Come John incontrò Veronica

di unforgivensoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorpresa! ***
Capitolo 2: *** Veronica ***
Capitolo 3: *** Verità rivelate ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** La fuga di Roger ***



Capitolo 1
*** Sorpresa! ***



Ore 20:45

 
Era trascorsa solo una manciata di mesi da quando John era diventato un membro ufficiale della band: una rapida audizione era stata sufficiente per classificarlo come il bassista più talentuoso, e giovane, con cui Freddie, Brian e Roger avessero avuto a che fare fino a quel momento; una lunga serie di prove, altrettante esibizioni dal vivo e le spiccate conoscenze di John nel campo dell’ingegneria elettronica lo avevano poi  confermato la scelta migliore.

La sera del diciannove agosto 1970 il bassista, fermo sul vialetto di casa, attendeva pazientemente che Roger lo passasse a prendere. Era il suo diciottesimo compleanno e lo avrebbero festeggiato, sotto sua esplicita richiesta, mangiando una pizza e bevendo qualche birra nell’appartamento che Roger e Freddie condividevano. Qualcosa di tranquillo, insomma: pochi amici stretti, un po’ di buona musica e nulla che minacciasse di mettere John al centro dell’attenzione.

Il suono di un clacson lo richiamò all’attenzione, facendolo scattare verso una macchina parcheggiata ben tre case prima della sua.

“John, eccoti!” esclamò Roger “queste villette sono tutte uguali, dannazione!”.

“E la tua vista è pessima” aggiunse il neodiciottenne, accomodandosi sul sedile del passeggero.

Il batterista liquidò l’argomento con un movimento spazientito della mano e, prontamente, ne introdusse uno nuovo mentre procedeva verso la propria meta, strizzando gli occhi di tanto in tanto per mettere a fuoco la strada.

Dopo un paio di incroci, però, John notò un cambiamento di rotta.

“Sei consapevole che questa non è la strada per casa tua, vero?” domandò, cauto. Che la vista del biondo fosse peggiorata?

“Oh, sì! Io e Fred abbiamo pensato di spostare tutto da Brian” rispose il diretto interessato, scrollando le spalle.

“Da Brian?!” John aggrottò le sopracciglia, stranito. I genitori del chitarrista erano i più severi che avesse mai conosciuto e la loro villa un tempio immacolato di ordine ed austerità, difficilmente il luogo adatto ad una festa, per quanto piccola.

“I Signori Bacchettoni sono volati in Italia proprio ieri pomeriggio per far visita ad una vecchia zia malata, o roba simile. Torneranno tra una settimana. Alias, possiamo evitare di passare il sabato sera confinati in quel buco che Fred si ostina a chiamare appartamento!” ammiccò Roger, emozionato all’idea.

Il bassista, dal canto suo, non riusciva a pensare ad un motivo valido per opporsi all’iniziativa: era una casa grande e bella dove sarebbero stati più che comodi.

Chiaramente, quello sprazzo di positività venne subito offuscato da una nuvola di rabbia e vergogna quando, poco dopo, fu sospinto oltre l’ingresso della residenza May da un Roger eccitato oltre misura e accolto da una moltitudine di persone, perlopiù sconosciute, con un sonoro “sorpresa!”.

Prima che potesse accusare di tradimento i suoi compagni di band, questi gli si gettarono al collo, augurandogli un buon compleanno e accampando le più disparate giustificazioni per non aver esaudito il suo desiderio di una festa tranquilla e con pochi invitati.

“Non è un compleanno qualunque, tesoro: oggi diventi un uomo!” puntualizzò Freddie, passandogli uno dei due bicchieri che stringeva tra le mani. “Martini Bianco, il tuo preferito”

Il festeggiato lo prese, ancora troppo frastornato dalla situazione per poter reagire. Buttò un’occhiata alle spalle del cantante: decine e decine di corpi ballavano, stringendosi l’uno all’altro, mentre un paio di ragazze, prematuramente brille, cercavano di arrampicarsi su un tavolo e spogliarsi del reggiseno. Alcuni invitati, tra i quali scorse anche Oliver – colui che, per primo, gli aveva fatto conoscere i Queen- stavano riempiendo svariati bicchieri e ripassando le regole di un gioco alcolico che John non conosceva. A completare il quadro vi era un ragazzino smilzo che correva a petto nudo per tutto il salotto, scatenando le fragorose risate degli amici.

John calò il suo Martini in un solo colpo.

“Wow” commentò Roger, ridendo. “Fred, prendigliene un altro! Un paio di questi e ti scioglierai anche tu, Deaky!”

“Ti sembro una cameriera, per caso?”. La risposta scocciata dell’interpellato non tardò ad arrivare.

“Vado io, vado io!” intervenne Brian, per poi mimare un mi dispiace, ho provato a dissuaderli in direzione del bassista che, malgrado il disagio, sorrise all’assurda idea di convincere Roger e Freddie a rinunciare ad un’occasione per festeggiare. I due coinquilini erano nati per rincorrere il divertimento e quanto più questo era sfrenato e perverso, tanto più essi sembravano disposti a cedervi.

Appena la chioma riccia del chitarrista scomparve tra la folla, Freddie circondò le spalle di John con un braccio e accostò le labbra al suo orecchio.

“Pronto, caro? Abbiamo in programma di non lasciarti andare finché non ci ringrazierai di aver benedetto il tuo compleanno con il party più sensazionale di tutti i tempi” promise.

“Fossi in voi, non ci spererei troppo” borbottò l’altro, facendo vagare lo sguardo attraverso la sala.

“Tanto per cominciare… perché non andiamo a conoscere le dee che stanno ballando sul tavolo?” suggerì Roger con tono persuasivo.

Dee? A John sembravano solo due esibizioniste, prive della capacità di reggere l’alcol, oltretutto. Con una smorfia, mosse qualche passo verso la sala da pranzo: qualche minuto prima aveva adocchiato un angolo tranquillo dove avrebbe potuto passare inosservato. Cercò di farlo con disinvoltura, senza destare l’attenzione degli amici.

“Credevo stessimo aspettando tua sorella!” obbiettò il cantante mentre, senza spostare gli occhi dal proprio interlocutore, allungava una mano per afferrare il colletto della camicia di John e riportarlo dov’era.

Lo sfortunato in questione, piagnucolò, un’espressione sofferente stampata in viso.

“Sì ma non la vedo da quando sono rientrato…!” rispose il batterista, guardandosi intorno.

Roger aveva una sorella. Una gemella, per essere precisi. Tuttavia, stando a quanto gli avevano raccontato, i due si erano visti poco negli ultimi mesi perché lei, aspirante ballerina, era volata in America dopo essere stata scoperta da un talent scout durante un’esibizione a Londra.  John non l’aveva mai incontrata e non sapeva nient’altro sul suo conto a parte che il biondo le era particolarmente legato e che Freddie e Brian la conoscevano piuttosto bene ormai.  Avrebbe potuto chiedere, certo, ma ancora non si sentiva a proprio agio a porre loro domande personali, che non riguardassero la band o temi generici e di circostanza. Inoltre, era certo che presto o tardi si sarebbero incontrati e che qualsiasi sua curiosità sulla sorella misteriosa avrebbe potuto attendere fino a quel fatidico momento.

“Beh, sa badare a se stessa! Andiamo, su!” si risolse Roger, afferrando il bassista e trascinandolo verso la pista da ballo.

“Sì, prima che tenti di nuovo la fuga!”. Freddie squadrò l’amico, sfidandolo silenziosamente a trovare una giustificazione credibile.

“Mi stavo solo guardando intorno” si difese l’accusato.

“Ma certo, caro!” rise il cantante, annuendo.

“Ti assicuro”.

“Ti credo. Ma ora facciamo a modo mio, tesoro, ti va?” suggerì il frontman.

“Vuoi una risposta onesta?”.

“Solo se è positiva”. Freddie scosse la testa donando al più giovane un ampio sorriso, gli incisivi prominenti in bella mostra. John non avrebbe saputo dire quando il maggiore aveva smesso di nascondergli il proprio sorriso ma era grato che fosse successo: ogni imbarazzo tra loro si era sgretolato, lasciando il posto ad un’intima confidenza.

 

Ore 22:15

 
“NO! NO! NO! TU! POSA SUBITO QUEL VASO!” gridò Brian, spazientito, strappando il prezioso oggetto di cristallo dalle mani di un biondino che, ridendo, riprese la sua corsa verso il giardino.

“Brian, caro, devi rilassarti! Se rompono qualcosa…beh, ci penseremo domani mattina!” spiegò un Freddie palesemente alticcio e piuttosto accaldato a causa del troppo ballare.

“La festa sta degenerando, Fred! E io sto cercando di salvare parte della casa prima che anche l’ultimo cocktail che ho bevuto faccia effetto” dichiarò il chitarrista, altrettanto brillo.

“Piuttosto, Bri, chi era la rossa di prima?” domandò il cantante, alzando un sopracciglio, curioso.

“Diciamo che sono stato fortunato…” si limitò a rispondere il riccio, un sorriso compiaciuto stampato in volto.

“Buon per te, dita d’angelo!” rise il cantante, depositando una pacca sulla schiena dell’amico.

“Freddie!” lo rimproverò quest’ultimo, arrossendo.

“Che c’è?! Sai cosa si dice sui chitarristi…!” esclamò il frontman, scrollando le spalle, per nulla imbarazzato.

 “Torno a ballare, caro” aggiunse poi. “Quando finisci di mettere in salvo tutti i cimeli di famiglia, raggiungimi! Ti ho visto, prima: ti muovi come uno stoccafisso…urge il mio intervento!”.

Prima che Brian potesse ribattere, Freddie si dileguò tra la folla.

 

Ore 22:45

 
“John, amico! Guarda: ti ho portato un po’ di torta! Non puoi non assaggiarla, sei il festeggiato!” gridò Roger, avvicinandosi al suo orecchio per sovrastare la musica e indicando i seni delle due ragazze che lo affiancavano, le stesse che avevano offerto al pubblico maschile un piacevole intrattenimento fin dall’ inizio della serata.

Il neodiciottenne, che per quasi tutto il corso della festa non aveva abbandonato il fianco di Freddie, unico luogo in cui si sentisse davvero a proprio agio, osservò i loro corpi formosi, indugiando sui capezzoli turgidi che spuntavano da un velo di panna e glassa al cioccolato, e inorridì all’idea. Non perché non apprezzasse ciò che vedeva, si intende, ma perché la timidezza e l’imbarazzo che gli erano tanto familiari lo assalirono all’improvviso.

“Uhm, no, grazie” risposte, incerto, dandosi mentalmente dello sfigato.

“Ma come?! Su, non fare il timido e assaggia!” rise il batterista, posando una mano sul collo del più giovane e spingendogli delicatamente il capo verso il seno di una delle bionde che, notando la timidezza del bassista, prese a ridacchiare.

John si divincolò rapidamente dalla stretta dell’amico, snocciolando una scusa: “No, Roger! Io devo…andare in bagno! Sì, ho appena visto Oliver entrarci. Credo che stia male, meglio che vada a controllare”

In risposta ricevette un paio di occhi alzati al cielo e uno sbuffo.  “D’accordo, fa come vuoi!” si arrese il batterista, per poi rivolgere le proprie attenzioni ai seni delle due, seppellendoci il viso.

John, a disagio, si dileguò nella direzione opposta al bagno.

 Il re degli sfigati… ecco cosa sei, si maledisse.



Ore 23:15

 
John sbuffò, spazientito: trenta minuti trascorsi alla disperata ricerca di Freddie e nessun indizio su dove avrebbe potuto essere. Fermatosi ai piedi della scalinata che conduceva al piano superiore, il festeggiato si interrogò su quanto fosse maleducato abbandonare la propria festa.

Parecchio, suggerì una voce dentro di lui.

D’altra parte, non conosci quasi nessuno qui. E sei evidentemente a disagio senza uno dei tuoi amici accanto, si disse.

Esasperato dai suoi stessi pensieri, rivolse una rapida occhiata a Roger. Questi era occupato a bere birra da un imbuto, incitato da uno stuolo di ragazze eccitate: decisamente uno scenario in cui John non sarebbe riuscito ad inserirsi.

Visto? Non è roba per te questa. Sali al piano di sopra e restaci…starai meglio! La sua timidezza tornò a parlare, spingendolo a posare un piede sul primo gradino.

Sospirando, si risolse per un ultimo tentativo: cercò il riccio con lo sguardo, speranzoso. Lo trovò poco dopo, avvinghiato ad una ragazza dai capelli rossi e dai fianchi rotondi mentre cercava di muoversi a ritmo di musica, con scarso successo, per altro.

Con Brian e Roger impegnati e Freddie introvabile, la festa gli pareva solo un insieme di situazioni scomode in cui avrebbe potuto incappare da un momento all’altro: nuova gente con cui parlare, ragazze ubriache che imploravano di essere portate sulla pista da ballo, giovani pieni di se’ che si aggiravano alla ricerca di vittime per scherzi di ogni tipo e chissà che altro! John rabbrividì al solo pensiero.

Sali!  gli ordinò il suo istinto.

“D’accordo! Solo qualche minuto…poi riprenderò a cercare Fred!” si arrese, mormorando sottovoce la decisione presa.

 

Ore 23:20

 
John si fermò davanti alla camera di Brian e si guardò intorno, circospetto. Accertatosi che non ci fosse nessuno nei paraggi, entrò, richiudendosi la porta alle spalle. La stanza era avvolta da una luce fioca che creava un’atmosfera intima e riservata. L’ideale per un nascondiglio, constatò il ragazzo, per nulla stupito che la lampada posta sopra alla scrivania dell’amico fosse accesa. Probabilmente, il chitarrista se ne era dimenticato dopo una delle sue tante sessioni di studio: per quanto fosse responsabile, quando si trattava di astrofisica riusciva persino a scordarsi di mangiare.

Afferrato uno dei libri di Brian dal comodino, John se lo rigirò tra le mani, curioso, finché il suono improvviso di una voce femminile non lo fece sobbalzare.

“Se sei venuto per conto di David, sappi che non ho intenzione di tornare a casa con lui. Né di seguirlo di nuovo in America! E digli che è un ciarlatano e un porco maschilista!” dichiarò una ragazza bionda, con fare minaccioso. 

 

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Capitolo 2
*** Veronica ***



NOTA AUTORE: Ciao a tutti, cari lettori! Vi ringrazio infinitamente per aver letto e recensito la mia storia! Presumo ci saranno solo un altro paio di capitoli, se non uno solo, poichè l'idea originaria era semplicemente  quella di descrivere il primo incontro di John con la sua futura moglie ed attuale compagna. In questo mio universo parallelo, questa donna è la sorella di Roger, che ho comunque voluto chiamare Veronica perchè, causa il mio sfolgorante romaticismo, non riesco ad associare il nome del bassista a quello di un'altra donna. 


John si voltò, perplesso, ed osservò la sconosciuta che pareva essersi materializzata alle sue spalle. Indossava un vestito estivo con un decoro floreale: la stoffa la avvolgeva perfettamente e le accentuava la vita stretta, i fianchi morbidi e i seni piccoli, donandole un aspetto al contempo grazioso e provocante. Era scalza, con le gambe scoperte, ed un gioiello argentato le adornava la caviglia sinistra. I capelli biondi erano spettinati, la permanente ormai un lontano ricordo, e sfoggiava il trucco sbavato di chi ha pianto per ore. Gli parve di non aver mai visto una donna più bella: l’aria indomita, il corpo flessuoso e la fermezza che le rischiarava gli occhi la rendevano naturalmente affascinante.

“Allora?!” lo esortò la giovane, spazientita.

“Uhm, non ho idea di chi sia questo David. Dovrei?” rispose John, con aria interrogativa.

“No. Meglio così…” sospirò la bionda, apparentemente sollevata all’idea di non dover aver a che fare con quell’uomo.

“In questo caso, la stanza è già occupata. Trovane un’altra!” lo liquidò poi.

“Beh, non è che questa sia casa tua, quindi…” obbiettò pacatamente il bassista, alzando un sopracciglio.

“Ma io sono impegnata! Non vedi?” ribatté l’altra, mostrando a John una bottiglia di Rum scadente, probabilmente sottratta alla scarsa riserva che lui e i ragazzi conservavano nell’armadio di Brian, in caso di emergenza. A giudicare dalla voce della ragazza, non era certo che quella che stringeva fosse la prima su cui avesse messo mano durante la serata.

“Credo di aver pagato io quella roba, sai?” chiese il diciottenne, vagamente divertito dall’espressione buffa della sua interlocutrice.

“Chi sei? Un amico di Brian?” domandò questa, circospetta.

“Una specie” si limitò a dire John.

“D’accordo, amico di Brian. Dato che hai offerto da bere, puoi restare” asserì infine la bionda. “Ma non farti strane idee!” aggiunse, puntandogli un dito al petto.

“Non desidero altro che bere qualcosa ed evitare di tornare là sotto!”. Il bassista alzò le mani in segno di resa.

“A chi lo dici!”.

Con un movimento aggraziato, la sconosciuta si lasciò cadere a terra, la schiena appoggiata al fianco del letto. Stese le gambe ed aspettò che John le si sistemasse accanto.

Poi, senza indugiare, stappò la bottiglia, bevve un sorso generoso e disse: “Dimmi, dunque, amico di Brian: da cosa ti nascondi?”.

“Uh, dalla gente, presumo” balbettò John, spiazzato dalla domanda. Schiaritosi la voce, proseguì: “Ma mi ci vorrà un altro po’ di quello prima che io possa lasciarmi andare ad una vera e propria risposta”.  Così dicendo, allungò una mano verso la bottiglia.

“Non ho fretta” lo rassicurò la bionda.

“Bene, perché di solito non sono un gran chiacchierone”.
 
Ore 00:30
 
“D’accordo, hai vinto. Ne conosci più tu!” rise la ragazza, appoggiando la bottiglia semivuota a terra.

 Come spesso succede quando l’ebrezza gioca il suo ruolo, avevano saltato la maggior parte dei convenevoli: niente presentazioni, strette di mano o noiose domande per conoscersi meglio. Invece, vi erano stati un paio di indovinelli, qualche battuta scadente, una piacevole chiacchierata sui loro musicisti preferiti e due o tre aneddoti che li riguardavano. Infine, avevano iniziato ad ascoltare uno dei vinili di Brian e deciso di sfidarsi ad elencare il maggior numero di chitarristi possibile. Con grande sorpresa di John, che aveva pensato di spuntarla facilmente, era stata una lotta all’ultimo sangue.

“Ti sei difesa bene però, te lo concedo. Non me lo aspettavo: il tuo abito è troppo…rosa perché tu conosca così tanti nomi di musicisti rock!” confessò John, unendosi alla risata.

“Questo è offensivo” replicò la bionda, facendosi d’un tratto seria e riafferrando il Rum. Le risa del diciottenne morirono insieme al sorriso di quest’ultima.

“Vero. Chiedo scusa” ammise, sincero. Aveva di fronte a se’ una creatura rara, un tipo di donna che non gli era mai capitato di incontrare. Non ascoltava semplicemente buona musica, lasciava che questa si impossessasse di lei, facendole reclinare il capo e scuotere la chioma scompigliata. Allo stesso modo, non beveva per impressionare ma assaporava con piacere il gusto forte del rum, succhiandosi il labbro inferiore per non perdere nemmeno una goccia del prezioso distillato. Era forte, indipendente ed infinitamente orgogliosa.  John pensò a sua madre, all’unico tipo di donna, rassegnata regina del focolare domestico, che aveva imparato a conoscere e, per la prima volta, si stupì di quanto limitata ed infantile fosse la sua visione, di quanto altro potesse essere una donna.

 “Posso averne un sorso ora?” domandò, abbozzando un sorriso.

“Sei ubriaco”.

“Anche tu!”.

“Reggo l’alcol molto più di te!”.

“Forse”. Il bassista non si curò di nascondere quanto questo gli piacesse.

 
Ore 00:45
 
“Mhh, perché non mi riveli il tuo nome?!”. La ragazza ammiccò, accavallando le caviglie sul grembo di John che, subito, sentì un familiare calore pervadergli il corpo.

“No, scordatelo”. Scosse la testa, deciso a non rivelare la propria identità. Non voleva che si scoprisse che la festa da cui era scappato era proprio la sua. Sarebbe stato troppo imbarazzante.

“Sleale!” si lamentò lei, schiaffeggiandogli il braccio. “Ti ho appena raccontato il mio sogno erotico su Eric Clapton!” .Fu detto con tanto sdegno e innocenza che il bassista non poté fare a meno di lasciarsi andare all’ennesima risata.

“Non ti ho chiesto io di farlo. In realtà, non so perché tu lo abbia fatto!”

“Seguivo il mio flusso di pensieri” spiegò l’accusata. “Inoltre” proseguì “non ti vedrò più dopo stanotte…e parlare con gli sconosciuti è sempre più facile”.

Sì, gli era sembrato un gioco da ragazzi. Roba da non credere, vista la sua timidezza. Ma lei era un tipo espansivo, chiacchierona per natura, e poteva vantare uno spiccato umorismo che non esitava ad utilizzare per stuzzicarlo. In questo, gli ricordava molto Roger.

“Già. Tu come ti chiami, allora?”
La bionda ci pensò qualche secondo. “V.” rispose, infine.

“Non me lo dirai, vero?”.

“Non senza che tu mi dica il tuo!” esclamò. “Forse non li sapremo mai!” ipotizzò poi, accarezzando con l’alluce il polso del bassista, intendo a far scivolare le mani sulle sue caviglie.

“Mai…” ripetè John, sentendosi malinconico alla sola idea.
 
Ore 2:00

“Sei un bravo ballerino” si complimentò V., piacevolmente colpita dalle mosse del bassista.

“Anche tu” rise questi, cercando di reggere la ragazza che, dopo una serie di giravolte – e mezza bottiglia di rum- aveva iniziato a barcollare.

“Te l’ho detto: è il mio lavoro!”

John era sul punto di replicare quando, in piedi davanti alla porta finestra con la giovane tra le braccia, la sua attenzione fu rapita da due figure che, nella penombra del giardino, per l’occasione illuminato da svariate file di lucine dorate, si stringevano e baciavano in modo appassionato. Da dove si trovava, riusciva chiaramente a distinguere i tratti del ragazzo, un tipo bruno e ben piazzato, ma il volto della ragazza, abbandonata contro il tronco di un albero, era oscurato dall’ombra del suo compagno.

“Che guardi?” si interessò V., soffermandosi anch’essa ad osservare la scena.

“Niente. Solo una coppia che…”

Il bassista non riuscì a terminare la frase poiché le parole gli morirono in gola non appena il ragazzo muscoloso cadde sulle ginocchia, rivelando la presenza rimasta celata fino a quel momento. Non era affatto una ragazza. Era un giovane uomo, che John conosceva molto bene.

“Freddie?!” sussurrò il diciottenne.

Il cantante afferrò i capelli dell’amante, guidandolo verso il suo sesso, un’espressione di pura estasi a deformargli il volto.

“Non ti facevo un guardone!” scherzò la bionda, fingendosi scandalizzata.

“Non…non sono…” tentò, incapace di formulare un pensiero coerente.

Lei lo guardò dubbiosa, riacquistando un po’ di compostezza. “Che c’è che non va? Due ragazzi ti suscitano tanto sdegno?”

“Cosa?! No! Certo che no!” si affrettò a chiarire il diciottenne. “Non è quello. È che…è Freddie. Io lo conosco”.

“Sì, anche io conosco Freddie. Per questo la cosa non mi sorprende. Chiamalo intuito femminile!” sorrise la giovane, raddolcendosi.

John, lo sguardo fisso sulla coppia in giardino, si interrogò sulla sua amicizia con il cantante. Durante i mesi trascorsi fianco a fianco, gli era parso di stringere un legame speciale, nonostante la differenza di età. Il più grande era diventato un amico, un importante punto di riferimento, un prezioso confidente e, soprattutto, un modello da seguire. Freddie era l’affetto più caro che avesse in quel momento, l’unico da cui si sentisse davvero capito ed apprezzato. Aveva creduto che il cantante sentisse lo stesso per lui ma in quel momento pensò di essersi sbagliato. Gli aveva tenuta nascosta una parte di se’, forse per paura di essere giudicato o rifiutato. Questo lo avviliva: davvero Fred temeva che non lo avrebbe accettato? Non gli aveva dimostrato la propria lealtà, prima di allora? Dunque perché scegliere di mentirgli?  Mentre questi ad altri pensieri attraversavano la sua mente, un paio di occhi scuri incrociarono i suoi. Freddie, il capo reclinato a causa del piacere, aveva incontrato lo sguardo di John.  Un barlume di agitazione rischiarò il suo volto, prima che serrasse nuovamente le palpebre, rivolgendosi al suo amante con un ardore tale da sconfinare in rabbia.

Il bassista distolse lo sguardo.

“J.?” lo chiamò la ragazza. Poco dopo aver azionato il giradischi di Brian e aver iniziato a ballare, anche il diciottenne aveva ceduto e le aveva rivelato la prima lettera del proprio nome. “Te ne parlerà quando si sentirà pronto. Anche mio fratello lo conosce bene, e non gli ha mai detto nulla a riguardo. A volte è più facile confessarsi agli sconosciuti che alle persone che amiamo, te l’ho detto”.
“Sì, hai ragione”. Il diciottenne era ancora pensieroso ma il punto di vista offertogli da V. lo aveva in parte rincuorato.

I due si gettarono sul letto, sdraiandosi spalla contro spalla, cercando di sfruttare lo spazio risicato.

“J.?”

 “Si, V.?”. John voltò il capo, incontrando un paio di vivaci occhi azzurri, incorniciati da diverse sbavature nere. Fragile, vulnerabile, scomposta. Curioso, non teme di mostrarsi a me.

“Sei strano, sai?”.

“Sì”. Non era certo la prima persona a dirglielo: lo aveva sentito decine e decine di volte.

“No, strano in modo bello, intendo. Diverso dalla maggior parte degli uomini con cui ho avuto a che fare” spiegò V.

“Che intendi?”. John era confuso e concentrarsi gli riusciva difficile con il respiro della bionda che gli solleticava le labbra.

“Sei molto dolce. Hai un animo buono. Non ci sono abituata” ammise, sorridendo dolcemente.

“Oh”. Il bassista si sentì lusingato e, nonostante l’alcol bevuto lo avesse reso più spavaldo, arrossì lievemente. “Grazie”.

“J.?” lo chiamò nuovamente la ragazza, sollevandosi su un gomito per essere più comoda.

“Sì, V.?” risposte John, copiando i suoi movimenti.

“Facciamo l’amore?”. La domanda giunse spontanea, senza traccia di malizia. Era la richiesta di un po’ di intimità, la voglia di soddisfare il soffocante desiderio di amore e vicinanza almeno per una notte. Nessuna aspettativa, nessun progetto futuro: solo due anime giovani e fragili che si sarebbero donate calore.
  
“Uhm, non so. Io…non saprei da dove iniziare…” ammise, nervoso ed imbarazzato nell’ammettere la propria mancanza di esperienza.

V. rise, gettando la testa indietro, divertita. “Tutto qui?! Hai fatto una smorfia così strana che pensavo di non piacerti!”.

Il bassista la guardò ridere, ammaliato dalla sua bellezza, e si rilassò istantaneamente. “No, no! Ma certo che mi piaci” ridacchiò, scuotendo la testa. “Solo che…non sono il tipo che piace alle ragazze” sussurrò poi, mordendosi un labbro.

La bionda appoggiò una mano smaltata al petto di John e si avvicinò alle sue labbra, soffiando un: “Per tua fortuna, J., a me piaci…”. Una leggera pressione delle dita fu sufficiente per incoraggiare il diciottenne a distendersi nuovamente sul materasso, mentre V. gli si posizionava sopra, a cavalcioni. Afferrate le mani del bassista, le guidò al proprio fondoschiena, proseguendo il discorso: “…e posso insegnarti un sacco di cose”.

Un sorriso furbo si impossessò delle sue labbra mentre, chinatasi in avanti, gli sussurrò all'orecchio: “La tua innocenza di eccita terribilmente”.

John chiuse gli occhi mentre un gemito di trepidazione gli sfuggiva dalle labbra.
 

 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Verità rivelate ***


Nota autore

Di nuovo, un enorme grazie a chi legge, recensisce e apprezza la mia storia. Ecco il penultimo capitolo. L'ultimo conterrà una piccola sorpresa...gioite, fan della coppia Maylor! 


Ore 3:15

 

“Ti prego, non ridere!” pregò il bassista, più che imbarazzato. 

“Oh beh, lo prenderò come un complimento. Di nuovo” rise V., tamponandosi il ventre con un asciugamano per eliminare le prove del piacere che avevano condiviso.

“Sono un disastro. È che sei così…perfetta!” mormorò John, nascondendo il viso tra le mani. “Non riesco a resistere”.

La bionda gliele scostò, dolcemente. “Smettila di dire così!”.

John non riusciva ancora a capacitarsene: avevano fatto l’amore. E non assomigliava a nulla di ciò che aveva immaginato, visto o ascoltato. L’atto stesso non era durato che pochi minuti ma l’intimità che lo aveva accompagnato, insieme alle scie di baci bagnati e alle carezze delicate, lo avevano reso un infinito attimo di tenerezza. Certo la sua performance non era stata delle migliori ma V. era stata paziente e lo aveva guidato alla scoperta del proprio corpo, permettendogli di esplorarlo e conquistarlo. Persino quando il bassista era stato travolto dal piacere troppo presto, per la seconda volta, quella notte, la giovane non ne aveva fatto un dramma.

 “Non sei un disastro, J.! Al contrario, un paio di iniziative che hai avuto mi fanno pensare che tu abbia fantasie molto più piccanti di quanto si possa credere. Devi solo farci l’abitudine…è un po’ come imparare ad andare in bicicletta!” gli assicurò, mettendosi a sedere sul letto a gambe incrociate. Mostrava il proprio corpo con sicurezza e sembrava che niente potesse metterla in imbarazzo. Il diciottenne non aveva mai conosciuto nessuno che si trovasse così a suo agio con il proprio aspetto o con il sesso opposto. A parte Roger, forse.

Scosse la testa, allontanando l’amico dalla mente: non era certo il momento di pensarlo!

“Come andare in bicicletta, eh?” sorrise.

“Esatto!”. V. ricambiò il sorriso, premiandolo con un casto bacio sulle labbra.

 

Ore 4:00

 

“Prima di dormire, ti va di rispondere alla mia domanda?” biascicò la ragazza, stringendosi maggiormente al corpo del bassista.

“Quale domanda, V.?” domandò quest’ultimo, già ad occhi chiusi.

“Perché ti sei nascosto qui?”.

Seguì una lunga pausa di silenzio. Ore dopo, con una buona dose di rum in corpo ed una nuova esperienza alle spalle, quella domanda non sembrava più tanto spaventosa.

“Scappavo dalla gente. O, meglio, dalle ansie e dalle insicurezze che mi assalgono quando sto in mezzo alla gente” sospirò il diciottenne. “E tu?”

Avevano evitato di porsi domande personali per tutta la notte, lasciando insicurezze, paure e problemi fuori dalla stanza che li aveva accolti e nascosti. Adesso, tuttavia, la festa era finita, i rumori cessati e il mattino imminente, il che significava che presto avrebbero dovuto tornare ad essere John e Veronica, lasciando per sempre J. e V. in quel rifugio. La magia di quell’incontro proibito stava svanendo lentamente e la realtà si apprestava a calare su di loro.

“Anche io scappavo dalle persone”

“Da chi?”. Si era lasciato ammaliare dalla grinta della giovane, ora era curioso di conoscere la sua parte più fragile.

“Da quelle che non hanno un animo buono come il tuo, J.”                                                                                                 

“Ti va di spiegarmi?” chiese John, stringendola. In risposta ebbe solo un borbottio privo di senso e un respiro pesante.

“Buonanotte V.”. Sorrise, posandole un bacio tra i capelli. Avrebbe dovuto attendere se desiderava sapere.

Poco prima che si addormentasse, un senso di inquietudine lo pervase: chiunque fosse V., gli aveva sfiorato il cuore, e l’idea di lasciarla andare la mattina seguente sembrava intollerabile.

 

Ore 10:00

 

Il telefono squillò, rompendo il silenzio in cui era immersa la residenza May. Il suono riecheggiò nel salotto e destò i pochi invitati che, incapaci di rincasare la notte, erano caduti addormentati sul pavimento o, se erano stati fortunati, sul costoso tappeto persiano che dominava la stanza.  Alcuni si stropicciarono gli occhi e, alzatisi in piedi, straniti, si dileguarono nel giro di pochi minuti. Altri non diedero segno di volersi muovere.

Roger, riverso sul divano, aprì gli occhi solamente al terzo squillo, imprecando contro Brian.

“Perché quel cazzone non risponde?!” rantolò, sollevando il capo per dare un’occhiata alla stanza. Subito, venne travolto dai postumi della sera prima. Innervosito, afferrò i suoi jeans, frugando nelle tasche. Ne estrasse un pacchetto di sigarette, se lo avvicinò alla bocca e ne afferrò una con le labbra, accendendosela poco dopo. Nel frattempo, il telefono aveva smesso di squillare.

Il batterista si alzò in piedi e sorrise soddisfatto alla vista delle due ragazze nude che giacevano sui cuscini accanto a lui. Era stata una nottata piuttosto divertente. Senza curarsi di coprirsi, si diresse verso la cucina, lasciando una scia di cenere sul pavimento.  

Giunto a destinazione, trovò un Freddie riposato e raggiante che chiacchierava amabilmente al telefono con la signora May, inventando una bugia dopo l’altra per spiegare la sua presenza in quella casa e per rassicurare la donna sullo stato del figlio. Brian gli stava accanto, pallido e con l’espressione allucinata di chi ha dormito a malapena.

“Certo signora, a presto!” esclamò il cantante, riagganciando. “Mi devi un favore, tesoro! Oh, buongiorno bell’addormentato! Le vestaglie sono passate di moda?”. Freddie ridacchiò, squadrando il batterista, poi riempì una tazza di thè bollente e la posò di fronte a Brian.

Roger aspirò un po’ di fumo, appoggiandosi al tavolo. “Divertente. Com’è che non sei messo male come noi?”

“Diciamo che ho trovato altre distrazioni e l’alcol è passato in secondo piano. A giudicare dal vostro stato, ho preso la decisione migliore. Il povero riccio, qui, ha passato le ultime due ore in bagno a rimettere!”. Il cantante passò una mano tra i capelli dell’amico, cercando di sistemarli. Si arrese poco dopo.

Nel frattempo, questi aveva borbottato qualcosa.

“Che?” chiese il biondo, confuso.

“Ho detto: butta subito quella cosa. Lo sai che non puoi fumare in casa!” ripeté l’altro, con voce sofferente.

Roger spense la sigaretta in un bicchiere abbandonato sul tavolo, lasciando che il mozzicone galleggiasse in un liquido non ben precisato.

“Non sei messo poi così male, dopo tutto: ancora mi rimproveri!” lo punzecchiò, alzando gli occhi al cielo. “Vado a prendere un paio di boxer, poi ci facciamo una passeggiata in giardino, eh Bri? Devi prendere un po’ d’aria!”

Il chitarrista annuì, appoggiando la fronte sul tavolo.

Freddie, seduto accanto a quest’ultimo, accavallò le gambe e si morse un labbro, pensieroso. Si chiese come avrebbe dovuto comportarsi con Deaky quando lo avesse incontrato. Ormai, era questione di ore. Fingere indifferenza? Funzionale, ma sciocco. Parlargli? Sì, ma per dirgli cosa, esattamente?  John, mi piace il cazzo. Oh, le prove di domani sono fissate per le 15:00!  Si maledisse mentalmente per essersi cacciato in una situazione così scomoda, per aver tergiversato così a lungo, per non essere stato onesto fin dall’inizio, per essere chi era. In un secondo, gli occhi gli si velarono di lacrime e quasi non si accorse di Roger che rientrava in cucina per condurre Brian in giardino.

“Tutto bene?” domandò il batterista.

“Certo, caro”. La risposta giunse tanto affrettata quanto forzata.

“Uhm, d’accordo. Porto Bri a fare un giro… poi potrai raccontarmi cosa ti turba, Freddie Mercury” chiarì il biondo, che ormai lo conosceva bene.

Freddie cercò di opporsi ma l’altro non sentì ragioni, trascinando il chitarrista verso la porta a vetri della cucina.

Proprio in quel momento, una voce timida e impastata dal sonno lo chiamò. Sulla soglia della stanza, con indosso un paio di slip neri e una maglia di Mickey Mouse presa in prestito da Brian, era apparso John.

“Buongiorno” mormorò, sorridendo.

Il frontman lo fissò, cercando di ricacciare indietro le lacrime che gli offuscavano la vista. Prima che riuscisse a fermarle, una gli bagnò la guancia.

“Oh…” fu la reazione sorpresa del bassista.

Il cantante si affrettò a spazzare via la traditrice, sfoggiando un sorriso. “Non far caso a me, caro. Credo di aver bevuto troppo, ieri sera. Tu come stai? Mal di testa?”.

“Un po’”

“Vieni, su, siedi qui accanto a me. Beviamo una tazza di thè”.

John lo accontentò, incerto sul da farsi. La tensione era palpabile e Fred stava chiaramente cercando di riempire ogni momento di silenzio.  Vedere l’amico in quello stato lo intristiva ma non riusciva a decidersi a parlare per paura di forzarlo con domande inopportune.

“Non mi piace il thè” sussurrò poi, prima che il cantante riempisse la tazza davanti a lui.  D’un tratto, un’idea sciocca quanto efficace per un timido del suo calibro gli balenò in mente.

“Certo, certo, tesoro! Che stupido” si scusò l’altro, scuotendo il capo e rimettendo la teiera al suo posto. “Allora, so che non è bene parlare di lavoro di prima mattina ma per le prove di domani pensavo-“

“In effetti, preferisco il caffè…” continuò John, interrompendo l’amico che, in un secondo, si zittì e, irrigiditosi, sfuggì al suo sguardo.

  “Questo non significa che uno di noi sia sbagliato. O che non possiamo essere amici…” concluse il bassista, in un soffio.  Con ritrovata sicurezza, posò le dita magre e callose sulla mano del cantante, che aveva preso a tremare impercettibilmente. “Io…ti voglio bene. Sul serio!”.

Ci fu una lunga pausa di silenzio. Poi, prima che potesse accorgersene, si ritrovò stretto in un abbraccio, le braccia del cantante al collo, lacrime calde che gli bagnavano una spalla.

“Oh, Deaky! Volevo dirtelo ma non ne sono ancora del tutto certo. Capisci, caro? Insomma, sto cercando chi sono! Ho conosciuto questa ragazza, Mary, è carina e forse potrei…ma non lo so. Magari serve solo la donna giusta. Però quando vedo un ragazzo io…” cercò di spiegare Freddie, singhiozzando una frase sconnessa dopo l’altra.

John lo strinse, sollevato che la situazione si fosse sbloccata. Sorrise, rassicurato. “No, no. Non voglio sentire spiegazioni o giustificazioni…non servono! È questo che cercavo di dirti, okay? Ti voglio bene, Fred, e spero che tu possa far chiarezza dentro di te il prima possibile ma per me non fa alcuna differenza”.

Due occhi scuri incontrarono i suoi. “Grazie. Solo…grazie, caro, va bene? Non ne parliamo più”

“Parliamone tutte le volte che vuoi, invece. Tanto quanto parliamo delle mille conquiste di Rog o degli appuntamenti di Brian” obbiettò il diciottenne.

Lo sguardo di Freddie si rasserenò, emanando calore e gratitudine. Annuì, si asciugò le lacrime e, in un attimo, tornò ad essere gioviale come sempre. Ecco l’attore che indossa nuovamente la maschera e si prepara per tornare in scena. Ecco il grande commediante.

 “Siediti! Ti preparo una tazza di caffè, allora!” sentenziò, mettendosi ai fornelli.

“Credo si averne bisogno, sì. Ti ringrazio” sorrise John.

L’equilibrio, almeno per ora, sembrava essersi ristabilito.

 

Ore 11:00

 

“Quindi chi era il tipo di ieri sera?” domandò il diciottenne, sorseggiando il suo caffè.

“Uhm, non lo so caro. A dire il vero, è un po’ strano parlarne…ma è piacevole smettere di fingere che le mie conquiste abbiamo le tette” rise l’altro.

“Suppongo di sì”. Il bassista si strinse nelle spalle, la mente impegnata a ricordare la nottata trascorsa.

“Quanto a te...devi dirmi qualcosa?” ammiccò il cantante.

“Ho conosciuto una ragazza. Una tipa piuttosto interessante, a dire il vero. Sai, ti cercavo ma non riuscivo a trovarti da nessuna parte. Così, sono salito al piano di sopra e lei era lì” spiegò, insolitamente in vena di confidenze.

“Oh, tesoro! Hai passato la notte con lei, vero?” sospirò Freddie, un’espressione a metà tra il divertito e il preoccupato dipinta in volto.

Il bassista arrossì, imbarazzato. “Beh, sì. So che sembra strano. Lei è bellissima e io inve-“

“No, Deaky. Non si tratta di questo. Tu sei uno splendore. È che… hai almeno una vaga idea di chi sia quella ragazza?” domandò il frontman, trattenendo le risate.

John si passò una mano tra i capelli, confuso. In effetti, V. gli aveva detto di conoscere bene sia Freddie che Brian, la sera precedente. Che fosse la fidanzata di qualche loro conoscente o, peggio, l’ex fiamma di un membro della band?

“Oh, mio Dio! È una delle ragazze di Roger, vero?! O forse una vecchia cotta di Brian? Ti prego, dimmi che non è una tua ex!” si preoccupò il bassista, spostandosi un ciuffo dagli occhi con uno scatto nervoso.

“Temo sia qualcosa di peggio, caro. Ecco, non so come dirtelo…” rise il cantante.

Le risa cessarono non appena una ragazza bionda fece capolino in cucina, scherzando allegramente con Roger e Brian che, nel frattempo, aveva riacquistato un colorito sano.

Eccola, pensò John. La giovane che aveva lasciato ancora dormiente nel letto del chitarrista si era fatta una doccia, apparentemente. Il trucco sbavato della notte prima era svanito per lasciare il posto a gote rosee e ciglia lunghe e i capelli spettinati erano stati sostituiti da onde ordinate che le ricadevano sulle spalle. Il sorriso era lo stesso, le sensazioni che suscitava a John le medesime.

“Non ho idea di chi fosse ma era così dolce ed impacciato che non ho saputo resistere!” stava raccontando agli altri due.

Roger fece finta di coprirsi le orecchie con le mani. “Smettila di raccontarmi le tue scopate! Non ce la faccio! Mi rifiuto di ascoltare!”.

Lei fece una smorfia, lui la ricambiò prontamente. Poi, entrambi scoppiarono a ridere. 

Guardandoli, si potrebbe scambiarli per fratelli. Gemelli, persino. Stessi occhi, stessa bocca, stesso modo di arricciare il naso…

Fu un attimo. In un secondo, John capì. Ma era già troppo tardi.

“J.!” esclamò la bionda, piacevolmente sorpresa. “Sono felice che tu sia qui. Ho pensato che…te ne fossi andato” mormorò, stringendosi nelle spalle.

 “V.” sussurrò John, più a se stesso che agli altri. “Veronica, certo”.  Veronica, la sorella di Roger. L’adorata gemella dell’iperprotettivo Roger. Il bassista ebbe la sensazione che la situazione gli stesse per sfuggire di mano.

“Hai scoperto il mio nome, alla fine! Te lo ha detto Fred?” domandò la ragazza, sedendosi al tavolo.

“Lo sapeva già” intervenne il fratello. “Io parlo sempre della mia disastrata sorellina. Mi aiuta a sembrare quello normale della famiglia!” scherzò, accomodandosi sulla sedia accanto. “Comunque, Ronnie, ti presento John, il nostro nuovo bassista. Anche se credo che vi siate già incrociati ieri sera!”

Brian e Freddie notarono John irrigidirsi e si scambiarono uno sguardo di intesa, il primo con un’espressione interrogativa, il secondo fin troppo consapevole.

Il bassista, ormai un fascio di nervi, guardò prima Roger e poi Veronica, pregando silenziosamente che questa non esplicitasse il modo in cui avevano trascorso la serata. Infine, lanciò un’occhiata allarmata a Fred. Questi, impossibilitato ad aiutare l’amico, si limitò a scrollare le spalle.

“Oh, cazzo!” esclamò la bionda, sgranando gli occhi.

“Fine come sempre, Ronnie” commentò Brian, divertito.

La giovane non gli diede retta, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, l’attenzione rivolta unicamente al diciottenne.  “Tu sei il loro nuovo bassista?!  La festa era la tua e l’hai passata chiuso in una camera con me! Aspetta, quanti anni hai compiuto?  Roger dice che sei un ragazzino e…sei maggiorenne, vero? Cavolo, non di nuovo il bassista!” farneticò, dando voce ai propri pensieri.

“Uhm, sì, un minuto di silenzio in ricordo del povero Dean” sospirò il frontman, con fare scherzoso.

Uno sonoro sbuffo giunse dal chitarrista, insieme ad un rassegnato mormorio: “Ci siamo…”.

“Certo che sono maggiorenne! E sì, ero io il festeggiato. Per questo non volevo dirti il mio nome, avevo paura che…” cercò di spiegare John, in quel momento dimentico del batterista e preoccupato solo di rassicurare Veronica.

“John, cortesemente, potresti spiegarmi che cosa hai fatto per tutta la notte con la mia sorellina?” lo interruppe la richiesta di Roger, tanto gentile da suonare inquietante. Il biondo stava evidentemente cercando di mantenere la calma e di ricordare tutti i consigli per la gestione della rabbia offertigli da Brian nel corso degli anni.

Il diretto interessato avvampò, torturandosi le mani. “Noi..., voglio dire, io…” tentò, senza successo.

“JOHN!” lo richiamò il batterista, gli occhi chiari infiammati di rabbia.

“Roger mi dispiace tanto, non sapevo che fosse tua sorella!” confessò infine il bassista, con un sospiro nervoso.

“No, non devi scusarti, J.” cercò di intervenire Veronica.

“Non ci posso credere!” gridò il biondo, battendo un pugno sul tavolo. “Tre bassisti, tre amici a cui do la mia completa fiducia e che si rivelano tre cazzo di traditori! Ci sono dei limiti, d’accordo?! Dei fottuti limiti, John! Non tocchiamo le sorelle degli altri!”

“Tesoro, tu ci provi con la mia ogni volta che ne hai modo!” gli ricordò il cantante, con tono pacato.

“Questo non c’entra, ora!” sbraitò il batterista. “Come hai potuto?! Scommetto che lo hai fatto apposta a confonderci con quella tua finta aria da santarellino! Lo sapevo! Non mi sei mai stato simpatico”

Brian alzò gli occhi al cielo, un sorrisino ad incurvargli le labbra. “Due giorni fa parlava di quanto ti adorasse!”.

“Non è quello che sto cercando di dire, May! Ciò che intendo è che dovremmo tutti diffidare di lui! È come Doug e Dean, due bassisti decenti ma due persone di merda!”

“Le esatte parole sono state: un bassista fantastico ed una brava persona” proseguì il chitarrista, ostentando indifferenza.

“Siete dalla sua parte! Bene! Beh io invece credo che questa cosa non possa più funzionare. Sapete che vi dico?! John, sei fuori dalla band!” dichiarò Roger, furibondo, afferrando un frullatore da una delle mensole.

“Non lo sei” gli sussurrò Freddie, assaporando un sorso di thè.

“Posa subito quel frullatore!” si affrettò a dire Brian ma fu preceduto dal biondo che, in preda ad uno scatto di rabbia, scagliò l’elettrodomestico oltre il tavolo e dall’altra parte della cucina.

John aveva assistito alla scena senza emettere alcun suono, avendo optato per un silenzio sospeso tra il colpevole e l’esterrefatto. Apparentemente, tuttavia, era stato l’unico ad avere una simile reazione. I suoi compagni di band non sembravano turbati dalla sfuriata dell’amico e, anzi, si erano mostrati quasi indifferenti, come se vi fossero abituati. A tratti, gli erano parsi persino divertiti.  Dall’altra parte del tavolo, Veronica se ne stava seduta con le braccia incrociate, anch’essa incurante dell’atteggiamento del fratello. Piuttosto, sembrava attendere pazientemente che le fosse data la parola.

Poco dopo, il peggio sembrava passato. Roger, le mani sui fianchi e lo sguardo basso, respirava profondamente, calmandosi ad ogni espirazione.

“Hai finito?” domandò la gemella, con una punta di acidità nella voce.

“Credo di sì” mormorò Roger. “Ehm, Bri, te lo ricompro quello”.

Il chitarrista lo fulminò con uno sguardo. “Che avevamo detto, Rog? Niente più lanci di oggetti vari! Non sono utili!”

“A me sembra che lo facciano calmare!” esclamò il frontman, guadagnandosi una spinta non del tutto scherzosa da parte del riccio. “Va meglio, caro?”

Il batterista lanciò un’occhiata a John che, sentendosi a disagio, si alzò dal tavolo. “Ho fatto uno sbaglio, mi dispiace. Se non mi volete più nella band lo capisco. Non sarebbe nulla di nuovo per me, davvero. Forse è meglio che vi lasci, così potete parlare”.

“Sì, meglio” non riuscì a trattenersi Roger, pentendosi subito dopo.

Il diciottenne annuì, frastornato e rattristito, e si dileguò nel giro di pochi secondi, liberandosi dalla presa di Freddie che lo incitava, inutilmente, a rimanere.

“Oh, ma bravo!” sbottò Veronica.

“Ronnie, per favore, non essere arrabbiata. Lo sai che...”

“No. Hai già detto troppo. Ora tocca a me parlare. Premesso che non è affar tuo, o vostro, con chi vado a letto, mi dispiace se il mio frequentare Doug e Dean ha portato a delle tensioni all’interno della band. Ma ormai è passato e non posso più farci niente. In quanto a John, non sapevo chi fosse e lui non sapeva chi fossi io. Abbiamo lasciato entrambi la festa, ci siamo incontrati casualmente nella stanza di Brian e, Dio, sarà anche l’antitesi degli uomini che mi attraggono di solito ma mi ha fatto passare una notte meravigliosa” spiegò Veronica con un tono deciso, che non ammetteva repliche o interruzioni.

Il batterista fece una smorfia alle parole notte e meravigliosa.

“No” la sorella scosse la testa. “No, non sto parlando di una scopata fantastica. Diamine, quello no!”

Brian si lasciò scappare una risata, ricomponendosi immediatamente.

 La ragazza proseguì: “Mi riferisco alla sintonia che si è creata tra noi. Nemmeno ricordo l’ultima volta che un ragazzo mi ha trattata con tanta dolcezza, toccata con tanto rispetto, guardata con tanta tenerezza…”

Roger sospirò, scuotendo la testa. Come aveva potuto dimenticare la differenza tra John e Doug o Dean? Probabilmente il bassista era l’unico ragazzo per bene che la sorella avesse mai lasciato avvicinare. Non meritava quella reazione.

“Vieni qui” sussurrò, stringendola a sé. “Sì, lo so. È un buon amico e suppongo che potrebbe essere un bravo fidanzato o qualunque cosa vogliate l’uno dall’altra. Mi dispiace, Ronnie.”

“Sei il solito stupido” lo rimproverò lei, stretta tra le sue braccia. “E so che ti preoccupi per me ma sono una tipa tosta, Rog. So badare a me stessa” lo rassicurò, poi.

Il biondo annuì. “Mi scuserò. Hai ragione, ogni tanto lo dimentico…”

“Beh, non farlo!” rise Ronnie, sferrandogli un pugno sul braccio.

“Ahia! Hey! E questo per cos’era?” chiese il batterista, massaggiandosi il punto colpito.

“Per aver fatto scappare l’unico ragazzo ben dotato e dolce al contempo che io abbia mai conosciuto!” rispose Veronica, con ovvietà. “Sono combinazioni che capitano raramente, sapete? Dunque ora, se volete scusarmi, credo che andrò a riprendermelo.”

“Ci sono cose di cui preferisco non essere a conoscenza, Ronnie” si lamentò Roger, massaggiandosi le tempie. “Dio, ho bisogno di una birra!”

La bionda rise, abbandonando la cucina.

“Birra…” rantolò Brian, mentre i crampi della nausea tornavano a farsi sentire.

“Va tutto bene, Bri. Niente più alcol per te. E nemmeno per te, Rog, finché non ti sarai scusato con Deaky” sentenziò Fred.

“Cos’è, il tuo pupillo?!” domandò il batterista, scocciato.

“Oserei dire il mio prediletto. Troppo puro per questo mondo!” sospirò il frontman, sorridendo. Poi, per istigare il biondo, aggiunse: “O forse no, dopo tutto…”.

“FREDDIE!”. La risposta esasperata del diretto interessato non si fece attendere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Segreti ***


Nota autore:

Con un po’ di ritardo…ecco il quarto capitolo che, contro ogni mia previsione, non è ancora l’ultimo! Grazie a chi legge e lascia una recensione, grazie a chi mi dedica un pochino del suo tempo.

 

Ore 11:30

 

Abbandonata la cucina, Veronica raggiunse la veranda e si guardò intorno alla ricerca di John. Lo individuò pochi secondi dopo, rivolto di spalle, assorto in una vivace disputa con il massiccio tronco di pino che dominava il giardino.

“Sì, Roger, è successo. D’accordo? E, dato che prendermi in giro e chiamarmi sfigato o verginello sembra essere diventata la tua occupazione principale ultimamente, sono lieto di informarti che sei sollevato dall’incarico. Qualcuno, che tu lo creda o no, si è interessato a me e tu potrai smettere di preoccuparti della mia vita sessuale! Lo trovi così difficile da immaginare: che una ragazza mi trovi attraente? Eh? Guarda che non sei l’unico che può scoparsi belle donne!” gridò il giovane, rapito da un forte sentimento di rabbia e sdegno. Poi mise le mani sui fianchi, respirando profondamente, in un tentativo di ritrovare la propria compostezza. I lunghi capelli erano scompigliati, i respiri affannosi e le guance gli si erano tinte di rosso: Veronica, intravedendone il viso, pensò che fosse il ritratto della giovinezza.

“E sì, è tua sorella!”. Gli occhi del bassista si infiammarono, nuovamente iniettati di veleno. “Ma come avrei potuto saperlo? È stata una sfortunata coincidenza. Non puoi sbattermi fuori dalla band, non così! Non per questo. Ho lavorato tanto per arrivare qui! Capito?!” puntò l’indice contro il tronco, minaccioso. “Questa è anche la mia band e ho diritto quanto te di farne parte! Suono dove voglio, con chi voglio e scopo chi cazzo mi pare senza dovermi sentire fottutamente in colpa!” si sfogò il giovane, concludendo il discorso con un pugno ben assestato all’albero, seguito da una smorfia di dolore e da un soffocato accidenti! .

“Sante parole…” commentò Veronica, le braccia incrociate al petto ed un sorriso divertito dipinto in volto. “Suppongo che mio fratello se le meriti. Quel povero pino, al contrario…” lo stuzzicò.

Nel sentire la sua voce, John si irrigidì ed ogni residuo di rabbia scomparve per lasciare il posto ad un forte imbarazzo. Voltatosi, la mano dolorante stretta al petto, evitò di incontrare lo sguardo della nuova arrivata. “Quante possibilità ci sono che tu abbia sentito solo la metà delle cose che ho detto?” domandò, speranzoso.

“Pochissime.” sussurrò la ragazza, avvicinandosi, quasi fosse un segreto. “Ma sono stata io ad origliare il tuo sfogo, non ti devi giustificare!”.

John scosse la testa, trovando finalmente il coraggio di guardarla negli occhi. “No,V., non avresti dovuto sentire. Non sono le parole che avrei usato per descrivere la scorsa notte, credimi.” si affrettò a scusarsi.

“Va tutto bene. Ho conosciuto parecchi uomini: so distinguere gli stronzi dai bassisti ingenui ed arrabbiati.” sorrise la bionda, sedendosi ai piedi dell’albero. “Su, fammi compagnia! E mostrami quella mano, sembra che si stia gonfiando.” lo incitò, poi.

“Già. Non è stata una bella mossa.” ammise John, sistemandosi accanto a lei.

“Non molto furba.” concordò Veronica, esaminando la mano. “Dovremmo metterci del ghiaccio o non sarai più in grado di suonare per...”

“Non suonerò più. Hai sentito tuo fratello.” la interruppe John, avvilito.

“Certo che suonerai!” esclamò la bionda. “Roger ti vuole bene, dico sul serio. Tende solo ad essere iperprotettivo nei miei confronti. D’altronde, come ti ho accennato ieri, non ho incontrato molti uomini gentili nella mia vita e vedermi accanto a soggetti simili per tanto, troppo, tempo lo ha reso diffidente riguardo alle persone che frequento. Ha solo paura che mi affezioni a chi non lo merita. E, beh, è Roger…lo dimostra a suo modo.” spiegò, lasciandosi andare ad una risata finale.

John la guardò ridere, incantato, e accantonò all’istante gran parte delle preoccupazioni che lo avevano afflitto fino a quel momento.

“Mi ha parlato spesso di te, sai?”. Veronica aveva ripreso a parlare. “Così tanto che mi sento quasi sciocca a non aver intuito chi avessi di fronte, ieri” mormorò, restando assorta per qualche secondo nel ricordo della sera precedente.  “Il punto è che quei ragazzi sono tutti entusiasti di te sia come bassista sia come amico e non posso dargli torto. Sei una bella persona, John.” lo rassicurò, sistemandosi un boccolo ribelle dietro l’orecchio.

“Tu credi?” domandò l’altro, fallendo nel nascondere la contentezza scaturita da quelle lusinghe.

Veronica gli rivolse un’occhiata. “Sì, lo credo. Questo ti fa sentire un po’più sollevato, vero?”

John arrossì visibilmente, come un bambino disubbidiente colto a frugare nel barattolo dei biscotti. “Forse…” rispose, abbozzando un sorriso.

“Forse!” ripeté la giovane con fare scherzoso. Seguì una lunga pausa di silenzio durante la quale restarono immersi nei propri pensieri. Il primo a riscuotersi fu John.

“Veronica? Toglimi una curiosità: è il suono stesso del basso ad attrarti o è quel fare riservato e misterioso dei bassisti che ti eccita? Me lo chiedevo. Insomma: Doug, Dean e ora me! È un po’strano, non trovi?” la punzecchiò.

Dopo un attimo di sorpresa iniziale, un’espressione furba si impossessò del viso della bionda che, divertita, decise di stare al gioco. “Oh, no, no. Nulla di tutto ciò, tesoro! Credo sia...” iniziò, sporgendosi verso il ragazzo fino a costringerlo ad arretrare. “…ciò che nascondete sotto quell’apparente timidezza.” soffiò sulle sue labbra.

“C-che intendi?” deglutì il bassista, incapace di pensare ad altro fuorché la ragazza tra le sue braccia.

“Non vi interessa stare al centro dell’attenzione, né atteggiarvi…e tutti sono portati a credere che siate timidi e noiosi, che non vi sappiate divertire. Ho scoperto con piacere che non è così…” sussurrò Veronica con tono di voce basso e seducente. “Tu sai esattamente come divertirti, se vuoi, vero John?”. Un paio di occhi azzurri si accesero di desiderio e si posarono sulle sue labbra. Prima che il bassista potesse rispondere, tuttavia, si ritrovò sdraiato sul prato, coinvolto in un bacio passionale.

 

Ore 12:00

 

“Guardali! Se ne stanno lì a pomiciare sotto i miei occhi come due ragazzini.” si lamentò Roger, fermo alla finestra con i gomiti appoggiati al davanzale e le mani a sostenere la testa.

“Sono ragazzini, Roger. A dirla tutta, lo siamo anche noi.” puntualizzò Brian, allungando una mano verso il piatto di biscotti che aveva trovato in una credenza e sistemato al centro del tavolo. Forse mangiare qualcosa lo avrebbe aiutato a far sparire quel persistente senso di nausea.

“Smettila di fissarli, caro, stai diventando inquietante.” aggiunse Freddie, con fare quasi materno.

Il batterista esalò un sospiro frustrato, tornando a sedersi accanto agli amici. “D’accordo. Bene. Ma mi servirà del tempo per abituarmici!”.

“Tesoro, è tua sorella: una creatura libera ed indomita, come me.” intervenne nuovamente il frontman. “Hanno passato una serata divertente, tutto qui. Sarà tornato tutto alla normalità prima ancora che tu ti sia abituato. Non credo che tu e Deaky diventerete cognati!” ragionò, leccando le ultime tracce di crema al cioccolato da un cucchiaino.

“Non dirlo neanche! Sarebbe dannatamente strano”. Roger scosse la testa, nel tentativo di allontanare il pensiero dalla sua mente. “Vorrei solo che tutti i miei amici non finissero per farsi mia sorella! Insomma, voi siete gli unici che non hanno mai…beh, avete capito” borbottò, sgranocchiando una fetta biscottata. Poi aggrottò le sopracciglia, preoccupato. “Non lo avete fatto, vero?”.

“Direi di no…” rispose Brian, lanciando un’occhiata al batterista che significava ma che domande fai?

Freddie si limitò a tenere gli occhi fissi sulla propria tazza di tè, ostentando indifferenza. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che ci aveva pensato ma la domanda del biondo fu sufficiente a far riaffiorare i ricordi della vigilia di Natale precedente, pochi giorni prima che Veronica partisse per l’America.

Era stato lui stesso a proporre di festeggiarla nel negozio di abbigliamento a Kensington dove lavorava insieme a Roger: era abbastanza spazioso per ospitare un piccolo gruppo di persone intorno ad un tavolo, nonché la loro unica alternativa. Ognuno di loro aveva indossato un capo buffo o alla moda scelto tra gli articoli in vendita e tutti avevano riso nel vedere Brian con uno scialle intorno alle spalle ed un boa di struzzo rosa al collo. John, da poco entrato nella band, aveva declinato l’invito per stare con la madre e la sorella minore. Il resto di loro aveva passato il tempo a scherzare, bere e scambiarsi regali. A tarda serata, l’ex coinquilino di Roger aveva persino portato un po’ di erba. Si erano divertiti, insomma.

 Dopo essersi scambiati i consueti auguri più volte, aver salutato qualche amico e fumato una canna di troppo, i pochi presenti rimasti erano caduti addormentati su file di vestiti sparsi. Tutti, tranne Freddie e Veronica.  Spostatisi in una piccola stanza sul retro e azionato uno dei loro vinili preferiti, avevano ballato corpo a corpo fino a che non si erano detti esausti e si erano seduti a riposare. Veronica, accaldata, si era liberata della camicetta e il cantante non aveva potuto far a meno di osservare la bellezza del suo corpo. La pelle chiara brillava di sudore e i seni si alzavano e abbassavano a ritmo dei suoi respiri. Il ventre piatto e tonico e le gambe muscolose, da ballerina, completavano quell’immagine perfetta.

“Sei bellissima. Davvero bellissima, cara.” aveva mormorato Freddie con un tono triste ed uno sguardo pensieroso. 

Veronica lo aveva guardato, stupita e lusingata ma al contempo consapevole che quelle parole erano solo l’introduzione di una ben più lunga riflessione. “…ma…?” aveva domandato.

“Oh, tesoro, ti guardo e rimango estasiato dalla tua grazia, dalle tue forme perfette…vorrei spogliarti ed ammirare il tuo corpo, venerarlo e disegnarlo. Vorrei vestirti di fiori e pizzo e scattare una foto a quei morbidi fianchi che ti donano una grande sensualità. Eppure…ho paura di essere incapace di desiderarti come un uomo desidera una donna.” aveva confessato il cantante, lo sguardo perso nel vuoto e la voce rotta di chi sta confessato il suo più grande segreto.

“Oh, Fred…”. Veronica gli aveva gettato le braccia al collo. “Non dirlo in questo modo. Qualsiasi persona tu voglia desiderare, puoi farlo. Puoi amare chi vuoi, Freddie. È quello che ci diciamo sempre, no? Tua la vita, tue le regole! Potrei persino presentarti dei ragazzi con cui parlarne, se ti andasse! Diversi tra quelli della mia compagnia di ballo apprezzano più gli uomini che donne e…”. Avrebbe senz’altro continuato con altre rassicurazioni se le labbra del cantante non si fossero posate sulle sue. 

“Forse non sono mai stato con le ragazze giuste. Tu sei bellissima…magari potremmo…” un altro bacio e due mani l’avevano stretta alla vita.

“Freddie! No!”. Veronica aveva scosso la testa, cercando di allontanarsi da lui, senza successo. “Ehi, guardami. Non devi provare niente: né a me, né a te stesso. Perché non ti dai il tempo di capirti?”.

“Ronnie, ci sto provando…” aveva sussurrato sulle labbra della bionda. “Aiutami a capire. Solo un tentativo, tra amici. Se ti va, cara, ovviamente”. Un paio di imploranti e timidi occhi scuri si erano rivolti a lei, in attesa.

“Se inizi a pensare ad Alain Delon, fermami!” aveva scherzato Veronica, avvolgendogli le braccia al collo con fare affettuoso e alzando gli occhi al cielo davanti alla testardaggine dell’amico.

Freddie aveva sorriso, stringendola a se’. “Lo farò, cara”.

Chiaramente, non aveva funzionato. Si erano scambiati tenere effusioni, avevano provato ad incrementare una scintilla che non si era mai accesa e si erano lasciati scappare più di una risatina ogni qualvolta uno dei due assumeva un’espressione buffa.

Freddie lo ricordava come il sesso peggiore che avesse mai fatto. Affettuosamente, si intende. Veronica, oltre ad essere una ragazza, era una delle sue amiche più fidate e nemmeno i fiumi di alcol bevuti erano riusciti a farglielo dimenticare. Era stata senz’altro una pessima idea.

Alla fine, erano rimasti abbracciati, scambiandosi carezze e stringendosi le mani.

“Fred? Credo che non abbia funzionato questa…” iniziò Ronnie.

“Sì, lo so.” l’aveva interrotta il frontman, prevenendo le parole della giovane.

“Ti voglio bene, sai?”

“Si, so anche questo, cara”. Le aveva premuto un bacio sulla tempia, guardandola con affetto e gratitudine.  “Buon Natale, Ronnie”

“Buon Natale, Freddie. Ti auguro di trovare il modo di essere felice”. Erano state queste le ultime parole a riempire il silenzio, prima che il sonno avesse la meglio su di loro.

Dopo quella sera, non ne avevano più parlato e, men che meno, lo avevano detto a qualcuno. Certamente, non a Roger. Il frontman ci teneva alla propria incolumità.

 

“Fred?” lo richiamò il biondo.

“Sì, caro?”. Un paio di occhi dal taglio orientale sfuggirono a quelli azzurri ed inquisitori dell’amico.

Il chitarrista, dall’altro lato del tavolo, si limitò ad osservare questo gioco di sguardi con un’espressione confusa.

“Hai…? Tu…anche tu, non è vero?! Oh, non ci posso credere!” esclamò Roger, esasperato, roteando gli occhi.

“Oh, tesoro! Che utilità ha concentrarci su sciocchezze di mille anni fa?!” ribatté il cantante, muovendo la mano come se potesse usarla per scacciare i pensieri del batterista. “Piuttosto, ehi, credo stiano rientrando…devi delle scuse a qualcuno, se non ricordo male. Rivoglio un bassista nella band. Preferibilmente quello che abbiamo cercato per mesi e tu hai cacciato poco fa senza una valida ragione” aggiunse, sorridendo, senza lasciare spazio ad altri interventi. Poi, nel giro di pochi secondi, afferrò una sigaretta e si dileguò verso la veranda.

“FREDDIE MERCURY, MI DEVI UNA SPIEGAZIONE! SAPPILO!”. La voce di Roger lo raggiunse fino all’esterno.

 

“Una spiegazione su cosa?” domandò Veronica, curiosa.

“Lascia perdere!” mormorò Roger, la fronte appoggiata al tavolo. “Mi arrendo. Non ha senso arrabbiarsi.”

Brian ridacchiò, allungando una mano per lasciare una dolce carezza sul capo del batterista, cosa che non sfuggì all’attenzione della ragazza.

“Roger, ti va di parlare?” domandò John, deciso. Gli avrebbe detto quello che pensava: niente tentennamenti o insicurezze.

Il biondo sollevò il capo e abbozzò un sorriso, sospirando. “Non hai bisogno di mettere su quella corazza, Deaks. Dai, lo sai che non ti caccerei mai dalla band”

“Certo…” mentì il bassista, incrociando le braccia al petto.

Roger strizzò gli occhi, cercando di decifrare l’espressione del più giovane. “Okay, non lo sai. Suppongo sia colpa mia… potrei essermi dimenticato di menzionare quanto mi faccia piacere aver trovato un musicista di talento con cui metter su una sezione ritmica da paura. Insomma, la chitarra è importante…ma sappiamo entrambi che senza di noi Brian e Fred non potrebbero andare lontani…” confessò, sorridendo genuinamente.

“EHI! La chitarra…” iniziò Brian.

“Sì, hai ragione, Rog.” lo interruppe John, rilassandosi e rasserenandosi nel sentire le parole dell’amico.

“Mi arrabbio spesso, Deaky…” spiegò Roger, stringendosi nelle spalle.

“Non sempre per le giuste ragioni!” tossì Veronica.

 Il batterista lanciò un’occhiata alla sorella.  “Visto? Nonostante sia totalmente insopportabile le voglio davvero bene e non vorrei mai che qualcuno la usasse o..”

“Non siamo nel secolo scorso…le ragazze possono far sesso perché ne hanno voglia, non per forza perché sono state illuse di un amore eterno.” ci tenne a precisare la diretta interessata.

“Oh, accidenti, Ronnie!” sbuffò Roger. “Ciò che intendo è che…non voglio che soffra. È tutto ciò che mi resta della mia famiglia e ci tengo più di ogni altra cosa!” concluse, tenendo gli occhi puntati sul bassista.

“Non potrei mai…” mormorò quest’ultimo, ponderando le parole del biondo. In effetti, in mesi di amicizia non lo aveva mai sentito nominare altri familiari all’infuori della sorella. Che i due avessero solo l’affetto reciproco? Glielo avrebbe chiesto, appena si fosse presentata la situazione adatta.

“Ti conviene, bassista!” lo avvertì Roger, ridendo e tirandogli un leggero, per lo meno nell’intenzione, pugno sulla spalla.

“Oh!” mugolò John, massaggiandosi il punto colpito. “Siamo a posto ora?!” sbuffò John, fulminando il biondo con lo sguardo.

“Dovrò abituarmici ma sì, siamo a posto, Deaks” gli assicurò il batterista, rendendosi conto del gesto involontario e mordendosi il labbro con aria colpevole, un sorriso ad increspargli le le labbra. Erano a posto, davvero. Per la prima volta, quella mattina, il batterista si sentiva sereno. Quasi, sereno.

 

Ore 13:30

 

L’equilibrio, all’interno della residenza May, sembrava essersi ristabilito. Brian si era completamente ripreso dai postumi della sera precedente ed era tornato a lamentarsi del disordine e di come sua madre lo avrebbe ucciso, una volta rincasata. Sebbene contro voglia, tutti avevano contribuito a riordinare gli interni, a pulire il giardino e a cacciare gli ultimi ospiti indesiderati.  In meno di un’ora, le stanze avevano assunto un aspetto più dignitoso, il chitarrista si era tranquillizzato e aveva persino offerto loro una pizza per pranzo.

“Comunque sia, l’anno prossimo voglio una festa tra pochi intimi. E per intimi intendo i presenti a questo tavolo, Freddie!” li ammonì John, il tono di rimprovero smentito dal sorriso che era apparso sulle sue labbra.

“Non c’è di che, caro!” esclamò il cantante, soddisfatto.

“Beh, non si può dire che tu non ti sia divertito…” bofonchiò Roger a bocca piena, sputacchiando pomodoro.

“Ah, sei un animale! Chiudi quella bocca!” gridò Veronica, una smorfia di disgusto dipinta in volto.

“Mhh, vuoi dire così?” la stuzzicò il batterista, spalancando le labbra e mostrando il contenuto della bocca, un guizzo impertinente ad illuminargli gli occhi.

“Dicci, Roger, è questo il famoso charm che dici di avere con le ragazze?” domandò Brian, alzando entrambe le sopracciglia e sfoderando un’espressione scettica che provocò le risate di tutti i presenti, comprese quelle della giovane appena comparsa sulla soglia della cucina.

Era alta e slanciata, con spalle strette e seno prosperoso, una chioma di ricci ramati e calze a rete lise, che minacciavano di rompersi ad ogni movimento. Freddie la riconobbe subito come una delle ragazze che erano restate accanto a Roger per tutta la sera, accontentando ogni suo desiderio, fino ad addormentarglisi addosso, ancora nude ed ubriache, sul divano del salotto. Anche il biondo sembrò capire subito di chi si trattasse e sorrise soddisfatto all’idea di aver trascorso una serata con una bellezza simile. Non che fosse un caso, per lui. Vi era abbastanza abituato, complici i suoi occhi azzurri e il suo aspetto angelico. Brian fu l’ultimo ad accorgersi del suo ingresso e, nel vederla, si irrigidì. 

“Oh no, il suo charm è molto più di questo!” intervenne, mordendosi un labbro con aria maliziosa.

“Ti ringrazio, tesoro! Ci siamo divertiti, dovremmo rifarlo!” le sorrise Roger, ripetendo quasi meccanicamente le frasi che sfoderava in queste situazioni, terrorizzato all’idea di dare il proprio numero di telefono o il proprio indirizzo a qualcuna delle sue conquiste.

“Rilassati, batterista, non sono qui per chiederti la mano. Tralascia i convenevoli!” ribatté la ragazza, frugandosi nelle tasche del giubbino di jeans.

“Uhm Anita, giusto? Posso offrirti qualcosa per pranzo? O fare qualcosa per te?  Altrimenti, forse dovresti andare…” suggerì Brian, cercando di allontanare la ragazza, che, notò Veronica, sembrava infondergli una qualche preoccupazione.

“Non c’è motivo di agitarsi tanto…il vostro segreto è al sicuro con me! È stato piuttosto divertente, ieri sera: avervi entrambi, intendo, e guardarvi… siete piuttosto carini insieme” spiegò Anita con naturalezza, un’aria serena ad illuminarle il volto.

Veronica si morse un labbro e strizzò gli occhi, sfoggiando un sorrisetto consapevole.

John lanciò un’occhiata interrogativa a Freddie, confuso, ma il cantante non ci fece caso, impegnato a non perdersi nemmeno un attimo di quello scambio di battute.  

“Avervi… entrambi? Guardarvi…? Non ti seguo” mormorò Roger, confuso.

“Oh beh, forse dovreste parlare tra voi di questo. Io sono solo venuta per un saluto e per lasciarvi questa! L’ho scattata ieri sera, mi è sembrata carina e ho pensato di lasciarvela…come ringraziamento per una festa tanto divertente.” esclamò la riccia, sventolando una polaroid come fosse un trofeo. Sorridendo entusiasta, la posò sul tavolo. “Scappo, ci si vede ragazzi! Ciao Ronnie, scrivimi se sei ancora interessata alla stanza in affitto!” aggiunse, rivolgendosi a Veronica.

“Lo farò, ti ringrazio!” la bionda ricambiò il saluto.

In effetti era stata l’unica a salutare la ragazza e quando si voltò nuovamente verso il tavolo comprese perché. Tutti i presenti avevano gli occhi puntati sulla piccola fotografia. John arrossì e distolse lo sguardo dopo pochi secondi, Freddie sgranò gli occhi, piacevolmente sorpreso, e si lasciò andare ad una risata. “Oh, beh, questa si che è una sorpresa!” sussurrò, come se parlasse tra se’ e se’.  

“Non proprio…” intervenne Veronica, guardando con apprensione il fratello. Questi, seduto accanto a Brian, non riusciva a staccare gli occhi dalla polaroid. Deglutì, a fatica, e serrò la mandibola in un gesto di nervosismo, ancorando le mani al bordo del tavolo. Il chitarrista, invece, aveva portato una mano a coprirsi gli occhi e sbirciava la foto dalla fessura che si apriva tra indice e medio, incapace di soffermarsi per più di qualche secondo sull’immagine del proprio corpo avvinghiato a quello di Roger, le mani del batterista nei suoi capelli, le loro labbra unite in un dolce bacio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** La fuga di Roger ***


Perdonate l'infinita assenza...a voi, il tanto atteso Maylor.

Il giorno seguente, ore 14: 30 


“E a quel punto… sono scappato” borbottò Roger, concludendo il racconto.

“Scappato?” chiese conferma Anita, perplessa.

“Beh, sì. Che altro avrei dovuto fare?” sbuffò il batterista, stringendosi le ginocchia al petto. Era seduto sul letto dell’amica, se così poteva definirla, con un lenzuolo azzurro ad avvolgergli i fianchi nudi.  Si era svegliato poco meno di un’ora prima, preda dei postumi della sbronza della sera precedente, e, dopo un iniziale attimo di spaesamento, i ricordi avevano cominciato a riaffiorare. La polaroid, gli sguardi indagatori degli amici e della sorella, l’espressione mortificata di Brian e l’ansia che si impossessava di lui, facendolo boccheggiare in preda al panico. Poi era semplicemente corso in salotto, aveva afferrato la giacca e si era dileguato nel giro di un paio di minuti, ignorando le voci che lo chiamavano.

“Avresti potuto chiedere a Brian di parlare in privato ed essere sincero con lui, per esempio” suggerì la riccia, aggiustandosi la vestaglia in modo che le stringesse la vita.

“Per dirgli cosa? Non c’è niente da spiegare. Il nostro rapporto funziona così fin da quando ci siamo conosciuti. Ogni tanto capita che…succeda. Questo non significa che ci sia qualcosa di cui parlare. Un sacco di ragazzi lo fanno, con i propri amici” ragionò il biondo, cercando di trovare una spiegazione a quanto accaduto.

Anita aggrottò le sopracciglia, rivolgendogli uno sguardo compassionevole. “Intendi…sesso? I ragazzi fanno sesso con i propri amici, di solito?”.

“SHH!” la zittì il batterista. “Non c’è bisogno di usare quella parola!”

“Sesso?”

“Lo fai apposta?!” sbottò Roger, esasperato.

“Lo fai anche con quell’altro? Il ragazzino, intendo” domandò la rossa, abbandonando la camera da letto. 

“John? Cosa? No! Fino a ieri non pensavo nemmeno che sapesse cosa fosse il sesso” rispose Roger, disgustato, mentre saltellava verso la cucina, cercando di infilarsi un paio di boxer.

“Uhm, capisco. E che mi dici di quell’altro? Sì, il cantante dai begli occhi truccati!” indagò ulteriormente la giovane, riempiendo due tazze di caffè.

“Freddie! Sei pazza?!  No! Ovvio che no! Che schifo! È praticamente mio fratello!” negò il biondo, approfondendo la smorfia di disgusto che gli solcata il volto.

“Allora forse ciò che c’è tra te e il bel chitarrista non è solo un modo di passare il tempo tra amici, non credi?” rise Anita, divertita dalla reazione del biondo.

D’un tratto, il viso di Roger divenne inespressivo. Sì, la ragazza non aveva tutti i torti.

“Non dire sciocchezze! E poi, vorrei ricordarti che è per colpa tua se mi trovo in questa situazione!” cambiò argomento in tutta fretta.

La ragazza alzò le mani in segno di resa. “Sì, d’accordo, in parte è colpa mia! Ma non potevo sapere che preferiste far finta di nulla. Insomma, per quanto mi riguarda, pensavo che foste una coppia che voleva espandere i propri orizzonti. Siete carini e la vostra musica è decente, così ho pensato: perché no? Avevo voglia di divertirmi! Non mi aspettavo di ritrovarmi un batterista ubriaco sulla soglia della porta!” spiegò la rossa, alzando gli occhi al cielo.

“Decente un cazzo. La nostra musica promette bene…vedrai! E per la cronaca sappi che ci ho messo parecchio per scoprire dove abitassi e che ti ho aspettato per ore fuori da quella porta. Dove diamine eri alle quattro del mattino?!” bofonchiò Roger, sorseggiando il proprio caffè.

“Al lavoro! Non sei l’unico ad avere dei sogni, rockstar!” lo canzonò Anita, affondando i denti in una ciambella e spingendo la confezione di dolci verso il batterista, invitandolo a servirsi. 

Questo ponderò l’idea per qualche secondo, poi ne afferrò uno. 

“Che fai? La cameriera?” domandò incuriosito, masticando lentamente.

“La spogliarellista. Ma il mio sogno è fare l’attrice!” confessò Anita, senza il minimo imbarazzo.

Colto alla sprovvista, il biondo fallì nel deglutire il boccone e tossì ripetutamente. “Beh, questo spiega un sacco di cose…” mormorò appena si riprese.

“Lo prenderò come un complimento” rise la riccia, posando la tazza sul bancone della cucina. “Tesoro, non prenderla sul personale ma ora dovresti proprio andare. È già passata l’ora di pranzo e tra poco arriverà una ragazza a dare un’occhiata all’appartamento…ho davvero bisogno di una coinquilina con cui dividere l’affitto! Posso riaccompagnarti a casa, se ti va. Prima o poi dovrai tornarci, no?”

“Oh, certo. No, no…tornerò a piedi. Insomma, non so dove sono ma ci sono arrivato camminando, qui. Quindi è fattibile, giusto?” riflettè il batterista, confuso.

“Sì, non vivo lontano da casa di Brian!” sorrise Anita, avviandosi verso il bagno. “Se avessi bisogno di me, tua sorella ha il mio numero di telefono e, nel caso in cui te lo stessi chiedendo, no, non abbiamo fatto nulla che il tuo chitarrista disapproverebbe, ieri sera. Ti sei tolto i vestiti e sei crollato sul letto, tutto qui” aggiunse poi, punzecchiandolo.   

“Non è il mio chitarrista!” si affrettò a smentirla il biondo. Tuttavia, non valse a nulla: Anita si era già liberata della vestaglia e chiusa alle spalle la porta del bagno.

 

Ore 15:15

 

“Ed eccoci qui, per la terza volta in meno di mezza giornata…” sospirò Freddie, scendendo dalla macchina di Brian. Lui e Veronica l’avevano presa in prestito per andare a controllare se Roger fosse tornato al proprio appartamento.

“Magari è tornato a casa, nel frattempo. Non possiamo saperlo! E poi Brian non è da solo: lui e John sopravvivranno per trenta minuti!” disse la ragazza, sfilando le chiavi dal cruscotto e abbandonando il sedile del guidatore.

“Dico solo che dovresti rilassarti, tesoro” spiegò il frontman, posando le mani sulle spalle di Ronnie e guardandola negli occhi. “Sai meglio di me che non è la prima volta che Roger non torna a casa per la notte. Si sarà fermato a dormire da un amico. Insomma, non gli do tutti i torti. Lo avrei fatto anche io se fossi stato esposto in quel modo…” cercò di rassicurarla. “È…qualcosa di molto personale. Non si dovrebbe essere forzati a dirlo o roba simile, non credi, cara?”

“Ma certo, Fred. Hai ragione” mormorò la giovane, intenerita dalle parole dell’amico. Sapeva bene che le paure di Roger erano le stesse che affliggevano Freddie e che parlarne, per quest’ultimo, risultava ancora qualcosa di nuovo e complicato.

“Non voglio mettergli fretta o altro. Vorrei solo sapere dov’è e che sta bene. Cose da gemelli!” aggiunse Veronica, sorridendo.

Il giovane rise, scotendo la testa. “Sì, immagino sia qualcosa del genere. Andiamo allora, su, cara. Controlliamo un’ultima volta!” esclamò, estraendo un mazzo di chiavi dalla tasca.

Ronnie lo ringraziò con un forte abbraccio ed un bacio a fior di labbra, per poi dirigersi con lui verso l’ingresso. “Non l’ho mai detto a nessuno ma è parecchio che lo so, sai?” confessò, appoggiandosi allo stipite della porta.

Il frontman aggrottò le sopracciglia, interrompendo per pochi secondi la ricerca della chiave dell’appartamento. “Mi è sembrato piuttosto evidente dopo il nostro incontro, la vigilia di natale. No, tesoro?” ridacchiò, imbarazzato.

“Oh no! Freddie, non mi riferisco a te! Parlo di Roger. Lo so fin dall’inizio: conosco mio fratello meglio di quanto conosca me stessa e Brian è un libro aperto. In più ho beccato Rog a rovistare nei pantaloni di Brian una volta…” rivelò Veronica, stringendosi nelle spalle, pensierosa.

“E non mi hai mai detto niente?! Siamo una band: il che significa che ognuno si fa gli affari dell’altro! È un po’ come il matrimonio: non si deve omettere nulla, cara!” ammiccò Freddie, aprendo finalmente la porta.

Veronica lo superò, fiondandosi all’interno. Chiamò il nome del fratello un paio di volte ma in risposta ricevette solo un disturbante silenzio, rotto di tanto in tanto dall’abbaiare del cane dei vicini. Rassegnata e preoccupata, la ragazza si voltò verso l’amico.

“Ehi… dagli tempo, tesoro. Tornerà a casa!” la rassicurò Freddie, dirigendosi verso di lei per prenderla tra le braccia.

 

Ore 15: 20

 

“Quindi…tu e Rog…” iniziò il bassista, interrompendo il silenzio imbarazzante che li aveva avvolti mentre, seduti sul divano del salotto di Brian, attendevano il ritorno di Freddie e Veronica.

Il chitarrista si morse un labbro, annuendo impercettibilmente. “Già”.

Voleva bene a John, davvero. Lo considerava un bassista eccellente ed un tipo sveglio, nonché intelligente: sicuramente uno dei pochi in grado di capire i suoi “discorsi sulla scienza”, come li definivano Freddie e Roger. Dal momento in cui John era entrato nella band, erano riusciti a legare piuttosto in fretta, complice la stima reciproca e il desiderio di fare musica insieme, ed avevano trascorso parecchie serate fianco a fianco, a smontare e a rimontare ogni genere di oggetto che li incuriosisse o a guadare le stelle, ubriachi di birra e stesi sul tetto della casa di Brian. Tuttavia, il loro rapporto non si era mai approfondito quanto quello che il bassista aveva instaurato con Roger e Freddie. Alla loro timidezza serviva più tempo: parlare dei propri sentimenti, domandare un consiglio o dimostrare affetto in modo più esplicito che con una fraterna pacca sulla spalla era ancora un tabù per loro. Ci sarebbero arrivati, alla fine. Per ora, avevano bisogno della mediazione degli altri due per avere una discussione profonda senza sprofondare nel più totale imbarazzo.

 “Uhm, fico!” annuì John, incerto su cosa dire. Si pentì subito delle parole scelte ed avvampò, evitando gli occhi dell’altro. “Nel senso, non ho mai provato ma…immagino che sia…fico. Ecco. Dicono. Sì, alcuni lo…dicono” aggiunse velocemente, peggiorando la situazione.

“Sai, John, non siamo obbligati a parlarne. Ora lo sai ma…non significa che dobbiamo…sai…” offrì Brian, nel tentativo di togliere entrambi dall’imbarazzo.

“Oh” sospirò il bassista, sollevato. “Dio, speravo lo dicessi!” ridacchiò, posandosi una mano dietro al collo in un gesto di nervosismo. “Non sono bravo in queste cose!”

“Nemmeno io!” sorrise Brian, rilassandosi. “Uhm, perché non mi parli di quell’amplificatore? Quello che stai costruendo…” suggerì, nel tentativo di allentare la tensione.

 Proprio in quel momento, il campanello suonò ed entrambi i ragazzi tacquero, guardandosi.

“Non possono essere loro, vero?” ragionò John.

Il chitarrista scosse la chioma ricciuta in senso di diniego. “No, non possono essere loro” confermò. “Dunque…” iniziò, incerto, prima di essere interrotto da un altro trillo lungo ed impaziente, seguito in rapida sequenza da altri più brevi.

“Roger!” esclamò Brian, correndo alla porta.

“Ce ne hai messo di tempo!” sbuffò Roger, incrociando le braccia al petto. “Senti, devi darmi le chiavi di casa. Le ho dimenticate”.

Brian rimase interdetto per qualche secondo, limitandosi a fissare il batterista. Aveva passato la nottata insonne, attanagliato da sensi di colpa e preoccupazione, varando le opzioni peggiori e disperandosi al solo pensiero di non rivedere più l’amico. Ed invece eccolo lì, alla sua porta: i capelli scompigliati, i vestiti sgualciti ed un forte odore di alcool e tabacco impregnato addosso. Nessuna scusa, solo una lamentela. Come se non fosse successo nulla, come se le cose potessero riprendere da dove le avevano lasciate.

“No” mormorò Brian, semplicemente. A dirla tutta, non pensava nemmeno che le chiavi fossero in casa. Riordinando, non le aveva trovate ed era certamente più probabile che il batterista le avesse perse.  Tuttavia, poco importava: doveva parlargli e se pensava di essere confinato lì sarebbe stato più semplice.

“No?”. Il biondo alzò un sopracciglio, indispettito. “Dammi quelle fottute chiavi, Brian!” ordinò, tendendo una mano aperta in segno di impazienza.

“Ti ho già detto di no. Dobbiamo parlare, Roger” dichiarò il chitarrista, in modo risoluto.

“No che non dobbiamo…” cercò di sovrastarlo il biondo, senza successo.

“Parlo io. Tu ascolta e basta, okay?” sospirò Brian. “Da quanto va avanti questa storia, mmh? Da quando hai sedici anni? Da quando ci conosciamo, comunque. D’accordo, all’inizio poteva essere la curiosità dovuta all’inesperienza e poi, perché no, potevano essere gli ormoni ma Rog, onestamente, è passato parecchio tempo da quando mi infilavi la mano nei pantaloni mentre mia madre era occupata a stendere il bucato o in qualche altra faccenda domestica.  È qualche anno, ormai. E non siamo più bambini: frequentiamo entrambi delle ragazze. Tu, in particolare, ne frequenti e, se fosse stata solo questione di curiosità o ormoni, a questo punto avremmo già smesso. Non credi?”

“Divertimento, Brian. Mai sentito parlare di…” ribatté Roger, alzando gli occhi al cielo.

“Divertimento, sì, lo so. Lo dici sempre. In realtà, ho perso il conto delle scuse che accampi ogni volta che succede. Una volta è perché sei ubriaco, l’altra perché la tipa con cui avresti dovuto uscire ti ha dato buca, quella dopo è perché sei arrabbiato e ti vuoi sfogare o perché Freddie ha compagnia e non vuoi tornare a casa” elencò Brian, il tono di voce arrabbiato che mutava in un mormorio stanco e ferito. “Ho sempre fatto finta di niente perché temevo che avresti messo fine a quello che avevamo ma questa notte, mentre aspettavo che tornassi, mi sono sentito così stupido! Rog, non ho intenzione di continuare a far finta di niente…”

“D’accordo. Allora finisce qui” deglutì il biondo, tremando lievemente. Le parole del chitarrista lo avevano scosso. Il motivo? Erano la verità, mal celata per molto tempo e portata alla luce ora, tutta d’un tratto. Non era pronto per sentirla.

Brian si avvicinò, afferrandolo per un braccio, ma prima che potesse rispondere un John Deacon impacciato si presentò sulla terrazza.

“Ehm, ehi Rog! Brian, io raggiungo Ronnie e Fred. Li ho chiamati, gli ho detto che…beh, lo sai. Voi…fate ciò che dovete. Intendo parlare…non…” spiegò timidamente.

“Okay, okay! Ho afferrato, John!” si affrettò a venirgli in soccorso il chitarrista. Roger, dal canto suo, si era lasciato andare ad un sorriso divertito, nonostante la tensione della situazione.

“Certo!” annuì il bassista, salutandoli con un cenno del capo.

“Carini quei pantaloni” commentò il batterista, appena rimasero nuovamente soli.

“Cosa?” chiese Brian, passandosi le mani sulle cosce, confuso.

“Ti fanno delle belle gambe. Ed un bel fondoschiena. Forse potrei guardarli più da vicino…” mormorò Roger, sul punto di inginocchiarsi davanti a lui.

“No, no, no! Non finirà così la conversazione! Non questa volta” si oppose il chitarrista, allontanandosi.

Il biondo si ricompose, stizzito a causa del tentativo fallito. “D’accordo. Continua” sbuffò.

“Hai detto che non vuoi più nulla. Non è l’unica soluzione, lo sai. Finiamola con le scuse e i silenzi…proviamo a…ad essere onesti. Rog, non mi sei indifferente. Anzi, se devo dirla tutta, credo che tu mi piaccia più delle ragazze che frequento. Anche più dell’astrofisica, forse” confessò Brian, con gli occhi lucidi ed un sorriso speranzoso.

“Wow, questa si che è una notizia. Non pensavo ti piacesse qualcosa al di fuori di quella roba scientifica. Nerd. Ecco cosa sei: un cazzo di nerd” sospirò Roger, sfuggendo allo sguardo indagatore del chitarrista. “Devi sempre rovinare tutto con i sentimenti. Te l’ho già spiegato: nessuno sopporta gli uomini sentimentali e…” continuò, interrompendosi solo quando sentì il pollice di Brian accarezzargli una guancia ed asciugargli una lacrima. In quel momento si accorse di star piangendo.

“Rog, stai piangendo” sorrise dolcemente il riccio, prendendo il volto dell’altro tra le mani.

“A quanto pare…” deglutì il biondo, alzando gli occhi azzurri per incontrarne un paio marroni.

Brian scosse la testa, ridendo. “Non dobbiamo definirci, ne’ etichettarci in qualche modo. Solo, possiamo essere onesti su quello che sentiamo? Mi piaci parecchio, Rog”.

“Neanche tu sei male” singhiozzò il batterista, appoggiando la fronte a quella di Brian. “Ma sei davvero un insopportabile nerd” aggiunse, abbozzando un sorriso.

Il chitarrista lo strinse tra le braccia, posando un dolce bacio sulle sue labbra umide. “Sì, lo so” ridacchiò. “Un passo alla volta, d’accordo?” domandò, tornando serio.

Roger annuì. “Un passo alla volta” acconsentì, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo e nascondendo il viso tra le braccia di Brian.

 

Ore 16:15

“Brian?”

“Dimmi, Rog”

“Ora lo vorresti un pompino o..?”

“Roger!”

“Allora?”

“Sai che lo voglio…”

“Lo sapevo!”

Grazie a chi legge . Un abbraccio e  BUON COMING OUT DAY a tutti!

 

 

 

                

 

 

 

 



 

 

 

 

 

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