Nothing will drag you down - Una ragazza complicata

di lisi_beth99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 

-Di cosa vuoi parlare oggi, Alex? – domandò il dottor Charles seduto su una delle poltroncine nel suo studio. Ci sarebbero state molte cose che avrebbe voluto affrontare in quel momento. Per prima cosa avrebbe dovuto sconfiggere il suo timore ed andare a parlare col sergente Voight che ancora la stava aspettando.

Era passata più di una settimana, ormai quasi due, da quando Jay l’aveva informata che il suo capo desiderava discutere di qualcosa con lei. Quella sera stessa, mentre ancora si trovavano al Molly’s, Halstead aveva ricevuto una chiamata dal suo collega Antonio Dawson. Fu lì che ricevette la notizia dell’omicidio di Theo Johns, l’assassino di sua madre Monique. Ovviamente non scucì nessun dettaglio ma, solo qualche giorno dopo, sul giornale comparve il titolo “Regolamento di conti?”, riferito a quel caso, a caratteri cubitali. In qualche modo l’informazione doveva essere trapelata e in quell’articolo si accennava persino al colpo d’arma da fuoco in testa. Quel dettaglio aveva acceso una sorta di campanello d’allarme nella sua mente.

-C’è un pensiero fisso nella mia testa. – cominciò giocherellando con la manica della maglia – Riguarda il caso del tizio che ha messo l’ordigno nel mio vecchio palazzo, quello che ha ucciso mia madre… - il dottore sembrò sorpreso da come ne parlava la giovane – Che pensiero? – domandò ulteriormente per cercare di farla parlare.

Prima di continuare, Alex fissò negli occhi l’uomo – Tutto quello che viene detto in queste sedute è coperto dal segreto professionale vero? – Charles annuì – Puoi stare tranquilla. Tutto quello che dirai rimarrà in queste quattro mura. -. Passarono altri attimi di silenzio. – Perfetto! – esclamò la castana alla fine – Credo di sapere per chi lavorasse quell’uomo… E, ancora peggio, credo di conoscere il vero motivo per cui hanno assoldato quell’uomo. – lo psichiatra rimase in attesa di un continuo ma sembrava che lei avesse già detto troppo – Non so di cosa si tratti Alex, ma credo che faresti meglio a condividere le tue conoscenze con la polizia. Se non ti fidi di parlare con qualcuno a caso potresti rivolgerti al detective Halstead, mi è sembrato di capire che fra voi ci fosse una sorta di legame… -
Già, Jay… non l’aveva più sentito da quella sera. Aveva ignorato le sue chiamate ed i suoi messaggi. Per qualche motivo temeva che, se gli avesse parlato, lui avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava… Se le sue convinzioni fossero state vere, sarebbe stato rischioso per chiunque le fosse stata vicino.

Guardò l’orologio al polso e vide che l’ora di seduta era terminata da qualche minuto. – Non voglio approfittare dottore. È già troppo il fatto che mi faccia pagare una miseria… Ora la lascio libero di andare dai suoi veri pazienti. – disse alzandosi e recuperando la borsa dal pavimento. Prima di uscire dalla stanza, l’uomo la richiamò per un ultimo consiglio – Ascolta il tuo cuore, non tenerlo rinchiuso in una gabbia di cemento. –

-*-

Si fece coraggio prima di attraversare la strada. Sul marciapiede opposto a quello su cui stava camminando lei era morto suo fratello Max. Il dolore della perdita era sempre lì, però aveva impiegato pochi giorni per uscire dalla rabbia totale e passare alla fase di accettazione. Lei, a differenza della maggior parte delle persone, aveva direttamente saltato la fase depressiva: non poteva permettersi di perdere il controllo.

Cercando di ignorare il punto in cui, solo alcuni giorni prima, Mini giaceva privo di vita, salì gli scalini che portavano alla centrale di polizia. Salutò educatamente il sergente Platt che stava al bancone dell’accoglienza e spiegò il motivo della sua visita. La donna alzò la cornetta e digitò un numero, poi attese alcuni secondi – Ciao Hank. Alexandra Morel vorrebbe parlarti. Ha detto che avevi chiesto di lei. – seguirono altri secondi di silenzio. Riattaccò – Può salire, Le apro da qui. Ah, signorina Morel? Mi dispiace moltissimo per suo fratello, non sarebbe mai dovuto succedere. – il sergente sembrava parecchio turbata dagli avvenimenti della settimana precedente. – Si figuri sergente. Molte cose non sarebbero mai dovute succedere, ma è la vita. – detto ciò si allontanò in direzione delle scale che portavano al cancello di metallo.

-*-

-Ricapitoliamo – disse Voight stando accanto alla lavagna dove erano affisse e scritte tutte le informazioni sul caso - Abbiamo un uomo sospettato di aver messo un ordigno in un palazzo che è costato la vita ad una donna, Monique Morel. – cominciò Atwater rimanendo seduto alla sua scrivania. – Lo stesso uomo è stato trovato morto con un colpo di pistola alla testa poche ore dopo il suo rilascio. – continuò Burgess indicando la foto che ritraeva il cadavere. Fu il turno di Upton – Il medico legale ha stabilito che il colpo è stato esploso a distanza ravvicinata dietro alla nuca del sospettato. In più c’erano segni di legatura ai polsi; da come è disposto il corpo si deduce che le mani fossero legate dietro alla schiena. -. Ruzek si avvicinò alla lavagna – E non dimentichiamo il luogo in cui è stato commesso l’omicidio! Isolato e abbandonato. – Voight faceva un cenno di assenso con il capo – Sembrerebbe a tutti gli effetti opera della Mafia. – disse cupo Jay. – Ottimo! Voglio che continuiate ad indagare su questa pista. Per ora c’è solo quel conto off-shore che può far pensare alla Mafia. – esclamò serio il sergente. Proprio in quel momento squillò il telefono sulla sua scrivania. Alzò la cornetta – Sì? – domandò bruscamente. Rimase in ascolto del sergente Platt – Okay Trudy, mandala su. – riagganciò e tornò accanto alla lavagna.

Di lì a pochi attimi la testa castana di Alex spuntò dalle scale. La giovane si guardò attorno per alcuni attimi. Jay si accorse prima degli altri della sua presenza. Irrigidì impercettibilmente la mascella – Alex… - disse piano mentre muoveva un passo nella sua direzione. Voight bloccò qualunque cosa volesse fare il suo uomo – Vieni nel mio ufficio. – disse quasi come un ordine facendo un cenno ad Alex. Questa superò rapidamente i detective senza guardare negli occhi nessuno e si richiuse la porta dell’ufficio del sergente alle spalle.

I primi attimi rimasero in silenzio a fissarsi, poi Hank la fece accomodare e si sedette sulla sua poltrona – Allora Alex, cos’è che non ci hai detto? Perché il tuo file è secretato? – sembrava cercasse di mantenere una calma che non possedeva. Lei si schiarì la gola: era giunto il momento di condividere la sua storia… Quel dettaglio poteva essere importante per la risoluzione del caso.

-Credo di sapere chi ha ucciso Johns. – cominciò torturandosi le mani che teneva in grembo. A quell’affermazione il sergente irrigidì le spalle – E quale sarebbe la tua teoria?! – domandò sarcastico. – Penso, anzi ne sono praticamente certa, che Johns avesse messo quell’ordigno per uccidere mia madre. E credo sia stato assoldato dalla Mafia irlandese. – mantenne lo sguardo fisso negli occhi infossati dell’uomo – Tu parli di Mafia irlandese. Ma dove hai preso queste informazioni? – era chiaro al sergente che quella giovane donna sapesse molto più di quello che dava a vedere. Lei rimase a fissare un punto indefinito della stanza per alcuni attimi, poi si decise a raccontare tutto.

-Credo sia stato mio padre ad ordinare l’omicidio. Probabilmente lo conosce… è Danny O’Brian! – esclamò la castana. Hank sbarrò gli occhi – Quell’O’Brian?! Il braccio destro di Doherty, il capo del clan irlandese qui a Chicago?! – Alex annuì mestamente col capo – Esattamente lui… voleva che diventassi il suo successore, dato che ero la sua unica figlia. Dieci anni fa, mentre pianificavano un attacco ad un raduno delle forze dell’ordine, registrai le loro conversazioni. Senza dire mai nulla a nessuno. Mi rivolsi ad un detective, Alvin Olinsky, che si era presentato a casa nostra qualche tempo prima: la polizia stava già cercando di incastrare il clan ma non avevano prove… Olinsky mi garantì massima riservatezza e, con le informazioni racchiuse nelle registrazioni, riuscirono a sbattere in galera mio padre ed un altro paio di scagnozzi di Doherty. Lui no, scappò prima che irrompessero nel loro covo. – fece un respiro profondo, rendendosi conto di come quella storia le provocasse ancora i brividi.

Voight rimase in silenzio, pensoso, per un po’ – Quanti anni avevi? 14? Perché hai rischiato così tanto? – lei fece spallucce – Mia madre non aveva la forza di lasciarlo, io non potevo pensare di continuare a vivere in un ambiente del genere… ho deciso di agire. Avevo già visto e sentito troppo per i miei gusti. L’attacco che avevano programmato avrebbe causato un enorme numero di vittime, più di tutti civili e io non sarei più riuscita a guardarmi allo specchio sapendo che avrei potuto impedirlo… - Hank aveva le sopracciglia alzate e una faccia stupita – Sì, lo so: sono sempre stata più matura della mia età. – cercò di buttarla sul ridere.

-Quindi credi che sia stato tuo padre ad ordinare l’omicidio di tua madre… - continuò il sergente. Alex annuì – Io penso che lui abbia capito che la soffiata è arrivata dall’interno. Mio padre aveva già avuto il sospetto, qualche mese prima di essere arrestato, che mia madre volesse uscirne… Forse in prigione gli è giunta voce che è stata lei a fare la spia. – Voight si mise in piedi – Non hai pensato che fosse per te? Sei così sicura che non sappia chi è stato realmente? – domandò avvicinandosi a lei. Alex si massaggiò il collo nervosamente – Se l’avessero saputo, io ora sarei morta. Sono passate due settimane ormai dall’incendio, avrebbero aspettato al massimo un paio di giorni prima di riprovarci. – si alzò a sua volta e riprese la borsa: era ora di andare.

-*-

Jay guardava ripetutamente l’orologio al polso e la porta chiusa dell’ufficio del suo capo. Ormai erano più di trenta minuti che Alex era lì dentro. Muoveva il piede in modo frenetico a tal punto da suscitare un fastidio immenso nella sua partner che gli rifilò un calcio sotto al tavolo – Piantala! Non riesco a capire cosa leggo se continui a fare così! – lo rimbeccò lanciandogli una graffetta – Se sei così agitato, va’ là dentro! – concluse tornando a leggere il fascicolo sul caso.

In quel momento la porta si aprì – Ti terremo comunque aggiornata. – stava dicendo Voight. Strinse la mano alla castana che lo ringraziò e si allontanò verso le scale senza degnare di uno sguardo il detective.

Fu molto difficile nascondere la sua sorpresa per quel comportamento… Hailey gli fece un leggero sorriso, ma non disse nulla. Nel frattempo Hank aveva richiamato l’attenzione di tutta la squadra – Okay gente! Ecco le nuove informazioni: la pista sulla Mafia era giusta. Immagino saprete tutti chi è Doherty, era scappato dieci anni fa quando avevamo cercato di arrestarlo. Potrebbe esserci lui dietro all’omicidio di Johns. – Antonio interruppe il discorso – E questo chi te l’ha detto? Quella ragazza?! -. Voight fece schioccare la lingua sul palato – Aveva delle informazioni. – disse solo, poi riprese la spiegazione – È ormai sicuro che Johns lavorasse per il clan irlandese di Chicago, quello che avevamo sbagliato era il bersaglio. Sara Bukstor non c’entrava nulla in tutto questo, l’obiettivo era Monique Morel. – i suoi sottoposti sbarrarono gli occhi – La vittima? La madre dei due fratelli? – domandò Burgess. Il sergente annuì col capo – Credevano fosse stata lei a farli arrestare. – Antonio interruppe nuovamente Hank – Ma non è stata lei, non è così? -. L’altro cominciò a spazientirsi – Se mi lasciate finire magari avrete tutte le informazioni! – esclamò perdendo la pazienza. Jay non riuscì a trattenersi – È stata Alex, non è così? È stata lei a fare da informatrice. -. Voight sbuffò – Sì, è stata lei. –. Adam alzò due dita per richiamare l’attenzione degli altri – Non per essere poco fiducioso, ma lei come faceva a sapere tutte queste cose? – anche gli altri sembravano avere la stessa domanda stampata in fronte. – Conoscete Danny O’Brian? In realtà la ragazza si chiama Alexandra O’Brian. –

Avrebbe ascoltato tutti i commenti sbigottiti della squadra ma il rumore di un allarme proveniente dal suo computer lo fece allontanare.

-Porca puttana! – sentirono esclamare da fuori l’ufficio del capo. In due secondi Voight era spuntato dalla porta – Halstead chiama immediatamente Alex e falla tornare in centrale! Non riattaccare la telefonata! – ordinò, tornando poi verso il suo telefono per poter contattare il direttore del carcere da cui era evaso Danny O’Brian.

-*-

Stava camminando a passo sostenuto per le strade di Chicago, quando sentì il cellulare vibrare in borsa. Lesse “Jay Halstead” sul display e fu tentata di non rispondere, ma una parte di lei desiderava ardentemente la sua compagnia. – Sì? – domandò appena presa la chiamata. – Alex dove ti trovi? Devi tornare subito in distretto! – la voce era allarmata. – Alex? – domandò ancora – Jay... – sussurrò quasi impercettibilmente lei.

Alex si era fermata sul marciapiede e, di fronte a sé, aveva trovato a fissarla un uomo che avrebbe sperato di non rivedere mai più. Fece per voltarsi ma sentì afferrarsi da dietro: una mano premuta sulla bocca per impedirle di urlare. Le cadde il cellulare di mano mentre veniva pervasa da una scarica in tutto il corpo. Tutto si fece nero.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


-Alex! – provò ancora Jay, rimanendo sempre con l’orecchio attaccato al cellulare. Qualcosa non andava. Sentì un urlo bloccato sul nascere e un tonfo metallico, poi come un’auto che sgommava via. – Rintraccia subito questo numero! – esclamò finendo di scrivere su un foglio il numero di cellulare di Alex. Adam si mise subito al computer – È tra la 47esima e Grove! – quasi urlò mentre Halstead aveva già cominciato a correre verso l’uscita sul retro.

Fortunatamente non era molto distante dal distretto e, in pochi minuti, fu all’incrocio indicatogli da Adam. Si guardò attorno cercando la giovane ma trovò solo il suo cellulare a terra, con lo schermo crepato dalla caduta. Notò dall’altro lato della strada una telecamera del traffico, così tornò velocemente sui suoi passi fino alla centrale.

-C’è una telecamera sulla Grove. Cerca le riprese! – disse a Ruzek con un leggero affanno nella voce. Hank si appoggiò alla scrivania accanto al resto della squadra che attendeva la comparsa delle immagini della sorveglianza.

-Torna indietro di dieci minuti. – nella voce di Jay si poteva chiaramente sentire la preoccupazione ma nessuno sembrò badarci. Adam fece partire la ripresa: si vedeva Alex camminare spedita, poi fermarsi e rovistare nella borsa; estrarre il cellulare e rispondere a quella che sapevano essere la chiamata di Halstead; davanti a lei si era fermato un uomo, ma l’angolazione impediva di identificarlo. Un secondo uomo si stava avvicinando alla castana, in un secondo l’aveva bloccata, impedendole di urlare. Dal lato opposto arrivava un furgone nero senza targa, veniva aperto il portellone sul lato ed un altro uomo smontava. Con un taser avevano fatto perdere i sensi alla ragazza che veniva poi caricata di peso sul furgone. Questo ripartiva sgommando nella direzione opposta a dove era venuto.

Tutto si era svolto in pochi secondi. La squadra rimase in silenzio per un po’ mentre Voight si era diretto al suo ufficio ed aveva diramato l’allerta rapimento in tutta la città. Poi tornò dai suoi sottoposti – Riesaminate quel video fino al più piccolo dettaglio. Cercate di identificare quegli uomini! – ordinò continuando a guardare il monitor su cui si ripeteva il filmato. – È chiaro che O’Brian abbia ordinato il rapimento di sua figlia… dobbiamo solo sperare che non le faccia fare la fine di Johns. – terminò diventando cupo.
Jay non smetteva di guardare Alex venire caricata sul furgone. – Halstead! – lo richiamò il sergente – Vieni con me. Ho un paio di agganci che potrebbero aiutarci. – stranamente sembrava più gentile del solito, forse si era impietosito dalla faccia del detective che trasudava sensi di colpa. Senza farselo ripetere, Jay afferrò la giacca di pelle e seguì il capo.

-*-

Alex aprì a fatica gli occhi. Una sottile lama di luce penetrava da delle assi sconnesse inchiodate all’unica finestra presente nella stanza. Provò a muoversi ma si rese conto di avere mani e piedi legati alla sedia su cui era stata messa. Sentiva una sgradevole sensazione al fianco destro, poco sotto alle costole. Probabilmente era dovuta alla scossa di taser che l’aveva stesa.

Si concentrò sulla stanza in cui si trovava; la luce che filtrava le permise di capire che c’erano delle specie di alambicchi appoggiati alla parete a destra della sua posizione; dal lato opposto invece c’erano delle botti. Ciò fece credere ad Alex di trovarsi in una vecchia distilleria, probabilmente di contrabbando visto che, dalla piccola finestra in alto rispetto alla parete, sembrava di essere in un seminterrato.

Poi chiuse li occhi e si concentrò sul resto che poteva percepire. L’umidità elevata, l’eco lontano di gabbiani ed il suono, una specie di sirena, di quello che poteva essere un rimorchiatore le fecero pensare di essere dalle parti del porto. Se solo avesse potuto mandare quell’informazione alla polizia… purtroppo aveva lasciato cadere il cellulare quando era stata sorpresa alle spalle. Che stupida! Si insultò mentalmente, lasciando penzolare la testa.

Passarono attimi interminabili, poi sentì qualcuno aprire una porta dietro di lei. Provò a girare la testa per capire chi fosse, ma quella mossa le causò solo una fitta di dolore al collo.

Furono accese le luci ed Alex fu costretta a chiudere gli occhi, infastidita dal cambio repentino di luminosità nella stanza. Le ci vollero diversi secondi per abituarsi e, quando riuscì a mettere a fuoco le due figure che le stavano difronte, tutta quella che era stata la sua vita fino ai 14 anni riaffiorò in un istante. – Ciao Alexandra. – disse con voce di disappunto Danny O’Brian.

-*-

Voight ed Halstead tornarono a mani vuote dal loro giro tra gli informatori del sergente. – Scoperto qualcosa? – domandò Jay al resto della squadra. – Solo che l’uomo che ha afferrato Alex si chiama Nathan Walsh. È già stato arrestato un paio di volte ed è accertato che faccia parte del clan irlandese di Chicago. – disse Hailey leggendo il fascicolo che teneva in mano. Antonio digitò rapidamente il nome nel database – Direi che dovremmo portarlo in centrale! C’è il suo nome tra gli informatori… magari ha ancora voglia di parlare! – esclamò speranzoso.

Hank rifletté per un attimo – Va bene. Atwater, Ruzek andate a prenderlo! – ordinò mentre si avvicinava Trudy. – Hank, ho attivato tutti gli agenti disponibili. Se penso a quella povera ragazza… - cominciò ma l’uomo non la lasciò finire – Cerchiamo di trovarla, al resto è meglio non pensare. –

Uscì poco dopo i suoi due agenti ed andò a fare una visitina al direttore del carcere da cui era evaso O’Brian.

– Aveva corrotto un secondino… ma l’abbiamo già licenziato. - provò a giustificarsi il direttore. Hank quasi gli saltò addosso – Licenziato?! Quel verme deve marcire in galera, come l’uomo che ha fatto evadere! E, mi creda, non la passerà liscia nemmeno Lei! Ha aspettato oltre cinque ore prima di dare l’allarme, mettendo a rischio la vita di una ragazza. Sappia che se sarà morta, sarà tutta colpa sua! – sbraitò prima di tornare sui suoi passi. Prima di sbattere la porta dell’ufficio del direttore si voltò un’ultima volta – Sono serio. -

-*-

-Immagina il mio grandissimo disappunto nel sapere che mia figlia aveva informato gli sbirri! Hai portato un grosso disonore sulla nostra famiglia, Alexandra. Dovresti vergognarti! – sputò Danny fissando la figlia legata alla sedia – Non mi pento di quello che ho fatto! – rispose a tono lei, provocando nell’uomo una tale ira da darle uno schiaffo così violento da spaccarle il labbro inferiore.

Con la lingua Alex si leccò via le gocce di sangue che iniziarono ad uscire dalla ferita ma non diede a vedere le sue emozioni. Come era comparso suo padre aveva sentito l’istinto di piangere e gridare. Ovviamente non aveva fatto nulla di tutto ciò… come sempre, era rimasta impassibile.

-Perché?! Quando eri piccola mi veneravi, mi vedevi come un supereroe. Cos’è cambiato? Cosa ti ha spinta a tradire la tua famiglia? A tradire tuo padre… - stava domandando Danny portandosi le mani sui fianchi. – Quando ero piccola ero ignorante. Poi sono cresciuta e mi sono accorta di cosa faceste realmente tu, zio Erik e il tuo capo. Mi facevate schifo. Mi fate ancora schifo! – esclamò in un miscuglio di odio e rabbia. Suo padre fece un respiro profondo e rimase a fissare la castana per attimi interminabili.

-Ho ancora solo una domanda per te: era mio? – era chiaro si riferisse a Max. Alex fece una smorfia di disgusto – Certo che era tuo! Mamma ti amava al limite della devozione. Se non fosse stato per me, sarebbe rimasta al tuo fianco… per fortuna ha saputo di essere incinta solo dopo la tua cattura. -. Danny aveva in sé una tale rabbia che, se avesse lasciato libera, avrebbe rischiato di uccidere la figlia. Fortunatamente in quel momento entrò Erik nella stanza – Dan, è arrivato Ryan. – disse lanciando un’occhiata preoccupata alla nipote – Ottimo. Arrivo subito. – e così i due uomini uscirono richiudendosi la porta alle spalle. Doherty era arrivato.

L’altra figura, quella entrata assieme a Danny, era rimasta in silenzio per tutto il tempo; osservava la giovane con una strana espressione in viso. – Sai? – cominciò avvicinandosi alla castana – Quando ci hanno detto che eri stata tu a fare la spia, nessuno ci voleva credere. -. C’era una domanda che le ronzava da quando si era risvegliata – Chi vi ha detto di me? – mantenne lo sguardo fisso negli occhi di Colin O’Brian, il figlio di Erik, nonché cugino di Alex. Erano cresciuti assieme, entrambi i loro padri avevano riposto in loro la fiducia che sarebbero cresciuti a loro immagine per prendere il loro posto nel clan quando sarebbe stato il momento. Era chiaro che lui avesse seguito il percorso disegnato da suo padre.

La bocca di Colin si piegò in un ghigno raccapricciante – Oh andiamo cuginetta… Dovresti saperlo che Doherty ha occhi e orecchie ovunque in città. Credevi veramente che il dipartimento di polizia fosse immune? – scoppiò in una risata ancora più agghiacciante del ghigno di poco prima. – Chi? – chiese ancora lei. Non aveva la minima intenzione di darla vinta a quella gente che un tempo considerava famiglia. Lui tornò serio – Un poliziotto che al tempo della tua bravata ancora non era sul nostro libro paga. Però, quando sei comparsa al 21° distretto, lui ci ha informati. Vedendo il tuo file secretato ha capito che ci eravamo sbagliati, che eri tu la spia! – in un secondo le afferrò la testa costringendola a reclinare il capo contro lo schienale della sedia – Tu sai quale trattamento viene riservato ai traditori… Goditi queste ultime ore, perché saranno le tue ultime! – la lasciò andare ed uscì dalla stanza.

Rimasta sola, Alex non riuscì a trattenersi ed un paio di lacrime le rigarono il volto. Non sarebbe mai uscita viva da quell’edificio.

-*-

Adam e Kevin arrivarono all’appartamento di Nathan Walsh in mezz’ora. Parcheggiarono l’auto proprio davanti all’abitazione e smontarono speranzosi di non dover rincorrere l’uomo per metà isolato.

Atwater bussò abbastanza pesantemente alla porta – Nathan Walsh? Polizia di Chicago! – la porta si aprì al tocco dell’agente. I due si scambiarono uno sguardo d’intesa ed estrassero l’arma dalla fondina. Sempre Kevin aprì completamente la porta facendo attenzione a fare meno rumore possibile – Nathan Walsh? – provò ancora mente metteva un piede nell’abitazione.

Fianco a fianco i due uomini percorsero il lungo corridoio controllando ad ogni porta che non ci fosse nessuno nella stanza adiacente. Quando arrivarono nell’ultima camera, la cucina, trovarono una chiazza di sangue che si espandeva da dietro l’isola di marmo. Fecero il giro ed abbassarono le pistole abbattuti: al suolo giaceva il corpo di Nathan Walsh con un buco in testa.

-Dannazione! – esclamò Kevin massaggiandosi dietro all’orecchio sinistro. Il suo collega estrasse il cellulare e chiamò Voight. – Capo, siamo nell’appartamento di Walsh… è morto. Stesso modo di Johns… –. Addio all’unica possibilità di trovare Alex.

-*-

Voight si precipitò sulla scena del crimine. La scientifica era arrivata poco prima di lui e stava ancora facendo tutti i rilevamenti. – Adam! – richiamò il suo uomo che si avvicinò con aria sconfitta – Il medico legale ha detto che, dalla temperatura del fegato, è morto da poco. – Atwater li raggiunse con la stessa faccia abbattuta del suo collega – Se solo fossimo arrivati un po’ prima… - Hank gli diede una pacca sulla spalla – Non pensateci, cercate invece di trovare un altro modo. Quella ragazza è ancora scomparsa… - si avviò verso l’abitazione per vedere la scena del crimine.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


-Sono passate quattro ore da quando Alex è stata rapita e ancora non abbiamo la più pallida idea di dove possa essere! – esclamò frustrato Jay. Non riusciva a smettere di pensare alla telefonata che aveva fatto alla castana subito prima che fosse prelevata dalla strada. Risentiva nella sua testa il grido strozzato che aveva anticipato la caduta del cellulare al suolo e non riusciva a togliersi l’immagine di lei svenuta che veniva caricata sul furgone.

Avevano provato a seguirlo ma, ad un incrocio le telecamere erano spente per manutenzione e si erano perse le sue tracce. In quel momento Jay si trovava a quell’incrocio con Hailey. Stavano provando a capire quale direzione potessero aver preso e se ci fossero telecamere di esercizi privati a cui chiedere le registrazioni. – Hey Jay, guarda lì! – esclamò la sua partner indicando una telecamera montata sopra alla vetrina di un negozio di alimentari.

Fecero tintinnare le campanelle che erano state legate sopra alla porta – Buongiorno. – salutarono l’uomo dietro al bancone della cassa – Polizia di Chicago – continuò Halstead sollevando leggermente la maglia per far vedere il distintivo che era allacciato alla cintura. – Cosa volete? – domandò scorbutico il negoziante. Upton alzò un sopracciglio e lanciò uno sguardo al suo collega – Ci servirebbero i nastri della telecamera qui fuori. – provò a mantenere la calma Jay ed essere il più cortese possibile. – E perché vi servirebbero? – continuò l’altro in segno di sfida. Il detective stava per scattare come una molla ma Hailey lo fermò mettendogli una mano sul braccio – Stiamo indagando su un caso di rapimento, signore. Le saremmo molto grati se ci fornisse le riprese. – sperò vivamente che con tutta quella sdolcinatezza il tizio avrebbe collaborato, in caso contrario avrebbero potuto accusarlo di intralcio alle indagini.

-Cavoli! Non pensavo… mi dispiace ma la telecamera non è accesa. L’ho installata solo per scoraggiare chiunque abbia voglia di rapinarmi. – in un secondo, l’uomo aveva abbassato la cresta ed era diventato estremamente umile nei confronti dei due detective. Jay avrebbe voluto ucciderlo. – Era qui tra le 10 e le 11 di questa mattina? – continuò Hailey – Sono sempre qui, quest’attività non va avanti da sola! – rispose provando ad essere più amichevole. – Ha notato, per caso, un furgone nero? – Halstead era sempre più impaziente.

Il negoziante rimase fermo per alcuni secondi, cercando di pensare a poche ore prima; poi scosse la testa – No, non mi sembra… Però provo a chiedere a mia moglie. È come un segugio quella donna. – detto ciò si voltò verso il retro del negozio ed urlò – Mary! Vieni qui un attimo! -. Jay ed Upton si guardarono accigliati.

Poco dopo apparve una donna ben piazzata, con una crocchia disordinata di capelli grigiastri e gli occhiali da vista appesi al collo. – Che c’è?! Sai che non devi disturbarmi quando trasmettono la mia soap opera preferita! – ringhiò contro il marito. Questo alzò gli occhi al cielo infastidito – La polizia vuole sapere se abbiamo visto un furgone nero passare qui davanti tra le 10 e le 11. – spiegò alla donna. Quella sembrò accorgersi solo in quel momento della detective bionda e del suo collega – Ne ho visto uno, sì. Me lo ricordo perché era senza targa e la cosa mi sembrava sospetta. – Jay si illuminò a quella frase – Ha visto dove andavano? – domandò speranzoso. Lei indicò un punto fuori dal negozio – Sono andati sulla Randolph, verso il lago per capirci. –

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-Capo, abbiamo una pista! – Upton era al telefono con Voight – Sì, abbiamo parlato con un negoziante. La moglie ha visto il furgone andare verso est sulla Randolph. – dall’altro capo sentì il sergente dare l’informazione ad Antonio che cercava i filmati delle telecamere del traffico in quella zona. – Ottimo! Io e Jay ci andiamo subito. Ci vediamo lì! – chiuse la chiamata e guardò il suo partner. – Antonio ha trovato il furgone abbandonato dietro al Lancaster. – spiegò mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
In pochi minuti furono sulla scena. Con i guanti addosso, fecero una prima ispezione del veicolo. La mancanza di sangue tolse a Jay un peso dallo stomaco. Almeno potevano sperare di trovarla ancora viva…

Purtroppo non trovarono nulla, nemmeno quelli della scientifica. – Hanno ripulito tutto molto accuratamente. – informò uno dei tecnici. – Non c’è nessuna traccia di DNA… mi dispiace. – concluse prima di allontanarsi dai detective. – Non è possibile! Non abbiamo nulla! – esasperato, Halstead si appoggiò al cofano del suo SUV. Hailey gli posò una mano sulla spalla – La troveremo Jay. Per quel poco che la conosco mi sembra una ragazza molto determinata e forte. In questo momento starà combattendo per la sua vita. –

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Alex stava cercando di far sfregare la corda contro il legno della sedia, nel tentativo di liberarsi. Dopo un primo momento di sconforto, aveva ritrovato la lucidità per tentare di fuggire. Nessuno era più venuto a “trovarla”; quasi sicuramente stavano pianificando il prossimo attacco. Danny era evaso di prigione, ciò significava che la vasta rete di galoppini del clan irlandese arrivava veramente ovunque. E quella considerazione non fece altro che abbattere la castana.

Fu allora che sentì la porta venire aperta. Passi pesanti la raggiunsero con lentezza. – Alex… - la voce di Erik era stanca, come se non dormisse da anni. Provò a farle un leggero sorriso che risultò più come una smorfia – Non avresti dovuto farlo. –. Lei rimase stupita dall’atteggiamento di suo zio; non era mai stato un uomo crudele come suo padre o Doherty, ma nemmeno uno stinco di santo. Però in quel momento sembra rendersi conto di quante cose sbagliate avessero fatto nel corso della loro vita.

-Sei diventata una donna bellissima. – continuò lui – Quel tipo di persona che sa cosa è giusto fare. Avrei voluto che Colin prendesse una strada differente, che si rendesse conto che non era la vita giusta, quella che volevo fargli fare… come te. Tu non hai avuto il minimo dubbio su cosa fosse giusto fare! – fece una pausa. Alex non si sentì di dire nulla, le sembrava troppo surreale tutta quella faccenda. – Purtroppo non è andata così ed ormai è troppo tardi per farglielo capire. – sembrava veramente rassegnato.

Poi estrasse il portafoglio di Alex dalla tasca del giubbotto da aviatore e lo aprì. Tenne in mano un bigliettino da visita. Se lo rigirò fra le mani, lo mise sotto agli occhi della giovane e lo stracciò sotto al suo naso. Quello che aveva appena distrutto era il biglietto da visita che il sergente Voight le aveva dato quella mattina in caso di bisogno. Rimase impassibile, nascondendo dietro alla sua maschera di freddezza tutta la fragilità che stava riemergendo dopo anni.

-*-

Il cellulare di Alex vibrava da ormai cinque minuti sulla scrivania di Halstead; era sempre la stessa persona a chiamare: Mady. Alla quinta chiamata persa, decise di capire chi fosse quella donna.

-Alex finalmente! Credevo fossi morta! – esclamò una voce giovane all’altro capo del telefono. Jay trovò quella frase di cattivo gusto ma la ragazza di certo non poteva sapere cosa fosse successo. – No, mi dispiace. Alex non c’è. – disse calmo. L’altra rimase interdetta per alcuni istanti – Che abbia sbagliato numero? – domandò lei, il detective si affrettò a risponderle – Il numero è giusto. Alex non è qui… - provò a cercare una scusa rapida – Ha lasciato il telefono da me. – Hailey sbarrò gli occhi sentendo l’enorme balla detta dal suo partner. – Ah…oh… ehm, scusa… non sapevo si frequentasse con qualcuno. Ma, lo saprai anche tu, è una persona estremamente riservata! – poi scoppiò in una fragorosa risata – Puoi dirle che confermo l’appuntamento per domani sera? Dille che deve sceglierlo lei il pub questa volta! – Jay finse di non aver sentito la parte della frequentazione – Glielo dirò. – e riattaccò la telefonata.

-Sei forse impazzito?! – lo rimbeccò Upton rifilandogli un’occhiataccia di ammonimento – Non sai nemmeno chi sia! – l’altro allargò le braccia – Esatto! Meglio non dire che è stata rapita, no? -. La bionda scosse la testa rassegnata e tornò a fissare lo schermo del suo computer.

-*-

Il sergente Platt si trovò un uomo sulla sessantina, quasi totalmente calvo e sguardo stanco, davanti a sé. – Posso aiutarla? – domandò notando quanto quell’individuo sembrasse spaesato. Questo annuì lentamente col capo – Cerco il sergente Hank Voight. So che lavora qui al 21esimo. – la voce era leggermente alterata dalla preoccupazione. – Lei sarebbe? – chiese ancora il sergente. L’uomo fece un respiro profondo – Mi chiamo Erik O’Brian. Ho informazioni sulla ragazza scomparsa. –

Platt sbarrò gli occhi e si affrettò a chiamare Hank. Quando ricevette il via libera per farlo salire, si premurò di non lasciarlo da solo neanche un secondo, se era come il resto della famiglia O’Brian era molto probabile che avrebbe tentato la fuga, qualora si fosse accorto che volevano arrestarlo.

-*-

Come lo videro apparire dalle scale, seguito da Trudy, tutti lo squadrarono cercando di capire quali fossero le sue intenzioni. Jay dovette richiamare tutto il suo autocontrollo per non spaccargli la faccia a suon di pugni.

Voight si mise al centro dell’ufficio, senza perdere il contatto visivo con O’Brian. Quando gli fu davanti, Erik non attese le presentazioni – Lei è il sergente Voight, vero? Alex aveva il suo biglietto da… - ma non terminò la frase perché l’altro gli diede uno schiaffo in pieno viso – Dov’è? – domanda secca che richiedeva una risposta altrettanto secca. Ma così non fu – Ve lo dirò, ma solo se garantirete a me e mio figlio l’immunità. – nonostante tutto quello che avesse fatto, Colin rimaneva l’unico suo discendente, il sangue del suo sangue, non poteva gettarlo in pasto ai leoni.

Hank lo guardò esterrefatto – Scusa come?! Forse non ti è chiaro: qui sono io, quello che detta le regole. – lo prese e lo costrinse a camminare fino alla sala interrogatori, seguito da Jay. Lo sbattè a sedere e gli puntò un dito al petto – Tua nipote è stata rapita! Se sai dove si trova ti conviene parlare, altrimenti ti assicuro che farò tutto quello che è possibile per rendere la vita tua e di tuo figlio un inferno! Sono stato chiaro? – gli sbraitò in faccia.

-Okay, okay… almeno promettetemi che non lo ucciderete. – provò ancora Erik. Jay si staccò dalla parete su cui si era appoggiato ed afferrò O’Brian per il colletto della giacca – Non hai capito? Non ci importa nulla di te o di tuo figlio! Dicci dove si trova Alex! – Hank posò una mano sulla spalla del suo sottoposto e lo costrinse ad allontanarsi. – Sono in una vecchia distilleria chiusa, tra la Chestnut e Lake Shore. – disse in un mezzo sussurro. Non riusciva a perdonarsi la decisione di andare alla polizia, ma Alex sarebbe stata uccisa entro la fine della giornata e non sarebbe riuscito a perdonarsi la sua morte.

Appena avuta l’informazione, i due schizzarono fuori dalla stanza per avvisare gli altri e prepararsi per l’irruzione.

-*-

La porta si aprì nuovamente, non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Colin le slegò prima le caviglie poi i polsi. Suo padre rimase in piedi davanti a lei, osservava i movimenti di suo nipote. La faccia che mascherava alla perfezione il suo senso di combattimento; di certo non si poteva dire che Alex non somigliasse a Danny.

-Alzati! – ordinò Colin, afferrandola per una spalla – Ora girati! – la fece ruotare di 180° e le afferrò le mani, portandole dietro alla sua schiena. Estrasse una fascetta da elettricista dalla tasca dei pantaloni e bloccò i polsi della cugina.

Alex capì che era giunto il momento che più aveva temuto in quelle ore di prigionia.

Danny passò una pistola al nipote, lanciò un ultimo sguardo alla figlia e, senza dire nulla, uscì dalla stanza. Stava lasciando il lavoro sporco al più giovane del clan.

-Inginocchiati. – la voce ferma, ma non più divertita come prima. Alex non voleva dargliela vinta. – Inginocchiati! – ripeté più perentorio. Lei fu costretta a piegare prima un ginocchio, poi l’altro.

I secondi sembravano non passare più. Nella sua mente stava pensando a ciò che avrebbe voluto fare nella vita ma non aveva avuto tempo di realizzare. Sentiva le lacrime salirle agli occhi e premere per uscire ma non avrebbe mai dato loro quella soddisfazione.

Sentì Colin caricare l’arma e sfiorarle la nuca. Inspirò l’aria umida di quella stanza in cui sarebbe morta a breve. – Addio Alexandra. – sussurrò l’uomo.

Ci fu uno sparo che fece tremare ogni singolo filamento nel corpo di Alex. Spalancò gli occhi e sentì il sangue defluire dal suo corpo. La stanza fu pervasa dal suono sordo di un corpo che cadeva al suolo privo di vita.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


-5021, richiediamo assistenza tra la Chestnut e la Lake Shore. Richiediamo anche la presenza di un’ambulanza! – Voight stava comunicando con la centrale – Ricevuto 5021 George. - rispose l'operatore all’altro capo della radio.

Nel frattempo stavano sfrecciando, con i lampeggianti accesi, per le vie di Chicago. Jay teneva il volante con una stretta ferrea, continuando a domandarsi se non fosse già troppo tardi.

Si fermarono a diversi metri dalla destinazione: avrebbero tentato di beccare il clan di sorpresa. Divisero gli agenti arrivati in loro supporto in tre gruppi, uno per ogni entrata dell’edificio.

-Okay ragazzi, questo è il piano: irrompiamo nello stesso momento. L’obiettivo primario è salvare la ragazza, poi ci occuperemo anche del clan. Più ne arrestiamo, meglio è! Cercato di non farvi scappare Doherti. – espose Hank al resto degli agenti. – Ora andiamo! – esclamò prima di estrarre la sua pistola dalla fondina ed avvicinarsi all’entrata principale.

-Al mio tre. – sussurrò facendo un po’ di spazio ad Halstead che teneva una testa d’ariete in mano – Uno… Due… Tre! – l’altro buttò giù la porta con un solo colpo ed imbracciò il fucile di precisione, pronto a seguire il suo capo.

Il rumore aveva attirato diversi scagnozzi di Doherty che, prontamente, vennero abbattuti dai vari agenti che avevano fatto irruzione anche dalle altre entrate. Furono esplosi molti colpi che viaggiarono per tutta la superficie della vecchia distilleria. Jay, seguito da Adam ed un altro paio di agenti, si diresse verso quello che un tempo era stato un magazzino.

Aprì la porta con molta cautela, trovando nella stanza un uomo che dava le spalle alla porta. Teneva in mano una pistola e la stava puntando alla testa di una ragazza inginocchiata davanti a lui. Gli bastò un secondo per capire che si trattava di Alex. Fece fuoco mirando alla testa dell’uomo che cadde al suolo con un tonfo sordo.

Halstead si portò il fucile dietro alla schiena, avvicinandosi a passo veloce alla ragazza. Estrasse un coltellino dalla tasca del giubbotto antiproiettile e si affrettò a tagliare la fascetta da elettricista che stringeva i polsi di Alex. Nel frattempo, Ruzek si era premurato di controllare che l’aggressore fosse morto e gli tolse la pistola dalle mani.

-Alex! – Jay si inginocchiò davanti alla giovane che sembrava totalmente assente. – Alex… - riprovò mettendole le mani sulle spalle. Lei provò a voltarsi per vedere Colin ma il detective glielo impedì bloccandole il movimento – Guarda me, sta’ tranquilla! – le accarezzò le braccia nella speranza di scatenare in lei qualche reazione – Stai bene? Sei ferita da qualche parte? – domandò premurosamente. Alex scosse lentamente il capo focalizzando il suo sguardo sugli occhi preoccupati di Halstead. Il fiato era corto ed era scossa da brividi per tutto il corpo.

-Vieni. Ti porto fuori da qui. – la aiutò a mettersi in piedi, anche se era malferma, e la condusse fuori da quell’edificio, tenendola saldamente perché non cadesse. Si avvicinarono all’ambulanza che era arrivata poco prima – è sotto shock. – comunicò il detective al paramedico. Questo fece sedere la castana sul bordo della vettura. – Sai dirmi come ti chiami? – domandò cominciando a controllare la reattività delle sue pupille – Alexandra Morel. – rispose automaticamente lei – Che giorno è? – continuò il paramedico ma lei non diede segno di averlo ascoltato. Teneva gli occhi fissi su Jay che provava a rassicurala con un sorriso – C’è una talpa… - sussurrò al detective. Lui si avvicinò per capire di cosa stesse parlando – Sapevano del mio coinvolgimento perché c’è una talpa nel vostro distretto. – lo sguardo era assente ma sembrava conscia di ciò che stava dicendo. Jay si sedette accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio – Non ti preoccupare. Risolveremo tutto. -

-*-

Voight si fece largo tra i vari individui presenti in quel posto decadente, alla ricerca di Doherty. Aveva tutte le intenzioni di portarlo fuori da lì in manette! Irruppe in una stanza trovando centinaia di mazzette di banconote, accatastate in modo confuso su dei tavoli di metallo. Ma di Doherty o di O’Brian nessuna traccia. – Dannazione! – ringhiò dando uno spintone ad una sedia lì vicino. – Capo che c’è? – domandò Antonio raggiungendolo in quel momento. Hank si voltò a guardarlo in faccia – Sono scappati! Se ne sono andati prima che arrivassimo noi. – uscì furioso da quell’edificio.

Fuori trovò Alex sana e salva, tranne per il labbro spaccato, che stava seduta fuori dall’ambulanza e teneva una coperta sulle spalle. Doverle dire che suo padre era fuggito, era forse al cosa più difficile dopo ciò che aveva fatto a sua figlia.

La ragazza si alzò, ancora malferma sulle gambe per la troppa adrenalina, e fece qualche passo verso il sergente. Dalla sua faccia capì però che non era andata come speravano. – Alex… mi dispiace – cominciò l’uomo ma lei non lo fece finire – Sono scappati. Non è così? – lo sguardo di Voight bastò come risposta. Il cuore le accelerò nel petto, la vista si fece leggermente annebbiata. Fortunatamente Hank fu veloce da capire che stava per avere un collasso e chiamò i due paramedici che stavano finendo di sistemare il borsone del primo soccorso.

-Stenditi, va bene? – il sergente l’aiutò ad arrivare alla barella. Uno dei due paramedici estrasse uno sfigmomanometro per misurarle la pressione sanguigna. – 82 su 57. Dovremmo portarla in ospedale per un controllo. – spiegò mettendosi lo stetoscopio attorno al collo. Alex si mise seduta – Non ce n’è bisogno. Ho sempre la pressione bassa… una bustina di zuccherò e trono come nuova. – fece per alzarsi ma Jay la bloccò. – Alex… - l’ammonì.

-No Jay! Mio padre ha ordinato il mio omicidio e c’è una talpa nel vostro distretto che sapeva dei miei trascorsi con la polizia! Quindi scusami se non ho la minima intenzione di andare in un ospedale alla mercé di quel pazzo e del suo capo! – dopo un breve momento in cui sembrava tornata la solita donna calma, stava riaffiorando lo stress e lo shock di poco prima.

Voight notò il cambiamento nella castana ed annuì come suo solito – Va bene, ti affidiamo una scorta fino a quando non li troviamo. – Alex non sembrava molto convinta ma sarebbe stato il compromesso che avrebbe accettato: non voleva più trovarsi in una situazione del genere…

-Capo! – chiamò Atwater – Abbiamo ricevuto una soffiata. Sappiamo dove si trovano O’Brian e Doherty. – spiegò l’agente – Perfetto! Nessuno deve saperlo. C’è una talpa… - disse abbassando il tono di voce il sergente. L’altro fece un segno di aver capito ed andò ad informare il resto della squadra.

Con un gesto della mano, Hank attirò l’attenzione di Halstead e lo chiamò a sé – Tu resta con la ragazza, okay? Di te si fida e, con quello che ha passato in queste ultime ore, non me la sento di affidarla a qualche novellino del dipartimento. Quando avrete finito in ospedale, andate in centrale. Noi andiamo a catturare quei figli di puttana! – spiegò al suo sottoposto.

-*-

-La pressione è un po’ bassa e sei leggermente disidratata, ma nulla di grave. Disinfetto ancora solo il labbro e abbiamo finito. – stava dicendo Will mentre cercava un batuffolo di cotone in un cassetto – Dev’essere stata un’esperienza orribile. – commentò – Will! – lo ammonì suo fratello che si era messo in un angolo dell’ambulatorio. Alex sollevò le spalle – Fa lo stesso… - disse facendo spuntare un sorriso forzato - Sto bene. – non distolse mai lo sguardo da un punto del pavimento.

Continuava a sentire lo sparo, quel rumore assordante che credeva segnasse la sua fine, quel rimbombo che la faceva ancora tremare nonostante fosse al sicuro e con Jay pronto a difenderla qualora ci avessero riprovato. Il suo grado di allerta era a livelli mai raggiunti prima: in ogni luogo in cui era stata portata aveva osservato nei minimi dettagli ogni cosa, cercando soprattutto le vie di fuga e guardando con timore ogni persona che sembrasse fissarla.

Le ci sarebbe certamente voluto del tempo, molto tempo, per superare ciò che era successo.

-Alex? – disse per la terza volta Will cercando di richiamare l’attenzione della castana. Questa si riscosse dai suoi pensieri – Sì, scusi dottore! – l’altro le sorrise rassicurante – Riposa. È la cura migliore che ti possa prescrivere. – poi, mentre lei si metteva in piedi pronta per lasciare l’ospedale, Will fermò suo fratello – Posso parlarti un secondo? – Alex capì l’antifona e indicò il corridoio – Io aspetto qui fuori… - disse senza guardare in faccia nessuno.

Rimasti soli, Jay lanciò uno sguardo indagatore al medico – Che c’è? – domandò lanciando un’occhiata alla castana che si guardava attorno ancora spaesata – Dicevo sul serio un attimo fa: Alex deve dormire. – Jay scosse le spalle – Non capisco dove vuoi andare a parare. – il fratello alzò un sopracciglio – Non dirmi che non rivedi qualcuno in quella ragazza! – sbottò il rosso.
Il detective abbassò lo sguardo e sembrò cercare di nascondere la testa fra le spalle. – è diverso… - provò a dire poco convinto delle sue stesse parole ma Will non gliela diede vinta – Sta come stavi tu quando sei tornato dall’Afghanistan. Dovreste parlare, credo sarebbe di aiuto ad entrambi. -

-*-

Arrivarono in centrale con gli ultimi raggi di sole ad illuminare i palazzi di Chicago. Jay non aveva smesso di pensare alle parole del fratello; per quanto fosse il minore, in determinate situazioni Will si dimostrava il più maturo dei due.

Alex era rimasta chiusa in un silenzio totale per tutta la durata del tragitto. Cercava di tenere a bada i brividi che continuavano a correrle per tutto il corpo. Le immagini di quella giornata continuavano a tormentarla, peggio ancora erano i suoni. Sperava con tutta se stessa che quel giorno arrivasse al suo termine, che lei potesse tornare a casa e sfogare tutta la rabbia e la paura che le stavano stringendo il petto in una morsa. Non voleva, non poteva, cedere. Non lì, non in quel momento… non con suo padre ancora per le strade di Chicago, sempre che non avesse già lasciato il paese.

-Vuoi qualcosa? Thè? Caffè? Qualcosa da mangiare? – domandò Jay, una volta sistematisi nella sala svago dell’ufficio dell’Intelligence. Alex si sedette sul divano, lasciandosi andare contro lo schienale. Scosse la testa – Vorrei che tutto questo non fosse mai successo. – guardò negli occhi il detective e si strofinò le spalle per cercare di scaldarsi – Continuo a domandarmi: e se non avessi mai parlato con Olinsky? Se non avessi mai fatto arrestare mio padre? Mia madre ora sarebbe viva, così come Max… - stava cominciando a cedere, quel muro che si era costruita mattone per mattone si stava sgretolando. Come colta da quella consapevolezza, si mise con la schiena dritta, smise di guardare Jay e si schiarì la gola per mandare giù le lacrime che cominciavano a salirle verso gli occhi.

Halstead si tolse la felpa e si sedette accanto alla castana solo dopo averle sistemato l’indumento sulle spalle – Ho imparato una cosa: mai guardarsi indietro. Alex, quello che hai fatto a quattordici anni, non l’avrebbe mai fatto nessuno! Sei stata indubbiamente coraggiosa… Non devi addossarti colpe che non hai. -. Lei si strinse nella felpa e tornò con la schiena sul morbido del divano. – Spero solo che questa volta lo uccidano… - sussurrò prima di richiudersi nel suo silenzio totale.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


La soffiata veniva da un mafioso redento. Aveva chiamato il suo agente di riferimento, Ruzek, e gli aveva dato la posizione di una casa sicura in cui era quasi sicuro trovare Doherty e il suo braccio destro.

La squadra si era appostata pronta ad intervenire. – Li voglio vivi. Intesi? Quei bastardi devono pagare per tutto quello che hanno fatto! – esclamò Hank pochi secondi prima di irrompere nell’abitazione.

Ci fu uno scontro a fuoco in cui volarono decine di proiettili. La squadra si era separata per cercare di circondare i due malviventi. Nessuno dei due sembrava intenzionato ad arrendersi ma la cosa non stupiva nessuno visto i personaggi.

Antonio riuscì a ferire O’Brian ad una spalla. Questo fu costretto a lasciar cadere l’arma che teneva in mano, permettendo a Kim di giungergli alle spalle e puntargli la Glock alla tempia – Muoviti e sei morto! – lo minacciò con voce tagliente.

Nonostante avessero preso il suo fidato tirapiedi, Doherty non si arrese e tentò una fuga disperata che si concluse con un buco nella sua testa. Voight si avvicinò al corpo privo di vita del boss mafioso. Il disgusto e la rabbia per la fine fin troppo dolce di quel verme gli contorsero il viso in una smorfia.

Il resto della squadra andò a perlustrare il resto dell’edificio, per assicurarsi che non ci fossero sorprese. – Libero! – urlò Hailey dalla cucina – Anche qui! – le fece eco Kevin, seguito poi da Adam. Si riunirono tutti nel soggiorno dove Burgess aveva già ammanettato O’Brian, ignorando bellamente i suoi lamenti di dolore. Voight lo afferrò per il colletto della camicia imbrattata di sangue – Ritieniti fortunato! – gli sbraitò ad un centimetro dalla faccia. Sulla faccia di Danny comparve un ghigno di divertimento – Non potrete mai dimostrare nulla! Non ci sono prove, né tantomeno testimoni! – tutti i presenti lo guardarono con disgusto ma nessuno volle sprecare energie ad insultarlo. – Portatelo in centrale. – ordinò ai suoi sottoposti – Io avviso Halstead. -.

-*-

Il cellulare vibrò sul tavolino della sala svago, Jay si alzò per andare a prenderlo e rispose appena vide che era il capo a chiamarlo – Capo. – disse uscendo dalla stanza. Ascoltò attentamente quello che gli veniva riferito, non riuscì a non lanciare uno sguardo preoccupato alla castana che stava ancora seduta sul divano a fissare le foto attaccate al frigo. – Certo. Ora glielo chiedo, però capo… Non so quanto sia gius… – ma non riuscì a terminare la frase perché Hank lo bloccò subito. – Ricevuto. – disse alla fine rassegnato il detective.

Chiuse la chiamata e tornò da Alex. Lei lo guardò capendo subito che c’era qualcosa di strano – Cosa devi dirmi? – domandò senza fare tanti giri. Jay si sedette nuovamente al suo fianco – Era Voight. Li hanno trovati ma Doherty è morto. Tuo padre lo stanno portando qui. – lei rimase quasi impassibile alla notizia. Un leggero senso di libertà le aveva alleggerito il peso sullo stomaco ma, dall’altra parte, la morte era stata una cosa fin troppo dolce per un uomo che aveva ucciso più di dieci persone di sua mano e chissà quante su commissione. – Voight ha un piano ma, affinché funzioni, dovresti essere d’accordo in primis tu. -. Un bagliore di curiosità illuminò le iridi nocciola di lei.

Alex lo incitò a spiegare il piano, mettendogli una mano sul polso e dandogli una leggera spinta – Tuo padre crede che tu sia morta… Voight vorrebbe che sapesse la verità. Speriamo che, sapendo di avere un testimone, confessi almeno in parte. Però, se saprà che non sei morta e dovesse esserci un processo, dovrai testimoniare. Non sarai più tutelata come la prima volta, quando non sei stata citata in nessun documento; questa volta potresti dover sedere al banco dei testimoni e dire tutto quello che hai passato… Il sergente vuole che sia tu a decidere e vuole che tu sappia che faremo qualunque cosa per incriminarlo. – Capiva che quella richiesta era estremamente egoista nei confronti della castana: doverla mettere in quella situazione non gli piaceva per nulla! Peggio ancora perché, da quello che aveva imparato a conoscere, lei non si sarebbe tirata indietro, anzi avrebbe fatto di tutto anche a rischio della sua salute. Ed era quello che lo preoccupava maggiormente…

Lei rimase ad analizzare ciò che le era stato appena detto per alcuni secondi. – Lo farò. – disse poi, tornando a guardare gli occhi azzurri del detective – Deve pagare per tutto quello che ha fatto! -. Jay annuiva leggermente col capo; il suo timore si era rivelato più che fondato. Aveva però capito che nulla avrebbe mai potuto fermare quella ragazza dall’ottenere giustizia.

Senza dire altro, si alzò nuovamente dal divano ed uscì dalla stanza per informare il sergente della decisione di Alex.

-*-

Arrivati al 21esimo distretto, Antonio e Adam rinchiusero O’Brian nella cella che avevano costruito nel seminterrato del distretto; un luogo in cui solo quelli dell’Intelligence potevano metterci piede e in cui tendevano ad estorcere confessioni non propriamente legali a criminali più restii a parlare.

Voight parcheggiò pochi attimi dopo e si apprestò a raggiungere il resto della squadra. Aveva appena parlato con Halstead, ordinandogli di far scendere la ragazza così da far scattare il piano. – Allora O’Brian – cominciò aprendo la gabbia in cui era rinchiuso il mafioso – Cos’era quella storia di prima? Quella che non verrai incriminato? Lo sai che riusciremo comunque a sbatterti in cella. – fece un cenno della mano a Jay che si era fermato in fondo alle scale, seguito da Alex. O’Brian manteneva il suo sguardo divertito sul sergente. – D'altronde… abbiamo un testimone, una persona a te molto nota. – in quel mentre Alex camminò versò il sergente: la schiena dritta di chi non teme quello che sta succedendo, gli occhi puntati sul padre ed ogni terminazione nervosa che le gridava di correre dalla parte opposta della stanza. Il suo corpo e la sua mente stavano combattendo una guerra intestina per decidere cosa fare ma Alex aveva una grande capacità di controllarsi.

Si fermò proprio di fronte a Danny, non disse nulla, semplicemente lo fissò e sperò che cominciasse a tremare come lei stava facendo anche in quel momento. Lo sguardo dell’uomo si era trasformato in una maschera di ghiaccio, come quella della figlia, non lasciando trasparire i suoi pensieri. Però Alex fu abbastanza sicura che, in cuor suo, stesse comprendendo che i suoi giorni di libertà stavano scadendo.

Jay le posò una mano sulla spalla e la riscosse dai suoi pensieri. Lei si voltò verso l’uscita e seguì il detective al suo SUV. – Come va? – domandò appena le portiere furono richiuse. La castana alzò le spalle – La facciamo andare. – rispose onestamente mentre si allacciava la cintura di sicurezza. Halstead mise in moto e si immise nel traffico per portare Alex a casa.

Finalmente, dopo una giornata estenuante, avrebbe potuto rimettere piede in quel monolocale che chiamava casa e sfogarsi. Non avrebbe mai pensato che, dopo l’incendio e la morte di sua madre, ci sarebbe potuto essere un giorno ancora peggiore. Sospirò stringendosi maggiormente la felpa di Jay che ormai aveva indossato chiudendola addirittura con la zip e tirando su il cappuccio. Il resto del viaggio lo passarono in silenzio.

-*-

O’Brian aveva osservato la figlia, che credeva morta, uscire da quel posto senza battere ciglio. – Hai visto? – domandò Voight – Non è morta. La prossima volta, non affidarti a tuo nipote per fare un lavoro del genere. – ironizzò uscendo dalla gabbia e chiudendola con un catenaccio ed un lucchetto.

Insieme al resto della squadra tornò in ufficio – Ora dobbiamo occuparci di un’altra questione. – richiamò l’attenzione di tutti – Alex ha detto che qualcuno al dipartimento aveva fatto una soffiata al clan sul suo coinvolgimento nell’arresto del padre. -. Burgess alzò le sopracciglia attonita – Cosa?! Chi? – domandò Atwater, sorpreso come tutti gli altri. Hank scosse la testa – Non lo so, ma il fatto che non ci fosse né Doherty né O’Brian al momento della nostra irruzione, significa che Alex ha ragione. Ora dobbiamo stanare questo tizio e fargli rimpiangere di aver fatto il doppio gioco! – detto ciò si rinchiuse nel suo ufficio.

-*-

-Bene. Allora… io vado. – disse titubante Jay, una volta che Alex ebbe aperto la porta del suo appartamento. Buttò la borsa sul piccolo divano dalla fantasia floreale che le aveva lasciato il proprietario e fece per sfilarsi la felpa del detective – No, tranquilla! Tienila pure. Me la restituirai un’altra volta. -. Sperava vivamente che si sarebbero rivisti, non solo per il fatto che quella ragazza riuscisse ad incuriosirlo tanto ma soprattutto perché Will aveva ragione: avrebbero potuto aiutarsi a vicenda.

Lei smise di armeggiare con la zip e lo guardò con un lieve sorriso – Grazie Jay. E non mi riferisco alla felpa… Grazie per quello che hai fatto in quella vecchia distilleria, non sarei qui altrimenti. Ti devo la vita. – non lasciò mai gli occhi di lui. Era seria e credeva fermamente nelle sue parole. – Figurati. Non mi devi nulla… - rispose lui rimanendo bloccato dagli occhi nocciola di lei.

Rimasero così per alcuni secondi, poi Alex ruppe quella sorta di incanto – Buonanotte Jay. – quasi sussurrò incrociando le braccia al petto, una sorta di protezione. – Buonanotte, Alex. – le fece eco. Girò il pomello ed uscì dall’appartamento.

Come si richiuse la porta, Alex sentì il peso dell’esperienza vissuta quel giorno ripiombarle addosso, questa volta lasciò uscire le lacrime e si accasciò al suolo priva di forze.

-*-

Jay aveva raggiunto le scale quando si bloccò. Già una volta l’aveva lasciata sola dopo una giornata devastante ed Alex era svanita per quasi due settimane. Questa volta non l’avrebbe lasciata sola nel suo dolore.

A grandi falcate ripercorse il corridoio e bussò insistentemente alla porta. Passarono alcuni attimi di silenzio, poi la porta fu aperta. Alex aveva il viso stravolto, per quanto avesse tentato di nascondere i segni del pianto, gli occhi erano rossi e le righe di lacrime segnavano leggermente le guance. Jay non disse nulla. Aprì quel tanto di più l’uscio e lo richiuse alle sue spalle. Strinse la castana in un abbraccio che non voleva essere solo di conforto.

Dopo un tempo indeterminato, Alex smise di piangere e si addormentò sul divano fra le braccia del detective.


Angolo dell'autrice

Ciao a tutti,
Anche questa è conclusa. Però è già in corso d'opera il terzo "capitolo della saga". 
Spero di ricevere qualche recensione, così da avere un feedback da voi lettori.

Un saluto
Lisi 

 

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