Fortezza incrollabile

di hakodate93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Lontano su nebbiosi monti gelati

in antri oscuri e desolati.

Partir dobbiamo, l’alba scordiamo

per ritrovare gli ori incantati.

Ruggenti pini sulle vette

dei venti il pianto nella notte.

Il fuoco ardeva fiamme spargeva

alberi accesi torce di luce.

(Lo Hobbit, Un viaggio inaspettato)

 

Aule creò i Sette Padri dei Nani, da cui discesero le Sette Casate. La stirpe di Durin dimorava a Khazad-dum. I Vastifasci e i Barbafiamma sui Monti Azzurri. I Nerachiave si spostarono sui Monti Gialli nel profondo sud. Mentre i Pugniferro, i Barbedure, i Piediroccia si spostarono all’estremo Est nella regione di Rhun, sulle Montagne Rosse. Le Montagne Rosse ricche di materia prima e di preziosi attirarono i nani come il miele con le api. Ognuna delle tre casate eresse il proprio reame in un punto delle Montagne. Reami relativamente vicini, ma tra di loro indipendenti e separati. Ben poco si sa di queste casate. Probabilmente alcune di esse caddero sotto l’Ombra di Mordor. Soggiogati dagli Anelli del Potere, caddero nell’oscurità. Tuttavia la verità è spesso infarcita e modificata da alcuni particolari volutamente ingannevoli o tramandati errati. Sta di fatto che la casata dei Piediroccia era riuscita nonostante tutto a non soccombere al Male. Ma questo perfino Sauron lo ignorava…

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

In questo mondo non esistono coincidenze, esiste solo l’inevitabile.

(Yuuko Ichihara, xxxHolic)

 

Era l’ora del tramonto. Le prime pallide stelle apparivano in cielo. Ma nel profondo della Montagna i nani, intenti a scavare con le spalle curve e il piccone in mano, non se ne avvedevano. I loro occhi, abituati alla sola luce rossa delle torce, erano ciechi alla calda luce solare come a quella fredda stellare. Frattanto il vespro cacciava gli ultimi raggi solari e si accompagnava a un’oscurità sempre più fitta…

Austri sgattaiolò fuori dalla fortezza. Approfittò della notte mentre tutti dormivano (a eccezione delle sentinelle di cui lui conosceva gli appostamenti). Ragazzino nanico di stirpe regale (era il nipote del Re dei Piediroccia) dotato di una curiosità davvero inusuale per un nano rozzo e sempliciotto delle Montagne Rosse, aspettava il calar della notte per poter esplorare il mondo. Se gli altri l’avessero saputo… Ai nani importava solo accumulare ricchezze, riempirsi la pancia e bere birra a fiumi fino a svenire. Ma non così per il giovanissimo Austri che poco sapeva dell’esterno e voleva vedere, toccare, sapere, capire! Il buio della notte però ahimè non lo aiutava. Ma una magica notte fu per lui il segno del destino, l’inizio di un nuovo futuro.

Dopo esser sceso nella vicina valle, arrivato ad una radura da cui partiva un piccolo gruppo di alberi in cerchio, vide una luce. LA vide. O per dover di cronaca li vide. Quelli che sembravano due umani o forse un umano e un’elfa. Timoroso di farsi scoprire, non osava avvicinarsi e vedere meglio le due figure. Lui era un vecchio alto, con la barba folta e bianca e la veste blu. Lei una giovane donna alta, dai lunghissimi capelli dorati (le punte toccavano le caviglie), l’abito di velluto nero e l’aria regale e autoritaria. I due parlavano non si sa di cosa. A un certo punto lei si volta in direzione di Austri fissandolo brevemente, ma il ragazzino non se ne accorge. Vede però che alla donna spuntano incredibilmente otto ali piumate e che se ne va come per magia. Il vecchio a sua volta si allontana attraversando a passo spedito la radura. Rimasto solo Austri si dirige al punto dove i due si trovavano e trova per terra una collanina con uno strano ciondolo a forma di croce…

Non bisogna far tardi. All’alba i nani torneranno ai loro picconi e a scavare sempre più in fondo. Veigr si arrabbierà tantissimo se non lo vedrà arrivare. Austri torna dunque indietro, portando con se quello strano ciondolo. E da quella notte il suo futuro prenderà una piega diversa…

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Gandalf: Bilbo il mondo non sta nei tuoi libri e nelle tue mappe. E’ là fuori.

(Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato)

 

 

Terra di Mezzo. Anno 2799 della Terza Era. Terra di Rhun. Estremità sud degli Olocarni. In un’insenatura alle pendici dell’ultima vetta delle Montagne Rosse, giace il reame nanico dei Piediroccia. Il reame-fortezza guarda a sud verso il deserto haradiano e ad ovest verso l’oscura Mordor.

 

C’è gran fermento nella fortezza. Sono ormai sei anni che le Sette Casate sono in guerra contro Azog il Profanatore e gli Orchi delle Montagne Nebbiose. Il vile orco pallido decapitò Thror, Re sotto la Montagna e Signore di Erebor, e i Nani all’unisono levarono le asce per vendicare la morte dell’erede di Durin il Senzamorte. I nani stavano avendo la meglio, seppur a costo di gravi perdite. Gli orchi sopraffatti, si erano rifugiati a Moria, l’antico e perduto reame nanico delle Montagne Nebbiose. Adesso i nani stanno riorganizzando le loro forze per sferrare un ulteriore attacco, in grado di sconfiggere definitivamente gli orchi e di riconquistare Moria. Mentre i mesi passavano e i giovani nani, crescendo, erano in grado di unirsi al loro esercito, Thrain II, figlio del compianto Thror, attendeva speranzoso nella grande valle di Azanulbizar, alle pendici di Moria.

 

Anche il giovane principe Austri, ormai ventenne (quella notte nella radura aveva appena dodici anni) e in grado di imbracciare le armi, indossava l’armatura per unirsi alle nuove forze che dalle Montagne Rosse avrebbero dato manforte alle porte di Moria. Pensò sospirando che l’armatura era maledettamente ingombrante e pesante, e legò la spada alla cinta sbuffando un po’. Veigr, suo maestro e istruttore, stava già conducendo i pony.

- Su, Austri. La compagnia è già pronta e attende il principe per partire. Andiamo a farci onore e a cavalcare al fianco di tuo padre nell’imminente battaglia.

I due salirono sui pony e si avviarono al Gran Cancello dei Piediroccia. Austri levò lo sguardo verso la fortezza e vide suo nonno Vindalfr, il Re, che lo salutava con un breve cenno della mano. Il vecchio Re non era più in grado di partecipare alle battaglie e in cuor suo fremeva per le sorti del figlio che combatteva lontano già da qualche anno. Adesso pure il giovane nipote partiva e un’ombra funesta apparve nel suo cuore già provato dal tempo.

 

Cavalcarono per diversi giorni, costeggiando da settentrione i Monti Cenere, a nord di Mordor, e furono ben presto a Dagorlad, un’ampia piana che conduceva a nord verso il Bosco Atro. Ma loro proseguirono dritto guadando l’Anduin. Tuttavia ritennero rischioso attraversare Lorien e, attraverso Campo Gaggiolo, si trovarono vicino alle Montagne Nebbiose. Fu un’impresa non di poco conto risalire le montagne, poiché Moria si trovava dalla parte opposta, ma risalendo l’Argentaroggia, arrivarono infine sulle cime montuose. Per la notte si accamparono lì, trovando rifugio nelle grotte vicine.

 

Sarà bene spendere due parole sul principe Austri e la sua gente, i Piediroccia. Appartenenti a una delle quattro casate meno rilevanti della razza dei nani, erano originari delle terre del Sud, abitanti delle Montagne dell’Harad. Hanno dunque la pelle scura e i capelli neri. Un tempo “vicini di casa” dei Nerachiave, in seguito si spostarono sulle Montagne Rosse a causa di frequenti screzi con i Nerachiave stessi e gli Haradrim, desiderosi di mettere le mani sulle ricchezze dei nani. Nani forti, abili fabbri e minatori, ma dalle maniere un po’ rozze e scarso interesse per la cultura e l’arte. Non sono neanche bravi nei canti come i loro parenti di Durin. Non così il giovane principe che chissà per quale strano scherzo del destino non amava ubriacarsi e preferiva esplorare piuttosto che battere il ferro rovente nella fucina. Anche fisicamente sembrava appartenere poco alla sua razza. Un po’ più alto degli altri giovani nani (i nani del sud-est erano particolarmente tarchiati), aveva una chioma curata e nera lucente e occhi verde intenso. Le ragazze nane aspiravano invano alle sue braccia, ben sapendo che il futuro erede al trono poteva accasarsi solo con una donna nano del suo stesso rango. D’altro canto Austri era pure un ragazzo diligente, amava leggere e ascoltare racconti dei tempi che furono, non amava correre dietro le sottane, e aveva lo sguardo perennemente malinconico. Il che, nonostante la sua bellezza e prestanza fisica, inusuale per uno della sua razza, teneva a bada le fanciulle che gli spiravano dietro. Di tanto in tanto si ritrovava a pensare alla misteriosa dama intravista quella notte nella radura e allora le sue mani stringevano lo strano ciondolo che portava al collo. Un’inquietudine lo pervadeva nell’animo e sentiva che il mondo era più grande e vasto di quello che lui conosceva. Allora la voglia di libertà e conoscenza si faceva sempre più impellente. Ma la guerra imperversava. I nani combattevano per le loro terre e avevano già versato tanto sangue. Non c’era tempo per pensare ad altro…

 

L’alba giunse presto nel loro accampamento o forse questa era l’impressione frutto della stanchezza per il viaggio. Quando un messaggero dei Vastifasci si precipitò recando gravi notizie. Gli orchi, radunati attorno alle pendici vicino al cancello di Moria, li avevano attaccati in massa. E una cupa giornata invernale non li aveva di certo aiutati. Thrain era stato respinto e costretto a rifugiarsi in un bosco dove il figlio Frerin aveva perso la vita. Thorin Scudodiquercia era ferito e rischiava la vita assieme al padre. Urgevano dunque rinforzi, prima che per il popolo di Durin fosse la fine.

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Da mio nonno tramite mio padre questa è giunta a me. Sognavano il giorno in cui i nani di Erebor avrebbero reclamato la loro patria. Non c’è scelta, Balin, non per me.

(Thorin Scudodiquercia – Lo Hobbit Un viaggio inaspettato)

 

Austri, Veigr, i nani dei Piediroccia e delle altre tre casate del sud-est ora cavalcavano come forsennati. Il tempo era decisamente loro nemico. Scesero a spron battuto il versante nord delle Montagne Nebbiose e si trovarono alla destra del nemico. Dovevano aprirsi un varco per poter raggiungere Thrain e i suoi. La fortuna era un po’ dalla loro parte. Gli orchi non s’aspettavano di vederseli arrivare alle spalle. Riuscirono a sbaragliarli in parte. Quei maledetti orchi erano decisamente in gran numero e ci voleva tempo per eliminarli tutti. Austri e buona parte della formazione riuscì a proseguire verso le sponde del lago Kheled-zaram, nelle cui vicinanze si trovava il bosco che dava rifugio ai nani di Durin. Scesero dai pony ed entrarono a piedi.

 

Austri entrò nel bosco e aveva una gran voglia di togliersi l’armatura decisamente scomoda. Mentre era distratto da questi pensieri, udì delle grida di nano: “Du Bekar! Du Bekar!”. Allora vide un giovane nano che incitava gli altri e nel mentre affrontava gli orchi con la spada nella destra e un ramo di quercia a mo’ di scudo nella sinistra. Rimase colpito da quella scena. Nonostante fosse ferito e con l’armatura danneggiata, riusciva a fronteggiare un gruppo di orchi che lo circondava. Austri si diede dello stupido. Quel giovane combatteva con coraggio, mettendo a repentaglio la vita, e lui se ne restava a guardare imbambolato. Imbracciò la spada, dimenticandosi della sua armatura, e corse a dargli aiuto. Con un colpo orizzontale, tagliò di netto le gambe a un orco. Un altro paio di orchi furono passati a fil di spada. L’altro si rincuorò pensando di avere le spalle coperte. E allora i suoi colpi si fecero più poderosi. Austri pensò un po’ orgoglioso un po’ spaccone che era arrivato il momento di sfoggiare le lezioni impartitegli da Veigr con la spada.

 

Il valoroso guerriero nanico con lo scudo di quercia era più alto degli altri nani, anche più di Austri che già di suo non era basso. I capelli corvini e ondulati, sciolti sporchi e sudati, gli roteavano da un lato all’altro mentre colpiva i nemici. Gli occhi feroci di un blu intenso e di ghiaccio. Aveva diverse escoriazioni sul viso e sulle braccia. Sotto la cotta di maglia in prezioso mithril solo un camicione pesante, i pantaloni e gli stivali. Si capiva subito che combatteva chissà da quanti mesi. Chissà com’era stanco, pensò Austri non potendo esimersi dall’ammirarlo. Eppure sembrava divorato da un fuoco interno che non lo faceva crollare. L’odio per gli orchi doveva essere immenso. La morte del nonno. Adesso quella del fratello e il padre in pericolo di vita…

 

Il principe dei Piediroccia contribuì molto a liberare l’altro nano dagli orchi che lo circondavano e insieme corsero in direzione nord-est, uccidendo altri orchi e liberando altri nani dentro il bosco. In men che non si dica uscirono all’aperto e radunarono i superstiti. Tra questi c’era anche Thrain che vide il figlio:

- Sia benedetto Aule. Thorin, sei vivo!

E lo abbracciò quasi piangendo. Ma il figlio lo esortò a non perdere tempo. Presto sarebbero arrivati rinforzi dai Colli Ferrosi e bisognava organizzare la resistenza. Austri capì così di aver aiutato Thorin figlio di Thrain II, futuro erede al trono di Durin. Allora un’ondata di sentimenti lo pervase. Non si reputava un eroe, ma neanche un vigliacco. Ma era ben conscio che un giorno sarebbe diventato Re e quel pensiero a volte lo schiacciava e lo impauriva. Di fronte a lui un altro principe destinato a governare che non aveva timore di morire e guidava con fermezza i suoi soldati.

 

Intanto Veigr aveva rintracciato il padre di Austri, Lofarr, e lo conduceva dal figlio. Lofarr, seppur contento di rivederlo dopo tanti mesi, era preoccupato per la piega che aveva preso la battaglia:

- Seppur il vostro arrivo ci sta dando un po’ di tregua, non ne verremo a capo finché non ridurremo il nemico di numero. Quel lerciume di Azog se ne sta tranquillo e al sicuro dentro Moria a vederci scannare.

- Padre – disse Austri – ho sentito parlare Thorin figlio di Thrain di rinforzi che stanno arrivando dai Colli Ferrosi. Stringiamo i denti. C’è ancora speranza.

- Dunque stanno arrivando Nain e suo figlio Dain. Prepariamoci e torniamo ai Cancelli di Moria.

E Lofarr si voltò in direzione delle montagne seguito dal figlio e dal fedele Veigr. Assieme ai loro soldati si riunirono a Thrain e Thorin decidendo il da farsi.

 

I Piediroccia, riuniti ai Durin, si disposero serrando le fila a sud-est dei Cancelli (per poter avere ancora la protezione del bosco e del lago). Gli orchi li scorsero e iniziarono a schernirli, gridando loro che ormai avevano le ore contate e che avrebbero tagliato le teste di ogni capo delle Sette Casate, cosicché la lurida stirpe nanica andasse in malora. Thorin intimò a tutti di mantenere la calma, ma di far credere ugualmente agli orchi che abboccavano alle loro provocazioni. Così urlando partirono alla carica. Gli orchi risposero caricando a sua volta, non accorgendosi però che alle loro spalle Nain, Dain e i nani dei Colli Ferrosi arrivavano di gran carriera sferrando un attacco micidiale. La battaglia stava per raggiungere il suo culmine.

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

La vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana.
(Tacito/John F. Kennedy, Conferenza stampa, 21 aprile 1961).

 

Signore dai forza al mio nemico e fallo vivere a lungo, affinché possa assistere al mio trionfo.
(Napoleone Bonaparte).

 

L’attacco a sorpresa dei Colli Ferrosi portò lo scompiglio più totale tra le file degli orchi che difendevano i Cancelli di Moria. Ora le sorti della battaglia sorridevano nuovamente ai nani. Thorin, Austri e compagni da sud e Nain, Dain da nord stringevano in una morsa mortale il comune nemico. Gli orchi furono costretti ad arretrare fin alle porte di Moria. Per loro la situazione stava precipitando. Fu allora che Azog si decise ad intervenire in prima persona per evitare una catastrofe. Scortato dalla sua guardia personale a cavallo dei mannari, si lanciò a testa bassa sui nani. Nain allora gli si parò davanti e ne nacque un cruente duello. Ahimè per il cugino di Thorin (Nain era figlio di Gror fratello di Thror) fu la fine. Ubriaco di furia guerriera, tentò di colpire l’Orco Pallido con un forte colpo, ma andò a vuoto e Azog ne approfittò per colpirlo a morte.

 

Ma la vittoria di Azog era destinata a durare poco. Fu subito raggiunto da Dain. Il nano, nonostante la giovane età, usava l’ascia con una certa maestria. Riuscì a colpire Azog alle gambe e al mento. Lo fece vacillare, nonostante la stazza notevole dell’orco, e finalmente gli tagliò la testa. Gli altri orchi, privi del loro capo e in preda al terrore, ne uscirono sconfitti. Chi non subì la morte, dovette fuggire. Dain trionfante issò la testa di Azog su un palo e la agitò in aria, mentre gli altri nani gridavano trionfanti. Con Moria finalmente libera dagli orchi, Dain entrò nell’antico reame per poterne prendere nuovamente possesso. Ma scoprì con orrore che il Balrog era ancora in agguato. Ne dovette uscire di corsa e sconsigliò caldamente Thrain di tentare la sorte e di rinunciare a Moria.

 

Nonostante la vittoria, i nani avevano ben poco da gioire… Non solo il Balrog, ma le morti “eccellenti” non mancavano, su tutti Frerin e Nain. Il cordoglio superava di gran lunga la gioia. Inoltre tutte e sette le casate erano stremate dal conflitto durato sei anni. Tutti volevano tornare alle loro case. Tuttavia Thrain, in qualità di erede di Durin, convocò per il giorno successivo un consiglio che aiutasse a prendere alcune importanti decisioni.

 

La mattina seguente l’aria era ancora intrisa del fumo dei roghi dove i nani avevano bruciato i cadaveri degli orchi. Avevano inoltre cremato anche i loro morti. Le perdite erano state così alte da non permettere di riportare le salme indietro ai reami di origine. Thorin e Thrain avevano dato l’estremo saluto a Frerin, prima di affidare il suo corpo freddo alla forza delle fiamme. Austri era vicino a loro, profondamente turbato. Non aveva fratelli e fortunatamente non aveva subito lutti gravi. Nello sguardo di Thorin vedeva sì dolore, ma un dolore “dignitoso”, che non si abbandonava al pianto isterico o alle imprecazioni. Soffriva in silenzio e con compostezza. Nel profondo del suo cuore, Austri prese ad ammirare Thorin come un eroe. E si ripromise di prenderlo a modello, soprattutto quando avrebbe ereditato la corona e si fosse trovato in stato di pericolo. Fu suo padre a scuoterlo da questi pensieri. Il consiglio stava per riunirsi e a loro due spettava il compito di rappresentare i Piediroccia al posto del nonno rimasto nelle Montagne Rosse.

 

Non potendo riunirsi a Moria, i rappresentanti delle Sette Casate si arrangiarono come poterono nella valle stessa di Azanulbizar. In una sorta di tavola rotonda, Thrain insisteva per riprendere Moria. I “no” delle altre casate furono unanimi. Dain lo sconsigliò ancora. Affrontare un balrog era fuori questione. Austri, accecato dalla sua ammirazione per Thorin, voleva acconsentire, ma suo padre gli ricordò che non spettava a lui dire l’ultima parola, ma all’erede più diretto in assenza del Re, cioè lui che ne era il figlio. E lui la pensava come gli altri. Azog era morto e Thror vendicato. Le sei casate asserivano di aver assolto ai loro doveri e che null’altro potevano pretendere gli eredi di Durin da loro. Perciò se ne tornavano ai loro reami. A Thrain non restò che accettarlo e tornarsene a sua volta nel Dunland, dove si era trasferito dopo la caduta di Erebor.

 

Subito dopo il consiglio ogni casata prese la via del ritorno raccogliendo i superstiti di una lunga carneficina senza vincitori. Alla fine sia orchi che nani ne uscivano sconfitti. A causa di questa battaglia gli orchi furono decimati e i nani subirono perdite di cui non si riprenderanno mai del tutto. Per un buon tratto di strada le quattro casate del sud-est fecero la via del ritorno assieme. Ma non Austri che ormai vedeva in Thorin un maestro da seguire.

 

Parlò così tanto a suo padre dell’ammirazione che provava per il principe di Erebor che lo convinse a lasciarlo andare per un po’ di tempo nel Dunland con il popolo di Durin. Quando chiesero a Thorin se poteva portare Austri con se per un breve periodo, ne rimase sorpreso, ma acconsentì. Lofarr sperava che servisse a far maturare suo figlio. Difatti lo considerava ancora immaturo ed era sinceramente preoccupato per quando il ragazzo sarebbe diventato Re. Sperava che la presenza di Thorin lo aiutasse a diventare adulto. Fu quindi col cuore colmo di speranza che vide Austri andare via cavalcando dietro Thorin e Thrain.

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Il gruppo di Thrain si incamminò verso sud scendendo a ovest le Montagne Nebbiose. In pochissimi giorni tornarono al Dunland, la regione aspra e inospitale dove si erano spostati dopo la caduta di Erebor. Ma i nani di Durin non erano per niente contenti di stare lì. La presenza di uomini incivili e la terra arida della zona, li spingevano ad andare via. Austri, in virtù della sua appartenenza alla famiglia reale, fu ospitato da Thrain. Una sera, dopo cena, Thrain e Thorin discussero circa il futuro del loro popolo, tenendo conto di ciò che era successo nella precedente battaglia e durante il consiglio delle Sette Casate.

 

- Non intendo stare qui, figlio mio. Finiremo per patire la fame, me lo sento. Queste terre sono prive di frutto. Senza considerare la gentaglia che ci vive. Gente rozza e ignorante. Non distinguerebbero l’oro dall’ottone. Bah! - E fece una smorfia di chi si schifa.

- Sono pienamente d’accordo, padre – rispose Thorin – Ma Erebor e Moria sono al momento irrecuperabili. Dove vorreste andare?

- Forse non ci resta che chiedere rifugio ai Colli Ferrosi. Sono pur sempre i nostri parenti più stretti.

- Non so voi, ma per me equivarrebbe a chiedere l’elemosina e perderemmo la nostra signoria – Thorin aveva un’espressione davvero contrariata.

Thrain sospirò rumorosamente. Voleva andare via, non ce la faceva più. Ma andare dove?

- Dai Vastifasci e dai Barbafiamma – riprese Thorin – ho sentito che nei Monti Azzurri c’è abbondanza per chi vuol fondare una nuova fortezza. Potremmo ricominciare da lì. Sarà dura, ma almeno torneremo ad avere delle nostre fucine e potremmo rimetterci in affari.

Austri intanto ascoltava in silenzio. Non è che non capiva la situazione, ma non l’aveva mai vissuta sulla sua pelle. La sua casata aveva il suo reame, anche se non era sfarzoso come Erebor, e per fortuna non aveva mai subito gravi invasioni. Davvero non si rendeva ancora conto di che significava vagare senza una casa che ti apparteneva veramente.

 

La decisione era ormai presa. I nani del Dunland si prepararono per la partenza. Austri li seguì. Suo padre gli aveva concesso un bel po’ di tempo per poter stare con Thorin, per poter fare esperienza, per “farsi le ossa”. Terminato questo periodo, doveva poi far ritorno alle Montagne Rosse. Ma per il momento il giovane Piediroccia voleva solo stare al fianco di Thorin e vedere l’Eriador in cui non era mai stato. E così, andando in direzione ovest, attraversarono il Dunland raggiungendo l’Antica Via Sud, quella che aldilà dell’Inondagrigio diventava il Verdecammino. Guadarono appunto il fiume e finalmente erano nell’Eriador. Austri rimase piacevolmente sorpreso da questa regione così verde e rigogliosa, generosa e solare. Proseguendo in direzione ovest sul Verdecammino, evitando come la peste i Tumulilande e la Vecchia Foresta di cui giravano brutte voci, guadarono anche il Brandivino. Erano finalmente nel territorio della Contea, attraversandola dal Decumano Sud al Decumano Ovest. Austri vedeva per la prima volta gli hobbit e ne fu incuriosito. Da quando erano entrati nell’Eriador, ogni cosa per lui era fonte di meraviglia e stupore. Non si era mai sentito così felice. Da ragazzino doveva sgattaiolare la notte per poter passeggiare ed esplorare. Ora poteva farlo in tutta tranquillità e attraversando una terra che sembrava baciata dal sole. In prossimità di Tucboro deviarono un po’ in direzione sud-ovest e uscirono dalla terra dei mezzuomini. Guadarono anche il Luhun e ormai le Montagne Azzurre si stagliavano alte nel panorama montano. Ancora altri giorni di marcia e arrivarono sull’estremità nord della catena montuosa, dove col tempo fondarono una nuova roccaforte nota come “le Aule di Thorin”. Iniziava una nuova pagina di storia per il popolo di Durin.

 

Thorin prese ben presto in mano la gestione della nuova roccaforte. Col nonno e il fratello defunti, il comando era nelle mani di suo padre. Ma anche Thrain sognava di riprendere Erebor e studiava in segreto come poter esaudire tale desiderio. Thorin invece aveva i piedi ben piantati per terra e si sforzava di far funzionare la “baracca” cercando di massimizzare sia il lato produttivo che quello commerciale. In tal senso Thorin si rivelò non solo un valoroso guerriero, ma anche un gran lavoratore (Austri potè vederlo all’opera come fabbro e come spadaio) e un ottimo commerciante. Strinse rapporti commerciali non solo con gli altri reami nanici delle Montagne Azzurre, ma anche con i Raminghi del Nord e con la Contea. Le sue Aule fruttarono a pieno giro ben presto e riportarono al benessere il popolo di Durin, sebbene gli antichi fasti di Erebor rimanevano un ricordo. Man mano che Austri conosceva più a fondo Thorin, la sua ammirazione cresceva a dismisura. Un futuro erede al trono a tutto tondo, capace di difendere il suo popolo non solo sul campo di battaglia, ma anche nella vita di tutti i giorni.

 

Frattanto Dis, la sorella di Thorin, aveva due figli, Fili e Kili. I due ragazzini amavano ascoltare dallo zio i racconti che celebravano Erebor e il suo splendore. Una sera che faceva freddo e si stava vicino al focolare, le due pesti non volevano saperne di andare a letto se lo zio non raccontava ancora di Erebor. Anche Austri era presente e fu per lui l’occasione di ascoltare dalla bocca di Thorin la storia del reame nanico più splendente della Terza Era.

 

Mentre il fuoco danzava con le sue fiammelle piano e regolare nel camino, Thorin con voce pacata e profonda prese a raccontare la storia della sua vita. Nato nella Montagna Solitaria, quando Erebor viveva un periodo di grande splendore, era il maggiore di tre figli. Sua madre era una donna nano estremamente energica e pratica, il che la rendeva più adatta a regnare del marito Thrain. Ma la madre di Thorin non avrebbe accettato di separarsi dai figli che amava al di sopra di ogni cosa e quindi si disinteressava di politica e potere. Ahimè la poveretta morì partorendo la piccola Dis. Thorin imparò ben presto il senso della responsabilità, dovendo occuparsi dei due fratellini; senso della responsabilità che non lo abbandonerà per il resto della sua vita e che condizionerà pesantemente il suo destino. Mentre Frerin era un piagnucolone e un po’ insicuro, Dis cresceva come un maschiaccio. Ebbe non pochi grattacapi nel cercare di educarli, instillando in Frerin lo spirito guerriero e in Dis il buon senso femminile che si conviene a una fanciulla. In qualche modo riuscì a tirarli su, mentre lui diventava uno splendido principe ventenne. Quando Thorin aveva ventiquattro anni Smaug attaccò Erebor, costringendo i nani ad abbandonare la Montagna Solitaria. All’epoca comandava le guardie della cittadella, ma poco poté fare nel tentativo di bloccare l’accesso del drago all’interno del reame. Poté solo mettere in salvo i familiari e scappare con tutti gli altri.

 

Vagarono per diversi giorni nelle Terre Selvagge e si stabilirono in qualche modo nel Dunland. Ma lì la vita era veramente dura. E non si trattava solo di fare i conti con la terra arida e povera di risorse, ma soprattutto con gli uomini che ci abitavano. Gente ignorante e incolta e resa dura e insensibile da quelle terre aspre. Ritenendo i nani degli estranei e quasi degli usurpatori, li trattavano con disprezzo, anche se allo stesso tempo li invidiavano per la loro maestria nell’artigianato. Anche in questo caso Thorin dovette impegnarsi a fondo per far funzionare questa convivenza forzata. Mentre si spaccava la schiena e le mani si riempivano di calli lavorando nelle fucine, doveva sopportare (e anche intervenire) diversi episodi di intolleranza. Svariati casi in cui gli uomini disprezzavano volutamente il loro lavoro con il solo scopo di non pagarli. Casi in cui i giocattolai e altri venditori ambulanti nani venivano scacciati dalle pubbliche piazze, dopo aver subito il danneggiamento della loro merce. O altri casi in cui le donne nane, dal fisico rotondetto e la barbetta, venivano pesantemente derise. Thorin si trovava spesso costretto ad intervenire per difendere la sua gente e, per non far precipitare la situazione, doveva cercare un compromesso con quella gentaglia di infimo rango. E tutto questo per lui era intollerabile, lui che era orgoglioso come il nonno Thror. Quando finalmente abbandonarono il Dunland, ne furono felicissimi.

 

Il tempo volò inesorabile su nelle Montagne Azzurre. Austri ormai stimava Thorin come un maestro insostituibile e come un fratello maggiore (sentimento questo molto probabilmente generato dall’essere figlio unico). Imparò da lui tante cose, sia come principe che come lavoratore. Ma era ormai giunto il momento di separarsi. Un giorno Lofarr inviò un messaggio al figlio, chiedendogli di far ritorno alle Montagne Rosse e di adempiere ai suoi doveri regali. Austri dovette a malincuore partire. Quasi con le lacrime si congedò da Thorin. I due principi si promisero di ritrovarsi in futuro come Re dei rispettivi popoli. Austri iniziò la discesa delle Montagne Azzurre. Non poteva immaginare che in realtà quello era un addio. Qualche anno dopo al suo reame sarebbe giunta l’infausta notizia della morte di Thorin, avvenuta proprio durante la riconquista di Erebor.

 

"«Addio, buon ladro» egli disse. «Io vado ora nelle sale di attesa a sedermi accanto ai miei padri, finché il mondo non sia rinnovato. Poiché ora l'oro e l'argento abbandono, e mi reco là dove essi non hanno valore, desidero separarmi da te in amicizia, e ritrattare quello che ho detto e fatto alla Porta». Bilbo piegò un ginocchio a terra, con il cuore carico di dolore. «Addio, Re sotto la Montagna!» disse. «Amara è stata la nostra avventura, se doveva finire così; e nemmeno una montagna d'oro può essere un adeguato compenso. Tuttavia sono felice di avere condiviso i tuoi pericoli: questo è stato più di quanto un Baggins possa meritare». «No!» disse Thorin. « In te c'è più di quanto tu non sappia, figlio dell'Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto. Ma triste o lieto, ora debbo lasciarlo. Addio!»"

(Thorin e Bilbo, Lo Hobbit)

 

Nota dell’autore:

Con la separazione da Thorin termina la prima parte del racconto. Thorin però non scomparirà mai del tutto. Rimarrà per sempre nei pensieri di Austri. Dal prossimo capitolo inizierà la seconda parte col principe dei Piediroccia che dovrà affrontare i primi problemi e le prime delusioni della vita da adulto.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

«ma già volgeva il mio disìo e il velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l’Amor che move il sole e l’altre stelle.»

( Dante Aligheri – Divina Commedia, Paradiso)

 

Austri si mise in viaggio all’alba per guadagnare tempo. Ridiscese gli Ered Luin costeggiandone il lato est. Dopo un paio di giorni, si intravedeva il Luhun. L’intenzione era quella di guadarlo e procedere verso Tucboro. Ma non immaginava che di lì a poco avrebbe rivisto qualcuno che non si aspettava.

 

A mezzodì si fermò lungo le rive del fiume per poter mangiare e riposare. Ma prima provvide al pony facendolo bere e lasciandolo a pascolare. Mentre si adagiava ai piedi di un albero, vide nelle vicinanze una figura d’uomo familiare. Drizzò il busto per guardare meglio e non poteva credere ai suoi occhi. Era lo stesso vecchio di quella notte nella radura, di quando era ragazzino. Era improbabile che il vecchio non l’avesse notato, ma a quanto pare non gli dava importanza. Anche il misterioso vecchio sembrava riposarsi e far rifocillare il suo cavallo. Prima che il sole iniziasse a curvare a ovest dietro le montagne, in vecchio montò a cavallo e procedette in direzione nord. Ad Austri nel frattempo la testa gli frullava di pensieri. Pensò che, giunto fino alle Montagne Azzurre, sarebbe stato interessante andare ancora più a nord, dove pare potessero esserci ancora draghi; era anche curioso di scoprire chi era il vecchio, seppur sospettava si trattasse di uno degli Istari; e soprattutto se c’era lui poteva esserci anche “lei”. La sua mano corse subito a stringere il ciondolo a forma di croce e il viso gli si illuminò felice. Al padre avrebbe raccontato qualche frottola credibile, ma adesso ciò che gli premeva era cogliere l’occasione al volo sia di una nuova avventura, sia di rivedere la misteriosa dama della radura. E così partì anche lui seguendo a distanza il vecchio e stando attento a non farsi notare. Incurante degli ordini del padre, prendeva la faccenda come un gioco. In fondo il padre aveva ragione a ritenerlo ancora immaturo. E ben presto avrebbe subito le amare conseguenze di questa sua indole incosciente e superficiale.

 

Per alcuni giorni risalirono il corso del fiume in direzione nord-est. Poi risalirono dal lato ovest i Colli di Vesproscuro. Si ritrovarono all’aperto, lungo la piana di Arnor. Procedendo sempre nella medesima direzione, superarono le montagne di Angmar a ovest, rasentando la costa. Avevano ormai raggiunto il Forodwaith, il deserto ghiacciato del Nord. Il freddo era veramente tagliente e si respirava con più fatica. All’orizzonte solo una distesa infinita di ghiaccio. Entrambi i viaggiatori si privarono per pietà delle loro cavalcature. Sia il pony che il cavallo non avrebbero retto tutto quel freddo. Quel posto era veramente desolato. Austri quasi si pentì di averlo seguito, ma si chiese ancora quale fosse la reale destinazione del vecchio in quel deserto di ghiaccio. Dopo ancora una mezza giornata di marcia, continuando a costeggiare il mare, fu possibile scorgere delle grotte profonde, che si aprivano in basso a pelo d’acqua. La costa era formata da una scogliera altissima che calava a picco sul mare. Ad Austri quasi venivano le vertigini. Il vecchio raggiunse un punto dove una stradina a gradini costeggiava la scogliera e conduceva giù alle grotte. Ma, prima di imboccarla, si voltò e guardò Austri piuttosto seccato.

 

- Che ci fa un nano da queste parti? - gli chiese alterato – E per di più è dal Luhun che mi segui. Speravo di sbagliarmi, ma vedo che non ti sei ancora stancato di starmi alle calcagna. Sputa il rospo ragazzo o farai un bel volo giù da questa scogliera.

Austri rimase a bocca aperta. Cosa poteva dirgli? Che aveva voglia di un’avventura? Che non era la prima volta che lo seguiva di nascosto, come un ladro nell’oscurità?

-Allora? - incalzò il vecchio, mentre gli puntava in faccia il suo lungo bastone.

Il giovane nano temette sul serio di fare un volo giù nel mare, quando sentì una mano esile poggiarsi sulla sua spalla e vide il vecchio cambiare espressione in volto, come quando si vede un volto conosciuto e amico.

 

Austri si voltò e la vide. La dama della radura! Finalmente poteva conoscerla. Ora che la osservava da vicino non era un elfo, ma non era neanche umana. Aveva un’aura particolare, come se provenisse da un altro mondo. Sembrava una dea scesa dal cielo. Era alta, esile, le dita lunghe e affusolate, la pelle chiara e rosea, i capelli lunghissimi fino alle caviglie, lisci e biondi come il grano maturo, gli occhi azzurro chiaro. I capelli erano in parte legati lungo le tempie da una coppia di trecce. Indossava un abito lungo di velluto nero con gli orli dorati. E aveva otto ali piumate nere come la pece (quattro per ogni lato). Sembrava un corvo in forma umana. Chi poteva mai essere?

 

- Come al solito spunti all’improvviso, Metatron. Questo tizio mi segue da diversi giorni. Potrebbe essere una spia di Sauron o dello Stregone di Angmar – disse il vecchio.

Metatron? Nome davvero singolare per una fanciulla, pensò Austri. Tra l’altro sembrava provenire da un idioma a lui sconosciuto.

- Calma – disse Metatron – il ragazzo non è una spia. E’ solo un po’ troppo curioso. E non è neppure la prima volta che ci segue di nascosto.

- Cosa? - il vecchio sgranò gli occhi e divenne più sospettoso – I nani del sud-est sono strani. Non sono come i loro parenti di Durin o quelli dell’ovest. Non mi meraviglierebbe se complottassero con l’Oscuro Signore.

- Ti ripeto che non è così. Fidati. Ha solo troppa fretta di conoscere il mondo. Anche se la fretta è una pessima consigliera e ben presto scoprirà quali ne siano le conseguenze. - Metatron fissò Austri con sguardo grave.

- Sappi inoltre – riprese Metatron – che costui è il nipote di Vindalfr. Rivolgiti a lui come si conviene con un erede al trono.

 

Austri si chiese come faceva la dama a sapere queste cose. Non l’aveva mai vista nel reame, né nessuno dei nani sembrava conoscerla. E intanto pensava che era di una bellezza superba. Austri stava sperimentando l’amore.

- Direi che è il caso di completare le presentazioni. – proseguì Metatron – Come hai sentito il mio nome è Metatron. Appartengo a una razza immortale che non è di questo mondo, la razza degli angeli. Veniamo dall’aldilà e serviamo il Dio Creatore di tutte le cose. Io sono un decano di angeli, un arcangelo per la precisione. Sono stata invocata perché la minaccia di Sauron è ancora incombente e non è l’unica che grava su questo mondo.

 

Angeli del Dio Creatore? Austri si era ormai pietrificato in un’espressione di grande stupore. Quali meraviglie e scoperte lo attendevano ancora?

- Costui invece – proseguì ancora – è Pallando o Romestamo, uno dei cinque Istari, incaricato dai Valar di sorvegliare l’est.

 

Austri conosceva di fama gli Istari o Stregoni, ma non c’aveva mai avuto a che fare. Saruman il Bianco è il loro capo, Gandalf il Grigio sorveglia l’ovest, Radagast il Bruno dimora nel Bosco Atro, e poi i due Stregoni Blu, Alatar o Morinehtar che sorveglia il sud e Pallando l’est. Pallando era alto, i capelli lunghi e brizzolati, la barba altrettanto lunga. Indossava un vestito lungo e blu con cappuccio, con cui si copriva spesso la testa. Aveva un bastone lungo dalla punta intrecciata che custodiva una sfera di color bianco intenso. Forse la luce che Austri vide quella notte nella radura era proprio la luce di quella sfera. Angeli e Stregoni in terra di draghi… Che stava succedendo?

 

Austri si riprese dallo stupore, fece per muovere le labbra, ma non sapeva cosa dire per convincerli a portarlo con loro. Ormai la curiosità lo divorava e il suo cuore vibrava felice per il bellissimo angelo. In suo soccorso intervenne sempre Metatron, che disse:

- Non possiamo lasciarlo da solo e a piedi in questo deserto ghiacciato. Vieni con noi e sarà quel che sarà. Quello che vedrai nelle grotte ti stupirà ancora di più. Io ti proteggerò dai pericoli. Ti chiedo solo di non fare mosse avventate e di non parlare con nessuno tranne che con noi due.

 

Pallando non era felice di portare il nano con loro, ma Metatron sembrava avere più autorità. I tre dunque presero a scendere la stradina che fiancheggiava la scogliera e giunsero alle grotte.

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Ora io stesso non saprei che cosa consigliarti. Vedi, sia che si conti sulle proprie forze, o anche su quelle dei compagni, nessuno può prevedere il risultato finale. Perciò, in qualsiasi caso, ricorda che l’importante è non avere alcun rimpianto.

(Levi a Eren – Shingeki no Kyojin)

 

Pallando aveva imboccato la stradina per primo, seguito da Austri e infine Metatron. Il nano si voltava spesso a guardare l’angelo, ormai irrimediabilmente stregato dalla sua bellezza. Lo faceva di nascosto, o almeno ci provava, ma in realtà Metatron lo guardava a sua volta sorridendo. Sembrava che l’angelo avesse dei poteri che le permettevano di leggere nel pensiero. Inoltre a un certo punto era priva delle otto ali, sparite chissà dove, e assumeva più la forma di una normale donna mortale. Durante la discesa, lo stregone raccomandò ancora al principe nano di non fare cavolate e di non parlare con nessuno, all’infuori di loro due. Austri quasi si sentì trattato da idiota e stava per spazientirsi e mandarlo a quel paese. Fortunatamente arrivarono agli ingressi delle grotte (la scogliera assumeva in quel punto la forma di una mezza luna convessa in cui si aprivano almeno tre grotte) e i tre imboccarono la prima.

 

La volta della grotta era molto alta, seppur non altissima, e appariva in penombra; la grotta era molto profonda, scavata all’interno della scogliera, e la luce riusciva a lambire solo l’ingresso. Pallando borbottò qualcosa, forse una formula magica, e la sfera della punta del suo bastone si illuminò, permettendo al trio di vedere nell’oscurità. Procedettero verso l’interno e l’aria diveniva un po’ putrida, puzzando di chiuso. In quell’ambiente con poche aperture, l’umido si faceva percepire parecchio e rendeva l’atmosfera pesante.

 

Lungo le pareti rocciose si aprivano delle strette fenditure, dove non avrebbero potuto passare né uomini né orchi. Probabilmente vi potevano passare solo animali di piccola stazza. Ma in quelle lande desolate si vedevano perlopiù uccelli marini. Austri osservava tutto con insaziabile curiosità. Sembrava un bambino che riceve diversi giocattoli e ha l’imbarazzo della scelta. Era la prima volta che vedeva le terre nordiche; e poi c’era l’angelo con la sua bellezza indescrivibile. La baldanza tipica della sua giovane età e l’incoscienza dovuta alla mancanza di esperienza, lo rendevano cieco e incapace di analizzare criticamente la situazione. Neanche si chiedeva se un nano poteva stare al fianco di una creatura immortale. Nel suo cuore cresceva un’emozione per lui nuova e inebriante come nettare. Ormai ne era totalmente assuefatto. Senza contare che era in terra di draghi, forse i peggiori nemici per la stirpe dei nani.

 

Dopo aver camminato per un bel po’ all’interno della grotta, Pallando chiese con una scusa di fermarsi e si appartò con Metatron:

- Sei proprio sicura di volerti portare dietro il nano? Più ci penso, più mi convinco che sia un’imprudenza di cui ci pentiremo. Lasciamolo ad aspettarci qui.

- Non ti pare tardi per pensarci? Avresti dovuto cacciarlo sin dalle rive del Luhun. Lo hai visto, eppure hai lasciato che ti seguisse fino a qui.

- Pensavo fosse una spia e volevo smascherarlo.

- Se lo lasciamo da solo, potrebbe davvero accadergli qualcosa di brutto. E dovresti sapere a cosa mi riferisco. Se lui lo incontrasse, potrebbe approfittarne a suo vantaggio.

Pallando era ora confuso, anche se non voleva rassegnarsi. Ad ogni modo Metatron quasi gli intimò di non insistere oltre. Ad Austri c’avrebbe pensato lei, mentre portavano avanti quella misteriosa missione.

 

Ripresero a camminare. Austri neanche si chiese di che avevano parlato gli altri due. Sorrideva beota all’angelo, vittima della sua stessa incoscienza e di quel dolce veleno che è l’amore. Il pericolo però era veramente in agguato. Giunsero in un’area circolare, in buona parte priva di soffitto da cui arrivava la luce esterna. Alla luce del sole, quelle pareti fredde e dure risplendevano come uno specchio. Mentre i tre si fermarono a guardare e riposare, Metatron vide qualcosa simile a un’enorme frusta che si rifletteva nelle pareti. Aprì la bocca per lanciare l’allarme, ma quella cosa si schiantò violentemente contro il pavimento, che si frantumò in diversi punti. Metatron istintivamente lievitò; Pallando si aggrappò a una vicina sporgenza grazie al bastone, ma Austri precipitò giù finché sbatté forte con la schiena contro un altro pavimento di pietra. A causa del forte impatto perse i sensi.

 

Quell’enorme frusta, che in realtà era una coda, sbatté violentemente per una seconda volta, ma stavolta colpì la parte superiore di una parete che cadde rovinosamente giù. Pallando cercò di tornare all’esterno e di mettersi in salvo; ma Metatron restò ben salda a mezz’aria e cercò di contrastare l’enorme creatura che tentava di sbarrare loro la via. Ma la seconda frana alzò un’enorme polverone e, quando Metatron controllò l’area circostante, di quella creatura non c’era più traccia. Ma la cosa che la angosciava di più era l’assenza di Austri, precipitato giù e sicuramente ferito. Essendo sicura che lo stregone non si era fatto nulla, si fiondò in volo nello squarcio del pavimento e si mise alla ricerca del nano. Non c’era un minuto da perdere. Austri correva un grave pericolo, e non solo per la caduta, ma perché rischiava di incontrare il flagello della razza dei nani.

 

Austri era piombato di botto sul pavimento del livello sottostante l’ingresso della grotta. Mormorando per il dolore causato dalla botta, si mosse un po’ e riuscì ad alzare le spalle e la testa. Le sue pupille dovettero abituarsi presto dal buio pesto alla luce vivida di quella che sembrava essere una fiamma. Sì, era proprio il fuoco vivo di una torcia di considerevole grandezza. Ma quando guardò bene dietro la torcia e dovette alzare lo sguardo, un brivido gelido gli corse lungo la schiena. Per la barba di Durin… quello era un drago! Se per un verso poteva crepare per la paura, per un altro la sua maledetta curiosità lo spingeva a volerlo osservare da vicino. Sapeva che i draghi sono molto intelligenti e si chiedeva che tipo di conversazione poteva sostenere con quell’essere che poteva far tremare un intero esercito di nani. Il drago, a sua volta, lo scrutava con un ghigno e altrettanta curiosità.

 

Dai racconti di Erebor (e non solo da quelli, ma anche dai racconti più remoti dei reami delle Montagne Grigie) Austri aveva udito parlare dei draghi. Sapeva che non erano tutti uguali (c’erano quelli che avevano le ali e quelli che strisciavano come serpenti, quelli che sputavano fuoco e quelli che esalavano gas tossici). Quello che gli si parava innanzi sembrava simile a Smaug, uno sputafuoco alato. Nonostante la penombra si intuiva che era enorme e con un paio d’ali da pipistrello dall’apertura a dir poco spaventosa. Era di un colore verde ossido. Bahamut, così si chiamava il drago, mosse leggermente la testa e iniziò a parlare, ma non prima di togliersi il ghigno dal volto e dissimulare le sue vere intenzioni con un’espressione di stupore mista a cordialità:

- Oh mia piccola creatura… Sei forse stata inviata dai Valar a consolare la mia povera anima solitaria? Mi ero ormai rassegnato al mio eremitaggio e al non poter mirare un volto amico per il resto dei miei giorni.

- Allora è vero che non ci sono altri draghi… - Austri intervenne di botto meravigliandosi di se stesso. Non aveva esitato, esprimendo a voce ciò che gli passava per la testa. Non lo temeva, anzi quasi sperava di poterne sapere di più su queste straordinarie creature che incontrava per la prima volta. Dal canto suo Bahamut intuiva di aver trovato una preda malleabile, che poteva manovrare a suo piacimento, e se ne compiacque.

- I racconti dei nani più anziani dicono che Smaug fosse l’ultimo della sua razza. Ma a quel che vedo non è così, anche se mi par di capire che siate gli ultimi. - continuò Austri.

- Ma allora Smaug è vivo! - Bahamut continuò con la sua recita di finto stupore – anche se mi vergogno a nominarlo. Mi rivelò, alcuni anni or sono, la volontà di attaccare uno dei vostri reami. Mi si spezza il cuore a immaginare i disastri che avrà causato. Ecco perché ho deciso di rimanere qui, in questi ghiacciai desolati, a finire i miei giorni in solitudine. Il mondo è troppo piccolo per noi draghi e non abbiamo alcun diritto di viverci. - E si dipinse sul volto un’espressione di rammarico.

- Beh io non la penso così… - Austri s’interruppe e lo guardò.

- Bahamut, è così che mi chiamo.

- Dicevo, Bahamut, che non la penso così. Se le tue intenzioni sono sincere, potresti scendere a patti con le altre razze. - D’improvviso ad Austri gli si prospettarono mille idee. Pensò a Thorin, a Erebor, a Moria e a tante altre cose. Grazie alla forza di un drago alleato, potevano liberare Moria dal Balrog e soprattutto Erebor da Smaug. Thorin poteva tornare trionfante e prendere nuovamente possesso della Montagna Solitaria. Il verde dei suoi occhi splendette come smeraldo, mentre Bahamut già sognava montagne d’oro su cui posare le sue zampe.

 

- Chiedo venia per la mia scortesia, non mi sono ancora presentato. Sono Austri figlio di Lofarr, nipote di Vindalfr, principe ereditario dei Piediroccia giù nelle Montagne Rosse. Grazie alla tua forza potremmo sovvertire le sorti della mia gente. Purtroppo il popolo di Durin, nonostante il suo alto lignaggio, ha perso i suoi reami più importanti. Tu potresti aiutarci a riprenderli e in cambio ti offriremo molto di più dell’amicizia. Rispetto, onore e una vita agiata.

Austri era proprio un ingenuo e un illuso. Pensava di potersi accordare facilmente con una bestia assetata di sangue e oro. Ed era pure uno stolto se gli stava dicendo queste cose senza alcuna prudenza. Ma ormai il danno era fatto. Bahamut non avrebbe dimenticato né il suo volto, né le sue parole.

- Le tue parole mi danno speranza, principe Austri. - Bahamut si inchinò ossequioso e, a testa in giù, il ghigno gli splendeva spaventoso in volto – Ti seguirò e ti servirò affinché queste nostre parole si tramutino in realtà. Sei venuto da solo sin qui?

- A dire il vero, il pavimento crollò e sono precipitato qua sotto.

- Oh, queste grotte sono ormai corrose dal mare. E’ una fortuna che tu sia ancora illeso. Ti conduco io all’esterno.

- Veramente sono venuto in compagnia… - A queste parole Austri strinse istintivamente il ciondolo e si ricordò delle raccomandazioni di Metatron e di Pallando, ossia di non parlare con nessuno all’infuori di loro due. Tacque e restò immobile, con un’espressione indecifrabile. Si stava ravvedendo e pensò di aver commesso un’imprudenza. Forse doveva consultarsi con l’angelo e lo stregone prima di rivolgere la parola al drago.

 

- Cosa c’è amico mio? - Bahamut mangiò la foglia e pensò che era giunto il momento di porre fine a quella breve amicizia a senso unico. Non era prudente lasciarlo andare vivo. Il nano poteva allertare i suoi compagni o, peggio ancora, il popolo stesso dei nani, che ormai da secoli odiava i draghi.

Stava per allungarsi in avanti e afferrare Austri, quando una luce piombò dall’alto a gran velocità e lo costrinse ad indietreggiare.

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

 

Elrond: Arwen, tollen i lu. I chair gwannar na Valannor. Si bado, no cirar.

Arwen: Ho fatto la mia scelta.

Elrond: Egli non ritornerà. Perché ti trattiene qui quando non c’è speranza?

Arwen: C’è ancora speranza.

Elrond: Se Aragorn sopravvivesse a questa guerra, sareste comunque divisi. Se Sauron fosse sconfitto e Aragorn fatto Re e se tutto ciò che speri si avverasse, egli dovrebbe sempre assaporare l’amarezza della mortalità. Che sia per spada o per il lento sfacelo del tempo, Aragorn morirà. E per te non ci sarà alcun conforto per alleviare il dolore della sua scomparsa. Perverrà alla morte come immagine dello splendore dei Re degli uomini in gloria, senza macchia, prima del crollo del mondo. Ma tu, figlia mia, tu ti trascinerai nell’oscurità e nel dubbio, come la notte d’inverno che arriva senza una stella. Qui tu dimorerai legata al tuo dolore, sotto gli alberi che avvizziscono, finché il mondo intero sarà cambiato e i lunghi anni della tua vita saranno consumati. Arwen, non c’è nulla per te qui, solo morte. Ah im, u-erin veleth lin?

Arwen: Gerich veleth nin, ada.

(Il signore degli anelli – Le due torri)

 

Mentre Metatron scendeva in picchiata, come una forsennata, alla ricerca di Austri, il rimorso la tormentava. Forse doveva dare ascolto a Pallando e rimandare il giovane nano indietro senza la minima esitazione. E invece aveva insistito perché rimanesse con loro e si era presa l’onere di provvedere alla sua sicurezza. Il giovane nano che la guardava con occhi dolci le aveva annebbiato la mente e adesso rischiava la vita, oltre la sicurezza del suo popolo. I draghi desiderano più di ogni cosa l’oro e, quello che si nascondeva in quelle grotte, avrebbe fatto di tutto per ingannare Austri e impadronirsi di un reame nanico con tutte le sue ricchezze. Non c’era tempo da perdere. Avrebbe mantenuto la parola e lo avrebbe salvato.

 

Quando Bahamut si mosse per afferrare Austri e divorarlo, Metatron piombò dall’alto scagliandogli addosso una barriera mistica offensiva. Il drago la schivò in tempo indietreggiando. L’angelo atterrò velocemente vicino al principe, generò una nuova barriera e si accertò delle sue condizioni. Austri stava bene ma, a causa del precedente impatto, non era del tutto in grado di reggersi in piedi, né di correre. Dunque Metatron lo afferrò per la vita e si allontanò in volo. Ma prima, con un ulteriore barriera offensiva, fece crollare la grotta sotterranea, in modo da rallentare il drago e assicurarsi la fuga. Si allontanò in tutta fretta in volo reggendo Austri. Uscirono fuori dalle grotte e si fermarono sul mare. Vide Pallando fermo vicino la stradina da cui erano venuti e gli affidò Austri. E fece per tornare vicino le grotte.

 

- Dove vai? Andiamo via. Quello che abbiamo visto è più che sufficiente. Scappiamo finché siamo in tempo. - Le gridò Pallando.

- Ho bloccato Bahamut con le macerie. Ma non è certo sufficiente a fermarlo. Tra poco si libererà e si lancerà al nostro inseguimento. Devo fermarlo qui o le terre dell’Ovest rischieranno la distruzione. Tu allontanati con Austri e tornate alla Contea senza voltarvi indietro.

 

Pallando obbedì ancora una volta e risalì la stradina con Austri. Nel lasso di tempo in cui Pallando era fuggito all’esterno, mentre Metatron si lanciava al salvataggio di Austri, lo stregone aveva chiamato le Aquile. Ne sopraggiunsero tre. Una fece salire sul dorso Pallando e Austri, mentre le altre due facevano da scorta. Si allontanarono facilmente, sfuggendo al drago. Mentre volavano via, Pallando si girò più di una volta verso le grotte, vide riemergere il drago e Metatron lottare contro di lui. Augurò buona fortuna alla sua compagna e sperò con tutte le sue forze di poterla rivedere alla Contea.

 

Intanto sul mare infuriava una lotta all’ultimo sangue tra il drago e l’angelo. Entrambi capaci di volare, cercavano di colpirsi a vicenda; Bahamut lanciava lunghissime lingue di fuoco, mentre Metatron rispondeva con le sue barriere mistiche, rese temibili dai suoi immensi poteri da arcangelo. Mentre si rispondevano colpo su colpo, la bionda fanciulla riuscì a generare una cabala, una potentissima barriera in grado di difendere come uno scudo impenetrabile e lanciare attacchi letali. Il drago si vide rispedita al mittente una delle sue lingue di fuoco e ne rimase scottato. Metatron non riuscì a eliminarlo, ma quantomeno riuscì a farlo scappare nelle grotte con la coda tra le gambe. La lotta terminò con la vittoria dell’angelo e Bahamut rinunciò momentaneamente alla sua montagna d’oro. Ma i draghi sanno essere più vendicativi dei nani e ben presto ne avrebbero pagato le conseguenze.

 

Grazie alla velocità dell’aquila, atterrarono in poco tempo sulle collinette a nord-est di Tucboro. Pallando cercò l’aiuto di alcuni contadini hobbit e fece trasportare Austri in una locanda frequentata di Tucboro, ritrovo abituale di hobbit e raminghi del nord. Austri aveva la netta sensazione che lo stregone lo considerasse solo un fastidio, anzi di sicuro era stato così sin dall’incontro lungo le rive del fiume. Questo viaggio inaspettato per Austri, su nel nord ghiacciato, era stato colmo di sorprese, tra cui in ultimis i poteri di Metatron e le Aquile. Eppure aveva perso tutto il suo entusiasmo. Temeva per ciò che era successo con Bahamut, temeva per il suo reame e si sentiva profondamente in colpa. Questo fu l’inizio del mutamento emotivo che si verificò nel suo animo. Nel suo orizzonte si addensavano nubi minacciose di tempesta…

 

Austri fu sistemato in una camera della locanda. Aveva bisogno di un po’ di riposo per riprendersi. Intanto Metatron li raggiunse. Pallando fu sollevato di vederla arrivare per diversi motivi (sia perché stava bene, sia perché significava che il drago era stato sopraffatto, sia perché non vedeva l’ora di liberarsi del nano e mollarlo all’angelo); inoltre aveva fretta di raggiungere lo stregone del sud, Alatar, per riferirgli ciò che era accaduto nelle grotte e che probabilmente erano minacciati da Bahamut (lungo il tragitto in volo con le aquile, lo stregone aveva torchiato Austri, facendosi raccontare la conversazione col drago). Detto ciò partì al galoppo con un cavallo che si era procurato. Metatron invece salì al piano superiore che ospitava le camere per vedere Austri.

 

Quando entrò, l’angelo cercò di non stressarlo ulteriormente (l’angelo aveva il dono dell’empatia e si rese subito conto del tormento del principe) e gli chiese come stava. Austri le rispose che si sentiva meglio e che sarebbe bastata una notte di riposo per rimettersi in piedi. Ma i suoi occhi verdi avevano perso la vivacità e non osavano guardarla in volto, come di chi prova vergogna. Eppur tuttavia l’amore che ormai provava per l’angelo era più forte di qualsiasi altro sentimento. Prese il coraggio a due mani, alzò il viso e le confessò il suo amore:

- Se me lo permettete, nobile angelo, vorrei parlarvi col cuore in mano. In verità quando siamo scesi nelle grotte, non era la prima volta che vi incontravo.

- Lo so Austri.

Austri la guardò meravigliato. Ma la meraviglia durò poco e sorrise dicendo:

- Di che mi meraviglio. Coi poteri che avete, di sicuro vi sarete accorta che vi spiavo in quella radura. Seppur ero solo un ragazzino scapestrato.

Si fermò per un attimo e riprese sconsolato:

- Già, scapestrato. E lo sono ancora! Ho ignorato i vostri avvertimenti e sono stato imprudente. Ma se voi mi perdonaste e mi permetteste di stare al vostro fianco, vi offrirei tutto di me, il mio cuore, la mia anima, ogni mia gioia, persino la mia vita! Io vi amo, e sento che non amerò più nessuno così come amo voi.

Mentre Austri attendeva ansioso una reazione e una risposta, Metatron si fece grave in volto. Il tono della sua voce era gentile ma fermo:

- Sono onorata di essere al centro dei vostri pensieri. Questo è più di quanto una serva del Dio Onnipotente possa sperare e meritare. Eppur devo rifiutare. Noi angeli fummo generati per servire l’Altissimo. Non siamo destinati alle unioni carnali e a procreare. Per questo non proviamo quel tipo di amore che unisce un uomo ad una donna. Inoltre proveniamo dall’aldilà. Solo da morto potreste seguirmi, solo privato del vostro corpo mortale. Capite da voi che questa unione è impossibile per diversi motivi.

 

Austri, che ignorava tante cose degli angeli, non si aspettava né un rifiuto, né una simile spiegazione. Ma non si diede per vinto. Quest’amore, piombatogli addosso come un fulmine a ciel sereno, lo teneva in pugno. Insistette senza pensarci due volte:

- Se posso seguirvi solo da morto, allora non ho dubbi. Vi darò la mia vita, ascenderemo assieme al cielo e servirò l’Onnipotente al vostro fianco. L’unica cosa che desidero è di poter restare vicino a voi e di potervi amare per l’eternità.

Metatron, invece di gioire come una qualsiasi fanciulla che si compiace di avere un innamorato fedele, assunse un’espressione severa e gli rispose:

- E il tuo popolo? Tuo padre? Tuo nonno? Abbandoneresti tutto e tutti per i tuoi desideri? Li faresti morire di crepacuore. E i tuoi doveri di principe ereditario? Il tuo popolo ha bisogno di una guida salda. Quando tuo nonno e tuo padre si faranno da parte e ti lasceranno la corona, dovrai essere pronto a governare con giustizia e saggezza. Ma a quel che vedo, non ne sei degno. E sappi che io non gradisco chi abbandona e fugge come un codardo. Mi stai veramente deludendo.

- Ma io vi amo. Questo non ha alcun valore per voi? - Austri alzò un po’ la voce quasi disperato.

- Vi ripeto che non posso contraccambiarvi. Le nostre razze sono troppo diverse tra loro. Mandereste tutto all’aria per un’infatuazione senza alcun futuro? E come se non bastasse, mentre voi siete destinato a invecchiare e morire, io vivrò in eterno con questo aspetto fanciullesco. Basta così. Per quel che mi riguarda l’argomento è chiuso. Piuttosto pensate a riposare. Domattina partirete di buon’ora e tornerete al vostro reame. Riflettete su quanto vi è accaduto su al nord, ricordate gli insegnamenti di Thorin e siate un degno erede al trono.

Austri voleva replicare ancora. Ma, all’improvviso, cadde in un sonno profondo. Metatron lo fissò un’ultima volta mentre dormiva placido. Provava per lui un affetto sincero, come quello che si prova per un amico fraterno, ma non poteva dargli false speranze. Questo non se lo sarebbe mai perdonato. Dopo di che sparì nel nulla.

 

La mattina seguente Austri si svegliò presto. Si sentiva decisamente meglio e si alzò dal letto senza problemi. Ma cercò Metatron e non la trovò da nessuna parte. Chiese pure all’oste, ma questi non l’aveva vista. Capì allora che l’angelo, con i suoi poteri, lo aveva fatto addormentare per potersi allontanare indisturbata. Allora si convinse che il suo era un amore impossibile, un sogno irrealizzabile. Si procurò un pony e tornò alle Montagne Rosse senza più voltarsi indietro.

 

In quei giorni il cuore di Austri ricevette due pugnalate, il Rimorso e il Rifiuto. Due ferite che avrebbero sanguinato a lungo e da cui difficilmente si sarebbe rialzato.

 

 

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