Baker street e i suoi satellii

di Freelion7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sputnik ***
Capitolo 2: *** Explorer ***
Capitolo 3: *** Vanguard ***
Capitolo 4: *** Vanguard (in the meantime) ***
Capitolo 5: *** Project score (flashback 1) ***
Capitolo 6: *** Luna (flashback 2) ***
Capitolo 7: *** Luna (flashback 2- in the meantime) ***
Capitolo 8: *** Discoverer (flashback 3) ***
Capitolo 9: *** TIROS (flashback 4) ***
Capitolo 10: *** GRAB (capitolo 3, tornando nel presente) ***



Capitolo 1
*** Sputnik ***


buongiorno gentili lettori, due righe di introduzione, ahimè, vi toccano, vi toccano proprio. di questa storia, prima di iniziarla dovete sapere che:
1 è scritta a quattro mani e non sapevamo nemmeno noi dove saremmo arrivate
2 ogni volta che cambiate paragrafo dovete cambiare punto di vista. il personaggio che ne è titolare, è specificato o intuibile
3 il titolo è una citazione da due libri del 1800 circa, mentre i capitoli sono dei satelliti artificiali realmente esistenti
4 le esperienze di vita di sherlock e john sono state compresse, ma non alterate
5 si tratta di un esperimento, quindi per noi un feedback è molto importante
grazie per l'ascolto (la lettura, va beh) e buona lettura

Freelion




20 dicembre 2027, Londra
 

Come al solito, quella mattina il cielo londinese era totalmente plumbeo. L’aria era umida e qualunque cosa era avvolta in un sottile strato di brina. Era inverno e, logicamente, faceva freddo. Quel tipo di freddo che faceva solo desiderare una coperta calda, ma soprattutto asciutta, del the e poco altro. Tutto ciò che serviva a rendere la giornata straordinariamente ordinaria, monotona ed irritantemente noiosa. Era terribile. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Non un caso, non una distrazione. Sherlock odiava il Natale, si… col fatto che a Natale siamo tutti più buoni nessuno uccideva nessun altro. Noia. Noia. Noia.

 

Anche Matilde odiava il Natale: perché mai la gente si doveva costringere in piccoli negozi per comprare l’ennesimo regalo inutile e poco gradito, come quegli stupidi maglioni natalizi o i pigiami? Montagne di pigiami, come se per tutto l’anno uno dormisse nudo o in smoking. Pur di non alzarsi per constatare l’ennesimo ed inesorabile avanzamento verso il giorno di Natale, avrebbe fatto di tutto, infatti si trovava ancora sotto al piumone, al caldo.

 

《Mi annoio -SH》 si decise infine a scrivere a qualcuno che sapeva lo avrebbe capito.

 

L’odio che provò in quel momento verso la tecnologia era inverosimile. Prese il telefono; sapeva perfettamente chi era. 《Sto dormendo -MB》

 

《No, mi stai rispondendo -SH》

《Hai un caso? -SH》

《Ce lo creiamo? -SH》

《Anderson? -SH》

 

Il telefono volò lontano da lei, sul materasso. Al diavolo il suo amico, al diavolo il mondo, al diavolo l’umanità, ecco. C’era solo un modo per placare la sua noia e sopravvivere: andare da lui. Una doccia bollente ed era pronta.

 

《Aspetto -SH》 quella era una delle cose che amava -non che lo sapesse nessuno dei due- di quella sua strana amica. Era come lui. Poteva non dire nulla o quasi e, ne era sicuro, lei avrebbe capito comunque.

 

Non dovette nemmeno leggere il messaggio, sapeva cosa c’era scritto. Prese un taxi e arrivò da lui.

 

Sherlock era seduto -accoccolato- sulla sua poltrona, intento a guardare programmi stupidi ed a commentarli acidamente. Matilde sarebbe arrivata entro pochi minuti, ne era certo, ma Dio se quei minuti erano lunghi. Erano quanto di più interminabile esistesse.

 

Un semplice toc toc ruppe la monotonia dell'appartamento.

 

“Jawn, apri la porta” fu la prima reazione del detective, salvo poi rendersi conto, alcuni minuti più tardi, che l’amico, evidentemente, non era in casa ed alzarsi egli stesso per aprire, così come era, avvolto in un semplice lenzuolo bianco.

 

“Ancora che parli a John quando non c'è?” entrò in casa senza un saluto. Si tolse la sciarpa e il cappotto e appese tutto all’appendiabiti. Cominciò a guardarsi intorno, non tanto perché non sapesse come fosse fatta la casa dell'amico, ma perché ogni volta c'era una sfumatura di lui che le sfuggiva e la casa era lo specchio della sua anima. Grazie a Dio non aveva indugiato troppo sul quel corpo avvolto nella stoffa candida, la casa la salvava ogni volta, le dava altro a cui pensare, su cui ragionare. Le toglieva dalla testa dettagli compromettenti e inutili del detective.

 

“Come va l’indagine di me tramite la mia casa, detective?” le sorrise furbo l’uomo. Aveva notato quella strana abitudine di controllare quella casa, ma in fondo, talmente in fondo che nemmeno lui lo sapeva, non gli dispiaceva affatto. Gli dava modo di osservarla con tutta calma e di farle memorizzare i posti delle cose, così avrebbe potuto passargliele, all’occorrenza.

 

“Sei più noioso di ieri, un punto in meno per te. E ti turba qualcosa… Anzi, correggo, qualcuno. “ ricambiò il sorriso, soddisfatta dell'analisi e certa dell’esattezza delle sue parole.

 

“Qualcuno tipo?” tu, ragazza, ma è una futile coincidenza puntualizzò mentalmente, sperando, almeno quella volta, di non essere previsto.

 

“Avanti Sher, guarda che mi offendo.” si sedette sulla poltrona dell'amico.”Lo sai che queste cose sono le prime che ci si dice tra amici e che tu devi dirmi se vuoi continuare a vivere.” sorrise divertita e rimase in silenzio, accavallando le gambe e guardandolo.

 

E ora? Cosa avrebbe dovuto dirle? Mentirle era escluso, se ne sarebbe accorta in pochi millesimi di secondo. “Una persona mi crea piccole alterazioni cardiache, rossori non preventivabili… conosci i sintomi” si decise infine a comunicarle.

 

“Chiunque li conosce, Sher, e non sono sintomi” sempre più divertita. “Dai, fammi un caffè e siediti che ne parliamo. Magari riesco a farti far colpo sulla bella in questione” un occhiolino ammiccante e una risata cristallina, fu questo a nascondere una vera e propria voragine interna di tristezza: non sarebbero mai stati insieme.

 

Si alzò a preparare il caffè solo per prendere tempo. Jawn glielo aveva detto un migliaio di volte diglielo e basta, non girarci intorno e lui, ovviamente, non sapeva come fare. Non erano il suo campo i vivi, non lo erano mai stati. Nemmeno quando era piccolo… Il caffè era pronto. Irritante macchinetta dai ritmi fuori luogo!

 

Matilde disegnava leggera con la punta delle dita la pelle dei braccioli della poltrona. Più era articolato il disegno più lo erano i suoi ragionamenti. Non che servisse dirlo, quella volta il disegno era intricatissimo e complesso. Voleva solo un caffè e andare via da lì senza la stilettata che ormai già da mesi riceveva puntualmente ogni volta che lo andava a trovare.

 

“Questa persona” iniziò servendole il caffè “È intelligente e sorprendentemente intuitiva. Mi capisce alla perfezione, anche quando sto zitto” non so perchè sto parlando, in effetti “odia l’umanità vivente, le va bene quella morta però, il che me la fa andare particolarmente a genio. Non riempie per forza il silenzio”

 

Ed eccola la sua compagna di giochi preferita, la fitta al ventre e il giramento di testa che la faceva impazzire dalla gioia. Poteva aggiungere un nuovo bollino alla tessera punti delle delusioni della vita terrena. Forse, una volta morta, le sarebbe stato regalato un gelato in omaggio, chi lo sa.

 

“Come te lo dico?” chiese semplicemente, senza rendersi minimamente conto del lapsus.

 

“A me?“ sul suo volto la perplessità era dilagante.

 

“Alla diretta interessata, si” confermò limpido ed, a suo modo, ingenuo.

 

“A me non devi dirlo in nessun modo in particolare. Ecco, se proprio ci tieni mi offri il caffè in qualche posto un po’ carino.”

 

“...Ma lo devo dire alla diretta interessata in modo carino, quindi a te, quindi come te lo dico?” insistette Sherlock, con naturalezza disarmante. Era lei, era inutile girarci intorno. L'umanità non era diventata il suo forte negli ultimi tre minuti.

 

Matilde aggrottò le sopracciglia sempre più confusa. Non stava più capendo. Prese un sorso di caffé sperando di trovare l'illuminazione, ma tutto quello che successe fu solo uno sputare frettoloso nella tazzina quel poco che aveva in bocca con aria disgustata. “Ma che cazzo hai messo nel caffè?!”. Il sale, ecco cosa.

 

“Quindi? Come te lo dico?” insistette, senza badare all’errore sale/zucchero. Si era mosso in automatico, perso fra i suoi pensieri, quello era un dettaglio irrilevante a confronto. Piantò gli occhi in quelli della ragazza, in attesa di una risposta.

 

“Dio che schifo, che caffè di merda” posò tazzina e cucchiaino sul tavolino. “Non lo so, Sher, ok? Non lo so” si arrese. Non poteva continuare quella stupida conversazione che le stava causando solo dolore.

 

Bene. Un respiro, due respiri. “Sei tu.” ammise infine. Era inutile per entrambi cercare un modo meno diretto. Totalmente inutile.

 

La tazzina volò per terra. Dire che i suoi neuroni stavano facendo la fila per le scialuppe di salvataggio sarebbe stato di sicuro un eufemismo; più che altro si stavano letteralmente suicidano pur di non essere i responsabili della reazione -sicuramente inadeguata e probabilmente senza senso- alle parole dell'amico. Matilde lo guardò per un paio di secondi prima di scoppiare a ridere.

 

Sherlock nel frattempo osservava la giovane di fronte a sé. Era curioso della reazione, ma al contempo, non sapeva che aspettarsi. Una risata non era certo quello che sperava di ottenere “Sono serio” puntualizzó fermo.

 

Ok, quell'affermazione proprio non ci voleva. La sua espressione cambiò completamente. Gli occhi, che non avevano mai abbandonato quelli dell'uomo, lasciavano trasparire la paura che la ragazza provava ogni volta che una storia abbozzava il suo inizio.

 

Il consulente investigativo si concesse un momento per guardarla con gli occhi socchiusi, ma senza smettere di studiarla. “Hai paura.” cosa temi?

Jawn si era premurato di dargli fior di lezioni di approccio col gentil sesso, che aveva seguito, ad essere ottimisti, per il 17%, forse meno, ma era ragionevolmente convinto che le voci risata e paura non rientrassero tra le reazioni giuste.

 

La domanda così diretta non fece altro che mandarla nel pallone. Doveva rimanere calma e lucida. Non era mai stata brava ad affidarsi, figuriamoci a buttarsi così nel mare di interrogativi che una relazione nascente aveva. “Non dovrei?”

 

“Non stai rispondendo alla domanda” la stai aggirando volutamente?  E non aveva avuto una risposta, una reazione, un'opinione verbale alla propria scarna dichiarazione. Era abbastanza frustrante. Matilde era una di quelle persone che non capiva del tutto e questo era intrigante ai suoi occhi. Tremendamente. Il mondo era un libro aperto, lei un libro aperto, si, ma di astronomia ittita ed in finlandese scritto da un africano esperto in lingue sud americane.

 

“Invece ti sto rispondendo.” Lui non rispondeva mai alle sue domande, era una cosa che la faceva impazzire e non sempre in senso buono. Voleva solo sapere qualcosa in più, tutto qui. Dopo una dichiarazione così scarna una domanda era più che lecita.

 

“Porre un'altra domanda non è rispondere e con me c’è sempre da avere paura, lo sai” umanamente perché non è il mio campo, e poi i guai mi amano ed il sentimento è reciproco. Più sincero di così non poteva essere, anche se doveva ammettere che con lei era più semplice esserlo, anche se a volte più complicato . Perché faceva parte di una specie emotivamente tanto complessa?! Perché?!

 

Aveva capito tutto quello che gli voleva dire? Sicuramente. Aveva travisato buona parte del messaggio? Sicuro anche questo. “Sherlock potresti evitare di parlare criptico come l'oracolo di Delfi?” rispose scorata Matilde.

 

Il giovane si decise ad esplicitare il discorso per intero, inserendo tutto ciò che aveva sottinteso. Inutile specificare che ci vollero non pochi secondi, siccome, per così dire, parlava come un iceberg. Sperò in una risposta diretta, stavolta. Aveva senso che ci investisse energia o no?

 

La ragazza rimase in silenzio, stava soppesando molto attentamente le parole dell'amico. “Lo so che non sei facile, ma non è a quello che mi riferivo. Tu sai cosa è successo prima. “ verso la fine della frase la voce aveva iniziato a tremarle. Si zittì di colpo, non voleva sembrare debole, non lo era mai stata e non lo sarebbe mai stata. Quel prima l'aveva cambiata molto: c'erano dentro delusioni di una vita, promesse infrante, pianti solitari e silenziosi, abbandoni… Troppe cose, troppi dolori che cercava sempre disperatamente di soffocare, di nascondere non solo agli altri ma anche a se stessa.

 

“Lo so” Un po’ di quello che era successo lo aveva dedotto, un po’ gli era stato confermato dalla ragazza stessa e da altri. Anche se non era nelle sue corde, per lei avrebbe provato a stare attento. Non che garantisse sul risultato, ma sul tentativo si.

 

“E allora, dato che lo sai, che sai a cosa mi riferisco, rispondimi”. Era tanto chiedere di sapere chiaramente le sue intenzioni? Era troppo? Le proprie membra non le erano mai sembrate tanto rigide, tanto tese. Voleva una risposta, poi avrebbe deciso la sua.

 

“Mi alteri la pressione sanguigna, la temperatura, la percezione esterna della realtà ed hai una stanza nel mio castello mentale” ammise l'uomo, fermo, dopo essersi preso qualche secondo per formulare.

 

“Non hai di nuovo capito…” un lampo di cedimento le attraversò lo sguardo e fu di nuovo silenzio.

 

“Mi piaci. Credo si dica così.” rettificò dunque. Okay, lo aveva detto. Non rimaneva  che aspettare la reazione.

 

Si alzò in silenzio e raccolti i cocci della tazzina più grossi andò in cucina. Quel silenzio non era positivo, era un silenzio spossato. Aveva sempre la sensazione di star parlando un'altra lingua. Era rassegnata.

 

Il detective rimase perplesso. Era evidente che qualcosa non era andato per il verso giusto, ma cosa? Non era logica. Non era il suo campo. “Mi piaci parecchio”

 

Lo sentì solo di sfuggita. Ancora mancava un passo, il passo, ma non riusciva a farlo, troppo logico per riuscirci? Forse solo troppo…. Troppo in tutti i sensi: troppo intelligente, troppo cocciuto, troppo Sherlock, ecco, sì, troppo Sherlock. Non si possono sempre combattere i mulini a vento, Matilde le diceva la sua testa, era diventato come un mantra: non sprecare tempo.

 

Non poteva dire di amarla follemente. Non era vero. Non in quel momento. Era vero che ce l'aveva spesso in testa. Okay, sempre. Ma era amore quella cosa che gli faceva tremare le mani?

 

Matilde stava guardando il grigio paesaggio londinese dalla finestra della cucina. Adorava guardare da quella finestra, immaginava di essere una piccola goccia di pioggia e di scivolare lungo i profili delle case e delle persone fino a scontrarsi contro un vetro per poi iniziare l'inesorabile caduta verso la terra.

 

Pioveva.

Noia.

E Matilde non gli aveva ancora risposto chiaramente. Era frustrante come cosa, doveva ammetterlo. Era l'unica cosa che proprio non capiva e nessuno si degnava mai di esplicitare. Tutti a dichiarare cose totalmente ovvie e difetti genetici del genere, nessuno.

 

Erano passati solo un paio di minuti, ma alla ragazza erano sembrati vere e proprie ore. Voleva solo tornare sotto al piumone. Tornò in salotto e cominciò a vestirsi. Non si può sempre lottare contro i mulini a vento.

 

“Non mi puoi chiedere cose non vere. Non posso dire di amarti. Conosco i sintomi fisici dell'infatuazione, della cotta. Ma non ho idea di cosa sia, strettamente, amare cosa implichi. Però i sintomi ci sono tutti.” aveva detto tutto quello che riteneva vero.

 

“Ho capito” rispose tranquilla “non ti ho chiesto di dirmi cose non vere”. Sorrise come sorrideva solo a lui. “buona giornata Sher”. Un sorriso fu tutto ciò che rimase della ragazza nella stanza.

 

“Quindi si, no, indifferente?” non è un mondo che mi è noto. Cosa succede adesso? La voce non era poi così ferma, ma se qualcuno glielo avesse fatto notare, avrebbe negato fino alla morte.

 

“Qual è la tua domanda?” si fermò sulla porta.

 

Uno “Cosa implica stare insieme?” non aveva esperienze precedenti a cui riferirsi. Come poteva chiedere qualcosa che non sapeva?

Due “Quindi ci frequentiamo?” soggiunse con l’aria di chi stava scegliendo le parole dal catalogo di quelle poco usate.

 

“Ok, allora uno dipende da coppia a coppia, non c'è un modus operandi. Due non mi hai nemmeno chiesto se mi piaci” era la quintessenza dell’ovvietà.

 

“Mi sembrava abbastanza implicito. Bene. Ti piaccio?” domandò quindi.

 

Lo guardò dritto negli occhi e cominciò a scavare in lui. “Sì”

 

“Quindi ci frequentiamo?” domandò limpido.

 

“No” è con queste lettere ancora sulle labbra uscì dalla casa.

 

Sherlock tornò a sedersi sulla poltrona. Non gli interessava più commentare serie stupide. Per nulla.

 

Era ferma sulle scale, indecisa. Voleva un invito formale, non si voleva accontentare di un paio di sillabe stentate, voleva una vera storia, una vera relazione. Se gli interessava aveva solo da muoversi. La mano stringeva il mancorrente e il respiro si faceva più lento, più leggero. Cercava di non farsi sentire, quasi come se volesse diventare parte della scala, invisibile, un camaleonte.

 

“Vuoi uscire con me, Matilde?” domandò a voce alta, in modo da essere sentito. Non era ancora uscita, ne era sicuro. Le aveva sentito percorrere tre gradini, non di più.

 

Un lieve sorriso le incrinò le labbra. Gli arti tornarono leggeri e la portarono rapidamente davanti alla porta quasi come se avesse volato.

 

A valutare dai suoi passi, era un si. “Scendi. Caffè” commentò tranquillo, uscendo come era.

 

Non si mosse da lì. Sapeva che sarebbe uscito così com'era. Letteralmente lo bloccò col proprio corpo.

 

“Quindi? Non usciamo?” domandò incredulo e perplesso. Si era totalmente dimenticato del lenzuolo.

 

“Certo, ma non così e non per un caffè”. Gli mise una mano sulla schiena e lo riaccompagnò dentro. La sua mano si adattava perfettamente alla forma del suo corpo, era una sensazione bellissima. Dopo aver chiuso la porta tornò seduta sulla poltrona nera.

 

In quel momento l’uomo abbassò gli occhi e si rese conto del perchè fosse stato fermato dall’amica… ragazza… frequentante? Come avrebbe potuto chiamarla? “Vieni” cosa ti piacerebbe che io mettessi? sottese tirandola di fronte all’armadio.

 

“Mi porti fuori a pranzo e al cinema” sorrise sfacciata lanciandogli un chiaro messaggio “quanto mi merito?”

 

“Ho una decenza alla quale sottostare?” da infrangere? sorrise deliziosamente malandrino. Sperava ci fosse qualcosa da infrangere, rendeva tutto molto più divertente.

 

“Cosa vorresti infrangere?” erano a un soffio l'una dall'altro, Matilde lo guardava dal basso verso l'alto con un lampo trasgressivo negli occhi. Amava questa parte di lui, la faceva sentire viva.

 

“Tutto” le sorrise facendole un occhiolino che era solo suo. “Tutto” ribadì percorrendo piano la schiena della ragazza.

 

“Sorprendimi”. Voleva vederlo al massimo del suo potenziale. Si appoggiò alla sua mano e socchiuse gli occhi respirando piano.

 

Gli brillarono gli occhi. Sfida. Un’altra delle cose che amava di lei. Voleva metterlo alla prova? L’avrebbe accontentata. Si vestì di tutto punto e la prese per mano, istintivo. “Chiama un taxi, Til”

 

“Til? Da quando? ” la mano già componeva il numero.

 

Scese veloce le scale. Sapeva come mettere insieme il brivido del proibito ed il raffinato. Sì.

 

Matilde quasi volò giù per i gradini. Rideva, lui la faceva sentire libera. “Rallenta stambecco o ci rimango secca!”.

 

Si fermò solo davanti alla porta, aprendole. Fortunatamente il taxi li aspettava giù. Non era proprio celebre per la pazienza e la sua… iniziava a detestare questa cosa del non sapere come chiamarla! ...Matilde neanche. Con un piccolo sforzo, le aprì  anche la portiera.

 

Entrò sorpresa da tanta gentilezza e chiuse la porta. Gli regalò un sorriso luminoso e un occhiolino che non prometteva nulla di buono. Il taxi partì prima che anche lui potesse salire.

 

Sherlock la guardò allontanarsi perplesso. Okay, probabilmente aveva intuito la sua meta, ma il viaggio insieme sarebbe stato più divertente. Decisamente. Prese il successivo, con un mezzo sorriso. Lo aveva sorpreso.

 

Le dita della ragazza viaggiavano veloci sulla tastiera del telefono a comporre un semplice messaggio. Il mezzo sorriso beffardo che aveva sulle labbra non la abbandonò neanche una volta riposto il cellulare nella tasca.

 

Sherlock salì sul taxi seguente. Fortunatamente la giovane aveva buon gusto in molte cose, tra cui l’abbigliamento. “Buckingham palace”

 

Il taxi si fermò dove richiesto. Matilde Scese elegantemente e si sistemò con un gesto automatico della mano i capelli.

 

Sherlock scese poco dopo la compagna e la sorprese alle spalle “Piccola carogna” al suo orecchio, divertito. “Andiamo a prendere il the a spese di mio fratello”

 

“Solo se ci sono anche i biscotti” angelicamente si girò per guardarlo. “E lo sai che sono carogna, Sher” con la voce zuccherina.

 

“Lo so” sorrise solo. “Andiamo” ripetè avviandosi col fare deciso di chi si trovava esattamente dove doveva stare a fare qualcosa di assolutamente lecito.

 

Benché avesse le gambe lunghe la metà delle sue in due passi lo precedette “Guarda e impara, novellino” sorrise beffarda prima di entrare.

 

Buckingham palace era maestoso ed immenso ed, in qualche inspiegabile modo, riusciva a risplendere anche nella pioggia. Le guardie erano sempre impettite e vigili ai loro posti. Per un fugace istante, il consulente investigativo si chiese se avessero mai sparato un colpo negli ultimi 50 anni. Probabilmente no.

Entriamo “Insieme?”

 

“Io prima e tu dopo, ovviamente”. Buckingham Palace le piaceva sempre. Era tirata a lucido ogni volta, i lampadari di cristallo creavano splendidi giochi di luce sul pavimento in marmo pregiato. Una vera reggia e lei stava esattamente per fare un'entrata da regina. Aprì le porte della sala principale come se fossero quelle di casa sua. “Il gioco è cominciato” sussurro a Sherlock prima di calarsi nella parte.

 

Non sapeva dove voleva andare e lei gli stava davanti e lui non poteva certo urlare. Sorrise divertito e la seguì spigliato. Per una volta non doveva nemmeno badare a tenersi il lenzuolo intorno. Ci rifletté un attimo. Riflettere! Specchi! Si spostò leggermente a destra, verso il corridoio che le avrebbe fatto imboccare, se l’avesse avuta fi fianco.

 

Matilde lo seguì senza esitazione, si fidava ciecamente di lui. “Dove mi vuoi portare mio re?” sorrise prendendolo a braccetto.

 

“Nelle sale reali” sorrise ovvio e divertito. “Non punto ai gioielli della corona, solo al servizio da the”

 

La ragazza iniziò a correre per il palazzo verso le sale reali. “Prendimi, Sherlock!”  sembrava una bambina, felice e spensierata. Quando ancora andava all'asilo le bambine cercavano di attirare le attenzioni dei loro “fidanzatini” in ogni modo possibile, ebbene, lei, che da sempre era considerata più un maschiaccio che una femmina, si faceva rincorrere. Aveva inventato un gioco apposta: si era divisi in due squadre, una scappava e l'altra prendeva e per prendere una persona bisognava darle un bacio sulla guancia. La ragazza sorrise a quel ricordo e continuò a correre.

 

Sherlock sperava in un’entrata più trionfale, ma in fondo al diavolo la decenza si disse, prima di rincorrerla. Complici le gambe più lunghe, la raggiunse in un corridoietto in penombra, la strinse a sé e le lasciò un bacio sulla guancia “Presa”

 

Le guance le si colorarono di un lieve rosa e il cuore cominciò a battere  più veloce. E adesso? L'avrebbe baciata? Si sarebbero rincorsi ancora? Si sarebbero abbracciati? Tante incognite, troppi dubbi. In tutta quella confusione l'unica cosa che le uscì dalle labbra fu un lievissimo “Presa…”.

 

Il detective strinse a sé la giovane. “basta correre” stabilì, aprendo una porticina di servizio che dava direttamente sulla sala da the, in quel momento oscura, di sua maestà la regina e, con tutta probabilità, di suo fratello. Prima di varcarla però si concesse un bacio molto, molto vicino ad un angolo della bocca.

 

“Mi hai già presa….” non capiva perché un secondo bacio, era stata presa, Sherlock aveva vinto.

 

“Lo so” fu l’ovvia risposta. Era palese, lei era fra le sue braccia… in effetti non sapeva perché l'avesse baciata di nuovo, forse solo per puro gusto, perché la sua pelle sapeva di buono.

 

Si dileguò nella camera oscura alla ricerca del servizio da the. “Devi ancora trovarmi… “ il sorriso candido  ancora rideva nell'oscurità.

 

Il detective si chiuse la porta alle spalle, si immobilizzó e cercò di individuare i movimenti della giovane. Non appena fu sicuro di dove si trovasse, vi si diresse silenzioso come un gatto.

 

Matilde si muoveva rapida nell'ombra. Adorava giocare, soprattutto con Sherlock. Lo sentiva che si muoveva, che le veniva incontro, percepiva i suoi spostamenti. Si sentiva una pantera in fuga dai predatori.

 

Sherlock analizzó brevemente la situazione. Matilde sapeva esattamente dove lui si trovasse, ne era sicuro. Sorrise felino e si lasciò cadere su uno dei divani.

 

“Che pigrone….” Gattonando arrivò fino al divano e balzò sopra al detective. “Preso!”

 

“Non ancora, detective” sorrise divertito. Giocare con lei era divertente, anche se la prova sarebbe stata un caso, senza dubbio. In effetti lo aspettava con impazienza.

 

“E perché?”

 

Il giovane protese solo una guancia, eloquente la regola del bacio valeva forse solo per lui? “Timida?” domandò ancora, con aria incredula.

 

Appoggiò le sue labbra contro la pelle bianca dell'uomo. Il cuore batteva forte nel petto tanto che sembrava che uscisse.

 

Sherlock percepì distintamente il battito cardiaco alterato della giovane sopra di lui. Le strinse appena i fianchi in un moto istintivo e del tutto non controllato.

 

“Quanto ti senti trasgressivo?” soffiò leggera a pochissimo dalle sue labbra. Sentiva il suo respiro caldo, il suo cuore che le batteva contro il petto.

 

“Abbiamo ancora da prendere il the, Til” sorrise furbo e sottile. Si stava divertendo più di quanto avrebbe ammesso con qualunque altro essere vivente.

 

“Credevo volessi subito il dolce… ”. Il buio ed il brivido della trasgressione creavano un'atmosfera magnetica.

 

“Sei dolce?” domandò sornione

 

“Vuoi assaggiare? “ Matilde si appoggiò al suo petto con le mani.

 

La stanza era buia quasi completamente, ma non era videosorvegliata, la regina aveva pur sempre diritto alla propria privacy. Un grande e lussuoso divano -quello sul quale erano- era appoggiato ad una delle pareti, l'unica finestrata. Su quella opposta una antica e fine vetrina raccoglieva vetreria storica e reale. Fra i due mobili, una poltrona imponente faceva mostra di sé ed il leggero e simbolico baldacchino che la sovrastava ne individuava la proprietà. Di fronte, lussuosa, anche se non altrettanto, una poltrona di velluto faceva da contrappunto. Centrato nella stanza, un tavolino basso in ebano sosteneva un pregevole candelabro dorato e lavorato con le storie della casata reale.

 

“Sono curioso” sorrise malandrino. Il gusto del proibito era qualcosa di allettante e, anche se in modo naturalmente diverso, la ragazza lo incuriosiva come un caso. Non riusciva a prevederla.

 

“E io qui”

 

“Cosa presumi che io faccia, detective?”

 

“Dimmelo tu”. Si distese su di lui: voleva aderirgli con tutto il corpo.

 

“La mia banhoff pie” tu, detective sorrise sghembo stringendola a sé, ad un soffio dalle sue labbra.

 

Stava così bene fra le sue braccia… Era tornata a casa. Socchiuse gli occhi e gli si avvicinò impercettibilmente. “La mia red velvet”

 

A quel punto le labbra del giovane erano sulla pelle della ragazza “Cosa vuoi che faccia?” mormorò. Non era da lui cedere le armi così in fretta… in generale, in realtà.

 

Lei non si mosse, voleva che fosse lui a fare il primo passo.

 

Con lentezza quasi disarmante azzerò la distanza e sovrappose le loro labbra. Non si aspettava qualcosa di tanto soffice al tatto.

 

Le  labbra di lui erano così delicate, come dei petali di rosa,  che aveva paura di romperlo.

 

Non mi rompo la rasserenò con uno sguardo complice nel buio. Era quello stare in pace senza annoiarsi? La soluzione era fare qualcosa di totalmente adrenalinico, ma al contempo tranquillo?

 

Quello sguardo funzionò da lasciapassare. Le mani gli accarezzavano il petto dolcemente e le labbra le imitavano su quelle del moro.

 

Brividi? Erano brividi quelli sulla sua pelle? Si osservò di sfuggita. Lo erano. Eppure non faceva freddo… che fosse la ragazza a procurarglieli? Probabilmente sì, dubitava fosse il divano reale… eppure stava così bene…

 

“Puoi anche ricambiare, sai?” Perché non si muoveva? Non che non fosse piacevole baciarlo anche così, ma sarebbe stato decisamente meglio se fosse stato più… Interattivo, ecco.

 

Invece che rispondere, l'accontentó impacciato, fingendo un'esperienza che non aveva. Le sue mani presero a vagare sulla schiena della giovane, con la delicatezza con la quale trattava il suo violino.

 

In quell'esatto momento  la detective si allontanò dalle sue labbra con un ghigno beffardo “Non dirmi che ti ho rubato il primo bacio…” aveva riconosciuto il tocco inesperto.

 

“No, ovvio” non lo hai rubato. Questo non voleva dire che fosse falso. Se ne era accorta, altrimenti non avrebbe chiesto con tanta precisione e per lei non era il primo. Magari sarebbe stato l'ultimo… meglio, sì.

 

“Rilassati, Sher…” sussurrò al suo orecchio per tranquillizzarlo. Le sue labbra erano come un magnete per lei e così, senza riuscire a resisterle si abbandonò a quelle due dolci ciliegie.

 

Con un piccolo sforzo di volontà, il giovane sciolse i muscoli e tentò -per una volta nella sua esistenza- di lasciar perdere la sua sempre fedele logica. Per semplice imitazione, prese parte a quel bacio per lui tanto nuovo.

 

Decisamente sì, ora si ragionava. Matilde diede uno sprint a quel timido contatto. Voleva di più, voleva sapere il suo sapore, voleva sentirsi girare la testa come solo con i migliori baci. Le mani non si accontentano più di quella piccola porzione di petto e volarono leggere sul suo corpo sfiorandolo e accarezzandolo.

 

Per Sherlock quello sprint significò una scarica di adrenalina piuttosto potente. Ovviamente conosceva le dinamiche generali, ma nulla di più. Tutti i sensi gli urlavano di focalizzarsi su di lei, solo e soltanto su di lei e, tranne in qualche rara occasione, i suoi sensi avevano ragione. Era una strana specie di palazzo mentale. Era lei ed esisteva solo lei. Riprese a baciarla impacciato, ma meno timido.

 

Sorrise. Era così semplice amarlo. Con discrezione cercò con la lingua l'entrata fra le sue labbra, non voleva spaventarlo.

 

Il concedergliela non fu ragionato. Se ne accorse a stento, per essere precisi. Ad un certo punto sapeva solo che sapeva di buono e che la desiderava, anche se questo gli era noto già da tempo. Le percorse il viso con le dita. Non lo aveva mai fatto, realizzò. Non ce n’era mai stata ragione, giustificazione logica o scusa di sorta. Quella pelle aveva qualcosa di ipnotico, forse la consistenza, forse quel neo sulla guancia che prometteva tanto capricci quanto conoscenze variegate e che sottolineava ogni movimento delle labbra.

 

Il suo viso era di burro sotto quelle mani. Dio quanto sapeva di Sherlock, era certa di aver trovato il suo gusto preferito. Senza nemmeno badarci troppo infilò una mano nei suoi capelli. Ricci. Corvini. Morbidi. Meravigliosi. Aveva sempre voluto farlo, ma non aveva mai trovato una motivazione sensata, un perché logico. Ora aveva un motivo, lo amava. Non glielo avrebbe detto: gli uomini si spaventavano con le dichiarazioni dirette. Anche lei voleva sfiorargli la pelle. Gli accarezzò lo zigomo, affilato e affascinante, misterioso “Tu e i tuoi maledetti zigomi….” sorrise dolce dolce come solo con lui.

 

Il giovane Holmes si accorse che la giovane aveva detto qualcosa -qualcosa a proposito dei suoi zigomi?- ma si era concentrato su tutti i ventiquattro parametri della sua voce, piuttosto che sul senso della frase. Gli era sembrata più dolce del solito, anche se, aveva notato, con lui lo era di più che con chiunque altro.

 

“Non hai capito la frase, vero?” rise sulle sue labbra senza smettere di baciarlo. Non voleva perdersi nemmeno un secondo di lui.

 

“I miei zigomi qualcosa” non voleva ammettere che avesse ragione, eppure l'aveva. Si era concentrato su altro, ecco tutto. “Però la tua voce era diversa dal solito, anche se non tanto.”

 

“Spiegati”. Questo era assolutamente degno di attenzione.

 

“Con me la tua voce è diversa. Oggi anche di più. Dolce.” rettificò.

 

Le si disegnò un sorriso in volto estatico. “è vero”

 

“Lo so, detective” le sorrise contro le labbra. Con lei era molto più soddisfacente avere ragione, forse perché non era scontato. Non lo era per nulla.

 

“Siamo uno a uno, detective”

 

“Due a due” puntualizzó. Lui aveva preso lei e lei lui, anche se se lo era lasciato fare, ma non doveva dimenticarsi del taxi, che era quello che dava parità al risultato. Dopo di ciò, tornò sulle sue labbra, goloso.

 

Le piaceva vederlo così desideroso di lei. Perché non aumentare la sua voglia? Si allontanò quel tanto che bastava per essere fuori portata. “E ora?”

 

Lo aveva fatto apposta, ne era certo. Non era lontana era solo appena fuori dalla sua portata. Irritante ragazza affasci...irritante! Non sapeva quanto fosse pronto ad ammettere di più, almeno in quel momento. Si tirò su per poter avere ancora un po’ di quel mistero.

 

Era in piedi davanti a lui. In fondo avevano un tè da prendere. Accese la luce e lo guardò. Camminando seducente arrivò a sedersi sulla poltrona rossa accavallando più sensuale possibile le gambe.

 

Il detective, come legato ad un filo, si trovò in piedi. Senza perderla di vista, preparò il tè, ancheggiando appena, inconsapevole. Voleva -esigeva, quasi- i suoi occhi addosso. Non riempì il silenzio, non era necessario.

 

“Pensi davvero che potrei non guardarti?” era incredula e divertita allo stesso tempo. Era talmente bello e prezioso ai suoi occhi che non sarebbe stata in grado di rinunciare alla sua vista.

 

“Non lo so” liberò in un respiro. Gli bruciava ammetterlo, gli bruciava terribilmente. Quel che sapeva era che aveva sempre detestato i sentimenti umani i difetti di fabbrica della parte perdente, ma ne era in balia e stava bene. La logica gli diceva di no, il corpo e la mente dicevano di si.

 

In un unico gesto fluido lo tirò a sè fino a farlo sedere sulle proprie gambe.

 

Fu solo grazie ai riflessi allenati ed al naturale equilibrio che le tazzine e la teiera che il detective aveva in mano non caddero disastrosamente, nè lo fece il loro contenuto. Si sentiva troppo alto per quella concentrazione di energia. Avrebbe preferito stare sotto di lei, averla alla sua altezza. Poggió fluido il vassoio sul tavolino e la guardò negli occhi, perdendovicisi.

 

“Quanto sei alto, Sher” rise di gusto invertendo le posizioni. “Molto meglio. In fondo non sono forse la tua principessa?”

 

“La mia autorità?” non mi sembra saggio. Regole? “adoro infrangerle” lo sai perfettamente domandò sorridendo da felino. D'altro canto anche lei doveva adorare il brivido del proibito, altrimenti non sarebbe andata lì con lui.

 

“Davanti agli altri ok, ma tra di noi…” gli camminò con le dita sul petto. Il suo bimbo… Voleva essere la sua piccola. In realtà la sua qualsiasi cosa ma doveva essere la sua. Lo sguardo un po’ dispiaciuto si focalizza sulle sue clavicole appena sporgenti.

 

“La mia compagna, ma non la mia autorità” non sapeva perché avesse puntualizzato. Quelle parole gli erano vate via dalle labbra prima di poterle fermare. Trattenne appena il fiato, in attesa di una qualunque reazione.

 

“Non sono la tua compagna” rispose ferma “Non sono un cane.”. Lo guardò negli occhi. Voleva fosse più che chiaro questo concetto. “ci stiamo frequentando”.

 

“Come chiamarti?” domandò limpido quindi. Compagna non andava bene, ma amici non si potevano definire, fidanzati nemmeno, conoscenti non erano...

 

“Quella con cui ti senti, la ragazza con cui ti senti. Ma solo se siamo con altri. Se siamo solo noi….” si fermò. Stava per straparlare.

 

“Vai avanti" si era accorto -ovviamente- dell'interruzione brusca della frase e voleva sapere cosa stava per dire, era curioso, lo era sempre stato, con lei di più.

 

Arrossí di colpo. Non voleva esporsi così tanto, non voleva proprio. Però sapeva che per lui lo avrebbe fatto. Si fidava ciecamente, lo amava “Stavo dicendo che se siamo solo noi… ecco…” il rossore aumentò ”se siamo solo noi… puoi chiamarmi come vuoi… Come ti senti.”.

 

“Pipetta.” stabilì in fretta l'uomo, sicuro. Non perché lei fosse un esperimento, ma perché era una cosa che avevano in comune.

 

Non poté resistergli. Lo bacio di slancio, cotta e stracotta.

 

Quel bacio fu presto ricambiato, mentre Sherlock si incuneava sotto le gambe della ragazza, in un unico fluido movimento, ristabilendo l'equilibrio delle altezze.

 

“Preferisci?” dolce sulle sue labbra. Si accoccolò in braccio al suo ragazzo. Lo considerava già il suo ragazzo, ma glielo avrebbe detto solo a tempo debito.

 

Preferiva, si. Gli piaceva averla vicina, ma lo avrebbe ammesso solo quando sarebbe stato in grado di dirlo anche a se stesso. Un braccio di lui si strinse alla schiena e l'altro alla vita.

 

“Tua…” non se ne era nemmeno resa conto.

 

Il detective la guardò per un momento senza dire nulla, poi la strinse a sé. Non sapeva che parole usare, ma sperò che il vistoso brivido che gli increspava la pelle fosse sufficiente.

 

Ovviamente Matilde lo travisò. Nell'immagine che aveva di lui, Sherlock non rabbrividiva. “Hai freddo, Sher? “ intanto le accarezzava il viso per sentirne la temperatura.

 

“Allora a te tenermi caldo” sorrise sornione, stringendola maggiormente a sé.

 

Non voleva che il suo bimbo stesse al freddo. Si tolse il copri spalle e glielo sistemò come una coperta. In realtà gli copriva solo dalle spalle ad appena sotto i pettorali, ma questo non fermò la ragazza dal sistemarglielo con ogni cura e dall’assicurarsi che fosse il più al caldo possibile. “Meglio?” con un tono spaventosamente materno e protettivo. Era di sicuro la prima volta che lo usava.

 

Sherlock non sapeva che fare. Strinse a sé la ragazza con un sorriso felino “Meglio”

Si bloccò un momento, guardandola negli occhi “Quel tono" non lo hai mai usato, neanche con me “che rappresenta?” la domanda non era per recriminare in alcun modo, era per sapere.

 

“Che tono?” candidamente chiese al detective. Non se ne era nemmeno accorta, le era venuto naturale.

 

“Materno?”  Matilde, quella Matilde che aveva un tono materno?! Assurdo. Fuori da ogni logica. Ma davvero Matilde poteva avere quel tipo di tendenza? Poteva essere una madre? Nella sua testa l'immagine di lei con un bambino presumeva che fosse zia o che il bambino fosse un morto su cui indagare. Eppure lo aveva usato con lui.

 

“Materno?” ancora più perplessa di lui. Lei non era materna. Non era una madre. Eppure qualcosa stava scattando. Erano mesi ormai che ci pensava. Una volta aveva sognato addirittura di essere incinta e ovviamente il padre in qualsiasi sogno che facesse era sempre e solo uno: Sherlock. Non poteva dirgli che aveva avuto quel tipo di pensieri su di loro. Era presto. Però in fondo si conoscevano da tanto tempo e da subito il loro rapporto aveva avuto quel non so che di particolare.

 

Era inutile continuare a ripetersi sempre solo quella parola senza dirsi nulla di più. Le porse una delle due tazze di the nero, archiviando quella come una delle cose a cui pensare. Prese l’altra per sé la zuccheró abbondantemente.

 

“Stai uccidendo questo te. Vergogna”

 

“Un morto nella sala da tè della regina. Interessante. Indaghiamo?” stava facendo il bambino, si. Però in fondo infantile era sempre stato, quindi...

 

“Prima che arrivi tuo fratello” sorrise beffarda e si alzò.

 

“è già qui” puntualizzó sherlock, storcendo il naso infastidito, mentre Mycroft Holmes, Mary Poppins in incognita, apriva la porta con aria irritata.

 

Gli baciò il naso velocemente prima di girarsi verso Mycroft. “Buongiorno Mycroft.”

 

“Buongiorno Matilde, fratellino…” perché non sono stupito di vedervi qui a prendere il the per un infantile senso del proibito? “perché?”

 

“Spero non ti dispiaccia la nostra piccola invasione, Myc.” sapeva di avere un certo ascendente sul governo inglese ed aveva intenzione di usarlo.

 

Mycroft avrebbe immensamente voluto dire che sì, gli dispiaceva la loro visita in quella stanza, ma, inutile a dirsi, non vi riuscì. La sua espressione si coloró di qualcosa di simile ad un caldo rimprovero, come di qualcuno che sapeva che qualcosa fosse sbagliato ed avrebbe dovuto davvero rimproverare la persona in errore, ma lo aveva fatto anche lui in passato e lo avrebbe rifatto, se ne avesse avuto l'occasione.

 

“Grazie Myc”. Matilde gli lasciò un leggero bacio sulla guancia.

 

Sherlock in quel momento ebbe non poche difficoltà a non staccare la ragazza, la sua ragazza, da suo fratello. Si limitò a guardar male quest'ultimo, che tornasse alle sue torte!

 

La giovane sorrise al più grande. “Ah, signor governo inglese” si rivolse totalmente a lui “Sarei estremamente lusingata se volesse farmi visita domani per assaggiare la mia nuova creazione dolciaria”.

 

“Signorina” si intromise sherlock, mentre il fratello annuiva piano “Avevo pensato, domani” e tutti i giorni necessari a venire “di invitarla a prendere un caffè”

 

“Ma usciamo già oggi, Sherlock” Matilde si girò verso di lui per guardarlo perplessa.

 

“Quindi?” domandò ancora.

 

“Possiamo anche non vederci tutti i giorni.” rispose ovvia. Ci teneva a Mycroft e non voleva che la relazione con Sherlock diventasse totalizzante.

 

Mycroft guardò attentamente prima la giovane e poi il fratello. Uscire insieme? Quei due uscivano insieme? Era contento per entrambi, ma temeva l'esplosione, non poco.

 

Sherlock batté piano le palpebre. Di tutte le persone, suo fratello. Non un'amica o qualcosa del genere. Suo fratello. Di peggio c'era solo che uscisse con Jawn.

 

“Non esco solo con te, ne sei cosciente, vero?”. Non intendeva per forza come due che si frequentano, ma anche solo come amici.

 

“Mi avevano sempre detto che si esce con una sola persona per volta” romanticamente puntualizzó il consulente investigativo. Speravo di essere unico ai tuoi occhi omise.

 

“Ma è stupido da pensare. Con tuo fratello ci vedevamo già da tempo. E così anche con Greg e John.” era chiaro che la ragazza non aveva capito l'accezione romantica che il detective dava alle sue parole.

 

Nell'espressione di Sherlock qualcosa si ruppe. “Esci con mio fratello come con me?” domandò in un fiato.

 

“Che?” era molto molto confusa. Ma che cavolo aveva capito Sherlock?!

 

Sherlock si alzò, appena rigido e si recò alla finestra. “Va bene”

 

Mycroft non voleva intervenire. Non era nella posizione per farlo.

 

“Sherlock?” Matilde gli corse vicino. Era un pezzo di ghiaccio, si vedeva lontano un miglio. Si accostò a lui “Mi dici che succede?”.

 

“Esci con mio fratello come con me” ripeté piano il consulente investigativo.

 

“Io non ho detto questo. Lo stai dicendo tu ora.” non sopportava quando le venivano messe le parole in bocca. Non usciva con Mycroft, almeno non in quel senso.

 

“Ho chiesto, hai confermato"disse solo.

 

“Non ho confermato un bel nulla.”. La ragazza incrociò le braccia seccata. Ma doveva mettere su una tale scena per di più davanti a un terzo?? E per di più non stavano nemmeno insieme. Già si iniziava male.

 

“Bene. Frainteso” dammi il tempo di farmela passare affermò dunque il giovane. Non poteva avere una discussione il primo giorno in cui uscivano...

 

“Io torno a casa.”. Diede un leggero bacio sulla guancia a Mycroft e se ne andò salutandolo con un gesto della mano appena accennato. Aveva fatto un errore a dir di sì quella mattina. Non sarebbe più capitato. Si strinse nelle spalle per non andare in pezzi  mentre apriva la porta per uscire dalla sala.

 

Sherlock rimase immobile a pensare per ore intere. Gli sembrava di non essere tarato per le relazioni. Gli sarebbe passata, ipotizzò. Era un difetto della parte perdente, un difetto sfortunatamente comune, constatò.

 

Matilde prese un taxi e tornò a casa. Voleva affondare nel piumone e dimenticare tutto. Aprì il portone e subito il suo gatto le diede un caloroso benvenuto, uno sguardo di sfuggita e un miagolio affamato. Non aveva la forza di litigare anche con Alan. Si butto sul divano.

 

Sherlock rimase immobile per svariate ore ad analizzare e rianalizzare la situazione. Un fraintendimento? Probabile. Ma dove? Da che parte? Di che cosa? Non voleva discutere, non con lei. Poteva persino prendere in considerazione l'idea che la responsabilità fosse condivisa.

 

Si era addormentata in fretta mentre guardava un programma di cucina. Niente pranzo, voleva solo riposarsi.

 

Il sole stava ormai calando quando Sherlock uscì dalla sala e dal maestoso palazzo. Non aveva capito. In che altro senso si poteva uscire con una persona? E poi lei aveva confermato… si recò a casa. Forse Jawn lo avrebbe potuto aiutare…

 

John era seduto sulla propria poltrona col computer sulle ginocchia. Stava scrivendo quando il suo coinquilino entrò in casa. “Ciao Sherlock”

 

“Jawn” rispose solo l’altro, ancora pensoso. Davvero non capiva dove stesse il problema.

 

Quel tono non gli piaceva per nulla, sapeva di guai. “Cosa hai combinato Sherlock?” chiese chiudendo il computer.

 

A Sherlock non rimase che riassumere brevemente i fatti delle ore precedenti. Problemi con l’emotività, doveva chiedere a Jawn. Logico.

 

Il medico fece un grande respiro. L'amico aveva l'incredibile capacità di essere un completo disastro in materia umana. Gli spiego con estrema pazienza che forse aveva frainteso e come funzionano i diversi piani di relazione fra due persone.

 

“E quindi? Adesso?” gli domandò ancora. Sapeva di non capire gli esseri umani ed i loro difetti di produzione. “Soluzione?” sei tu l'esperto in materia, Jawn, non io.

 

“Ripeti, com'è andata via?”

 

“Senza salutarmi, con le braccia strette qui e qui” rispose didascalico il detective, mimando il movimento, elegante.

 

“Questo è come un caso da otto almeno. Lo capisci?” rispose sconsolato.

 

“Da otto? Ma è viva! E poi usciamo solo da un giorno…” fu la perplessa risposta del detective.

 

John rise “E tu vuoi dirmi che in un unico giorno sei riuscito a farle girare così tanto le palle da farla diventare così?! Sei un talento!”

 

“Siamo amici da anni… credo… ma usciamo solo da un giorno, si” confermò il moro. Non si raccapezzava sulla reazione della ragazza. Per nulla. Era una pagina bianca e questo lo innervosiva e non poco.

 

“Sherlock, se mi avessi ascoltato durante una delle lezioni, sapresti che se una donna esce da una stanza con le braccia incrociate vuol dire che l'hai combinata grossa sul serio e che sei a rischio espulsione.”

 

“Non hai risposto alla domanda” riprese imperterrito il detective.

 

“E quindi adesso, amico mio, devi farti perdonare se non vuoi perderla non solo come fidanzata, ma anche come amica.” rispose serafico John. Si alzò dalla poltrona per preparare un the per entrambi: per sé per sopportare Sherlock e per lui per trovare il nodo della matassa.

 

“Pilato” commentò piccato Sherlock, affondando nella propria poltrona, accoccolato su se stesso. “The escluso.” L’aveva portata a Buckingham palace ed era stato un disastro, quindi era escluso. “Cioccolata dentro esclusa” non la sapeva fare e più probabilmente avrebbe fatto esplodere la cucina “Caso” esclamò infine illuminandosi. Non aveva minimamente badato al proprio the -non sapeva nemmeno se lo avesse bevuto distrattamente oppure se lo avesse lasciato dove stava, intonso. Gli sembrava la soluzione ideale. Un caso. Adrenalina. Cervello. Era importante per entrambi. Sì, l’idea gli piaceva.

 

John tornò col the in salotto. “Ecco, tieni” gli porse la tazza.

 

Come immaginabile, il giovane non lo considerò minimamente, perso nei propri pensieri e nelle proprie riflessioni. Il caso presentava un unico problema: sfortunatamente non poteva uccidere qualcuno a suo piacimento. Sarebbe stato il suo secondo passatempo preferito in assoluto, altrimenti.

 

Il telefono squillò. John rispose e dopo un paio di minuti concluse la telefonata. “Ehi, detective da strapazzo, c'è un caso per te”

 

“Caso?” Holmes si illuminò d'immenso. Era perfetto. semplicemente perfetto. Prese il telefono e scrisse all'amica. No, fidanzata. No, compagna. No, persona-con-cui-stava-uscendo. Matilde.

《Caso in》 inserì l’indirizzo preciso《Anderson non c’è -SH》

Ciò detto, scese le scale e salì sul primo taxi di gran fretta, dando per assunto che l’amico avesse intuito i suoi piani in autonomia.

 

Matilde era già sulla scena del delitto, stava facendo cena con Gregory: un hamburger e una birra, niente di speciale, ma sempre gradito. L’ispettore era uno dei suoi migliori amici, sempre pronto a tirarla su di morale.

 

Sherlock arrivò esattamente di fronte al locale. Naturalmente li notò all’istante e seppe che i suoi piani di perdono non erano così lontani dall’infrangersi. Avrebbe provato -provato!- a non risolvere il tutto in poco tempo, ma a lasciarla lavorare. Bussò piano al vetro e salutò i due, trattenendo il fastidio e ricordandosi molteplici volte che i due erano solo amici. Grandi amici, ma amici, appunto.

 

Quando la ragazza lo vide bevve un sorso di birra, sconsolata. “Greg, ti prego, dimmi che sono ubriaca e tu non lo vedi alla finestra”

 

“No cara, non vedo Sherlock alla finestra” sorrise Greg, amichevole. “si sta anche sforzando di salutare… credo di essere praticamente commosso” ammise scherzoso l’ispettore.

 

“Non fa ridere Greg, non fa ridere.”. Si alzò sconsolata. “Non ho voglia di lavorare con lui”

 

“Per oggi?” le domandò l’uomo di fronte a lei, comprensivo “Sherlock non è una persona facile, lo sappiamo, ma credo vedrai la sua voglia di farsi perdonare da questo caso”

 

“Non voglio vedere la sua voglia di perdonare. Mi illude e basta. Non posso combattere sempre contro i mulini a vento.”

 

“Provaci. Credo siate importanti uno per l’altra” consigliò, straordinariamente serio “non sarà facile, ma credo ne varrà la pena”

 

“Tanto non ho scelta.” disse alla cassa prima di pagare per entrambi.

 

“Mi permetti di offrirti la cena per favore? Almeno col cuore affranto” cercò di sdrammatizzare ancora una volta, prima di uscire sulla scena del crimine.

 

“No, sono una gentil donna”. Matilde lo seguì nel freddo londinese. Si strinse nella sciarpa calda e chiuse bene il cappotto. Si infilò i guanti cercando inutilmente di scaldarsi.

 

Sherlock era già sulla scena, intento ad osservare e dedurre le possibilità degli eventi. Quando notò i due nuovi arrivati, in un gesto che stupì anche se stesso, mise la propria sciarpa alla ragazza, notandola infreddolita. Senza una parola. Rimase così per alcuni minuti, come se non avesse fatto quel passaggio, poi si decise a scandire il gioco è “tuo”

 

La ragazza deglutì a vuoto nel sentire la sciarpa dell'amico sul collo. Se la tolse è gliela lasciò in mano “Non mi serve”. Si accovacciò a terra vicino al morto: analizzó tutto, dall'abbigliamento, ai documenti, alle ferite, tutto.

 

“Cosa ne pensi?” domandò riappoggiandole la sciarpa al collo, delicato. Sperò che apprezzasse quantomeno l’impegno.

 

Se la tolse di nuovo con un gesto stizzito “Ti ho detto che non la voglio.” si alzò di scatto in piedi.

 

“Hai freddo” sottolineò logico il moro. Non aveva mai sentito tanto…. spirito di protezione? Per qualcuno. Mai nella sua intera esistenza.

 

“Il mio freddo non è una cosa che ti deve riguardare.” caustica. Non c'era altro modo per descrivere il suo tono. “Ognuno lavora per sé, come all'inizio di tutto.”. Tirò fuori dalla tasca penna e agenda e incominciò a scrivere le sue osservazioni.

 

“Basta tanto poco?” domandò amaro. Per il giovane era un fallimento. Un grande fallimento. Aveva perso il un istante un’amica e la ragazza che gli piaceva per una cosa che non aveva capito? Era frustrante. Terribilmente. Adesso si ricordava perchè aveva lasciato perdere i contatti umani seri quando era solo un bambino. Perché faceva male, bastava pochissimo perchè tutto andasse in frantumi. Era morto due volte per Jawn e mrs Hudson. lo avrebbe fatto anche per lei, ma forse lo stava già facendo un po’.

 

La frustrazione era alle stelle. Lo stava odiando a dir poco. “Non è questo il luogo adatto dove parlarne, Sherlock.” asciutta, concisa e precisa.

 

“Bene, ti lascio lavorare allora, detective.” commentò solo, asciutto, facendo un passo indietro.

 

Lestrade rimase pietrificato dalla situazione. Sherlock Holmes stava rinunciando ad un caso vicino a Natale? Cosa stava succedendo? Il mondo sarebbe crollato l’indomani? In ogni caso la questione era più seria di quanto avesse preventivato da ambo le parti.

 

Matilde non si scompose. Terminò il suo lavoro e consegnò a Lestrade tutte le informazioni necessarie alla cattura del criminale dopo appena un paio di ore: lavorava meglio se arrabbiata. In realtà era rimasta sconvolta anche lei dal gesto del detective, non era mai capitata una cosa del genere. Rimase in silenzio, non doveva illudersi.

 

Per quelle due ore, Sherlock rimase in assoluto ed impegnato silenzio. Aveva deciso che non sarebbe entrato nel caso per lasciarlo a Matilde e così avrebbe fatto. Si limitò a guardarla all’opera. Aveva grazia. I suoi pensieri si cristallizzarono per un momento. Lei aveva cosa? Lo aveva pensato davvero? Doveva darsi malato? Probabilmente sì. Sì, sarebbe stata la cosa successiva che avrebbe fatto. Darsi malato. In fondo era così che si sentiva. Malato di quella giovane che aveva una stanza nel suo palazzo mentale.

 

Una volta salutato Greg, tornò davanti al detective con uno sguardo minaccioso tra il fuoco ed il ghiaccio. “Volevi parlare? Parliamo.” Dato che aveva una così gran voglia di mettere a posto le cose, ora gli stava concedendo un'opportunità per parlare. Le braccia erano incrociate e i piedi erano paralleli e ben fissi al suolo.

 

In un luogo tranquillo -non era intenzionato a dare alla Donovan mezzo minuto in più della sua vita- guardò Matilde negli occhi, fermo e deciso “Se riferirai a qualcuno di diverso da Jawn o Lestrade, negherò fino alla morte, sappilo.” ciò premesso, mile la giovane a parte delle sue precedenti riflessioni, senza pause, senza respiri e senza abbassare lo sguardo. quasi senza battere le ciglia, nel timore di essere interrotto

 

Arrivato nell’appartamento, il detective si prese qualche istante per osservarlo. Era sempre stata la giovane a raggiungerlo. Lui, dal canto suo, non era mai entrato nella sua dimora. Ci abitava un’altra persona, ne era certo. Tornando a concentrarsi, notò una miriade di dettagli che parlavano di Matilde. Era affascinante in qualche modo.

 

“Bene, parla” due parole che volevano dire  tutto.

 

“Ti amo, ho sbagliato. Scusa.” le parole uscirono a fatica, non naturali, ma sicuramente sentite, poi tacque.

 

Le mancò il fiato. Aveva gli occhi lucidi se li sentiva, i polmoni che non facevano più il loro lavoro come avrebbero dovuto. Doveva rimanere solida, non doveva crollare. Probabilmente Sherlock aveva calcolato tutto. Le avrebbe detto quelle parole, che erano così cariche di significato per le altre persone tranne che per lui e lei sarebbe crollata ai suoi piedi, scusandosi e pregandolo di tornare con lei. Non sarebbe caduta nella trappola. Tagliente lo guardò e gli disse solo “Sei uno stronzo… ”

 

“Lo so, ma è vero” ribadì convinto. Aveva cercato cosa fosse quel fantomatico amore, innamoramento ed analoghe come una malattia. Ne aveva analizzato i sintomi e vi si era riconosciuto, ne aveva parlato col medico -Jawn- ed aveva avuto conferma. Era rimasto con quelle parole cucite nelle labbra per tutto il caso.

 

“E pensi davvero che io mi beva questa cosa?” la credeva davvero così stupida? Se così era allora non era proprio quello giusto per lei.

 

“Non mi aspetto nulla in particolare. Fanne quello che vuoi.” Specificò Sherlock. Era sincero, ma non si aspettava nulla in particolare. O meglio: si aspettava che le scuse venissero prese in considerazione, ma null'altro. Ciò nonostante, fastidiosamente, gli dispiaceva.

 

“Sei uno stronzo” gli si avvicinò la giovane.

 

“È rilevante?”

 

“Arrogante”

 

Il giovane rimase in attesa. Se l'intenzione era di coprirlo di insulti, l’avrebbe lasciata finire.

 

“Sfacciato” la ragazza continuava ad avanzare verso di lui, imperterrita. “Presuntuoso, infantile, irrispettoso.” proseguiva nella sua invettiva, concitata.

 

Quando Sherlock se la trovò contro il petto, le sue braccia agirono in autonomia: la strinse a sé delicato, ma solido. Sarebbe bastata una piuma a spostarlo, ma un elefante avrebbe fallito a strappargliela.

 

“Ti odio” in un sussurro arrabbiato.

 

“Io no.” constatò ovvio il detective.

 

“Ti odio…” le loro labbra erano di nuovo vicine. Da quella lieve distanza le si potevano vedere gli occhi lucidi e feriti, ma carichi. Lo amava e al tempo stesso odiava il fatto di amarlo.

 

“Posso?” baciarti? La sentiva vibrare fra le sue braccia e quello non sembrava uno sguardo di odio. Per nulla. Era bello da guardare, si rese conto dopo un paio do istanti. Come un caso interessante.

 

“Non si chiede…” di nuovo una premura da novellino. “Certe cose non si chiedono e basta, o si fanno o non si fanno.”

 

Non si doveva chiedere? Bene, lo avrebbe fatto senza chiedere. Delicato come col suo violino, la  baciò, ardente, come se ne andasse -ne andava, realizzò- della sua vita.

 

Matilde gli si strinse al petto ricambiando il bacio. Voleva sentirlo con tutto il suo corpo, voleva essere una cosa sola con lui. Vibrava fra le sue braccia. Tutta la tensione la stava lasciando e la stanchezza della giornata si faceva sentire.

 

Impacciato, il giovane la guidò verso il letto, non perché avesse chissà quali intenzioni, ma perché la vedeva stanca. Al contempo però non riusciva a staccarsi dalle sue labbra. Era la sua banhoff pie. Non gliene bastava una fetta. Voleva tutta la torta.

 

La ragazza si lasciava guidare dalle braccia del fidanzato. Si fidava di lui e lo desiderava in ogni accezione possibile.

 

Quando si trovò al letto, il giovane accompagnò la ragazza a stendersi e le si sistemó di fianco. “Cosa vuoi fare?”

 

Non gli rispose. Si limitò a stringerlo a sé e a baciarlo.

 

Sherlock la strinse a sé “Ho caldo” constatò, ma senza malizia.

 

La detective lo guardò ovvia “E allora spogliati”

 

Il giovane rimase in camicia, sollevato. “Vuoi dormire?” domandò. La vedeva veramente esausta.

 

Le gambe lunghe e snelle del ragazzo le sfioravano il fianco. Era fuoco ovunque ci fosse contatto fra i due corpi. La luce dei lampioni sulla strada sfiorava delicatamente i ricci corvini che ricadevano morbidamente sulla fronte del giovane. Ogni movimento, anche il più lieve, era messo in risalto dalla camicia viola, la stessa che aveva fatto crollare molte all'insaputa di lui. Era così bello…

 

Sherlock strinse Matilde a sé. Stava bene. Non si annoiava e la osservava. Non aveva mai fatto caso a quanto quegli occhi verdi fossero attivi e vivi, di quanto quella pelle fosse liscia e reattiva agli stimoli.

 

“Non esco con tuo fratello, cretino” sussurrò rilassata.

 

Il detective rilassò le spalle, che non si era accorto di avere ancora tese e rinsaldò la presa. Aveva davvero temuto la rivalità del fratello. L’aveva temuta conoscendone -anche se non gliele avrebbe mai ammesse- le capacità.

 

“Mycroft è carino e intelligente., non c'è dubbio, ma non esco con due persone contemporaneamente. Non lo farei mai.”. Era sincera.

 

Il giovane la strinse piano, comunicandole tramite quello i propri timori ed il proprio sollievo. “Lo faresti?” usciresti con mi fratello, se non uscissi già con me, vero?

 

“Così su due piedi non saprei, è un uomo che mi ha sempre affascinata. Anche Greg è molto simpatico. Non so con chi sarei più affine”

 

“Sono parziale” non mi chiedere di dirti con chi di diverso da me starei meglio, non ci riuscirei fece notare il detective, percorrendo piano la schiena della giovane. Era una cosa alla quale non avrebbe voluto, oltre che saputo rispondere.

 

“Invece che chiedermi se uscirei con tuo fratello se tu non ci fossi, pensa a come non perdermi. Mi hai già, devi difendermi, ora”.

 

Mh. la domanda a quel punto era: come? Decise di esplicitare il proprio dubbio. Era decisamente un novellino in materia.

 

“E io che ne so?” rispose semplicemente.

 

“Dopo” adesso siamo insieme, penseremo dopo agli altri.

 

Con un grosso sbadiglio si strinse a lui. Era stanca morta.  “rimani con me?”

 

“si” fu la sola pacifica risposta. Non era una cosa che gli fosse mai successa. Si sistemò fra le lenzuola togliendosi la camicia -non avrebbe dormito con la sua camicia preferita!- e si avvolse contro la ragazza.

 

Matilde sorrise e si addormentò col suo profumo che la avvolgeva.

 

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Capitolo 2
*** Explorer ***


Metà febbraio 2028, Londra

 

Brunella stava lavorando su un testo. Destinazione: un blog. Poi sarebbe passata, in un altro punto della scrivania disordinata, ad un capitolo per un fantasy di un’amica lontana e poi ancora… alzò gli occhi, colta da un dubbio: aveva un appuntamento con una delle persone che seguiva, ma non conosceva il posto e non ne aveva cercato il percorso!

 

John si stava preparando: aveva un appuntamento. Ok, non era un vero e proprio appuntamento. Per lui si, ma la ragazza non ne era al corrente. Ormai si scrivevano da anni, sempre per lavoro, questo è vero, ma ciò non toglieva che si stessero scrivendo. Guardò l'orologio in apprensione, era in anticipo perfetto. Si diede ancora una pettinata e uscì di casa prendendo al volo la giacca in pelle marrone.

 

La ragazza scattò come una molla in piedi. Era stretta sulla propria tabella di marcia. Non si era minimamente resa conto del tempo che era passato. Cosa mettere? Rapido, pratico ed eccentrico il giusto. Pantaloni neri a sigaretta, maglietta verde petrolio con maniche abbondanti, panciotto, tacchi alti chiari, tracolla con lo stretto indispensabile, sciarpa e cappotto. Poteva andare, i dettagli li avrebbe sistemati per via.

 

Era davanti al locale da ben cinque minuti. Si sentiva davvero bravo. La ragazza in questione era la sua editor e aveva il brutto vizio di arrivare sempre in anticipo. Questa volta non si sarebbe lasciato prendere alla sprovvista. Aveva anche una sorpresa per lei. Quel giorno avrebbero compiuto i tre anni di editor. Non stava più nella pelle.

 

La giovane entrò nel locale dove si erano dati appuntamento sfregandosi le dita gelate. Controllò l’ora. Puntualità perfetta. Passabile. In viaggio aveva sistemato rossetto -in tinta con la maglietta- capelli e chincaglieria. Era una delle regole che si era posta: parlare con gli autori, ove possibile e mostrarsi seria, ma stravagante.

Si guardò intorno. erano passati esattamente tre anni dal primo incontro col suo appuntamento. Si chiese dove fosse.

 

Due mani sugli occhi ed un sorriso divertito.

 

“Eccoti” sorrise divertita, leggermente storta per la borsa. John non era alto, ma rimaneva comunque più alto di lei, anche coi tacchi. “Ci sediamo o rimaniamo qui tutto il giorno?” erano solo le 11, ne avevano tutto il tempo, anche se nessuno dei due ne aveva le ginocchia.

 

“Speravo in un saluto un po’ più caloroso, Miss artistico” rispose sarcastico il medico prima di scostarle la sedia. da gentleman.

 

“Ti saluterò calorosamente, doc, quando avrò poggiato la borsa da qualche parte e mi sarò tolta il cappotto” ribattè scherzosa, sedendosi.

 

Non appena la ragazza tornò in silenzio le prese la borsa e le tolse il cappotto. “Meglio?” sorrise mentre appendeva tutto all’appendiabiti.

 

La giovane sorrise “Che cavaliere… dove mi avete portata?” domandò togliendo la borsa dall’appendiabiti e spostandola vicino alla sedia. Non era una cosa saggia appenderla a qualcosa di appena meno che molto solido. Fatto ciò, abbracciò l’uomo, calorosa.

 

Quando la ebbe fra le sue braccia la strinse a sé. Era come tornare a respirare. “Ti ho portato in un posto speciale.”

 

Il locale era effettivamente molto particolare. La prima impressione che quel posto dava era di essere uscito dal tempo. L’atmosfera era calda e accogliente, i colori erano caldi, ma non chiassosi: le pareti erano crema, intervallate qua e là di librerie e quadri di tratto accademico o simil tale. I tavoli erano in solido legno intarsiato scuro. Non erano microscopici e non avevano tovagliette di sorta, solo un vaso con dei fiori vitrei ed un lumino dal profumo floreale a colorare l’aria. Le sedie dagli schienali alti erano rivestite in velluto morbido e dotate di braccioli comodi. Discrete, vicino al parquet, si nascondevano delle prese di corrente, lasciate a disposizione dei clienti.

 

“è bellissimo”

 

“Ho fatto centro?” sorrise goduto John guardandola trionfante.

 

“Assolutamente” sorrise rilassata la ragazza prendendo posto “è proprio un bel posto”

 

“Come te” la guardò malizioso e le prese una mano dolcemente. “allora, cosa dovevi dirmi?”

 

Brunella avvampò istantanea “Volevo…” si incartò. Perchè quel benedetto uomo non doveva esserle indifferente? Per l’amor del cielo, era uno dei suoi autori! “farti i miei complimenti di persona. Dal punto di vista stilistico sei migliorato molto… e poi mi faceva piacere vederti, ecco” ammise infine, in un sussurro appena udibile.

 

Lo aveva sentito quel sussurro, eccome se lo aveva sentito. “Preferisco la seconda motivazione. Niente di personale, ma tu sei meglio di un miglioramento stilistico.”. Ordinò la colazione per entrambi

 

“The caldo” chiese lei “Vaniglia se c’è, altrimenti l’earl gray va benissimo”

 

Il cameriere, un giovane piuttosto alto prese le ordinazioni prestando più attenzione alla ragazza che a John. “Gradite anche qualcosa da mangiare?”

 

“Due fagottini al cioccolato e smetta di mangiarsi la mia fidanzata” sorrise angelico. Non doveva azzardarsi a dire ancora una parola o gli avrebbe fatto sperimentare quello che aveva imparato sul campo in guerra.

 

“Sicuro che lo sappia anche lei?” domandò il giovane, beffardo.

 

La ragazza, oggetto del contendere, era immobile, sorpresa ed assolutamente luminosa per la prospettiva. No. Doveva ricordarsi che lui lo aveva fatto solo per toglierle le attenzioni non richieste del cameriere. Non doveva illudersi.

 

“Sono più che certo che lo sappia dal momento che questo è il nostro anniversario. Ora, se ha finito di importunarla le chiederei i nostri ordini, grazie.” era combattivo, come un cane da guardia. Giù le mani dalla mia ragazza era quello che urlavano i suoi occhi.

 

Il cameriere se ne andò con gli ordini, lasciando il tavolo al silenzio.

 

Brunella tornò in sè in quell’istante “La tua… cosa?” domandò con un filo di voce. Non riusciva a capacitarsene e non doveva illudersi, si ripetè per l’ennesima volta in pochi secondi.

 

John era leggermente in imbarazzo. Era stata la prima cosa che gli era saltata in testa. Cosa dire? Mentire. Mentire fino alla fine. “Lascia stare, tranquilla, era per togliertelo di mezzo.”

 

Illusione. A quanto pare non andava bene nemmeno per John tre continenti Watson. Per un attimo ci aveva creduto. Sembrava così coinvolto mentre lo diceva, così sicuro e convinto. “Ah” non osò liberare altri suoni che l'avrebbero tradita, con tutta probabilità.

 

“Cosa succede? I tuoi ah non sono mai a caso.” il ragazzo le si avvicinò e la guardò dritta negli occhi.

 

“Era davvero solo per togliermelo do torno?” ridomandó la giovane. Se era solo per quello, non gli avrebbe certo detto altro in materia. Avrebbe chiesto di cambiare discorso e basta.

 

Le strinse la mano che non le aveva ancora lasciato. “Principalmente sì. Non stiamo insieme da anni. Devi essere tu a scegliere con chi stare e nessun cameriere o uomo in generale deve e dovrà imporsi.”. Aveva parlato senza rompere il contatto visivo. Non avrebbe lasciato soli quegli occhi blu mare.

 

“E secondariamente?” chiese. Perché la stretta di John era così calda e piacevole? E soprattutto perché non l'aveva ancora lasciata? Non che le dispiacesse, ma non capiva.

 

“Ecco, non doveva essere così brutto, insomma, speravo di potertelo dire in un altro posto” Si passò una mano sul collo. Non sapeva perché, ma aveva le mani sudate. Era agitato.

 

Di nuovo la giovane si cristallizzó dove stava. Quindi aveva qualche speranza… “A-allora d-dimmelo dopo” mormorò emozionata.

 

“Sì, ma niente di che, non è niente di così stratosferico” cercò di sdrammatizzare. Non voleva si montasse la testa per rimanere poi delusa. Per di più non sapeva nemmeno se fosse corrisposto, prima di festeggiare avrebbe aspettato la sua risposta.

 

“Va bene, cercherò di non sparire sulla mia nuvoletta” tentò di alleggerire a sua volta, ripetendosi mentalmente di non montarsi la testa, che poteva essere qualunque altra cosa. Non che ci stesse riuscendo particolarmente…

 

Gli ordini arrivarono abbastanza in fretta insieme una bella rosa rossa. John stava già sorridendo.

 

“Non dal cameriere, suppongo” sorridendo. La ragazza si preparò il the con attenzione, ma senza perdere di vista l'amico, con un sorrisone.

 

“Ti piace?” non era mai stato così timido in tutta la sua vita. Temeva un rifiuto secco.

 

“È bella la teiera e devo assaggiare ancora il the” sorrise positiva “e la rosa è bellissima” concluse affondandovi il naso dentro.

 

Aveva un sorriso stupido ed ebete in viso. “ai nostri tre anni, Brunella” disse stringendole la mano

 

“Te ne sei ricordato…” liberò sorpresa “Ai nostri tre anni, John” confermò lei, facendo tintinnare la tazza contro la sua. Quanto era intimo? Tanto, tantissimo. Un lieve rossore le colorò le guance.

 

Non sembrava per nulla un brindisi a tre anni di editor. Più che altro a tre anni di relazione. John l'aveva sempre ritenuta diversa dalle altre. Forse perché non si era avvicinata a lui né perché amico del grande Sherlock Holmes né perché era John tre continenti Watson. Aveva deciso di sfruttare quella data significativa per dichiararsi.

 

Brunella, dal suo punto di vista, non sapeva cosa fare. Si era dichiarata alcune -due- volte nella sua vita, ma non era mai stata corrisposta. In alternativa, un giovane, alcuni anni prima, aveva provato a stare con lei, ma non l’aveva convinta. Non c’era stato altro, se non qualche tentativo, ma sempre e solo o da una parte o dall'altra, mai ricambiato. Cosa avrebbe dovuto fare, in quel caso? Sperò di non fare troppi pasticci e di andare bene per lui.

 

“Raccontami qualcosa. Sei così silenziosa oggi…. “ non voleva fargli sentire più la sua bella voce? Cosa le aveva fatto di così brutto?

 

“Non so solo bene cosa dire” ammise lei, impacciata “o meglio, lo so, anzi lo immagino… e non so come si gestisce questa cosa…” stava straparlando. Doveva fermarsi, prendere fiato e mettere le parole in un ordine intelligibile.

 

“Se sai cosa dire allora dillo e basta” rispose tranquillo il ragazzo.

 

La giovane si trovò spiazzata. Aveva dato per implicito che fosse lui a dichiarare i propri intenti, i propri sentimenti e lei a rispondere, decisamente non il contrario.

 

“Allora?” le sorrise caldo. “Hai detto che sapevi cosa dirmi. Sono qui”

 

“Mi sono espressa male” la giovane stava andando nel pallone “non so cosa dirti, so cosa ti risponderei se mi chiedessi quello che credo vorresti chiedermi” rettificò.

 

John rise leggero: riteneva adorable quando si impapocchiava. “E allora dimmi: cosa credi che vorrei chiederti?”

 

“Non voglio rischiare questa figura con te” non voglio essere una delle tante che cadono ai piedi del grande John Watson e che durano due giorni.

 

“tu con me non rischi mai. Per di più abitare con Sherlock non mi aiuta a lasciar correre parole così curiose. Avanti, dimmi”

 

“No. Vuoi fare tu il primo passo” ti prego, sto morendo di imbarazzo pigoló la ragazza, rossa in viso, vistosamente in imbarazzo.

 

“E se poi voglio dirti un'altra cosa e tu ci rimani male?”

 

“Appunto. Ci rimarrei male senza essermi fatta una figuraccia e senza avere rischiato di spezzare qualcosa” ti prego fai tu il primo passo, che tutte le mie esperienze maschili fino ad ora sono state dei fiaschi e mi sono sempre dichiarata io puntualizzó la ragazza, più fragile di quanto le sarebbe piaciuto ammettere. Ci avrebbe dovuto fare l’abitudine, probabilmente, ma non era mai successo. Temeva seriamente quello che lui avrebbe potuto dirle.

 

“Senti, ho capito cosa intendi, ok?” le sorrise dolce e le diede un leggero bacio sulla guancia. “Finisci il the, poi ne parliamo” voleva solo che si godesse quel momento.

 

“G-grazie” pigoló piano, affondando il naso nella tazza e scaldandosi attraverso la porcellana sottile. Le dita, notò, tremavano appena. Era incredibilmente agitata, considerando che già immaginava la direzione del discorso e ci sperava da… da più di quanto avrebbe mai ammesso con chiunque.

 

Il medico la strinse in un abbraccio confortevole. “Buono il te?”

 

Fra le tante cose a cui la ragazza non era in grado di resistere, gli abbracci erano fra i più efficaci. Si rilassó fra le sue braccia e vi si strinse, consumando a piccoli piccoli sorsi la bevanda calda ed intervallandoli con con il fagottino al cioccolato. Il medico, notò, non aveva ancora consumato il proprio. “Posso?” domandò golosa dopo aver finito -divorato- il proprio.

 

John lo prese “Te lo do solo se rispondi alla mia domanda : è buono il te?

 

“Si, è molto buono” sorrise. “È delicato.”

 

Come da contratto, le diede il proprio dolce. Glielo avrebbe dato lo stesso, lui non mangiava mai a colazione: solo caffè amaro.

 

“Grazie” trillò afferrando il dolce con la punta delle dita sottili. Gli stampò un bacio sbricioloso sulla guancia e riprese la colazione… in effetti, a quanto ricordava, l'ultimo pasto risaliva alla merenda precedente… forse.

 

Con occhio clinico la guardò attentamente “Da quanto non mangi?”. Si preoccupava sempre per lei. Aveva questo brutto vizio di saltare i pasti.

 

“Ieri. Ieri ho mangiato… almeno credo. Colazione l’ho fatta di sicuro, ero con Mati” del resto della giornata non era troppo sicura, ma non era morta, quindi andava bene.

 

“Meno male che fra un mese smetterà tutta questa storia dei pasti saltati.“ disse John prendendo un sorso del suo caffè.

 

“Perché? Che succede fra un mese?” cercò di fare mente locale, ma la routine che l'aspettava era fatta nello stesso modo.

 

“Matilde trasloca, non lo sapevi?”. Era stupito. Di solito le due ragazze si dicevano tutto. Non solo perché amiche, ma anche perché Brunella teneva gli appuntamenti della detective.

 

“Credo avesse intenzione di dirmelo stasera” si fermò un attimo “Si trasferisce dove? Ed io rimango a casa da sola?”

 

John la fermò con dolcezza “Fermati pain au chocolat, un pezzo alla volta. Sherlock mi ha già detto da un paio di giorni che Matilde sarebbe venuta da noi, quindi di far sparire la mia roba. Ora che mi dici che Matilde non ti ha detto niente penso sia perché non lo sappia proprio. Sai, alcune volte Sherlock tende a dare un tantino per scontato il libero arbitrio. Comunque non rimarrai sola, promesso.”. E, detto questo, si fece una croce sul cuore, come da bambini.

 

“Che dolce, ma, a meno che il coinquilino sia tu, non puoi disporre della vita di terzi” fece presente carezzandogli una gota appena rasposa di barba non visibile.

 

“Per te farei di tutto, lo sai. Ma se fossi proprio io il tuo coinquilino?” la sua mano era così delicata,attenta. Gli piaceva.

 

“Non lo sapevo” ammise timida “non vedo dove sarebbe il problema, a meno che tu non giri nudo per casa, allora sarebbe un problema, ma non me ne sembri il tipo” ragionò a voce alta. Era la soluzione migliore e peggiore insieme per il suo cuore innamorato. Lo avrebbe avuto sempre vicino, ma anche sempre non fra le sue braccia. Infinitamente vicino ed infinitamente lontano.

 

Un sorriso malizioso si allargò sul viso del ragazzo “Vuoi dirmi che non ti piacerei nudo?”

 

“Non è quello che ho detto. Sarei costantemente imbarazzata, questo si” puntualizzó la ragazza, rossa in viso alla sola idea.

 

“Guardami: bello come un dio, forte come un soldato, sono agile e caramellato il punto giusto.”

 

“E modesto come Jace Herondale”

 

“Quanto siamo acidine. Dimmi che non è vero quello che ti ho detto.”

 

“Non ho detto che non è vero e ti ho scelto un personaggio bello, non a caso” puntualizzó con aria seria, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere e poi, quanto era bello John?!?

 

“Sì, ma è un borioso, un pallone gonfiato. Io non sono tutto fumo e niente arrosto.” la mano della ragazza che ancora teneva nella sua fu accompagnata sul petto ampio e muscoloso del soldato. “Senti, San Tommaso”

 

“Lo hai letto!” si sorprese la giovane “E comunque lo so che sei bello e muscoloso, doc” nonostante il tono scherzoso, lo sapeva davvero.

 

A John non era di certo sfuggito quel lieve rossore che era spuntato sugli zigomi dell'editor quando la sua mano aveva raggiunto il proprio petto. Da inguaribile malizioso colse la palla al balzo “Ti piace quello che tocchi, pain au chocolat?” le sussurrò.

 

“Se sei tanto soffice qui” tamburelló piano sul petto “come lo sei qui” con il dorso dell'indice, gli sfioró il collo “Allora si"lo sapeva che si sarebbe pentita della battuta, data la propria ingenuità.

 

“Soffice?” era un tantino confuso. Evidentemente la sua battuta non era stata compresa. Non era una risposta sensata.

 

“La pelle. La pelle soffice” mormorò imbarazzata. Faceva le battute e nemmeno le faceva giuste… le dispiacque di avere parlato.

 

“Oh! In quel senso! Ora ho capito” rise di gusto. “Sono soffice tutto, sai?” tornò malizioso. Le mise le mani sui fianchi e se la sedette in braccio.  

 

Non sapeva nemmeno bene come, si trovava sulle gambe di John. Lei. In braccio a lui. Non erano mai stati così vicini. Mai. Sperò che il medico non si accorgesse del suo cuore impazzito, ma dubitó fortemente che ciò sarebbe successo.

 

Sentiva il suo cuore battere in maniera inverosimile, era così bella da imbarazzata. Lo aveva fatto. Alla fine aveva ceduto ai suoi istinti e per fortuna la sua amica pareva non disprezzare la situazione. La voleva tutta per sé, la sua pain au chocolat.

 

La ragazza gli si accoccolò contro il suo petto. Avrebbe voluto bere un altro pochino di the, ma le tremavano le mani e non era il caso, decisamente. Però stava così bene lì dove stava…

 

John prese  la propria tazzina e gliela a costò alle labbra “Tieni”

 

Brunella bevve senza guardare, salvo poi far volare gli occhi alla tazzina. Caffè?! Bleah! Arricciò il naso e strizzò gli occhi per il sapore troppo forte ed amaro.

 

John sbiancò. Ma che cavolo di tazzina aveva preso?! Guardò meglio. Merda. Era la sua. Sapeva perfettamente quanto Brunella amasse le bevande dolci e il caffè, per giunta amaro, non rientrava fra queste. Si affrettò a scambiare le tazze “Scusa scusa scusa! Non volevo! Tieni bevi questo”. Bravo John, aveva rotto il momento.

 

La ragazza affondò il naso nella sua tazza molto dolce e prese un braccio di lui e se lo strinse intorno. Non aveva rovinato nulla, si era solo impapocchiato appena.

 

Si sentiva in colpa. “Scusa sul serio, non volevo, ho scambiato le tazze e…” non si fermava più. Straparlava e basta.

 

La giovane gli mise decisa una mano sulle labbra “Shh. Buono. Non è successo nulla per cui ha lontanamente senso che tu ti senta in colpa. Abbracciami e stai bravo” affermò vagamente dispotica, sorridendogli sfacciata. Non aveva senso che facesse così, neanche un po’. Interromperlo con un bacio sarebbe stato eccessivo.

 

Il ragazzo la strinse a sé dolcemente. “Certo che tra tutti i modi in cui si può zittire una persona hai scelto uno dei più brutti.”

 

“Non sono abbastanza intraprendente per gli altri” sorrise timida “Come avrei dovuto zittirti, doc?”

 

“Sai, con un bacio….” la guardò negli occhi.

 

“Sono troppo timida per questo” ammise lei in un pigolio “Puoi sempre farlo tu…”

 

Le accarezzò delicatamente il viso col pollice. “Mi piaci.” sussurrò dolce a poco dal suo viso.

 

“A-anche t-tu” ammise la ragazza, in un soffio, bordeaux. Il viso si era reclinato docile ed automatico verso la mano del giovane sotto di lei.

 

La baciò, impetuoso, irruento. La amava è non riusciva a trattenersi.

 

La giovane rimase senza fiato. Un inizio col botto, si poteva proprio dire. Gli strinse le braccia intorno al collo e cercò, se non di stargli dietro, quantomeno di non soccombere, mentre piccoli brividi le percorrevano la schiena.

 

Si sentiva vivo. La strinse a sé e le prese il viso fra le mani. Aveva le labbra dolci e morbide.

 

“È... il secondo in tutta la mia vita” mormorò Brunella col fiatone. Non che il primo fosse proprio un gran vanto. Se fosse potuta tornare indietro, non lo avrebbe mai fatto, quel primo, così. Il medico era meglio, anni luce meglio.

 

Stava sorridendo a trentadue denti. “è stato fantastico” era la sensazione migliore della sua vita. La abbracciò stretta. Aveva baciato tante volte tante ragazze diverse, ma nessuna mai gli aveva fatto provare quello strano brivido alla nuca.

 

“Sono coperta di brividi” sottolineò la giovane. Non sapeva se fosse normale, ma stava bene come raramente prima.

 

“Vuoi stare con me? Non ho bisogno di appuntamenti per sapere che sei la donna giusta.” disse il ragazzo. Era luminoso.

 

La giovane non ebbe bisogno di pensarci. Sperava da mesi in quella domanda. “Si, si,si!” cinguettò stringendolo a sé, felice.

 

“Sei felice, cucciola?”. Continuava a coccolarla: i capelli, il viso le spalle, la schiena, le braccia… L'aveva desiderata così tanto che ora non ci credeva di averla fra le braccia.

 

“Shi” come nomignolo le piaceva e stava bene, tanto bene. Era serena. Strinse il giovane a sé, estatica.

 

“Vado a pagare, ok?” le sorrise

 

“No, ancora cinque minuti” gli si strinse maggiormente intorno. Non poteva volersi già alzare. Non poteva e basta.

 

“Cos'hai?”

 

“Voglio le coccole, ecco” stringendosi di più fra le sue braccia. Quella era una delle sue parti bambine che non era mai cresciuta. Adorava farsi fare le coccole.

 

“Pensavo saremmo stati più comodi a casa mia” sorrise malizioso contro il suo collo.

 

“Fra cinque minuti, comunque” ribadì senza spostarsi di un millimetro da dove stava. Ci sarebbe stato tempo più tardi per rivedere il cameriere cascamorto, alzarsi, andare a casa…

 

“Com'è dispotica la mia editor” rise il biondo prima di mangiarle letteralmente il collo di baci.

 

“Ma sono un adorabile fiorellino” cinguettò la ragazza, vistosamente ironica, angelica e divertita. “però ti concedo il permesso di dirlo ancora” si stava divertendo, sì.

 

“Ci siamo sempre più scritti che visti. Cosa ne dici, magari invertiamo le cose?”. Sperava davvero che dicesse di si. Aspettava con ansia ogni sua lettera, gli piaceva la sua grafia piccola e ordinata, ma niente era meglio che averla con sé. Non vedeva l'ora che passasse il mese per poter convivere.

 

Mancò poco che la giovane si sciogliesse lì dove stava. “Va-va bene” balbettò, anche se senza spostarsi.

 

John era tanto felice da irradiare luce nella stanza. Splendeva.

 

Brunella si decise infine ad alzarsi “A-andiamo?”

 

“Se la mia ragazza vuole questo, questo faremo.”. Sorridente si alzò e le porse il cappotto.

 

La giovane vi si infilò con la giacca che vi aveva lasciata incastrata dentro, si sistemò la sciarpa e si tirò in spalla la tracolla “Ci sono” comunicò infine, agganciando un dito a quello del ragazzo.

 

Le prese la borsa e le strinse la mano. “Così va meglio”. Andò alla cassa regalando un'occhiata vittoriosa al cameriere.

 

Gli strinse la mano “Mia borsa, mollala! Ma con delicatezza, che c’è il pc” tentò di riprendersela la ragazza. Era una di quelle cose di cui, fin da bambina, era gelosa, per così dire. Le sue borse se le portava lei e basta.

 

“Fatti viziare su. Mia la principessa miei i suoi problemi.”

 

“P-principessa?” ridomandò in un soffio “F-forse p-più la segretaria...”

 

“Ma che segretaria e segretaria, sei la mia principessa. Come puoi anche solo pensare di essere una segretaria?” pagò ridendo e uscì senza che il sorriso divertito gli sfuggisse dalle labbra.

 

“Io? Principessa?” la ragazza continuava a non essere totalmente convinta. Non si sentiva una principessa, nemmeno un po’ e, obiettivamente, john non aveva l’aria da principe azzurro, che, dopo avere visto shrek, le stava anche antipatico.

 

“Non ti sembro un principe?”. Si fermò in mezzo alla strada. Era un colpo al cuore, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Il non essere alla sua altezza lo spaventava.

 

“Mi sta antipatico Azzurro, quindi accetta il complimento i non somigliargli… sei meglio di quello sbruffone disegnato. Il mio bel capitano delle guardie?”

 

“Molto volentieri, piccolo medico” sorrise e la strinse a sé. Non aveva mai camminato abbracciato con nessuno.

 

“Piccolo medico? Come fai a conoscere questo nomignolo?” domandò sorpresa. Come faceva a sapere di quel nomignolo della storia di una sua amica?

 

“Un uccellino…”. Matilde gli aveva dato una dritta. Sapeva quanto tenesse alla ragazza e era convinta che tutto ciò dovesse essere incentivato.

 

“Come lo sai?” Brunella si era incagliata a piccolo medico. Gli si strinse addosso, pensierosa. Non riusciva a capire: era sicura di non avergliene parlato…

 

“Un uccellino ha fatto il suo dovere.” non aveva stalkerato Matilde fino allo sfinimento. Nooooo, figuriamoci.

 

“Quanto l'hai stressata?” domandò divertita, riferendosi alla povera e vessata coinquilina. Si prese un istante per guardare il cielo fuori dal locale. Bianco. Prometteva neve. Dovevano tornare a casa.

 

“Il giusto.” rispose divertito. La strinse nella sua giacca è allungó il passo. Voleva arrivare in fretta a casa per evitare la neve.

 

“Dove andiamo? Da te, da me, altrove?” la ragazza non sapeva come gestire la questione. Decise di affidarglisi.

 

“Da me. Sherlock è via. Casetta solo per noi. Ti piace l'idea?”  le baciò la guancia.

 

“Io non so come funziona… va bene, andiamo” si guardò le scarpe alte ed aperte. Perché le aveva messe quella mattina?! Perché le piacevano e non sapeva dire di no ai propri capricci vestiari, ovvio. La volta successiva sarebbe stata più attenta… forse.

 

Senza lasciarla dall'abbraccio la condusse fino al proprio appartamento e aprì la porta.

 

La giovane entrò nell'appartamento con occhi nuovi, stretta al giovane. Si tolse il cappotto e lo appese. “Cosa facciamo?” timidina.

 

“Io proporrei divano, cioccolata e un bel film. Cosa ne pensi?” si liberò della giacca e delle scarpe.

 

“Pirati dei caraibi?” domandó speranzosa. Amava quel film, ma lo avrebbe condiviso volentieri con lui.

 

“Pirati dei caraibi sia.” sorrise caloroso. Avrebbe fatto di tutto per lei. Preparò il tutto per il film compresa la cioccolata. In realtà la bevanda era opera della signora Hudson. Una volta che fu pronto si sedette sul divano, portando con sé due tazze.

 

La ragazza recuperò la traccia dal portatile. La teneva sempre in memoria. Collegò il pc al televisore e mise in pausa il film. “Spero tu sappia che io di telecomandi non capisco nulla” mise in chiaro sedendosi sul divano.

 

“Nessun problema.” rispose. Si sistemò comodo sul divano e allargò le braccia in un caldo invito.

 

La giovane vi si sistemó in mezzo, placida. Stava per guardare un film che adorava con il giovane che le faceva girare la testa.

 

“Vieni, piccola” la strinse a sé e fece partire il film. Non si era mai sentito tanto tranquillo e felice. Non aveva mai qualcuno con cui fare queste cose più normali, pacate. Sherlock non era, per ovvie ragioni, una scelta vincente e, per questo, il medico si trovava spesso nel migliore dei casi a farle da solo.

 

La giovane gli si accoccolò intorno. “è pacifico… mi piace” e poi si perse nel film. Lo aveva visto volte bastanti da conoscerlo a memoria e, sottovoce, ne recitava le battute, senza pensarci.

 

John sorrideva estremamente divertito. Le accarezzava i capelli e le spalle con gesti delicati. In poco tempo era scivolato fra le braccia di morfeo. La bella voce della ragazza lo cullò.

 

Brunella si girò perplessa. Si era addormentato? Ma che dolce, si scoprì a pensare. Sembrava… rilassato. Come raramente da sveglio.

 

John si girò verso di lei, ma nulla lo avrebbe svegliato.

 

La ragazza, dal canto suo, col neofidanzato fra le braccia, decise di lasciarlo dormire. Era così rilassato… sarebbe stato un peccato svegliarlo. Avrebbe aspettato la fine del film, decise. Glielo avrebbe fatto guardare un'altra volta… forse due o tre… o quattro...

 

John dormiva sereno.

 

Come ogni singola volta, al discorso di Elizabeth si infervoró, scoppiò a ridere per gli uomini pesce, le venne voglia di noccioline, si lasció coinvolgere dal matrimonio con Will, dalla morte di James, suo primo amore di personaggio, dal combattimento fra Jack e Davy Jones, dalla fine stupida di Beckett e dall'esplosione spettacolare di Calipso, dal buon mastro Gibs, dal lampo verde sull'orizzonte che non aveva mai smesso di cercare, nonostante sapesse perfettamente che non lo avrebbe mai visto.

 

Il medico aveva appoggiato la testa sulla spalla della ragazza. Era comodo, confortevole e al calduccio, perché mai si sarebbe dovuto spostare?

 

La giovane si chiese se stesse comodo sulla sua spalla ossuta. A quanto pareva, si, visto che non pareva intenzionato a muoversi… cercò di cambiare posizione il meno possibile. Passò tutto il film a percorrergli piano le spalle, il collo ed il viso con le dita.

 

Era come un cucciolo in cerca di attenzioni. Con non molta cautela si spostò con la testa sulle sue gambe. Non si sarebbe allontanato da lì per nulla al mondo.

 

Alla fine del film,si decise a svegliarlo. Erano passate due ore e mezza in fondo… lo chiamò piano, baciandolo dolcemente a stampo.

 

Era in paradiso. Aprì lentamente i grandi occhi azzurri e un sorriso illuminò la stanza. “Buongiorno”

 

“Buongiorno bell'addormentato” bello lo era davvero “siccome hai dormito tutto il mio film preferito, per punizione dovrai riguardarlo con la sottoscritta” dichiarò convinta.

 

“Ora?!”

 

“Non per forza, ma ti toccherà comunque” sorridendo sbieca, convinta, implacabile e -perchè negarlo- fissata.

 

“Mi fai paura così, piccola serial killer” rise. Era adorabile anche così. Aveva due occhi di un azzurro incredibile.

 

“Fai bene, capitano, fai molto bene” rincarò la dose la ragazza. “è solo il mio film preferito, in fondo e tu ti sei addormentato” con espressione arcigna ed un brillio divertito negli occhi. Forse non era il caso che lui sapesse quante volte lo avesse visto meno ancora che lo avesse visto in russo.

 

“Ok, serial killer, come posso farmi perdonare?” era disposto a tutto per lei. Gli dispiaceva anche essersi addormentato, ma la sua voce, quelle mani…. Avevano vinto sulla sua autonomia.

 

“Ci devo pensare… una buona dose di coccole sarà sufficiente” concesse divertita, con aria magnanima. Ciò detto, gli si strinse addosso “e un tè coi biscotti”

 

“Bene”. Voleva le coccole? Sarebbero state super coccole. Si mise un biscotto fra i denti e la guardò.

 

Timida come si trovava, la giovane arrossì vistosamente. Se John -il suo john, si corresse mentalmente con un sorriso ebete- faceva così già dal primo giorno di fidanzamento, poi? Cosa sarebbe successo? Non sapeva se essere più preoccupata o curiosa.

 

Il medico si avvicinò al suo viso. Una mano le sfiorò la pelle tiepida degli zigomi. Non si sarebbe mai abituato alla bellezza di Brunella. “Biscotto?” sorridendo da stregatto il ragazzo la guardò dritta negli occhi non lasciandole la possibilità di scappare da quel contatto visivo.

 

Raggiungendo tonalità di imbarazzo che ancora non le erano note, la giovane addentò il biscotto, delicata, persa in quegli occhi chiari e cristallini. “G-grazie” balbettó in un soffio.

 

Il ragazzo stava cercando disperatamente né di sorridere né di mangiarsela, letteralmente. “Vuoi che ti insegni come prendiamo il the qui a Londra?”. Il suo tono sapeva di guai.

 

Non recependo la ‘minaccia’, la giovane accettò ingenua. “Va bene" sorrise disponibile e curiosa. Sapeva perfettamente di avere molto da imparare sul rito del thè.

 

“Per prima cosa devi fare un grande respiro.”

 

La ragazza eseguì perplessa. Si era persa qualcosa? Probabilmente sì, come suo solito… ma in fondo si fidava di John. Se anche quello non era quanto dichiarato, confidò che non sarebbe stato nulla di troppo pericoloso.

 

“Bene. Adesso… ” John prese le foglie di the e, con esse, si bagnò il collo. Non lo abbandonò mai un sorriso malizioso, alla ricerca delle guance rosse della ragazza. “Vieni a bere il tuo tè”

 

“Ma sei te, non the” rise senza tradurre il gioco di parole. Non avrebbe reso in inglese, per nulla. Come da copione arrossí a dismisura. Non poteva farle quell'effetto per ogni cosa. Bordeaux, si avvicinò con le labbra alla pelle del collo, umida e profumata.

 

John la scrutò come un predatore con la sua preda. Ne osservava i movimenti calibrati, il respiro appena affannato, le pupille dilatate… tutti i segnali convergevano in un'unica affermazione: c'era attrazione e lui stava facendo la cosa giusta.

 

Infine la giovane si decise ad assaggiare quella pelle alla quale più di una volta aveva pensato. Si sentiva come prigioniera di un sortilegio, incantata. Non poteva definire quel sapore dolce, non sarebbe stato esatto. Era deciso ed era buono, non avrebbe saputo dire molto di più.

 

Quelle labbra… così morbide… Così setose…. Dischiuse le labbra per lasciare andare un unico leggero sospiro di puro piacere.

 

Nel sentirlo sospirare, la ragazza venne coperta di un brivido. Era davvero per lei che stava sospirando? Oppure per qualcosa a lei ignorava? O magari gli stava facendo male… Piantó gli occhi in quelli di lui, incerta,  in cerca di conferme.

 

“Perché ti fermi?”. Aveva le pupille dilatate e lo sguardo confuso. Perché si era staccata da lui? Si era offesa? La strinse a sé, in una stretta dolce, non invadente. “ti ho offesa in qualche modo?”.

 

“N-no” offesa? Cosa centrava l'offesa in quel momento? “È che…” come faceva a confessare al giovane pieno di esperienza -multicontinentale, addirittura- tutta la propria ignoranza? Si era preoccupata per lui sentendolo sospirare. Un’altra domanda l’assalì: stavano bruciando forse troppe tappe tutte insieme?

 

“Ok, mi fermo.”. Non avrebbe bruciato le tappe, non con lei. Tornò come prima. In fondo gli bastava sentirla fra le sue braccia, in realtà la sola vista della sua ragazza gli riempiva il cuore di gioia.

 

Brunella gli si adagiò tra le braccia, rilassandosi. Quella cosa l’aveva accesa, era vero, ma non sapeva come gestirla. Aveva ancora il cuore in tumulto, il viso paonazzo, gli occhi grandi ed il fiato ballerino. Non si era mai sentita tanto euforica in presenza di un ragazzo. Si chiese perché fosse tanto stanca, nonostante fossero a malapena le 15… okay, forse un’idea l’aveva anche, ma era un dettaglio totalmente superfluo che la sera prima… quella mattina… aveva dormito poco, forse nulla. no, ma erano quelle braccia protettive a spingerla al sonno, non la sera prima, assolutamente. Con questa convinzione -infantile- la giovane si addormentò pacifica.

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Capitolo 3
*** Vanguard ***


20 febbraio 2028, Londra

 

Matilde stava correndo da una parte all'altra della casa aggiungendo palloncini e festoni. Era il compleanno di Brunella e sia lei che John stavano dando il meglio di loro per regalarle la migliore festa possibile. Anche Sherlock stava aiutando: aveva il compito di tenerla lontana da casa fino alla sera.

 

John stava cercando di aiutare Matilde al meglio. Fondamentalmente le passava il necessario di volta in volta e le faceva da base. Lei aveva sicuramente un migliore senso estetico e conosceva meglio le preferenze della coinquilina. Stavano addobbando tutto in blu e verde e nella stanza si distinguevano chiaramente aromi di the, cioccolato in ogni forma, burro e biscotti. Si stiracchiò appena “Quanto tempo abbiamo ancora?”

 

“Non molto e abbiamo tante cose da fare” Era super agitata, voleva solo che fosse tutto perfetto. Le aveva preparato i suoi piatti preferiti. Si era premurata di trovare una selezione di the che potesse andare incontro ai suoi gusti. Ad un certo punto un brivido le percorse la schiena “John, hai messo la torta in forno, vero?”

 

“Si colonnello” rise l’ex soldato, scattando sull’attenti “il timer suonerà fra venti minuti” asserì controllando l’orologio. Non aveva mai sentito parlare del dolce a due colori, ma se piaceva alla festeggiata, andava bene, qualunque cosa fosse. “Inizio a mettere i bicchieri, siamo solo noi quattro, vero?” temeva di doversi inventare un modo creativo per disporli, ma meno erano, meno sarebbe stato un problema, giusto?

 

“Solo noi quattro. Conta che Sherlock vuole assolutamente il bicchiere blu, se no non mangia.”. Controllava esattamente da dieci minuti i biscotti che si trovano in frigo. Li aveva decorati con la glassa disegnandoci sopra tutto ciò che più piaceva all'amica. Temeva che si sarebbero rovinati o, peggio, sciolti. Erano più molli di prima? “John, ti sembrano più molli i biscotti?”

 

Il giovane prese fra le dita uno dei due biscotti di prova e lo addentò con assoluta nonchalance “Sono squisiti e la consistenza è perfetta. Non sono troppo dolci, il che è un bene, conoscendo Bru” sorrise sperando di non essere mangiato vivo. Per precauzione, tornò -scappò, effettivamente- in sala al proprio dovere.

 

“Dimmi, John, quanto la conosci?” avrebbe indagato fino in fondo. La sua anima da piccola stalker le permetteva di essere molesta per molto, molto tempo. John sapeva che se mai l'avesse fatta soffrire avrebbe pagato. Con la vita. E no, non era uno scherzo. Sapeva essere diabolica.

 

John si fece cauto. Conosceva abbastanza bene la propria interlocutrice da sapere che sotto quelle parole indagatorie stava una minaccia di morte. Una minaccia di morte che si sarebbe realizzata, se non fosse stato attento “Meno di quanto vorrei, più della maggior parte, ma non quanto te” si decise infine a rispondere.

 

Era soddisfatta della risposta. Per il momento, solo per il momento, non lo avrebbe picchiato. I venti minuti allo scadere del timer volarono  fra festoni e piccoli ritocchi qua e là. Matilde estrasse la torta dal forno velocemente, non aveva tempo da perdere. “John, portami i miei attrezzi per decorare la torta”. Dato che il medico non sapeva fare pressoché nulla in cucina aveva deciso di usarlo come aiutante.

 

“Sì colonnello!” esclamò convinto il giovane, andando a prendere gli attrezzi. Gli pareva quando, qualche anno prima, aveva fatto la gavetta ed aveva passato migliaia di bisturi, provette, etichette e strumentazione di ogni genere.

 

Matilde si mise celere al lavoro. Il tempo volava e, sotto le sue mani, prendevano forma le decorazioni più strane che uno si potesse aspettare di trovare su una torta. C'erano pagine di libro, rose blu, penne, matite, pennini, boccette d'inchiostro, un computer che troneggiava la sommità della torta e una tazza di the di fianco. Sapeva che quella torta sarebbe piaciuta alla sua amica.

 

Il giovane medico, appurato che non avrebbe potuto aiutare in alcun modo l’amica, si decise a ritoccare gli ultimi dettagli della sala. Drizzare i vassoi, allineare in figure geometriche le bottiglie e i bicchieri. Sapeva che erano minuzie insignificanti e che anche la stessa festeggiata lo sapeva perfettamente, ma perché negarle quella fisima, in quel freddo giorno di febbraio?

 

Una volta che Matilde ebbe assemblato tutta la torta chiamò il medico per un parere.

 

“Un colonnello pasticcere eccezionale, non c’è che dire” sorrise positivo, dispiaciuto solo di non poterne mangiare un pezzetto. “Non ci resta che aspettare, dovrebbero arrivare a minuti, oramai”

 

La ragazza annuì. Aveva giusto il tempo per togliersi il grembiule e andarsi a preparare. Sarebbe stata impeccabile.

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Capitolo 4
*** Vanguard (in the meantime) ***


Brunella seguiva Sherlock, che camminava deciso per le strade di Londra. Per quel caso gli avrebbe fatto lei da assistente, anche se non se ne spiegava il motivo. Mediamente era John -il suo John- a occuparsene o, negli ultimi mesi, Mati. Gli archivi dei casi toccavano a lei comunque, così come le relazioni finali, ma difficilmente scendeva in campo in quello strano ed affascinante meccanismo.

 

Sherlock continua a girare a caso per Londra. Aveva avuto il compito di tenerla occupata per quattro ore e la persona che gli aveva affidato quell’incarico non poteva essere disattesa. Le lancette dell'orologio non avevano mai girato così lentamente e tutto gli sembrava rallentato. Prese una strada apparentemente cieca sperando di non rendere evidente a Brunella di non avere una reale meta.

 

La giovane continuò a seguirlo fiduciosa. Conosceva la mappa mentale che il detective aveva in mente, quindi se si stava dirigendo in modo tanto deciso da una parte all’altra, non vedeva perché non seguirlo. A lei stava prendere appunti, non seguire il filo di Arianna. Si annotò l’ennesimo indirizzo ed annessa svolta. Chissà cosa avrebbero trovato in quel vicolo dall’aria poco rassicurante…

 

Diede un ulteriore sguardo all'orologio. Grazie a Dio le quattro ore erano scadute, che i suoi amici fossero stati pronti o meno non gli interessava minimamente, il proprio pezzo lo aveva fatto. Con un nuovo sorriso sul volto si diresse tranquillo e felice verso casa propria.

 

Girarsi e tornare indietro verso casa fu più traumatico del previsto. Tornare a casa. In realtà il solo voltarsi mise i due in una brutta situazione: all'uscita del vicolo un gruppetto di uomini dall'aria poco raccomandabile sembravano molto -troppo- decisi a puntare proprio loro.

 

Il sorriso del ragazzo abbandonò immediatamente le sue labbra. Quegli uomini erano troppi e troppo minacciosi per essere degli amici di Matilde o di John. “Stai dietro di me” si mise davanti alla ragazza pronto a difenderla con unghie e denti.

 

La ragazza strinse il voluminoso tomo che teneva in mano. Difendersi coi libri? Okay, le mancava. “Cosa facciamo?” nessuno di quei volti le era familiare e nessuno amichevole.

 

Il gruppo si strinse loro intorno, minaccioso “Vi lasciate prendere da bravi o giochiamo e voi perdete?” chiese uno di loro.

 

“Il gioco è appena iniziato” sorrise scaltro il detective. Era pronto a scattare. Avrebbe vinto la partita, ne era certo.

 

“Il bambino vuole giocare” la voce dell'uomo, carica di sarcasmo lasciò intuire un sorriso -un ghigno- feroce. “Allora giochiamo” era il segnale, a quanto pareva. Cinque uomini si lanciarono sul detective e sulla ragazza.

 

Sherlock scattò come una pantera contro uno degli uomini. Erano imponenti e decisamente minacciosi. Se fosse stato solo sarebbe stata tutta un'altra cosa, ma era con Brunella, non poteva mettersi nei guai. Colpiva con destri e mancini schivando  abilmente i colpi e cercando allo stesso tempo di proteggere la ragazza.

 

La ragazza sgranò gli occhi. No, decisamente le risse ed i combattimenti non facevano per lei. Si difese come poté, anche se non era molto. La mente pareva averla abbandonata e la sua unica arma era un volume di storia di proporzioni ragguardevoli e l'agilità della piccola taglia, ma cosa avrebbe potuto fare? Abbandonare Sherlock dandosi alla fuga? Non lo avrebbe mai fatto e non glielo avrebbero lasciato fare.

 

I colpi degli uomini erano sempre più veloci e comunque cinque contro due non erano numeri favorevoli a loro. Sherlock si difese a come poteva. Ad un certo punto un uomo tirò fuori una pistola e la puntò contro la tempia della giovane. Decisamente non era uno scherzo architettato da Matilde e John “Ora basta con questi giochetti.” disse l'uomo con un'espressione crudele in volto.

 

Sentire la canna fredda dell’arma contro la pelle ebbe il potere di far tornare alla ragazza la lucidità. Lentamente, a sottolineare l'inoffensività del gesto, strinse a sé il volume. Chi era che li stava cercando? Chi era il mandante? Non potevano essere dei semplici ladri da strada, erano addestrati ed attrezzati e, soprattutto, non avevano mirato per ucciderli.

 

Gli uomini portarono entrambi in una macchina e li bendarono. Sherlock cercava di stringersi all'amica. “Trovo un modo” le sussurrò. In realtà non era così sicuro delle sue parole. Quella volta non sapeva se avrebbe trovato una soluzione. Stava provando a seguire la la strada percorsa nella sua mappa mentale di Londra, ma non riusciva. C'era stata una svolta che non era possibile, ne era certo, lì c'era un muro. Aveva perso l'orientamento.

 

Brunella non era così certa che ne sarebbero usciti da soli. Nemmeno in generale, realizzó, sentendo ancora su di sé la canna gelida. Non li avevano legati, se non con qualcosa di freddo, probabilmente manette, ma non così costrittive. Si costrinse a respirare piano e si appoggiò contro la spalla di Sherlock. Era l'unico punto fermo che avesse ancora in quella confusione concitata ed, al contempo, in quel gelo silenzioso e pesante. “Sono ancora sotto tiro” mormorò pianissimo.

 

Il ragazzo lo sapeva perfettamente. Percepiva la presenza della pistola. Sentiva l'odore della polvere da sparo, del ferro: con gli occhi chiusi gli altri sensi si svegliavano. Strinse a sé la ragazza, l'avrebbe protetta, e si concentrò suo rumori esterni alla macchina. Sembrava fossero in una sorta di parcheggio, sicuramente erano sotto terra. Erano sul cemento, senza buche, senza tombini, perfettamente liscio, poteva essere nuovo. Ad un certo punto la macchina si inclinò e salì su una rampa in metallo dentro a quello che poteva essere un garage. Sherlock si preparò a scattare nel caso di una possibile via di fuga.

 

I due prigionieri vennero spinti fuori con malagrazia dal veicolo. L'aria era fredda ed umida. Il veicolo dal quale scesero era altissimo e la giovane quasi scivolò nella discesa. A terra, i due prigionieri vennero bloccati uno all'altro, le manette unite fra di loro. Vennero sospinti, sempre con una pistola, lungo delle scale dello stesso materiale liscio del parcheggio.

 

Il detective non faceva alcun rumore mentre camminava per le scale. La sua testa aveva formulato già una decina di idee in materia al rapimento: chi fosse il mandante, quale potesse essere il perché di tutto ciò, lo scopo della loro cattura… Tutto.

 

Muoversi in quel modo era totalmente scomodo, la editor doveva proprio dirlo. Quegli uomini li spingevano a camminare rapidi -che fretta avessero poi, era un mistero- e gli scalini erano alti e scivolosi. Non era solo la loro vita ad essere in bilico, considerò con un sorriso non particolarmente divertito, era anche il suo corpo ad esserlo.

 

Il ragazzo sentì un rumore strano, come se qualcuno stesse scivolando. Repentino si mise dietro a Brunella per sostenerla. “Ti tengo, tranquilla” quanto sarebbe ancora durata quella salita? Decise di rimanere lì nel caso la ragazza avesse avuto di nuovo bisogno di lui. Continuava a camminare, saranno stati ormai dieci minuti buoni da quando erano stati buttati fuori dalla macchina. Non aveva la più pallida idea di dove fossero.

 

“Grazie” Non solo Sherlock le si era avvicinato, anche la canna gelida contro la sua testa lo aveva fatto ed i loro rapitori li avevano fermati così, da un momento all'altro, limitandosi a strattonarli. Il pavimento si era fatto nuovamente piano e, dopo qualche passo ancora, erano stati spinti a sedersi forzatamente su degli sgabelli sorprendentemente comodi, schiena contro schiena, con le braccia bloccate non fra di loro, come fino a poco prima, ma all'altro. Che strano modo, pensò la ragazza.

 

“Bene, bene, bene… “ disse qualcuno. Quella voce. Quella maledetta voce. Sherlock l'avrebbe distinta fra un milione di persone. Quella voce acuta e fastidiosa che come un tarlo ti rodeva lentamente il cervello, fino a farti perdere il senno. A quel punto gli era tutto più chiaro: Moriarty.

 

A partire dal fremito non suo che aveva sentito contro la schiena, la ragazza realizzò che, tanto quanto lei non aveva riconosciuto la voce del misterioso interlocutore, per quanto fosse vagamente familiare, il detective doveva averla riconosciuta molto bene. Abbastanza da irritarlo ferocemente. Questo portava a due sole risposte: Mycroft -ma non avrebbe usato modi tanto bruschi- o Moriarty. Moriarty… scattò in piedi -ci provò, quantomeno- in direzione della voce “Tu sei… so chi sei!” le sfuggì

 

“Brunella stai buona” sussurrò Sherlock. Aveva imparato suo malgrado che era meglio non farlo irritare. Sarebbero usciti da lì. Non sapeva come ma ci sarebbero riusciti.

 

Moriarty, Jim Moriarty era a dir poco stupito: lo conosceva? Sul serio? E se sì, come? Era molto curioso. Tolse ad entrambi le bende dagli occhi. Squadrò la ragazza, non la conosceva per niente. Era carina ma decisamente non il suo tipo.

 

Brunella si rintanò appena intimidita. Se Sherlock in persona si era premurato di fermarla, doveva esserci un motivo. In realtà la giovane aveva riconosciuto la voce perché l’aveva sentito in degli audio. Guardò i due uomini chiedendosi se potesse parlare.

 

Il Napoleone del crimine la guardò negli occhi “come fai a conoscermi? Sherlock e io siamo come amanti, ma tu…”

 

“Tu sei l’ex di una mia amica.” si decise a rispondere la ragazza. Solo dopo realizzò che Sherlock non avrebbe apprezzato con tutta probabilità, non avrebbe apprezzato per nulla.

 

Sherlock si gelò all'istante. Magari non stava parlando di Matilde, della sua Matilde. Guardò Brunella sperando che tutto fosse un grosso malinteso. Non poteva sopportare l'idea che Moriarty il suo acerrimo nemico fosse un ex della sua ragazza.

 

Jim inclinò la testa “Come si chiama la tua amica?”

 

“Matilde”  la stanza era calata in un silenzio teso ed il nome della giovane era stato uno scoppio.

 

Sherlock si girò di scatto, per quanto possibile, nel tentativo di scorgere una piega scherzosa sul volto dell’amica, ma non vi riuscì e non ve l’avrebbe scorta comunque: Brunella era seria.

 

Moriarty si illuminò “Matilde, la mia Matitina?” chiese con voce zuccherosa. “allora tu sei…” si sforzò di ricordare il nome… “Brunella? Giusto?”

 

“Sì, sono io” ammise la ragazza. Aveva lanciato il sasso, non poteva tirare indietro la mano.

 

Sherlock non poteva -non voleva- credere alle sue orecchie. Li avevano portati in delle nebbie allucinogene, come per i mastini, ne era sicuro. Jim Moriarty gli aveva causato due cadute, un pubblico fallimento, lo aveva fatto dubitare di se stesso, gli aveva complicato la vita, aveva spinto suo fratello a venderlo, lui stesso a suicidarsi per Jawn e per mrs Hudson, non doveva permettersi di vantare una storia con Matilde, la sua pipetta. Si limitò a guardarlo con odio.

 

“Piacere Brunella, Titina mi ha parlato molto di te. Era entusiasta quando vi siete trasferite insieme. Ti piace ancora quel blogger per cui fai l’editrice? Ho sempre fatto il tifo per voi”. Moriarty prese una sedia e si sedette: era da un po’ che non sapeva nulla di Matilde ed era curioso.


Sherlock non riusciva a far pace con l’idea che Moriarty e Matilde fossero stati insieme. Era al di sopra delle sue capacità. Semplicemente era troppo. “Non. Dirgli. Nulla”

 

Simultaneamente, la ragazza rispose al rapitore “Sta bene.” pulita, non aggiunse altro. Effettivamente i due si erano lasciati per le manie di controllo e di ricatto di Moriarty stesso, oltre ad una certa quale divergenza di legalità, a quanto ne sapeva. Non avrebbe servito la coinquilina ed amica su un piatto d’argento.

 

Moriarty fece un'espressione da liceale cotto. “Mi manca tantissimo, sai? Non solo a livello fisico, ma soprattutto a livello di testa, è molto intelligente. Ti ha detto perché ci siamo lasciati?”. Non sembrava nemmeno più lui. Il rapimento era passato in secondo piano.

 

“Me lo ha accennato, ma -dettagli piccanti a parte, ai quali, giuro, non sono interessata- puoi raccontarmi la tua versione dei fatti” farlo parlare le sembrava una idea decisamente migliore che parlare loro, decisamente. Le dispiaceva per Sherlock, ma era prioritario uscire vivi di là.

 

“il fatto è che non ho molto capito. Di sicuro il mio lavoro c'entra. Lei adora infrangere le regole, ma a quanto pare il mio lavoro era troppo per lei. Sono molto geloso di lei ma non avevo mai amato una persona così tanto. Quando ho saputo che un ragazzo le aveva scritto ho dato di matto. È stato il più grande errore della mia vita. Se n’è andata, arrabbiata e non l'ho più rincontrata. Non sono mai stato in grado di scoprire chi fosse il ragazzo. Matitina sapeva come nascondermi le cose… “ concluse con un sorriso nostalgico l'uomo prima di tornare a guardare la ragazza di fronte a lui.

 

“Altrimenti lo avresti ucciso, lo so. E prima che tu me lo chieda, no, non ti dirò il nome” specificò la ragazza “Ma quello che posso dirti è che sarebbe successo comunque. Apprezza che siate stati bene insieme, ma non forzarla, sai quanto me che non serve” Brunella si stava muovendo su una lastra di ghiaccio sull’abisso e lo sapeva perfettamente. Rimaneva da capire se il suo interlocutore, il mostro dell’abisso, l’avrebbe mangiata o meno. Siccome lei e Sherlock erano vincolati schiena contro schiena, gli si mise davanti, tanto per toglierlo dagli occhi di Moriarty, quanto per avere la visuale completa sul loro rapitore.

 

Sherlock non aveva ancora mosso un muscolo. Voleva sbattergli in faccia che Matilde stava con lui, che era per lui che l’aveva abbandonato, ma non ne era totalmente sicuro e poi non voleva se la prendesse con lei per avere vendetta e vantaggio su di lui.

 

“Non avrei ucciso nessuno, odiava quando lo facevo. Sto migliorando, davvero. Vorrei solo sentirla di nuovo. Sarei disposto a rinunciare al mio lavoro per lei.” affermò. Non stava mentendo, per nulla. Gli mancavano le sue mani, la sua risata, gli mancava lei. C'era poco da fare. Per la prima volta Moriarty si stava mostrando senza difese, così com'era.

 

Sherlock non si fidava di quel nuovo Jim Moriarty. Sembrava più amichevole, ma anche un boa constrictor era bello quando danzava. Di nuovo tenne per sé che la ragazza stesse con lui.

 

Brunella era basita. Il loro rapitore era bipolare o l’amica gli era entrata davvero a fondo. Non sapeva cosa fare.

 

Il telefono di Moriarty squillò. “Scusate un secondo”. Non appena vide chi era che lo stava chiamando un sorriso gigantesco gli spuntò in viso. “è lei!” disse a Brunella, poi accettò la chiamata.

 

La ragazza non aveva particolari dubbi che Matilde non li avrebbe abbandonati e John nemmeno. Il guaio rimaneva come uscire dalla situazione spinosa con uno Sherlock traumatizzato? Temeva che chiedere direttamente di parlare con la ragazza sarebbe stato veramente troppo.

 

Sherlock non aveva ancora mosso un solo muscolo, aveva recepito appena che dall’altra parte del telefono ci fosse la sua amata Matilde, ma nulla di più.

 

Solo dopo una ventina di minuti buoni Moriarty tornò dai due prigionieri “Non ci crederai mai”. Era estatico, al settimo cielo. “Viene qui”.

 

Brunella sperò solo che non ci fossero ulteriori complicazioni. Era in piedi solo grazie a tutta l’adrenalina che aveva in corpo, che effettivamente non era poca, ma non sarebbe durata per sempre.  “Oh, quando?” domandò.

 

Al sapere che la sua ragazza sarebbe venuta lì, Sherlock ebbe due reazioni contrastanti simultanee: si rianimò, ma al contempo si scoprì preoccupato per lei. Moriarty era pericoloso, quale che fosse il contesto e preferiva sapersi morto che saperla in pericolo.

 

“Vi lascio un po’ di tempo con loro” indicando le guardie armate “devo prepararmi.” se ne andò saltellando felice.

 

La ragazza si spense quando i due rimasero soli.

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Capitolo 5
*** Project score (flashback 1) ***


Febbraio 2025, Torino
 


Brunella poteva dichiararsi soddisfatta fino a quel punto della sua vita. Aveva concluso l'università e si era messa (circa) in proprio, a fare qualcosa che la soddisfaceva: l'editor. Lanciò uno sguardo soddisfatto al monitor e si rilassò contro la sedia. La email di un certo John Watson faceva bella mostra di sé e le chiedeva di correggere i suoi scritti. Non aveva ancora indagato su chi fosse, ma certo non pensava avrebbe riscosso successo anche all'estero. Avrebbe rispolverato il suo inglese assai volentieri, sì.
 
Erano mesi ormai che John cercava un editor e finalmente ne aveva trovato uno sufficientemente puntiglioso e preciso. Era una ragazza italiana, ma con l'inglese se la cavava bene e comunque gli sembrava simpatica, a pelle. Le aveva scritto una email e sperava davvero accettasse la proposta di lavoro.
 
La ragazza tornò composta e rispose che, naturalmente, accettava, specificando di essere una precisa allucinante e di non preoccuparsi di ridimensionarla, se avesse esagerato. Prese un istante per pensare ad un dettaglio, poi si decise: essendo l'autore londinese, non poteva certo proporre un incontro di persona, ma almeno una conversazione via chat, una chiamata, una videochiamata, un contatto di qualche tipo avrebbe preferito proprio averlo. Faceva parte del suo modus operandi, era una regola che si era posta.
 
John non aspettava che quello. Le diede nell'ordine: email, numero di cellulare, numero di casa, nome Instagram, nome Facebook, tutto.
 
La ragazza scorse i contatti sullo schermo. Non avrebbe nemmeno avuto bisogno di fare ricerche su di lui, era stato l'uomo stesso a provvedere. Era impressionante: o era un cascamorto di proporzioni intercontinentali o premuroso oltremisura.  Controllò l’ora sul vecchio orologio da polso da uomo: poteva concedersi una pausa e curiosare. Digitò rapida una risposta per John Watson ed aprì i profili, divertita.

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Capitolo 6
*** Luna (flashback 2) ***


Giugno 2025, Torino

 

Brunella ricontrollò per l’ennesima volta lo zaino e gli orari del volo ed i documenti e di avere preso tutto quello che poteva servirle e doveva darsi una calmata. Subito. Aveva già stressato abbastanza Mati e farlo ancora non sarebbe stato carino.

Okay, andare a Londra per incontrare un autore era una follia, chiedere ad un'amica di andare con lei solo per avere qualcuno che conoscesse già la città anche, ma era agitata e puntigliosa lo era per natura.

 

Matilde tirò Brunella per la manica. Non voleva arrivare in aeroporto in ritardo. “Muoviti dai, se no parte l'aereo e tu dal tuo bel blogger non ci arrivi più.” era contenta sia per l'amica sia di passare un weekend a Londra. Ci era andata una volta con la sua famiglia e le era piaciuta molto, soprattutto Camden town.

 

Mettere fretta alla maggiore equivaleva a gettare benzina sul fuoco. Aveva curato tutto nei minimi, maniacali -doveva ammetterlo- dettagli. Finanche il taxi era stato chiamato preventivamente per non lasciare nessun tempo vuoto evitabile fino all'arrivo. In realtà era stato l'autore stesso a prenotare loro il veicolo, gentilmente. “Non è il mio blogger e non so se dal vivo sia bello" puntualizzò mentre erano oramai in coda per il check-in.

 

“Andiamo, si chiama John Watson, deve essere bello per forza. E comunque ti piace. Anche se fosse brutto lo vedresti comunque come un dio. Ricorda quello che dice Ariosto nell’Orlando furioso: l'amore rende invisibili i difetti agli occhi dell'amante.” proferì mettendo la valigia sul nastro per il controllo.

 

“Amante, addirittura! Non l'ho nemmeno mai visto dal vivo! Posso darti un giudizio critico sulla sua scrittura e sulla sua vita creativa, sulla sua generosità in fatto di retribuzione, ma nulla di più” stava straparlando, doveva decisamente darsi una calmata.

 

“Si, si, certo, e io sono scema.” disse ridendo la ragazza. Preferì non girare il dito nella piaga e soprassedere sul principio di rossore che faceva capolino sulle guance dell'amica. Si fece vidimare i biglietti ed entro nel tunnel che conduceva sull'aereo.

 

Il viaggio in aereo trascorse pacifico per tutto il tempo necessario, senza ritardi di sorta, per fortuna dei nervi della maggiore delle due ragazze. Probabilmente si addormentò anche ad un certo punto, ma di questo non era certa.

 

Matilde scese dall'aereo beandosi dell'aria in viso. Londra le piaceva. “Bruni, dai, il taxi ci aspetta. Non sei elettrizzata? Fra poco vedrai il tuo bello” le fece un occhiolino monello prima di uscire dall'aeroporto.

 

Brunella si risistemò la borsa a tracolla grigia sulla spalla, gli abiti e respirò a fondo “Andiamo” Non era pronta, ma indugiare non le sarebbe servito a nulla in nessun caso. Puntò dritto al taxi prenotato, coi tacchi bassi che ticchettavano sul pavimento.

 

Matilde guardò l'amica. Era tesissima e questo un po’ la faceva ridere: lei non si sarebbe mai presa una sbandata del genere per nessuno, non era proprio programmata per farlo. “Dai Bru, rilassati, mica ti mangia. Alla peggio cosa può succedere? Che è brutto e non ci provi? Ci sono cose peggiori nella vita.” le sorrise. Non era brava in fatto di rassicurazioni ed emozioni.

 

Okay, poteva uscirne viva. Non era la prima volta che incontrava un autore -era una delle cose che cercava sempre di fare: conoscere la persona dietro i testi per interpretarli al meglio- non era la prima volta che aveva a che fare col genere maschile, non era la prima volta che usciva dalla sua città natale. “Che è brutto e che non ci provi? È uno dei miei autori, non altro… in che modo dovrebbe riguardarmi?”

 

Aveva capito: era inutile ostinarsi. Far comprendere alla sua amica che gli uomini ci provavano era un'impresa paragonabile a tentare di mettere delle mutande ad un bisonte. Per fortuna erano arrivate a destinazione: 221b Baker Street.

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Capitolo 7
*** Luna (flashback 2- in the meantime) ***


Londra, giugno 2025


John non stava più nella pelle, non vedeva l'ora di incontrarla. Aveva provato venti maglioni diversi, venti maglioni. Non aveva trovato nulla che gli piacesse a sufficienza da far colpo sulla ragazza. Si rassegnò e decise di aspettare il coinquilino per chiedergli un consiglio.

 

Sherlock si alzò tardi quella mattina, come sempre quando non aveva un caso. Si stiracchiò con grazia inusuale al genere umano e pianificò la propria giornata: criticare programmi  stupidi, prendersela con l'universo per la noia imperante, sparare al muro e sperare in un caso. Sì, gli piaceva.

 

“Sherlock, consiglio: quale maglione metto?” il detective era la sua ultima spiaggia.

 

“Sabbia”  decise in fretta il detective. Non aveva propriamente deciso, aveva più sparato a caso, ma se andava bene, meglio. Jawn era un ottimo coinquilino, ma assolutamente insopportabile in fatto di ragazze. Ne aveva sempre una per la testa o nel letto o a cena, spesso quando gli serviva la sua presenza altrove, sulla scena di un delitto.

 

“Grazie” se Sherlock diceva di preferire quello sabbia allora lo avrebbe messo. Doveva ricordarsi di disdire l'appuntamento con Sara e il cinema con Raily. Un sacco di impegni che doveva accantonare in favore dell'incontro con la misteriosa editor.

 

Sherlock chinò appena il capo, in un cenno talmente piccolo da essere impercettibile. Qualunque cosa purché si togliesse dalla faccia quell'espressione da cucciolo alla prima cotta, che lo infastidiva solo.

 

Il blogger aveva sentito il taxi arrivare. Non stava più nella pelle. Si diede una rapida, ma precisa, occhiata allo specchio per gli ultimi ritocchi e si fiondò giù per le scale tirando il coinquilino con sé.

 

Cosa Jawn avesse da correre lo sapeva solo lui. Stavano arrivando la sua editor ed un'amica di lei, non il grande amore della sua vita e quello dello stesso Sherlock!

 

Brunella trattenne un sospiro di sollievo quando John, l'uomo per cui aveva attraversato metà di un continente, aprì la porta. Si impose di calmarsi e salutò i due uomini che le stavano di fronte.

 

John restò a bocca aperta dallo stupore. Non se l'era immaginata così, ma per una volta era contento di ciò. Non sarebbe stato in grado di immaginare la così bella e alla buona, semplice, come in fondo era lui. “Ciao Brunella, sono John” le sorrise cordiale allungando una mano. Sei bellissima avrebbe aggiunto, ma grazie a Dio si trattenne. Ci sarebbe andato piano con lei, poco alla volta.

 

“Buongiorno” gli strinse salda la mano, imponendosi di rispondere con voce ferma. Abbastanza, insomma. Cosa stava per succedere? Sarebbero andati fuori? Sarebbero rimasti a casa? E poi sarebbe rimasta da sola con quel John oppure sarebbero usciti tutti e tre? Oppure anche il coinquilino di lui li avrebbe seguiti?

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Capitolo 8
*** Discoverer (flashback 3) ***


agosto 2025, Torino

 

La casa costava decisamente troppo. C'era poco da fare. Certo, con un coinquilino sarebbe stato meglio tutto: affitto meno caro, qualcuno che facesse la spesa, che le preparasse il the…. Matilde doveva trovarsi un coinquilino.

 

John -il dottor Watson, si corresse mentalmente- in quei pochi mesi di conoscenza, aveva procurato a Brunella non poche conoscenze e clientele più o meno abbienti, ma tutte oltremare. Il punto in quel momento era: sacrificare la vicinanza con gli autori italiani in favore di quelli londinesi, oppure mantenere con loro contatti telematici e trasferirsi nella capitale inglese? Propendeva per la seconda: era una enorme possibilità, ma sicuramente non da sola. Doveva cercarsi una persona con cui compiere il salto nel baratro. Fece l’appello mentale delle sue amiche. Chi avrebbe potuto accettare? Forse solo Matilde, che avrebbe cominciato la specializzazione da lì a qualche mese proprio a Londra. Sì, sarebbe stata la soluzione più semplice.

John -J, come aveva preso a chiamarlo mentalmente, con suo sommo inammissibile imbarazzo- le aveva inoltre mandato una email qualche giorno prima con l’indirizzo di un appartamento nei dintorni di Baker street, forse a due minuti a piedi dal 221B. Era stato molto gentile, quasi le avesse letto nella mente e la editor aveva deciso di tentare ed aveva mandato il link a Matilde, nella speranza che accettasse. Per lei sola sarebbe stato troppo.

 

Matilde cercava case da più di un mese. Non ci poteva ancora credere: era stata accettata a una delle più importanti università di neurologia del mondo, a Londra. Ad un certo punto vide sulla pagina di WhatsApp web un messaggio da Brunella. C'era un appartamentino per due persone abbastanza grande e con un prezzo abbordabile. Non aveva dubbi, sapeva che la proposta era arrivata da oltremare, più precisamente da un certo blogger.

 

Brunella stava cuocendo nel proprio non sapere. Era esagerata e lo sapeva, erano passate solo poche ore da quando aveva mandato il link all’amica, ma non riusciva comunque a darsi pace. Si fermò e si impose di calmarsi, scrisse al medico per chiedergli di tenere l’appartamento fermo per qualche giorno, il tempo necessario a prendere una decisione.

 

L'unica cosa che Matilde inviò come risposta all'amica fu il suo biglietto per Londra e un “Ci vediamo la prossima settimana alle otto a Caselle”.

 

La editor, inutile a dirlo, si era agitata non poco alla telegrafica risposta. Cosa avrebbe dovuto portare e cosa invece lasciare? Lo sguardo passò alla libreria straripante. Di quale delle creature cartacee avrebbe dovuto fare a meno? Per l’abbigliamento era più semplice la scelta: era in fondo una creatura abitudinaria, quindi avrebbe preso solo quello che stava mettendo in quel periodo, il resto se lo sarebbe fatto spedire da casa all’occorrenza. Quanto aveva di peso per il bagaglio? Decise di chiedere alla futura coinquilina, avrebbe deciso in base a quello.

 

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Capitolo 9
*** TIROS (flashback 4) ***


Settembre 2025, Londra

 

John sorrideva come uno scemo. Era riuscita ad invitarla fuori a cena. Ok, non erano proprio soli, per farla accettare aveva dovuto invitare anche la sua amica e Sherlock. Però era già un ottimo punto di partenza. Si era detto che con lei sarebbe andato con calma e così stava facendo. Si sentiva proprio bravo.

 

Sherlock per la millesima volta della serata si chiese perché mai si fosse lasciato coinvolgere in quella cosa che comprendeva di dover avere a che fare con ben tre esseri viventi di cui due pressoché sconosciuti e di genere femminile, di cui una appetibile ennesima preda del coinquilino. Con gli occhi al cielo, si chiuse il terzultimo ed il penultimo bottone della camicia. “Pronto” bofonchiò svogliato. Che almeno Jawn lo sapesse: lui non era favorevole a quella cena.

 

“Ma dobbiamo proprio andarci, Bruni?” le chiese. Non aveva voglia di fare da terza incomoda e francamente per stare con quello spilungone arrogante e presuntuoso avrebbe saltato più che volentieri.

 

“Per favore, vieni… J ha invitato anche te, in fondo, no?” la editor sperava davvero che la dottoressa non le avrebbe dato buca, non avrebbe saputo cosa fare “magari troviamo un bel delitto per via per te” le probabilità non erano propriamente a favore, ma non si poteva mai sapere, nè smettere di sperare. Si lisciò la gonna sopra al ginocchio dal taglio sobrio “Dici che ho esagerato?” Ma perché si stava ponendo tutti quei problemi? Non era un appuntamento, nè lo sarebbe diventato!

 

“Senti, sei perfetta, ok? Gli piacerai. Io invece?” si guardò allo specchio. Camicia viola, giacca nera, pantaloni eleganti… se doveva andare per forza allora ci sarebbe andata in grande stile e avrebbe aiutato la editor con il rimorchio del blogger. Sì sì stava veramente annoiando in quel periodo.

 

“Chiunque tu voglia far cadere ai tuoi piedi, consideralo già caduto” sorrise Brunella aggiustandole il colletto affettuosa. Sapeva di essere fortunata a poterle dedicare qualche piccola attenzione senza perdere una mano, quando non direttamente la vita. Ricontrollò l’indirizzo del locale dove avevano appuntamento un’ora dopo “Taxi o mezzi pubblici?”

 

“Pubblici. Voglio rivedere Londra.” sorrise e prese il cappotto e la sciarpa. Sorridendo uscì di casa in fretta: almeno avrebbe rivisto Londra, doveva diventare la sua città in qualche modo.

 

“Mezzi pubblici siano allora” la editor, come di consueto, si infilò in borsa la sua personale dotazione minima, che a detta di chiunque non lo sarebbe stata affatto, ma non si poteva mai sapere, no? Chiuse la porta di casa ed uscì nell’aria umida della città.

 

John la aspettava impaziente come non mai. Continuava a guardare taxi e bus nella speranza di scorgerla, ma per ora ancora nulla. È vero che erano in anticipo di qualche minuto… ok, venti minuti per la precisione. Non era suo solito essere in anticipo, ma quella volta era diverso.

 

Sherlock era seccato a dire poco. Una cena alla quale non era interessato in una sera nella quale non sarebbe voluto uscire ed anche in anticipo! Quella non gliela avrebbe perdonata tanto in fretta!

 

L'editor aveva trascinato l'amica in un localuccio al caldo, in attesa dell’orario dell'appuntamento. Erano arrivate con mezz'ora di anticipo. Accidenti a lei ed i suoi anticipi compulsivi. Lanciò uno sguardo fuori dalla finestra e vide John fremente di attesa, il ristorante dalle luci calde, le macchine che sfrecciavano in velocità. John fremente di attesa? “Mati, sono io o…” accennò fuori col mento.

 

“Vai a chiamarlo. Prima iniziamo e prima finiamo.” disse con assoluta rassegnazione. Già vedeva il moro che le rompeva l'anima,che odio. Si mise a giocare con la collana raffigurante la molecola della caffeina.

 

La editor pagò la consumazione di entrambe ed uscì.

 

John si girò prima ancora di essere chiamato. Aveva riconosciuto il suoi passi leggeri. Le regalò un sorriso enorme e caloroso “Buonasera.”. Era partito. I neuroni lo avevano abbandonato e c'era poco da fare.

 

Come avesse fatto il dottore a girarsi prima ancora che lei aprisse bocca, rimaneva agli occhi della giovane un mistero. “Ciao J, siamo un po’ in anticipo, lo so, spero non sia un problema. È un mio difetto di fabbrica per così dire” si scusò impacciata.

 

John la guardò con occhi persi e innamorati “nessun difetto. È piacevole trovare una ragazza così giovane e bella che non si atteggia da prima donna. Lo apprezzo molto.”è sorrise cordiale e decise che in qualsiasi modo sarebbe finita quella cena lui l'avrebbe continuata a vedere, con o senza benedizione del suo coinquilino.

 

Sherlock sospirò esasperato. Jawn aveva gli occhi da pesce lesso, la sua editor anche e la sua amica lo stava sfidando insistentemente con gli occhi. Vestita come lui. Come si permetteva di copiarlo?!?

 

Erano. Vestiti. Uguali. Era un dramma. Era inaccettabile. “Come ti permetti di copiarmi?” sibilò a poco da lui per non farsi sentire dall'amica. Non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Non quella volta.

 

“Io? Copiare te? Non essere ridicola! Sono nato prima di te, sei tu ad avere copiato me. Non ti permettere più, chiaro?”

 

La studentessa lo guardò esterefatta. Ma che diamine c'entrava il fatto di essere nati prima?! Niente. Assolutamente niente. “Senti senti il bambino più viziato di Londra, cosa credi che mi faccia piacere essere vestita come te? Non sei al centro del mondo!”

 

“Hai appena ammesso di essere vestita tu come me e non io come te, per il momento mi basta” sorrise soddisfatto il detective. Sherlock 1, ragazzina 0.

 

Brunella si era incartata. Cosa avrebbe dovuto dire al bel -lo aveva pensato davvero?!?- giovane che le stava di fronte? Non era brava in quel genere di cose, ecco. “E-entriamo?” balbettò appena accennando al locale.

 

Da bravo galantuomo, il blogger le offrì il braccio. “Prego, entriamo?” il sorriso si fece ancora più caloroso e ampio. Quella gonna le stava da urlo, le fasciava I fianchi alla perfezione. Chissà se sherlock si stava divertendo… NoN, non gli importava per nulla in realtà….

 

“Ma sentila, la drama queen! Sei tu ad avermi copiato caro mio, non il contrario. E comunque la sciarpa non si mette così, genio” senza pensarci troppo gliela sistemò.

 

Con un secondo di esitazione, la editor accettò il braccio offertole dal suo autore. Sperava davvero che Mati e Sherlock non si uccidessero, almeno non troppo, anche se non nutriva troppe speranze in materia.

 

Come se nulla fosse John porto la sua editor all'interno del locale. Era u. Posto caldo e appartato. “Scegli dove vuoi sederti.” le disse galante. Voleva vederla felice e soddisfatta.

 

Sherlock trattenne a stento lo stupore. Cosa aveva osato fare la ragazzina?!? Un punto, suo malgrado, glielo dovette concedere.

 

Brunella, come suo solito, optò per il posto più piccino ed appartato, appoggiata al muro con le spalle alla porta. Almeno tre delle sue conoscenze -fra cui mati stessa- preferivano poter guardare la porta, quindi lei si sedeva dall'altra parte. “Grazie” si tolse la giacca dalle spalle e si sedette. Chissà come si sarebbero disposti gli altri tre commensali

 

John le scostò la sedia e le si sedette di fianco. La. Luce le disegnava sul viso dei chiaroscuri eccezionali, la rendevano ancora più bella. Le mise dietro l'orecchio un ciuffo ribelle. “Sei molto carina vestita così”.

 

Matilde si girò e vide che i due piccioncini erano già andati dentro.

 

Sherlock entrò senza aspettare ancora. Prima cominciava la cena, prima sarebbe finita. E magari sarebbe successo qualcosa, sperò, tipo un omicidio. Sarebbe stato necessario fosse almeno duplice per raddrizzare la serata.

 

Brunella dal canto suo non riusciva a capire se quella fosse normale routine -un commento gentile di cortesia- oppure un autentico complimento e se fosse mirato verso un qualche obiettivo o no. “Grazie” mormorò “Anche tu stai bene così” aveva un debole per quel maglione sabbia, lo stesso di mesi prima.

 

Matilde prese posto di fronte all'amica senza pensare che a quel punto il detective le sarebbe stato vicino. L'importante in quel momento era tener d'occhio John. Lo squadrò da capo a piedi.

 

Sherlock si trovò senza possibilità d'appello di fianco alla ragazza insopportabile e di fronte a Jawn-occhio-da-trota. Alla serata mancavano giusto Anderson e la Donovan e poi sarebbe stato un totale e completo disastro.

 

La editor guardò prima l'autore, poi il detective. “Siete mai stati qui?” in parte era per rompere il ghiaccio, in parte per avere consigli. La cucina inglese era una sconosciuta dalla pessima fama.

 

Il ragazzo annuì sorridendo “Si mangia bene. Soprattutto la pasta. Lo so che sembra strano ma è così.” si girò completamente verso la sua editor e abbassò la voce facendosi più intimo “ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiare qualcosa di casa…”

 

Matilde ruotò gli occhi al cielo. Ovvio. Come se la cucina londinese potesse essere anche solo mettere di fianco a quella italiana.

 

“La cucina inglese è buona” puntualizzò il detective all'indirizzo della dottoressa, avendo intuito la direzione dei suoi pensieri. Era irrilevante che non avesse mai mangiato n da un originale italiano, non addomesticato ai gusti inglesi, non contava assolutamente nulla, ecco!

 

Brunella non sapeva che aspettarsi. Cibo italiano a Londra. Di solito mangiare il cibo della propria terra natia era una pessima idea, a meno che il cuoco non fosse un conterraneo e sapesse di poter fare le cose come originali.  Decise che si sarebbe comunque fidata dell’autore. Suggeriva pasta? Pasta sarebbe stata.

 

John guardò perplesso l'amico, non aveva infatti capito i pensieri della studentessa, ma in fondo non gli sarebbero interessati minimamente. Prese un menù “Ti va se lo guardiamo insieme? Così ti do qualche consiglio”. Aveva occhi solo per la sua bella dai capelli corvini e gli occhi azzurri.

 

“la cucina londinese? Stai scherzando? Cosa avete voi? English breakfast, meat pie, pudding, porridge e poi… ah già, e poi basta. “ rispose acida al moro riservandogli un'occhiataccia da mille punti. Come si permetteva quell’arrogante spaventapasseri semovente di parlare male della cucina italiana paragonando a quella inglese? Come?!

 

“Abbiamo anche il pesce fritto, le colazioni internazionali, i muffin, gli ulster fly, la crema inglese, scones e sandwich” puntualizzò il riccio con freddezza. Non esisteva che la lasciasse vincere, non esisteva proprio. Era pronto ad inventarsi portate di sana pianta pur di vincere.

 

Cosa avesse da consigliare un inglese in fatto di cucina ad un’italiana lo sapeva solamente John -ed anche Sherlock, a quanto pareva-  ma aveva fatto la sua scelta “Ordina tu, vediamo quanto hai indovinato alla fine” si sbilanciò la giovane.

 

John sorrise, sperava di fare bella figura. Scorse rapidamente il menù alla ricerca del piatto perfetto e lo trovò poco più in sotto dei secondi. Se la conosceva un minimo sapeva che le sarebbe piaciuto.

 

“Ok, hai finito di dire cavolate? Bene, allora inizio a parlare io: punto primo, il fish and chips non è vostro, è stato inventato da un Veneto che era in Inghilterra. Punto secondo la colazione internazionale, la english breakfast e la ulster fry sono la stessa cosa. Terzo, la crema inglese è una variante della crema pasticcera trovata per la prima volta in un quaderno di uno chef francese. Quarto gli scones sono scozzesi. Quinto nemmeno la zuppa inglese è vostra, è una rivisitazione della famiglia Estense.” concluse trionfante guardando Sherlock con aria da ti ho battuto.

 

“La cucina è una conoscenza discutibile. Occupa spazio inutilmente” puntualizzò il detective con aria di superiorità. Non sapeva se quello che la studentessa stava dicendo fosse vero, ma sicuramente non era disposto ad ammetterlo, ammesso e non concesso che lo fosse davvero.

 

Brunella non sapeva che aspettarsi, ma il passo ormai era fatto, inutile rimangiarsi la parola, oltre che impossibile. Orazio aveva ragione in fondo: nescit vox missa revertit. Sperò di non avere fatto una stupidaggine ed aspettò.

 

John vide I piatti fumanti arrivare. Le aveva preso la pappa al pomodoro. Una zuppa di pomodoro in cui si puccia il pane. Ora non gli restava che incrociare le dita. Guardò l'amica mentre le arrivava il piatto.

 

Matilde decise di lasciar perdere con Sherlock e di lasciargli la sensazione di aver ottenuto un pareggio, a essere gentile. Dio quanto lo odiava. Per fortuna il cibo era arrivato: avrebbe potuto mangiare e non guardarlo nemmeno.

 

“Non osare crederti superiore lasciandomi vincere” sibilò indispettito Sherlock. Avrebbe mangiato solo banhoff pie quella sera, gli serviva per non crearsi da sé un caso.

 

Brunella guardò il proprio piatto arrivare con curiosità e quando le venne servito, lo aveva già finito con gli occhi. Con entusiasmo da bambina felice, cominciò a mangiare a piccoli morsi “Hai indovinato”

 

Erano le uniche due parole che avrebbe voluto sentirsi dire. Si sentiva come un leone nel petto che ruggiva ho indovinato. Ho fatto colpo.  Finalmente in pace si poté dedicare al proprio cibo con la sensazione di essere nel posto perfetto con la persona perfetta.

 

Lo ignorò. Non aveva voglia di litigare né di dargli ascolto. Cominciò a mangiare, in silenzio, non gli avrebbe dato la soddisfazione di avere una risposta. Il cibo non era male, ma a confronto di quello italiano era nulla.

 

Dire che Sherlock fosse infastidito, sarebbe stato un eufemismo. Avrebbe voluto scuoterla fino a farla parlare, poi ucciderla e farla tacere, poi riportarla in vita e dimostrarle che aveva vinto lui, con tanto di linguaccia a coronare la seconda uccisione. Si dedicò alla propria torta praticamente iroso e sicuro che non avrebbe fatto apprezzamenti sul cibo italiano in sua presenza, né in quel momento, nè in qualunque altro in presenza della ragazza.

 

Brunella, all’opposto del tavolo, mangiava contenta. Adorava la zuppa di pomodoro più di quanto amasse la pasta al sugo. Il sugo alla pasta in compenso andava meglio ed il fatto che J avesse memorizzato questa informazione -glielo aveva mai detto, fra l’altro? O lo era venuto a sapere in altro modo?- la riempiva di uno strano calore, o forse -lungi da lei ammetterlo- era vederlo così soddisfatto.

 

John stava per offrire alla sua bella un buonissimo dolce, quando gli suonò il telefono. Era Gregory e… aveva un caso. Se da un lato era felice per l'amico, dall'altro lato ciò voleva dire che il suo appuntamento era finito. “Sherlock abbiamo un caso.”

 

Matilde si illuminò. Caso. Ecco quello che ci voleva. Scatto in piedi e rapida prese il cappotto, la sciarpa e il braccio dell'amica. “Veloce!” voleva arrivare prima dello spilungone. Non gli avrebbe permesso di rubarle lo spazio. Anzi, gli avrebbe dimostrato quanto era più intelligente di lui.

 

Caso! E sarebbe stato suo, non della ragazzina. Solo suo. Si vestì rapido ed agguantò Jawn per un braccio, lo spinse a pagare mettendogli una fretta incredibile. Non appena, un minuto scarso dopo, ebbe finito quell’operazione, lo trascinò sul secondo taxi disponibile, irritato che la dottoressina lo avesse battuto sul tempo ed avesse preso il primo.

 

L’editor non capì nemmeno come, ma un momento prima stava mangiando di fianco al militare e l’attimo seguente era in un taxi di fianco all’amica che le stava chiudendo al collo la sciarpa che lei avrebbe dimenticato nel locale. Quando era successo? Come? Guardò Matilde con aria confusa, in cerca di spiegazioni.

 

John sbuffava. Era stato trascinato via dal suo appuntamento e decisamente non in modo carino. Lo odiava quando faceva così. Guardava fuori dal finestrino pensando a tutto il tempo che avrebbe potuto usare per stare con la editor piuttosto che passarlo a guardare un cadavere.

 

Matilde era super elettrizzata. La gamba sinistra si muoveva velocissima indice di una grande “emozione” qualsiasi essa fosse. Se fosse molto agitata, molto su di giri, molto felice, insomma, qualsiasi molto fosse la gamba le si muoveva. Voleva arrivare prima di Sherlock. Era il suo unico obiettivo.

 

Quando Sherlock arrivò sulla scena del crimine, vedere la ragazzina all’opera fu fonte di disappunto. Come poteva Lestrade avere permesso ad altri di guardare da vicino la scena del crimine? Come aveva potuto?! Avrebbe risolto il caso prima lui, era deciso.

 

Brunella, quando erano arrivate sulla scena aveva tirato fuori la tavoletta che invariabilmente aveva con sé proprio per situazioni del genere. Diligente e pratica, iniziò ad appuntarsi tutto ciò che l’amica diceva, registrando anche per sicurezza, tanto il rapporto toccava a lei, già lo sapeva. Le dispiaceva solo per la serata.

 

John continuava a seguire Sherlock, sembrava che Dio lo avesse creato solo a quello scopo. La vide. Bella sulla scena del crimine. Forse il suo appuntamento non era del tutto finito nel cesso. Se fosse stato in grado di allontanarsi da Sherlock quel tanto che gli bastava avrebbe potuto ricucire l'uscita con la editor.

 

Matilde era una bambina felice. Dettava dettagli, scrutava il corpo e lo analizzava a fondo, precisa. Non le sfuggiva nulla. Aveva già tre ipotesi su il chi, il come, il quando e il perché. A quel punto si trattava solo di scegliere l'ipotesi che più le aggradava.

 

Sherlock stava elaborando anche più in fretta del solito e stavolta non per stupire, ma per battere Matilde. Non avrebbe mai ammesso la possibilità che succedesse il contrario. Aveva quattro ipotesi diverse sulle variabili e ne aveva anche già una preponderante.

 

Brunella si distrasse e prese a scrivere unicamente in modo meccanico quando si accorse che il detective era arrivato sulla scena e con lui il militare.

 

John guardò prima Sherlock poi la editor. Lasciò lì l'amico, tanto se la sarebbe cavata anche da solo, e si diresse a passo fermo e solido verso la ragazza. La guardò dritta negli occhi e le sorrise caloroso. Forse quel caso era più una manna dal cielo che una disgrazia.

 

Oh no, era lì. E stava anche cercando di risolvere il caso?! Questo era un oltraggio bello e buono. Voleva la sfida? Voleva perdere anche sul campo? Gli avrebbe dato quello che voleva. Si sforzò all'inverosimile fino a che non le rimase un'unica brillante idea nella testa.

 

Sherlock si lanciò verso l'ispettore Lestrade, con la soluzione stretta fra le labbra. Avrebbe vinto, ne era certo.

 

La editor non sapeva che fare. Parlare all'amica a quello stadio di competitività sarebbe stato totalmente inutile. Non sarebbe nemmeno stata sentita, probabilmente. Quando John le si avvicinò, gli si appoggiò senza smettere di scrivere, segnando separatamente i punti salienti do entrambi. Era straordinario guardarli all'opera.

 

Il blogger la strinse in un dolce abbraccio. Affondò il viso fra i suoi capelli. Erano così morbidi… “Mi dispiace per la nostra cena… mi farò perdonare, promesso.” le sussurrò all'orecchio dopo averle scostato un riccio nero.

 

La ragazza si guardò intorno alla ricerca del moro. Quando lo vide che stava correndo da Lestrade scattò in piedi. Non gli avrebbe permesso di vincere. Batterlo nella corsa era fuori discussione,ma forse una maggiore attenzione ai dettagli l'avrebbe salvata… infatti appena sopra l'inguine c'era qualcosa di veramente interessante. “Bruni! Veloce! Scrivi che il morto ha un tatuaggio della mafia cinese sul fianco quasi sull'inguine.”. Era certa che quello fosse un posto dove Sherlock non aveva guardato.

 

Sherlock tratteggiò i punti salienti dell'assassino all'ispettore Lestrade ad una velocità tale per cui il pover'uomo, che già era allenato a raccoglierne i frutti, non capì, con somma irritazione del detective stesso, che aveva fretta.

 

Brunella eseguì precisa. Col tempo aveva imparato a scrivere direttamente in bella i verbali delle indagini dell'amica, in corso d’opera, senza necessità di ulteriori elaborazioni. Avendo seguito anche il riccio ed avendo integrato, era uscita una relazione lunga e straordinariamente puntuale. “Ispettore, ecco a voi” sorrise cordiale all'ufficiale, passando davanti a Sherlock con aria tranquilla e consegnandogli il foglio intestato.

 

John non poteva credere ai suoi occhi. Sul serio Sherlock non si era accorto del tatuaggio? Gli sembrava impossibile. Guardò l'amico con un grosso punto interrogativo in viso. E poi era lui quello che guardava e non osservava?

 

Matilde era certa dell'esattezza delle sue parole e delle sue deduzioni. Guardò con aria vittoriosa il rivale. Doveva cercare qualcosa da dirgli che fosse arrogante il giusto “Tu guardi ma non osservi. “ gli sorrise. Non era stato attento per la fretta e ora ne avrebbe pagato le conseguenze. Matilde gli prese il viso con una mano “Non fare quel musetto triste. Ti offro un buon tè.” gli lasciò il viso e rise.

 

Sherlock si sottrasse furibondo alla stretta ed alle sue parole. Non aveva mai sbagliato, mai! Arrivava una rivale -degna, doveva suo malgrado ammetterlo- e sbagliava su una cosa tanto semplice! Irritato, si allontanò nella nebbia londinese.

 

La editor si girò verso il militare -fu sufficiente girare il capo, siccome lo aveva attaccato alla schiena- “Sarà per la prossima volta, J” sorrise gentile.

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Capitolo 10
*** GRAB (capitolo 3, tornando nel presente) ***


20 febbraio 2028, Londra

 

Matilde chiuse la telefonata. Era un pezzo di ghiaccio. Aveva appena dovuto fare la chiamata più strana e spiacevole avesse mai fatto. Guardò John con gli occhi lucidi e spaventati.

 

“Cosa succede” domandò John. Non gli piaceva quello sguardo e nemmeno il mancato rientro di Sherlock e della sua editor. Aveva la persistente sensazione che le due cose fossero collegate. . Perché non poteva andare tutto bene, ogni tanto?

 

“Moriarty” avrebbe recuperato il suo Sherlock a ogni costo. Si mise veloce cappotto e sciarpa cercando di non pensare cosa potesse star succedendo ai due.

 

Il militare strinse la pistola nella giacca ed uscì, chiamando il taxi per entrambi. Moriarty non gli avrebbe portato via in un colpo solo il migliore amico e la ragazza. Non lo avrebbe permesso o sarebbe morto nel tentativo, era poco, ma sicuro.

 

La ragazza si fiondò nel taxi. La gamba le tremava ed era distante con la mente. Pensava a Brunella, pensava a Sherlock e pensava a Jim. Pensava e non riusciva a rimanere calma.

 

“Avremo bisogno di sangue freddo entrambi, Mati. Se vuoi sfogati ora, ma dopo lucida come un proiettile intonso” mormorò il militare alla giovane che gli stava accanto. In quel momento stava ringraziando l'addestramento. Avrebbero tirato i due amici e fidanzati.

 

Scesa dal taxi e corse veloce al parcheggio. Per fortuna Jim le aveva dato le indicazioni giuste. Si assicurò che il militare le stesse dietro,ci mancava solo perdere anche lui. “Quando saremo con lui, tu lascia parlare me, intesi?”

 

“Si Mati, farò il bravo soldato"nonostante le parole dette in tono leggero, lo pensava davvero. Se lei diceva di lasciarla parlare, avrebbe eseguito. Si fidava di quella giovane abbastanza da averle affidato il migliore amico.

 

Matilde scese giù nel parcheggio. Il cuore le batteva a mille e non sapeva cosa aspettarsi, ma doveva rimanere calma, solida. Lo vide. Era lì davanti a lei.

 

“Matitina ♡” esclamò Jim Moriarty. Era felice di vederla, era innegabile. Non sembrava nemmeno uno spietato ed annoiato consulente criminale, solo un giovane uomo felice di vedere qualcuno, nulla di più. “John Watson, un piacere rivederti” sorrise divertito. Nessuno dei loro incontri era stato pacifico, però si poteva dire senza timore di smentita che erano sempre stati intensi.

 

John era perplesso. Non pensava che qualcuno sarebbe sopravvissuto dopo aver chiamato l’amica in quel modo, ma, come da ordini, tacque.

 

“Jim, dove sono?” tagliò corto la ragazza. Non aveva tempo da perdere in inutili chiacchiere con l'ex, aveva un'amica e un fidanzato da trovare e da porta fuori da quel posto. Si avvicinò al consulente criminale con la voglia di giocare pari a quella di un ippopotamo incazzato.

 

“Ma matitina, dopo più di un anno che ci siamo lasciati, ancora ce l'hai con me?” si imbronciò infantile Moriarty “Nemmeno un sorrisino piccino? Non pensavo che tenessi così tanto alla tua amica… sono contento che tu le abbia parlato di me” quasi cinguettò conducendo la ex fra i corridoi.

 

Quei due erano stati insieme? Era lui il Jim che aveva lasciato più di un anno prima? John non poteva e non voleva crederci.

 

“Ti farei un sorriso piccino se avessi davvero mantenuto la tua promessa. Non sei cambiato per niente. Continui a rapire le persone. Ora portami da loro.” le faceva male vederlo così. C'era stato qualcosa di davvero importante tra di loro, ma i crimini da lui commessi non erano trascurabili.

 

“Ma non ho più rapito bambini… okay solo una volta, ma non rischiavano la vita. Non li ho rimpinzati di cioccolata avvelenata, erano solo in una stanza chiusa a giocare, non se ne sono neanche accorti” sorrise genuino, anche se innocente non era. “sono qui dietro, va bene va bene” disse fermandosi davanti ad una porta ed alzando le mani in segno di resa, consegnandole una chiave con un bigliettino che recitava sa tutto ma non parla, ha le orecchie ma nulla sente “Prima la domanda, altrimenti dove sta il divertimento, matitina?”

 

John si sforzò di non prendere a testate il consulente criminale. Come poteva scherzare su una cosa del genere? Come poteva? E porre un indovinello da bambini, peraltro.

 

“Sul serio? Un indovinello?” gli era sempre piaciuta quella parte di lui, un po’ infantile. In effetti anche Sherlock era un bambino alcune volte. Voleva riabbracciare il suo Sherlock. Solo questo. Guardò Jim “Il dizionario. ”

 

“Uffa, di già, si, prego” si trattenne a stento dal battere un piede per terra. Era l’indovinello con cui si erano conosciuti, non poteva non saperlo.

 

John non riusciva a perdere d'occhio Moriarty, non si fidava, per nulla, ma aveva ceduto il potere di parola all'amica.

 

Matilde entrò nella stanza rapidissima. Quando li vide le si riempì il cuore di gioia. Gli era mancato così tanto… era vero che lei è il fidanzato non si erano visti solo per un po’ di ore, ma il saperlo in pericolo gliele aveva fatte pesare come secoli. Si avvicinò ai due con passo spedito.

 

Sherlock al vedere la ragazza si illuminò e scattò verso di lei. Ci provò, insomma, era legato alla sedia ed alla editor, non poteva permettersi certi movimenti.

 

Brunella dal canto suo aveva solo sorriso sollevata. Erano venuti a prenderli, erano sopravvissuti fino a quel punto. Quando fossero stati tranquilli si sarebbe potuta rilassare completamente, ma iniziava a vedere la fine di quell'avventura.

 

John le corse incontro. Al diavolo il contegno. La strinse a sé e le prese il viso fra le mani. “stai bene, piccola?” le sussurrò cercando di scrutare gli occhi alla ricerca di qualsiasi sfumatura delle sue emozioni.

 

Matilde era arrivata dal fidanzato. Si erano guardati, era bastato quello per fargli sapere che lo avrebbe tirato fuori. Fece per liberarlo quando vide che serviva un'altra chiave. “Jim, la chiave.”.

 

“Se è fresco è caldo” sorrise il consulente criminale divertito. Non aveva resistito alla doppia chiave, non ci era riuscito.

 

“Sul serio? Mi credi così tanto stupida? È il pane. Ora la chiave.” Matilde porse la mano all'ex. Voleva che tutto quello finisse al più presto, così che Sherlock e Bruni fossero liberi e potessero tornare con lei e John a casa per festeggiare.

 

Quando John ebbe verificato che stavano entrambi bene, tornò a respirare. Annuì brevemente verso Matilde per comunicarle l'informazione. Non aveva ancora aperto bocca da quando erano  scesi nel parcheggio.

 

Sherlock sentiva imperioso il desiderio di stringere a sé la fidanzata e sbattere in faccia alla propria nemesi di avere vinto, che era lui e non l'altro a stare con Matilde -la sua Matilde. Il tumulto interiore era visibile solo dalle dita, che si muovevano nervosamente dietro la schiena.

 

“Un'ultima domanda per uscire” canticchiò Moriarty “passa i vetri ma non li rompe” sorrise obliquo, dondolando una chiave dall'aspetto solido.

 

“Ora mi sento insultata. La luce. Mi dai la chiave?” aveva poca voglia di giocare. Guardò Sherlock alla ricerca di una rassicurazione, una che solo lui le sapeva dare. Matilde si voltò nuovamente verso Jim in attesa della sua chiave. Non poteva essere normale? Non poteva essere un normalissimo ex che normalmente cercava di riavvicinarsi? Non poteva essere tutto normale? Sospirò.

 

John le prese il viso fra le mani “Bruni, ora ti portiamo via, ok? Ti ha fatto del male?” era veramente preoccupato. Nessuno le poteva anche solo torcere un capello. Aveva ancora nella tasca della giacca la pistola. Per sicurezza. Non avrebbe esitato ad usarla in caso di necessità.

 

La editor annuì solo, piano. La voce non sarebbe stata ferma, ma tranne lo spavento ed i segni delle manette, probabilmente di quella serata non sarebbe rimasto nulla. Le erano mancate quelle mani, Buona Elizar se le erano mancate. Vi si appoggiò piano.

 

Sherlock ricambiò lo sguardo di Matilde. Sarebbero usciti da lì, anche se dove quel si trovasse, rimaneva un mistero.

 

Jim avrebbe voluto davvero poterla stuzzicare ancora un pochino, abbracciarla, giocare con lei, ma aveva imparato col tempo che era meglio non farlo quando era arrabbiata ed in quel momento gli pareva che fosse un drago inferocito. Con lui.

 

“La chiave. Jim, non sto scherzando.” era furiosa. Non c'erano altre parole per descriverla. Si alzò in piedi e in pochi passi era a un millimetro dal volto di Jim. “Jim, la chiave.”.

 

Gli era mancata quella pelle, il suo profumo. Se fosse stato per il soldato una pallottola a Moriarty non l’avrebbe evitata nessuno.

 

“Portami a casa” sillabò la editor. L'adrenalina la stava abbandonando e la stanchezza, lo stress, lo spavento iniziavano a farsi sentire. Di quel gruppo era sempre stata lei l'anello debole con cui ricattare gli altri, realizzò abbattuta.

 

Sherlock si incantò un momento. Quanto era bella la sua ragazza inferocita? Stupefacentemente tanto, specialmente se non ce l'aveva con lui. Specialmente se stava mettendo alle strette niente poco di meno che Jim Moriarty.

 

Il consulente criminale, al vedere la propria ex ad un soffio dal proprio naso, si trattenne a stento dal baciarla, ma era certo che gli avrebbe staccato la lingua a morsi e ci teneva ad essere integro. Sfiorandole le dita -almeno quello gli era concesso, giusto?- le consegnò le chiavi “Lasciamele all'uscita o rivediamoci per un the, matitina ♡”

 

Matilde prese le chiavi senza dargli una risposta e liberò veloce i due prigionieri. “Devi sempre rendere tutto difficile, Jim.” constatò amara mentre controllava che i polsi del fidanzato non fossero segnati.

 

Non appena Brunella si tolse le manette John la strinse saldo a sé e le accarezzò la testa. “Va tutto bene, amore mio. Andiamo a casa”. Averla fra le braccia era la sensazione più bella che avesse mai provato.

 

La giovane, dal canto suo, si impose di non piangere e di non crollare in alcun modo. Appena malferma, si mise in piedi, sostenuta fortunatamente dal medico.

 

La prima reazione di Sherlock -che venne soppressa- fu di ridergli in faccia. Incontrollatamente. Molto più pacificamente, optò per abbracciare la detective e mormorarle all'orecchio un ringraziamento e lasciarle un bacetto proprio dove sapeva di farle salire un brividino.

 

Al consulente criminale non rimase che indicare loro la strada per uscire. Peccato, gli sarebbe piaciuto passare ancora un po’ di tempo con la ex, col suo miglior nemico e coi loro amichetti…

 

A Matilde salì un brivido. Era il suo punto debole e Sherlock lo sapeva bene. Si ridiede un contegno e lasciò le chiavi in mano al fidanzato. “Uscite fuori. Vi raggiungo dopo” sussurrò al moro prima di girarsi verso Moriarty.

 

Il medico teneva la fidanzata stretta a sé. Non appena gli fu dato il via libera da Matilde sempre tenendo Brunella a sé si incamminò verso l'uscita. Non perdeva d'occhio le guardie né le loro pistole. Era pronto a qualsiasi evenienza, ma avrebbe preferito non dover sparare.

 

Non che non si fidasse dell'amica, ma dell’uomo che li aveva rapiti. Lo aveva visto cambiare di espressione da un secondo all'altro e non era tranquilla a lasciare uno di loro indietro. Anche se era il punto debole del rapitore.

 

Sherlock sapeva di doversi fidare della fidanzata, ma non riusciva a lasciarla e meno che mai a lasciarla sola col suo ex, nonché il proprio rivale. Era al di sopra delle sue capacità.

 

Jim si aprì in un sorrisone, facendo un cenno ai suoi minion che accompagnassero fuori gli ospiti. E che lo lasciassero solo, soprattutto.

 

Matilde aspettò che tutto fosse fatto. Che i suoi amici fossero fuori pericolo. Non guardò Sherlock nemmeno di striscio : sapeva cosa avrebbe trovato dentro il suo sguardo. Sapeva che stava correndo un rischio e anche grosso, ma era necessario. Maledetta sindrome da crocerossina.

 

John dovette portare via Brunella quasi di forza. Non voleva lasciare sola l'amica, il che era comprensibile,ma il medico non l'avrebbe lasciata indietro a costo della vita. Cercò di rassicurarla con parole dolci e carezze, ma sapeva che si sarebbe tranquillizzata solo quando sarebbero stati tutti e quattro fuori pericolo a casa.

 

Alla maggiore delle due dispiaceva essere così tanto un peso. Le dispiaceva davvero. Si impose di riprendere il controllo di se stessa e di camminare dritta. Non ci riuscì perfettamente, dato che una vecchia cicatrice mal cicatrizzata sul ginocchio aveva ripreso a farle male, come sempre in situazioni di stress emotivo eccessivo.

 

Sherlock fu portato via di peso dai minion del rivale. Non avrebbe lasciato sola Matilde. Non volontariamente. Mai.

 

Quando il consulente criminale e la detective furono soli, l'uomo si sedette comodo “Un the, matitina?” domandò insospettabilmente dolce. Lei era stata il suo unico punto debole ed, a quanto pareva, lo era ancora.

 

“Un the e una sedia, grazie.” Matilde si preparò psicologicamente alla discussione che la stava aspettando. Moriarty, per quanti difetti potesse avere, aveva una certa armonia. Eleganza.

 

Il medico tornò a respirare solo quando furono fuori. Strinse in un abbraccio protettivo Brunella. “Sei salva, amore, va tutto bene” le sussurrò dolce all'orecchio.

 

“Non ancora.” puntualizzò stanca la editor “Non è ancora finita” si strinse contro il fidanzato e tacque.

 

Sherlock rimase a fissare la porta da cui erano usciti in ostinato silenzio. Un silenzio denso, stanco ed iroso.

 

Jim si premurò di soddisfare personalmente entrambe le richieste, sorridendo vivace e canticchiando “Lo so, la stanza non è un gran che, ma non credo tu voglia spostarti nel mio salottino privato, giusto?”

 

“Se stiamo più comodi e parli più volentieri ci spostiamo.” tutto pur di mettere un punto alla faccenda. Voleva sapere perché li avesse rapiti, perché si fosse di nuovo fatto vivo e perché non aveva rispettato la sua parola in merito allo smettere coi crimini.

 

“È ancora arredato come lo avevamo deciso insieme” sorrise Moriarty alzandosi e porgendole il braccio, galante. Non lo avrebbe mai fatto per nessuno, ma lei era diversa, lo era sempre stata.

 

“Sono molto arrabbiata con te” non accettò il braccio, ma lo seguì fino al salottino. Si ricordava ancora quanto avevano discusso per scegliere le poltrone. Sfiorò con la punta delle dita la pelle dello schienale. Prese posto e accavallò le gambe, elegante.

 

“Mi annoio terribilmente e Sherlock rimane un fantastico passatempo. È interessante, ammetterai” sorrise il consulente criminale, ignaro del legame sentimentale fra i due “e la tua coinquilina è stata una combinazione… mi ha riconosciuto lei”

 

“Dov'è il mio the?” chiese la giovane, stanca. Era stufa dei suoi cambiamenti di discorso. “Hai molti perché da spiegarmi.”. Giocava con l'anello fine in argento che aveva comprato con Jim tempo fa.

 

John si sedette sulla panchina appena fuori il parcheggio e si tirò la fidanzata in braccio. “Riposati. Non ha senso che rimani sull'attenti. Ti sveglio quando esce.” coccolandole il viso e i capelli.

 

La giovane cercò disperatamente di rilassarsi fra le braccia del fidanzato partendo dalle punte dei piedi a risalire. Provò a chiudere gli occhi, ma, a quanto pareva, era una pessima idea e li riaprì di scatto, con ancora la sensazione della canna gelida sulla pelle. A sproposito: dove era finito il suo manuale?

 

Sherlock stava giocando nervosamente con una pistola. Carica. Da dove l'avesse presa rimaneva un mistero. Pericoloso.

 

Moriarty suonò una campanellina ed estrasse una scatola a comparti in ebano “the nero, come sempre” ipotizzò mettendole davanti un piccolo contenitore metallico per le foglie.

 

“Te lo ricordi ancora…” era incredula… Non si aspettava se lo ricordasse. Era stupita, ecco. Abbassò gli occhi per non far vedere all'ex la sua espressione. Già la sapeva leggere normalmente con abbastanza facilità, servirgliela su un piatto d'argento non le sembrava l'idea del secolo.

 

“Come tutto, Matitina” sorrise mesto l'uomo. Non aveva perso nemmeno un dettaglio. Nemmeno il più misero “Dimmi” la esortò ancora nostalgico.

 

“Sai perfettamente i perché a cui mi devi delle risposte. Non me ne andrò via fino a quando non mi avrai risposto.” prese il proprio the e nascose gli occhi nostalgici dietro alla tazza. La storia finita da poco ancora bruciava come fuoco vivo. Tanto era stato acceso il loro rapporto, tanto continuava a far male.

 

Jim guardò la ex sincero come raramente. “Sto passando il mio tempo a scrivere un trattato sulla criminologia, per fare qualcosa, ma mi manca l'azione ed ogni tanto mi concedo, anche se lo so che non approvi, di giocare con qualcuno. Ma non ho ucciso nessuno, davvero!” Sherlock rimaneva la sua preda preferita. Era interessante parlare con qualcuno che fosse alla sua altezza ed era irritantemente raro.

 

Matilde posò la tazza prima di lanciargliela addosso. “Ci mancherebbe altro, Jim Moriarty!” il nome completo non era mai un buon segno. Preannunciava guai. “Ne avevamo già parlato. E poi non devi toccare Sherlock. Chiaro?! Va bene un the con lui, ma se ci tieni davvero a me, non lo toccare.” disse tutto d'un fiato.

 

John le diede un libro “Scusa, lo so che non vuoi che nessuno tocchi il tuo manuale, ma lo stavi dimenticando lì sotto… Tieni”. Già si aspettava una bella tirata di orecchie. Si appoggiò col viso alla spalla della ragazza nella speranza che un po’ di coccole gli avrebbero evitato la sgridata e l'avrebbero calmata in generale.

 

La giovane si strinse al petto il volume. Girò il viso verso il fidanzato, quasi con le lacrime agli occhi “Grazie” sussurrò infine. Le aveva ritrovato tre anni di appunti, rimeditazioni, considerazioni, citazioni ed un compagno di avventure, tutto in un solo manuale. Non poteva anche avercela con lui.

 

Sherlock aveva iniziato a caricare l’arma che aveva in mano e riaprirla per togliere i proiettili a velocità crescente. Decisamente la pazienza non era il suo forte, no.

 

Per quanto fosse non-da-Jim-Moriarty, l'uomo prese fiato e si decise a chiedere uno “le sto provando tutte, idee?” due “qualcuno che mi guardi il libro senza minacce di morte?” tre “state insieme, vero?”

 

Uno “c'è sempre un altro modo. Potevamo trovarlo insieme, ma hai preferito mentirmi e continuare per la tua strada.” due ”non conosco il libro. Non so risponderti.” tre ”Sì, stiamo insieme.” rispose senza interruzioni, con gli occhi appena lucidi e la voce non ferma come suo solito. Si stava impegnando a non lasciarsi andare alle emozioni contrastanti che provava in quel momento.

 

Uno “La semplice astinenza mi fa impazzire” due “Trattato sul delitto perfetto, il criminale funzionale” in pratica si trattava del piccolo chimico edizione criminale per adulti. Tre “Mi hai lasciato per lui?” dovendo scegliere un rivale, Sherlock era quello che gli andava meglio. Il valore del tuo nemico ti onora.

 

Gli occhi ormai erano più che lucidi. Cercava disperatamente di mantenere la voce ferma. Non avrebbe pianto. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Uno “Non puoi uccidere le persone, Jim. Pensa se qualcuno, che la pensa esattamente come te, mi rapisse. O peggio, mi uccidesse. Cosa faresti? Lo elogeresti? Ti farebbe piacere?”. Due “Se lo spacciassi per un giallo? Un qualcosa di fantasia?”. Tre “No. Non ti avrei lasciato per nessuno. Ti ho lasciato per i tuoi comportamenti. Ti ho lasciato per te.”. Prese un'altro sorso di the e ancora una volta nascose gli occhi all'ex.

 

Uno “Ci sto provando. Uno all’anno non mi pare un brutto risultato” due “Mh, va bene, ma poi mi trovi qualcuno?” tre “...” abbassò lo sguardo sulle mani di lei, strette intorno alla tazza “va bene” accettò mestamente “Ma prima di andartene guardami ancora una volta” gli sfuggì, infantile.

 

“Perché non mi rispondi? Perché? Dimmi, avanti, se venissi rapita o uccisa da uno come te, ti farebbe piacere?” due “se fossi stato sincero con me da subito e se non mi avessi mentito ti avrei aiutato.” tre “stavamo bene insieme. Ma non riesco a guardarti in faccia dopo i bambini. Sai perfettamente a cosa mi riferisco. Erano bambini, Jim. Bambini.”

 

John era a dir poco stupito, positivamente. “Non piangere bimba, ok? Ora torna Matilde e ti prometto che andiamo via. Te lo giuro.” le sorrise e le asciugò dolcemente le lacrime con i pollici. Gli faceva male vederla così.

 

“Vorrei poterlo già fare, ma non mi perdonerei mai di lasciarne uno indietro. Non ce la farei.” tacque prima di crollare definitivamente. Non era il caso, né il momento adatto “Dove era il mio piccolo tesoro, J?” domandò riferendosi al volume. Doveva distrarsi. Necessariamente.

 

Sherlock che caricava ed apriva la pistola era oramai diventato rumore bianco nella stanza. Dapprima le guardie lo avevano guardato in allarme, poi, quando avevano capito -sperato, dato lo sguardo del detective- che non sarebbero stati uccisi a pallottole, si erano rilassati appena e lo avevano lasciato fare.

 

“Sarebbe un uomo morto prima di poterlo fare” sibilò feroce il consulente criminale. Nonostante la curiosità, l'unica cosa che si era concesso era una spia di pericolo: se la ragazza fosse stata davvero in pericolo, lui l'avrebbe saputo, ma niente altro. “Non lo troveresti per me nemmeno se mi aiutasse a non uccidere?”domandò cucciolo. Era il suo grande tentativo: organizzare omicidi virtuali. Il personaggio rimaneva morto, ma almeno la persona era viva.

 

“Lo farei per te. Ti aiuterei. Ma non posso pensarti che uccidi. Ogni giorno mi sveglio e penso: se mai gli passasse per la testa che non gli sto più simpatica, mi ucciderebbe?”. Concluse. Una sola lacrima abilmente nascosta dietro la tazza le scivolò lungo il viso. Silenziosa. Inarrestabile. Se la asciugò rapida.

 

“Non sarei in grado. Sei una persona interessante. Senza il mondo è più noioso” sorrise timido offrendole un fazzoletto in stoffa pregiata ripiegato per asciugarsi le lacrime. La lacrima, a dire il vero.

 

La ragazza prese il fazzoletto e si asciugò la lacrima. “Perché mi cerchi ancora?”. Glielo doveva. Doveva dirle perché gli importava ancora di lei dopo la loro separazione. In più voleva anche sapere come si sarebbe comportato con Sherlock dal momento che sapeva di loro.

 

“Non lo toccherò, se ci tieni tanto” cominciò l'uomo dalla domanda inespressa. Non gli faceva particolarmente piacere dover lasciare la sua preda preferita, ma se poteva servire per riappianare i rapporti, lo avrebbe fatto. “Ci tengo a te e non ho invaso il tuo spazio volontariamente. Non sapevo che tu e Sherlock steste insieme e nemmeno che fosse quella la tua coinquilina. Era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato”

 

“Ora rispondi alla mia domanda.” disse questa volta guardandolo dritto negli occhi alla ricerca di un barlume positivo a cui aggrapparsi. Doveva darle qualcosa in cui sperare. Doveva riuscire a farle continuare a credere che c'era del buono in lui, che non era tutto da buttare.

 

“l'ho trovato per terra nel parcheggio. Credo sia caduto quando siete stati portati fuori dalla macchina.” si zittì. Tornò a guardare il cielo di Londra e ad ascoltare il rumore delle macchine che passavano in lontananza. Un piccolo sorriso gli si formò in viso. “L'ho riconosciuto subito. Sapeva di te.”.

 

“Grazie J” sorrise a sua volta la editor stringendoglisi contro ed abbracciandosi con le braccia di lui. In quel momento aveva bisogno di sentirsi protetta. Ne sentiva il bisogno fisico.

 

Sherlock stava seriamente perdendo ogni forma di pazienza. Se non fosse successo qualcosa in fretta, sarebbe impazzito. E non in senso positivo, nemmeno lontanamente. Sarebbe salito ed avrebbe cercato la fidanzata ed anche, per lo spavento ed il rapimento, smontato e consegnato a suo fratello il rivale. Con somma gioia.

 

Moriarty piantó lo sguardo in quello della ex “Ho fondato una scuola di criminologia” ammise. Se chiunque altro avesse osato anche solo insinuare una cosa del genere, probabilmente non avrebbe avuto una risposta piacevole, per nulla, ma siccome era lei, poteva anche ammettere di aver compiuto un'opera buona deliberatamente.

 

Matilde lo abbracciò. Allora non aveva completamente sbagliato con lui. Non era un angelo, questo era ovvio, ma non era nemmeno un mostro. Questo non avrebbe cambiato nulla fra di loro. Non sarebbero tornati insieme. Però era un ottimo punto di partenza per far ripartire la loro amicizia.

 

Come due anni prima, Jim si perse fra quelle braccia. Sapeva che non sarebbe cambiato nulla di sentimentale, ma andava bene anche così. “Vai prima che qualcuno faccia irruzione. Prenderemo un the più piacevole un’altra volta, tanto non hai cambiato cellulare o segretaria, no?”  sorrise liberandola. Avrebbe passato ancora delle ore a parlare con lei, ma conosceva la propria nemesi come, beh, come se stesso.

 

La ragazza gli concesse un ultimo sorriso “Al prossimo the, Jim.”. Detto questo prese le proprie cose e si avviò per uscire dal parcheggio. Voleva rivedere i suoi amici. Sapeva anche che avrebbe dovuto placare Sherlock, ma si sarebbe inventata qualcosa.

 

Jim la guardò allontanarsi. Avrebbe preparato con cura il the successivo. Prima che scomparisse dalla vista, la chiamò e le lanciò una scatolina col suo biglietto da visita ed un orecchino con una piccola matita d'oro bianco. Un pensiero innocente che aveva dall'anno prima e che non aveva mai avuto l’occasione di darle.

 

Matilde prese al volo la scatolina e l'aprì. Era quasi commossa. Anzi, era commossa. Richiuse con cura la scatolina e se la mise in tasca. “ti chiamo” disse al consulente criminale prima di andarsene definitivamente.

 

Quando vide arrivare l'amica, il soldato richiamò l'attenzione della fidanzata. “Bru, è fuori.”. Era contento di constatare che era tutta intera e non era nemmeno troppo scossa emotivamente compatibilmente con la situazione.

 

La giovane balzò in piedi e corse ad abbracciarla, stavolta attenta a non lasciare in giro il libro, sollevata “Stai bene? sei tutta intera? Come è andata? Non ha fatto niente di male, vero? Andiamo a casa?” forse aveva esagerato con le domande, ma era preoccupata per l'amica. Tanto.

 

Per Sherlock vedere ricomparire la fidanzata equivalse a tornare a respirare. La strinse a sé “Come stai?” domandò solamente, sottovoce, al suo orecchio.

 

“Sto bene, è andata bene, sono intera, andiamo a casa e sherlock dammi immediatamente quella pistola.” disse con un sorriso porgendo la mano al fidanzato. Era potenzialmente pericoloso con l'arma in mano e Moriarty nei paraggi. Non una bella accoppiata.

 

“Avanti, lasciatela respirare.” il suo soldato interiore spingeva per l'ordine.  “l'avete sentita, si torna a casa.” sorrise trionfante prima di chiamare un taxi per tutti.

 

Brunella liberò l'amica dalla stretta e si appoggiò al suo J. Tornare a casa iniziava a diventare urgente: senza adrenalina in corpo, stava crollando sempre più in fretta.

 

Al posto di consegnare l'arma a Matilde, Sherlock la consegnò a Jawn e tenne per sé la mano della fidanzata. Non era passato molto tempo, era vero , ma era stato lunghissimo. Praticamente eterno.

 

Matilde gliela strinse e lo guardò negli occhi. Non erano quel genere di coppie da coccole in pubblico, tutte dolciose e zuccherine. Erano più da carezze leggere e furtive, apparentemente insignificanti date per casa mentre si lavorava, da grandi sguardi, chiacchieravano molto con gli occhi, oppure da grandi passioni, quei momenti in cui ci si dimenticava del mondo e i vestiti venivano addirittura strappati dalla foga.

 

Quando arrivò il taxi John aprì la portiera alla fidanzata. “Prego, amore” le disse sorridendo. Entrato dopo di lei se la accoccolò al petto e le cosparse il viso di baci piccoli e dolci. Adorava coccolare la sua bimba, in ogni modo possibile.

 

Brunella, dal canto suo, adorava farsi coccolare, soprattutto dal militare. Soprattutto se era sconvolta e stanca ed in quel momento tutte e tre le condizioni erano verificate. C’era da ammettere che adorava a prescindere le coccole, ma in quei momenti le erano essenziali. Si addormentò  letteralmente di schianto sulla spalla del fidanzato.

 

Sherlock non riusciva a smettere di guardare Matilde. Lei era viva, lui era vivo. Non poteva chiedere altro. Sapeva di avere spezzato il loro abituale modus operandi, ma aveva bisogno di sentirla. Piano, molto più dell’altra rapita, si rilassò.

 

Matilde gli accarezzò col pollice il dorso della mano.  Questa sera dopo la festa seratina solo noi? Ne ho bisogno. chiese al fidanzato con un sguardo limpido prima di perdersi in quelle sue maledette iridi color ghiaccio. Si strinse a lui nella speranza di non risultargli invadente, ma solo qualcuno che aveva bisogno di lui in quel momento.

 

Passarono una decina di minuti abbondanti prima che il taxi si fermasse davanti al 221b di Baker Street. John prese in braccio Brunella, pagò il tassista e uscì. Non vedeva l’ora di sedersi in poltrona con un buon libro e una tazza di the. Magari anche la fidanzata con qualche voglia piccantina nel pieno delle forze. Quello sarebbe stato decisamente perfetto.

 

La editor non si svegliò affatto per lo spostamento, meno che mai per il cambio di ambiente. Stava così bene fra le braccia di john, protetta, al sicuro, al caldo. Non aveva un motivo al mondo per svegliarsi, quantomeno a quanto ne sapeva.

 

Quando Sherlock percepì la fidanzata stringerglisi al fianco, la prese di peso e la spostò sulle proprie gambe. Anche lui aveva bisogno di sentirla vicina e di passare del tempo con lei, decisamente. “Svegliamo la festeggiata, festeggiamo e ci dileguiamo?” era evidente che avrebbe fatto volentieri a meno di tutte le fasi prima di dileguarsi, ma dopo essere stato rapito per fare da diversivo all’organizzazione di una festa a sorpresa, esigeva che quella festa ci fosse. Non aveva nessuna intenzione di essere rapito di nuovo e nemmeno di fare da diversivo. Quando il taxi -finalmente!- si fermò, il detective tenne aperta la porta a Matilde.

 

“La svegliamo, festeggiamo un paio di ore e poi seratina noi. Dobbiamo solo scegliere se io e te rimaniamo da te o da me. Però solo noi. Niente casi tu e niente libri io, intesi?” chiese entrando nell’appartamento. Aveva decisamente bisogno di contatto intimo, psichico e fisico col fidanzato.

 

Una volta in casa John adagiò delicatamente la fidanzata sulla poltrona. “Bruni...ehi piccola…” le accarezzò il viso per svegliarla. Avevano comunque una festa da festeggiare. La torta c’era, i palloncini anche, i festoni pure, c’era davvero tutto il necessario. Inoltre non vedeva l’ora di darle il suo regalo. Si era dannato per trovarlo, voleva vedere la sua espressione quando l’avrebbe aperto.

 

Brunella aveva il sonno piuttosto pesante ed a stento aprì un occhio quando venne chiamata, anzi si appropriò della mano che le stava accarezzando il viso, se la strinse al petto come un peluche e si girò dall’altra parte, continuando placida a dormire.

 

“Rimaniamo dove non sono loro, semplice” sorrise il detective, che condivideva lo stesso desiderio della fidanzata. “Prima comincia, prima finisce e prima solo noi” ultimò con l’oramai celebre occhiolino ed una carezza leggera lungo il dorso della mano.

 

Sussurrò al suo orecchio “Maledetto il tuo dannato occhiolino, Sher.”. Andò a preparare la sala e a tirar fuori le pietanze dal frigo. Non vedeva l’ora di essere sola col suo micio.

 

John imperterrito continuò ad accarezzarla piano, ma alzò il tono di voce. “Bruni, svegliati. C'è una festa che ti sta aspettando”. Doveva svegliarsi. Non poteva costringere i due amici a ritardare il loro riavvicinamento amoroso.

 

Dopo alcuni -svariati- tentativi, la giovane aprì gli occhi chiari “Buo…”sbadigliò stiracchiandosi sulla poltrona come un gatto “...ngiorno” tornò ad accoccolarsi, finalmente sveglia, allo schienale. Dopo un paio di istanti ancora era totalmente sveglia, o almeno abbastanza per rendersi conto dei festoni che coloravano la stanza. Sgranò gli occhi, sorpresa e contenta come una bambina “ma quando….” balbettò appena, poi saltò al collo di tutti e tre, entusiasta.

 

Quando Sherlock si vide abbracciato, pensò che uno dei due sarebbe morto. Era allergico a tutti i tipi di abbracci, tranne quelli della fidanzata. Okay, a quelli della editor era solo intollerante, ma erano praticamente impossibili da evitare completamente.

 

Matilde sorrise e accarezzò leggera il braccio del detective in una sorta di gesto tranquillizzante. Strinse la sua amica “Buon compleanno Bru”. Lei non amava gli abbracci, anzi, li odiava proprio. Non le piacevano baci, carezze, insomma, tutto ciò che era fisico, a meno che non fosse del suo fidanzato. Diciamo che per la sua amica aveva fatto un'eccezione,un'eccezione che ormai andava avanti da anni.

 

John le bacio tutta la guancia, entusiasta “Buon compleanno amore mio!”. Era un soldato felice e soddisfatto. La sottrasse ai due amici e la fece girare tenendola stretta a sé.

 

Quando le si staccarono i piedi da terra, la editor trillò felice. Adorava volare e non ne faceva particolare mistero. Scopertasi affamata, si lanciò sui biscotti.  Non poteva crederci, le avevano fatto delle pagine di biscotto, con tanto di scritte, dovevano -Matilde doveva, a ben pensarci-averci lavorato tantissimo.

 

Sherlock lanciò un'occhiata di ringraziamento al coinquilino, anche se era certo che non lo avesse fatto per lui. Prese un momento per guardare il lavoro della fidanzata. Era considerevole e lo era anche che lui lo considerasse tale, data la base di partenza molto elevata data dai dolci del fratello.

 

Matilde guardò la coinquilina e poi le mise davanti la torta decorata “Tanti auguri a te… “. La ragazza intonò la tipica canzone e guardò gli altri due in un chiaro invito a seguirla.

 

John la seguì a ruota e strinse da dietro la sua fidanzata accarezzandole il collo col naso. Gli piaceva parlarle sul collo, era intimo e la sua pelle era morbida e profumata. Deliziosa.

 

Brunella si coprì di brividi quando il militare si unì al canto. Forse per la prima volta in svariati anni stava apprezzando quella canzoncina. J aveva un accento terribile, quasi conico, ma apprezzò che l'amica avesse iniziato in italiano.

 

Sherlock aveva capito come sottrarsi all'obbligo di cantare: strinse il violino ed iniziò a suonare, stretto alla fidanzata.

 

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