Second chance di Sophie Ondine (/viewuser.php?uid=32491)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Midoriko ***
Capitolo 3: *** Lo rivedrò ancora? ***
Capitolo 4: *** Garofani bianchi ***
Capitolo 5: *** Per me è importante ***
Capitolo 6: *** Natale ***
Capitolo 7: *** Scrivere ***
Capitolo 8: *** Il compleanno di Rin, prima parte ***
Capitolo 9: *** Il compleanno di Rin, seconda parte ***
Capitolo 10: *** Kikyo ***
Capitolo 11: *** Il concorso ***
Capitolo 12: *** Tanabata ***
Capitolo 13: *** Buon viso a cattivo gioco ***
Capitolo 14: *** Sorprese! ***
Capitolo 15: *** Verità cartacea ***
Capitolo 1 *** Introduzione ***
Sangue, solo sangue attorno a
lei. Tutto ne era stato invaso: il suo kimono, le sue mani, il terreno
sotto le sue gambe, ormai impregnato di quel liquido caldo
dall’odore ferroso.
Stringeva tra le sue
braccia un corpo, il corpo di un uomo. Lo stringeva con tutte le sue
forze, per paura che qualcosa o qualcuno potesse portarglielo via. Il
volto dedll'uomo ormai era una maschera senza espressione, vuota, senza
vita.
La ragazza piangeva
calde lacrime, disperata. Non poteva crederci che fosse davvero
successo, proprio a lui: l’essere più forte, colui
che era inavvicinabile, irraggiungibile, ora giaceva esamine tra le sue
minute braccia.
Lo guardò con
gli occhi annebbiati dalle lacrime: nemmeno l’Oscura
Mietitrice era riuscita ad alterare i suoi tratti fieri; anche nella
morte lui sembrava il solito e fiero demone.
I capelli argentei si
erano riversati sul terreno gravido di sangue, il suo sangue, e qualche
ciocca era stata contaminata da una screziatura scarlatta. Il kimono
era brutalmente squarciato all’altezza del petto, da cui
sgorgava prepotente il sangue.
-Ti prego… non lasciarmi… sola- piangeva la
ragazza.
In quel momento qualcuno le poggiò una mano sulla spalla,
lei però non si voltò.
-Rin, devi essere forte-
le disse la voce, appartenente ad una vecchia donna.
-E come posso farcela?-
strillò lei, avvinghiandosi ancora di più al
corpo del demone, come se fosse l’unica cosa che avesse senso
nella sua vita.
L’anziana donna sospirò.
-Credi nella
reincarnazione?- chiese pacatamente.
La giovane si voltò per la prima volta di scatto, un barlume
di speranza comparve negli occhi nocciola. Se poteva esserci anche una
sola possibilità per lei e il suo amato demone di potersi
incontrare ancora una volta, l’avrebbe sfruttata, in un
ultimo disperato tentativo.
-Che… che cosa intendi, Kaede?- domandò lei,
quasi come se la stesse supplicando.
-Credi in una seconda possibilità? In un altro incontro tra
te e lui?-
-Oh, Kaede, se solo
fosse possibile, non esiterei a crederci- singhiozzò lei con
gli occhi pieni di lacrime.
Kaede sollevò gli angoli della bocca, formando un lieve
sorriso sul suo volto. La giovinezza, la speranza,
l’ingenuità della ragazza le trasmettevano solo
tanta tenerezza. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per poterla
rendere felice, quella piccola umana divenuta ormai come una figlia.
-Un giorno, non ti è dato sapere come, non ti è
dato sapere quando, tu e il tuo amore vi incontrerete nuovamente. Non
avrete ricordi della vostra vita precedente, ma verrete attratti
l’una all’altro senza neanche accorgervene, non
potrete fare niente per impedirlo. Quello che è accaduto in
questa vita, si ripeterà nuovamente e ancora e ancora, fino
a quando il vostro amore non troverà realizzazione.
È questo il destino delle anime gemelle-
La ragazza l’ascoltò attentamente e altre calde
lacrime scesero sul suo viso, ma erano lacrime di speranza,
l’ultimo appiglio per poter sopravvivere alla sua assenza.
-Se è questo
quello che deve accadere, ci crederò- disse, guardando di
nuovo il demone.
Si soffermò
su ogni piccolo dettaglio sul suo viso: il naso, le labbra, le palpebre
che in quel momento crudelmente la privavano delle sue amate iridi
ambrate.
Un’altra
lacrima le cadde lungo la guancia. Si chinò sul volto del
demone. Ciò che le aveva detto la vecchia Kaede doveva per
forza essere vero, come avrebbe mai potuto mentirle, con il rischio di
farle solo ancora più del male? E anche se quella storia
delle anime gemelle non fosse stata vera, lei ci avrebbe creduto
fermamente, con ogni fibra del suo essere, fino a quando la sua
volontà e la sua fede non avrebbero smosso lo stesso
universo, gli dei in persona.
-Sesshomaru… un giorno ci incontreremo di nuovo- disse lei,
prima di donargli un ultimo, gelido bacio.
***
La sveglia scattò puntuale alle sette del mattino in punto.
Il trillo acuto e penetrante martellò le orecchie della
povera bambina, che si svegliò di soprassalto. Ci mise un
po’ a realizzare dove fosse, tanto profondo era ancora il suo
sonno. Sbattè più e più volte le
palpebre e poi cominciò a strofinarsi gli occhi cisposi con
le dita.
Il suo futon era ancora caldo e invitante e sembrava che qualsiasi cosa
attorno a lei le stesse suggerendo di rimanere a dormire ancora un
po’: il futon comodo e accogliente, la coperta pesane e calda
che la faceva sentire protetta dal terribile acquazzone che si era
riversato sulla città quella mattina di novembre. Poteva
sentire, a finestre chiuse, lo scroscio della pioggia al di fuori della
sua cameretta.
Quanto sarebbe stato bello poter poltrire ancora un po’,
pensò la bambina mentre con la manine minute si tirava il
piumone fin sopra il naso. Ma l’idillio durò ben
poco, perché sua nonna sbattè violentemente
l’anta della porta scorrevole della sua camera, facendo un
gran baccano e prendendo di sorpresa la povera bambina.
-Rin! È ora di alzarsi, non fare la poltrona!- la
rimproverò l’anziana donna con tono duro.
La bimba si alzò di scatto a guardare sua nonna, quasi
supplicandola di non sottoporla alla tortura di dover abbandonare il
caldo giaciglio.
-Nonna, non mi sento molto bene oggi, non posso restare a casa a
dormire un po’?- propose subito la piccola Rin, sperando che
la nonna per una volta cedesse al suo buon cuore e accontentasse il suo
desiderio.
-Non provare a fare la furba con me, signorinella. Ora tu ti alzerai da
quel letto e verrai a fare colazione giù in cucina con me-
Rin sbuffò frustrata da quella risposta. Scostò
dal suo corpicino il piumone e, a malincuore, si avviò verso
il bagno per prepararsi ad un’altra giornata di scuola. Ci
mise un po' per prendere coraggio e lavarsi la faccia con l'acqua
fredda che proveniva dal rubinetto. Sospirò più
volte e mormorava fra se e se incitamenti, il cui unico destinatario
era lei stessa.
-Coraggio, ce la puoi fare!- esclamò un secondo prima di
spruzzarsi l'acqua sul viso e lavarsi via dalla faccia anche quel
briciolo di speranza di poter passare tutta la mattinata a dormire a
casa.
Quando ebbe finito di prepararsi, scese al piano di sotto a fare
colazione con sua nonna, la quale l’attendeva
pazientemente. Per ingannare l’attesa aveva acceso la
televisione, sintonizzandola su un vecchio film occidentale. Rin prese
posto e si servì subito di un po’ di riso in
bianco preparato per la colazione.
-Hai dormito bene, bambina mia?-domandò la nonna tra un
boccone e l’altro.
Attese una risposta, che però non arrivò mai.
Kaede riformulò la domanda, ma ancora una volta la risposta
non arrivava. Spazientita si voltò verso la nipote.
-Rin, ma mi stai ascoltando?- sbottò.
La bambina, richiamata alla realtà, rivolse i suoi occhi
verso la nonna, con un’espressione sorpresa e perplessa. Dal
suo viso si poteva capire che non aveva sentito neanche una parola di
quello che la nonna le aveva detto.
-Non c’è niente da fare: quando
c’è qualche film in tv, te ti perdi in un mondo
tutto tuo- sospirò l’anziana, mentre scuoteva
leggermente la testa.
-Scusa nonna- balbettò la bambina, arrossendo di vergogna.
Non era carino non ascoltare le persone quando ti parlano, questo le
avevano sempre insegnato, ma quando si trattava di libri e film, Rin si
catapultava in un mondo tutto suo, dove a nessuno era concesso entrare.
Bastava che in televisione ci fosse un film discretamente interessante,
che subito tutto il resto del mondo perdeva di colore e spessore, si
appiattiva e passava in secondo piano. Fin da piccola le piacevano le
storie che venivano raccontate, vi si immergeva totalmente. Spesso e
volentieri provava a recitarle da sola. Le venne in mente sua madre e i
suoi incitamenti quando Rin allestiva uno spettacolo teatrale
improvvisato: non c’era scenografia, non esisteva un sipario
e il palco era solo un perimetro immaginario tracciato sul tatami. La
fantasia era l’unico ingrediente, ma quanto era divertente,
perché tutto era possibile.
-Non ti preoccupare. Volevo solo sapere se avessi dormito bene-
continuò la nonna con tono dolce.
Dormito bene? Beh era una parola un po’ troppo grossa. Era da
un po’ di sere che faceva sempre lo stesso sogno, che ora
faticava a ricordare. I contorni erano sfuocati e i volti dei
protagonisti del suo sogno faticavano a imprimersi sulla tela della
memoria.
-Sì, ho dormito profondamente- mentì alla nonna e
si portò un altro boccone di riso in bocca.
Ricordava vagamente che nel sogno c’era una ragazza, una
ragazza che piangeva la morte di qualcuno. Altro non ricordava. Se
provava a chiudere gli occhi per immaginare la scena, vedeva soltanto
del rosso, come se quello fosse il colore dominante
dell’intera scena. Ad ogni modo Rin non se ne diede molta
pena, le era capitato molte volte di sognare qualcosa di simile. La sua
mentalità da bambina, per ora, non le permetteva di porsi
altre domande.
Una volta finita la sua colazione, Rin portò la sua ciotola
al lavandino, pulì i suoi utensili e poi corse su in camera
sua per preparare la cartella.
Trafficò con i quaderni ed i libri scolastici per un bel
po’, ancora non aveva imparato a memoria il suo orario.
Cercò sulla sua scrivania anche un’altra cosa: un
copione. Rin faceva parte del club di recitazione della scuola
elementare dove andava e si stava preparando per lo spettacolo di fine
anno; dopo le lezioni si sarebbe fermata alle prove con gli altri
piccoli attori come lei. Adorava recitare, era divertente e le riempiva
il cuore di felicità. La nonna e la mamma
l’avevano portata spesso a teatro a vedere qualche
rappresentazione: la prima della sua vita fu “Il mago di
Oz” e ricordava ancora con un certo timore negli occhi, la
paura che l’aveva assalita quando la perfida Strega
dell’Ovest aveva fatto il suo ingresso in scena. Forse fu per
il trucco verde sulla faccia o per l’interpretazione
appassionata dell’attrice, ma Rin scoppiò subito a
piangere, rifugiandosi tra le braccia della madre.
-Rin, sbrigati o perderai l’autobus!- la riportò
alla realtà la voce della nonna dal piano di sotto.
La bambina si ridestò dai ricordi, raccattò tutto
quello che le serviva e si precipitò giù per le
scale. Prima di abbassarsi per infilare le scarpe, si voltò
verso l’antica cassettiera all’ingresso, rivolse lo
sguardo verso una fotografia contenuta in un portafoto dal contorno
semplice di colore nero. Al suo interno era contenuta una foto,
leggermente sgualcita ai bordi. Rin sorrise, poi sussurò:-
Ciao, mamma-
***
La scuola elementare di Rin era piuttosto grande ed ospitava sia le
scuole elementari che le medie. I club erano numerosi, ma quello di
teatro godeva di una buona reputazione: gli spettacoli,
benchè non fossero tenuti da professionisti, erano curati
nei minimi dettagli e gli studenti ricevevano preziosi insegnamenti dai
loro insegnanti.
Rin volle iscriversi al club di recitazione fin dal suo primo giorno di
scuola, moriva dalla voglia di farlo. Ormai erano quattro anni che ne
faceva parte e con gli anni era riuscita a migliorare ed anche a farsi
una cerchia di amici abbastanza stretti. Nonostante fosse una bambina
piuttosto socievole, la sua più grande amica però
era solo una: Kanna Miura.
Le due bambine si erano conosciute lentamente: ognuna rimase
affascinata dall’altra, si erano guardate incuriosite alle
prime lezioni del club, e con il tempo la loro voglia di conoscersi si
era tramutata in un sentimento di amicizia. Le differenze tra loro
erano palpabili, non solo a livello fisico, ma anche a livello
caratteriale: se una era un vulcano di energia, l’altra era
calma e silenziosa; se una aveva il viso incorniciato da lunghi capelli
neri, l’altra vantava capelli chiarissimi che si sposavano
perfettamente con il colore della pelle.
Le bambine si trovavano entrambe alle prove, le lezioni erano finite da
un pezzo. Tutti i membri della compagnia del teatro delle elementari si
sentivano eccitati: lo spettacolo di Natale si avvicinava sempre di
più. Per quell’anno era stato deciso di portare
sulle scene una delle opere più famose di Dickens,
“Il canto di Natale”. A Rin era toccato il ruolo
del fantasma dei natali passati, parte che sembrava le calzasse a
pennello in quanto il primo dei fantasmi dell’opera
dickensiana era descritto come un personaggio luminoso, allegro. Kanna
doveva rivestire i panni del fantasma del natale futur, altro ruolo
assegnato tenendo conto della naturale propensione della bambina:
silenziosa, delle volte glaciale e dal portamento elegante e senza
movimenti superflui.
Le due amiche erano sedute leggermente in disparte, in attesa del loro
turno.
-ehi Rin…- sussurò Kanna, cercando di non farsi
sentire dagli altri: non era rispettoso verso i compagni che stavano
recitando.
-Sì?- domandò Rin sorpresa. Di solito Kanna
parlava durante le prove solo se strettamente necessario o se proprio
non poteva aspettare a dirle qualcosa, cosa che accadeva piuttosto
raramente.
La bambina aprì il suo copione apparentemente a caso e, con
lentezza quasi studiata, poggiò sulle gambe della piccola
Rin due cartoncini rettangolari di colore giallo.
Rin osservò meglio ciò che Kanna le aveva messo
sotto gli occhi. In un primo momento non capì, ma con
un’occhiata più attenta lesse “Il
mercante di Venezia”. Afferrò i biglietti con
entrambe le mani e se li portò più vicini al
viso, come se avesse paura di aver letto male e che quel titolo se lo
fosse inventato la sua mente birichina. Lesse ancora una volta e sul
visino le si disegnò un sorriso estatico.
-Ma… dici sul serio?- bisbigliò Rin, cercando di
domare l’ondata di eccitazione che sentiva travolgerla come
un’onda anomale in quel preciso momento.
Kanna abbozzò un sorriso divertito:-Papà li ha
ricevuti in omaggio in ufficio e mi ha detto che potevo portarci chi
volevo. Verrà anche lui con noi, per accompagnarci-
“Il mercante di Venezia”, Rin non sapeva di cosa
parlasse per la precisione, ma poco le importava, sarebbe stata attenta
per tutta la durata dello spettacolo per poter capire. La cosa
più importante era poter andare a teatro ed ora la sua
migliore amica le stava offrendo quell’occasione.
Da quando la mamma era morta, la piccola non aveva avuto molte
occasioni per andare a teatro: la nonna doveva lavorare molto per poter
permettere alla nipote una vita dignitosa, magari riuscendola a viziare
di tanto in tanto.
Si voltò verso Kanna e, sempre in silenzio, con il sorriso
stampato sulle labbra disse:- Grazie!-
In risposta, l’altra si limitò ad annuire
lievemente con la testa.
***
Subito dopo le prove, sia Rin che Kanna si erano precipitate a casa: i
compiti per il giorno seguente non erano pochi e loro desideravano con
tutto il cuore godersi lo spettacolo di quella sera, senza il pensiero
della scuola. Rin, appena messo piede in casa, si era fiondata in
camera sua e subito ripiegata sulla scrivania di fianco al suo letto.
Aveva in mente un solo pensiero: lo spettacolo di quella sera,
“Il mercante di Venezia”. Durante il tragitto verso
casa Kanna le aveva detto che lei e suo padre sarebbero passati a
prenderla per ora di cena, avrebbero cenato in un ristorante di fianco
al teatro e poi avrebbero potuto godersi la rappresentazione.
La luce aveva fatto spazio alla sera in un batter d’occhio,
subito le strade si erano lasciate ricoprire dal quel sottile velo
nero, i lampioni erano stati accesi e la città si apprestava
ad indossare scintillanti gioielli luminosi.
Nonna Kaede era intenta a preparare un infuso commissionatole da una
delle sue clienti più strette. In fondo era contenta che sua
nipote avesse ricevuto quell’invito, così lei
avrebbe potuto portarsi avanti con il lavoro arretrato e la piccola Rin
un ricordo piacevole.
La piccolina riuscì a salvarsi per il rotto della cuffia e i
compiti furono completati in tempo. Dopo essersi lavata accuratamente e
pettinata altrettanto minuziosamente, aprì
l’armadio alla ricerca di un vestito adatto per la serata.
Non erano molti, ma Rin aveva già le idee chiare: avrebbe
indossato un vestito di velluto blu, dalla gonna ampia e il colletto
bianco. Lo indossava esclusivamente per eventi che lei reputava
speciali.
Le era stato confezionato dalla nonna per il suo ultimo compleanno, lo
aveva copiato da una rivista di moda.
Rin si vestì accuratamente: si infilò il vestito,
scelse le calze e le scarpe da abbinarci, indossò un
bracciale regalatole da sua mamma anni prima.
Poco prima di scendere giù in cucina per chiedere un
opinione alla nonna, le capitò di incontrare la sua immagine
nello specchio. Si guardò con attenzione ed ebbe a
sensazione che mancasse qualcosa, vedeva riflessa una bambina banale,
per niente originale. Si studiò con attenzione, piegando la
testa di lato e strizzando gli occhi in cerca di
un’ispirazione improvvisa. Subito le venne in mente
un’idea geniale: agguantò un elastico poggiato
sulla piccola cassettiera e, con mani esperte, si acconciò i
capelli in una pettinatura del tutto personale. Quando ebbe finito, si
concesse alcuni minuti per ammirare il lavoro fatto. Sorrise: quel
codino di lato le stava davvero bene.
-Come sei carina, bambina mia- disse una voce alle sue spalle. Rin vide
il riflesso della nonna nello specchio.
Si voltò con un grande sorriso e la nonna si
sentì pervadere da un senso di calore senza eguali. Da
quando sua figlia era morta, la piccola Rin era l’unico
tesoro che le fosse rimasto a questo mondo, e vederla così
sorridente, con gli occhi che luccicavano, la faceva sentire in
completa pace con se stessa. La vecchiaia e la vita le avevano tolto
tantissime cose ed aveva giurato a se stessa che per la sua unica
nipote si sarebbe impegnata al massimo per farla sentire felice e
protetta.
Il suono del campanello costrinse entrambe ad interrompere quel momento
di intimità familiare.
-Credo che Kanna sia arrivata-la informò la vecchia Kaede,
mentre l’aiutava ad indossare il cappotto.
***
Che storia meravigliosa.
Rin non riusciva a pensare ad altro da quando il sipario di velluto
rosso aveva lasciato posto alla scenografia che evocava
l’antica città lagunare.
Lei e Kanna, scortate dal padre di quest’ultima, avevano
riservati i posti in platea: quarta fila dal palcoscenico. Non potevano
sperare in qualcosa di meglio.
L’eccitazione era così forte che Rin non aveva
avuto molta voglia di mangiare, face uno sforzo per non offendere il
signor Miura, che tanto gentilmente si era fatto carico della
soddisfazione di due bambine. Rin guardava rapita, come se fosse sotto
l’effetto di un incantesimo, gli attori sul palcoscenico.
Come si muovevano, il modo in cui parlavano, in cui modulavano la voce,
così potente che pure gli spettatori in balconata erano in
grado di capire ogni singola parola di ogni singola battuta. Tutto
appariva così naturale, niente era forzato e
l’energia che trasmettevano contagiosa.
Rin se ne sentì pervasa, completamente. Un sorriso le si
dipinse sul volto. Li invidiava, tremendamente. Avrebbe tanto voluto
esserci lei sul palco, non le importava avere il ruolo della
protagonista: le sarebbe bastato solo recitare, far parte di quel mondo
fluttuante, sospeso tra la realtà e la fantasia.
Quello che provava nel club di recitazione era niente rispetto alla
gioia che avrebbe avuto nel far parte di una compagnia di attori
professionisti.
Il cuore dentro al petto, sembrava essere impazzito: batteva forte,
eccitato. Rin emise un sospiro.
Un giorno anche io farò parte di uno spettacolo del genere,
pensò invasa da un sentimento di speranza che inondava ogni
cellula del suo esile corpicino.
Quando lo spettacolo si concluse, la piccola battè le mani
talmente forte da farle diventare tutte rosse.
Kanna, che aveva notato quel dettaglio, disse ridendo:-Ma Rin, non
starai esagerando?-. Ovviamente la diretta interessata non aveva
ascoltato neanche una parola della domanda della sua migliore amica e,
con impeto crescente, seguitò a sfogare la sua ammirazione
per ogni singolo attore che veniva presentato.
Una volta che il palcoscenico fu vuoto e le luci di nuovo accese, Rin
sembrò ritornare alla realtà. Quando si
voltò incontro gli occhi divertiti di Kanna, la quale, con
la sua solita calma e dolcezza le disse:-Sono contenta che ti sia
piaciuto-
-Moltissimo, Kanna. Non so come ringraziarti. È stato uno
degli spettacoli migliori della mia vita- esclamò
traboccante di gratitudine.
Il padre di Kanna si intromise in quel siparietto tra le due amiche e
annunciò loro di alzarsi per poter far ritorno a casa,
dopotutto il giorno dopo c’erano le lezioni scolastiche ad
attenderle.
Rin subito si alzò in piedi, ma, forse a causa
dell’eccitazione, mise un piede in fallo ed
inciampò su lei stessa, cadendo all’indietro. Era
pronta a sentire sotto di lei l’urto del suo sedere con il
pavimento freddo e lucido del teatro ma così non fu, al
contrario precipitò su qualcosa di più morbido.
Aprì istintivamente gli occhi, per capire cosa
l’avesse salvata da un livido bello grosso sul sedere.
Guardò verso l’alto e le incontrò: due
iridi ambrate, belle e profonde, leggermente fredde.
Rin sbattè le palpebre più volte per mettere a
fuoco il suo salvatore. La bambina rimase sbigottita nel vedere davanti
a lei un ragazzo grande, molto più grande di lei.
Arrossì per la vergogna.
-Mi… mi scu-scusi, signore- balbettò lei,
sentendosi subito intomorita.
Il ragazzo la guardava senza battere ciglio, anche se uno sguardo
più attento avrebbe scovato in quella maschera di perenne
indifferenza, una nota di fastidio. In fondo quella mocciosa gli era
precipitata sulle gambe, impedendogli di muoversi. Lui non rispose e
Rin si sentì ancora più mortificata.
Cercò di rialzarsi subito, aiutata anche da Kanna e da suo
padre, i quali erano accorsi in suo aiuto.
-Mi scusi, spero non le abbia fatto male- tentò di scusarsi
il padre di Kanna con il ragazzo, mentre rimetteva in piedi una Rin
rossa in faccia come un peperone.
Il ragazzo, con una lentezza quasi estenuante, si alzò in
piedi, rivelando la sua statura notevole e la figura longilinea.
-Nessun disturbo- si limitò a dire.
Rin, nascosta dietro la frangetta, spiò il volto del
giovane. Capì subito che si trattava di uno youkai, lo aveva
capito dai segni demoniaci che adornavano il volto pallido e fiero. Una
mezza luna di colore viola regnava sulla fronte, incorniciata da una
frangia di capelli argentati.
Il ragazzo sembrava alla bambina bello come un principe.
Chissà quanti anni aveva: diciotto, venti?
-Andiamo, Sesshomaru- lo chiamò una voce.
Il ragazzo non si scompose. Con un lieve cenno del capo
salutò il terzetto che aveva davanti agli occhi e, con la
tipica eleganza dei demoni antropomorfi, si avviò verso
l’uscita del teatro.
Rin lo seguì con lo sguardo.
Che bello quel principe.
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Capitolo 2 *** Midoriko ***
CAPITOLO
2- Midoriko
La sveglia trillò prepotente, riempiendo la stanza
silenziosa.
La ragazzina che dormiva nel fouton emise un lamento mentre si girava
in direzione di quella macchina infernale per poterla spegnere e far
cessare quel rumore che le martellava le orecchie. Allungò
la mano e la sbattè forte sul piccolo oggetto tondo.
Rin aprì a malincuore gli occhi.
Un’altra giornata, un altro giorno di scuola. Ad un tratto si
ricordò che quello era un giorno speciale: era il suo
complenno.
Quell’anno Rin avrebbe compiuto undici anni. 20 marzo, primo
giorno di primavera. La mamma le diceva sempre che aveva deciso di
venire al mondo nel giorno più bello di tutto
l’anno. Era il giorno in cui la natura si risvegliava dal
letargo invernale e si apriva alla bella stagione piena di sogni e
speranze. In Giappone, di lì a breve, sarebbe incominciata
la fioritura dei ciliegi, tutta la nazione avrebbe indossato un velo
color rosa, come una sposa molto allegra. Sarebbero incominciate le
giornate tiepide di sole, la luce avrebbe gentilmente spinto lontano il
buio.
Quando era piccola, la mamma soleva prepararle una torta al limone,
ripiena di glassa. Ancora prima che la figlia si svegliasse, lei e
nonna Kaede, salivano le scale in punta di piedi, con altrettanta cura
aprivano la porta scorrevole per poi intonare la canzone di buon
compleanno. Rin ricordava la faccia sorridente della mamma, sembrava
quasi più emozionata di lei, come se quello fosse il giorno
del suo compleanno.
Rin si sentiva già molto grande, gradualmente stava
abbandonando i giardini dell’infanzia e si addentrava
nell’adolescenza. In realtà la nonna non perdeva
occasione per ricordarle che le mancavano ancora due anni per essere
considerata una vera teenager, ma lei non ci badava, preferiva far
finta di non sentire.
Scostò la coperta del fouton e si alzò per poter
raggiungere la nonna giù in cucina.
Scese piano le scale.
Quando si affacciò con la testa sulla porta della cucina,
vide sua nonna intenta a trafficare con una spatola sul piano cottura
della cucina. Non sembrava padrona delle sue azioni, anzi sembrava che
la situazione le stesse sfuggendo di mano.
-Che stai facendo, nonna?- domandò la bambina senza nemmeno
annunciare la sua presenza.
Infatti la donna ebbe un sussulto di spavento, aveva completamente
perso la cognizione del tempo a causa della sorpresa che sperava di
farle trovare.
Rin entrò completamente nella stanza e si
avvicinò alla nonna, notando che teneva in mano una spatola
per dolci sporca di una crema chiara, una torta tagliata in due, pronta
per essere farcita. Saltava subito all’occhio però
che la torta era stata tagliata male e al centro fosse ancora
leggermente cruda: non una base perfetta da cui partire.
Kaede sospirò afflitta e dispiaciuta:- Tesoro mio, volevo
prepararti una torta di compleanno come quelle che ti preparava tua
mamma. Purtroppo non sono brava come lei nella ricette di pasticceria
occidentale- ammise.
Aveva i capelli leggermente sporchi di panna, probabilmente era
schizzata via quando aveva provato a montarle con le fruste elettriche.
Rin sorrise, allora non si era dimenticata. Ammise a sé
stessa quanto fosse rimasta delusa dal fatto che non aveva sentito
nessuno fare ingresso in camera sua e intonarle la canzone
“tanti auguri a te”. Temeva che sua nonna si fosse
dimenticata, o peggio, che non avesse avuto voglia di pensare a lei.
Nel suo cuore si fece spazio la tenerezza: era rincuorante vedere la
nonna pensare a lei costantemente, intenta a non far cadere una
tradizione che andava avanti da sempre.
Si alzò sulle punte e depositò un tenero bacio
sulla guancia raggrinzita dalle rughe della nonna.
-Grazie, nonnina. Perché però non la compriamo in
pasticceria? Così sarà più facile-
suggerì lei.
Kaede annuì prontamente. Quella era la soluzione
più sensata, veloce e, soprattutto, gustosa.
-E sia bambina mia. Ora siediti e fai colazione. All’ingresso
ti ho lasciato già pronto il tuo bento. Ho preparato doppia
porzione perché oggi avrai il club di recitazione, vero?-
-Esatto- rispose la piccola prendendo posto e impugnando le bacchette
per potersi servire- oggi sarà una giornata particolare. Il
nostro insegnante ci ha detto che verrà a farci visita una
persona importante-
Qualche settimana prima, durante uno dei tanti esercizi di respirazione
che gli allievi erano costretti a svolgere prima di salire sul palco
per qualche improvvisazione, il maestro aveva annunciato al suo gruppo
di piccoli attori che avrebbero a breve ospitato una persona importante
durante la lezione. Tutti i bambini avevano iniziato a domandarsi ad
alta voce chi mai potesse essere il misterioso personaggio che veniva a
fare loro visita, loro, il gruppo di una scuola elementare. Qualche
bambino subito aveva iniziato a chiedere degli indizi
all’insegnante, qualcun altro urlò un nome di un
qualche personaggio famoso della televisione, levando un coro
cacofonico di voci infantili. Il maestro del club si era maledetto
immediatamente per aver dato l’annuncio, con
l’unico risultato di aver scatenato quell’inferno
sonoro. Mise a frutto gli anni di accademia teatrale e gli addominali
possenti, che spinsero sul diaframma, liberando una voce forte, che
fece cessare il chiacchiericcio dei piccoli allievi.
Rin e Kanna avevano passato i giorni successivi ad interrogarsi
sull’identità dell’ospite speciale.
La piccola trangugiò la sua colazione molto velocemente, poi
pulì tutti i piatti e le bacchette e si precipitò
verso la sua nuova giornata.
Mentre aspettava l’autobus che l’avrebbe portata a
scuola, Rin si sedette sul sedile della pensilina. Nonostante avesse
una verifica di matematica quel giorno, non riusciva a smettere di
pensare ancora ad una volta a quel sogno strano, che ormai occupava i
suoi sogni da un anno a quella parte, almeno da quanto ricordava lei.
Vedeva nel sogno sempre degli esseri strani: un piccolo demone che le
ricordava un kappa dalle fattezze, un drago a due teste ed un uomo
alto, molto alto, dai lunghi capelli argentei. Lei in quei sogni
indossava un kimono a scacchi arancione e giallo. Era piccola,
più piccola di quanto fosse lei adesso. Ricordava vagamente
quel sogno, ad eccezion fatta per l’uomo dai capelli
argentei. Si muoveva lentamente, con un’eleganza innaturale
per qualsiasi essere umano, indossava sempre un abito bianco ed
un’armatura, sul lato destro del suo corpo ricadeva una lunga
pelliccia bianca. Rin non riusciva a ricordare molto del suo viso, ma
nel sogno sentiva dentro il suo petto crescere un sentimento di
ammirazione immenso, vedeva la sua manina allungarsi verso quella
figura regale, sempre qualche passo più avanti rispetto a
lei.
Negli ultimi tempi aveva fatto quel sogno molto spesso, ma al risveglio
ricordava ben poco, i contorni delle figure erano del tutto sfumati e
indefiniti.
Mentre rimurginava sul significato di quelle figure, che cosa volessero
mai poter dire per lei, arrivò il suo autobus.
Forse era il caso di concentrarsi sulla verifica che avrebbe dovuto
affrontare di lì a poco.
***
Tutta la classe era in fermento, i ragazzi non riuscivano a fare a meno
di guardare la filiforme figura della donna dai lunghi capelli corvini
che se ne stava seduta lì ad osservarli. Sebbene si fosse
seduta in un angolo della sala prove, riusciva a catalizzare su di
sé tutta l’attenzione.
Rin e Kanna avevano cercato di capire chi fosse quella donna
così misteriosa e bella.
-Lei è la signora Midoriko no Tama, mio papà
è un suo grande fan. Mi ha detto che da giovane era una
donna bellissima ed un’attrice famosissima- aveva detto una
loro compagna di corso.
Il maestro aveva presentato ai suoi allievi Midoriko cercando di essere
il più distaccato possibile, senza suscitare nei ragazzi
alcun tipo di meraviglia o di curiosità, ma i suoi sforzi
erano stati del tutto vani, come spesso accadeva a chi doveva badare a
ben quindici ragazzini.
-Bene, è ora di cominciare! Come vi ho già detto,
la nostra lezione si svolgerà normalmente- aveva urlato alla
classe l’uomo, battendo le mani per richiamare
l’attenzione.
I ragazzi, seppur con qualche difficoltà, cercano di fare
quanto richiesto. Aprirono il loro copione e iniziarono le
prove.
Quell’anno era stato stabilito che l’opera da
mettere in scena sarebbe stata “Il mago di Oz”, il
primo spettacolo teatrale della sua vita.
A Rin era toccata la parte di Dorothy, la protagonista. Era molto
emozionata perché era la prima volta che le veniva data una
parte così importante. Solo che ora l’eccitazione
era stata soppiantata dal timore, dovuto soprattutto alla donna che,
come una sfinge, osservava tutto quello che accadeva nella sala.
La piccola si sentiva più che emozionata, il cuore le
martellava nel petto e sentiva le budella attorcigliarsi. Forse solo
prima di uno spettacolo si era sentita così sotto pressione.
-Rin, tocca a te!- urlò il maestro.
Molto lentamente, la bambina di alzò e si diresse al centro
della sala, lasciata vuota per ospitare il loro palco immaginario.
Aprì il copione, respirò profondamente e
iniziò. Ma qualcosa andò storto,
perché le prime battute le disse balbettando.
Decise di fermarsi per qualche secondo, fece un respiro profondo.
“Rin, ce la puoi fare. Non pensare a niente, se non a
Dorothy” disse a sé stessa.
Poi, come per magia, cominciò a recitare la sua parte come
sempre.
***
-Rin, Kanna! Potete venire qui un momento?- disse la voce robusta del
loro maesro a prove concluse.
Le due bambine si guardarono con sguardo interrogativo.
Chissà cosa voleva da loro. Si avvicinarono timorese. In
piedi davanti a loro si ergevano le figure del maestro e
della misteriosa donna che le aveva osservate quel pomeriggio.
Nessuna delle due osò prendere la parola per prima e
rimasero educatamente in silenzio. Rin osservò Midoriko con
timore reverenziale: era dannatamente bella e austera, emanava una luce
di dignità abbagliante.
Osservò i suoi lunghi capelli corvini, lisci e lucenti, le
labbra accuratamente truccate, segnate leggermente da qualche piccola
ruga. Gli occhi però erano il dettaglio che aveva colpito
maggiormente la piccola Rin: scuri, profondi, velati da un sentimento
di stanchezza, come se avesse lottato da tutta la vita ed ora fosse
abbastanza.
-Vi presento la signora Midoriko no Tama, è
un’attrice molto famosa- disse subito il loro maestro,
mettendo fine a quel silenzio logorante per le due bambine.
-Suvvia, Ryota- esclamò subito con voce leggiadra la donna-
Sono così giovani! Al massimo i loro genitori possono
ricordarsi di me, se non addirittura i loro genitori-
Entrambi risero. Rin e Kanna non accennarono nemmeno un mezzo sorriso,
tanto si sentivano in soggezione.
-Come dicevo, Midoriko ormai si è ritirata dalle scene ed
è diventata la direttrice di una scuola di giovani talenti.
È venuta a farci visita qui oggi perché
è in cerca di giovani attori talentuosi-
Le due amiche si guardarono sorprese.
-Quello che sta cercando di dirvi il vostro maestro è che la
vostra recitazione mi ha molto colpita, siete così giovani
eppure penso che in voi ci sia del potenziale. Sarei molto contenta di
essere la vostra prossima insegnante l’anno prossimo-
-Di… dice sul serio?- chiese subito Rin, quasi come se
facesse fatica a credere a quelle parole.
Sperava in cuor suo che non si trattasse di un sogno o, peggio ancora,
di uno scherzo di cattivo gusto.
Midoriko la guardò fissa negli occhi, sorrise dolcemente e
disse:-Certo. Se non avete alcuna fretta di tornare a casa vi
spiegherò meglio di cosa si tratta-
***
Rin camminava per le strade di Tokyo, diretta verso casa, con aria
sognante ed un’espressione estasiata sul viso. Il giorno del
suo compleanno non sarebbe potuto andare meglio: era stata notata da
un’importante attrice e le aveva proposto di studiare
recitazione nella sua scuola il prossimo anno.
Mentre velocemente si affrettava a tornare a casa per gustare il dolce
che la nonna le aveva comprato per il suo compleanno, pensò
tra sé e sé che forse era stata la mamma a
mandarle quell’inaspettato regalo. Sì, doveva
essere proprio così. La mamma aveva deciso di incoraggiare
il talento della figlia e non essendo più fisicamente
presente in questo modo le aveva mandato un’altra persona.
Rin stringeva la cartella di scuola e sorrideva al pensiero di sua
madre. Le mancava terribilmente, non c’era dubbio. Le
mancavano le carezze, le mancava la mamma che con pazienza le pettinava
i lunghi capelli corvini, le mancava la mamma che batteva furiosamente
le mani quando lei improvvisava uno spettacolo teatrale a casa.
Una stretta al cuore le fece sparire il sorriso dal viso. Poi
però ricordò le parole che le aveva detto la
madre quando si trovava in ospedale: “Se mai ti
mancherò Rin, non sentirti triste. Ricordati che la tua
mamma sarà sempre vicina a te, anche se tu non puoi vederla.
Promettimi che sarai sempre la mia bambina dolce e felice, ma
soprattutto promettimi che quando diventerai grande farai quello che ti
farà più felice nella vita”. E lei
aveva detto di sì, tutto pur di far felice la sua mamma.
Sì, non devo farmi prendere dalla tristezza,
pensò subito la bambina assumendo un’espressione
volitiva sul viso. Le bastò molto poco per ritrovare la
felicità perché subito si ricordò
della notizia da dare alla nonna.
Si sentì invadere nuovamente il corpo da una scarica
elettrica, ogni parte del suo corpo ne era invasa. Tanto era alta
l’eccitazione che non si accorse che il semaforo pedonale era
ancora rosso ed attraversò la strada totalmente immersa nei
suoi pensieri.
Non vide nemmeno la macchina scura che sfrecciava dritta verso di lei.
Tutto accadde in un secondo: qualcuno e urlò qualcosa da
lontano, destandola dal suo sogno ad occhi aperti, un punto nero che
diventava sempre più grande pronto ad investirla, un altro
urlo, poi il buio.
***
Rin aprì lentamente gli occhi, non realizzando dove si
trovasse in un primo tempo. Vide sotto di lei il duro asfalto. Si
guardò intorno del tutto spaesata. Il mondo le sembrava
così ovattato, le voci delle persone in strade le sembravano
così lontane. La cartella era stata catapultata a qualche
metro di distanza da lei. Si guardò le mani: erano sporche e
macchiate di sangue.
Come un lampo che illumina il cielo notturno, si ricordò
cosa fosse successo: una macchina stava quasi per investirla, lei
istintivamente si era lanciata lontano per evitare l’impatto.
Probabilmente aveva strusciato le gambe contro l’asfalto,
perché vide che le ginocchia erano sbucciate e la gonna
della sua uniforme si era strappata.
Provò ad alzarsi, ma una voce la costrinse a fermarsi. Dal
tono non preannunciava nulla di amichevole.
-Maledetta mocciosa, potevi farmi passare un guaio- gracchiava nella
sua direzione un ometto piccolo e dalla pelle di un colorito quasi
verdastro.
Rin non ebbe il tempo di dire nulla, nemmeno per scusarsi: sembrava una
furia contro di lei.
-Sei proprio una mocciosa stupida, ma dove avete la testa voi ragazzi?
I tuoi genitori non ti hanno insegnato che non si attraversa la strada
se il semaforo è rosso- continuava l’uomo
avanzando verso di lei.
Sembrava quasi che una furia demoniaca si fosse impossessata di lui: le
guance erano completamente rosse dalla rabbia.
-Jaken!- tuonò una voce dall’abitacolo della
macchina.
Per fortuna, pensò Rin, non avrebbe mai sopportato
un’altra ondata di insulti.
Mentre la bambina cercava di rialzarsi, vide scendere dalla macchina un
giovane uomo dai lunghi capelli argentati. Era molto giovane ma
indossava già un elegante abito da uomo d’affari.
Rin lo guardava completamente spaesata. Quei capelli argentati le
ricordavano tanto qualcosa, ma al momento non ricordava cosa.
Lo vide avanzare lentamente verso di lei. Anche lui, come la signora
Midoriko, emanava un’aura di dignità, ma la sua
era regale e quasi glaciale. Rin se ne sentì sopraffatta,
tanto avvertiva quella bolla magica in cui era sospeso il giovane uomo.
Anche il piccolo uomo, che poco prima inveiva prepotentemente contro
Rin, cambiò espressione e si sciolse in un profondo inchino
e la sua voce arrabbiata fece spazio ad un tono più
sottomesso.
-Dica, Sesshomaru-sama-
Il giovane però non degnò il suo sottoposto
nemmeno di uno sguardo, lo superò senza troppe cerimonie e
si diresse verso la bambina.
Rin lo vide abbassarsi verso di lei e tenderle la mano artigliata per
poterla farla rialzare. Accettò la mano con timore, ma
decide di fidarsi.
Capì che era uno youkai dalla facilità con cui
era riuscito a sollevarla da terra, con una sola mano.
Nonostante ora si trovasse in piedi, Rin si sentiva lo stesso
piccolissima in confronto a lui. Alzò lo sguardo e
incontrò due iridi ambrate. Non erano di certo calorose nei
suoi confronti, ma nemmeno ostili.
-Stai bene?- domandò asciutto il demone.
-Io… sì, credo… credo di
sì- farfugliò la piccola cercando di nascondere
la gonna strappata alla vista di quel ragazzo così bello
che, ai suoi occhi, pareva un principe.
Sesshomaru fu però più veloce di lei e
notò subito il dettaglio che Rin aveva cercato di nascondere
in maniera goffa.
-Vorrei poter risarcire la tua divisa scolastica come modo per scusarmi
dei modi rudi del mio autista- disse di nuovo lui.
Rin capì che l’uomo verdastro non avrebbe mai
osato contraddire il suo datore di lavoro ed infatti rimase in
silenzio, anche se l’espressione sul suo visò
mutò nuovamente, diventando da reverenziale ad indignata.
-oh… la ringrazio ma non è necessario- si
affrettò a dire Rin, inchinandosi profondamente per chiedere
scusa e arrossendo vistosamente.
Si girò per allontanarsi e recuperare la sua cartella.
-Chiedo scusa per la mia sbadataggine… e grazie per la sua
gentilezza- urlò mentre si allontanava correndo per le
strade cittadine.
Nonostante Rin fosse sparita alla vista, Sesshomaru rimase ancora per
qualche secondo in piedi guardando nella sua direzione. Che ragazzina
buffa. Si ricordava di lei, la sua memoria demoniaca non falliva mai.
L’aveva vista due anni prima a teatro e anche quella volta si
era trovata ad occupare il suo spazio. Ma lei non aveva accennato
nemmeno un secondo ad un possibile ricordo che le rammentasse il loro
incontro avvenuto qualche anno prima. Dopotutto era solo una misera
nigen.
-Jaken- tuonò poi in direzione del suo autista, che subito
scattò preoccupato.
-Dica, Sesshomaru-sama-
-Tu sai cosa fare- si limitò a dire, mentre lentamente
risaliva sulla vettura.
***
-Ma sei davvero sicura di quello che dici, Midoriko?-
domandò Ryota.
-Assolutamente sì- rispose la donna mentre sorseggiava una
tazza di tè bollente.
-Ma sono così giovani, sono ancora del tutto immature-
-Certo che lo sono, ma penso di avere abbastanza esperienza per poter
riconoscere due attrici talentuose da lontano- continuò lei
con un tono leggermente più duro, risentendosi del fatto che
il suo giudizio fosse stato messo in discussione.
-Beh, se lo dici tu, mi fido allora- continuò Ryota,
consapevole del fatto di aver offeso la sua amica.
-Ma una emergerà più dell’altra.
È molto probabile che con il tempo possano diventare rivali,
nel caso entrambe decidessero di intraprendere la carriera di attrice-
sentenziò alla fine la donna per poi riprendere a gustare il
suo tè.
Salve a tutti voi, cari lettori! Finalmente sono riuscita a pubblicare
un capitolo nuovo. Mi dispiace di non poter essere più
veloce, ma la storia non è ancora ben definita e nella mia
testa penso sempre ai mille cambiamenti che potrei fare. Come scritto
nel primo capitolo, questa fanfiction prende spunto da un manga che io
personalmente adoro, "Garasu no Kamen", infatti i nostri due beneamini
mi ricordano molto i protagonisti del manga. Ovviamente ci saranno
alcuni punti di contatto con il manga, ma non vi preoccupate
perchè sto lavorando duramente per creare qualcosa del tutto
personale.
Ringrazio Gaudia,
Saydna e Maria76 per aver commentato il capitolo precedente, spero che
anche questo vi sia piaciuto.
Al prossimo capitolo!!!
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