Flashback (in revisione) di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lo strizzacervelli ***
Capitolo 3: *** Sabina ***
Capitolo 4: *** L'ospedale ***
Capitolo 5: *** Il reparto ***
Capitolo 6: *** La ragazza in coma ***
Capitolo 7: *** Nomi svelati ***
Capitolo 8: *** Alla sala da tè ***
Capitolo 9: *** La foto ***
Capitolo 10: *** La ragazza nella foto ***
Capitolo 11: *** In pizzeria ***
Capitolo 12: *** Al pub con Leo ***
Capitolo 13: *** Il ticchettio della pioggia ***
Capitolo 14: *** Chiacchiere con Sabina ***
Capitolo 15: *** L'altro ragazzo ***
Capitolo 16: *** Keep Calm ***
Capitolo 17: *** Angel ***
Capitolo 18: *** Il momento di agire ***
Capitolo 19: *** Cose mai fatte ***
Capitolo 20: *** Il telefono di Celeste -1 ***
Capitolo 21: *** Il telefono di Celeste -2 ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
-
Salgo
le scale e mi accorgo che è da dieci minuti
che penso ininterrottamente a quello che è successo prima.
Quello
che è successo prima.
Stefano
mi ha spinta violentemente solo perché gli ho detto una cosa
che gli ha dato
molto fastidio. E stavamo assieme da tre mesi.
“Ti sembra che
puoi venirmelo a dire solo ora? Pensavo che tu fossi una ragazza
seria” mi ha
detto poco fa.
“Sono
una ragazza seria. Se ho problemi a parlare con le persone non vuol
dire che io
non tenga a te. Io ti amo come non ho mai amato nessun altro”
ho risposto io di
rimando.
“Che
vuol dire che hai problemi a parlare? Mi sembra che tu abbia una
pronuncia
stupenda” ha risposto lui amaramente sarcastico.
“Chi
ha mai parlato di pronuncia!? Io ho difficoltà a sfogarmi e
a lasciarmi consolare
dalle persone. Non ci riesco. Ci sono dei momenti in cui mi sento
tristissima e
mi metto a piangere il Nilo. Poi, come per magia, torna tutto allegro.
Dopo
essermi sfogata tutto quello che mi è successo non mi sembra
più niente. Prima
l'Apocalisse, poi sembra solo un vago ricordo di una storiella triste,
una
storiella in cui la Bella Addormentata non si sveglierà mai
più, perché nessun
principe azzurro si prenderà mai la briga di andarla a
cercare”
“Ma
cosa centra la Bella Addormentata? Te mi hai appena detto che...
vabbè lasciamo
perdere quello che hai detto è così orribile che
non voglio neanche
pronunciarlo” e dopo aver concluso con parole cariche di
rancore mi ha spinta
così violentemente contro un muro che per qualche secondo
non sono più riuscita
a respirare.
Fine.
Mi accorgo solo ora che ho appena vissuto un
flashback.
Sono
arrivata in cima alle scale e sto già bussando
alla porta.
Solo
quando la porta si apre mi accorgo che mi sono
messa a piangere a dirotto, per fortuna apre mia sorella.
Cristina
mi guarda e fa una smorfia come a dire ‘lasciamo
perdere che il mio tempo è prezioso’.
Percorro
il corridoio in parquet e entro in camera
mia.
Noto
che mia madre deve aver cambiato le lenzuola,
ha messo le mie preferite, quelle viola con scritte citazioni del mio
cantante
preferito.
Il
mio gatto si è addormentato sul cuscino che è a
tema con le lenzuola.
Fantastico,
non posso nemmeno stringere il mio
cuscino tra le braccia mentre i miei occhi diventeranno la nuova
sorgente del
Piave.
***
Mia
madre mi sveglia entrando in
camera con un vassoio e lo appoggia sul comodino.
“Come
stai, tesoro? Ti sei
addormentata e non ti ho svegliato per la cena” Annuisco
distrattamente.
Ultimamente non dormo molto bene e ogni minuto di riposo in
più è regalato.
“Grazie” dico allora, mettendomi a sedere.
“Cristina
dice che sei rientrata
piangendo” Annuisco ancora mentre prendo il piatto che mi
porge. Abbasso gli
occhi, un po’ vergognosa, e faccio finta di studiare il
panino che lei mi ha
preparato per cena. Tonno. Pane bianco con tonno, maionese e insalata.
Sorrido
perché è il mio preferito e mia mamma, che lo sa,
lo deve avere preparato
apposta.
“Ancora
Flashback?” Continuo ad
annuire mentre mordo il panino. Diventerò uno di quei cani
sul lunotto
posteriore delle auto che muovono la testa su e giù, se
continuo così. La mano
della mamma mi accarezza la testa, comprensiva. È
l’unica a cui l’ho
raccontato. L’unica che sa tutto. Non l’ho detto
neanche a Sabina.
La
sua mano continua ad
accarezzare i miei capelli, e io la guardo di sottecchi: è
pensierosa. So che
sono io il problema. Io le creo dei pensieri. Mia madre è
preoccupata per me e
mi dispiace immensamente di aver creato questo problema, visto che in
casa
pensano tutti che io sia fuori di testa.
Continuo
a masticare e lei si
allunga a passarmi un bicchiere d’acqua. “Mi
dispiace, mamma” Lei mi sorride
stancamente e scuote la testa, per dirmi di non preoccuparmi. Come se
fosse
così semplice. Bevo appena finisco il panino e quando
riappoggio il bicchiere
al comodino, la mia mamma mi abbraccia. Sospiro. Perché la
vita non potrebbe
essere sempre come questo momento? Mi sento così bene
finché sono fra le sue
braccia. Neanche avessi tre anni. Invece ne ho diciotto, penso mentre
ricambio
l’abbraccio.
“Ancora
nessuna idea su chi sia
questo Stefano?” sussurra lei. Una domanda che mi ha
già fatto e di cui sa già
la risposta. Perché se io avessi scoperto qualcosa,
l’avrei detto a lei per
prima. Perché è l’unica che lo sa.
Scuoto
la testa.
“No.
Nessuna.”
-
-
-
***Eccomi
qui con un altro concorso... questa volta mi è stato dato un
incipit (parte verde) da lì poi ho scritto la mia storia.
Fatemi sapere se vi piace. 😊😘😉
|
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Capitolo 2 *** Lo strizzacervelli ***
Lo
strizzacervelli
Lo
studio del dottor Grimini non
mi piace. Entro quando mi apre la porta e percorro il piccolo corridoio
fino
alla stanza dove facciamo le sedute. Sedute. Così le chiama
lui. Le sedute. Perché
dire che vengo qui a
parlare dei fatti miei a uno che non gliene può interessare
di meno, è troppo
lungo.
Mi
avvicino alla poltrona e
sospiro appoggiando la borsa per terra, sul tappeto rosso. Almeno la
poltrona è
comoda. Ma il resto è proprio brutto. No, non è
vero. Non è brutto. C’è un
vecchio camino sulla mia destra che penso abbia solo una funzione
ornamentale
perché è stato restaurato ed è troppo
pulito per essere stato usato per il suo
uso canonico. Le finestre davanti a me lasciano vedere uno scorcio
della città
vecchia e tutti i tetti delle case sono fantastici da osservare
perché siamo al
quarto piano e il mondo visto dall’alto è il mio
preferito. Tutto è bello, qui.
Sono io il problema.
Perché
non mi piace venire qui.
Non mi piace il dottor Grimini e odio dover far questa cosa. Ogni volta
che gli
racconto dei miei flashback, lui fa quella faccia strana, i suoi occhi
si
avvicinano e le sue sopracciglia si aggrottano mentre scrive sul
taccuino
giallo. Cosa scrive? Mi chiedo
tutte
le volte. Saranno cose su di me? Sicuramente sono cose su di me. Oppure
fa come
me e Sabina durante l’ora di Latino, e fa scarabocchi a
spirale o gioca a tris
da solo?
Una volta gli ho chiesto di
poter leggere
quello che c’è scritto. Ma lui ha detto che non si
può. Così mi è ancora meno
simpatico. Ormai rispondo solo alle domande che mi fa. Dovrei dire ai
miei
genitori di smetterla di spendere i soldi in questa maniera.
“Ciao,
Nicole” Un’altra cosa che
mi dà fastidio è il fatto che infila il mio nome
in ogni maledettissima frase. Oggi
è martedì, Nicole oppure Sta
piovendo, Nicole o ancora Gradisci
una tazza di tè, Nicole? e così
via. Sto per iniziare a odiare il mio nome. Giuro.
“Buongiorno,
dottor Grimini” dico,
sedendomi direttamente in poltrona. Dovrei raccontargli del flashback
di ieri,
ma non ne ho voglia. Lui si siede sulla sua, di poltrona, e mi fa una
smorfia
anche se immagino che sia un sorriso. Prende il taccuino giallo e lo
sfoglia,
leggendo quello che ha scritto le altre volte su di me.
“Hai
avuto altri flashback,
dall’ultima volta, Nicole?” Eccolo. Sospiro. Vorrei
dire di no. Vorrei
chiedergli di smetterla di chiedermelo e di dire il mio nome. Ma sono
una
persona educata. Vedo già lo sguardo di disapprovazione di
mio padre mentre ci
penso soltanto.
“Sì”
Lui alza lo sguardo su di me,
con gli occhi ravvicinati e aggrotta le sopracciglia. Eccolo ancora.
Cavolo, è
così prevedibile. “Ti va di
raccontarmelo?” dice, mentre gira la pagina del
taccuino per scrivere su una pagina nuova. Annuisco e glielo racconto.
***
“Così
ti ha spinto, Nicole?”
domanda il dottore quando ho finito il racconto. Già,
Stefano mi ha spinto. Ma
a me preoccupa tanto anche un’altra cosa: Dice che gli ho
detto qualcosa di
brutto. Cosa posso avergli detto? Alzo gli occhi al cielo. Dannazione,
non ero
io quella nel flashback! Neanche lo conosco, Stefano!
Guardo
ancora il dottore, che mi
fissa con i suoi occhi vacui. Devono insegnarlo
all’università, come fare le
espressioni giuste quando un paziente fa o dice cose strane. “Sì, mi
ha spinto contro il muro” Lui sorride
come se avesse vinto alla lotteria. “Allora eri tu nel
flashback!” ancora
quella smorfia vittoriosa.
Ogni
volta che vengo qui il dottor
Grimini mi fa domande a trabocchetto e gioisce quando pensa che io sia
caduta
in castagna. Lo odio immensamente quando fa così. Gli ho
spiegato che nei miei
flashback vivo tutto come se succedesse a me, ma io non conosco niente
di tutto
quello che accade. Non conosco Stefano, non conosco i posti dove mi
trovo. E
dannazione, a volte non so neanche quello che dico! So che il ragazzo
nei miei
flashback è il mio ex ragazzo perché la mia me
glielo ha detto una volta
e so
come si chiama perché l’ho nominato spesso. Ma il
resto… non so nient’altro. Ma
lui invece è convinto che…
“Ti
ricordi quando abbiamo parlato
di ‘Amnesia selettiva’, Nicole?”
Annuisco.
Ora ricomincia a parlare di quella cosa della perdita dei ricordi. Da
quando
vengo qui, lui sostiene che i flashback che ‘vedo’
o ‘rivivo’ non
siano altro che ricordi che ho dimenticato. Ma è possibile?
Posso essermi
dimenticata così tante cose? E poi… è
impossibile. Mi sembra che lo avrei
saputo se effettivamente fossero stati miei ricordi. Invece no, anche
quando li
rivivo, continuo a pensare di essere un’estranea.
Uff…
“Quando
hai avuto l’incidente a
scuola, Nicole, devi aver subìto un
trauma…” Non ho più voglia di
ascoltarlo e
infatti stacco il cervello. Lo guardo come guardo la prof di Latino
quando
spiega e sorrido annuendo di tanto in tanto. Alla fine resta zitto e mi
guarda.
Sbatto gli occhi. Mi sono persa qualcosa di troppo? Mi avrà
mica fatto una
domanda? Sorrido ancora.
“Allora,
ci penserai, Nicole?” A
cosa? Oddio, dovevo stare attenta! Proprio come a Latino!
“Ehm…” cerco di
salvarmi. “Secondo me ti farebbe bene, Nicole. Magari parlane
prima con i tuoi
genitori” Mmm e di cosa parlerò con i miei
genitori? “I miei genitori?” cerco
ancora di prendere tempo in attesa che mi venga in mente una risposta
adeguata.
Lui
abbassa lo sguardo e
scribacchia qualcosa sul mio taccuino
giallo. Quello che riguarda me, quindi è mio,
ora. Strappa il foglio, lo piega e me lo allunga.
“Sì, parlane con loro,
Nicole. Potrebbe essere una soluzione. Così che tu possa
trovare un po’ di pace”
Annuisco ancora, un po’ sconvolta, e mi alzo dalla poltrona
per prendere il
biglietto che mi porge.
Una
volta che torno a sedermi
guardo il pezzo di carta che ho in mano e poi torno a guardare lui. Il
dottor
Grimini sta ancora scrivendo. “Hai sognato mentre dormivi,
Nicole?” infilo in
tasca il biglietto senza aprirlo e finisco la mia ora con lui. Gli
racconto di
quello che ho sognato la notte scorsa e lui scrive tutto soddisfatto.
Chissà se
nel suo mondo sognare il coniglio nano della mia amica Sabina che
scappa dalla
porta di casa ha un significato più interessante che nel
mio…
***
Quando
esco dal portone, mi
ricordo del biglietto che ho messo in tasca e lo prendo mentre mi
incammino
verso casa. Lo apro e leggo cosa ha scritto.
Dott.
Soluto
Davide
Psicoterapeuta
– ipnosi
Accartoccio
il foglio giallo ancor
prima di aver letto il numero di telefono. Questa storia è
assurda. Secondo lui
dovrei farmi ipnotizzare per evocare dei ricordi che non sono i miei?
Perché io
sono convintissima che non sono miei ricordi.
Due
settimane fa sono caduta dalle
scale a scuola. Mi sono fatta male a una caviglia e mi hanno portato al
pronto
soccorso. Tutto qui. Grimini parla di ‘incidente’
come se avessi fatto un
frontale in macchina e fossi stata sospesa fra la vita e la morte.
Mi
hanno fatto una TAC e non hanno
trovato niente. Ma Grimini sostiene che potrei aver battuto la testa
senza
accorgermene. Davvero? Avrei potuto? Mah… Io non ci credo. E
ora sostiene che
dovrei farmi ipnotizzare? Ma che siamo matti?
Mentre
attraverso la strada al
semaforo verde prendo la decisione di non parlarne neanche con i miei.
Semplicemente… non ne parlerò. Quando arrivo
dall’altra parte della strada tiro
fuori la mano dalla tasca e butto il foglietto giallo nel bidone vicino
al
marciapiede.
Ora
farò a modo mio. Per prima
cosa, prenderò in mano la situazione. E
come? Mi chiedo mentre sono ancora ferma davanti al bidone. Non lo so. Beh, devo scoprire chi
è
questo Stefano prima di tutto. Penso a quello che so di lui:
è un bel tipo, con
i capelli scuri e gli occhi scuri e deve essere più grande
di me, tipo sulla
trentina. Basta. Non so altro. Sospiro.
Vorrei
aver parlato a Sabina dei
miei flashback. Sarebbe più semplice. E ora mi sembra quasi
troppo tardi. Si
arrabbierà perché non glielo ho raccontato prima?
Probabile. Ma se non posso
contare sugli adulti… Prendo il telefono dalla tasca della
giacca, per mandarle
un messaggio e chiederle di vederci. Sarà una spiegazione
lunga.
Mentre
sto scrivendo il messaggio,
qualcuno mi urta e per poco il mio telefono non si spalma sul
marciapiede.
Riesco ad afferrarlo dopo che mi è sfuggito di mano e non
senza fatica. “Mi sei
venuta addosso” Alzo gli occhi sul ragazzo che mi ha urtato,
pronta a dirgli
che non gli sono per niente andata addosso, quando mi blocco. I miei
occhi si
spalancano da soli, lo sento.
È
Stefano!
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Capitolo 3 *** Sabina ***
Sabina
-
-
-
È
Stefano! Il tipo dei flashback!
Proprio
lui. Solo non mi sembrava
così alto.
Il
ragazzo mi guarda stranito e mi
chiede: “Tutto ok?” Io annuisco, incapace di dire
qualsiasi cosa e lui, dopo
aver fatto un cenno del capo, riprende la sua strada alle mie spalle.
Non ci
penso neanche un secondo. Rinfilo il telefono in tasca, mi giro e gli
corro
dietro, senza neanche pensare al fatto che lui non mi abbia
riconosciuto.
***
“Allora?
Cosa mi devi dire di
tanto urgente?” Sabina apre la porta di camera sua e la
richiude appena siamo
nella stanza. “Ti ricordi quando sono caduta dalle scale a
scuola?” inizio e
lei mi guarda annuendo con un’espressione curiosa.
“Hai detto che non avevi
niente di rotto, no?”
Annuisco
io, stavolta, e continuo:
“Infatti. La mia caviglia è guarita in due giorni,
ricordi?” Respiro e prendo
tempo. È difficile da spiegare. “Quella sera, a
casa, ho avuto il mio primo
flashback…”
“Flashback?”
ripete Sabina
guardandomi. “Sì. Flashback. Un episodio
già avvenuto che si ricorda” Le
spiego. Ho cercato online il significato della parola, ma alla fine le
do la
mia versione “Da quando sono caduta ho dei…
flashback. Solo che…” non riesco a
guardarla e sento che la voce potrebbe venirmi meno. Lei, che
è la mia migliore
amica dalla prima media, deve intuire il mio tormento perché
si avvicina a me e
mi prende la mano, tirandomi verso il letto.
“Siediti”.
Mi
siedo sul materasso e lei si lascia
cadere di fianco a me a gambe incrociate, per poter guardarmi di
fronte. Ora
che mi guarda da così vicino sono imbarazzata, ed
è una cosa strana perché non
mi è mai successo con lei.
“Hai
dei flashback” Annuisco alle
sue parole. “Che vuol dire? Pensi a qualcosa che è
successo tanto tempo fa?
Rivivi un ricordo in maniera intensa?” Mmm cerco le parole
adatte per
risponderle.
“Non
sono ricordi miei… E sì, li
rivivo. Come se mi succedessero in quel momento” Cerco di
essere chiara e
capisco quando lei comprende le mie parole perché spalanca
gli occhi. “Ricordi…
non tuoi?” Annuisco seriamente. “Sì.
Ormai sono convinta che sia così”.
Lei
spalanca ancora gli occhi e
poi si alza dal letto con uno scatto. La osservo camminare avanti e
indietro
sul tappeto della sua stanza, quello su cui ci siamo sdraiate
così tante volte
a studiare e chiacchierare, mentre lei gesticola con le mani.
“No.
Aspetta. Dici… Ricordi non
tuoi… Come fai ad avere ricordi non tuoi? E poi, come fai a
sapere che sono
ricordi e non invece… delle fantasie?” Alzo le
spalle. Effettivamente non ne
posso essere sicura. Non so veramente cosa è successo, ma
so… “Quando li
rivivo, io so che è un
ricordo e so
cosa succederà. Ma non sono cose successe a me”
Sabina si ferma e le sue
braccia cadono lungo i fianchi. Il suo viso ora è
stralunato. Come la capisco.
Mi alzo e la raggiungo, per tranquillizzarla come prima lei ha
tranquillizzato
me.
Mi
fermo davanti a lei, siamo alte
uguali, ma la nostra somiglianza si ferma lì. Lei
è una formosa diciottenne con
tanto di capelli ondulati e occhi scuri, mentre io sembro un
adolescente delle
medie. I miei capelli sono ricci e di un banale color castano, mentre i
miei
occhi non hanno tutte quelle sfumature che hanno i suoi. Sono azzurri e
sembrano sempre slavati. Lo so perché è quello
che penso tutte le mattine guardandomi
allo specchio.
Siamo
migliori amiche. Lo siamo
sempre state e lo saremo per sempre. So che posso fidarmi.
“Sto andando da uno
psicologo, per questa cosa. Ma ti giuro che non sono pazza”
Lei annuisce. “Non
penserò mai che tu sia pazza. Giuro” Le sorrido.
Ecco la mia miglior amica. La
abbraccio.
“Allora
vieni dal dottore a
convincerlo che i miei flashback non sono ricordi che ho
dimenticato?” Sabina
si stacca da me “Come?” Le spiego che il dottore
Grimini è convinto che i miei
flashback siano in realtà dei ricordi. Dei ricordi miei che
non voglio
ricordare per un motivo qualsiasi. “Ma tu sei sicura di
no” Annuisco, convinta,
mentre ci risediamo sul letto “Esatto. Perché io
non conosco Stefano, il tipo
dei flashback. E oggi ho avuto la prova che lui non conosce
me”.
“Oh.
Che vuol dire?” Sabina non ha
ancora smesso di spalancare gli occhi e la bocca. Le racconto di aver
visto
Stefano, e di come lui non mi avesse riconosciuto, quindi le spiego che
non
posso essere io quella nei flashback. Quando lei fa di nuovo la faccia
corrucciata, le racconto quello che vedo.
“Ho
avuto sei o sette flashback,
fino a ora, e lui c’era in tutti. Riguardano sempre lui. Deve
essere un ex, o
qualcosa del genere. Ho visto il primo bacio, durante quello che penso
sia
stato un primo appuntamento, e altri momenti in cui c’era
anche lui.
Nell’ultimo…” mi rendo conto che mi
manca la voce. Sabina si avvicina e mi
accarezza la mano.
“Cos’è
successo nell’ultimo?” Non
so bene come spiegare quello che ho visto, ma mi ricordo benissimo come
mi sono
sentita. “Lui mi ha spinto. Beh, non me, lei. L’ha
spinta contro il muro e io
ho sentito delle cose bruttissime. Stavo male” Le spiego
toccandomi il petto.
“Ti ha fatto male fisicamente? All’altra. Le ha
fatto del male?” scuoto la
testa. “No. Non era un dolore fisico. Era proprio uno stare male. Ho sentito un po’
di dolore quando mi ha spinto. Ma
dentro ho sentito qualcosa… come se fosse un avvertimento,
un avvertimento per
qualcosa di più… grande.
Faccio
fatica a spiegarlo” Cavolo, faccio fatica a capirlo io!
Sabina
mi conosce così bene che sa
che sono in confusione, così mi fa domande ‘pratiche’.
“Cosa è successo quando lo hai visto per
strada?” Racconto alla mia amica di
quando mi sono scontrata con Stefano e di come gli sono corsa dietro
senza
pensarci su. I suoi occhi brillano mentre lo racconto. “E
poi?” Alzo le spalle
mortificata. “Poi l’ho perso. È entrato
nel cortile dell’ospedale e l’ho perso
in mezzo alla gente” La sua bocca diventa un cerchio.
“Nooooo”.
Poi
lei si gira di scatto e inizia
a camminare avanti e indietro ancora una volta, sul tappeto.
“Aspetta. Hai detto
che è entrato in ospedale?” Annuisco poco
convinta. Cosa c’entra? Sabina
sorride. Ohi ohi. Conosco quel sorriso. “Ho
un’idea” E purtroppo conosco anche
le sue idee.
***
“E
cosa facciamo, stiamo davanti
all’ospedale finché lui non passa?”
sussurro a Sabina mentre la prof di Scienze
interroga. Lei annuisce e bisbiglia in risposta: “Dobbiamo
almeno provarci. È
la nostra unica pista, no?” Faccio sì con la testa
perché la prof guarda verso
di noi e non voglio che ci becchi a chiacchierare. Ma io non sono
convinta che
sia una buona idea.
Quando
suona la campanella per il
cambio dell’ora glielo dico ancora. “Vuoi
continuare a stare così? Non è meglio
scoprire chi è, visto che è il nostro unico
indizio?” Sorrido a Sabina perché
da quando le ho raccontato dei flashback invece di considerarmi malata
di mente
ha deciso di aiutarmi a risolvere questa situazione e si è
fatta carico di
tutto. Soprattutto del noi di
questo
contesto. Le racconto del biglietto del dottor Gremini. Forse
l’ipnosi potrebbe
essere una soluzione adatta? Più che stare davanti al
cancello dell’ospedale
aspettando che passi un tipo che non è neanche detto che ci
torni più? Dopo
aver esposto i miei dubbi lei scuote la testa vigorosamente.
“Dovresti
cambiare medico. Anche
la moglie di mio zio è una psicoterapeuta. Potresti provare
ad andare da lei.
Quel tipo lì…” Gesticola indicandomi
come se fossi io il dottor Gremini “non mi
piace per niente”. Rido perché il suo tono
è sostenuto, poi a un certo punto,
sento uno strano tremore al centro del petto.
Sabina
mi si avvicina e mi chiede:
“Tutto bene, Nicole?” Sto per scherzare con lei sul
fatto che mi ricorda
Grimini, quando capisco cosa mi sta succedendo. Bisbiglio appena:
“Sto per
avere un flashback”.
Lei
mi prende velocemente per un
braccio e mi trascina fuori dalla porta, dritta verso il bagno delle
ragazze.
Facciamo appena in tempo a entrare e io non sono più nel
bagno con lei…
Sono
sdraiata sul letto e sono nuda sotto il lenzuolo. Stefano è
sdraiato accanto a
me e sta dormendo. Mi alzo e lui si sveglia. La sua faccia è
arrabbiata e il
suo tono duro mi chiede: “Dove stai andando?”
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Capitolo 4 *** L'ospedale ***
L’ospedale
-
-
“Dove
stai andando?” mi richiede Stefano quando non rispondo la
prima volta. Non mi
sento bene. Ho paura di parlargli e ho paura di quello che mi
dirà. O di quello
che mi farà. Mi guardo il braccio. Ho un livido grosso come
un mandarino. ‘So’
che me l’ha fatto lui. E ho paura. Non come quando mi ha
spinto contro al muro.
Questa volta ho paura davvero.
Apro
la bocca per rispondergli, ma lui si è già alzato
e sta girando intorno al
letto per raggiungermi. Io sono in piedi con ancora il lenzuolo intorno
al corpo
e non mi muovo. Lo vedo arrivare e cerco di spiegargli: “Sto
andando in bagno.
Davvero. Non vado da nessuna parte”.
Lui
per un attimo si ferma e mi scruta. Io ho sempre più paura.
I suoi occhi sono
di ghiaccio. Non mi stupisco. Non è la prima volta che gli
vedo quello sguardo.
Lo so. E so anche che mi fa paura, che quando mi guarda così
non si mette bene.
Si
avvicina ancora e io indietreggio. Quando sbatto contro il muro, lui
ghigna.
Ghigna in un modo orribile, come un mostro. Io sento il sangue
defluirmi dal
viso e vedo lui avvicinarsi lentamente. Appoggio la testa al muro per
guardarlo
e lui si avvicina ancora.
“Torna
a letto” Ma io, per la prima volta, sento un moto di rabbia
scuotermi. “No.
Vado in bagno” Non lo vedo arrivare ma, ancora, so che
sarebbe successo. Un
violento schiaffone mi smuove la faccia, la testa, il collo e io cado
per
terra. Lo guardo dal basso e sto per alzarmi…
“Nicole,
Nicole. Ti prego, svegliati”
Guardo Sabina, che mi osserva con gli occhi spalancati e luccicanti.
Devo
averla spaventata. “Che succede?” quando finalmente
parlo lei mi salta addosso
e mi abbraccia. “Oddio, che brutto! Nico, stavi tremando
tutta e stai piangendo”
Mi prende la mano, me la porta sul viso e io mi accorgo che
effettivamente le
mie guance sono bagnate. Di nuovo. Ogni volta che rivivo questi
flashback
piango come una fontana. Mi ero scordata di dirglielo. Poverina, si
deve essere
spaventata davvero.
Sono
comunque ancora frastornata. È
stato molto più… intenso delle altre volte. Di
più in tutti i sensi. Più
terrificante, più pauroso, più forte…
effettivamente mi sento ancora tremare.
Riesco a malapena ad aprire la bocca “Mi ha picchiato.
L’ha picchiata” Mi
correggo subito dopo.
Sabina
si porta una mano alla
bocca. “Davvero? Lui… Lui…”
Annuisco “Mi ha dato uno schiaffo così forte che
sono caduta” Vedo l’indignazione negli occhi della
mia amica. “Dobbiamo
trovarla. Dobbiamo scoprire se sta bene” Annuisco ancora
perché è la stessa cosa
che ho pensato io.
“Ma
come facciamo a trovarla?” Lei
batte le mani. “Semplice. Troviamo Stefano”
Sì come se fosse facile. “E poi?”
Ma Sabina è già uscita dal bagno. Lei
è molto più attiva di me. Io sono
codarda, paurosa e vigliacca, penso duemila volte prima di fare
qualcosa (e
quattromila dopo averla fatta) quanto Sabina è audace,
impulsiva e temeraria.
Forse è per questo che andiamo così
d’accordo. Gli opposti si attraggono.
Lei
mi sorride girandosi mentre
cammina “Poi ci inventeremo qualcosa. Prima lo troviamo e poi
ci pensiamo”
Ecco, appunto, come dicevo. Impulsiva e istintiva. Io ci ho messo due
settimane
a raccontarle questa cosa strana che mi succede e lei, probabilmente
avrebbe
già risolto tutto in due giorni. Sospiro e la seguo in
classe.
***
Nel
pomeriggio andiamo dalla zia
di Sabina. Lei è gentilissima, ma resto da sola con lei per
troppo poco tempo
per dire se è più brava di Grimini. Ma la seduta
non mi pesa. Riesco a confidarle dei flashback abbastanza
velocemente, sarà
perché mi ispira fiducia o perché sorride senza
farmi troppe domande, alla fine
le riesco a raccontare praticamente tutto. Di Stefano, della tipa che
viene
picchiata e che sembro io, nei flashback, ma non lo sono.
L’unica
cosa che non le dico è di
aver incontrato Stefano di persona. Questo per ora ho deciso di tenerlo
per me.
In compenso le ho detto che Grimini mi ha consigliato di fare una
terapia di
ipnosi.
“Ma
tu non sembri d’accordo” dice,
guardandomi dritto “No. Mi sembra stupido. Non sono ricordi
miei” Lei annuisce,
ma in maniera strana. Oddio ecco, è uguale a Grimini, penso.
Ho solo perso
tempo venendo qui. “E invece chi lo sa? Potrebbe essere
utile. Io non lo
escluderei. Però potremmo provare prima
qualcos’altro, se non sei convinta. Che
dici?” ora sorride come prima.
Mi
piace detto così. Potrei farlo,
ma solo se voglio. Forse aveva detto così anche Grimini, ma
sicuramente me l’ha
detto diversamente, non sembrava una cosa a cui potessi dire di no. O
forse ora
mi sembra tutto così diverso perché
l’ho detto a Sabina e perché ho scoperto
che Stefano esiste davvero. Sospiro. Esiste davvero.
***
Il
tempo non passa più. Sarà
un’ora che siamo sedute qui su questa panchina verde davanti
all’entrata
dell’ospedale. Sabina chiacchiera come se dovesse perdere
l’uso della parola da
un momento all’altro e io invece sono nervosissima. Cosa devo
fare se lui non si
presenta? E cosa dovrei fare, invece, nel caso si presentasse?
Saltargli al
collo e chiedergli della ragazza che ha picchiato? Sicuramente
tenterebbe di
farmi rinchiudere in psichiatria. Cavolo, magari è il
primario di psichiatria e
così riuscirebbe anche a torturarmi per non farmi raccontare
niente… Mentre
penso questa cavolata, blocco Sabina intanto che racconta di Marco, il
bello della
5F, per chiederle una cosa che mi è venuta in mente in
questo momento. “E se
lui fosse un dottore?”
Sabina
mi guarda stranita “E che
differenza fa? Se anche fosse un medico?” mi ripete la
domanda. Alzo le spalle.
Bo. I dottori mi inquietano. Come Grimini. “Stai tranquilla,
te l’ho detto,
devi andare da mia zia. Lei non è orribile come
Grimini”.
Sorrido
perché effettivamente Elisa,
la zia di Sabina, è stata veramente gentile e mi
è piaciuta tantissimo. Sono
sicura che Grimini non mi mancherà per niente. Guardare i
tetti fuori dalla sua
finestra probabilmente mi mancherà più di lui.
Stiamo
giocando a tris sul
telefono di Sabina, quando improvvisamente Stefano ci passa davanti. Se
non avessi
alzato lo sguardo non l’avrei neanche visto e saremmo rimaste
qui per sempre.
“È qui” sussurro a Sabina come durante
l’ora di Scienze. Lei capisce al volo e
si alza infilando il telefono in tasca.
Sabina
mi fa cenno di alzarmi e la
seguo velocemente mentre attraversa il cancello. Il cortile
dell’ospedale è
pieno di gente e lui cammina rapido e con sicurezza. Lo indico a
Sabina, così
può aiutarmi a non perderlo di vista. “Quello con
la giacca verde?” mi chiede
sottovoce. Ormai sembra che non riusciamo più a parlare
normalmente quando la
conversazione riguarda questo tizio.
Lo
seguiamo per un po’, giusto per
capire dove sta andando. Io continuo a sperare che non lavori qui. Non
mi va
proprio di dover aspettare otto ore che stacchi il turno per scoprire
qualcosa.
Se invece fosse venuto a trovare qualcuno, farebbe presto. Magari fra
mezz’oretta è di nuovo fuori e noi possiamo
seguirlo fino a… Ehi! Cosa facciamo
dopo? Dobbiamo seguirlo a casa?
“Ehi,
Saby, cosa dobbiamo fare? Lo
seguiamo a casa quando esce di qua?” Lei alza le spalle.
“Intanto vediamo dove
va. Poi ci pensiamo. Magari sì, lo seguiamo fino a
casa” Sono quasi
scandalizzata. Non pensavo che arrivasse a dirlo. “Vuoi
davvero seguirlo? E se
ci becca? E dopo che abbiamo scoperto dove abita?” Lei scuote
le spalle e
subito dopo indica qualcosa dietro di me. Mi volto. Stefano ha appena
girato
dietro al centro delle analisi. Se non ci sbrighiamo lo perdiamo.
Quando
giriamo anche noi dietro la
costruzione, per poco non mi si ferma il cuore. Lui non
c’è. Non c’è più.
Come
il giorno prima. L’abbiamo perso. Non so perché,
ma inizio ad agitarmi. Ieri
non è stato così. Forse perché non
sapevo tutto quello che so oggi, ma ieri non
mi sembrava così tragico, averlo perso, mentre
oggi… È una catastrofe. Ho quasi
paura di scoppiare di nuovo in lacrime.
Poi
vedo la sua giacca in
lontananza. Ha allungato il passo. Prendo il braccio di Sabina e la
strattono.
Neanche mi rendo conto di correre e di trascinarla con me. È
solo che non
voglio perderlo ancora. Adesso è una questione importante.
Una questione di
vita o di…
Mi
blocco quando lo vedo entrare
nell’edificio sulla destra. So cosa c’è
lì dentro. Ci sono passata davanti
l’anno scorso quando è mancato il nonno.
È
la camera mortuaria. Non riesco
neanche a muovermi. Mi giro verso la mia amica e anche lei ha gli occhi
spalancati.
“Saby…
Non sarà mica… Morta?”
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Capitolo 5 *** Il reparto ***
Il
reparto
-
-
No,
non può essere morta. Non deve esserlo. Non avrebbe senso.
Sono
ancora ferma a guardare l’edificio quando Sabina mi tocca il
braccio e mi ripiglio. Mi fa cenno con la testa di avvicinarci. Io non
ne sono
troppo convinta. Un po’ perché mi ricorda il nonno
e un po’ perché mi incute
timore. Ma la mia amica è molto più razionale di
me. Per fortuna.
“Lì
fanno le autopsie, non è dove espongono le salme. Non
può
entrarci chiunque.” Oh. Non ci avevo pensato. Mentre ci
avviciniamo, senza
pensare al fatto che lì dentro i morti sono nudi e
tagliuzzati invece che
puliti e preparati per il lungo sonno, la porta dove è
sparito Stefano si riapre
di colpo e lui esce incazzatissimo parlando al telefono.
Riusciamo
appena a spostarci dietro una siepe per nasconderci, ma
lui sembra così preoccupato e arrabbiato che non si sarebbe
accorto di noi
neanche se gli fossimo passate attraverso. Lo seguiamo a distanza
mentre urla nel
telefonino “Avevi detto che eri al lavoro! Avevi detto
che…” poi si guarda
intorno e abbassa la voce. Non riusciamo più a sentire
quello che dice, così ci
avviciniamo ancora.
“Ho
bisogno di parlarti. Quando ci vediamo? Cosa faccio se lei
dovesse…” un’ambulanza sfreccia lungo la
strada che costeggia il cortile
dell’ospedale a sirene spiegate e non riusciamo
più a sentire cosa dice. Ma lui
continua a camminare e noi lo seguiamo.
Quando
arriva davanti alla porta di una costruzione, si ferma e
finisce la telefonata prima di entrare. Guardo Sabina. “Che
reparto è quello?”
Lei alza le spalle. Ne sa poco quanto me, di ospedali. “Ci
sarà un cartello da
qualche parte, no?”
Ci
avviciniamo alla porta dove è entrato Stefano e ci guardiamo
intorno. Niente. “Sarà scritto dentro.”
Sabina apre la porta ed entra. Spalanco
gli occhi. Ma cosa fa? Ma… così? Si
potrà entrare così?
Entriamo.
Bhe, Sabina entra, io le corro dietro per non rimanere
da sola. Appena dentro, ci troviamo davanti una grossa porta, le scale
e gli
ascensori che portano al primo piano, alla nostra sinistra. Mi avvicino
alla
porta per leggere quello che c’è scritto, visto
che l’edificio è un po’ vecchio
e la porta è coperta da un telo, probabilmente per
ristrutturare il muro. Non
faccio neanche in tempo a leggere perché sentiamo la voce di
Stefano venire dal
primo piano. Sta imprecando. Ci giriamo tutte e due verso le scale e
scattiamo
in avanti senza neanche pensarci.
Sabina
arriva al primo piano prima di me. Sento Stefano rivolgerle
la parola e mi blocco contro il muro. Non voglio farmi vedere da lui.
Potrebbe
riconoscermi e insospettirsi. O io potrei diventare più
paranoica. Più di come
sono già.
“Rianimazione?
No, io cercavo il reparto maternità. Mia zia ha
appena avuto un bambino.” Sento Sabina rispondere a Stefano.
È così brava lei a
inventare scuse, gliel’ho sempre invidiata quella
capacità, soprattutto a
scuola. Soprattutto durante l’ora di Scienze.
Scendo
di un gradino restando con le spalle contro il muro. Non so
neanche perché visto che non serve a niente. Se Stefano si
affacciasse sulla
tromba delle scale, mi vedrebbe comunque. Spero che Sabina lo tenga
lontano dal
pianerottolo. Sento Stefano risponderle che non può aiutarla
e una porta che si
apre e si chiude. Poco dopo la mia amica si affaccia sulle scale.
“Rianimazione.
Che tipo di reparto è?” alzo le spalle. Che ne so
io? Lei si rivolta verso la porta e dice “Potremmo andare a
vedere.”
Invece
a me non sembra una buona idea. Sempre perché sono
coraggiosa. Sto per dirlo a Sabina quando lei intuisce e mi guarda
alzando un
sopracciglio. “DEVI andare a vedere.” Sbuffo.
“C’è lui la dentro. Non voglio
andarci.” Eccomi qui. La bambina codarda. Gli occhi di Sabina
mi guardano.
Quando eravamo in prima media quegli stessi occhi mi hanno convinto a
rubare i
dolci che la prof di matematica teneva nel cassetto della cattedra.
All’epoca
non sapevo a cosa stessi andando incontro. Ora sì.
Sbuffo e mi avvicino
all’entrata del reparto. La porta è enorme e
imponente. Quando sento Sabina
seguirmi mi volto. “Ti ha già visto. Stai cercando
tua zia in maternità. Magari
si insospettisce.” Lei, stranamente, non ha niente da
ribattere e annuisce
tornando verso le scale. “Ci vediamo
giù?” annuisco anch’io e spalanco la
porta. Poi mi giro, e come in un film poliziesco le dico: “Se
fra un’ora non
esco, vienimi a cercare.”
Ma
lei ride e mi dice “Scrivimi, va, se cambia qualcosa. Ti
aspetto giù.” Ok, non è proprio il mio
ruolo e lo sa anche lei. Sbuffo di nuovo
ed entro in rianimazione.
Dentro
c’è un forte odore di disinfettante, un mormorio
continuo,
intervallato da degli assordanti bip
che gracchiano a tutto andare. È fastidiosissimo.
Un’inserviente mi passa a
fianco con il carrello dei prodotti per la pulizia e mi sposto di lato
con un
saltello, per lasciarla passare.
Mi
guardo intorno. Sono alla metà di un corridoio. Potrei
andare a
destra o a sinistra. Ho il cinquanta percento di probabilità
di imboccare la
direzione presa da Stefano e mi sento già un genio. Vorrei
avere qui la
Bellacchi, la mia prof di matematica, che non ha mai creduto in me.
Mi
giro verso sinistra quando da una porta vicino a me esce un
uomo imbacuccato di verde e blu. Indossa una mascherina davanti alla
faccia e
una cuffia gli copre i capelli. Ha indosso un camice e anche quei cosi
blu con
gli elastici che si mettono sopra le scarpe. Sembra un alieno. Riesco a
vederlo
poco, ma è più basso di Stefano, quindi so
già che non è lui.
Mi
sposto e mi scuso nel momento in cui lui fa lo stesso. Mi fa un
cenno con il capo e si incammina lungo il corridoio, verso la mia
sinistra.
Dietro di lui esce un’infermiera o forse l’addetta
che veste di verde e blu i
visitatori, perché mi dice: “Un minuto e sono da
lei. Si sieda e mi aspetti.”
Mi indica una poltrona contro il muro e se ne va. Mmmm. Non ho
intenzione di
sedermi e aspettare buona buona. Seguo il tipo con il camice fino in
fondo al
corridoio e sbircio dietro di lui quando apre la porta di una delle
stanze.
Riesco
a vedere, prima che richiuda la porta, una persona stesa su
un letto circondato da macchinari strani che emettono quei fastidiosi
suoni che
mi tampinano le orecchie, e tubi e fili che dal corpo del paziente si
collegano
alle macchine. È velocissimo, perché il signore
ha già chiuso la porta. Resto
bloccata. Ma dove sono? Cosa succede a queste persone?
Una
donna vestita come l’uomo di prima esce da una delle stanze
piangendo e si siede su una delle poltrone vicino alla porta. Le vado
vicino
più spinta dalla curiosità che dal desiderio di
aiutarla e già per questo mi
sento una brutta persona, ma lei alza gli occhi su di me e la sua
mascherina si
tira prima che lei la strappi via. Ora sta sorridendo, un sorriso
triste e
piccolino, di circostanza. Qui le persone non stanno bene. Mi avvicino
ancora,
questa volta per chiederle se ha bisogno di qualcosa, ma dal fondo del
corridoio un rumore forte distrae sia me che lei.
Alziamo
insieme lo sguardo e vedo Stefano, lo riconosco anche se
anche lui è coperto dal blu sintetico come tutti gli altri,
che arrabbiato si
dirige verso quella che immagino sia la stanza delle infermiere, visto
che una
di loro gli sta andando incontro.
Sorrido
alla signora seduta, che tanto non mi sta guardando, e
vado verso la stanza da cui è uscito Stefano. Devo
assolutamente scoprire chi
c’è dentro. Perché ho quasi la certezza
di trovarci una donna. Una donna che è
stata spinta contro il muro e che è stata schiaffeggiata
così forte da cadere
per terra.
Allungo
il passo. Ormai è questione di poco, ho fretta di sapere.
Sapere se c’è lei. E se c’è,
sapere chi è, come è fatta e perché la
vedo nella
mia mente. Mi affretto ancora. Passo davanti alla porta
d’entrata, (il
cinquanta per cento di probabilità e io ho sbagliato subito
direzione) e la
sorpasso. Passo anche davanti allo stanzino delle infermiere, dove
sento
Stefano lamentarsi di qualcosa e un’infermiera tenergli testa.
Un
altro passo. Ci sono vicina. Vedo la porta. Stefano, nella sua
fretta, l’ha lasciata aperta. Riesco a vedere, man mano che
mi avvicino,
l’interno della stanza. Prima quello che sembra un
macchinario, uguale da quello
dell’altra stanza, poi un altro.
Un
altro passo. Ora riesco a vedere il letto. C’e una persona
stesa sopra e una sedia vicino alla struttura. Deve essere per i
visitatori, la
sedia. Mi avvicino ancora. Ancora un passo. Ora intravedo la persona.
Sembra
una donna, sono ormai convinta che sia lei. Ma ha qualcosa davanti alla
faccia
e non riesco a vederla in viso. Ha i fili e i tubi come il tipo
nell’altra
stanza.
Un
altro passo. Sono così vicina. Lei ha i capelli sparsi sul
cuscino. Dei capelli rossi, tantissimi capelli rossi e mossi. Sono
davanti alla
porta. Voglio vederla. Mi scordo che tutti quelli che ho visto nel
reparto
erano stati protetti da mascherine, camici e cose varie e faccio
l’ennesimo
passo per entrare nella camera.
Sono
quasi dentro quando una voce alle mie spalle mi sorprende e
mi fa sussultare: “Nicole!”
-
-
***Ecco un
altro capitolo... chissà se vi piace la storia... Buona
lettura!
|
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Capitolo 6 *** La ragazza in coma ***
La
ragazza in
coma
-
-
“Nicole!”
Mi
blocco come se mi avessero
sorpreso a rubare. Beh, effettivamente sembra una cosa sbagliata quanto
rubare.
Mi giro giusto in tempo per vedere un’infermiera che conosco
avvicinarsi a me.
È
Lisa, abita in fondo alla mia
strada ed è una donna simpatica e gentile. Ha il camice
bianco e il nome sul
suo cartellino è leggermente diverso da come lo conosco io,
ma anche una mia compagna
di classe accorcia il suo nome composto, così non me ne
sorprendo più di tanto.
“Cosa
fai qui? Conosci qualcuno
ricoverato?” Lisa ha una voce melodiosa e mi piace come mi
parla, ha badato a
me e a mia sorella quando eravamo più piccole e mi ha sempre
ricordato una
maestra d’asilo dolce e premurosa. Le sorrido
involontariamente.
Poi
il mio sorriso svanisce quando
mi rendo conto che non conosco la tipa nella stanza. Non conosco
nessuno.
Nessuno a parte Lisa. E Stefano. A proposito,
dov’è Stefano? Mi giro verso la
porta della stanza delle infermiere. Lo vedo attraverso la porta
socchiusa: sta
discutendo con qualcuno, ma a bassa voce, così non capisco
cosa si dicono.
All’improvviso
un tremolio al
petto mi annuncia un flashback. Sento di spalancare gli occhi e mi
avvicino a
una delle poltrone contro il muro. Cado seduta prima di rendermi conto
di aver
lasciato il corridoio…
Sono
contro al muro. Stefano mi ha spinto. La sua mano è ancora
sul mio petto. Il
suo viso si avvicina al mio. “Avresti dovuto dirmelo prima.
Non mi piace,
questa cosa” Sta sussurrando e capisco subito
perché lo fa: siamo in un luogo
pubblico. Mi guardo intorno anche se subconsciamente so già
dove siamo: è il
parco vicino a casa mia. Io abito due strade più in
là. Torno a guardare Stefano
che mi tiene ancora la mano premuta sul petto e mi spinge contro il
muro. Sembra
il continuo dell’altro flashback. Improvvisamente, so che
è così. E so cosa gli
ho detto per meritarmi lo spintone. Una cosa grave? Assolutamente no!
Durante
la pausa pranzo sono andata a mangiare un panino con un collega al bar
sotto
l’ufficio. Ma quando gliel’ho detto, lui ha avuto
questa reazione esagerata e
mi ha spinto. Ora so che è solo la prima di tante altre. Di
altre peggiori di
questa.
Inaspettatamente
la scena cambia e siamo a casa mia. Riconosco il mobile del salotto e
sopra il
divano c’è il quadro che ho preso in vacanza con
mio fratello Leo, due anni fa.
Non so come faccio a sapere queste cose, le so e basta, come tutto il
resto.
“Ti arrabbi sempre per delle cose stupide!” mi
sento dire a Stefano. Ancora una
volta sento il colpo arrivare. So già che sarà
più forte della spinta contro il
muro ma meno doloroso dello schiaffo in camera da letto. Ma mi colpisce
comunque. “Sei tu, il problema, non io. Sei tu quella che fa
tutte quelle cose…
stupide. Non dovresti farle, sei una gran…” Il suo
viso è sconvolto e sento di
aver paura di ricevere un altro schiaffo misto alla consapevolezza che
non
succederà. Lui sbuffa e fa un passo indietro. Raccoglie la
giacca dalla spalliera
del divano e si gira verso la porta, poi ci ripensa e si rivolge di
nuovo verso
di me: “Sei tu. Se non lo avessi fatto, io non avrei dovuto
dartelo. Pensaci,
la prossima volta” E così dicendo apre la porta e
se ne va.
Resto
impalata a guardare la porta chiusa per un tempo indefinito,
rimuginando sulle
sue parole. Non è vero. Non ho fatto niente di male. No. No.
O forse… Forse sì?
NO!!! Una voce forte dentro di me rimbomba e mi fa sbattere da tutte le
parti.
Urla urla e si dimena, mentre il ricordo va avanti. Mi avvicino allo
specchio
in corridoio. Controllo il mio viso.
Una
donna che conosco da una vita mi guarda. Mi guarda dallo specchio. Ma
io in
verità non la conosco. Non l’ho mai vista prima.
Ma lei si conosce e con la
consapevolezza di sapere perfettamente il viso che la accompagna da
tutta la
vita si avvicina allo specchio per controllare il rossore sulla
guancia.
Non
riesco a guardarle quella parte arrossata e mi concentro sul resto.
È lei, la
ragazza che è in ospedale. I capelli rossi, mossi e corposi,
degni di una
pubblicità dello shampoo, le circondano il volto e i suoi
occhi, due occhi
bellissimi, verdi e luminosi, come ogni ragazza ha desiderato avere,
almeno una
volta nella vita, mi guardano e si studiano la guancia, che viene
sfiorata dalle
sue dita. Le mie dita. Sul polso destro ha una lettera tatuata. Una C,
una
lettera fatta di piccole linee curve armoniose che abbraccia
quell’ossicino
sporgente. È bello, sembra uno di quei tatuaggi esotici con
l’henné che la
ragazza del negozietto sotto casa fa per pochi euro. Guardo ancora lo
specchio
ma l’immagine velocemente si appanna e sbiadisce.
“Nicole,
stai bene?” Lisa adesso
mi guarda preoccupata. Merda, merda. Ora mi prenderà per
matta anche lei, come
i primi giorni. Mi asciugo una lacrima. Sono riuscita a non piangere a
dirotto,
come se riuscissi pian piano ad abituarmi a tutte le emozioni che sento.
Lisa
mi guarda ancora, con la
faccia confusa e subito sentiamo, tutte e due, la voce di Stefano che
si
lamenta. Ci voltiamo verso di lui e io dico sottovoce: “Lui
non mi piace” Lei
alza un sopracciglio e poi annuisce senza dire niente. Improvvisamente
coraggiosa, le prendo una mano e dico sottovoce “Vorrei
vedere lei. Posso entrare nella sua
stanza? È
importante” Con il capo indico la porta della stanza che poco
prima stavo
profanando.
“La
conosci?” sto per scuotere la
testa, ma riesco a fermarmi. “Non la conosco…
bene” Mi correggo mentre parlo.
In fin dei conti non è una bugia. Non proprio.
“È in coma, vero?” sono riuscita
ad arrivare a quella consapevolezza solo guardando attraverso la porta
socchiusa? O so qualcosa di più? Lei annuisce, ma appena
appena, come se non
potesse parlare.
“Posso
vederla lo stesso? Per
vedere come sta?” lei si volta verso Stefano, che viene
accompagnato verso
qualcun altro. Avrà voluto vedere un dottore?
Sarà preoccupato per lei? O la
sua è solo scena? È preoccupato che possano
scoprire quello che le faceva?
Lisa
però è una persona
intelligente e non fa tante domande, annuisce e mi dice che devo
indossare le
protezioni, per poter entrare nella stanza. La seguo e mi lascio
vestire. I
calzari sulle scarpe, la cuffia sui capelli, la mascherina, per non
parlare del
camice protettivo. Dubito che anche mia madre riuscirebbe a
riconoscermi qui
sotto, combinata così.
Seguo
ancora docilmente Lisa che
mi riaccompagna verso la stanza della mia amica C. Non so come altro
chiamarla.
So che la C è l’iniziale del suo nome ma mi
innervosisco perché non conosco il
resto. Come è possibile che io sappia una cosa
così importante, ma allo stesso
tempo così inutile? Quale sarà il suo nome?
Chiara? Cristina? Carola? Vorrei
chiedere a Lisa come si chiama la ragazza, oppure cercare di
imbrogliarla per
farmelo dire di sfruso, ma, come
dicevo, sono troppo poco coraggiosa per una cosa del genere.
L’infermiera
apre la porta per
lasciarmi entrare e mi sorride quando vede la mia esitazione. Poi
qualcuno la
chiama e lei esce dalla stanza senza chiudere la porta.
Mi
avvicino al letto. C ha una
mascherina sul volto e i tubi che avevo visto attraverso la porta
socchiusa si
collegano a un macchinario che sibila il famoso bip
disturbatore. Faccio un altro passo e riesco a toccare il
copriletto in fondo al letto. Guardo le braccia, stese e immobili al
lato del
suo corpo. Lo sguardo mi cade sulla mano destra. Il tatuaggio con la C
è lì. È
lei. Come se avessi dovuto avere una conferma, dopo tutto quello che ho
visto,
che ho sentito, che so.
Con
un altro passo mi avvicino e
senza pensarci faccio una cosa assurda: allungo una mano e tocco la
sua.
Niente. Non succede niente. Scuoto la testa sconsolata.
Perché pensavo che
sarebbe successo qualcosa di grandioso? Una scossa, una vibrazione, un
cataclisma, un fulmine, qualsiasi cosa. E invece non è
successo niente.
Sospiro. Ma allora perché sono qui? Cosa devo fare?
“Ciao,
cara” Mi giro di scatto
verso la porta, che è rimasta aperta. Una signora, una
signora anziana a
giudicare dalle rughe profonde che vedo sulla fronte e intorno agli
occhi, mi
sta sorridendo. So che mi sorride perché le sue guance si
tendono e prendono
una forma che mi sembra di conoscere, sotto la mascherina.
“B…
B… Buonasera” Riesco a dire.
Stefano entra nella stanza subito dopo, insieme a un’altra
persona. Un ragazzo.
Un ragazzo con gli stessi occhi verdi della mia amica C. Tutti e due mi
guardano e osservano la mia mano sulla mano della ragazza stesa a
letto.
Colpevole, la ritiro velocemente.
“E
tu chi sei?” il tono di Stefano
è duro e fa quasi paura. Non si è ancora calmato.
Probabilmente si è arrabbiato
per qualche sciocchezza e non è riuscito a sfogarsi con
nessuno, così è ancora
nervoso. Stupita da questo pensiero sto per parlare quando la signora
accanto a
me dice: “È la fidanzata di Leo”
Mi
giro di scatto verso di lei.
Cosa ha detto?
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Capitolo 7 *** Nomi svelati ***
Nomi
svelati
-
-
“Cosa
dice, io…” Sono confusa e devono
capirlo anche loro, vedendo le loro facce. Poi, il tipo di fianco a
Stefano si
avvicina a me, ha la fronte aggrottata, deve essere confuso pure lui.
Non so se
la cosa mi rassicura o mi preoccupa, ma lui continua ad avvicinarsi. Mi
giro
verso la signora e dico: “No, mi spiace, si sta sbagliando.
Non sono la
fidanzata di nessuno”.
Il
viso della donna prende
un’espressione strana, e corruga la fronte come se io avessi
detto la cosa
sbagliata. Beh, saprò o no se sono la fidanzata di qualcuno,
no? “Allora chi
sei?” Stefano torna alla carica, è ancora nervoso
da prima. “Io sono un’amica
di…” Guardo la ragazza. Non so come si chiama. Non
sono una sua amica, ma è la
prima cosa che mi viene in mente. Ed è una stupidaggine,
perché Stefano alza un
sopracciglio e mi guarda nervoso.
Il
tipo che si era avvicinato a
me, scambia un’occhiata con l’attempata signora e
poi mi mette una mano sulla
spalla. “Ok, nessuno è fidanzato con
nessuno” Mi giro verso di lui. Ma cosa sta
facendo? E cosa sta dicendo? Sono tutti matti qui, non io. Loro.
Lui
si sgancia la mascherina
dall’orecchio e mi sorride. Ohi, Ohi. Sono abbastanza sicura
che non si possa
fare. Ma questo tipo ha fatto un sorriso da diavolo. Giuro. Da diavolo.
Ora,
Marco della 5F sembra un prete in confronto. Perfetto. Un bello che sa
di essere
bello. Sono i peggiori. Ehi, ma cosa ho pensato? Che questo tipo sia
bello? Beh,
sì. Sì, cavolo, ho pensato che lo fosse,
perché è dannatamente bello. Oddio mi
sto perdendo.
Lui
mi stringe appena la spalla e
mi riporta alla realtà. Poi il suo sorriso diventa diverso e
mi strizza un
occhio prima di girarsi verso Stefano. “È un
po’ confusa, mi sa. Sai, com’è non
capita a tutti di essere qui in questo posto…”
Lancia un’occhiata alla mia
amica C, nel letto immobile e il suo sguardo cambia ancora. Mi fa
tenerezza
adesso. La sua mano trema sulla mia spalla e sento quasi il bisogno di
abbracciarlo. Ok, Nicole, smettila.
Guardo
verso la porta. Ora ho bisogno di uscire da questa stanza.
“Perché
non andiamo a parlare qui
fuori, cara?” La signora mi guarda ancora, dopo aver
accarezzato la mano della
ragazza stesa. “Sì, andiamo pure. Io e la nonna
abbiamo tempo per stare con…
Celeste” Calca un po’ sul nome e mi guarda
facendomi l’occhiolino in modo che
Stefano non ci veda.
CELESTE!!!
Penso sorridente. Celeste.
La ragazza si chiama Celeste. Che bel nome. Immagino c’entri
con il cielo.
Celeste, celestiale, cielo. Annuisco e lui mi spinge appena verso la
porta.
Quando noto che anche la nonna vuole venire con noi, sbarro gli occhi.
Non
possiamo lasciare Celeste da sola con Stefano!
“Non
lasciate Stefano da solo con
lei” sussurro infatti. Il ragazzo spalanca gli occhi e la
signora annuisce
facendogli un cenno con la testa. Lui si avvicina al letto.
Esco
dalla stanza con la nonna e
ci sediamo su una delle poltrone vicino al muro. Lei si toglie la
mascherina e
guarda l’orologio. “Stefano non andrà
via fino alla fine dell’orario delle
visite” Sospira “Manca mezz’ora. Ti va se
ci troviamo qui fuori fra mezz’ora?” Non
so cosa dovrei dire. Guardo la porta chiusa della stanza. Non so chi
siano
quelle persone. Ma ho scoperto di Celeste. Sono tutte cose che mi
scombussolano. Qui fuori comunque c’è Sabina. Lei
saprà sicuramente aiutarmi.
Annuisco. “Vuoi tornare dentro insieme a me?” Il
suo sorriso è dolce. Dolce
come quello della nonna che non ho mai conosciuto e di cui mi
è solo stato
raccontato. Scuoto la testa. No. Non mi serve. Ho toccato la mano di
Celeste,
il suo tatuaggio, la sua pelle, ma non è cambiato niente.
Non tornerò dentro
adesso. Ma parlerò con loro. Con la nonna e con il ragazzo
con gli occhi verdi.
Improvvisamente
un’immagine si
materializza davanti ai miei occhi. Non è un flashback, ma
proprio un’immagine,
come una foto.
Due
bambini con gli occhi verdi giocano in un cortile. Quando le immagini
prendono
vita capisco che non è un ricordo. Non un ricordo vero. Sto
guardando un
filmino fatto con la telecamera. Uno di quei vecchi cosi che ci si
portava in
giro una volta, mica la fotocamera del telefonino. Sento le voci dei
due
bambini e capisco che la bambina sono io. No, non io. È
Celeste. E chiama ‘Leo’
il bambino. È suo fratello. Il fratello, già,
quello del quadro.
“Leo,
il ragazzo che è dentro la
stanza, è il fratello di Celeste?” chiedo quindi
conferma alla signora. Lei fa
un cenno con la testa. “Sì, sono entrambi miei
nipoti” La porta della stanza di
Celeste si apre e riusciamo a vedere Leo e Stefano che discutono. Lei
si alza e
mi richiede: “Ci vediamo qui fuori?” Annuisco e
inizio a togliermi tutte le
protezioni per uscire. Ora non vedo l’ora di farlo.
Quando
scendo le scale per tornare
al piano terreno, sono ancora imbambolata da tutto quello che
è successo. Prima
Stefano, poi il flashback, poi ancora Stefano e i parenti di Celeste.
Celeste.
Mi fermo su uno degli ultimi gradini. Celeste. Avrei dovuto immaginare
che si
chiamasse Celeste. Perché non lo sapevo? Perché?
Bo…
“Ehi,
Nicole, tutto bene?” Sabina
entra dalla porta della costruzione e mi guarda stranita.
“Vieni con me” La
porto fuori e ci nascondiamo dietro a una siepe.
Com’è che è pieno di siepi,
qui? Le spiego velocemente il mio flashback e quello che è
successo, intanto
tengo d’occhio la porta d’entrata. Spero di vedere
Stefano presto, così da
poter uscire da questo nascondiglio.
“Quanto
carino?” Sabina mi fa
voltare verso di lei con la sua domanda “Come? Di chi
parli?” lei sbuffa. “Del
tipo con gli occhi verdi. Il fratello di Celeste.
Quant’è carino? E quanti anni
ha?” E che ne so io? Ma ho detto che è carino?
Alzo le spalle. “Non lo so.
Comunque adesso lo vedi. Ci troviamo qui fuori con loro” Per
la prima volta,
riesco a meravigliare Sabina. “Ci troviamo con
loro?” ripete stranita.
“Sì.
Così vediamo di capire un po’
quello che sta succedendo, no? Non mi hai detto tu di fare
qualcosa?” Lei mi
guarda ancora con gli occhi sgranati. “Sì,
sì, solo non pensavo…” Cosa? Che ci
riuscissi? “Cosa?” lei si abbassa nel momento che
vediamo Stefano uscire dalla
porta “Non pensavo facessi così presto”
Oh. Sì, effettivamente sono stata
brava. No. Sono stata fortunata. “Sono stata
fortunata” dico, sconsolata. Lei
mi prende il viso fra le mani e mi dice: “Sei stata
bravissima. Andiamo” E ci
tiriamo su, proprio mentre escono dalla porta anche i parenti di
Celeste.
La
‘nonna’ come l’ha chiamata Leo
è una signora vestita con un abito lungo e colorato, ricorda
molto le donne
d’oriente, quelle asiatiche e il suo viso è dolce
e paffuto ora che lo vedo
senza la cuffia per i capelli. Poi mi giro verso Leo.
Leo
il fratello di Celeste. Oddio.
Non so quanti anni abbia questo ragazzo, ma non è tanto
più grande di me. Non
ha l’età di Stefano di sicuro. Sembra
più giovane. Forse… venti? Ventidue anni?
Gli guardo il fisico e santo cielo, non ho niente da obbiettare. Le
spalle, le
braccia, il torace. Quel camice faceva sembrare questo tipo un calamaro
fritto
e invece… Ha una ciospa di capelli ricci in testa, scuri e
bellissimi. Vien
quasi voglia di passarci le mani… Ma cosa sto pensando? Smettila, Nicole! mi sgrido ancora. Mi
volto verso Sabina e vedo
che lo sta guardando anche lei con curiosità. No. Non
è curiosità. È vero e
proprio interesse. Ehi! Le do una gomitata e lei si volta verso di me,
offesa.
“Non so se a Marco della 5F farebbe piacere vedere la tua
faccia adesso” le
sussurro un po’ sostenuta. Lei ride e alza un sopracciglio.
“Vuoi che lo lasci
a te?” la sua faccia è divertita e io mi
innervosisco. È una cosa seria! Torno
a guardarlo, loro non ci hanno ancora visto e stanno parlando a bassa
voce.
Però… O, andiamo, è veramente una cosa
seria! “Smettila! Pensi sempre a
quello!” Lei ride e ci avviciniamo a loro. “Avevi
ragione. È veramente carino”
Non ho MAI detto che è carino! Non riuscivo neanche a
vederlo sotto tutti
quegli strati di stoffa.
Quando
arriviamo davanti a loro,
la nonna ci sorride ancora, e, secondo me, anche Sabina è
rimasta incantata
dalla cosa. “Andiamo a casa a berci un tè,
così che possiamo chiarirci le idee
su ciò che è successo là
dentro?” Sabina annuisce alle parole della nonna,
mentre io dico: “Potremmo andare in un bar. In un luogo
pubblico…” Sono
infastidita che io sia l’unica ad aver pensato che andare a
casa di qualcuno
non fosse proprio una bella idea. Sabina e Leo si girano verso di me
con gli
occhi spalancati e la nonna mi sorride annuendo. “Certo,
Nicole. Possiamo
andare in una sala da tè. In un luogo pubblico”
Annuisco soddisfatta e poi mi
blocco di colpo.
“Come
fa a conoscere il mio nome?”
-
-
***Perdonate
il ritardo, è un brutto periodo... Buona lettura
|
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Capitolo 8 *** Alla sala da tè ***
ALLA
SALA DA TÈ
-
-
Come
fa questa signora a conoscere
il mio nome? La guardo mentre ancora mi sorride. Che sia una strega?
Una
veggente? Mi faccio un po’ di castelli in aria nel giro di un
minuto, quando
lei mi risponde: “Ho sentito l’infermiera che ti
chiamava” Oh. Imbarazzata abbasso
gli occhi, mentre sento Sabina ridere. Mi volto verso di lei e la
guardo
malissimo. Lei sta ancora ridendo ma intercetta il mio sguardo e si
contiene
almeno un po’.
Il
ragazzo che si chiama Leo,
infila le mani in tasca imbarazzato e dice ad alta voce:
“Allora andiamo a
prendere ‘sto tè?” Da come guarda il
muro della costruzione capisco che non gli
piace molto stare lì. Annuisco e mi incammino vicino a sua
nonna, lasciando
Sabina indietro, con lui. Voleva vedere quanto fosse carino? Beh,
Sabina, ora
guardatelo.
“Ha
detto a Stefano che sono la
fidanzata di Leo…” inizio una conversazione che
non so dove mi porterà e non so
neanche bene cosa dire. Lei si volta verso di me e mi mette una mano
sulla
schiena per guidarmi in una strada laterale. “Volevo
giustificare la tua
presenza con Stefano, non metterti in imbarazzo, scusami. Entra qui” Mi
accorgo solo in quel momento
dell’insegna della sala da tè. Pazzesco,
è veramente una sala da tè. Non
pensavo ne esistessero ancora. Davvero.
Così
la nonna voleva coprirmi con
Stefano? E perché? E perché dire proprio che sono
la fidanzata di… Mi volto
verso Sabina che sta chiacchierando e ridendo con Leo, che ora sembra
molto più
a suo agio di prima. Già, la mia amica fa questo effetto a
molti ragazzi. Una
strana sensazione di fastidio mi attorciglia lo stomaco. Dannazione,
sarò mica
gelosa? No, assolutamente no.
Aspetto
sulla porta che anche loro
si avvicinino e sento il cellulare di Sabina suonare. Lei non
è troppo sorpresa
e lo tira fuori subito, nella fretta di leggere quello che immagino sia
un
messaggio. “È Marco” mi dice sorridendo,
entrando nel locale dietro alla nonna
e mi fa l’occhiolino prima di riportare
l’attenzione al telefono.
“Chi
è Marco?” mi chiede Leo quando
arriva anche lui sulla porta. “È il suo
ragazzo” Rispondo io. Sono una stronza.
Mi sento una stronza. Ma non mi correggo. E lo guardo ghignando. Ma lui
mi
sorride e mi tiene la porta aperta per farmi entrare. Sono quasi
stordita e mi
sento in imbarazzo. Così entro velocemente e non dico
più niente.
Dentro
il posto è estremamente
affascinante. Davvero. C’è il profumo di quello
che penso sia patchouli,
mischiato alla vaniglia dei biscotti, ma è una sala da
tè o un forno? E poi,
come faccio a sapere che è patchouli? Non so neanche cosa
sia.
Una
signora vestita come la nonna
di Leo è intenta ad accogliere dei clienti. La saletta
è piena di tavolini
rotondi su cui sono posate tovaglie dai diversi colori e dalle forme
differenti. Su ogni tavolo c’è un centrotavola con
dei fiori, una candela e uno
strano vasetto.
“Sono
diffusori di essenze” La
voce di Leo mi solletica il collo, probabilmente perché si
è chinato per
parlarmi sottovoce all’orecchio, e quando mi volto verso di
lui, è dannatamente
vicino. “Come?” Lui si raddrizza e indica un tavolo
con il capo “Quei cosi lì,
sono diffusori di essenze, per questo c’è questo
odore. Mia nonna adora queste
cose” Oh. Diffusori. Veramente al momento sono più
preoccupata del fatto che
lui mi fosse così vicino più che del profumo
della stanza e sento la mia voce
tremare quando gli rispondo qualcosa.
La
nonna ci fa segno e si avvia a
uno dei tavoli. “Come si chiama tua nonna?” chiedo
allora a Leo mentre andiamo
anche noi verso il fondo del locale. “Non lo sai? Non sei
anche tu una
sensitiva o una medium?” Dal suo tono sarcastico capisco che
mi sta prendendo
in giro, però non capisco perché. “In
che senso?” Devo avere una faccia
confusa.
“Come
conosci mia sorella?” ora il
suo sguardo è indagatore, come se non si fidasse di me.
Effettivamente con sua
sorella, con Celeste, non c’entro niente. Alzo le spalle.
“Io non la conosco”
Ora è lui quello confuso. “Eri nella sua stanza
d’ospedale e non conoscevi il
suo nome” Annuisco alla sua constatazione. Effettivamente non
ho una
spiegazione per questo. Non una valida. Così mi affretto a
raggiungere il
tavolo.
Quando
raggiungo Sabina, mi siedo
vicino a lei e Leo si siede alla mia sinistra. Sua nonna, di cui ignoro
ancora
il nome, mi siede di fronte. Lei fa un cenno alla cameriera e questa
arriva
subito. “Carola, tesoro, puoi portare tè per tutti
e magari un piattino di
biscotti?” La cameriera le sorride. “Sicuramente,
Isabella. Volete anche un po’
di torta al cioccolato?” Sorrido contenta perché
ho appena scoperto come si
chiama la nonna e perché adoro il cioccolato.
“Sì, grazie mille” Poi mi giro
verso Leo e gli faccio una smorfia, mentre lui ordina un
caffè. Mi sa che è uno
che deve sempre distinguersi. Quando mi rivolto, noto che Sabina mi
guarda con
la fronte corrugata. Scuoto le spalle per dirle di lasciar stare.
Lei
sospira e si rivolge a nonna
Isabella: “Allora, signora Isabella
cosa…” Ma la nonna la interrompe subito:
“Tesoro, chiamami solamente Isabella” Sabina
annuisce e mi guarda di sfuggita.
Decido di prendere io in mano la situazione. “Cosa sta
succedendo, Isabella?
Perché lei non era sorpresa di vedermi, nella camera di
Celeste?” chiedo
direttamente.
Al
mio fianco, Leo si agita un po’
mentre si toglie la giacca. “Eh, no. Dicci tu chi sei. E
perché eri nella
stanza di Celeste” Lo guardo mentre appende la giacca alla
spalliera della
sedia. “Calmati, Leo. Sono sicura che Nicole aveva un buon
motivo per essere lì
e ci spiegherà tutto” Oh Isabella, vorrei davvero,
ma non so proprio cosa dire.
Mi mordo il labbro e lancio un’occhiata a Sabina. Anche lei
mi guarda. Decido
di togliermi la giacca anch’io, così giusto per
guadagnare un po’ di tempo.
“Veramente…”
inizio, quando gli
occhi di tutti, puntati su di me, cominciano a darmi sui nervi, ma sono
subito
interrotta da Sabina. “Nicole ha dei flashback di Celeste.
Dei ricordi. Dei
ricordi di lei e Stefano” La mia amica ha parlato tutto
d’un fiato e poi mi
guarda. “Sabina! Ora penseranno che sono pazza!”
esclamo forse a voce troppo
alta all’indirizzo della mia amica.
Sento
Leo sussurrare a bassa voce:
“Purtroppo no” Quando mi giro verso di lui, arriva
la cameriera con le nostre
ordinazioni, così non posso chiedergli niente. Cosa voleva
dire? Devo aspettare
finché la cameriera non se ne va e sto per chiederglielo,
quando nonna Isabella
dice verso di noi: “Immaginavo una cosa del genere”
Cosa? Mi giro verso di lei
così stupefatta che quasi non sento Leo mormorare:
“Ecco, ci risiamo” Ora mi
giro anche verso di lui. Sono dannatamente confusa. Non capisco niente.
Nonna
Isabella sta bevendo tranquillamente il tè e Sabina sta
messaggiando sotto il
tavolo con il cellulare. Cavolo, Sabina, Marco può
aspettare, no? Mi sento un
po’ agitata e per calmarmi faccio la cosa che mi viene
meglio: procrastino.
Così mi allungo a prendere una fetta di torta al cioccolato
e la divoro.
Veramente.
“Cosa
intende, Isabella?” chiedo
quando sono in fondo. Questi sono più strani di me. Facciamo
che saranno loro a
dare spiegazioni a me. “Sono una sensitiva. Anche Celeste lo
è. Immaginavo che
lei, essendo in coma, avrebbe fatto una scelta del genere e avesse
scelto di
comunicare con qualcun altro” Cosa? COSA? Mi giro verso
Sabina, spaventata
dalla naturalezza con cui la signora Isabella ha descritto la
situazione, ma
lei non l’ha ascoltata e sta guardando di nuovo sotto al
tavolo. Sbuffo e mi
giro verso Leo, che adesso mi guarda incuriosito, così
sussurro: “Cosa vuol
dire?”
Sabina
sceglie quel momento per
tornare al tavolo con noi e mi risponde: “Vuol dire che una
parte di Celeste è
entrata dentro di te” dice con la stessa naturalezza di
Isabella, infatti la
vedo annuire alla mia amica. No. Non è vero. Non
è possibile.
“Quando
è entrata in coma
Celeste?” ora Sabina si è rivolta direttamente
alla nonna. “Due settimane fa.
Il 13” Poi la mia amica si volta verso di me e annuisce
dicendomi: “È lo stesso
giorno in cui ti sei fatta male tu. Sei andata al pronto soccorso
e…”
improvvisamente inizio ad avere i brividi e a tremare. Vuole
convincermi che
una persona che è entrata in coma, sia uscita dal suo corpo
per entrare dentro
quello di qualcun altro? Dentro di me? Non riesco più a
seguire il ragionamento
della mia amica, che ora sta parlando con Isabella come se la
conoscesse da sempre
e come se questo argomento fosse una materia d’esame.
Mi
sento quasi male. Leo si avvicina
con la sedia e mi tocca un braccio. “Ohi, tutto
bene?” io guardo la sua mano e
poi alzo lo sguardo su di lui. “Non mi sento bene”
Lui annuisce.
“Effettivamente non hai una bella cera” Cerca di
fare un sorriso di sbieco, ma
mi sembra quasi preoccupato. Non gli rispondo e lui mi chiede se ho
bisogno di
andare in bagno.
No,
cazzo, Leo, vorrei avere
qualcosa di forte da bere. Com’è che nei film
quando le persone ricevono brutte
notizie gli danno qualcosa di figo tipo il cognac o il whisky e io
invece
dovrei andare in bagno? Scuoto la testa. Devo riprendermi. Sposto la
tazza del
tè e mi alzo.
“Scusate,
ma vi state sbagliando.
Mi sono inventata tutto. Non ho visto niente. Non so chi sia Celeste e
non
voglio sapere nient’altro. Vado a casa” Cerco di
afferrare la mia giacca ma le
mie mani non riescono a prendere appiglio. Sono maledettamente goffa.
“Tesoro,
ti abbiamo spaventato,
vero?” nonna Isabella improvvisamente è accanto a
me e, anche se mi ha appena
conosciuto, mi stringe in un abbraccio che mi fa sentire a casa. Non
sento
neanche le lacrime che scendono sulle mie guance, ma le vedo cadere sul
vestito
della nonna. Sento un formicolio. Ancora. Mi sembra di sentirlo da
quando sono
uscita dall’ospedale.
La
mia nonna. La mia nonna mi sta abbracciando e sto bene, so che tutto
andrà
bene.
Questa
volta non è un ricordo, ma
una sensazione. Senza rendermene conto dico “Ti voglio bene,
nonna” Lei si
stacca dall’abbraccio e mi sorride ancora, come
all’ospedale. “Anch’io ti
voglio bene” Ora sono imbarazzata. Difficilmente dico queste
cose ai miei veri
parenti, perché avrei dovuto chiamare nonna una perfetta
sconosciuta?
“Ok,
ora basta. Nonna, andiamo via”
Leo si alza dal suo posto e tira fuori il portafoglio dalla tasca dei
jeans. “Pensavo
che la conoscessi davvero. Non… questo, nonna”
dice, rivolgendosi a Isabella.
Possibile che lei avesse detto al nipote di conoscermi anche se non era
vero? Perché,
anche se la nonna è stata così gentile come se ci
conoscessimo, in verità non
ci siamo mai incontrate.
“Questa
sceneggiata è durata
abbastanza. Mi avevi quasi convinto, davvero. Ma quello che hai
detto…” È
arrabbiato con me. Arrabbiato? E perché? Perché
ho detto a sua nonna che le
voglio bene? Anche se non so perché l’ho fatto,
non vuol dire che io sia una
brutta persona, cavolo! “Non so chi sei, ma non mi interessa.
Non so come hai
fatto a sapere di Celeste, ma approfittare così del dolore
della gente…” Si
rimette la giacca e fa un cenno a nonna Isabella, che invece scuote la
testa
“Leo, no. Davvero. Non capisci, tu non ci hai mai creduto ma
io e Celeste
sappiamo che queste cose succedono
perchè…” Prova a fargli cambiare idea
la
donna, ma viene interrotta in malo modo.
“No,
nonna, non capisci tu. Chissà
perché hanno ideato questa farsa, ma tu sei troppo ingenua e
qualcuno deve
farti capire che non si può credere a tutti. Ci stanno
fregando” Lancia una
veloce occhiata a Sabina che ha gli occhi spalancati e poi mi guarda in
una
maniera veramente odiosa. Come se mi odiasse. E la cosa mi fa male.
Cavolo, non
ho fatto niente. Non sto cercando di fregare nessuno! Vorrei solo
capire cosa
sta succedendo.
Poi
un formicolio ormai così
familiare che a momenti non me ne accorgo neanche, mi anticipa:
“Oh, Leuccio, non credi mai a niente
tu,
quando ti ho raccontato di aver visto la mamma che metteva i regali di
Natale
sotto l’albero a casa di zia Tania, mi hai accusato di
essermi inventata tutto.
Sei sempre stato diffidente”.
Guardo
gli occhi di Leo, pensando
che siano due magnifici occhi verdi ora che non sento più il
formicolio, che si
spalancano e vedo il suo sguardo posarsi su di me. Dannazione!
“Ma…
cosa ho detto?” chiedo
guardandomi intorno.
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Capitolo 9 *** La foto ***
La
foto
-
-
“Cosa
ho detto? Cosa vuol dire Leuccio?”
Isabella e il nipote si
guardano e poi lui sospira rumorosamente. “Celeste mi
chiamava così quando
eravamo piccoli. Lo fa ancora, quando ha bisogno di attirare la mia
attenzione” Devo
aver la fronte corrugata. Lo sento.
Guardo Sabina perché ho bisogno di qualcosa di stabile,
visto che non capisco
più niente e lei mi viene vicino e mettendomi una mano sulla
spalla.
“Cosa
intendi?” La sento dire a
Leo. Lui si siede di nuovo sulla sedia. “Una volta eravamo al
telefono. Lei
continuava a dirmi che andava tutto bene, invece non era vero, aveva
bisogno di
me, ma non poteva dirmelo. Quella volta mi ha chiamato Leuccio. Lei sa
quanto
io odi quel soprannome…” Beh, effettivamente, come
dargli torto? Così annuisco
e gli faccio cenno di continuare. “Da quel momento, quando
c’è qualcosa per cui
lei vuole attirare la mia attenzione, mi chiama così. E ora
l’hai fatto tu” I
suoi occhi mi trapassano. Giuro. Non so cosa dire.
C’è ancora un po’ di accusa
nel suo sguardo, ma soprattutto un’emozione che non riesco a
capire. Anzi, che
capisco benissimo ma non so descrivere.
È un po’ quello che sento io: paura.
Paura di qualcosa che non conosco.
Tolgo
lo sguardo da lui e mi metto
a guardare le bustine di zucchero sul tavolo. Voglio andare a casa.
Tutto
questo non fa per me. Davvero. “Vado a casa” Mi
volto verso la porta ma
Isabella mi blocca, venendomi vicino e parlandomi a bassa voce.
“Sei sconvolta,
vai a casa, tesoro, ma… Possiamo restare in contatto? Sono
sicura che se
Celeste ha cercato di attirare l’attenzione di tutti noi, un
motivo ci sia. Ora
lei è al sicuro, in ospedale non può succederle
niente, ma preferirei che tu
prendessi il mio numero di telefono, così che se avessi
bisogno di dirmi
qualcosa…” io annuisco solo perché
voglio andarmene da lì e Isabella
scribacchia qualcosa su un foglietto. Quando me lo passa, leggo i
numeri, ma
senza vederli veramente e quando sto per metterlo in tasca, Sabina me
lo ruba
dalle mani.
“Ma…
è un numero fisso?” chiede,
rivolta prima a uno e poi all’altra. Isabella diventa rossa
sulle guance e non
mi era mai capitato di osservare una cosa del genere su una persona
tanto più
grande di me. “Io non ho il cellulare”.
“Va
bene, Sabina, dai. Voglio
andare a casa. Va bene così” Cerco di tirarla via
per andare verso la porta.
Come diceva prima Isabella, che probabilmente ha già capito
qualcosa di Stefano,
finché Celeste è in ospedale non corre rischi e
io voglio andare a casa.
“Aspetta”
Tutte e due ci voltiamo
verso Leo. Questa volta è lui che scrive qualcosa su uno dei
tovaglioli di
carta che ci sono sul tavolo e me lo allunga. Io guardo la sua mano e
il
biglietto ripiegato su se stesso. Poi riguardo lui.
“Cos’è?”
“Il
mio numero” dice lui. Oh.
Sento quasi le guance diventare rosse. Oh,
Nicole, smettila! Non ti sta dando il suo numero perché
vuole che lo chiami,
su. No. Di sicuro non è per questo. Scuoto le
spalle e sto per dire che non
lo voglio, quando Sabina glielo strappa dalla mano e sorridendo li
saluta. Mi sento
mentre li saluto anch’io e, senza che io me ne renda conto,
siamo fuori dalla
sala da tè.
Quando
arriviamo sotto casa mia, (Sabina
mi ha accompagnato pensando che non fossi in grado di arrivare fin qui
da sola)
la mia amica mi dice sorridendo e porgendomi
il biglietto: “Hai il numero di un bel ragazzo” E
mi strizza l’occhio. Come se
non ci fosse niente di più importante. Alzo le spalle. Non
mi interessa di Leo.
Non in quel senso. Non adesso. Davvero. Davvero… Distendo il
biglietto e guardo
i numeri. Davvero… Davvero? Oh, cavolo! Sento Sabina ridere
e un po’, quel suo
modo di sghignazzare, mi toglie la tensione dalle spalle. Poco dopo sto
ridendo
anch’io. “Oh, quanto sei stupida!”
Ma
Sabina ridacchia ancora. “Ah,
io?” Allora cerco di prendermi una piccola rivincita
“Hai già dimenticato Marco
della 5F?” dico dandole una gomitata. Mi odio nel momento in
cui ho paura che
le attenzioni della mia amica possano effettivamente essere passate sul
bel Leo
dagli occhi verdi e che, naturalmente, in quel caso non avrei
più nessuna
possibilità. Così abbasso lo sguardo e cerco di
non guardarla in faccia, per
paura che possa leggermi dentro come fa tutte le altre volte.
“Veramente
io e Marco usciamo
insieme domani sera” Cosa? Mi giro di scatto verso di lei.
“E perché non me lo
hai detto?” Lei sorride, di un sorriso un po’
più bello di prima. “Te lo sto
dicendo adesso. Mi ha invitato quando eravamo alla sala da
tè” Oh. Cosa dire?
Cavolo!! “Grande!” l’abbraccio contenta.
“E dove andate?” Lei alza le spalle.
“Non lo so” Allora la prendo a braccetto e
chiacchieriamo sul suo futuro appuntamento.
Dopo
mezz’ora mi sento un’altra
persona. Avevo bisogno di distrarmi, avevo bisogno di sparare cavolate
con
Sabina su qualcosa che non riguardasse l’ospedale o i lividi
o le ragazze in
coma. Avevo bisogno della mia amica. La mia amica che domani
uscirà con il
ragazzo più conteso delle quinte.
Quando
salgo la piccola rampa di
scale che divide la strada da casa mia, mi sento quasi gelosa di
Sabina.
Riguardo il biglietto. Leo sembra un tipo a posto. Dannazione,
è anche carino.
Riguardo di nuovo il foglietto e poi lo ripiego prima di fare qualcosa
di
assurdo.
Suono
il campanello perché anche
stavolta mi sono scordata le chiavi. Mi viene ad aprire Cristina che,
stranamente, oggi non mi guarda male, così la guardo io.
Deve essere successo
qualcosa, perché ha gli occhi gonfi e rossi e tira su con il
naso. Ma… ha
pianto? “Che cos’hai, Cristina?” Lei
scuote la testa e poi corre via. Uff. Ci
mancava solo questa. Guardo la porta della sua camera chiudersi e
intanto entro
in casa. Volgo lo sguardo in salotto e noto la mamma che mi guarda.
“Mamma?”
lei mi fa cenno di avvicinarmi e le vado vicino.
La
mamma mi dice che mi vede bene
e mi chiede come sto. Le rispondo che sto molto meglio di due giorni
fa. Le
spiego che ho raccontato a Sabina dei flashback e del fatto che voglio
cambiare
dottore, lei annuisce a tutto ciò che dico dicendo cose tipo
‘Sono contenta che
tu stia meglio’ e ‘Certo, come vuoi tu’
Così tante volte, che inizio a dubitare
che mi stia ascoltando davvero. Così glielo chiedo chiaro e
tondo.
Lei
balbetta e diventa rossa.
Oddio, ma tutti a me, oggi? “Scusami, tesoro, sembra che io
oggi mi perda
tutto. Prima Cristina, adesso tu…”
Perché ha nominato Cristina? “Cristina?
Cos’è successo a Cristina?” Mamma scuote
la testa e mi dice che non lo sa. Che
Cristina piange da quando è tornata da scuola e lei non sa
perché. Quando
inizia a parlare di cose disastrose come droga e coltelli, passando da
minacce
ed episodi di bullismo, è quasi in lacrime. Cosa sta
succedendo a mia sorella?
Cristina ha tredici anni, dannazione!
Mi
alzo decisa a capire un po’ di
più e vado a bussare alla porta della camera di mia sorella.
Quando mi fa
entrare noto che sta ancora piangendo. Entro e cerco, con tatto, di
carpire
delle informazioni.
Quando
un’ora dopo torno dalla
mamma, le dico, con enorme sollievo, che l’unico problema di
Cristina è un
amore non corrisposto e che, probabilmente, nell’ultimo tempo
l’ho fatta
preoccupare così tanto da farle perdere il contatto con la
realtà. Lei si scusa
con me ed è quasi ancora in lacrime. Anche la mia famiglia
è strana. Per
fortuna che non ho raccontato a mia madre dell’ospedale e di
Celeste. E di Leo.
Leo… ho il suo numero nella tasca dei Jeans. Lo tocco e poi
sospiro. Adesso
vorrei tornare in camera da mia sorella e farmi abbracciare da Cristina
come
prima ho fatto io quando mi ha raccontato che Cristian ha chiesto a Eva
di andare
al cinema invece che a lei. Sospiro e apro la porta di camera mia.
***
Il
giorno dopo è un venerdì e la sera,
mentre Sabina è uscita con Marco, io la passo giocando a
carte sul letto con
mia sorella, mentre mi racconta episodi successi a scuola da lei di cui
non mi
importa niente. Dopo l’ennesimo ‘e lei ha risposto
così’ sono sicurissima di
essermi meritata il paradiso. Giuro, nessuno dovrebbe subire una
tortura del genere
senza avere qualche gratificazione, ma sorrido e annuisco tutte le
volte che
c’è bisogno. Ho avuto anch’io tredici
anni e mi ricordo com’era, così non le
dico niente e cerco di essere gentile.
Quando
Cristina torna in camera
sua e mi lascia da sola, lancio uno sguardo al bigliettino con il
numero di Leo,
ancora piegato, che c’è sul mio comodino. Cosa
succederebbe mai, se, per la
prima volta in vita mia, fossi io a mandare un messaggio a un ragazzo?
Già,
cosa potrebbe succedere? Che ti dica un
chiaro e tondo no, Nicole? Mi dico. O peggio, che riesca a
trovare una
maniera per essere gentile e dirmi di no lo stesso? Sarebbe
umiliante… Ho
ancora il telefono in mano, quando lo sento vibrare e lo faccio cadere
sul
letto per lo spavento.
Lo
guardo speranzosa, poi mi dico
che è una stupidaggine. Non può essere chi penso
chi sia, perché lui non
ha il mio numero. Giro
lentamente il telefono e quando vedo nel blocco schermo che
è un messaggio di
Sabina, mi sento una stupida anche solo per averlo pensato, ma poi il
pensiero
si focalizza sul fatto che la mia amica è uscita con un
ragazzo quindi… perché
sta scrivendo a me?
Cerco
di sbloccare lo schermo, ma
mi inceppo almeno tre volte, prima di riuscirci, e leggo il messaggio
sgranando
gli occhi.
Stefano
è a cena con una tipa.
Cosa?
Ma poi, la parte razionale
di me, le risponde:
Magari
è sua sorella. O una sua amica. Non è un reato.
Il
messaggio che mi arriva dopo, invece, mi fa cadere la mascella.
Perché è una foto. Una foto di Stefano. Stefano
che sta baciando una tipa
sull’uscio di un locale. E la sua mano è sul suo
sedere.
Sicura?
Il
messaggio di Sabina arriva
proprio mentre sento il formicolio al petto. Dannazione. So chi
è lei.
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Capitolo 10 *** La ragazza nella foto ***
La
ragazza della
foto
-
-
So
chi è la ragazza che sta
baciando Stefano nella foto. Merda. Merda. Merda. Tiro un pugno al mio
cuscino
e le parole della canzone più bella di Vasco Rossi si
deformano sotto la mia
mano. Mi siedo sul letto e mi metto le mani nei capelli.
Riguardo
ancora la foto e mi
rialzo, cavolo, non riesco a stare ferma. Sono agitata. Sono Celeste.
Il
formicolio al petto mi rende consapevole. Ok. Celeste, so che sei qui,
qui con
me. E io sono qui, insieme a te. Ce la posso fare. Posso aiutarti.
Voglio
aiutarti. Possiamo farcela.
Probabilmente
la prima cosa da
fare è calmarmi. Respiro tre volte, piano e a lungo. Quando
mi rendo conto che
non ha funzionato del tutto, mi stendo sul letto. Sposto il telefono
sotto la
coperta per non vederlo e chiudo gli occhi. Pensa a qualcosa di bello.
Il
formicolio si fa un pochino più forte e io decido di non
opporre resistenza al
prossimo flashback.
Il
mare è bellissimo, nonostante la temperatura non sia proprio
ideale per un
bagno nell’acqua. Mi guardo intorno, non so dove sono, ma il
posto è piacevole
e mi sento bene.
Con
me c’è nonna Isabella e cammino con lei, a
giudicare dal suo viso e dall’età
che dimostra, questo deve essere un ricordo molto vecchio. Celeste deve
avere
forse dieci anni. Mi guardo ancora intorno, ma non
c’è nessun altro. Solo io e
la nonna.
Poi
Isabella si siede su una cunetta di sabbia, poco lontano dalla riva, e
mi fa
cenno di sedermi di fianco a lei. Io ubbidisco. Non so il
perché, ma so che sta
per parlarmi di qualcosa di molto importante e infatti non dico niente,
mi
siedo vicino a lei e tutte e due guardiamo verso il mare.
Passa
qualche minuto prima che la nonna rompa il silenzio e, quando lo fa, la
sua
voce è calmante e mi fa stare bene. “Non devi aver
paura di quello che hai
visto. Sei una persona sensibile, puoi percepire cose che al resto del
mondo
sfugge. È una cosa speciale” Per un attimo, penso
che stia parlando proprio a
me, me Nicole, invece che a Celeste, ma poi lei continua a parlare.
“Vedi,
Celeste, il fatto che hai visto quelle cose, non ti deve spaventare.
Non può
succederti niente di male. Lo so, perché capita anche a
me”.
“Anche
a te, nonna?” mi sento dire. Celeste, per la prima volta apre
la bocca e la sua
voce mi arriva come quella di una ragazzina spaventata. Quasi come lo
sono io.
Come lo ero qualche giorno fa. La nonna annuisce e sento richiedere
dalla
bambina: “E perché ci succede? Perché
non siamo uguali agli altri?” La nonna
sospira e mi sembra che scelga con cura le parole da dire:
“Perché siamo
speciali. Probabilmente la bambina che hai sognato ti sta chiedendo
aiuto” Mi
alzo in piedi, scuoto la mia gonna dalla sabbia e, con una tenacia che
non ho
mai avuto, mi sento decisa a cambiare il mondo.
“E
come faccio ad aiutarla, nonna? Io voglio aiutarla!” la nonna
si alza anche lei
e sorride. “Troveremo il modo. Non preoccuparti”.
Il
mio flashback finisce
improvvisamente. Ora però vorrei sapere della bambina. Chi
era? E poi,
sarà andato tutto bene? Il formicolio
al petto mi invade ancora e la sensazione di pace che mi ha lasciato il
ricordo
del mare non mi abbandona. So che la bambina di cui non so niente, sta
bene. So
solo questo. Ma mi fido di Celeste, così non cerco altre
soluzioni. Mi crogiolo
nel tepore del letto per qualche minuto prima di ricordarmi di Sabina,
Stefano
e la bella mora. Viviana. Si chiama Viviana. E io la conosco.
Vabbè, la conosce
Celeste, ma ormai, la conosciamo tutte e due.
Mi
risiedo velocemente, mentre
afferro il telefono e inizio a mandare messaggi a Sabina per informarmi
se lei
sia ancora al locale, se ci sono ancora anche Stefano e la ragazza e
tutte le
altre cose. Le scrivo di mandarmi la posizione, così posso
raggiungerla e le
dico che sarò da lei in meno di mezz’ora. Glisso
su tutte le sue domande su
come farò per raggiungerla e intanto mi vesto per uscire.
Non so ancora come
andrò in pizzeria, ma non voglio dirglielo. Mi sto infilando
il maglione quando
il cellulare inizia a suonare.
So
già che è lei, così interrompo
la chiamata prima ancora di risponderle e faccio una cosa
più importante:
prendo il numero di Leo dal comodino e salvo il suo numero prima di
scrivergli.
Gli
spiego velocemente che deve
venire con me in pizzeria e butto il telefono sul letto per infilarmi i
jeans.
Quando mi risponde, sbuffo perché non ha capito niente.
Chi
sei?
Ok.
Non sono mai stata molto brava
con le parole scritte, specialmente quando ho fretta di far le cose e
mi
dimentico che lui non ha il mio numero. Però non
è tutta colpa mia e ho già
perso tantissimo tempo, così lo chiamo e faccio prima.
Leo
per fortuna mi risponde subito
e, con mio enorme sollievo (e un bel po’ di soddisfazione) mi
riconosce senza
che gli dica chi sono. Mi fermo mentre sto abbottonando i jeans e
sorrido.
Immagino di sembrare un’idiota. Ma non riesco a non farlo.
Poi
mi ripiglio. Devo star lontana
da questo ragazzo. In quel senso, perlomeno, perché ho
bisogno di lui per
aiutare Celeste. Così gli spiego brevemente la situazione e
gli dico che ci
vediamo al locale. “Vuoi che ti venga a prendere?”
Una parte di me vorrebbe
dire di sì, vorrei davvero passeggiare avanti e indietro e
cercare i vestiti da
mettermi mentre penso che sta venendo da me, ma…
“No, ci vediamo là” E
interrompo la chiamata.
Il
cellulare suona ancora. Ma non
è lui. Già. Perché avrebbe dovuto
insistere dopo quello che ho appena scoperto?
Sospiro e rispondo a Sabina, forse un po’ troppo bruscamente: “Pronto?”
Sabina
non si lascia sconvolgere
dal mio tono e mi sgrida per non averle risposto. Sorrido. È
vero, ho
interrotto la chiamata, prima. Sto quasi per ridere, ma mi riprendo
pensando
alla situazione.
“Ho
chiamato anche Leo, gli ho
detto di venire” Sento Sabina rimanere in silenzio. Oh. Per
la prima volta è
senza parole? Cos’è, ha paura che il suo Marco
veda Leo? O che Leo conosca
Marco? Subito mi preoccupo, ma poi lei riprende la parola alla
velocità della
luce. “Giusto, giusto hai fatto bene a chiamarlo. Non ci
avevo pensato” Come? Ok
ok. Mi infilo una scarpa e le spiego che ho dovuto chiamarlo per forza,
perché
so chi è la ragazza. Anzi, lo sa Celeste. Scuoto la testa da
sola perché alla
fine non fa differenza. Così mi infilo anche
l’altra scarpa e sto per aprire la
finestra per uscire, visto che non ho intenzione di dire ai miei che
sto
uscendo per andare in un posto dove il mio ex si sta vedendo
clandestinamente
con una ragazza, quando lei mi chiede: “Come sai chi
è? E chi è?”
Apro
la finestra e salto giù,
cercando di non lasciare la finestra troppo aperta e mi incammino verso
la
pizzeria. Riavvicino il telefono all’orecchio e riprendo la
conversazione con
la mia amica.
“È
Viviana. La ragazza di Leo.”
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Capitolo 11 *** In pizzeria ***
In
pizzeria
-
-
Quando
arrivo in pizzeria, Sabina
si sbraccia per farsi notare e io mi dirigo subito verso di lei. Mi
siedo al
loro tavolo e saluto Marco, che sta mangiando una pizza e non mi guarda
male
per aver disturbato il loro appuntamento. Gli sorrido e poi chiedo a
Sabina:
“Loro dove sono?” Lei indica un punto in fondo al
locale e tutti e tre guardiamo
verso il tavolo nell’angolo. Per fortuna siamo abbastanza
nascosti ai loro
occhi ma noi riusciamo a vederli bene.
Stefano
è seduto su un divanetto angolare
e la ragazza è seduta vicino a lui, ma sull’altro
lato. Ridono e parlano come
se non avessero un problema al mondo. Come se Celeste non fosse in
ospedale e
come se lei non fosse la ragazza di Leo. Stranamente mi fa incazzare di
più il
fatto che lei stia tradendo Leo che il comportamento di Stefano.
Annuisco e mi
rivolto verso Sabina.
“Hai
detto che è la ragazza di
Leo…” inizia lei. “Sì,
l’ho chiamato, dovrebbe arrivare a breve” Marco,
che
fino a quel momento è stato tranquillo e zitto, dice:
“Non succederà un casino,
quando si troveranno tutti e tre?” Io e Sabina ci guardiamo e
spalanchiamo gli
occhi insieme. Cavolo, non ci avevamo pensato. E se qualcuno facesse
una
scenata? E se facessero a botte? E se… e se Leo…
si facesse male? O ne facesse
a Stefano e finisse tutto in tragedia? Oddio ora sono preoccupata
davvero.
Forse dovrei aspettarlo fuori e non farlo entrare.
Mi
sento vagamente paranoica, ma i
brutti pensieri tornano ad affollare la mia mente mentre vedo la porta
del
locale aprirsi e Leo entrare. Dannazione.
Mi
alzo per andargli incontro e per
bloccarlo prima che arrivi arrabbiato al tavolo, quando mi rendo conto
che non
è per niente arrabbiato. Mi vede e mi sorride.
Oh.
Sono confusa. Io, se beccassi
il mio ragazzo che si bacia con un’altra andrei su tutte le
furie. Lui...
sembra il Dalai Lama. Forse non ha afferrato la situazione? E
sì che gli ho mandato
la foto. Come l’ho riconosciuta io, guardando la foto,
dovrebbe averlo fatto
anche lui.
“Stai
bene?” mi chiede. Io
annuisco senza dire niente. Io? Io sto bene. Perché non
dovrei? “Lui dov’è? Non
ti ha visto vero?” Aspetta la mia risposta e poi si guarda
intorno. Quando il
suo sguardo si ferma nell’angolo,
il suo viso si fa diverso e scuote la testa. Oh, solo a me pare strano?
Mi
volto e guardo il tavolo dei due traditori. Beh, solo lei è
una traditrice. In
fin dei conti Stefano e Celeste si sono lasciati. Il formicolio al
petto mi
aggredisce e mi sento mancare il fiato.
“Ti
dico che non posso vivere senza di te!” Stefano sta urlando
in mezzo alla
strada e mi dà tremendamente fastidio che faccia una scenata
con i passanti che
guardano. Potrebbe quasi essere romantico se il suo tono non fosse
così duro e
la sua bugia così pietosa. L’ho lasciato ormai da
un mese, ma lui non ne vuole
sapere. Mi segue e mi manda continuamente messaggi. Non ho cambiato il
numero
di telefono soltanto perché dovrei spiegare alla nonna e a
Leo perché l’ho
fatto. E perché Stefano è così. Non ho
detto loro dei lividi, dell’occhio nero
né delle altre botte. Anche quelle psicologiche. Fanno male
anche quelle.
“Lasciami
stare, Stefano, te l’ho già spiegato: è
finita, lasciami in pace” Ma lui mi
prende per un braccio e mi fa girare su me stessa. Vedo il negozio di
abbigliamento, l’orefice
e la strada,
prima di tornare a guardare lui. “Tu sei mia. Non
è finita fino a quando non lo
decido io”.
La
sua presa sul mio braccio inizia a darmi fastidio e poi inizia a farmi
male.
Male davvero. Lo guardo, lui ha quello sguardo. Quello sguardo
allucinato che
ha quando si arrabbia. Inizio ad aver paura.
Improvvisamente
so cosa sta per succedere. Maledizione. Ma non posso fare niente. Posso
solo
assistere. Mi guardo intorno, cercando un aiuto che ora so che non
verrà da
nessuno e, spinta da una forza che non so da dove viene di preciso,
punto i
piedi e dico: “Non voglio stare con te. Sei un mostro.
Preferisco morire
piuttosto che stare con te” Il suo viso si trasforma
nell’impeto della rabbia e
i suoi occhi cambiano colore e si scuriscono. Ho ancora più
paura, anche perché
adesso so cosa sta per fare. Per farmi.
“Allora
muori” Fa un passo verso di me mentre mi dice queste parole e
sento il suo
alito sfiorarmi la faccia. Pochi attimi e mi trovo spinta in mezzo alla
strada.
In mezzo al traffico. Grido mentre vedo una macchina avvicinarsi a me e
tutto
diventa improvvisamente nero…
“Nicole!
Nicole!” Sento la voce di
Sabina come se mi arrivasse da un altro pianeta. Sbatto gli occhi e
capisco di
essere tornata al ristorante. “Nicole, stai tremando. Stai
bene?” Sabina è
proprio preoccupata. E io sono sconvolta. Guardo verso il tavolo
nell’angolo e
quando vedo Stefano accarezzare la mano della ragazza, mi viene la
nausea. Sto
sudando freddo e sento le lacrime sugli occhi. Faccio un passo verso di
loro,
anche se so che affrontarlo in questo stato non è una buona
idea.
Una
mano si appoggia sulla mia
schiena e sento quando vengo spinta delicatamente ma con fermezza,
così mi
ritrovo a camminare verso il bagno. Ok, mi lascio guidare ed entro
nell’antibagno. Quando mi guardo allo specchio, vedo le righe
che le lacrime
hanno lasciato sulle mie guance. Cavolo, sembro un cadavere. Tremo
all’idea che
avrei potuto esserlo. No, non io. Celeste. Celeste avrebbe potuto
essere un
cadavere.
“Un
altro flashback? Stai
piangendo…” Sabina ha ancora quello sguardo,
mentre mi passa un fazzoletto di
carta per asciugarmi le lacrime. La guardo. Guardo lei e Marco, alle
sue spalle,
che mi osserva stranito. Già. Povero Marco. Prima interrompo
il loro
appuntamento, ora monopolizzo la situazione. “No. Sto bene.
È stato un errore
venire qui. Scusatemi” Mi sciacquo la faccia e mi asciugo,
senza dire più
niente.
Non
so cosa stanno facendo loro,
perché non li guardo. Quando finisco, mi giro verso la porta
e li vedo tutti e
tre lì, a fissarmi. Sabina ha uno sguardo preoccupatissimo.
Cavolo, tesoro,
scusami. Mi avvicino a lei e le dico: “Torno a casa. Saby,
non preoccuparti,
goditi la tua serata. Penso io a tutto”.
Ma
Sabina non è la mia miglior
amica per niente e deve aver capito che sto mentendo, che non sta
andando tutto
bene e che voglio affrontare Stefano. Solo che lo farò
quando lei se ne sarà
andata.
“Certo, penserai a
tutto tu” inizia, ironica.
Non riesco a sostenere il suo sguardo e guardo da un'altra parte.
“Non piangi
mai, Nicole” continua lei, il suo tono un po’
più dolce “solo quando hai i
flashback. Ma stavolta tremavi più del solito. E ora dici
che vuoi andare a
casa… Non andrai da nessuna parte da sola. Non in questo
stato!”
Sbuffo
e sospiro nello stesso
momento. Non so se ha capito il mio piano o no, ma ora voglio andare
fuori dal
locale davvero. Non voglio parlarne adesso. Così guardo
Marco e gli dico: “Non
potresti baciarla adesso, così la smette di
parlare?” Vedo le guance della mia
amica farsi di un rosso acceso. Mi vien quasi da ridere
perché non l’ho mai
vista arrossire, ma voglio veramente che passi una bella serata con lui
e che
non pensi più a me.
“L’accompagno
io” Leo si è
intromesso nella nostra discussione. Lo guardo e cerco di prendere
l’occasione
al volo. “Sì. Vado con lui. Ciao Saby, ci vediamo
domani a scuola” Mi avvicino
a lei e velocemente le do un bacio sulla guancia ed esco dal bagno.
Spero
davvero di non aver rovinato il suo appuntamento.
Appena
nel salone, butto
un’occhiata al tavolo nell’angolo e mi blocco a
osservare Stefano e Viviana che
chiacchierano sottovoce. Mi sto calmando e la voglia di fare una
scenata sta
passando, per fortuna. Ma non la voglia di fare giustizia. Dovrei
portare via
anche quella ragazza, da lì. Anzi, dovrebbe farlo Leo.
La
porta dietro di me si apre e si
chiude. Sento il profumo di Leo dietro di me. Da
quand’è che so che profumo ha
questo ragazzo? Sento le guance arrossarsi. Dannazione! Mi sposto per
cercare
di andare verso l’uscita senza farmi vedere, quando la
ragazza alza gli occhi
su di noi.
Il
suo sguardo passa velocemente
da me a Leo. Cioè, lo immagino, visto che guarda dietro di
me e più in alto.
Sono preparata all’idea che la sua faccia si trasformi. Cosa
succederà?
Scoppierà a piangere? La sorpresa le farà
sbarrare gli occhi? Per un attimo
sento la sgradevole sensazione di essere io quella cattiva, e solo
perché ho
detto a Leo di venire qui. Forse non avrei dovuto dirglielo.
Ma
mentre penso queste cose, noto
che Viviana non ha fatto una piega alla nostra presenza, si
è girata un pochino
in maniera che Stefano non possa guardare nella nostra direzione e ha
ripreso a
parlargli. Come se noi non esistessimo. Beh, effettivamente lei non sa
chi sono
io… Ma sa chi è Leo. Perché non si
è sorpresa di trovarlo lì? Perché non
ha
fatto niente?
Mi
giro verso di lui e inizio,
sottovoce: “Ma cosa ca…” Lui, che stava
ancora guardando il tavolo, abbassa lo
sguardo e nota quanto io sia sorpresa, così mi prende per le
spalle e mi
trascina attraverso il locale. “Andiamo fuori. Ti
spiego”.
Sto
per puntare i piedi e chiedere
delle ulteriori spiegazioni come una bambina capricciosa, quando vedo
Sabina e
Marco tornare al tavolo e guardare verso di noi. Ok. Leo può
darmi le sue
spiegazioni fuori. Mi incammino verso la porta cercando di non attirare
l’attenzione. A questo punto mi sembra già ottimo
che Stefano non abbia notato
Leo. Perché ora non sono più sicura di niente.
Appena
apriamo la porta per uscire
non riesco più a trattenermi e mi giro di colpo verso di lui
che non fa in
tempo a fermarsi e ci scontriamo. Maledizione, cado quasi per terra,
mentre lui
non si è spostato di un millimetro.
La
sua mano mi copre un gomito e mi sorregge. Sono arrabbiata e strattono
il
braccio per liberarmi dalla sua stretta.
“Cosa
ti è successo là dentro?” mi
chiede, tutto d’un fiato. Ah, no, Leo. Qui sono io che ho
diritto a dei
chiarimenti. “Perché non sei incazzato? Non ti
interessa che la tua ragazza ti
tradisca?” Mi sento quasi una stupida. Cavolo,
perché ero più arrabbiata di
lui? Leo sospira e si passa una mano fra i capelli. “Non mi
sta tradendo”.
“Certo
che ti sta tradendo. È
fuori a cena con un altro. Ti ho mandato la foto mentre si baciavano.
Si vedono
chiaramente” Tiro fuori il cellulare e gli mostro la foto
“Lui è Stefano,
guarda, e lei è Viviana. L’hai presentata a
Celeste, idiota! Lei la conosce e
ora la conosco anch’io” Lui mi guarda in un modo
così triste che penso che
forse lei l’ha già lasciato e lui ci sia rimasto
malissimo. “Sì, è vero, l’ho
presentata a Celeste… lei… è dentro di
te? Tu vedi… le cose di Celeste? I
flashback che diceva la tua amica…” Uffa, sbuffo
pestando un piede. “Qui le
domande le faccio io! E solo dopo aver avuto le risposte che voglio, ti
racconterò dei miei flashback!” Lui, per niente
scosso dalla mia scenata,
annuisce.
“Ok,
cosa vuoi sapere?” mi chiede.
Lo guardo. Cosa voglio sapere? La cosa più importante:
perché Stefano ha
tentato di uccidere Celeste e non è in prigione. Ma dico
l’ultima cosa che
dovrei chiedere: “Perché dici che Viviana non ti
sta tradendo?”
“Perché
non si chiama Viviana, non
è la mia ragazza e le ho chiesto io di uscire con
Stefano” Oh. Sento un sorriso
nascermi sul viso senza che io riesca a contenerlo. Non ci riesco
davvero.
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Capitolo 12 *** Al pub con Leo ***
Al
pub con Leo
-
-
Non
si chiama Viviana e non è la
sua ragazza. Oh. La. Peppa.
Non
è la sua ragazza. Non è la sua
ragazza. Ma mica posso essere contenta per una cosa
così… stupida, giusto? Non
con tutto quello che sta succedendo. Così cerco di sembrare
intelligente e mi
schiarisco la voce: “E com’è che sia
chiama, allora?” No. No. Dovevo fare una
domanda intelligente tipo: ‘Perché non era
sorpresa di vederti?’ oppure ‘Perché
hai fatto credere a Celeste che fosse la tua ragazza?’ o
ancora ‘Perché stava
baciando uno che ha tentato di uccidere la sua ex?’ o
‘Che cosa vuol dire che
glielo hai chiesto tu?’
Queste
sì che sembrano domande
intelligenti, non quella che ho fatto io. “Scusa, non
intendevo questo. Volevo
dire…” quale faccio per prima? “Quindi
non hai una ragazza?” Oh cavolo. Vorrei
sotterrarmi. Davvero. Ora. Qui. Adesso.
Per
fortuna lui non risponde alla
mia stupida domanda perché sentiamo benissimo, tutti e due,
il mio stomaco
brontolare. Cavolo. Un’altra pessima figura. Lui scoppia a
ridere. Penso che
sia un po’ nervoso, infatti la sua risata è
strana, anche se dopo poco si fa
più naturale e contagiosa. Rido anch’io.
“Hai
fame?” mi chiede poi.
Effettivamente, adesso che me lo chiede e ci penso, realizzo di avere
fame. Non
ho cenato e mi piacerebbe tanto mangiare qualcosa. Guardo verso
l’entrata della
pizzeria. Non sono così tentata di tornare lì
dentro, ma darei un occhio per
mangiare una pizza. Annuisco guardando ancora l’insegna.
“Ok,
scommetto che con lo stomaco
pieno riusciremo a spiegarci meglio. Andiamo” Mi giro verso
di lui. Dove
andiamo? “Dove?” Alza le spalle e chiede:
“Pub?” Ok. Mi piacciono i pub.
Annuisco ancora.
Lui
mi prende una mano e mi fa
strada lungo il viale. Quando arriviamo vicino a una macchina blu, mi
lascia la
mano e cerca in tasca le chiavi. Resto perplessa. Salire in macchina
con lui? O
no? Il mio istinto di conservazione mi mette in allerta. Il mio essere
codarda mi
impone attenzione. Poi, alla fine, faccio una cosa totalmente nuova per
me: guardo
Leo che mi sorride e decido di andare con lui. Cavolo, cavolo, cavolo.
Mi
accoccolo sul sedile e lo
osservo guidare mentre mi parla. Mi sta dicendo qualcosa di importante?
Spero
proprio di no, perché sto osservando la sua mano sinistra
che gira il volante e
rimango incantata. Porta un anello al pollice e sul dorso della mano ci
sono i
segni di un tatuaggio che sparisce sotto la manica.
Mi
tiro un po’ su per sbirciare.
Che sarà? Sono così tentata di tirargli su la
maglietta che devo fermare le
mani per non farlo. Cavolo, perché questo non lo so
già? Celeste, dove sei
adesso? Perché non mi fai vedere anche qualcosa di bello,
ogni tanto? Tipo tuo
fratello senza maglietta? Siete mai stati al mare, Celeste? Sento un
formicolio
all’altezza del petto, ma sparisce quando mi accorgo che Leo
mi sta guardando
con un’espressione strana. Oddio, mi sono persa qualcosa?
“Nicole?
Stai bene?” Lui è confuso
e la sua faccia è tenerissima. “Sì,
scusami. Pensavo…” Non ho il coraggio di
confessare a cosa stessi pensando così interrompo la frase.
Ma lui si fa più
attento e mi chiede: “Celeste? Sei Celeste?” Mmm
cosa dovrei rispondergli? Vedo
nei suoi occhi troppa speranza e mi dispiace tantissimo deluderlo, ma
non
voglio finire in un vicolo cieco, così scuoto la testa
“No. Non funziona
proprio così. Io vedo dei ricordi di Celeste, ma non
è che lei è con me e mi
parla o cose così” Lui annuisce e si intristisce.
Dannazione. Mi dispiace così
tanto.
"Sì,
scusami. Va bene
qui?" lui cambia discorso e indica un posto fuori dal finestrino.
Guardo
anch'io. È un pub. Un pub tedesco. Ne ho sentito
parlare, è famoso per la
birra, ma io non ci sono mai stata. Annuisco e scendiamo dalla macchina.
Quando
entriamo nel locale, noto
che è un po’ affollato, c’è
infatti un po’ di gente che va avanti e indietro
anche nell’ingresso. Quando vengo quasi travolta da tre
ragazzoni che si
spintonano, Leo mi mette una mano sul
fianco e mi sposta di lato. Sento un brivido che dal collo mi scende
lungo la
schiena. Non il formicolio di Celeste, non un brivido di freddo, non un
tremore
di paura. Un brivido da contatto. Lui mi tocca e io rabbrividisco. Lui
mi
guarda e io mi sciolgo. Cavolo, dovrei stare lontana da questo ragazzo,
tutto
questo non sono sicura mi faccia bene.
Mi
sposto dalla sua mano ma me ne
pento subito. Mi piaceva il calore che emanava. Mai che ne faccia una
giusta,
dannazione. Ci sediamo a un tavolo e ordiniamo. Ho una fame terribile
ma poi mi
rendo conto che sono da sola con un ragazzo che è veramente
carino e mi sento
imbarazzata tanto da farmi chiudere lo stomaco. Sento un formicolio al
petto e
mi ricordo di Celeste. Giusto, giusto. Non è un
appuntamento. Siamo insieme
perché lui è il fratello di Celeste. La ragazza
di cui io vedo i ricordi. La
ragazza che è stata quasi uccisa dal suo ex!
Appena
il ragazzo delle
ordinazioni va via, lui allarga le mani sul tavolo e inizia a
spiegarmi:
“Claudia, la ragazza che c’era in pizzeria e che
non si chiama Viviana, l’ho
conosciuta in palestra” Oh. Mi sta raccontando di una sua
fiamma? Di una che si
è scopato in palestra? Calmati Nicole, calmati.
Sono
tentata di interromperlo per
fargli una qualsiasi domanda, ma lui continua: “È
una psicologa e lavora con la
polizia. Le ho chiesto di abbordare Stefano, dopo che io e la nonna ti
abbiamo
visto in ospedale. Mia nonna pensa che sia successo qualcosa
di… brutto” Oh.
Niente sveltina in palestra. Cavolo, Nicole stai attenta! È
una cosa
importante! Giusto. È importante.
“Stefano
la picchia. Nei suoi
ricordi ho visto lividi e occhi neri” Dal suo sguardo capisco
che sia colpito e
che magari si senta in colpa. Non ho il coraggio di dirgli
dell’incidente,
anche se so che dovrò farlo.
“Ho
avuto il sospetto che qualcosa
non andasse un po’ di tempo fa. Celeste era cambiata, non
usciva più, non mi
telefonava… Noi… siamo cresciuti senza genitori,
siamo molto legati… Quando lei
ha iniziato a evitare di uscire con me o a incontrarmi, ho capito che
stava
succedendo qualcosa. Così ho chiesto aiuto a Claudia. Lei ha
avuto a che fare
con queste cose e diceva che spesso le donne negano o si rinchiudono in
se
stesse” Annuisco anche se non capisco proprio tutto, non ho
mai conosciuto
nessuno in questa situazione, prima d’ora.
Leo
continua: “Claudia mi ha detto
che voleva conoscerla, così avrebbe potuto capire dal suo
comportamento se i
miei sospetti erano fondati e io ho avuto l’idea di
presentarla come se fosse
la mia ragazza e di darle un altro nome. Mi sa che ho solo complicato
le cose”
Il suo sguardo è così dispiaciuto che mi fa male
guardarlo. Poso una mano sul
suo braccio e gli dico quello che mi è appena venuto in
mente.
“Un
mese fa Celeste ha lasciato
Stefano. Forse Claudia l’ha aiutata davvero” Lui si
blocca “Si sono lasciati?”
Annuisco. “Non lo sapevi?” Lui scuote la testa. Oh,
perfetto, ora è ancora più
confuso.
“Perché
lui viene in ospedale se si
sono lasciati?” ok adesso dovrei intervenire io, spiegargli
quello che ho
visto, ma arrivano i nostri panini e sfuma il momento. Come faccio a
riprende
l’argomento? Non è una cosa che si possa dire
così…
Dannazione,
Nicole, svegliati! Una
donna è stata quasi uccisa dal suo ex e tu sei qui a farti
problemi sul momento
giusto? “C’è una cosa che dovete
sapere… L’ho visto adesso, cioè
prima… in
pizzeria…” Mi sto in tartagliando e non so bene
quello che sto dicendo.
“Il
flashback che hai avuto prima,
intendi?” Oh. Per fortuna è uno sveglio. Annuisco
e, senza volere, mi avvicino
a lui “Io ho visto il momento
dell’incidente… È stato Stefano a
spingerla” Lui
spalanca gli occhi e un lampo cattivo gli attraversa lo sguardo. Fa
quasi
paura. “COSA?”
“Shhhh!”
lo zittisco e mi guardo
intorno per vedere se qualcuno si è girato verso di noi, ma
non ci calcola
nessuno. Poi sento la sua mano prendere la mia e stringerla. Oh,
cavolo, com’è
calda.
“Sei
sicura?” annuisco. “Sì, lui
ha anche detto ‘Allora muori’ prima di
spingerla” Sento un brivido di paura
mentre ci ripenso e lui lo nota. “Deve essere brutto per te,
vederlo. Per
questo tremavi…” non so cosa dire, tremavo
così tanto? Beh, sto tremando anche
adesso, effettivamente.
“Non
dobbiamo lasciare Stefano da
solo con lei in ospedale” Lui toglie la mano dalla mia per
prendere il
bicchiere, mentre annuisce. Mi manca già il suo contatto.
Nicole! Ripigliati, è
importante!
“Anzi,
dobbiamo impedire che lui
possa vederla. Secondo te, si può fare?” la sua
domanda mi lascia un po’
stranita, perché lo chiede a me? Però io posso
scoprirlo. “Conosco una delle
infermiere, posso chiedere a lei, se si può fare” Lui mi sorride e
dà un morso al panino.
“Verresti con me in ospedale, domani?”
Domani?
Domani io ho scuola. Beh,
ho due ore della Bellacchi, di sicuro non mi perderò niente
di che. “Immagino
di sì” Lui finisce il panino in silenzio e
anch’io mangio. Poi il suo cellulare
suona. Oh, sarà Claudia/Viviana che lo aggiorna e magari gli
chiede di passare
da casa sua? Mi do dell’imbecille da sola e bevo per non
farmi beccare
interessata alla telefonata.
Leo
risponde a monosillabi e poi
sorride. Dannazione, lei lo fa sorridere così? Vorrei farlo
io… Nicole! Nicole!
Mi continuo a sgridare. “Te la passo” Lo sento dire
al telefono e poi lo porge
verso di me. Come? “Ma cosa?” chiedo.
“È tua sorella” Cosa? Chi?
Perché
Cristina ha chiamato Leo? E
poi, come faceva a sapere il suo numero? Rispondo con mille
interrogativi e
dico un labile: “Pronto?”
“Si
può sapere dove cazzo sei
sparita?”
|
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Capitolo 13 *** Il ticchettio della pioggia ***
Il
ticchettio della pioggia
-
-
“Si
può sapere dove cazzo sei
sparita?”
La
voce di mia sorella mi rimbomba
nelle orecchie. Dovrei sgridarla per aver detto una parolaccia, ma
taccio.
Allungo la mano nella tasca della giacca posata di fianco a me e tiro
fuori il
telefono. Ho diciotto chiamate perse da Cristina. Cavolo! Non me ne
sono
accorta.
“Scusa,
Cristina, non ho sentito
il telefono…” inizio a scusarmi, ma lei mi
interrompe subito: “Sei fortunata
che sono venuta io in camera tua e non la mamma, altrimenti sai che
casino sarebbe
scoppiato?” Mia sorella sospira e io capisco che un
po’ si è preoccupata
davvero. “Cosa le hai detto?” mi informo, prima di
chiedere qualsiasi altra
cosa.
Cristina
si scandalizza e grida:
“Ma niente! Ti ho parato il culo, Nicole! Anzi, dovresti
ringraziarmi” Ok, ha
perfettamente ragione. “Oh, certo. Grazie,
io…” il mio tono si abbassa un po’ e
cerco quasi di nascondermi mentre le parlo. Lancio
un’occhiata a Leo, ma lui si
finge interessato al cartoncino del menù e non mi guarda.
Chissà se lo sta
facendo perché sa che mi sentirei in imbarazzo se mi
guardasse…
“Ascolta,
non so cosa potrebbe
succedere se la mamma decidesse di entrare in camera tua,
perciò vedi di
tornare subito a casa, ok? Io non ti copro più” Va
bene, va bene. Chiudo la
telefonata promettendole di tornare presto e restituisco il telefono a
Leo.
“Ora devo proprio andare” Mi alzo dal tavolo e
afferro la giacca.
Lui
si alza con me. “Ti accompagno”
Non dico di no, perché effettivamente, se mi accompagnasse
lui, arriverei a
casa in poco tempo e non posso permettermi di perdere questo lusso,
così
annuisco. “Grazie”.
Quando
usciamo dal pub, ci
rendiamo conto che ha iniziato a piovere e siamo tutti e due senza
ombrello.
Decidiamo di fare una corsa fino alla macchina e saliamo in macchina
eccitati e
zuppi d’acqua. Lui mette in moto mentre io ancora ridacchio
un po’ istericamente
e guardo fuori dal finestrino, mentre l’auto lascia il
parcheggio.
“Dove
abiti?” mi chiede,
voltandosi verso di me. Glielo spiego e lui gira in una via sulla
destra. In
meno di dieci minuti siamo sotto casa mia. Sta ancora piovendo e mando
un
messaggio a mia sorella per dirle che sono sotto la finestra e le
chiedo di aprirmela.
Mentre aspetto la sua risposta Leo mi chiede se è tutto
confermato per domani.
“Certo” dico, cercando di tirarmi su il cappuccio
della felpa visto che fuori
piove ancora.
Il
cellulare che ho appoggiato sul
cruscotto vibra, segno che Cristina mi ha risposto e tutti e due ci
allunghiamo
a prenderlo. Quando quasi ci scontriamo, lo afferro velocemente e Leo
si scusa.
Cavolo com’è gentile, altro che i ragazzi in
classe da me! Alzo gli occhi su di
lui e sono così contenta che ci sia tutto questo buio,
perché sento le guance
scaldarsi. Sto arrossendo. No, no, no. Cavolo, no.
Leo
non se ne accorge, perché mi
guarda intensamente e per un attimo, visto che siamo ancora
così vicini, penso
voglia baciarmi. Siamo a un soffio l’uno dall’altra
e non è che me lo immagino
per niente, visto che lui si avvicina ancora. Quando è
così vicino da non poter
far nient’altro, io sono completamente imbambolata.
Niente
e nessuno potrebbe
distrarmi da questo ragazzo, penso mentre il ticchettio della pioggia
sul vetro
mi coccola come la colonna sonora di un film romantico. Sto per
chiudere gli
occhi mentre il mio cuore si dibatte furiosamente come se volesse
scappare dal
mio petto, quando il mio telefono vibra ancora e cavolo, sembra
più rumoroso di
un terremoto. Apro gli occhi e vedo Leo farsi indietro. No, no! Cavolo!
“Mmm”
mormoro, cercando di
togliermi dall’imbarazzo guardando il telefono e odiando
profondamente
Cristina. “A domani?” mi chiede lui, visibilmente a
disagio. Annuisco senza
dire niente e lo saluto prima di scappare dall’auto,
perché è proprio quello
che faccio, scappare, tanto che non sento neanche la sua risposta.
Arrivo
davanti alla mia finestra e
vedo mia sorella affacciata con una faccia strana. Salgo mettendo un
piede
sulla finestra della cantina e mi tiro su. “Eri con Leo? Vi
siete baciati?” mi
chiede lei appena mi siedo sul letto per togliermi le scarpe. Ma come
fa
saperlo? Sono talmente sbalordita che non mi trattengo: “E tu
come lo sai? Mi
hai spiato?” lei ridacchia e mi indica “No, piove
così forte che non si vede
niente, ho tirato ad indovinare perché sei tutta
rossa” Ride ancora e questa
volta vorrei strozzarla, mentre sento ancora calore sulle guance.
“Come
hai fatto a chiamare Leo?”
le chiedo, mentre metto le scarpe nell’armadio e mi giro
verso di lei quando
sento che si schiarisce la voce. Ha in mano il bigliettino che mi ha
scritto
Leo alla sala da tè e mi guarda con uno sguardo sornione.
Devo averlo scordato
sul letto nella fretta di uscire. Già, sono proprio brava,
penso ironica.
Sbuffo e mi siedo sul letto. Quando Cristina si siede vicino a me, mi
chiede,
più seria: “Sicura di stare bene?” No,
Cristina, sono perfettamente sicura del
contrario.
Mi
sdraio mentre mi confido con
mia sorella. Non le nascondo niente della storia di Celeste, forse per
via
della stanchezza fisica o forse per via dello stress psicologico che mi
sento
addosso, così, quando lei, alla fine del mio discorso, mi fa
la domanda, mi
trova totalmente impreparata: “Non c’era una
telecamera per poter vedere quello
che è successo? Molti negozi le installano per la
sorveglianza, lì non ce n’era
neanche una?”
Come?
Come? Mi tiro a sedere tutta
d’un colpo e la guardo. È seria, non mi sta
prendendo in giro. “Una telecamera?”
Ma se ci fosse stata una telecamera, la polizia avrebbe di sicuro
richiesto il
video. O no? Glielo dico, ma lei alza le spalle. “Dipende.
Magari lo fanno solo
se chi investe scappa via o se le testimonianze non coincidono. Tu sai
cosa è
stato detto alla polizia?” No. Non lo so.
Ma
come fa Cristina a sapere
queste cose? La guardo alzando un sopracciglio e lei alza le spalle,
come se
avesse già capito la mia domanda. “Mi piacciono le
serie tv” Sospiro. Dovrei
dirle tantissime cose, ma in questo momento non ci riesco. Sto ancora
pensando
alla storia delle telecamere e della polizia.
Claudia
lavora in polizia. Di
sicuro lei, alla telecamera, ci avrà pensato. Beh, lo spero,
almeno. Magari…
guardo il telefono che ho appoggiato sul cuscino: dovrei scrivere a
Leo? Dovrei
chiederglielo? Dopo quello che è successo in macchina? Mi
sento ancora in
imbarazzo, cavolo. Probabilmente ogni volta che sentirò il
ticchettio della
pioggia sui vetri, penserò a quell’imbarazzante
momento.
Poi
il mio cellulare vibra e sullo
schermo appare un messaggio di Leo in cui mi chiede se sto
già dormendo.
Sorrido. Cristina guarda il telefono e poi guarda me.
“Vabbè, dai, io vado a
letto” La saluto mentre penso a cosa rispondere a Leo. Prendo
il cellulare e
apro la chat, ma mi rendo conto che non so cosa scrivere.
Vorrà
parlare di quello che è
successo prima? Io però vorrei parlargli della storia della
telecamera. In fin
dei conti, domani potremmo andare là dove Celeste
è stata investita. Sento un
formicolio al petto e capisco che potrebbe essere una cosa buona. Sto
per
scrivergli, decisa come non mai, quando il mio telefono inizia a
vibrare per
l’arrivo di una chiamata. È lui. Oh. E ora che
faccio, rispondo? Certo, certo
che devi rispondere, Nicole!
Rispondo
mentre mi ristendo sul
letto. “Pronto?” tengo un tono di voce basso per
paura che mi possano sentire i
miei genitori che di sicuro non approverebbero che io sia al telefono a
quest’ora e sorrido al soffitto. “Lo sai che si
vede quando sei online, vero?” Esordisce
lui. Oddio! Scoppio a ridere e non riesco più a contenermi.
***
Quando
il giorno dopo Leo mi viene
a prendere vicino alla scuola, sono troppo euforica e non dovrebbe
essere lo
stato d’animo per quello che dobbiamo fare, ma non riesco a
farci niente. Ieri
sera abbiamo parlato al telefono di tante cose, oltre a Claudia e alla
storia
della telecamera e Leo mi piace sempre di più. Ha una voce
così profonda… Però
siamo qui per una cosa importante, visto che la nostra prima tappa
è l’ospedale.
Dobbiamo
riuscire a impedire a
Stefano di andare da Celeste. Chissà cosa potrebbe
succedere… Ora sono
consapevole di quanto sia pericoloso. Leo ha già contattato
Claudia per la
storia della telecamera, ma gli ha risposto che deve informarsi
perché non è
lei a occuparsi delle indagini, così decidiamo di fare un
salto sul luogo
dell’incidente, dopo essere andati in ospedale. Devo
ammettere che un po’ la
cosa mi dà i brividi, ma cerco di non pensarci.
Per
fortuna Lisa è al lavoro
quando arriviamo in rianimazione. Le parliamo brevemente per il
discorso di
vietare a Stefano di vedere Celeste, ma senza spiegarle il motivo,
visto che
sarebbe troppo complicato e noi abbiamo altri giri da fare. Lisa ci
dice che
dobbiamo andare prima dalla caposala e lei ci informerà
della procedura giusta.
Viene con noi mentre ci dirigiamo verso la stanza occupata dalla
caposala e
intanto continua a spiegarci come funzionano le cose.
Quando
arriviamo davanti alla
porta della guardiola, si ferma e ci domanda: “E il ragazzo
che viene all’ora
di pranzo? Lui lo dobbiamo fare entrare o no?”
Guardo
Leo, che guarda me con gli
occhi sbarrati mentre scuote la testa. Oh, bene, siamo in due ad essere
sorpresi, Leo, perché non ho la più pallida idea
di chi stia parlando.
|
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Capitolo 14 *** Chiacchiere con Sabina ***
Chiacchiere
con Sabina
-
-
“Perché
non rispondi ai miei
messaggi?” Sabina entra in casa mia appena le apro, con
l’irruenza di un
battaglione medievale e io riesco a spostarmi appena in tempo prima di
venire
travolta.
“Ciao,
Sabina” la saluto
ironicamente. Lei ciondola la mano davanti al mio viso e sbuffa.
“Non farlo mai
più!”
“Cosa?”
le chiedo, ma so a cosa si
riferisce, sto solo prendendo tempo. “Ti ho mandato almeno
trenta messaggi e ti
ho telefonato stamattina all’intervallo e anche quando
è finita la scuola. Non
mi hai mai risposto” Il suo sguardo è tremendo. Mi
trapassa e mi fa sentire in
colpa. Non le ho risposto perché non volevo raccontarle di
quello che è
successo in macchina con Leo.
Non
voglio farlo perché mi
vergogno e perché so di sicuro che lei ha baciato Marco e
che la sua è stata
una serata perfetta. Sospiro e mi siedo sul letto. “Ok,
scusami…”
Lei
si siede vicino a me e mi
mette un braccio sulle spalle. “Ehi, Nico, che succede?
È successo qualcosa?
Stefano ha fatto per caso…” Io scuoto la testa e
la interrompo: “No. Niente di
così grave. Ma ho delle
novità…” Decido di parlare di Celeste
così da non dover
raccontare niente di Leo.
So
già che Stefano e Claudia sono
andati via abbastanza presto dalla pizzeria, perché Claudia
l’ha raccontato a
Leo e lui me l’ha riferito. So praticamente tutto di
com’è andata la serata. Mi
ero chiesta se Claudia avesse baciato apposta Stefano e invece
è saltato fuori
che lei è stata presa in contropiede, ma è
riuscita a giostrarsela bene; l’ha
allontanato senza inimicarselo, infatti potrebbero uscire ancora. Spero
che
questa parte Claudia se la sappia gestire bene, ma
d’altronde, è lei che lavora
per la polizia, quindi…
Parliamo
di questo e del fatto che
Claudia ha riconosciuto alcuni segnali, ma ancora non può
dire niente, così
racconto a Sabina di come ho passato la mattina. “Sei
tremenda!” grida ridendo
mentre mi tira il cuscino sulla testa “Potevi dirmelo che non
saresti venuta a
scuola…”
È
vero, non gliel’ho detto.
“Sabi…”
inizio, ma lei ride ancora. È stupenda perché non
ce l’ha mai con me. “Lo so lo
so, volevi tenerti Leo tutto per te!” Mmm mi vergogno a dirle
che con lui è
stato un fiasco, così faccio finta di niente e le spiego del
tipo che va a
trovare Celeste all’ora di pranzo.
“Wow,
e chi è?” mi stringo nelle
spalle. “Non lo so. Oggi non è venuto”
Sabina si raddrizza sul letto. “Come non
è venuto?” scuoto la testa e lo ripeto.
“Non lo abbiamo visto. Lo abbiamo
aspettato, ma non si è visto” Vedo le spalle della
mia amica cadere. Sì, anche
noi ci siamo rimasti male. Beh, a dir la verità io ho
passato un’ora e mezza su
una poltrona vicino a Leo a chiacchierare ed è stato quasi
divertente, a parte
la situazione. Leo, come ho scoperto ieri sera, è simpatico
e sa come intrattenermi
senza essere noioso o arrogante. O forse sono io che pendo dalle sue
labbra
come un’oca? Vabbè, comunque mi piace ancora.
Nonostante
ieri sera si sia tirato
indietro invece di baciarmi. Oddio è stato così
umiliante. Sto per tornare nel
limbo dell’autocommiserazione quando Sabina mi chiede
qualcos’altro e
riprendiamo a parlare. Almeno mi scordo di pensare a Leo.
Sentiamo
bussare alla porta
proprio mentre sto per chiedere a Sabina della sua, di serata,
così insieme
gridiamo: “Avanti” E poi ci guardiamo scoppiando a
ridere. Cosa farei senza
un’amica come lei? Freno l’impulso di abbracciarla
di getto, perché Cristina
entra in camera e mi chiede se le presto il mio maglione rosso. Per la
cronaca,
è il suo maglione preferito, ma è mio. A me
neanche piace molto visto che il
rosso fa a botte con i miei capelli. Mi faccio un po’ pregare
e la torturo un
pochino. Infatti, nonostante tutto, sono di buon umore, Sabina riesce
sempre a
farmi stare bene.
“Esci
con qualcuno?” chiediamo
quasi insieme io e la mia amica, torchiando mia sorella, che sospira,
consapevole che se vuole il mio maglione, qualcosa dovrà
raccontarci per forza.
Giochiamo un po’ con lei, ma anche Cristina si diverte e alla
fine le consegno
il maglione e lei, prima di uscire dalla porta si volta verso Sabina e
le dice
ammiccando: “Nicole ti ha raccontato del bacio?”
Spalanco
gli occhi mentre Cristina
ride forte e la porta si chiude quando le tiro dietro un altro dei miei
cuscini. Cavolo! Mi giro verso Sabina che mi guarda ghignando
“C’è qualcosa che
non mi hai detto?”
No.
No. Non posso sempre essere la
sfigata! No. Non voglio raccontarglielo. Mi risiedo sul letto e mi
prendo il
viso fra le mani per l’imbarazzo. “Oh,
Sabi… è stato così umiliante. Non ci
siamo baciati… lui… Leo…”
cerco di mettere insieme una frase senza riuscirci.
“Leo?”
sento Sabina sedersi vicino
a me e accarezzarmi la schiena. È dolce come una zia, quando
vuole. “Cosa ha
fatto Leo di umiliante?” Tolgo le mani dal viso “Si
è tirato indietro prima di
baciarmi. E io avevo già chiuso gli occhi” Vedo la
sua espressione addolorata,
la sento, quasi, sento che sa quello che provo. So che adesso
dirà che le
dispiace e che io merito di meglio. Non è così
che si fa? Non mi ricordo
l’ultima delusione amorosa che ho avuto, quindi la memoria mi
fa un po’
cilecca. A dir la verità non mi ricordo neanche
l’ultima volta che ho
desiderato baciare un ragazzo. Sono una frana.
“Oh,
vaffanculo Leo, sei un
idiota” Scoppio a ridere perché
non me lo aspettavo. Anche Sabina mi guarda sorridendo. “Sono
io l’idiota… Non
dovevo sperarci” Sospiro. Lei si alza e mi propone di uscire
“Dai, andiamo
dagli altri” Effettivamente abbiamo passato buona parte del
pomeriggio in
camera, ormai potremmo anche uscire e raggiungere gli altri ragazzi.
Annuisco e
mi alzo anch’io.
“E
Marco?” le chiedo mentre prendo
la giacca e mi avvicino alla porta. “Cosa?” fa la
gnorri lei. Oddio, come la
odio quando si fa cavare di bocca le parole così! Ma forse
lo fa per me, così
non le cavo gli occhi subito. “Com’è
andata ieri sera? Almeno tu l’hai
baciato?” chiedo ancora, allungando la mano sulla maniglia.
“Ah,
no. Non gliel’ho permesso” la
sua risposta mi lascia talmente di stucco che mi scordo di aprire la
porta e
lei mi finisce addosso. Mi giro verso Sabina, che si lamenta di essersi
fatta
male e le chiedo: “Cosa vuol dire che non glielo hai
permesso?” Lei scuote le
spalle “Vuol dire che ci ha provato e io mi sono spostata
dandogli un bacio
sulla guancia” Oh. E perché?
“Allora,
andiamo?” mi chiede lei,
aggrottando la fronte, come se non capisse, così devo essere
più chiara. “Ma tu
volevi baciarlo!” Sabina vuole baciare Marco da almeno sei
mesi. Lei sorride.
“Sì. Ma non volevo che succedesse ieri”
Oh. Adesso sono veramente tentata di
colpirla. “Perché?” Lei sorride di quel
sorriso che promette guai “Perché è
circondato di ragazze che cadono ai suoi piedi. Non voglio essere una
delle
tante. Non penso di baciarlo tanto presto” dichiara lei. Oh.
Sabina
è molto più brava di me in
queste cose, probabilmente dovrei imparare da lei, ma a me non
piacciono i
trucchetti. Probabilmente mi perderò molte cose nella vita a
causa di questa
mia caratteristica, ma va bene così, non sono in grado di
giocare in questa
maniera. Però mi chiedo se è una cosa che
funziona… Apro la porta lentamente e
le chiedo se lui è rimasto effettivamente colpito. Lei
ridacchia ancora mentre
usciamo dalla mia camera. “Oh, è rimasto di merda,
avresti proprio dovuto
vedere la sua faccia. Non se lo aspettava proprio!”
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Capitolo 15 *** L'altro ragazzo ***
L’altro
ragazzo
-
-
Io
e Sabina siamo alla fermata dell’autobus in attesa della
nostra corsa, quando
il mio cellulare inizia suonare. Lo tiro fuori dalla tasca e leggo il
nome di
Leo proprio sopra a ‘chiamata in arrivo’. Sabina mi
toglie il telefono dalle
mani e lo silenzia, senza interrompere la chiamata. Ma cosa ha fatto?
“Sabi… Ma
cosa…”
“Non
rispondergli” Come? Ma cosa dice?
“Perché non dovrei rispondergli?” Lei
alza le
spalle e mi spiega: “Non correre subito appena lui chiama.
Non vorrai che pensi
male, no?” ma cosa vuoi che mi importi di cosa pensa lui! Qui
si tratta di
Celeste, che è in coma! Però… No, no.
Questa cosa è molto più importante di un
po’ di orgoglio personale. Per quanto mi faccia male anche
solo ripensare agli
eventi di ieri sera, non posso… No. No, sono una persona
superiore a queste
cose. E poi lui è carino e gentile, abbiamo passato una
bellissima mattina,
nonostante fossimo in ospedale.
Quando
Leo mi manda un messaggio scrivendo che ha delle novità e di
richiamarlo, sono
tentata di farlo subito e lo capisce anche Sabina che mi strappa dalle
mani il
telefono. Stiamo quasi bisticciando quando arriva un altro messaggio.
Ormai
sono stufa e rispondo male a Sabina. Le dico che i suoi trucchetti non
servono
a niente e che prima o poi finirà male anche per lei.
Leggo
anche l’altro messaggio, in cui Leo mi dice di aver
conosciuto il tipo che va
da Celeste in pausa pranzo, e faccio partire la chiamata per parlare
direttamente con lui. Quando mi risponde sento la sua voce un
po’ affannata e immagino
stia camminando velocemente mentre parla con me. Ci mettiamo
d’accordo per
vederci alla sala da tè, perché ha delle
novità da raccontare anche a nonna
Isabella e mi chiede se posso farmi trovare là per
facilitare la cosa.
Certamente.
Gli rispondo che cercherò di andare alla sala da
tè al più presto e interrompo
la chiamata, voltandomi verso Sabina, che mi guarda ancora con uno
sguardo
truce. Oh, ma insomma…
“Vado
alla sala da tè” inizio “Ho sentito, ero
qui” mi risponde lei. Mmm non mi piace
Sabina quando è nervosa. “Vieni con me?”
Lei scuote la testa “Assolutamente no.
Sai come la penso: non dovresti andarci” Quello che non mi
spiego è perché la
mia amica non capisca che non c’entra niente Leo. Qui si
tratta di Celeste.
Vorrei fare qualcosa per cui lei possa risvegliarsi. O anche solo,
uscire dalla
mia testa. Mi sento maledettamente in colpa mentre lo penso e rivolgo
una
preghiera a Celeste per scusarmi con lei. Chissà come
funziona, chissà se lei
può sentire me come io sento lei…
Alla
fine io e Sabina ci lasciamo in malo modo e io prendo
l’autobus, da sola, per
andare alla sala da tè. Guardo dal finestrino la mia amica
che resta sotto la
pensilina e noto che ha lo sguardo molto triste. Ma io non potevo
proprio fare
diversamente. Prendo il telefono e le mando subito un messaggio. Non
voglio che
finisca così, neanche se è per poco. Ci
messaggiamo per tutto il tempo della
corsa e riusciamo, se non a fare del tutto pace, a chiarirci. Quando
arriva la
mia fermata, sono molto più tranquilla e sorrido mentre
scendo dall’autobus.
***
Quando
arrivo davanti alla sala da tè, incontro Claudia. Oh, Leo
non aveva detto che
ci sarebbe stata anche lei. Mi blocco per un attimo, incapace anche
solo di
pensare. Ma poi Claudia mi vede e mi sorride.
Mi
volto indietro. Sta sorridendo a me? Alla fin fine non ci siamo mai
scambiate
una parola. “Ciao, sei Nicole, giusto? L’amica di
Leo?” A dir la verità non so
proprio se sono un’amica di Leo, ma annuisco lo stesso.
“Tu conosci sua nonna?
Mi ha detto che sarebbe stata qui e di vederci tutti insieme, ma io
sono in
anticipo e non volevo aspettare qui fuori…”
Sembra
un tipo a posto questa Claudia che lavora per la polizia e non
è la fidanzata
di Leo, così le sorrido anch’io ed entriamo nel
locale.
Nonna
Isabella è seduta ad un tavolo rotondo, con davanti una
tazza di tè e un
piattino di biscotti. Oh, come mi piace questo posto. Chissà
se hanno ancora la
torta al cioccolato che ho assaggiato l’ultima
volta… Indico a Claudia il
tavolo e ci avviciniamo. Quando siamo vicine, notiamo che Isabella ha
delle
strane immagini davanti a sé, posizionate sul tavolo in quel
che sembra un
ordine ben definito. Un formicolio al petto mi conferma quello che ho
solo
immaginato: Tarocchi. Nonna Isabella sta facendo
i Tarocchi. No, il formicolio mi rivela ancora che non si dice
così. I Tarocchi
non si fanno, si leggono.
Oh, cavolo. Sarà meglio non dire niente a riguardo, per
non incappare in brutte figure.
Quando
lei si accorge di noi, ci fa un cenno silenzioso con il capo,
indicandoci le
sedie e torna a fissare quelle strane figure. Io mi siedo e do
un’occhiata
veloce. Riconosco alcune immagini, sempre grazie all’aiuto di
Celeste, perché
io non ho mai visto i Tarocchi prima d’ora, ma decido di
togliere lo sguardo e
mi giro verso Claudia, che ora è piuttosto perplessa.
Aspettiamo
un po’ e poi nonna Isabella finisce il suo rituale e mette
via le carte. Fa un
cenno ad una delle cameriere e, sorridendo, ci rivolge tutta la sua
attenzione
“Carissime” Il suo sorriso è sempre
rassicurante, come la tisana della
buonanotte.
Presento
Claudia a nonna Isabella e viceversa, pregando che Leo arrivi al
più presto, ma
allo stesso tempo ascolto con interesse Claudia che spiega il suo
lavoro e come
aiuta la polizia. Dice che vuole diventare una profiler. Sono ignorante
e non
ho la più pallida idea di cosa voglia dire nello specifico,
così annuisco e
decido di verificare dopo su Google.
“Leo
verrà con il ragazzo che va a trovare Celeste quando non ci
siamo, te l’ha
detto?” Sì, Isabella, Leo me l’ha detto
al telefono. Tutte e tre ci voltiamo
verso la porta d’entrata, come se Leo e l’altro
ragazzo dovessero entrare
proprio adesso, quando sento un formicolio familiare e mi rendo conto
di star lasciando
la sala da tè. Penso mi sia anche caduto il biscotto che
avevo in mano.
Sono
al tavolo di un bar, un bar che Celeste conosce, mi rendo conto. Deve
essere il
bar che c’è sotto l’ufficio dove lavora.
Sento chiaramente Celeste abbassare la
testa a guardare il menù, ma io mi guardo intorno. Non so
bene come facciamo a
fare due cose così diverse, forse Celeste conosce
così bene questo posto che io
sto attingendo ad altri ricordi oltre a questo che sto vivendo.
Il
bar è carino, quasi intimo e riconosco il barista e la
ragazza che fa avanti e
indietro da dietro il bancone con i panini. Deve avere alzato la testa
anche
Celeste, perché la sento sorridere.
Poi
lo vedo arrivare. È il tipo per cui ho preso uno spintone da
Stefano: il
ragazzo che lavora con me all’ufficio qui sopra e con cui ho
pranzato qualche
volta. Mmm forse più di qualche volta. E questa non
è la prima volta di sicuro.
Lo ‘so’.
Quando
lui si avvicina, sento Celeste che gli chiede qualcosa. A lei, lui
piace. ‘So’ che
è gentile e premuroso. Quando si siede, prendo un colpo. Io
lo conosco! No, non
io Celeste, ma io Nicole!!! Io lo conosco, lui è…
Lo
sguardo di Celeste si sposta e si posa sul tavolo, sul cellulare. Oh.
Ha un
telefono simile al mio. La guardo digitare il pin e aprire la chat per
leggere
il messaggio che le è arrivato. Dannazione! È un
messaggio di Stefano! E le
scrive delle cose bruttissime!! Qualcosa mi dice che si sono
già mollati. Vedo
anche altri messaggi vecchi nella chat, tutti solo sul lato sinistro,
scrive
solo Stefano, lei non gli risponde mai. Usa parole brutte, brutte
quanto i suoi
occhi nei momenti cattivi, e mentre leggo frasi come ‘non ti
libererai di me’
oppure ‘sei solo mia’ e ‘non ti
lascerò andare da nessuna parte’ sento il vuoto
dentro.
Se
le botte facevano male e le sue parole mi facevano tremare, leggere
questi
messaggi mi mette un’inquietudine addosso da far paura. Come
quando nei film
non sai cosa succede dopo. Negli altri flashback sapevo sempre cosa
sarebbe
successo. Il veleno delle parole che Stefano pronunciava mi faceva
sussultare
fisicamente e vedere i suoi occhi inquietanti mi dava il terrore, ma
questo è
peggio. Non so cosa aspettarmi, non so cosa viene dopo, resto in
attesa,
sospesa. Se per ogni schiaffo, spintone o pugno, sapevo esattamente il
male che
mi avrebbe causato e per quanto tempo avrei continuato a sentirlo o ad
averne
paura, questo… questo è diverso. Non lo vedo e
non riesco a capire quanto sia
effettivamente pericoloso, fin dove può arrivare.
È come restare fermi ad
aspettare un pugno che non sai quando arriverà. Ma sai che
arriverà. Vorrei
rendermi conto dello stato in cui si trova Stefano, mentre mi scrive
queste
cose. Mentre le scrive a Celeste.
È
Celeste che ha paura. Lo sento. È lei che si sente svuotata
senza sapere bene
cosa fare, come una barchetta in balia delle onde, alla
mercé di una persona
che forse non è più neanche una persona, e che so
che si rivelerà una bestia.
Sento
comunque Celeste reagire, reagire alla disperazione di non sapere e
lasciar scorrere
le minacce e le offese come se fosse pioggia estiva. La sento
riprendersi per
rispondere a lui. Lui, il ragazzo che conosco. Lui che
è…
“Nicole!
Tutto bene, cara? Hai
visto un ricordo di Celeste?” Nonna Isabella è
accanto a me, e mi tiene la
mano. Mi asciugo la guancia, dove una lacrima mi è scappata.
Riuscirò mai a
controllarmi? Beh, più che altro, finiranno questi
flashback? Guardo Claudia
che ha la stessa espressione che aveva prima per i tarocchi e le
sorrido un po’
forzatamente.
“Scusami,
non sono fuori di testa.
Davvero” Ma lei scuote la testa e mi accarezza una mano
“Non penso tu sia fuori
di testa. Non deve essere una cosa facile, vivere i ricordi di
qualcun’altro. I
ricordi brutti, poi. È grazie a te che sospettano che sia
stato Stefano a far
del male a Celeste?” Oh. Che carina. Il suo tono è
gentile e non mi sta
prendendo in giro. Così annuisco e lei si congratula con me,
dicendomi che sono
una persona coraggiosa. È veramente strano,
perché mi sento tutto tranne che
coraggiosa.
“È
arrivato Leo” Nonna Isabella
torna a sedersi e indica la porta mentre la cameriera porta tazze di
tè e
quella che mi sembra la più bella fetta di torta al
cioccolato. Tutte e tre ci
voltiamo verso l’ingresso e vediamo Leo avvicinarsi a noi con
il ragazzo del
mio flashback.
“Ha
appena visto un altro ricordo”
informa Leo, la nonna. Lo sguardo preoccupato di Leo si posa su di me e
mi
chiede se sto bene. Io annuisco e guardo l’altro ragazzo.
“Così
sei tu il ragazzo che lavora
con Celeste e la va a trovare di nascosto in ospedale?” gli
chiedo. Lui mi
guarda sgranando gli occhi ed esclama: “Nicole!
Ma… sei tu l’amica di Celeste?”
Già, Luca, sono io. Vedo Leo guardare prima me e poi lui,
poi ancora me e aggrottare
la fronte. Sarebbe quasi divertente in un contesto un po’
diverso. “Ma voi vi
conoscete già?” chiede infatti subito dopo.
Io
sorrido. Effettivamente,
conosco Luca da tutta la vita. “Sì, è
mia cugina” risponde lui per tutti e due.
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Capitolo 16 *** Keep Calm ***
Keep
calm
-
-
“Cu…gini?”
Leo mi guarda con un
sopracciglio alzato. Luca è il più grande dei
miei cugini. Ha venticinque anni,
la stessa età di Celeste, ma non mi assomigliamo per niente,
ha gli occhi scuri
e i suoi capelli sono quasi neri, nessuno penserebbe mai che siamo
parenti.
“Sì, è il figlio di mia zia, la sorella
di mio papà” Ora alzo il sopracciglio
anch’io, un po’ scontrosa, per aver dovuto
giustificarmi. Oh, che cavolo. Ma
perché sono nervosa? Ah, già. Per Leo, per
Celeste e ora anche per Luca.
Nonna
Isabella ci invita a sederci
di nuovo intorno al tavolo, mentre lei va a cercare la cameriera, ma io
ora
scalpito. “Dov’è il cellulare di
Celeste?” chiedo a tutti e a nessuno in
particolare. Ce l’avrà la polizia?
Leo
inclina la testa quando mi
guarda. Sembra un cucciolo, dannazione. Forse aveva ragione Sabina.
Dovrei
stargli lontana. Ma come faccio? Non vedo l’ora di aver
risolto questo
fattaccio di Celeste e lasciarmi alle spalle questa storia. No, non
è vero.
Sospiro. Vorrei che Celeste si svegliasse, perché ora non
può fare niente.
Dove
è finito quel cellulare? Ci
sono dentro i messaggi di Stefano. Se Celeste non può
raccontare cosa succedeva
quando stava con lui e come è andata dopo, forse
può farlo il suo cellulare.
Bisogna solo trovarlo.
“Il
suo cellulare… chi ce l’ha?”
chiedo di nuovo, ma con il tono di voce più calmo. Poi mi
giro verso Luca e gli
chiedo: “Sapevi che Celeste riceveva messaggi da Stefano?
Brutti messaggi?”
Luca
si avvicina al tavolo rotondo
e domanda: “Stefano il suo ex?” sbuffo. Si
è rincretinito anche lui? Se lui e
Celeste sono amici, doveva saperlo per forza. Leo annuisce al posto
mio.
“Sì,
lo sapevo, ma non me li ha
mai fatti leggere…” Luca infila le mani in
tasca mentre mi risponde e, imbarazzato, si siede. Come se si sentisse
inutile.
Forse è proprio così.
“Allora
dov’è il suo telefono? Ce
l’ha la polizia? Perché non hanno interrogato
Stefano, se hanno trovato il
telefono?”
“La
polizia non ha sequestrato
nessun telefono. Non so se è perché sembrava un
incidente o per altro…” Claudia
sembra imbarazzata anche lei. Ma che è, una gara?
Ora
mi sto agitando e, alla fine,
mi giro verso Leo “Neanche tu sai dov’è
il suo telefono?” lui scuote la testa
“Non era fra le sue cose in ospedale e non ce l’ha
la polizia. Pensavo che
fosse andato perso sul luogo dell’incidente. Non ho
pensato…” a momenti sospira
anche lui.
Insomma,
questo telefono non si sa
proprio dov’è. Rimane solo un’opzione:
deve averlo Stefano.
Lo
deve aver preso durante
l’incidente, perché mi sembrava di averlo in mano
quando è successo. Ce l’avevo
in mano? O no? Non mi ricordo. Cavolo, cavolo. Cerco di pensarci, ma
non riesco
a ricordarmi.
Celeste.
Celeste! Invoco quasi.
Vorrei richiamare la sua attenzione e dirle di mostrarmi ciò
che cerco. Ma non
so proprio come fare. Forse potrei chiedere a Isabella. Lei dovrebbe
essere
sensitiva quanto Celeste. Sto per dire quanto
me, ma quel pensiero mi trattiene. Non sono sicura di essere
sensitiva,
anche se tutto ciò che mi sta accadendo sembra proprio una
cosa da sensitive.
Cerco
intorno a me la nonna, ma
lei non è ancora tornata. Sbuffo e mi siedo quando mi rendo
conto di esser
l’unica a esser rimasta in piedi. Davanti a me
c’è ancora un po’ di torta al
cioccolato, ma ormai ha perso ogni attrattiva.
E
adesso? Se Stefano ha il
cellulare di Celeste, non possiamo fare niente. Probabilmente ha
già cancellato
i messaggi. O distrutto il telefono.
Appoggio
un gomito sul tavolo e
appoggio la fronte sulla mano, chiudendo gli occhi. Sto per crollare
fisicamente. Mi sento inutile e sono stanca. Vorrei avere vicino
Sabina, che sa
sempre cosa fare quando io penso che sia finita. Sto quasi per
piangere. Proprio
io che, come diceva la mia amica ieri, non piango mai. Beh, almeno non
in
pubblico. A casa, nel mio letto, mi capita. Più spesso di
quanto vorrei.
Vorrei
tornare al mese scorso,
quando i miei problemi erano tutti dovuti alla prof di scienze e le sue
interrogazioni. Vorrei quasi che Celeste avesse scelto qualcun altro e
non me.
Vorrei poter…
Sento
una mano sulla schiena, ma non
vedo chi è. Forse è tornata Isabella…
“Nicole…” La voce di Leo mi arriva da
lontano e non è quella della nonna. Mi giro verso di lui. Si
è alzato e ora è
vicino a me, si è piegato sulle ginocchia per essere alla
mia altezza e mi
guarda.
“È
un casino. Ogni volta che mi
sembra di aver trovato un modo…” Lui mi sorride.
Anche il suo sorriso è stanco
ma la sua mano fa su e giù sulla mia schiena in una carezza
così tenera che non
posso fare a meno di sciogliermi. Mi sento quasi in colpa. Sua sorella
è in
coma per colpa di Stefano e lui consola me. Sono proprio
un’egoista. Poi
appoggia l’altra mano sul mio ginocchio per mantenersi in
equilibrio e il mio
sguardo cade giù.
La
sua mano sembra gonfia e ci
sono delle piccole ferite sulle nocche. Come se avesse fatto a pugni.
Come se
avesse dei lividi. Sono tentata di chiedergli cosa è
successo, ma lui si
accorge che l’ho vista e toglie subito la mano, alzandosi in
piedi. Butto
un’occhiata anche all’altra mano, ma Leo le
nasconde subito in tasca. Quando lo
fa, mi sembra di notare una smorfia sulla sua bocca e io resto a
guardare le
sue labbra forse un minuto di troppo.
“Forse
dovresti andare a casa a
riposarti” mi dice, guardandosi intorno. Annuisco
perché è come se la
stanchezza mi fosse caduta addosso tutta in una volta. Poco fa ero
carica e
pronta a spaccare il mondo, mentre ora mi sento piccola e inutile. Vedo
cose
che potrebbero aiutarci, ma non riesco a metterle in pratica. E mi
sento
preoccupata per lui, oltre che per Celeste.
Inizio
ad avere freddo.
Sento
Claudia dire a Leo che forse
l’ultimo flashback mi ha scosso un po’ troppo. Non
ho quasi la forza di dire
che forse non è stata colpa dell’ultimo flashback,
ma è colpa di tutto ciò che
mi è successo nelle ultime due settimane.
Ritrovarmi
in questa storia di
violenza e sopruso, non mi piace. Non è un film che guardo
in tv, dove so che
tutto finirà bene, il colpevole verrà smascherato
grazie a qualche strategia
vincente e lei si sveglierà e sarà tutto come
prima. No. Questo non è un film,
dannazione.
Io
non so fare niente,
probabilmente Celeste mi ha fatto vedere cose che avrebbero potuto
già
incastrare Stefano, ma io non le ho recepite o riconosciute come tali.
Probabilmente se ci fosse stata un’altra al posto mio,
sarebbe stato meglio.
Sarebbe stata più sveglia… e attenta…
e intelligente…
“Ti
accompagno a casa, Nicole” Leo
fa un passo verso di me, mentre vedo tornare nonna Isabella con un
vassoio.
Ecco dov’era. Ma l’idea di un tè caldo,
in questo momento non mi basta. Voglio
allontanarmi da loro. Da Leo, che non so cosa ha, da Claudia che non
è sicura
che Stefano sia pericoloso, dalla nonna, che mi sorride ancora, come se
io
potessi salvare le cose.
Voglio
andare a casa e mettermi
sotto le coperte. Tirare la trapunta fin sopra la testa e seppellirmi a
letto.
Dormire. Sì, voglio dormire. E svegliarmi fra una settimana,
magari.
Guardo
Leo che ha un’espressione intenerita.
Probabilmente se i flashback li avesse avuti l’altra ragazza,
quella sveglia e
intelligente, lui ieri sera, l’avrebbe baciata. Sento le mie
spalle cedere in
avanti. Mi sento sempre peggio. Non voglio correre il rischio di
scoppiare in
lacrime davanti a lui. Mi sto piangendo addosso e odio questa
sensazione.
Voglio andarmene.
Mi
alzo anch’io e chiedo a Luca:
“Puoi accompagnarmi tu?” Luca allarga gli occhi, ma
non troppo, come se non
volesse farsi vedere, e annuisce “Certo, andiamo”
Si alza.
Ora
sono in piedi tutti e due e
Leo guarda Luca con stupore, poi ritorna a guardare me. “Io
pensavo di…”
inizia, ma lo interrompo “Preferisco andare con
lui” Scrollo le spalle e non lo
guardo più. Non voglio vedere la sua espressione. Non
adesso.
“Certo,
andiamo” Isabella mi
abbraccia forte mentre le dico che torno a casa e mi dà un
bacio sulla guancia.
Salutiamo tutti e usciamo dalla sala da tè.
“Sembra
un bel casino…” inizia
Luca quando arriviamo vicino alla sua macchina “Oh, Luca tu
non ne hai idea…
Celeste in coma, io che vedo quelle cose e non so come aiutarla, loro
che
pensano che io sia sensibile…”
calco
un po’ sulla parola ‘sensibile’ con
ironia, perché non ci credo molto.
“Quindi
non hai mai parlato con
Celeste?” Scuoto la testa. Non ci avevo pensato. Lei
praticamente vive dentro
di me e io non le ho mai parlato. “Tu sì. Che tipo
era? È. Che tipo
è?” mi correggo velocemente.
Luca
mi guarda con uno sguardo
così triste che, per la prima volta, ho paura che lei possa
non svegliarsi più.
Fino ad ora non lo avevo considerato veramente. Una parte di me era
convinta
che, una volta spiegati tutti i miei flashback ed essere riusciti ad
incastrare
Stefano, lei magicamente si sarebbe svegliata e invece, effettivamente,
non è
proprio detto che sia così. Anzi, potrebbe non svegliarsi
mai o metterci degli
anni. O lei potrebbe non riuscire a uscire da me.
Sto
diventando paranoica, ma per
fortuna me ne rendo conto e tento di arginare il guaio. Ci vorrebbe
Sabina. Lei
sì che sa come comportarsi. Lei sì che sa cosa
fare. Dovevo ascoltarla. Non
avrei dovuto…
“Celeste
mi piace” inizia Luca.
Cavolo, ero così persa nei miei pensieri che mi ero scordata
quello che gli
avevo chiesto. Però torno subito attenta. A parte i suoi
ricordi, non so niente
di Celeste.
Noto
che Luca esita ad andare
avanti, così gli faccio cenno di continuare con il capo. Lui
annuisce e torna a
guardare la strada davanti a sé.
“Celeste
è allegra, spiritosa e
gentile. È sempre sorridente e in ufficio cerca sempre di
aiutare tutti” Luca
sospira e si ferma al semaforo di via Primo Maggio.
“Ma
ultimamente era cambiata.
Quando stava con Stefano…” Sì? Luca non
farti pregare… “Com’era?” Lui
sospira
ancora e parte quando scatta il verde. “Era…
spenta. Sobbalzava quando non era
attenta e, sempre più spesso, faceva fatica a far le
cose… Dannazione, avrei
dovuto capirlo!” dà un pugno sul volante e si
sente il clacson suonare. “Come
ho fatto a essere così scemo? Come ho fatto? Io la vedevo in
ufficio tutti i
giorni. Per tutto il tempo che lei è stata con lui io
l’ho vista. Ogni santo
giorno e non ho mai…” Per un momento non so cosa
dire, ma poi mi allungo verso
di lui e gli metto una mano sul braccio “Non è
stata colpa tua”.
Lui
si gira verso di me, sospira e
torna a guardare avanti a sé, in attesa che scatti il
semaforo. “Lo so, lo so.
Oggi ne ho parlato con Leo. Anche lui non sapeva cosa stava succedendo,
anche
lui…” Luca ingrana la prima e io resto in attesa, anche lui, cosa? “Anche
lui…?” chiedo, quando noto che non va
avanti.
Luca
si gira verso di me e alza un
sopracciglio. “Niente. Anche lui
niente” Mmm, sono poco convinta ma non mi azzardo a fare
altre domande, così
gli dico quando parcheggia sotto casa mia: “Perché
non sali?” Lui torna a
guardarmi e annuisce.
“Come
sta tua mamma?” mi chiede,
mentre saliamo le scale. Oggi mi sono ricordata le chiavi, quindi le
cerco
nella tasca della giacca per aprire la porta.
“Sta
bene. Come dovrebbe stare?”
Luca alza un sopracciglio, ma poi scuote la testa. Oddio, sa anche lui
che ho
quasi fatto impazzire mia madre? Che pensava che mia sorella fosse
vittima di
chissà quali atroci torture solo perché era in
ansia a causa mia? No… un
attimo. Lui non sa niente.
“Come
dovrebbe stare? Perché mi
hai fatto questa domanda?” Luca entra in casa dicendo
‘Permesso’ ad alta voce e
si dirige verso la cucina da dove mia mamma si è affacciata
per dirgli di
entrare quando ha riconosciuto la sua voce. Cavolo, non bastavano
Celeste e Leo?
Ora sono preoccupata anche per mia mamma.
“Luca!”
Cristina è sul divano a
guardare la televisione quando si alza velocemente per salutare nostro
cugino.
Sbuffo. Con me non l’ha mai fatto.
“Cuginetta!” Lui l’abbraccia e scuote il
pugno sulla sua testa, scompigliandole i capelli.
Quando
mia madre viene a salutarlo
di persona, la osservo: come sta? Sta bene? La guardo bene, ha un
po’ di borse
sotto agli occhi, ma per il resto, sembra quasi… bella.
Bella. Mi rigiro quella
parola in bocca. Mamma sembra bella. È bella. Sorrido.
Qualcosa di buono
succede comunque.
Io
e Luca chiacchieriamo un po’ e
mi racconta di come ha incontrato Leo e di quello che si sono detti.
Praticamente tutto quello che già so. Mi racconta anche di
Celeste e io gli
spiego come sono finita in quella situazione. Ma Leo gli ha
già spiegato
parecchie cose, noto.
Cristina
viene a salutarlo mentre
si infila la giacca davanti alla porta e sente il nome di Leo.
“Leo, il tipo
che non ti ha voluto baciare?” dice, prima di scappare via,
solo per farmi un
dispetto.
Vorrei
ucciderla. Adesso.
Lentamente. Luca alza un sopracciglio e mi guarda. “Che vuol
dire?” Sbuffo ancora.
“Niente” Il mio tono deve essere abbastanza
sofferente, perché lui scuote le
spalle e non mi chiede nient’altro. Grazie Luca, sei il mio
cugino preferito.
“Domani
mattina mi vedo con lui in
palestra, magari ci faccio due chiacchiere” Cosa? COSA?
“Dove vi vedete tu e
Leo?”
“In
palestra. Dice che sfogarsi su
un sacco pieno aiuta, quando vorresti spaccare tutto” Come?
“In che senso?” Lui
si chiude la zip della giacca e scuote le spalle “Si sente in
colpa. Oggi
quando abbiamo visto Stefano in ospedale e ha scoperto che non poteva
entrare,
ha dato di matto e ho seriamente pensato che Leo l’avrebbe
picchiato. Per
fortuna sono riuscito a fermarlo. Per fortuna… a dir la
verità, quando poi mi
ha raccontato tutto, avrei voluto non averlo fatto” Oh. Non
ci avevo pensato.
Per questo aveva le mani così? “E…
è andato in palestra… a picchiare un
sacco?”
Lui annuisce e guarda dietro di me, come se volesse assicurarsi che non
ci sia
nessuno. “Siamo andati insieme. Lui era molto…
agitato e arrabbiato. Siamo
usciti dopo due ore. Ci ha fatto bene, ci siamo scaricati. Tutti e
due”.
Ah.
Ecco perché quando l’ho
sentito al telefono mi sembrava affannato, forse non stava camminando
velocemente. Forse erano in palestra. Guardo le sue mani, che non
sembrano
messe male come quelle di Leo. Lui segue il mio sguardo e poi mi guarda
alzando
un sopracciglio. Cosa c’è? Vorrei chiederglielo.
“Lui era molto più arrabbiato
di me. Forse non solo per Celeste” Mi strizza un occhio
mentre io sento le
guance diventare rosse e lui esce dalla porta.
Ma…
cos’è successo? Torno in casa
e vado in camera a chattare con Sabina mentre viene pronta la cena.
Ormai è
tardi e non faccio in tempo a fare un bel bagno prima di mangiare, ma
dopo
cena, non me lo toglie nessuno.
***
Sono
dentro la vasca da appena un
quarto d’ora, quando il mio telefono, con cui sto ascoltando
le canzoni di
Vasco che mi piacciono di più, trilla per l’arrivo
di un messaggio. Mi allungo
verso il mobiletto vicino alla vasca, dove ho appoggiato il cellulare e
in quel
momento mia madre entra di corsa in bagno.
La
guardo scioccata, con il
telefono in mano, ma senza guardare le notifiche, perché lei
ha la camicetta
aperta e la gonna le tira troppo sulla pancia.
“Mamma…
ma sei… incinta?” Lei si
blocca e si accorge di me. Probabilmente pensava che non ci fosse
nessuno in
bagno. I suoi occhi si spalancano e poi si guarda il ventre. Oddio! No.
Mia
madre è incinta? La guardo ancora e quando alza gli occhi su
di me glielo
chiedo ancora. Lei annuisce. Cavolo. Cavolo. Oh, merda. Speravo dicesse
di no.
Lentamente
il mio occhio cade sul
mio telefono e vedo l’anteprima della notifica:
Ho
trovato il telefono di Celeste. Domani lo porto alla polizia.
Leo!
No. Il telefono di Celeste
voglio vederlo anch’io. Non mi accorgo di essermi agitata e
il telefono mi
scappa dalle mani. Riesco a riacchiapparlo al volo e mi arriva un altro
messaggio:
Mi
dispiace per ieri. Penso di aver fatto una cazzata. Dimmi che
anche tu…
Non
riesco a leggere la fine del
messaggio perché il telefono mi scivola di nuovo, ma questa
volta non riesco a
salvarlo e lo guardo cadere nell’acqua.
Dannazione!
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Capitolo 17 *** Angel ***
Angel
-
-
Tiro
fuori il
telefono dall’acqua appena ci affonda, ma è troppo
tardi comunque. Lo afferro
con due dita e lo lascio sgocciolare. La calma che sento è
quasi inquietante.
Poco fa ero agitatissima e ora sono la persona più
impassibile del mondo. Non
sto bene. Davvero. Non posso essere io. Deve essere Celeste. Non posso
essere
io. Mi sento così strana…
Guardo
il
liquido gocciolare dalla cover e quando rallenta appoggio il telefono
sul
mobiletto, come prima. Poi guardo mia madre e lei, che sembra essere
rimasta
con il fiato sospeso, ha pure la bocca spalancata. Lentamente la
richiude e poi
sussurra: “Forse dovremmo parlarne”.
Forse
avresti dovuto pensarci prima. Ma
non ho voglia di dirlo ad alta voce. Sarebbe meschino. Così
dico pacificamente:
“Finisco di lavarmi. Dammi dieci minuti” lei
annuisce ed esce dal bagno. Non mi
rendo neanche conto che non so perché sia entrata, visto che
è uscita subito.
Dopo
dieci
minuti, in cui mi sono insaponata, sciacquata e lavata i capelli, esco
con
tutta calma (di nuovo!) dalla vasca e mi avvolgo
nell’accappatoio. Sono quasi
tentata di andare a letto e fregarmene di tutto, ma da brava ragazza,
mi
incammino verso la camera di mia mamma e busso alla porta.
Non
sono del
tutto sorpresa di trovare, seduta sul letto, anche Cristina. Immagino
che se
papà fosse stato a casa, ci sarebbe stato anche lui,
lì seduto. Mi siedo vicino
a mia sorella e lei mangia la foglia.
“Che
sta
succedendo? Mamma? Perché mi hai fatto venire
qui?” chiede infatti Cristina.
Mamma si alza e noto che si è messa la tuta che usa per
stare in casa. Una tuta
larga. Ci faccio caso solo ora.
“Vorrei
che
papà fosse qui, perché dobbiamo darvi una notizia
un po’… strana”, inizia lei.
Io sospiro. Non so perché ho reagito così, non so
perché penso che sia una
cattiva notizia, in fin dei conti non c’è niente
di male. Penso. Poi mamma
continua: “Aspetto un bambino. Avrete un
fratellino” e cerca di sorridere. Sono
così stupida che dico: “Un maschio? Come fai a
saperlo?”
Mamma
si
siede fra me e Cristina, che ha ancora la bocca aperta. “Ho
fatto un esame
particolare. È un maschietto” ora sorride davvero.
Oh. Ma quand’è che si scopre
il sesso del bambino? Non subito. Da quanto tempo lo sanno?
“Quando
nascerà?”chiede mia sorella. Quando la mamma le
risponde: “Fra quasi cinque
mesi” rimango sbalordita. Lo sanno da tanto. Avrebbero potuto
dircelo prima. Perché
non ce l’hanno detto? Perché tenerlo
nascosto? “Perché non ce lo avete detto
prima?” chiedo ancora.
“Ho
avuto
qualche piccolo problema e poi l’esame poteva dare dei rischi
di… aborto.
Abbiamo deciso di aspettare finché non fossimo stati
sicuri…” ma il suo sguardo
si incrocia con il mio più volte.
“Mamma…
Non…
Non è stata per colpa mia che non ce lo avete detto,
vero?” improvvisamente
quel pensiero mi manda in paranoia.
Prima
io con
i miei flashback, poi i pensieri su mia sorella che poteva essere nei
guai, non
deve essere stato un bel periodo per la mamma. Poverina. Mi sento in
colpa.
Ma
lei
sorride e scuote la testa: “Assolutamente no, tesoro. Non
c’entri niente tu, e
neanche tu” tocca un ginocchio di Cristina e sorride anche a
lei “volevamo solo
essere sicuri. Alla mia età…” ma cosa
sta dicendo? Prima però che io possa dire
qualcosa, qualunque cosa, Cristina se ne esce con un:
“Effettivamente sei un
po’ vecchia…”
Lancio
un’occhiataccia a mia sorella. Ma cosa sta dicendo? Mamma ha
quarant’anni.
Tantissime donne a quell’età fanno figli.
“Non sei vecchia. Diciamo solo che ci
hai… sorpreso” spero vivamente che mia sorella
capisca l’antifona e non dica
altre stupidaggini.
Mamma
sorride
ancora e si rivolge a Cristina: “Dai, non sono vecchia
vecchia, no?” mia
sorella annuisce e inizia a fare un sacco di domande sul bambino. Come
lo
chiameremo? Potrà scegliere lei il nome? Potrà
chiamarsi Joshua? Dove dormirà?
Potrà dirlo alle sue amiche? E se fossero due? Sento mamma
molto più rilassata
mentre le risponde che decideremo tutto, tutti insieme e che il bambino
è uno,
uno solo. Cristina ora è gasatissima. Sono contenta che non
l’abbia presa male,
anche se probabilmente cambierà idea più volte
prima che nasca.
Mi
alzo con
l’intenzione di andarmi ad asciugare i capelli, quando la
testa inizia a
girarmi. Sento la mano di Cristina afferrare la mia e lei chiedermi se
va tutto
bene. Sto annuendo mentre sento il formicolio al petto che mi porta
via…
Sono
nel bagno di casa mia. Bhe, in casa di Celeste. Il suo bagno
è tutto nei toni dell’azzurro. Non so
perché ma la cosa non mi meraviglia più
di tanto. Lei è seduta sul coperchio del water e sta
aspettando. Subito non
capisco cosa stia aspettando, ma la sento molto agitata. Come se fosse
indecisa. Come se volesse qualcosa e poi non la volesse più.
Poi
il cellulare appoggiato al lavandino suona un motivetto e lei
si alza. Lo fa così di slancio che mi sorprende. Insieme ci
dirigiamo verso il
lavandino e lei zittisce il cellulare. Sento un sospiro e mi rendo
conto che è
stata Celeste.
Si
guarda allo specchio del lavandino e vedo il suo viso
terrorizzato. Non ha l’aspetto dell’altra volta.
Non ha lividi in faccia, ma il
suo viso è scavato, come se avesse patito la fame per giorni
e i suoi occhi
sono in fuori come se avesse visto un fantasma.
Quando
abbassa lo sguardo verso il rubinetto del lavandino, noto
che si allunga a prendere qualcosa dietro la manopola
dell’acqua. Prende in
mano qualcosa e io riconosco lo stick senza averlo mai visto dal vivo.
È
un test di gravidanza. Celeste lo guarda e lo guardo anch’io.
Per un tempo lunghissimo. Sento tutte le emozioni che sta provando ora
la mia
amica. Dopo due settimane di convivenza e stretta e dopo aver condiviso
questo
tipo di emozioni posso considerare Celeste una mia amica, no? Certo.
Celeste è
a tutti gli effetti amica mia.
Guardo
il bastoncino bianco. Ci sono due linette
verticali dentro un piccolo display. Persino
io so che è positivo.
Quando
lei inizia a piangere e mi rendo conto che non è di gioia,
la tristezza mi porta ad accasciarmi per terra e a stringermi le gambe
al
petto. Ma è lei che lo fa. Lo facciamo insieme. Siamo tristi
in due. Poi non è
più Celeste. Ora sono io. Io.
Sono
triste come quando sono triste per Sabina. O per Cristina.
Sono triste perché lei è triste e sento quello
che prova senza poter fare
niente.
Dopo
quello che mi sembra un’eternità, Celeste si
rialza e si
guarda allo specchio. Per un attimo mi sembra di vedere una luce strana
nei
suoi occhi. Una luce che non avevo ancora visto. Capisco che
è decisa a tenere
il bambino e a lasciare Stefano. Non so il perché, ma so, di
nuovo che è così.
Lei sorride felice, adesso. Ha finalmente preso una decisione. Sta
facendo
qualcosa. Faremo qualcosa. Per la prima volta da quando ho i flashback,
sono
contenta e fiduciosa. Andrà tutto bene.
Mentre
guardo ancora lo specchio, vedo Celeste e, finalmente, lei
piange di gioia
L’immagine
di
Celeste che sorride allo specchio sfuma e io sto per tornare in camera
da mia
mamma quando un altro flashback si sovrappone al primo…
“Presto
starai meglio, cara” una donna di
mezz’età, con una divisa
come quella di Lisa l’infermiera mi sorride e mi porge una
coperta. Mi guardo
intorno e noto di essere in un ospedale. So, senza neanche chiedere,
cosa mi è
successo.
Ho
perso il bambino. Da un lato è logico. Celeste non era
incinta
quando ha avuto l’incidente e non ha figli. È
scontato che fosse andata così.
Ma
triste. Triste lo stesso. Piango. Piango per Celeste. Per il
suo bambino. Anche Celeste piange. Sempre più triste. Per
una volta che aveva
sperato, per una volta che era riuscita a proteggere qualcuno da
Stefano.
Le
sue lacrime bagnano silenziosamente il cuscino mentre
l’infermiera se ne va. Guardo la macchia allargarsi sulla
federa, incapace
anche solo di pensare. Vorrei poter abbracciare Celeste. Vorrei
confortarla.
Stringerla e dirle che le starò vicino. Come ho fatto con
Sabina quando i suoi
hanno divorziato. Non mi piace essere qui, nel suo corpo. O lei nel
mio.
Mi
accorgo che sto piangendo anch’io.
L’ospedale
piano piano si sgretola davanti ai miei occhi e sono di nuovo in camera
di mia
mamma. Il suo viso è il primo che vedo e la mia mano
è ancora stretta da quella
di mia sorella, che mi guarda preoccupata.
“Nicole… stai piangendo…”
Mamma
mi
abbraccia. Cristina non capisce bene cosa sta succedendo ma, per una
volta, non
dice niente e sta zitta. Quando riesco a smettere di piangere e mi sono
almeno
calmata un po’, mi stacco dalla mamma e le dico,
semplicemente: “Sono contenta.
Avresti dovuto dircelo prima, ma va bene. Ti aiuteremo. Io e Cristina.
Vero?”
chiedo poi, voltandomi verso mia sorella.
Lei
annuisce,
ancora confusa. Così la spingo verso la porta prima che mia
madre mi chieda del
flashback, perché so che ha capito, ma questo non
è proprio il momento in cui
darle altre preoccupazioni. Quando riesco a rimanere sola con mia
sorella, la
spingo ancora verso la sua camera e le dico che mi serve il suo
telefono “Forse
devi prima vestirti” mi fa notare lei.
Io
mi guardo.
Effettivamente sono ancora in accappatoio e dovrei asciugarmi i
capelli. “E
poi, mi piacerebbe sapere cosa è
successo…” Le prometto di spiegarle tutto a
patto che mi presti il suo telefono.
Così,
prima
di fare qualsiasi cosa, mando un messaggio a Sabina spiegandole che
sono senza
telefono e uno a Leo scrivendo la stessa cosa ma aggiungendo che ci
vediamo
domani prima che porti il cellulare alla polizia.
Poi
mi infilo
il pigiama e mentre mi asciugo i capelli spiego a Cristina il fatto dei
flashback. Le dico tutto. Di Celeste e di Leo. Tanto Leo, alla fine, lo
conosce
già. E di come c’entri Luca in tutto questo.
“Dici
che si
sveglierà?” mi chiede, perplessa. Oh, Cristina, lo
spero. Dopo tutto quello che
ci è successo, può solo che svegliarsi. Mi siedo
vicino a lei e sospiro “Voglio
crederci. Perché altrimenti non riesco a dare
un’altra spiegazione a tutto
questo” lei annuisce “Mamma non sa tutto tutto, ok?
Magari non facciamola
preoccupare…” rimarco un po’. Cristina
annuisce ancora, poi si alza e prende il
mio telefono, sul comodino. “E di questo?”
Guardo
il
cellulare: ho tolto la cover e l’ho spento. Avevo sentito
dire che si fa così
quando cade nell’acqua. E aspettare. Dobbiamo aspettare
domani. Chissà se si
riprende da solo. O se mi toccherà portarlo ad aggiustare. O
peggio, comprarne
uno nuovo. Stranamente, non mi sento disperata come avrei immaginato.
Auguro
la
buona notte a mia sorella e spengo la luce prima di dormire. Ancora
più strana
della mia calma nei confronti del telefono, è la mia
capacità di addormentarmi
immediatamente e smettere di pensare a tutto.
Quella
notte
sogno angeli tutta la notte. Piccoli angeli paffuti che volano sopra le
nuvole,
nel cielo azzurro. Angeli con le ali bianche e i riccioli biondi. Come
quelli
dei quadri. Poi ne vedo uno diverso dagli altri. Ha i capelli rossi e
gli occhi
verdi.
È
il bambino
di Celeste.
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Capitolo 18 *** Il momento di agire ***
Il
momento di agire
--
-
Domenica
mattina mi alzo piena di energia. Sono decisa ad andare da Celeste.
Voglio
stringerle la mano e dirle che sono vicino a lei. (non sono sicura di
poterla
abbracciare, così dovrò accontentarmi di
stringerle la mano) L’ultimo flashback
che ho avuto mi ha dato l’impressione che fosse
così sola e triste e ho sentito
una connessione con lei, molto più di prima, come se
condividessimo un grosso
segreto.
Prendo
il
telefono senza accenderlo e vado in cucina a fare colazione. Mamma e
Cristina
sono ancora a letto, così lascio loro un messaggio sul
tavolo in cui dico che
sono uscita.
Cammino
verso
la metro perché è il mezzo più veloce
per arrivare all’ospedale da Celeste e
nel frattempo mi guardo intorno. Senza telefono non posso neanche
ascoltare la
musica e quindi non mi resta altro che vagare con la mente.
Per
tutto il
tragitto non faccio altro che pensare a Celeste. A tutto quello che so.
A
quello che mi ha fatto vedere. Ci sono momenti che mi sembra di
conoscerla
meglio di chiunque altro. Non aveva amiche? Perché
nessun’altra è venuta a
trovarla o ha chiesto di lei? Perché non ci sono altre
persone nella sua vita,
nei suoi ricordi? Possibile che Stefano fosse l’unico? O
forse… che lui
l’avesse isolata dalle altre persone? Potrebbe essere.
Altrimenti qualcuno
l’avrebbe potuta aiutare. L’avrebbe potuta salvare
prima. Prima. Prima
dell’incidente…
Ora
comunque
ci sono io. Ho deciso di non essere più passiva e di darmi
da fare. Se posso
fare qualcosa, la farò. Se non posso… devo
pensare a come trovarla. Semplice.
Avrei dovuto pensarci prima. Invece di starmene lì a
piagnucolare, perché,
effettivamente, è quello che ho fatto. Ho piagnucolato. Come
Cristina quando
era piccola e stava troppo tempo in casa ad annoiarsi.
Ora
ho deciso
di fare qualcosa. E la prima cosa che voglio fare è andare
da Celeste. Anche se
sembra inutile, anche se non servirà a niente. Voglio starle
vicino
fisicamente.
Quando
salgo
le scale della palazzina del reparto sono ancora assorta nei miei
pensieri, ma
mi riprendo subito quando apro la porta della rianimazione.
Lisa,
la mia
vicina infermiera, mi saluta e sorride. Neanche mi chiede per chi sono
lì, se
lo ricorda. Le sorrido a mia volta e mi lascio accompagnare nello
stanzino
delle protezioni. Quando esco sembro un puffo: sono tutta coperta di
blu e la
mia altezza non aiuta certo a distinguermi. La cuffia sui capelli mi
dà
fastidio ma non tanto quanto la mascherina, così la sistemo
senza dire niente e
lascio che Lisa apra la porta della stanza di Celeste guardandola
mentre si
allontana, lasciandomi sola. Sola con Celeste.
Mi
avvicino
al letto e Celeste è proprio come l’ho lasciata
l’ultima volta. È ancora stesa
con gli occhi chiusi. Il respiratore e tutti gli altri macchinari, sono
ancora
lì. Ora riesco a dare un senso alla parola
‘intubata’ che sento sempre in
televisione.
Vicino
al
letto c’è una sedia, così mi siedo e
allungo la mano sul lenzuolo, come l’altra
volta, e tocco la mano di Celeste. E’ tiepida, non troppo
calda. Non so il
perché, ma me l’aspettavo gelida, forse per via
della situazione, quella
stanza, tutta azzurra, dal muro al letto, dagli infissi ai contorni dei
macchinari, mi dà una sensazione gelida che sento sulla
pelle. Così, per
scaldarmi, stringo la mano di Celeste, quella con il tatuaggio.
Le
guardo il
viso, come se mi aspettassi che aprisse gli occhi proprio in questo
momento, ma
non succede. Non è un film, in cui tutto va come ci si
aspetta. Celeste non si
sveglierà soltanto perché le ho stretto la mano.
Resto
lì un
bel po’ di tempo, parlo a Celeste di me, perché,
dopo tutto quello che ho
visto, so che mi ha scelto e ci considero amiche. È giusto
che conosca la
persona a cui ha deciso di aprire i suoi ricordi così,
siccome mi sembra giusto,
le racconto anche qualche mio ricordo. E poi, senza averlo previsto, le
racconto un mio segreto. Chissà se può sentirmi.
Chissà se lo sa già.
Questa
volta,
sento il contatto con lei. Come una scossa, qualcosa mi fa capire che
siamo in
sintonia, qualcosa che non riesco a spiegare ma, come per i flashback, riconosco e so.
Ora
so che
lei sa. Sorrido, perché mi sembra che fra noi ci sia un
legame particolare e mi
piace.
Mentre
penso
a tutte queste cose, sento il formicolio farsi di nuovo strada dentro
di me e
abbandono la Celeste terrena per raggiungere la Celeste che
è dentro di me.
“Mi
dispiace. Ho le mani legate. Davvero” la poliziotta che ho
davanti, so che è una poliziotta perché indossa
la divisa, si siede
rumorosamente sulla sedia dietro la scrivania e sospira. “Ne
ho sentite tante.
Troppe. Donne come lei. Più di quanto avrei voluto.
Più di quanto sia giusto”
sospira ancora e porta una mano a coprirsi la faccia. “Posso
farla andare in un
posto sicuro. Non posso fare altro. Anche se lei lo denunciasse, prima
che si
possa fare qualcosa di concreto, sarà passato troppo tempo,
lui potrebbe…” non
finisce la frase.
Riesco
a capire a cosa si riferisce. Celeste si sta informando per
fermare Stefano. Per denunciarlo e far sapere cosa sta succedendo. Ma
quello
che ha detto la poliziotta mi demoralizza. Se Celeste denunciasse
Stefano, non
verrebbe fermato subito? Non andrebbe subito in galera? No? Non
dovrebbe essere
così? E invece com’è?
Com’è che ha detto? ‘Prima che venga
fatto qualcosa di
concreto lui potrebbe…’ Potrebbe fare cosa?
Potrebbe picchiare Celeste ancora.
Potrebbe ucciderla? Potrebbe farle qualunque cosa. Ecco cosa potrebbe
fare.
Mi
sto arrabbiando. Cosa vuol dire che non si può fare niente?
Davvero? Non è possibile. Non ci credo.
“In
ospedale… le hanno mai fatto delle foto, ha mai raccontato a qualcuno
della sua situazione?”
Celeste scuote la testa mestamente e guarda verso il basso, ma poi la
rialza e
fruga nella borsa. “Ho dei messaggi… Quando
l’ho lasciato lui ha iniziato a
mandarmi dei messaggi…” la poliziotta sorride
tristemente. “Possiamo partire da
lì. L’ideale sarebbe avere una registrazione, un
video in cui lui…” abbassa la
voce e sento Celeste tremare.
Spero
di aver capito male. Cioè, Celeste dovrebbe farsi picchiare
ancora da Stefano e filmarlo mentre lo fa? Ma che storia assurda!
È così
stupido.
Celeste
scuote ancora la testa e la sento sospirare. Oh, tesoro.
Sento che sta per piangere. “Senta, so che è
difficile… Ma può andare in una
struttura dove…” Sento Celeste raddrizzare la
testa “Non voglio fuggire. La mia
vita è qui. Non voglio scappare da lui. Non voglio avere
paura” la poliziotta
annuisce ancora, come se avesse già sentito quelle parole.
Sono
così orgogliosa di Celeste. Sento una sensazione grandiosa
nel petto, un senso di rivalsa allucinante, come quando rispondo a una
domanda
a sorpresa della prof. Celeste, sei fantastica e io ti stimo tantissimo.
“Se
vuole intanto facciamo la denuncia, allora” Celeste si alza e
si sistema la tracolla della borsa “Ha detto un
video?” anche la poliziotta si
alza. “Anche una registrazione audio. Una ragazza ha
registrato con il
cellulare il compagno mentre la picchiava…” il suo
sguardo è triste. Deve
averne sentite davvero troppe. Le leggo in faccia un ‘mi
dispiace’ grande
quanto il Colosseo quindi capisco che non è che non voglia
aiutare Celeste è che
proprio non può fare altro…
“Nicole!”
torno improvvisamente al presente e mi volto verso la porta della
stanza. Leo è
sulla soglia. Non è vestito per poter entrare,
perché non ha ancora indossato
le protezioni, così mi alzo per raggiungerlo. Devo dirgli
del telefono. Quello
di Celeste. Non lo ha già portato alla polizia, vero?
Potrebbe esserci
qualcosa. Qualcosa che ci venga in aiuto. Voglio vederlo. Adesso. Mi
prudono le
mani. Sento di voler agire, finalmente.
“Ciao.
Dov’è
il…” mi tiro giù la mascherina dalla
faccia per parlare, ma non devo neanche
finire la frase che lui mi mostra il cellulare di Celeste, quello che
ho già visto
nei ricordi. Ha capito subito. Sorrido. Ci siamo. Ci siamo. Ci deve
essere per
forza qualcosa lì dentro. Deve essere così.
Vorrei saltellare dalla gioia.
Finalmente abbiamo qualcosa.
Sono
così
contenta che, senza accorgermene, lo abbraccio. Lui rimane sorpreso
(sorpreso
quanto me, visto che non ho mai fatto una cosa del genere) e poi
ricambia il
mio abbraccio.
Mi
circonda
con le braccia e sento il telefono premermi vicino alla scapola. Sono
quasi
tentata di appoggiare la testa sul suo petto, ma mentre mi muovo la
plastica
della cuffia fa dei rumori strani contro i suoi vestiti.
Quando
me ne
rendo conto sono veramente in imbarazzo e mi stacco da lui
così tanto in
confusione che non riesco neanche a guardarlo negli occhi. Ma almeno
questa
volta non si è tirato indietro. Sarebbe stato peggio
dell’altra volta.
“Ho
avuto un
altro flashback. Dobbiamo sentire le registrazioni. E leggere i
messaggi. Ci
saranno d’aiuto. E poi lo dobbiamo portare alla polizia
e…”
“Ci
abbiamo
già pensato. Ma… Dobbiamo portarlo alla polizia
senza sapere cosa c’è dentro,
visto che è bloccato e non riusciamo a sbloccarlo. Nessuno
conosce il pin, neanche
Luca.”
Ma che problema
c’è? “Io lo conosco. L’ho
visto digitarlo” lui mi rivolge uno sguardo così
bello che mi emoziono.
“Davvero?” E già. Pensavi eh, che non
servissi a niente? E invece…
Lui
non dice
niente e io perdo qualche minuto ad osservarlo. Mi ricordo della sua
mano, così
abbasso lo sguardo. Cavolo. È messa peggio di ieri. Vorrei
prenderla fra le mie
e accarezzare i lividi. Ma come ha fatto a ridursi così? Poi
mi ricordo che
Luca ha detto che sarebbero andati in palestra, stamattina. Deve essere
successo lì. Sposto lo sguardo sul suo viso e noto che ha i
capelli umidi.
Cavolo, deve aver fatto la doccia in palestra. Per un attimo passo
dall’arrossire per aver immaginato la sua doccia
all’essere preoccupata che si
prenda un malanno. Bhe, è grande abbastanza da sapere quello
che fa. Mmm,
insomma… penso ancora guardandogli la mano.
Quando
mi
rendo conto di star fissando le sue dita da troppo tempo, gli prendo il
telefono dalle mani e lo rigiro, giusto per guardarlo un po’. Sto per digitare il pin,
quando lui mi dice:
“Andiamo via da qui, però” io annuisco.
Effettivamente, mi piacerebbe togliermi
il mio costume da puffetta e uscire da quel posto. Lancio uno sguardo a
Celeste, ma lei è ancora lì, stesa e inerme.
Sospiro. Non ho più niente da fare
lì dentro. Ma Leo è appena arrivato. È
giusto che stia un po’ con sua sorella.
“Ti aspetto giù fra mezz’ora?”
gli chiedo. Lui annuisce e mi sembra quasi che
mi ringrazi.
Mi
spoglio e
mi incammino per le scale. Quando sono giù però,
non esco dalla porta. C’è
ancora freddo, per i miei gusti.
Sono
lì che
sformo le mie tasche a forza di muovere le braccia quando dalla porta
della
palazzina entra Stefano. La sua faccia è rossa come se si
fosse appena
arrabbiato e i suoi occhi lanciano sguardi assassini tutto intorno.
Resto
basita
e immobile. Non me lo aspettavo. Poi riesco a riprendermi e penso a Leo
che è
su da Celeste. Devo fermare Stefano. Ma come? Oppure posso avvisare
Leo. Prendo
il mio telefono dalla tasca ma mi ricordo che è spento.
Tengo premuto il tasto
per accenderlo, ma so che, primo: non è detto che si accenda
e secondo: ci
metterebbe troppo tempo ad accendersi e io a mandare un messaggio a Leo.
Quando
Stefano si ferma davanti all’ascensore e schiaccia il
pulsante per chiamarlo, ho
ancora il telefono in mano e non ha ancora dato segni di vita. Stefano
si volta
e mi nota. Ora resto davvero impietrita, ma il suo sguardo mi passa
attraverso
e continua verso la porta del reparto che c’è
lì al piano terra. Poco dopo
l’ascensore si apre e lui entra.
Aspetto
che
le ante si chiudano e non ci penso neanche su: imbocco le scale e corro
da Leo
e Celeste.
È
arrivato il
momento di fare qualcosa.
|
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Capitolo 19 *** Cose mai fatte ***
Cose
mai fatte
-
-
Salgo
le
scale di corsa e prima di aprire la porta della rianimazione, butto un
occhio
all’ascensore e quando vedo che non si sono ancora aperte le
ante, scappo
dentro il reparto, chiudendomi la porta alle spalle.
L’occhiataccia
che mi lancia una delle infermiere mi fa bloccare di colpo. Cavolo, ha
ragione,
è un ospedale, non dovrei correre. Così mi
incammino velocemente verso la
camera di Celeste, quando vedo nel corridoio Leo, che sta venendo verso
di me
con la faccia corrucciata, il telefono in mano e la mascherina
nell’altra.
Mi
fermo e lo
guardo: sta digitando nervosamente e forse sta imprecando sottovoce,
non lo so
perché da dove sono io non lo sento, ma lo vedo mentre si
sta togliendo la
cuffia e tenta di strapparsi di dosso il camice monouso con un
po’ di
nervosismo.
Quando
alza
il viso verso di me, spalanca gli occhi ed esclama il mio nome:
“Nicole!”
Ho
un brivido
alla schiena, un brivido strano, non di paura, ma di… di che
cosa? Non lo so.
Ma è piacevole, nonostante tutto. Sveglia, Nicole! Non
è il momento di
lasciarsi andare a stupidi pensieri, Stefano sta per entrare, devi
avvisare
Leo.
“Non
eri
andata via? Sta per arrivare Stefano…” Ehi! Come
fa a saperlo lui? “L’ho
incontrato giù, sta venendo su con l’ascensore,
ma… Tu come lo sai?” Leo, senza
fermarsi, butta la cuffia e la mascherina in uno dei bidoni appositi e
dondola
il telefono che ha ancora in mano.
“Mi
ha
scritto Luca. L’ha visto alla camera mortuaria mentre
litigava con un tipo e mi
ha scritto quando ha capito che stava venendo qui” Oh. Quindi
c’è anche Luca?
Bene. Ma cosa faceva Stefano alla camera mortuaria? C’era
andato anche giovedì
quando lo abbiamo seguito io e Sabina.
Non
chiedo
niente perché vedo Leo un po’ scosso,
così, senza che me l’abbia chiesto, lo
aiuto a sfilarsi il camice che gli hanno fatto indossare sopra i
vestiti.
Quando senza volere gli prendo contro la mano, si irrigidisce. Cavolo,
penso di
avergli fatto male. Lui e le sue mani. Ma poi Leo mi guarda negli occhi
e mi
sembra che il mondo intorno a noi scompaia e che io e lui rimaniamo da
soli al
mondo. Penso ancora che ha degli occhi così belli che vorrei
perdermi lì dentro
e non farmi più trovare da nessuno.
Poco
dopo,
torno consapevole del fatto che esistono altri sette miliardi di
persone,
perché la porta del reparto sbatte furiosamente e Stefano fa
il suo ingresso.
Io
e Leo ci
voltiamo verso di lui, mentre un’infermiera gli va incontro.
Qualcosa mi dice
che gli sta spiegando che non può vedere Celeste,
perché il suo viso si fa
ancora più arrabbiato e si volta verso di noi.
“Tu!”
grida a
Leo. Stefano è inquieto e la sua voce risuona come il
rintocco di una campana a
morto. Leo si avvicina a lui mentre l’infermiera gli ricorda
che non può urlare
dentro un ospedale.
“Ti
abbiamo
detto ieri che non puoi stare qui” inizia Leo, con tono un
po’ arrabbiato. Quando
Stefano gli risponde ancora ad alta voce, anche Leo alza la sua. Il
rumore che
fanno è fastidioso e le vibrazioni che emanano mi colpiscono
al petto. Mi volto
un po’ spaventata verso l’infermiera ma noto che
lei sta facendo cenno a
qualcuno dentro la stanza della caposala e leggo sulle sue labbra la
parola
‘sicurezza’. Bene. Sta facendo chiamare qualcuno.
C’è solo da aspettare.
Ma
Leo e
Stefano non hanno intenzione di aspettare, stanno ancora litigando.
“Non puoi
impedirmi di vederla!” sta gridando Stefano. Noto che alcune
persone sono
uscite dalle stanze in fondo al corridoio per guardare che succede.
“Non
hai
diritto di vederla. Sei un animale, vorrei…” la
risata di Stefano è brutta e di
scherno. “Tu cosa? Sei un ragazzino. Cosa vorresti farmi,
eh?” gli occhi di Leo
lampeggiano odio e lo appoggio in pieno, Stefano è proprio
uno stronzo.
Stefano
sta
ancora ridendo di Leo e io non riesco a trattenermi “Appena
la polizia saprà
cosa hai fatto, vedrai!” la mia sembra una minaccia da
quattro soldi (ed
effettivamente lo è) e Stefano si gira verso di me, come se
mi notasse per la
prima volta.
“E
tu chi
cazzo sei?” dice infatti, con la sua naturale delicatezza.
(Spero si percepisca
la mia ironia). “Sono un’amica di
Celeste” lui alza un sopracciglio e la sua
bocca si piega in un ghigno divertito, mentre fa scorrere lo sguardo su
di me.
Mi guarda da capo a piedi e io rabbrividisco. Ma non come prima, questa
volta è
orrore. Quello che so di questo ragazzo non è per niente
buono e il suo sguardo
mi fa paura come nei flashback. “Se fossi stata
un’amica di Celeste, ti avrei
conosciuto” cavolo, è vero. Ma non voglio dargli
ragione. “Sono più di
un’amica. Io so tutto. So quello che le facevi. Lo so. So
anche del bambino”
parlo senza riflettere e mi lascio scappare troppo.
Leo
si volta
improvvisamente verso di me: “Bambino?” poi si
rivolta verso Stefano con gli
occhi sbarrati. Anche Stefano ha la stessa espressione sorpresa.
“Tu…” fa un
passo verso di me e Leo mi si avvicina.
Quando
Stefano punta l’indice contro di me, avvicinandosi ancora,
sempre con il suo
sguardo cattivo, sento qualcosa dentro al petto che mi dà
una scossa.
Non
farti mettere le mani addosso. Non permetterglielo. Non
lasciarglielo fare. Non stavolta. Non ancora.
Capisco
di
sentire fortissimo la presenza di Celeste e questa volta mi
dà la carica.
Quando il dito di Stefano si avvicina ancora al mio petto, non resisto
più e
quando è a pochi centimetri da me, lo schiaffeggio sulla
mano.
Lui
è stupito
quando me, ma subito la sua espressione si trasforma e i suoi occhi
diventano
gelidi, come nei ricordi. Ma questa volta non sono sola e non ho paura.
“Piccola stronza, cosa fai?” senza accorgersene,
sposta un braccio all’indietro
e vedo il suo ghigno quando cerco di incassare il collo nelle spalle,
spaventata. Si sta divertendo. Si sta divertendo a spese mie.
Succede
tutto
velocissimo, lui ha ancora il braccio tirato indietro e
quell’odioso sorriso
sulla faccia, così io mi raddrizzo e carico la mano
indietro, proprio come ha
fatto lui ma io sono decisamente più agile e il mio ceffone
lo colpisce al viso
con un sonoro degno di un impianto Bose.
Lui
è così
sorpreso che non dice più niente. Il suo braccio,
meccanicamente si sposta e si
copre la guancia ferita. Ferita… che gli avrò mai
fatto, alla fine? Spero
almeno di averlo colpito nell’orgoglio.
I
miei occhi
si riempiono di autocompiacimento e mi gonfio, gasata come se avessi
vinto alla
maratona di New York. Il mio petto esplode in una miriade di sensazioni
così
forti che ho quasi paura di cadere. Un formicolio si spande
dappertutto, lo
sento nelle gambe, nelle braccia e anche nella testa. Capisco che
Celeste è
gasata quanto me. Siamo in sintonia, molto più di prima.
Forse avrebbe voluto
farlo lei. Cavolo, l’ha fatto lei. Lo abbiamo fatto insieme.
Non avevo mai
fatto una cosa simile.
Non
mi rendo
conto di cosa sta succedendo, perché troppo presa dai miei
pensieri, ma quando
mi riprendo vedo Leo che spintona lontano Stefano che ha una mano
stretta a
pugno. Cavolo, voleva darmi un pugno? E di cosa ti stupisci, Nicole?
Questo
tizio ha spinto Celeste sotto un’auto e ti meravigli per un semplice pugno? Noto che anche Leo
è
pronto a fare a pugni. Un po’ sono preoccupata. Non vorranno
picchiarsi qui,
vero?
Poco
dopo
arriva una guardia armata e divide i due ragazzi. Alla fine Leo
è riuscito a
tenerti a bada, hai visto, Stefano? Li sto ancora guardando e mi
accorgo che la
guardia ha detto qualcosa a Leo e lui ha annuito. Sono ancora in
agitazione e
non capisco quasi niente, soprattutto quando vedo Leo raccogliere la
sua giacca
da una delle poltrone e venire verso di me.
“Vieni,
Nicole, andiamo via” come, dove andiamo? E Stefano?
“Dove?” chiedo ancora senza
capire. “Andiamo” dice soltanto lui, spingendomi
verso la porta del reparto.
Quando siamo fuori, non ci fermiamo e Leo, dopo avermi preso per mano,
mi tira
verso le scale e poi verso l’uscita. Dove stiamo andando? Non
domando niente.
Ci
fermiamo
solo quando arriviamo in fondo al viale dell’ospedale. Quando
ci fermiamo, noto
che Leo ha ancora addosso il camice sottile dei visitatori e la giacca
in mano.
Cavolo, io sto tremando di freddo, chissà lui che
è senza giacca.
Mi
giro verso
di lui e lo aiuto a togliersi il camice nel freddo della mattina,
mentre le
persone ci passano accanto per andare da una parte all’altra
dell’ospedale.
Sono nervosa e ancora piena di adrenalina, infatti dico cose senza
senso e
mentre lo aiuto con il camice, continuo a ridacchiare come una scema.
“Sei
stata
forte” sussurra lui, tremando un po’ dal freddo. Ha
spostato la giacca
nell’altra mano per sfilarsi il camice e quando ci scontriamo
a metà,
improvvisamente sono molto più calma.
“Davvero?” sussurro anch’io, un
po’
perché non riesco a credere di aver fatto una cosa del
genere, proprio io, che
normalmente non avrei avuto il coraggio neanche di guardare negli occhi
uno
come Stefano e un po’ perché
all’improvviso mi rendo conto che sono così vicina
a Leo…
“Davvero”
mi
risponde Leo. La sua voce si è fatta più bassa e
leggermente roca e mentre si
avvicina mi appoggia le mani sulla vita. Oddio. Si avvicina ancora.
Cosa fa?
Non fare così Leo, perché altrimenti penso ancora
che tu voglia baciarmi e
invece non succederà. E io questa volta potrei proprio
morire, perché mi sembra
di non aver mai voluto nient’altro.
Mentre
sto
ancora pensando a come mi sentirò quando capirò
che lui non vuole baciarmi, lui
si è avvicinato così tanto che la sua bocca si
è posata sulla mia e la sua
lingua calda mi accarezza le labbra. Oddio. Oddio. Mi sta baciando? Ci
stiamo
baciando? Non capisco più niente nel momento in cui schiudo
le labbra e
ricambio il suo bacio.
Le
sue mani
diventano più solide e mi stringono con un vigore che posso
solo che apprezzare
e senza che me ne renda conto, ho alzato le braccia per portargliele
dietro il
collo e accarezzargli i capelli.
È
fantastico.
Leo è fantastico. Sto sognando. Non c’è
un’altra spiegazione, non una logica.
Quando si allontana da me, apro gli occhi e lo guardo: sta sorridendo.
Oddio.
Mi sa che non ho sognato.
Si
agita per
non far cadere la giacca piegata sul suo braccio e non staccare le mani
da me.
Quando lo capisco, sorrido senza volere. “Mi hai
baciata” dico scioccamente,
ancora un po’ incredula.
“È
perché sai
di buono” sento le mie guance arrossire mentre si china
ancora verso di me.
Stavolta mi alzo sulle punte dei piedi e gli vado incontro. Oggi sono
coraggiosa, faccio cose mai fatte ma che mi vengono bene.
|
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Capitolo 20 *** Il telefono di Celeste -1 ***
Il
telefono di Celeste - pt. 1
-
Leo
mi sta
ancora baciando quando il suo telefono inizia a suonare. Borbotta
qualcosa
mentre si stacca da me e lo prende in mano, per guardare lo schermo.
“Luca”
dice mentre risponde. Lo guardo mentre parla al telefono con mio cugino
e
intanto la sua mano, quella che è ancora su di me, si muove,
accarezzandomi.
Per
un attimo
sono persa nei miei pensieri, ma poi mi ricordo di tutto quello di cui
mi sono
dimenticata quando ci siamo baciati: Stefano, Celeste, il coma, il
telefono…
Mi
ricordo
anche del mio telefono e rimetto la mano in tasca per cercarlo. Si
sarà acceso?
Lo guardo. Si è acceso. Possibile? Possibile! Sorrido mentre
digito il pin e si
sblocca lo schermo. In quel preciso momento ricevo tutte le notifiche
che mi
sono persa in quelle ore: i social, il gruppo della classe, gli amici
del bar,
le altre chat. Cerco di dare un’occhiata veloce a tutto,
intanto che Leo parla
con Luca, finché non becco proprio il messaggio di Leo di
ieri sera. Quello che
non ho finito di leggere.
Mi
dispiace per ieri. Penso di
aver fatto una cazzata.
Dimmi
che anche tu avresti voluto che finisse diversamente.
Vorrei
averti baciato, vorrei non essere stato così stupido.
Dopo
venti minuti mi ha mandato la
buonanotte e due cuoricini subito dopo la parola. Forse pensava che non
gli
stessi rispondendo perché ero arrabbiata o stupida o me la
stessi tirando. E
invece no, sono solo maldestra e ho fatto cadere il telefono nella
vasca. Scrivo
anche a Sabina, spiegandole in poche parole quello che è
successo. Poi le mando
lo screen del messaggio di Leo e le scrivo che ho delle cose da
raccontarle
oggi pomeriggio, quando ci vedremo.
Sorrido
senza
un buon motivo. O forse sì? Ha scritto che voleva baciarmi e
mi ha mandato due
cuoricini. Sì, e mi ha baciato. E io ho baciato lui. Ci
siamo baciati. Mi sto
ancora crogiolando in quel pensiero, mentre Leo si stacca da me per
voltarsi e
dire: “Dove sei? Noi siamo dai pali della staccionata del
reparto nuovo”.
Si
sta
guardando intorno e seguo anch’io il suo sguardo. Quando vedo
Luca venire verso
di noi, con il telefono all’orecchio e una mano in alto in
segno di saluto,
glielo indico. Tutti e due chiudono la telefonata e aspettiamo che Luca
ci
raggiunga mentre Leo si infila, finalmente, il giubbotto.
“Quindi?
Che
faceva Stefano alla camera mortuaria?” chiede a Luca, dopo
che ci siamo
salutati. Luca ci spiega che ha scoperto che Stefano conosce un medico
legale e
che gli ha fatto un sacco di domande sui lividi e le botte. Sembra che
il
nostro bravo Stefano si sia informato su quanto avessero potuto
scoprire i
medici sul corpo di Celeste nel caso fosse morta e si fosse effettuata
un’autopsia. Non è un’ammissione di
colpa? Giuro che ho i brividi lungo la
schiena mentre Luca spiega questi particolari. Probabilmente sto
tremando,
perché Leo se ne accorge e inizia ad accarezzarmi la schiena
facendo su e giù
con la mano.
Annuisco
quando mi chiede se sto bene e chiedo se possiamo andare in un bar.
Vorrei
qualcosa di caldo. Anche solo una tazza da tenere in mano per
ricordarmi che da
qualche parte c’è ancora un po’ di
calore e il mondo non fa tutto schifo. Come
se mi leggesse nella mente, Leo mi prende la mano e la stringe. Sorrido
come
una bambina e ricambio la stretta.
Luca annuisce e dice che
possiamo andare al
bar lì di fronte, ma Leo gli spiega che abbiamo visto
Stefano e preferirebbe
uscire dalla zona dell’ospedale.
Ci
dirigiamo
tutti verso il cancello e usciamo dal cortile dell’ospedale,
imboccando poi una
via laterale. Quando incontriamo il primo bar, ci fiondiamo dentro e
occupiamo
un tavolo.
“Allora,
hai
detto di conoscere il pin di Celeste?” mi dice Leo,
allungandomi il telefono
della sorella. Annuisco. Lo accendo proprio mentre il cameriere ci
porta le
ordinazioni. Oggi niente tè. Ho preso un cappuccino
bollente, per scaldarmi e
per svegliarmi del tutto.
Quando
il
cameriere se ne va, tutti e tre rivolgiamo la nostra attenzione al
cellulare
che, posato lì sul tavolo, si illumina e torna buio
più volte, nella sua fase
di accensione.
Quando
digito
i quattro numeri del mio flashback non succede niente. Cavolo. Ho
sbagliato a
digitare? Quattro Quattro Otto Tre. Me lo ricordo benissimo, ho
guardato
Celeste digitarlo nel ricordo in cui ho visto Luca. No, non ho
sbagliato. L’ho
digitato giusto, ma il telefono vibra negativo e ci proibisce
l’accesso. Merda.
Alzo gli occhi sbarrati sui ragazzi, che mi guardano pieni di
aspettativa. No.
Non può essere.
“Non
è quello
giusto, mi sa” dice Luca, forse un po’ deluso, ma
senza accuse. “L’ho visto in
un flashback. C’eri anche tu, eravate a mangiare in un bar,
per pranzo”.
Per
un attimo
mi sembra di vedere arrossire mio cugino, ma poi lui annuisce serio e
penso di
essermelo solo immaginato. “Potrebbe averlo
cambiato” dice lui.
“Perché
avrebbe dovuto?” chiede Leo, guardando il ragazzo. Luca alza
le spalle. “Non
saprei”.
Beh,
ora
siamo punto a capo. Non abbiamo niente. “Magari alla polizia
riescono ad
accedervi anche senza il pin. Avranno modo di hackerarlo,
no?” chiede Leo a
nessuno in particolare, senza troppa convinzione. Sì,
possono farlo senz’altro,
ma quanto tempo ci metteranno prima di scoprire qualcosa?
Oh,
Celeste,
cavolo, perché mi hai mostrato la cosa sbagliata?
Perché? Sento il formicolio e
inizio a sorridere da sola. Sono riuscita a comunicare con Celeste.
Sono
riuscita a chiederle di mostrarmi qualcosa. Sto ancora sorridendo a
Leo. Il suo
sguardo si fa strano mentre mi guarda e lo vedo scomparire…
Sono
in casa di Celeste. Qualcuno sta bussando alla porta e lo fa
violentemente. Prendo il telefono da sopra il tavolino e inizio a
schiacciare i
numeri per sbloccarlo. Cavolo cavolo. Celeste è velocissima.
Non riesco a
starle dietro. Ma poi noto i particolari: le tremano le mani, i numeri
che
schiaccia sono sempre diversi e il telefono non si sblocca.
Vorrei
prenderla per le spalle e riuscire a calmarla. È
agitatissima, lo sento da dentro. Celeste, Celeste, qual è
il problema, adesso?
Mi volto verso la porta quando un colpo più forte
è accompagnato da un grido:
“Celeste!”
Ora
ho capito: È Stefano. Lo sguardo di Celeste torna al
telefono,
ma le sue mani restano ferme. La sento sospirare e prendersi un attimo
per
calmarsi. Brava. Così, dai. Mostrami quello che devo vedere.
Digita il pin. È
diverso da prima. Aveva ragione Luca. Due sette uno due. Sì!
Il telefono apre
la pagina centrale. È quello giusto. La vedo scorrere le
icone frettolosamente,
senza trovare quello che le serve. Che cerca? Poi apre la pagina di
ricerca e
inizia a digitare una parola: ‘Reg’…
Un
altro forte tonfo contro la porta ci distrae di nuovo e la
sento sobbalzare. Ok, ho capito: lì fuori
c’è Stefano e sta cercando l’app per
registrare le conversazioni. Brava Celeste, reagisci!
Piano
piano il telefono scompare davanti ai miei occhi mentre sento
ancora Stefano urlare…
“L’ho
visto!
L’ho visto!” sono così eccitata che
salto sulla sedia quando torno mentalmente
al bar. Leo sorride mentre mi sussurra: “Bene” e mi
accarezza la mano. Sono un
po’ imbarazzata mentre guardo le sue dita muoversi sulle mie,
ma quando alzo
gli occhi su di lui, il suo sguardo è così
intenso che l’imbarazzo svanisce
lasciandomi a ben altri pensieri.
“Quindi?”
chiede Luca, osservandomi accigliato. Cavolo! Mi ero scordata di Luca.
“Due,
sette, uno e due” dico di fretta, come per scusarmi. Luca
diventa rosso e
ammutolisce di colpo, spalancando la bocca. Oh. Oh? Perché?
“Lo sapevi? Hai
riconosciuto il pin?” gli chiedo. Lui scuote le spalle con
fare noncurante ma
si vede che fa finta. “È una data”
spiega. In che senso? Poi vedo Leo scrivere
i numeri su un tovagliolo di carta, di quelli che non servono a niente
da tanto
sono rigidi.
27
– 12
Oh,
giusto, ventisette
dicembre. Poi capisco. Quel giorno deve essere successo qualcosa di
importante.
“Cos’è successo il ventisette
dicembre?” gli chiedo, mentre lui si imbarazza
molto più di me prima.
“Sono
abbastanza sicuro di non volerlo sapere, se è quello che
penso…” dice Leo,
prendendo il telefono di Celeste e digitando il pin. Guardo Luca che mi
sorride
senza dire niente e fa spallucce. Oh. Ma che carino. Chissà
cosa è successo
davvero. Un bacio? Si saranno baciati? Qualcosa di più? Mio
cugino è un gentiluomo
perché non si lascia sfuggire niente, ma io quasi ridacchio,
sorridendogli. Mi
piace che Celeste consideri importante qualcosa con Luca. Mi piace che
consideri lui importante.
“Ecco!”
dice
Leo, ignorandoci e guardando il telefono di Celeste. Fa scorrere la
chat con
Stefano e possiamo vedere tutti i messaggi che lui le ha mandato. Loro
rimangono basiti e vedo la mano di Leo più volte stringersi
convulsamente.
Anche Luca si irrigidisce e vedo la sua mascella muoversi mentre
digrigna i
denti. Oddio, pensavo che non avesse più quel tic. Povero
Luca. Lo vedo
abbassare lo sguardo e so che si sente in colpa. Perché mi
sento in colpa io,
che Celeste non la conoscevo, quindi posso solo immaginare come possano
sentirsi loro.
Così
prendo
il telefono dalle mani di Leo e cerco l’app per le
registrazioni. Quando la
trovo, noto che ci sono una decina di file, così infilo il
jack delle mie
cuffiette nel buco e faccio partire il primo audio in ordine di data.
La
registrazione è molto rumorosa, probabilmente
perché Celeste muoveva il
telefono velocemente, è una cosa che anch’io ho
imparato a non fare, dopo, e
quindi non si sente molto, ma la voce di Stefano che grida è
chiara e si sente
anche Celeste rispondergli.
Ascolto
anche
gli altri, ma alcuni durano pochissimo, come se fossero delle prove che
Celeste
ha fatto e poi non sono stati cancellati. Ce n’è
un altro, in cui c’è Stefano,
ma anche quello, non si sente molto bene. Allungo gli auricolari ai
ragazzi e
glieli faccio sentire. Non è molto, ma è
più di prima. I messaggi e le
registrazioni. Ce li faremo bastare. Dobbiamo.
“Andiamo
alla
polizia” dice Leo, alzandosi. Ci alziamo anche io e Luca e lo
seguiamo alla
cassa. Sì, andiamo alla polizia. Ma…
Bo… mi sembra tutto così strano. Non sono
delle gran registrazioni, potranno bastare? Mmm, non sono
così sicura, io, ma è
tutto ciò che abbiamo.
-
-
***Eccoci qui
con l'ultimo capitolo! Ho dovuto dividerlo in due, ma pubblico presto
anche l'altra parte. Buona lettura a tutti!
|
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Capitolo 21 *** Il telefono di Celeste -2 ***
Il
telefono di Celeste pt.2
-
-
Quando
entriamo alla stazione di polizia, ci guardiamo intorno un
po’ confusi.
Effettivamente, dove si va a fare una denuncia del genere? Rimaniamo
nell’atrio
a osservare quello che succede intorno e poi ci guardiamo in faccia
tutti e
tre. Ok, dovremmo cercare qualcuno.
“Perché
non
chiami Claudia?” chiedo a Leo. Lui annuisce, forse contento
di aver qualcosa da
fare, quando qualcosa attira la mia attenzione: una poliziotta sta
mescolando
il caffè, mentre chiacchiera con una collega. È
la poliziotta del flashback. Mi
avvio a lunghi passi verso di lei, lasciando Luca stordito e Leo al
telefono.
“Buongiorno,
avremmo bisogno di lei” dico, abbastanza sfacciatamente per i
miei gusti. Ma
non ho deciso oggi di buttarmi in cose che non ho mai fatto?
“Buongiorno” la
poliziotta mi guarda incuriosita. Effettivamente ha ragione, non mi ha
mai
visto. Lei.
“Lei
ha aiutato
una mia amica…” Ora sono molto meno carica di
prima, ma l’agente annuisce un
po’ seria e mi dice di seguirla. Faccio cenno ai ragazzi e
loro mi seguono.
La
poliziotta
guarda male Leo e Luca, ma io le dico che sono con me e lei annuisce
facendoci
entrare in un ufficio. Noto che è quello del mio flashback.
Sorrido un pochino.
Tutto torna. Mi sento un po’ più sicura.
Spieghiamo
brevemente tutto, di Celeste, di cui lei si ricorda, di Stefano,
dell’incidente, del telefono. Glissiamo sul fatto dei
flashback, perché
effettivamente è una cosa un po’ difficile da
capire, ma l’agente prende il
telefono e guarda tutte le cose che le mostriamo. Il suo sguardo
è serio e dice
che, essendoci stato un incidente, si può indagare in
maniera diversa. Sono
tentata di dirle che è stata colpa di Stefano, che
è stato lui a spingerla, ma
non ho una giustificazione per dire che lo so. Non una credibile.
“Stefano era
con lei quando è successo?” chiede lei. Noi
annuiamo tutti insieme. Sembriamo
ammaestrati. Ci guarda tutti e tre e, per un momento, ho paura che ci
sbatta
fuori. “E perché il telefono non è
stato consegnato prima?” chiede ancora
dubbiosa. “Mia nonna non ha pensato a consegnarlo e noi
pensavamo fosse andato
perso. Ci è sfuggito. E non pensavamo che lui potesse aver
fatto…” Non so se
lei è convinta. Continua a leggere la chat senza dire
niente. Sono
nervosissima. Lei può aiutarci, ha parlato con Celeste, sa
già qualcosa, ma ho
quasi paura che non creda a noi.
“Ciao
Melissa” Alziamo tutti e quattro gli occhi su Claudia che
è appena entrata
nell’ufficio e mi sorride, prima di salutare anche noi.
Melissa, la poliziotta,
alza gli occhi dal cellulare e saluta Claudia con un cenno del capo. Mi
sembra
quasi che Claudia stia in qualche modo garantendo per noi. Dopo un
lunghissimo
minuto di silenzio, la donna ci dice di sederci davanti alla scrivania.
Claudia
si unisce a noi e si appoggia alla scrivania sul suo lato corto.
Finalmente.
Sorrido. Stiamo facendo qualcosa. E stavolta so che è la
cosa giusta, quella
che ci porterà da qualche parte.
Quando
mi
siedo sulla stessa sedia dove si è seduta Celeste, sento una
strana sensazione.
Strana rispetto al solito. Sento il formicolio al petto, ma questa
volta non
rivivo un flashback.
Guardate
i video nel telefono. Non solo le registrazioni. I video.
Guardate i video
È
Celeste, di
nuovo. Mi dice di guardare i video. Diamine, non abbiamo guardato i
video. Non
ci ho pensato. Dico alla poliziotta di guardare anche i video. Lei
scorre prima
tutta la chat di Stefano e poi mi dà retta e appoggia il
telefono sulla scrivania
e fa partire l’ultimo video dicendo che ha la data del giorno
dell’incidente.
Ci avviciniamo tutti.
Le
immagini
sono un po’ sfocate, mi sa che Celeste non ha ancora imparato
a non agitare il
telefono quando registra qualcosa. Si vede più di una volta
una strada, dei
negozi che mi sembra di conoscere, delle auto e delle persone. Quando
sullo
schermo compare la faccia di Stefano, capisco che è il video
che Celeste ha
girato proprio durante l’incidente. Spalanco gli occhi
sorpresa. Non avevo
fatto caso di avere il telefono in mano quando ho avuto il flashback.
Fantastico. Non sarò l’unica a sapere cosa
è successo. Mi ero alzata dalla
sedia per guardare il video, e mi risiedo un po’
pesantemente, lasciando agli
altri la visione. Quando si sentono chiaramente le parole di Celeste e
Stefano che
litigano, rabbrividisco, ma almeno è tutto lì, lo
possono sentire e vedere
tutti. Non sarò l’unica, stavolta a vivere quel
dramma. Quando sento la frase
di Stefano ‘Allora muori’ chiudo gli occhi e stacco
la mente quando sento il
rumore della frenata dell’auto.
Non
so cosa
succede dopo. Immagino che la poliziotta abbia fermato il video e
probabilmente
detto qualcosa, ma io non la sento. Mi sento debolissima, come se
avessi corso
la maratona e ora non riuscissi più a prendere fiato. Sono
stanca. Leo si
accorge di me e mi si avvicina chiedendomi se sto bene. Annuisco ma gli
chiedo se
va bene o se hanno ancora bisogno di me. Se quello che abbiamo scoperto
può
bastare a fermare Stefano.
“Lo
facciamo
subito. Non preoccuparti, tutto questo lo mettiamo agli atti e faremo
qualcosa”
mi spiega la poliziotta, stranamente gentile. Muovo la testa su e
giù mente
Luca mi guarda accigliato dicendo: “Non hai una bella cera,
Nicole, sei molto
pallida” anche lui sembra preoccupato.
“Vuoi
qualcosa da bere?” mi chiede Claudia. Anche lei sembra
preoccupata. Riesco solo
a scuotere la testa. “E se rimango io qui e tu la accompagni
a casa?” propone
Leo a Luca. Lui annuisce.
Sto
per
alzarmi, quando mi rendo conto di non aver neanche fatto il gesto per
tirarmi
su. Con gli occhi sbarrati guardo una ragazza che si alza dalla mia
sedia e si
allontana. Sbarro ancora di più gli occhi: è
Celeste. Riesco a riconoscerla, nonostante
non l’avessi mai vista così a distanza.
È vestita come l’ho vista poco fa
all’ospedale: una lunga camicia da notte azzurra le arriva
alle caviglie, lasciandole
scoperti i piedi: è scalza. Quando si gira posso vederla in
viso. È la prima
volta che la vedo con gli occhi aperti, a parte quando l’ho
vista allo
specchio. Vederla così, come se fosse un’altra
persona, un po’ mi disorienta e
mi preoccupa. È come se fosse andata via, via da me. Come se
fosse finito, come
se lei non avesse altro da fare. Una sorta di malinconia mi riempie il
petto e
ho quasi paura di piangere per questa perdita.
Ma
poi
Celeste sorride. È un sorriso triste, il suo, ma
effettivamente ci sta. Quando
si volta verso i ragazzi, che non la vedono , il suo sguardo, se
possibile, si
fa ancora più triste. Poi torna a guardare me, alza un
braccio, quello con il
tatuaggio a forma di ‘C’, mi saluta e se ne va
dalla porta dell’ufficio.
“Celeste!”
mi
sento sussurrare. Mi alzo di fretta, finalmente ci riesco, e raggiungo
la
porta, ma quando la oltrepasso, non la vedo più. Lei non
c’è. No. No. Dov’è
andata? Dove?
“Tutto
bene?”
mi chiede Leo, raggiungendomi. Anche lui ora ha la fronte corrugata. Mi
passa
un braccio dietro la schiena e mi stringe a sé. Devo
sembrare una pazza,
dannazione. “Celeste… se n’è
andata…” riesco a sussurrare ancora. Lui mi
abbraccia e io nascondo il viso contro il suo petto. In quel momento
suona il cellulare
di Leo e lui risponde
senza staccarmi da
sè. È Isabella.
“Nonna,
non
piangere. Scusa, non capisco cosa dici, riesci a…
Oh” Tiro su il viso giusto in
tempo per vedere i suoi occhi che si spalancano e lui non dice
più niente,
guardandomi.
“Che
succede?” chiede Luca, e io lo ringrazio, perché
non sono riuscita a farla io,
quella domanda.
“Mia
nonna… È
in ospedale… Celeste… Lei
è…”
-
-
***Eccoci con
l'ultimo capitolo!!! Come? Vi ho lasciato in sospeso? Davvero?
Sì ok, lo so... 😜 A breve ci sarà
l'epilogo... promesso. Grazie a tutti voi che
leggette. Grazie davvero.
|
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Capitolo 22 *** Epilogo ***
Celeste
-
-
Incontro
di anime
-
Sono
passati quattro anni da quando mi sono svegliata dal coma e l'unica
cosa che ricordo con chiarezza fu l'emozione che provai quando Nicole
mi abbracciò. È strano descriverlo adesso, che
sono a conoscenza di tutto quello che è successo, delle cose
che hanno fatto lei, mio fratello e Luca per salvarmi da Stefano, ma
quando lei strinse le sue braccia intorno a me, mi sembrò
una cosa così giusta che mi dimenticai di non conoscerla
affatto.
Nicole
entrò nella stanza dell'ospedale e io sapevo a malapena il
suo nome, ma quando uscì, dopo due ore, mi sembrò
di conoscerla da sempre. Nonna disse che avevamo un legame particolare
ed era per questo che l'avevo scelta. E se all'inizio non capii cosa
volesse dire, quando ci toccammo, le nostre anime entrarono in contatto
e in quel momento mi fu tutto chiaro. Ed era vero che l'avevo scelta,
avevo scelto di dividere con lei i miei ricordi e di mostrare proprio a
lei, ciò che ero. E non l'avevo fatto, come diceva la nonna,
perché lei è come noi, ossia capace di empatia e
sensibile alle emozioni degli altri, ma perché le nostre
cose in comune non finivano lì.
Nicole
era timida come lo ero stata io e odiava le lezioni di scienze. Era
leale e sincera, una buona amica ed era una sorella maggiore, proprio
come me. Le piaceva camminare sulla sabbia e aveva un cuore d'oro.
Erano tutte cose che mi piaceva pensare anche di me. Purtroppo lei,
come era successo a me, aveva poca stima di sé, e io ho
pensato che avrei potuto aiutarla a 'sbloccarsi', così come
avevo fatto io. Avrei potuto aiutarla a sbocciare. E lei era sbocciata.
Io l'avevo aiutata. E lei aveva aiutato me.
Sono
ancora convinta di averla scelta per questo. Mi piace pensare che ci
siamo aiutate a vicenda. Non so se sia vero, ma io la
penserò così per sempre.
***
"Ciao,
Celeste" Quando Nicole entra dalla porta si avvicina e mi dà
un bacio sulla guancia. Purtroppo non posso muovermi dal divano. La
nonna, dalla cucina la saluta ad alta voce e poi si affaccia con il
canovaccio in mano chiedendo se si ferma a cena. Nicole annuisce e si
siede vicino a me.
"Come
stai?" mi chiede.
"Sono
stufa" confesso. Lei sorride teneramente "Dai, porta pazienza..."
Sbuffo
come quando avevo cinque anni e penso subito che se ci fosse stato Leo
avrebbe riso di me invece che consolarmi come sta facendo la sua
fidanzata.
"E
te?" chiedo anch'io. Lei e Sabina studiano all'università.
Sabina studia lettere, mentre Nicole è iscritta alla
facoltà di giurisprudenza. Lì mi sa che ho colpa
io. Perché prima della storia di Stefano, Nicole non aveva
idea di cosa fare dopo il diploma, mentre invece, dopo che l'hanno
arrestato, ha avuto le idee chiare fin da subito.
"Dovrò
fare scorta di tisana rilassante, Cristina ha un nuovo gruppo rock
preferito e Simone ha appena iniziato il nuovo asilo. Mamma e
papà sono nel pallone. Io ero molto più calma, di
tutti e due" mi dice, sorridendo. So che adora i suoi fratelli.
"Allora
vuol dire che hai bisogno di una pausa, stasera Luca e Leo restano in
palestra... se noi ci guardassimo un film? Chiama anche Sabina,
facciamo una serata fra donne!!" Mi esalto un po'. Effettivamente
è la cosa più eccitante che mi sia accaduta nelle
ultime due settimane.
Nicole
accetta e chiedo alla nonna se ha voglia di guardare un film con noi
mentre cambio posizione sul divano. Ormai manca poco.
Nonna
viene vicino a me e mi accarezza la pancia. "Sarà un
maschio" mi dice sorridendo.
Il
frugoletto che porto in grembo da quasi nove mesi, non si è
voluto far vedere in nessuna ecografia, così noi eravamo
ancora incerti nel giallo e nel verde, ma quando la nonna ha quello
sguardo non ci sono più dubbi e tutte e tre sappiamo che
sarà un maschio.
Vedo
gli occhi di Nicole spalancarsi di meraviglia e cercare i miei. So cosa
sta pensando e insieme diciamo: "Angel!"
FINE
***Siamo
arrivati in fondo!!! Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito e a chi
ha letto la storia (molto travagliata, per me in primis, di Nicole)
spero vi sia piaciuta nonostante tutti i miei tentennamenti e le
immancabili testate che ho dato al muro. Grazie ancora!! 😊
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