Giorni di pioggia

di MissAdler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I don't love you ***
Capitolo 2: *** The time stone ***
Capitolo 3: *** Summer rain ***
Capitolo 4: *** Coffee and kiss ***



Capitolo 1
*** I don't love you ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere o dell'orientamento sessuale di Cumberbatch e Freeman, nè tantomeno offenderli in alcun modo.  

 

Rating del capitolo: verde

   

We've been through this such a long long time
Just tryin' to kill the pain
But lovers always come and lovers always go
And no one's really sure who's lettin' go today
Walking away 
   
 

If we could take the time to lay it on the line
I could rest my head
Just knowin' that you were mine
All mine


Guns N' Roses

Londra, aprile 2019


 

La sua voce è tranquilla, chiara e pulita, non trema, né esita minimamente.

La chimica tra voi, gli hanno chiesto proprio questo. E per un istante sei stato tu a tremare, sotto quel maglione troppo largo, che ti arriva a metà coscia.

“Alquanto rara”.

La sua risposta ti ha costretto ad abbassare lo sguardo e a prenderti la testa tra le mani, nascondendo una smorfia che ti deforma il volto scarno riducendoti ad una maschera di cartapesta.

Ti scivolano le cuffiette sulle ginocchia e alzi lo sguardo quel tanto da scorgere Sophie al tavolo della cucina, intenta a spizzicare un sandwich di tofu e carote.

Non si è accorta dei tuoi occhi lucidi e arrossati, non ti sta guardando, nemmeno ora che recupera borsa e soprabito ed esce frettolosamente, senza una parola, lasciandoti solo ad ascoltare il ticchettio dei suoi tacchi risuonare sul pianerottolo e sulle scale, farsi più lieve sul marciapiede e svanire del tutto all'interno di un taxi.

Inspiri come se potessi immagazzinare ogni molecola d'ossigeno nella stanza, perché ne hai bisogno, perché quando c'è lei non riesci a respirare, non come vorresti. Come se ti sentissi in colpa ad occupare il suo spazio vitale con quei tuoi miseri sessantadue chili, come se le rubassi vita in comune che non ti appartiene. *

E sai che non è colpa sua, lei ci ha provato, tu ti sei costretto, eppure non c'è stato verso, non esiste una strada che potete percorrere entrambi, non più.

Forse non c'è mai stata.

Ti infili di nuovo le cuffie e riavvii l'intervista radiofonica.

Dio, quella voce!

È una coperta calda che ti avvolge delicatamente, puoi quasi vederne il colore, percepirne il profumo e la morbidezza, in un folle delirio sinestetico che ti costringe ad abbandonarti sullo schienale del divano, mentre qualche goccia salata ti accarezza le guance scavate.

Parla di Sherlock, della delusione dei fan, del finale che doveva esserci e non c'è mai stato, senza accennare al fatto che sia andata così per via dei diritti, della BBC, del fan-service, di una serie di motivi che non hai mai condiviso e dietro i quali, tuttavia, ti sei nascosto come un vigliacco, temendo per la tua immagine, per la tua carriera e per il tuo matrimonio.

Senza svelare che effettivamente, quel bacio, voi l'avete girato.

Senza sottolineare quanto quella scena mai montata, scartata senza un motivo valido, vi abbia devastati, costringendovi ad offrire qualcosa di tanto intimo, profondo e privato ad un pubblico che non poteva sapere quanto fosse dannatamente reale. O, almeno, quanto lo fosse fino a pochi mesi prima: un gesto così naturale, ripetuto un miliardo di volte.

Eppure, in quel frangente, sfiorarvi le labbra dopo tanto tempo vi era sembrato grottesco. L'avrebbero visto tutti, vi avrebbe visto Sophie e avrebbe capito, se già non l'aveva fatto, quello che c'era stato tra voi.

Perciò la tua codardia ha preso il sopravvento e ti ha portato ad allontanarlo del tutto, a perdere anche la sua precaria amicizia.

 

***

 

Ti rigiri nel letto, vedi la schiena bianca di tua moglie illuminata da un raggio di luna che filtra dalle persiane socchiuse. La guardi e hai voglia di abbracciarla, o forse vorresti soltanto sentirne il desiderio.

Vorresti amarla, hai pregato per questo ogni giorno, ma la verità è che non puoi costringere il tuo cuore a battere per qualcuno, nemmeno se ti sforzi, nemmeno se con quel qualcuno ci fai dei figli, nemmeno se gli vuoi bene sul serio.

Il cuore è un muscolo involontario e non obbedisce a nessuno, men che meno al suo proprietario.

Non sei più nemmeno certo che il tuo ti appartenga ancora.

Ti giri di nuovo, osservando le tende in organza muoversi lentamente, sospinte dalla brezza notturna.

Il cuore l'hai lasciato a lui, senza neanche saperlo, mentre consapevolmente spezzavi il suo.

Chiudi gli occhi e torni al 2015, a quella panchina di Hyde Park. Rivedi i suoi capelli biondi spettinati dal vento, le guance arrossate per il freddo, le labbra sottili piegate in un sorriso incredulo.

'Perché lo fai, Ben?'

La sua fronte corrugata era prova di un'ingenuità che ti lacerava il petto.

'Non ci credo che sei davvero innamorato di lei.'

Avevi aperto la bocca solo per richiuderla subito dopo.

'Noi due insieme siamo perfetti, prova a negarlo-'

'Marty-'

'Abbiamo una chimica incredibile, se n'è accorto chiunque!'

'Martin, ti prego-'

'Se deciderai di andare fino in fondo lo rimpiangerai per tutta la vita!'

'E cosa ti aspetti che faccia? Che mandi a puttane il matrimonio a meno di tre settimane? Tu e Amanda non avete nemmeno rotto ufficialmente!'

'Sai che lo faremo, stiamo solo aspettando il momento giusto', si era stretto nel Woolrich reprimendo un brivido, 'e forse quel momento è arrivato.'

'No, non se ne parla, non posso lasciartelo fare.'

'Perché no?'

'Ho preso un impegno!'

'Ma di che parli? E allora noi due? Il nostro impegno? Razza di idiota, io ti amo! Noi ci amiamo-'

'Evidentemente non più!'

E un silenzio pesante come un masso di tre tonnellate vi era piombato addosso.

Tacque per un tempo che parve infinito.

Ti fissava negli occhi e tu fissavi le sue scarpe marroni.

'Come hai detto?'

'Mart-'

'Ripetilo se ne hai il coraggio.'

Parlava a denti stretti, abbassando il tono della voce come faceva quando era furioso.

E tu avresti solo voluto dirgli che stavi straparlando, che eri terrorizzato, che proprio per questo avevi deciso di mentire, di correre ai ripari, dietro quella scura coltre di menzogne, a cui Martin non avrebbe mai creduto se solo fosse stato abbastanza lucido da vedere la paura e l'incertezza nei tuoi occhi.

Ma proprio perché gli stavi spezzando il cuore, la sua mente era totalmente annebbiata e la perspicacia che di solito lo contraddistingueva era evaporata insieme all'ultimo residuo di speranza.

'Ripetilo, ho detto.'

'Marty, andiamo, io-'

'Dillo, Benedict, per dio!'

'Io...non ti amo...'

La tua voce era un pigolio appena percettibile ma la sua la sentirono tutti nel raggio di cinquanta metri.

'Va' a farti fottere, Ben! Sposati! Metti su famiglia! Vinci il tuo Oscar e rovinati la vita come solo tu sai fare! Ne ho abbastanza di queste stronzate!'

Si era alzato di scatto, gli occhi lucidi e sconvolti che per te erano una pugnalata al cuore.

'Sei solo un povero stronzo.'

 

***

 

Quando riapri gli occhi è ormai giorno fatto, il ticchettio della pioggia sui vetri della finestra e il profumo di terra bagnata ti cullano per altri interminabili minuti. Ignori la sveglia e te ne resti sotto le lenzuola color tortora, ad ascoltare il rombo dei tuoni che paiono scuotere l'intero palazzo, o forse l'intera città, sotto la potenza di quel fugace temporale primaverile.

Sei solo in casa. I bambini sono a scuola, Sophie aveva in programma una colazione tra amiche e sei certo che resterà fuori fino all'ora di cena, pur di non vedere la tua faccia grigia e imbambolata.

Ti perdi ad osservare il soffitto, tenendo le mani sul petto e concentrandoti sul movimento lento e continuo del tuo torace che si alza e si abbassa al ritmo del tuo respiro.

 

'Un'ultima domanda mister Freeman. Qual è la cosa peggiore che qualcuno le abbia mai detto?'

 

 

'Io non ti amo.'

 

Ripensi a quell'intervista, ben diversa da quella che hai ascoltato ieri, come se, non nominandoti, la sua frecciata ti fosse arrivata ancora più tagliente.

Sai che era per te, sai che gli hai spezzato il cuore, che sei stato un vigliacco e un bugiardo.

Ora stai scontando la tua pena.

Per tua moglie sei ormai un estraneo, i tuoi figli sono la ragione che ti tiene ancora lì. Ma sai che anche questa è solo l'ennesima scusa.

Non te ne vai perché senza Sophie, senza la tua famiglia, senza quell'esistenza apparentemente perfetta, che è come un'impalcatura abusiva, scolorita e pericolante che hai eretto sul nulla, non sapresti più dove nasconderti.

Il tuo status di uomo impeccabile, irreprensibile e devoto, non è altro che una menzogna. La verità è che non sarai mai soddisfatto, non ti sentirai mai al posto giusto, perché l'unico posto dove ti sei sentito giusto è accanto a lui. E non puoi tornarci.

Esci dal letto con uno scatto nervoso, ti dirigi in bagno sfilandoti il pigiama e dopo pochi minuti sei di nuovo in camera, davanti allo specchio ad aggiustarti sui fianchi un maglione palesemente troppo largo.

Sei dimagrito ancora, forse tra poco raggiungerai il peso giusto per interpretare quel ruolo.

Non ti dispiace vederti così esile, come se sentissi, con un pizzico di sollievo, di occupare meno spazio in questo mondo fittizio che non t'appartiene.

Scompariresti del tutto, se potessi, ma restare è l'unica scelta possibile, sebbene tu non sia davvero presente a te stesso, sebbene non sia più tu ma una lancetta bloccata tra passato e futuro, senza sapere minimamente come andare avanti.

Sei un guscio vuoto, un'ombra inconsistente, una pellicola inceppata che proietta a ripetizione la stessa scena.

Apri il frigo, ne osservi imbambolato il contenuto per un paio di minuti, sospiri rumorosamente e lo richiudi.

Infili il cappotto ed esci senza portare l'ombrello.

 

***

 

Cammini a passo svelto verso la fermata dei taxi, la testa bassa, gli occhiali scuri schiacciati sul naso, le mani in tasca a stritolare chiavi e telefono, come se non possedessi altro nella vita.

Ha smesso di tuonare ma la pioggia cade più fitta ora, bagnandoti la nuca e facendoti rabbrividire.

Cammini più veloce e continui a sentire la sua voce nella testa, mentre una goccia gelida e dispettosa si insinua nello scollo del giaccone e ti scivola sul collo.

 

'Patetico'.

 

Ti torna in mente quella tua ridicola sfuriata e un sorriso sarcastico ti increspa le labbra.

È quello che sei tu.

Un uomo di quarantadue anni che ad ogni incrocio della vita continua ad imboccare la direzione sbagliata, infilandosi in stradine sempre più strette che sai per certo ti condurranno inesorabilmente ad una via senza uscita.

Ti rendi conto che stai correndo. La fermata dei taxi l'hai passata da un pezzo, stai congelando, non senti più le dita delle mani, ancora chiuse a pugno nelle tasche.

Patetico.

Come il tuo orgoglio, come la tua ostinazione, come il tuo bisogno di essere assorbito da qualcosa che ti faccia in qualche modo dimenticare chi sei davvero. E devi riconoscere che ti sei scelto la giusta professione.

Maschere. Sempre e solo maschere sulla tua faccia pallida e smunta.

Corri con i pantaloni bagnati fino alle caviglie, non badando alle pozzanghere, ignorando il peso di quelle nuvole grige e quella pioggia insistente che ti inzuppa il cappotto.

Ti ritrovi in North Gower Street, senza nemmeno sapere come, fissando quella porta che conosci fin troppo bene, che hai varcato insieme a lui un migliaio di volte, senza mai renderti davvero conto di quanto fossi felice. **

Ti sembra di vederlo lì, appoggiato al legno scuro, con i capelli fradici attaccati alla fronte e le labbra arricciate in un sorriso sarcastico.

Quel suo modo di guardarti, di toccarti con gesti apparentemente distratti, di farti sorridere con una battuta idiota, quel suo modo di amarti, di rendersi ridicolo solo per strapparti un sorriso...ti manca così tanto che per un attimo temi di non riuscire a reggerti più sulle ginocchia.

Ora non importa più ad anima viva. Che tu rida o pianga, non è rilevante per gli altri.

Nessuno si preoccupa se non hai mangiato, se hai freddo, se non riesci a dormire la notte, se non ricordi più come si fa a sorridere. Nessuno ti guarda davvero, nessuno riesce a vederti, il che è paradossale se si considera la tua fama.

E se riuscissi a sparire solo un altro po', sotto tutti gli strati di pelle, stoffa e rassegnazione, forse anche tu smetteresti di percepire una volta per tutte la tua stessa, odiosa, presenza.

Ti riscuoti da quelle elucubrazioni non appena senti il telefono vibrare sotto le dita intorpidite, lo tiri fuori dalla tasca e leggi il nome su display, rabbrividendo all'istante.

 

 

 

* non ho idea del peso attuale di Benedict, so che pesava 77 chili, normalmente, ma con questo dimagrimento strategico dovrebbe essere calato parecchio

** l'indirizzo dove sono state girate le esterne di Sherlock, essendo la vera Baker Street troppo trafficata e impraticabile

ANGOLINO DELL'AUTRICE

Prima Freebatch per me, spero vi piaccia questo primo capitolo!

L'avevo iniziata per un evento di Pasqua, poi ho perso completamente l'ispirazione e l'ho abbandonata quasi subito, riprendendola non appena ho visto le foto del Met Gala, perché sì, perché dovevo. XD

Ogni capitolo verrà ambientato in una giornata piovosa e riporterà una citazione adatta.

Se ci sono imprecisioni cronologiche o di qualsiasi natura, fatemelo presente. Non sono ferratissima in materia di gossip ma vorrei comunque attenermi il più possibile ai fatti reali.

Grazie per essere arrivat* fin qui, se vi va lasciatemi qualche riga, ne sarei davvero felice.

Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 2
*** The time stone ***


Rating: verde

 

 

And so he spoke, and so he spoke
that Lord of Castamere
But now the rains weep o'er his hall
with no one there to hear
Yes now the rains weep o'er his hall
and not a soul to hear

 

George R. R. Martin

 


 

Non hai risposto.

Eri pienamente consapevole che evitarlo fosse il tuo ennesimo atto di vigliaccheria, eppure non ce l'hai fatta. Non in quel momento, non di fronte a quella porta, non mentre cercavi di capire se fossero lacrime o soltanto pioggia a scivolarti sulle guance.

Chadwick.

Eri certo di cosa volesse, sapevi che l'indomani ci sarebbe stata la première di Endgame e che non ti eri ancora degnato di confermare la tua presenza. Così come sapevi che non saresti stato in grado di fingere anche con lui, amico a tutti gli effetti, perché eri certo che ormai avesse capito tutto, che in fondo soltanto un idiota non si sarebbe domandato la ragione del tuo spiccato interesse in merito al film che l'aveva visto protagonista e ai suoi colleghi di cast, uno in particolare, ovviamente.

Dio! All'improvviso ti eri reso conto di aver esagerato con quelle domande inopportune, con quella curiosità velata eppure palese, come se conoscere qualche insignificante aneddoto sull'interprete dell'ironico e sarcastico Everett Ross riuscisse in qualche modo a fartelo sentire meno distante ed irraggiungibile. Come se il tuo pensiero di lui, tramutato in parole, potesse divenire magicamente tangibile.

Eppure non avevi dubbi che lui avesse fermamente rifiutato di prendere parte all'ultima avventura degli Avengers, sapevi per certo che la decisione era stata sua, che avrebbe benissimo potuto comparire almeno in un paio di scene, se solo avesse firmato per il capitolo conclusivo.

La prova definitiva che non volesse più avere nulla a che fare con te, neanche se indossavi un mantello rosso e ti sentivi ancor più ridicolo di quanto non fossi in realtà.

Ed è semplicemente andata così.

Il suo Ross e il tuo Strange non si sono mai incontrati, nemmeno per combattere l'ultima epica battaglia per il futuro dell'universo.

 

 

'Benedict, qual è stato il tuo momento preferito nei film Marvel?'

 

'Ogni singola scena di Black Panther in cui Everett Ross si muove, parla o semplicemente respira.'

 

Non l'hai detto davvero, ovviamente, ma in parte hai risposto con sincerità, nominando quel film e piazzandoci vicino anche un paio di titoli a caso, strategicamente, per camuffare quell'affermazione forse troppo onesta, probabilmente abbastanza decifrabile, sicuramente inopportuna, che lui non può non aver afferrato.

Forse dovreste semplicemente smetterla di lanciarvi frecciatine durante le interviste, è fin troppo patetico, anche per te.

 

***

 

Maggio 2019

 

 

“Lascia, faccio io.”

La voce sottile di Sophie ti riporta al presente, mentre le sue dita ti sfiorano il bavero della giacca bianca, ritraendosi di scatto, come se il tuo eccentrico abito total white fosse bollente, per tornare a toccare la tua preziosa spilla con cautela, armeggiando per qualche secondo con la chiusura, mentre i suoi occhi evitano i tuoi con un'abilità ormai consolidata.

È bella, tua moglie. La sua figura esile, il sorriso luminoso che per un certo periodo hai trovato dolce e perfetto. Hai creduto davvero che lei lo fosse per te, hai voluto crederlo con ogni fibra del tuo essere, l'hai desiderato anche nel momento in cui, rabbiosa ed esasperata, ti aveva sbattuto in faccia che potevi restare con quell'ometto nevrotico anziché trascinarla in un ridicolo matrimonio di copertura. Perché Sophie non è mai stata stupida e di certo nemmeno un'ignara pedina nelle tue mani. Lei sapeva, eppure ha sempre sperato che ti passasse, che pian piano avresti dimenticato e lasciato andare. E l'avresti voluto anche tu, con tutta l'anima, ma sai che non è mai stata una tua scelta, che quel filo rosso, annodato sotto la tua costola sinistra, che si dipana per le strade di Londra fino a Soho, fino a stringersi sul cuore di un uomo che non ti ha mai perdonato, che probabilmente ti odia, non può essere reciso, da niente e nessuno.

Il taffetà rosa pastello ti sfiora le ginocchia un attimo prima che lei alzi lo sguardo sul tuo viso, lasciandoti scorgere rimasugli di rimpianto, affetto e rassegnazione nelle linee sottili che le increspano la pelle chiara attorno agli occhi.

 

***

 

Piove.

Ti perdi ad osservare le gocce che corrono in diagonale sul finestrino dell'auto, scomponendosi in puntini bagnati sempre più piccoli, mentre l'auto sfreccia veloce sulla corsia di sorpasso.

I drappeggi dell'abito di Sophie occupano quasi tutto lo spazio disponibile, relegandoti all'angolo del sedile posteriore. La tua fronte schiacciata sul vetro appannato, il volto illuminato dalle luci della città, cerchi senza troppo successo di riavvolgere il nastro della serata, mentre lei volge lo sguardo il più lontano possibile da te.

Vi hanno applaudito, acclamato, siete stati i più eleganti di tutti, forse anche perché avete aggirato il tema del party, barando spudoratamente e vincendo a mani basse.

Il re e la regina del Met Gala.

Togli il cappello e lo lasci in bilico sulle tue ginocchia nodose, strizzi le palpebre e provi un'altra volta a fare ordine nei pensieri. Non sai nemmeno a che punto della serata hai iniziato a bere, probabilmente quando un tizio a caso ti ha fatto notare che la tua spilla ricorda vagamente la gemma del tempo del Dottor Strange e tu hai pensato che fosse un vero 'capitan ovvio', considerando che quello smeraldo ti è costato quasi cinquantamila sterline e che l'hai palesemente scelto per quella ragione. Un tizio talmente inopportuno da farti notare che sarebbe una vera figata se provassi ad utilizzare la gemma per tornare indietro nel tempo e allora: 'cosa cambierebbe della sua vita, se potesse azzerare il passato, mister Cumberbatch?'. *

Come se potessi tranquillamente fare una confessione del genere al primo giornalista di gossip che ti trovi davanti.

È già abbastanza difficile ammetterlo a te stesso, eppure in quel momento ti sei ritrovato a farlo, silenziosamente, mentre tua moglie ti prendeva per mano per trascinarti dinnanzi ad una schiera di fotografi.

Quel castello.

Quel gigantesco, pacchiano, fatiscente castello di menzogne che hai eretto per celare la tua vera natura, quei saloni ampi e desolati, quegli angoli scuri e quell'aria pesante, tossica ed irrespirabile che sa di marcio.

Questo cambieresti. Se tornassi indietro non poseresti nemmeno un mattone, nemmeno un sassolino per erigere quei muri, perché la verità è che non ti sei costruito un castello, bensì una prigione. E che sia dorata all'esterno non conta, dal momento che dentro ti ci sei incatenato, certo di poterti sentire al sicuro, ignorando che saresti inesorabilmente imputridito nelle tue bugie.

Sì, probabilmente è dopo aver formulato mentalmente questa risposta che hai mandato giù il primo drink, il secondo, l'ottavo, il diciannovesimo...fino a ritrovarti a ballare come un idiota su quella canzone di MC Hammer che tanto detesti, con gli occhiali da sole a nascondere lo sguardo vacuo e con la sensazione di muoverti a rallentatore, mentre tutto intorno a te prendeva a girare vorticosamente come in un turbinio psichedelico.

Anche adesso senti che il mondo continua a roteare senza posa, mentre tu te ne stai immobile, a cercare un equilibrio che non riesci ad afferrare, soffocando un conato di vomito mentre Sophie entra in casa senza dire una parola e tu continui a fissare, con aria imbambolata, l'autista che ti ha aiutato a scendere dall'auto e che ora ti rivolge un saluto che non riesci a cogliere, lasciandoti quindi barcollante e confuso all'inizio del vialetto di ghiaia, consegnandoti un ombrello che risolutamente decidi di non aprire.

 

***

 

Chiudi la porta della cameretta senza far rumore, i bambini dormono, Sophie si è ritrovata costretta a chiederti, con lo sguardo basso e le labbra tese in una smorfia imbarazzata, di aiutarla a togliere quell'ingombrante trappola rosa pastello a forma di meringa, poi si è infilata sotto la doccia, coprendosi goffamente il petto con entrambe le mani.

Come se ce ne fosse bisogno. Come se non ti sentissi già abbastanza a disagio a condividere il letto con lei, a vederla struccata e in pigiama appena sveglia, ad essere presente mentre mangia, dorme, respira, come se già non pensassi di violare la sua intimità in ogni momento della giornata.

Una coesistenza che pareva funzionare fino a qualche tempo fa, quel quieto vivere, quella finzione ininterrotta, intervallata da periodi di serenità fittizia in cui l'autoconvincimento vi aveva quasi portato a crederci, di amarvi sul serio, illudendovi di poter recuperare qualcosa che non c'era mai stato.

È stata lei a svegliarsi per prima, a farti capire che non ti amava più, non per l'uomo che eri in realtà, non da quando tra voi si era aperta quella voragine profonda e impossibile da sanare. E tu sei stato costretto a guardare in faccia la realtà, a fare i conti con le tue scelte insensate e con la loro irreversibilità, cadendo preda di rimpianti e sensi di colpa che continuano inesorabilmente a consumarti.

Anche adesso, che rimani chino sul water con gli occhi chiusi e l'odore acido del tuo stesso vomito nelle narici, ascoltando il rumore del getto d'acqua nella doccia, la sua voce che canticchia un motivetto malinconico, ti senti pesantemente sconfitto, stanco e colpevole. Vorresti essere altrove, vorresti smettere di recitare, è l'ultimo pensiero che riesci a formulare prima che la tua mente scivoli nelle nebbie dell'incoscienza, mentre il tuo cuore si sbriciola un po' di più, sotto il peso di mille sbagli a cui non puoi in alcun modo rimediare, perché quella che porti sulla giacca è solo una spilla da cinquantamila sterline e tu non sei certamente lo stregone supremo.

“Benedict...”

Il palmo fresco della sua mano sulla tua fronte sudata ti fa alzare delicatamente la testa, riportandoti in parte alla realtà.

“Dai, tirati su. Sciacquati il viso.”

Così dicendo ti aiuta a rimetterti in piedi, reggendosi alla bell'e meglio l'asciugamano attorno al corpo. Ti lava la faccia con delicatezza, ti sfila la giacca e la cravatta, ti pulisce il vomito dalla camicia, con una condiscendenza quasi materna.

Ti fa sentire uno schifo. Muori dalla voglia di dirle che la ami con tutto te stesso, che ti dispiace per essere un pessimo marito e che averla accanto è la tua fortuna più grande. Vorresti mentirle ma tanto sai che non ti crederebbe, che ti conosce troppo bene per bersi altre bugie, che le faresti solo più male. Perciò biascichi un “grazie”, con la bocca impastata e gli occhi socchiusi, mentre lei ti accompagna in camera, lasciandoti lì, seduto sul letto a disprezzarti e commiserarti, con il volto pallido come il tuo completo da schiavista macchiato di giallo e le mani strette a pugno sul copriletto di seta.

Siete prigionieri entrambi, in fondo, tu e lei. Schiavi di condizionamenti e ambizioni senza senso, di un'ideale di vita che avete voluto ad ogni costo incarnare. Potreste mettere fine a tutto ma nessuno dei due sembra volersi spostare da dove si trova ora. Tu hai avuto il prestigio, lei un'occasione. Due opportunisti orgogliosi e infelici, incatenati a vita in questo limbo senza gioia e senza amore.

Un tuono squarcia il cielo, seguito da un lampo che illumina la stanza a giorno, strappandoti a quei pensieri cupi e instillandoti nella mente strani desideri. Come se ad un tratto fossi preda di uno strano incantesimo, quell'aria gelida che si insinua tra gli spifferi delle imposte ti solletica la pelle bollente, lambendo le pieghe del tuo collo raggrinzito ed attirandoti a sé, inesorabilmente.

Sophie si è chiusa di nuovo in bagno, sei completamente solo.

Ti alzi con le ginocchia ancora un po' malferme e spalanchi la finestra, rabbrividendo sotto le sferzate di un vento tagliente che ti schiaffeggia con dita di ghiaccio. Muovi qualche passo fino a ritrovarti sul terrazzino di marmo, i piedi scalzi sulle piastrelle bagnate. La pioggia cade sottile e fitta, seguendo traiettorie casuali, sotto la spinta di quelle raffiche spietate.

Te ne resti lì, immobile ed in maniche di camicia, leggermente curvo, a tremare ed infradiciarti senza un motivo apparente. Preghi che tua moglie non arrivi, che non ti veda, così da non interrompere qualunque cosa tu stia facendo, perché davvero non ne hai idea. Sai che vorresti restare lì, anche tutta la notte se ne avessi la possibilità, a sentire quella pioggia pungerti la pelle, quel vento che ti colpisce ovunque come mille lame d'acciaio.

Senti il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni ma lo ignori stoicamente, deciso a restare fermo dove sei, a sentire quella pioggia fuori e dentro di te, a sperimentare cosa si prova a farsi sommergere ed affogare, in silenzio, da solo, senza che nessuno se ne accorga, consapevole di non essere ancora lucido e concedendoti solo altri due minuti prima di recuperare il senno.

 

***

 

I vestiti gettati a terra fuori dalla doccia, lo shampoo che odora di albicocca e ti fa bruciare gli occhi, rifletti incidentalmente sul fatto che l'acqua bollente non sia efficace come quella gelata, quando si tratta di darti sollievo.

Hai sempre amato la pioggia, il rumore delle gocce sui vetri delle finestre, l'odore di terra bagnata, le pozzanghere in cui saltavi da bambino. E quel senso di purezza, di espiazione che senti quando ti scorre addosso, fredda e trasparente, come se avesse il potere di lavare via ogni tuo peccato e di farti rinascere ogni volta.

In effetti stai un po' meglio, la nausea è quasi passata e la confusione mentale si sta diradando velocemente. Sei riuscito ad infilarti in bagno prima che Sophie tornasse di sopra con la tisana appena preparata e sai che dovresti inventare una scusa per giustificare il pavimento bagnato, ma sei troppo stanco per pensare ad altre scuse, per mentire un'altra volta in questa giornata di menzogne che è stata come una messinscena infinita.

Ti passi le mani tra i capelli cortissimi, massaggiandoli e aiutando il getto d'acqua calda a portare via anche l'ultimo residuo di schiuma, sentendo il telefono vibrare di nuovo, sussultando al pensiero d'averlo lasciato nella tasca dei pantaloni fradici.

In un attimo sei fuori dalla doccia, ti avvolgi nell'accappatoio e frughi tra i vestiti sul pavimento, recuperando lo smartphone ancora freddo e umido. Guardi distrattamente la schermata di blocco e immediatamente dimentichi come si fa a respirare.

 

02,34

Martin Freeman Con quel vestito stavi di merda.

 

02,57

Martin Freeman Lo sai, vero?

 

Boccheggi per qualche secondo, con l'accappatoio mezzo aperto e i capelli che gocciano ovunque.

Non riesci a muoverti ma senti che le tue labbra si stanno allargando in un sorriso involontario, automatico, inevitabile. E ti si allarga anche il cuore, quel muscolo ormai stropicciato e rinsecchito che ha scordato come si fa a palpitare e che si ritrova a farlo goffamente, facendoti male, riportandoti violentemente alla vita.

 

 

 


*questo non è mai successo, per quanto ne so. La spilla ricordava davvero la gemma del tempo ma non so se fosse una trovata di Ben e ovviamente non ne conosco il valore economico.

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE CHE SI DOMANDA SE IN REALTA' SIA SUA LA COLPA DI TUTTA QUESTA PIOGGIA XD

Eccoci alla fine del secondo capitolo! Innanzitutto ringrazio chi è arrivat* fin qui, chi ha inserito la storia in una categoria e soprattutto chi recensisce. Un grazie anche ai lettori silenziosi, lo sono stata anch'io per un certo periodo e non per questo non ho apprezzato le storie che ho letto, anzi! 

Prometto, croce sul cuore, che il nostro Martino comparirà prestissimo in carne ed ossa e che l'angst sta per diminuire notevolmente. Chi mi conosce sa che difficilmente riesco a farne a meno e che il fluff non è certo il mio forte, però garantisco che migliorerà, che il povero, piccolo -mai una gioia-Ben sta per ritrovare un po' di dolcezza. 

Ringrazio Annina per aver corretto una imperdonabile svista nel primo capitolo, Daniela per aver tradotto per me l'intervista alla première di Endgame e più in generale i membri del gruppo Facebook JOHNLOCK IS THE WAY...AND FREEBATCH OF COURSE, che è come un angolino di gioia e leggerezza in giornate tanto grigie e piovose. Senza di voi questa storia, come tutte le altre che ho scritto su Sherlock, non avrebbe mai visto la luce, quindi grazie, grazie di cuore!

Non dico altro, se vorrete lasciarmi due paroline mi farà davvero piacere, lo sapete!

Baci baci

   

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Capitolo 3
*** Summer rain ***


Oggi voglio andare al mare

Anche se non è bello

Oggi sai che voglio fare

Fare come quando piove ed io mi scordo l’ombrello

 

Coez

 

 

Luglio 2019

 

I temporali estivi sono sempre stati i tuoi preferiti. Fin da bambino ti hanno affascinato i contrasti, il mettere insieme gli opposti, mescolarli e bearti di ciò che ne scaturiva.

Hai sempre amato i fiori che sbocciano tra i sassi, sul ciglio dei marciapiedi, tra i mattoni dei palazzi, gli spruzzi di vita che colorano il bianco e nero della città, le donne longilinee, quasi androgine, gli uomini con i capelli lunghi, i duri che si commuovono, le spose con le scarpe da ginnastica sotto i mille strati di tulle. Hai sempre amato cenare con il dolce e fare colazione con il salato, stare sveglio quando tutta Londra riposa, per fingere di essere il solo ad avere il privilegio di vedere le stelle. E poi dormire nudo in pieno inverno, Sophie ti ha sempre preso in giro per questa tua stranezza, eppure a te non è mai importato, continui tuttora ad avvolgerti nel piumone e a godere del tepore che t’intorpidisce il corpo, mentre fuori fanno due gradi e la testa ti si gela.

Hai sempre amato i fulmini a ciel sereno, anche se ti sconvolgono, anche se spesso ti colpiscono in pieno, devastandoti.

Così come quel messaggio inaspettato, insolente e opportuno come solo lui sa essere, come è sempre stato, soprattutto con te.

È stato un lampo che ha illuminato l’oscurità, quella notte in cui ti sentivi così lontano da lui, eppure così vicino al cielo, ad un passo dalla salvezza.

Ubriaco di gioia e ubriaco per davvero, al punto di essere quasi evaporato in una nube alcolica che ti aveva portato di nuovo sul ciglio di un precipizio, impalato, ad infradiciarti su quel balcone, preda di una tempesta impietosa, annegando e disperando.

Poi i suoi messaggi, l’incredulità, la sorpresa, l’esaltazione.

Hai trascorso la notte ad aspettare col telefono premuto contro il petto ed il cuore in gola, eccitato come un quindicenne, scosso dai dolci brividi di un amore mai svanito e appena riaffiorato, soffocando i sospiri nel cuscino profumato di shampoo e vita ritrovata.

Avevate scherzato, punzecchiandovi come due cretini, scambiandovi sms come nelle peggiori commedie romantiche, vi siete addormentati alle prime luci dell’alba, col telefono scarico, una dolce speranza taciuta e un sorriso stampato sulle labbra.

 

***

 

Settembre 2019

 

Ami la pioggia d’estate.

Riesce a sorprenderti ogni volta, ti porta sollievo dal languore d'inizio settembre e i contorni della città, così sfocata e bagnata, ti danno l’impressione che il mondo sia diverso, più giusto per te.

Lo osservi dalla finestra, quel quadro lucido e liquefatto, la tua Londra inzuppata di acqua e profumata di terra, i lampi che illuminano il cielo come se fosse mezzogiorno.

Sono passati mesi e non l’hai ancora rivisto, ti sei fatto sfuggire mille occasioni per chiederglielo, hai lasciato che quello spiraglio si richiudesse quasi del tutto, senza avere la prontezza d’infilarci in mezzo un mi dispiace.

Il vostro è un legame fragile, e non perché non sia profondo, quanto per le troppe crepe che avete creato voi stessi, sbagliando e fuggendo, innalzando muri dietro i quali vi siete rifugiati col cuore in pezzi e l’orgoglio a gonfiarvi il petto d’un coraggio effimero.

E l’avete rifatto anche stavolta, nonostante ti sia tornata la voglia di mangiare, nonostante tu riesca a sorridere anche lontano dalle telecamere, è bastato un velo di sarcasmo in un suo messaggio e tutto si è gelato di nuovo, e la distanza che ora vi separa è ancora più difficile da annullare.

Sai che spettava a te, che il più grande errore l’hai commesso tu e che non è una sua frecciata a ferirti così in profondità, quanto più la consapevolezza di avergli fatto male sul serio.

Lo senti anche ora, in questo cupo tardo pomeriggio, con la fronte premuta sul vetro della finestra e il ticchettio della pioggia che rompe il silenzio desolante di questa casa vuota, il senso di colpa che ti dilania.

Non sai nemmeno dove sia la tua famiglia, Sophie ti ha detto qualcosa prima di uscire ma non ricordi, osservi quel cielo squarciato dai fulmini e speri solo che non colpiscano casa tua. Non ora almeno. Non può crollarti addosso il soffitto, non adesso che hai finalmente preso la decisione più difficile della tua vita.

Prendi in mano il telefono e digiti velocemente un messaggio, con dita fredde e tremanti, trattenendo il respiro.

 

18,32

Tu Devo parlarti. Possiamo vederci? È importante.

 

Premi “invio” e lo getti sul letto con uno scatto, come se scottasse.

Poi ti volti a guardarti allo specchio, sfiorandoti le rughe attorno agli occhi, le borse violacee che contrastano con le sfumature marine dei tuoi occhi, ora tendenti al grigio, opachi, spenti.

“Una volta erano belli…”

Sussurri sovrappensiero, ripensando alle prime scene girate con Martin, a quegli sguardi che erano a metà tra realtà e finzione, a quei sorrisi che nascevano spontanei e puri sul volto di entrambi mentre Steven gridava “stop, questa era buona” ma i vostri occhi restavano agganciati ancora per qualche secondo, come se non l'aveste nemmeno sentito, come se tutto il resto non esistesse.

Ricordi quel giorno in cui pioveva e dovevate aspettare il sereno per girare una qualche scena insieme ad Andrew, a quel caffè caldo bevuto dallo stesso bicchiere di carta, continuando a scherzare e a sorridere come due ebeti.

“Cazzo, quegli occhi sono un’arma impropria, te ne rendi conto?”

Ti aveva detto ad un tratto, distogliendo lo sguardo, prima di mandar giù l’ultimo sorso di caffè.

Rivedi quel mezzo sorriso, un leggero imbarazzo a colorargli le guance, ripensi al calore della sua voce, daresti qualsiasi cosa per risentirla, perché lui ti parlasse ancora così, sussurrando piano, riservandoti quella tenue dolcezza.

Ti passi una mano fra i capelli, osservi i riccioli che stanno ricrescendo lentamente, ti chiedi se a lui piacciano ancora, mentre cerchi di scacciare dalla testa il ricordo di quando vi siete fronteggiati l’ultima volta, delle sue grida, delle sue parole rabbiose, della sua espressione delusa e amareggiata.

Poi sussulti e il cuore ti salta in gola, quando una forte vibrazione fa illuminare lo schermo capovolto del tuo telefono. Ti getti sul letto e lo recuperi avidamente.

 

18,50

Martin Freeman Domani mattina sono a Brighton per un’intervista.

 

Resti a fissare il telefono senza sapere bene cosa pensare, poi ti vibra nuovamente tra le mani.

 

18,51

Martin Freeman Se mi raggiungi appena finisco possiamo prenderci un caffè.

 

Sorridi e senti le ossa della faccia scricchiolare, tanto era il tempo che non lo facevi, come se ormai la tua felicità fosse arrugginita. Poi componi la risposta alla velocità della luce, trattenendo il fiato e tremando vistosamente dalla testa ai piedi.

 

Tu Dimmi solo dove e quando.

 

***

 

Hai sempre amato veder piovere al mare, le gocce che cadono lievi e silenziose sullo specchio dell’acqua, quella distesa sconfinata di azzurro che sfuma nel grigio e diviene cielo e nuvole anch'essa.

Quella mattina di settembre hai freddo, tremi e ti stringi nel giaccone blu scuro, gli occhiali da sole punteggiati di pioggia, inutili al loro scopo ma perfetti per renderti meno riconoscibile. E poi ti coprono le rughe, gli occhi affossati, le iridi spente, opache, scolorite.

Non vuoi che lui ti veda così, vorresti essere ancora il ragazzo di in tempo, vorresti essere ancora bello, saper sorridere e arrossire in quel modo che lui amava e che in fondo amavi anche tu.

Ora ti specchi nel finestrino di un’auto parcheggiata e ti vedi smunto e ingiallito come un fantasma, fradicio dalla testa ai piedi per la pioggia che cade a vento, violenta e spietata come un’entità cosciente che sembra volerti scoraggiare e ridurre peggio di quanto tu già non ti senta. Sei zuppo nonostante l’ombrello, nonostante potresti infilarti nel bar dove sai che ti sta aspettando, e prendi a fissare la pozzanghera nella quale ti ritrovi immerso fino a metà scarpa, sforzandoti di regolarizzare il respiro e di trovare il coraggio di entrare dentro quel maledetto bar.

E finalmente lo fai, un piede davanti all’altro, un passo alla volta, senza toglierti gli occhiali, lasciando l’ombrello alla porta, domandandoti nervosamente dove sia il dannato portaombrelli.

Ti guardi intorno e non vedi quasi nessuno, solamente due vecchietti occupati in una partita a carte. Martin deve aver scelto il bar meno frequentato della costa. E per un istante speri che non ci sia nemmeno lui, che arrivi in ritardo, che l’abbia dimenticato. Un istante che ha la durata di un respiro, perché immediatamente scorgi il suo profilo da Hobbit un paio di tavoli più in là, accanto al vetro lievemente appannato della vetrina, la sua sagoma perfetta e luminosa che si staglia su quello scenario grigio e agitato, su quel mare in tempesta che tuttavia non è agitato quanto te.

Non ti ha visto, sta leggendo il menù, mentre sgranocchia svogliatamente un grissino.

“Avanti, razza di idiota.”

Ti rimproveri tra i denti, muovendoti nella sua direzione, gocciolando copiosamente sul pavimento di legno.

Sono pochi metri che a te sembrano chilometri, la distanza di una vita, un cammino di speranza la cui meta potrebbe salvarti dal tuo nulla, dal vuoto della tua esistenza.

Osservi i capelli cortissimi, forse anche troppo, ormai quasi completamente bianchi, di un avorio setoso e morbido, che hai voglia di toccare, di respirare a pieni polmoni, così come il suo profumo che pare arrivarti alle narici anche ad un metro di distanza. Osservi la sua camicia verde, di una tonalità improponibile che per un momento ti fa venir voglia di prenderlo in giro e che poi ti ricorda quanto tu sia perdutamente innamorato anche del suo gusto stravagante nel vestire. E poi indugi sulle sue rughe profonde, più marcate di quanto sembrino in tv, come se anche lui avesse impressa sul viso la sua dose di sofferenza.

“Ehi.” esordisce con un sorriso appena accennato, alzando gli occhi su di te e sussultando impercettibilmente.

Il blu dei suoi occhi risalta sul tenue pallore della sua pelle e sussulti anche tu, a risentire quella voce da vicino, senza microfoni o registratori di mezzo.

Un lampo illumina il cielo e vi acceca entrambi, costringendovi a guardare in basso, mentre la pioggia prende a cadere più forte e il rombo di un tuono pare far tremare il mondo intero.

“Ehi…” gli fai eco timidamente, sentendo la voce venir meno.

Ti togli il giaccone e ti siedi di fronte a lui, nascondendo le mani sotto il tavolo, stringendole tra le cosce nel vano tentativo di scaldarle, nella speranza che lui non si accorga dei tuoi denti che battono ripetutamente.

Hai sempre amato i contrasti, ma ora quel gelo sulla pelle, contrapposto al tepore crescente che si fa strada nel tuo cuore, ti destabilizza. E per un attimo dimentichi tutto ciò che vorresti dirgli, quel discorso scarabocchiato su un fogliaccio che tieni ripiegato nella tasca dei jeans, e l’unica cosa che vorresti fare è allungarti su quel tavolo di legno, prendergli il viso tra le mani e baciarlo come facevi una volta, dirgli che ti dispiace, che lo ami, che mollerai tutto per lui, che lo griderai al mondo, quell’amore, che ora non te ne frega più niente, che nulla è importante, se non quello che provi per lui.

 

 

 

ANGOLINO DELL’AUTRICE COSTERNATA CHE RISPUNTA CON QUESTA STORIA DOPO MESI E MESI, SENZA UNA SCUSA DECENTE

Perdonatemi, lo so, è passato un secolo, ma non volevo inventare di sana pianta delle vicende, senza avere come base dei gossip reali, così eccomi ricomparire dopo mesi, con un terzo capitolo a cui seguirà prestissimo anche il quarto, perché ce l’ho già in testa e non ci metterò molto a buttarlo giù. Prima erano le idee a mancare, ora finalmente il materiale c’è, quindi beccatevi questo ritorno di Martin, che finalmente appare in carne ed ossa.

Se vi va lasciatemi qualche parola mi farebbe davvero piacere e ve ne sarei infinitamente grata.

Bacioni

MissAdler 

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Capitolo 4
*** Coffee and kiss ***


Amore, amore mio

Tu non ricordi, ma eravamo noi

Noi due abbracciati, fermi nella pioggia

Mentre tutti correvano al riparo

E il nostro amore è polvere da sparo

E il tuono è solo un battito di cuore

E il lampo illumina senza rumore

E la mia pelle è carta bianca per il tuo racconto

Ma scrivi tu la fine

Io sono pronto


Negramaro ft Jovanotti

 

 

Non ti sembra vero, è lì, di fronte a te, eppure potrebbe benissimo trattarsi di un miraggio, di un sogno, di un’allucinazione crudele e meravigliosa, che tu stesso hai bisogno di credere reale.

La pioggia si infrange sui vetri del locale e i mille percorsi tracciati dalle gocce d’acqua creano disegni astratti sulle superfici trasparenti, impedendovi di vedere chiaramente la promenade semideserta, la ringhiera verdastra che dà sulla spiaggia, il mare che si agita squarciato dai fulmini, mostrando solo una vaga nebbia grigia, illuminata di tanto in tanto dai lampi e dai fari di qualche macchina che sfreccia sull’asfalto bagnato.

“Cosa prendi?”

Bastano due parole banali a farti sussultare il cuore, a spaccarti l’anima come se ormai fosse solo un ammasso di terra arida pronto a sgretolarsi.

Lui è lì e ti sta parlando, con la sua solita voce nasale e uno sguardo che per un attimo ti fa dubitare di poter rispondere qualcosa di sensato.

“Solo un caffè” riesci a dire, e pensi che abbia del ridicolo, il fatto che quelle poche parole inutili siano le prime che vi scambiate dopo tanto tempo.

Lo vedi fare un cenno alla cameriera e ordinarne due, per poi riportare quegli occhi indagatori su di te.

“Quelli” indica brevemente i tuoi occhiali bagnati di pioggia, “immagino siano per questo sole accecante, giusto?”

Accidenti a lui, non ha perso la sua meravigliosa ironia e per un attimo vorresti scoppiare a ridere e inventare una risposta altrettanto scema per far ridere anche lui.

Invece ti limiti ad estrarre una mano dalla stretta morsa delle tue cosce e ad abbassarti lentamente gli occhiali scuri, appoggiandoli sul tavolo e distogliendo subito lo sguardo.

“Dio santo, Ben…”

La sua voce è come una coltellata in pieno stomaco, perché sai che cosa sta guardando, sai cosa vede, e sai quanto tutto questo lo sconvolga.

Sconvolge anche te, ogni giorno, quando sei costretto a guardarti in qualunque superficie rifletta la tua immagine, ricordandoti ciò che sei stato e che non sei più. Sei tu, eppure non sei tu, quell’uomo che fissi negli occhi attraverso lo specchio e che ti restituisce lo sguardo con disgusto, quell'uomo che ora anche lui può guardare in faccia.

“Non hai un bell'aspetto… stai bene?”

Sembra preoccupato, intreccia le dita sotto il mento e ti fissa in un modo che avevi completamente dimenticato, con quegli occhi che hanno il potere di farti sentire spogliato di ogni cosa, nudo, scoperto, trasparente.

“No, io… sto bene, sono stato a dieta per lavoro… sai…” riporti le mani tra le cosce, le contorci fino a farle scrocchiare, ti graffi con le cuciture dei jeans e pensi che non dovresti mentirgli, non più, non adesso che potrebbe essere la tua ultima chance per dirgli ogni cosa.

“Martin…” esordisci raddrizzandoti sulla sedia, ma proprio in quel momento torna la cameriera con due tazzine di caffè bollente. Ve le appoggia sul tavolo e se ne va senza lasciarvi il tempo di ringraziarla.

Forse nemmeno l’avresti fatto, tanto sei confuso ed agitato. Prendi nota di lasciarle una bella mancia e per un istante ti senti a posto con la coscienza.

“Come stanno Sophie e i bambini?”

“Oh…” avresti dovuto aspettartelo, eppure sussulti come se ti fossi appena ricordato di loro, come se avessi momentaneamente rimosso di avere una famiglia che ti sta aspettando a casa. “Bene. Benissimo in effetti… loro... sì, stanno bene. Joe e Grace?” gli domandi di getto, genuinamente curioso.

“Mh…” ti scruta perplesso, tirando su col naso e inarcando un sopracciglio, “stanno benone anche loro, sì… grazie.”

Lo guardi anche tu, dritto negli occhi, forse per la prima volta da quando sei entrato in quel dannato bar. E decidi che non ha senso parlare del più e del meno, non ora, non con lui.

“In realtà… sono io che non sto bene.”

Lo dici senza respirare stringendo più forte le ginocchia nodose sulle tue mani giunte.

Lui non dice niente, ti guarda in silenzio e aspetta che tu dica qualcos’altro.

“Ho fatto un casino, Martin… un gigantesco, irrimediabile casino.” Sospiri, provi ad incamerare aria ma è come se i tuoi polmoni fossero chiusi e la tua gola si restringesse ad ogni secondo e, per un attimo che dura fin troppo a lungo, temi di soffocare. “Ti prego, non guardarmi così.”

“Così come, Benedict?”

Si svolta verso il bancone e sbuffa a disagio.

“Come se ti facessi pena. Lo so che ho una faccia di merda, che non ho alcun diritto di piombare qui e che probabilmente mi odii, ma-”

“Io non ti odio, Ben, anche se a volte ti comporti come un vero stronzo.”

Stai per rispondergli ma ti mordi la lingua e deglutisci a fatica quel boccone amaro. Sai che ha ragione, l’hai sempre saputo eppure hai lasciato che l’orgoglio ti impedisse di ammetterlo e di chiedergli scusa. Ora puoi farlo, eppure continui ad aspettare, ti agiti sulla sedia, sfreghi le mani tra le cosce, incastri la testa nelle spalle e guardi insistentemente in basso.

“E non sono più arrabbiato con te, se è questo che ti tormenta” lo senti sorridere, il tono della sua voce si addolcisce e ti dà la forza di tornare a guardarlo negli occhi, “sono passati anni, abbiamo fatto scelte diverse… alcune le hai fatte da solo ma, ehi, la vita è andata avanti lo stesso, no?”

Solo ora ti accorgi di quanta amarezza si celi in quel sorriso, e ti fa male, ti stringe la gola, ti ci ficca un groppo che non puoi mandar giù e che ti provoca un singhiozzo impossibile da trattenere.

“Sono proprio quelle, le scelte di cui parlavo” riesci a dire, “e non voglio credere che sia troppo tardi…”

Finalmente Martin si decide a bere quel caffè, lo fa in un sorso solo, leccandosi lentamente le labbra mentre sistema di nuovo la tazzina di fronte a sé, sul piattino sbeccato.

Tu invece non ce la fai, senti che potresti dare di stomaco anche solo per l’odore.

“Hai problemi con Sophie, Ben? Vuole lasciarti, è questo?”

“Cos- no! Non è Sophie, lei non ha nessuna colpa… non quante ne ho io, almeno…” senti il telefono vibrarti nella tasca dei pantaloni ma lo ignori. Sai che è lei, che probabilmente si starà chiedendo dove sei, ma ora proprio non ce la fai a gestire anche questo e aspetti semplicemente che smetta, portando gli occhi fuori dal vetro della finestra, concentrandoti sulla pioggia che continua a battere incessante sull’asfalto. Intravedi la tua macchina parcheggiata poco più giù, pensi distrattamente ad una scusa da balbettare al tuo ritorno, soppesi l’ipotesi di non tornare affatto e per un attimo quel peso smette di gravarti sul cuore, la gola si dilata a far entrare aria e finalmente ti sembra di poter respirare di nuovo a pieni polmoni.

Sollievo che dura ben poco, perché Martin riprende subito a parlarti con la solita nota di tristezza nella voce.

“Dobbiamo smetterla, Benedict. Hai una moglie e due figli, accidenti. Due, tre, non ho idea di quante volte tu ti sia riprodotto, in effetti. Con te non si capisce mai niente. Comunque, hai una famiglia e te la sei scelta per cavoli tuoi, l’hai creata tu, hai piantato i semi tra le nostre stesse macerie, ricordi?” si sta sporgendo verso di te, puntandoti l’indice e aggrottando le sopracciglia su due occhi che ora potrebbero benissimo incenerirti, “e lo sai, sei stato tu a mandare tutto a puttane.”

Conclude tirando ancora su col naso e risistemandosi sullo schienale con aria risoluta.

Eccolo il tuo Martin, l’insolente che ti sbatte in faccia la verità come uno schiaffo dato di rovescio. E ti fa vibrare le guance bollenti, mentre non riesci a trattenere una lacrima. Te la senti scendere lentamente sullo zigomo, affilato e sporgente come quello di un teschio.

“Ben, per l’amor di dio” ricomincia con un tono diverso, più basso e conciliante, “non ce l’ho con te, davvero, quel che è fatto è fatto, se è l’assoluzione che cerchi, ti garantisco che ce l’hai, totale e sincera. Non voglio ferirti… solo che… fa troppo male… riportare a galla certe cose... siamo riusciti solamente ad allontanarci di più ad ogni tentativo di riconciliarci, l’ultima volta sono bastati pochi messaggi. Ed io non ce la faccio più, Ben, non sei il solo ad avere una famiglia, ho dei figli anch’io e poi…” distoglie lo sguardo e lo fa vagare oltre il vetro, oltre la ringhiera verde, lungo il pontile e ancora più lontano, sul mare in tempesta che pare verde anch’esso, “mi vedo con una persona.”

 

Non è come uno schiaffo, no, nemmeno come una coltellata.

Ti sembra che si sia sporto su di te e ti abbia infilato una mano nel petto, strappandoti via il cuore, stringendolo talmente forte da farlo esplodere tra le sue dita.

Non sai cosa dire, è tutto sbagliato, non doveva andare così, maledizione! Non sei neanche riuscito a dirgli che lo ami ancora, che ti dispiace, che vuoi solo lui, che l’hai sempre voluto, nonostante tu non abbia avuto le palle per ammetterlo, per sceglierlo, per infischiartene di tutto il resto.

“Chi è?” domandi senza fiato, con un filo di voce.

Lo osservi mentre si massaggia una tempia e giunge le mani davanti alla bocca, muovendo le dita nervosamente.

“Lui… si chiama Tom...”

“Lui?”

No, non ce la fai. Non un altro uomo. Non uno che non sia tu…

Te l’ha spappolato, il cuore, ed ora ne sta gettando via i resti senza pietà, come se nemmeno sapesse che quel muscolo ormai a brandelli palpitava solo per lui.

Il tuo telefono ricomincia a vibrare ma lo ignori ostinatamente.

Forse non lo sa perché non glielo hai mai detto.

E non lo fai nemmeno ora, sai che non servirebbe, che una scena patetica è l’ultima cosa di cui avete bisogno, anzi, ora devi uscire di lì, subito, non resisti più, è come se le pareti ti si restringessero addosso e il soffitto potesse crollarti sulla testa da un momento all’altro.

Non c’è aria, non c’è luce.

Soffochi.

“Io… scusa, non avrei dovuto chiederti di vederci, non so cosa mi sia preso… devo andare…”

“Ben, aspetta…”

Ma tu sei già in piedi, ad infilarti il giaccone senza nemmeno allacciarlo, a lasciare una banconota da cinquanta sterline sul bancone evitando di guardare in faccia la cameriera, probabilmente sconvolta.

Preghi che non ti abbia riconosciuto.

Esci di corsa, senza voltarti, ricordandoti dell’ombrello solo quando giungi in mezzo alla strada, scoppiando in lacrime sotto la pioggia, dando finalmente sfogo a quel dolore insostenibile, raggiungendo la macchina a testa bassa, le gocce di pioggia a pungerti il viso e ad inzupparti i capelli e i vestiti.

E quel dannato telefono che non smette di vibrare.

“Ehi!”

Ti volti e vedi Martin che corre verso di te, senza ombrello, completamente zuppo anche lui.

Hai sempre trovato buffo il suo modo di correre, tra voi due era lui quello goffo, tanto tempo fa. Ora invece pensi che sia perfetto, in totale armonia con se stesso, col mondo, con ogni cosa. Mentre tu sei solo un uomo ridicolo, che inciampa ad ogni passo e che a malapena si regge in piedi.

“Ehi, aspetta un secondo” ti raggiunge col fiatone, passandosi una mano tra i capelli grondanti e annaspando vistosamente “cosa volevi che facessi, Ben? Cosa ti aspettavi? Io… non ti capisco, per dio! Perché sei venuto?”

Si passa una mano sul viso e il suo sguardo è sofferente, come se stesse per piangere da un momento all’altro. Forse lo sta già facendo ma non ne sei sicuro, perché la pioggia scorre sul suo viso come lacrime ghiacciate.

La strada è deserta, Brighton sembra uno scenario apocalittico. Pioggia torrenziale, fulmini che squarciano il cielo carico di nubi, onde alte due metri che si infrangono sulla riva scurissima, l’alta marea divora quasi tutta la spiaggia con lingue di spuma giallastra.

Il rombo assordante di un tuono sembra far tremare la terra sotto di voi e ti fa balenare un nuovo terrore nella testa: temi che non lo rivedrai più, che stavolta tu l’abbia perduto definitivamente, che non avrai altre occasioni per ammirare dal vivo l’oceano nei suoi occhi.

E senza pensare lo fai, prendi il suo viso tra le mani e ti chini a baciarlo, scivolando sulle sue labbra fredde e bagnate, sentendo che, se questo momento è tutto ciò che ti viene concesso, allora non t’importa di nient’altro, di Sophie, di quel Tom, della gente che potrebbe vedervi ma che sembra misteriosamente scomparsa dalla faccia della terra.

Ci siete solo voi due, la tempesta, quel bacio.

Un bacio che adesso non è più solo tuo, perché Martin schiude le labbra e ti lascia entrare, e ti bacia a sua volta prendendoti i gomiti e stringendoli forte, avvicinandosi a te e dandoti improvvisamente un equilibro che credevi perduto. È come se il tuo baricentro si riallineasse, come se tutto il tuo disordine tornasse a posto.

È lui. Siete voi. È quello che vuoi.

 

 

 

 

ANGOLINO DELL’AUTRICE

Eccomiiii ^_^

Sono stata abbastanza veloce? Spero di sì, considerando il tempo che mi porta via l’altra long. Ho deciso di concludere qui questa storia, spero che vi sia piaciuta, io mi sono divertita moltissimo a scriverla, nonostante l'angst potente.

Prendetela per quello che è, una mia personale interpretazione, completamente fantasiosa.

Se vi va di lasciarmi qualche parola, ne sarei davvero felice.

Bacioni

 

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