Di temporali, valigie e lenzuola

di BrizMariluna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cuori in burrasca ***
Capitolo 2: *** Galeotta fu la valigia ***
Capitolo 3: *** Quelle parole all'improvviso... ***
Capitolo 4: *** Epilogo - Il gatto e l'angelo ***



Capitolo 1
*** Cuori in burrasca ***


Premessa

Salve a tutte/i.

Questa è la mia prima fic su questo fandom, frequentato da autrici molto più brave di me. Di City Hunter conosco pochissimo l’anime, e ho scoperto il manga solo l’anno scorso, ma l’ho già letto un paio di volte.
Ammetto che le fanfiction qui pubblicate possono avermi influenzata, perché ce ne sono di bellissime, e l’originalità temo sia un po’ un optional, nel mio caso. Ma quando si scrive di personaggi già esistenti, radicati in un loro universo, il ripetersi di situazioni e location potrebbe essere naturale. È come la faccenda delle note: sono sette. Per quanto tu le rigiri e le rimaneggi, una melodia può uscire simile ad un’altra… ma spero possa piacervi e magari divertirvi lo stesso.
In fondo, la stessa situazione, (nella fattispecie: trovare un pretesto per mettere insieme esplicitamente questi due zucconi!) può risultare diversa, se raccontata con parole diverse, e da teste diverse…
In ogni caso, grazie mille a chi vorrà leggere e commentare.
Però non siate kativi, okay? 😉
 

 
 
Di temporali, valigie e lenzuola
 
 
 
~ 1 ~
 
Cuori in burrasca
(Era una notte buia e tempestosa...)
 
 
(Kaori)
 

Le mani di Ryo vagano curiose, decise, eppure tenere.
Vagano sul mio corpo, sapendo perfettamente dove andare, cosa toccare, come accarezzare; e, nonostante sia ancora vestita, lasciano scie di fuoco che attraversano la stoffa, e che mi strappano gemiti mal trattenuti e lievi sospiri.
Pronuncio il nome del mio compagno una, due volte, poi la mia voce viene soffocata tra le nostre labbra, nell’ennesimo bacio di quella notte bollente, mentre fuori prende a scrosciare la pioggia, e comincia un temporale estivo.
Non so come sia cominciato tutto quanto, ma va bene così.
Ormai ho raggiunto un tale punto di passione e desiderio per lui, che penso potrei accontentarmi anche di una notte di sesso e basta.
Tanto lo so che se non sarà lui, il primo uomo della mia vita, allora finirò per morire vergine.
Prospettiva alquanto deprimente, direi.
Sì, va bene così. Voglio che sia con lui, la mia prima volta, qualunque possa essere il motivo che lo ha spinto verso di me.
Sento la sua bocca che si schiude sul mio collo, che mi bacia e lascia una scia umida e bruciante, che scende sulla spalla e corre inesorabile più in basso.
La stoffa si scosta, scivola via, scoprendo lembi della mia pelle che nessuno ha mai toccato prima di questo momento, e io infilo le mani sotto alla sua maglietta, accarezzando la sua schiena ampia e muscolosa, la sua pelle calda e liscia.
Dio, quante volte ho desiderato farlo!
Sì, perché è vero che sono inesperta a livello pratico, ma la teoria la conosco; eccheccavolo, non ho mica più tredici anni!
Lo graffio leggermente, sapendo di apparirgli un po’ impacciata ed ingenua; ma io lo voglio, Ryo! Lo voglio da una vita, lo voglio tanto; perché lo amo da stare male, lo amo da morirci!
Afferro il lembo inferiore della sua maglietta e la tiro verso l’alto, e lui si stacca per un attimo da me, per semplificare l’operazione e lanciare poi l’indumento dove capita.
E nel giro di pochi secondi, anche la mia t-shirt se ne vola da qualche parte, seguita dal reggiseno. Non so come lui abbia fatto, ma non importa; dopotutto, Ryo è un maestro in queste cose, non c’è di che meravigliarsi!
Ma ora, sentire il mio seno schiacciato contro i suoi pettorali, ampi e forti, pelle contro pelle, mi manda letteralmente in orbita. Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che lui ora si è mosso, e una delle sue mani grandi e calde, si è chiusa sul mio seno...
Andare in orbita, adesso, è semplicemente un eufemismo, per descrivere le sensazioni che mi fanno provare quelle carezze. E quando le carezze diventano baci... Oh, mamma mia, non rispondo di me! Non avrei mai immaginato che potesse essere così! Sì, perché... anche questa cosa meravigliosa, lui è il primo a farla, con me!
A un tratto, Ryo si solleva e, con un sospiro, torna con le labbra sul mio collo e sulla mia gola. Mi lascerà dei segni, se continua così! Ma chi se ne importa...? Una bella sciarpetta leggera e via, e pazienza se è luglio... Anzi, a dirla tutta, vorrei che si vedessero, che tutti sapessero, che mi ha marchiata, perché io sono sua!
Anche se siamo ancora mezzi vestiti, mi viene naturale stringergli i fianchi tra le cosce e inarcarmi contro di lui.
Ed ecco che lo sento!
Oddio, oddio, lo sapevo: mokkori in modalità attiva, oltre ogni dire!
Provo un fiotto di orgoglio montarmi dentro, all’idea di sentirlo già pronto, premermi duro e potente contro l’inguine; al pensiero di essere proprio io, Kaori Makimura, il mezzo uomo, il travestito… a causargli questa reazione!
Se già mi sento così ora, cosa farò quando lo sentirò spingere e pulsare dentro di me? Il solo pensiero mi manda ai matti, mentre affondo le dita tra i suoi capelli corvini, gli attiro di nuovo il volto contro il mio, e mordo dolcemente le sue meravigliose labbra, forse fino a fargli un po’ male, perché gli sfugge un gemito, non saprei dire se di dolore o di piacere.
Per un attimo, prego dentro di me che non stia fingendo di essere con qualcun’altra.
Giuro che se gli sento uscire di bocca il nome di una di quelle fighette da quattro soldi, di cui si circonda quando esce a fare il cretino depravato con Mick, lo polverizzo sotto un martellone da 1.000.000 di t. con sopra scritto "Addio per sempre, bastardo!"
Ma ora lui ha aperto gli occhi, e mi guarda intensamente per qualche secondo. Ed è più che evidente la sua consapevolezza di essere con me, di desiderare me; mi vuole, e il suo migliore amico, là sotto, lo sta dimostrando.
E anche una delle sue mani, che è passata sotto di me e mi ha afferrato una natica, attirando ancora di più il mio bacino contro il suo.
Prima ancora di riuscire a pensare, intrufolo, anche se un po’ titubante, le mani tra i nostri corpi, facendolo appena scostare, e gli slaccio la fibbia della cintura.
Forse dovrei provare imbarazzo, (e sia, lo ammetto: in realtà è così, un po’) ma a pensarci bene, in sette anni di convivenza, io, Ryo, ormai l’ho visto in tutte le condizioni possibili. In quelle migliori, ma anche in quelle peggiori, in qualunque declinazione possibile del termine!
Ed è a quel punto che anche la sua mano, scivolando sinuosamente, abbandona il mio sedere, mi arriva sulla pancia nuda e comincia ad armeggiare con il bottone dei miei jeans.
Finché si ferma di botto, come se, all’improvviso, la sua mente avesse realizzato qualcosa di molto importante, e cerca il mio sguardo con il suo; quello sguardo che sa essere buio come la notte più cupa, ma che in questo momento, come per magia, si punteggia di stelle infuocate.
Perché sta guardando me!
E dalle sue labbra, a pochi centimetri dalle mie, escono quelle parole che fugano ogni mio timore e che mai, mai in tutti questi anni, avrei pensato di sentirmi dire da lui.
− Kaori Makimura… io ti amo. Sei la mia vita e morirei per te.

 
§
 
(Ryo)
 
Le labbra di Kaori sono morbide, calde, di una dolcezza infinita. Quella dolcezza che mai avevo provato prima di questo momento, facendo l’amore con una donna. Probabilmente perché l’amore, quello vero, io non l’ho mai fatto con nessuna.
I lievi suoni che le escono di bocca, insieme al mio nome sussurrato alcune volte, si infrangono contro le mie labbra, e nelle mie orecchie si mescolano ai tuoni, che rotolano disordinati per il cielo il quale, da qualche minuto, piange lacrime violente che rinfrescano questa notte estiva.
Kaori emette piccoli mugolii, ansiti spezzati di soddisfazione che mi stanno letteralmente facendo perdere la testa; le sue mani mi tolgono la ragione, così curiose di toccarmi, di scoprirmi... e allo stesso tempo impacciate fino a portarmi quasi sull’orlo della commozione.
Il profumo dei suoi capelli è inebriante, e la sua pelle vellutata dolce come vaniglia, sotto i miei baci; una cosa folle, da mangiarsela. 
Kaori è bellissima, stupenda e meravigliosa, così adorabilmente imbranata e, allo stesso tempo, spontanea e appassionata.
Mi farà morire, me lo sento!
Praticamente è lei a sfilarmi la maglietta, con un’impazienza tanto tenera che mi incendia ogni cellula del corpo. Far volare via i suoi abiti è questione di un attimo: spero di non averglieli strappati o domani, probabilmente, mi tirerà uno dei suoi martelloni con sopra scritto "Ora me li ripagherai".
Cosa che farei ben volentieri, sia chiaro!
E ora, guardandola così, distesa seminuda sotto di me, con i seni schiacciati contro il mio petto, e i suoi occhi che mi guardano adoranti e colmi di aspettativa, mi ritrovo a maledirmi in mille modi, per ogni volta in cui ho osato darle del mezzo uomo e del travestito. Per ogni volta che l’ho umiliata denigrando il suo aspetto, facendole credere di non avere un briciolo di fascino.
E − che il cielo possa incenerirmi! − per ogni volta che l’ho accusata di essere piatta come una tavola!
Ciò che ora stringo dolcemente, quasi con venerazione, e che freme contro le mie labbra, è il seno più bello e attraente che io abbia mai toccato, baciato, o anche solo mai visto.
Le sue gambe mi si avvinghiano ai fianchi, stringendomi su di lei, e la mia mano corre irrefrenabile al suo stupendo, perfetto fondoschiena e, mentre lei si inarca, le premo il bacino contro il suo, mentre risalgo a baciare la pelle dolce e delicata della sua gola.
Vorrei succhiarla fin quasi a lasciarle il segno, per marchiarla e far sapere al mondo che lei è mia, mia soltanto! Ma forse non apprezzerebbe… e non voglio costringerla a portare un foulard con questo caldo.
Il suo sapore, e la posizione in cui siamo, mi fanno temere che i bottoni della patta dei miei jeans possano saltare da un momento all’altro come proiettili. È da un po’ che il mio fratellino, laggiù, sta decisamente stretto.
Il bisogno di slacciarli cresce fino all’impossibile, e sembra che lei mi legga nel pensiero, perché nonostante il suo palese, tenerissimo imbarazzo, mi slaccia rapidamente la cintura. Un attimo dopo sono io ad accarezzare il suo ventre piatto e liscio, e a slacciare il bottone che le stringe i jeans in vita.
Poi, una considerazione mi fulmina, e mi do del bastardo.
Kaori mi ama. Non so come faccia, come sia possibile, ma mi ama; lo so da tempo, ormai.
E non merita tutto questo, senza la consapevolezza di essere ricambiata.
Fermo ogni mio movimento e cerco i suoi brillanti occhi nocciola.
Quegli occhi unici, che ormai da anni sanno sempre, con un solo sguardo, consolarmi, consigliarmi, punirmi, comprendermi. 
Quegli occhi meravigliosi che mi hanno stregato ormai da tanto tempo, e lei nemmeno lo sa.     
E le parole mi escono così, da sole, senza che io riesca a fermarmi.
− Kaori Makimura… io ti amo. Sei la mia vita, e morirei per te.

 
♥♥♥
 
Il tuono secco lacerò il cielo, accompagnato dalla luce accecante del fulmine, che disegnò per un attimo i contorni delle cose in modo spettrale.
Kaori balzò a sedere sul letto, ansante, il cuore a mille.
Fra le braccia, il suo solito cuscino, grande, morbido e rassicurante.
Era sudata e tremante, e sul momento diede la colpa allo spavento per quel tuono che l’aveva svegliata di soprassalto.
Si ridistese supina per qualche minuto, gli occhi al soffitto, sempre stringendo a sé il cuscino che, ovviamente, aveva fatto le veci del suo socio durante quel torrido sogno. E si rese conto, suo malgrado, che a ridurla in quel modo – un patetico ammasso di gelatina tremante – non era stato lo schiocco violento e improvviso del fulmine.
Indispettita, si alzò, facendo volare per la stanza il povero cuscino, senza sapere se le desse più soddisfazione odiarlo perché non era davvero Ryo, o maltrattarlo in tutti i modi possibili proprio immaginando che lo fosse!
Andò a chiudere la finestra, dalla quale entrava un vento dispettoso e sgarbato che faceva svolazzare le tende, accompagnato da goccioloni freddi e violenti che le sferzarono le mani.
Conclusa l’operazione, se le passò sul volto infuocato, senza trovare sollievo nel contatto con le proprie dita gelate.
Basta! Non ne poteva più di quegli stupidi sogni!
Si ributtò sul letto affranta, affondando il volto nel cuscino recuperato dal pavimento e gratificandolo di un altro paio di pugni rabbiosi, immaginando di nuovo che fosse Ryo. Poi, continuando a fantasticare la stessa cosa, se lo strinse forte tra le braccia, mentre una lacrima involontaria scivolava silenziosa sulla sua guancia.
Ormai aveva avuto prove più che sufficienti che Ryo le voleva bene, ma non nel modo in cui lei avrebbe desiderato.
Kaori, nell’arco di pochi giorni, aveva ricordato tutto, di ciò che era accaduto sulla nave di Kaibara: la notte precedente alla missione, quando si erano addormentati abbracciati; le loro promesse di salvarsi, per non causarsi dolore a vicenda, e il bacio attraverso il vetro; Ryo che, dopo che lei lo aveva creduto morto, veniva sottratto in extremis dal vortice della nave che affondava, dall’elicottero della polizia con a bordo Saeko; e quest’ultima che tagliava la corda che lo reggeva, per impedire che lui venisse arrestato dai propri colleghi; e l’abbraccio furioso col quale lei lo aveva accolto sulla barca insieme ai loro amici, e a causa del quale erano finiti di nuovo in acqua, abbracciati stretti, finché lei... gli era stupidamente svenuta tra le braccia!
E quando la memoria, dopo pochi giorni, era tornata, aveva fatto due più due: Ryo era stato contento che lei non ricordasse nulla, altrimenti non avrebbe fatto finta di niente. Così, anche lei aveva taciuto e Ryo non aveva mai saputo che lei aveva ricordato.
E il matrimonio di Miki…? E la radura, e il pan di cuculo, e “Sopravviverò per la persona che amo”…?
Kaori si era, di nuovo, rassegnata, trovando ragioni e scuse che giustificassero quelle parole…
Probabilmente Ryo lo aveva detto per fare le solite scene da eroe buono e senza macchia con il generale Cruz che l’aveva rapita; o magari la frase era addirittura stata: “Sopravviverò per le persone che amo”, al plurale, riferendosi agli amici che per lui erano come una famiglia, lei compresa.
E lei, un po’ impaurita e sicuramente frastornata dalla situazione, aveva voluto capire quello che avrebbe desiderato che fosse.
Probabilmente sarebbe stato così per l’eternità: Ryo che la vedeva come  una sorellina da proteggere, come gli aveva chiesto Hideyuki, che gli facesse da spalla e lo aiutasse nel suo lavoro e forse, anche, da sopportare con esasperata pazienza, come tutte le sorelle minori.
Infatti anche quella volta, al loro ritorno, le cose non erano cambiate.
Era passata una settimana, e la loro routine proseguiva; forse solo con qualche silenzio imbarazzato in più.
Sì, era stanca. Molto, molto stanca.
Per la milionesima volta, negli ultimi mesi, pensò di nuovo, seriamente, alla possibilità di riempire una valigia e andarsene, nella speranza di ricostruirsi una vita senza essere più legata a Ryo in alcun modo.
Balle! Sapeva che si sarebbe sentita parte di lui anche se fosse andata a vivere sulla Luna; per questo, alla fine, non lo aveva mai fatto.
Ma ora non ce la faceva più; sentiva che l’alternativa, di questo passo, sarebbe stata una sola: morire lentamente, per anni, di amore e passione repressi.
 
*
 
Il tuono secco lacerò il cielo, accompagnato dalla luce accecante del fulmine, che disegnò per un attimo i contorni delle cose in modo spettrale.
Ryo, sdraiato a pancia in giù, sobbalzò, svegliandosi di colpo e sollevandosi sui gomiti.
Gocce di sudore gli scivolarono dalle tempie, mentre tentava di ridare al suo respiro e al suo cuore, un ritmo regolare. Poi tornò ad affondare il volto sul cuscino, tornando ad abbracciarlo; chiuse nuovamente gli occhi, immaginando ancora che fosse Kaori, della quale, era evidente, il morbido oggetto era stato il sostituto durante quel sogno bollente.
Maledetto quel tuono, che aveva interrotto tutto sul più bello! Nemmeno in sogno, a quanto pareva, gli era consentito fare mokkori con la sua amata socia!  Era sempre così: ogni stradannata volta!
Ma a ben ripensarci, forse era meglio così. Sarebbe servito solo a risvegliarsi, il mattino seguente, in condizioni indecenti, per poi farsi infamare vergognosamente proprio da lei, e cominciare la giornata con un odioso mal di testa da konpeito.
Sapeva bene che l’alternativa, fare l’amore con Kaori sul serio, avrebbe implicato confessarle i propri sentimenti, e a quel punto… sarebbe cambiato tutto.
“Hai mai pensato che forse cambierebbe in meglio?” gli sussurrò una vocina all’orecchio.
Per un attimo gli sembrò famigliare, ma non riuscì ad associarla ad un volto conosciuto.
Ryo si sforzò di ignorarla, ma questa continuò, imperterrita: “Guarda che se vai avanti così, un giorno o l’altro Kaori arriverà al limite, e se ne andrà. Quanto pensi che possa sopportare ancora questo andazzo? Non è fatta mica di legno!”
Dio, la sua vita senza Kaori…?
Non riusciva nemmeno a pensarci. Eppure sapeva che per lei sarebbe stato meglio.
Kaori era stata molte cose, per lui, in tutti quegli anni: la sua socia, la sua migliore amica; a volte, persino, la madre o la sorella che non aveva mai avuto; la buffoncella che gli regalava momenti spensierati, a volte teneri, e lo faceva ridere.
Era la serenità di ogni giorno, la calma della routine, la sicurezza di una spalla su cui contare in ogni situazione.
Ed era la coscienza che lo richiamava all’ordine: spesso con un semplice sguardo; a volte con un martellone che lo spiaccicava come uno scarafaggio; altre ancora con una corda, alla quale finiva inesorabilmente appeso fuori dal balcone, dopo essere stato arrotolato, come il salame che effettivamente era, dentro un futon.
Ma sapeva, senza ombra di dubbio, che lei era sempre stata molto più di tutto questo.
Era la prima donna, anzi l’unica, di cui si fosse perdutamente innamorato. E forse era anche l’unica − proprio perché ormai lo conosceva quasi quanto sé stessa − ad amarlo realmente, nel senso più profondo del termine. Ad amarlo sempre e comunque, senza mai pretendere nulla, nonostante il suo passato ingombrante, le sue battute pesanti e offensive, i suoi silenzi indisponenti, le sue innumerevoli e volgari cazzate.
Vivere senza Kaori? No, non credeva davvero di esserne capace.
La verità era che loro due non potevano vivere separati. Forse non avrebbero nemmeno saputo farlo. 
Poteva ammetterlo, in momenti così, quando si ritrovava da solo, nella sua stanza, col cuore in burrasca, dopo sogni di questo genere.
Anzi, ne era sicuro, che lui soprattutto non ci sarebbe riuscito, nonostante a volte avesse persino accarezzato l’idea di mandarla via. Ma per cosa, poi? Per non farle correre rischi, se fosse diventata la sua compagna di vita e non solo di lavoro?
“Ma andiamo!” lo redarguì di nuovo la solita, famigliare, vocina “La scusa di tacere con lei per non metterla in pericolo, non regge più, ormai. È sufficiente che lei sia la tua socia, per essere in pericolo mille volte al giorno! E se è vero che tu non riesci ad allontanarla, allora… merita davvero di passare il resto della sua vita con te, senza nemmeno la speranza di coronare il suo sogno, mandando giù rospi tanto grossi da essere più simili a dinosauri?”
La voce tacque, sostituita dal rombo dei tuoni. E Ryo non poté fare altro che maledirsi ancora, e ancora, per questo egoismo, che lo portava a preferire di lasciare le cose come stavano, pur di non perderla.
Lo sweeper sospirò rumorosamente, portandosi il cuscino sopra la testa, come a volersi proteggere da quegli inquietanti e contradditori pensieri, che finivano per essere inconcludenti quanto un gatto che si inseguiva la coda.
In quel momento, dalla stanza di Kaori gli giunsero alcuni rumori; gli venne da sorridere, immaginandola alle prese con la finestra da chiudere e le tende svolazzanti.
E chissà cos’altro stava combinando… 
Udì dei passi, una specie di tonfo, una mezza imprecazione soffocata…
Nel giro di pochi minuti sentì l’inconfondibile e famigliare thump thump thump dei suoi piedi nudi nel corridoio, e poi giù per le scale. Si aspettò di sentire qualche rumore in cucina: probabilmente era scesa a bere, o a prepararsi un bicchiere di latte…
Invece, con sua grande sorpresa, accompagnato da uno strano brivido giù per la schiena, sentì un altro tonfo e la porta dell’appartamento aprirsi.
Il suo istinto gli disse che qualcosa non quadrava.
Cosa diavolo stava succedendo?
 
 
> Continua...



 

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Capitolo 2
*** Galeotta fu la valigia ***


~ 2 ~
 
 Galeotta fu la valigia…
(…per tacer del lenzuolo…)
 
 
...Accompagnato da uno strano brivido giù per la schiena, Ryo sentì un altro tonfo e la porta dell’appartamento aprirsi.
Il suo istinto gli disse che qualcosa non quadrava.
Cosa diavolo stava succedendo?...
 
In un lampo, Ryo balzò dal letto e piombò al piano di sotto.
Di fianco all’uscio ancora accostato, c’era una vecchia, capiente valigia, che lui sapeva appartenere alla sua socia. Era gonfia da scoppiare, e ciò gli fece serpeggiare per la spina dorsale un ulteriore brivido di paura.
− Kaori! – gridò, senza riuscire a trattenersi, precipitandosi prima in cucina, poi, non avendo trovato nessuno, di nuovo di sopra facendo i gradini due a due.
La ragazza non era nel bagno, e nemmeno nella propria camera. Men che meno nella sua: perché mai avrebbe dovuto?
Ryo si scapicollò nuovamente giù per le scale, continuando a chiamarla, cercando in ogni nascondiglio possibile, neanche Kaori fosse stata un gatto! Ma l’appartamento era inequivocabilmente vuoto.
Quella donna…! Dove diavolo si era cacciata?
E quella porta accostata…
E quella valigia, lì, pronta…
Non capiva.
Cinquemila pensieri gli si affollarono nella mente, confondendosi e creandogli ancora più caos.
Lui, lo sweeper numero uno del Giappone, abituato a sentire i più piccoli rumori, a cogliere gli indizi più insignificanti, a fare i ragionamenti più complessi e prendere le decisioni più difficili in pochi istanti, era messo completamente K.O. dal misterioso comportamento della sua partner.
L’unica cosa che riusciva a pensare era: “Vuole andarsene. Kaori vuole andarsene davvero. Vuole lasciarmi!
Oh, no, non poteva andare a finire così!
Possibile che avesse davvero deciso di uscirsene dalla sua vita come una ladra, in quella notte di temporale, senza dirgli niente,  portandosi via tutto quello che avevano condiviso?
Anni fatti di pericoli, risate, lacrime, arrabbiature e martelli.
Di momenti di felicità, di paure, incomprensioni e speranze.
Di date di compleanno regalate dal nulla − anzi, dal cuore!
Di difficoltà, parolacce, missioni, mokkori mancati.
E di affetto, complicità, abbracci, baci sulla fronte e… e amore all’ennesima potenza che forse, proprio per non essere mai stato espresso, aveva ancora più valore!
Era mai possibile che Kaori pensasse che l’immensità di tutto questo, potesse stare dentro quella stupida, vecchia valigia, come un ammasso di vestiti usati?
No, nemmeno un campo da football avrebbe potuto contenere tutto ciò di cui la loro vita insieme era stata costellata! Figurarsi quel vetusto oggetto sdrucito!
In un impeto d’ira, le sferrò un calcio con un piede nudo, lasciandosi poi sfuggire un grido di dolore.
− Merda! – esclamò frustrato, afferrandosi il piede e appoggiandosi al muro dopo due saltelli sconclusionati, e continuando a fissare incredulo la valigia, senza capire perché fosse lì.
Poi, l’illuminazione.
Oddio! Ecco perché!
Kaori era salita sul terrazzo, probabilmente per recuperare qualcosa che era rimasto steso ad asciugare, ma che voleva portarsi via!
Che poi, qualunque cosa fosse, chissà come sarebbe stata ridotta, con quel temporale!
Non aveva nemmeno finito di pensare, che già aveva infilato la porta e correva su per le scale che portavano al tetto, incurante di avere addosso soltanto i boxer.
Si catapultò letteralmente sul terrazzo, in tempo per vedere, alla luce accecante di un fulmine, la slanciata silhouette di Kaori stagliarsi contro l’improvvisato schermo formato da un ampio lenzuolo steso ad asciugare.
Steso a bagnarsi sarebbe stato più corretto, visto il diluvio che stava venendo giù.
Anche lei era piuttosto discinta, essendo coperta solo da una maglietta extralarge, la cui ampia scollatura era scivolata a scoprirle una spalla. Le arrivava solo a metà coscia, facendo risaltare le sue gambe lunghe e ben fatte, e il vento ne sollevava ritmicamente il lembo posteriore, lasciando intravedere le mutandine rosa con qualcosa stampato sopra la natica sinistra: una specie di libellula stilizzata, così a occhio. Uno spettacolo decisamente non trascurabile, se non fosse stato per la pioggia battente e l’ansia che lo divorava.
− Kaori! – chiamò per l’ennesima volta, correndo verso di lei.
Evidentemente lei non lo aveva sentito, perché si dedicò, rapida, ad afferrare il lenzuolo che sbatacchiava al vento, con l’intenzione di metterlo nella bacinella insieme a quelli appena raccolti, per portarli in casa.
Senza pensare, la raggiunse e, standole di dietro, allungò le braccia oltre le sue spalle, per afferrare lui stesso quel lenzuolo ribelle, ed aiutarla.
Kaori, realizzando all’improvviso la presenza di qualcuno, urlò e si girò di scatto verso di lui, spaventata a morte.
− No, il martello no, per favore! Non ho fatto niente, stavolta! – gridò Ryo, curvandosi in avanti e proteggendosi la testa con le braccia.
Kaori rimase qualche secondo immobile, stordita, perplessa…
− Ryo! Ma che ci fai qui? In mutande, poi?
Ryo abbassò lo sguardo, constatando sia la verità che Kaori aveva appena enunciato, sia che non c’era alcun martello pronto ad abbattersi su di lui.
− Volevo solo aiutarti − le rispose − E poi, parli tu! Ti sei vista? – ribatté ritrovando il suo spirito e riaccostandosi a lei, che arrossì, dimentica per un attimo della pioggia e di ciò che stava facendo.
Kaori, per darsi un contegno, si produsse in un mezzo sorriso, che avrebbe voluto essere sarcastico, tornando poi alla sua incombenza; Ryo che veniva sul terrazzo ad aiutarla in una faccenda domestica, era quantomeno strano. 
E in quel momento, tra le gocce fredde che cadevano, il vento violento, la stoffa appesa al filo che la frustava e, come non bastasse, il bollente ricordo del sogno e delle sue successive considerazioni, Kaori si ritrovò al limite della sopportazione. Si accorse di non riuscire a tollerare la sua vicinanza, tantomeno il suo aiuto, quando lui le si affiancò, afferrando il lenzuolo. Che lei lo volesse o meno, avere il suo partner troppo vicino le faceva, sempre e comunque, un effetto deleterio! Figurarsi ora, che era pure seminudo!
− So fare da sola, sai? – esclamò, rasentando lo sgarbato e allontanandolo con una piccola spinta – Da quando ti importa di aiutarmi in questi frangenti?
“Da quando ho scoperto che vuoi andartene” fu il pensiero che attraversò la mente di Ryo, accompagnato da un lampo che, come a sottolinearlo, delineò perfettamente la figuretta di Kaori.
L’immagine colpì gli occhi e la mente di Ryo come una staffilata, e per poco non fece un infarto.
La larga t-shirt, completamente bagnata, era diventata semitrasparente, e aderiva alle curve di Kaori nel modo più seducente che lui avesse mai visto, mostrando molto più che nascondere.
“Idiota, ci riesci a parlare, o vuoi davvero che lei insacchi baracca e burattini e se ne vada davvero?” gli urlò nelle orecchie la stessa famigliare, insistente voce di poco prima.
Proprio in quell’istante, una folata di vento e pioggia particolarmente violenta sollevò il lenzuolo ancora steso per metà sul filo che, flagellando l’aria, si staccò con uno schiocco, sparando via le mollette rimaste che schizzarono chissà dove. L’ampio riquadro di tessuto, appesantito dall’acqua, si abbatté contro la schiena di Ryo, che perse l’equilibrio e finì addosso a Kaori. Le sue braccia si strinsero attorno a lei, per evitarle di cadere a terra, mentre il lenzuolo, rapito dal violento mulinello, parve dotarsi di vita propria e  si avvolse attorno a loro, praticamente legandoli.
I due rimasero per qualche attimo paralizzati, guardandosi con gli occhi spalancati, con la pioggia che scrosciava loro intorno, cercando di capire cosa diavolo fosse accaduto.
Si accorsero di non riuscire a muoversi, stretti l’una contro l’altro, completamente avviluppati da quel tessuto fradicio.
− Ma che… − brontolò Ryo, agitandosi, tentando di liberarsi.
Kaori lo imitò, cercando di allentare quella prigione di stoffa.
− Ma dai, non ci credo! Nemmeno se avessimo voluto farlo, ci saremmo riusciti!
− Accidenti, porc… ma solo a noi succedono certe cose!?
Purtroppo, più si agitavano, più il viluppo di stoffa si faceva stretto e avvolgente.
− Ma che cos…? È vivo, ‘sto lenzuolo!? – urlò la ragazza sentendosi in trappola, con un lembo della stoffa fradicia adagiato sulla testa, a mo’ di cappuccio, le braccia immobilizzate lungo i fianchi, e pure circondata, alla vita, da quelle di Ryo, altrettanto prigioniere.
− Kaori, piantala un po’! Se continui ad agitarti così, finiremo ancora più stretti, non riusciremo mai a liberarci! Falla finita! – esclamò lui, forse troppo bruscamente; ma sentire il corpo di Kaori aderire in quel modo contro il proprio, minava la sua coscienza e il suo autocontrollo.
A quelle parole sgarbate, e complici la stanchezza, il fastidio provocato da quella stoffa bagnata addosso e, non ultimo, il fatto di avere Ryo così strettamente legato a lei − cosa che non aiutava di certo a rimanere lucida − Kaori esplose, dando sfogo a tutta la sua frustrazione.
− E va bene! Lo so che non sopporti di starmi così appiccicato! Scusami, se non sono la tua sensuale Saeko, se non sono bella come Miki, se non sono una qualunque di tutte quelle donne più belle, più provocanti e più sveglie di me! Scusami se esisto, e se ti sono toccata io come socia, e non quella strega di Reika, che è così brava e seducente! Quella scimmia! – gridò, al colmo dell’impotenza. E continuò, ormai fuori controllo, ad urlare, con le parole che le uscivano come un fiume in piena:
− Mi trovi repellente, lo so! Tu sei etero che più di così non si può, sei maschio fino al midollo, e a me… mi vedi uguale! Al massimo, qualche volta ti faccio tenerezza, come un fratellino minore da consolare! O un animaletto sperduto a cui rifilare una patetica carezza sulla testa!
Un paio di lacrime le sgorgarono dagli occhi, e le rotolarono sul volto mescolandosi alle gocce di pioggia.
Odiava piangere davanti al suo partner, e pregò che lui non se ne accorgesse, visto che aveva il viso bagnato.
Ma Ryo non era stupido. E ci vedeva bene.
In più, quelle parole lo colpirono come uno schiaffo. Si rese conto di essere stato duro. Troppo. E non solo in quel momento.
Era stato un maledetto idiota bastardo, per tutti quegli anni. Era colpa sua, se adesso Kaori aveva dato la stura a questa sequela di inquietanti considerazioni, che gli dava un’intollerabile visione di come lei si percepiva.
Si impose di rilassarsi, chiuse gli occhi e sospirò, sollevando il viso verso la pioggia che cadeva. Anche a Kaori sfuggì un sospiro, tenne però la testa bassa, avvampando e accorgendosi di essersi, probabilmente, scoperta troppo.
Si ritrovarono in silenzio, ansanti, mentre la rabbia scivolava via, con attorno solo il rumore della pioggia e il brontolare dei tuoni, incapaci di guardarsi, lei col volto chino, a sfiorargli il torace con la fronte.
E quel maledetto lenzuolo che continuava a tenerli appiccicati l’uno all’altra.
− Hai le mani sul mio sedere, Saeba – disse Kaori con voce àtona, indifferente, senza muovere un muscolo.
− Lo so. Ma non riesco a spostarle, lo vedi da te.
La verità era che, anche se avesse potuto, non le avrebbe tolte da quella posizione per tutto l’oro del mondo.
“Dirglielo, magari, che il suo sedere ti fa impazzire?” fece la voce fantasma, nelle sue orecchie.
Ma in quel momento, stranamente, a Ryo importava di più qualcos’altro.
− Dio, Kaori… È davvero questo… che pensi, di me? E... di te? Un fratellino? Un…  patetico animaletto…? – le chiese, incerto, sentendosi profondamente in colpa.
− E cosa dovrei pensare? Eh? Me lo dici? Anche solo per immaginare lontanamente il contrario, dovrei avere come minimo una laurea in… che so… Psicologia Ryologica Comparata!
A dispetto di tutta quella situazione, a metà tra il drammatico e il surreale, a quella strana uscita Ryo sentì nascere dal cuore una risata, che cercò di trattenere. Come riusciva Kaori, a sdrammatizzare anche i momenti più assurdi, non ci riusciva nessuno.
− Kaori… se esiste una persona degna di questa fantomatica laurea… quella sei tu!
La giovane donna rimase in silenzio, gli occhi spalancati, immersi in quelli del suo socio, realizzando poco alla volta ciò che quelle parole implicavano. Era un complimento, quello che Ryo le aveva appena fatto? Ecco perché le cataratte del cielo si erano spalancate in quel modo!
Ryo chinò appena il capo verso di lei, e appoggiò la fronte a quella della ragazza, chiudendo gli occhi.
− Nessuno mi conosce come te, Sugar. Ti prego, non andartene.
Fu solo un sussurro, quasi spezzato, che fece perdere un paio di battiti al cuore di Kaori.
Lo guardò, incredula. “Sugar”? Ma che stava succedendo?
− Ryo, ma… dove vuoi che vada, scusa?
− I… io non lo so! Sei tu, quella che ha preparato una valigia, non io! – esclamò lui, spalancando gli occhi.
− Ma… ma cos’hai capito, razza di... Ma sei un baka, un asino al cubo!!! In quella valigia ci sono dei miei vecchi abiti, che ho deciso di portare ad un’associazione che si occupa di persone bisognose.
− E la prepari in piena notte? Poi sei sparita, e ti trovo quassù, scalza e in déshabillé, sotto al temporale…!
Kaori gli rispose mentre altre lacrime sgorgavano irrefrenabili; perché, poi, non sarebbe stata in grado di dirlo.
− Quella valigia è pronta da ieri pomeriggio: era in camera mia. Il temporale mi ha svegliata, mi è venuto in mente che quassù c’erano le lenzuola stese e volevo ritirarle, prima che la tempesta se le portasse via chissà dove! Ma nella fretta ho inciampato nella valigia, mi sono mezza accoppata, così l’ho portata di sotto e l’ho mollata vicino alla porta prima di venire in terrazza. Ecco tutto!
A Ryo sembrò che qualcosa si sciogliesse in mezzo al petto. Una sensazione di calore lo pervase, nonostante le gocce fredde che gli colavano dai capelli e l’umidità che dal lenzuolo gli penetrava nelle ossa.
− Allora... non te ne vuoi andare? Non mi vuoi… lasciare? − le chiese, con una nota speranzosa nella voce che la fece quasi commuovere.
Le venne una mezza voglia di urlargli in faccia: “Sì, certo che me ne voglio andare, sono stufa delle tue umiliazioni e delle tue cazzate, vado a cercarmi qualcuno che mi apprezzi, invece di farmi sentire sempre una povera scema, una serva o una donna per sbaglio!”
Ma invece, nonostante le lacrime, quasi le scappò da ridere.
E questo la diceva lunga, su quanto potere Ryo Saeba avesse, sulle sue emozioni: solo lui era capace di farla ridere e piangere contemporaneamente. E lo stesso potere aveva sul suo corpo, perché, nonostante il gelo che quell’assurdo lenzuolo avvoltolato attorno a loro le trasmetteva, un senso di piacevole tepore le si allargò nel cuore.
E scese più giù, come un liquido caldo, ad invaderle il basso ventre.
E fu lì, che percepì, chiara e palese, la sorpresa: nonostante la situazione, Ryo era in modalità mokkori, e anche in stadio avanzato! 
Fantastico! E poi diceva sempre che lei era l’unica donna che non lo eccitava! Ma tanto, a dispetto di tutto quello che gli aveva sputato in faccia poco prima, lo sapeva benissimo che era una frottola: non era la prima volta, che gli accadeva!
In realtà, le sembrava più assurdo e improbabile il fatto che Ryo si fosse così preoccupato per una sua eventuale fuga.
Non sapeva se continuare a piangere, o liberare davvero quella risata che le premeva in gola; era totalmente in confusione!
Alla fine, non fece nessuna delle due cose: smise di piangere, tirò su col naso, e gli fece un sorriso storto.
− Va tutto bene, Ryo. Non me ne vado… Stai tranquillo – gli disse sottovoce, come se stesse rassicurando un bambino.
Lui mosse appena il capo, sollevato, ma incredibilmente confuso.
Per Kaori, vedere Ryo in quelle condizioni, era uno spettacolo decisamente fuori dal comune. Aveva l’impressione che almeno un migliaio di emozioni gli si agitassero nell’animo. Provava una paura pazzesca: di illudersi inutilmente, che lui la volesse solo prendere in giro; addirittura temette di sognare ancora, anche se la pioggia, il freddo e quel lenzuolo del cavolo, sembravano dannatamente reali.
Decise di tentare la sorte: sarebbe mai potuta andare peggio di così?
− Hai un gran casino, dentro, vero? – gli chiese sommessamente.
Ryo non si stupì, poiché Kaori, come aveva ammesso solo un minuto prima, era l’unica a conoscerlo tanto bene; aveva colto nel segno e, per la centomillesima volta, lo aveva compreso al volo.
− Sì. Un casino pazzesco – confessò il giovane, completamente arreso – C’è una cosa che vorrei fare, ma... l’orgoglio mi dice che è folle, la ragione che è rischioso… l’esperienza che è inutile!
− E il cuore, Ryo? Lui, cosa ti dice?
− Io non ce l’ho un cuore, Kaori. Io sono fatto solo di istinto e cervello.
− Questo è quello che credi tu – concluse Kaori, sentendosi in qualche modo in vantaggio, anche se non del tutto sicura.
Tutto a un tratto, ogni lato negativo del carattere di Ryo si cancellò dalla sua mente, e riuscì a vedere solo il suo coraggio, la sua generosità, la sua dolcezza, il suo altruismo...
− Di tutte le persone che conosco, sei sicuramente quella con il cuore più grande, Ryo Saeba. Ascoltalo, qualche volta.
Ryo la contemplò per qualche istante, pensoso, incurante del diluvio che continuava ad imperversare su di loro.
Poi le sue labbra si piegarono in un sorriso: uno di quelli belli, caldi, felici; di quelli che gli illuminavano gli occhi e gli addolcivano il volto, e che raramente Kaori gli aveva visto.
Abbassò appena la testa, e le sfiorò la fronte con un bacio; poi toccò a una palpebra, e all’altra; poi al naso, alla guancia, al lobo dell’orecchio...
Kaori sentì il proprio cuore rimbalzare in giro per la cassa toracica, ridotto alla palla impazzita di un flipper. Si rilassò contro di lui, smettendo di combattere contro quella stoffa che li teneva avviluppati, e ne assecondò i pur limitati movimenti.
Un attimo dopo le loro labbra fredde erano incollate, intente a scaldarsi, assaggiarsi, mordicchiarsi… fino schiudersi le une contro le altre, a dare vita a quel bacio che sognavano entrambi da anni.
Come per magia, il lenzuolo si allentò, scivolando attorno ai loro corpi, e Kaori pensò, per un terrorizzante attimo, che sarebbe passata dal paradiso all’inferno, perché lui ne avrebbe approfittato per allontanarsi.
Invece Ryo, non solo non fece nulla di tutto ciò, ma, trovandosi finalmente libero, le tuffò le dita di una mano tra i corti capelli fulvi, per impedirle di staccarsi da lui; l’altra rimase, casualmente e spontaneamente, ben piazzata sul fondoschiena della ragazza, mentre continuava a baciarla fino a farle girare la testa.
Era molto meglio di quanto Kaori avrebbe mai potuto immaginare; o sognare! Lo abbracciò stretto, senza chiedersi cosa sarebbe accaduto poi, afferrando l’attimo e assaporando la magia di quel bacio fino all’ultima stilla.
Quando riuscirono a mettere qualche centimetro tra i loro volti, Ryo continuò a tenerla stretta contro di sé, in modo quasi convulso, e Kaori si rannicchiò in quell’abbraccio, persa nel contatto con la sua pelle, senza più sentire nemmeno la pioggia violenta che continuava a scrosciare, inzuppandoli.
− Allora? Era rischioso, era folle, era inutile… e il cuore? Che ti ha detto?
− Mi ha urlato: “Provaci!”
− E…?
− E… io gli ho obbedito. E ho fatto bene. Non voglio nemmeno immaginare il resto della mia vita senza di te, Sugar.
Quella frase, a Ryo, uscì così, di botto, sincera e spontanea come mai lui era stato in tutta la sua vita.
E Kaori, a quel punto, fu travolta da un’ondata di sollievo, orgoglio e amore.
E seppe di aver vinto.
− Ogni tanto ci ho pensato, di andarmene davvero. Ma non sono mai riuscita a farlo, maledetto te, delinquente, farabutto! – esclamò, a metà tra la felicità e la rassegnazione, battendogli debolmente, per quanto glielo consentiva la stretta di lui, qualche pugno sul petto.
La risposta di Ryo fu un altro bacio, e poi un altro, e un altro ancora. Baci che sapevano di temporale estivo, di dolcezza, di passione repressa troppo a lungo.
− Non pensarci mai più, nemmeno di striscio. Il tuo posto è qui: con me.
− Stai andando benino, Saeba – sussurrò Kaori, frugandogli lo sguardo scuro − Ma non mi dispiacerebbe qualcosa di più esplicito. Puoi farcela – lo esortò birichina, incurante della pioggia che continuava a scrosciare.
− Se no? Non prenderai mica ancora a martellate il piccolo Ryo, adesso che sai cosa prova per te? – fece lui, con l’espressione da cucciolo.
− Mmh, cominciamo ad esserci – concesse Kaori − Ma… qualcosa di più serio e maturo non è possibile averlo?
− Proprio… adesso adesso? Perché fa freddo e siamo fradici… se rimaniamo qui a baciarci ci prenderemo una polmonite! – si lamentò lo sweeper.
− Da quando in qua, baciarsi fa prendere la polmonite? – disse Kaori, con scherzosa innocenza.
“…baciarsi fa prendere la polmonite”? Kaori! Fino a prova contraria, mi risulta che sono io, quello con la vena stupida!
−  Ahaha! Diciamo che la felicità mi fa sragionare... P-per ora mi a-accontento, perché hai ragione s-su tutti i f-f-fronti! – rise Kaori, rendendosi conto che i denti cominciavano a batterle, staccandosi da lui e stringendosi le braccia, non prima di aver inconsapevolmente regalato a Ryo la fugace visione del suo seno, pieno e sodo, sottolineato dalla maglietta fradicia.
Urgeva correre ai ripari: il vento freddo e l’acqua avrebbero potuto davvero farla ammalare! Ma soprattutto, si disse Ryo, non avevano alcun effetto calmante sul suo amichetto del piano di sotto!
Raccattò rapidamente il lenzuolo fradicio e ormai sporco, finito a terra, e lo gettò nella bacinella con il resto del bucato.
− Che ne fai di questa roba? – le chiese, pratico.
− Ma chi s-se ne im-importa? Lasciala lì, tanto è t-tutto da r-rilavare… 
− Stai morendo di freddo, Sugar. È ora di tornare in casa – sentenziò lo sweeper, con un sorriso compiaciuto, prima di sollevarla tra le braccia.
La ragazza gli passò le sue intorno al collo, permettendosi di stampargli un paio di baci sulla pelle fredda della guancia, mentre Ryo la portava giù per le scale, finalmente al riparo dalla pioggia battente.
 
 
> Continua…




 
 

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Capitolo 3
*** Quelle parole all'improvviso... ***


~ 3 ~
 
Quelle parole all’ improvviso...
(Cammina con me…)
 
 
 
(Kaori)
 
Ryo mi aveva rimessa con i piedi per terra solo dopo aver varcato la soglia della porta di casa, e averla richiusa con un calcio. Poi mi ci aveva appoggiata contro, e avevamo passato qualche meraviglioso minuto a baciarci un altro po’. Lo stesso era accaduto una volta raggiunta la porta del bagno, finché nemmeno i baci di Ryo erano più riusciti a fermare il tremito delle mie labbra: eravamo ancora bagnati fino al midollo e il freddo mi era quasi penetrato nelle ossa, anche se era piena estate.
Lui, invece, mi aveva dato l’impressione di essere fin troppo caldo!
Nonostante questo, però, mi aveva spinta dolcemente nel bagno con queste parole:
− Fatti una doccia calda, piccola. Ne hai bisogno, mi pare.
E mi aveva richiuso la porta alle spalle.
“Che strano” mi ero detta stupita, ma anche compiaciuta “Non ha nemmeno insistito per farla insieme a me, la doccia!”
Lo ammetto, ero già andata via di testa con il primo bacio − e non parliamo dei successivi − ma Ryo in versione gentiluomo mi aveva letteralmente tramortita.
Mentre l’acqua calda mi scrosciava sulla pelle arrossandola lievemente, e il calore tornava a scorrermi nelle vene, avevo pensato che se la doccia insieme sarebbe effettivamente stata un po’ troppo per cominciare, ero, d’altro canto, assolutamente sicura che quella notte non avrei dormito da sola. Gli eventi avevano preso una piega decisamente inaspettata; ero ancora frastornata, ma ciò che Ryo aveva fatto e detto (e anche non detto) non poteva essere frainteso. Non fra noi due, ecco.
Di un’altra cosa ero praticamente certa: che tirare fuori un ti amo − semplice, ma chiaro ed esplicito − dalle labbra di Ryo, sarebbe stata un’impresa titanica.
Ci avevo rinunciato fin da subito: sapevo che lui avrebbe trovato mille modi per dimostrarmelo, ma anche che ne avrebbe trovati altrettanti per aggirare abilmente quelle due parole.
E sapevo anche che a me sarebbe andata bene così.
Ryo aveva bussato alla porta del bagno ed io, ormai avvolta nell’accappatoio, gli avevo dato il permesso di entrare.
Lui aveva ancora i capelli umidi, ma aveva indossato una maglietta nera, e si era cambiato i boxer bagnati con un paio sui quali erano stampati piccoli corvetti neri dai voluminosi becchi gialli e gli occhi tondi.
Corvetti! Che idea! Chissà dove li aveva scovati!
− Carini, quei boxer – mi era scappato di bocca.
− Vero? Quasi quanto le tue mutandine con la libellula sulla chiappa – aveva risposto lui, malizioso.
Accidenti, tempesta o meno, era riuscito a guardarmi davvero bene, lassù in terrazza! Ero arrossita come una verginella, per poi ricordarmi, subito dopo, che… insomma, io ero, una verginella, porca paletta!
Ryo doveva aver capito il mio imbarazzo, poiché mi aveva presa tra le braccia e aveva cominciato a frizionarmi dolcemente la spugna del cappuccio sulla testa, asciugandomi sommariamente i capelli, finché le sue mani erano scese, e avevano preso ad accarezzarmi le spalle e la schiena.
Sarei rimasta lì per sempre, a crogiolarmi in quell’abbraccio forte, morbido e caldo.  Poi avevo allungato una mano su un asciugamano appeso lì accanto, e gli avevo ricambiato il favore, strofinandoglielo sui lucidi capelli neri.
Cinque secondi più tardi, ci stavamo di nuovo baciando.
Non riuscivamo più a smettere: era come se l’aria per respirare nascesse tra le nostre bocche, fuse una nell’altra.
Sì, beh, molto romantico, effettivamente; ma, a dirla tutta, ben poco realistico. Infatti, ad un certo punto, quando il bisogno di aria era diventato impellente, ci eravamo dovuti rassegnare, a malincuore, a staccarci.
Lo avevo guardato negli occhi, chiedendomi se stesse accadendo davvero. E mi ero sentita, per un attimo, la solita Kaori titubante e insicura.
− E… adesso…? – gli avevo chiesto.
Per tutta risposta, Ryo mi aveva presa di nuovo in braccio e mi aveva portata nella sua stanza, sul suo letto.
− Adesso… dipende da te. L’unica condizione che ho da dettare, è che tu passi la notte in questo letto, anche se vorrai solo dormire. E ci passerai anche la prossima, e tutte le successive. Non ho fretta, Sugar.
Non credevo che avrei potuto amare Ryo Saeba più di quanto avessi fatto fino a quel momento. Invece, mentre lui si stendeva al mio fianco, accontentandosi di passarmi una mano su una guancia e fra i capelli, mi ero resa conto che era possibile. Altroché, se lo era!
Tutto ad un tratto, non avevo più timore di nulla. Il mio sogno aveva la possibilità, improvvisamente, di avverarsi.
E io lo volevo, il mio sogno. Volevo Ryo. Volevo tutto!
− Il tuo fratellino mi sa che ce l’ha, la fretta. O per caso hai la Phyton nelle mutande?
Ancora non ho la più pallida idea di come mi fosse uscita una frase pepata come quella! Ma vivere per tutto quel tempo con lui − e con i suoi momenti mokkori − era stato come andare con il classico zoppo, e io avevo imparato più che bene, a zoppicare!
Ryo era scoppiato a ridere, mi aveva abbracciata e io avevo avuto la prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, che… insomma, ovviamente non era la Phyton, quella cosa dentro ai suoi boxer!
− Se non ti senti pronta, lo metto in castigo. Non so come, ma un modo lo troverò. Che so... magari la borsa del ghiaccio...
− Cosa stai dicendo!? Sono anni che ti aspetto! Se non fossi pronta, sarebbe un tantino tragico. Forse anche triste; almeno quanto una borsa del ghiaccio!
Le nostre risate erano esplose, felici e spensierate, fino a quando, fondendosi, si erano trasformate in altri baci.
E a un certo punto… quel “Ti amo, Sugar”, era arrivato così, all’improvviso, tra un bacio e l’altro, quando io non lo aspettavo nemmeno più.
Quelle due parole, insieme al mio nomignolo, erano spuntate con dolcezza tra le nostre labbra, e ancora erano state ripetute, sottovoce, a rotolare in piccoli brividi sul lobo del mio orecchio, sulla mia guancia, sul collo…
E ancora − mentre la spugna dell’accappatoio mi scorreva sulla pelle, scoprendola poco alla volta − altri mille “Ti amo” si erano susseguiti, a imprimersi sulla spalla, sul seno, sulla pancia… per poi risalire e ripercorrere lo stesso tragitto, tornando fino alla mia bocca.
Sembrava quasi che, ora che aveva scoperto quella piccola frase − e aveva appurato che pronunciarla non causava alcun cataclisma o disastro planetario − Ryo non riuscisse più a smettere di ripeterla, tra un bacio e l’altro.
Di ripeterla a me, questo era il bello della faccenda!
Ricambiarla, e sussurrargliela all’orecchio, era stato naturale come respirare. Forse perché, nella mia mente e nel mio cuore, gliel’avevo urlata ormai così tante volte da averne perso il conto.
Le sue mani erano calde, delicate ma sicure; la sua bocca bollente; i baci umidi e affamati. Al confronto, ciò che avevo provato in sogno non era stata che una pallida proiezione dei miei desideri.
Quando l’accappatoio era finito per terra, avevo provato il mio ultimo momento di imbarazzo, che Ryo si era affrettato a dissipare.
− Ti amo, Kaori... sei la cosa più bella che io abbia mai visto.
Quelle parole erano state un balsamo per il mio orgoglio di donna, quell’orgoglio che Ryo aveva maltrattato e calpestato per anni, ma che ora, invece, aveva fatto rinascere dalle proprie ceneri come l’Araba Fenice.
Mai, nella mia vita, mi ero sentita tanto bella; tanto desiderata e amata; tanto femmina!
Né avrei mai pensato che un uomo come Ryo − che io avevo sempre immaginato, in momenti come quello, impetuoso e irruento – avrebbe scelto di prendersi tutto il tempo, e potesse essere tanto tenero, paziente, e... come dire... attento ai particolari.
La sua voce suadente, le carezze lievi ma brucianti, i baci insolenti eppure struggenti e morbidi... tutto aveva contribuito a portarmi ad un tale stato di puro desiderio carnale, che nemmeno nei sogni più impudichi avrei potuto immaginare.
Lo avevo liberato della maglietta quasi strappandogliela di dosso, impaziente di accarezzare e assaggiare la sua pelle, ora calda, asciutta e invitante.
Il pensiero che sarebbe stata la mia prima volta, e che mi avrebbe inevitabilmente fatto male, non mi aveva spaventato nemmeno lontanamente. E avevo ragione: la voglia, il bisogno, di possederlo e di essere posseduta da lui, erano stati talmente profondi e impellenti che, quando il momento era giunto, avevo dato il benvenuto, a quella fitta di dolore, salutandola con un piccolo grido, che però mi ero affrettata a trasformare in un sorriso, nato genuino e spontaneo, anche se un po' tremolante, sulle mie labbra, che il mio amato non aveva esitato a baciare.
Poi Ryo si era fermato, e mi aveva tenuta stretta − mentre io gli premevo la bocca sul collo, quasi mordendolo − aspettando che mi riprendessi e mi abituassi alla sua potente invasione.
L’odore fresco e muschiato della sua pelle, misto a quello del vento e della pioggia − e a quello più lieve e familiare, ma ormai indelebile, della polvere da sparo − aveva fatto il resto, inebriandomi completamente. Lo avevo avvinghiato con le braccia e con le gambe, e il dolore si era stemperato nello spazio di pochi sapienti, lenti movimenti, lasciando presto il posto a ben altre sensazioni.
Era tutto nuovo, per me, ma avevo avvertito, chiaro e netto come una luce nel buio, che lo stupore che aveva pervaso la mia mente e i miei sensi, era uguale a quello che aveva provato lui.
Avevo capito, senza ombra di dubbio, che quella notte anche Ryo stava facendo l’Amore per la prima volta; perché finalmente, lo stava facendo col cuore.
Se prima ero solo profondamente innamorata di Ryo Saeba… adesso ero definitivamente, totalmente, irrimediabilmente perduta.
Lui era mio. Lo era davvero.
Non era più un sogno.
 
§
 
(Ryo)
 
 
Non era più un sogno.
Kaori Makimura era mia.
Mia per sempre.
Una piccola parte della mia coscienza si ritrovò a chiedere perdono a Hideyuki: mi sembrava di star tradendo la mia promessa di proteggere Kaori, perché avevo sempre fermamente creduto che il pericolo più grave da cui l’avrei dovuta difendere, fossi proprio io.
Ma era stata questione di un attimo: quella voce che, da quando mi ero svegliato con il rumore del tuono, mi soffiava nelle orecchie, incitandomi a concludere qualcosa con la mia socia, aveva assunto, tutto ad un tratto, i toni e le sfumature di quella del mio migliore amico perduto. E un’assurda considerazione mi aveva attraversato il cervello, fin da quando avevo adagiato Kaori sul mio letto e le avevo detto che, da quella notte, quello sarebbe stato il suo posto.
Avevo follemente pensato che forse, Maki, avesse sperato proprio questo, affidandomi la sua amata sorellina.
Poi, che fosse vero o meno, la mia mente, la mia volontà e la mia coscienza erano stati ottenebrati dal profumo di Kaori, dolce e delicato, ma inebriante come nei miei sogni non era mai stato.
La mia ragazza era riuscita a farmi dimenticare qualunque cosa che non fosse lei; prima facendomi ridere come un bambino, con battute degne del mio lato stupido e dimostrandomi così, una volta di più, quanto ormai fossimo arrivati a somigliarci; e dopo… permettendomi di oltrepassare, con lei, quei limiti che nessuno aveva mai osato varcare.
Centimetri di pelle chiara, sconosciuta e inviolata, mi si erano concessi, e le mie carezze e i miei baci li avevano conquistati, uno alla volta, senza remore né imbarazzi.
E senza nemmeno rendermene conto… dalle mie labbra erano uscite quelle due parole che mai, mai in tutta la mia vita, avevo detto ad alcuna.
− Ti amo, Sugar.
Sì, perché solo lei, la mia piccola, bellissima Sugar Boy, poteva essere la prima donna a cui dirle. E anche l’ultima.
− Ti amo, Kaori.
Lo avevo ripetuto all’infinito, tra un bacio e un sorriso, uno sguardo adorante e una carezza di fuoco. E più glielo sussurravo, più mi veniva facile ripeterlo.
E quando era stata la sua voce, in un soffio bruciante che mi aveva sfiorato l’orecchio, a ricambiare quella frase, il mio cuore era impazzito: era imploso ed esploso, trasformando il mio sangue in lava incandescente, scatenandomi dentro una tempesta più devastante di quella che, in quella notte d’estate, stava imperversando su Tokyo.
− Ti amo, Ryo.
Era assurdo e spiazzante, quello che avevo provato: Kaori era diventata come l’aria per respirare, come l’acqua nel deserto, come la luce delle stelle in una notte buia... cose senza le quali, non si poteva vivere.
La spugna morbida dell’accappatoio era scivolata lungo le sue perfette forme perlacee, scoprendo le meraviglie che nascondeva.
La mia voce aveva quasi tremato, mentre le ripetevo per l’ennesima volta che l’amavo, e che lei era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia. E avevo percepito che ciò aveva fatto cedere le ultime barriere del suo imbarazzo.
Mi aveva liberato della maglietta in un attimo, proprio come era accaduto nel sogno, ma procurandomi una staffilata di felicità e desiderio dannatamente reale.
Il corpo nudo e meraviglioso di Kaori, aveva aderito al mio come se fosse stato creato apposta, e avevo realizzato che io e lei eravamo come le due tessere di un puzzle rimaste chiuse insieme per anni dentro la loro scatola, a girarsi attorno, a nascondersi tra le altre, prima di trovare, finalmente, il loro unico, possibile, posto nel mondo: una accanto all’altra, in un incastro insostituibile e perfetto. 
Perché, ormai da tempo, non eravamo più soltanto le due metà di City Hunter; Ryo Saeba e Kaori Makimura erano, e sarebbero sempre stati, uno la metà dell’altro.
La desideravo con tutto me stesso, ma una parte di me aveva paura. Non riuscivo a togliermi dalla mente che per Kaori sarebbe stata la prima volta, e, pur sapendo che non dipendeva dalla mia volontà, odiavo l’idea di causarle dolore fisico.
E poi, con mia sorpresa, era stata lei, con la sua dolcezza, la sua passione e il suo essere semplicemente sé stessa, a sciogliere quella tensione e a fugare ogni dubbio che mi aveva assalito.
Kaori mi aveva regalato uno sguardo limpido e brillante, nel quale splendeva una felicità che mi aveva abbagliato la coscienza.
L’avevo stretta a me, e lei mi si era offerta con quella impacciata e meravigliosa spontaneità che le apparteneva di natura, e che solo un sentimento sincero e profondo come il suo poteva essere in grado di dare.
E così, io, per la prima volta nella mia vita, avevo donato a una donna il vero me stesso, il mio corpo insieme al mio cuore e alla mia anima, prendendomi in cambio ciò che Kaori non aveva mai concesso a nessun altro.
Kaori mi aveva accolto in lei accettando quel dolore inevitabile, che io stesso le avevo provocato, come un dono prezioso, nascondendo il disagio, per non farmi sentire in colpa, dietro a un sorriso tremante che aveva attirato le mie labbra come una calamita.
Con un piccolo gemito, mi aveva avvolto le lunghe gambe attorno ai fianchi e mi aveva quasi morso, e io l’avevo tenuta fra le braccia, ferma, finché l’avevo sentita rilassarsi con un sospiro; i nostri corpi avevano trovato, poi, con calma e lentezza, il ritmo e l’armonia giusti, mentre il suo dolore si scioglieva dolcemente, in sensazioni dapprima morbide, per poi diventare sempre più intense.
Sensazioni che, con mia sorpresa, non erano nuove soltanto per lei.
Era stato come farlo per la prima volta: mi ero sentito, a tratti, impacciato come un ragazzino.
Alla fine era stata proprio Kaori, a dispetto della sua inesperienza pratica, ad insegnarmi a fare l’amore. A farlo con l’anima e con il cuore.
Quel cuore che credevo di non avere, e che lei mi aveva fatto scoprire.
Quel cuore che lei aveva sempre visto e sentito battere in me e che, lassù in terrazza, in mezzo a un temporale, mi aveva esortato ad ascoltare.
Quel cuore che, proprio per averle obbedito, aveva mandato al diavolo esperienza, orgoglio e ragione, urlandomi quel: “Provaci!” che aveva cambiato la mia esistenza. 
Io, che non avevo mai cercato l’amore, nella mia vita − e che, incurante di tutto, l’avevo passata saltando da una donna all’altra solo per sfogo e divertimento − avevo finito per trovarlo qui, a casa mia; era stato al mio fianco da sempre e non avevo voluto vederlo.
Al contrario di Kaori che, invece, aveva capito da subito che l’unico amore della sua vita, sarei stato io.
E, con una pazienza da santa, mi aveva aspettato.
Ancora una volta, la mia Sugar Boy aveva avuto ragione.
 
 
§
 
Per un attimo, mentre il sonno scivolava via, Kaori temette di essere ancora avviluppata nel lenzuolo posseduto, come lei e Ryo lo avevano ribattezzato, durante quella lunga notte fatta di chiacchiere, amore, risate, passione, coccole tenere, confessioni e ricordi.
Ma svegliandosi completamente, si rese conto che ciò che la imprigionava erano le braccia calde e forti del suo compagno, e le sue gambe intrecciate con le proprie.
Le tornò alla mente quella volta che, a causa di un aereo che aveva devastato il loro appartamento, lei e Ryo avevano passato la notte nella cantina, seduti sul pavimento; a un certo punto, lui aveva finito per addormentarsi, posandole il capo su una spalla. Kaori lo aveva dolcemente accompagnato ad appoggiarsi sulle sue gambe, perché potesse riposare più comodo, e aveva vegliato il suo sonno, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli corvini.
Quel ricordo riusciva sempre a sconvolgerle il cuore e i sensi, e allo stesso tempo intenerirla: guardarlo dormire le era sempre piaciuto, poiché in quel dolce oblio, il giovane perdeva sia l’aria da stupido depravato di quando voleva rendersi detestabile, sia quella da duro e senza cuore che era costretto a indossare, quando si trovava a fronteggiare gli energumeni che il loro lavoro gli sottoponeva di volta in volta.
Quando dormiva sereno, come in quel momento, era solo un ragazzo come tanti altri. E si sentiva piuttosto fiera della consapevolezza di essere lei, a donargli quella serenità. Era sempre stato così; ora lo sapeva.
Cercò di liberarsi dall’abbraccio di Ryo nel modo più impercettibile possibile, poiché non voleva svegliarlo. Ma la voce assonnata di lui bloccò ogni suo movimento, mentre la stretta delle sue braccia si rafforzava.
− Dove credi di andare? Hai qualche impegno di cui io non sono a conoscenza?
− Niente di così misterioso – gli mugugnò Kaori contro il collo – devo solo andare in bagno.
− Come sei poco poetica e materiale, Sugar Boy.
− Sai, sono un essere umano. Non capita solo a te, di averne bisogno nei momenti più impensati e inopportuni!
− Sì, ma… questo non accadeva nei miei sogni.
− Quali sogni? – chiese Kaori, scivolandogli di tra le braccia e infilandosi la maglietta di Ryo, dopo averla raccolta dal pavimento.
− Se ti sbrighi, dopo te li racconto – rispose lui, malizioso, ridacchiando alla vista della ragazza che, nonostante tutto ciò che avevano fatto quella notte, si preoccupava di mettersi addosso qualcosa prima di alzarsi dal letto.
Kaori tornò dopo qualche minuto, col volto fresco, le guance rosee e i capelli appena umidi, gli occhi nocciola luminosi come stelle. Muovendosi a quattro zampe sul letto, lo raggiunse e gli stampò un bacio sulle labbra, accoccolandosi poi contro di lui, godendo di quanto quei gesti, che fino al giorno prima aveva ritenuto inconcepibili, venissero fuori, ora, in quel modo semplice e spontaneo.
L’ennesima prova di come loro due, in realtà, fossero una coppia ormai da molto tempo.
− Allora? Questi sogni? – gli chiese curiosa.
− Mi capita spesso di sognare noi due. E insieme facciamo cose… tipo quelle che abbiamo fatto davvero stanotte. Anche se finisco sempre per svegliarmi troppo presto, se capisci cosa intendo.
− Ryo Saeba, sei un vecchio porcello libidinoso! – rise Kaori.
− Non mi offendere! – protestò lui, con aria fintamente contrita.
− Non ti sto offendendo. Tu sei sempre stato, un porcello libidinoso!
− Sì, lo so! Ma non sono vecchio! Ho solo vent’anni!
− Seeeh! Per gamba!
− Cosa vorresti dire? Che ne ho sessanta?
− Devo averti proprio sconvolto, stanotte, Ryo! Non sai nemmeno più contare? Venti per due fa quaranta! − esclamò sollevandosi un po’ per guardarlo in faccia.
− E chi ha detto che devi moltiplicare per due? Stai parlando con lo Stallone di Shinjuku, piccola, non dimenticarlo!
Kaori tacque, avvampando come un cielo al tramonto, gli occhi ridotti a due puntini e un gocciolone sulla nuca, mentre una libellula gigante passava silenziosa dietro di lei.
Poi ridacchiò, arrendendosi. Ryo poteva cambiare, ma non troppo!
− Ribadisco, sei davvero uno zozzone pervertito!
− E comunque non ne ho nemmeno quaranta! Come ti permetti!? – esclamò Ryo, cambiando argomento e tirandole una cuscinata.
− Va bene, dai! Saranno un po’ meno di venti per gamba. Magari diciannove!
− Sedici, non uno di più!
− Uhmm... Come minimo diciotto!
Ryo fece la faccia piagnucolosa, sporgendo il labbro inferiore, e lei finse di commuoversi.
− Okay, bel bambino, sarò generosa: facciamo diciassette per gamba, ovviamente le due canoniche, e non se ne parli più! – concesse Kaori, passando all’attacco e saltandogli addosso col cuscino e tutto.
Dopo una breve, giocosa colluttazione, si ritrovò immobilizzata sotto di lui.
− Mai! Io ne ho venti, venti in tutto! E li avrò anche quando ne avrò ottanta!
− Ah, questo è proprio un bel discorso! Sensatissimo! − rise ancora lei.
A quel punto, Ryo tornò serio e riprese: − Comunque, tornando ai sogni… anche prima di raggiungerti sul terrazzo, ne stavo facendo uno. Mi ha svegliato un tuono. E, vista l’evoluzione delle cose, mi viene da dire che sia stato un bene!
Kaori lo fissò incredula, giocherellando con una delle sue ciocche corvine.
− Ti ha svegliato un tuono…? Poco prima che io corressi in terrazza?
− Beh… sì. Perché?
− Perché… anch’io stavo facendo un sogno di quel genere. E anche se nemmeno nel mio siamo arrivati fino in fondo, è stato piuttosto torrido, ecco – ammise arrossendo.
− Dimmi cosa facevamo… − la esortò, con lo sguardo lucido, appassionato e curioso, eppure serio, nel quale non c’era traccia del Ryo greve e maniaco.
− Ci baciavamo, ci accarezzavamo… io ti toglievo la maglietta e ti sbottonavo i jeans.
− E poi…?
− Tu facevi lo stesso con me. Anzi, praticamente mi strappavi i vestiti!
− E poi…?
− “E poi, e poi…!”  E poi… mi ha svegliato il tuono! – disse lei, divertita.
Ryo la fissò, perplesso e incredulo, poi le chiese di botto:
− Che maglietta indossavo nel tuo sogno?
− Quella rossa.
− Ma... anche nel mio! E... tu?
− Quella azzurra, con la margherita sul davanti.
− Era esattamente quella che anch’io sognavo di strapparti di dosso! E sotto avevi il reggiseno di pizzo rosa!
Kaori saltò a sedere, esterrefatta, subito imitata da lui.
− Ryo, ma ti rendi conto? Cosa vuol dire? Che facevamo lo stesso sogno? In contemporanea!? Com’è possibile ciò?
− Non ho idea. Secondo me è solo l’ennesima prova di quanto siamo… connessi. Ti ricordi? Una volta, una nostra cliente ha detto che io e te siamo due tipi ben ingranati.
− Sì, ricordo. E aveva ragione: lo siamo. In tutti i sensi, adesso posso dirlo! – ammiccò maliziosa, in ginocchio di fronte a lui, in mezzo al letto.
Ryo divenne nuovamente serio e le accarezzò il volto.
− Kaori...
− Sì…?
− Non è che Hideyuki verrà a tirarmi per i piedi alla notte, vero? Forse non era questo che voleva, quando ti ha affidata a me. Io dovevo proteggerti…
− E non l’hai sempre fatto? Sarei morta mille volte, senza di te, anche solo per il fatto di essere sua sorella. Per questo mi ha affidata a te! Maki sapeva che tu eri l’unico col quale sarei stata al sicuro. E se devo dirla tutta, forse sapeva anche che tu saresti stato la persona giusta, per farmi diventare la donna che sono ora! Esattamente come sapeva che io, sarei stata l’unica persona capace di far uscire allo scoperto quell’uomo fantastico che tenevi nascosto da qualche parte, dentro di te, mascherato da baka pervertito, o da spietato giustiziere.
− È tutta la notte che ci penso. E che ci spero. E che cerco di persuadermi che anche lui, dovunque sia ora, sia convinto che amarci non ci renderà più deboli, ma più forti.
− Puoi esserne certo, Ryo. È così!
− Io sono tremendo, Kaori, lo sai! Sono casinista, pigro… Non sono un romanticone, arrivo in ritardo, dimentico le date, gli anniversari…
Un martellino con la scritta 5 kg. comparve come per magia tra le mani di Kaori.
− Tranquillo, ci penserò io a ricordarteli! – fece la ragazza con un sorriso a metà tra l’angelico e l’assassino.
Ryo si grattò la nuca, e uno stormo di corvetti si schiantò al suolo dietro di lui, in un tripudio di svolazzanti piume nere.
− Imparerò le date… – concluse, mentre il martellino scompariva e Kaori lo abbracciava, gratificandolo di un altro bacio infuocato, mandandolo di nuovo disteso tra i cuscini e le lenzuola disfatte.
Passarono qualche minuto a coccolarsi, sbaciucchiandosi come due liceali, scambiandosi sorrisi e parole stupide; poi Kaori gli pose un altro quesito:
− Dimmi una cosa: perché uno come te, con i sensi più affinati che esistano, non è mai riuscito a schivare i miei martelloni?
− Non è che non ci riuscissi… non volevo. In fondo, me li meritavo, no? Io facevo il cretino, e tu mi fermavi. E io volevo essere fermato.1 Perché… consideravo il tuo martellone come il simbolo della tua gelosia; e se eri gelosa, voleva dire che mi amavi. Mi accontentavo di questo.
− I tuoi ragionamenti contorti mi lasciano senza parole.
− Non li userai più i martelli, vero? Quelli grossi, almeno…
− Uhmm… – Kaori sporse le labbra, fingendo di pensarci su, lo sguardo in alto e un dito sul mento − Magari no. Se farai il bravo…
− Sarò bravissimo, se saprò che non penserai più di lasciarmi.
− Ryo… io starò con te per sempre, ogni giorno della nostra vita. Qualunque cosa accada, ti seguirò. È una promessa.
Ryo la guardò, pensoso ed intenso, per alcuni istanti.
− No, non devi seguirmi: chissà dove finirei per condurti, con la testa che ho!
− Allora ti precederò. Così sarò io a guidare te… − scherzò Kaori.
Ma lui ribatté serissimo.
− No, nemmeno: potrei non essere capace di starti dietro.
Kaori lo fissò perplessa, chiedendosi cosa volesse dire Ryo con quello strano gioco verbale. Se c’era uno abilissimo a seguire chiunque, quello era lui.
Poi Ryo parlò di nuovo, sorprendendola per l’ennesima volta in quelle ultime ore. E ciò che disse, facendole scoprire un lato incredibilmente poetico e inaspettato di lui, le strappò un sorriso e un battito di cuore.
− Resta al mio fianco: solo così ci proteggeremo; saremo la nostra forza e il nostro coraggio. Cammina con me, Kaori Makimura. Addormentati insieme a me ogni notte, e svegliati accanto a me ogni mattina; prendimi per mano e, ogni sera, riconducimi nel luogo a cui appartengo: a casa con te.
Una lacrima si aggiunse al sorriso di Kaori.
Non male davvero, per uno che aveva appena dichiarato di non essere un romantico!

 
 
>Continua…
… con un breve epilogo.
 

 
 
1 Questa cosa che “Ryo vuole essere fermato”, lo ha detto il nostro caro Tsukasa in un’intervista:
https://www.google.com/amp/s/www.mondofox.it/amp/2019/02/06/city-hunter-perche-ryo-non-evita-martello-kaori-risponde-tsukasa-hojo

 

 
Angolo dell’autrice della scribarola sciroccata al cubo:
 
Salve, gente! 😊
Siete davvero stati così coraggiosi da arrivare fin qui? E siete sopravvissuti allo tsunami di glucosio con cui vi ho travolti?
Ma io vi adoro! 
♥♥♥
Volete un antidiabetico? Un gommone per navigare nell’oceano di melassa? Non fate complimenti, ho di tutto: anche salvagenti, remi e pagaie, nonché maschere e pinne!
Quindi niente scuse, e… seguitemi anche nell’epilogo!
Kisses!


P.S. Questo capitolo è dedicato a un'altra autrice. Lei SA! XD XD XD
Colgo l'occasione per ringraziare all'infinito chi mi ha recensito e chi volesse farlo in futuro.
E anche chi ha messo questa storiella strampalata tra seguite e preferite! THANKS!!! Davvero, di cuore!

 
E... per non smentirmi, un po' di glicemia anche nel disegno...


 
 

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Capitolo 4
*** Epilogo - Il gatto e l'angelo ***


Chiedo umilmente scusa per il vergognoso ritardo con cui posto questo ultimo capitolo, ma ho avuto un periodo davvero infernale. Aggiungiamo anche che io, purtroppo, a scrivere sono lentissima…
Però,
il seguente epilogo (spero per vostra gioia e non vostro tedio)  non sarà poi così breve come avevo preventivato! 😊
Buona, spero, lettura.
(Ci sentiamo in fondo per i ringraziamenti di rito!)

 
 
 
 
 
 
~ EPILOGO ~
(Il gatto e l’angelo)
 
 
 
“Gli angeli vengono a trovarci,
e li riconosciamo solo quando se ne sono andati.”
(George Eliot)
 
 
 
Nella luce calda del tardo pomeriggio estivo, ancora lievemente rinfrescato dal temporale della notte precedente, un giovane gatto randagio tigrato si aggirava indolente tra le lapidi del cimitero.
Non ci mise molto ad individuare la sua preferita.
Si strusciò languidamente contro il bordo di marmo, si stiracchiò appoggiandovi le zampe anteriori tese verso l’alto, e sbadigliò.
Poi si sedette eretto, lo sguardo dei rotondi occhi blu fisso sulla sommità della stele. Sembrava quasi che un sorrisetto soddisfatto gli aleggiasse sul musetto, mentre era perso in quella specie di trance, caratteristica di tutti i gatti i quali, a volte, fissano il vuoto come se vedessero qualcosa che a noi umani è precluso.
Un rumore di passi lo distolse dalla sua felina contemplazione, e girò la testa di scatto, facendo vibrare i lunghi baffi.
Due persone avanzavano tenendosi per mano con le dita intrecciate: un’avvenente giovane donna, con la corta capigliatura di un castano acceso dai riflessi infuocati, e un uomo bello, alto e imponente, dai capelli corvini.
La donna si inginocchiò, e sistemò dei garofani bianchi nel vaso di fronte alla lapide, sulla quale era inciso il nome di Hideyuki Makimura.
Il gatto si avvicinò tranquillo: non era la prima volta che vedeva quei due, soprattutto la ragazza, sul cui fianco si strofinò morbidamente, prima di salire ad acciambellarsi comodo, con il classico fare ruffiano e gattesco, sulle sue gambe.
− Ehi, micio! Sei qui anche oggi? Fai compagnia al mio fratellone? – disse lei, accarezzandogli il soffice pelo.
Il felino si produsse in un rumoroso ron ron, in segno di apprezzamento per quelle coccole. Anche l’uomo si accosciò a terra e gli passò una grande mano sulle orecchie.
− E tu chi sei? Guarda che questa ragazza è già occupata, non ti permetto di corteggiarla così spudoratamente.
Il gatto ovviamente non capì una parola, ma il tono di voce gli era piaciuto assai: era evidente che erano state frasi affettuose, ed espresse il suo gradimento muovendo la testa sotto la mano dell’uomo e intensificando le fusa.
Ryo sfiorò lievemente, col dorso delle dita dell’altra mano, la guancia di Kaori, lasciando poi scivolare la carezza sulla nuca e lungo le spalle, prima di rialzarsi in piedi e mettere le mani in tasca, nella sua tipica postura di quando era rilassato.
Il felino scese dal grembo di Kaori, passò con finta noncuranza sulle scarpe di Ryo e si strusciò un paio di volte contro le sue caviglie, arcuando la schiena, prima di tornare a sedersi fra loro due e a fissare verso l’alto.
Nessuno aveva la certezza di cosa ci fosse oltre la vita terrena, ma Kaori era convinta che suo fratello, da qualche parte, continuasse ad esistere; e che, in qualche modo, continuasse a vegliare su lei e Ryo.
Sapevano entrambi che il vero Hideyuki, non era lì, sotto quel metro di terra. Makimura era nei loro cuori, nelle loro menti, nei loro ricordi: era questo a renderlo, almeno per loro, immortale. Nessuno moriva mai veramente, finché c’era chi continuava a pensare a lui e ad amarlo.
Ma venirlo a trovare al cimitero era un modo per sentirlo ancora più vicino.
E se Ryo si limitava spesso a rimanere in silenzio, semplicemente pensando a tutto ciò che avrebbe voluto dirgli, a Kaori piaceva invece esternare, a bassa voce, i suoi sentimenti e i suoi pensieri.
I due sweeper sostarono quindi, per un po’, davanti alla tomba del loro amico e fratello, mentre la ragazza raccontava sommessamente di come il loro rapporto, grazie ad un temporale, una valigia, e un assurdo lenzuolo, fosse incredibilmente giunto ad una svolta epocale.
Ci sarebbe stato tempo, per dirlo a Miki e Umibozu, a Mick e Kazue, e a ogni altro loro amico. Ma Hideyuki aveva avuto, per forza di cose, la precedenza.
Quando Kaori si era rialzata, aveva fatto scivolare le dita sugli ideogrammi che formavano il nome del fratello, ricordando il sorriso dall’espressione sorniona e pacata del giovane occhialuto.
Quell’espressione che, anche da vivo, raramente l’aveva abbandonato, per non far trasparire quanto, nel momento del bisogno e del pericolo, Hideyuki sapesse essere determinato, forte e coraggioso. Come quando si era rifiutato di vendere la sua anima al diavolo che, in quell’infausta occasione, aveva avuto le sembianze degli schifosi membri appartenenti alla Union Teope, che si arricchivano con la maledetta Polvere degli Angeli, e che, a quel rifiuto, si erano presi la sua vita senza tante cerimonie.
Ryo passò un braccio attorno alle spalle di Kaori e si sorrisero con aria complice, assolutamente certi di aver appena ricevuto da Maki il benestare a quell’amore, che si era finalmente deciso a venire fuori nel modo più strampalato che ci potesse essere.
Con un’ultima carezza al soriano randagio, la coppia si avviò verso il sentierino ghiaiato che portava all’uscita del cimitero.
Il gatto osservò interessato i due che si incamminavano lentamente, abbracciati, parlando sottovoce tra loro.
− Ehi, gatto! Scommetto che sei contento anche tu, di vederli così, finalmente.
Il felino sobbalzò lievemente, per poi voltarsi verso la lapide e volgere lo sguardo blu verso la figura evanescente che solo lui era in grado di scorgere e sentire, e che se ne stava lì, a braccia conserte, appoggiata con atteggiamento indolente al semplice monumento funebre. L’animale si avvicinò e si strusciò di nuovo, facendo le fusa, contro il marmo lucido.
− Sai, ti do un consiglio da amico: seguili! È ora che ti trovi una famiglia anche tu, no? E loro due hanno bisogno di qualcuno che li tenga d’occhio.
Il micio fece fremere le orecchie e i baffi, indeciso, poi si avviò a passo lento verso la coppia. Si fermò un attimo per guardarsi di nuovo alle spalle, come per cercare un ulteriore segno di incoraggiamento, poi, soddisfatto dopo averlo ottenuto, trotterellò fino a raggiungere Ryo e Kaori.
Hideyuki Makimura sorrise quando Kaori, dopo essersi chinata, sorpresa, ad accarezzare il gatto per poi prenderlo in braccio, sollevò lo sguardo nella sua direzione, con aria interrogativa.
Lei non poteva vederlo, Maki lo sapeva; ma per lui, poterla guardare e sorriderle, era sempre un grande regalo.
La ragazza scosse la testa, perplessa, con le sopracciglia aggrottate, poi si riscosse, come a scacciare una strana sensazione; tornò a voltarsi verso Ryo e gli mise il soriano tra le braccia.
− Possiamo tenerlo? Dai…
− Beh, questa poi! Non ho mai avuto un gatto! – esclamò Ryo, guardando l’animaletto che quasi scompariva nell’incavo del suo braccio.
− Uhmm, però… ora che ci penso… Non potremo più invitare Miki e Falcon! Se Umi trova un gatto in casa nostra gli verrà un attacco di panico! – obiettò Kaori, rammentando l’idiosincrasia (anzi, proprio la paura, il terrore!) che il loro gigantesco amico nutriva verso i felini. E più erano piccoli, peggio era!
− Lo faremo uscire, nel caso. In fondo non mi sembra il tipico gatto da appartamento. Oppure... Idea!  Potrei nascondermelo nel giubbotto e usarlo contro il nostro Lucciolone come arma impropria, così…
− …così cosa…!? Così ti sentirai libero di insidiare sua moglie? – lo accusò Kaori lievemente alterata, le labbra strette e gli occhi piccoli.
Un corvo passò fuggevole, gracchiante, dietro a Ryo.
− Tesoro, scherzavo! Non farei mai una cosa del genere!
− Ma se lo hai fatto fino all’altro giorno!
− Non eri ancora diventata la mia donna, Sugar… − fece Ryo, sfoderando lo sguardo più ardente e seduttivo che riuscì a mettere insieme.
− Quanto sei commediante! Lo sai che queste moine, con me non attaccano! – rise Kaori, divertita nonostante tutto, rendendosi conto che, accidenti, quell’espressione gli veniva davvero da Dio!
C’era una soddisfazione tutta particolare nel fare un po’ la dura, con lui, ma ottenere l’amore di Ryo aveva portato la sua autostima ai livelli massimi: era più che certa che lui non l’avrebbe mai tradita nemmeno col pensiero. E lui si divertiva a stare al gioco, lasciandole fare la superiore.
− Come lo chiamiamo, questo filibustiere? – chiese Kaori, accarezzando il micio.
− Non guardare me! Io non ho fantasia, per queste cose…
− Ti piace Tora?1
− Okay, tu ne hai ancora meno di me! – ridacchiò Ryo, chinandosi a lasciare un bacio sulle labbra della sua compagna.
Kaori lo ricambiò, dapprima con dolcezza, ma Ryo divenne immediatamente più esigente, mentre la stringeva a sé, dando al bacio una svolta decisamente più passionale.
Con quel gatto morbido e caldo stretto tra loro due, Kaori si sentì, per qualche paradisiaco attimo, come Audrey Hepburn nella scena finale di Colazione da Tiffany, acquazzone a parte. Ma dopotutto, sull’argomento pioggia e temporali, avevano già dato la sera prima; e alla grande, anche!
Ryo, come sempre, non si smentì, e mentre assaporava deliziato la bocca della sua adorabile socia, una mano gli partì, spedita e insolente, verso il sedere di lei, per accostarla a sé ancora di più.
 
 

Tora, che si ritrovò stretto tra loro due, miagolò indignato, mentre Kaori si staccava dalle seducenti labbra di Ryo, per redarguirlo anche lei scherzosamente.
− Signor Saeba, siamo in un cimitero! Un po’ di rispetto!
− Scusa, scusa, hai ragione. Ma non c’è nessuno. E sono sicuro che Maki mi comprenderebbe − si difese lui, ridendo e rientrando nei ranghi, mentre Kaori lo prendeva sottobraccio, attenta a non disturbare il felino che, dopo la sua sentita protesta, si era comodamente riaccoccolato contro l’ampio torace di Ryo, che lo sorreggeva con l’altra mano.
− Beh, la prossima tappa prima di rientrare a casa, sarà il negozio di animali, per comprare tutto ciò che occorre per questo peloso – sentenziò Kaori, mentre si allontanavano continuando a battibeccare allegramente.
− Direi di andare in quello di Yukino Mashiba, hai presente? – fece Ryo con noncuranza.
− Yukino? Non è quella tipa con un paio di… meloni fuori misura sul davanti? – indagò la ragazza, con le sopracciglia aggrottate.
Ryo tacque ed ebbe persino la decenza di arrossire.
− Perché… posso sempre metter mano al martellino da borsetta, lo sai, amore mio...
− No, Kaorina, amore della mia vita, il martello no... Lo sai che mi viene il mal di testa, dopo...
Le loro voci, in quel momento lievi e spensierate, andarono lentamente spegnendosi tra gli alberi, mentre i due coccolavano il nuovo membro a quattro zampe della famiglia Saeba-Makimura.
Hideyuki pensò anche che probabilmente, un giorno, oltre al simpatico soriano, ben altri componenti sarebbero entrati a far parte di quella famiglia. Chissà come sarebbero stati dei piccoli, o delle piccole, Saeba? Qualcosa gli disse che avrebbe solo dovuto aspettare che i tempi fossero maturi.
E sicuramente, sua sorella e i suoi futuri nipotini, con un compagno e padre così – per non parlare degli zii acquisiti, Mick e Umibozu, ma volendo anche Miki e Saeko − sarebbero state le persone meglio protette del Giappone. Non avrebbe potuto essere diversamente, a dispetto di tutte le paranoie che Ryo si era sempre fatto.
Sì, perché Maki sapeva che la vita di Ryo e Kaori non sarebbe stata sempre spensierata come in quel momento; ma, dopotutto, non riusciva a immaginarli a vivere in un altro modo.
Ryo e Kaori erano così: erano nati per essere City Hunter.
Ed erano nati per esserlo insieme. In ogni declinazione possibile del termine.
Aveva cercato di dargli una mano, ogni volta che gli era stato possibile, ma era sempre stata una fatica immane, e con scarsi risultati: spesso erano usciti dalle loro missioni pesti, sanguinanti e ammaccati.
Ma dopotutto, lui era solo un’Anima Comune, e il cammino per guadagnarsi anche solo un paio di ali decenti, era lungo; quello successivo, per diventare Custode Semplice, pure non era facile; non parliamo di diventare Angelo Custode di Prima Categoria, il cui percorso era davvero impervio!
− Makimura!
La voce risuonò secca come una fucilata, e il corpo etereo del giovane si riscosse. Si voltò, per affrontare la figura luminosa, che solo lui poteva vedere, che gli andava incontro: un giovane alto, biondo e bello, con una camicia e dei calzoni bianchi, e i piedi nudi. E, particolari non trascurabili, un cerchio d’oro che gli brillava sui capelli e un paio di grandi ali di un bianco abbagliante.
− Non dovresti essere qui, Makimura. Lo sai che a voi Anime Comuni non è permesso interferire con il mondo dei mortali. Capisco quanto sia importante per te, ma io sono stanco di doverti venire a sgridare e riprendere ogni volta!
− Mi dispiace contraddirti, Gabriel, ma questa volta avevo il permesso.
− Ma certo, come no! Non prendermi in giro. Forza, rientra al Piano di Sopra. E cerca di non eludere più la mia sorveglianza, altrimenti non riuscirai mai a guadagnarti almeno le ali!
− Avanti, ti ho detto che ho il permesso! Guarda!
Hideyuki si frugò nelle tasche e ne estrasse una piccola pergamena. Gabriel la osservò attentamente, sgranando i begli occhi azzurri finché diventarono grandi quanto piattini, quando lesse la firma che brillava, intensa, in calce allo scritto.
− Per la miseria, Maki. Questa è la firma del Vice in persona!
− Certo che lo è! Mica è lì solo come Detentore delle Chiavi e Guardiano dei Cancelli! Pietro distribuisce anche gli incarichi che gli vengono comunicati dall’Ultimo Piano, lo sai.
− V-vuoi dire che sei qui su incarico di… dal… Lui, insomma? – fece Gabriel, indicando il cielo con un dito.
− Pare proprio di sì.
− Ah, però! A quanto pare, mettere insieme quei due era davvero una questione di vitale importanza! E… come ci sei riuscito?
− È una lunga storia…
− Ho tempo. Dai, racconta.
Le due invisibili figure si incamminarono fino ad inoltrarsi nel parco che confinava con il cimitero, chiacchierando, mentre il sole calava lentamente in un crepuscolo dorato.
− Beh… indurre i sogni, essendo io uno spirito, è stata la parte meno difficile, se vogliamo. Anche perché loro due erano alquanto ben predisposti, devo dirlo… − cominciò Maki.
− Ah. Sogni. E… in cosa consistevano?
Hideyuki trasalì, imbarazzato, mentre un gocciolone di proporzioni colossali gli si formava su una tempia.
− Oh, beh… nulla che tu possa capire. Cose… umane, ecco. E tu non lo sei mai stato, essendo nato già Arcangelo, quindi… − glissò goffamente, per poi proseguire − È stato più faticoso avvolgerli in quel lenzuolo, ma in quel momento non avevo più idee, mi è venuta solo quella. E devo ammettere che il temporale e il vento mi hanno aiutato non poco. Ma quello... è venuto dopo. La cosa realmente più difficile, in assoluto, è stata spostare quella cavolo di valigia! Era pesantissima, farla arrivare in mezzo alla stanza di Kaori con solo la forza della mente, in modo che lei potesse inciamparci sopra, è stata una fatica improba! E non ero nemmeno sicuro che lei, dopo, l’avrebbe portata vicino alla porta, perché poi Ryo la vedesse, come avevo sperato. A dire il vero non sapevo neppure se lui sarebbe sceso, quella testa di rapa… per questo ho anche amplificato i rumori della valigia che Kaori ha mollato a terra, e del portone che si apriva! Ma diciamo che sono stato anche fortunato! Alla fine è andata bene. Devi sapere che erano anni che ci provavo, a creare situazioni che li sbloccassero, in qualche modo! Ma quei due sono stati tosti, soprattutto lui! Non aveva capito niente! Però… volevo farlo, a tutti i costi, non tanto perché volessi le ali, in realtà mi importa relativamente, sai? È solo perché... quei due sono la mia famiglia, e volevo davvero vederli insieme, e felici...
I due continuarono a parlare, mentre Gabriel ascoltava interessato la storia che Hideyuki gli raccontò nuovamente, stavolta in modo più lineare e meno confuso.
− Sai, Makimura – intervenne a un certo punto − il fatto che tu abbia perseverato per anni in tutto questo, e intendo cose tipo: scappare di nascosto eludendo la mia sorveglianza; interferire con la vita dei mortali di tua iniziativa; avere avuto il coraggio di chiedere, poi, un permesso speciale per farlo; e soprattutto la faccenda di non averlo fatto per tuo interesse personale, ma soltanto per il bene e la felicità di tua sorella, e di quell’altro bietolone moro, credo faccia tutta la differenza…
− La differenza rispetto a cosa? – chiese Hideyuki, un po’ frastornato da quel lungo e contorto discorso.
− La differenza rispetto ad altre Anime Comuni che, avendo come unico scopo la carriera celeste, ci mettono molto di più, per arrivarci.
− Ma arrivare dove? Non ti seguo, Gabriel.
− Guarda – lo esortò l’Arcangelo.
Maki non se n’era accorto minimamente, ma sulla sua schiena stavano prendendo lentamente forma un paio di evanescenti e maestose ali d’argento.
Senza riuscire a proferire parola, guardò incredulo quelle voluminose ma leggerissime appendici, che lo qualificavano senza ombra di dubbio come… un Angelo. Esattamente come il cerchio d’oro che, dal nulla, cominciò a brillare sui suoi capelli neri.
− Beh, te lo sei meritato, Makimura. Tieni – concluse l’Arcangelo biondo porgendogli un’altra pergamena.
Hideyuki la svolse, curioso e trepidante, poiché era evidente che provenisse dai Piani Altissimi.
In lettere dorate, un pomposo comunicato annunciava che, dal giorno successivo, Hideyuki Makimura avrebbe ufficialmente preso servizio come Angelo Custode di Prima Categoria.
Il suo protetto, era in realtà una coppia, notoriamente conosciuta come… City Hunter.
 
§
 
− Che stai facendo, Sugar? – chiese Ryo, notando la ragazza che trafficava in salotto con la cassetta degli attrezzi.
− Niente di che. Voglio solo appendere qui questa foto – rispose Kaori, tenendo tra le mani la cornice con la fotografia nella quale erano ritratti lei e Hideyuki. O meglio, un ingrandimento di quella che lei aveva sempre tenuto sul comodino, in camera sua, e che ora stava invece su quello della stanza di Ryo. Cioè… la loro stanza.
– Il fatto è che Maki… lo voglio qui insieme a noi, anche di giorno; benché sia assolutamente certa che lui sia insieme a noi sempre.
Ryo ripensò a quell’ultimo mese che avevano passato insieme finalmente come coppia, oltre che come City Hunter. Il mese più bello della sua vita, doveva dirlo, nonostante avessero lavorato e rischiato parecchio!
E si ritrovò a rivivere mentalmente alcuni degli ultimi casi di cui si erano occupati, costellati degli avvenimenti più strani: proiettili scansati per puro miracolo, sfidando le leggi della fisica; appigli che erano sembrati apparire come dal nulla mentre si trovavano aggrappati a cornicioni pericolanti o a corde sul punto di spezzarsi; provvidenziali superfici morbide su cui atterrare, dopo cadute da altezze vertiginose…
Era davvero arrivato a pensare che Qualcuno, in quei frangenti, tenesse davvero loro una mano sulla testa. O forse li abbracciava, proprio!
− Hai quasi convinto anche un materialone come me, di questa cosa – non poté fare a meno di confessare a Kaori. Poi si grattò la nuca e disse, con espressione preoccupata: − Ma... Maki non sarà mica con noi sempre sempre, vero? Potrei sentirmi, non so... inibito, in certe situazioni, da questo pensiero!
– Non credo proprio che sia così, tranquillo! Se non altro perché mio fratello non ha mai avuto l’indole del guardone, come qualcun altro di nostra conoscenza! − rise Kaori − E poi… credo ci voglia ben altro per inibire te, allupato cronico!
− Ah, ma quello è colpa tua, che sei troppo seducente, mica del piccolo Ryo! E poi… vorresti forse dire che ti dispiace? – la provocò, togliendole di mano il martello e fissandola con occhi cupidi, ma seri. Kaori pensò che soltanto Ryo poteva rendere sensuale un gesto insignificante come toglierle un attrezzo dalle mani.
Lanciandole un ultimo sguardo pieno di bollenti promesse, piantò lui il chiodo nella parete, per poi appendere il ritratto e riporre il martello nella cassetta degli utensili.
Si guardò bene dal dirle che vederla con quel tipo di attrezzi da lavoro in mano, lo preoccupava sempre oltre misura… 
Tora, interessato, saltò sulla spalliera del divano per studiare da vicino i due nella foto. E sembrò di nuovo sorridere soddisfatto, di quel suo sorriso serafico e felino, come faceva tempo addietro, quando si soffermava ad osservare la lapide di marmo al cimitero.
Anche Kaori si soffermò a guardare la fotografia, e Ryo la abbracciò da dietro, lasciandole un bacio bruciante sul collo e squadrando poi, a sua volta, il ritratto.
La sua compagna era una sweeper provetta. In quegli anni come sua socia, era diventata tosta, coraggiosa, abile e rapida nel decidere e nell’agire; ma nel suo cuore, era rimasta una romanticona.
Ed era ciò che amava di più, in lei.
Kaori era il suo tempo migliore, la sua parte più buona: quella dolce, umana e altruista, che facevano di lui non più lo spietato Angelo della Morte, ma il vero City Hunter, quello che difendeva i deboli e la giustizia.
“E sono felice, che sia così” si disse, mentre lei lo gratificava di un sorriso abbagliante e uno scherzoso bacio schioccante sulle labbra.
Tornarono a guardare l’immagine sulla parete: la parte romantica della ragazza aveva colpito ancora, aggiungendo una frase, proprio sotto all’immagine di lei e del fratello.
Una cosa proprio da Kaori, pensò Ryo divertito, ma anche leggermente commosso. Cosa, quest’ultima, che ovviamente non avrebbe mai ammesso. Nemmeno sotto tortura.
 
“Ci sono angeli
che non possono rimanere troppo a lungo sulla Terra,
 insieme a noi.
Devono tornare a casa,
perché hanno troppa nostalgia del Paradiso”.
 
 
 
FINE



 
 
 
1 Tora in giapponese significa Tigre. (Almeno così mi ha detto Google Translate…)
 
 
 
Angolo autrice:
 
Bene.
Aspetto il lancio di frutta e verdura (fresche per favore, che almeno per un po’ mi risparmio la spesa…) per questo finale decisamente bislacco, ma oh! quando una cosa s’infila in testa, (una testa bacata, d’accordo…) poi deve anche uscirne in qualche modo! Scusate se ne avete fatto voi le spese!
Aggiungo che il disegno di Maki versione angelo non mi soddisfa per niente, ma ormai lo avevo fatto, e così l'ho messo ugualmente...
 

 
Colgo l’occasione per citare e dare un abbraccio, anche se virtuale, alle mie carissime recensitrici:
 
Kaory06081987
MaryFangirl
24giu
Shirley Jane
Sky_Star

 
Con una speciale menzione per quelle che sono anche due amiche carissime:
EleWar 
e
Morghana
 
Inoltre ringrazio, insieme alla già citata Sky_Star:
 
CANZONE
Sephiroth986
Superdany

 
per aver messo questa storia tra le seguite e/o preferite!
Grazie davvero, di cuore, per queste dimostrazioni e le vostre belle parole!

 
 
Disclaimer:
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo per divertimento. Mio e, spero, anche di chi ha letto.
I personaggi di Ryo e Kaori non appartengono a me, ma a Tsukasa Hojo e agli aventi diritto.

 
(Anche se io, su Ryo, una opzione ce l’avrei anche messa, ma... Okay, taccio, va’, se no mi smartellate! Lui è solo, sempre, assolutamente, irriducibilmente, della nostra amatissima Kaorina! E va bene così! ^^’)
 

 

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