Sotto Spirito.

di AdhoMu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Horror vacui. ***
Capitolo 2: *** L'Esprit Nouveau. ***
Capitolo 3: *** Il Giorno del Giudizio. ***
Capitolo 4: *** Seduta Spiritica. ***
Capitolo 5: *** Il vascello fantasma. ***
Capitolo 6: *** Spirito di Gruppo. ***
Capitolo 7: *** Anima e corpo. ***
Capitolo 10: *** Anime in pena. ***
Capitolo 11: *** Anime gemelle (I). ***



Capitolo 1
*** Horror vacui. ***


1. Horror Vacui.
(a mo’ di prologo)

"Harry... riporterai indietro il mio corpo, vero?
Riporta il mio corpo ai miei genitori..."
(1)

Una manciata di secondi dopo, il contatto si era interrotto.
Harry era sparito; mentre afferrava la Passaporta che lo avrebbe portato in salvo, il ragazzino aveva esaudito il suo ultimo desiderio e aveva stretto le dita intorno al polso coperto dalla manica giallonera, portando via con sé il suo corpo inanimato.
Immediatamente, nella quiete ormai violata di quel piccolo cimitero di campagna, si era scatenato il putiferio.
Il Signore Oscuro era furibondo: all'apice dell'ira, aveva cominciato a scagliare tutt'intorno improperi irripetibili e fatture mortali, che terrorizzavano i suoi atterriti seguaci e polverizzavano le povere lapidi di pietra porosa ammantate di muschio.
Cedric, però, non aveva neppure avuto il tempo di guardarsi intorno, o di tentare di nascondersi (cosa che, tutto sommato, sarebbe stata piuttosto inutile dato che, più male di così, non avrebbero potuto fargli): improvvisamente si era sentito risucchiare e, in men che non si dica, lo scenario che lo circondava era cambiato.

King's Cross era un pochino diversa da come se la ricordava.
Decisamente più pulita, più luminosa e sfavillante (un po' troppo algida, forse) e, soprattutto, assai meno popolosa del solito. Strano ma vero, in giro non c'era anima viva (il termine "anima", chissà perché, gli parve particolarmente calzante in quel frangente): le piattaforme erano completamente vuote e, sui pavimenti tirati a lucido, non echeggiava alcun suono; né di passi, né di bagagli trascinati, né di zampettii animali.
Cedric si guardò intorno, un po' smarrito.
E mentre si domandava stupito quanti ettolitri di candeggina avessero usato i babbani per compiere quell'abbagliante miracolo, il fischio profondo di un locomotore, fermo all'ultimo binario, lo fece sobbalzare. Non c'erano altri treni in stazione, quel giorno: soltanto quel convoglio di un bianco accecante, immobile dall'altra parte dell'immenso edificio.
Cedric si mordicchiò il labbro, nervoso.
Subito dopo, una serie di rapidi schiocchi secchi lo indussero a sollevare il mento e a guardare verso l'alto: sgranando ben bene gli occhi, il ragazzo mise a fuoco il pannello che sovrastava la piattaforma sulla quale era atterrato.
Sullo schermo nuovamente immobile, le tesserine rotanti avevano composto una scritta che spiccava bianco su nero:
Binario: ∞
Destinazione: AVANTI.
Partenza: IMMEDIATA.

Quasi a voler sottolineare l'imminenza della partenza, la locomotiva si mise in moto con uno sbuffo. Una nuvoletta di fumo, bianco come la neve e denso come il latte, fece capolino dalla ciminiera e cominciò a spandersi nell'aria tersa della stazione; l'intero convoglio fu scosso da un fremito vivace, per poi iniziare a scivolare piano piano sui binari.
E Cedric si mise a correre.
Non aveva la minima idea del perché, ma sapeva (lo sapeva e basta) che doveva a tutti i costi salire a bordo di quel treno. Non poteva permettersi di perderlo per nessuna ragione: era questione di vita o di... beh, lasciamo perdere, ma insomma; era assolutamente primordiale raggiungerlo prima che esso prendesse velocità e abbandonasse la stazione, lasciandolo indietro.
Corse, corse, corse a perdifiato, percorrendo a ritroso la piattaforma sulla quale si trovava; svoltò nel corridoio principale rischiando di scivolare miseramente sulle piastrelle lucide e si lanciò al galoppo verso l'ultimo binario.
Le teste delle piattaforme sfilavano veloci al suo fianco mentre lui le superava correndo; con la coda dell'occhio poteva vederne la numerazione, via via più alta man mano che procedeva:
1... 7... 16... 367... 869... 1452...
"Ma quante accidenti sono?!" pensò, trafelato.
Il treno, nel frattempo, aveva cominciato a prendere velocità.
Cedric accelerò al massimo, incurante dell'affanno; dopo una corsa che gli parve eterna, riuscì finalmente a raggiungere il Binario ∞ e si mise ad inseguire con disperata tenacia i vagoni che filavano via, irrimediabilmente fuori dalla sua portata.
Il treno era partito: i suoi occhi lo percepivano ad ogni attimo più piccolo e distante finché, in un guizzo abbagliante, la sua forma indistinta si tuffò nell'arco di luce delimitato dall'enorme volta che copriva la stazione.
Oltre il vetro del finestrino di coda, Cedric ebbe l'impressione di scorgere il volto pallido e severo di una donna vestita di nero che, immobile, lo fissava.
E pur sapendo che continuare a correre era perfettamente inutile, ma mosso dall'impulso e da quell'inspiegabile impellenza di lasciarsi Londra (se davvero si trattava di Londra, beninteso) alle spalle, Cedric proseguì nella sua corsa, per arrestarsi soltanto quando ebbe raggiunto l'estremità della piattaforma.
Là rimase, fermo e ansimante, ad osservare il convoglio che scompariva all'orizzonte; e in quel momento, per la prima volta, un'angoscia profonda lo pervase per intero, facendogli salire le lacrime agli occhi.
Sapeva già di essere morto; lo aveva capito subito, un secondo dopo che quel lampo di luce verde lo aveva colpito al petto facendolo stramazzare al suolo. In quel frangente, però, non aveva provato dolore né tristezza; non si era crucciato: non ne aveva avuto il tempo. Troppe cose erano accadute nei minuti successivi: troppe, tutte insieme e troppo velocemente.
Ma in quel momento, mentre il treno scompariva allasua vista, il suo impalpabile cuore rallentava piano piano i battiti all'interno del suo petto traslucido e il suo respiro si faceva via via meno affannoso, Cedric ebbe piena coscienza di essere solo.
Solo e perduto. Isolato.
Svuotato.
Realizzò di essersi appena lasciato alle spalle una vita carica di promesse gioiose e di belle speranze.
Ed ora, il treno partito dal Binario ∞ - quello che lo avrebbe portato avanti - si era lasciato alle spalle lui.
Non era riuscito a saltare a bordo.
Non ce l'aveva fatta.
Cedric era rimasto indietro.

*

”O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale”


Non seppe mai quanti tentativi avesse fatto: ad un certo punto, aveva semplicemente smesso di contarli.
Tutti i giorni il sibilo profondo della locomotiva che si risvegliava lo faceva saltare in piedi; e tutti i giorni, immancabilmente, il ragazzo tentava inutilmente di raggiungere il treno che partiva alla volta dell’eternità.
Spesso e volentieri lo mancava alla grande; qualche volta ci arrivava vicino. In una manciata di occasioni, era quasi riuscito a sfiorare la vernice lucida e immacolata dell’ultima carrozza. E nonostante sapesse che ogni suo sforzo si sarebbe rivelato inutile, il giovane non gettava la spugna e anzi, il giorno seguente era pronto a tentare di nuovo.
Volenteroso, determinato, tenace.
Tutte queste belle qualità da Tassorosso, Cedric Diggory le aveva sempre possedute e, proprio grazie ai suoi pregi, era spesso riuscito a regalare un po’ di gloria alla fin troppo defilata Casa giallonera.
Il nocciolo della questione, però, era un altro.
Perché, per quanto diligente e ligio al dovere, Cedric non era certo stupido, né ottuso, né tardo. Sapeva benissimo che quell’inseguimento quotidiano non avrebbe mai portato a nulla: l’aveva capito da tempo.
Ma la scelta, evidentemente, non gli spettava.
C’era qualcosa di più grande di lui, una specie di forza irresistibile ed inarrestabile che, giorno dopo giorno, pur nella piena coscienza di imbarcarsi nell'ennesimo tentativo frustrato, lo obbligava a compiere quella sua inutile corsa disperata, destinata ogni volta ad un cocente insuccesso.
Rimaneva fermo per qualche minuto a riprendere fiato e ad osservare l’ultimo vagone che scompariva, inghiottito dalla luce, e poi tornava stancamente sui suoi passi, camminando a ritroso lungo la piattaforma che l’avrebbe riportato al punto di partenza.
E man mano che procedeva, rassegnato a trascorrere l’ennesima giornata nell’algida e ovattata solitudine di quella malinconica stazione deserta, Cedric rifletteva.
Era dunque questa, la morte?
Un’ininterrotta sequenza di situazioni e di gesti sempre uguali, da ripetersi sempre allo stesso modo?
Sarebbe riuscito, presto o tardi, ad abituarsi a quella quotidiana sconfitta?
Proprio a questo stava pensando quel giorno mentre, dopo aver perduto l’ennesimo treno, i suoi piedi silenziosi si muovevano sulle piastrelle abbaglianti della piattaforma ∞.
Era così abituato a compiere ogni volta gli stessi gesti e a percorrere immutabilmente il medesimo scenario che, lì per lì, quasi non se ne accorse. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per accertarsi di non avere le traveggole; e visti i trascorsi stentava proprio a crederci, eppure...
Eppure no: non stava sognando.
Perfettamente visibile, la figura conosciuta di un monaco basso, panciuto e gioviale lo aspettava in fondo alla piattaforma. Quando Cedric gli si avvicinò, quello gli rivolse un gran sorriso e lo apostrofò allegramente:
- Ehilà Diggory, qual buon vento?
- Frate Grasso?!
- In carne ed ossa, caro mio, o meglio: in spirito e gelatina – rispose il fantasma, affabile come sempre. - Del resto, com’è che diceva quel vecchio detto? “Chi muore si rivede”, dico bene?
Cedric gli rivolse uno sguardo incredulo.
- Oh beh – tossicchiò quello, rassettandosi il saio. – E comunque – soggiunse poi – tutto ciò, in questo momento, non ha la minima importanza. Ordunque, sei pronto?
- Pronto? E per fare cosa?
- Ti riporto a casa.
- Oh – balbettò Cedric, un po’ emozionato. – V-vuoi d-dire che... che mi riporterai ad Ottery St. Catchpole? Dai m-miei... genitori?
- No, mio caro ragazzo. – Il Frate Grasso scosse delicatamente la testa e gli rivolse un sorriso comprensivo e un po’ malinconico. – Ho ricevuto l’ordine di riportarti ad Hogwarts, Cedric.

Note a piè di pagina:
1) Le due citazioni in corsivo sono tratte rispettivamente da Harry Potter e il Calice di Fuoco e Harry Potter e la Pietra Filosofale.
2) Dopo aver dato vita a Grifoni, Serpi, Corvi e chi più ne ha più ne metta, mi sono resa conto di aver procrastinato fino alla fine il momento di dedicare una storia ad un membro della mia Casa. Sono mesi che ci giro intorno, indecisa sul come e sul quando affrontare questo tema, e soprattutto sul chi scegliere come protagonista per questo nuovo racconto. Troppo defilati, questi Tassorosso, troppo schivi e poco conosciuti, e poi... un po’ troppo inclini a mantenere celato il loro fascino. La risposta, quindi, era ovvia: un Tassorosso interessante ci sarebbe, eccome se ci sarebbe. Cedric Diggory. Già: peccato, però, che il suddetto sia deceduto. E qui, primo grande problema: di scrivere storie lacrimevoli, non ne ho la minima voglia. E quindi, come fare? Scrivere una storia su un Cedric ancora vivo, già sapendo della sua triste dipartita? Non fa per me, grazie. Fermi tutti, però: questo è il Mondo Magico. E, a questo riguardo, la Rowling delinea un contesto post-mortem che può essere in qualche modo esplorato. Da qui, l’idea di ambientare la storia dopo la morte di Cedric, affidando al nostro sfortunato eroe giallonero una delicata missione. Ci sta? Forse no... ma ormai mi sono imbarcata e mi conviene remare.

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Capitolo 2
*** L'Esprit Nouveau. ***


2. L’Esprit Nouveau.

“Lo Smistamento è una cerimonia molto importante, perché per tutto il tempo che passerete qui a Hogwarts, la vostra Casa sarà un po’ come la vostra famiglia. Frequenterete le lezioni con i vostri compagni di Casa, dormirete nei dormitori della vostra Casa e passerete il tempo libero nella sala di ritrovo della vostra Casa.”(1)

Cedric sbattè nuovamente le palpebre e guardò il suo interlocutore.
Non era dunque alla casa dei suoi genitori che il Frate Grasso si riferiva, ma alla Scuola di Magia che qualsiasi ragazzo, dopo un po’ di frequenza, cominciava inevitabilmente a considerare casa sua. Nonostante avesse perduto completamente la nozione del tempo e, pertanto, non sarebbe stato in grado di dire da quanto tempo si trovava intrappolato in quella nivea copia della stazione di King’s Cross, Hogwarts gli mancava. E ancor più, gli mancava...
...beh, ma in fin dei conti il Frate aveva detto “ti riporto a casa” e, forse, quella locuzione l’aveva usata intenzionalmente, per alludere a quella che Cedric reputava essere la Casa con la C maiuscola: la Sala Comune del Tassorosso. Quello era, fra tutti, il luogo che gli mancava di più: perché lui, in quel comodo locale col soffitto a botte, reso accogliente dal tono rosso dei mattoni a vista, illuminato dalla luce dorata che filtrava dalle grandi finestre e rallegrato dalle belle piante coltivate dalla professoressa Sprite, ci aveva trascorso momenti indimenticabili; vi si era sentito al suo posto, era stato felice.
A questo pensava mentre, stando bene attento a non farsi lasciare indietro, seguiva il Frate Grasso lungo il corridoio principale della sfolgorante stazione. Dopo aver raggiunto l’atrio principale, anch’esso candido come la neve, il monaco si fermò davanti ad un complesso sistema di tubature arzigogolate.
- Che cosa sono?
- Tubi ad aria compressa.
Cedric fece tanto d’occhi.
- Ma tu non ti sai smaterializzare?
- Io sì – rispose il Frate Grasso – anche se, tecnicamente, nel nostro caso sarebbe più corretto dire “evaporare”.
- Ah, ecco.
- Tu sei un fantasma da troppo poco tempo; non ce la faresti. Oggi, in via del tutto eccezionale, usiamo questi – senteziò il Frate, indicandogli un foro ovale che immetteva nelle tubature. - Entra, svelto.
A Cedric parve strano che, anche per fare il fantasma, ci fosse qualcosa di nuovo da imparare; sotto sotto, però, la cosa gli piacque, perché era sempre stato un tipo curioso. Stava giusto per dirlo al Frate quando, con uno sgradevole rumore di lavandino sturato, il tubo lo risucchiò dentro.
In men che non si dica, i due ex Tassorosso affiorarono nei pressi di Hogsmeade.
Da là, un po' camminando e un po’ fluttuando – e facendo attenzione a non farsi travolgere dalle raffiche di vento che frustavano le rive del Lago Nero -, i due si avviarono su per il sentiero che conduceva ad Hogwarts.

Durante la Cerimonia di Smistamento, Cedric si era seduto vicino ai gemelli Weasley, che conosceva piuttosto bene perché la loro famiglia abitava nei pressi del villaggio di Ottery St. Catchpole, a poca distanza dalla casa dei suoi genitori.
Fred e George erano poi finiti a Grifondoro mentre Cedric, proprio come aveva previsto e sperato, era stato smistato in Tassorosso: la Casa cui era appartenuto anche suo padre. Chissà come sarebbe stato orgoglioso Amos Diggory quando lo fosse venuto a sapere! Cedric non stava nella pelle dalla voglia di mandargli subito un gufo per dargli la bella notizia; e si trovava ancora assorto nei suoi pensieri quando, una volta raggiunta la tavolata coperta da una bellissima tovaglia giallo-oro e sulla quale era disposto ogni Ben di Dio, due ragazze sorridenti lo avevano accolto con un gioioso benvenuto.
- Piacere! – lo aveva salutato una delle due, una graziosa studentessa anziana dall’aspetto esuberante, che faceva sfoggio di una curiosa massa di capelli color giallo canarino striati di nero e di una spilletta a forma di “P” appuntata sulla veste. – Io sono Dora, ma puoi chiamarmi Tonks. E questa – aveva proseguito, presentandogli la compagna - è Hestia, la nostra beneamata Caposcuola.
- Accomodati Cedric, e sii il benvenuto nella gloriosa Casa della divina Tosca! – aveva aggiunto Hestia, facendogli posto sulla panca.
Proprio lì accanto era seduto un ragazzino dall’aria mite e sveglia, che era stato smistato poco prima di lui.
- Ross Cadwallader – gli aveva questi, tendendo la mano per stringergliela.
- Cedric Diggory. Molto piacere.
Nel frattempo, lo Smistamento continuava.
- MacAvoy, Heidi.
- TASSOROSSO!
Con un gridolino di gioia, la bimbetta bionda si era avvicinata loro.
- Ce l’ho fatta Ross!... Tassorosso! Evviva!...
Cadwallader le aveva sorriso, allungandole una ruvida pacca sulla spalla che l’aveva quasi fatta volare via; poi, rivolgendosi a Cedric, aveva proceduto alle presentazioni (2).


- Cosa... cosa diavolo è successo al castello?
Cedric osservava attonito il profilo monco del Castello di Hogwarts, reso quasi irriconoscibile dalle ferite infertegli durante i combattimenti. L'antico maniero si presentava più dimesso e diroccato che mai: alcune parti, lo si vedeva, erano state ricostruite, ma all'appello mancavano numerose torri e pinnacoli mentre, sulle superfici murarie, si aprivano falle grosse come voragini.
- Una battaglia.
Il Frate Grasso mise su un'aria di estrema contrizione e, in un gesto di puro controsenso, si lisciò con cura le pieghe del saio logoro e macchiato.
- Beh, forse dovremmmo chiamarla "La Battaglia", se proprio vogliamo essere precisi. Harry Potter alla fine l'ha sconfitto, Lord Voldemort (Cedric fece un balzo all'udire quel nome), ma i segni della lotta si vedono ancora.
- Harry... ha s-sconfitto il Signore Oscuro?... Ce l'ha fatta? Quando è stato?...
- La primavera dell'anno scorso, ai primi di maggio - spiegò il Frate Grasso, per poi affrettarsi a raccontare al ragazzo tutto quello che si era perso.
Cedric era sbalordito.
- Quindi, ora siamo nel...?
- Nel 1999. Luglio 1999, per la precisione.
Cedric chiuse gli occhi, premendosi una mano tremante contro la bocca.
- Vorresti dirmi che... che...
- Sì, Cedric. Dalla tua morte sono già passati quattro anni.
Quattro anni.
Quattro anni spesi in inseguimenti inutili, passati a correre dietro ad un treno irraggiungibile in quotidiana partenza da un opalescente simulacro di stazione ferroviaria. Quattro anni di vuoto, di solitudine, di nulla.
La repentina presa di coscienza di tutta quella perdita di tempo, di quell'assenza di scopo, di quell'assoluta mancanza di un perché lo fece soffrire. Cedric si era sempre considerato una persona pratica, efficiente, concreta: uno cui piaceva agire e che, nella misura del possibile, amava fare le cose per bene. La consapevolezza di avere trascorso la bellezza di quattro anni a ripetere ogni santo giorno il medesimo e inutile gesto gli fece avvertire una fastidiosa stretta allo stomaco.
Inquieto, fece vagare lo sguardo sulle mura in rovina e sulle vecchie pietre che giacevano ai piedi dei bastioni: immobili e silenti, parevano immerse nel riposo dopo una rovinosa caduta.
- E come mai se Harry ha vinto, dopo più di un anno, il castello è ancora semidistrutto? - volle sapere, tanto per cambiare argomento.
- Lo stanno ricostruendo a poco a poco - rispose il Frate Grasso con un sospiro. - Purtroppo, però, le demolizioni da Magia Oscura sono dure a risanarsi perché, sotto sotto, continuano a covare, invalidando il lavoro dei magirestauratori. Lo scorso settembre le lezioni sono ricominciate regolarmente, ma ci si è dovuti accontentare dei ruderi.

Proprio come Cedric aveva sperato, il Frate Grasso lo condusse poi alla Sala Comune di Tassorosso. Data la posizione protetta, il locale si presentava miracolosamente integro.
La luce di fine pomeriggio filtrava attraverso le vetrate e inondava la Sala, facendo brillare le piastrelle di ceramica gialla e nera dei pavimenti e tingendo le pareti di mattoni di toni così caldi e accoglienti da scaldargli il cuore. Sotto i finestroni, proprio come ricordava, c'erano grandi vasche di coccio piene di piante e fiori magici dai colori vivaci. Nonostante l'emozione che lo pervadeva, però, Cedric non ebbe modo di guardarsi intorno con tutto l'agio che aveva desiderato perché, nonostante il periodo di vacanza, la Sala era gremita di gente.
Guardando bene, il ragazzo si accorse che non erano persone vive quelle che affollavano la Sala, ma un nutritissimo gruppo di spettri e fantasmi che fluttuavano e chiacchieravano. Lì per lì aveva creduto che si trattasse di uomini e donne in carne ed ossa; ai suoi occhi infatti, forse per il fatto che ormai apparteneva anche lui al mondo dei morti, quegli spiriti apparivano molto più nitidi e palpabili di quanto non gli fossero sembrati quando era vivo. Aguzzando la vista, il giovane Tassorosso ne riconobbe diversi.
Pix il Poltergeist aleggiava rasente il basso soffitto a volta e molestava i presenti con canzonacce indisponenti.
In un angolo, Cedric vide Sir Nicholas de Mimsy-Porpington, il fantasma ufficiale di Grifondoro, che veniva apostrofato da uno spettro in armatura appena smontato da un cavallo-fantasma bardato a festa.
- Nicholas, vecchio mio! Come vanno le cose? Mi sembri un po' sbiadito, quest'oggi - esordì il cavaliere sollevandosi la testa mozzata dal collo, a mo' di cappello.
- Quello è Sir Patrick Delaunay-Podmore - spiegò il Frate Grasso a Cedric, accorgendosi che il ragazzo aveva assistito alla scena. - Nick lo detesta per quella vecchia storia del Torneo dei Senza Testa. Anyway - continuò il fantasma, preferendo sorvolare su ulteriori dettagli. - Ecco: come vedi, oggi ci sono proprio tutti.
- E come mai?
- Fra poco avrà luogo un'importante riunione - rivelò il Frate, assumendo un'aria misteriosa. - La Signora ha ordinato che tutte le Entità di Hogwarts, o in qualche modo ad essa legate, fossero presenti.
- La Signora?
- Oh, sì. È estremamente puntuale, sai; quando giunge l'ora, lei è sempre...
Ma prima che il Frate potesse proseguire nel racconto, una forma scura in rapido avvicinamento richiamò l'attenzione del ragazzo. Si trattava di una giovane fantasmina in divisa scolastica, bruttina, occhialuta e in assoluto brodo di giuggiole che, senza fare cerimonie, gli si gettò addosso con la grazia di un Bolide, per poi appiccicarglisi al braccio. Quell'inaspetatto contatto lo sorprese molto: in qualità di fantasma, Cedric si sarebbe aspettato che lei gli passasse doppiamente attraverso; la presa della giovane sul suo gomito, invece, era estremamente solida.
- Cedric Diggory! È dai tempi del nostro ultimo bagno insieme che non ti vedo!...
- Insieme?!... Io non ho mai... Ehi! - protestò Cedric, tentando invano di scrollarsela di dosso. - Mi hai... mi hai spiato mentre facevo il bagno?!
- Oh, solo un paio di volte - rise lei, facendo turbinare i codini come se nulla fosse.
- Ma... ma signorina Malcontenta! - il Frate Grasso era indignato - le sembrano questi i modi?
- Cedriiiiic Diggoooooryyyyy!!! - continuava a cinguettare il vivace spiritello, senza mollare la presa - QUI!!!. In spirito e antimateria, per Morgaaaana!...
Cedric era esterrefatto.
Tutto si sarebbe aspettato dalla morte, tranne che la possibilità di imbattersi in un ectoplasma assatanato. Per sua fortuna, una voce morbida e armoniosa dalla dizione un po'antiquata intervenne interrompendo l'indegna tenzone.
- Salute, Messer Frate - disse la Dama Grigia, rivolgendo a Cedric uno sguardo curioso. - Chi ci porti, oggidì?
Il ragazzo le sorrise, impacciato. Helena Corvonero era bella, bella di una bellezza sfolgorante; questo lo pensavano tutti e Cedric aveva avuto modo di accorgersene anche quando era vivo. Questa volta però, forse per il fatto che, essendo lui stesso un fantasma, riusciva a vederla meglio di quanto non gli fosse stato possibile in passato, l'impatto fu tale da travolgerlo come una bordata di spuma di mare e lasciarlo leggermente boccheggiante.
- Questo è uno dei miei studenti migliori - rispose per lui il Frate Grasso, pomposo, mentre Cedric, leggermente imbarazzato dopo essersi divincolato dalla delusissima Mirtilla, si chinava a baciare la mano affusolata della Dama. In vita non gli sarebbe stato possibile; probabilmente, quel contatto gli avrebbe tutt'al più procurato un brivido gelido. Da fantasma, invece, la percezione fu più concreta e reale; il ragazzo sentì il peso leggero della mano della Dama sulla sua e avvertì perfino un lieve tepore sotto le labbra quando queste sfiorarono la sua pelle eterea.
- Cedric Diggory... per, ehm... per servirla, signorina.
- Oh - si compiacque lei, sorridendo soavemente e guardandolo con fare di approvazione. Infilato in quella maglia giallonera un po' retrô, il ragazzo aveva il preciso aspetto di un attraente paggio da torneo medievale. - Un giovine educato, vedo, e distinto assai.
E mentre Cedric, confuso, stava per ribattere qualcosa di probabilmente molto sciocco e inopportuno - qualcosa che, probabilmente, le avrebbe subito fatto cambiare idea su di lui -, un fastidioso clangore di catene lo interruppe, facendogli venire la pelle d'oca.
Il Barone Sanguinario si era avvicinato e lo guardava accigliato. La Dama Grigia, infastidita, mollò la mano di Cedric, diede loro le spalle e fluttuò via.
- Un ragazzo giovane, prestante e di bell'aspetto - commentò lo spettro, girandogli intorno e scrutandolo sospettoso. - Che ci fa qui, costui?
- Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare (3) - rispose il Frate Grasso, con un'alzata di spalle.
- Ossia? - chiese il Barone, arcigno.
Cedric era a disagio; quel fantasma Serpeverde non gli era mai piaciuto, gli faceva venire i brividi. Il sangue argentato che chiazzava il giustacuore aveva un aspetto raccapricciante e oltretutto, ai suoi nuovi occhi di fantasma, appariva insolitamente vivido.
- Sua Eminenza vuole dire - s'intromise quel guerrafondaio di Sir Nicholas, che col Barone non era mai andato troppo d'accordo e che, evidentemente, aveva un diavolo per capello in seguito all'incontro con Sir Patrick - che non-sono-cazzi-tuoi.
Il Barone Sanguinario andò su tutte le furie.
- Ma come ti permetti, razza di fellone dalla gorgiera rinforzata!?...
- Non farci caso, mio caro ragazzo - disse Nick in tono confidenziale a Cedric, che lo guardava sorpreso per il suo linguaggio sì moderno. - È solo geloso di Helena; una vita fa ha perso la testa per lei, sai com'è.
- Beh, io almeno - lo provocò l'altro, soffiando fuori uno sbuffo d'aria gelida - la testa l'ho saputa perdere ben bene; tu, invece...
Prima di avere il tempo di vedere Sir Nicholas avventarsi sul Barone agitando un guanto spelacchiato con il quale aveva intenzione di schiaffeggiarlo, Cedric sentì che qualcuno gli stava tirando timidamente la manica e, incuriosito, si voltò.
In piedi davanti a lui, due ragazzini biondi e semitrasparenti: molto simili fra di loro, erano ancora vestiti con la divisa del Grifondoro e lo guardavano ammirati. Uno dei due teneva in mano una vecchia Polaroid dall'aria di chi ha conosciuto tempi migliori.
- Prefetto Diggory - iniziò quello in possesso della macchina. - Mi chiamo Colin Canon. E questo - aggiunse, mentre l'altro ragazzino annuiva vigorosamente - è mio fratello Dennis.
Cedric li guardò meravigliato, chiedendosi che cosa diavolo ci facessero due ragazzi tanto giovani fra le fila dei defunti. Poi, memore del racconto del Frate Grasso, concluse che i due avevano probabilmente perso la vita durante la Battaglia di Hogwarts, cosa che lo addolorò tantissimo.
- Ti abbiamo visto giocare tante volte: siamo tuoi fan! - affermò Dennis Canon, entusiasta. - La faresti una foto con noi?
- Oh, beh...
- Non si fa mica tutti i giorni una foto con il Cercatore che ha soffiato il boccino ad Harry Potter - chiosò Colin piazzandoglisi a fianco e mettendosi a sua volta in posa. La Polaroid fantasma fece un paio di giravolte nell'aria e poi, profondendosi in un flash che illuminò a giorno l'intera Sala Comune, scattò la foto.
- Io non ho soffiato... - cominciò a dire Cedric, che detestava sentirsi ricordare quell'episodio.
- Oh, ecco che esce! - esclamò allegramente Dennis, afferrando al volo la fotografia che veniva sputata fuori dall'arcaico apparecchio. Qualche secondo dopo, l'immagine cominciò ad affiorare sulla superficie, che aveva l'aspetto di un lucido foglio di carta da forno.
Cedric sbirciò oltre le teste dei due fratelli, che parlottavano in apparente visibilio.
- Ma... ma qui non si vede niente - osservò, visto che sulla carta era rimasta impressa soltanto l'immagine del divanetto giallo senape posizionato alle loro spalle.
- Ma infatti è proprio così che deve uscire - replicò Dennis. - Cosa ti aspettavi? Siamo fantasmi: mica usciamo nelle foto, noi. - E così detto, si affrettò a scribacchiare qualcosa nel rettangolo in bianco riservato alle didascalie. Guardando di nuovo, Cedric vide che il ragazzino aveva scritto: "Il divanetto della Sala dei Tassorosso il giorno in cui abbiamo conosciuto Cedric Diggory".
- Senti, Diggory - gli propose Colin con un sorriso. - Hai da fare stasera? Io e Dennis vogliamo fare un salto al cinema di Fulham, più tardi. Serata horror!...
Cedric non era propriamente dell'umore adatto per andare al cinema, anche se in effetti era una vita che non lo faceva (ma per Tosca! Doveva smetterla di ragionare in quei termini!); tuttavia, capì che Colin Canon voleva solo essere gentile. Oltretutto, gli parve interessante scoprire che tipo di film venisse catalogato come "horror" da parte di un fantasma e così, per pura buona educazione, gli domandò:
- Ah sì? E che film danno?
- Il remake degli Acchiappafantasmi... roba assolutamente da brivido!...
Cedric rimase di stucco; non sapeva se accigliarsi o ridergli in faccia.
Nel frattempo, in sottofondo, Sir Nicholas e il Barone Sanguinario continuavano a litigare, fra urlacci e scrollate di catene, scambiandosi insulti, e forse sarebbero andati avanti ad aeternum (in fin dei conti, il tempo ce l'avevano tutto) quando qualcosa li interruppe.
Di punto in bianco, un silenzio di tomba (e Cedric, ancora una volta, non poté pare a meno di considerarla una definizione azzeccata, per quanto piuttosto macabra) calò sulla Sala. I fantasmi erano improvvisamente ammutoliti ed ora se ne stavano immobili, senza osare fluttuare via dal loro posto o permettersi di dare quantomeno una timida tremolatina. Pix aveva chiuso la bocca e guardava verso il camino con fare deferente; il Barone, contrito, teneva le catene strette fra le lunghe dita, per impedir loro di produrre anche solo un lieve tintinnio.
Cedric si guardò intorno, un po' spiazzato; fissò a sua volta il camino davanti al quale, tante volte, aveva agitato le dita intorpidite dal freddo e, invece di sentirsi pervadere dalla ben nota sensazione di accogliente calore, si sentì raggelare.
Da sotto la cappa decorata di maioliche gialle e nere aveva appena fatto capolino una donna pallida ed elegante, abbigliata con un completo nero che a Cedric ricordò vagamente le divise indossate dai controllori dei treni.
Non ci fu bisogno di particolari presentazioni perché il ragazzo capisse di chi si trattava.
L'aveva riconosciuta subito.
Altera e silenziosa, la Signora era arrivata.

Note a piè di pagina:
1) La citazione in corsivo riportata all’inizio è tratta da Harry Potter e la Pietra Filosofale.
2) Heidi MacAvoy e Ross Cadwallader sono studenti di Tassorosso citati nei libri della Saga. Heidi l’ho scovata in una lista di studenti del Tassorosso (probabilmente priva di grandi fondamenti dato che non sono mai riuscita a capire in che punto è citata); il nome però mi piaceva troppo (aw), e quindi l’ho adottata così com’è. Cadwallader compare nel Principe Mezzosangue nei panni di Cacciatore, durante una partita commentata da Luna, che non ricorda il suo nome e lo chiama Bibble e Buggins prima di venire corretta da Minerva McGranitt. Stando a questo, dovrebbe avere un anno in meno rispetto a Cedric ma, visto che anche il suo nome mi piaceva, mi sono presa una licenza e l’ho leggermente invecchiato.
Più avanti capiremo il perché della loro presenza nelle vicende narrate.
3) La risposta del Frate Grasso riprende le parole pronunciate da Virgilio, accompagnatore di Dante nella Divina Commedia, nell'Inferno e nel Purgatorio. Mi andava troppo di usare questa frase XD. In ogni caso, credo vada precisato che la gelosia del Barone non è qui del tutto ingiustificata dato che, nel mio personalissimo headcanon, Helena Corvonero nutre una spiccata preferenza per i giovani di bell'aspetto - e a questo riguardo Cedric, lo sappiamo, non lascia certo a desiderare.
4) Il titolo di questo capitolo è un omaggio a Le Corbusier, uno dei più geniali architetti di tutti i tempi, che scriveva articoli per una rivista chiamata, per l’appunto, L’Esprit Nouveau (lo Spirito Nuovo).

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Capitolo 3
*** Il Giorno del Giudizio. ***


3. Il Giorno del Giudizio.

"Senza gambe e senza ossi:
chi è che salta i fossi?"(1)


I begli occhi dal taglio allungato, vividi e brillanti come liquirizia, fremettero un po'emozionati mentre le pupille della ragazza si fissavano nelle sue.
Cedric, in piedi davanti a lei, avvertì una curiosa impellenza di mettersi a fare le fusa, e questa cosa lo fece sentire un po' sciocco. Ma non poteva negare di essere felice, molto felice.
Felice e sollevato per il fatto di averla nuovamente lì con lui.
Eh sì che Roger Davies lo aveva avvisato.
L'anno prima, a pochi giorni dall'inizio del campionato, il Capitano della squadra di Corvonero e suo buon amico gli si era avvicinato durante l'intervallo mentre lui si trovava in compagnia di Heidi e Ross, impegnato con loro in una discussione sul nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, un tipo dall'aspetto assai dimesso ma che, in compenso, sembrava sapere il fatto suo.
Anche quel giorno Davies, come suo solito, non era solo: accanto a lui c'era una ragazza che, ad un'occhiata veloce, gli era sembrata molto carina. Cedric però, lì per lì, non ci aveva fatto molto caso: il fatto che Davies si accompagnasse ad una bella ragazza, infatti, rientrava nella norma più assoluta. E così, un po' per discrezione e un po' per rispetto, aveva evitato di guardarla con troppa insistenza.
Inaspettatamente, però, Roger aveva rotto gli schemi.
- Salute a te, esimio Diggory - aveva esordito, cingendo col braccio le spalle della sua accompagnatrice, che era più bassa di lui di tutta la testa. - Sono venuto a presentarti una persona che quest'anno, sul campo, ti darà del filo da torcere.
Era stato solo a quel punto che Cedric, incuriosito, l'aveva messa davvero a fuoco.
A prima vista, la nuova Cercatrice del Corvonero gli era parsa eccezionalmente graziosa, con quel suo sguardo acuto ed il sorriso vagamente impertinente che le increspava le labbra sottili.
Cedric era rimasto fermo per qualche secondo a fissarla, incantato, mentre Davies ridacchiava divertito e Heidi, alle sue spalle, soffiava qualcosa che suonò simile a "Razza di babbeo". Lui, però, non se n'era curato: aveva scosso la testa e sorriso a sua volta alla ragazza, per poi tendere la mano e stringere quella candida e delicata di lei, così minuta da scomparire nella sua, eppure capace di applicargli una stretta franca e vigorosa.
Quando, qualche mese dopo, se l'era trovata davanti sul campo da gioco, Cedric aveva dovuto constatare che Davies aveva detto il vero. Cho Chang, oltre che dannatamente carina, era anche molto, molto abile sulla scopa e lui, un po' stordito, aveva dovuto dare fondo a tutte le sue competenze per riuscire ad acchiappare il boccino prima di lei.
Le cose erano andate avanti piano piano.
Tutte le volte che Cedric la incontrava in giro per i corridoi della scuola si tratteneva, dapprima timidamente e poi in modo via via più sciolto, a scambiare con lei due parole, che poi erano diventate quattro, poi, sedici, poi cento, poi mille.
Si erano rivisti durante l'estate, in occasione della Finale della Coppa del Mondo di Quidditch, alla quale avevano assistito insieme. E quella era stata per lui una serata di grande gioia: entrambi avevano tifato e vibrato, incantati dalle gesta di Viktor Krum e aizzati dalle cascate di adrenalina che, letteralmente, irroravano lo stadio.
Ogni tanto Cedric, con la coda dell'occhio, le lanciava una rapida occhiata, distratto, come se il vero spettacolo di quella sera fosse in atto al suo fianco, e non davanti ai suoi occhi. Cho Chang era assolutamente incantevole, così vivace e scalmanata, con quei suoi lucidi capelli d'ebano che brillavano come dischi di vinile alla luce dei riflettori.
Si sentiva felice, immensamente felice di averla lì, eppure non sapeva bene che cosa dirle, se azzardarsi a rivelarle qualcosa o starsene zitto.
Abituato a comportarsi in modo pratico e obiettivo, Cedric si sentiva sciocco e vulnerabile, tremendamente fuori posto, impacciato e inadeguato, assolutamente inconsapevole di essere un tipo
popolare.
Qualcosa, però, gli aveva dato speranza.
Quando Cedric era stato scelto come Campione per rappresentare Hogwarts al Torneo Tremaghi, Cho aveva reagito in modo inaspettato. Invece di complimentarsi con lui, come facevano tutti gli altri, la ragazza lo aveva colto di sorpresa rivolgendogliparole allarmate.
"Non mi va che tu corra dei rischi" gli aveva detto abbracciandolo di slancio, cosa che non aveva mai fatto; e quella frase e quel gesto, così spontanei, gli si erano conficcati nel cervello.
Cho, quindi, si preoccupava per lui. Che fosse un segnale di...?
Cedric ci aveva rimuginato incessantemente per settimane, giorno e notte, senza trovare il coraggio di chiederle spiegazioni.
Alla fine però, quando ai Campioni era stato chiesto di trovarsi un accompagnatore per il Ballo del ceppo, Cedric aveva deciso di prendere il toro per le corna. L'aveva raggiunta fuori dalla classe di Incantesimi e, sforzandosi di ignorare gli sguardi curiosi e le risatine delle sue amiche, aveva stretto i pugni e l'aveva invitata.
E lei, con sua somma gioia, aveva accettato, e finalmente, dopo quella sera, le cose fra di loro erano cambiate.
- Ced.
La voce di Cho lo distolse dai suoi pensieri, riportandolo al presente.
Cedric le sorrise, carezzandole delicatamente la fronte per tirarle indietro la frangetta ancora bagnata, immensamente sollevato nel vederla in salvo su quel pontile fluttuante gremito di gente. Quando, quel mattino, gli era stato detto che Cho era sparita, si era sentito morire. Si era sentito in colpa, responsabile per averla inconsapevolmente incatenata alle dinamiche perverse di quell'inquietante Torneo; proprio lei che, saggiamente, gli aveva esposto i suoi dubbi e i suoi timori fin dall'inizio.
- Grazie per avermi riportata su...
Il senso delle parole cantate dalla sirene gli parve allora più lampante che mai:
"...e mentre cerchi,
sappi di già:
abbiam preso Cho
che ti mancherá..."
Quel "ciò", poteva essere soltanto Cho: era lei, e non un aleatorio oggetto o una persona qualunque, che gli sarebbe mancata troppo se non avesse più avuto modo di rivederla. E così, pur non essendo mai stato un esibizionista, Cedric la abbracciò stretta e, incurante della folla vociante e festosa che li circondava, la baciò con tutto l'ardore e l'affetto di cui era capace.

Con un gesto elegante, la donna in nero scivolò fuori dalla cappa e ristette, immobile, scrutando i presenti.
I fantasmi non osavano muoversi; le loro sagome traslucide, investite dagli ultimi raggi di sole che inondavano lo stanzone, vibravano incerte.
La Signora non era venuta sola.
Dal camino alle sue spalle, si affacciò immediatamente un'altra figura, scura e inquietante, che si affrettò a seguirla all'interno della Sala.
Cedric la guardò appena, e ciò fu sufficiente perché lo sgomento lo pervadesse per intero: si trattava di una sagoma umana dai lineamenti indefiniti e indistinguibili, un viso senza volto con la precisa consistenza del vuoto, dell'antimateria, una specie di buco nero dal profilo antropomorfo. In uno scioccante controsenso tutto, nella sua presenza, comunicava assenza, indefinizione, astrazione capace di indurre alla pazzia per eccesso di oblio.
Uno spesso strato di forme lucide e scure che si agitavano incessantemente si riversò fuori dal camino andando ad annidarsi intorno a quelli che dovevano essere i suoi piedi; guardando bene, Cedric si accorse - con immenso raccapriccio - che si trattava di bisce lunghe, apparentemente cieche e dall'aspetto umidiccio, impegnate in un rivoltante ed affannoso moto perpetuo che le spingeva ad aggrovigliarsi continuamente le une alle altre.
Tutt'intorno, i fantasmi presero ad agitarsi e a tremolare, spaventatissimi e concitati; e osservando a sua volta quella tetra figura e il suo macabro seguito, il ragazzo non ebbe alcuna difficoltà a comprenderne il perché.
Chi diavolo era quella... quella cosa, e perché si trovava lì?
Si udì un discreto colpetto di tosse, basso basso ma sufficiente per zittire ogni brusio.
E così, ristabilito il silenzio, la Signora parlò.
- Il tempo è tiranno - esordì, altera. La sua voce era bassa e graffiante, ma non spiacevole. - La Signora, tuttavia, è puntuale e sempre si presenta quando l'ora giunge. Chi si azzarda a farla aspettare, pertanto, verrà severamente punito.
E mentre Cedric cominciava ad avvertire una fastidiosa sensazione di disagio, la Morte si rivolse alla sagoma scura che, silenziosa, aspettava pazientemente alle sue spalle.
- Presentati - gli ordinò, altera.
- Io sono il Buio - rispose costui; la sua voce era simile ad un rantolo basso, ad un soffio insidioso che fece fremere d'orrore i poveri spettri presenti nella Sala. Le maioliche gialle e nere che adornvano il camino e che, solitamente, rilucevano vivaci, sembravano ora spente ed inerti.
- E dicci - continuò la Signora, gelida. - Che cosa sei venuto a fare?
- A prendere il ragazzo - soffiò minaccioso il Buio, mentre i viscidi rettili ai suoi piedi si contorcevano in un'orrenda danza di anelli nerastri. Srotolate le spire, quei disgustosi esseri si diressero verso Cedric facendo saettare le lingue biforcute come a saggiare l’aria, insidiosi; il ragazzo indietreggiò freneticamente, all’apice dell’orrore, ma quelli ormai lo avevano puntato e gli si avvicinavano strisciando, inesorabili.
Molto probabilmente, nel giro di pochi istanti, lo avrebbero raggiunto; all'improvviso, però, uno splendido Tasso dalla pelliccia argentata sbucò dal camino ringhiando: veloce come un lampo, sfoderò gli unghioni e si lanciò fra le bisce, che si dispersero sibilando in un raccapricciante groviglio di lucide spire.
- Calma, Pagú.
Il Tasso si arrestò, richiamato da una voce soave che, rivolgendosi al Buio con tono di sfida, soggiunse:
- Dì ai tuoi animaletti di starsene buoni: il mio Tasso ha molta fame, quest'oggi.
Cedric guardò in avanti, in cerca della fonte di quel suono armonioso. Da sotto la cappa del camino era appena comparsa una Dama bellissima, sorridente e florida.
Una coroncina di bottondoro le adornava i capelli scuri e brillava come metallo lucente; il suo sorriso era candido e radioso. Indossava un abito di fattura antica dal generoso scollo quadrato, di seta gialla e calda come il sole, cangiante come i riverberi della luce quando essa viene scomposta da un cristallo.
Era così bella e luminosa che Cedric non riusciva a smettere di guardarla; alla sua destra, il ragazzo udì distintamente il Frate Grasso che tratteneva il fiato per poi sussurrare emozionato:
- Ooooh...
La Dama in giallo gli indirizzò un grazioso cenno di saluto e guardò Cedric con fare rassicurante. Poi, schiaritasi la voce, si rivolse alla Signora, che la scutava impassibile:
- Cedric Diggory è sempre stato un ragazzo ligio e diligente, un meritevole rappresentante della mia Casa. Se non è riuscito ad andare avanti, la colpa non è certo sua.
- Che cosa vuoi dire con questo, Madama Tassorosso? - le chiese la Signora, altera.
Cedric, lì per lì, trasecolò: avrebbe dovuto arrivarci da solo... il ragazzo sentì il cuore che accelerava furiosamente all'interno del suo petto immateriale, enormemente emozionato nell'apprendere che la saggia Fondatrice in persona si era scomodata per intercedere in suo favore.
- Il 24 giugno 1995 – la incalzò la Morte - costui ha lasciato il regno dei vivi, in seguito ad un fatale colpo di magia oscura. Ricordo ancora il luogo esatto, avendolo assiduamente frequentato nel corso dei secoli; si trattava del cimitero di Little Hangleton: uno scenario, fintanto, di raccoglimento e di pace.
Nessuno fiatò: i fantasmi pendevano letteralmente dalle sue pallide labbra.
- Mi recai, come mio solito, incontro al defunto per portarlo con me: la sua ora era giunta ed io, come sempre, mi presentai puntuale.
- Povero, povero ragazzo... – si lascò sfuggire il Frate Grasso, sinceramente dispiaciuto. – Quanta crudeltà!...
- Silenzio, Frate Grasso – lo ammonì la Signora, severa. – La Morte non è buona né cattiva, ma semplicemente giusta e ineluttabile.
- La colpa non è sua, però – affermò nuovamente Tosca Tassorosso, in modo deciso.
- Spiegati meglio.
- Prior Incantatio.
Dopo aver pronunciato quelle due semplici parole, la Dama si guardò intorno con calma, per poi proseguire nella spiegazione.
- L'anima di Cedric, subito dopo essere stata brutalmente separata dal corpo, è stata trattenuta sulla terra perché le bacchette di Harry Potter e di Tom Riddle sono entrate in contatto, bloccandolo per qualche istante in un illusorio mondo dei vivi.
- Cosicché...
- Cosicché - concluse lei con un sorriso malinconico - quanto tu, o nera Signora, sei arrivata a Little Hangleton, non l'hai trovato; in seguito, poi, quella manciata di secondi di ritardo gli ha impedito di raggiungere il treno diretto avanti.
Dall'auditorio si sollevarono numerose esclamazioni di sorpresa.
Un brusio eccitato percorse la Sala; tutti i fantasmi si voltarono a guardare il ragazzo, curiosi di saperne di più. Cedric deglutì, nervoso.
- Restano però questioni in sospeso - osservò la Morte, sollevando un sopracciglio.
- Nessuno lascia il mondo completamente privo di debiti, suvvia.
- Vero è, Madonna Tosca. - ammise la Signora, dopo una breve pausa. - Quando non gravi, però, questi debiti vengono solitamente saldati nell'atto del trapasso. Tuttavia, dal momento che il trapasso effettivo di Cedric Diggory non è mai avvenuto, gli obblighi che ancora lo legano alla vita terrena rimangono tali.
Madama Tassorosso assentì vigorosamente.
- Certo, ma sono sicura che Cedric sarà in grado di onorarli. Concedigli la possibilità di dimostrartelo: conosco uno ad uno i membri della mia Casa e in assoluta buona fede ti dico che questo ragazzo non avrebbe mai, mai temporeggiato di sua spontanea volontà.
- Non è quanto allegano da sotto, purtroppo.
- Sarebbe a dire?
- il tono di Tosca si fece tagliente.
- Il ragazzo ha fallito nell'impresa, e ciò mi pare sufficiente ad attestare la sua mala fede – sentenziò il Buio, in un rantolo glaciale. - Come da statuto, ora appartiene a noi.
La Dama Tassorosso non parve per nulla impressionata e di voltò verso di lui, indirizzandogli un sorriso di scherno.
- Voglio proprio vedere - esclamò, polemica. - Cedric è nato per essere un Campione e, te lo garantisco, nella vita o nella morte, la sua sorte sempre la stessa sarà.
- Ti prendi gioco di me - replicò quello, insidioso, additando le bisce. - Riderai meno, forse, quando il tuo protetto si trasformerà in una di loro.
Tosca gli rise in faccia.
- Dubito che ciò accadrà, caro mio. La questione è ormai risolta, direi. Cedric salderà i suoi debiti; dopodiché, finalmente, potrà andrare avanti.
- E allora, se tanto ne sei sicura - la provocò il Buio, subdolo - ti propongo un baratto.
Sulla Sala Comune calò nuovamente il silenzio.
- Parla, orsù - lo esortò la Morte, facendosi attenta.
- Il mio Signore e Padrone, come ben sapete - cominciò quello, radunando ai suoi piedi le povere bisce - è un sopraffino collezionatore di anime rare e pregiate, con una spiccata predilezione per gli spiriti di maggior rilievo. Fra i quali figurano, fra l'altro, - aggiunse, occhieggiando all'indirizzo di quattro soggetti ben precisi che, nell'accorgersene, rabbrividirono - i qui presenti Fantasmi Ufficiali delle Quattro Case.
Sir Nicholas e il Barone, attoniti e ammutoliti, si scambiarono uno sguardo preoccupato.
- E dato che - continuò il Buio, con voce sepolcrale - i suddetti hanno già da tempo fatto richiesta di andare avanti, e che tale permesso è stato loro accordato, resta solo da decidere quale sarà la loro destinazione finale.
Helena Corvonero si lasciò sfuggire un gemito e dovette appoggiarsi al Frate Grasso, che si affrettò a sorreggerla.
- Il Monaco Panciuto, o che dir si voglia, è praticamente salvo. I peccati di Sir Nicholas de Mimsy-Porpington, parimenti, sono di blanda entità. Gli altri due, invece - sibilò il Buio, rivolgendosi al Barone e ad Helena, che lo fissavano inorriditi - hanno conti in sospeso praticamente insolubili.
- Non vedo come ciò c’entri con la sorte di Cedric – replicò Tosca, sospettosa.
- Da quanto è stato detto – continuò il Buio, con lentezza esasperante – si evince che Cedric Diggory non avrà modo di andare avanti finché non avrà estinto i suoi debiti terreni.
- Vero è - concordò la Signora, mentre Tosca stringeva le labbra.
- E sempre da quanto mi risulta consultando le bolle dei debiti- proseguì il Buio, voltandosi adagio verso la platea, che rabbrividì all'unisono - le questioni in sospeso di Diggory coinvolgono in modo indiretto la redenzione dei fantasmi delle Quattro Case.
Gli interpellati si guardarono l'un l'altro, incerti.
- Stando così le cose - concluse il Buio, dopo una pausa ad effetto che parve durare un'eternità - vi propongo questo patto. Se Cedric Diggory, con l'aiuto di Sir Nicholas, del Barone Sanguinario, di Donna Helena e di Sua Eminenza, riuscirà a saldare i suoi debiti, sarà salvo dalla dannazione e, come effetto ampliato, salverà anche coloro che lo aiuteranno.
- Altrimenti? - domandò Madama Tassorosso, stringendo gli occhi. Acciambellato ai suoi piedi, Pagù annusava l'aria e ringhiava piano, in un sordo brontolio sommesso.
- Altrimenti, buoni o cattivi, innocenti o peccatori che siano, me li prendo tutti io.

Note a piè di pagina:
1) Citazione tratta da La compagnia dei Celestini di Stefano Benni.
2) Non siamo abituati ad una Cho vivace e reattiva perché, nella saga, la cercatrice di Corvonero ci viene presentata soprattutto nel quinto libro, quando ormai il fattaccio di Cedric è avvenuto. Ho spesso riscontrato un certo astio nei confronti di questa ragazza che, effettivamente, non pare eccellere per fermezza e determinazione; non nego di averla io stessa trovara irritante, ma mi sono fermata a pensare a come avrei reagito, io, se mi avessero ammazzato il fidanzato. E così, a forza di rimuginarci, mi sono messa in testa che Cho, prima dell'accaduto, fosse una ragazza allegra e impavida, e che sia diventata malinconica e "piagnucolona" come (tutto sommato comprensibile) reazione alla morte del suo ragazzo.
3) Verso originale contenuto nell' canzone dell'uovo: "...e mentre cerchi, sappi di già: abbiam preso ciò che ti mancherà" (HP 4).

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Capitolo 4
*** Seduta Spiritica. ***


4. Seduta Spiritica.

"Sorria e abraça os teus pais enquanto estão aqui
Que a vida é trem-bala, parceiro
E a gente é só passageiro prestes a partir." (1)

Mi lascio alle spalle il villaggio, i cui tetti di paglia somigliano ad enormi gatti addormentati sotto il sole ardente, così inusuale qui da noi. Ottery St. Catchpole è deserta quest'oggi: sono tutti in vacanza, o chiusi in casa a farsi un riposino per riprendersi dal troppo calore. Luglio è ormai inoltrato; la campagna rivestita d'erba verde smeraldo frinisce intorno a me mentre, abbandonata la strada principale, imbocco il viottolo che conduce al cimitero.
Un po' ansimante raggiungo l'entrata e spingo con la mano il cancelletto di ghisa, che si apre cigolando. Sotto i miei piedi, la ghiaia del vialetto scoppietta sommessamente. Le lapidi ricoperte di licheni sembrano seguirmi con lo sguardo mentre passo; questo luogo, come tutti i cimiteri, è intriso di pensieri, di ricordi, di magia allo stato puro.
Sospeso al di sopra di una tomba poco lontano, sulla destra, il pallido fantasma di una donna con una parrucca vittoriana, appena appena visibile nell'aria immobile e rovente di questo pomeriggio d'estate, si volta verso di me e mi rivolge un rapido cenno di saluto.
Mi conosce bene, ormai.
Perché sono già quattro anni, figlio mio, che te ne sei andato.


Nella sala Comune di Tassorosso regnava il caos più totale; mai, in vita sua, Cedric avrebbe pensato che un gruppo di spiriti, per quanto numerosi, sarebbe stato capace di produrre tutto quel frastuono.
La Signora e il Buio, con il suo strisciante seguito, se n'erano andati da un pezzo; Tosca Tassorosso, invece, si era appena ritirata.
"Devi assolutamente scoprire quali sono i tuoi conti in sospeso, Cedric" gli aveva detto. " Io credo di conoscerli perché, alla fin fine, gli esseri umani si somigliano tutti, ma la Morte mi ha proibito di rivelarteli".
"Non avevo neanche diciott'anni, Madonna Tosca" le aveva risposto lui "di conti in sospeso devo averne lasciati a decine..."
"Suvvia, Cedric" nonostante la gravità della situazione Tosca aveva riso, rassicurandolo con dolcezza. "Ricorda: si tratta di questioni che si collegano ai peccati dei Quattro Fantasmi; parla con loro e vedrai che riuscirai a ricostruirli facilmente. Ne va della tua salvezza... e anche della loro!"
Lui le aveva allora rivolto uno sguardo risoluto.
"È ora di rimboccarsi le maniche!..."
"Bravo! Questo è l'atteggiamento di un vero Tassorosso" aveva approvato lei, mentre i fratelli Canon, che si erano avvicinati silenziosamente, si prodigavano in un applauso entusiasta.
"Io ora devo andare, Cedric" la Fondatrice si era alzata in piedi, lisciandosi le pieghe dell'ampia gonna gialla come il sole. Poi, dopo aver carezzato le morbide orecchie del suo fedele Tasso, aveva aggiunto: "Ti lascio Pagú, per ogni evenienza. Come hai avuto modo di vedere tu stesso, va matto per le bisce!"

- Secondo me è meglio cominciare da Nick e lasciare il Barone per ultimo - suggerì Colin con tono competente; Cedric non gli aveva chiesto alcun parere, ma il ragazzino sembrava eccitatissimo all'idea di partecipare ad una missione.
- E soprattutto - aggiunse suo fratello Dennis, abbassando la voce - occhio alla Dama Grigia.
- Perché? - si stupì Cedric, che l'aveva trovata assolutamente educata e signorile. - È un tipo bizzoso?
- Lei no - s'intromise il frate Grasso che nel frattempo, dopo aver sussurrato qualcosa all'orecchio di Sir Nicholas, li aveva raggiunti caracollando. - Ma il Barone si adira quando la vede conferire con i giovani di bell'aspetto, vivi o morti che siano.
Cedric sbirciò di sottecchi Helena Corvonero che, ancora tremante, esponeva le sue rimostranze ad un sussiegoso Sir Patrick, mentre il Barone la osservava da lontano con fare accigliato. Anche spaventata e scomposta era eccezionalmente brlla e fulgida, tanto che Cedric dovette sbattere un paio di volte le palpebre prima di riuscire a guardare altrove.
- Io direi - disse allora al Frate Grasso, imponendosi di recuperare la concentrazione - di cominciare da te. Perché non sei andato avanti?
- Oh, beh - rispose quello, grattando distrattamente la schiena di un soddisfattissimo Pagú. - Diciamo così che, quando ero in vita, non sono riuscito ad adempiere degnamente al ruolo che maggiormente si confà ad una figura religiosa.
- Che ruolo? - domandò Cedric, facendosi attento. Dalla risposta del Frate, avrebbe forse potuto capire come risalire ai conti che aveva da saldare.
- Quello di guida spirituale - replicò il monaco in tono vago mentre con la mano, che aveva repentinamente allontanato dal pelo del Tasso, tormentava i nodi del cordone che gli faceva da cintura.
- E come mai?
- Oh beh... - cominciò lui, e la sua sagoma tremolante assunse una ben caratteristica colorazione rossastra. A trarlo d'impaccio, o forse a peggiorare ulteriormente le cose, intervenne allora il Barone, appena sopraggiunto in compagnia di Sir Nicholas e di Helena; con un'espressione vagamente disgustata, il lugubre spettro rispose:
- Invece di preoccuparsi per le anime dei fedeli, Sua Santità era solita dedicarsi a ben altri tipi di spirito...
- Ah, faceva il commediante? - gli domandò Colin, così curioso da dimenticare temporaneamente la soggezione che il Barone gli incuteva.
- Non esattamente - ridacchiò Sir Nicholas che, franco come sempre, non aveva mai avuto alcuna remora a sputtanare amici e nemici. - Diciamo pure che Sua Eminenza preferiva presiedere ad attività più triviali, come ad esempio la vendemmia. E soprattutto - aggiunse poi il fantasma Grifondoro, pettegolo oltre ogni ritegno - il nostro amico adorava in particolar modo far la guardia alle cantine...
- Davvero un comportamento da degno Tassorosso, ligio e lavoratore - puntualizzò il Barone, caustico.
Il Frate Grasso tossicchiò, visibilmente imbarazzato. Nel vederlo così roseo e a disagio Cedric ricordò di aver sentito dire che il fantasma giallonero, la notte, si rifugiava nelle botti che nascondevano l'entrata alla Sala Comune di Tassorosso, molte delle quali ancora piene.
- Ma che cosa sarebbe, di preciso, una guida spirituale? - domandò Dennis che, candido come un giglio, non aveva colto l'allusione agli atteggiamenti beoni dell'imbarazzatissimo Frate.
- Trattasi di una persona capace di tracciare il cammino di altri - rispose la Dama Grigia, con la sua bella voce pacata che, alle orecchie di Cedric, suonò simile al suono di un'arpa celtica - e di accompagnarne il percorso, quasi sempre finalizzato alla crescita interiore dei soggetti coinvolti.
- Ah, come Oliver?
- Che Oliver?...
- Oliver Baston - rispose Colin, mettendo su un'espressione fra l'ovvio e l'esaltato. - Il più grande Capitano di tutti i tempi... senza nulla togliere ad Harry e ad Angelina, beninteso.
- Anche Ceddy era Capitano - commentò svogliatamente Mirtilla, che era fluttuata di soppiatto accanto a Cedric. - Ed oltre a comandare alla grande, vi assicuro che aveva una gran bella tartarughina intorno all'ombelico...
- Suvvia, Mirtilla - tossicchiò discretamente Helena fingendosi scandalizzata, ma senza rinunciare ad indirizzare uno sguardo incuriosito alla zona addominale di Cedric, cosa che le procurò un'occhiataccia obliqua da parte del Barone.
- Comunque - affermò Dennis, alzando un dito - il ruolo di un Capitano è esattamente...
- Ma certo!...
L'improvvisa esclamazione di Cedric fece sobbalzare i presenti, che si voltarono a guardarlo, tremolando un po' irritati.
- La prima questione in sospeso - si affrettò a dire lui, a mo' di spiegazione. - La divina Tosca ha detto che le vostre pecche sono in qualche modo collegate ai debiti che ancora mi legano al mondo dei vivi. Io sono stato Capitano della mia squadra e quindi, in un certo senso, ho costituito per i miei compagni una sorta di guida...
Gli altri lo guardavano in silenzio, esortandolo a continuare.
- Il Frate Grasso non è stato capace di onorare questo ruolo quando era in vita, perciò non è andato avanti. Ma ora la Morte... o Signora, come la chiamate voi, l'ha inviato alla stazione per condurmi qui. Proprio lui che, non a caso, è il fantasma ufficiale della mia Casa; e a ciò si aggiunge il fatto che io, ora, sono... sono uno...
- Uno spirito! - chiosò il Frate Grasso strabuzzando gli occhi. - Il che fa di me...
- Una perfetta guida spirituale - concluse Cedric, annuendo con vigore.
- Ottimo ragionamento - commentò Helena con un sorriso. - Avresti potuto essere smistato nella mia Casa...
- Ti piacerebbe - la redarguì il Barone, cupo, per poi stringere gli occhi e ringhiare:
- Maledetto bastardo!
- Ohibò, non è certo il caso di prendersela tanto... - osservò Sir Nicholas, circondando con un braccio le spalle di Cedric.
- No, non mi riferivo a quel bietolone di Diggory - sibilò lo spettro Serpeverde, aggrottando la fronte. - Stavo parlando del Buio. Il quale, evidentemente, ha trovato il modo di tentare il poker d'assi e di portarci via tutti; anche chi di noi, come Sua Rotondità, ha commesso peccati non gravi.
- La vuoi smettere di darmi del ciccione? Per tua informazione, nel Medioevo, grasso era sinonimo di bello - si lamentò il Frate, impermalito.
- In ogni caso - ammise però Sir Nicholas, grattandosi il mento con delicatezza per non rischiare di ribaltarsi la testa - il nostro caro Barone ha perfettamente ragione: siamo tutti legati al successo (o insuccesso) gli uni degli altri.
- Ora però è più facile capire cosa dobbiamo cercare di riparare - disse Cedric spalancando gli occhi grigi, che brillarono ottimisti alla luce del camino acceso nella Sala ormai deserta. Gli altri fantasmi se n'erano andati alla spicciolata, lasciando solo il gruppetto. - Tu, Sir Nicholas. Quali conti in sospeso hai lasciato nel mondo dei vivi?
Il nobilfantasma sì lisciò l'evanescente pizzetto.
- Io? Mah, non saprei... a parte il fatto che, a giustiziarmi, è stato il peggior boia della Storia delle Esecuzioni?
- La testa che si rifiuta di abbandonare il corpo - azzardò Helena, pensosa - potrebbe essere una metafora...
- Sì - rispose Nick, ironico. - Del fatto che i buoni arrotini sono pura leggenda. Se non fosse stato per quell'esecuzione sommaria e infelice, oggi l'America si chiamerebbe Nicolandia.
- Certo, e come no. Se il Basilisco non mi avesse ammazzata, io sarei diventata Miss Galles - ridacchiò Mirtilla, che fino a quel momento se n'era stata zitta a fare le fusa sul gomito giallonero di Cedric.
- Sciocca ragazza - borbottò Nicholas, raggelandola con lo sguardo. - Eppure sarei pronto a giocarmi la partecipazione al Torneo dei Senza Testa da tanto ne sono sicuro. Era tutto pronto: nave carica, rotta tracciata, strumenti tarati. I miei fedeli amici mi attendevano a bordo...
- Amici? - ripetè Cedric, incuriosito.
- Amici di tutta una vita, con i quali avevamo preparato scrupolosamente la missione... circumnavigare il globo, il sogno di qualsiasi navigatore! Devono essersi sentiti abbandonati e traditi quando non mi hanno visto arrivare.
- E perché non li hai raggiunti in veste di fantasma? - chiese Colin, dando prova di un impeccabile buonsenso.
- Erano babbani - spiegò Nick, aggrottando la fronte. - Non avrebbero potuto vedermi.
- Amici... abbandonati... Ehi! - Cedric saltò su e prese a camminare in circolo, come sempre faceva quando si voleva concentrare. - Il secondo legame deve riguardare Heidi e Ross!...
- La signorina MacAvoy e il signor Cadwallader? - chiese il Frate Grasso, che conosceva bene i due ex-Tassorosso.
- Certo! - rispose Cedric, arrestandosi di scatto. Mirtilla, che lo seguiva a breve distanza, andò a sbattergli contro, cosa che evidentemente le piacque parecchio. Lui la ignorò: - Avevamo fatto una specie di patto di amicizia... avevamo deciso che al termine di quell'anno scolastico, che era il nostro penultimo qui ad Hogwarts, avremmo trascorso l'estate girandoci tutta la Gran Bretagna, e che poi avremmo... oh, io mi sarei sentito assolutamente sperduto se uno dei due fosse venuto improvvisamente a mancare!...
- Andata - decretò il Frate Grasso, convinto. - Il secondo legame è quello dell'amicizia disattesa.

Mi dirigo verso il fondo del cimitero.
Laggiù, oltre quella cappelletta neogotica mezza diroccata, una pietra scura spicca fra quelle più chiare del muretto basso che circonda il terreno. Tre colpi di bacchetta proprio al centro et voilá: ecco aprirsi un piccolo varco nel recinto e poi poco oltre, come di consueto, un annesso si materializza velocemente sotto i miei occhi. Un piccolo appezzamento di terra fittamente occupato da tombe di ogni foggia: il settore dei maghi.
Le statue di pietra che adornano i tumuli si ricompongono discretamente al mio sopraggiungere, riposizionandosi al proprio posto in un fuggi-fuggi di scagliette di marmo e di granito. Non le biasimo per il loro farsi continuamente visita: starsene immobili per l'eternità dev'essere tremendamente noioso.
Mentre passo, leggo con la coda dell'occhio i nomi incisi sulle lapidi castigate dal passare del tempo e dalle intemperie: alcuni sono quasi cancellati, ma so che fra queste mura riposano soprattutto i membri passati delle famiglie Weasley, Prewett e... Diggory. Alcuni loculi presentano un aspetto più nuovo; li conosco a memoria, ormai: da questa parte Bilius Weasley, più in là Fabian e Gideon Prewett mentre laggiù, sotto al melo, il rosso laccato e sfavillante della tomba di Fred.
Molly dev'essere passata stamattina: c'è un bel mazzo di girasoli spavaldi infilato nel vaso. Visitatrice giornaliera di questo luogo, condivide con me il dolore di aver perduto per sempre un pezzettino della propria carne.
Io procedo ancora di qualche passo, per poi fermarmi davanti al tuo letto di mosaico giallo e nero. Da dentro la cornicetta ovale apposta al di sopra del tuo nome, la tua fotografia mi accoglie con il consueto sorriso triste.


Un po’ titubante, Cedric si rivolse alla Dama Grigia; prima di avere modo di aprir bocca, tuttavia, il Barone Sanguinario lo interruppe.
- Che cosa accidenti credi di fare?
Il ragazzo lo squadrò da capo a piedi.
Da vivo non aveva mai avuto né la voglia né il coraggio di osservarlo bene; ora che, però, riusciva finalmente a metterlo bene a fuoco, si sorprese nel constatare che il Barone non doveva essere molto più vecchio di lui quando era morto. Quello che aveva davanti era stato un tempo un giovane alto e distinto, infilato in un elegante completo di velluto nero con dettagli verdi, sporco di sangue argentato per tutta l'eternità.
Cedric fece vagare lo sguardo sulla sua tetra figura, soffermandosi poi ad osservare le pesanti catene che gli pendevano dai polsi.
- Posso chiederti una cosa? - gli disse, invece di rispondere alla sua domanda. I pallidi occhi dell'altro, chiari come l'acqua, lo fissarono di rimando con estrema freddezza.
- Che cosa vuoi?
- Queste catene. Perché le porti?
- Sto espiando.
- Dopo tutto questo tempo? - lo incalzò Cedric, impassibile.
- Sempre. (2)
- E posso sapere perché?
Sir Nicholas gli si accostò con un'aria un po' preoccupata:
- Mio caro ragazzo - gli sussurrò, nel tentativo di fargli cambiare idea - non mi sembra il caso di...
Cedric lo ignorò, ma si accorse la la Dama Grigia aveva spostato lo sguardo su di lui e lo fissava, livida.
La voce bassa del Barone lo richiamò alla realtà:
- Dubito che un pivello come te potrebbe comprendere certe questioni con la dovuta profondità - biascicò lo spettro, gelido.
- Perché non mi illumini tu, allora? - lo provocò Cedric, mentre gli altri trattenevano il fiato. Il Barone lo guardava come se volesse passarlo da parte a parte.
- L'amore è una catena - disse infine. - Ti cattura, ti soggioga, ti imprigiona. Ti fa fare cose meravigliose e ti fa (letteralmente, nel mio caso) macchiare dei crimini più atroci.
Il Barone fece una pausa, carezzando con le dita le macchie di sangue secco sul suo giustacuore.
- È un giogo cui è impossibile sottrarsi; ti dà la vita e ti impedisce di vivere. E questa, dal momento che tanto volevi saperlo, è la mia pena; non mi aspetto, però, che tu capisca di cosa sto parlando.
- Ti sbagli - lo contraddisse Cedric; e la sua voce risuonò calda e accorata nell'aria tiepida del salone. - Anch'io, che tu ci creda o no, ho amato una persona prima di morire: e ti assicuro che non si è trattato di un passatempo infantile!...
- Già - convenne Colin, facendosi serio. - Povera Chang... pare non si sia mai più ripresa...
Improvvisamente riscossasi dal suo stato catatonico, la Dama Grigia intervenne:
- State parlando di Cho Chang?
Cedric annuì silenziosamente; poi, facendosi coraggio, domandò:
- Sa-pete qualcosa di lei? Se... se sta bene?
- Cho è viva - si affrettò a rassicurarlo Helena - Peraltro, durante la guerra si è distinta per coraggio e lealtà, dapprima sabotando il Nemico come infiltrata, e poi combattendo in prima linea nella battaglia di Hogwarts. Però, Cedric, forse affermare che sta bene sarebbe... quantomeno improprio, temo.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo interrogativo.
- Da quel che ne so (e credo di andare sul sicuro visto che la mia fonte è Roger Davies, suo grande amico) Cho è ancora legata al tuo ricordo. Ha tentato invano di riscattarsi...
- ...come è giusto che sia, Cedric - aggiunse in fretta il Frate, nel timore che i fatti esposti potessero rattristare troppo il suo protetto.
- ...ed ha provato a stare insieme ad altri ragazzi dopo di te - continuò Helena, con molto tatto - ma niente: c'è qualcosa che non si spezza, che la tiene legata al tuo ricordo impedendole di lasciarsi il passato alle spalle; una specie di... di...
- ...di catena - sussurrò il Barone, per poi stringere le labbra in una smorfia addolorata.
- Signori - esordì Sir Nicholas dopo qualche minuto di silenzio. - Direi proprio che il terzo legame, quello dell'amore sfortunato, è stato svelato.
- Molto bene - assentì Cedric, spostando nuovamente lo sguardo su Helena. - Mancherebbe solo lei, signorina Corvonero.
La Dama Grigia ristette in silenzio per qualche tempo; gli altri fantasmi, insolitamente contriti, fingevano di dedicarsi ciascuno ad attività assolutamente ininfluenti ma che, in quel momento, sembravano di grande importanza. Il Frate Grasso si grattava via una macchiolina di fango dal saio, Nick lisciava la piuma che gli adornava il cappello, il Barone controllava le catene e i fratelli Canon giocherellavano con la vecchia Polaroid. Solo Mirtilla sembrava non curarsi del clima pesante che era calato sul gruppetto, e continuava a fluttuare intorno a Cedric, tentando ogni tanto di sollevargli la maglietta.
- Non c'è molto da dire - disse infine Helena Corvonero, e la sua voce suonò più bassa che mai. - Nel mio caso, l'unica questione possibile è di stampo... familiare.
- Ecco, per l'appunto... - cominciò a dire il Frate, girando intorno alla spinosa questione.
- Ritieni - lo interruppe seccamente Helena, rivolgendosi a Cedric - di avere qualche conto in sospeso che riguardi un tuo parente?
Lui la guardò tristemente, tirando in dentro le labbra in una smorfia amareggiata.
- Mio... mio padre - disse lentamente, sillabando le parole. - Non credo che... che abbia preso molto bene la mia morte, temo.

Quando sei nato, mi è stato detto che eri piccolo e asfittico.
Io non ci ho creduto neppure per un secondo perché, quando i miei occhi si sono posati per la prima volta su di te, altro non ho visto che un piccolo-grande lottatore.
Al San Mungo ti tenevano in vita con una speciale Pozione Rinvigorente; per tutto il tempo che hai trascorso sotto la lucida campana di vetro che ti faceva da utero, io non mi sono allontanato un istante: mi sono seduto lì a fianco, come uno spettatore in tribuna, e ho cominciato a fare il tifo per te.
Li hai stupiti tutti con la tua tenacia, con il tuo attaccamento alla vita. Quella vita che quattro anni fa ti è stata sottratta con un unico, irreversibile colpo di bacchetta.
A due settimane esatte dalla tua nascita, ci hanno permesso di portarti a casa: non ti dico la gioia. A partire da allora, sono stato un grato spettatore del processo che ti ha portato ad essere la bella persona che eri.
- Lo tirerai su spocchioso come un Lestrange, Amos! – mi dicevano amici, parenti e colleghi quando eccedevo nel portarti in palmo di mano.
- Ma che cosa ci posso fare, io, se il mio Cedric è praticamente perfetto? – rispondevo io, trasudando compiacimento da tutti i pori. In realtà tu, di spocchioso, non hai mai avuto un bel niente. Sono sempre stato io, quello orgoglioso oltre misura.
La vuoi sapere uma cosa, figliolo?
Quando eri piccolo mi seguivi ovunque, trotterellando su quelle tue gambette ogni giorno più lunghe, dapprima incerto e poi via via più sicuro. A tutti, dicevi che il tuo papà era il tuo eroe, il tuo
coach, la tua guida.
In realtà, io non ero che il più sfegatato dei tuoi ammiratori. Non ho mai smesso di fare il tifo per te, figlio mio: e tu, nel corso degli anni, hai sempre saputo guadagnarti la mia stima e il mio affetto. Tenace e determinato, allegro e leale, sei stato motivo di grande orgoglio per me e per tua madre, Cedric.
Ci manchi tanto, figlio.


Note a piè di pagina:
1) Citazione tratta dalla musica Trem-Bala di Ana Vilela: "Sorridi e abbraccia i tuoi genitori fintantoché sono qui/Perché la vita è un treno ad alta velocità, amico/E noi siamo soltanto passeggeri in procinto di partire".
2) Ebbene sì, lo ammetto: ho volutamente citato il dark potionist per eccellenza, perché sì.
3) Canon mio: la Dama Grigia e Roger Davies sono molto amici. Lui spesso la va a trovare per raccontarle le ultime novità; in una di queste visite, deve averle riferito di Cho, anch'ella sua cara amica: più avanti vedremo infatti che la bella corvetta dagli occhi a mandorla se la passa maluccio.

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Capitolo 5
*** Il vascello fantasma. ***


5. Il vascello fantasma.
 
[Glasgow, Scozia, luglio 1999]
Sbam!
Un tonfo sordo, subito attutito dai pannelli di legno scuro che rivestivano la sala, risuonò proprio accanto a lei. Heidi MacAvoy si risvegliò di soprassalto e sollevò di scatto il capo, sbattendo le palpebre appesantite dal sonno. 
- Ma per Tos...
Un cigolio proveniente dal mezzanino - un po'troppo intenso per essere stato prodotto da un animale di piccole dimensioni o, tantomeno, dall'assestamento delle fibre del legno - interruppe il suo principio di esclamazione.
La ragazza tacque, immediatamente sveglia e all'erta. 
Dagli ampi finestroni quadrettati filtrava quella debole luminosità che preannuncia l'avvento dell'alba e, a giudicare dalle ombre dense che ammantavano d'ignoto gli angoli più reconditi dell'antico salone, doveva essere ancora molto, molto presto. Un'occhiata all'orologio da polso le confermò che, all'orario di apertura della biblioteca, mancavano ancora diverse ore; l'intero edificio, probabilmente, era ancora completamente deserto.
"E quindi" si disse la giovane strega, stringendo saldamente la sua bacchetta di legno di pino fra le dita della mano pallida "se i miei sensi non mi tradiscono, mi trovo in compagnia di qualcuno, o di qualcosa, che non dovrebbe trovarsi qui".
Heidi si alzò lentamente dal pesante leggìo profumato di cera d'api, accostata al quale si era addormentata qualche ora prima in una posizione tutt'altro che comoda; poi, sforzandosi di non emettere alcun rumore, scivolò di soppiatto dietro ad un pilastro squadrato. Il silenzio intorno a lei era totale: e l'inquietudine che la ragazza, in quel momento, si sentiva montare nel petto, andava a sommarsi alla preoccupazione accumulata nelle ore precedenti, rischiando seriamente di farle perdere le ultime briciole di lucidità.
Ross non era tornato. 
Il giorno prima Heidi lo aveva atteso per ore, invano; e ritardare non era certo da lui tanto più che - e lei lo sapeva bene - nelle rare occasioni in cui, in passato, non gli era stato possibile presentarsi in orario, le aveva sempre fatto pervenire un qualche tipo di avviso. 
"Deve trattarsi soltanto di un contrattempo" si era detta lei, sforzandosi di rimanere tranquilla. Dopotutto, il ruolo della fidanzatina ansiosa non le si addiceva affatto e così, nel tentativo di distrarsi un po', aveva visto bene di raggiungere la Glasgow School of Art in uno dei pochi orari in cui le sarebbe stato consentito svolgere indisturbata le sue ricerche (gli avventori babbani si sarebbero quantomento stupiti nel vederla armeggiare con gli scomparti segreti del massiccio leggìo centrale, a loro preclusi).
- Faccio un salto a Londra per consultare l'ultimo aggiornamento degli Atti - le aveva detto Ross prima di raccogliere una manciata di effetti personali (tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno per trascorrere paio di giorni fuori casa) in una vecchia borsa di velluto giallo senape un po' sdrucita. - Percy Weasley mi ha informato che l'interrogatorio dei Mangiamorte superstiti è stato finalmente reso pubblico.
- Vengo con te! - aveva subito risposto lei, sfilandosi in fretta gli occhiali da vista e abbandonando impietosamente le sue scartoffie friabili in balia delle correnti d'aria.
- Ma non ce n'è bisogno, Dee.
Ross le aveva sorriso, rassicurante come sempre.
- La data di scadenza per la consegna dell'articolo si avvicina, e tu devi ancora consultare tutti quei documenti custoditi alla GSA...
Heidi si era vista costretta a concordare con lui. Non era per nulla facile fare la ricercatrice alla Cambridge Magical University: il dottor Whistler, direttore del corso di Pozioni Avanzate, esigeva che i suoi laureandi elaborassero pubblicazioni periodiche in vista della tesi. Nel giro di una settimana, la ragazza avrebbe dovuto consegnare la versione finale di un articolo sull'uso dei Pigmenti Pittorici nelle Pozioni, ed effettivamente la ricerca era ancora piuttosto incompleta. La visita alla sezione segreta della centenaria biblioteca appartenente alla Glasgow School of Art non avrebbe potuto essere rimandata ancora a lungo.
D'altra parte, però...
- Sono riusciti a strappare qualcosa di nuovo a Lucius Malfoy? Weasley ti ha anticipato qualcosa? - gli aveva domandato lei, senza riuscire a tenere a freno l'impazienza.
- Pare di sì, Heidi - le aveva risposto Ross, annuendo serio.
Al che lei aveva annuito a sua volta, stringendo forte le labbra. Harry Potter aveva più volte esposto, tanto in conversazioni confidenziali tenutesi esclusivamente in loro presenza, quanto in dichiarazioni ufficiali registrate negli annali del Ministero, quanto era accaduto in quel giorno sciagurato. Loro due, però, non erano mai riusciti a darsi pace: avevano sempre avvertito l'impellente bisogno di saperne di più. Perché la verità era che, semplicemente, non erano mai riusciti a rassegnarsi.
Heidi MacAvoy e Ross Cadwallader non erano mai riusciti ad accettare la morte di Cedric Diggory.
 
[Dover, Inghilterra, luglio 1492]
Spruzzi, salsedine, vento di mare.
In sottofondo, acuti, i richiami dei gabbiani.
Sulla destra, candide e imponenti come montagne innevate, le splendide scogliere calcaree illuminate dai primi raggi del sol nascente, le pendici ancora avvolte dalla bruma dell'alba.
La caravella scivolava aggraziata sulle acque calme e piatte della manica, miglio dopo miglio, per poi imboccare con estrema leggiadria l'insenatura artificiale del porto di Dover.
- Preparate l'ancora!... Manovra d'ormeggio!...
Il grido del nostromo lo riscosse dai suoi pensieri, riportandolo immediatamente alla realtà. Il giovane scosse la testa, fintanto impegnata in un bellissimo sogno ad occhi aperti; improvvisamente vigile si riscosse, staccando i gomiti dal parapetto di legno intagliato che bordava l'imbarcazione. Poco sotto di lui, una testa lignea si sporse da sotto il bompresso.
- Prima fermata, Nico - disse la formosa e sorridente polena intagliata nel mogano.
- Grazie per avermi avvertito, Ariel cara - le rispose lui, sollevando con galanteria il cappello piumato (una piuma lunga e cangiante, davvero strana agli occhi di chi ci avesse fatto caso: chissà a quale rara specie di volatile apparteneva?). - Ora al tuo posto però, e fai la brava durante il rifornimento, intesi?
- Ai suoi ordini, signor Capitano! - assentì quella, assumendo la sua posizione originaria.
- Eccellente - approvò lui mentre con la bacchetta, discretamente, faceva tendere una cima non perfettamente allineata.
Una serie di passi non troppo leggeri risuonò sul ponte di legno alle sue spalle, facendolo girare di scatto. "Per Godric!" si disse lui, contrariato. "Devo fare più attenzione, accidenti a me".
Il marinaio gli si rivolse con deferenza, chinando appena il capo. Sembrava non essersi accorto di nulla.
- Capitano, chiedono di voi giù in saletta.
- Molto bene Duncan. Dite pure ai signori Worchester e Cook che arrivo subito, grazie.
 
[Hogwarts, Regno Unito, autunno 1993]
- Dacci dentro con quella scopa, Diggory!...
L'esortazione di Heidi lo raggiunse forte e chiara, nonostante l'intensità delle raffiche di vento gelido che spazzavano il campo ovale. Quando quella benedetta ragazza dava fiato al Sonorus c'era poco da fare: era in grado di tirare fuori una vocetta che avrebbe messo in agitazione un Vermicolo.
Cedric si spinse in avanti, portando la Nimbus ai limiti dell'accelerazione consentita dalla Legge di Flap sulla Resistenza della Saggina. 
"Concentrati".
Corpo piatto, testa bassa, braccio in avanti, mano tesa. Un rapido movimento delle dita... zac!
Boccino catturato.
Il fischio perentorio di Madama Bumb lo riportò immediatamente alla realtà. Cedric si tirò su a sedere sul manico della scopa e cercò con gli occhi il tabellone.
Le cifre rosse, chiaramente distinguibili nonostante la nebulosità dell'aria, lampeggiarono rassicuranti: 1' 35" - il miglior tempo di tutti.
Ce l'aveva fatta.
Felice come non mai, Cedric - nuovo Capitano della squadra di Quidditch del Tassorosso - puntò il manico verso terra e si precipitò ad abbracciare i suoi amici.
 
"Una monade trilobata" li aveva definiti allegramente la professoressa Sprite quando frequentavano ancora il primo anno.
Dalla sera dello Smistamento in poi Cedric, Heidi e Ross erano stati praticamente inseparabili. Non c'era nulla da fare: i loro interessi e caratteri erano complementari e, sebbene Heidi e Ross fossero amici fin da quando erano bambini, Cedric era stato inglobato nel loro gruppetto come se i tre si conoscessero da sempre.
E quest'ultimo si sentiva molto grato nei confronti degli altri due perché, sebbene  a undici anni Cedric fosse tutt'altro che un esperto di faccende di cuore, c'era una cosa che lui aveva captato fin da subito: una cosa che, senza dubbio, gli faceva apprezzare ancora di più il desiderio dei suoi compagni di includerlo nella loro cerchia e di non lasciarlo mai solo.
- Al nuovo Capitano! - intonò Ross, sollevando la pesante caraffa ricolma di liquido ambrato.
- Se ti fossi lasciato sfuggire il posto ti avrei affatturato, Ced - lo minacciò bonariamente Heidi, alludendo agli infiniti allenamenti cui, cronometro alla mano, lei e Ross lo avevano sottoposto. Ma ormai era fatta: in un colpo solo Cedric si era riconfermato Cercatore e aveva conquistato il ruolo di Capitano; e con loro due e Malcolm Preece come Cacciatori, Maxine O'Flaherty e Anthony Rickett come Battitori e Herbert Fleet come Portiere, nella stagione ormai alle porte Tassorosso avrebbe dato del filo da torcere a chiunque.
Cedric sorrise alla sua amica e con estrema nonchalance, prima che lei o Ross potessero aggiungere altro, buttò lì:
- Allora, me lo merito o no?
- Il titolo di Capitano? E come no.
- In realtà mi riferivo ad un'altra cosa...
- E sarebbe?
- Il ruolo di testimone - specificò lui, accompagnando la frase con una risata cristallina. - Al vostro matrimonio!...
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata strana, semifolgorati, in un misto di allegria, titubanza e leggero imbarazzo.
E mentre sollevava la sua caraffa di Burrobirra con un risolino soddisfatto stampato sul volto e la consapevolezza di chi sa di avere colpito nel segno, Cedric pensò che non avrebbe mai potuto desiderare amici migliori di loro.
 
[La Coruña, Spagna, agosto 1492]
- Trattenuto?...
La voce di Henry Worchester suonò fievole e incerta, leggermente tremula.
- Temo proprio di sì, signore.
- Ma... ma per quale motivo, di grazia? - domandò Edward Cook, la cui espressione era non meno turbata di quella del compagno. - Doveva trattarsi di una semplice ispezione: ma è più di un mese, ormai, che ci troviamo alla fonda nel vostro porto!...
L'uomo rivolse loro un sorriso untuoso e giocherellò per un attimo con la croce d'oro intarsiata di pietre colorate che portava al collo, per poi rispondere in un sussurro falsamente comprensivo:
- Stregoneria, signori cari – disse loro, godendo nell’osservare l’espressione attonita e allarmata dei due uomini. - Un abominio che, nelle sante terre di Sua Maestà Isabella di Castiglia, è considerata alla stregua del peggiore dei peccati e che noi spagnoli, pertanto, altrettanto ferocemente combattiamo. Ci è stata fatta una denuncia ben precisa ai vostri riguardi, purtroppo, e così Sua Santità ha predisposto il fermo per... accertamenti.
 
[Hogwarts, Regno Unito, luglio 1999]
- Eravamo inseparabili - esordì Nick mentre gli altri, avvicinatisi al fantasma Grifondoro che si era seduto su di una poltroncina gialla nei pressi del camino, prendevano posto accanto a lui. - Ci conoscevamo fin da quando eravamo poco più che dei poppanti; e anzi: nel caso di Henry anche da prima dato che Stella, sua madre, è stata la mia balia.
Il nobiluomo tese la mano per accarezzare le orecchie di Pagú, che si era accoccolato ai suoi piedi. Il pelo argenteo del Tasso riluceva nella penombra, facendo risplendere le sagome opalescenti dei fantasmi disposti tutt'intorno.
- Siamo sempre stati amanti delle avventure, Henry, Edward ed io. Quando eravamo bambini, le campagne nei dintorni di casa non avevano segreti per noi. Esploravamo tutto, palmo a palmo, e disegnavamo delle piccole mappe, imprecise da far spavento, ma piene di dettagli che per noi erano davvero importanti. E questa nostra passione, crescendo, si rafforzò sempre di più finché, un bel giorno, non decidemmo di salpare per esplorare il mondo intero!...
- Mi sembra di aver capito - lo interruppe Cedric, alzando la mano - che i tuoi amici fossero babbani.
- Non ti sbagli affatto, mio caro ragazzo - rispose Sir Nicholas, agitando le dita in un gesto d'assenso. - Babbani fino al midollo; neppure una goccia di sangue magico.
- E come presero il fatto che tu... che tu fossi un mago?
- Lo presero... oh, beh, molto bene, direi - Nick fece spallucce. - Forse perché crescemmo insieme ed ebbero modo di abituarsi alle mie... come dire? Alle mie particolarità, ecco. Fatto sta - e qui il fantasma assunse un'espressione particolarmente seria - che le mie capacità magiche non furono mai un problema, per loro. Tutt'altro: erano molto felici di poter contare su un piccolo aiuto, e direi anzi che la consapevolezza dei miei poteri gicò un ruolo determinante nelle nostre scelte successive.
- Che cosa intendi dire? - domandò Dennis Canon, che seguiva il racconto con grande interesse.
- Beh, mi riferisco al periodo che seguì il termine dei nostri studi - spiegò Nick raddrizzandosi la testa, che gli si era un po' inclinata. - A undici anni esatti io entrai ad Hogwarts e, come ben sapete, vi rimasi per sette anni. Ad Edward, il cui genitore era uno degli uomini più fidati di mio padre il Marchese, fu offerta la possibilità di entrare in Marina, e colà ricevette la sua formazione. Avreste dovuto vederlo: se la cavava alla grande con bussole e astrolabi; e in astronomia, pensate, era di gran lunga più abile di me!...
- E Henry?
- Henry cucinava bene.
- Un gran pregio, in verità - osservò il Frate Grasso, facendo schioccare la lingua.
- Senz'altro - convenne Nick, con fare convinto. - Soprattutto quando devi stare in mare per molti mesi e la lista delle pietanze da mettere sotto i denti è limitata. 
- E com'è che ci finiste, per mare?
- Mio padre, il Marchese di Mimsy-Porpington, era un uomo molto, molto ricco - raccontò Nicholas. - Per il mio ventesimo compleanno io gli chiesi in dono una nave, e... beh, lui me la concesse. Ah, quale splendore, quell'agile goletta! La Naiade si chiamava, tutta di legno di mogano brillante, con la polena Ariel tesa in avanti a solcare le onde!
Tutti gli altri lo fissavano incantati, soprattutto i più giovani. Colin e Dennis, ma anche Cedric, pendevano letteralmente dalle traslucide labbra di Nick, e perfino Mirtilla, una volta tanto astenendosi dall'insidiare il bel Tassorosso, si era messa a sedere, insolitamente quieta.
- Chissà quanti bei marinai c'erano a bordo! - fu l'unico commento della vispa fantasmina.
Sir Nicholas la ignorò.
- Era una goletta incantata, ovviamente... Grazie ai poteri di mia madre: era lei la strega, in famiglia. Su di essa, navigammo in lungo e in largo percorrendo dapprima rotte già tracciate; e in seguito, dopo qualche tempo, cominciammo a tracciarne di nuove. Mare del Nord, Mar Baltico, Mediterraneo; e poi giù, lungo le coste dell'Africa, fino al Capo di Buona Speranza, e poi le acque cristalline dell'Oceano Indiano... Ah, quanti ricordi!... Le isole tropicali, i pirati, le graziose fanciulle dai capelli di seta...
- Sì, va bene. Ma poi, che cosa combinaste? - s'intromise a quel punto il Barone, un po' scocciato da tutte quelle divagazioni geografiche e non che gli altri, al contrario, sembravano trovare interessantissime.
- Come sarebbe a dire, "che cosa combinammo"? - ribattè Nick, leggermente indispettito.
- Beh, la tua maldestra morte - biascicò stancamente lo spettro Serpeverde - ha a che fare con queste vostre... avventure, dico bene?
- In un certo senso sì - dovette ammettere l'altro, suo malgrado. - Come vi ho già detto, eravamo in procinto di scoprire le Americhe...
- E che cosa vi impedì di farlo? - domandò la Dama Grigia, che fino a quel momento non aveva aperto bocca. - Immagino che, con la magia dalla vostra, partiste avvantaggiati rispetto agli altri equipaggi...
- Fummo trattenuti in un porto della Galizia, nel nord della Spagna, per ordine di un potente vescovo della regione. Un certo Monseñor Sombra, se la memoria non mi fa difetto...
- E che cosa accadde di preciso? - chiese Cedric, mentre un brivido che non seppe spiegarsi gli percorreva la schiena. - E soprattutto (dato che il filo che lega le nostre due storie è quello dell'amicizia): che cosa accadde ai tuoi amici?
- Non seppi più nulla di loro - disse mestamente Nicholas, lisciandosi il pizzetto con tristezza. - Io rimasi rinchiuso in una prigione a prova di Smaterializzazione per non so quanti mesi; poi, dopo che mi ebbero giustiziato, non fui mai in grado di ricostruire quanto era loro accaduto.
- Quindi, se ho ben capito...
- Esatto, mio caro Cedric - confermò Nick con voce amara. - Quando la Signora venne a prendermi per portarmi avanti, mi rifutai di seguirla, nel tentativo di procurarmi notizie dei miei amici; purtroppo, però, fu tutto invano.
Il silenzio calò su di loro.
In quel momento, però, un brusco movimento ai piedi degli otto fantasmi riuniti attorno al focolare richiamò la loro attenzione. Pagú si era sollevato sulle quattro zampe e ringhiava, puntando il lungo muso bicolore verso il camino. E in men che non si dica, un'orrbile Biscia Buia rotolò giù dalla cappa e, sibilando, si rivolse ai presenti che, inorriditi, la fissavano con gli occhi sbarrati.
Dalla bocca del rettile proveniva un ronzio sommesso, alternato allo schioccare raccapricciante della sua saettante lingua biforcuta; poco dopo, una volta che ebbe proferito il suo messaggio, la Biscia svanì in un piccolo vortice di cenere, rapida come era arrivata.
- Ma cosa diavolo... 
Il Barone Sanguinario - che apparentemente, fra tutti, era stato l'unico ad aver compreso il senso di quell'inquietante soliloquio - rivolse a Cedric un'occhiata glaciale. 
- Come si chiamano i due giovani Tassorosso tuoi compagni, quelli di cui ci hai parlato?
Per tutta risposta, Cedric gli rivolse uno sguardo allarmato.
- Heidi e Ross - riuscì a balbettare infine il ragazzo.
- Precisamente. Beh, credo sia il caso di raggiungerli. Ora.
Ma...
Il Barone lo interruppe bruscamente:
- "Vediamo se questi due, al contrario dell'altra volta, riuscite a salvarli" - recitò, ripetendo le parole che la Biscia aveva pronunciato in Serpentese. - È sufficiente, per te, o ci vuoi pensare su per tutto un giro di clessidra?
- "Dell'altra volta?" - Nicholas sembrava sconvolto, ma un urlaccio del Frate Grasso lo riscosse dal suo torpore.
- Muoviamoci! - tuonò il monaco panciuto, dando sfoggio di una voce sorprendentemente potente che fece saltare in piedi tutti gli altri, Mirtilla compresa. - I miei ragazzi sono in pericolo!...
Uno dopo l'altro, o forse tutti insieme (grazie alla loro capacità di occupare al tempo stesso la stessa identica porzione di spazio), i fantasmi si gettarono a capofitto nel camino.
 
[La Coruña, Spagna, 31 ottobre 1492]
- Inacettabile! Ah, ma non crediate di farla franca!... Mi avete sentito?!
Nicholas continuava a sgolarsi, incurante dei borbottii irritati che provenivano dalle celle adiacenti. La sua voce, spaventosamente amplificata con un incantesimo Sonorus, echeggiava senza sosta nei corridoi scuri, infrangendosi contro le volte basse scavate nella pietra viva.
Un tintinnio di chiavi, leggero ma perfettamente udibile, zittì infine le sue rimostranze.
Dopo che la pesante porta di ferro si fu aperta con un cigolio sinistro, tre persone nerovestite s’introdussero in fretta nella cella.
- Sir Nicholas de Mimsy-Porpington – esordì una voce perentoria dall’accento marcatamente ispanico.
- Alla buon’ora – rispose Nicholas, dando sfoggio di un’insospettabile ma assolutamente irritante flemma anglosassone.
- Per volere di Sua Santità il Vescovo Sombra, vi dichiaro condannato ad esecuzione immediata – decretò l’uomo che aveva parlato per primo, mentre un’altra figura nerovestita, seminascosta nell’ombra, osservava la scena tormentandosi con le dita la croce d’oro massiccio che recava appesa al collo. – Procedete pure, señor Mannér.
Il boia avanzò risoluto, stringendo fra le mani il manico di una lunga scure dall’aspetto tutt’altro che affilato. Prima che Nicholas avesse il tempo di indietreggiare o, quantomeno, di proferire parola, l’energumeno incappucciato menò un’atroce serie di fendenti, molto male applicati, appena al di sopra dell’un tempo candida gorgiera del gentilmago inglese, la cui testa si staccò faticosamente dal collo.
Quasi tutta, almeno.
E nel frattempo, grandi cambiamenti si profilavano all’orizzonte, ormai curvilineo e non più piatto, del globo terracqueo.
Né Nicholas, né tantomeno il resto del mondo potevano ancora supporlo, dato che le caravelle di Colombo si trovavano ormeggiate a centinaia di leghe dalle terre europee: il Nuovo Mondo, però, era già stato “scoperto”, e tempi duri si preannunciavano per le comunità magiche che, da tempi immemorabili, popolavano quei territori remoti.
Un'altra cosa che Nicholas non sapeva, e che di certo non gli avrebbe fatto alcun piacere venire a sapere, era che Henry ed Edward erano periti già da tempo. Crudelmente torturati nel tentativo di strappare loro un qualche tipo di indizio, si erano entrambi spenti nel mese di settembre fra atroci sofferenze. Parimenti la Naiade, con le sue belle vele candide ed il ponte lucido di cera d'api, era stata distrutta, data alle fiamme in un rogo degno dei peggiori deliri inquisitori. 
La nave era arsa in un battibaleno, e con lei la povera Ariel, lignea e sorridente sirena.
 
[Glasgow, Scozia, luglio 1999]
Ross Cadwallader si guardò intorno un po' smarrito. Ad accogliere il suo sguardo, l'atmosfera familiare e rassicurante del salotto suo e di Heidi. Nel piccolo camino incorniciato di mattoni, il calderone preferito della ragazza sobbolliva pigramente.
Com’è che ci aveva fatto ritorno, da Londra, a casa sua? Ross non lo ricordava minimamente.
"La testa, che male, porca mandragola" gli riuscì di pensare, un attimo prima di rendersi conto di avere polsi e caviglie immobilizzati da qualcosa di freddo e umidiccio, che l'assenza di un'illuminazione più efficiente gli impedì di distinguere con maggiore chiarezza.
- Heidi?
Nessuna risposta.
Ross guardò di nuovo verso il basso, tentando di mettere a fuoco i legacci che lo tenevano fermo.
- Per tutti i Tranelli del Diavolo! - esclamò, la voce strozzata dall'orrore. Quelli non erano legacci. Erano bisce. Bisce scure, lunghe, bagnaticce e... vive, per tutti i Tassi! Il ragazzo tentò disperatamente di divincolarsi ma, più si dimenava, più i rettili intensificavano la stretta delle loro gelide spire su di lui.
Mentre, sopraffatto dall'angoscia il Tassorosso si dibatteva come un pesce fuor d'acqua, un secco crack annunciò l'arrivo di Heidi, che si materializzò a pochi metri da lui.
-Ross! - gridò la ragazza, slanciandosi in avanti per corrergli incontro. - Grazie a Tosca sei qui!... Mi hanno quasi...
- Scappa, Dee! - urlò lui, tentando per l’ennesima volta di liberarsi. Tutto invano: i rettili lo tenevano intrappolato senza via di scampo
Heidi si fermò di scatto e arretrò di un passo, orripilata, sfoderando la bacchetta con mano tremante. Eh sì che era una pozionista, per tutti i calderoni, ed era quindi abituata a maneggiare ben altro, ma quegli esseri inquietanti le incutevano un disgusto assolutamente intollerabile.
Troppo tardi.
Una lunga Biscia Buia si era separata dalle altre  e strisciava lesta verso di lei. Giunta a pochi passi dalla ragazza, però, la creatura si trasformò improvvisamente in un uomo basso e grassoccio, parzialmente calvo e dai lineamenti vagamente topeschi.
La sua consistenza incorporea e lattiginosa, che si faceva solida soltanto in corrispondenza della mano destra, apparentemente infilata in un guanto d’argento massiccio, lo rivelava chiaramente: quello non era un vivo.
Quello, per tutte le Querce Centenarie della Foresta di Sherwood, era uno spirito.
 
Note a pié di pagina:
La scena iniziale che vede protagonista Heidi è ambientata all'interno della (fu) splendida libreria della Glasgow School of Art, tragicamente bruciata a giugno di quest'anno. Vi consiglio di cercare qualche immagine anteriore l'incendio, perché si trattava davvero di un ambiente bellissimo. Nel mio HC, Heidi è sempre stata molto brava in Pozioni (cfr. "L'Assistente di Pozioni"); per questo ho pensato di farle interpretare il ruolo di laureanda in Pozioni Avanzate, tenuta a tesi dal dottor Whistler (cfr., ancora una volta, "L'Assistente"). E no, sempre nella mia testa, non poteva che essere nativa di Glasgow.
La polena Ariel è, chiaramente, un omaggio alla protagonista dello splendido La Sirenetta. E a questo proposito, in breve sapremo di più circa l’inghippo che ha visto protagonista il malcapitato Nick.
Nel frattempo... un Buon Natale a tutti!

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Capitolo 6
*** Spirito di Gruppo. ***


6. Spirito di gruppo.
 
Un getto scuro di un qualcosa che sembrava una non-luce saettò, improvviso, dalla punta della bacchetta del nuovo arrivato; Heidi, che aveva sempre avuto i riflessi pronti e che spesso li aveva sfruttati per afferrare al volo le Pluffe nel campo da Quidditch, riuscì a schivarlo per un pelo gettandosi a terra e rotolando malamente sul fianco.
Ross, trattenuto ai polsi e alle caviglie dalla morsa implacabile delle Bisce Buie, urlava come un pazzo:
Tu! Non osare toccarla, maledetto!...
Lo spettro dell'ometto topesco lo ignorò; facendo sferzare la bacchetta, che stringeva con foga nella mano argentata, menò altri due, tre, quattro fendenti in direzione di Heidi che, scattata in piedi spingendosi sui talloni, si spostava freneticamente da una parte all'altra del piccolo salotto.
Quella dannata biondina era fastidiosamente veloce, pensò nervosamente il fantasma, per poi lasciarsi andare ad un'imprecazione degna dei peggiori bassifondi di Notturn Alley quando quella, giratasi di scatto verso di lui, gli scagliò contro un incantesimo che lo colpì in pieno petto.
O meglio: che gli attraversò il petto da una parte all'altra, realizzò sconcertata Heidi, per poi darsi della stupida. Quello era uno spirito, per tutte le botti di rovere delle cucine di Hogwarts: come aveva pensato di poterlo sbaragliare con un banalissimo Schiantesimo?
- È immune ai nostri colpi, Dee! - le urlò dietro Ross, improvvisamente memore di quanto era accaduto a Londra poche ore prima.
Si era trattenuto alla Capitale per un giorno e mezzo; una manciata di ore durante le quali, instancabile, aveva spulciato gli Atti dei processi ai Mangiamorte superstiti. Purtroppo, però, di grandi novità non ne aveva trovate: proprio come confermato da Potter in tutte le sue deposizioni, Cedric era stato assinato a sangue freddo semplicemente perché "si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato". Un piccolo dettaglio, però, aveva richiamato la sua attenzione: per la prima volta in un documento ufficiale, oltre a farsi esplicita menzione alle generalità dell'assassino (identificato come Peter Minus, ex Grifondoro classe 1959 del quale, in allegato, venivano narrati i crimini e le nefandezze perpetrate ai costi dei suoi amici), si diceva che proprio quella sera l'assassino di Cedric, in occasione della risurrezione del suo Signore, era stato costretto ad automutilarsi per poi ricevere in dono, sempre da parte di Lord Voldemort, una mano meccanica in argento massiccio. Al momento della lettura quel fatto curioso era parso a Ross bizzarro ma alquanto insignificante; quando però, mentre si trovava imprigionato dalle Bisce Buie nel bel mezzo del suo stesso salotto, la mano d'argento sfavillò colpita dalla luce, il ragazzo non ebbe alcun dubbio: quel fantasma grassoccio che, chissà come, era riuscito a stordirlo e a catturarlo una volta uscito dal Ministero della Magia, e che ora si dava da fare per neutralizzare Heidi, doveva per forza essere quel disgraziato di Minus.
In che modo uno spettro (ad essi, di solito, non era consentito interferire materialmente nel mondo dei vivi) fosse riuscito a metterlo k.o., a legarlo e a trascinarlo di ritorno a Glasgow, Ross non lo sapeva; ciò che sapeva, però, era che si trattava di un tipo pericoloso. La lettura degli Atti gli aveva rivelato che Minus si era macchiato di omicidio e tradimento ed ora, vista e considerata la violenza degli incantesimi e degli improperi che lanciava all'indirizzo di Heidi, sarebbe stato certamente in grado di colpire di nuovo.
Impedimenta! Stupeficium! Expelliarmus!
Heidi, pur sapendo che i suoi incantesimi sarebbero stati perfettamente inutili, continuava a urlare con quanto fiato aveva in gola. E la maggior parte delle sue fatture, in effetti, riusciva a raggiungere il corpo tremolante di Minus; al quale purtroppo però, come c'era da aspettarsi, i colpi della giovane Tassorosso non facevano né caldo né freddo.
Expecto Patronum!...
Un fiotto di luce argentea fuoriuscì dalla bacchetta dell'esausta ragazza, per poi trasformarsi immediatamente in un riccio irto di aculei che si avventò contro le gambe del furibondo Minus. All’entrare in contatto col Patronus, il fantasma proruppe in un urlo di sorpreso quanto autentico dolore: lasciata perdere momentaneamente Heidi, l’uomo cominciò a strapparsi freneticamente le spine che gli si erano conficcate nei polpacci.
- Funziona!...
L’esclamazione di Ross, subito zittito da una stretta delle Bisce, risuonò nell’aria; gli altri incantesimi potevano anche non funzionare ma, ancora una volta, l’incanto Patronus rivelava la sua potenza eccezionale: l’unico, forse, a costituire un ponte, effettivo e tangibile, fra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Heidi si rimise in piedi, pronta a produrre un nuovo Patronus dato che il primo, raggiunto il tempo massimo di materializzazione, aveva già cominciato a sbiadire e a dissolversi nell’aria. Non ebbe il tempo di proferire la formula dell’incantesimo: una forma buia e indistinta si parò improvvisa davanti a lei e la raggiunse in un baleno. Heidi sentì il respiro che le si mozzava e le parve di udire le urla di Ross, inspiegabilmente lontane; poi, inesorabile, un velo di oscurità calò su di lei.


I meandri che collegavano le bocche dei camini britannici erano a dir poco labirintici e molto, molto sporchi.
Mentre saettava in quegli apparentemente infiniti cunicoli affumicati Cedric pensò che, al termine della loro lunga scivolata, lui e i suoi opalescenti compagni sarebbero approdati laddove si trovavano Heidi e Ross ( e l'emozione all'idea di rivederli gli faceva battere forte il cuore nel petto), ma si sbagliava. Quando finalmente giunsero a destinazione, il ragazzo si accorse che si trovavano in un vano basso e scuro simile ad una carbonaia.
MacAvoy! Cadwallader! 
- Aspetta, Cedric - lo ammonì il Frate Grasso con un cenno della mano. - Abbiamo ancora una cosa da fare prima di reggiungerli.
E prima che Cedric potesse chiedergli delucidazioni, un bellissimo Tasso d'argento, molto simile a Pagú ma decisamente incorporeo, si materializzò in mezzo a loro e parlò con la voce di Tosca:
- Tre dilemmi, tre conti in sospeso, tre prove da superare - recitò il Patronus, brillante nell'oscurità, e Cedric non poté esimersi dall'associare la missione che li spettava allo sciagurato Torneo nel quale aveva perso la vita. - La Prima Prova è ormai alle porte: recuperate le vostre armi e battetevi con coraggio! E ricordate: le Bisce Buie odiano la luce. In bocca al Gramo, miei prodi!
Un istante prima di dissolversi, il Tasso consegnò loro un piccolo involto cilindrico, che il Frate Grasso afferrò con decisione.
- Per tutta la sapienza del mio signor padrino Salazar - si lasciò sfuggire il Barone quando, una volta disfatto l'involto, il Frate gli porse la sua bacchetta di salice. Erano secoli che non la vedeva, eppure era come se l'avesse sempre avuta con sé.
- Or sì che si ragiona - sorrise la Dama Grigia, carezzando con delicatezza la punta della sua bacchetta di frassino.
Sir Nicholas stendeva e ritraeva il braccio per riabituarsi alla presa, come in uno spettrale allenamento di scherma.
- Ma funzioneranno ancora? - s'interrogò Colin, pensoso.
- Assolutamente sì, altrimenti Madama Tosca non ce le avrebbe inviate - rispose il Frate, risoluto. - In fin dei conti combatteremo contro altre anime, e non nel mondo dei vivi: non dimenticatelo.
- Muoviamoci ragazzi!
L'esortazione di Cedric echeggiò contro le basse pareti dell'antro. Imboccata nuovamente la cappa del camino, gli spiriti si precipitarono fuori.
 
Devastazione.
Questo fu il primo pensiero di Cedric quando, trafelato, emerse dal caminetto di quel piccolo appartamento messo a soqquadro. Come se non fosse stato sufficiente scivolare a velocità inaudita in quell’immenso dedaloo di canne fumarie sudicie di fuliggine, in dirittura d’arrivo gli era anche toccato effettuare una sterzata storica per evitare di finire dritto in un calderone di rame lucidissimo (probabilmente appartenente a quella precisetta di Heidi) posizionato stotto la cappa.
Nel salottino regnava il caos più assoluto.
Una rapida occhiata in giro gli rivelò la presenza di poltrone sventrate, vetri infranti, tende strappate, oggetti rovesciati, nonché un ributtante strato di rettili neri e in continua agitazione a ricoprire il pavimento. E più in là, sullo sfondo, un dettaglio che lo fece prorompere in un grido d’angoscia:
- Heidi! Ross!...
I due ragazzi, immobili, levitavano a mezz’aria, trattenuti da orripilanti nugoli di Bisce Buie che stringevano le loro rivoltanti spire attorno ai loro polsi e alle loro caviglie.
Poco lontano da loro, altre Bisce Buie si stavano trasformando in persone - spiriti, evidentemente, incorporei e nerovestiti. Una di loro, in particolare, richiamò l'attenzione dei nuovi arrivati, soprattutto di Nicholas, che l'apostrofò con un incredulo:
- Voi?!
Lo spettro rise; un rantolo basso e sommesso da far accapponare la pelle anche a chi come loro, la pelle, non ce l’aveva. Aveva le sembianze di un uomo alto dai lineamenti ossuti, riccamente abbigliato con un mantello di velluto viola bordato di ermellino, un’imponente mitra ricamata in bilico sul capo ed una pesante croce d’oro massiccio appesa al collo.
- Dunque mi riconoscete? – chiese a Nick, socchiudendo gli occhi.
Il fantasma Grifondoro strinse gli occhi.
Monseñor Sombra – mormorò, non senza un certo affanno.
- Uno dei più fidati servitori del Buio, evidentemente - aggiunse il Frate Grasso, accigliato.
- Sapevamo che ci sareste cascati, voi e tutta la vostra sciocca combriccola – li provocò lo spettro, facendo vagare uno sguardo sprezzante sul gruppetto di fantasmi riuniti davanti a lui. – Deboli cuori teneri soggiogati dai buoni sentimenti.
- Che cosa avete fatto loro? – gridò Nick, il viso deformato da un’espressione angosciata. – Ad Edward, e ad Henry...
- Hanno fatto una brutta fine - ghignò l'inquietante Vescovo, con una smorfia crudele. - Fossi in voi però, ora come ora, mi preoccuperei di più per questi due - disse, additando Heidi e Ross con l'indice della mano adunca.
- Li avete usati come esche!... - esclamò Cedric, indignato dinnanzi a cotanta codardia.
- Cattivello - aggiunse Mirtilla all'indirizzo del Vescovo e scuotendo la testa con fare di estrema disapprovazione. - E bruttarello assai, povero te.
- Ma Mirtilla, ti sembra questo il momento? - sospirò Helena Corvonero, alzando gli occhi al cielo.
Prima che la fantasmina potesse ribattere, Monseñor Sombra tirò fuori qualcosa dalla tasca della tunica. Si trattava di due sferette di cristallo, dentro le quali guizzavano due palline luminose.
- Ed eccoveli qui, i vostri due amici - sibilò lo spirito, rivolgendosi nuovamente a Sir Nicholas, che lo fissava impietrito. - O meglio: la parte più nobile di loro, intendo dire. Sapevo che mi sarebbero tornati utili, prima o poi.
Si trattava quindi, pensò Cedric incantato, di due piccoli contenitori di anime.
- Ma perché, perché?- insistette Nick, la cui sagoma lattiginosa sberluccicava di una luce palpitante e accorata. - Perché eliminarci così, perché tutto questo dolore?
- Non potevamo permettere che foste voi a raggiungere le Americhe per primo - rispose Monseñor Sombra, un lampo cupo nello sguardo. - Sapevamo che eravate in corrispondenza con gli sciamani e gli stregoni locali; avevamo intercettato alcuni degli uccelli migratori di cui vi servivate.
- Non capisco...
- C'erano in gioco interessi molto, molto più grandi dei vostri, evidentemente - il tono del Vescovo si fece piatto e sibilante. - Catechizzazione e colonizzazione dovevano avvenire senza interferenze; e noi sapevamo che, se i primi ad approdare foste stati voi, la nostra opera di convincimento...
- ...di oppressione, vorrete dire - ringhiò Nick, incredulo.
- ...mettetela come volete: il punto è che dovevamo essere noi a stabilire i primi contatti, al fine di stabilire al più presto la miglior maniera di soggiogare quei selvaggi.
- Ma... ma eravate maghi anche voi!...
- Oh sì, ma in combutta con la Santa Madre Chiesa, cotanto cara a Sua Maestà, la Reina Isabella. Il che, ovviamente, ci ha sempre garantito immensi privilegi...
Una voce stentorea, perfetta per un sermone da applicarsi in una qualsiasi pieve romanica dalle stesse pareti, riscosse i presenti.  
- Ma che schifo, che indegna deriva degli insegnamenti del Divin Bambinello – disse il Frate Grasso, puntando contro al Monsignore un dito ammonitore e sfoderando la bacchetta dal saio con un gesto oltreché teatrale. - Non so di che tipo di magia hai dotato i tuoi servitori, per far sì ch’essa interferisca col mondo dei vivi, ma una cosa è certa: i nostri, di incantesimi, non li schiverete così facilmente!... Bando alle ciance, Nick!... Avanti tutta, ragazzi!...
Nel giro di un secondo, all’interno del povero salottino maltrattato, si scatenò il pandemonio.
I fratelli Canon, dando prova di tutto il loro coraggio di Grifondoro, si misero a spaventare le Bisce a colpi di flash della loro Polaroid incantata e duellare con uno dei servitori del Buio; Mirtilla ne affrontò un altro, che fra tutti le era parso il più carino, mentre Pagú, incontenibile, si lanciava nel mucchio e prendeva ad artigliare e ad addentare Bisce a destra e a manca, divorandone in gran numero, felice come una Pasqua. 
In breve, gli avversari furono sbaragliati.
Il Frate Grasso e Nick, dando prova di un ineccepibile spirito di squadra, si alternavano contro il Bispo Sombra che, con un'espressione di indefinibile meraviglia dipinta sul volto scavato, faticava a tenere testa ad entrambi. Il malvagio, evidentemente, non si era aspettato di dover affrontare un manipoli di fantasmi dotati di bacchette magiche funzionanti sul piano spiritutale.
- Le bacchette!... - boccheggiò, trafelato. - Dove accidenti...
- La povertà di spirito è un peccato imperdonabile - lo redarguì il Frate, severo. - Damnatio eterna agli stolti che dubitano della Luce della divina Tosca!
Lux in Tenebris! - urlò Nicholas; un fiotto di luce intensa fuoriuscì dalla bacchetta e andò a colpire Sombra, che si arrestò, attonito.
Agnus Incantatus! - rincarò il Frate, e uno scintillante ariete Vello Magico caricò l'avversario, assestandogli una poderosa incornata. - Finiscilo, Nick!
Gladius Grypi!
E la spada di Godric Grifondoro, materializzatasi all'istante fra le sue mani, risplendette di riflessi di fuoco; e con essa Sir Nicholas de Mimsy-Porpington avanzò di scatto e, in un solo colpo, recise di netto il capo del Servo del Buio. Il quale, dopo aver cacciato un urlo agghiacciante, evaporò nell'aere e svanì per sempre.
- Accio sfere! - ebbe ancora la prontezza di gridare Nick, il che gli permise di afferrara al volo i piccoli contenitori di cristallo in cui erano serbate le anime di Edward Cook e di Henry Worchester.
- Finalmente vi ritrovo, amici - disse il gentilmago con un sospiro.


Nel frattempo Cedric, con l’aiuto del Barone Sanguinario e della Dama Grigia, era corso a liberare Heidi e Ross dalla morsa delle Bisce. Questi ultimi, cui probabilmente non sembrava vero poter nuovamente usare la magia con un qualche tipo di effetto, sbaragliarono in meno che non si dica una mezza dozzina di servitori; il Barone, impassibile, fendeva fantasmi con getti di luce argentea mentre la Dama, bellissima e terribile coi lunghi capelli corvini che le turbinavano alle spalle, si profondeva in sciabolate di luce ramata. I servitori superstiti si ritrassero freneticamente, ritrasformandosi in Bisce e sgusciando atterriti attraverso il camino: del resto, se hai la malaugurata idea di affrontare il figlioccio di Salazar Serpeverde e la figlia di Priscilla Corvonero, devi per forza aspettarti il peggio.
Scioglispira! – sibilò il Barone; i rettili si ritrassero immediatamente dagli arti lividi di Ross Cadwallader, che cadde al suolo con un tonfo sordo.
Rostrum Corvi! – gridò Helena, facendo sferzare la bacchetta. Uno stormo di corvi neri come la notte si mosse in formazione compatta e puntò sulle Bisce che trattenevano il corpo della giovane Tassorosso, beccandole spietatamente fino ad indurle alla fuga.
Finalmente libera, Heidi corse da Ross e lo aiutò a tirarsi su.
- Oh, per tutti i Tassi di Tosca, Ross... dimmi che stai bene – pigolò la ragazza, abbracciandolo di slancio.
- Heidi, guarda – fu l’unica risposta che il ragazzo fu in grado di darle.
Heidi seguì il suo sguardo e, quando i suoi occhi si allinearono a quelli di lui, rimase di sasso.
- Ma tu... ma tu... Capitano?!
- In persona, ragazzi – Cedric le rivolse un sorriso smagliante. – Anzi: in spirito e antimateria, come direbbe Mirtilla!
- Ma che cosa ci fai...
Cedric stava per risponderle che era lì per salvarli, e che questo salvataggio sarebbe stato funzionale a tutta una serie di altri salvataggi sul piano immateriale, quando una vocetta nervosa risuonò alle sue spalle.
- Che cosa diavolo credi di fare, Diggory?
Cedric si voltò.
E proprio in quel momento, un'ampia rete argentea simile ad un Acchiappasogni calò sui due Tassorosso e sui due fantasmi, intrappolandoli.  
- Non si spezza! - urlò la Dama Grigia, furibonda, mentre con la bacchetta lei e il Barone tentavano invano di fendere la trama compatta delle rete. Probabilmente era fatta di un qualche materiale magico capace di imprigionare egualmente i vivi e i morti.
In quel momento, però, l'attenzione di Cedric era completamente rivolta allo spirito dai lineamenti topeschi e dalla mano argentata che lo aveva chiamato per nome.
Lo riconobbe subito, ovviamente, perché non accade tutti i giorni che qualcuno ti ammazzi a sangue freddo. E quando questo accade, ve lo garantisco, uno se la ricorda bene, la faccia del suo assassino.
- Io ti conosco.
- Non ne dubito - gli rispose quello, per poi citare un detto che Cedric aveva già udito pronunciare dal Frate Grasso, evidentemente molto in voga fra gli spiriti: - chi muore si rivede, del resto.
- Che cosa ci fai qui? - volle sapere Cedric, stringendo gli occhi.
- Debiti da saldare - la voce di Minus tremò leggermente nel dargli la risposta. - Il Buio mi ha promesso che metterà una buona parola con la Signora, in caso gli dia una mano.
- Povero illuso - lo schernì il Barone mentre, inferocito, tentava a sua volta di tagliare le maglie della rete. - Non potevi capitare peggio...
- Stà zitto! - urlò Minus e Cedric, per quanto il fatto che uno spirito traspirasse potesse suonare strano, ebbe la netta sensazione di vederlo sudare freddo e rabbrividire. - Io all'inferno dei fantasmi non ci torno! Hai capito?... Voialtri, invece...
- Di quali debiti stai parlando? 
- Ha tradito i suoi amici! – urlò Ross, che aveva appreso tutta la storia delle nefandezze di Minus attraverso la lettura degli Atti. – è stato lui a consegnare i Potter al Signore Oscuro, condannandoli a morte!...
- Non avevo scelta – squittì Minus, indispettito.
Cedric scosse la testa.
- Uno ha sempre scelta - affermò, calmo.
- E allora - gli rispose Minus con una caustica alzata di spalle - possiamo dire che io, la mia, l'ho fatta.
- Mi fai pena – gli disse semplicemente Cedric; poi, veloce come un lampo, il ragazzo puntò la bacchetta verso lo spirito di Codaliscia e urlò: - Reverso!
Minus sgranò gli occhi e, con un disgustoso plop, si ritrasformò in una Biscia Buia.
- A te, Pagú! – gridò allora Cedric.

E il Tasso prediletto di Tosca, ben lungi dall’essere sazio, si slanciò in avanti, avventandosi sul rettile con gli unghioni sguainati. La Biscia-Minus tentò una fuga disperata, ma Pagú l’afferrò saldamente con le zampe anteriori e poi, con un paio di morsi decisi, la divorò per intero.
- Tutto qui? - fu il commento di Mirtilla, nel frattempo avvicinatasi con un'espressione annoiata dipinta sul visetto occhialuto. - Mi aspettavo fuoco e fiamme... abbiamo già finito?
- Neanche l'inferno degli spiriti si merita, uno così - decretò Cedric, stringendo saldamente la bacchetta fra le dita della mano destra.
- Oh, vabbè. Sei comunque così eroico, Ceddy! Posso abbracciarti?
- No!
- Oh. Fai sempre tanto il difficile...
- Mirtilla... - tentò Helena, già sapendo di essere in procinto di sprecare fiato.
Ma Cedric si era già allontanato fluttuando e aveva raggiunto Heidi e Ross i quali, stretti l'uno all'altra, lo guardavano con gli occhi lucidi.
- Come state?
- Vorrei tanto poterti abbracciare, Capitano - gli rispose Heidi, tirando su col naso.
- Anch'io. Mi sa che non ce la facciamo, però - ribattè lui, sforzandosi di sorridere.
- Ci sei... - Ross deglutì il groppone. - Ci sei mancato tanto, amico.
- Anche voi. 
Cedric si sentì invadere dalla commozione, una commozione che non pensava avrebbe provato dopo la morte. E mentre, stringendo le labbra, fissava i suoi amici finalmente in salvo, l'occhio gli cadde su un dettaglio che lo fece riscuotere.
- Ma! - esclamò, facendoli sobbalzare. - Dove accidenti sono le vostre fedi?
I due ragazzi gli rivolsero uno sguardo incredulo.
- Noi non... - cominciò Ross - non siamo sposati.
- Non vi siete sposati?!
- No.
- E perché mai?...
- Perché, perché... - i begli occhi di Heidi erano pieni di lacrime. - Perché mancava il nostro testimone più importante, Ced.
"Ok, questo è troppo" pensò Cedric, ormai prossimo all'evaporazione per troppe lacrime. Ma prima che il ragazzo potesse proferire verbo, la voce del Frate Grasso ruppe in silenzio.
- Potremmo rimediare subito. Che dite?


E fu così che, alla fine, Heidi MacAvoy e Ross Cadwallader si sposarono davvero, così su due piedi, nel bel mezzo del loro salotto semidistrutto. Alla cerimonia, officiata in pompa magna da un compito Frate Grasso, presero parte i fantasmi presenti durante lo scontro, i genitori degli sposi, mandati a chiamare in tutta fretta, e James, il cugino Magonò di Heidi, immediatamente convocato come secondo testimone. E Cedric Diggory, al colmo della felicità partecipò allo sposalizio in veste di testimone d'onore, facendosi garante dell'unione dei suoi due amici tanto nel mondo dei vivi quanto in quello ultraterreno.
- Una storia d'amore che ben finisce - commentò Helena Corvonero a voce bassissima, mentre i due ragazzi si scambiavano gli anelli.
Il Barone Sanguinario che, per una strana circostanza, si trovava in piedi accanto a lei, strinse le labbra e le rivolse uno sguardo grave, fissandola a lungo con i suoi occhi pallidi.
- La loro, sì - disse infine, facendo scorrere con delicatezza i polpastrelli lungo le catene. - Qualcosa mi dice, però, che ben presto ne dovremo affrontare di più dolorose.
La Dama Grigia si accigliò.
- Ancora con questa storia...
- No - la interruppe lui, sbuffando. - Mi riferisco alla studentessa della tua Casa, l'ex-ragazza di Diggory.
- Cho Chang?
- Lei.

Note a piè di pagina:
Un brindisi, amici! Al primo match brillantemente vinto dai nostri eroi, al matrimonio di Heidi e Ross, al mio latino maccheronico e... oh sì, certo, all'avvento del nuovo anno!

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Capitolo 7
*** Anima e corpo. ***


7. Anima e corpo.
 
[Mare del Nord, autunno 1181]
Delft - Rotterdam, tutta via canali.
Rotterdam - Edimburgo, attraverso il Mare del Nord, senza uno straccio di scalo.
Alla sinistra della nave, troppo lenta per i suoi gusti, la verde terra di Albione sfilava placidamente, ma era impossibile scorgerla a causa delle fitte nebbie che ne mantenevano celate le coste agli sguardi dei navigatori che colà transitavano.
Il giovane abbigliato di nero staccò i gomiti dal parapetto in legno intagliato e raddrizzò la schiena leggermente indolenzita: laggiù oltre le eteree coltri, evanescenti come lattiginosi fantasmi, gli era parso di avvistare una luce. Forse, però, si trattava soltanto della sua immaginazione, o del suo desiderio di arrivare a destinazione. Chissà.
Scosso da un fremito d'impazienza il ragazzo strinse appena gli occhi, chiari come l'acqua, e sbuffò fuori dalla bocca una nuvoletta di vapore che si condensò all'istante nell'aria frizzante e salmastra; poi, con la mano intirizzita, richiuse intorno al collo il bavero dell'elegante casacca di velluto nero bordata di verde per proteggersi dalle folate di vento gelido che gli scompligliavano i capelli paglierini. Il viaggio dalla Città delle Maioliche Bianche e Blu, sede del suo baronato, alle gelide lande del Nord abitate dal suo Signor Padrino e dai suoi accoliti, si stava rivelando tanto lungo, scomodo e tedioso quanto lo ricordava.
"Vedrai, figlio mio adorato, quante altre mirabolanti meraviglie avrai modo di apprendere alla corte del tuo Signor Zio" gli aveva detto sua madre, la Baronessa di Delft, rivolgendogli un sorriso di perla. "Come ben sai il mio amato fratello ha fondato, insieme ai suoi compagni, la migliore scuola magica di tutti i Regni del Nord; e tu, sì abile e versato negl'incanti fatati, avrai certo modo di distinguerti fra i tuoi pari".
Anche suo padre, seppure assai restio all'idea di lasciar partire il suo unico figlio, si era visto costretto ad assentire dal momento che, n'era conscio anche lui, nei Paesi Bassi il perfezionamento nell'istruzione magica del sue erede non avrebbe mai raggiunto risultati paragonabili a quelli offerti da Hogwarts. La prima leva di studenti della scuola si era già diplomata e le voci della loro grandezza e abilità avevano subito scavallato la Manica.
"Il tuo zio e padrino, Salazar Serpeverde, è un mago eccezionale: grandi giovamenti trarrai, figliolo caro, dalla convivenza con lui".
E così Albrecht van Duiker, figlio del Barone Jacobus van Duiker e della nobildonna inglese Gemma Serpeverde, aveva lasciato l'Olanda e si ritrovava ora intento a veleggiare verso la Scozia.
Per la seconda volta, in verità.
Sì perché lui, quel viaggio, l'aveva già intrapreso una volta in passato: e nove lunghi anni erano trascorsi da allora. Ora, a ventitré anni compiuti, il Baronetto percorreva di nuovo la medesima, accidentata rotta; e chino sul parapetto di legno della nave, davvero troppo lenta per i suoi gusti, occhieggiava laddove avrebbe dovuto trovarsi la costa inglese, e rimuginava fra sé e sé.
Pensava che l'incontro con il Signor Padrino e gli insegnamenti da lui elargiti sarebbero certo valsi uno spostamento così disagevole; al tempo stesso, però, sapeva che il vero e più profondo motivo di tanta impazienza era un altro.
Capelli corvini, lucidi come un manto d'ombra;
Occhi grigi, avvolgenti come nebbia;
Pelle di luna velata di rosa;
Un sorriso acuto, una risata argentina permeata d'ignegno.
Un nome: Helena.
 
[Londra, luglio 1999]
- Sei così bella – le sussurrò, la voce impastata dal torpore.
Il sonno faceva capolino fra le bionde ciglia di quel babbano sconosciuto, sdraiato lì accanto. Subito dopo aver finito di fare quel che doveva fare, il giovane si era staccato da lei ed era rotolato sul fianco, stiracchiando le membra con un sospiro soddisfatto. Ed ora, sul punto di addormentarsi, le aveva rivolto un’ultima occhiata di apprezzamento, osservandola compiaciuto come un esperto di unicorni che si è appena aggiudicato il possesso di un puledro dalle forme particolarmente aggraziate.
Cho Chang ebbe un moto di stizza mista a raccapriccio e s’irrigidì.
E così, pensò affranta, era accaduto di nuovo. Per l’ennesima volta.
Era sgusciata fuori di casa sul far della sera per sfuggire ai pensieri annidati negli angoli bui della sua stanza e ci era cascata di nuovo. Aveva permesso che il caldo sorriso di un uomo (uno qualsiasi) s’insinuasse dentro di lei, alimentando le sue speranze di sfuggire all’angoscia della solitudine e, come sempre, era finita stretta fra il corpo di un estraneo ed una parure di lenzuola dall’aroma anonimo.
La ragazza si alzò di scatto a sedere ed estrasse la bacchetta, mentre il giovane accanto a lei spalancava gli occhi per la sorpresa.
- Vuoi... vuoi che ordiniamo del sushi? – le chiese, fissando incerto lo strano oggetto che lei stringeva fra le dita. - Po-potremmo...
Cho gli sorrise debolmente.
In quel momento, si sentì esausta e svuotata come non mai.
Oblivion – mormorò soltanto, affrettandosi poi a recuperare i suoi effetti personali con un rapido incantesimo d’appello.
Un secondo dopo, della bella ragazza orientale che, per qualche ora, aveva stanziato in quella camera tinteggiata di celeste pallido, non era rimasta alcuna traccia.
 
[Hogsmeade, estate 1172]
- Ma voi, non ridete mai?
La ragazzina lo scrutava con un'espressione vagamente divertita che lo fece infuriare. Erano giorni che lo tallonava, importunandolo di continuo; lui, già piuttosto seccato di suo, cercava invano di scrollarsela di dosso. E così, in men che non si dica, dalle sue labbra era fuoriuscita una risposta secca, pronunciata nel suo inglese reso un po'spigoloso dall'accento marcatamente fiammingo.
- La cosa non vi riguarda.
Lei non si scompose; con una delicata rotazione del polso descrisse nell'aria un semicircolo con la bacchetta, dalla cui estremità spuntò un oggetto giallognolo e bucherellato, dotato di consistenza soffice. Dopo averlo preso in mano, la fanciulla lo lanciò a terra, ai suoi piedi.
- Ma che fate? - domandò allora lui, incuriosito suo malgrado.
Getto la spugna! - rispose allegramente lei, ridacchiando divertita dall'acume della sua stessa trovata. Poi però, visto che lui sembrava non capire il senso della sua affermazione (forse in Olanda quel detto non aveva senso), la giovane precisò:
- Mia madre mi aveva promesso che sarebbe stato assai piacevole trascorrere l'estate in compagnia di qualcuno della mia età - e qui le iridi grigie di lei fremettero e parvero indurirsi. - Evidentemente, però, mi ha ritenuta stolta. Come suo solito.
La durezza di quelle parole lo scosse, facendogli abbassare la guardia. Lui non si sarebbe mai sognato di parlare in quei termini di sua madre. Sotto sotto, però, nascosto dal sottile strato di metaforico ghiaccio venutosi a creare tutt'intorno alla sua giovane interlocutrice, gli era parso di percepire un velo di tristezza, un misto di rammarico e di risentimento che gli fecero provare una punta di pena per lei.
- Madama Corvonero è una gentildonna onorata... - affermò quindi, sforzandosi di suonare conciliante.
- Hogwarts di qua, Hogwarts di là - sbuffò la fanciulla, rivolgendogli un'occhiata sprezzante. - Sanno parlare solo di quella benedettissima scuola.
Lui si morse il labbro per impedirsi di darle subito ragione. 
L'estate da trascorrere in compagnia del suo Signor Padrino era stata motivo di mesi e mesi di aspettative, alimentate da sua madre che aveva tessuto senza sosta le lodi del fratello Salazar - il quale, a sua detta, era uno dei più grandi e potenti maghi di tutti i tempi. il Baronetto Albrecht aveva fantasticato a non finire, attendendo con impazienza quasi spasmodica il giorno della partenza.
Quando infine era giunto a destinazione, però, la delusione era stata grande.
Hogsmeade non era che un villaggetto da quattro case, umido e fangoso. Magico, sì, ma assolutamente anonimo. Eppure non era esattamente quello, il punto.
Il Signor Zio lo aveva accolto con grande benevolenza e subito lo aveva presentato ai suoi compagni, il cavalier Grifondoro, mago provetto dalla lucente armatura, nonché le splendide dame Tassorosso e Corvonero, vestite di sole e di cielo, streghe bellissime e poderose; e lui si era sentito invadere il petto da una forte emozione. Dopo qualche giorno, però, il ragazzo si era accorto che tutte le energie e l'impegno dei quattro stregoni erano assorbiti dalla missione di fondare la Scuola di Magia di cui tanto parlavano. E così il prevedibile risultato era stato che, giocoforza, il suo padrino non aveva avuto alcun tempo da dedicare a lui.
Nel momento in cui se n'era reso conto, il delusissimo Albrecht van Duiker, Baronetto di Delft, non aveva minimamente  immaginato che, proprio a causa dell'assenza degli adulti, l'estate che lo aspettava sarebbe forse stata la più bella della sua vita. Quello lo avrebbe capito solo più tardi, verso la fine di luglio, quando le sue labbra di adolescente impacciato si fossero posate su quelle rosee della giovane figlia di Madama Corvonero.
- Senti, Helena - disse Albrecht alla ragazzina, sorridendo impercettibilmente nel vederla stupita dal suo tono improvvisamente confidenziale. - Tua madre ha ragione. Gli adulti sono molto impegnati in questi giorni: dovremmo farci compagnia a vicenda.
Lei fissò i grandi occhi grigi nei suoi, tanto chiari da apparire quasi trasparenti. Subito dopo, le labbra rosate della fanciulletta si incurvarono in un sorrisetto birichino.
- Tu li sai domare i Platani Picchiatori, Albrecht? Ce n'è uno poco lontano da qui: te lo posso mostrare, se ti va.
 
[Londra, luglio 1999]
La serratura scattò.
Cho estrasse la punta della bacchetta dal buco e afferrò la maniglia di ottone, affrettandosi a spingere la pesante anta di legno di noce. In fondo al corridoietto d’ingresso, una luce azzurrognola e tremolante anticipò il ronzio sommesso di un televisore acceso. Parole sommesse le rivelarono la presenza di gente sveglia all'interno della stanza.
La ragazza scosse la testa, leggermente contrariata.
Aveva sperato di non imbattersi in nessuno al suo ritorno, ma evidentemente i suoi propositi sarebbero stati bellamente disattesi. Difatti, in men che non si dica, una testa ricciuta si affacciò dal vano della porta della sala.
- Cho?
- Sì, Marietta, sono io – rispose stancamente lei, per poi tirare dritto lungo il corridoio, diretta alla sua stanza. Non voleva apparire scortese ma, per la saggezza di Priscilla, quella sera non se la sentiva proprio di interagire con anima viva.
Per la seconda volta nel giro di due minuti, però, i suoi piani se ne andarono al Creatore: una figura maschile alta e ben proporzionata, infatti, s’era affacciata alle spalle di Marietta ed era uscita dalla sala, sbarrandole il passo.
- Ti sembra questa l’ora di rincasare, signorina Chang?
- Ma da quale morigerato pulpito, Capitano – bofonchiò lei, a mo’ di risposta. Una ramanzina morale da quell’ex scavezzacollo di Roger Davies era proprio quello che non le ci voleva, accidenti a lui. – La signorina Brown ti sta rieducando?
Davies non se la prese.
- Lavanda è di là sul divano con le due Patil, Marietta e Randy – le disse lui, e il suo sorriso smagliante rilucette nella penombra. – Ti stavamo (anzi no: ti stavo) aspettando.
Cho lo ignorò e fece per proseguire, tentando invano di aggirarlo.
- Ti vuoi levare di torno, per cortesia? – lo apostrofò, stizzita. Si sentiva mortalmente stanca e svuotata: aveva solo voglia di stramazzare sul letto e dormire, dormire, dormire.
Roger le permise di passare, ma subito si girò e la seguì da vicino; poi, lesto lesto, s’infilò nella sua stanza prima che lei avesse il tempo di sigillarla con un incantesimo respingi-visite. Posato sul letto della ragazza Saotome-San, il panda gigante di peluche della ragazza, fissò entrambi con i suoi inespressivi occhi di vetro.
- Che cosa vuoi?
Il ragazzo fece una smorfia. 
La luce della luna filtrava dalle persiane illuminando i capelli corvini di Cho Chang e rendendoli lucidi come i dischi di vinile incisi con i tanghi che lui e Lavanda amavano tanto ballare. Era così bella, pensò lui con rammarico, la sua piccola amica dagli occhi allungati; così bella e così triste. Roger non potè fare a meno di ricordare la ragazza determinata, impavida e brillante che era stata, qulla cui lui aveva affidato il ruolo più importante all'interno della sua squadra, quella che tifava per i Tornados, che rideva a voce alta e che scuoteva i capelli con grazia e vivacità... prima di trasformarsi, letteralmente da un giorno all'altro, in una creatura insicura, malinconica ed emotivamente instabile.
- Chi era, stavolta?
Lo sguardo di onice di Cho fremette un istante e subito s’indurì.
- Non sono affari tuoi.
- Sì, invece.
- Balle.
- Sei stata la mia Cercatrice: ho ancora delle responsabilità nei tuoi confronti.
Lei alzò il mento e lo guardò fisso per qualche attimo. Roger tese le mani e l’afferrò per le spalle, scuotendola dolcemente ma con fermezza.
- Cho – le disse in un tono grave che, in bocca ad uno scanzonato come lui, suonò maledettamente serio. – Tu non puoi andare avanti a ribassarti così.
Lei rimase ferma per un secondo, per poi avanzare di un passo e accostare la fronte allo sterno solido e profumato di mate del suo amico di una vita. Quando Roger l’abbracciò stretta, se la sentì tremare fra le braccia; emozionato, alzò quindi la mano per carezzarle piano i capelli setosi.
- Devi cercare di lasciarti il passato alle spalle, querida.
- Non... non ce la faccio.
- Cho...
- Cedric è ancora qui, da qualche parte. Dentro di me, o forse là fuori: chissà. Senza di lui, io non riesco ad andare avanti, Roger.
 
[Hogsmeade, autunno 1181]
Nove anni di pergamene fitte fitte di parole, pensieri e racconti, riempite fino all'ultimo spazio disponibile e scambiate via gufo ed ogni altro mezzo possibile e inimmaginabile, magico o babbano che fosse.
Quando si erano finalmente rivisti, era bastato un unico sguardo.
Albrecht van Duiker e Helena Corvonero erano letteralmente caduti fra le braccia l'una dell'altro, vittime di una passione febbrile, di un'attrazione travolgente e incontenibile.
Quello che avevano da dirsi se lo erano già detti nei nove anni del loro fitto carteggio: entrambi erano consci di conoscersi come nessun altro li avrebbe mai conosciuti perché, nelle loro lettere, si erano detti tutto, aprendosi il cuore a vicenda e avventurandosi in confidenze tanto profonde da mettere a nudo le rispettive anime.
I due ragazzini che avevano giocato nei dintorni del castello in costruzione, ora imponente come un'immensa montagna di pietra grigia, quelli che si erano rincorsi lungo le rive del Lago Nero e fra i tronchi più esterni della Foresta Proibita; gli stessi che, tanti anni prima, si erano scambiati un timido bacio fra il frinire delle cicale e l'aria pregna di calura estiva; quei due giovani spontanei e vivaci erano cresciuti, oramai, trasformandosi in un giovane uomo e in una giovane donna che, in un'unico scambio di sguardi, s'erano scoperti incapaci di allontanarsi di un passo dalle rispettive orbite.
Era bastata un'occhiata, la prima sera, durante il banchetto di benvenuto al nipote del fondatore verdeargento. 
Albrecht e Helena si erano fissati in silenzio, incuranti dei brindisi, dei sorrisi incoraggianti di Madama Tosca, dello sguardo indagatore di Madonna Priscilla e dei visetti curiosi dei piccoli apprendisti.
Helena era bella come le ombre della notte, come il velo di bruma che ammanta l'aria nel momento in cui un sogno si dissipa e tu lo vorresti trattenere; Albrecht (quello che generazioni di studenti avrebbero poi conosciuto col lugubre appellativo di Barone Sanguinario) era biondo come il caldo sole dell'estate, luminoso come un campo di grano sormontato da un vorticoso mulino a vento, di quelli che ti ipnotizzano col movimento rapido delle loro pale.
Lo percepirono subito: erano fatti l'uno per l'altra, si appartenevano; così era e così fu.
E quindi più tardi, nel cuore della notte, il Barone di Delft si era smaterializzato nelle stanze della Dama dagli Occhi Grigi e, sempre senza dirle una parola, aveva a lungo baciato le sue labbra rosate, morbide, fresche e sorridenti come le ricordava; poi, tenendo a freno l'impazienza, le aveva sfilato lentamente il lungo abito azzurro mettendo a nudo la sua pelle di luna, mentre lei gli slacciava i bottoni argentati della giacca di velluto verde, gli scompigliava i capelli chiari come paglia dorata e giocherellava col piccolo anello d'argento che gli adornava l'orecchio, per poi spingerlo dolcemente sul suo letto dalle soffici lenzuola ancora immacolate.
Le loro anime erano già un tutt'uno: molto prima di quella notte, infatti, avevano avuto modo di incontrarsi, di desiderarsi e di fondersi in un'unica entità spirituale. 
Era ora tempo di ritrovarsi anche sul piano materiale: e così fecero, Albrecht e Helena, lasciandosi investire dall'impeto dei sensi e finalmente, dopo nove lunghi anni di attesa, amandosi instancabilmente e per intero, anima e corpo.
 
[Hogwarts, giugno 1995]
Poco lontano, il signor Diggory abbracciava suo figlio e gli augurava “In bocca al Gramo” per la prova, per poi ingiungergli di fare attenzione. Cedric sorrise dolcemente a suo padre e lei, sentendosi pervadere da un intenso rossore, pensò che quella maglia gialla e nera gli stava davvero bene. Era così bello, il suo Cedric: aveva l'eleganza di un principe, per tutti i diademi della Saggia Priscilla.
Cho si sentiva strana.
Era felice e anche un po’ confusa; soprattutto, però, si sentiva piena di vita, ricolma di gioia, completa come mai si era sentita prima di allora. Sotto sotto, era vero, avvertiva anche un po’ di preoccupazione, ma non voleva che quella sensazione negativa rovinasse la felicità del momento.
Sì perché, quel mattino, l’alba aveva posto fine ad una notte molto speciale.
Si erano svegliati abbracciati, stretti stretti l’uno all’altra, tanto vicini da sentirsi uno solo; e proprio questo erano stati quella notte, e più di una volta pensò lei, leggermente imbarazzata, senza riuscire a trattenere un sorriso quando lo sguardo di Cedric incrociò il suo e il ragazzo le mandò un bacio sulla punta delle dita.
E la ragazza rimase imbambolata, rievocando i ricordi felici delle ore precedenti.
“Non vedo l’ora che tutta questa storia assurda finisca” gli aveva confidato la sera prima mentre, mano nella mano, passeggiavano insieme sulle rive del Lago Nero.
“Domani sera a quest’ora il tuo desiderio sarà già stato esaudito” aveva risposto scherzosamente lui, stringendole il polso con affetto.
Lei era rimasta in silenzio, facendo scorrere i polpastrelli sulle punte morbide dell’erba alta.
“Come ti senti?” gli aveva domandato, in un sussurro.
Lui ci aveva pensato su per qualche attimo.
“Un po’ teso” le aveva risposto infine.
“Immagino”.
“Cho”.
Cedric si era fermato di scatto, arrestando la sua avanzata. Cho si era girata verso di lui e gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Una cosa buona, secondo me, questo Torneo l’ha fatta accadere”.
Lei lo aveva guardato negli occhi, che riflettevano la luce soffice del tramonto.
“Intendo dire” aveva continuato lui, sollevandole la mano per posarsela sul cuore “che, per lo meno, le circostanze hanno fatto sì che noi due...”
E Cho, dimentica della preoccupazione, aveva riso; e la sua era stata una risata di pura gioia. Gli si era avvicinata e aveva intrecciato le dita dietro al suo collo, mentre lui si sporgeva in avanti per catturare le sue labbra in un bacio morbido e un po’affannato.
“Forse... forse dovremmo...” aveva ridacchiato lei dopo qualche minuto, rendendosi conto di avere la divisa tutta in disordine "...andare altrove".
E così, senza neppure consultarsi, erano corsi via ridendo come due sciocchi, innamorati e felici, fino a raggiungere la casetta che sorgeva ai margini del campo ovale, quella in cui Madama Bumb riponeva le scatole contenenti le Pluffe, i Bolidi e gli aurei boccini: il luogo perfetto per l’incontro di due anime innamorate del Quidditch come le loro.
E quel che era accaduto là dentro era stato forse un po’inesperto, un po’ impacciato, ma al tempo stesso era stato puro, autentico e veritiero, proprio fino all’ultimo sospiro.
Cho ci avrebbe ripensato tante volte in futuro, sentendosi ogni volta sgorgare calde lacrime di nostalgia e di amarezza al di sotto delle lunghe ciglia scure.


[Hogwarts, inverno 1977]
- Ma... ma non è giusto!
- La prego di calmarsi, signorina Evans - la voce di Minerva McGranitt risuonò inflessibile come sempre, andando a coprire le proteste di Lily. - Il professor Lumacorno ha già espresso le sue considerazioni in merito alla faccenda.
Dall'espressione scolpita sul suo viso spigoloso, la Vicepreside stava palesemente schiumando di rabbia, ma si sforzava di non darlo a vedere. Il professore di Pozioni, invece, appariva visibilmente imbarazzato. Che Lily Evans fosse una delle sue studentesse preferite lo sapevano tutti, ed evidentemente gli dispiaceva contrariarla, ma si trattava pur sempre di un caso che vedeva coinvolto un alunno appartenente alla sua Casa, ed era suo dovere garantire per lui.
- Ma quel... quel codardo ha attaccato Mary!... Se non fosse stato per Benji e per Sturgis, l'avrebbe ammazzata!...
Accanto alla ragazza infuriata un'altra studentessa del Grifondoro, una graziosa giovane dai folti ricci color del miele, se ne stava immobile, mantenendo gli occhi bassi, fissi sulle pietre millennarie che pavimentavano la presidenza.
- Signorina Evans - balbettò Lumacorno, a disagio. - Come già affermato dal signor Piton, lui e il signor Mulciber si trovavano insieme al momento dell'... dell'incidente. Oltretutto, i signori Fenwick e Podmore dicono di non averlo riconosciuto distintamente...
- Questo però significherebbe, Horace - disse il professor Silente, congiungendo le punte delle lunghe dita - che la signorina Macdonald sta affermando il falso.
- Sì... cioè, no: ovvero, in un certo senso...
Il Preside alzò gli occhi chiari sui due studenti di Serpeverde, in attesa accanto al Direttore della loro Casa. In quel momento, Severus Piton appariva ancora più imbarazzato di Lumacorno, ma le tentava tutte per nasconderlo. Invece Ares Mulciber, alto, magro e impassibile, il viso pallido incorniciato di lucidi capelli corvini, scrutava in silenzio Mary Macdonald, che faceva di tutto per evitare il suo sguardo.
- Signor Piton... - ricominciò il Preside, in tono pacato.
- Vi ho già detto quello che so! - esclamò il ragazzo, sforzandosi di ignorare le occhiate di fuoco indirizzategli da Lily Evans. - Ares si trovava con me quel giorno! Ci eravamo offerti volontari per lucidare i calderoni... La Macdonald deve averlo scambiato per un altro!...
Silente lo fissò in modo penetrante.
- Oh, beh. Se le cose stanno così... Ha altro da aggiungere, signorina Macdonald?
- N-no - la ragazza, evidentemente, sembrava desiderare soltanto di andarsene da lì. Probabilmente, se non fosse stato per le insistenze della sua amica, non avrebbe mai neanche sporto denuncia.
- Ma non è giusto, signor Preside! - Lily Evans era furibonda, e andò avanti a protestare mentre gli insegnanti scortavano lei e gli altri studenti verso l'uscita. - Mary non può averlo confuso con un altro!...
Un improvviso sussurro al suo orecchio la zittì all'istante, facendola raggelare. Ares Mulciber le si era avvicinato entre uscivano, accostandosi di soppiatto alla sua spalla:
- Sai una cosa, Evans? - le disse, stando bene attento a farsi udire solo da lei. - Sei una maledetta impicciona, ma su di una cosa hai proprio ragione: Mary non potrebbe mai confondermi con un altro. Mai.
"Certo che no" pensò subito lei, vagamente allarmata. "Non dopo quello che le hai fatto passare in quasi due anni di fidanzamento da incubo!"
Mentre formulava quell'inquietante pensiero, Lily si accorse che gli occhi scuri del ragazzo erano puntati sui riccioli biondi della sua amica. 
Davanti a loro, Mary scendeva le scale col passo spedito di chi sta cercando disperatamente di lasciarsi alle spalle qualcosa di spaventoso.


[Hogwarts, autunno 1181]
Albrecht van Duiker e Helena Corvonero passaggiavano sulle rive del Lago Nero. Sotto i loro piedi, le foglie cadute dagli alberi della Foresta Proibita ammantavano il suolo in una vivace tavolozza di rossi, di gialli e di arancioni, andando a formare un immenso tappeto accogliente e croccante.
Era bello procedere così, senza meta, discorrendo d'amore e di magia e permettendo alle folate di brezza gelida che provenivano dal lago di acquietare un po' il fervore dei loro spiriti forse un po' troppo ardenti.
Stavano giusto confabulando su come sottrarsi alla vigilanza di madre e padrino per trascorrere insieme la serata quando, improvvisamente, un imponente cavallo bardato a festa sbucò fra gli alberi del bosco e  si posizionò di traverso sul sentiero, sbarrando loro il passo. In men che non si dica, un cavaliere riccamente abbigliato discese con un balzo dalla sella.
- Madonna Helena - disse il nuovo arrivato alla giovane dama, che si era arrestata di scatto e lo fissava, immobile, mentre lui, afferratale di scatto una mano, si profondeva in un inchino con tanto di baciamano. - Vi ho fatto recapitare una lettera, ormai due settimane fa. Mi chiedevo se l'abbiate ricevuta.
Helena Corvonero temporeggiò per qualche attimo prima di rispondergli.
- Sì, Messere. Il vostro gufo me l'ha recapitata con la consueta puntualità.
- Ah, ordunque...
- Se non vi ho risposto - lo interruppe lei, forse un po' troppo seccamente - è perché sono stata molto impegnata.
- Immagino - sbuffò il cavaliere, per poi lanciare un'occhiata eloquente al piacente Baronetto olandese, distintissimo nel suo abito di velluto nero co' bottoni verdi.
Helena strinse le labbra in un'inequivocabile espressione di sfida, ma non poté impedirsi di arrossire.
- Posso quindi sperare - continuò allora il cavaliere, abbassando la voce di un'ottava - che il contenuto della mia missiva riceverà una vostra risposta in breve?
- Come desiderate - rispose la giovane, tagliente.
- Eccellente - rispose lui, riavvicinandosi con calma al cavallo. - A presto, allora; e buongiorno anche a lei, signore.
Mentre il nobiluomo rimontava agilmente sul suo destriero, Albrecht si avvide che Helena strofinava velocemente il dorso della mano sul tessuto del vestito celeste, come a volersela mondare dalla saliva dello sconosciuto.
- Chi era mai costui? - le chiese allora, un po' a disagio, stringendo gli occhi chiari per metterlo bene a fuoco mentre quello trotterellava via.
- È un autentico scocciatore, arrogante e inopportuno; ecco cos'è - rispose Helena scuotendo il capo, infastidita, per poi rivelargli un dettaglio che lo lasciò alquanto spiazzato dal momento che, nelle sue lettere, lei non vi aveva mai fatto accenno. - Ha già chiesto più d'una volta la mia mano a mia madre ma lei, per fortuna, non ha mai acconsentito. Dice che non fa per me e, per una volta, debbo darle ragione. Si chiama Cadmus. Cadmus Peverell.

 
Note a piè di pagina:
1) Anzitutto mi scuso per la profusione di piani temporali, che qui sono ben quattro: quello dell'epoca dei fondatori in due fasi con le vicende del Barone e della Dama Grigia, quello dell'epoca dei Malandrini con il filone Mulciber-Macdonalds, quello di Cho e Cedric prima della morte di quest'ultimo e quello di Cho nel presente assistita da Davies. Io spero vivamente di non aver fatto un casino colossale, ragion per cui vi sarò grata per qualsiasi consiglio o considerazione a riguardo!
2) Come si chiamava il fantasma ufficiale della Casa verdeargento? Boh: io non l’ho mai saputo. E così me lo sono inventato, facendo un mix di omaggi. Albrecht è un omaggio all’artista tedesco Albrecht Dürer, di cui amo soprattutto le stampe e gli acquarelli. Duiker è un omaggio a Jan Duiker, geniale architetto olandese del Movimento Moderno.
3) Nel mio HC Roger Davies e Cho Chang sono molto, molto amici; per qualche anno i due hanno condiviso un appartamento con Grant Page, Randolph (Randy) Burrow e Duncan Inglebee, anch’essi Corvonero citati nella saga. Sempre nel mio HC, dopo la Battaglia di Hogwarts Davies, indiscusso sciupafemmine, si è innamorato di Lavanda Brown (per saperne di più consiglio la lettura dell’OS Profumo di Nebbia e della long 50 First Davies) ed è andato a vivere con lei; ad occupare la sua stanza ormai vuota è venuta Marietta Edgecombe, storica amica di Cho. Le allusioni al tango e al mate riferite a Davies si debbono al tatto che, seeeempre nel mio HC, il Capitano Corvonero è di origine uruguaiana.
4) Mulciber è uno str***o e chi ha letto Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore lo sa. Mi serviva un supercattivo Serpeverde per questa storia, e siccome la fine che gli ho fatto fare in quella long non mi bastava, ho pensato di rincarare la dose qui ed ora.
 

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Capitolo 10
*** Anime in pena. ***


8. Anime in pena.
 
[Hogwarts, inverno 1182]
- Smettila, smettila di giustificare mia madre!...
I bei lineamenti di Helena si erano improvvisamente induriti; i profondi occhi grigi sembravano lanciare dardi fiammeggianti all’indirizzo di Albrecht che, in piedi davanti a lei, la guardava un po’turbato.
Il ragazzo sospirò, indeciso sul da farsi.
La rivalità fra madre e figlia (o meglio: il senso di inferiorità, spesso tradotto in gelosia, della figlia nei confronti della madre, a voler essere precisi) era cosa assodata, e il fatto che le due intrattenessero rapporti tutt’altro che distesi era ampiamente risaputo da parte di tutti. Fin da quando l’aveva conosciuta, ancora in tenera età, il Baronetto di Delft aveva avuto modo di sorbirsi recriminazioni più o meno velate, alle quali aveva talora dato peso, talora bellamente ignorato. V’era infatti, nonostante la consueta atmosfera di tensione che, fin troppo di frequente, veniva a crearsi fra le due streghe, una sorta di salvifico equilibrio che, nonostante le costanti diatribe, incomprensioni e discussioni, impediva alla situazione di degenerare in via definitiva.
E così il giovane, in un certo senso, si era come abituato alle frecciatine che Helena indirizzava a Madama Priscilla, talvolta apertamente, più spesso alle sue spalle.
- Certamen da pollaio!
Messer Godric faceva spallucce e, divertito, etichettava i diverbi con bonarie parole di scherno, accompagnate dalla sua risata profonda e fragorosa. Il Signor Padrino non diceva nulla, limitandosi a lisciarsi i lunghi baffi con gelida indifferenza mentre Madama Tosca, amareggiata, si prodigava per dissipare l’eccesso di tensione e ripristinare l’armonia.
- Madama Corvonero è una dama onorata – disse alfine lui, consapevole del fatto che la sua mancata presa di posizione in favore di Helena avrebbe provocato un violento scoppio d’ira da parte della ragazza.
E così fu, infatti.
Rossa in viso (si sarebbe quasi detto che le fumavano le orecchie per la rabbia), Helena balzò in piedi e lo fronteggiò.
- Mi aspettavo ben altra postura da te – gli disse, dura. – Stolta che sono.
E dopo aver girato velocemente su se stessa, i lunghi capelli corvini a frustare l’aria, la giovane si allontanò da lui a passo di marcia, lasciandolo solo con i suoi pensieri.
 
Lui e Helena andavano d’accordo.
Apprezzavano oltremodo la compagnia l’una dell’altro, si conoscevano come nessun altro li aveva mai conosciuti, amavano trascorrere insieme le giornate passeggiando, discorrendo, facendo magie, e le nottate osservando la volta celeste e compiendo assieme altri tipi di magia.
Fin da quando si erano ritrovati, e forse anche da prima, Albrecht aveva sempre avuto piena certezza del suo amore: Helena era la donna della sua vita, la vivace fiammella che gli scaldava il cuore, la luce dei suoi occhi. Parimenti, sapeva di essere da lei riamato: la giovane Corvonero non era una fanciulla romantica, ma sempre sapeva dimostrargli l’affetto che nutriva nei suoi confronti.
Da qualche tempo, però, le cose avevano preso una piega scomoda e dolorosa.
V’erano state incomprensioni fra loro, quasi tutte dettate dalle loro divergenze riguardo la Dama Priscilla. Che era una donna e una madre un po’ sui generis, più avvezza allo studio e all’introspezione che non alle chiacchiere e alle dimostrazioni d’affetto, eppure fondamentalmente buona: di questo, Albrecht, ne era più che sicuro.
E dato che a lui non era mai piaciuto assumere comportamenti che avrebbe giudicato ingiusti o sleali, tutte le volte che Helena, in modo più o meno diretto, attaccava sua madre, lui le rispondeva allo stesso modo: senza dirle che si sbagliava, certo, ma al tempo stesso evitando di denigrare una persona che in fondo, a lui, era sempre parsa degna di ammirazione e fiducia.
“C’è qualcosa che non va” si disse il giovane, una volta rimasto solo.
Non era la prima volta che lo pensava; e tali riflessioni, senza dubbio, scaturivano da una consapevolezza che piano piano andava rafforzandosi in lui.
La consapevolezza che l’equilibrio, per una qualche ragione non ben precisata, era stato rotto.
 
[Londra, luglio 1999]
Facendo attenzione ad accostare la porta senza fare rumore, Roger si accinse a percorrere il corridoio per fare ritorno al salotto dove, a giudicare dai suoni smorzati delle chiacchere e del televisore acceso, Lavanda e gli altri amici lo aspettavano ancora svegli.
Cho, alla fine, si era addormentata.
Roger era rimasto accanto a lei, tenendola stretta per tutto il tempo che le ci era voluto a calmarsi e, alla fine, scivolare lentamente nel sonno.
Il ragazzo scosse la testa, amareggiato, ripensando per l’ennesima volta a quanto la vita fosse stata crudele con lei. Quando si trovavano ancora ad Hogwarts, poco dopo la morte di Cedric, lui si era illuso che Cho avrebbe superato la tragedia con relativa facilità. L’aveva vista uscire con altri, tentare di divertirsi; qualche volta, nonostante l’amicizia profonda che li legava, lui stesso si era prodigato nei suoi confronti in atteggiamenti tutt’altro che amicali.
Poi c’era stata la guerra, periodo nel quale la ragazza, dandosi da fare nel suo ruolo di agente-doppio infiltrato al Ministero della Magia, aveva saputo dare prova del suo valore e della sua lealtà nei confronti della Resistenza. Più di una volta, in quel periodo, Roger aveva avuto l’impressione che Cho agisse con eccessiva imprudenza, danzando costantemente sul filo del rasoio.
- Fai attenzione – le diceva spesso; raccomandazione che lei, puntualmente, liquidava con una scrollata di capelli ed un lapidario “Non abbiamo scelta, Rog”. E continuava imperterrita nelle sue azioni di spionaggio, talvolta esponendosi in modo fin troppo temerario; la sua eterea bellezza e il suo sangue più puro dell’acqua di sorgente le aprivano porte precluse ai più; e Roger, che certe cose non le voleva neanche immaginare, impediva a se stesso di indagare sui metodi dei quali la sua coraggiosa amica si avvaleva per estorcere informazioni di vitale importanza (quante, quante vite erano riusciti a salvare, grazie ai suoi sotterfugi?) agli esponenti del Regime.
“Non le importava” si disse il ragazzo, dandosi dello stupido per il fatto di non essere stato in grado di comprenderlo prima. “Non le importava di esporsi, di correre rischi”.
Cho aveva già rinunciato a guardare avanti; da molto tempo, ormai.
Certo: voleva farla pagare a coloro che avevano strappato la vita a Cedric. Se ciò avesse voluto dire mettere a repentaglio la sua stessa vita, che così fosse.
“Non le importava. Di nulla”.
Mentre quelle amare parole prendevano forma nella sua testa, un tonfo sordo all’interno della stanza di Cho lo riportò alla realtà.
Roger si girò di scatto.
Altro tonfo, poi un grido soffocato e, poco dopo, il fragore di vetri infranti.
- Cho!
Il ragazzo tornò indietro di corsa, subito seguito da Marietta, Lavanda, Randy, Padma e Calì, che erano stati richiamati dalla sua esclamazione. Raggiunta la porta della stanza, Roger la spalancò di slancio.
Nella stanza semibuia, insieme a Cho, c’era qualcuno.
Una figura alta e completamente vestita di nero, con appesa sulle spalle una sacca (Roger la vide distintamente e spalancò gli occhi per l’orrore) contenente lunghi ferri che scintillavano nella penombra e, dettaglio ancor più terrificante, intenta a manterere la ragazza, che nel frattempo si dibatteva disperatamente, sollevata da terra per il collo.
- Stupeficium!
L’uomo girò il capo e scrutò il gruppetto di ragazzi ammucchiati sulla soglia, un ghigno crudele a deformargli il viso scavato. L’incantesimo che Roger, completamente fuori di sé, gli aveva scagliato contro, lo aveva colpito in pieno ma gli gli era passato attraverso, risultando del tutto inutile. Perché non si trattava di un essere umano: il ragazzo ne ebbe piena certezza quando, ad una seconda occhiata, si accorse che la sua figura era semitrasparente.
“È uno spirito”.
La verità balenò improvvisa nella mente di Roger, subito confermata dalle parole di costui.
- Sciocchi mortali.
- Lasciala immediatamente! – Marietta urlava, trattenuta a stento da Padma e Lavanda.
- Che cosa vuoi? – la voce di Roger, intrisa di angoscia nel constatare che i movimenti di Cho si facevano via via più lenti e deboli, s’impose sul baccano.
La figura nerovestita gli rivolse una lunga occhiata.
- Non... non ucciderla, ti prego – conscio della sua impotenza, Roger abbassò lentamente la bacchetta.
- Oh, ma questo dipende da te, señor Davies.
- Da... me?
- Sì.
L’uomo mollò la presa dal collo di Cho che però, invece di precipitare a terra, fu subito avviluppata da un ributtante nugulo di bisce nerastre sbucate da chissà dove. La visione strappò un grido di raccapriccio alle ragazze mentre Randolph Burrow, che aveva sempre detestato i serpenti, si piegò in due, scosso da un violento conato di vomito.
- Alla Dama Grigia, tua amica, e ai suoi compari – disse il fantasma, scandendo lentamente le parole – riporterai questo messaggio da parte del Buio.
- E chi accidenti sarebbe questo Bu...?
- Zitto e ascolta.
Roger si morse la lingua, sbuffando fuori l’aria.
- L’anima gemella del protetto di Tosca è in nostro potere; che si arrendano giacché, senza di lei, qualsiasi possibilità di riscatto sarà inficiata.
 
[Hogwarts, inverno 1182]
Piano piano, giocando d’astuzia, era finalmente riuscito a circuirla, facendo breccia nella sua corazza.
Helena, forse fiutando inconsapevolmente la sua vera natura tutt’altro che cavalleresca, lo aveva sempre detestato; lui, però, non si era mai dato per vinto, sicuro del fatto che, prima o poi, quella giovane così riottosa e solo apparentemente spavalda (perché Helena, in realtà, era fragile come il cristallo: questa era la verità) sarebbe stata sua.
Cadmus Peverell, seminascosto dal tronco di una quercia secolare, la vide camminare spedita sul suolo innevato. Dall’espressione tagliente dipinta sul suo bel viso, candido come il niveo tappeto che ammantava la Foresta, la riconobbe preda dell’ira, il che lo fece sorridere sotto i baffi. Quando era arrabbiata, Helena era ancor più vulnerabile e lui, sempre attento ai piccoli cedimenti che, piano piano, gli stavano permettendo di fare breccia, ne avrebbe senz’altro approfittato.
- Donna Helena!
Lei si fermò di scatto, la bacchatta stretta fra le dita leggiadre.
- Oh, siete voi – borbottò, vedendolo spuntare da dietro la quercia, col cavallo da guerra condotto per le briglie.
Cadmus si profuse in una profonda riverenza, dilungandosi un pochino più del solito per avere il tempo di reprimere il risolino che gli increspava le labbra. Contrariamente a quanto accadeva in passato, l’espressione della fanciulla nel vederlo gli era parsa assai meno contrariata (sembrava quasi contenta, in effetti) e la cosa, chiaramente, non gli era sfuggita.
- Dove andate di bello, con questo tempaccio?
- Sono venuta a rifrescarmi le idee – rispose lei, che era solita prodigarsi in arguti giochi di parole.
- Beh, ma allora – osservò lui, aggrottando la fronte – dovreste infilarci la testa nella neve, e non i piedi.
- Siete sempre così letterale.
Il cavliere ignorò lo scappellotto verbale.
- Posso accompagnarvi? Mi sembrate contrariata.
- Lo sono.
- E il motivo, se mi permettete l’ardire di chiedervelo – interloquì lui con studiata noncuranza – è sempre il medesimo?
La giovane gli rivolse un’occhiata penetrante.
- Non che la cosa vi riguardi – gli disse, guardandolo fisso (e in fondo a quello sguardo, Cadmus vide le mura del suo riserbo che si sgretolavano un altro po’) – però sì: evidentemente, lo è.
- Suvvia, Madonna Helena – resplicò lui, esultando in silenzio per la vittoria imminente – non dovreste dare peso alla cosa.
- Vi ci mettete anche voi, ora? – sbuffò Helena, contrariata. – Tutti quanti a farmi notare quanto sia inappropriato voler a tutti i costi competere con quel genio di mia madre.
- Ma no, che cosa avete capito? – si affrettò a chiarire lui. – Lo dico prendendo le mosse da presupposti affatto diversi, lo sapete.
- Menzogne.
- E invece no. E se vi dicessi – il tono di voce del cavaliere si fece suadente – che voi non avete alcun bisogno di competere con Madama Corvonero perché già le siete di gran lunga superiore?
La vide che si irrigidiva, le lunghe ciocche di capelli scuri calate sul viso.
Erano mesi che, a piccoli colpi di arguzia subliminale, minava il prestigio della Dama Priscilla ed ora, finalmente, aveva apertamente esternato ciò che la ragazza aveva bisogno di sentirsi dire. Cadmus, conscio del fatto e assai compiaciuto del suo perfetto tempismo, si congratulò con se stesso.
- Davvero... davvero lo pensate?
“Colpita e affondata”.
- Ma certo – le rispose allora, afferrandole delicatamente una mano e portandosela alle labbra. – Vostra madre è una strega senz’altro eminente, ma è rigida, schematica, priva di estro e di fantasia. Voi invece, Helena, siete tutto ciò e molto di più.
Lei gli rivolse un’occhiata fra l’amareggiato e lo scettico.
- So cosa state pensando – continuò lui, serio. – Non vi è mai dato di dimostrare il vostro valore. Ma lasciate che ve lo dica: se non fosse per quel ridicolo diadema...
Helena spalancò gli occhi, immediatamente all’erta.
- Vi invito a non parlare di cose che non sapete – lo ammonì con una foga che trasudava spavento. – Vi ringrazio per la compagnia. Buongiorno.
Cadmus l’osservò mentre si allontanava nella neve in direzione del Castello, probabilmente pronta a riprendere posto fra le braccia di quell’insulso Baronetto olandese. E nonostante il fastidio recatogli da quell’immagine, il cavaliere non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé.
Il seme del dubbio, alfine, era stato piantato.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
- Cho. In loro potere...
Cedric lo fissava con gli occhi sbarrati.
- Non siamo riusciti ad impedirgli di portarsela via, purtroppo – replicò amaramente Roger. Tutta l’euforia e la sorpresa che avrebbero potuto scaturire dal fatto di ritrovarsi davanti (seppure in forma gelatinosa) il suo vecchio amico era stata annientata dalla gravità degli eventi.
Pochi minuti dopo l’uscita di scena di Cho e del suo rapitore, l’ex Capitano Corvonero si era smaterializzato ad Hogsmeade; da lì, a cavallo della sua fida Comet Eldorado, aveva coperto la distanza che lo separava da Hogwarts in tempi a dir poco da record.
Li aveva trovati tutti riuniti nella Sala Comune dei Tassorosso, nella quale gli era stato possibile accedere grazie all’intercessione del Frate Grasso che, accortosi delle sue grida e della gragnuola di colpi con cui, per una decina di minuti, aveva tempestato la porta, lo aveva fatto entrare.
Quando l’aveva visto, la Dama Grigia era saltata in piedi ed era fluttuata velocemente verso di lui.
- Roger!
- È successo un casino! – aveva esclamato lui a mo’di incipit, la voce spezzata dall’ansia. E sforzandosi di ignorare il fatto di interloquire con un gruppo di spiriti, il ragazzo aveva vuotato il sacco.
Al termine del racconto, la sala fu invasa dal silenzio.
- L’anima gemella di Cedric – commentò Sir Nicholas grattandosi la barbetta, pensoso.
- Già – annuì il Frate Grasso, accigliato. – Il pezzo di anima senza il quale quella di Cedric risulta incompleta.
- Oh, che cosa romantica! – si sdilinquì Mirtilla, vittima di un accesso di sentimentalismo.
- Già, molto romantica – bofonchiò il Barone, cupo come non mai. – Se non che nell’impossibilità di salvare, in primis, l’anima di Diggory per intero, siamo tutti condannati a priori.
- Dobbiamo ritrovarla.
Cedric si era alzato in piedi e li guardava, il bel viso indurito in una smorfia di determinazione.
- Già, ma come?
La Dama Grigia si tormentava l’orlo della manica del suo lungo abito celeste.
- Prima dovremmo cercare di capire chi sia quel tizio che se l’è portata via – osservò Colin Canon, che era sempre stato un appassionato lettore di letteratura gialla babbana.
- Quanto a questo – s’intromise un vocione profondo, accompagnato dal fastidioso cigolio di un’armatura non oliata – credo proprio di possedere alcune informazioni che facciano al caso vostro.
 
[Hogwarts, autunno 1183]
Poi si è ammalata, mortalmente.
Nonostante la mia perfidia, voleva vedermi per l'ultima volta. Mandò a cercarmi un uomo che mi aveva molto amato, anche se io avevo disdegnato le sue profferte.
Sapeva che non avrebbe smesso di cercarmi finché non mi avesse trovato[HP7].

Non avrebbe mai pensato di fare titorno ad Hogwrts in tempi tanto brevi, non dopo quello che era successo. E invece, contrariamente a qualsiasi previsione o comportamento dettato dal buon senso, eccolo lì di nuovo, i biondi capelli sferzati dal vento gelido che spirava dal Lago Nero.
Il Castello si ergeva davanti a lui, grigio e impenetrabile con il suo accatastarsi di torri e torrette, conficcate fra le spesse mura e tanto alte da sfidare la forza di gravità.
Albrecht Duiker affrettò il passo, stringendosi nel suo caldo mantello di Vello Magico, fastoso regalo del suo Signor Padrino che spesso si recava all’estremo Nord, lassù alle Islands Scozzesi, terra di aurore boreali e pecore dalla pregiatissima lana incantata.
Nel giro di una decina di minuti, aveva già raggiunto il pesante portone di quercia.
All’interno del maniero, nei vasti locali dell’atrio e della Sala Grande, nessuna traccia della consueta effervescenza: l’ambiente tutto sembrava languire come afflitto dal timore di ricevere cattive notizie.
Madama Tassorosso, che era venuta ad aprirgli, lo accolse con un sorriso mesto; lui non poté fare a meno di notare che contrariamente al solito, fra i due suoi colori prediletti, questa volta la Dama indossava il nero.
- Grazie di essere venuto – gli disse a mo’di saluto. La sua voce risuonò mesta.
- Ho fatto più in fretta possibile – rispose lui chinando il capo.
Le stanze di Madama Corvonero, nelle quali lui non aveva mai messo piede, erano arredate con gusto e sobrietà; tutto, in esse, comunicava amore per il sapere. Le pareti, interamente tappezzate di grossi volumi e pergamene arrotolate, avevano un aspetto accogliente e colorato; e dalla finestrella aperta sul lato di quella torre che pareva accessibile soltanto alle creature dotate di ali si ammirava una vista superba del Lago Nero, della Foresta Proibita e del giogo di montagne che circondavano la valle. Laggiù, lontano, fili di fumo rivelavano l’ubicazione del piccolo villaggio di Hogsmeade.
Quando la vide, così mollemente adagiata sul divanetto, affondata fra i cuscini, Albrecht faticò a riconoscerla: il suo viso era scabato, la pelle livida, i capelli, un tempo lucenti come piume di corvo, opachi e sfibrati. Madama Corvonero stava morendo: la triste missiva di Tosca diceva il vero; eppure, incastonati nel suo viso stanco, i suoi occhi brillavano alla stregua in un tempo, specchi di intelligenza e saggezza.
Il loro colloquio, inaugurato da timide frasi di circostanza, fu breve; la Dama, presto afflitta da una densa spossatezza, volle andare subito al punto.
- Siete stato magnanimo a scomodarvi per me – gli disse, rivolgendogli un sorriso tirato.
- Dovere – le rispose lui, a disagio.
- Non è vero – lo corresse lei, scuotendo stancamente il capo. – Non dopo la delusione che avete sofferto fra queste mura neanche un anno fa.
Albrecht non seppe rispondere. Era vero: la ferita bruciava ancora.
- Solo gli infusi di Salazar riescono ancora a tenermi in vita – continuò Priscilla Corvonero tentando di tirarsi su a fatica mentre Tosca, che era stata invitata a rimanere, si affrettava a sistemarle i cuscini dietro la schiena.
- Non dire sciocchezze, Priscilla – la rimbeccò quest’ultima.
La Dama scosse nuovamente la testa, rassegnata.
- Non è vero, Tosca mia., e lo sappiamo entrambe fin troppo bene. Mi resta ben poco da vivere; qualche settimana, qualche mese, forse.
Albrecht la guardava, le iridi chiare velate da una malinconia profonda. In cuor suo, il Baronetto già intuiva quel che la Dama lo avrebbe pregato di fare (nella sua saggezza, la Dama sapeva che lui non avrebbe potuto tirarsi indietro); ciononostante, si sentì ugualmente in dovere di formulare la domanda:
- Che cosa mi chiederete di fare, Dama Corvonero?
Gli occhi grigi della donna, così simili a quelli di colei che, neppure un anno prima, gli aveva spezzato il cuore, incrociarono i suoi e si mantennero fissi per un lungo attimo.
- Ritrovala – gli rispose, con la voce che le tremava appena. – Permetti ad una madre di rivedere sua figlia per l’ultima volta.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
Quando non era impegnato nei panni di Presidente del Club dei Senza Testa, Sir Patrick Delanay-Podmore e il suo cavallo fantasma stazionavano nei locali di competenza dei Tassorosso, Casa della quale il nobiluomo era stato membro tanti secoli prima.
- Non ci sono dubbi – affermò il cavaliere in tono convinto – la descrizione del soggetto coincide, con estrema precisione, con quanto raccontatomi dal mio discendente.
Alto, capelli corvini, volto scavato, costantemente vestito di nero.
E soprattutto – dettaglio fondamentale – sempre munito di una sacca contenente ferri per la marchiatura.
- Ares Mulciber era il marchiatore ufficiale dei Mangiamorte – raccontò Sir Patrick, mentre i presenti pendevano dalle sue labbra traslucide. – Era lui l’incaricato di apporre il Marchio Nero ai nuovi adepti. Più o meno volontariamente, s’intende.
- Quello che non riesco a capire – osservò Cedric, le cui dita carezzavano con vigore le morbide orecchie del Tasso Pagú acciambellato ai suoi piedi – è quale possa essere il collegamento che intercorre fra questo Mulciber e la nostra missione.
Roger Davies sedeva accanto a lui, la schiena incurvata in avanti, gli avambracci posati sulle cosce e il capo chino.
Sir Patrick, per la prima volta, parve esitare per qualche attimo.
- Beh – disse infine, indirizzando un paio di occhiate intimidite prima ad Helena e poi al Barone. – In occasione di una delle sue visite il mio discendente attualmente in vita, Sturgis Podmore, mi raccontò una storia piuttosto singolare. Dovete sapere che da ragazzo, ai tempi della Prima Guerra Magica, Sturgis aveva amato ed era stato riamato da una giovane strega sua compagna di scuola e, come lui, affiliata all’Ordine della Fenice.
Nessuno fiatava.
Imembri del tremolante uditorio lo scrutarono con insistenza, esortandolo a proseguire.
- Accadde però che costei, il cui nome era Mary Macdonald, era sua volta amata da un losco figuro (proprio di Ares Mulciber si trattava) con il quale, prima di conoscere Sturgis, la ragazza aveva intrattenuto un breve fidanzamento.
Sir Patrick fece una pausa ad effetto prima di decidersi a continuare.
- Beh. “Amata”, forse, non è la parola più appropriata da usare, però, perché Mulciber, di fatto, non accettò mai la fine della relazione e trascorse gli anni che seguirono a darle la caccia finché, uno sventurato giorno, non gli riuscì di snidarla.
- E che cosa accadde? – chiese subito Mirtilla, decisamente sulle spine.
- Non lo si sa di preciso, perché il loro incontro avvenne in assenza di testimoni.
- Ah – sbuffò la fantasmina, delusa.
- Purtuttavia – aggiunse Sir Patrick, infastidito dall’inopportuno intercalare della ragazza – si suppone che Mulciber l’abbia uccisa a sangue freddo perché di lei, in seguito, non si trovò mai più alcuna traccia.
Una nuova coltre di silenzio carico di tensione calò sui presenti. I fantasmi ristettero immbili, tremolando appena alla luce altrettanto mobile delle torce accese.
Ancora una volta fu Sir Nicholas a prendere la parola per primo.
- Direi che il collegamento, ora, è assolutamente chiaro.
- Già – mormorò la Dama Grigia, senza staccare gli occhi dalle maioliche gialle e nere che adornavano il caminetto. – Delitto d’amore.
- In contrapposizione all’amore puro che univa Cedric e la Chang – rincarò Dennis Canon, guadagnandosi una gomitatina di circostanza da parte del fratello.
- E ciò significa... – continuò stancamente il Barone, la voce già bassa ridotta ad un soffio.
Il Frate Grasso trasse un lungo sospiro e venne in suo soccorso, completando la frase per lui.
- ...che la prossima anima da salvare è la tua, mio caro.
 
[Bosco di Quarrishtë, Albania, inverno 1183]
Girandosi di tanto in tanto per lanciarsi rapide occhiate alle spalle, Helena correva nel bosco.
Avanzava quanto più velocemente le era dato di procedere, senza fare caso alle spine che le graffiavano il viso, laceravano la stoffa pregiata del suo lungo abito azzurro cielo e sfilacciavano i lembi del suo mantello già piuttosto logoro.
I tonfi sordi e ritmati di zoccoli che cozzavano contro il terreno gelato le fecero accapponare la pelle; la ragazza si impose di accelerare, allontanandosi il più possibile dal tronco di castagno in cui aveva nascosto il suo tesoro.
“Non lo deve trovare” si disse, ansimando per la fatica. “Né lui, né altri”.
Non le fu dato di proseguire ancora per molto.
Un’altra decina di falcate scomposte, due o tre radici pronte a farla incespicare saltate all’ultimo momento, e il cavallo da guerra le fu addosso, superandola con un balzo e infine sbarrandole il passo.
La sua fuga era giunta al termine.
Vi fu un lampo di luce verde; dopodiché il mondo, per lei, si tinse per sempre di Grigio.
 
Note a pié di pagina:
Buongiorno a tutti, sempre che sia rimasto qualcuno!
Avevo bisogno di ritrovare l’ispirazione per proseguire nel racconto e finalmente, dopo una pausa di qualche mese, eccomi qui.
Non c’è molto da dire su questo capitolo se non che, come sempre, la caratterizzazione dei personaggi segue quanto precedentemente adottato in altre storie che compongno il mio HC; spero quindi di non essere risultata poco chiara in alcuni passi.
Lascio il chiarimento del paragrafo finale al prossimo capitolo. Che cosa sarà accaduto alla sventurata Helena?

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Capitolo 11
*** Anime gemelle (I). ***


9. Anime gemelle (I)
 
[Hogwarts, luglio 1999]
La Sala Comune dei Tassorosso era attraversata da un’energia densa e fremente.
Cedric si era alzato in piedi e percorreva a grandi passi la Sala giallonera, senza preoccuparsi di schivare le tozze colonne di mattoni a vista che sorreggevano il soffitto, ma passandovi direttamente attraverso. Sul suo bel viso campeggiava un’espressione estremamente preoccupata. Pensava a Cho, naturalmente; a Cho e a come avrebbero fatto per rintracciarla e salvarla.
In un angoletto della Sala, i fratelli Canon avevano accerchiato Roger Davies e gli stavano scattando una serie di fotografie flashandolo con la loro Polaroid fantasma, incitati (a voce neanche troppo bassa e, date le circostanze, decisamente fuori luogo) da una zelantissima Mirtilla che, manco a dirlo, seguiva la scena con vivo interesse: del resto, l’avvenenza di Roger non era certo un segreto, e neppure il fatto che il ragazzo fosse eccezionalmente fotogenico: non per nulla, di lavoro, faceva il fotomodello per le campagne pubblicitarie delle Nimbus da corsa - abilità prontamente confermata dall'effetto sublime attestato dalle immagini che la macchinetta sputava fuori a raffica.
Sir Patrick e Sir Nicholas, una volta tanto sotterrata l’ascia di guerra (più affilata – si augurava vivamente il fantasma Grifondoro – dell’infelice aggeggio che lo aveva quasi decapitato), confabulavano sottovoce in compagnia del Frate Grasso.
Posizionati (o meglio, levitanti) vicini (ma senza sfiorarsi) sul divanetto accanto al camino, la Dama Grigia e il Barone Sanguinario sedevano in silenzio, senza guardarsi, le iridi pallide fisse sulla parete dirimpetto.
Inaspettatamente fu lei a rompere il silenzio per prima.
- Io non... – cominciò, con voce stanca.
Lui ruotò appena il capo.
- Fa male – le disse in un sibilo basso, simile a quello di un serpente che cambia la pelle. Le lunghe catene che pendevano dai suoi polsi tintinnarono in modo sinistro, come a voler sottolineare le sue parole. – Fa ancora male, Helena.
Lei gli rivolse un’occhiata a sua volta addolorata.
- Veramente – lo corresse additando le sue ferite (e lui sorrise impercettibilmente, di rimpianto e di dolore, perché con la stessa arguzia gli avrebbe risposto l’Helena che un tempo aveva conosciuto) – dovrebbe fare male a me, non a te.
Il Barone scosse lentamente la testa argentea, un tempo coronata da riccioli dorati come il sole.
- Questo sangue – le disse, indicandosi il giustacuore di velluto chiazzato per l’eternità – non è solo tuo. E lo sai bene.
- Non ti ho mica chiesto io di...
- Oh, ma per favore. Francamente, Helena.
Fra i due cadde il silenzio; un silenzio intriso di rancore e di tristezza.
- Forse questo non è il momento di comportarsi con astio – suggerì lei, aggrottando la fronte. – Siamo tutti sulla stessa barca o, come direbbe Nick, sulla stessa caravella.
Lui fece una smorfia.
- Dimostri saggezza – le disse, e nella sua voce non v’era traccia di scherno. – E invero, fai onore al cognome che porti.
La Dama Grigia sospirò e tornò a guardare nel vuoto.
- Non so proprio come riusciremo a risolvere questa manche – mormorò, assorta. – Non lo so proprio. Mi sembra tutto così irrisolvibile.
Il Barone ristette per qualche attimo, accarezzando delicatamente le spesse maglie delle catene.
- Neanch’io – sussurrò infine, e rituffandosi nei suoi pensieri. – Neanch’io, Helena.
 
[Cammini d’Europa, autunno-inverno 1183]
Aveva viaggiato instancabilmente, battendo palmo a palmo i dintorni di Hogsmeade e poi, aggrappandosi a tracce ora inequivocabili, ora tanto flebili da rischiare ad ogni passo di scomparire, aveva cominciato a spingersi in direzione Sud.
Quasi un anno era trascorso da quando lei, silenziosa come un’ombra schiva, se n’era andata.
“Ho bisogno che mi si riconosca il valore che merito” c’era scritto, semplicemente, sul bigliettino che Albrecht van Duiker aveva trovato infilato nello spiraglio fra la porta e il battente di camera sua.
Lui era rimasto immobile per un tempo interminabile, gli occhi chiusi, la gola riarsa, una saliva densa e amara impossibile da deglutire ad occludergli la bocca, il grigio sguardo di lei, leggermente accusatorio, conficcato nella mente.
Se l’aspettava?
In fondo, forse, sì.
Ma non per questo il dolore era stato più lieve.
Helena, si era scoperto, era fuggita assieme a Cadmus Peverell (“un pessimo soggetto” l’aveva definito Sir Godric, serio); aveva abbandonato l’ala protettiva di Hogwarts e dei Fondatori; lo aveva lasciato. E peggio ancora, come Albrecht era poi venuto a sapere da un’agitatissima Tosca trattenuta a stento dal signor padrino Salazar, aveva tradito sua madre, portando via con sé il suo diadema incantato.
Madama Priscilla non aveva commentato nulla. Si era chiusa in se stessa e forse, proprio in quel momento, aveva lentamente cominciato a morire.
Del suo malessere e della sua tristezza, però, se n'erano accorti tutti.
“Ma non per la scomparsa del diadema “gli aveva confidato Tosca qualche settimana dopo, accompagnandolo ai portoni di Hogwarts dopo che lui, ormai deciso a fare ritorno in Olanda, aveva raccolto le sue cose e si accingeva a lasciare il Castello. “È l’assenza di Helena a pesarle sulle spalle”.
E in quell’occasione, Madama Tassorosso gli aveva rivelato anche altri segreti.
“Ciò che Helena non ha mai saputo è che anni fa, quando io e Priscilla eravamo ancora giovani donzelle, Cadmus Peverell corteggiò a lungo e con insistenza sua madre”.
Lui l’aveva guardata senza capire, sopraffatto dall’apatia.
“Io credo” aveva concluso Tosca, scegliendo attentamente le parole “che, in un certo senso, portandosi via Helena, quel farabutto abbia voluto far pagare a Priscilla i suoi rifiuti”.
“A me pare, però” aveva replicato lui (e ad ogni parola la lingua gli bruciava, come ustionata dal dolore che provava) “che Sir Peverell nutrisse serio interesse nei confronti di Helena”.
Tosca aveva annuito.
“Oh, sì. Crescendo, Helena è divenuta la copia di sua madre; e anche più leggiadra, fors’anche. Incapricciarsi di lei dev’essergli riuscito assai facile. Ma ti assicuro” aveva continuato la Dama di giallo vestita, in tono grave “che non si tratta soltanto di questo”.
Mentre si spostava a marcia forzata verso Sud, Albrecht van Duiker ebbe modo di pensare e ripensare a lungo a quel suo colloquio con Madama Tassorosso.
“Fai attenzione” gli aveva raccomandato il suo signor padrino poco prima di partire. “E ricorda sempre il valore del sangue, figliolo”.
“Sempre la stessa storia” si era intromesso Sir Godric, scuotendo la testa con insofferenza. “Prendi questo, piuttosto: potrà rivelartisi utile”.
E gli aveva consegnato un lungo pugnale argentato con l’elsa tempestata di rubini.
Salazar Serpeverde aveva rivolto al collega uno sguardo penetrante, ma non aveva ribattuto nulla.
Tosca lo aveva abbracciato con tenerezza quasi materna e lui era partito, il vento gelido a scompigliargli i capelli del colore del grano.
 
[Hogwarts, luglio 1999]
Il borbottio di Pagú che scattava in piedi richiamò immediatamente l’attenzione dei presenti.
Rapido come un lampo argentato, il Tasso prediletto di Tosca galoppò fino alla porta della Sala Comune, la cui superficie prese poi a grattare insistentemente con gli unghioni.
Il Frate Grasso si affrettò a raggiungerlo.
- Che succede, Pagú? Calma, ragazzo mio!
L’animale ringhiò forte, puntando il muso bicolore verso la porta.
- Ci vuole mostrare qualcosa! – esclamò Colin Canon che, nel frattempo, era sopraggiunto seguito a ruota da Cedric e dagli altri.
- Che cosa stiamo aspettando?
Il giovane Tassorosso attraversò con un salto lo spesso strato di legno di noce, subito imitato dai fratelli Canon, da Mirtilla, dai Quattro Fantasmi delle Case e da Sir Patrick con tanto di cavallo al seguito. Roger Davies, invece, dovette rassegnarsi ad aprire la porta per uscire; poi, avvistata la fluttuante comitiva che scivolava rapidamente lungo il corridoio, l’ex-Corvonero si lanciò al loro inseguimento.
 
[Quarrishtë, Albania, primavera 1184]
Tanto aveva fatto e tanto aveva brigato che, alla fine ce l’aveva fatta.
Madama Corvonero, nella sua saggezza, ci aveva visto giusto: nonostante le difficoltà affrontate durante il suo viaggio Albrecht non si era dato per vinto e, alla fine, l’aveva trovata.
Non era stato facile seguire le sue tracce sui sentieri fangosi che, attraversando mezza Europa, l’avevano portato sempre più a Sud, fino alle leggendarie terre d’Illiria e d’Epiro, ormai prossime a trasformarsi nel Principato di Arbanon.
Spesso e volentieri il baronetto era stato lì lì per perdere il filo e si era dovuto affidare all’intuizione laddove il ricordo del passaggio di Helena, avvenuto tanti mesi addietro, rischiava di scomparire del tutto; in molti casi, però, la sua presenza si avvertiva ancora, tenacemente aggrappata a luoghi e persone.
“Una dama vestita d’azzurro, un cavaliere maturo e un cavallo da guerra”. Tenacemente determinato a non abbandonare la sua ricerca, Albrecht chiedeva qua e là e, con un po’di fortuna (ma dovendo spesso scandagliare con la magia i ricordi della gente), gli riusciva di recuperare la traccia.
Non era solo la promessa fatta alla Dama Corvonero a muovere i suoi passi; non era solo l’amore che ancora sentiva di provare nei confronti di Helena ad attizzare il suo desiderio di rivederla. C’era dell’altro: Albrecht era seriamente preoccupato.
“Cadmus Peverell” gli aveva confidato Madama Tosca, corrucciata “è un uomo violento e intemperante. In tutta onestà, molto temo per lei”.
E così, instancabile, il giovane aveva proseguito nel suo viaggio, incurante dellla fatica e della solitudine, dell’incuria rivelata dai suoi biondi capelli spettinati, dalla pelle arrossata dal sole, dagli strappi nei suoi ricchi abiti di velluto nero bordato di verde.
Aveva proseguito finché, alla fine, non l’aveva trovata.
 
La piccola valle di Quarrishtë, incastonata fra le montagne, era incavata e solitaria, circondata da foreste dense e da conformazioni rocciose aguzze e grigiastre le cui pendici erano ricoperte da steli stentati.
Poche case vi erano state costruite nel corso dei secoli; all’inizio della primavera erano ancora quasi tutte vuote, in attesa del ritorno dei pastori agli alpeggi.
Accortosi del filo di fumo che fuoriusciva da un comignolo di pietra Albrecht, appartato dietro il tronco di una quercia imponente, aguzzò la vista, schermandosi gli occhi chiari con la mano.
“Una casa di pietra grigia con le finestre dipinte di verde, lassù sui monti” gli avevano detto alla taverna del poco distante villaggio di Librazhd. I babbani adoravano parlare a vanvera di misteri e stregonerie, soprattutto con un bel boccale di birra fra le mani. “Si dice vi abiti una strega molto potente, messere”.
Il giorno dopo, Albrecht aveva intrapreso l’ascesa.

Non dovette attendere molto.
Dopo pochi minuti trascorsi ad osservate la casa, l’uscio si aprì e una figura maschile, nella quale lui riconobbe immediatamente le fattezze di Cadmus Peverell, sgusciò fuori diretta verso la stalla, dalla quale in seguito fuoriuscì conducendo per le briglie un imponente cavallo palomino.
Albrecht attese che uomo e animale fossero scomparsi nel bosco e poi, con passo tremante, raggiunse la casa.
L’uscio era accostato.
Messa da parte l’esitazione, Albrecht entrò.
- Helena?... – chiamò, piano.
Nessuna risposta.
Incerto, nervoso, il giovane barone avanzò di qualche passo, addentrandosi in una sala immersa nella penombra. Era vuota. Albrecht stava per girarsi, deciso a proseguire nella sua perlustrazione, quando l’occhio gli cadde su uno specchio macchiato appeso alla parete dirimpetto alla porta.
Il riflesso impolverato gli restituì l’immagine del suo viso sgomento e gli rivelò che, alle sue spalle, era comparsa una figura. 
Albrecht si voltò di scatto.
- Helena...?
La giovane Dama Corvonero stava in piedi sulla soglia della stanza; così silenziosa che lui non l’aveva sentita arrivare. Il lungo abito del colore del cielo era sbiadito; i capelli corvini, un tempo lucidi come pelo di gatto, erano opachi; la sue pelle era innaturalmente pallida.
Albrecht aprì e richiuse la bocca, confuso.
Quella era Helena, non v’era ombra di dubbio.
Eppure, non sembrava lei.
Qualcosa di strano e inspiegabile le era accaduto, rendendola simile a se stessa e, al tempo stesso, pressoché irriconoscibile.
- Chi sei?
Albrecht sobbalzò al suono della sua stessa voce, che riverberava nel silenzio assoluto di quelle spesse pareti di pietra.
La figura gli rivolse uno sguardo vacuo.
E poi, senza alcun preavviso, estrasse la bacchetta e lo attaccò.
- Helena!
Lampi di luce verde presero a zigzagare intorno a lui, costringendolo ad abbassarsi, a spostarsi freneticamente di lato e a prodigarsi in una serie di Scudi sconnessi; tutt'intorno, gli incantesimi polverizzavano il vasellame e facevano a pezzi la mobilia.
Helena, smettila! Sono io, Albrecht!
Accorato la supplicò di placarsi ma lei, imperturbabile, continuava a colpirlo. Il giovane indietreggiò, affannato; improvvisamente, con la coda dell’occhio, si accorse di una figura scura affacciata alla porta.
Era Cadmus Peverell, che osservava la scena stringendo gli occhi in un ghigno di baldanzoso compiacimento.
- È solo geloso della tua libertà, Helena – insinuò ad alta voce costui, accennando col capo alla figura di Albrecht che, ansimando, tentava disperatamente di difendersi. – Sa che non farai ritorno ad Hogwarts con lui, e tenterà di ucciderti. È sempre stato un individuo collerico e violento: toglilo di mezzo, tu per prima!
E lei, imperterrita, lo colpì più e più volte finché, con un Expelliarmus deciso, non le riuscì di disarmarlo.
Atterrito, il baronetto la vide che gli si avvicinava con la bacchetta stretta fra le dita sottili. Era Helena ma, al tempo stesso, non era Helena. Era pallida, spettrale, irreale. Grigia. In un ultimo gesto di supplica, il giovane la guardò negli occhi: non v'era alcun guizzo, alcun calore, alcun accenno di vitalità nelle iridi vacue, spente, cinerine come la nebbia.
A quella vista Albrecht si sentì impazzire, per l’angoscia e lo stordimento.
- Non sei Helena, tu! – le urlò allora, facendo scorrere freneticamente le mani sulla cintura, finché le sue dita non entrarono in contatto con il freddo metallo del pugnale consegnatogli da Sir Godric.
Non sei lei! – le urlò, con quanto più fiato aveva in gola. – Vattene, vattene!...
Con una mossa fulmineaa Albrecht estrasse il pugnale, il cui gelido argento brillò colpito da un raggio di luce che fendeva la penombra. E, senza pensarci sue volte, si avventò sulla figura che lo fronteggiava, affondando con forza la lama acuminata nel suo petto.
La creatura spalancò gli occhi, che per un istante fremettero come deboli fiammelle.
Albrecht la colpì ripetutamente, piú e più volte.
- Vattene! Vattene! – gridava ad ogni colpo, mentre il sangue di lei gli macchiava la giubba e il suo viso si bagnava di lacrime. - Restituiscimi la mia Helena!
Smise solo quando la figura, ormai inerte, si accasciò ai suoi piedi.
E mentre lui, disorientato, si guardava intorno senza sapere che cosa diavolo fare, la voce di Cadmus Peverell lo percosse come uno schiaffo.
- Razza di stolto – gli disse il cavaliere, rivolgendogli un sorriso sottile e un'occhiata di scherno. – Proprio tu, che dicevi di amarla.
- Che... che cosa...
- Non sei stato neppure in grado di riconoscerla. Eppure quella era proprio Helena, la tua amata.
- Non... non è vero!...
- E invece sì. Guarda tu stesso.
Albrecht abbassò gli occhi sulla figura riversa sul pavimento in un lago di sangue.
E al colmo dell’orrore, la riconobbe; nuovamente palpabile, concreta, inequivocabile.
Quella era davvero Helena.
E lui, agendo in preda alla pura follia, l’aveva uccisa.
Disperato, sconfitto, pazzo di dolore, il baronetto van Duiker rivolse la lama argentata verso se stesso.
 
[Foresta Proibita, luglio 1999]
In quella notte senza luna la Foresta Proibita era scura come non mai; i suoi anfratti e i suoi pertugi erano illuminati dal debole chiarore dei fantasmi che, in fila dietro al Tasso, si inoltravano nel fogliame seguendo un sentierino parzialmente cancellato dalla vegetazione estiva.
Roger, il cui corpo vivo opponeva resistenza a radici, rami, tralci e arbusti, si sforzava stoicamente di mantenere il passo.
- Pagú sa quello che fa – gli aveva detto Cedric, con aria convinta, mentre il drappello si apprestava ad uscire dal Castello. – L’olfatto dei Tassi di Tosca è fenomenale; sicuramente si tratta di una pista importante.
Il gruppetto procedette per una buona mezz’ora, addentrandosi nell’intricato labirinto vegetale della Foresta. Finalmente, dopo un tempo che a Roger parve eterno (e sospettando che ciò, ai fantasmi, non facesse né caldo né freddo), Pagú si arrestò.
Roger poteva avvertire distintamente il suo ringhiare basso e cadenzato; e sbirciando da dietro un tronco ritorto, ne comprese immediatamente il motivo.
Dinnanzi a loro si apriva un’ampia radura, al centro della quale si trovavano alcune figure scure immerse nell’ombra. Da una parte, i contorni mastodontici di quello che pareva essere un grande animale, sulla groppa del quale era accomodato qualcuno. Lì accanto un’altra figura più bassa, completamente nera, alle spalle della quale spuntava una chiostra di oggetti appuntiti che brillavano alla debole luce delle stelle. E ai suoi piedi, accasciata...
Cho!
Il grido di Cedric lacerò il silenzio prima che Roger avesse il tempo di proferire parola; scosso da un brivido il ragazzo pensò che probabilmente gli spiriti, al buio, ci vedevano meglio di lui.
In men che non si dica i fantasmi di Hogwarts balzarono all’interno della radura, fronteggiando i nemici. E prima che i compagni potessero trattenerlo, il giovane Tassorosso corse avanti, spostandosi veloce verso il centro dello spiazzo.
- Attento, Cedric!
L’urlo del Frate Grasso che lo richiamava indietro gli echeggiò nelle orecchie, ma ormai era troppo tardi; da un piccolo oggetto posizionato proprio al centro della spianata era appena fuoriuscito un cono di luce che, dopo aver girato velocemente su se stesso come un riflettore, si era infine rivolto verso la figura semitrasparente di Cedric e l’aveva colpita in pieno.
I fantasmi si guardarono l’un l’altro, trattenendo il respiro (che, nonostante tutto, continuavano ad esercitare - più per abitudine che per necessità, date le circostanze) ed emettendo infine esclamazioni di sollievo quando, poco dopo, videro la figura di Cedric che affiorava oltre fascio luminoso.
- Ma per la gloriosa bacchetta del signor padrino Salazar...
Il Barone Sanguinario non credeva ai suoi occhi, e così gli altri.
Non era uno spirito quello che, in piedi davanti a loro, si guardava intorno un po’confuso. Niente trasparenze, niente tremolii, niente aspetto gelatinoso ed incorporeo. Tutto il contrario, semmai. 
Peso, spessore, materia. I colori vividi della maglia giallonera che si stagliavano contro le ombre scure della notte.
Quello, inequivocabilmente, era un ragazzo in carne ed ossa.
- Ma cosa accidenti...
- Sono ridiventati solidi! Anche loro! Guardate! – urlò Dannis Canon il cui flash era sfolgorato poco prima, nel tentativo di carpire maggiori informazioni circa l’identità dei loro oppositori. - Se fossero ancora fantasmi, l'immagine non li ritrarrebbe!
La Polaroid incantata lo rivelò chiaramente: proprio al centro della fotografia ecco Ares Mulciber, con la povera Cho riversa ai suoi piedi, ed un maestoso cavallo palomino bardato a guerra, sormontato da un cavaliere con tanto di armatura e cotta di maglia. Guardando attentamente si scorgevano altre figure altrettanto corporee che sostavano alle loro spalle, seminascoste nell’ombra.
Roger Davies osservò la fotografia, sgomento.
- È lui. È quel Mulciber. Lo riconosco – affermò, mentre Cedric correva attraverso la radura nel tentativo di raggiungere Cho.
- Lasciala!
Mulciber, però, fu piú veloce.
- Levicorpus!
Il corpo della ragazza si sollevò prontamente da terra; prima di girarsi e guadagnare velocemente il margine ombroso della foresta, il mago oscuro scoccò al giovane Tassorosso uno sguardo di fuoco e, con un orribile ghigno scolpito sul volto scavato, lo sfidò:
- Vieni a prenderla, avanti!
Cedric si lanciò nella boscaglia al suo inseguimento, seguito a ruota da Roger Davies che, per una volta, si astenne dal preoccuparsi dei tralci spinosi che gli graffiavano il bel viso. Mirtilla e Colin, dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa, fluttuarono velocemente dietro di loro, chiamandoli a gran voce.
Nel frattempo anche il Barone si era avvicinato alla fotografia scattata da Dennis; il lugubre spettro fissava la carta stampata con un’espressione terribile negli occhi slavati.
- Cadmus Peverell – mormorò a voce bassissima, per poi voltarsi di scatto e raggiungere di corsa il cono di luce. 
Qualche secondo dopo, sotto lo sguardo sbigottito dei compagni, un giovane distinto ed elegantementete abbigliato fece capolino dalla cortina luminosa. Il suo capo era coronato da riccioli dorati come il sole; sul suo viso spiccavano un paio di occhi chiari come l’acqua, belli e straordinariamente vivi.
Albrech van Duiker, baronetto di Delft, aveva recuperato le sue fattezze terrene.
La Dama Grigia, le iridi pallide puntate su di lui, lo fissava impietrita.
 
- Ma che cosa diavolo sta succedendo?
La voce di Sir Nicholas, incerta, si sovrappose al mormorio dei compagni.
- Quella è la Pietra! - rispose prontamente Dennis Canon.
- La pietra? Che pietra?
- Spiegati meglio, Canon!
- La Pietra della Resurrezione! – chiarì immediatamente Dennis, scuotendo la testa – Cos’è: non lo avete mai letto il Cavillo, voi?...
Il Frate Grasso lo guardò con gli occhi sbarrati.
- Ti riferisci a... ad uno dei Doni della Morte?!
Fu in quel momento che Helena Corvonero si riscosse dal suo torpore e proruppe in un grido.
- Era sua... era sua! Gli apparteneva!... – gemette, con voce strozzata. – Me... me lo ricordo...
- Certo: apparteneva a Cadmus Peverell, il secondo Fratello – aggiunse Colin, che era sempre stato bravo a fare due più due. – La storia la sanno tutti, suvvia.
La Dama Grigia tremava da capo a piedi; le sue cineree pupille dilatate, a poco a poco, parevano perdere e recuperare lucidità.
- Mi ricordo. Mi ricordo... Io... io... Albrecht!
Un istante dopo, si era a sua volta gettata nel fascio di luce.
 
Il suono della sua voce pronunciava il suo nome.
Morbida, calda, armoniosa. Piena di vita.
Erano secoli che non l'udiva.
Attratto dal suo richiamo girò il capo e la vide, avvolta nel suo lungo abito azzurro come il cielo, bella come una regina.
Albrecht van Duiker sbattè appena le palpebre, abbagliato alla vista di Helena Corvonero che, ritornata corporea, gli si avvicinava di corsa.
Le dure parole di Cadmus Peverell, però, lo riportarono immediatemente alla realtà.
- Barone Sanguinario, in tutto il tuo meschino fulgore – sibilò il cavaliere, assestandosi sulla sella. – Ora che Helena è ritornata in vita, ti divertirai a pugnalarla di nuovo?
Lui scosse la testa bionda in un gesto di diniego.
- Mai – disse appena. - Ma sono pronto a saldare i miei debiti. Mi consegno volontariamente al Buio in cambio della sua salvezza, perché ormai l'ho capito: chi uccide il suo amore non merita pace né misericordia.
- No!
Helena l'aveva raggiunto e, accostata la spalla a quella del giovane barone, fronteggiava il cavaliere bardato.
- Non dargli retta, Albrecht!
Cadmus Peverell le rivolse un’occhiata sprezzante.
- Difendi forse colui che ti ha rubato la vita?
- Non è stato lui ad uccidemi! – gridò Helena, stringendo le dita intorno alla bacchetta. – Ed ora lo so, ne sono certa!  Sei stato tu!
Albrecht sbatté le palpebre, sorpreso.
- Che... come...
Sei stato tu! – Helena urlava, intercalando le parole ai singhiozzi. – Mi hai circuita, mi hai illusa... mii ha detto ciò che volevo senitrmi dire... ed io, da vera stolta, ci sono cascata!... T’ho seguito...
- Io ti ho amata, Helena – sbuffò Cadmus Peverell, irritato.
- No! Non amavi me, volevi solo vendicarti di mia madre! – la voce dell'ex Dama Grigia era acuta come il fischio di un rapace, intrisa di dolore. – Sempre la seconda! Sono sempre stata... la seconda, in tutto . E me lo merito – disse, affranta. – Quando lo scoprii (ti lessi la mente, frugando nei tuoi pensieri) decisi di tornare da lei, di riportarle il diadema e di chiederle scusa, ma tu... tu non me lo permettesti.
- Quel diadema mi serviva – il tono di Cadmus Peverell era calmo, imperturbabile. – Avevo già la Pietra; grazie alla saggezza colà rinchiusa, sarei stato finalmente in grado di gabbare la Morte.
- Mi uccidesti e mi riportasti in vita, sottomettendomi alla tua volontà e manipolando i miei ricordi – continuò Helena, mentre Albrecht la fissava sbalordito. – Ma quella tenue esistenza era solo una mezza vita; non ero veramente io, quella.
Albrecht la guardava scuotendo la testa. Faticava a capire, faticava a capacitarsi.
- Lui. Fu lui ad uccideri.
- Sì...
- E quindi, quand’io giunsi da te...
- Ero già morta... – disse tristemente Helena - ... ero solo un corpo vuoto; non mi ricordavo di te e tu, in quelle circostanze, non avresti potuto riconoscermi...
Lo vide che si premeva la mano sulla bocca.
- Non fui io ad ucciderti. 
Lei lo guardò negli occhi.
- Non uccidesti la vera Helena, ma solo un simulacro. Non ero davvero io, quella.
 
A poco a poco anche Sir Nicholas, il Frate Grasso, Dennis e Sir Patrick con il suo destriero, ad uno ad uno, erano entrati nel cono di luce ed avevano recuperato la loro corporeità materiale, pronti a combattere. Le bacchette sguainate e leggermente impacciati dalla loro ritrovata corporeità, si erano avvicinati ad Albrecht e a Helena, schierandosi al loro fianco.
- Ragazza testarda. Sciocca e indegna del cognome che porti.
Il rimprovero di Cadmus Peverell riempì Albrecht di disgusto, facendolo sobbalzare. Vedendosi improvvisamente attorniato dai compagni, quello che un tempo era stato il baronetto di Delft agì d’impulso, senza pensarci due volte.
Aggrappatosi di scatto alle finiture del cavallo di Sir Patrick, Albrecht montò in sella con un agile salto; poi, afferrate con forza le briglie, puntò i talloni nei fianchi dell’animale e lo spronò al galoppo.
E Cadmus Peverell, con un urlo da far gelare il sangue, lanciò a sua volta il suo terrificante cavallo da guerra contro di lui, facendo roteare la spada.
Albrecht!
Helena urlava, incapace di mouovere un passo alla vista del giovane che, disarmato, andava incontro ad un cavaliere equipaggiato di tutto punto.
Lui nperò on le diede retta.
“Ricorda sempre il valore del sangue, figliolo” gli aveva detto il suo signor padrino prima di concedergli la sua benedizione e lasciarlo partire alla ricerca di Helena. Sir Godric lo aveva accusato di essere monotematico, ma ora Albrecht lo sapeva, ne era certo: non era alla questione del sangue puro che Salazar Serpeverde, probabilmente sotto l’effetto di una premonizione, alludeva, bensì al suo sangue in procinto di mischiarsi per l’eternità a quello della giovane Dama Corvonero.
Al loro sangue, quindi, nonché a quello di Cadmus Peverell che un giorno, forse, avrebbe lavato l’oltraggio e ristabilito la verità.
Accadde tutto molto in fretta. 
Equilibrandosi sulla sella Albrecht estrasse il pugnale e, branditolo, lo scagliò in avanti con tutte le sue forze, direzionandone la traiettoria con l’aiuto della bacchetta.
E il pugnale incantato di Godric Grifondoro volò in linea retta, sibilando, fendendo l’aria e penetrando a fondo nella cotta di maglia di Cadmus Peverell che procedeva con la spada sollevata, fino a conficcarsi con forza nel suo petto scosso dall’affanno della cavalcata.
E il sangue del cavaliere schizzò fuori e si abbattè sul baronetto, che in quel momento incrociava il suo incedere, lavando via le macchie di sangue argentato che, da secoli, chiazzavano il suo giustacuore.
In quel preciso istante le sue lunghe e pesanti catene, simbolo di eterna contrizione, si dissolsero nell’aria; e insieme ad esse cavallo e cavaliere avversari, con relativi rimasugli di sangue, svanirono a loro volta sotto lo sguardo affilato di un ansimante Albrecht che, frenato il destriero di Sir Patrick con uno strattone alle briglie, lo induceva a girarsi e a ritornare adagio sui suoi passi.
Colmata la distanza che lo separava da lei, il giovane barone scivolò lungo il fianco del cavallo e posò i piedi per terra.
Quindi, avvicinatosi lentamente ad Helena, ristette al suo cospetto fissandola  a lungo con i suoi calmi occhi chiari, riempiendosi le pupille della sua travagliata bellezza e sforzandosi di tenere a bada i battiti irruenti del suo cuore nuovamente palpitante.
Infine, sopo aver sbuffato fuori l’aria, si chinò e stese una mano per afferrare delicatamente quella che la Dama gli porgeva.
La prima – le disse, sfiorando con le labbra la sua pelle tiepida e vellutata. – Per me, tu sei sempre stata la prima.

Note a pié di pagina:
Mi ha sempre intrigata la storia della Pietra della Resurrezione, che Harry lascia cadere nella Foresta Proibita dopo avere evocato James, Lily, Sirius e Remus. E mi sono detta: se c'è qualcuno in grado di ritrovarla, quello dev'essere per forza il suo 'legittimo' proprietario: Cadmus Peverell.
Avevo intenzione di rivsolvere i conti di Cadmus e Mulciber in un unico capitolo, ma la cosa rischiava di allungarsi un po'troppo e così ho deciso di tagliare a metà. In Anime Gemelle (II) scopriremo come andrá a finire la vicenda di Cedric e Cho, oltre ad avere qualche delucidazione in più sul perché e sul 'percome' di questo temporaneo ritorno allo stato solido.

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