What's Left Behind

di AidenGKHolmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Spears and shields ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Castle of Glass ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Letter from the lost days ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - We'll meet again ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Ciò che è morto non muoia mai ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - At the bottom of everything ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Spears and shields ***





WHAT'S LEFT BEHIND


Capitolo 1 - Spears and Shields
 
***


“Tu non hai idea di quanto sia imbarazzante avere questo tipo di conversazioni con te”

Judy, sprofondata nel sedile del passeggero, tentava inutilmente di pulire una delle lenti dei suoi occhiali da sole, non accettando l’idea che si fosse leggermente graffiata durante una colluttazione avvenuta il giorno precedente. Tutto si poteva dire di quella coniglietta, tranne che non fosse una tipa testarda.

“Certo, come no. Solo che sai cosa pensavo, Carotina? Secondo me si tratta di quel tipo di disagio della serie ‘Oh no, sto diventando rossa come i peperoni che i miei genitori coltivano, ma ti prego, dimmi di più’ o cose del genere”
Il falsetto che avrebbe dovuto imitare il tono di voce della sua amica ebbe come unico risultato il far scoppiare a ridere la stessa Judy.  Controllando lo specchietto prima di reimmettersi nel traffico cittadino, sbuffò infine un’ultima risata.
“Sono discorsi strani, ma non puoi farne a meno” Asserì, ingranando la prima e riprendendo il pattugliamento.

Per quanto Judy odiasse ammetterlo, doveva dargli ragione; quel genere di conversazioni erano tanto imbarazzanti quanto ormai parte della sua routine quotidiana e non avrebbe potuto rinunciarvi neppure volendo: a memoria di coniglio, non rammentava un solo giorno degli ultimi cinque mesi in cui le sue guance non avessero raggiunto temperature ai limiti delle leggi fisiche a seguito di battute o affermazioni da parte della volpe in quel momento alla guida dell’auto.

“Ah-ah. Certo, convinto tu” Lo canzonò lei, sorseggiando il caffè ancora bollente acquistato qualche minuto prima.

C’era però qualcosa di strano, nell’aria. E non si trattava del consueto velo di smog che imperversava lungo le grandi vie di Downtown, né del delicato aroma emanato dal cappuccino tra le mani della coniglietta; qualcosa di più invisibile e astratto che solo Nick e Judy erano in grado di percepire
Ma mentre il primo sembrava essersene già dimenticato, convinto di essersi messo in salvo tramite quell’arguto scambio di battute appena conclusosi, la seconda non aveva invece perso di vista il suo “obiettivo”, sempre che così potesse essere definito.

“Comunque non mi hai ancora risposto. E se fai un’altra battuta sui reggiseni, giuro che ti azzanno il collo”

Già quella sola frase, seppur pronunciata in maniera scherzosa, come una comunissima battuta fra colleghi, fu sufficiente ad invertire i ruoli e far sì che fosse Nick a sentirsi profondamente a disagio: ricordargli quel genere di comportamento non era certo d’aiuto alla sua stabilità psicologica e, inoltre, a peggiorare il tutto ci pensarono le successive parole di Judy.

“Non mi ricordo neppure la domanda, quindi non vedo che risposta potrei dare”

Una replica frettolosa e asciutta, che nella mente della volpe risuonò come un chiaro invito a lasciar cadere il discorso nel dimenticatoio, ma che non ebbe altri effetti se non “istigare” Judy a ricominciarlo da zero.

“Oh e va bene signor Wilde, facciamo i duri eh?” Sbuffò, appoggiando la tazza di cartone nel portabicchieri e facendo risuonare le proprie parole come quelle di un investigatore di un vecchio film noir, con tanto di torcia che per l’occasione Judy puntò dritta verso il volto del suo partner.
“Non mi ha mai detto cosa sia successo dopo quella sera al campo degli scout”.

Nick sentiva sudare ogni singolo centimetro del suo corpo mentre l’ansia montava pian piano nel suo petto, per poi diramarsi fino alla punta delle orecchie. Nel corso dei mesi aveva ulteriormente rafforzato i suoi già più che saldi nervi e nonostante la tensione provata riuscì a mantenere il sangue freddo e a cercare un’ultima, disperata scappatoia per togliersi da quella situazione.

“Non è una domanda” Tagliò corto, sperando in cuor suo che la riluttanza dimostrata di fronte al dare una risposta precisa la spingesse a desistere. Così, purtroppo, non fu.

“Nick” Il tono usato da Judy non era più scherzoso o condito da una nota divertita. Quello che prima era solo un dubbio, divenne una certezza chiara e lampante: stava cercando di sviare l’argomento “Perché non me lo vuoi dire?”

Nick alzò gli occhi al cielo, anche se solo per una frazione di secondo, onde evitare di finire col tamponare l’auto di fronte.

“Mi vuoi spiegare perché t’interessa così tanto? Cosa c’è da dire? È roba passata, finita, terminata, kaput. Non capisco questa tua fissazione.”

Quel loro dialogo ormai aveva assunto l’aspetto di una specie di duello e Nick non se la sentiva di rischiare: aveva innalzato un muro di scudi contro quei colpi di lancia che erano le domande di Judy, ma quest’ultima non si sarebbe data per vinta così facilmente.

“Non è mai finita. Una cosa simile non finisce così facilmente e da quanto ho capito non hai mai fatto niente per affrontarla davvero.”

Mai parole più sbagliate erano state pronunciate tra le pareti di quell’abitacolo.

“Prego?!” Sibilò Nick, allentando la pressione sul pedale dell’acceleratore e voltandosi verso la collega, sul cui volto era già visibile la consapevolezza di aver esagerato. I suoi occhi color glicine incontrarono a metà strada lo sguardo furibondo della volpe.

“Oh dai, intendevo che-“ Le sue parole vennero interrotte da quelle di Nick, che non le diede il tempo di aggiungere alcunché. Non era la prima volta che capitava e sapeva perfettamente dove la sua amica sarebbe andata a parare, così decise di giocare d’anticipo.
“So benissimo cosa intendessi dire. Non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno con mia madre. E sì, è vero, tu sei stata la prima a sapere di questo episodio. Ma questo non ti dà il diritto di ficcare il naso nel mio passato, è chiaro?”

Nella sua voce vi era una punta di veleno malcelato, dovuta sia all’insistenza di Judy – che già in altre occasioni aveva tentato di estorcergli qualche ulteriore retroscena della sua vita prima del loro incontro, con risultati pressoché inesistenti – che allo stress accumulato negli ultimi giorni, dopo che una strana ondata criminale aveva scosso sia Downtown che Tundratown.

“Ficcare il naso?” Ripeté Judy, fissandolo in un misto di sgomento e incredulità: davvero si trattava dello stesso Nick con cui fino a poco prima aveva riso e scherzato come se nulla fosse?
“Nick, io sto cercando di aiutarti, tutto qui”

“E io ti ringrazio, Carotina... ma magari sono io a non voler essere aiutato. Ci hai mai pensato, a questa eventualità? Oppure, secondo il tuo punto di vista, ogni abitante di questa città deve accettare a prescindere qualunque aiuto non gradito?”

Un vero e proprio muro di ghiaccio piombò tra i due: nessuno proferì più alcuna parola e per qualche istante gli unici suoni udibili furono quelli sommessi ed ovattati delle auto attorno alla loro. 
Il sentimento di rifiuto che Judy percepiva nei propri confronti cominciò ad ardere in lei come la legna essiccata in un camino e la conseguenza più immediata fu il lasciarla paralizzata e con le orecchie basse per una manciata di secondi, a fissare il suo amico.
Nick, dal canto suo, preferì invece rimanere impassibile e concentrarsi sul percorso da seguire nonostante sentisse lo sguardo ferito della coniglietta puntato su di sé come un fucile.

Lo stallo tra i due venne meno dopo una quindicina di secondi dalla radio di bordo, dalla voce gracchiante di uno degli agenti di pattuglia quel giorno... e dai rumori di sottofondo che infransero il silenzio come un mattone scagliato contro un vetro.

“Dieci-settantuno, colpi d’arma da fuoco sulla Statale 28, codice 3” 

Allungandosi verso l’alto, Nick mise rapidamente in funzione le sirene dell’auto, per poi dare il via ad uno slalom furibondo nel traffico cittadino di metà mattina. Di solito, l’addetto alla radio avrebbe dovuto essere il copilota, ma Judy era ancora immobile e intenta a squadrarlo e se il suo collega non l’avesse “gentilmente” spronata, forse il suo atteggiamento non sarebbe cambiato di una virgola.

“Judy, cazzo! Dì loro che stiamo arrivando, sei qui per lavorare o per perdere tempo?”

Qualcosa, dentro di lei, si era appena spezzato, e nel momento in cui aprì la comunicazione tramite la ricetrasmittente, la sua voce era vuota e priva di qualsiasi emozione. Non vi era né l’adrenalina né il desiderio di aiutare qualcuno in difficoltà: in quel momento, avrebbe voluto concentrare tutta la sua attenzione sul suo migliore amico... ma non le era concesso.

Per Nick, invece, fu ben diverso: per la prima volta da quando aveva intrapreso quella difficile carriera, si ritrovò a provare un qualche senso di gratitudine verso un criminale, il cui unico “merito” era avergli salvato la giornata.


 
***


Note dell'autore: salute a tutti! 

Dunque dunque dunque, non domandatemi da dove venga l'ispirazione per questa Fan Fiction, perchè la sola risposta esistente è un gigantesco "non ne ho idea". La settimana scorsa, nel rivedermi il film in maniera del tutto casuale, mi sono imbattuto nella malsana idea della serie "Ehi, hai scritto fan fiction su ogni opera che segui, ma non ti sembra che manchi qualcosa?"
E visto che sono una persona che ama raccontare i momenti perduti di personaggi che adoro... perchè non chiamare in causa proprio il sior Nick?  
Che altro dire, spero che possa piacere o quantomeno suscitare l'interesse di qualcuno, ma se necessario vi fornirò gli estremi della mia cassetta di sicurezza in banca, in modo da potermi recapitare buste contenenti antrace o SARS ^^"

A presto!

GK

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Castle of Glass ***


WHAT'S LEFT BEHIND

Capitolo 2 - Castle of Glass


 
" 'Cause I'm only a crack in this castle of glass
Hardly anything there for you to see
For you to see "


***

 
Era difficile distrarre Clawhauser dalla sua attività preferita; dopotutto, la degustazione di sopraffine ciambelline glassate era una passione a cui dedicava tutto se stesso e generalmente, per riportarlo coi piedi per terra. sarebbe stata necessaria l’esplosione di una bomba.
Quando però quel giorno le porte vetrate della centrale di polizia si spalancarono, il ghepardo si rese conto che far saltare per aria un ordigno a pochi metri da lui sarebbe stata un’opzione preferibile a ciò che si trovò davanti.

“Mi spieghi che t’è preso? Non puoi trattare un sospettato in quel modo tanto per fare!”

Judy stava quasi rincorrendo Nick, a qualche passo da lei e apparentemente non interessato a fermarsi e discutere con la coniglietta alle sue spalle.

“Mi stai ascoltando?!” Esclamò lei, prendendolo per un braccio e costringendolo a voltarsi “Non puoi fare quello che ti pare, durante un intervento!”

Afferrando bruscamente il polso della collega, Nick la costrinse a lasciare la presa e la incenerì con un’occhiata che sprizzava vero e proprio risentimento. I suoi occhi color smeraldo incontrarono però la resistenza di quelli violacei dell’amica dal pelo grigio, che non distolse lo sguardo.

“No aspetta, fammi capire bene: vuoi impormi cosa fare coi miei problemi, vuoi darmi lezioni su come comportarmi col mio passato… ed ora vuoi perfino spiegarmi come seguire le procedure d’arresto?” Le ringhiò la volpe, muovendo un passo verso di lei.
Il diverbio, nel frattempo, aveva catalizzato tutta l’attenzione di Clawhauser, oltre che quella di molti altri agenti, impegnati a svolgere le proprie mansioni di routine fino a poco prima: era raro assistere a discussioni del genere tra quelle mura e, com’era ovvio che fosse, nessuno gradiva quel clima di tensione che esse comportavano.

“Ah, quindi colpire più e più volte qualcuno lo chiami arresto? Aveva gettato l’arma, non avevi alcun diritto di fargli del male!” Sbraitò Judy, che a differenza di qualche mese prima, non arretrò d’un metro di fronte a quel gesto quasi minaccioso del suo partner.

Sospirando e cercando di ritrovare un autocontrollo ormai prossimo all’esaurimento, Nick replicò con acidità “E dimmi, le mani le ha alzate? Per quello che ne sapevamo, avrebbe potuto avere un’altra pistola infilata nei pantaloni o chissà dove”

Judy era certa di essere nel giusto: non avrebbe mai intrapreso volentieri una litigata del genere con nessuno, tantomeno col suo migliore amico, ma non poteva neppure accettare che un suo sottoposto pretendesse di darle lezioni su come affrontare i criminali, specialmente dopo aver vissuto insieme decine di situazioni analoghe ed averle gestite in ben altra maniera.

“Sei completamente impazzito, Nick! Te ne rendi conto?! Hai fratturato chissà quante costole a quel poveraccio senza un vero motivo. Cosa credi che dirà il capitano, nel momento in cui leggerà il rapporto?” Sbottò d’un tratto, spintonandolo all’indietro.

A guidarla fu il solo e semplice istinto, ma ciò fece nuovamente riaffiorare quei ricordi che Nick era riuscito ad annegare in un oblio oscuro, appositamente creato dal suo cervello dopo aver conosciuto la coniglietta.
A sua volta, Nick tentò di renderle pan per focaccia, ma appena prima di agire, Clawhauser si intromise tra i due e, data la sua mole, risultò impossibile venire davvero alle mani.

“Vi volete calmare o no?” Il tono del ghepardo era imperioso e non ammetteva repliche: per quanto all’apparenza sembrasse un tenero bonaccione, era altrettanto in grado di farsi rispettare nel momento del bisogno, anche se non poté comunque impedire che i due si scambiassero una serie di sguardi furenti.

Non fu chiaro se il capitano Bogo fosse stato avvertito da qualcuno circa la lite in corso al pianterreno o se invece fossero state direttamente le grida di Judy e Nick ad allertarlo. Ad ogni modo, nonostante la stazza massiccia, il bufalo muschiato si diresse a passo pesante verso l’entrata del quartier generale, aiutando Clawhauser a mettere quanta più distanza possibile tra i due litiganti.

“Qualcuno mi spiega che diamine sta succedendo?”

La sua voce si sovrappose a quella dei due agenti, che squadrò con aria severa. Tuttavia, mentre Nick si limitò ad evitare lo sguardo del suo comandante senza proferire parola, Judy non perse tempo ed espose subito i fatti.

“Lo chieda a quella volpe! Provi a chiedergli come mai abbiamo dovuto richiedere un’ambulanza per il sospettato!”  
“Ah ma sentila, quella che-“ Le parole di Nick non incontrarono una conclusione.

“BASTA!” Tuonò Bogo, facendo quasi tremare le pareti “Hopps, Wilde, nel mio ufficio. E il primo che allunga le mani sull’altro lo sbatto fuori dal mio distretto seduta stante, chiaro?!”

Il capitano Bogo era un superiore dall’inflessibilità quasi totale: egualmente giusto e severo, non permetteva sgarri di nessun tipo a qualunque agente sotto il suo comando, neppure se per una giusta causa, ma nonostante quella sua fama da “sergente di ferro” non poteva non provare una certa preoccupazione per quel deterioramento di rapporti; avrebbe dovuto chiedersi se fosse stato un processo già in atto da tempo o se invece fosse il frutto di un qualche rancore temporaneo a lui ignoto… ma non c’era tempo per quel genere di domande.

***

Quando Nick riaprì gli occhi, si ritrovò sdraiato a faccia in giù sul pavimento della sua stanza, a respirare la polvere che si era accumulata nel corso dell’ultimo mese. Dalla quantità di luce che invase le sue pupille, la volpe intuì che fosse già mattina inoltrata, se non addirittura primo pomeriggio. Per quel che ne sapeva, però, avrebbe potuto tranquillamente trovarsi al cospetto di qualche esperienza premorte.
Con suo sommo sollievo, fu in grado di scartare tale eventualità quando, rotolando su un fianco, andò a travolgere un paio di bottiglie appoggiate a qualche centimetro di distanza; di certo in paradiso non esistevano i negozi di liquori.

Senza curarsi minimamente del liquido rossastro che dalla bottiglia si riversò sulla moquette grigia, la volpe fece un grande sforzo per rimettersi in piedi e si rese subito conto che muovere anche un singolo passo senza stramazzare al suolo fosse un’impresa degna di un equilibrista, ragion per cui preferì mettersi a sedere sul bordo del divano, massaggiandosi le tempie con gli indici.

La sua mente versava in condizioni perfino peggiori del suo corpo: ricordava poco e nulla del giorno precedente, se non la sequela di insulti che lei e Judy si erano scagliati addosso vicendevolmente anche una volta entrati nell’ufficio del capitano Bogo. Ma, per quanto Nick volesse aver ragione a tutti i costi, le parole della collega lo avevano ferito come poche altre volte in vita sua.

Non venne aperta alcuna indagine circa l’arresto effettuato da Judy e Nick, quel giorno: il distretto non poteva permettersi di perdere uno – se non due – elementi così validi, specialmente con una situazione in città prossima a raggiungere lo stato di crisi in tre settori diversi.
L’ultima cosa che Nick rammentava era la porta dell’ufficio che si chiudeva con violenza alle sue spalle.
Da lì in poi, tutto si interrompeva e i ricordi più recenti andavano a mischiarsi a frammenti sfocati risalenti a molti periodi diversi della sua vita passata, senza alcun vero legame logico tra di essi.

Non dovette comunque consultare un indovino per capire cosa avesse fatto per affrontare quella che andava ad unirsi alla sua già ricca collezione di delusioni e fallimenti.

Bere fino a vomitare l’anima e collassare sul pavimento; ecco l’unico modo che era riuscito a trovare per evitare di affrontare il mondo e tutto ciò che lo riguardava, se non altro per qualche ora. Non l’aveva mai fatto di proposito, probabilmente perché le forze per gestire i momenti di sconforto era sempre riuscito a trovarle… ma ora Finnick non era più parte del suo mondo e l’unica amica che avrebbe potuto aiutarlo, ne era sicuro, lo odiava.

I rimorsi cominciarono ben presto a rodere e consumare l’animo di Nick, ma a differenza delle altre volte accadde qualcosa di inaspettato, qualcosa che non aveva mai considerato di provare: decise di riflettere con maggior attenzione.

In fondo, Zootropolis cos’altro aveva da offrire, ad uno come lui? Non voleva mentire a se stesso, la sua buona sorte era stata fin troppo generosa a donargli una seconda chance, fornendogli l’opportunità di cambiare vita, di smettere di vivere nella clandestinità e di stringere un legame vero e proprio con qualcuno che non facesse parte del sottobosco di piccoli criminali che bazzicava tempo prima. E lui, per tutta risposta, aveva gettato ogni progresso alle ortiche non appena cominciò a sentirsi non più adatto per una come Judy.

Aveva troppo da nascondere: troppi traumi, ferite, rancori e lotte interiori ancora in corso… se tutto ciò che lo riguardava fosse stato portato alla luce, la coniglietta l’avrebbe disconosciuto seduta stante e se la loro amicizia fosse stata predestinata a non durare nel tempo, non sarebbe stato lui ad impugnare la mannaia con cui troncarla di netto.

E ormai i giochi erano finiti: indietro non si poteva tornare, né tantomeno presentarsi di fronte alla sua porta promettendo di raccontarle tutto. Di certo non l’avrebbe ascoltato… e anche se lo avesse fatto, lui non sarebbe mai riuscito a dirle la verità.

Il suo sguardo si perse ben presto nell’orizzonte di palazzi e grattacieli visibili dalla sua finestra.

In un certo senso, aveva sempre odiato quella città: una gigantesca metropoli colma solo di belle parole, luci, slogan e soprattutto tanta apparenza che in realtà nascondeva uno strato di marciume non indifferente.
Da piccolo, il suo sogno più grande era stato quello di andarsene via per sempre, lontano da tutto e da tutti, in modo da poter ricominciare da capo, ma per un motivo o per l’altro non aveva mai compiuto quel passo così importante.

Ma ora non aveva più nulla da perdere: il suo business di ghiaccioli e legname da quattro soldi non esisteva più, aveva sicuramente spezzato il cuore della sua Carotina e con ogni probabilità, a causa di ciò, sarebbe stato esposto al rischio di pregiudizi sul posto di lavoro, rimasti sopiti ma mai scomparsi del tutto. 

Della sua vita gli erano rimasti solo piccoli pezzi inceneriti. E non erano sufficienti per permettergli di ripartire da capo per l’ennesima volta.


 
***


Note dell'autore: Zan zan zaaaan! 

Ok, so che come capitono non è tutta sta lunghezza, considerato anche la quantità di lavoro che ho impiegato per la revisione (Non ero mai soddisfatto al 100%, ma alla fine mi conosco e so che se avessi continuato così, per il capitolo 2 avreste potuto aspettare direttamente il sequel del film). 
Che dire, il declino continua! Ad ogni capitolo cerco sempre di aggiungere quel qualcosa in più utile ad approfondire la psicologia dei due protagonisti, anche se in realtà da questo capitolo in poi ci sarà una svolta. Se prestate sufficiente attenzione, forse potreste già intuirla: si tratta di una "tecnica narrativa", se così vogliamo chiamarla, che non sono solito utilizzare ma che ho sempre voluto sperimentare e, beh, perchè non approfittarne ora?

Spero comunque che come secondo capitolo abbia rispecchiato le aspettative, lasciate pure un commento o una critica, se vi andasse di farlo! Sono sempre felice di ascoltare i pareri di tutti! 

Alla prossima ^^

GK

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Letter from the lost days ***


WHAT'S LEFT BEHIND

Capitolo 3 - Letter from the lost days

***


 

Il cuore di un coniglio, in condizioni ordinarie, batte per circa duecento volte al minuto, cifra ben al di sopra della media di molti mammiferi. Nonostante non sia la frequenza cardiaca più elevata, si assesta comunque tra le prime posizioni.

Quella sera, il piccolo cuoricino di Judy sembrava intenzionato ad infrangere ogni record della sua specie e se avesse continuato in quel modo, ne era certa, avrebbe stirato le zampe prima che il sole tramontasse del tutto.

Lo stato d’ansia persistente con cui aveva dovuto fare i conti per tutta la giornata si rivelò un temibile nemico e spesso fu sul punto di sopraffarla.

Il motivo era ben chiaro a tutti.

Nick non si era mai assentato dal lavoro sin da quando era stato integrato nel distretto: neanche la più aggressiva delle allergie o la più subdola influenza sembravano in grado di costringerlo a letto.

Di ora in ora, una strana sensazione cominciò ad insinuarsi in Judy. Aveva cercato di chiamarlo per un paio di volte, durante le piccole pause tra una pattuglia e l’altra, ma il cellulare del suo amico non aveva dato alcun segno di vita. Un mutismo assoluto si manifestò anche sulle chat. E circa un’ora prima della fine del suo turno, decise di averne abbastanza. Era ancora infuriata con lui, ma aveva anche a cuore il benessere di Nick e avrebbe fatto qualsiasi cosa per riaggiustare le cose tra di loro.

***

Il grido delle sirene della pattuglia Z240 riecheggiò lungo tutto il quartiere, rimbalzando sulle pareti di cemento che circondavano la via come una specie di muraglia colorata ed impenetrabile. Non che ci fosse alcuna emergenza in atto, anzi… non secondo il protocollo, almeno.

Il caso che Judy si era autoassegnata avrebbe ricevuto verosimilmente una “priorità 3”, la più bassa di tutte, ma d’altro canto stava infrangendo le regole per una buona causa: la sua. E chi mai avrebbe potuto impedirglielo, oltretutto? Fangmeyer, in quel momento stravaccato beatamente sul sedile del passeggero? Quel felino non sembrava rendersi conto della situazione, dati i commenti d’apprezzamento su quello stile di guida così “sportivo” che dedicò alla sua collega.

“Un altro paio di svolte e ci siamo…” Si ripeteva Judy, che ad ogni metro percorso faticava sempre di più a destreggiarsi tra professionalità ed impulsività, tra sentimenti e lavoro o, più semplicemente, tra lucidità e completo panico.
L’arrivo di fronte all’edificio dove abitava il suo migliore amico fu, se possibile, anche più irruento di tutta la folle corsa che lo aveva preceduto: con una brusca sterzata, Judy invase la corsia opposta, rischiando un frontale con un’auto a cui tagliò inevitabilmente la strada.

Non si disturbò neppure a spegnere il motore o di estrarre le chiavi dal cruscotto: con un balzo degno della miglior atleta, Judy balzò fuori dal finestrino e si fiondò verso il portone, seguita a ruota dalla tigre. In quel preciso istante, la coniglietta temette che il cuore volesse balzarle direttamente in gola e dovette ricorrere ad ogni sforzo in suo potere per rimanere calma.

Il piccolo rialzo che Nick aveva costruito appositamente per lei, in maniera tale che potesse raggiungere il campanello senza dover saltare, era ancora lì al suo posto e Judy non perse neppure un istante: dopo essersi fiondata sulla sua sommità, schiacciò il pulsante e lo mantenne premuto per circa una decina di secondi.
Il ronzio del campanello proveniente dall’altro lato della porta era ben udibile, ma al di là di quello…

Silenzio totale.

La coniglietta cominciò a sudare freddo: ritornando coi piedi sul pianerottolo, fece qualche passo indietro e pregò che, da un momento all’altro, Nick facesse la sua apparizione. Non cercava neanche più di nasconderlo, era preoccupata a morte e non le importava quanto tremendo fosse stato il loro litigio. L’unica cosa che desiderava era che il suo migliore amico stesse bene.

Dopo qualche istante, Judy fece un altro tentativo. Il risultato, oltre al procurarsi una zampa indolenzita, fu il medesimo.

“Nick! Apri la porta! So che sei lì dentro, dai!”

Con la mano stretta a pugno, Judy batté con irruenza contro l’uscio, facendo rimbombare il legno e catturando l’attenzione di un paio di passanti dall’alto lato della strada.
 
D’un tratto, uno spettro si mostrò per una frazione di secondo tra i pensieri dell’agente. Era un’eventualità che non aveva considerato, in quanto al di là di ogni immaginazione: lo conosceva bene e non sarebbe mai arrivato a tanto, ma a quel punto non poteva escludere nessuna ipotesi.

Non c’era tempo per ulteriori avvisi verbali.

“Buttala giù” Sentenziò, facendosi da parte e lasciando campo ibero a Fangmeyer. In un certo senso si ritenne fortunata di aver avuto un felide così robusto come assegnazione sostitutiva: richiedere rinforzi alla centrale le avrebbe fatto perdere del tempo che, in quelle circostanze, valeva più dell’oro.

“Sissignora. Stia indietro” Mormorò, sistemandosi il cinturone per poi sferrare un calcio contro la porta, nell’area al di sotto della maniglia. Il risultato fu tanto plateale quanto efficace: la serratura non poté resistere ad un singolo colpo così ben assestato.

Il boato del metallo caduto al suolo si mischiò con quello dell’esplosione del legno, che scagliò schegge in ogni dove e riempì per un attimo l’atmosfera tombale dell’appartamento a cui Judy e Fangmeyer ebbero finalmente libero accesso.

“Nick?” Chiamò la coniglietta a gran voce, estraendo la torcia e puntandola di fronte a sé: le veneziane erano abbassate, il che non permetteva alla luce diurna d’illuminare al meglio tutto l’ambiente: solo qualche spiraglio giallognolo si faceva pigramente largo tra di esse, infrangendosi contro la carta da parati verdastra.

Il corridoio su cui dava l’ingresso principale non presentava alcuna anormalità. I pochi mobili con cui era arredato erano ancora là al loro posto e in perfetto ordine, così come i quadri appesi alle pareti, compreso il diploma dell’Accademia di Polizia conseguito alcuni mesi prima… ma di Nick nessuna traccia.

L’abitazione non vantava certo dimensioni mastodontiche; essendo composta soltanto da due stanze, al di fuori di quel piccolo androne, trovarlo sarebbe stato uno scherzo.
Muovendosi in avanti con passo felpato e degno del miglior predatore, Judy indicò la porta del bagno al suo partner, mantenendo le orecchie alzate e pronte a captare anche il minimo rumore: a lei sarebbe spettata la zona più delicata, quella capace di risvegliare ricordi tanto piacevoli e commoventi quanto letali, in una situazione d’emergenza.

La porta della sala principale si aprì con un sinistro scricchiolio sufficiente a farle arruffare il pelo. I battiti cardiaci della leporide crollarono da qualche centinaio a zero nel giro di un paio di secondi, o per lo meno questa fu l’impressione che Judy ebbe lì per lì. Senza accorgersene, si ritrovò ad implorare ogni entità divina. Il timore d’imbattersi nel cadavere del suo migliore amico la stava corrodendo come acido.

Le sue preghiere furono in parte ascoltate: di Nick non vi era alcuna traccia.

Judy non sapeva tuttavia se prenderla come una svolta positiva o negativa: certo, si sentiva sollevata dal fatto che la volpe non si fosse fatta del male, ma d’altro canto si ritrovava al punto di partenza e con un’emergenza ancora più grave da gestire.

Portandosi la ricetrasmittente vicino alla bocca e tentando di controllare il tremolio alle mani, Judy prese un paio di respiri profondi prima di schiacciare quel maledetto pulsante, cercando di sciogliere il nodo che strinse la sua gola, in modo da recuperare un po’ di apparente sicurezza, almeno nella propria voce. Scoppiare a piangere durante una comunicazione con la centrale era l’ultima cosa che voleva e dovette trattenersi ad ogni costo, nonostante i suoi occhi color ametista fossero già lucidi.

“C-Clawhauser, qui Z240, abbiamo un 10-57 al 1955 di Cypress Grove Lane, mandaci rinforzi, passo”.

All’ansia si sostituì ben presto il senso di colpa, un sentimento dalla diffusione ben più rapida e che fu in grado d’impadronirsi dei pensieri della coniglietta nel giro di qualche minuto.
Non avrebbe dovuto essere così dura con lui, specialmente per un solo ed unico errore commesso sul campo…

Dopo qualche istante d’attesa, la radio emise un rumore statico e un “Z240, qui centrale, una pattuglia in arrivo, tempo stimato cinque minuti. Avete bisogno della scientifica? Passo.” Infranse quell’atmosfera solenne per la seconda volta.

“Qui Z240, affermativo. Non credo ci sia molto da trovare, ma meglio far esaminare l’appartamento anche da loro, passo”

“10-4, teneteci informati. Chiudo”

Si rimproverava perfino di aver agito con insistenza, cercando di spingerlo ad aprirsi con lei sul suo passato e su tutte le situazioni orribili vissute durante l’infanzia. Se solo fosse stata in grado di percepire quel suo malessere con un minimo d’anticipo, forse Nick non avrebbe dato di matto durante l’arresto di quella zebra e non avrebbero quindi finito col litigare.

Numerose bottiglie dalle etichette inequivocabili – proprio come l’odore che impregnava l’aria dell’appartamento e che si mischiava con quello di chiuso e stantio – giacevano accumulate sul bancone della cucina: vodka, rum, maraschino, tequila… una prova tangibile su cosa fosse successo tra quelle mura, alcune ore prima.

Sul pavimento erano invece disseminate molteplici macchie di vario colore, alcune trasparenti e simili ad acqua ed altre dai colori più scuri.
Judy cominciò a sospettare che il suo migliore amico potesse averle nascosto un problema di alcolismo per tutto quel tempo, ma ciò le parve impossibile: tale dipendenza presentava infatti una moltitudine di sintomi difficilmente occultabili, specie per una attenta ai dettagli come lei.

Eccezion fatta per la quantità di superalcolici che Nick doveva essersi scolato, non sembrava esserci nulla di anormale, almeno a prima vista.
Lo sguardo dell’agente Hopps, dopo qualche minuto d’ispezione di mensole e mobiletti, cadde su un piccolo dettaglio a prima vista insignificante ma che in realtà risultava alquanto fuori posto, a chi come lei conosceva bene la volpe scomparsa.

Il cestino era ricolmo di fogli di carta stropicciati.

Durante le numerose serate trascorse a casa di Nick, Judy si era trovata a scherzare più e più volte su come quell’oggetto fosse inutile per uno come lui, per nulla incline alla scrittura o alla composizione creativa e la volpe, in effetti, non lo utilizzò mai.

Senza perdere tempo e sotto lo sguardo confuso della tigre di fianco a lei, Judy ne rovesciò il contenuto sull’unico tavolo della stanza. Non avrebbe dovuto farlo, si trattava di inquinamento di prove e avrebbe rischiato il posto, ma arrivata a quel punto non le importava granché: l’unica cosa che desiderava era capire cosa fosse accaduto al suo amico e non si sarebbe fermata di fronte a nulla.

Quello che era nato come un semplice sospetto, si rivelò ben presto una certezza: tutti quei fogli stropicciati erano in realtà brevi lettere che Nick aveva scritto ad ognuno dei suoi cari. Sulla cima di ognuna di esse era riportato il nome del destinatario: Finnick, Bogo, Clawhauser, Flash… e alla stessa Judy.

Quest’ultima si trovava sul fondo del recipiente metallico; significava forse che fosse stata scritta per prima e subito scartata?
Ma perché iniziare un lavoro del genere per poi scartarlo in quel modo? Che l’avesse ritenuta non degna di un ultimo commiato? La sola idea parve sufficiente per spingerla nuovamente sull’orlo delle lacrime, ma cercò di darsi un contegno.

“Cara Judy.

Non so perché ti stia scrivendo queste parole… anzi, a dire il vero non so neppure se le leggerai mai. Se così fosse non ti biasimerei affatto. Neppure io farei, al tuo posto, non per uno come me almeno.

Nel caso tu stia ancora leggendo, beh, volevo iniziare questa breve lettera con uno ‘scusami’ ”


Seguivano interi paragrafi cancellati in malo modo, ognuno composto da non più di tre o quattro righe impossibili da decifrare così su due piedi. Il testo, comunque, riprendeva poco più in basso.

“E mi dispiace veramente tanto di averti ferita in quel modo. Tu eri, sei e sarai per sempre la mia Carotina, ma non posso avvelenare o mettere in pericolo la tua vita in questo modo, non più. Ho cercato di essere una volpe diversa dai pregiudizi che molti ancora hanno nei miei confronti, ma più passa il tempo più mi rendo conto di non meritare una come te… e tu non ti meriti tutto il male che ti sto facendo e che ti ho fatto.

Perché sei stupenda. E ti voglio bene.

E proprio perché ti voglio bene, devo lasciarti andare e tenerti al sicuro.

Tuo per sempre.

Una volpe ottusa”


Un paio di lacrime gocciolarono sulla carta spiegazzata del foglio stretto tra le mani di Judy. Non voleva singhiozzare, non lì e non in compagnia di Fangmeyer. Nonostante non lo conoscesse quasi per nulla, comunque, egli percepì il malessere della collega e spontaneamente le appoggiò una delle sue gigantesche zampe sulla spalla in segno di conforto.

Nella testa di Judy, però, quattro parole cominciarono a ripetersi come un tremendo eco diabolico.

“Che cosa ho fatto…”
 

***


Note dell'autoreSono tornato! Abbastanza rapidamente, a dire il vero, dato che questo capitolo è stato scritto già mooolti giorni fa, ma ha comunque richiesto una scrupolosa revisione che - spero - abbia dato i suoi frutti. Probabilmente (Ma non ne sono certo, quindi prendete sempre il tutto con le pinze xD) sarà il capitolo più lungo di tutta la Fan Fiction, anche perchè generalmente i capitoli più lunghi di millecinquecento parole tendo a dividerli in due. Questo raggiunge le 2100, ma non mi pare sensato separare un capitolo del genere quindi... boh, enjoy! Non credo ci siano errori di battitura o frasi tagliate (Sì, quando revisiono capitoli per giorni interi capita che ogni tanto vada a modificare una frase talmente tanto dal tagliarla a metà senza completarla -.-"), se così non fosse segnalatemi pure nei commenti i vari casi, li correggerò il prima possibile.

Spero di aver mantenuto gli stessi standard qualitativi precedenti, in caso come sempre i badili per spaccarmi il cranio sono a disposizione alla vostra destra.

Ci vediamo al prossimo capitolo! 

GK




PS: nel caso non abbiate voglia di andare a cercare su internet, 10-57 è il codice utilizzato dalla polizia statunitense per riferire un caso di persona scomparsa. Per i posteri xD


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - We'll meet again ***


WHAT'S LEFT BEHIND
Capitolo 4 - We'll meet again

 
***


Il grosso orologio a led di una farmacia appena oltrepassata segnava le 17 e 52. Nicholas Piberius Wilde era diventato un fantasma da quarantotto ore, minuto più minuto meno.

Muoversi per la città senza dare nell’occhio non era certo un problema per lui. Si era sempre ripetuto che la vita di strada presentasse vantaggi “nascosti” che gli sarebbero tornati utili nel corso degli anni e non si sorprese quando scoprì di avere sempre avuto ragione. La conoscenza approfondita di ogni vicolo, sottopassaggio o scorciatoia gli aveva permesso di rimanersene lontano dagli sguardi indiscreti dei passanti: rimaneva comunque la prima volpe poliziotto della storia e il suo volto, per un motivo o per l’altro, era già finito più e più volte sui giornali.

Durante la precedente fase della sua vita si era sempre imposto la regola di viaggiare il più leggero possibile e non l’aveva trasgredita neppure in quell’occasione, ma al di fuori della felpa nera portava con sé anche una tracolla color oliva saldamente assicurata alla sua spalla. Un accessorio assai inusuale per uno come lui, ma che non mancò di rivelarsi alquanto utile.

Camminando con una certa rapidità lungo una delle strade principali di Downtown, la volpe rossa si calcò il cappuccio sulla testa e respirò a fondo, quasi inebriato da quel profumo d’umidità e di cemento bagnato di cui l’intera Zootropolis si impregnava ogni volta che una perturbazione finiva di sferzare la città, come a lavare via i peccati dei mammiferi che la abitavano. Una bella ripulita, ed ecco che quella metropoli era pronta per sporcarsi di nuovo.

Attorno a lui, un fiume di prede e predatori intenti nei propri affari lo oltrepassava di continuo in entrambe le direzioni, senza neppure degnarlo di uno sguardo, lasciandolo ad affogare da solo in quella specie di formicaio. Perfino gli enormi grattacieli e i palazzi di vetro ammassati ai lati delle strade sembravano morire dalla voglia di inghiottirlo come terrificanti mostri di qualche libro per bambini.

Per l’ennesima volta da quando aveva riaperto gli occhi quella mattina, Nick si rimproverò di trovarsi ancora in città e non a centinaia di chilometri di distanza in cerca di… già, che cosa avrebbe cercato, d’ora in poi?

Nelle precedenti quarantotto ore, la risposta a tale domanda era stata una sola: soldi.

Ma non semplici soldi, non quelli che avrebbe potuto recuperare facilmente tramite un prelievo ad uno dei numerosi ATM sparsi per la città: sarebbe stato uno stratagemma troppo rischioso. Quel denaro sarebbe rimasto sul suo conto corrente e non lo avrebbe toccato per nessuna ragione al mondo.
Per sua fortuna, l’astuta volpe dagli occhi verdi aveva conservato “la lista”, come la chiamava lui.

Un lungo elenco di nomi, cognomi e relativi indirizzi di mammiferi che, per un motivo o per l’altro, avevano ancora debiti non saldati con lui.

Senza poter contare sul furgone di Finnick, Nick aveva impiegato poco meno di due giorni per perlustrare tutti i quartieri più malfamati della città, non più in veste di contrabbandiere di ghiaccioli ma di creditore alla ricerca di un po’ di denaro contante da riscuotere. Fu un’operazione di recupero lunga e complicata ma che, a giochi fatti, gli fruttò all’incirca quattromila dollari in contanti, più che sufficienti per tirare avanti per qualche tempo.

Nick si fermò per qualche istante sul lato interno del marciapiede e, per ironia della sorte, proprio di fronte alla vetrina di un fruttivendolo. Per qualche ragione a lui ignota, il suo istinto lo spinse a fissare il cesto di carote esposto assieme ad innumerevoli tipi di prodotti in bella mostra.
Chiedersi come la sua Carotina avrebbe reagito alla sua scomparsa divenne inevitabile, ma lo scenario che la sua mente costruì non fu certo tra quelli capaci di scaldare anche il più freddo dei cuori.

Dopo tutti i guai che aveva causato, l’intero quartier generale avrebbe festeggiato tale notizia con spumante, salatini e torte al mirtillo varie ed eventuali e poi ognuno sarebbe tornato alla propria vita, dimenticandosi per sempre della sua esistenza. Su questo, Nick sentiva di non poterne avere la matematica certezza, ma la sua mente amplificò quel sospetto. Non che la cosa potesse ferirlo più di tanto; l’ex poliziotto era tanto rapido ad accogliere qualcuno nella propria vita quanto pronto a lasciarlo andare in qualunque momento.

Non aveva tempo per immergersi nei ricordi: doveva smetterla di legarsi a situazioni passate, come se da esse dipendesse la sua vita.

Scuotendo la testa, Nick si cacciò entrambe le mani nella tasca della felpa e riprese a camminare, aumentando l’andatura. Non che fosse necessario, in realtà, dato che la sua destinazione si trovava a non più di trecento metri di distanza.
Dopo aver attraversato un paio di strade ed aver svoltato un angolo, la volpe si ritrovò di fronte alla maestosità della piazza antistante alla Stazione Centrale di Zootropolis, circondata dagli enormi schermi pubblicitari che trasmettevano gli spot più improbabili.

Il viavai di mammiferi d’ogni tipo era quasi in grado di dare alla testa: ognuno di loro era impegnato in un’attività differente. La maggior parte di loro erano normalissimi pendolari di ritorno da una faticosa giornata di lavoro, ma molti altri erano invece in attesa di qualche treno. Non mancavano neppure i semplici passanti diretti verso chissà quale distretto cittadino ma comunque desiderosi di godere un po’ dell’atmosfera piena di vita che la zona della stazione ferroviaria riservava ogni giorno, soprattutto ad un orario come quello.

“Eccoci qui. Capolinea.”

Quel pensiero dapprima sfiorò la mente di Nick come una carezza sul suo pelo rubicondo, ma ben presto finì con il martellarla violentemente.
Santo cielo, lo stava davvero facendo, dopotutto! Quel sogno che aveva portato con sé per anni ed anni sarebbe divenuto realtà e finalmente sarebbe stato pronto a ricominciare, al sicuro e lontano da tutto e da tutti.

L’eco delle numerose voci provenienti dalle aree zone della stazione era interminabile e il flusso di viaggiatori e passeggeri, oltre che quello di facchini e lavoratori vari, non aveva nulla da invidiare a quello in cui si era ritrovato Nick fino ad allora. La tentazione iniziale, accarezzando quella ruvida banconota da dieci dollari nascosta nella sua tasca, fu quella di comprarsi qualche snack per il viaggio da un distributore o da uno dei bar circostanti, ma anche una semplice distrazione di pochi minuti come quella sarebbe stata fuori discussione.

Nick continuò imperterrito a seguire il piano e si diresse a passo sicuro verso il tabellone delle partenze.
Di fronte alle brillanti scritte gialle impresse su di esso, la volpe si ritrovò spaesata e si rese conto che al proprio piano mancasse una parte tutt’altro che trascurabile: una destinazione.

Sparire nel nulla era stata una decisione tutt’altro che immediata; al contrario, era il frutto di anni ed anni di calcoli, progettazioni e, in misura minore, anche di una certa quantità di fantasie. Ma, esattamente come un bambino che sogna il proprio giocattolo preferito la notte della vigilia di Natale, non aveva pensato al seguito, a quello che sarebbe accaduto una volta oltrepassata la fatidica linea rossa.

Non si accorse neppure dello sguardo fugace di alcuni dei passanti, che non mancarono di osservare quello strano individuo fossilizzato di fronte al tabellone. Alcuni mormorarono di sottecchi qualche battuta, ma Nick era troppo impegnato a riflettere per potersene curare.

Se avesse diviso equamente la propria attenzione tra i propri pensieri e l’ambiente che lo circondava, Nick avrebbe di sicuro notato di quella figura che da qualche minuto lo stava osservando dall’altro capo di un binario. In un primo momento, essa rimase seduta su una panchina su cui si trovava, ma dopo qualche minuto d’incertezza, prese ad avvicinarsi di soppiatto alla volpe rossa.

Il ritorno alla realtà fu più brutale di una doccia gelata dopo un lungo sonno; Nick fu, ad onor del vero, molto bravo a nascondere il suo essere stato colto alla sprovvista, quando venne afferrato con decisione – che non sfociò comunque in vera e propria violenza – per l’avambraccio. Proprio com’era accaduto due giorni prima, alla stazione di polizia, fu costretto a voltarsi e le sue pupille contornate da iridi color smeraldo incrociarono quelle che non avrebbe mai voluto rivedere in vita propria. Il suo addestramento da poliziotto fece tutto il possibile per aiutarlo a rimanere impassibile e col sangue più freddo di quello di una vipera, ma il suo cuore perse comunque un battito, nello stesso modo brusco con cui il suo respiro gli morì in gola.

“Ciao Nicholas”


***



Note dell'autore: Ok, sono imperdonabile. Sono in ritardo di non so quante settimane, con questo capitolo, ma ho avuto un periodo in cui ho deciso di dedicarmi parallelamente ad un altro progetto e di conseguenza anche questa long è slittata in avanti di conseguenza.
Tuttavia non preoccupatevi, ora sono tornato e pronto a ricominciare. I prossimi tre capitoli, oltretutto, sono già scritti e preparati, necessitano solo di qualche aggiustatina.

Che dire, ne approfitto per ringraziare tutti voi della pazienza e spero continuiate a seguirmi nonostante il ritardo mostruoso di questo capitolo.
Sentitevi pure liberi di lasciare una recensione, positiva o negativa che sia, a me fa molto piacere ^^

Alla prossima! 


GK

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Ciò che è morto non muoia mai ***


WHAT'S LEFT BEHIND

Capitolo 5 - Ciò che è morto non muoia mai



***

“Beh? Che è quella faccia? Non sei felice di rivedermi?”

Hudson Wilde era ad un passo da Nick, con il braccio di Nick agganciato al suo in una ferrea stretta che impediva ogni tentativo di fuga del figlio. Non che potesse realmente provare a scappare, in realtà: Nick era rimasto paralizzato ed aveva smesso di provare veri e propri sentimenti, tutti sostituiti da una sola emozione che annichilì tutte le altre: il terrore.

L’unico blando tentativo di divincolarsi da quella morsa fu uno strattone non troppo convinto che ebbe come unico effetto il rafforzamento della presa di Hudson su di lui.
Sul volto del padre, la cui figura si stagliava più in alto di almeno una quindicina centimetri rispetto al figlio, era inciso un leggero sorrisetto beffardo, ma da quegli occhi color castagna non traspariva alcun tipo di autentica felicità, ma solo un sincero senso di soddisfazione.

Nick non faticava ad immaginare quale fosse il motivo di quell’appagamento capace di inebriarlo come il più raffinato dei vini. In fondo, di momenti per fantasticare su come sarebbe stato il loro successivo incontro ne aveva avuti più che in abbondanza, negli ultimi vent’anni… e Hudson aveva tutta l’aria di essere fermamente intenzionato a godersi ogni singolo secondo, mentre portava a compimento il suo piano.

“Una gioia, come sempre. Scusa, ma sto per perdere il treno, ci vediamo”

Nessuna delle parole contenute in quella frase fu preparata: l’istinto di Nick cominciava a prendere il sopravvento e a spingerlo a scappare verso la libertà… ma anche un comportamento innato può essere soppresso in molti modi.

E Hudson scelse un’opzione calibro 45.

Nick percepì la canna della pistola premuta contro il suo fianco attraverso il trench color sabbia indossato dalla grossa volpe dagli occhi castani, che facendo finta di nulla sibilò “Ho paura che dovrai rimandare”.
Di fronte a ciò, Nick percepì il sangue confluire verso la sua gola, rendendola secca come Sahara Square nella giornata più calda d’agosto. Non poteva fare nulla: se avesse lanciato anche solo un’occhiata d’aiuto a qualcuno dei passanti, si sarebbe beccato una pallottola prima di poter fare qualsiasi cosa e lo stesso finale si sarebbe prospettato in caso avesse tentato di darsela a gambe.

In quelle situazioni, neppure l’addestramento di un poliziotto era in grado di suggerirgli cosa fare per tirarsi fuori dai guai e la rassegnazione di essere fottuto s’impadronì di Nick. Non era mai stato un tipo passivo, ma di fronte ad una situazione senza via d’uscita, l’unica cosa saggia da fare era attendere e cogliere eventuali sviluppi a lui favorevoli… se mai si fossero presentati.

“Cammina, forza” Ordinò Hudson, tenendo Nick sottobraccio e costringendolo a spostarsi assieme a lui verso l’uscita della stazione, sotto gli occhi indifferenti degli ignari passanti.

Attorno al piazzale, il viavai di automobili proseguiva senza sosta, producendo un brusio sommesso che andava a formare un tutt’uno con quello delle voci di ogni singolo mammifero nel raggio di un centinaio di metri.
A guidare la coppia durante quell’amichevole “passeggiata” fu Hudson - com’era ovvio che fosse -, che si fece largo attraverso quel bagno di folla senza destare il minimo sospetto e trascinando il figlio verso un vecchio furgone parcheggiato sul lato est della piazza.

Hudson lo costrinse a sistemarsi al posto del passeggero, in modo da, testuali parole, “poterlo controllare meglio”. L’odore di tabacco all’interno era al limite del nauseante e di certo la sua combinazione con l’aroma di patatine al formaggio e di olio per motori non rendeva l’abitacolo profumato come una violetta di campo.

Una volta saliti a bordo, il veicolo si rimise in moto con un rumore sferragliante e meccanico e andò a mischiarsi con le auto imbottigliate nel traffico. A quel punto, divenne un mezzo di trasporto come tutti gli altri.

Le due volpi rimasero in un silenzio di tomba per diversi minuti, anche se per ragioni assai differenti: Hudson era troppo impegnato ad assaporare quella prima vittoria per scambiare quattro chiacchiere da ora del tè con il suo adorato figlioletto, mentre Nick si stava rendendo conto di quanto poco attentamente avesse osservato le strade di Zootropolis; la grossa arteria stradale che stavano attraversando in quel momento era una di quelle che la volpe dagli occhi verdi aveva frequentato più e più volte, durante le uscite serali con Finnick.

Il pub “La lontra e il quadrifoglio”, il club “Alive Dodo”, la discoteca “Hookfang”… tutti posti che Nick vedeva scorrere attraverso il finestrino, come frammenti di una vita prossima alla conclusione. Se in una di quelle serate avesse saputo di star bevendo l’ultima birra o giocando l’ultima partita a biliardo assieme a Wolfard o Grizzoli, forse si sarebbe goduto quei momenti con maggior attenzione…

“Allora, Nicholas, Nicholas, Nicholas… ho sentito che hai fatto carriera, eh?”

La frase di Hudson lo colpì come un pugno allo stomaco, non tanto per la scoperta in sè, di certo non degna dei migliori investigatori, quanto per ciò che essa comportava.

“Quindi? Che t’importa?” Replicò asciutto Nick.

A quella domanda Hudson non rispose, proseguendo imperterrito nel proprio discorso.

“Vuoi sapere che cosa abbia fatto io negli ultimi anni, invece? Ho riflettuto”

Di fronte ad una simile affermazione, perfino uno come Nick non potè evitare che il proprio volto si contorcesse in un’espressione sbalordita, ma quella reazione fu un fuoco di paglia.

“Già, ho riflettuto. Su come trovarti una volta evaso di prigione, chi andare a trovare per chiedere informazioni… e cosa fare con te. L’ultimo punto della lista è ancora in via di preparazione e non so bene come gestirlo, ma vedrai che tra poco troveremo una soluzione, che ne dici?”

Per la prima volta da molto tempo a quella parte, Nick provò paura, quella autentica, in grado di penetrare dentro le ossa di un mammifero e di scuoterlo come un cipresso nel bel mezzo d’una tempesta.
Non gli aveva riservato alcuna pietà, quando era più piccolo e, ne era sicuro, la galera non l’aveva certo reso più magnanimo.

Nella voce di suo padre, Nick poteva percepire la stessa spietatezza che aveva manifestato nei suoi confronti negli ultimi anni di convivenza con lui e sua madre: lo odiava ancora, anzi, se possibile ancor più di quando era stato incarcerato e il fatto che fosse stato il suo stesso figlio a spedirlo dietro le sbarre – anche se inconsapevolmente – gli forniva una duplice motivazione per rivalersi su di lui.

La paura, per le volpi come Nick, rappresentava una debolezza e qualcosa da combattere, contro cui innalzare un muro di scudi.
Talvolta, però, essa rappresenta l’unica emozione in grado di tramutarsi in un’arma e spingere a decisioni estreme e rischiose. Tuttavia ha ugualmente bisogno di una specie di “impulso” per far sì che i meccanismi di difesa si attivino davvero.

Nel caso di Nick Wilde, fu sufficiente che le sue dita sfiorassero lo schermo di vetro del cellulare, ancora conservato nella tasca della felpa. Suo padre, per quanto crudele fosse, non aveva la minima idea di come gestire un ostaggio, per lo meno non durante il trasporto verso chissà quale destinazione.

Doveva farlo. Judy non gli avrebbe mai perdonato di essere scappato in quel modo così meschino e vigliacco, ma una remota parte del suo cuore gli gridava che in realtà tutti i suoi amici stessero tentando di rintracciarlo in ogni modo. Pur sapendo di non poter più far tornare le cose com’erano prima della sua fuga, avrebbe quantomeno evitato di far soffrire la coniglietta per un motivo ancor più grave: la propria morte.

Se era vero che tutti lo stessero cercando, allora il suo cellulare era stato messo sotto controllo, senza ombra di dubbio… e lui non aveva gettato la SIM.

Aveva pensato di sbarazzarsene appena prima di salire sul treno, come estremo saluto alla vita che voleva abbandonare, ma visti gli sviluppi successivi non ne aveva avuto l’occasione.

Nick trattenne il respiro e, muovendosi più lento di un qualsiasi bradipo, raggiunse il pulsante d’accensione con l’indice, mantenendolo premuto per qualche istante.
Un fiume di pensieri attraversò la sua mente: quanta batteria gli restava? Si trovava in una zona con un minimo di ricezione, sufficiente per permettere all’equipe tecnica di triangolare la sua posizione? Qualcuno avrebbe davvero localizzato la sua posizione?

Tutte quelle domande smisero di avere importanza quando percepì la leggera ed appena percepibile vibrazione del suo telefono solleticargli i polpastrelli.

Aveva fatto la sua parte, ora tutto era in mano ai suoi amici.

 
***

Note dell'autore: yeeee, sono già tornato! Visto? Avevo promesso di non sparire di nuovo e ho mantenuto v.v
Che dire, iniziano le grandi rivelazioni e i primi colpi di scena! 
Ora sono davvero curioso di scoprire se quelli di voi che avevano sviluppato qualche pensiero iniziale sull'identità dell'individuo apparso nel precedente capitolo ci avessero preso o meno xD 
Come sempre, se vi fa piacere lasciate pure un commento o una critica, entrambi sono sempre ben accetti!

Alla prossima! ^^


GK







 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - At the bottom of everything ***


WHAT'S LEFT BEHIND

Capitolo 6 - At the bottom of everything


***


La sola vista dell’edificio che Nick e Hudson raggiunsero dopo una quindicina di minuti fu sufficiente per paralizzare quasi del tutto la volpe dagli occhi verdi. Quando suo padre aprì la portiera per farlo scendere, Nick non riuscì a muovere un muscolo e la minaccia della pistola puntata direttamente alla fronte fu altrettanto inefficace.
Hudson fu dunque costretto a trascinarlo di peso fuori dal furgone, obbligandolo ad entrare nell’edificio con una tale irruenza da farlo cadere al suolo.  

Il numero “2389” inciso sulla vetrata scheggiata e malridotta al di sopra del portone fu l’ultimo elemento dell’esterno che Nick ebbe modo di vedere, prima che l’uscio si chiudesse alle spalle di Hudson Wilde. A quel punto, Nick si ritrovò alla mercè dell’unica volpe che avesse mai temuto.

“Te lo ricordi, questo posto, vero?”

Nick non rispose e subito si rimise in piedi… o almeno ci provò. Un violento calcio alle costole lo spedì nuovamente a terra, senza che emettesse neppure un gemito.
Un comportamento innato, risalente a molti anni prima, aveva di nuovo preso il sopravvento, ricordandogli il periodo della sua travagliata infanzia: più Nick piangeva, più si lamentava e più suo padre avrebbe infierito con maggiore violenza.

Tenendosi il fianco con una zampa, Nick si rialzò, ignorando il dolore che si diramava come un’edera lungo tutto il busto.

“Io sì, tu invece… non penso possa ricordarlo. Non c’eri”

Un pugno al lato del volto fu la risposta a ciò che Nick osò controbattere, ma in quel caso non fu sufficiente a farlo cadere al suolo per la seconda volta. La ferita che si aprì al di sotto del suo zigomo cominciò a sanguinare immediatamente, insudiciando il rosso del suo pelo con un’inquietante tonalità scarlatta.

“Lo dici tu, Nicholas. Chi pensi abbia procurato quella museruola a quei ragazzini? Chi credi abbia dato loro l’ordine di piazzartela sul muso?”

Nick lo squadrò per un attimo senza dire nulla, ma ben presto si ritrovò a ridere. Non era una risata celante una qualche forma d’isteria dovuta alla consapevolezza di essere ad un passo dalla morte, bensì una più… liberatoria, qualcosa che si teneva dentro da troppi anni.

“E credi che non l’abbia mai capito, papà? Credi che non sappia che dietro a ciò che ho subito nel corso degli anni ci sia sempre stato tu? Non saresti finito in galera, se così non fosse!” Replicò Nick, arretrando di un altro passo, fino a ritrovarsi con le spalle al muro, di fronte a quella massa di muscoli che ormai non poteva neppure identificare come suo padre.

Non che lo fosse mai stato, d’altro canto.

“Vuoi uccidermi? Fallo. Non ti ripagherà degli anni che hai deciso di buttare via, perché la scelta è stata soltanto tua!” Aggiunse immediatamente dopo. Lì per lì non vi fu una vera e propria risposta, se non un’occhiata dubbiosa e indecisa che incenerì Nick. La volpe dagli occhi color smeraldo non vide neppure arrivare il pugno allo stomaco che lo fece piegare in due dal dolore, crollando sul pavimento in posizione prona.

Tutto l’ambiente si fece più luminoso, ma in un modo strano ed innaturale come se qualcuno avesse acceso una lampadina malfunzionante in grado di donare un alone biancastro e spettrale anche alla più colorata delle stanze.

Forse avrebbe dovuto fingersi morto, pensò: rimanere immobile a terra ad incassare i successivi colpi che suo padre gli avrebbe inferto pur vedendolo esanime.  Quella strategia aveva salvato la vita di molti opossum in situazioni di pericolo, ma lui non era uno di loro. Lui era una volpe. La prima volpe poliziotto della storia di Zootropolis… e non avrebbe rinunciato a tale primato solo per comportarsi come una specie di mammiferi a cui non apparteneva.

Tentando di rialzarsi per l’ennesima volta, Nick barcollò di lato e venne afferrato per il collo da Hudson, il quale prontamente lo spinse contro il muro, schiacciandolo con una violenza inaudita e sollevandolo da terra. Le pareti scrostate lasciarono cadere pezzi d’intonaco sul suo capo e sulla schiena, tingendo gli abiti di una tonalità giallo-biancastra.

Il primo istinto fu quello di portare afferrare con entrambe le mani il polso di suo padre, ma la presa ferrea che esercitava su di lui non si sarebbe allentata per così poco: per quanto Nick cercasse di utilizzare ogni muscolo delle proprie braccia, ogni sforzo veniva comunque vanificato dalla forza mostruosa di Hudson, il quale manteneva il suo sguardo assassino fisso sul figlio, in attesa che tirasse le cuoia.
Il sottopelo color crema attorno alla bocca cominciava ad essere macabramente decorato da alcune gocce di sangue provenienti dalla ferita al di sotto del suo occhio destro.

Alcuni leggeri bagliori, simili ai led di qualche albero di Natale, cominciarono ad apparire ai lati del proprio campo visivo, un chiaro segno di come le sue riserve d’ossigeno fossero già al minimo indispensabile per la sopravvivenza. Fu allora che l’istinto prese il posto della razionalità e probabilmente fu proprio questo a salvargli la vita ed impedirgli di svenire.

Sfruttando la potenza delle proprie gambe, Nick sferrò un brutale calcio allo stomaco di Hudson, il quale, colto alla sprovvista, ondeggiò all’indietro e fu costretto a lasciare la presa per qualche istante. Nick crollò a terra a sua volta, tossendo come non aveva mai fatto in vita sua. La sua trachea bruciava come se qualcuno gli avesse infilato un paio di tizzoni ardenti giù per la gola e ben presto, assieme ai colpi di tosse, giunse anche il sangue che Nick si ritrovò a sputare senza neppure accorgersene, gocciolando sul pavimento quasi senza emettere alcun suono.

Quelle forme rossastre sul parquet di legno della stanza furono l’ultimo ricordo nitido di Nick: gli eventi che seguirono si sovrapposero l’uno sopra l’altro, come in una specie di disastroso incidente in autostrada, in cui i veicoli più piccoli vanno ad impattare con altri di stazza ben maggiore, finendo col creare nient’altro che un ammasso di lamiere indistinte.

Qualcuno aveva sfondato la porta della stanza in cui i due si trovavano. Schegge di legno andarono ad unirsi alla vernice scrostata e alla polvere che volteggiava silenziosa nella stanza.

Nick credeva di aver udito grida concitate provenienti sia dall’interno dell’edificio che dalla zona antistante ad esso. Ad esse si erano poi aggiunti i rumori di vetri andati in frantumi e infine una serie di esplosioni aveva finito col chiudere quel raccapricciante concerto nel giro di pochi secondi.

No, non erano detonazioni… quelli erano spari, Nick lo realizzò qualche secondo dopo.

Aveva già udito il rombo generato da un’esplosione, quando assistette alla demolizione di un edificio qualche mese prima, e il suono era totalmente diverso. Oltretutto aveva a che fare settimanalmente con le armi da fuoco, dato il continuo esercizio che, in qualità di poliziotto, era solito svolgere per mantenere al meglio le proprie capacità di tiratore.

La prima delle diversità tra la sede degli Scout Rangers di Zootropolis e il poligono di tiro della centrale erano i rumori: nella seconda nessuno sbraitava in maniera così concitata come invece stava accadendo in quel momento, tra quelle vecchie pareti ingiallite. Al di là degli spari e del rumore dei bersagli colpiti dai proiettili, le conversazioni tra le mura della zona d’esercitazione con le armi erano sempre molto pacate e tranquille, talvolta perfino scherzose.

L’altra differenza ancor più fondamentale era che ritrovarsi sdraiato rantolante a pancia in su e con tre pallottole nello stomaco sarebbe stato pressochè impossibile, in un posto come la centrale di polizia.




 

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