i suoi possesso.
Ne aveva raccolto i resti poco prima di partire con i Guardiani, dopo essere tornato sul luogo in cui suo padre era morto. Lo stesso posto in cui aveva avuto il suo primo scontro con Hela, la dea della Morte, la quale aveva ridotto il mitico maglio in pezzi.
Ma l’asgardiano era riuscito a recuperarli tutti dopo tre giorni di ricerca instancabile, e grazie all’aiuto dell’ultimo dei nani, Eitri, era riuscito a ripararlo.
Thor fece un salto nel cielo, compiendo un largo arco, e atterrò esattamente dietro Ghidorah. Calciò via due pulci che tentarono di bloccargli la strada e sferrò un paio di colpi di martello che frantumarono il cranio di qualche altro insetto. Poi, afferrò la coda di Ghidorah e tirò, facendo appello a tutta la forza che aveva in corpo.
Con un grido di sorpresa, il mostro tricefalo venne sollevato da terra. L’asgardiano lo spostò in su e in giù, sbattendolo sulla strada e sollevando una densa nube di detriti.
Fece un balzo oltre il corpo del titano, trascinandosi dietro la coda.
Nel momento in cui atterrò, fece roteare il drago attorno a sé, investendo palazzi e artropodi come se fossero mosche.
Dopo due giri, Thor non ebbe più la energie per sostenere l’enorme massa del drago e lo scagliò al di là della strada, contro un parcheggio coperto.
La bestia sbattè contro il palazzo come se fosse una palla da demolizione, creando un enorme cratere.
Cadde a terra, lanciando un ruggito di pura collera, mentre gli spettatori esultarono.
Thor tentò di affondare Stormbreaker sulla schiena dell’idra, ma Ghidorah fu rapido a rispondere.
La testa di destra scattò all’indietro, contorcendosi come quella di un gufo. Spalancò le fauci e le chiuse sul corpo dell’asgardiano.
I denti della bestia trapassarono le maniche in pelle dell’armatura, fino al braccio.
Thor sentì in tutto il corpo un dolore immenso, come non lo aveva mai provato. La mascella del drago si richiuse come una macchina, e una delle sue zanne arrivò a sfiorare l’osso dell’arto, affondando sempre di più in profondità.
La testa quasi sorrise, mentre lo sollevava in alto, scuotendo il muso come un coccodrillo.
Thor mosse la spalla, nel tentativo di richiamare a sé Stormbreaker, ma il dolore era insopportabile.
Avvertì delle grida e si rese conto che erano le sue.
Sprigionò dalle mani una scarica, e i fulmini lo aiutarono a liberarsi dallo stordimento.
Si mosse sulle gambe contro la mascella del drago, tirò un colpo di Mijolnir al muso e riuscì a liberarsi.
La manica si strappo, e solo per un momento vide dei punti rossi nell’aria. Il sangue cadde per terra, e si chiese quanti etti della propria carne fossero rimasti nella bocca dell’essere.
Pigramente, si rese conto che aveva ancora conficcato nel braccio la punta di una zanna.
Thor cadde in ginocchio e fece un goffo balzo all’indietro, atterrando sui suoi piedi. Allungò la mano con un grugnito, pronto a richiamare Stormbreaker. Non ne ebbe la possibilità.
Gli artigli di Ghidorah lo afferrarono da dietro, trascinandolo contro un camion. Il suo corpo lasciò un’ammaccatura nella carrozzata e il mondo intorno divenne sfocato.
L’asgardiano si rimise in piedi quasi subito, e nel momento in cui l’idra cercò di colpirlo con la coda, afferrò la punta uncinata.
Il drago lo strascinò lungo il quartiere, facendo incespicare decine di spettatori con la sua avanzata, mentre cercava di sbarazzarsi del tonante.
Poi, la coda pungente schioccò come una frusta e sbalzò Thor verso un edificio.
<< Dio mio! >> esclamò un civile, quando vide l’aesir sbattere contro il palazzo, sollevando una pioggia di cemento e polveri in tutta l’area circostante. Pochi secondi dopo, l’edificio crollò su se stesso, facendo calare una tetra oscurità in tutta la zona circostante.
Thor uscì dall’ammasso di macerie dopo quasi un minuto, visibilmente provato dal colpo.
L’orda di pulci gli fu addosso, afferrandolo per le braccia, le gambe e per i capelli.
L’asgardiano se le scrollò di dosso e si rimise in piedi. Nel mentre, Ghidorah si fece avanti, camminando sugli artropodi.
Un’altra botta della coda colpì Thor sulla schiena, mandandolo a terra. Le pulci gli furono sopra, mentre, dietro di lui, il drago ruggiva di piacere.
<< Le mie scaglie sono cotte di maglia!>> esclamò il mostro. << I miei denti sono spade! I miei aculei sono lance! Davanti a me, il serpente che fece tremare di paura il padre di tutti, tu sei solo un rifiuto! Un patetico sacco di carne appartenente a una casta guerriera ormai prossima all'estinzione! Non sei nulla a confronto di tuo padre ! E ora chiudi gli occhi, figlio di Odino, perché raggiungerai il tuo prezioso Valhalla >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, la bestia sparò altre saette contro l’inerme figura Thor, incurante delle pulci che uccise nel processo. Decisione che, tuttavia, si rivelò ben presto una scelta poco adatta per il tipo di guerriero che aveva di fronte.
Ebbene sì, Ghidorah aveva decisamente sottovalutato il suo avversario... non lo avesse mai fatto.
L’alieno osservò con orrido stupore mentre l’asgardiano si alzava da terra, con gli occhi illuminati di nuova vita e circondato da scariche che zampillavano su tutto il corpo.
La sua  sola presenza aveva oscurato i cieli con ulteriori nubi.
Forti lampi e tuoni fendevano l'aria come spade. I cieli avevano riconosciuto la potenza di Thor di Asgard, e si erano piegati alla sua volontà.
<< Io non sono mio padre, mostro. Io sono Thor, figlio di Odino... e Dio del tuono! >> gridò, emettendo dalla sua ascia un fortissimo tuono che investì in pieno  il drago.
Il corpo della bestia rovinò a terra, oscurando il quartiere con una densa nube di detriti e cenere cadente. 
 
                                                                                                                                                    * * *  

Mentre Ghidorah e Thor erano impegnati a combattere, Hulk si trovava ancora nella presa telecinetica di Wanda.
La Scarlett Witch era rimasta ferma e immobile per quasi cinque minuti, apparentemente in attesa di ricevere un qualche tipo di ordine dal suo nuovo maestro.
Ma quando quel lasso di tempo giunse al suo termine, la donna girò di scatto la testa verso l’Avenger, gli occhi ancora avvolti da quel bagliore dorato.
Il golia verde capì cosa sarebbe successo ancora prima che Wanda cominciasse ad allargare le mani una seconda volta, iniziando a strappare i muscoli dell’avversario.
Hulk strinse i denti e trattenne un ringhio, facendo appello a tutta la forza che aveva in corpo per resistere a quell’attacco invisibile.
La Scarlett Witch, tuttavia, sembrava implacabile, e continuò a tirare.
Fu così che, troppo impegnata in quella sorta di tortura, la donna non si accorse della figura di Quake che era atterrata alle sue spalle.
Ferita, contusa, ma ancora molto viva, l’inumana lanciò una potente onda sonica contro Wanda, mandandola a sbattere contro la colonna di un vecchio edificio.
<< Non provarci nemmeno, streghetta, noi due non abbiamo ancora finito! >> ringhiò Daisy, mentre il corpo di Hulk ruzzolava a terra.
Il golia verde tossì un paio di volte, volgendo alla sua soccorritrice un’espressione incerta.
Quest’ultima si limitò a sorridere, prima di fare un cenno in direzione del punto in cui Thor e Ghidorah si stavano affrontando.
 << Va pure ad aiutarlo. Qui ci penso io >> disse con determinazione, puntando lo sguardo verso la figura di Wanda.
La Scarlett Witch si era già rialzata, guidata da una forza che non le avrebbe mai permesso di stancarsi.
Hulk passò brevemente la testa dall’ex Avenger a Quake.
Dal suo sguardo era evidente che l’idea di abbandonare un combattimento non lo entusiasmava…ma aveva ancora un conto in sospeso con quel drago.
Fece un rapido cenno verso Daisy, per poi lasciare la zona con un balzo a mezz’aria.
Al contempo, la donna si mise in posizione di attacco, pronta a combattere ancora una volta contro la Scarlett Witch.
 
                                                                                                                                                          * * *  

Due isolati più indietro, Rhodey aveva ridotto il quartiere circostante in un colabrodo. L’armatura metallica sollevò al massimo i livelli dei sensori e controllò l’area intorno.
Guardando a Nord, Est e Ovest, vide sette pulci nel raggio dei suoi visori. La più vicina era a dieci metri, ed era di taglia abbastanza grossa.
Un’altra pulce sbucò da dietro un veicolo abbandonato sulla strada principale. L’eroe noto come War Machine si mise subito in posizione di guardia, mentre le creature cominciarono a ringhiargli contro con fare minaccioso.
Rhodey sollevò il braccio meccanico, puntando un’arma fantasma verso il cranio del primo insetto e facendo fuoco. Nonostante le luci di avviso lampeggiassero, a causa dell’energia in rapida diminuzione, l’armatura si muoveva come se avesse ancora montate addosso le massicce M2 che aveva perso pochi minuti prima, quando un’orda composta da dieci pulci aveva cercato di assaltarlo in contemporanea.
L’uomo era riuscito a farle fuori tutte, perdendo nel processo i suddetti generatori ausiliari.
Di fronte alla morte del compagno, il secondo insetto spalancò le fauci e lanciò uno strillo agghiacciante, caricando l’Avenger.
All’interno dell’armatura, Rhodey si accigliò. Se avesse avuto ancora i suoi cannoni, avrebbe potuto trasformare anche la testa di quella bestiaccia in vapore. E anche quella degli altri suoi amichetti, che si erano lanciati nello stesso istante verso di lui.
Dopotutto, Tony aveva costruito l’armatura per avere quel tipo di precisione. Sei colpi per sei pulci.
Se solo avesse avuto i suoi cannoni. Come un amputato a cui mancasse un arto, le sue braccia prudevano come se li avesse ancora addosso.
L’avido insetto, nel frattempo, aveva già percorso metà del tragitto che li separava. Muoveva la mandibola, e i microfoni dell’armatura percepirono il click-click causato dalle zanne.
Senza i cannoni, a Rhodey restava solo il combattimento individuale da vicino. Doveva lasciare che le creature zampettassero fino a lui, lo circondassero e lo afferrassero, alla ricerca di un passaggio oltre l’armatura. Anche senza l’energia, sarebbe stata comunque difficile da espugnare.
Riuscì ad uccidere la prima pulce con relativa facilità, evitando l’assalto e colpendogli la parte molle del ventre. Il pugno corazzato la trapassò da parte a parte, riversando sangue verde per tutta la carreggiata.
Poi, l’uomo afferrò il cadavere della bestia come una mazza, usandolo per colpire due pulci più piccole. Infine lo lanciò contro una di taglia media, intrappolandola nella fiancata di un auto.
Qualcosa di pesante lo attaccò di lato, facendolo cadere a terra. Ruotando leggermente il casco, si rese conto che era stato afferrato da uno degli insetti più grossi, i cui denti erano ora conficcati nelle giunture dell’armatura.
Tentò di rialzarsi, ma la bestia mantenne una posizione salda, scaricando tutto il peso sulle robuste mascelle e inchiodandolo a terra.
Gli interni del casco cominciarono a lampeggiare di rosso, segnalando un altro errore di sistema.
Rhodey cercò di fare appello ai propulsori, ma la posizione in cui si trovava gli rendeva impossibile qualsiasi movimento con le braccia, bloccate sotto il torace dell’armatura.
Aveva difficoltà a respirare. Dubitava che sarebbe sopravvissuto a lungo, se ne fossero arrivate delle altre.
E poi, sentì uno strano sibilo alle sue spalle. La pulce lasciò la presa e urlò, come se fosse stata colpita da qualcosa.
Si udirono altri due sibili, e poi un sonoro crack!. Silenzio.
Rhodey non perse tempo e, approfittando dello sbocco, utilizzò i propulsori dei piedi per allontanarsi dall’insetto.
Cozzò sulla strada e si appoggiò alla schiena, in modo tale da avere una visuale di ciò che stava accadendo.
La pulce giaceva a terra, completamente immobile, con il corpo fumante che stava iniziando a sciogliersi.
A pochi metri dal corpo vi erano i Guardiani della Galassia al completo, accompagnati da Jane Foster, le cui mani erano avvolte attorno a un blaster grande quando una piccola mitragliatrice.
Dietro di loro spiccava la Milano, parcheggiata sopra una Rolls Royce del 63.
Di fronte a quella vista, Rhodey non potè fare a meno di rilasciare un sospiro di sollievo. Si accasciò a terra per la stanchezza, sotto lo sguardo attonito dei Guardiani.
Rocket fu il primo ad avvicinarsi.
<< Sei tutto intero, uomo di latta? >> chiese l’esperimento genetico, picchiettando il casco dell’armatura.
Mantis fissò il procione con un cipiglio scontento.
 << Non essere scortese, Rocket >>
<< Cosa? Non sto facendo lo scortese! >> ribattè l’ex cacciatore di taglie, incrociando ambe le bracci davanti al petto.
<< Io sono Groot >> argomentò Groot, ricevendo un’espressione stizzita da parte del compagno.
 << Quasi, quasi ti preferivo adolescente. Non è colpa mia se il cioccolatino si è fatto sopraffare come un completo idiota >> borbottò, mentre Rhodey si rimetteva in piedi a fatica.
 << Sei fortunato che abbia finito le munizioni >> disse il colonnello, sollevando la maschera e volgendo alla squadra un’espressione sconsolata << Suppongo che dovrei ringraziarvi >>.
 << In realtà, è stata lei a sparare >> si intromise Quill, indicando la figura di Jane. << Buona mira, a proposito >>
La donna rilasciò un sonoro sbuffo, facendo roteare il blaster tra le mani.
<< Non lavori dieci anni per lo Shield senza imparare qualche trucchetto >> disse con tono orgoglioso.
Nebula alzò gli occhi al cielo, apparentemente non impressionata, prima di volgere la propria attenzione nei confronti dell’Avenger.
<< Dov’è Thor? >> chiese freddamente.
Rhodes la fissò confuso. Thor era sul pianeta? Finalmente una buona notizia!
Fece per rispondere ma, poco prima che potesse farlo, un fragore assordante attirò gli sguardi del gruppo.
Alzarono tutti gli occhi al cielo, appena in tempo per vedere le ombre di Thor e Ghidorah che s’incontravano a mezz’aria, proprio nel centro della tempesta, sprigionando fulmini a scariche elettriche.
<< Eccolo! Ciao, Thor! >> salutò Mantis, il volto adornato da un sorriso eccitato.
 << Non penso che possa sentirti >> le rispose Drax, il cui sguardo era ancora puntato in direzione di quella scena apocalittica. E non era certo l’unico.
Quill deglutì a fatica.
 << Wow. È…è… >>
<< Abbastanza grosso da divorare la nostra nave come se fosse una mentina per l’alito >> finì Rocket, il cui tono di voce era decisamente più timoroso di quanto non fosse fino a pochi secondi prima.
Peter cercò comunque di apparire il più fiducioso possibile. Dopotutto, questa era l’occasione perfetta per impressionare Gamora, e non se la sarebbe certo lasciata sfuggire.
<< Più sono grossi…più fanno rumore quando cadono >> disse con determinazione ritrovata, attivando la maschera.
Drax lo fissò stranito.
<< Grazie per aver sottolineato l’ovvio, Quill >> commentò con voce impassibile.
Per poco, l’ex Ravager non cadde in avanti.
 << Cosa? No, è una metafo… >>
<< Meno chiacchiere e più sparare >> lo interruppe freddamente Gamora, puntando le proprie armi verso un punto ben preciso della strada.
Il resto dei guardiani la seguì con lo sguardo.
Decine di pulci avevano appena preso posto di fronte a loro, le zanne scoperte e i volti adornati da ghigni grotteschi.
Rocket sorrise di romando, armando il proprio blaster.
<< Questo sarà divertente >> disse con eccitazione, preparandosi al combattimento imminente.
 
                                                                                                                                                       * * * 
 
Una delle pulci più piccole si lanciò in avanti.
Frank Castle, alias Punisher, sollevò il braccio e tirò una coltellata sulla schiena della creatura. Una seconda pugnalata discese sulla testa del mostro, trapassandole la parte molle tra le placche dell’esoscheletro.
L’uomo ruotò il polso e il cranio dell’insetto si staccò dal suo collo deforme con un suono simile a quello della legna secca. Il corpo si accasciò a terra, in preda agli spasmi.
Frank tenne la testa dell’insetto a distanza, lasciando che il liquido verde sgorgasse fuori, mentre le mascelle ancora sbattevano come una dentiera giocattolo.
Con un sospiro stanco, si infilò dentro un condominio e cominciò a correre su per le scale, non prima di essersi chiuso la porta alle spalle. Alcune pulci vi sbatterono contro, ma la parete metallica sembrò reggere.
Questo gli diede un po’ di tempo per riflettere. Si era fatto strada fino alla periferia di Hell’s Kitchen, e ormai era vicino al centro città.
Mentre saliva, attraverso una delle finestre presenti nell’edificio, notò pigramente che alcuni poliziotti stavano facendo fuori le pulci di taglia più piccola, ma era come se stessero usando dei sassolini per deviare il flusso di un fiume in piena. Sparavano senza alcuna strategia. Sembravano più bambini che giocavano a fare i soldati, ma non per questo avrebbe criticato il loro coraggio.
Una volta sul tetto, guardò di sotto. Cinque pulci si stavano arrampicando sul muro del palazzo.
Frank scaricò quasi un intero caricatore sugli artropodi, nel tentativo di farli desistere.
Fu così che, troppo impegnato ad eliminare gli insetti che stavano cercando di raggiungerlo, non si accorse dell’enorme bestia che lo avventò alle spalle.
Perse l’appoggio e cadde dal tetto, precipitando su una recinzione di ferro. Le punte acuminate gli si conficcarono nella spalla.
Frank urlò a squarciagola con venti centimetri di ferro che gli trapassava parte del braccio, e il resto del corpo che penzolava giù dalla rete metallica. Il suo fucile, tuttavia, non cessò di sparare, continuando a bersagliare gli insetti che aveva a portata di tiro.
Le pulci concentrarono tutta la loro attenzione su di lui, raggiungendolo e tentando di afferrargli i piedi, le gambe e il bacino.
Una di loro riuscì ad addentargli la spalla ferita, piegando la sbarra di metallo tra le mascelle. Ironicamente, fu proprio il morso della bestia a liberarlo.
L’uomo ringhiò per la rabbia, estraendo una pistola dalla tasca dei pantaloni e facendo fuoco direttamente dentro la bocca dell’insetto. Il corpo dell’animale fu brevemente mosso da spasmi, prima di cadere a terra e trascinare il giustiziere con sé.
Frank atterrò su un cassonetto e rotolò sulla strada, gemendo per il dolore.
Al contempo, tre pulci di tagli media cominciarono a zampettare verso di lui come cani famelici.
L’uomo fece fuco con il fucile, ma dalla punta dell’arma non partì nessun proiettile. E la pistola non sarebbe bastata. Doveva ricaricare, ma considerando quanto erano vicini quegli affari…non avrebbe mai potuto fare in tempo.
Fortunatamente, non ne ebbe neanche bisogno.
Una sfocatura rossa si avventò contro una delle pulci, colpendo l’insetto con un poderoso calcio rotante che lo spedì contro un bidone della spazzatura.
Il secondo artropode si voltò per la sorpresa, ma troppo lentamente. Con un rapido balzo, la misteriosa figura infilò un’asta metallica nel cervello della bestia, spezzandogli il tronco centrale e uccidendola all’istante.
Un’altra pulce si lanciò verso il nuovo avversario, con le fauci spalancate.
Come se fosse manovrato da una forza invisibile, questi si piegò a terra ed evitò l’attacco per un pelo. Poi, lanciò uno strano bastone dritto in uno degli occhi presenti sul cranio dell’insetto.
L’animale ululò per il dolore, agitandosi avanti e indietro per liberarsi del corpo estraneo.
Con movimenti fulminei, la sfocatura rossa estrasse l’asta di metallo dal cadavere della pulce uccisa poco meno di un minuto prima, compì alcune capriole verso l’altra e le riservò lo stesso destino.
Frank osservò l’intera scena con pacato interesse, mentre la figura di Matt Murdock, conosciuto al grande pubblico come Daredevil, si palesava di fronte a lui sotto i lampi della tempesta.
<< Testa cromata >> salutò il Punisher, con un gesto beffardo della mano insanguinata.
<< Frank >> fece il Diavolo di Hell’s Kitchen, dandogli un rapido cenno del capo.
Aiutò l’uomo a rialzarsi, mentre questi osservava i cadaveri degli insetti sparsi nella zona circostante.
<< Ti sembrerà strano, ma fare il disinfestatore era stata la mia prima scelta di carriera >> disse con cupo divertimento.
Matt drizzò di colpo la testa, facendo appello ai suoi sensi più sviluppati.
Rimase in silenzio per quasi mezzo minuto, prima di volgere la propria attenzione verso Times Square.
 << Questi sono solo pesci piccoli, Frank. L’origine di tutto questo male…si trova là >> disse indicando la suddetta posizione.
Il Punisher inarcò un sopracciglio, passando brevemente lo sguardo dal vigilante al Centro Città.
<< Gesù, a volte mi dai i brividi >> borbottò a bassa voce.
Fatto questo, scrocchiò il collo e ricaricò le armi nella frazione di pochi secondi.
 << Bhe, allora non c’è tempo da perdere. Fammi strada, rosso >> ordinò con tono burbero, un’abitudine che si era portato dietro dai suoi giorni come militare.
Matt si limitò ad annuire, apparentemente inalterato dai manierismi dell’uomo. Cominciò a correre in direzione di Times Square, seguito rapidamente da Frank.
Davanti a loro, fulmini e saette balenarono tra le nubi, proiettando le loro ombre sulla strada.
 
                                                                                                                                                      * * * 
 
Ghidorah e Thor avevano spostato il loro scontro tra i cieli, oltre la coltre di nubi che aleggiava minacciosa sopra tutta New York.
Mjolnir roteava attorno a loro come un satellite, colpendo occasionalmente il drago, mentre la bestia e il tonante si scambiavano fendenti e attacchi energetici.
Ad un certo punto, Ghidorah compì una brusca virata verso l’alto, fondendosi con le ombre della tempesta.
Sembrava una sagoma nera tra i lampi, un’entità immateriale e malevola, fuoriuscita direttamente dall’oscurità del mondo.
<< Non puoi fermarci >> ringhiò la sua voce bassa e tonante, come il ruggito del vento stesso. << Ridurremo la Terra in polvere! E la polvere diventerà atomi. E gli atomi diventeranno energia! >>
Thor si voltò di scatto, percependo uno spostamento d’aria improvviso alle sue spalle. Fece roteare Stormbreaker, deviando appena in tempo un fascio di gravitoni.
Le nuvole si aprirono ancora una volta, rivelando le scaglie dorate della serpe.
 << Noi ce ne ciberemo, fino all’ultima particella. E una volta sazi, raccoglieremo la Gemma dell’Infinito dai resti di questo sporco pianeta >> continuò la bestia, sorridendo malignamente. << Sarà la nostra batteria personale…fino al prossimo pasto. Ci sfamerà per millenni! >>
Detto questo, si lanciò in avanti con un ruggito, e Thor fece lo stesso, entrambi i martelli issati in alto e carichi di fulmini.
Tutte e tre le teste di Ghidorah spararono un raggio di pura energia, e quando gli attacchi si incontrarono a mezz’aria, proprio nell’occhio del ciclone, produssero un’onda d’urto abbastanza forte da creare una bolla d’aria che circondò i due avversari come una gabbia, investendo nubi, pioggia e lampi come se non fossero altro che semplici fastidi.
L’oscurità della tempesta venne illuminato da un bagliore, e anche la città sottostante lasciò brevemente posto alla luce scaturita dall’esplosione. Sembrava l’ira di Dio discesa sulla Terra.
Thor evitò con superba maestria le fauci della creatura, usando sia Stormbreaker che Mjolnir per caricare un unico e possente colpo.
L’attacco, quale che fosse la sua mistica natura, fu abbastanza forte da scaraventare Ghidora verso terra, con la stessa facilità con cui è possibile far cadere un castello di carte. A quel punto, il tonante non esitò, e con tutta la forza che aveva in corpo si scagliò contro la dorata bestia, affondando assieme a lei nelle gelide e profonde acque americane della baia newyorkese.
Thor continuò a menare colpi, sebbene provato da quello scontro. Avrebbe potuto ritirarsi, avrebbe DOVUTO ritirarsi... ma era pur sempre un Dio Aesir, e la sete della battaglia gli bruciava la gola. Il sangue ribolliva, mentre Stormbraker e Mjolnir avevano fame.
D'altro canto, nemmeno Ghidorah era da meno, e la sua mente aveva già partorito una strategia per abbattere la divinità. Doveva solo trovare la giusta occasione.
Il corpo del drago si schiantò contro il fondale marino, sollevando detriti, fango e metano. La testa di destra scattò in avanti, gli occhi rossi illuminati da una rabbia primordiale e famelica.
L’asgardiano evitò l’attacco, ma così facendo si rese vulnerabile a un colpo dal basso per opera di quella centrale, la quale afferrò il mantello dell’Aeisir, lo fece roteare e poi schiantare contro la catena di una nave ancorata lì vicino.
Thor perse la presa che aveva sulle armi, ruzzolando sul fondale e portandosi dietro la corda in ferro.
Ghidorah sorrise compiaciuto e caricò in avanti. E sebbene non fosse abituato a combattere sott’acqua, i suoi movimenti non furono certo meno rapidi e aggraziati.
Di fronte a lui, l’asgardiano era riuscito a rimettersi in piedi. Ora stava di fronte ad un avversario inferocito, privo di armi…completamente indifeso. O così pensava la serpe dorata.
Thor trattenne il respiro, tese i muscoli e afferrò l’ancora con ambe le mani. Poi, la fece roteare con un unico e rapido movimento, proprio mentre l’idra si apprestava a finirlo.
L’ancora uncinata si conficco nelle mascelle della testa di sinistra, interferendo con il centro di gravità della bestia e facendola ruzzolare sul fondale, sollevando un’altra nuvola di fango che oscurò la visuale di entrambi i combattenti.
Thor tenne salda la presa sulla catena, tirando il drago come se fosse un pesce preso all’amo. Al contempo, richiamò a se Stormbreaker e Mjolnir, mentre Ghidorah si agitava come se impazzito, nel tentativo di liberarsi.
Il tonante era finalmente in vantaggio…ma la battaglia era tutt’altro che finita.
 
                                                                                                                                                   * * * 
 
All’interno della base dello Shield, Fury e il resto del personale raccolto assistevano allo scontro in diretta con espressioni che andavano allo sgomento più puro al classico stoicismo che caratterizzava molti degli agenti appartenenti all’organizzazione.
Ma internamente, pure questi individui erano rimasti sconvolti dalla devastazione perpetrata da Ghidorah in un lasso di tempo così breve. E mentre il drago e Thor si scambiavano colpi, illuminando la baia di New York, alcuni di loro cedettero di essere stati catapultati in una ballata norrena.
<< Signore, abbiamo una chiamata in diretta dal Colonnello Ross! >> disse Maria, richiamando l’attenzione di Fury.
Questi rilasciò un sospiro scontento.
In cuor suo aveva sperato fino all’ultimo che quell’uomo sarebbe stato tenuto fuori dalla faccenda, specialmente dopo tutti i guai che aveva causato durante la Civil War.
Nonostante il suo ruolo attivo nella divisione degli Avengers, l’ex Segretario di Stato non era stato ritenuto responsabile di tutti i danni causati dall’evento, specialmente a causa dei suo status di eroe di guerra e dei collegamenti che aveva instaurato con molti dei membri di spicco presenti nel Governo.
Fury fece cenno a Maria di inoltrare la chiamata.
Pochi secondi dopo, sulla schermata della base comparve il volto di un uomo apparentemente sulla sessantina, dai corti capelli bianchi tirati all’indietro, baffi prominenti, e occhi blu elettrico.
<< Colonnello Ross >> salutò Fury, non nascondendo il fastidio che stava provando in quel momento.
Se il militare se ne accorse, di certo non lo diede a vedere.
<< Direttore Fury, dovete richiamare subito gli Avengers e ordinare loro di ritirarsi a distanza di sicurezza >>  disse con voce autoritaria.
Il Direttore dello Shield inarcò un sopracciglio.
<< Generale, non capisco >>
<< Abbiamo sviluppato…il prototipo per una nuova arma. Un Oxygen Destroyer >> continuò l’uomo, sorprendendo sia Fury che Maria. << Elimina l’ossigeno dall’area circostante, uccidendo ogni forma di vita nel raggio di tre chilometri. Con un po’ di fortuna annienterà quel mostro…e quest’incubo finalmente finirà >>
Internamente, Fury si ritrovò ad imprecare.
Conosceva bene l’arma descritta dal Colonnello, un ordigno ideato durante il periodo pre-Thanos come deterrente contro i superumani troppo potenti da poter essere controllati in maniera efficace.
Nonostante il suo potenziale bellico, Il progetto era stato accantonato, sotto la benedizione della Convenzione di Ginevra, a sfavore delle armi chimiche. Questo, almeno, fino a quando un certo alieno dalla pelle viola non aveva scelto di eliminare metà della popolazione terrestre.
Ross aveva utilizzato l’evento per convincere i piani alti a rivalutare la costruzione dell’arma che, a quanto pare, era già pronta all’uso.
<< Con tutto il rispetto, signore, Thor si trova proprio nel centro d’impatto. Può ancora ribaltare la situazione! >> ringhiò Fury, sbattendo ambe le mani sulla superficie del tavolo tattico.
In tutta risposta, Ross si limitò a sospirare.
 << Mi sta chiedendo di barattare la vita di un alieno per quella di sette miliardi di persone. Desolato, Direttore, ma ha avuto la sua occasione. Il missile è già in arrivo >> rivelò con voce stanca. << Che Dio abbia misericordia di noi... >>
 
                                                                                                                                                 * * *
 
Sulla cima di un grattacielo c’erano ottanta persone stipate come sardine. Nessuno parlava, sebbene una donna muovesse in silenzio le labbra mentre rivolgeva una preghiera a quale che fosse l’entità cosmica della fede New Age, sua attuale ispiratrice. Un uomo affianco a lei si premeva sulla labbra la croce che gli aveva regalato la madre solo due anni prima.
E poi…lo sentirono arrivare : un mugolio crescente da un altro mondo che giungeva dal lato ovest della città, un mmmm che crebbe a MMMMM nello spazio di pochi secondi.
Sugli schermi di tutto il mondo, i vari spettatori assistettero alla scena in contemporanea.
I rifugiati del palazzo videro il missile sbucare da dietro quelli che erano i resti dell’Empire Statet Building. Era a poco più di 200 metri da terra, quasi a baciare la propria ombra sfuggente tra i grattacieli sotto di lui.
L’Oxygen Destoryer, equipaggiato con una testata a frammentazione che lo avrebbe fatto esplodere a contatto, era immobile a mezz’aria approssimativamente nel punto in cui Ghidorah e Thor stavano combattendo sotto le onde.
Nelle immagini successive, gli schermi si riempirono di un bianco così accecante che gli spettatori dovettero coprirsi gli occhi per evitare di rimanere ustionati. Poi, mentre il bianco si affievoliva, videro i frammenti del missile –una piccola quantità di bruscoli neri nel bagliore decrescente – e un’enorme massa d’acqua si sollevò a mille metri dalla superficie dell’oceano. Il proiettile aveva centrato perfettamente il bersaglio.
Dopodichè, la gente di New York e del mondo intero vide incendiarsi l’area circostante, per un tratto di circa tre chilometri, riducendo il mare ad una polveriera.
Guardarono la massa d’acqua gonfiarsi, e poi ricadere sulla baia come pioggia.
Un silenzio inesorabile sembrò calare su tutta la metropoli.
La calma piatta tornò a regnare sull’oceano, mentre pesci morti e uccelli affioravano sulla superficie come galleggianti partoriti direttamente dalle viscere del fondale.
I vari abitanti sparsi sulle cime dei grattacieli rimasero fermi e immobili, gli occhi puntati in direzione di quella zona morta. Erano…erano salvi? La bestia era stata ucciso? Quell’incubo era finalmente finito?
La risposta a tali quesiti non tardò a farsi sentire.
Il corpo di Thor fuoriuscì dalle acque come un proiettile fumante, atterrando pesantemente a terra e percorrendo un tratto di quasi mezzo chilometro, sollevando pezzi di manto stradale e tutti quei veicoli che cercarono inutilmente di frenare la sua avanzata.
Il suo corpo pareva pesantemente ustionato, il mantello era in fiamma, e l’uomo stesso stava ansimando pesantemente. Di Stormbreaker e Mjolnir non vi era l’ombra.
Pochi secondi dopo, l’immensa figura di Ghidorah si sollevò dalla baia con un unico e rapido battito d’ali, atterrando di fronte al corpo esanime dell’asgardiano.
La pelle del drago era piena di tagli e bruciature, ma queste avevano già cominciato a rigenerarsi.
Di fronte a quell’orribile vista, molti degli spettatori che avevano assistito alla scena caddero in ginocchio, mentre altri si misero a gridare o a piangere.
Al contempo, la testa centrale di Ghidorah si abbassò verso Thor, scrutandolo da capo a piedi.
<< Ancora vivo. Mi impressioni, asgardiano. E parecchio, il tuo valore mi ha toccato il cuore. Oh sì, c'è ancora una piccola parte di me che conosce la pietà. Vorrei concludere il tuo dolore... con qualcosa di speciale che ho risparmiato solo per questa occasione >> disse la bestia, sorridendo malignamente.
<< Sai che quando il cuore si ferma, la mente di una creatura vivente continua a funzionare per altri sette minuti? >> chiese con tono vagamente innocente.
Nello stesso istante, la lunga coda del mostro schioccò una seconda volta. Le punte uncinate che aveva come punta si fusero l’uno all’altra, creando una sorta di arpione affilato.
<< Ho intenzione di cavartelo dal petto…e divorarlo davanti a te >> continuò il titano, facendo soppesare la nuova arma sul corpo dell’asgardiano.
Questi tossì sangue, pur mantenendo un’espressione fredda e impassibile, sfidando il mostro a fare del suo peggio.
Ghidorah fece schioccare la lingua, apparentemente irritato da quella palese dimostrazione di spavalderia.
<< Ma non lo farò subito >> disse la testa centrale, ricevendo sguardi delusi dalle altre due.
Poi, girò la schiena e allargò le ali, sollevando una nuvola di polvere.
<< Spero che apprezzerai il gesto, figlio di Odino. Tutto ciò che accadrà a questo pianeta, d’ora in avanti…è tua responsabilità. Dal cielo pioverà fuoco, gli oceani bolliranno, le strade si tingeranno di rosso con il sangue di miliardi. E solo allora, dopo che la tua ultima pietosa speranza sarà estinta, porrò fine alla tua vita >> sibilò crudelmente, lanciando una rapida occhiata al tonante.
Questi tento di rialzarsi…ma si ritrovò incapace di farlo. Qualunque cosa l’avesse colpito, aveva fatto molti più danni di quanto avesse inizialmente pensato. Era da molto tempo che non si sentiva così stanco. Come se tutte le sue energie fossero state prosciugate.
Le tre teste se ne accorsero e scoppiarono in una sonora risata.
<< Lo so che ti dispiace. Per adesso, almeno. In quest'istante fugace e fuggente, nel lungo e tedioso declivio dell'eternità >> disse quella centrale, con tono beffardo. << Ma non preoccuparti…presto sarà tutto finito >>
Thor strinse i denti, mordendosi la lingua. No…non sarebbe finita così. Lui era il dio del tuono! Uccisore di Thanos, erede al trono di Asgard…Avenger. E non avrebbe lasciato che quella serpe malevola distruggesse l’ultima casa che gli era rimasta.
Facendo appello a tutta la forza che gli era rimasta, si alzò lentamente da terra, mentre polvere e sangue si riversarono sulla strada.
Gli occhi dell’uomo parevano calmi e risoluti, ma in realtà bruciavano di rabbia e sete di battaglia. 
Ghidorah ringhiò stizzito, riconoscendo in loro quello stesso sguardo che Odino gli aveva rivolto molti eoni orsono, prima che mutilasse il suo corpo, lasciandolo a vagare morente nell’immensità della spazio.
Inutile dire che un simile ricordo non fece altro che promulgare la sua furia crescente. Avrebbe messo quel misero verme al suo posto!
Ma prima che potesse anche solo compiere un passo in direzione dell’asgardiano…accadde qualcosa di decisamente inaspettato.
La figura corazzata di James Rhodes cadde pesantemente affianco al dio del tuono, le armi ancora funzionanti puntate verso Ghidorah. Non che fossero molte. Le pulci avevano distrutti circa il 60% dei suoi dispositivi d’attacco, ora limitati ai propulsori manuali e ai lancia-missili.
Poco dopo, la coppia venne raggiunta dai Guardiani della Galassia, Jane compresa. Sia lei che Nebula si misero subito di fronte a Thor con fare protettivo, i volti adornati da espressioni fredde e determinate.
Sopraggiunsero anche Quill, Gamora, Rocket, Groot, Mantis e Drax, armati di blaster, coltelli e mitragliette a lungo raggio, tutti giunti su quella landa desolata per proteggere il loro compagno di squadra. E non furono certo gli unici!
Sam cadde dal cielo come un’aquila, seguito rapidamente dalla figura di Bucky. Entrambi erano pesantemente feriti, e avevano perso copiose quantità di sangue. Ciononostante, il loro spirito combattivo non era mai stato più alto.
Uno spettatore esterno avrebbe avuto quasi l’impressione di essere tornato indietro nel tempo, durante la battaglia finale contro Thanos. Una situazione che, a pensarci bene, non era poi così dissimile da questa.
Ma questa volta, il loro nemico non aveva generali dalla sua parte, né sottoposti capaci di pensiero indipendente. Era un essere abbastanza potente da distruggere la Terra con le sue semplici forze, senza l’uso di alcuna gemma, e aveva sconfitto ogni avversario che aveva tentato di affrontarlo.
<< Ah, che piacevole sorpresa >> commentò la suddetta bestia, con un sorriso divertito. << Più spettatori giunti per assistere al mio trionfo? >>
Il resto dei Guardiani lanciò una rapida occhiata in direzione di Thor, soppesando gli sguardi sulle sue ferite. Se pure lui, che era il più potente tra tutti loro, era stato ridotto in un simile stato…allora avevano ben poche speranze di sopravvivere ad uno scontro con quella creatura.
Una consapevolezza a cui erano giunti anche gli Avengers che avevano scelto di assisterli.
E in quel momento, quando ogni speranza sembrava ormai perduta, schiacciata sotto le zampe del mostro tricefalo…
( Track 13 : https://www.youtube.com/watch?v=F_mhWxOjxp4 )
<< Rhodes, mi ricevi? >> disse la voce di Fury nell’elmetto dell’uomo, facendolo sussultare.
<< Sì, io…sono qui >> rispose con tono incerto, senza mai staccare gli occhi dalla gigantesca figura di Ghidorah. Dio, quanto era grande !
<< Tenete duro, ragazzi. Ho chiamato la cavalleria >> continuò il Direttore dello Shield, sorprendendo l’Avenger.
Questi lanciò una rapida occhiata in direzione di Sam e Bucky, i quali avevano ascoltato la conversazione attraverso il canale condiviso.
<< Quale cavalleria? >> domandò il primo, visibilmente perplesso.
La risposta non tardò ad arrivare.
La testa sinistra di Ghidorah si drizzò di colpo, volgendo la propria attenzione nei confronti dell’orizzonte.
Strinse gli occhi e tese l’apparato uditivo che aveva poco sotto le corna, percependo uno strano brusio proveniente da quella direzione.
Schioccò le mascelle un paio di volte, attirando gli sguardi perplessi dei suoi fratelli. La testa centrale, in particolare, aveva il volto chiuso in un’espressione fredda e contemplativa.
Poi, numerosi oggetti cominciarono a fuoriuscire dalla coltre di nubi che circondava New York. Piccoli all’apparenza, poiché molto distanti, ma in realtà grandi ciascuno come un Queen-Jet.
 << Salve, Colonnello >> salutò una voce nell’elmetto di Rhodey. Una voce che l’Avenger avrebbe potuto riconoscere tra mille.
 << T’Challa ? >> domandò sorpreso, puntando gli occhi in direzione dei velivoli misteriosi.
All’interno di uno di essi, proprio al centro di quello sciame meccanico, vi era un uomo di colore dalla postura alta e fiera, quel tipo di portamento che si addiceva al suo staus di reggente.
Indossava una tuta aderente, nera come la pece, mentre tra le mani teneva un elmetto che assomigliava vagamente alla testa di un felino.
Costui era il re della nazione più avanzata dell’intero pianeta : T’Challa, alias Pantera Nera…sovrano di Wakanda.
 << Mi scuso per il ritardo, ma allestire una flotta di queste dimensioni non è esattamente una passeggiata >> disse l’uomo, attraverso i dispositivi di comunicazione della navetta.
Rhodes sorrise, mentre alle spalle del gruppo sopraggiungeva un altro brusio.
Ghidorah si voltò, seguito rapidamente dal gruppo di eroi che aveva di fronte.
Dall’orizzonte opposto alla flotta wakandiana, con una velocità di circa 2 mach, stava sopraggiungendo uno squadrone militare costituito da almeno un centinaio di aeroplani e jet.
<< Insetti >> ringhiò la bestia, spalancando le fauci e preparandosi a bersagliare questa nuova minaccia.
In quel preciso istante, un proiettile di pura energia investì la testa del centrale del drago, facendolo incespicare in avanti.
Quella di destra lanciò un ruggito infuriato, girandosi verso il misterioso attaccante.
La figura di Carol Danvers, alias Capitan Marvel, discese dal cielo e atterrò sulla cima di un grattacielo, affiancata da quella di Spiderman.
<< Pronto per il secondo Round? >> disse la donna con aria di sfida, mentre le sue mani cominciarono a illuminarsi di un intenso bagliore dorato.
Ghidorah non ebbe la possibilità di controbattere.
Un’altra figura atterrò su un grattacielo poco distante. Alta, muscolosa, verde…e decisamente arrabbiata.
Hulk lanciò un urlo furente, che riecheggiò per tutta la lunghezza di quella metropoli ormai ridotta ad un cumulo di macerie.
E proprio tra quei detriti, ai margini del campo di battaglia, si fecero strada altri quattro individui.
Jessica Jones e Luke Cage camminarono fino al gruppo di supereroi, affiancati dalle figure di Daredevil e Punsiher.
Tutti loro non persero tempo a chiedere cosa stesse succedendo o cosa fosse l’enorme drago che avevano di fronte. Si limitarono a porgere cenni rispettosi in direzione degli eroi caduti, cosa che questi restituirono di buon grado. Avrebbero accettato tutto l’aiuto possibile, anche dai cosiddetti “ eroi di strada”, come la gente era solita chiamarli. 
Ghidorah sbuffò disgustato, mentre la testa di sinistra lanciava una sorta di lamento misto al sibilo di un serpente.
Meno di un minuto dopo, Wanda Maximoff atterrò a pochi metri dalla serpe, la figura avvolta in un intenso bagliore rosso. Al contempo, le pulci che ancora imperversavano per la città cominciarono a circondare la zona, creando una sorta di arena con i propri corpi.
Anche se gli Avengers erano riusciti a eliminarne molte…il loro numero era comunque abbastanza elevato da costituire una seria minaccia.
Quake arrivò poco dopo, visibilmente stremata e malconcia, superando il cerchio di insetti e ruzzolando affianco al gruppo di supereroi. Evidentemente, lo scontro con Wanda l’aveva ridotta piuttosto male, ma il semplice fatto che fosse sopravvissuta ad una battaglia con la Scarlett Witch era motivo di orgoglio.
La seguì Stephen Strange, comparendo da un portale assieme a Wong. Sparite erano le bruciature sulle vesti, mentre il corpo dell’uomo ora pareva completamente rimesso, quasi come se non avesse rischiato la morte poco meno di un’ora prima.
“ Magia” pensò ironicamente Rhodes, sapendo bene che Tony avrebbe approfittato di quel momento per dire una delle sue inimitabili battute di spirito.
Altri venti portali si materializzarono alle spalle dello stregone, mentre i migliori combattenti che il mondo della Arti Mistiche avesse da offrire si univano agli Eroi Più Potenti Della Terra per la prima volta dalla grande battaglia contro il Titano Pazzo.
<< Non ho la minima idea di cosa diavolo stia succedendo…ma quelli sono i cattivi, non è vero? >> chiese Jessica, indicando l’esercito di Ghidorah e preparandosi al combattimento imminente.
<< Deduzione impeccabile >> borbottò Matt, facendo la stessa cosa.
Thor prese un respiro profondo, alzando ambe le mani in aria e richiamando le proprie armi.
La reazione fu quasi istantanea : Mjolnir e Stormbreaker schizzarono fuori dall’oceano in un tripudio di fulmini, superando Ghidorah, Wanda, le pulci e conficcandosi nei palmi aperti del tonante.
E mentre l’enorme drago allargava le sue immense ali, pronto ad attaccare quei fastidiosi avversari per quella che pensava sarebbe stata l’ultima volta, il Dio del Tuono lanciò un unico e semplice grido di battaglia.
<< Avengers…uniti! >>
 
 

*Si asciuga il sudore dalla fronte* Uff, non avete idea di quanto sia stato difficile scrivere questo capitolo, specialmente la parte finale. Ficcare tutti quei personaggi all’interno di un’unica scena, scrivere una presentazione per ciascuno di essi senza essere ripetitivo…una faticaccia, ve lo assicuro. Spero davvero che il risultato finale della scena sia stato degno di tutto il lavoro e l’impegno che ci ho messo per realizzarla.
L'Oxygen Destroyer è un'arma molto famosa nell'universo di Godzilla, che non solo uccise il Godzilla originale del 1954, ma per poco non ne provocò la morte nel nuovo film Godzilla : King Of The Monsters. 

Nel caso ve lo siate dimenticati, Daredevil è già stato introdotto nella storia come Matt Murdock, l’avvocato presente nell’intervista televisiva del primo capitolo.
Per chi se lo stesse chiedendo…no, non mi sono dimenticato di Scott e Hope, al contrario. Loro avranno una parte fondamentale nel prossimo capitolo! E credetemi, il prossimo capitolo sarà un vero e proprio Showdown stile Endgame. Avengers, Guardiani, Esercito U.S.A, Wakanda e Defenders vs Ghidorah, Wanda e il suo esercito di pulci assassine poco raccomandabili.
Credetemi, accadranno cose GROSSE. E vi avverto in anticipo : preparatevi psicologicamente!
 
Omake :
 
Un mio amico mi ha chiesto se Ghidorah ha un motto personale. Bhe…
 
Ichi: Preparatevi a passare dei guai
Ni: Guai molto grossi
Ichi: Saranno guai vecchi quanto l'Universo
Ni: Siamo qua per compiere il nostro destino
Kevin: E ci sono anch'io!
Ichi: Estingueremo i mali della pace e dell'amore
Ni: Ed estenderemo il nostro potere sino alle stelle
ICHI
NI
KEVIIIIN!
Ichi: Ovunque ci sia pace nell'Universo
Ni: Ghidorah arriverà
*Tutti e tre *: Pronto a distruggerla!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Eccomi qui, con un nuovissimo aggiornamento!
Questo è forse il capitolo che più mi sono divertito a scrivere. Realizzare uno scontro del genere, con così tanti personaggi, è stata un’esperienza davvero unica, e spero con tutto il cuore che il risultato saprà soddisfarvi.
La battaglia sarà divisa in due parti : in questo capitolo assisteremo al combattimento tra gli Avengers, Ghidorah e il suo esercito di pulci, mentre nel prossimo ( che si svolgerà in contemporanea ) ci concentreremo su Wanda e l’avversario scelto per contrastarla.
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo per lasciare una recensione!
 


Capitolo 13
 

( Track 14 : https://www.youtube.com/watch?v=jlJCZnjlFS4 )
Una ad una, le quattro file della flotta wakandiana spararono i propri attacchi di pura energia con uno stacco di un secondo l’una rispetto all’altra, tuffandosi poi in picchiata per riassemblarsi col plotone di caccia, in attesa di constatare gli effetti della manovra.
I colpi si conficcarono nello sterno di Ghidorah, esattamente nel punto in cui Thor era riuscito a ferirlo maggiormente.
Il titano incassò gli attacchi, emettendo un lamento sommesso.
Si fermò sul posto e la testa di sinistra si curvò per analizzare la zona colpita. Piccole gocce di liquido rosso tracimarono dai contorni delle ferite, ricadendo a terra.
Poco più in là, a capo dello squadrone di caccia, il comandante del plotone cominciò a guidare i suoi cadetti sul fronte del mostro.
La “punta di freccia”, composta da una formazione di dieci aviatori, leader compreso, volò sul fianco sinistro della bestia, mantenendosi a una debita distanza di sicurezza.
Si allontanarono di circa duecento metri, quanto bastava per accumulare un sufficiente quantitativo di tempo per preparare l’ingaggio.
A quel punto, il capo-squadrone fece virare lo Sky-Arrow in modo che i caccia si ponessero dinanzi al prospetto del titano, in linea d’aria con il bersaglio.
Il generale dei wakandiani dette ordine ai suoi di ritirarsi, liberando così il loro campo visivo.
I caccia volarono al secondo round contro l’idra, che tentò di sbarazzarsi subito di loro con un fascio di gravitoni.
Gli aerei lo evitarono, disperdendosi nell’aria, facendo sì che l’attacco finisse la sua corsa contro un edificio inerme.
Il piccolo contingente sfruttò l’attimo per coordinare una rapida manovra alla testa centrale del mostro, colpendo il muso con una raffica di proiettili.
Ghidorah ruggì per il fastidio, mentre sotto di lui imperversava la battaglia via terra.
Il resto dei Guardiani e degli Avengers, con il sostegno degli adepti di Strange e dei Defenders, stavano combattendo incessantemente contro l’orda di fameliche pulci.
Poco più in là, ai confini dell’arena improvvisata, lo stesso Strange era impegnato in un devastante duello contro Wanda, scontro che aveva già raso al suolo uno dei pochi quartieri scampati alla devastazione perpetrata da Ghidorah.
Sulla cima di un grattacielo, Carol, Thor, Quake e Hulk avevano gli occhi puntati in direzione del drago, ancora impegnato a respingere i tentativi di attacco da parte delle forze U.S.A e wakandiane.
<< Voi avete notato niente, durante le vostre battaglie? Qualcosa che possiamo usare contro di lui? Un punto debole magari? >> chiese Carol, scrutando con attenzione i movimenti dell’idra.
A Quake le ci volle poco per pensarci e rispondere.
<< Beh, le sue teste sembrano la nostra migliore opzione >> disse con tono incerto.
Guardarono per qualche secondo lo squadrone di navette e aerei che svolazzavano intorno alla bestia.
<< È l’unico punto che sembra fargli del male se viene colpito, specialmente gli occhi e la bocca >> continuò la donna, ricevendo un cenno del capo ad opera di Thor.
<< Io e il Capitano potremo attaccarlo alle spalle, se riuscissimo ad evitare che si protegga… >>
<< Sono qui per questo, no? >> disse ironicamente Daisy, stringendosi nelle spalle. << Ah, in più vi suggerisco di prendere di mira anche il collo: non ha alcuna corazza in quel punto. Chissà, magari riuscite a inventarvi qualcosa >>
Carol sembrò prendere in considerazione le parole della supereroina.
<< Potremmo provare a lanciargli i nostri attacchi più forti in contemporanea >> suggerì la donna.
<< Sarebbe molto rischioso >> osservò Thor. << Dovremmo approssimarci a lui per compiere una simile mossa, o rischieremmo di colpire anche i nostri alleati >>
Dopo di questo, i quattro rimasero fermi a fissarsi in silenzio. Un silenzio illusorio, rotto dai rumori che si avvertivano in giro, tutt’altro che quieti.
Quake alzò un pugno. << Si direbbe che abbiamo un piano, no? Portiamolo a termine allora! Io e Hulk faremo del nostro meglio per tenerlo occupato >>
Affianco a lei, il golia verde grugnì in accordo.
<< Sei sicura che quel mostro si concentrerà su di voi? >> chiese ancora Carol, bloccata dal dubbio.
<< Ho lottato con lui abbastanza da capire che è un tipetto che serba i rancori, e io ho un conto in sospeso con lui >> rispose Daisy. << Non vi attaccherà, a patto che ve la giochiate bene. Tenetevi a distanza fino ad allora, e appena abbasserà la guardia…bhe, trasformatelo in beacon!>>
La bionda e Thor si consultarono a vicenda.
<< Te la senti di provare? >> domandò incerta, notando quanto il corpo dell’asgardiano fosse stato martoriato nello scontro precedente.
Il tonante annuì risolutamente.
<< Mi sento molto meglio adesso. Sono pronto a sostenere lo sforzo >>
<< Andiamo, allora. Quel figlio di puttana ha vissuto anche troppo per i miei gusti >> ringhiò l’altra, puntando in direzione dell’idra.
Nel mentre, l’enorme bestia aveva tirato indietro i lungi colli, piegando le zampe e drizzando la coda biforcuta come un serpente in posizione di difesa.
Quando uno degli aerei si avvicinò troppo, la testa di sinistra scattò in avanti con un movimento fulmineo.
Il pilota del mezzo sembrava spacciato. Tuttavia, poco prima che le fauci del mostro potessero chiudersi sul velivolo, un muro di roccia si frappose tra la flotta e Ghidorah.
Era alto quanto il titano e spesso qualcosa come quindici metri. La testa, che invece era destinato allo squadrone, penetrò negli spessi strati d’argilla, dove si arrestò, rimanendovi incastrata.
Mentre i piloti e gli spettatori cercavano di comprendere le ragioni del perché un immenso muro si fosse materializzato nella stessa linea di tiro del loro assalitore, il drago tentava inutilmente di liberarsi dalla stretta argillosa che si stava avviluppando sempre di più come una morsa viva, rimestandosi intorno al cranio e costringendolo in una trappola da cui era ormai impossibile liberarsi.
Nello sforzo di divincolarsi, il suo piede inciampò nel fiume Hudson e la bestia cadde sulle ginocchia, ritrovandosi ancora una volta immerso in quell’acqua sempre più lercia.
La testa centrale si mosse di lato, trovandosi di fronte ad una scena che lo sorprese non poco.
I vari discepoli di Strange si trovavano tutti raggruppati in unico punto, le mani sollevate a mezz’aria e illuminate da un debole bagliore dorato.
All’ora l’idra capì…erano loro i responsabili di quella diavoleria!
Spalancò le fauci, pronto a riversare su di loro scariche di gravitoni. Tuttavia, sentì qualcosa muoversi all’interno del muro, come un rigonfiamento che poco per volta stava espellendo la testa di sinistra dalla trappola di rocce, e riuscì solo a pensare che da un momento all’altro nessuno gli avrebbe più impedito di schiacciare quelle misere creature. Quello che invece avvenne, fu che dai blocchi d’argilla emerse un grande pugno fatto di roccia, rosso scarlatto, che lo picchiò in pieno petto, scagliandolo via dal campo di battaglia, e poi giù verso i livelli inferiori di Times Square, dove si districavano i resti diroccati della città.
Quake sopraggiunse sulla zona poco dopo, osservando l’intera scena con un piccolo sorriso.
Il muro evaporò sotto i suoi piedi in una nube di colore e, sospesa a mezz’aria, la donna cominciò a scendere giù, fino a fermarsi di fronte al titano.
Questi raccolse le forze necessarie a risollevare le migliaia di tonnellate che componevano il suo corpo, e tornò in carreggiata.
Irruppe con una serie di ruggiti spaventosi, che non sortirono alcun effetto se non di divertire ancora di più l’impavida eroina.
Ghidorah era visibilmente distrutto da tutti gli scontri che aveva combattuto durante la giornata, ferito e spossato, ma con la rabbia ancora abbastanza forte per sostenerlo in quell’ultima e feroce battaglia.
Internamente, anche Quake era furente ed esausta. Rabbiosa per tutto il male che quel mostro aveva fatto, stanca di vederlo rialzarsi dopo ogni tentativo di toglierlo di mezzo.
Contro di lui avevano usato ogni genere di arma a loro disposizione, senza che nessuna di queste bastasse a fermarlo.
<< Ehi, bastardo, ti ricordi di me?!>> lo prese in giro, volando davanti alla testa centrale.
Ghidorah si accorse che tra i piccoli moscerini che erano tornati a infastidirlo vi era la stessa donna che qualche ora prima aveva creduto di aver sconfitto.
Immediatamente si dimenticò di tutti gli altri assalitori, concentrandosi solo su di lei, come se fosse appena diventata il suo nuovo obbiettivo.
Sprigionò delle scariche rapide e incontrollate, che buttarono giù ogni cosa, ma anche troppo imprecise per incutere timore all’eroina.
La flotta e lo squadrone si allontanarono, lasciando solo lei in prima linea.
Uno degli aerei pagò il prezzo di una distrazione di troppo, cadendo vittima di un fascio di gravitoni. I suoi compagni lo lasciarono precipitare, consapevoli che per lui la giornata finiva lì.
Quake, con i riflessi in pieno fermento, fece in modo che il drago focalizzasse tutta la sua attenzione su di lei. Virava in risposta ad ogni suo tentativo di colpirla, destreggiandosi con fulminei riflessi tra le voluminose fauci che occasionalmente tentavano di afferrarla in una morsa. Avrebbe anche voluto provare a scoccare un attacco alle teste del mostro, non fosse che questo lo avrebbe messo sulle difensive, minando così le loro speranze di fermarlo una volta per tutte.
E poi, la figura di Hulk atterrò con un balzo ai piedi del titano.
Prese un’utilitaria di colore blu che era parcheggiata vicino al marciapiede e affondò le dita fra la corazza e lo sportello. Sollevò in aria la macchina facendola roteare proprio mentre Ghidorah si apprestava a colpire Quake. Le testa centrale del mostro venne colpita all’altezza del cofano, e il drago fu costretto a interrompere l’attacco.
Poi, Thor scese dal cielo e colpì l’idra alla schiena, facendola cadere a terra.
<< Se vuoi fare una pausa, alza la mano o fa qualche cenno! >> urlò l’asgardiano, calando il Mjolnir tra le ali della creatura.
Prima che l’attacco potesse andare a segno, tuttavia, Ghidorah fece scattare in alto la coda. Thor si scansò appena in tempo.
Fece una virata per evitare anche il colpo successivo, mentre Stormbreaker volava tra le sue mani.
Hulk si sollevò in aria con un salto e afferrò con entrambe le braccia il collo centrale della bestia, che cominciò ad agitarsi come se impazzito. A quel punto, Thor alzò l’ascia e si preparò a decapitare ancora una volta la creatura.
La testa di destra se ne accorse. Piegò la lunga ala all’indietro, afferrando Thor e ricacciandolo sul marciapiede. Allo stesso tempo, la testa di sinistra afferrò Hulk tra le fauci e lo lanciò come una palla da baseball. Il corpo del golia verde rotolò più volte nell’orda di pulci, e gli insetti caracollarono su di lui.
Ghidorah spalancò le fauci, pronto a rigettare un altro fascio di scariche verso l’avversario in difficoltà.
<< Hey! >>
Il drago si voltò…e un palo del telefono gli colpì il muso, facendolo indietreggiare.
<< Ti sei dimenticato di me?! >> urlò Carol, mentre caricava in direzione dell’idra.
Questi sibilò e il palò colpì ancora una volta la testa centrale del mostro, che cadde contro un grattacielo. La supereroina provò a ripetere l’azione, che però venne interrotta da un poderoso colpo di coda ad opera dell’avversario.
Si schiantò a terra, sollevando uno schizzo di detriti e pezzi di manto stradale.
La rabbia della donna divenne fuoco, e il fuoco si trasformò in un incendio. I capelli biondi assunsero una colorazione rossastra, come una tempesta di plasma solare che si distende nel vuoto cosmico. Le maniche della tuta si arroventarono, cominciando a fumare dai bordi.
Carol spalancò le braccia, liberando un getto di calore che deformò l’aria tutt’intorno. Dagli occhi s’irradio una luce candida e intensa.
Allora urlò, scaricando addosso al mostro una vampata di pura energia cosmica, che lo fece arretrare.
Poi, la donna strinse le mani a pugno e le usò per colpire il ventre del drago con due potenti diretti. Il titano si piegò in avanti e rigurgitò del liquido scuro, probabilmente sangue.
Carol continuò con un montante a braccio teso, che fece sollevare da terra la bestia, e alcuni denti della testa centrale saltarono via, lasciandosi dietro solo un inquietante sorriso crivellato di buchi.
Per concludere, Carol prese un respiro profondo.
Tornò a rivolgersi al mostro, che si sforzava di reggersi in piedi e continuare a combattere, ma che in quel momento dava più l’idea di un ebbro che c’era andato giù pesante con la bottiglia.
Carol strinse i denti, mentre riversava nelle mani un’enorme quantità di potere cosmico.
<< Muori! >> urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Un rombo di tuono deflagrò sulla città, e il drago fu spazzato via dall’ondata che si generò dall’attacco.
Cadde di schiena, con le ali bruciate, abbattendo altri due palazzi.
 
                                                                                                                                          * * *  

Il resto dei supereroi non vide Ghidorah cadere a terra, impegnati com’erano a contrastare l’assalto delle pulci, ma udirono comunque il rimbombo generato dal corpo del titano che si schiantava sugli edifici.
Per poco, alcuni di loro non persero l’equilibrio.
Nel complesso, la situazione non era delle migliori : Jessica, Matt e Luke erano impegnati in un combattimento spalla contro spalla, limitati dal fatto che non usassero alcun tipo di arma per abbattere gli avversari. Lo stesso non si poteva certo dire dei Guardiani, la maggior parte dei quali era intenta a bersagliare gli insetti con raffiche ininterrotte di armi da fuoco, Jane compresa.
Rhodey, Bucky e Frank non erano da meno, mentre Sam offriva copertura dall’alto.
Gamora e Drax erano gli unici ad utilizzare le spade, mentre Spiderman stava offrendo aiuto dove poteva, facendo uso alternato di combattimento corpo a corpo e lancio di ragnatele occasionali. Era in casi come questi che si pentiva di non aver mantenuto la modalità “uccisione istantanea” presente nella tuta originale.
Ad affiancarlo vi era T’Challa, la cui navetta era atterrata pochi minuti prima, attualmente coinvolto in un duello all’ultimo sangue contro una coppia di grosse pulci.
Sì, la situazione non era certo delle più auspicabili. “ Ma potrebbe essere peggio” pensò Rocket, dopo aver crivellato di proiettili un insetto che per poco non era riuscito a staccargli la testa.
Volse a Nebula un’occhiata laterale.
<< Quindi, tu e Thor… >>
<< È importante per il tuo futuro che tu non finisca quella frase >> lo interruppe freddamente la cyborg.
Il procione si limitò a roteare gli occhi.
<< Oh, andiamo, non fare la vergine. Penso che fosse ora che tu ti trovassi un fidanzato, sei sempre così rigida >>
<< Thor non è il mio fidanzato >> ribattè l’altra, afferrando una delle pulci con il braccio meccanico e ficcandogli il blaster tra le fauci. Aprì il fuoco, facendo esplodere la testa dell’insetto in centinaia di piccoli pezzi.
Rocket sorrise in modo consapevole.
<< Ma vorresti che lo fosse >>
<< Non ho intenzione di avere questa conversazione con te! >> urlò la donna, lanciando il cadavere contro una coppia di insetti. Sorpresi dall’attacco, i due animali vennero rapidamente annientati da una raffica di colpi ad opera del procione.
<< Potrei darti qualche consiglio, sai? Sono esperto in molte tecniche di seduzione >>
<< Mi chiedo quante volte abbiano funzionato >> borbottò Nebula, lanciando un coltello tra gli occhi di una delle bestie.
Rocket si strinse nelle spalle.
 << Bhe, con Mantis lo hanno fatto >>
 << Aspetta…tu e Mantis state insieme?! >> domandò la cyborg, il volto adornato da un’espressione scioccata.
L’esperimento genetico la fissò stranamente.
<< Sì, da più di un mese >>
<< Ma come…quando… >>
<< Pensavo che fosse ovvio >>
<< Non era ovvio per niente! >>
<< Smettetela di parlare e continuate a sparare! >> urlò Frank, alle spalle del duo, mentre utilizzava un paio di piccole mitragliatrici per fare piazza pulita delle pulci che aveva di fronte a sé.
Le suddette creature avevano cominciato ad aggredirli con maggiore foga, come se la rabbia che Ghidorah stava provando in quel preciso istante si fosse proiettata anche nei loro minuscoli cervelli.
Ringhiavano, stridevano e balzavano come se impazzite, senza dare agli eroi un attimo di tregua.
<< Ce ne sono troppi! >> urlò Matt, evitando per un soffio che uno degli insetti lo mordesse alle caviglie.
Affianco a lui, Jessica gli lanciò un’occhiata stizzita.
<< Ma non mi dire! >> ringhiò la donna, afferrando l’animale e usandolo come mazza per allontanarne uno che stava tentando di colpire Luke alla schiena.
E mentre le creature avanzavano, costringendo gli eroi a fare marcia indietro, il canale di comunicazione degli Avengers cominciò a crepitare.
<< Awww, ragazzi, non ditemi che avete fatto “Avengers Uniti” senza di noi! >> esclamò una voce maschile che i suddetti eroi riconobbero all’istante.
I vari combattenti alzarono lo sguardo verso il cielo, mentre una navetta simile al Queen-Jet li sorpassava con un rombo, facendo incespicare alcune delle pulci.
<< Questo perché eravate in ritardo! >> esclamò Rhodey con aria stizzita, benché ora avesse un grosso sorriso stampato in faccia.
All’interno del velivolo, Scott Lang alzò gli occhi al cielo.
<< Non eravamo in ritardo. Solo…impegnati con qualcosa d’importante >> disse con un ghigno cospiratorio rivolto alla moglie, seduta al posto di guida della navetta.
<< Più importante di questo? >> domandò Bucky, il cui tono di voce traspariva una lieve punta di incredulità.
<< Credimi, tra poco ci ringrazierai >> rispose Scott, con fare disinvolto.<< Consiglio a tutti di tapparsi gli occhi e il naso >>
Sotto di loro, i vari Avengers si scrutarono perplessi.
<< Perché? >>  chiese Spiderman, atterrando affianco al gruppo.
<< Fate come dice! >> esclamò Hope, facendo trasalire l’arrampica muri.
Scott non era certo la persona più affidabile, ma né lui né i suoi compagni avrebbero mai avuto il coraggio di contestare un ordine diretto di quella donna. A volte poteva essere davvero terrificante.
Si portarono le mani al naso e chiusero gli occhi, intimando i Guardiani e i Defenders a fare lo stesso.
All’interno della navetta, Hope lanciò un’occhiata significativa verso il marito.
<< Sgancialo >>
<< Agli ordini! >> esclamò Scott, pigiando un pulsante rosso che spiccava sui comandi del mezzo.
Il ventre del velivolo si aprì in due, rivelando un compartimento nascosto.
Poi, una strana sostanza gialla, simile a fertilizzante da campo, cominciò a piovere sull’intera zona, seguendo la traiettoria della navetta.
Gli eroi percepirono un distinto odore di uova marce misto ad aceto, mentre un liquido appiccicoso ricopriva i loro corpi e quelli delle pulci. Ma, a parte l’aroma sgradevole, rimasero completamente inalterati.
Aprirono gli occhi, trovandosi di fronte ad una scena inaspettata.
Di colpo, i movimenti delle pulci ebbero un improvviso tentennamento. Inciamparono tra un passo e l’altro, cadendo a terra e girando su se stesse come trottole .
Sam inarcò un sopracciglio.
<< Ma che diavolo succede? >> sussurrò l’eroe, osservando lo strano comportamento degli insetti.
Pochi secondi dopo, la navetta di Scott e Hope atterrò affianco al gruppo.
I coniugi fuoriuscirono dal velivolo, vestiti con le loro tute da Ant-Man e Wasp, e camminarono fino a loro.
<< Penso che siamo riusciti a ottenere quello che volevamo >> disse Hope, osservano lo sciame d’insetti con evidente soddisfazione. << La sostanza che abbiamo gettato è stata sintetizzata dallo spruzzo nocivo di un Coleottero Bombardiere, e agisce come un repellente per insetti, attaccando il sistema nervoso centrale del bersaglio. Sugli umani non ha alcun effetto, a parte un odore sgradevole, mentre per animali come loro…bhe, per farla breve, qualunque fosse il collegamento mentale tra queste creature e il drago, ora non c’è più >>
Jessica la fissò di sottecchi. << Ed è un bene? >>
<< Una specie >> le rispose Scott. << Fino a un paio di minuti fa eravate circondati dal circa mille pulci assassine che rispondevano ai comandi di un’idra spaziale >>
<< E adesso? >>
<< Adesso siamo soltanto circondati da mille pulci assassine abbandonate a sé stesse dopo chissà quanti anni passati a servirla. Saranno molto più facili da eliminare >> spiegò Hope, suscitando sorrisi d’anticipazione ad opera dei presenti.
Era ora della rivincita.
 
                                                                                                                                            * * *  

Quando il collegamento mentale tra Ghidorah e le pulci venne troncato, le teste della creatura percepirono una dolorosa fitta alla tempia, una sensazione mai provata nell’intera durata della loro lunga vita.
Spalancarono gli occhi, consapevoli di aver appena perso il loro esercito per qualche assurda e misteriosa ragione.
La rabbia inondò il corpo del titano, mentre questi allargava le ali e ruggiva in direzione della volta celeste.
<< Brucerete! >> esclamò la testa centrale.
Al contempo, dense masse di nubi nere e purpuree cominciarono a concentrarsi sopra la bestia, e il vento crebbe d’intensità.
Carol, Thor, Hulk e Daisy si misero in posizione di guardia, anticipando un attacco imminente. Gli adepti di Strange non furono da meno, ed evocarono dal nulla scudi dorati per proteggersi. Tale azione salvò la vita a molti di loro.
L’enorme concentrato di nuvole si riversò a terra come una cascata, intrappolando l’intera zona in una gigantesca sfera color pece.
Molti degli stregoni vennero sbalzati dalla potenza dei venti, mentre fulmini e saette costrinsero gli Avengers a separarsi.                                                                                                        
La massa incandescente di Carol cercò di avanzare, sollevandosi ancora più in alto nella buia atomsfera. Si sforzò di essere ancora più luminosa, spingendosi contro le tenebre. Ma le ombre si opposero, come se avessero vita propria, facendo resistenza.
Spingevano dall’alto verso il basso, nel tentativo di schiacciarla.
Carol volò sopra Ghidorah, al centro di quel ciclone. Si mosse nell’aria e lanciò un altro spruzzo di energia, illuminando le nubi color pece. Sotto i suoi piedi le tenebre si aprirono, rivelando centinaia di pulci frastornate che si muovevano come viandanti ubriachi.
Un’altra resistenza la guidò verso terra. Qui la notte intensa sembrava essere ancora più pesante. Le tenebre premevano contro di lei, indebolendo la sua luce come un oceano di inchiostro.
Carol sprigionò abbastanza energia da fondere il metallo, e per pochi istanti le ombre si allontanarono.
Nel cuore dell’oscurità…vide l’immensa figura di Ghidorah.
Quando gli occhi della bestia si concentrarono su di lei, le ondate di nubi e saette si propagarono in un ultimo attacco. Le ombre tremarono, mentre l’aria iniziava a surriscaldarsi.
Carol non perse tempo. Mise le mani davanti a sé e sprigionò un intenso getto di energia cosmica.
L’esplosione fu molto vicina e creò una voragine nelle palazzine che stavano dietro la creatura, propagandosi per altri due isolati fino a svanire, lasciando parte del marciapiede fuso.
Il corpo di Ghidorah venne avvolto dalle fiamme e la pelle della bestia cominciò a bruciare.
Con un sibilo, il vento attorno a Carol si alzò, riempiendo il buco vuoto formato da quella gabbia di nubi. Nel cielo tornò la luna e i lampioni della strada si riaccesero .
Con la visuale libera, Thor si affiancò alla figura della donna, sollevando sia Stormbreaker che Mjolnir e caricandole con i tuoni della tempesta. Carol fece lo stesso con le mani, richiamando tutta l’energia cosmica che aveva a disposizione.
<< Pronto? >> chiese al tonante, che in tutta risposta si limitò ad annuire.
Il mostro tricefalo avvertì l’ondata di energia che stava per investirlo. La sentì bruciare ancor prima di arrivargli contro, attraverso le sue ferite, negli occhi, ovunque, e sapeva che questa volta per lui sarebbe stato impossibile evitarla.
Poté solamente contrattaccare con un fascio di gravitoni, sperando di avere ancora abbastanza potere in corpo da contrastare l’offensiva degli avversari.
L’onda di energia incontrò l’ostacolo, rallentando di botto. Le saette si strinsero sul fascio di energia cosmica e luce, affondandovi dentro come una mano artigliata, prima di finire sbriciolate dall’enorme potere di quell’attacco combinato.
Ghidorah venne colpito in pieno petto. Le squame si consumarono poco per volta, poi toccò alla carne, e quando anche questa finì liquefatta, avanzò su tutto il resto del corpo, consumandolo lentamente, metro per metro.
L’idra urlò, piantando i piedi sul terreno. Grugnì e si lamentò, sbavando.
Il raggio s’indeboliva via via, ma il corpo del mostro continuava a evaporare un pezzo alla volta.
Sia Thor che Carol strinsero i denti, attingendo alle loro ultime riserve di energie per donare all’attacco la forza necessaria a distruggerlo.
Il raggio si potenziò, disancorando il drago e spingendolo a urtare contro l’ennesimo palazzo.
Ancora poco e ce l’avrebbero fatta, ancora poco e…
Il palazzo crollò, e su di esso Ghidorah, sprigionando un’esplosione che investi tutta l’area circostante, sollevano una nube alta diversi chilometri.
Si udirono grida di gioia e sollievo per tutta la città, mentre il corpo carbonizzato e fumante della bestia si stagliava man mano che la nube si riversava sulla metropoli in rovina.
Carol e Thor volarono in basso, tenendo le gambe a penzoloni, e disegnarono una scia di fulmini ed energia attraverso le pulci sopravvissute, facendone fuori le ultime rimaste, prima di riapparire di fronte al resto degli Avengers.
Questi li accolsero con sguardi che andavano dal sollievo, al rispetto, fino ad arrivare alla gioia più pura.
<< Porca puttana, che roba incredibile! >>  urlò Spiderman, il cui sorriso era palpabile nonostante la presenza della maschera. << Pensate di averlo preso? >>
<< L’unico modo per esserne più certi… >> cominciò Carol, lanciando una rapida occhiata al corpo di Ghidorah, << ...sarebbe stato bombardarlo con una decina di bombe atomiche >>
Peter alzò il pugno, lanciandosi in avanti e abbracciando la donna.
Quest’ultima arrossì scarlatta, cercando di ignorare lo strano odore di uova marce che permeava la tuta del vigilante.
<< P-Peter, lo sai che non mi piace essere abbracciata in pubblico >> balbettò imbarazzata, suscitando una sonora risata ad opera dei presenti. Persino Frank si concesse un piccolo sorriso, di fronte ad una simile scena.
Nel mentre, il vigilante si staccò dall’eroina, per nulla pentito da ciò che aveva appena fatto.
La donna rilasciò un sospiro rassegnato, prima di volgere a Thor un’espressione risoluta.
<< Finiamolo >> disse freddamente, puntando ambe le mani in direzione di Ghidorah.
Il tonante fece un sorriso feroce, preparandosi a dargli il colpo di grazia, consapevole che il mostro non sarebbe mai potuto sopravvivere ad un secondo attacco, nemmeno con le sue capacità di rigenerazione avanzate.
Cominciarono a incamminarsi verso la creatura ormai inerme.
Nel mentre, Ghidorah era rimasto ad ascoltare la conversazione del gruppo, filtrando il suono delle voci tra i tanti rumori di fondo e i fischi di dolore che gli strillavano da dentro.
La vista gli era oscurata, da quella posizione poteva scrutare soltanto la pavimentazione crepata sotto il peso del suo corpo, e i resti di quello che erano gli edifici sui quali era caduto.
Respirava a fatica, schiacciato dalla sua stessa massa, si sentiva i muscoli indolenziti, con gli avambracci che divampavano di bruciore per tutti gli attacchi contro i quali si era difeso. Non si era sentito così stanco e debole dal suo scontro con Odino.
Gli sembrava che ogni metro cubo del suo corpo stesse evocando richieste d’aiuto, ma forse era l’effetto dell’energia cosmica, che aveva superato le sue difese corporee, penetrando nei tessuti e corrodendoli da dentro.
Provò rabbia, un’ardente ira, frenata dalle ferite e dallo stato attuale delle cose. Se in quel momento si fosse alzato per tentare di attaccarli ancora, con ogni probabilità il figlio di Odino e l’autoproclamata Protettrice dell’Universo lo avrebbero nuovamente rispedito al tappeto, negandogli così ogni possibilità di riprovarci di nuovo.
Come sempre, se davvero voleva vincere contro questi nemici, così pieno di risorse, doveva servirsi dell’astuzia, l’arma più potente che ancora gli restava nell’arsenale.
Se soltanto avesse potuto ricaricarsi, l’esito sarebbe stato sicuramente diverso: attualmente, non aveva il tempo a disposizione per farlo.
Se anche ci avesse riprovato, l’esito non avrebbe prodotto gli effetti sperati, poiché non vi erano fonti di energia in tutta l’area devastata…
“Oppure sì?” si chiese d’improvviso la testa centrale.
Ponderando attentamente il pensiero, si rese conto che nel fremito della battaglia non aveva mai avuto l’occasione di concedersi del tempo per soffermarsi su qualcosa di insolito, ma adesso che era lì, disteso lungo a terra, si disse che l’opportunità era propizia e invitante.
Evitando di muoversi, per non destare l’allerta nei confronti dei suoi avversari, contrasse i muscoli e si concentrò sulla strada.
In effetti, poteva sentirlo. Centinaia di onde elettriche…no, migliaia di fasci che percorrevano l’intera città come una sorta di autostrada. Forse era la fonte di energia che alimentava questa metropoli.
Poteva usare la cosa a suo vantaggio? Dopotutto, sembrava energia elettrica, molto simile a quella che usava come forma d’attacco. Non sapeva se avrebbe funzionato…ma non era certo il momento per fare gli schizzinosi.
Con un movimento fulmineo, affondò il muso nel manto stradale, trapassandolo da parte a parte e chiudendo i denti su un grosso cavo.
La reazione fu istantanea.
Il mostro dilatò le pupille come piatti, mentre miliardi di volt cominciarono a riversarsi sul suo corpo, illuminandolo come una lampadina. La pelle carbonizzata, i muscoli e le ali cominciarono a rigenerarsi ad un ritmo allarmante.
Gli Avengers si drizzarono di colpo, mentre in tutta l’America avveniva il black-out più grande che gli Stati Uniti avessero mai affrontato. Tutte le città rimasero al buio nella frazione di pochi secondi.
E poi, la bestia spalancò le ali, alzandosi da terra e riversando fasci di energia abbastanza grandi da avvolgere l’intera New York in una gabbia dorata.
Tutti gli aerei e le navette wakandiane che si trovarono in cielo vennero polverizzate all’istante, con un unico e semplice attacco. Lo stesso destino toccò agli stregoni che non riuscirono ad evitare i fulmini.
Quando l’onda di scariche attraversò la metropoli, travolgendo chiunque vi si trovasse nei pressi, fu come la detonazione di cento missili terra aria sparati in contemporanea, concentrati tutti nel raggio di poco più di cento metri.
Molti spettatori vennero uccisi dal contraccolpo. Le ossa dei più anziani si polverizzarono, mentre i più robusti dovettero comunque fare i conti con una forza fuori da ogni misura.
I grattacieli superstiti, per ovvie ragioni, non ressero alle sollecitazioni, sgretolandosi in una frana di macerie che andò a riversarsi un po’ dappertutto lungo l’intera città.
I sopravvissuti rintanati nella metropolitana risentirono dell’onda d’urto in entità minore rispetto a chi era ancora all’aperto, ma non per questo poterono sentirsi più al sicuro: la risonanza fece vibrare la strada, che crollò sulle loro teste.
L’intera storia di New York fu spazzata via in quel preciso istante, tramutandosi ora nell’ennesimo pericolo per i sopravvissuti, che si videro costretti ad accucciarsi per non restare uccisi dalla pioggia di detriti.
La risonanza vibrò anche lungo tutto lo stato, propagando un acuto stridio che ricordò il suono di un dito umido che passa sul bordo di un bicchiere, arrivando fino a Washington.
 
                                                                                                                                             * * *  

( Track 15 : https://www.youtube.com/watch?v=O4ofDWjufgI )
Carol Danvers si risvegliò con gli occhi puntati al cielo.
La prima cosa che vide furono i resti della flotta wakandia, i cui pezzi fumanti si erano riversati per tutta la zona. Ma dov’erano gli atri?
Thor era lì di fianco, con lo sguardo sperduto come le sue emozioni, sostenuto da Jane e Nebula, entrambe visibilmente mal messe.
E c’era anche Peter, che invece si stava curando di lei. Aveva forse subito delle ferite? O la stava semplicemente aiutando a riprendere i sensi?
E poi chi altri?
Più la sua coscienza riemergeva dall’oceano dell’illogico e più le presenze che intorno a lei posavano immobili come statue di bronzo assumevano identità concrete.
Riconobbe Sam, a pochi passi dal corpo di Bucky Burnes. Il primo aveva il volto chiuso in uno sguardo truce, mentre l’altro…l’altro non si muoveva. Era quasi completamente nudo, con la pelle bruciata, sui cui lampeggiavano scariche occasionali. E i suoi occhi…Carol non li avrebbe mai dimenticati. Erano rivolti verso il cielo, sbarrati e senz’anima…morti. Una consapevolezza che arrivò pure a Sam, il quale lanciò verso la volta nebulosa un grido disperato, pieno di rabbia e tristezza.
Allora la donna capì : Bucky si era messo di fronte al compagno di squadra, per proteggerlo dall’attacco di Ghidorah. Si era sacrificato per salvarlo.
Continuò a guardarsi intorno, il respiro pesante, inconsapevole del fatto che Peter stesse cercando di parlarle.
Riconobbe Mantis, che piangeva sulla figura di Drax assieme a Rocket e Groot. L’umanoide aveva gli occhi chiusi e il petto squarciato da un buco rosso e fumante.
Riconobbe Gamora, e con lei Quill, che giaceva tra le sue braccia, ansimante, visibilmente ferito, ma ancora vivo.
Vagamente, riuscì a sentire gli scorci di una conversazione.
<< Perché l’hai fatto?>> sussurrò la Zen Whobery, accarezzando il volto dell’uomo che si era buttato addosso a lei per salvarla.  La sua pelle verde era bagnata da lacrime amare, miste a liquido scarlatto e polvere. << Saresti potuto morire… >>
<< Perché tu ne vali la pena >> borbottò l’ex Ravager, prima di tossire un denso fiotto di sangue.
Carol suppose che l’unico motivo per cui fosse ancora vivo era a causa della sua biologia di mezzo Celestiale.
E poi c’era Hulk, ora nelle vesti di Bruce Banner, con il corpo leggermente bruciato, seduto al di sopra di una catasta di macerie e circondato dagli stregoni sopravvissuti. Erano meno di una decina.
A pochi metri da loro vi era Jessica Jones, la quale stava aiutando Daredevil ad alzarsi.
Infine, Carol riconobbe un ‘ultima figura distesa a terra : James Rhodes, alias War Machine. Immobile, in mezzo ai detriti, con la tuta metallica ancora illuminata dai fulmini che lo avevano colpito in pieno, uccidendolo sul colpo.
T’Challa, Daisy Johnson, Frank Castle, Luke Cage, Hope e Scott Lang gli erano affianco, con espressioni cupe e pesanti, coperti di cenere, fuliggine e bruciature.
“ No...perchè…noi…avevamo vinto…noi…”
Qualcuno la prese per la spalla, chiamandola per nome, ma per lungo tempo lei non riuscì a sentir niente, a parte un acuto fischio dentro le orecchie. Per fortuna i suoi organi erano molto più resistenti di quelli di un normale essere umano, altrimenti a quel punto si sarebbe ritrovata cronicamente sorda. Dopotutto, lei e Thor erano stati i più vicini all’epicentro dell’attacco.
Peter le parlava, incitandola a reagire. Frasi del tipo << Ti prego, guardami! >> che lei coglieva solo a sprazzi.
La sostenne, fino a quando non fu sicuro che si potesse reggere da sé.
<< Come stai? C’è qualcosa che non va? Carol?! >>
La schiaffeggiò un paio di volte.
Alla terza, la mano della donna lo fermò.
<< S-sì… sto bene ora… sto bene… >>
Ma non era certa di poterlo ripetere tra cinque minuti: tutti i supereroi si voltarono, attratti dai passi di colui che era responsabile di tutto questo.
Ghidorah stava avanzando verso di loro, gli occhi rossi adornati da un luccichio impassibile.
Questa volta, se avesse deciso di attaccarli…per loro sarebbe stata la fine. E anche se Carol si fosse sollevata in volo per allontanarsi dalla zona, non avrebbe mai volato abbastanza in fretta da riuscire ad evitare la traiettoria della bestia. Era troppo stanca.
In quel preciso istante, un’ombra le si parò davanti.
Carol trattenne un sussulto di sorpresa. Vide la figura di Peter frapporsi tra lei e il mostro, i piedi piantati a terra e il corpo retto come quello di un soldato diretto al patibolo.
Sentì il cuore mancarle un battito, mentre quel ragazzo coraggioso si offriva come ultimo baluardo di difesa per proteggerla.
<< Non osare toccarla >> sibilò il vigilante, gli occhi fissi in direzione del drago.
Questi si fermò di colpo.
La testa centrale inarcò un sopracciglio, apparentemente presa in contropiede dall’azione dell’Avenger.
 << Anche adesso, di fronte all’inevitabile…tu osi sfidarmi >> disse la bestia, il volto adornato da un’espressione impassibile.
Quando l’arrampica-muri non rispose, il drago rilasciò un sospiro.
 << Devo ammetterlo, ragazzo. Questo pianeta e i suoi campioni si sono guadagnati il mio rispetto >> dichiarò in tono quasi riluttante. << Ho riconosciuto il vostro spirito combattivo e la vostra forza, degna dei più rinomati guerrieri del cosmo. Per tale motivo, con la mente lucida e il cuore pesante, mi inchino davanti ai vostri tentativi di sconfiggermi e vi elogio >>
E, con grande sorpresa degli eroi raccolti, la bestia fece proprio questo.
Tutte e tre le teste chinarono il capo verso il basso, all’unisono. Non in maniera beffarda o malevola…ma rispettosa, quasi solenne.
Una volta compiuto l’atto, tornarono fissare il gruppo con sguardi decisamente più intensi.
 << Tuttavia, la nostra battaglia finirà qui. Ma non temete, mi assicurerò che venga narrata per gli eoni avvenire! >> esclamò a gran voce la testa centrale. << Diffonderò la canzone di come gli Avengers riuscirono a mettere in difficoltà Ghidorah, come solo gli dei di Asgard erano riusciti a fare. E questa è la mia promessa, finchè avrò fiato in corpo >>
Un silenzio inesorabile sembrò calare sull’intera città, come se la tempesta che imperversava sopra la metropoli si fosse fermata di colpo. Quasi a voler testimoniare la realizzazione a cui erano arrivati anche gli eroi : avevano perso…e la Terra era spacciata.
Tale quiete, tuttavia, venne interrotta appena un minuto dopo da un'unica e semplice domanda.
<< Perché? >> sussurrò Peter, attirando l’attenzione dell’idra.
<< Perché cosa? >> chiese il mostro, inclinando leggermente la testa.
Il vigilante prese un respiro profondo.
<< Con tutto il potere che hai…con tutta la tua forza e la tua presunta saggezza…potresti fare così tanto, salvare così tante vite…e invece li usi per distruggere. Perché? >> ripetè a voce più alta.
Ghidorah strinse ambe le palpebre degli occhi.
 << Perché è ciò che sono, ragazzo. Niente di più niente di meno >>
<< No, non è vero! >> esclamò Peter, sorprendendo l’alieno. << Una volta, qualcuno molto importante per me…mi disse qualcosa che cambiò la mia vita per sempre: da un grande potere derivano grandi responsabilità! Ogni persona…ogni individuo…è semplicemente il risultato delle proprie scelte. Tu sei ciò che scegli di essere, non hai alcun bisogno di distruggere! >>
Compì un passo in avanti.
 << Ti prego, lascia in pace questo mondo. Abbiamo già perso così tanto…per favore >> disse con tono disperato.
Ghidorah si limitò a scrutarlo per quello che parve un tempo interminabile.
Poi, arricciò ambe le labbra in un sorriso agghiacciante, cosa che fece affondare il cuore dell’Avenger.
<< Voglio confessarti un piccolo segreto : conosco ogni cosa, sai? Il principio, il presente…i mille volti della fine. Tutto. Ora tu vedi il passato e il presente, come le altre creature inferiori: non hai facoltà più elevate della memoria e della percezione >> sibilò la bestia, facendo schioccare la lingua. << Ma la mia specie, ragazzo mio, ha una mente assai diversa. Vediamo come se ci trovassimo in vetta a una montagna: tutto il tempo, tutto lo spazio. In un istante scorgiamo la visione appassionata e il tumulto >>
Detto questo, l’idra sembrò scrollare le spalle.
<< Non che le cose falliscano per colpa nostra. I draghi non s'immischiano nel vostro insignificante libero arbitrio. Puah! Dammi retta, ragazzo. Se tu, con la tua conoscenza del presente e del passato, ricordi che un certo uomo scivolò, mettiamo giù da una sedia, o affogò in un fiume, il ricordo non significa che sia scivolato per colpa tua, o annegato >> spiegò con tono quasi paziente, come se stesse tentando di insegnare qualcosa ad un alunno piuttosto lento di comprendonio. << Esatto? Certo che è esatto! È successo e tu lo sai, ma il saperlo non né è la causa. È ovvio! Bene, lo stesso vale per me. La mia conoscenza del futuro non causa il futuro. Si limita a vederlo, esattamente come le creature al tuo infimo livello ricordano le cose passate. E anche se interferisco, anche allora non altero il futuro, mi limito a fare ciò che ho visto sin dal principio >>
Tornò a fissare il vigilante.
<< Io faccio quello che sono destinato a fare, perché tanto non avrei modo di evitarlo. E se traggo piacere dal farlo…bhe, tanto meglio! Diciamo allora che la questione è risolta. E basta con la storia del libero arbitrio e l'intercessione >> disse con fare sprezzante.
Nello stesso momento, i lunghi colli della creatura cominciarono a illuminarsi di un familiare bagliore dorato.
<< Spero che l’universo si ricorderà di voi >> terminò, mentre i vari eroi raccolti si preparavano al colpo di grazia imminente.
L’aria attorno alla zona cominciò a vibrare di elettricità statica, seguita dall’immancabile crepitio della morte. Niente avrebbe potuto frenare quell’attacco.
Avengers, Guardiani, Defenders…tutti loro erano consapevoli di un’unica e semplice verità : stavano per morire, e il resto dell’umanità li avrebbe seguiti poco dopo. Questa era davvero la fine.
Peter abbracciò la figura di Carol, stringendola a sè…e chiuse gli occhi.
“ Signor Stark…zio Ben…mi dispiace. Non sono stato abbastanza forte”.
 
 

Già…ehm…sorpresa? Lo so, lo so, ammetto che uccidere Rhodey, Bucky e Drax potrebbe sembrare crudele, ma…ok, sì, è abbastanza da infami, ma suppongo che questo sia il compito di un autore. La guerra contro Thanos portò alla morte permanente di ben tre personaggi principali, era inevitabile che Ghidorah si sarebbe portato dietro qualche anima. E vi dico già che non è finita, ci sono altri personaggi che ci lasceranno la pelle.
Nel prossimo capitolo assisteremo allo scontro tra Strange ( aiutato da Wong ) e Wanda, esploreremo il passato di Ghidorah e avremo anche il ritorno di un personaggio molto famoso dell’MCU, sotto forma di flashback.
Oggi niente Omake, considerando il contenuto del capitolo penso che sarebbe stato di cattivo gusto.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Questo aggiornamento approfondirà il passato di Ghidorah e le sue origini, gettando le basi per altre storie di questo mio personale universo letterario e una nuova luce sul canone MCU da me riadattato.
Vi auguro una buona lettura e, come al solito, vi invito a leggere le note a piè di pagina!
Per il capitolo di oggi, al posto dell’omake, ho realizzato un video comico su Ghidorah. Spero che vi divertirà ;)
 


Capitolo 14
 

Un proiettile di luce viola andò a infrangersi dritto contro la barriera telecinetica di Wanda.
L'esplosione riversò un ingente quantità di cristalli e schegge di asfalto entro un area di circa dieci di metri, ma la donna ne rimase del tutto inalterata e si limitò a girare la testa in direzione del punto da cui era partito l'attacco.
Strange la fissò di rimando, gli occhi illuminati da un debole bagliore. Porse la gamba destra in avanti, assumendo una posizione di battaglia, sollevò le mani e compì un paio di rapidi movimenti.
Fu allora che l'aria attorno all’uomo si riempì di cristalli, bianchi e lucenti sotto la luce della luna. Come dal nulla, le schegge cominciarono a ruotare ad una velocità superiore a qualsiasi dispositivo creato dalla scienza moderna.
Dopo circa un paio di secondi, un tornado di neve e ghiaccio saettò al di sopra di Wanda, generando una tromba d'aria alta almeno una ventina di metri.
La strega mantenne un’espressione impassibile. Al contempo, la colonna di cristalli andò a sbattere dritta contro di lei, generando un onda d'urto che fece tremare i lampioni dell’intera zona.
Strange, tuttavia, non aveva ancora finito. Porse le braccia in avanti e cominciò a manipolare l’incantesimo, nel tentativo di creare un palla di cristalli condensati.
<< Wanda, so che sei lì dentro. Devi combatterlo! >> urlò, cercando di contenere la donna.
Poteva già sentire l’energia telecinetica farsi strada oltre la barriera. Non sarebbe riuscito a trattenerla a lungo.
E poi, come dal nulla, un impulso d'aria aprì la gabbia, rivelando la forma indenne della Scarelt Witch.
Questa allungò una mano, intrappolando il collo di Strange in una presa telecinetica. Lo Stregone annaspò, sentendosi sollevare da terra, incapace di sottrarsi a quell’assalto invisibile.
In quel preciso istante, uno strano filamento dorato, simile a un nastro, avvolse la caviglia di Wanda. L’ex Avenger abbassò lo sguardo proprio mentre la frusta si tendeva, facendola a cadere a terra.
Ruotando appena la testa, la Scarlett Witch inquadrò lo sguardo di Wong, venuto ad assistere il suo superiore.
Wanda lasciò la presa per concentrarsi sulla nuova minaccia, dando il tempo a Strange di riprendere fiato.
Più che intenzionato a non sprecare il vantaggio appena ottenuto, l’uomo sollevò le mani in aria e materializzò uno strano arco tra le dita. Sembrava fatto di fiamme.
Una debole luce di colorazione azzurra iniziò a materializzarsi sulla corda dell'arma, a immagine e somiglianza di una freccia. E poi, quando il bagliore aumentò d’intensità, Strange prese un respiro profondo…e scoccò.
Il colpo sibilò nell’aria. Il risultato, quando il fuoco nemico raggiunse la donna, fu decisamente esaltante.
L’esplosione fu ancora più esagerata di quanto Strange avesse inizialmente previsto.
Mentre le fiamme azzurre si sollevarono al cielo, iniziarono a udirsi le prime grida e le urla degli spettatori che avevano percepito l’onda d’urto causata dal contraccolpo.
L’attacco  titanico squarciò il centro della notte. E quando la polvere si levò...Wanda era ancora in piedi, quasi del tutto illesa, se non per alcune bruciature sulle vesti.
<< Sembra che non sia molto in vena di conversare >> commentò Wong, atterrando affianco a Strange.
Questi lo fissò con aria stizzita.
<< Ma non mi dire >> borbottò a bassa voce, lo sguardo fisso nei confronti dell’avversaria.
Wanda non diede alcun segno di averli sentiti e si limitò a innalzare ambe le braccia verso il cielo, sollevando decine di autovetture dal manto stradale.
Affianco allo stregone, Wong rilasciò un sospiro rassegnato.
 << Stephen, sai bene anche tu che c’è un solo modo per far rinsavire questa povera ragazza >> disse con tono di fatto.
Strange gli inviò un’occhiata laterale.
 << Pensi di riuscire a tenerla occupata per un po’? >>
<< Non avrei proposto una simile linea d’azione, se non ne fossi in grado >> rispose l’altro con un sonoro sbuffo.
Lo stregone annuì, prima di scomparire con un guizzo del mantello rosso. Al contempo, Wong si voltò in direzione di Wanda.
Mentre questa si avvicinava con passo lento e marcato, le auto ancora sospese sopra di lei, il praticante delle arti mistiche compì alcuni movimenti con le mani.
Una strana sostanza cristallina cominciò ad avvolgere l’area circostante.
Non appena il composto entrò in contatto con le macchine, queste iniziarono a scricchiolare. Poi, saette e scariche di natura apparentemente elettrica iniziarono a volteggiare per la zona, sollevano cocci in ogni direzioni e distruggendo le vetture a mezz’aria.
Scoppi e rintocchi risuonarono per tutta la lunghezza del quartiere, mentre le finestre degli edifici andavano in frantumi, riversando pezzi di vetro sulla carreggiata. E ad ogni scarica…l'aria percorsa dal colpo diventava roccia nera, simile ad arenaria.
Wanda osservò il tutto con fare incuriosito, mentre una lunga serie di stalattiti scaturiva dalla superficie in asfalto. Anzichè evitarle, tuttavia, la donna si limitò ad evocare una barriera telecinetica molto più densa della precedente.
Non appena le punte affilate entrarono in contatto con lo scudo, si spezzarono, disintegrandosi come se fossero fatte di polvere.
Wong compì una seconda serie di movimenti con le mani, ma questa volta la Scarlett Witch non gli diede il tempo di completare l’incantesimo.
Balzò verso di lui e lo afferrò per la gola, usando la telecinesi per issarlo da terra.
L’uomo cominciò a dibattersi, tentando in tutti i modi di sfuggire a quella presa mortale. Ma Wanda non accennò nemmeno a muoversi e cominciò a stringere. Sembrava più un automa che una persona in carne e ossa.
Poi, l’ex Avenger sentì uno spostamento d’aria improvviso alle sue spalle. Si voltò, proprio mentre Strange posava ambe le mani sulle sue tempie.
<< Apri la tua mente, Wanda >> sussurrò l’uomo.
E poi, il mondo attorno a lei divenne dolore e penombra.
 
                                                                                                                                                  * * *    
 
All’inizio non si udì nulla. Poi ci fu una scintilla, uno sfrigolio che confuse le ragnatele già sfilacciate di sogni e ricordi.
Negli spazi della sua mente, Strange passò in rassegna tutta la sua vita, rivisitando le grande battaglie, le guerre, le decisioni prese, che avevano alterato in meglio o in peggio le sorti della lotta. I trionfi, quelli recenti e quelli trascorsi. E niente di tutto ciò, decise, si sarebbe rivelato abbastanza interessante per un essere come Ghidorah, che serbava memoria di tutte le maggiori guerre e contese nella storia dell’universo conosciuto.
Poco dopo, con un crepitio e un ruggito, una scarica di elettricità biancoazzurra lo attraversò, inondano i meandri del suo cervello come la marea riempie una grotta.
La sua anima sussultò con violenza, trascinata in un mondo di tetra oscurità.
Gridò e divenne nuovamente consapevole, immerso in una sorta di nevischio scarlatto misto a lampi bianchi.
Wanda – o meglio, la sua proiezione mentale – era in mezzo all’oscurità, avvolta da tanti viticci color sangue, simili a radici. Sembrava quasi che stesse dormendo.
Strange fluttuò fino a lei, come se quel luogo non avesse il minimo accennò di gravità. Tuttavia, quando provò a toccare il corpo della Scarlet Witch, un’onda d’urto improvvisa lo spinse lontano.
<< Wanda! >> urlò, tentando di riavvicinarsi. La reazione del bozzolo fu la stessa.
Il suo compito era quello di intrappolare Wanda nei recessi della sua mente, e avrebbe continuato a compiere tale dovere con spietata efficienza.
<< Maledizione >> imprecò lo stregone.
Poi, un pensiero insolito attraversò la testa dell’uomo.
Ghidorah e Wanda…ora erano collegati. La mente del drago stava concentrando tutte le sue energie per intrappolare quella della Scarlett Witch. Una simile impresa, considerando quanto fosse potente l’ex Avenger, doveva richiedere un enorme dispendio di energie.
Forse – e questo era un forse grande quanto una casa – il drago aveva lasciato i propri pensieri senza alcuna difesa.
Strange cominciò a valutare i pro e i contro di una simile possibilità.
Logicamente, entrando nella mente del drago, avrebbe potuto analizzarne i ricordi. E forse sarebbe riuscito a trovare un punto debole con il quale avrebbero potuto sconfiggerlo.
Era un azzardo, Ghidorah poteva accorgersi di lui in qualunque momento…ma valeva la pena provare. Sperava solo che, all’esterno, i suoi compagni stessero tenendo l’idra abbastanza impegnata da impedirle di accorgersi dell’imminente intrusione.  In caso contrario…bhe, probabilmente la bestia avrebbe ridotto il suo cervello ad un colabrodo.
E così, la mente di Strange si aprì ancora una volta…vagando nel passato di Ghidorah.
  
                                                                                                                                                     * * * 

Miliardi di anni prima
 
Al di là delle possenti mura fortificate di Asgard, oltre grandi cancelli, spazi siderali e abissi, là dove l’universo e i suoi pianeti si tramutavano in territorio incolto, lì c'era una stella morta più vecchia della memoria Aesir, una landa desolata che esisteva da prima della loro nascita.
E nelle valli che si estendevano sulla superficie di quel mondo ormai caduto, paludi ghiacciate e laghi senza fondo riconducevano ad un mare di roccia. Collinette crivellate di cave e gallerie scavate nella pietra s'infilavano, come larve, nella carne di giganti morti.
In una di queste caverne, qualcosa di enorme e spaventoso era accovacciato nella sporcizia e nelle tenebre, in una possa di luce che trapelava dall'entrata della grotta.
Era una bestia grottesca, come se il suo creatore avesse avuto in mente un orrendo amalgama tra una lucertola e una grosso pipistrello delle Lune di Dagon.
Aveva occhi rossi come il sangue, e la sua ruvida criniera sembrava intessuta con fili d’oro e d’argento.
Aveva molti nomi. Qualcuno l'aveva chiamata Nimue, altri Nerthus, Dea della Pestilenza, e altri ancora Signora del Vuoto.
Per coincidenza, questa creatura era qualcosa strisciato fuori dai meandri più oscuri del cosmo, un tremendo fantasma uscito dal vuoto tra le dimensioni, creato dopo il Big Bang.
Aveva abitato a lungo nella grotta che ormai Odino chiamava la tomba dei draghi, e in occulte caverne che conducevano in luoghi indicibili. E fu presso di lei che Bor, padre dello stesso Odino, aveva generato il suo primo figlio…Ghidorah.
La creatura senza più nome non sapeva se nel grande, ampio universo, esistesse ancora qualcuno della sua razza, e così credeva di essere l'ultima.
Era una discendente dei draghi, una specie mutaforma di grande intelletto e potenza generata nei primi giorni della creazione, quando la Terra era ancora giovane, e poi cacciata dalle altre razze, spinta nel corso di innumerevoli millenni nell'oblio.
Anche lei aveva una madre, che ricorda vagamente, soprattutto quando si svegliava da un sogno o quando si addormentava. Se mai aveva avuto un padre, il suo ricordo era svanito per sempre.
Molto prima dell'arrivo degli Asgardiani, su questa terra c'erano esseri che la adoravano in templi sacri e in e in grotte segrete come quella in cui ora dimorava.
Lei aveva sempre accolto con piacere le loro preghiere e le loro offerte, i tributi e il rispetto che avevano di lei. La paura che avevano di lei la teneva al sicuro, ma non era mai stata una dea, solo qualcosa di più tremendo e di più bello dei semplici mortali.
Ora era una leggenda, intravista da quei pochi viaggiatori sfortunati che decidevano di sostare su quella stella morta.  
Piloti ed esploratori scambiavano timorosi sussurri di una bestia malefica. Ma sia lei sia tutti i suoi antenati sarebbero stati dimenticati completamente e per sempre dall'Universo… se non fosse stato per Ghidorah.
Nato deforme, dall’unione di tre cuccioli fusi assieme nel ventre della loro madre ( forse a causa del sangue asgardiano di Bor ), il futuro distruttore di innumerevoli mondi sognava con anticipazione il giorno in cui avrebbe finalmente lasciato la propria tana.
Alle sue spalle, ai confini della grotta, la sua grassa progenitrice, tanto pallida da emanare una propria luminescenza, continuava a dormire, vecchia e amareggiata nella tetra stanza sotterranea.
Megera gonfia d'anni, confusa, stremata dalla sofferenza. Colpevole, così immaginava il piccolo Ghidorah, di qualche crimine ormai scordato, forse ancestrale.
Non che il piccolo assassino possedesse ancora la lungimiranza che lo avrebbe caratterizzato in futuro.
Non era ancora in grado di analizzare i polverosi meccanismi della sua miserevole e sciagurata vita.
Quella notte, nel sonno, la madre si aggrappò a lui come per schiacciarlo.
<< Perché siamo qui? >> le chiese Ghidorah. << Perché restiamo in questa tana putrida e maleodorante? >>
La creatura lo guardò con la coda degli occhi, tremando alle sue parole.
<< Non domandare! >> implorò, attraverso le zanne. << Non domandare! >>
Una volta, il piccolo Ghidorah pensava si trattasse di un terribile segreto. Ma ora…
Le lanciò un'occhiata scaltra.
Me lo dirà al momento giusto, pensava un tempo. Ma non gli aveva mai detto nulla.  Aveva continuato ad aspettare, invano. Ma molto presto…non sarebbe più stato costretto a farlo.
Le tre teste si alzarono all’unisono, scrutando lo spazio che si stagliava oltre la caverna.
<< Un giorno ce ne andremo…e allora vedremo tutte quelle stelle! >>

                                                                                                                                                         * * * 
 
Presente
 
Strange vide molte altre cose. I primi pasti di Ghidorah, l’uccisione della madre, la sua venuta nel cosmo che c’era oltre la grotta…e poi, vide un evento che si distinse da tutti gli altri. Un incontro non visto dagli annali della storia, tra l’enorme drago e un altro mostro che per secoli aveva terrorizzato innumerevoli mondi.
Un incontro…che lasciò nel cuore dello stregone un sentimento di sorpresa e rabbia che mai avrebbe potuto cancellare.
Ora sapeva esattamente cosa doveva fare.
Mise di nuovo le mani sul bozzolo che circondava la figura della Scarlet Witch, facendo appello a tutta la sua forza per evitare di essere sbalzato indietro.
<< Apri gli occhi, Wanda >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, cominciò a condividere con la sua mente la scena a cui aveva appena assistito.

                                                                                                                                                         * * *
 
 
Alcuni secoli prima
 
Agli occhi dell’infinito, un inizio e una fine sono quasi del tutto indistinguibili.
L’esplosione che pone fine a un universo ne genera un altro. I dinosauri si estinsero nello stesso istante in cui l’asteroide che li sterminò deviò dalla sua orbita. Un uomo che muore per un colpo di pistola è morto nel momento esatto in cui il proiettile è stato creato.
Agli occhi dell’infinito, questi eventi, sebbene a distanza di ore o di milioni di anni, accadono nell’arco di tempo di un battito cardiaco di colibrì, legati assieme su una rotta tracciata dal destino. O forse dalla morte.
Seguendo questo principio, metà dell’universo morì nel giorno in cui nacque Thanos.
Tale evento ebbe luogo un venerdì di qualche secolo fa, su un piccolo pianeta chiamato Titano.
Thanos proveniva da una razza aliena nota come gli Eterni, ma per ragioni ignote nacque…diverso. Con la pelle viola, un mento deforme e una corporatura più massiccia. I suoi genitori definirono questa condizione Sindrome Deviante.
Si dice che sua madre Sui-San impazzì nel momento esatto in cui posò gli occhi su di lui…ma non è del tutto vero. Infatti, uscì di senno quando pronunciò il suo nome per la prima volta : Thanos.
Non era certo il primo nome che avrebbe voluto dare al piccolo, ma quando guardò dentro i suoi occhi neri come la pece…le uscì di getto. Non aveva mai udito quel nome prima di allora.
Vi avrebbe anche detto che la follia è una reazione perfettamente logica se si fissano gli occhi di una costante universale. Anche voi impazzireste, se partoriste una sorta di semi-Dio.
Da quel momento in poi, le cose si fecero piuttosto aggravate.
Mentre cresceva, Thanos iniziò a mutare e a sperimentare la sua biologia deviante, incrementando la sua forza, il suo intelletto e la sua crudeltà, con il solo scopo di salvare la propria razza dall’estinzione. Purtroppo fallì.
E così cominciò a vagare per il cosmo con un unico obbiettivo in mente : impedire che altri pianeti soffrissero lo stesso destino del suo, eliminando il 50% della loro popolazione.
Per fare questo, Thanos divenne un conquistatore, un tiranno, assassino di innumerevoli vite.
Ad un certo punto della sua vita, divenne anche il sovrano di Chitauri Primo, il pianeta madre del dispotico popolo dei chitauri. Forse ne avete sentito parlare: sono spaventosi.
Magari li conoscete per la loro grande armata di navi da guerra rubate e riadattate, ciascuna equipaggiata con una batteria completa di siluri di classe divoratore. Oppure avete certo sentito parlare dei Leviatani, marchio di fabbrica di questa razza, ibridi biomeccanici simili a squali stellari, utilizzati come armi. Ognuno dei quali poteva ospitare centinaia di soldati chitauri che pilotavano scialuppe leggere eclipse-drive capaci di superare qualunque corvetta.
Tutti conoscono queste cose, certo…ma il più spaventoso dei loro orrori giaceva nel basso, sulla superficie del pianeta.
Per via della sua orbita insolita e irregolare, infatti, la crosta di Chitauri Primo era quasi sempre di parecchi gradi sotto lo zero. I chitauri non sembravano preoccuparsene.
Infatti, nei loro famigerati tornei tra gladiatori, gli spruzzi di sangue che schizzavano dai combattenti spesso gelavano a mezz’aria, creando piccoli turbini di incantevoli cristalli rossi.
La neve da guerra, così la chiamavano. Veniva raccolta e data da mangiare ai chitauri ancora giovani, un adeguato primo passo nel congiungimento a un’antica stirpe di guerrieri macellai che avevano scolpito l’invincibile nome di Chitauri Primo nell’universo per centinaia di anni.
Ghidorah aveva quasi del tutto dimenticato le storie su questa razza…finchè non era giunto sul loro pianeta appena due ore fa.
<< Chi è il vostro re? >> sibilò la testa centrale della bestia, di fronte all’enorme montagna di cadaveri che aveva di fronte. Attorno a lui, migliaia di cristalli rossi galleggiavano nel vuoto.
Un chitauro decisamente più grande degli altri, armato di una grossa alabarda, compì un passo oltre i corpi morti dei suoi fratelli.
<< Io sono il re, Lord Ghidorah >> disse con tono rispettoso.
L’enorme drago lo fissò con uno sguardo impassibile. Poi, arricciò le labbra in un sorriso malefico.
<< Bugiardo >> disse attraverso le zanne, facendo sussultare l’alieno.
<< No…no, lo giuro! Ti prego, posso darti… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase. Un fascio di gravitoni lo ridusse rapidamente ad un mucchietto di cenere fumante.
 << I re non implorano >> commentò Ghidorah, con fare sprezzante.
Si voltò verso il resto dell’esercito chiaturi, pronto a riversare su di loro lo stesso destino. Tuttavia, prima che potesse farlo, una figura ben distinta si fece strada tra la folla.
Il drago osservò con curiosità mentre l’esercito alieno si apriva a mò di ventaglio, permettendo al nuovo arrivato di passare senza impedimenti.
Era alto circa tre metri, con una corporatura muscolosa ricoperta da un’armatura d’oro. Tratto distintivo erano sicuramente la pelle viola e la possente mascella, il cui mento era adornato da profonde incisioni che percorrevano anche parte del volto.
Ghidorah non aveva mai visto una creatura simile e si ritrovò a sogghignare per la piacevole scoperta.
<< Sei venuto a salvare i tuoi soldati? >> chiese con tono beffardo, consapevole che questo alieno fosse il vero comandante dell’esercito che aveva affrontato per le ultime due ore.
La creatura si fermò di fronte ai chitauri ancora in vita, stringendo ambe le palpebre degli occhi.
 << No…Sono venuto per te >> rispose freddamente.
La testa di sinistra scoppiò in una sonora risata, mentre quella di destra si leccò le labbra con anticipazione.
 << Interessante >> commentò quella centrale, scrutando attentamente il misterioso avversario.  << Ti aspetti davvero di potermi sconfiggere senza un arma? >>
<< Anche senza un’arma, io rimango comunque Thanos di Titano. E per te, creatura…basto e avanzo! >> urlò con determinazione.
E poi lottarono. Lottarono per i successivi tre giorni, modificando la superficie del pianeta sotto la potenza dei loro assalti, come abili scultori di morte.
I chiaturi rimasero a fissarli durante l’intera durata dello scontro, spettatori inermi di fronte ad una coppia di dei…Fino a quando Ghidorah non cominciò ad avere la meglio.
L’idra e Thanos si fissarono l’un l’altro, feriti e ansimanti, anche se il drago era sicuramente quello messo meglio tra i due, grazie al suo fattore rigenerante.
<< Possiedi grande potere e volontà, giovane titano. Lo ammetto, la tua prestazione mi ha colpito non poco >> disse la testa centrale, apparentemente soddisfatto dalla piega che avevano preso gli eventi. Dopotutto, era da molto tempo che non combatteva un avversario degno del suo tempo.
Thanos sputò un rivolo di sangue.
 << Le campagne più difficili richiedono spesso una forte volontà >> borbottò con voce stanca, suscitando uno sguardo incuriosito ad opera del drago.
<< E di quale campagna ti stai occupando, se posso chiedere? >>
E fu così che l’ultimo membro dei titani raccontò a Ghidorah la propria storia, gli eventi che avevano portato alla distruzione del suo mondo e la missione che si era imposto dopo la morte dei suoi cari. Non tanto per intrattenere la creatura quanto, piuttosto, per prolungare la propria vita in qualunque modo ritenesse necessario.
<< Un obbiettivo interessante…e piuttosto nobile, ad essere sincero >> commentò l’idra, una volta che il signore della guerra ebbe finito il racconto.
Suo malgrado, Thanos si ritrovò a sorridere.
<< Le tue parole mi rincuorano, non sono in molti a vedere il bene che sto cercando di fare. Anche se, negli ultimi tempi, ho cominciato a dubitare dell’efficienza del mio operato >> disse con un sospiro rassegnato.
Ghidorah inarcò un sopracciglio, aspettando pazientemente che il titano elaborasse ulteriormente una simile dichiarazione.
 << Sono solo una persona, o grande drago…e nel cosmo vi sono innumerevoli mondi. Anche se dedicassi ogni secondo della mia vita a scovarli e sanarli…non riuscirei a scalfire nemmeno la superficie di questo vasto universo >> ammise quasi con riluttanza, per poi abbassare lo sguardo sulle sue mani coperte di sangue congelato. << Forse dovrei fermarmi. Dopotutto…come posso competere con l’ineluttabile? >>
Con sua grande sorpresa, tuttavia, la testa centrale di Ghidorah abbaio una forte risata, suscitando sguardi sconcertati ad opera delle altre due.
<< Ah, Thanos…perché mai dovresti fermarti? Tu li migliori, ragazzo mio! Non te ne rendi conto? Li stimoli! >> esclamò la bestia, allargando le immense ali. << Li costringi a pensare e pianificare. Ispiri in loro  scienza, religione, tutto ciò che li rende ciò che sono, finché dureranno. Tu sei, per così dire, la minaccia attraverso cui imparano a definirsi. L'esilio, la cattività, la morte da cui rifuggono, la prova lampante della loro mortalità, del loro abbandono. E tu fai in modo che lo riconoscono, che l'abbraccino! >>
Porse un arto in avanti, indicando Thanos con il suo unico artiglio. Il tutto mentre il giovane titano lo ascoltava rapito.
 << Tu sei la vita, o almeno una sua rappresentazione: inseparabile come lo scalatore e la montagna. Se ti allontani verrai immediatamente sostituito, certo…ma non sarà la stessa cosa. Di minacce l’universo ne ha già molte, ma nessuna di esse è come te : tu porti morte per dare la vita! Bando ai sentimentalismi, dunque. Se lo scopo ultimo del tuo progetto è la vita, non abbandonarlo! Spaventa le varie razze sparse per il cosmo, finché non raggiungeranno la gloria! Non c'è differenza alla fin fine: materia e movimento, semplice e complesso. Non fa alcuna differenza. Morte, trasfigurazione. Cenere alla cenere. Morte…che porta nuova vita >> terminò con un sussurro.
Thanos abbassò lo sguardo, apparentemente contemplando le parole dell’idra.
Dopo qualche attimo di silenzio, alzò la testa e chiese : << Anche se quello che dici fosse vero…il mio tempo, in quanto creatura mortale, è comunque limitato. Come può il mio lavoro essere di qualche importanza, nel grande schema delle cose? >>
<< Una domanda legittima. Avresti bisogno di un modo per agire su…scala più vasta, per così dire. E forse io ne conosco uno >> rispose Ghidorah.
Thanos inarcò un sopracciglio.
 << Ovvero? >> domandò incuriosito.
Al contempo, sui volti della bestia cominciarono a formarsi sorrisi agghiaccianti.
<< Le Gemme dell’Infinito, oggetti di grande potere >> rivelò il drago, suscitando un inclinazione della testa ad opera del signore della guerra.
<< Non ho mai sentito parlare di una cosa del genere >> disse Thanos, con aria dubbiosa. << Inoltre, non vedo in che modo potrebbero essermi utili. Possiedo già il potere di distruggere mondi >>
Se possibile, il ghigno della testa centrale sembrò farsi più grande.
<< Il tuo intuito è acuto, la tua mente forte, eppure la tua istruzione è carente. Non hai mai sentito parlare dei Celestiali? >>
<< No >> ammise Thanos, senza un attimo di esitazione.
La luce della rivelazione lampeggiò negli occhi di Ghidorah. Si leccò le labbra con la lingua biforcuta, puntò un artiglio trionfante verso il cielo e cominciò a narrare.
<< All’indomani della creazione dell’universo, sorsero i Celestiali! Esseri d’enorme potere, statura e influenza. Essi sono per noi ciò che le divinità sono per le formiche, più potenti persino dei formidabili Asgardiani. Secondo alcuni, furono generati nel calore del Big Bang, mentre altri sostengono che iniziarono a esistere miliardi di anni dopo, prima della nascita dell’intelligenza e delle civiltà in tutto l’universo. Indipendentemente dalle loro origini, furono la prima tra le grandi specie a errare tra le stelle. E possedevano la capacità di maneggiare le Gemme dell’Infinito. Le Gemme erano i resti di un cosmo che era esistito prima del nostro : sei singolarità sopravvissute al Big Bang, forgiate da esseri inimmaginabili nella forma di lingotti puri. Ciascuna aveva una caratteristica legata a un aspetto specifico dell’universo in quanto tale : Spazio, Tempo, Realtà, Mente Anima e Potere.
Col passare del tempo, il giovane universo maturò e i lingotti passarono nelle mani di esseri dalle facoltà immense, come i Celestiali e i loro simili. Furono modificate e trasformate, finchè non divennero sei grandi Gemme, ognuna capace di conferire al possessore un potere pressoché illimitato nell’ambito che la riguardava. E col passare degli eoni, le pietre andarono perdute, una dopo l’altra, entrando nel reame della leggenda, poi del mito…e infine, nell’oblio. Oggi, ben pochi sanno cosa sia una Gemma dell’Infinito, e persino coloro che lo sanno non credono necessariamente nella loro esistenza. Ma lo sanno, Thanos…
loro lo sanno! >>
Durante quell’intera parabola, Thanos si era piegato in avanti, i gomiti poggiati sulle ginocchia e i polpastrelli congiunti di fronte al viso accigliato. La sua fronte era corrugata dalla concentrazione.
Era, naturalmente, una storia ridicola. Assurda.
Accantonò l’idea stessa di quegli oggetti. Non trovavano posto nell’universo razionale per come lo conosceva. Erano…una favola. Un racconto della buonanotte per bambini creduloni, gli unici che potessero prendere per vera l’esistenza di tali artefatti nel cosmo.
Eppure, questa creatura millenaria dalla mente acuta e dal grande potere…ci credeva.
<< Sei gemme >> scandì con lentezza, come per compararne la veridicità. << E ognuna di loro controlla un aspetto diverso dell’universo >>
<< Esattamente >> confermò Ghidorah. << La Gemma dello Spazio, per esempio, è blu. Credo fosse quella posseduta un tempo da Odino, anche se ho sentito una storia interessante su come poi la spedì su un qualche pianeta primitivo di cui ora mi sfugge il nome. Una specie di ghetto cosmico, direi. Nulla su cui valga la pena soffermarsi, tranne per il fatto che là potrebbe davvero celarsi una Gemma dell’Infinito. E poi c’è la Gemma dell’Anima, di cui tuttavia ignoro la posizione. La Gemma della Realtà, invece, fu sottratta dall’Elfo Oscuro Malekith durante una delle molte guerre di Svartalfheim contro Asgard. La chiamavano Aether, e fu strappato loro da Bor, padre di Odino, che lo nascose lontano da ogni essere vivente perché era troppo potente per poterlo affidare a chiunque. E poi vi è la Gemma del Tempo, che andò persa millenni fa, nelle mani di uno Stregone che si chiamava l’Antico. E poi c’è la Gemma della Mente, che… >>
<< Ti aspetti davvero che io creda a tutte queste sciocchezze? >> lo interruppe Thanos. << Pietre antecedenti all’universo stesso? Che controllano le forze fondamentali della realtà? >>
<< Credi pure a ciò che vuoi >> sbuffò Ghidorah. << All’universo non importa in ogni caso >>
Il giovane titano strinse la possente mascella.
<< Se queste Gemme esistono, perché non sono utilizzate più spesso? >>
Ghidorah scoppiò in un breve accesso di autentica allegria.
<< Sono nascoste, Thanos … >> rispose come se stesse dando una lezione a un bambino, << perché troppo potenti. E perché i Celestiali e l’Altro, colui che i Celestiali temono, sorvegliano le Gemme da lontano >>
<< Le hai mai cercate? >> chiese il titano, visibilmente incuriosito.
Ghidorah sbuffò una seconda volta.
<< Sono troppo occupato a cercare pianeti da consumare, non ho mai avuto il tempo per intraprendere una simile impresa >>
Detto questo, sorrise verso il signore della guerra e lo indicò.
<< Ma tu, Thanos, con il tuo obbiettivo e la tua perseveranza…potresti riuscire dove in molti hanno fallito >> terminò con tono di fatto.
Thanos rimase fermo e immobile, il volto adornato da un’espressione sospettosa.
<< Mettiamo che io ci riesca…che cosa ci guadagneresti? Perdona l’insolenza, ma non sembri davvero il tipo che si preoccuperebbe della salvezza dell’universo >> osservò.
Ghidorah si limitò a sorridere.
<< Al contrario, giovane titano! Perchè quanti più mondi sopravvivono…tanto io mangio >> sogghignò malignamente, suscitando un brivido lungo la spina dorsale dell’alieno.
E questa, per quanto fosse egoista, era una motivazione che Thanos avrebbe attribuito senza problemi a quella malevola creatura.
 
                                                                                                                                                     * * * 

Presente
 
Secoli dopo, Wanda Maximoff vide tutto questo…e provò rabbia. Una rabbia così intensa da eguagliare quella stessa collera che cinque anni prima aveva scatenato su Thanos, colui che aveva assassinato il suo primo e unico amore.
Gli occhi della donna illuminarono di rosso. Il mondo attorno a lei e Strange cominciò a crollare, mentre i viticci che la legavano iniziarono a spezzarsi.
 



Yep…è stato Ghidorah a parlare a Thanos delle Gemme dell’Infinito, in questo mio universo letterario. Questo significa che, anche se indirettamente, il nostro drago tricefalo è responsabile della morte di Visione e tutto quello che è accaduto durante le Guerre dell’Infinito.
Inutile dire che Wanda NON è affatto contenta.
E sì, Ghidorah è il figlio illegittimo di Bor, padre di Odino, il che lo rende a sua volta fratellastro di Odino e zio acquisito di Thor e Loki.
E se vi sembra strano che Bor si sia accoppiato con la madre di Ghidorah, lei era una mutaforma, e ricordate che nei miti originali Loki ha generato un serpente gigante, un cavallo a sei zampe, un lupo gigante ecc…
Insomma, non è la cosa più strana che un asgardiano abbia mai fatto.
E qui, come promesso, il video comico da me realizzato con King Ghidorah : https://www.youtube.com/watch?v=V3H7yzPp3wM&t=112s

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Ok, ragazzi…this is it. Il capitolo finale della  storia, prima dell’epilogo. È stata una lunga cavalcata, ma ciò che succederà nel prossimo aggiornamento dipenderà anche da voi.
Ho in mente una sorta di sequel. Un maxi-evento crossover che, in teoria, dovrebbe collegare questa storia, So Wrong e altre due fan fiction in lavorazione.
A introdurre la cosa saranno alcune “ scene post-credit ” nell’epilogo, che scriverò solo se risponderete ad una domanda, rivolta anche a coloro che mi hanno seguito fino ad ora senza mai commentare : volete che succeda? Questo maxi evento ha già una trama di base e un antagonista principale, ma sarà un lavoro complicato, quindi voglio essere sicuro che l’idea vi attizzi almeno un po’.
Detto questo, vi auguro una buona lettura e vi invito a farmelo sapere nei commenti!
Questo è stato sicuramente il capitolo più difficile da realizzare. Dopotutto, è facile scrivere l’inizio di una storia…ma i finali sono davvero complicati, perché devi cercare in tutti i modi di accontentare le aspettative dei lettori.
Spero di esserci riuscito!
 


Capitolo 15
 
Sharon Carter si rialzò in piedi, notando che la sua uniforme blu si era stracciata a metà, penzolando sul fianco destro del corpo. Quindi, si accorse delle gocce di sangue che avevano cominciato a sporcarle le mani.
La donna si era unita al resto dell’aviazione per assistere la flotta wakandiana durante la battaglia aerea contro Ghidorah. Poco dopo, il Quinjet era stato colpito dall’esplosione di gravitoni dell’alieno, costringendola ad un atterraggio di emergenza in un quartiere devastato della città.
Non era certo uscita indenne dall’esperienza, ma almeno poteva consolarsi con il fatto che fosse sopravvissuta laddove così tanti piloti avevano perso la vita.
Si toccò all’altezza delle narici, colta da un dubbio fulmineo, e lì ebbe conferma che…sì, stava sanguinando dal naso.
“Poteva andare peggio” si trovò a pensare, mentre il liquido ematico le scivolava lungo il mento e la gola.
Le venne da ridere, coinvolta da un improvviso impulso d’ilarità. Subito, però, un conato di tosse la costrinse a chinare il collo in giù ed eruttare una decisa sequenza di versi cavernosi che non auspicavano a nulla di buono.
A ogni colpo di tosse, esplosioni di liquido denso e caldo risalivano le pareti del suo esofago, costringendola ad assaporare il gusto ferroso del sangue, che lei sputò fuori in grumi di materia rossastra e schiuma salivale.
<< Oh cavolo … >>
Trovò la forza di issare il capo e guardare in avanti: centinaia di corpi bruciati adornavano le vie della città.
Alcuni si stavano rialzando, scossi e provati, altri rimanevano stoicamente al suolo.
Erano privi di sensi? In coma? Morti? Sharon non aveva modo di capirlo.
A un tratto il suo corpo fu percosso da altri spasmi, e le gambe iniziarono a tremarle come non mai.
Ora che l’eccitazione del momento stava via via sbiadendo come una macchia di fango diluita nell’acqua, poteva ascoltare con assoluta limpidezza dei sensi il dolore fisico che lambiva il suo corpo.
Fu allora che l’onda d’urto la investì con la stessa potenza di un treno in corsa.
Un urlo assordante, che molti degli Avengers avevano imparato ad associare al latrato della follia, si espanse su tutto ciò che rimaneva della devastazione di New York.
A esso seguirono quelle dei cittadini sopravissuti, più acute e stridenti. Grida di paura, che si disperdevano ovunque, tra chi era in cerca di un riparo e chi, fuori, aveva assistito all’epica battaglia tra Ghidorah e i paladini della terra.
Le tre teste del drago si alzarono all’unisono, attirate da quel grido demoniaco.
<< Impossibile >> sibilò quella centrale.
Solo poche persone, nella città, scambiarono l’esplosione di energia telecinetica  per un tuono.
Il tuono era come artiglieria pesante in cielo. Il boato, al contrario, echeggiò come un gigantesco colpo di fucile.
La metà spezzata dell’Empire State Building si sollevò da terra, sostenuta da un bagliore rosso.
Si alzò per circa cento metri, simile a una rampa dal dolce pendio, rimanendo sospesa nel vuoto dell’aria.
L'estremità nord del ponte George Washington  fu sradicata dal suo basamento e tutta la struttura si ripiegò di traverso nel fiume Hudson, la cui piena era ormai al culmine. Il lato sud piombò al di sopra di un quartiere, mentre quello opposto si unì all’Empire.
Civili, Avengers, lo stesso Ghidorah… si girarono tutti a guardare la colonna scarlatta che si elevava nel cielo come un’eruzione vulcanica.
Il fragore fu spaventoso e, per un istante, tutte le finestre della città si animarono di una luce soprannaturale in cui si mescolavano magenta e blu. Poi, appena pochi secondi dopo, si sprigionò l’onda d’urto, passando attraverso le finestre, attraverso le porte, attraverso le prese d'aria, come mille braccia muscolose e senza pietà.
Il tetto di una fabbrica si sollevò tutto insieme come una strana astronave coperta di tegole, sorretto da un cuscino di fiamma, dopodiché si sbriciolò in centomila frammenti. Centinaia di edifici subirono lo stesso destino, mentre la figura di Wanda Maximoff si stagliava al centro della catastrofe.
La donna covava dentro di sé un odio primordiale. Odio per Ghidorah e per le macerie, la cui coltre di fuliggine si levava da quella che un tempo era la città più prospera degli Stati Uniti. Odio per il mostro e per i lamenti dei disperati, cui corpi stramazzati a terra tingevano di sangue i pavimenti delle strade. Odio per il mostro e, semplicemente, per la sua esistenza, che aveva inevitabilmente portato alla morte dell’amato.
L’Empire State Building e la metà del ponte sospeso vennero scagliati a tutta forza contro Ghidorah, sostenuti da una collera che solo Hulk avrebbe potuto eguagliare.
Il drago, troppo sorpreso per reagire in tempo, venne scagliato all’indietro dalla forza dell’impatto, lontano dagli sguardi sbigottiti degli Avengers.
La creatura atterrò sulla schiena, ruggendo per la rabbia e il dolore, mentre Wanda planava di fronte ad essa e si posava sulla cima di un edificio caduto.
Scrollandosi di dosso le macerie che tentavano inutilmente di tenerlo a terra, il mostro tricefalo si risollevò in tutta la sua altezza.
La testa centrale fissò Wanda, intensamente, perdendosi nell’abisso sconfinato che era il suo odio, come se stesse ragionando su qualcosa, architettando un nuovo e machiavellico piano.
<< Interessante…nessuno è mai riuscito a sottrarsi volontariamente al mio controllo mentale. Ti ho sottovalutato, strega >> disse con tono vagamente impressionato.
 << E questo sarà il tuo ultimo errore >> ribattè la donna, illuminando le mani con un familiare bagliore scarlatto.
La creatura le lanciò un’occhiata scaltra.
<< Su questo non posso che essere concorde >> disse allargando ambe le ali, con fare intimidatorio. << Sono più potente che mai, e l'ultima volta ci siamo scontrati sei riuscita a malapena a reagire >>
<< Che strano. Non è quello mi ricordo io >> sibilò Wanda, con un ghigno provocatorio.
Gli occhi di Ghidorah vennero attraversati da un luccichio di rabbia.
<< Permettimi di rinfrescarti la memoria >> ringhiò attraverso i denti.
Si lanciò in aria, caricando la strega come un bulldozer. L’ex Avengers fece lo stesso, utilizzando una spinta telecinetica per sollevarsi da terra.
I due avversari si incontrarono a mezz’aria, generando un’onda d’urto che sprigionò lampi dorati e scarlatti in ogni direzione, illuminando il centro di New York.
Strange apparve a pochi passi dagli Avengers, affiancato da Wong.
<< Non riuscirà a tenerlo impegnato per molto tempo. Dobbiamo liberarci di Ghidorah prima che la Terra collassi definitivamente su se stessa >> disse lo stregone, lo sguardo fisso in direzione della battaglia titanica che si stava svolgendo sopra di loro.
Rocket rilasciò un sonoro sbuffo.
<< E come pensi che dovremmo fare? Gli abbiamo tirato addosso tutto quello che avevamo! >> urlò stizzito, puntando furiosamente verso le figure esanimi di Carol e Thor.
Strange passò lo sguardo sul gruppo di supereroi, soffermandosi sui loro aspetti stanchi, malmessi…sui corpi senza vita di Rhodey, Bucky e Drax, nonché di quelli di molti dei suoi accoliti.
Fu invitato dall’impulso a voltarsi per guardare intorno a sé le conseguenze dello scontro, ma non ne ebbe il coraggio. Osservare la sua amata città cadere a pezzi una struttura alla volta era stato un tormento già di per sé insopportabile.
Come avrebbe fatto ora a fissare con gli stessi occhi l’inferno che si dispiegava tra quelle strade, tra le fiamme alte che lambivano i cieli e i raggi della luna che tracciavano contorni sugli scheletri di ciò che restava di New York? Per non parlare dei cadaveri. Tutti quei corpi privi di vita che ora sarebbe spettato a loro prelevare e seppellire?
Per evitare di cedere all’impulso, fissò la terra davanti a sé per un lasso indefinito, ripiombando in quella specie di trance che gli aveva tenuto compagnia anche in un tempo precedente, quando aveva perso l’uso delle mani.
Sentì una stretta al cuore ma procedette a soffocarla. Non era questo il momento di dolersi, non quando Wanda aveva dato loro l’opportunità di ribaltare la situazione.
<< Penso di avere un’idea >> disse con determinazione ritrovata. << Non abbiamo la potenza di fuoco necessaria per sconfiggerlo…ma possiamo comunque portarlo in un posto in cui non potrà fare del male a nessuno, almeno per un po’ >>
Sui volti dei vari supereroi iniziarono a manifestarsi espressioni visibilmente confuse.
Tutti loro cominciarono a prendere in considerazione le parole dell’uomo, cercando di comprenderne il significato nascosto. Alla fine, fu Wong ad intuire il piano dello stregone.
<< Vuoi teletrasportare quella cosa nello spazio? >> chiese incredulo, suscitando sguardi sorpresi ad opera degli altri.
Strange annuì in conferma.
<< Su Titano, per essere precisi. Si può fare? >>
<< Bhe…In teoria sì… >> rispose Wong, << ma avremo bisogno di tutti gli stregoni a disposizione per creare un portale abbastanza grande da permettere il trasferimento. Inoltre, qualcuno dovrà farcelo cadere dentro >> aggiunse con voce riluttante.
I vari combattenti iniziarono a guardarsi attorno. Avevano la forza per compiere un atto del genere? Anche dopo tutto quello che era successo?
Thor rilasciò un sospiro stanco.
<< Anche se riuscissimo a fare una cosa del genere, a lunga andare sarebbe del tutto inutile. Prima o poi, Ghidorah tornerebbe semplicemente su questo pianeta…e quando lo farà, sarà pronto a contrastarci >>
<< E noi saremo pronti per lui >> argomentò Carol, ricevendo un’occhiata poco convinta da parte di Sam.
<< Davvero? Perché dubito fortemente che avremo ciò che ci serve per ucciderlo prima di allora >> borbottò l’Avenger, con tono di fatto.
La donna imprecò sottovoce, ben consapevole che le parole dell’eroe fossero vere. Per quanto odiasse ammetterlo, non avevano la forza bellica per contrastare un essere del genere.
E anche se fossero riusciti a fermarlo per un po’…sarebbe stato giusto parlare di vittoria, quando la città era ridotta in cenere e le vittime attendevano solo il loro momento per essere celebrate e sepolte?
Per giunta, ciò che la fece stare più male fu la consapevolezza di sapere che l’incubo non era ancora finito.
Ghidorah era soltanto una delle numerosissime minacce sparse per il cosmo. Questo significava che presto ne sarebbero arrivate altre. Forse, chissà, molto prima di quanto potevano mai immaginare.
Per troppo tempo lei e il resto degli Avengers avevano sorvolato su quella realtà, convinti che dopo Thanos sarebbero riusciti ad affrontare ogni cosa.
Ma si erano sbagliati, e per questo molti avevano patito e sofferto.
“È stata colpa nostra. Siamo stati incauti…Non doveva finire così!”
<< E se lo teletrasportassimo da qualche altra parte? >> si intromise Scott, interrompendo i suoi pensieri.
La reazione fu istantanea. Gli eroi raccolti presero a fissare lo scienziato con espressioni stranite.
<< Ad esempio? >> chiese Jessica, scrutandolo scetticamente.
Lang si limitò a scrollare le spalle.
<< Dentro ad una stella >> rispose, sorprendendo ulteriormente il gruppo. << Pensateci! Nemmeno una creatura dotata di un simile fattore rigenerante riuscirebbe a sopravvivere ad una cosa del genere >>
Tutti si voltarono in direzione di Strange, aspettando o meno la conferma che un simile piano potesse funzionare.
Lo stregone si portò una mano al mento, in profonda contemplazione.
<< L’idea è buona, ma sfortunatamente irrealizzabile >> disse dopo qualche attimo di silenzio. << Ho bisogno di avere una visione chiara del luogo in cui lo sto mandando…e sfortunatamente non ho mai visto una stella da vicino in tutta la mia vita >>
<< Io sì! >> esclamò all’improvviso Mantis.
Strange la guardò stranamente, seguito dal resto dei Vendicatori.
<< E questo mi aiuta in quale modo? >> domandò perplesso.
L’aliena sorrise timidamente, agitando le dita della mano destra. Queste cominciarono a illuminarsi di un debole bagliore, fenomeno che si estese anche alla punta delle sue antenne.
<< La mia specie può instaurare un collegamento telepatico con individui di altre razze. Potrei inviare le immagini di una stella direttamente nel tuo cervello >> offrì con determinazione, desiderosa di vendicare la morte di Drax.
Dopo aver ascoltato la sua spiegazione, Strange lanciò un’occhiata in direzione di Wong. Questi si strinse nelle spalle, come se stesse appoggiando l’idea. In fondo…che cos’avevano da perdere?
<< Allora…Problema risolto? >> domandò Quill, ancora sostenuto da Gamora.
Affianco a Thor, Jane scosse la testa in negazione.
<< C’è ancora il problema della gravità >> disse l’astrofisica. << Non puoi aprire un portale di simili dimensioni troppo vicino ad una stella, rischieresti di distruggere il pianeta a causa dell’immensa forza gravitazionale esercitata dal corpo celeste >>
<< Ha ragione. Ci servirebbe un modo per spingere Ghidorah dentro l’orbita della stella  >> confermò Bruce, suscitando espressioni sconsolate ad opera del gruppo.
Un silenzio inesorabile sembrò calare sull’intera zona, nonostante il frastuono generato dallo scontro tra Wanda e Ghidorah. Era come se una mano fantasma, cupa e senza forma, fosse caduta su tutta la città, a testimonianza del fatto che non vi era più possibilità di salvezza.
Questo, almeno, fino a quando Thor non richiamò l’attenzione del gruppo.
<< Di questo non avete di che preoccuparvi >> disse con un sorriso rassicurante.
Strange inarcò un sopracciglio. 
<< E perché, di grazia? >> chiese sospettosamente.
Se possibile, il ghigno sul volto del tonante sembrò allargarsi.
<< Perché mi è venuta un’idea >> rispose questi. << Una che ci permetterà di compiere la suddetta impresa senza rischiare la sicurezza della Terra >>.
Stephen strinse gli occhi, cercando di trovare nella dichiarazione dell’asgardiano il minimo segno di bugia e esitazione. Non ne trovò nessuno, ma non per questo si sarebbe fidato cecamente delle parole del tonante. Dopotutto, non era certo conosciuto per essere la mente più acuta tra gli Avengers.
Notando l’esitazione dello stregone, Thor gli posò una mano sulla spalla con fare rassicurante.
<< Fidati di me, non ne rimarrai deluso. Devi solo tenere il portale aperto abbastanza a lungo da permettermi di attuare il piano >> disse seriamente.
Strange rimase in silenzio per circa mezzo minuto, a contemplare gli occhi dell’asgardiano.
<< …Farò come chiedi >> disse infine, con un rapido cenno del capo.
Porse la mano verso Mantis e questa la afferrò senza esitazione. Poi, aprì un portale e vi entrò, seguito rapidamente da Wong e dagli accoliti sopravvissuti. Il resto degli Avengers rimase indietro.
Nebula si affiancò a Thor, lanciandogli un’occhiata laterale.
<< Allora, hai intenzioni di rivelarmi questo tuo grande piano, o dio del tuono? >> chiese con ambe le braccia incrociate davanti al petto.
L’asgardiano si limitò a sorriderle.
<< Semplice. Mi lancerò contro Ghidorah, lo spingerò dentro il portale e lo trascinerò direttamente nella stella >>
<< Sì, buona fortuna >> sbuffò Gamora. << La forza di gravità vi trascinerebbe entrambi al suo interno. Sarebbe un suicidio >>
<< Ne sono consapevole >> rispose il tonante, prendendo la Zen Whoberi in contropiede.
A pochi passi da lui, Matt aveva monitorato il battito di Thor dall’inizio della sua conversazione con Strange.
<< Interessante, la cosa non sembra preoccuparti >> osservò impassibile, non percependo nell’uomo alcun segno di paura o disagio. << Deduco che tu abbia ideato un modo per evitarlo >>
<< Sbagliato >>
La risposta fece incespicare tutti i presenti.
Nebula inarcò un sopracciglio, scrutando attentamente il volto assolutamente sereno dell’asgardiano.
<< Ma allora… >>
Sì fermò di colpo. Poi, una realizzazione sconvolgente cominciò a farsi strada all’interno del suo cervello. La stessa conclusione a cui iniziarono ad arrivare anche il resto dei Vendicatori.
<< No… >> sussurrò a bassa voce, mentre Thor si girava verso di lei con  un  sorriso triste.
 << Nebula, sai che è l’unico modo >> disse con un accenno di rammarico.
La cyborg strinse ambe le palpebre degli occhi, compiendo minacciosamente un passo in avanti.
 << No! >> ripetè con maggiore forza, suscitando un sospiro da parte del tonante.
<< Nebula… >>
<< Mi rifiuto di accettarlo! >> ringhiò la donna, afferrando le spalle dell’asgardiano e costringendola a fissarlo. << Non ti permetterò di sacrificare la tua vita. Ho già perso i miei genitori, il mio popolo, il mio pianeta, mia sorella…non perderò anche te! >>
Il suo volto iniziò a essere rigato da piste di lacrime calde e angosciate.
Thor le si avvicinò e si accucciò davanti a lei, facendo quello che in altre circostanze non avrebbe mai osato fare: la strinse tra le sue braccia, lasciando che le sue emozioni fluissero fuori dal corpo.
Inizialmente sorpresa dal gesto, Nebula si strinse a lui e affondò il proprio volto nel suo petto, incapace di sottrarsi a quel contatto.
<< Ti prego! Non devi più niente a questo mondo! Gli hai dato già tutto >> continuò tra i singhiozzi, mentre Thor le accarezzava dolcemente la schiena, nel tentativo di confortarla.
<< Non tutto…non ancora >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
( Track 16 : https://www.youtube.com/watch?v=qD9ZphPkDhI )
La cyborg alzò la testa di scattò, fissandolo con i suoi grandi e umidi occhi neri.
Sul malgrado, Thor si ritrovò rallegrato dall’affetto che vide in loro. Un affetto che in quel momento era rivolto a lui e solo a lui, lo stesso che aveva scrutato per l’ultima volta circa cinque anni fa, nello sguardo di sua madre.
<< Ho visto tante cose, Nebula. Cose che i mortali potrebbero solo immaginarsi >> cominciò con tono pesante.  << Ho visto innumerevoli pianeti, alcuni belli e altri brutti. Ho visto Asgard finire e creazioni bruciare. E ho combattuto tante guerre…preso così tante vite. Ho fatto cose più gravi di quello che pensi, e quando chiudo gli occhi sento più urla di quanto qualcuno potrà mai contare >>
Sorrise mestamente, in modo quasi ironico.
<< E sai che ci faccio con questa pena? Devo proprio spiegartelo? >> disse ,alzando la mano destra e chiudendola in un pugno vigoroso.<< Me la tengo stretta, finchè non mi brucia le mani… e dico a me stesso una sola cosa: “Nessun altro dovrà mai…mai più vivere così. Nessun altro dovrà più provare questa pena. Non se posso evitarlo” >>
Detto questo, cominciò ad accarezzargli lentamente la guancia, asciugando le lacrime che ancora cadevano copiose dagli occhi della cyborg.
<< Perdere la vita per ciò che si ama…sarebbe il più grande degli onori >> finì, riversando in quelle ultime parole tutta la convinzione di cui era capace.
Nebula si separò dall’abbraccio di Thor, attonita, considerando che non si sarebbe mai immaginata di ricevere conforto da uno come lui. Ma in quel momento, osservandone il viso che sorrideva malinconicamente mentre aspettava che lei si riprendesse, capì con assoluta certezza che, dopo anni di lotte e innumerevoli sofferenze, aveva finalmente trovato qualcuno che la capisse davvero. Un compagno pronto a difenderla contro le difficoltà del futuro.
Poi, lentamente, quasi con esitazione, la cyborg si spinse in alto con la punta dei piedi…e lo baciò.
La luna apparve brevemente oltre le nubi della tempesta, un raggio per volta, per poi inabissarsi nei misteri della coltre lontana e temporalesca. Su tutta New York calò la tetra notte, mentre la donna proiettava il corpo in avanti e si stringeva ulteriormente a quello del dio.
Thor rispose al bacio, coppando delicatamente il volto di Nebula, approfondendo il contatto.
Poi si separò, continuando a fissarla dolcemente.
 << Dormirai al sicuro, stanotte. Tutti voi >> disse voltandosi verso il resto degli eroi raccolti. Avevano tutti espressioni cupe in volto, ormai pienamente consci di quello che l’asgardiano avrebbe cercato di fare per salvarli tutti.
<< Potrebbe esserci un altro modo >> borbottò Spiderman, senza troppa convinzione.
Il tonante scosse semplicemente la testa.
<< Non c’è. Non in questo caso >> disse con tono di fatto.
L’arrampica muri-abbassò lo sguardo a terra. << Non è giusto >>
<< La vita lo è raramente >> ammise il tonante, cimentandosi in una risata priva di allegria.
Carol, che aveva assistito al confronto tra lui e Nebula con il cuore pesante, si staccò brevemente da Peter e compì un salutò militare.
Avrebbe voluto poter aiutare, assistere l’Aesir in qualche modo, ma l’ultimo attacco di Ghidorah l’aveva prosciugata di ogni oncia di energia. L’unica ragione per cui l’asgardiano era ancora capace di combattere…era dovuta alla sua natura di dio del tuono.
<< È stato un onore…Thor, figlio di Odino >> disse con un sorriso triste, venendo rapidamente imitata da Frank, Daisy e Sam. Tutti loro avevano prestato servizio militare…e avrebbero onorato il sacrificio del guerriero nell’unico modo che ritenevano consono : riconoscendolo ufficialmente come un compagno d’armi.
Rocket balzò in avanti, abbracciando la gamba del tonante.
<< Mi mancherai, riccioli d’oro >> disse con il muso bagnato dalle lacrime, mentre Groot gli posava una mano sulla spalla.
Thor accarezzò amichevolmente la testa dell’esperimento genetico, volgendo lo sguardo verso il resto dei Vendicatori.
Quill, Gamora, Luke, T’Challa, Scott, Hope, Peter, Matt e Bruce…tutti loro gli porsero rispettosi cenni del capo, cercando di nascondere il turbinio di tristezza e rassegnazione che permeava i loro animi.
La cosa, tuttavia, non passò certo inosservata agli occhi dell’asgardiano, che aveva testimoniato un simile comportamento in molti dei guerrieri con cui aveva combattuto durante la sua lunga vita.
<< Non siate tristi, amici miei! >> esclamò all’improvviso, richiamando Mjolnir a sé e issandolo verso il cielo. << I grandi uomini si forgiano nel fuoco. È privilegio degli uomini più piccoli accendere le fiamme...Qualunque sia il prezzo >>
In quel preciso istante, una sfocatura si affiancò a Nebula, avvolgendo il dio del tuono in un caldo abbraccio.
Thor abbassò lo sguardo, ritrovandosi a fissare pupille castane di Jane Foster.
<< Ricordo ancora quando ti incontrai per la prima volta. Eri un vero stronzo >> disse la donna, attraverso le lacrime che avevano cominciato a scenderle sulla guance.
Tirò su col naso, stringendo la presa sul corpo del tonante. << Ora sei anche peggio. Sei uno stronzo dal cuore buono! >>
Thor sorrise con calore, passando affettuosamente le dita tra i lunghi capelli di colei che era stata il suo primo e vero amore.
<< Tutti noi cambiamo, Jane. Se provi a pensarci, siamo tutti persone diverse nel corso di tutta la nostra vita. E va bene così… è bello, bisogna continuare a muoversi. Non bisogna però dimenticare tutte le persone che siamo stati prima. Io non dimenticherò mai niente di quello che ho vissuto… neanche un giorno, lo giuro >> affermò convinto, lanciando un’ultima occhiata in direzione del gruppo. << Ricorderò per sempre…quando sono stato un Vendicatore >>.
 
                                                                                                                                                     * * * 
 
Lo scontro tra Wanda e Ghidorah stava proseguendo senza esclusione di colpi.
Un tripudio di lampi, tuoni, sfarzi di energia scarlatta che aleggiavano per le vie abbandonate di New York come stelle cadenti.
I palazzi crollavano, le finestre si riversavano a terra i una cacofonia tintinnante, mentre gli spettatori ancora in vita osservavano inermi una battaglia che sembrava fuoriuscita direttamente dal Libro dell’Apocalisse.
Eppure, il combattimento si stava facendo man mano sempre più sbilanciato. Remore delle ultime battaglie, infatti, Wanda aveva cominciato a perdere le forze. Non sarebbe riuscita a contrastare la potenza di Ghidorah ancora per molto…e questo il drago lo sapeva bene.
Le tre teste aprirono le fauci, preparandosi ad attaccare la strega nello stesso istante. La donna strinse i denti e cominciò ad evocare una sfera telecinetica per frenare l’assalto imminente.
Ghidorah lanciò la sua offensiva.
Il mostro avvertì subito il potere di Wanda che tentava di lambire i raggi, e aumentò la potenza dell’attacco, mentre gli la boccia telecinetica li avvolgeva in un turbinio di energia allo stato puro.
Con grande sforzo, la proiezione della Scarlet Witch riuscì a contenere l’onda d’urto provocata dai fasci, evitando così che il suo corpo venisse sbalzate via prima della fine di quel tiro alla fune tra titani. Fine che si presentò con una grande detonazione di luce che avvolse New York in una coltre di detriti, piombandola in un silenzio spettrale, degno di una città fantasma.
Wanda cadde in ginocchio, ansimando per lo sforzo, mentre il bagliore rosso che circondava il suo corpo cominciò a dissolversi.
Allo stesso tempo, l’enorme figura di Ghidorah fuoriuscì dalla nube di polvere, praticamente illesa.
La Scarlet Witch provò a rialzarsi, ma si ritrovò incapace di farlo. Inciampò in avanti, abbassando lo sguardo sul terreno.
“ Maledizione” pensò con un ringhio. Aveva speso troppe energie durante i suoi scontri precedenti ed ora non aveva più la forza necessaria per combattere.
La testa centrale dell’idra se ne accorse e sorrise pericolosamente.
<< Così debole, così... vulnerabile... guardami. Guarda in faccia la morte! >> sibilò attraverso le zanne.
Tuttavia, l’ex Avenger non alzò la testa. Invece, con grande sorpresa del drago…cominciò a ridere.
Un suono basso e gratturale, che crebbe poco a poco, fino a diventare una risata a tutti gli effetti.
Ghidora la fissò stranamente.
<< Perché stai ridendo? Hai finalmente perso la ragione? >> chiese con tono beffardo.
Wanda alzò finalmente lo sguardo, incontrando gli occhi scarlatti dell’alieno con un sorriso feroce.
<< No…rido a causa tua! >> urlò, prendendo il mostro in contropiede. << I nostri scienziati dicono che, milioni di anni fa,  enormi bestie vagavano in questo mondo, grandi come montagne. Ma di loro sono rimaste solo ossa in resina. Il tempo logora perfino la più potente delle creature. Guarda cosa ha fatto a te! >>
Ghidorah socchiuse pericolosamente le palpebre, mentre una rabbia cieca e pesante cominciò a farsi strada nella sua mente malevola. Questa…misera creatura lo stava deridendo?! Anche dopo tutto quello che aveva fatto a lei e ai suoi miseri alleati…osava prendersi gioco di lui? Inaccettabile!
Se possibile, quasi come se avesse letto i pensieri del drago, il ghigno sul volto di Wanda sembrò allargarsi.
 << Un giorno tu perirai. Giacerai nella terra assieme alle atrocità che hai commesso. E le tue azioni? Dimenticate. I tuoi orrori? Cancellati. Le tue ossa diventeranno sabbia. E proprio su quella sabbia l’universo continuerà a camminare, fino a quando non sarai altro che polvere nei suoi ricordi >> disse con un luccichio divertito negli occhi.<< Pensi che io sia debole? No, tu sei il debole! Perché non conoscerai mai cos'è l'amore... o l'amicizia... e mi dispiace per te!  >>
<< ?! >>
A quanto pare, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
I colli di Ghidorah scattarono in alto, illuminati come delle lanterne, pronti a riversare su quella donna tutta la collera trattenuta fino a quel momento. Aveva osato provare pietà per lui…il distruttore di mondi! Avrebbe pagato con la vita un simile affronto.
Ma in quel momento, prima che la bestia potesse completare l’attacco, l’arrivo di una figura familiare alle sue spalle lo costrinse a voltarsi.
Thor si alzò imponente di fronte all’idra, il corpo bruciato e sanguinante, Mjolnir e Stormbreaker nelle mani.
La testa centrale di Ghidorah sorrise beffarda.
<< Ah, figlio di Odino! Bentornato, abbiamo sentito la tua mancanza >> disse con un sottofondo malizioso, mentre quella di sinistra ringhiava in direzione dell’asgardiano. Evidentemente, non aveva ancora dimenticato la decapitazione avvenuta meno di un’ora prima.
<< Finirà oggi >> disse il tonante, stringendo ambe le palpebre degli occhi e mettendosi in posizione d’attacco.
Ghidorah abbaiò una risata agghiacciante.
<< So che finirà oggi, ho già visto l'esito. Per questo permetterò ai tuoi compagni di godersi lo spettacolo. Perché noi tutti siamo consapevoli che sarò io a batterti! >> sibilò con sadico piacere.
Poi, le tre teste cominciarono a riversare fasci di gravitoni in tutta la zona, in maniera quasi casuale.
Thor spalancò le pupille e cercò di evitarne il più possibile. Fu così che, troppo preso nel destreggiarsi tra un raggio e l’altro, non si accorse della lunga coda di Ghidorah che lo colpiva di fianco.
Rotolò a terra, perdendo la presa su Stormbreaker, mentre il drago rideva beffardo.
Il tonante si rimise in piedi e sputò sangue, visibilmente provato dal colpo.
Si lanciò contro Ghidorah, strinse la presa sull’impugnatura di Mjolnir e colpì la testa centrale del drago, e ancora, e ancora. E continuò, anche se gli mancava l’aria, anche se ogni movimento era una scossa che gli scorreva nei muscoli. Anche se ogni colpo inferto a quella bestia aveva un eco di sofferenza.
Ghidorah si scansò di lato, e l’ultimo attacco dell’Aesir andò a vuoto.
La testa centrale tossì, sputando due dei suoi denti acuminati, mentre quella di sinistra spalancava le fauci.
Ben presto, Thor si ritrovò ancora una volta intrappolato nella presa implacabile della bestia.
Il drago sbattè l’asgardiano sul terreno, per poi afferrarlo nuovamente tra i denti e lanciarlo contro la carcassa di un edificio. La figura del tonante lo trapassò da parte a parte, ruzzolando sulla strada e sollevando le tubature che scorrevano sotto il quartiere.
Gemette per il dolore e puntò i pugni a terra, sentendo ogni muscolo del proprio corpo che andava in fiamme. Eppure, nonostante tutta quella sofferenza, nonostante la sua mente gli stesse intimando di fermarsi, l’uomo non si diede per vinto.
Fece appello alle energie che ancora gli scorrevano dentro le vene come magma condensato…e si rialzò da terra, mentre il sangue colava copiosamente dalle ferite aperte.
Ghidorah osservò l’intera scena con fare incredulo.
<< Perché, Thor? Perché lo fai? Perché ti rialzi? Perché continui a batterti? >> chiese con un ringhio, gli occhi rossi illuminati da un luccichio furioso. << Pensi veramente di lottare per qualcosa a parte la tua sete di sangue? Sai dirmi di che si tratta, ammesso che tu ne sia consapevole? >>
Il tonante, tuttavia, non sembrò averlo sentito e si limitò a rimettersi in posizione d’attacco.
<< Lo fai per orgoglio?! Vendetta ?! Non mi dire che è l'amore, figlio di Odino! È solo un’illusione, un semplice capriccio creato per giustificare un'esistenza priva del minimo significato o scopo! >> continuò il drago, per poi indicare gli Avengers riuniti a qualche centinaio di metri dallo scontro. << Combatti per loro?! Per questi sudici umani? Sono solo una specie che brama la morte! Ne hanno bisogno. È l’unico modo che hanno per rinnovarsi, il vero modo che hanno per progredire. Fingono che in ciò ci sia poesia, ma invece è patetico! Io, almeno, uccido per necessità! >>
Ma l’asgardiano continuò a rimanere in silenzio, sostenendo lo sguardo dell’alieno e stringendo la presa sul martello.
Inutile dire che l’azione non fece altro che accrescere la collera di Ghidorah.
<< Ormai dovresti averlo capito, Thor, tu non vincerai, combattere per questo mondo è inutile! >> esclamò la bestia, mentre tuoni e lampi illuminavano i cieli di New York.
A quelle parole, Thor arricciò ambe le labbra in un piccolo sorriso.
<< È questo il tuo problema, Ghidorah, tu hai sempre scelto di vedere la bruttezza di questo universo. Il caos >> disse con tono di fatto, sorprendendo il drago. << Io ho scelto di vederne la bellezza. Ho scelto di credere che i nostri giorni abbiano un ordine, uno scopo. Mi piace ricordare quello che mia madre mi disse una volta: prima o poi, siamo tutti nuovi in questo mondo. E i nuovi cercano le nostre stesse cose. Un posto dove essere liberi, dove realizzare i propri sogni…un luogo con infinite possibilità >>
L’espressione sul suo volto tornò seria e risoluta, mentre puntava Mjolnir verso l’avversario.
<< E io proteggerò il mio fino all’ultimo…anche nella morte >> terminò con determinazione.
( Track 17 :  https://www.youtube.com/watch?v=KPlKKJq4bDc )
Ghidorah fece scattare la lingua biforcuta per la rabbia.
Nel mentre, un bagliore dorato, a pochi isolati di distanza, attirò la sua attenzione.
Il drago vide Strange, accompagnato dalla figura di Mantis e da quella dei suoi discepoli.  Mentre l’aliena aveva gli occhi chiusi e le mani posate sulle tempie dello stregone, i suoi accoliti avevano cominciato ad agitare convulsamente le braccia a mezz’aria.
Un enorme portale, il più grande mai visto a memoria della Terra, iniziò a formarsi in quello stesso punto. Oltre la sua circonferenza, Ghidorah vide l’immensità dello spazio. E molto più in là…una sfera luminosa che si stagliava nel vuoto, circondata da migliaia di piccoli bagliori.
Il drago batté un paio di volte i piedi, sollevando pezzi d’asfalto e detriti. Era accecato dalla rabbia e stanco di quei miseri umani che cercavano di contrastarlo.
A quel punto, sarebbe ricorso a qualunque espediente pur di annientarli. QUALUNQUE espediente!
Le tre teste aprirono la bocca all’unisono…e si voltarono di scatto.
Thor, che aveva cercato di aggredire l’alieno alle spalle durante quel breve momento di apparente disattenzione, si ritrovò investito dalla piena potenza dei raggi.
Venne sparato a terra come un proiettile, il corpo fumante e coperto di ustioni.
Ghidorahn sorrise maliziosamente alla figura sfinita dell’asgardiano.
<< La senti la fine,  figlio di Odino? La stai già incalzando? Ma prima di ucciderti, ti regalerò un’ultima perla di saggezza >> disse con tono beffardo. <<  Vuoi davvero sapere qual è il vero scopo della vita. Te lo svelo io. Lo scopo della vita…è di finire! >>
Spalancò le fauci, preparandosi a incenerire una volta per tutte quel fastidioso nemico. Non ne ebbe la possibilità.
Un  proiettile di luce scarlatta lo colpì dritto sul muso, facendolo incespicare all’indietro.
Si voltò, lanciando uno sguardo furioso nei confronti della persona che aveva osato interrompere l’esecuzione.
Wanda era lì, a cento metri dalla bestia, con il corpo percosso da profondi affanni, come se si stesse sforzando anche solo di rimanere in piedi. Aveva le mani puntate in avanti, e gli occhi illuminati di rosso.
<< Certo che sono davvero persistenti >> commentò Ghidorah, visibilmente stizzito.
Alzò la coda, e le punte acuminate alla doppia estremità si drizzarono. Poi, la creatura fece schioccare la lunga protuberanza come una frusta.
Decine di aculei saettarono verso Wanda con il solo scopo di trafiggerla e porre fine alla sua vita.
La donna rilasciò un sospiro e chiuse le palpebre, consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscita a schivarli, né aveva la forza necessaria per bloccarli telecineticamente.
Aspettò il dolore…ma questo non arrivò mai.
Si udì uno strano suono, come gusci d’uovo che venivano schiacciati. Poi, la Scarelt Witch percepì un distinto odore di rame.
Aprì gli occhi…e urlò.
Bruce Banner stava di fronte a lei, parzialmente trasformato in Hulk, con la pelle verde bagnata dal sangue. Al centro del suo petto e sullo stomaco spiccavano due enormi aculei grandi quanto un ramo d’albero, conficcati nella carne. Si era messo davanti a lei per salvarla.
L’uomo tossì un rivolo di sangue e cadde a terra, mentre la Scarlet Wicth si lanciava verso di lui.
<< Bruce! Oddio >> piagnucolò la donna, accovacciandosi accanto all’Avenger. << Oddio, Bruce, perché…perché l’hai fatto ?! >>
<< Che razza di dottore sarei… se non mi prendessi cura dei miei pazienti >> sussurrò l’uomo, le pupille dilatate e le labbra arricciate in un sorriso quasi impercettibile.
La donna cominciò a piangere, cercando di usare il propri poteri per fermare l’emorragia…ma ogni suo tentativo si rivelò inutile. Aveva perso troppe energie.
Ghidorah si limitò a sbuffare, disgustato da quella manifestazione di debolezza emotiva.
Poi, le tre teste si girarono in direzione di Thor.
Quella centrale inarcò un sopracciglio, mentre l’asgardiano cercava di rimettersi in piedi.
<< Aspetta…io ho già visto tutto questo >> borbottò la creatura. << Questa è la fine. È giunta. Sì…tu giacevi a terra…tutto coincide! E io... E io... Io ero qui, dove sono ora, e a questo punto dovrei dire qualcosa. Dovrei dire: " Ora morirai", e poi…che cosa?! >>
Il tempo parve fermarsi.
Sorpresi dallo sfogo improvviso del loro leader, le altre due teste lo fissarono allarmate.
<< Cosa? Che cosa ho visto? No, no…questo non è giusto >> disse quella centrale, scuotendo il muso come se stesse cercando di cancellare dei pensieri traditori.
Alzò lo sguardo e lo puntò verso Thor, il quale era riuscito ad alzarsi e ora teneva Mjolnir sollevato a mezz’aria, pronto a riprendere l’attacco.
Per la prima volta da quando era giunto su quel pianeta, gli occhi scarlatti di Ghidorah vennero pervasi da un’ombra di panico.
Nel mentre, il tonante prese la rincorsa e si lanciò verso di lui.
Il drago girò brevemente lo sguardo alle sue spalle, notando l’enorme portale ancora aperto.
 << Non può essere…non è così che deve andare…Stai lontano da me! >> urlò rabbiosamente, caricando un altro fascio di gravitoni in direzione di Thor. Le altre due teste lo seguirono a ruota. Avrebbero messo fine alla vita dell’asgardiano in quel preciso istante!
Ma fu in quel momento… che accadde.
Avvenne tutto in un lampo.
Della freccia il drago riconobbe soltanto un’ombra sfocata, che compiva una curva lungo il lato sinistro della testa centrale.
Agii d’impulso, chiudendo le palpebre squamate che gli proteggevano l’occhio, ma… forse sarà stata la stanchezza, o le ferite che il contributo di tutti gli avevano causato, il dolore pattuito dalle martellate di Thor, oppure per il sangue, perduto a ettolitri… fatto sta che fu troppo lento a regaire… e pagò nel modo più grave le conseguenze di quella svista.
Chi dal basso fissava con sgomento l’intera scena vide la testa centrale piegarsi all’indietro, colpita dal corpo estraneo esattamente nelle pupilla.
Da quel momento, nessuno si sarebbe più dimenticato l’ululato di sofferenza che la creatura emise nel momento in cui, alla fine, la freccia esplose nel suo occhio, accecandolo.
La testa di sinistra si drizzò di scatto, allarmato dall’attacco improvviso. Girò il muso verso il punto da cui era partito il proiettile, appena in tempo per vedere una misteriosa figura ergersi sulle macerie di un palazzo.
Clint Burton, alias Occhio di Falco, incontrò senza paura lo sguardo della creatura. Aveva impiegato quasi tre ore per raggiungere la città, facendosi faticosamente strada tra le vie intasate dai detriti e dai lampi vaganti generati dalla tempesta. Ma ora era lì, pronto a sostenere i suoi vecchi compagni nel momento del bisogno. Pronto ancora una volta per proteggere la sua famiglia e il pianeta in cui vivevano, come aveva fatto per molti anni.
Alzò l’arco all’altezza del braccio…e sparò un’altra freccia.
La testa di sinistra venne colpita in mezzo ai denti, alcuni dei quali si spezzarono a causa della conseguente esplosione. Lo stesso destino tocco a quella di destra, issatasi a sua volta per controllare lo stato del fratello.
Mentre i due crani urlavano per la rabbia e il dolore, l’occhio della testa centrale aveva cominciato a rigenerarsi. Al contempo, notò che Thor aveva continuato la sua carica indisturbato, ora coperto da lampi.
Sebbene la sua vista non fosse più efficiente come lo era all’inizio, il drago riconobbe subito il significato di quelle scariche che s’innalzavano nel bagliore della luna: la sua preda si stava nuovamente fortificando, pronta a contrastarlo.
No! Non era giusto! Non doveva permettergli di riuscirci di nuovo!
Tentò di ricaricare il fascio di gravitoni…ma ormai era troppo tardi.
Thor si lanciò ad una velocità di mille miglia orarie oltre la pila di macerie e ossa, proiettato come un missile, ora in una traiettoria ben precisa, ma non verso una luce, bensì verso il buio dello spazio siderale.
Colpì in pieno il corpo di Ghidorah, trascinandolo con sé.
Superò il portale ed esplose in uno spazio di tenebre assoluta, dove l’oscurità era tutto, la tenebra era il cosmo e l’universo, e dove il fondo della tenebra era caldo, luminoso, una lastra di fiamme che conduceva alla stella che presto avrebbe messo fine alla sua vita. Era sulla pista da ballo dell’eternità…e l’eternità era nera e bianca al tempo stesso.
Alzò appena la testa.
I volti di Ghidorah erano un grumo a stento riconoscibile nella cacofonia del momento, ma Thor riuscì comunque a intravedere gli stessi sguardi di sempre. Erano colmi d’odio, di disprezzo e della sicurezza mostrata durante l’intera battaglia.
“E questo bastardo ha ucciso tre dei miei amici senza battere ciglio”, pensò irosamente. Quindi avrebbe fatto sparire quegli sguardi per sempre!
Richiamò Stormbreaker con una mano. L’ascia, che lo aveva seguito attraverso il portale, cominciò a roteare verso di lui, mentre con l’arto libero il tonante sollevò Mjolnir.
Colpì il volto centrale di Ghidorah, mandandolo a sbattere contro quella di destra.
Poi afferrò la testa di sinistra, mentre questa tentava di azzannarlo, e allora gli schiacciò i pollici nel muso con tutta la forza che gli restava. E quando finalmente la bestia si lasciò sfuggire un grido di dolore, Thor permise ai fulmini di esplodere.
Le scariche aggredirono la testa dell’idra, con un crepitio che si perse nel vuoto dello spazio.
Al contempo, la testa centrale si gettò verso l’asgardiano, pronta ad affondare le zanne nel suo corpo. Non ne ebbe la possibilità.
Stormbreaker la recise all’altezza del collo, tagliando attraverso la carne come se fosse burro.
La testa non ebbe nemmeno il tempo di manifestare la propria sorpresa, mentre si staccava e cominciava a roteare nel vuoto del cosmo.
Le altre due strillarono per la sorpresa. Per la prima volta, dopo miliardi di anni…erano senza il loro leader. Certo, la cosa sarebbe durata solo pochi minuti, ma questo era tutto il tempo di cui Thor aveva bisogno.
Spaesati, soli e in preda al dolore, la coppia di crani cominciò ad agitarsi come se impazzita.
E poi venne il fuoco.
Il tonante e la bestia affondarono nello strato superficiale della stella, trovandosi subito avvolti da una massa rossa e inconsistente di neutrini.
Nemmeno un filo di oscurità riusciva a passare attraverso quel miscuglio di fuoco, magma e luce allo stato pure.
Fin da subito, Thor si rese conto di non poter respirare, e non udiva altro suono al di fuori degli schiocchi della propria pelle che cominciava a bruciare, ora udibili a causa di un’atmosfera che superava i 5700 K.
Per un attimo provò paura, ma non si lasciò travolgere dal panico. A quel punto non contava più a nulla se ne sarebbe uscito vivo o meno. Aveva accettato il suo destino da tempo.
Sguainò Stormbreaker ancora una volta e cominciò ad affondarla nel petto di Ghidorah, strappando tessuti e affogando sempre di più in quell’inferno.
Tempo qualche millesimo di secondo e gli sembrò di non ricordare più niente della sua vita precedente, pensava solo al momento, e al dover continuare a infierire sull’avversario fintanto che avrebbe avuto le forze per continuare.
Il volto di sua madre gli si manifestò di fronte agli occhi per un breve lasso di tempo, per poi finire divorato dalla luce.
Qual era il suo nome? Perché d’improvviso non se lo ricordava? Non aveva importanza, doveva continuare.
Tagliò. Strappò.
Qualcosa lo addentò alla spalla, e vagamente riconobbe gli occhi scarlatti della testa di destra.
Trattene un urlo di dolore.
Si sentì lontano…insignificante. Sentiva defluire ogni cosa da sé, insieme con il sangue della sua vita…tutta la sua ira, tutto il suo dolore, tutta la paura, tutta la confusione e l’angoscia. Presumeva di essere sul punto di morire, ma si sentiva…ah, per Odino, si sentiva così lucido, così pulito, come una finestra lavata a dovere. Che adesso lasciava entrare tutta la luce gloriosa di un’alba inaspettata.
La luce…per Odino, quella perfetta luce che da ogni dove stava spazzando l’orizzonte sconfinato, in ogni secondo del tempo.
“ Padre…madre…fratello…presto vi riabbraccerò” pensò con un sorriso stanco.
Nel mentre, la testa centrale di Ghidorah aveva finito di rigenerarsi.
Si guardò brevemente intorno, prendendo coscienza dell’ambiente circostante. Un mondo fatto di fiamme e di calore…un mondo in cui nemmeno un essere come lui sarebbe riuscito a sopravvivere.
<< Io non posso morire così… >> sussurrò a se stesso. << IO NON POSSSO MORIREEEEAAAAAAAAARGH! >>
Ci fu uno strillo acuto di dolore e paura e il cuore di Ghidorah esplose all’interno del suo corpo, bruciando assieme ai muscoli e alla pelle.
L’urlo cominciò a scemare, a esaurirsi. Thor sentì il corpo della bestia che gli si serrava improvvisamente addosso, come un pugno inguantato. Poi tutto si rilassò.
Per un solo istante, drago e asgardiano furono fusi assieme. Infine arrivò l’ultima fiammata…e con essa il nulla.
 

 
Boom!
Com’era? Vi ho fatto piangere almeno un po’? Il sacrificio di Thor è stato reso bene? Spero di sì, perché ci ho lavorato un SACCO. Volevo dare un degno epilogo a questo personaggio, qualcosa che potesse riscattarlo dalla terribile figura che gli hanno fatto fare in Endgame.
Inoltre, spero che la sconfitta di Ghidorah non sia stata forzata. Alla fine, non è stato battuto con la forza, ma con un mix di astuzia, collaborazione tra i vari Avengers e, ovviamente, con un grande sacrificio ( esattamente com’era accaduto con Thanos ).
Pensavate che mi fossi dimenticato di Clint, vero? E invece no! In fondo, è questa la sua peculiarità. Tutti finiscono sempre per sottovalutarlo.
Così, quatto quatto, è stato proprio lui a permettere a Thor di completare il suo piano.
Per chi se lo stesse chiedendo, no, Bruce non è ancora morto. E forse non morirà…oppure sì. Dipenderà anche dalle vostre risposte alla domanda fatta a inizio capitolo.
Prossima volta…l’epilogo!

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Nota Importante : Signore e signori…ecco a voi il finale di Avengers : The King Of Terror!
Un crossover nato per puro caso che, attraverso una serie di circostanze, ha finito con l’inaugurare un piccolo universo letterario che continuerà con So Wrong ( attualmente in corso : https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3850018&i=1  ), altre due storie stand-alone e un maxi-evento crossover che riunirà tutte queste fan fiction e che fungerà da sequel diretto di codesta storia.
L’epilogo che state per leggere chiuderà gli eventi iniziati con il prologo, ma conterrà due “scene post credit” che apriranno la strada al seguito.
Se Thanos era il grande Big Bad della Prima Era MCU, l’antagonista che farà la sua comparsa nella seconda scena sarà il grande avversario di questo mini universo.
La scelta potrebbe sorprendere molti di voi, ma posso assicurarvi che era già stata prestabilita dopo il rilascio del settimo capitolo di Avengers : The King Of Terror.
Nella prima scena post-credit, invece, coloro che stanno leggendo So Wrong incontreranno un personaggio familiare.
Approfitto di questo momento per ringraziare Alucard97 ( co-autore ufficiale della fan fiction ), il quale mi ha aiutato nella resa del personaggio di Thor e si è occupato della stesura di gran parte delle sue scene.
Ah, e per chi è interessato a vedere King Ghidorah in azione, vi annuncio che il film Godzilla : King of The Monsters, di cui è l’antagonista principale, è stato finalmente pubblicato in streaming in alta definizione.
Detto questo, vi auguro una buona lettura e, se deciderete di lasciare una recensione, eccovi alcune domande :
  • Questa storia vi ha soddisfatto fino alla fine?
  • Qual è stato il vostro personaggio preferito?
  • Per il sequel vorreste vedere qualcosa di particolare?
 
 
Epilogo
 
Lacrime amare caddero come pioggia sulle strade di New York.
Era una mattina fredda quella che si levò sulla città, in quello che sarebbe stato ricordato come il giorno più cupo della storia della metropoli, peggiore perfino dell’Invasione Chitauri avvenuta nel lontano 2012.
Erano passate dodici ore dalla distruzione della città, da quando il mostro noto come Ghidorah era stato ucciso per mano delle forze combinate di Vendicatori, Defenders, Guardiani della Galassia, esercito USA e wakandiano.
Se del drago tricefalo non restava più nulla, lo stesso però non si poteva dire delle conseguenze del suo attacco. Chi aveva vissuto in prima persona la tragedia dell’Invasione Chitauri, a confronto, conosceva solo in minima parte il dolore che si provava a vedere distrutta la vita di un’intera popolazione.
Intere famiglie erano state distrutte nell’arco di pochi minuti. Le dinastie che avevano costituito la popolazione più influente di New York…cancellate per sempre. Alberi genealogici che avevano radici estese nei secoli, privati dei loro giovani ramoscelli.
Ma la distruzione di Ghidorah non si era certo limitata alla metropoli. I terremoti e gli tsunami provocati dalla bestia, infatti, avevano mietuto quasi un miliardo di vittime in tutto il globo, prima che si fermassero subito dopo la scomparsa dell’idra.
Ma nessuna città era stata colpita duramente quanto New York.
Attualmente, i mezzi di soccorso si districavano come potevano lungo i tunnel di macerie che una volta erano vie percorse giornalmente dagli abitanti del luogo. Si scavava alla cieca, e per ogni corpo che veniva estratto vivo, altri dieci erano invece ammassati lungo i bordi dello spazio percorribile e coperti da teli scuri.
Dodici ore, ed era come se tutto fosse ancora punto e a capo: le fiamme divampavano ancora, consumando tutto ciò che c’era sul loro cammino; gli edifici crollavano, uccidendo altri innocenti; dovunque si posasse lo sguardo si vedevano corpi inanimati, arti che sporgevano da cumuli color cenere e resti di chi era finito sotto i passi del drago.
Tra i vivi spiccavano dei disgraziati confusi e dagli abiti ridotti a stracci, e altri che vagavano sperduti per le vie di New York senza una meta precisa. Erano i ritardatari che non avevano risposto per tempo all’evacuazione, quelli che erano rimasti indietro quando l’esercito aveva sparso la voce del nuovo centro di raccolta presso il Municipio di New York, uno dei pochi edifici rimasti ancora in piedi dopo l’assalto.
L’atrio principale del palazzo era stato convertito in un centro d’accoglienza per coloro che avevano avuto la fortuna di rifugiarvisi in tempo. In realtà il numero dei rifugiati era molto superiore alle reali capacità contenitive dalla struttura, pertanto erano state aperte al pubblico le stanze private ai piani superiore, così che ora le sale di ricevimento, i salotti e i giardini circostanti ora ospitavano come meglio potevano persone ed apparecchiature mediche, mentre nell’ampio refettorio alcuni volontari stavano preparando un modesto pasto per tutti coloro che ne avessero voluto approfittare. Era una situazione disperata.
Carol era ancora al suo posto.
Da quando era stata esaminata l’ultima volta da un paramedico, nessuno le aveva più chiesto di liberare la barella sulla quale sedeva, e lei, distratta com’era nei suoi cupi pensieri, aveva preso quella disattenzione alla lettera.
Peter non si vedeva da nessuna parte, probabilmente impegnato ad aiutare con i soccorsi. Avrebbe tanto voluto essere lì con lui, ma sfortunatamente il suo corpo aveva subito troppi danni.
Intorno a lei era il caos più totale: i civili continuavano ad arrivare nel palazzo, i membri della Guardia Nazionale li accoglievano cercando di preservare l’ordine e indirizzandoli in qualcuna delle sale del complesso, ma molti erano spazientiti, stanchi e con i nervi a fior di pelle.
Vagamente, la donna riconobbe la figura di Fury, intenta a parlare con quello che aveva tutta l’aria di essere un colonnello.
Intorno a loro, intanto, c’erano profughi che ancora risalivano le scale dell’edificio sperando di trovare rifugio, e un andirivieni dei mezzi di soccorso che cercava di trasferire quanti più feriti potevano nei vari centri medici allestiti per non congestionare le strutture già sature di civili.
Più in lontananza, altre linee di fumo si levavano in cielo, frutto degli incendi che ancora ardevano in città, e che si confondevano con la pioggia che cadeva.
Mentre osservava la zona circostante, Fury si ritrovò a pensare a quanto la situazione fosse assurda. Gli sembrava quasi di rivivere le terrificanti ore successive all’Invasione Chitauri, con Manhattan distrutta e il panico che dilagava per le strade. Ma la verità era che quella piccola scaramuccia era ben lungi dall’essere messa a confronto con quanto era successo il giorno prima, a causa di Ghidorah.
Tra i cittadini che erano lì già da diverse ore cominciava a salire un certo malcontento, ora che gli spazi cominciavano a diventare più stretti.
Persone provate dall’attacco, feriti più o meno gravi e militari convivevano compressi gli uni contro gli altri in un clima malsano e rumoroso, e se qualcuno disgraziatamente moriva in mezzo alla folla, per le ferite o per qualche complicazione incorsa durante le prime cure, capitava che il corpo restasse sul posto anche per diversi minuti, prima che qualcuno si decidesse a portarlo via.
Comunicare con i propri vicini era difficile se non praticamente impossibile, troppe le grida e i lamenti, troppo acuti i pianti di bambini e adulti che avevano perso ogni cosa.
Tra questi c’era anche Wanda, accudita da Strange e Quake, che non riusciva a darsi pace per lo stato in cui attualmente si trovava Bruce Banner.
L’uomo stava accanto a lei, su una barella, ancora parzialmente trasformato. Completamente immobile…in coma.
La Scarlet Witch Piangeva e singhiozzava, difficile dire se per disperazione o per farsi sentire dai suoi amici in mezzo a tutto quel baccano.
<< Perché doveva succedere?! Non se lo meritava, ha solo cercato di aiutarmi.. >>
E anche quella urla si persero nel fragore in cui aleggiava il palazzo.
Chi era fuori posto in mezzo a tutti quegli spaesati era Nebula, circondata dal resto dei Guardiani e da Jane Foster.
Teneva stretto nelle mani un lembo del mantello rosso di Thor, che scuriva in tinte bruciate sui bordi, e lo fissava intensamente con gli occhi che lacrimavano.
Era una visione straziante, sembrava quasi di essere stati catapultati in una realtà apocalittica non molto diversa da quella rappresentata nelle pellicole di fantascienza.
E di fronte all’immensità di quella catastrofe, una sola domanda aleggiava nella mente di tutti : sarebbero mai riusciti a riprendersi?
  
                                                                                                                                             * * * 

Tre giorni dopo
 
Il cimitero, ancora immerso nel freddo dopo il piovigginoso autunno di quell'anno, respirava con più veemenza del solito.
Il suo respiro si protraeva nel fumo denso provocato dagli incendi che imperversavano nella città.
Gli abitanti di New York, da tempo avvezzi a quel cielo velato, lo trovavano improvvisamente insolito e difficile da sopportare. L'aria era opprimente e l'acqua  della pioggia aveva un sapore amaro.
Quel giorno, in molti erano venuti per onorare tutte le vittime coinvolte nella battaglia contro Ghidorah. Per rivangare coloro che si erano sacrificati per la salvezza della Terra e quelli che avevano perso la vita per puro caso, stroncati dalle azioni malevole del drago.
Esattamente come cinque anni fa - durante lo svolgersi del funerale dedicato a Tony Stark- era stato allestito un palco su cui attualmente sedevano i Vendicatori superstiti, i Guardiani della Galassia e i Defenders – ad eccezione di Frank Castle, fuggito poco dopo la fine dello scontro poiché ancora ricercato dalla legge.
Steve Rogers, affiancato dalle figure di Clint Burton e Sharon Carter, osservava il tutto con un’espressione cupa in volto. Provato per la morte di Bucky Burnes, suo vecchio amico e fratello…provato per la morte dei suoi compagni Avengers, Rhodey e Thor…provato da quegli eventi catastrofici, che per la prima volta dai tempi di Thanos avevano lasciato una cicatrice indelebile sull’animo dell’intera umanità.
Terminata la cerimonia funebre, Carol Danvers s’incamminò fino al microfono sistemato sul palco.
Scrutò attentamente la folla di persone raccolte…e prese un respiro profondo.
<< Questa è la cosa più difficile che io abbia mai dovuto dire. Io…sono colpevole >> proclamò a gran voce dopo un attimo di silenzio, sorprendendo gli spettatori.
Un sonoro brusio cominciò ad alzarsi dalla folla, mentre la donna volgeva lo sguardo in direzione del resto dei Vendicatori.
<< Siamo tutti colpevoli…del peccato di arroganza. Avevamo le migliori intenzioni, di essere custodi della Terra, per mantenerla al sicuro…ma non ci siamo riusciti >> continuò tristemente. << Siamo stati incauti…troppo sicuri delle nostre capacità. Abbiamo guardato il mondo dall'alto, e lasciato che il nostro potere e la responsabilità ci separassero dalla gente stessa che avremmo dovuto proteggere>>
Sì girò, incontrando ancora una volta gli occhi degli spettatori.
<< Abbiamo fallito New York e l’intera umanità. Per tale motivo…disattiveremo la base dei Vendicatori >>.
Questa volta, l’incredulità che si levò dalla folla fu quasi palpabile. E le persone che vi facevano parte non furono certo le uniche a manifestare un certo grado di sorpresa.
Anche i Guardiani della Galassia e i Defenders erano rimasti visibilmente scioccati da quella dichiarazione inaspettata.
Il resto degli Avengers, invece, avevano tutti le teste abbassate per lo sconforto.
La reazione più visibile fu senza dubbio quella di Spiderman, con il corpo tremante e le mani strette in pugni serrati.
<< C'è di più >> riprese Carol, dopo un attimo di silenzio. << Voglio ringraziare i membri degli Avengers per il loro servizio coraggioso, ma in futuro agiremo tutti come agenti indipendenti. Non saremo più un esercito. A partire da ora… sciolgo gli Avengers. Questa è la fine >>
A quel punto, le figure di Stephen Strange, Sam Wilson, T’Challa, Scott e Hope Lang si alzarono dal posto a sedere, pronti a scendere dagli spalti assieme alla supereroina.
La folla rimase in silenzio.
Tutti sembravano troppo scossi anche solo per compiere un atto semplice come respirare. Finchè…
<< Chi lo dice? >> domandò una voce improvvisa, interrompendo la quiete di quel momento.
Carol e il resto dei Vendicatori -  seguiti dai Guardiani, dai Defenders e dagli spettatori raccolti - si voltarono all’unisono in direzione di colui che aveva appena parlato.
Spiderman stava in mezzo al palco, affiancato da Wanda Maximoff e Daisy Johnson, con le braccia incrociate davanti al petto e le lenti della maschera ristrette in direzione di Carol.
 << Vi ricordate quello che abbiamo fatto ieri? >> chiese l’arrampica-muri, sorprendendo il gruppo i supereroi. << Abbiamo salvato il mondo! Di nuovo! Non credete che abbia un valore? >>  
Compì un passo in avanti, indicando la compagna.
<< Bene, ripensaci, Capitano! Gli Avengers andranno avanti…con o senza di voi >> disse con tono di fatto.
Wanda e Daisy annuirono in accordo, mentre un altro brusio cominciò a levarsi dalla folla.
Carol fissò incredula il vigilante, mentre il resto dei Vendicatori iniziarono a lanciarsi occhiate incerte l’un l’altro.
Notando la loro esitazione, Peter prese un respiro profondo e camminò fino a loro.
<< Sentite…nessuno può mettere in dubbio il vostro servizio o l'impegno che avete messo per migliorare le cose. Se volete smettere, perché pensate di aver già fatto la vostra parte, va bene. Vi faremo una parata >> disse con una scrollata di spalle. << Ma se volete uscirne perché pensate sia più facile continuare la lotta da soli…bhe, allora non siete gli eroi che tutti pensano che foste. Il mondo ha bisogno degli Avengers…e gli Avengers hanno bisogno di voi! >>
Poi, allungò la mano destra nei confronti di Carol…e attese.
<< Per favore >> sussurrò con voce a mala pena udibile, quasi supplichevole, mentre la donna fissava l’arto teso con la bocca leggermente spalancata.
Perché? Solo…perché?
Non doveva andare così. Non era quello che aveva pianificato, quando aveva messo piede su quel palco. Questa…questa doveva essere la fine della sua carriera come supereroina della Terra.
Aveva lasciato che quelle persone morissero! Quelle povere persone che supplicavano di essere salvate, e lei non era stata in grado di aiutarle! Come avrebbe fatto ad affrontare i loro occhi, adesso, i loro giudizi… come avrebbe fatto a ripagarli per quello che non era riuscita a fare?
Girò brevemente la testa verso gli spettatori raccolti. Avevano tutti sguardi colmi di anticipazione, sgomento e…speranza?
Il cuore della bionda mancò un battito.
Anche dopo tutto quello che era successo…anche dopo tutte le vite che non erano riusciti a salvare…queste persone volevano comunque che gli Avengers fossero i loro paladini?
“ Perché? Abbiamo fallito…non eravamo abbastanza forti per salvare la città… ”
<< Non possiamo salvare tutti, Carol >> disse Peter, posando la mano libera sulla spalla della bionda e dandovi una stretta confortante. << Me lo hai insegnato tu, ricordi? >>
La donna sussultò. Doveva averlo pensato ad alta voce, senza accorgersene.
E sì, non poteva negarlo, anni prima era stata lei stessa a dire quelle esatte parole al suo amante. Eppure, di fronte a tutte quelle vittime…milioni di persone di cui avrebbe potuto impedire la morte, se solo fosse stata più attenta durante il suo primo scontro con Ghidorah…
Cacciò indietro le lacrime che rischiavano di fuoriuscirle dagli occhi. Non avrebbe pianto di fronte all’intera città, non dopo che il mondo l’aveva già vista in uno stato così debole e vulnerabile.
Il mondo…già. Almeno la Terra esisteva ancora. Era la testimonianza effettiva che erano riusciti a sventare la minaccia. Che erano riusciti… a salvare molti di coloro che avevano giurato di proteggere. Non era forse abbastanza?
“ Che diavolo stiamo facendo?” sussurrò mentalmente, alzando lo sguardo verso il resto dei Vendicatori.
Ora se ne rendeva conto. Se avesse sciolto gli Avengers, qui ed ora…non solo, a lunga andare, non sarebbe servito a niente…ma sarebbe anche stato l’equivalente di sputare in faccia a tutto coloro che si erano sacrificati affinchè lei e gli altri potessero continuare a vivere.
Thor, Bucky, Rhodey, Drax…meritavano di meglio.
“ Sono stata proprio una stupida ”.
Quasi come se fossero riusciti a cogliere i pensieri che intercorrevano nella mente della donna, i vari Vendicatori cominciarono a guardarsi l’un l’altro.
Da prima con sguardi incerti. Poi, lentamente, con sorrisi stanchi, quasi rassegnati. Un’espressione che venne presto imitata da Carol, mentre si voltava verso Peter…e gli stringeva la mano.
La reazione fu quasi istantanea.
Gli spettatori che in tutta la città avevano assistito alla scena scoppiarono in un sonoro applauso, seguiti rapidamente da Guardiani e Defenders.
In mezzo alla folla, Steve, Sharon e Clint volsero al gruppo di eroi un sorriso orgoglioso.
Il futuro era incerto, forse oscuro e nebuloso, ma non tutto era perduto. Perché gli Avengers…erano qui per restare.
Avrebbero continuato a combattere, nonostante le avversità. Di questo ne erano convinti.
  
                                                                                                                                                  * * * 
 
Peter Parker appoggiò il palmo della mano sulla fredda lapide dedicata a Tony Stark, nascondendo un triste sorriso dietro la maschera.
Era quasi ironico pensare che, solo tre giorni prima, il mondo si sarebbe dovuto riunire per commemorare l’anniversario della sua morte. Lo stesso giorno che Ghidorah aveva scelto per attaccare la Terra.
A volte la vita sapeva essere ironicamente crudele.
<< È stato un bel discorso >> disse una voce familiare alle sue spalle, spingendolo a voltarsi.
Carol stava di fronte a lui, con le braccia incrociate davanti al petto e il volto adornato da un’espressione impassibile.
L’arrampica-muri si passò una mano tra i capelli.
<< Sì…mi dispiace di essere stato così brusco, ma avevi bisogno di sentirlo >> disse con tono imbarazzato.
La donna non rispose. Si avvicinò a lui…e lo colpì con un pugno alla spalla.
<< Auch! >> trasalì il vigilante, sorpreso dall’attacco improvviso.
<< Questo è per avermi fatto fare una pessima figura davanti a tutta New York >> disse Carol, visibilmente stizzita.
Peter ridacchiò nervosamente.
<< Ok, forse me lo meri… >>
Non ebbe la possibilità di completare la frase. La donna compì un ulteriore passo in avanti, tirandogli su il lato inferiore della maschera e baciandolo teneramente.
Le lenti del ragazzo si spalancarono per lo shock, mentre Carol lo stringeva a sé e approfondiva il contatto.
Quando l’aria cominciò a mancare, si staccò per permettere a entrambi di riprendere fiato.
<< E questo…è per tutto il resto >> disse con un piccolo sorriso, accarezzando delicatamente la guancia del collega Avenger.
Peter rimase fermo e immobile, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, come se stesse cercando le parole adatte per rispondere ad una simile dichiarazione.
Dopo quasi un minuto di tentativi falliti, rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Ah, al diavolo tutto >> borbottò a bassa voce, avvolgendo ambe le braccia attorno al corpo di Carol.
La donna inarcò un sopracciglio.
<< Peter? >> domandò con tono incerto, presa in contropiede dall’azione dell’arrampica-muri. In tutta risposta, questi la strinse più forte.
<< Sei quasi morta, Carol. Davanti a me…e non avrei potuto fare nulla per evitarlo >> disse con voce stanca, facendo sussultare la bionda.
<< Ma non è successo >> sussurrò lei, chiudendo gli occhi e abbracciandolo a sua volta.
Peter ridacchiò amaramente.
 << Lo so, ma…ero così spaventato. Mi sentivo così impotente…e la cosa mi ha fatto pensare, sai? Per quanto possa sembrare clichè…mi ha fatto capire quanto la vita possa essere davvero breve >> continuò il ragazzo, staccandosi da lei e fissandola intensamente.
Si tolse la maschera, lasciando che i propri occhi si specchiassero in quelli della supereroina.
<< Ci ho riflettuto molto…e sono arrivato ad un’inevitabile conclusione : io ti amo, Carol Danvers >> disse con tono di fatto, sorprendendo la donna.
Peter le sorrise teneramente.
 << Amo tutto di te. Il tuo viso, i tuoi occhi, i tuoi capelli, la tua risata…tutto. Amo il modo in cui mi baci. Ti amo anche quando ci metti un'ora a ordinare un sandwich al bar >> continuò con una risatina, facendo arrossire la compagna.  << Amo la ruga che ti viene quando mi guardi come se fossi pazzo. Amo il fatto che, dopo una giornata passata con te, sento ancora il tuo profumo sul mio corpo, e sono felice che tu sia l'ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentarmi la sera. E non è perché mi sento solo, e non è perché siamo appena usciti da una situazione di pre-morte! >>
Prese un respiro profondo, mentre il cuore di Carol cominciò a battere a mille, come se impazzito.
<<  Ti sto dicendo questo perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno...vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile >> disse Peter, il volto chiuso in un’espressione risoluta quanto determinata. << Carol Danvers…vuoi sposarmi? >>
<< ?! >>
Il tempo parve fermarsi.
Un silenzio inesorabile sembrò calare su tutto il cimitero, come se il vento avesse smesso di muovere le foglie degli alberi e gli uccelli nella zona avessero cessato il loro cinguettare.
Forse consapevole di essere stato un po’ troppo diretto, il vigilante arrossì copiosamente.
<< Non subito, e nemmeno tra due anni!   Voglio dire…sono ancora all’università, questo è più in invito formale, non ho nemmeno portato l’anello >> aggiunse rapidamente. << E non ti sto chiedendo di abbandonare i tuoi doveri! Vuoi viaggiare nello spazio? Non ti impedirò di farlo! Te l'ho già detto una volta, non voglio essere il tipo di uomo che ti tiene a terra, Dio solo sa che ce ne sono anche troppi… >>
<< Sì >>
<< E non m’importa quanto tempo dovremmo aspettare prima di rivederci, io resisterò, perché ti amo, e…aspetta, cosa? >> domandò il ragazzo, rendendosi conto di quello che la supereroina gli aveva appena detto.
Carol gli lanciò un ghigno divertito.
<< Sì >> ripetè con una scrollata di spalle.
<< …Sì? >> borbottò Peter, come se stesse cercando di confermare la risposta della bionda.
La donna roteò gli occhi e si porse in avanti, chiudendo le labbra con quelle del compagno ancora una volta.
Il vigilante rispose al bacio senza un secondo di esitazione, avvolgendo le mani attorno ai fianchi della supereroina.
Quando si staccarono, Carol gli lanciò un sorriso pieno di affetto.
<< Sì >> sussurrò sul volto del ragazzo, prima di baciargli teneramente la fronte. << Ti amo, Peter Parker >>
<< …Puoi ripeterlo, penso di essermi perso l’ultima parAUCH! Ok, sto zitto >>
<< Bravo >> disse la donna, mentre riprendeva a baciarlo. Sperava solo che nessuno sarebbe passato lì vicino entro la prossima mezz’ora.
 
                                                                                                                                  * * * 
 
( Track Finale : https://www.youtube.com/watch?v=CPpIydiQyFk )
Il buio e il vuoto. Due degli elementi primordiali che costituivano l’intero universo ancora prima che il Supremo creasse questa realtà.
Ecco cosa vedeva Thor, dopo il feroce scontro con il mostro a tre teste. Buio e vuoto, ma… che cos’era quello che sentiva? Un possente battito d’ali nel cieco e tetro abisso, accompagnato dal suono di un nitrito.
Egli non capiva che cos’era quel suono, non aveva la forza di aprire gli occhi. Una volta recuperato il senso dell’udito, ecco che riprese il tatto.
Sentiva… qualcosa di morbido ma al tempo stesso possente. Sentiva che il suo corpo era posato su un qualcosa ricoperto di pelo, mentre la testa era adagiata su… un grembo femminile?
Non riusciva a comprendere niente di tutto ciò, finché una voce lo richiamò. Una voce candida come i leggiadri petali delle rose primaverili, ma dura e fiera come il ruggito di un leone.
<< Non temere Thor, figlio di Odino, poiché il tuo sacrificio non è passato inosservato agli occhi degli dei anziani. Ora rilassati e svegliati, poiché chi ti parla è Sigrund, ed io ti scorterò nelle dorate sale ove la tua coraggiosa impresa verrà cantata nei secoli dai migliori menestrelli che i Nove Mondi abbiano mai conosciuto >>.
Thor conosceva benissimo questo nome. Sigrund, la regina delle Valchirie. Ma se si trovava sorretto dal suo cavallo, allora significava una sola cosa…
Finalmente riuscì a riottenere la vista e davanti a sé, scorgendo uno degli spettacoli più belli che i suoi secolari occhi avessero mai visto.
Un enorme palazzo d’oro si ergeva dinnanzi a lui, ma non era oro comune… bensì innaturale, splendente come la luce del Sole e capace di accecare tutti coloro che non erano forti abbastanza da poterne sostenere la visione.
L’intera struttura era composta da lance lunghe e affilate come rasoi, appartenenti a prodi guerrieri di ogni dove. Fu possibile scorgere perfino la leggendaria Gae Bolg del fiero Cu Chullain fare da portante per il muro settentrionale.
I tetti e le guglie erano fatti di scudi di ogni tipo e dimensione, in modo da richiamare le formazioni agili e compatte dei combattenti del Mediterraneo, i quali avevano sfidato uno dei più grandi imperi mai esistiti.
Sotto di lui poté osservare bene il possente Valgrind, il cancello d’orato che precedeva le cinquecentoquaranta porte di Tyr, ove transitavano ben ottocento Einherjar fieri e impavidi alla volta.
 La voce di Sigrund riprese a parlare.
<< Siamo giunti, figlio di Odino >> disse la Valchiria. << Contempla il Valhalla, dimora eterne di dei, di eroi e di tutti coloro che muoiono con onore sotto il nostro vigile sguardo >>.
Infine atterrarono. Thor scese subito dal cavallo alato, per poter osservare la magnificenza di quel luogo.
Nonostante suo padre gli avesse narrato del Valhalla fin dalla fanciullezza… non poté fare a meno di osservare il paradiso davanti a sé con lo stesso stupore di un bambino che vedeva il mondo per la prima volta.
 Ed ecco che un’altra voce lo chiamò.
<< Thor, perché tergiversi ancora? Non entri a salutare e brindare? >> domandò qualcuno poco più avanti.
Il tonante abbassò lo sguardo e vide, là davanti al cancello, una figura che non vedeva da tanto tempo. Una figura che riconobbe subito.
Per gli dei, avrebbe voluto piangere di gioia e andare là a riabbracciare il suo più grande amico e compagno di scudo, che ora vegliava ai cancelli di quel paradiso splendente.
<< Ora questo è il mio posto, e qui fra gli avi e i fratelli, io ti do il benvenuto… vecchio amico mio >>
<< Heimdall… Heimdall! Per la barba di Odino, è meraviglioso! >>
Corse a riabbracciarlo. Gli era mancato così tanto, esattamente come tutti gli asgardiani periti e gli altri eroi che aveva conosciuto in passato.
Hemidall sorrise mestamente.
<< Grìmnir aveva predetto il tuo arrivo da parecchio tempo, mio signore >>
<< Heimdall, mio forte amico e fratello di scudo, non chiamarmi signore. Non hai più nessuno da servire, poiché ora siamo tutti fratelli e sorelle nell’onore >> gli disse con voce tranquilla e pacata. Poi, però, l’espressione del suo viso si contorse in un cipiglio incuriosito. << Hai detto Grìmnir? Temo di non conoscere questo nome. Chi sarebbe? >>
<< Vieni con me e lo scoprirai >> disse l’Aesir.
Allorché, il Guardiano Bianco del Bifrost, gli mise un braccio intorno alle spalle e lo condusse all’interno dei dorati saloni, i quali pullulavano di eroi d’altri tempi.
Le sale risuonavano di urla di gioia, di canti, e il profumo del più prelibato idromele dei Nove Mondi impregnava le narici. Botti di alcolici, tavoli dorati, panche fatte di armature, rumori di spade cozzanti dei duellanti che si sfidavano in combattimento…questo era il Valhalla.
Non appena il tonante mise un piede all’interno, toccando con la punta le piastrelle fatte di oro e pugnali, tutte le anime si girarono e alzarono i boccali intonando un sonoro : << THOR! IL DIO DEL TUONO! THOR IL FIGLIO DI ODINO! HAIL THOR! >>
L’asgardiano spalancò la bocca per la sorpresa, mentre Il Bianco Guardiano riprendeva a parlare.
<< Ragnar Lodbrok, Nornagest, Sigmund, Gunnar, Helgi Hundingsbane, Sigurd… il mondo si è fatto vecchio dal tuo ultimo incontro con queste valorose anime, dico bene? Qui il tempo non significa nulla. Qui, ogni giorno è uguale a quello precedente. Carico di birra, storie e divertimento! >>
Il tonante aveva solo voglia di lasciarsi scivolare sulla guancia una lacrima di commozione, ma di fronte alle valorose anime… chissà che avrebbero detto di lui. Dopotutto, egli era ancora il dio del tuono dinnanzi ai loro occhi.
La sua voce si fece più calda e morbida di fronte a quello scenario.<< Il mio cuore gioisce innanzi a tanta armonia e cameratismo. Vorrei solo poter vedere altre facce amiche >>
<< Se queste facce amiche di cui tu parli non sono qui, figlio di Odino… forse, invero non lo meritavano >> disse un uomo alto, possente, vestito di una forte cotta di maglia ed elmo piumato.
<< Di certo ti sbagli, Sigurd >> rispose Thor, con un piccolo sorriso. << Se i miei compagni caduti non si trovano tra gli onorati defunti, il loro stesso essere perde di significato >>
<< Chi sono io per giudicare? >> ribattè l’altro, con una scrollata di spalle poco impegnativa. << Non ho conosciuto questi tuoi compagni, e se hanno lasciato il regno dei vivi allora avranno trovato un altro luogo dove andare. Ma ora permettimi di sfidarti a duello! Il tuo possente maglio Mjolnir contro la mia indomabile spada Gramr. Vittoria al primo sangue, che ne dici? Accetti la mia sfida, tonante? >>
<< Anche io mi unisco al combattimento! >> esclamò una voce assai familiare.
Thor si voltò.
A parlare era stato un altro guerriero dalla lunga barba bionda, vestito anch’egli con una cotta di maglia, calvo e con tatuaggi tribali incisi sulla testa.
 << Mio signore Thor, ti ricorderai sicuramente di me… Ragnar Lodbrock, sovrano e condottiero di centinaia di tuoi fedeli >> si presentò l’uomo. << Anche io voglio mettere alla prova la mia affilata ascia contro il tuo leggendario Frantumatore. Concedimi questo onore >>
<< Come posso rifiutare una simile offerta da quella stesse persone di cui, secoli orsono, elogiai la forza e il coraggio? >> ripose il tonante, posando una mano possente sulla spalla del sovrano vichingo. << Benissimo. Sguainate le armi, orgogliosi guerrieri, perché Thor vi affronterà contemporaneamente! >>
<< Sempre a lottare, noto. Non sei cambiato affatto… fratello >> disse qualcuno alle spalle dell’asgardiano.
Fu come se il corpo di Thor fosse stato colpito da un fulmine.
Riconobbe quella voce. Una voce che aveva accompagnato i suoi rimpianti per gli ultimi 10 anni.
Si voltò.
Di fronte a lui aveva appena preso posto la figura di un uomo alto e magro, dai lineamenti affilati quanto delicati, con lunghi capelli neri che gli cadevano sulle spalle, un volto pallido e occhi verdi come un paio di smeraldi. E verdi erano anche i suoi abiti, adornati da rifiniture in oro massiccio.
Non potendo più trattenere le lacrime, Thor corse ad abbracciare il nuovo arrivato.
<< Loki! Fratello mio! Sei qui! Tu sei… per la barba… >>
<< Piangi fratello? >> ridacchiò l’altro, in maniera beffarda eppure rassicurante. << In tutta la mia lunga vita, mai una sola volta ti vidi piangere. Ricordi cosa ti dissi quando Thanos attaccò la nostra casa? Che il sole avrebbe di nuovo brillato su di noi. Che io sia dannato a Hel se non avevo ragione >>
<< Oh, fratello. Fratello mio… >> mormorò il tonante, mentre stringeva la presa sul corpo del dio degli inganni.
Questi gli accarezzo la schiena, prima di allontanarsi e fissarlo seriamente.  << Basta, adesso. Anche il supremo Grìmnir vuole vederti. E’ impaziente >>
<< Anche Heimdall ha accennato a questo nome >> disse Thor, inarcando un sopracciglio.<< Ma chi è questa persona? >>
<< Perché non lo vedi tu stesso? >> ribattè Loki, sorridendo maliziosamente e indicando l’entrata del palazzo.
Rumori di pesanti passi fecero eco in tutta la sala. Tutti si azzittirono…E si inginocchiarono.
In cima a un bastione, ove risiedeva un gigantesco e dorato trono, si avvicinò una figura alta e distinta ammantata d’oro e porpora, armata di una lunga lancia e due corvi appollaiati sulle sue spalle.
Si sedette sul trono e, col suo unico occhio buono, osservò la figura di Thor.
<< Infine, tra queste sale, giunge l’uomo che attendevo da molto tempo. Finalmente è tornato. Finalmente SEI tornato. Thor… mio figlio! >> esclamò il rinomato Grìmnir.
Il biondo asgardiano ebbe un sussulto. Il misterioso essere che a Valhalla chiamano Grìmnir, altri non era che…
<< HAIL AL PADRE DI TUTTI! HAIL ODINO! >> urlarono in coro i guerrieri raccolti, riprendendo poi i festeggiamenti.
Ancora senza parole, il dio del tuono camminò fino alla figura del padre, seguito da Loki. 
<< Figlio mio >> cominciò l’Aesir, sorridendo orgoglioso. << Sei cresciuto finalmente forte e saggio. Avremo tempo per discutere, ma ora… vieni con me. C’è qualcosa che devo mostrarti. Ti aspettavano con ansia >>
<< Chi, padre mio? >> domandò il tonante, lanciando una rapida occhiata in direzione del fratello.
Questi si limitò a scrollare le spalle, pur mantenendo quel suo intramontabile sorriso.
Poco dopo, Odino scortò Thor e Loki attraverso gli ampi e lunghi corridoi del Valhalla, tappezzati di porte. Giunsero infine a una porta alquanto singolare, poiché fatta di semplice legno. Il dio corvo la aprì…e gli occhi azzurri dell’Avenger si tersero di lacrime per la seconda volta.
<< Riccioli d’oro… ce l’hai fatta ad arrivare >> lo salutò un uomo dalla capigliatura corvina e i corti baffetti neri, vestito con abiti midgariani. Ad affiancarlo era una donna dai lunghi capelli ramati e dall’innata bellezza, indossante un’elegante toga verde.
<< Mio figlio >> sussurrò lei, con un sorriso pieno di affetto.
 Il tonante li abbracciò entrambi, facendoli sussultare per la sorpresa.
<< Stark… amico mio…madre… >>
<< Però, vedo che hai fatto palestra >> ridacchiò Tony Stark, picchiettando amichevolmente la schiena del compagno Avenger. << Devi ragguardarmi su tutto quello che è successo mentre ero via! Ti prego, dimmi che Pepper ha tenuto Morgan lontano dalle mie armature >>
Thor non rispose, lasciandosi cullare dalla quiete di quel momento.
“ Sono a casa…sono finalmente a casa!”
 
                                                                                                                                                       * * * 
 
Scena Post Credit Numero 1 :
 
Quando l’attacco di Ghidorah aveva raso al suolo New York, il palazzo della Oscorp situato in centro era stato uno dei pochi edifici a rimanere intatti.
Ai piani bassi c’erano degli enormi appartamenti principeschi che soltanto l’èlite della città poteva permettersi, mentre l’ambitissimo attico a cui si accedeva solo tramite ascensore privato ospitava un lussuoso soggiorno e molto altro.
Nascosto dietro ai pannelli scorrevoli segreti c’era uno dei numerosi laboratori appartenuti alle Industrie Oscorp.
Quando Norman Osborn aveva scelto la torre dell’orologio come base high tech per le operazioni meno legali della sua compagnia, l’impresa edile della Oscorp aveva apportato delle modifiche  che permettevano all’edificio di resistere a ben altro rispetto a ciò che era stato dichiarato pubblicamente, comprese le peggiori catastrofi naturali. Si era rivelata una scelta felice sia per lui che per gli altri inquilini, specialmente dopo gli ultimi eventi.
A seguito dell’attacco di Ghidorah, l’azienda di Osborn aveva sfruttato quel successo per presentarsi alle maggiori riunioni d’appalto per diversi contratti di ristrutturazione degli altri grattacieli di New York. Nella migliore delle previsioni, entro la fine del decennio la città sarebbe stata nuovamente ricostruita, più forte di prima.
Con quel pensiero in mente, Norman Osborn rimase a guardare mentre gli addetti issavano il corpo sulla rete metallica.
Lo vide atterrare con un tonfo che sarebbe stato letale per un qualunque essere umano. Fortunatamente, quell’ammasso di carne, muscoli, ossa e vasi sangugni…non aveva nulla di umano.
I macchinisti alzarono lo sguardo sul Presidente della Oscorp, che osservava la scena da una rampa al secondo piano dell’enorme laboratorio.
Quando l’uomo fece loro cenno di continuare, gli addetti iniziarono ad issare l’enorme carcassa morente, eppure ancora viva.
Norman annuì soddisfatto e premette il pulsante che controllava l’illuminazione della stanza.
La testa di Ghidorah si palesò al centro del laboratorio. Quella stessa testa che Thor aveva decapitato al suo arrivo, e di cui si erano perse le tracce subito dopo la sconfitta del drago.
E ora…apparteneva a lui.
 
 
Scena Post Credit Numero 2 :
 
Ghidorah - o meglio, ciò che restava di lui - si svegliò di colpo.
La testa centrale, che Thor aveva mozzato dopo aver trascinato la bestia all’interno del portale, era rimasta a vagare nel vuoto dello spazio per l’ultima mezz’ora, diretta verso lo stesso destino del suo corpo, ormai prossima a varcare l’atmosfera della stella.
Allora…perché era qui? Ovunque fosse qui.
Sapeva solo di essere disteso a terra, completamente avvolto nel silenzio.
Era perfettamente solo. Nessuno lo guardava…Non c'era nessun altro. Nemmeno i suoi fratelli.
In realtà, considerando quello che era accaduto, non era del tutto sicuro di esserci nemmeno lui. Era forse morto?
Convinto com'era della propria totale solitudine, la cosa non lo preoccupò, ma lo incuriosì.
Roteò appena gli occhi, prendendo coscienza di ciò che aveva attorno.
Era circondato da una strana nebbiolina, diversa da qualunque cosa avesse mai vista prima.
Il pavimento sul quale giaceva era fatto di roccia nera, né calda né fredda, che si confondeva con chiazze oscure nel banco di vapore.
Si sentiva sfinito. Voleva solo dormire, affinchè il suo corpo potesse rigenerarsi…
<< Heya, Ghidorah! >>
<< ?! >>
La voce arrivò improvvisa e lontana, tra le ombre di quel luogo sconosciuto. Un trillo acuto e gratturale, che riecheggiò come un colpo di pistola nelle orecchie del drago.
La bestia drizzò il collo per quel che poteva, nel tentativo di individuare colui che aveva appena parlato.
E in quel momento, oltre la coltre di nebbia, cominciò a prendere forma una figura dalle fattezze velate.
<< Come ti senti? Spero che i miei ragazzi non siano stati troppo cattivi con te >> disse la sagoma indistinta, sorprendendo Ghidorah.
<< I tuoi…ragazzi? >> ripetè lentamente questi, cercando di mettere a fuoco le  caratteristiche del misterioso individuo. Ma tutto quello che riuscì a cogliere fu la corporatura alta e magra, apparentemente umanoide.
Nel mentre il drago rimuginava su questo, la sagoma rilasciò un sonoro sospiro.
<< Credimi, ci sono passato anch’io, a volte possono essere davvero fastidiosi >> disse con quella sua vocetta acuta e gracchiante. << Ma, ehi! Sai com’è quando si tratta di bambini, giusto? O forse no >>
<< Dove mi trovo? >> domandò Ghidorah, ringhiando per il fastidio.
La forma indistinta sembrò inclinare la testa.
<< Ovunque tu voglia essere >> disse con tono di fatto. E, per qualche strana ragione, la bestia riuscì a cogliere un sorriso nascosto.
<< Tu chi sei? >> sibilò attraverso i denti, stringendo ambe le palpebre degli occhi con sospetto.
Su udì uno schiocco.
<< Oh, perdonami, non mi sono ancora presentato! >> esclamò la sagoma, per poi compiere un passo oltre la coltre di nebbia.
Ghidorah prese rapidamente nota delle sue caratteristiche fisiche, rimanendo non poco sorpreso da ciò che vide. Dopotutto, aveva visionato la cultura terrestre quando aveva preso il controllo della mente di Wanda. Ragion per cui, era ben consapevole di cosa avesse appena preso posto di fronte a lui.
Si trattava di un clown. Magro come un chiodo, alto circa due metri e con grossi ciuffi rossi che gli partivano da una testa ampia e sproporzionata. Indossava un abito argenteo di fattura vittoriana e scarpe dalla punta arrotolata. Il volto era pallido e ciriceo, adornato da occhi gialli come il sole stesso.
Nella mano destra, coperta da un guanto bianco, reggeva un palloncino rosso che sembrava sfidare la forza di gravità.
Il pagliaccio sorrise, rivelando una bocca irta di denti acuminati, decisamente fuori posto per un essere umano. Anche se Ghidorah dubitava caldamente che questa creatura fosse umana.
<< Ti porgerei la mano, ma penso che sarebbe di cattivo gusto. Puoi chiamarmi Pennywise, il clown ballerino! >> esclamò il misterioso essere, con tono di voce gioviale. << E io e te, caro il mio amico monocefalo…abbiamo molte cose di cui discutere. Fremo dalla voglia di rivedere i miei angioletti!>>
 
 
THE END?
 
 

Ebbene sì, signore e signori : Pennywise, aka IT, ovvero l’antagonista per eccellenza dell’universo di Stephen King, sarà il villain principale della serie.
Oltre ad essere l’antagonista finale dell’evento Maxi-Crossover, comparirà prima come avversario den sequel di So Wrong, che getterà le basi del suo personaggio.
Annunciamo subito che l’IT che verrà utilizzato sarà quello del romanzo originale al massimo della sua forma, molto più potente delle versioni mostrate negli adattamenti Live Action.
Per farvi un’idea, la vera forma di IT è abbastanza potente da poter eguagliare il Galactus dei fumetti. Sì, è qualcosa di davvero assurdo.
IT non sarà solo, ma verrà affiancato da molti altri cattivi ( tra cui Norman Osborn e Ghidorah ), provenienti da altre opere e dallo stesso MCU ( chi andremo a ripescare? Eh eh, dovrete indovinarlo ).
E chi lo sa, magari qualche eroe morto ( sia nei film che in questa fan fiction ) tornerà dall’aldilà per combattere affianco ai nuovi Vendicatori ( di cui ora faranno parte anche i Defenders e nuovi eroi di zecca ).
Con questo detto, voglio ringraziare tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, in quelle da ricordare o nelle seguite. Inoltre, un ringraziamento speciale a tutti quei recensori che ci hanno seguito fino alla fine, è grazie al vostro continuo sostegno se siamo riusciti a completare questo progetto.
Grazie di cuore, davvero, a tutti voi!

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