Hooked on a feeling

di MeliaMalia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I like to see you But then again That doesn't mean you mean that much to me ***
Capitolo 2: *** Ooh-oo child Things are gonna get easier Ooh-oo child Things'll get brighter ***
Capitolo 3: *** My love is alive Way down in my heart Although we are miles apart If you ever need a helping hand I'll be there on the double Just as fast as I can ***
Capitolo 4: *** But now I've changed And it feels so strange I come alive when she does All those things to me ***



Capitolo 1
*** I like to see you But then again That doesn't mean you mean that much to me ***



CAPITOLO PRIMO








“I like to see you
But then again
That doesn't mean you mean that much to me”
10cc – I’m not in love









La battaglia con Thanos infuria. Non c’è un attimo da perdere. Ciò che li separa – che la separa – da una morte orribile è la flebile speranza di riuscire a sconfiggere il titano pazzo e l’immenso esercito da lui raccolto negli anni.
Eppure Gamora esita un istante.
Per fortuna quello della battaglia è un ambiente che le è familiare, nel quale può muoversi lasciando l’istinto a guida delle proprie azioni.
La mente, quella è troppo distratta.
È stata trascinata nel futuro dalla scelta di suo padre. Non un futuro troppo remoto, sia chiaro, giusto nove anni dopo il loro presente. Un lasso di tempo ridicolo. Non ci sono invenzioni fantascienfiche, nuove razze scoperte o enormi cambiamenti nella società – fatta eccezione per suo padre che ha sterminato metà del creato, ma quella era una cosa già in agenda da tempo, no?
Però Gamora si sente ugualmente disallineata da se stessa. Per lei i cambiamenti sono tanti. Sono troppi.
Ha trovato una sorella. Nonostante la stesse cercando nello sguardo di Nebula da anni, ritrovarsene all’improvviso una al proprio fianco l’ha destabilizzata.
Non ha idea del perché. È stato come vedere una stella apparire all’improvviso, dal nulla. Piacevole, ma inaspettato. Una bella novità, ma, dannazione, solo un secondo prima lì c’era solo dello spazio vuoto, okay?
Hanno parlato. Hanno tradito Thanos.
Non che non fosse pronta a farlo. Aveva preso questa decisione dentro di sé da tempo, ormai. Ma doveva trovare il coraggio di compiere il primo passo. Invece le cose sono precipitate così in fretta da spintonarla nella giusta direzione senza lasciarle il tempo di realizzare appieno la cosa.
Così ha lasciato il comando al suo istinto, la sua parte guerriera, quel lato del suo carattere affinato con le urla e con il sangue dal patrigno. E tutto stava andando più o meno bene, quando ha visto quell’umano in pericolo. Ha sparato, per salvarlo.
Lui ha disattivato la maschera protettiva e l’ha fissata. E lei ha esitato.
Qualcosa nel suo sguardo l’ha fermata.
Una volta, anni e anni prima, quando sia lei che la sorella non raggiungevano in altezza i fianchi di Thanos, lui, di ritorno da una delle sue missioni di riequilibriatura, aveva portato loro un dono assai particolare. Non la solita arma esotica, ancora sporca del sangue di qualche nemico, non uno strumento di dolore e sofferenza per temprare il loro carattere ma... due Erdel.
Due cuccioli d’Erdel.
Pelosi, soffici come nuvole, tutti azzurri e bianchi. Erano tanto belli e da sembrare il miracolo d’un Dio particolarmente di buon umore. Sette zampette dotate di cuscinetti morbidosi, un corpo tozzo e tre code voluminose, al momento tenute basse, segno del terrore che i piccoli provavano.
E gli occhi. Ne avevano due paia per uno e li usavano per lanciare ai presenti sguardi capaci di sciogliere un iceberg. Coccolami, sembrava di leggere in quelle iridi azzurre come l’acqua sorgiva, coccolami, ho bisogno di qualcuno che lo faccia.
Erano così fuori luogo, in quell’inferno di lamiere e roccia dove il titano pazzo aveva stabilito di vivere.
Thanos aveva dato alle sue figlie il compito di prendersi cura dei nuovi arrivati. Nebula non aveva saputo nascondere un piccolo sorriso entusiasta all’idea. Era così diversa, all’epoca. Nessuna parte del corpo sostituita e ancora l’innocenza di credere che il destino avesse in serbo qualcosa di bello per lei.
Gamora non c’era cascata. Con ben due anni di vantaggio sulla sorella, aveva già capito per quali sentieri viaggiassero i pensieri del padre. Quando qualcosa proveniva da lui, più sembrava gradevole più si sarebbe rivelata orribile.
Probabilmente quei due cosi celavano qualcosa di orrendo. Magari divoravano gli ignari nel sonno. Certamente erano pericolosi, in quale modo. In qualche soffice modo, ecco.
Tuttavia, avendo ricevuto un ordine diretto, se ne era presa cura. Per cinquanta lunghi giorni.
Quegli occhi.
Quegli occhi maledetti. In quel periodo furono sempre la prima cosa che vide al risveglio. Quattro pupille nere come la notte che la fissavano, innamorate. Bisognose. Con il passare del tempo, affettuose.
Per cinquanta giorni durante le sue attività quotidiane aveva sentito accanto a sé il fruscio dell’animale in movimento, perennemente accanto ai suoi piedi. Fedele e adorante.
Se la giovane veniva ferita durante l’addestramento, l’essere emetteva un verso acuto, addolorato, colmo di preoccupazione. Se lo lasciava solo per andare in luoghi dove esso non era ammesso, al suo ritorno l’attendeva una manifestazione di gioia tale da far sembrare che fosse appena arrivata una divinità. Per non parlare delle feste che le imbastiva al momento dei pasti. E non smetteva mai, mai di fissarla con quegli occhi colmi di gratitudine.
E infine aveva ceduto. Perché era solo una bambina e resistere a quello sguardo era stata un’impresa più grande di lei. Aveva ceduto e si era affezionata.
Dopo cinquanta giorni, Thanos aveva ordinato loro di ucciderli. Per temprare il loro carattere, sostenne.
Nebula, punita ferocemente solo il giorno prima per un errore compiuto durante l’addestramento, aveva eseguito l’ordine senza esitare. Una delle poche volte in cui risultò più veloce di lei.
Gamora aveva fissato quegli occhi pieni d’affetto e fiducia un’ultima volta; poi, afferrata l’elsa del pugnale che teneva appeso al fianco, si era mossa rapidamente, accontentando il padre.
Aveva pianto dopo, in solitudine, nascosta nella propria cuccetta. Giurando a se stessa di non cedere mai più davanti a uno sguardo così. Perché era solo una breccia per il dolore.
Guardò l’umano davanti a lei. Aveva occhi tali e quali a quelli dell’Erdel che era morto – che aveva ammazzato – anni prima. Non nell’aspetto e nemmeno nel colore, ma per messaggi che sembravano inviarle. Sorpresa. Felicità. Affetto. Disperato bisogno.
Gamora dimenticò le urla, il sangue e la battaglia che infuriava attorno a loro, incuriosita dallo sguardo che lui le stava rivolgendo.
Nebula aveva provveduto a raccontarle tutto, mentre la convinceva a tradire il padre. A quanto pareva, la Gamora del futuro aveva trovato una famiglia vera. E si era innamorata. Ascoltando le parole della sorella, si era domandata che aspetto potesse avere un essere umano capace di farle dimenticare ogni promessa fatta a se stessa.
Per quale creatura nobile, possente e meravigliosa lei aveva ceduto a un sentimento così forte?
Gli permise di avvicinarlo, per osservarlo meglio. A prima vista pareva un perfetto idiota. Aspetto da belloccio e un set d’armi noiosamente prevedibile. La sovrastava in altezza di poco ma non avrebbe avuto problemi a stenderlo in un corpo a corpo. Vestiva con un completo ravager e non sembrava possedere alcuna caratteristica speciale.
Le arrivò viso a viso e il suo sguardo parve raccontarle una storia. La loro. O meglio, la storia che aveva unito lui e la Gamora di quel tempo.
Il terrestre alzò un braccio e le sfiorò il viso con una mano. Fu un contatto non del tutto spiacevole, ma troppo invasivo, troppo intimo. Gamora s’irrigidì, infastidita.
“Credevo di averti persa” fu il bisbiglio che lui pronunciò, sognante. Sembrava così innamorato. Così felice di rivederla.
E la sua carezza non era così spiacevole come doveva essere.
Afferrò una mano e torse quella dell’uomo, senza pietà. Lo sentì urlare e lasciò la presa prima di rompergliela. Alzò il ginocchio e lo colpì due volte, laddove sapeva di fargli più male.
Lo fissò mentre crollava a terra, retrocedendo di un passo. Quegli occhi da Elder avevano forse messo nel sacco una versione di se stessa, ma non lei. Sentì Nebula raggiungerla in quel momento e l’apostrofò seccamente:
“È questo qui? Davvero?”
“L’alternativa era tra lui e un albero.” Fu la pratica risposta della sorella.
Lo abbandonarono e tornarono alla battaglia. Gamora giurò a se stessa che, se ne fosse uscita viva, la sua prima azione sarebbe stata quella di mettere quanti più pianeti possibili tra lei e quel tizio.







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Capitolo 2
*** Ooh-oo child Things are gonna get easier Ooh-oo child Things'll get brighter ***










CAPITOLO SECONDO







Ooh-oo child
Things are gonna get easier
Ooh-oo child
Things'll get brighter

The Five Staristeps – O-o-h Child



Avere appena lasciato il Dio di constocazzodimartellohairottoicoglioni su un pianeta era la cosa migliore che gli fosse successa da due mesi a questa parte.
A parte il fatto di essere stato magicamente riportato in vita, certo.
Non che fosse morto. O meglio, lui non si era sentito affatto morto. Non c’era stato un tunnel con la luce in fondo, né un tizio con il forcone pronto a punzecchiarlo. E, soprattutto, non aveva visto sua madre. Né Yondu. Per cui non si considerava tanto un redivivo, quanto un tizio che per circa cinque anni era stato messo in stand-by dallo stronzo che gli aveva ucciso la fidanzata per poi essere richiamato a giocare come se niente fosse.
Sedeva nella cabina di comando e verificava i dati ricevuti, con attenzione minuziosa. L’addestramento come ravager prevedeva diversi corsi di studio nelle arti più disparate, dalle armi all’introdursi furtivamente nei posti più impensabili, dal conoscere a menadito i peggiori locali della galassia al sapere hackerare le comunicazioni altrui, alla ricerca di qualcosa.
O meglio, di qualcuno.
Non che avesse speranza di trovarla davvero. La probabilità era inferiore al miliardo, e loro avevano già vinto una guerra azzeccando una possibilità di quattordici milioni e passa quindi, ehi, non si può pretendere di vincere alla lotteria per due volte di fila. Però quelli erano gli unici strumenti che aveva e doveva tentare.
Sentì dei passi alle sue spalle che riconobbe facilmente. Zampine con unghiette bastarde e affilate. Fu lesto a cambiare la schermata davanti a sé, fingendo interesse per una mappatura stellare.
Rocket entrò nella cabina annoiato, tenendo tra le zampe il giochino con cui Groot passava la maggior parte del suo tempo.
“Ci credi che lo ha rotto?” sbottò, rabbioso. “E ci credi che non riesco ad aggiustarlo?”
“Meglio, no?” replicò Peter, facendo spallucce. “Non volevamo costringerlo a giocare di meno?”
“A-ah.” Annuì l’animale, con quel tono che assumeva quando non gliene importava un bel niente della risposta ricevuta. Recuperò una scatola degli attrezzi nascosta sotto uno scaffale e cercò quello che gli occorreva.
“Allora perché glielo stai aggiustando?” insistette l’umano.
“Mah, così, sai com’è... si annoia, senza!” Rocket trovò quello che stava cercando e prese a trafficare sul giochino elettronico, canticchiando piano tra sé e sé.
Peter sorrise tristemente.
Averli persi tutti lo aveva cambiato. Non era ancora in grado di stabilire se in bene o in male. Era sempre uno stronzo dalla parlantina acida e dal pelo puzzolente. Ma a guardarlo con attenzione si potevano vedere i cambiamenti.
Primo tra tutti quello verso Groot. Gli concedeva qualsiasi cosa volesse. Ora che lo aveva di nuovo con sé, sembrava divenuto incapace di sgridarlo o privarlo di qualsiasi cosa. Ecco perché si stava prodigando per rimettere in funzione quel maledetto giochino.
“Un peccato che Thor abbia deciso di fare sosta su quel pianeta, eh?” borbottò il procione, distraendolo dai suoi pensieri. “Perché mai l’ha fatto, poi?”
“Ha rinvenuto un insediamento di superstiti asgardiani.” Fece spallucce Peter. “In quanto re, presumo avesse l’obbligo di...”
“Ma non è il re! Ha abortito!”
“Cos...?”
“... Ha abiurato? Com’è che si dice?”
“Abdicato.” Sospirò Peter. “E non piagnucolare per lui. Abbiamo promesso di tornare a prenderlo tra qualche giorno.”
“Non stavo piagnucolando! Dico solo che è un peccato”
“E perché mai l’assenza di quel panzone sarebbe un peccato? A me dispiacerà aprire la dispensa e sapere che ci troverò qualcosa.”
Rocket fece spallucce. “A Groot piace. Dice che si annoia, senza di lui.”
“Bah!”
“Ah! Funziona.” Tutto soddisfatto, Rocket zampettò fuori dalla cabina con il gioco elettronico in mano.
Peter tornò alla schermata precedente, sospirando di sollievo per essere stato lasciato solo.
“La stai cercando?”
“COSA?” urlò per lo spavento, voltandosi di scatto e cercando in tutti i modi di cambiare lo schermo olografico di fronte a lui.
Nebula – perché di lei si trattava – di fronte a quell’atteggiamento avrebbe volentieri inarcato un sopracciglio con fare perplesso. Ma non gliene era rimasto neppure uno. Si appoggiò alla parete della cabina a braccia conserte e fissò curiosa Peter ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
“Insomma!” urlò il capitano della Milano, gesticolando agitato. “Non si può avere un po’ di privacy, in questa cabina? DIO! E se volessi guardare dei porno?”
“Vuoi guardare dei porno?”
“No! Se volessi, ho detto!”
Drax arrivò in quel momento, col suo solito passo pesante e l’aria annoiata. Al suo fianco, Mantis rosicchiava uno snack con fare beato.
“Che succede?” volle sapere egli, captando le ultime parole della loro discussione.
“Quill vuole guardare dei porno.”
“NO! Non è ASSOLUTAMENTE questo quello che sta succedendo!”
“Cos’è un porno?” volle sapere Mantis, innocente.
“Non rispondere.” La blandì Peter.
“Il video di un accoppiamento.” Spiegò Nebula, rapida.
“Ah. Come in quel documentario sui Flerken?”
“Ti avevo detto di non rispondere!”
“No” seguitò a illustrare l’aliena dalla pelle blu, monocorde. “Visto a scopo di eccitamento.”
“E chi mai si ecciterebbe guardando dei Flerken?”
Drax doveva aver capito qualcosa di più del discorso, perché aggrottò la fronte. “Nel mio pianeta natale celebravamo il sesso ammirando le coppie più appassionate, che si accoppiavano davanti a tutti tre volte l’anno.”
“Amico, che schifo!” sbottò il capitano. “Stavo studiando la mappa per decidere dove andare, okay? Niente porno!”
Drax fece quella faccia che significava quanto poco credesse al suo interlocutore, ma fece spallucce e andò via. Mantis sorrise a Peter con fare incoraggiante.
“Non ti preoccupare, se ora ti eccitano i Flerken” lo consolò, dolcemente. “Forse è normale, visto quanto ti manca Gamora.”
“Non mi manca Gamora!” abbaiò l’umano, mentre lei gli dava le spalle e zampettava via con quel suo modo di fare sereno e pacifico.
Nebula rimase lì, la schiena contro la parete di metallo e le gambe incrociate. Lo sguardo basso, fisso al pavimento.
“Non riesci a darti pace.” mormorò, forse con una traccia di quella che sembrava empatia. Fu strano come vedere una bicicletta candidata eletta a governatore di un pianeta. Anche lei era cambiata in quei cinque anni, e non poco.
L’aliena si staccò dal muro e lo raggiunse, sededendo di fronte a lui. Prese un piccolo fermacarte in metallo che nessuno usava mai e mise le mani sul tavolo, formando un rettangolo con le dita.
Riuscì a strappargli un sorriso. Qualcuno le aveva insegnato quel gioco tipicamente umano, e sembrava andarci pazza. Prese il fermacarte in metallo, lo posizionò e cercò di fare punto. Mancò miseramente l’obiettivo.
Adesso era il suo turno. Mise le mani nella posizione corretta e attese.
“Tu sei in contatto con lei?” domandò, in un mormorio che quasi ella non riuscì a udire.
“No” rispose, tirando a sua volta. Fece punto. Sorrise.
I ruoli s’invertirono nuovamente.
“Non riesco a credere che, dopo la battaglia, sia scappata via senza lasciarti un modo per rintracciarla.” Peter provò di nuovo e fallì miseramente per la seconda volta.
“Eppure è quello che ha fatto.” Nebula vinse un altro punto e lo fissò. “Lo sai che quella non è la tua Gamora?”
“Lo so.” Peter prese il fermacarte e si preparò a tirare. Un terzo errore.
“La Gamora che ti amava è morta.”
“Lo so!” ripeté egli, preparandosi al turno di lei. “La mia ragazza è morta e io vorrei sostituirla con la sua copia venuta dal passato. Come se mi fosse morto il cane e io ne prendessi un altro della stessa razza. Lo so che è strano, okay?”
Nebula fece punto. “Cos’è un cane?”
“Tipo Rocket, ma puzza meno.”
“Non è difficile puzzare di meno.”
Peter tentò di preparare il proprio tiro. Ma si bloccò, fissando l’oggetto che stavano utilizzando a scopo ludico come se questo potesse dirgli qualcosa del suo futuro.
“Lo so che è strano” ripeté, a mezza voce. “Ma non riesco a smettere di pensare che lei... lei è morta, senza che io potessi fare niente. Continuo a chiedermi cos’ha... pensato, la paura che ha provato. Continuo a domandarmi... se l’avessi potuta proteggere...”
Nebula mantenne le dita in posizione e alzò gli occhi, guardando l’uomo di fronte a lei. “Non avresti potuto.”
“Volevo essere al suo fianco, morire con lei. Abbiamo sbagliato tutto, o meglio... io ho sbagliato tutto. Questa... Gamora... è la mia seconda possibilità. Quanti altri, nell’universo, hanno diritto a una seconda opportunità?”
“Ma lei non vuole essere la tua seconda possibilità.”
Peter tirò. Quarto errore di fila. Sospirò e le sue labbra si piegarono in un sorriso colmo di tristezza. “Pare che abbia vinto tu.” Le porse una mano per la consueta stretta di fine partita, pratica che il signor Stark le aveva insegnato e alla quale Nebula sembrava tenere più che al gioco stesso. “Divertita?”
Lei gli strinse le dita. “Divertita.” Ammise, per poi torcergli il polso e strappargli un verso di dolore.
“SEI MATTA?”
“Mi hai fatto vincere per rabbonirmi e convincermi a darti le coordinate di mia sorella.”
“Cosa? Non è vero!” lei torse ancora più forte e l’umano urlò una seconda volta. “Okay, okay, è vero! Smettila!”
“Non si imbroglia” soffiò Nebula, lasciandolo andare e alzandosi. “La sportività è importante.”
Peter si prese il polso con una mano, mugolando per la sofferenza. La guardò allontanarsi e fece una smorfia.
“La rivoglio con me” mormorò, con una determinazione che raramente gli aveva sentito nella voce. “Sono disposto a passare il resto della mia vita cercandola.”
L’aliena si fermò sulla soglia della cabina, voltandosi e osservandolo di sbieco, con non poco disprezzo nello sguardo. “Forse dovresti smettere di ripetere quello che vuoi tu” lo apostrofò, secca.








Eccoci qua! Non ho idea se stia parlando a qualcuno o se questa sezione sia morta e deserta e udirò soltanto l'eco delle mie parole. Ma che importa!
Come avrete intuito, questa fan fiction racconterà di un dopo Endgame.
Ogni capitolo ovviamente verrà introdotto da parole della colonna sonora dei Guardiani, colonna portante delle loro versioni cinematografiche.
Sì, di Thor mi sono liberata. Vorrei dire che l'ho fatto soltanto perché non mi piace coi Guardiani, ma il motivo è anche un altro, ovvero: preferisco concentrarmi sugli altri personaggi.
E poi lui sarebbe stato un po' troppo potente per le cattiverie che ho in mente per loro.

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Capitolo 3
*** My love is alive Way down in my heart Although we are miles apart If you ever need a helping hand I'll be there on the double Just as fast as I can ***


CAPITOLO TERZO














My love is alive
Way down in my heart
Although we are miles apart
If you ever need a helping hand
I'll be there on the double
Just as fast as I can
Ain’t no mountain high enough – Marvin Gaye








Aveva immaginato di rivederla ancora ormai almeno un centinaio di volte. Fantasie che si era concesso ascoltando la sua amata musica a tutto volume. Alcune dal sapore romantico, dove Gamora accettava d’essere la sua compagna per vita dopo giusto un paio di parole al miele sussurrate sulla sua pelle alla luce d’un tramonto; altre dal tono epico, dove lui la ritrovava appena in tempo per salvarla da un malefico, sadico nemico pesantemente armato e lo combatteva a petto nudo con la ferocia d’un vichingo, per poi afferrarla e baciarla di slancio.
Qualche volta aveva sognato il tutto a tema musical. Con delle coreografie davvero niente male, per essere onesti.
Ma mai, in nessuna delle sue fantasie, aveva immaginato una cosa del genere.
Gamora stava tentando di mettersi in comunicazione con lui.
Peter Quill si trovava sul ponte di comando della Milano e fissava come un ebete lo schermo principale, laddove il volto della persona che più desiderava incontrare in tutta la galassia svettava come schermata di anteprima per una chiamata in arrivo.
“Guarda un po’...” esalò, rivoltò all’unico altro membro della squadra presente. Ovvero, Rocket.
Il procione alzò gli occhietti scuri, vide la novità e arricciò il naso dal pelo castano. “Guarda un po’, davvero.” commentò, pensieroso. “Chi non muore si rivede. E anche chi muore, in questo caso.”
In una situazione normale, Peter avrebbe espresso la sua disapprovazione per una battuta di così cattivo gusto. Ma i sentimenti che stava provando erano così intensi da riuscire a provocargli un sinistro ronzio nel cervello.
“Dio. Che faccio?”
“E che vuoi fare? Rispondi.”
“Giusto!”
“Dì un paio di cose maschie e tormentate, falla tornare da te così la smettiamo di ascoltare solo canzoni deprimenti.”
“Zitto. Adesso rispondo.”
“Non farlo con quell’espressione. Sembri patetico e disperato.”
“Non è che lo sembro. Lo sono.”
“Sarà un disastro.”
Con dita tremanti, egli accettò la comunicazione.
Il volto di Gamora apparve nello schermo. Aveva un bel bernoccolo sulla fronte e la sua espressione non indicava l’intenzione di voler condurre una conversazione civile.
“Che...?” iniziò l’uomo, colmo di preoccupazione.
“COSA ACCIDENTI AVETE COMBINATO SU RODDEL?” gli urlò addosso lei, così forte che la sua voce risuonò in tutto il ponte di comando, rimbalzando sulle pareti in metallo.
Peter abbassò gli occhi e si scambiò un’occhiata con Rocket. Quest’ultimo fece spallucce.
“Roddel...?”
Gamora alzò i polsi, mostrandoli al suo interlocutore. A quanto pare l’avevano ammanettata. Eppure le era stata concessa quella chiamata, il che voleva dire soltanto due cose: o l’aveva presa in custodia il rappresentante di una qualche forza dell’ordine, o qualche losco figuro che mirava a spremere un po’ di soldi ai celebri Guardiani della Galassia.
“Sono nel sistema solare ODXF-7” abbaiò ancora la donna dalla pelle verde, con livore. “A quanto pare, da queste parti non siete i benvenuti. A QUANTO PARE avete combinato qualcosa capace di far infuriare gli abitanti di UN INTERO PIANETA!”
“Roddel!” esplose Rocket. “Ma sì, ora ricordo. Quill, il pianeta del Dolce Fornello!”
“Il pianeta del Dolc...” dapprima spaesato, Starlord parve rimembrare a sua volta qualcosa. Impallidì e si girò a fissare la donna in comunicazione con lui. “Oh no. No, no, no. Il pianeta del Dolce Fornello! QUELL’INFERNO!”
“Ma di che state blaterando?” fece ella, lievemente perplessa. “Siete ubriachi?”
“Gamora” domandò Peter, ancora più preoccupato di prima. “Ti trovi su Roddel?”
“Contro la mia volontà” sputò l’aliena. “Sono stata intercettata, identificata e addormentata con del gas soporifero. Mi sono risvegliata in manette!”
“Tipico di Roddel” commentò Rocket, cupo. “Quel luogo è un postaccio.”
“Il peggiore” annuì l’umano, torvo.
“Questa è tutta colpa vostra! Che avete combinato a queste persone? Sostengono che abbiate un debito da pagare risalente a ben a sette anni fa!”
“Oh, sì” annuì Starlord. “Lo abbiamo. Enorme, anche.”
“Per questo non siamo mai più andati da quelle parti.” Fece eco Rocket, pratico. “Avresti dovuto tenerti lontana da quel sistema solare.”
“IO NON NE AVEVO IDEA!”
Tanto baccano fu in grado di richiamare il resto dell’equipaggio. Mantis e Nebula arrivarono quasi in contemporanea, seguite da Drax. Tutti e tre si fermarono come inebetiti, fissando lo schermo.
“Che cosa ti è successo?” domandò Nebula, senza scomporsi più di tanto.
“Gamora, ciao!” strillò Mantis, salutandola con un gesto colmo d’entusiasmo. “Ti ricordi di me? Noi siamo grandi amiche!”
Gamora aggrottò la fronte. Poi tornò a rivolgersi a Peter. “Mi hanno concesso di mettermi in comunicazione con voi perché vogliono che paghiate il debito. Altrimenti mi tratterranno qui. Come schiava. Per sempre.”
“Sì, tipico di quel pianeta maledetto” annuì l’umano, fissandola con intensità. “Tranquilla. Veniamo a prenderti.”
“Non voglio tornare là!” scosse il capo Rocket.
“Gamora” intervenne ancora Mantis, cercando di risollevare un po’ il morale alla donna nello schermo. “Vedere i nostri volti familiare potrebbe essere un ottimo stimolo visivo per la tua memoria. Ti torna in mente qualcosa?”
Il procione sospirò, tentando di radunare un po’ della sua già scarsa pazienza. “Non soffre di amnesia” spiegò, per quella che sembrava la centesima volta. “Viene dal passato e non ha idea di chi siamo noi.”
“Capito” annuì l’altra, quando in realtà non aveva capito affatto. “Forse dovremmo farle annusare qualcosa di forte. Gli odori sono finestre per la memoria, dicono.”
“Usiamo i miei calzini” propose Drax. “O muore, o ricorda anche il giorno in cui è nata.”
Gamora non poteva credere al dialogo a cui stava assistendo. “Siete...” boccheggiò, basita. “... Dei completi idioti.”
“Io sono Groot?” l’ultimo membro dell’equipaggio giunse in quel momento, le mani legnose che tenevano il solito gioco elettronico. Emetteva una musichetta così odiosa che chiunque dei presenti avrebbe dato un braccio per poterlo scaraventare nel vuoto cosmico dove stavano viaggiando. Alzò il volto e vide Gamora nello schermo. “Io sono Groot?”
“No, Groot. Non chiama perché vuole tornare a viaggiare con noi” sospirò il procione, con voce più dolce.
“Potremmo concentrarci?” interloquì Peter. “Gamora si trova su Roddel, adesso. L’hanno catturata e vogliono... beh, sapete cosa vogliono.”
Drax si fece subito serio. “Roddel” sputò, con voce bassa e vibrante di rabbia. “Quel postaccio.”
“Credevo non l’avremmo più visto.” balbettò Mantis, facendosi piccola piccola.
“Vogliono che andiamo a pagare il nostro debito.” Ringhiò Starlord, appoggiandosi allo schienale della propria sedia, le braccia conserte e il corpo teso.
“Rocket mi ha parlato di quel pianeta” mormorò Nebula, scuotendo il capo. “Non sperate nel mio aiuto. Resterò in orbita, al massimo. Ma non ci metterò piede.”
“Sorella?”
“Scusa, Gamora. Ma non mi presto a certe cose.”
“Certe cos...? Che accidenti sta succedendo?”
Peter abbassò il viso, in modo che i suoi occhi fossero allo stesso livello di quelli di lei. La fissà con intensità. “Stiamo venendo a prenderti” promise, serio. “Ma, mentre ci aspetti, per l’amor di Dio, stai bene attenta a... non parlare dei tuoi sentimenti.”
“Siete pazzi” sbottò lei. “Pazzi, mentecatti, imbecilli, idioti e...” la comunicazione s’interruppe. Il silenzio calò sull’equipaggio della Milano, un innaturale silenzio fatto di tensione e paura.









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Capitolo 4
*** But now I've changed And it feels so strange I come alive when she does All those things to me ***


CAPITOLO QUARTO



But now I've changed
And it feels so strange
I come alive when she does
All those things to me

Go all the way – The Raspberries


Due dei suoi carcerieri giunsero qualche ora dopo la comunicazione avvenuta con l’equipaggio della Milano. Gamora scoccò loro un’occhiata furibonda e pure un po’ disgustata.
Le creature che abitavano quel pianeta erano una sorta di aracnidi alti più o meno un metro e mezzo; avevano il corpo ricoperto da una membrana giallastra, lucida e viscida e cinque paia d’occhi il cui colore variava dal verde al nero. Non li usavano mai tutti per guardare nella stessa direzione, il che creava un po’ di confusione nei loro interlocutori alieni.
“Buona giornata” salutò uno dei due, pronunciando quelle parole con l’accento strascicato tipico della sua razza. Li conosceva da poco, eppure Gamora aveva già intuite che quelle creature comunicavano con i loro simili senza emettere un suono, sbattendo le zampe in un codice che sembrava straordinariamente complicato e strutturato. Per i visitatori, invece, tiravano fuori la voce. Ma era evidente lo sforzo con il quale articolavano i suoni. “Siamo qui per farle qualche domanda.”
“Ve l’ho già spiegato. Non c’entro nulla con quella banda di pagliacci.”
I due sbatterono le zampette tra loro. Per due minuti buoni. Poi quello che le aveva già parlato domandò: “Durante la vostra ultima visita, ci è parso di capire che vi fosse una relazione tra lei e l'essere umano a capo del vostro equipaggio.”
Gamora non era umana e non poteva arrossire. Eppure il suo corpo ci provò lo stesso, facendole provare la sensazione delle gote che andavano a fuoco. Non tanto per imbarazzo, quanto per la rabbia cieca che quella domanda le provocò.
“Non è il mio equipaggio. Viaggio da sola.” abbaiò, con non poca veemenza.
Le due creature sbatterono un altro po’ le zampette. Poi quello che non aveva pronunciato una sola sillaba uscì, rientrando poco dopo con un carrello metallico. Gamora notò, sopra di esso, un macchinario quadrangolare dalla funzione misteriosa. L’alieno premette un tasto, mettendolo in funzione. Emise un suono basso e melodico, per poi restare in silenzio, come in stand by. Forse era un avanzato strumento di tortura.
Beh, avevano di fronte la figlia di Thanos. La tortura era già stata crescere. Non l’avrebbero piegata, mai.
“La sua relazione con il signor Starlord è, dunque, finita?” domandò ancora il primo alieno, strascicando le parole. “Me lo conferma? Questo è un dato molto importante, anzi vitale.”
Gamora non poteva credere alle proprie orecchie. “Siete pazzi.” Commentò, scuotendo il capo. “Sono prigioniera di alieni pazzi in attesa di un gruppo di cretini. Meraviglioso.”
Il ragno che stava occupandosi del macchinario puntò tutti e cinque gli occhi su di esso. Agitò le zampe in modo assai più rapido del solito, comunicando qualcosa al proprio collega.
“Lei prova confusione, paura e rabbia” commentò quest’ultimo, piattamente. “Il vostro rapporto è finito in modo burrascoso, forse. Siamo molto dispiaciuti.”
“Perché non mi togliete le manette, così vi faccio dispiacere per qualcosa di serio?”
“Ci occuperemo di questa problematica immediatamente.” tacque, per poi aggiungere: “Portatela al Dolce Fornello. Subito.”
La camera venne invasa da un gas grigio scuro, lo stesso con il quale erano riusciti ad addormentarla e catturarla. Gamora tentò di ribellarsi, di resistere, ma crollò nel giro di pochi secondi.

“Credevo non volessi venire.”
Rocket si sistemò la cartucciera che gli attraversava traversalmente la schiena, arricciando il nasino peloso in un’espressione di puro fastidio. “Io non voglio venire.” Replicò, voltandosi e lanciando un’occhiata in tralice al capitano della Milano, seduto al posto di guida accanto a lui. “Ma non c’è verso di convincere Groot.”
“Io sono Groot”
“Ho capito, vuoi andare a salvare Gamora! Ci stiamo andando!” gli berciò addosso il procione, per poi scuotere il capo con esasperazione. “Sai che dovremmo fare? Facciamo esplodere il pianeta. Problema risolto.”
Peter strabuzzò gli occhi. “Così esploderebbe anche Gamora!”
“Tanto a quella Gamora lì non frega niente di noi.”
“Io sono Groot”
“Okay, okay” borbottò Rocket. “Niente esplosioni.”
“Forse, quando ci vedrà, Gamora si ricorderà di noi” intervenne Mantis, con voce speranzosa. Rocket la fissò in silenzio per un lungo istante, poi borbottò una parolaccia adattata all’orecchio giovane di Groot.
“Rimaniamo sul mio piano. Se hanno Gamora, è probabile che... sappiano. Quindi ora mirano a me. Io farò da diversivo e voi formerete due squadre di salvataggio.”
“Non voglio restare su quel pianeta un minuto in più del necessario. Lasciamo perdere il diversivo, spacchiamo tutto e portiamola via.” commentò Drax, cupo. “Sono pazzi e disgustosi.”
“Potrebbero farle del male.” Petere scosse il capo. “Farò in modo di averli concentrati su di me. Dovete cercare di irrompere nel Dolce Fornello e portarci via. Prima… beh, prima che ci restiamo secchi.” Stalord piegò la bocca in una smorfia preoccupata. “Rocket e Groot formeranno una squadra. Drax e Mantis l’altra.”
“Hai dimenticato Nebula.” intervenne il procione. “L’ho convinta ad aiutarci.”
Il gruppo si girò a fissare il membro blu dell’equipaggio, imbavagliato, legato come un salame e buttato a terra dietro i sedili dei suoi compagni. Lei ricambiò il loro sguardo con rabbia, agitandosi come una trota salmonata nella rete.
“Mmmmh!” fece, iraconda.
“Ho capito male o è stata molto offensiva?” balbettò Mantis, ferita.
“Mmmmmmh!”
“Sì” confermò Drax. “Sta dicendo cose poco carine.”
“Non mi sembra propensa a rendersi utile” obiettò il capitano, incerto.
“Lo sarà di più una volta a terra” fu il borbottio di Rocket. “Quando vorrà tornare viva sulla navetta e l’unico modo per riuscirci sarà aiutarci.”
“Molto bene.” Peter prese un profondo respiro, fissando il pianeta apparso sul loro schermo. Una serie di pensieri parve balenare nel suo sguardo. Forse paura, forse speranza o forse solo semplice dolore. Ma li tenne tutti per sé. Rilasciò il fiato, lentamente. “Atterrerò con una scialuppa e mi offrirò spontaneamente come pagamento del debito. A quel punto, la mia vita dipenderà da voi.”
“Mmmmh!”
“Nebula, quello che hai detto sulla mia mamma non è per niente gentile. Lo sai che è morta.”

Che razza strana era quella.
L’avevano lasciata andare? A quanto pareva sì.
Si era svegliata completamente sola, piacevolmente solleticata da una brezza primaverile. Aveva aperto gli occhi, trovandosi distesa su un soffice manto erboso.
Gamora si alzò in piedi, guardandosi attorno con circospezione. Si trovava in una radura circondata da arbusti piccoli ma dai tronchi massicci. Tutt’attorno a lei vi era il suono di una natura incontaminata, versi di animali misti a foglie smosse dal vento. In lontananza, lo scrosciare di quello che sembrava un corso d’acqua.
Sembrava un paesaggio idilliaco.
Si massaggiò i polsi, trovandoli liberi. Le avevano tolto le manette. Non vide nessun essere giallognolo nelle vicinanze, né le parve di udire il suono delle loro zampette. Era sola. Libera.
In un posto sconosciuto, senza una nave e… cercò disperatamente la fondina della propria arma. Non la trovò. Le avevano lasciato unicamente l’elsa della spada retraibile. Nient’altro.
Fu a quel punto che Peter Quill le cadde addosso dal cielo.



Allora, spendo due parole veloci sulla fic. Come credo di aver già detto... se conoscete i Guardiani e conoscete me, non aspettatevi niente di serio. Sono carina e coccolosa e mi piace ridere, quindi sarà una cosa allegra.
Magari qualche cattiveria ai personaggi qua e là, ma è solo sport! Nulla di più!
Ho due minuti liberi per salutare i... miei due recensori!
Without the E grazie mille per i tuoi commenti, chi non vorrebbe un Erdel? Cmq sì condividiamo lo stesso amore. Nebula è tipo la decima meraviglia dell'MCU e viene costantemente sottovalutata. Poi io adoro Karen, hai mai visto Selfie? Serie tv mortalmente interrotta ma lei è splendida.
Instabilmente: chiedo scusa per l'attesa, me nel contempo lavoro ai miei libri. O meglio, ne inizio cinque o sei, mi fermo, cancello tutto. Tempo perso con stile! XD
Cmq la scena del gioco con Tony sì, ha fatto male persino a me, ma volevo dargli un tributo. Sono Team Stark da sempre e mi ha fatto così male la sua dipartita che non credo scriverò mai su di lui. O su Morgan. Pezzo di cuore!
Cmq brava che mi assecondi, o meglio, mi gestisci, vah! XD
Alla prossima!

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