Ritorno a Hogwarts di ONLYKORINE (/viewuser.php?uid=1040879)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ricostruzione ***
Capitolo 3: *** Riordinare ***
Capitolo 4: *** Tornare a scuola? ***
Capitolo 5: *** Partenza e arrivo ***
Capitolo 6: *** Nei corridoi di Hogwarts ***
Capitolo 7: *** Sabato ***
Capitolo 8: *** Tempo di feste, offese e scuse non dette ***
Capitolo 9: *** Una lunga notte ***
Capitolo 10: *** Problemi ***
Capitolo 11: *** Una puffola rosa shocking ***
Capitolo 12: *** Pansy ***
Capitolo 13: *** Il problema di Camille ***
Capitolo 14: *** Serata fra ragazze ***
Capitolo 15: *** Regali, allenamenti e feste ***
Capitolo 16: *** Gite, feste e spiegazioni ***
Capitolo 17: *** Partite e scommesse ***
Capitolo 18: *** La pozione di Draco ***
Capitolo 19: *** Visite ***
Capitolo 20: *** Partita a scacchi ***
Capitolo 21: *** Hermione spiega tutto ***
Capitolo 22: *** Alla Tana ***
Capitolo 23: *** Il carrillon ***
Capitolo 24: *** Subito ma troppo tardi ***
Capitolo 25: *** Ginny sempre più contenta ***
Capitolo 26: *** L'allenamento ***
Capitolo 27: *** L'ultima sera ***
Capitolo 28: *** Proposte ***
Capitolo 29: *** Medicazioni e visite ***
Capitolo 30: *** Chiacchiere chiacchiere chiacchiere ***
Capitolo 31: *** Incontri e spiegazioni ***
Capitolo 32: *** Il sabato di Hogsmeade ***
Capitolo 33: *** Al San Mungo ***
Capitolo 34: *** Il fiume dei serpeverde ***
Capitolo 35: *** La battaglia di neve ***
Capitolo 36: *** La festa nei sotterranei ***
Capitolo 37: *** Sorprese ***
Capitolo 38: *** La festa dei Serpeverde ***
Capitolo 39: *** Visita ad Azkaban ***
Capitolo 40: *** La casa di Pansy e Camille ***
Capitolo 41: *** In pizzeria ***
Capitolo 42: *** L'anello ***
Capitolo 43: *** Regali ***
Capitolo 44: *** Hermione ha un'altra crisi ***
Capitolo 45: *** Operazione 'Nott' ***
Capitolo 46: *** Appuntamenti, anelli e dichiarazioni ***
Capitolo 47: *** Vacanze ***
Capitolo 48: *** La cena alla tana ***
Capitolo 49: *** 2 maggio 1999 ***
Capitolo 50: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
I
personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà
dell’autrice JK Rowling
e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta
senza scopo di lucro
-
PROLOGO
-
Era finita. Lui
era morto. L’aveva
visto. Ma faceva ancora fatica a crederci. Mentre camminava, Harry
continuava
ad avere spasmi ai muscoli e le
sue
gambe facevano strani movimenti mentre ripensava all’ultimo
duello con Lui.
Anche il braccio che impugnava la sua bacchetta (ancora non riusciva a
metterla
via, come se non fosse realmente tutto finito) ogni tanto si agitava
indicando qualcosa
che si muoveva.
Quando
tentò di disarmare un rospo,
probabilmente scappato di mano a un ragazzino, decise di metterla via e
di
darsi una calmata. Più facile a dirsi che a farsi.
Così decise di cercare
l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo a
trovare un po’ di pace, nonostante il
cervello continuasse a pensare a quello che era successo.
Cosa sarebbe
successo se, in
quell’ultimo duello Voldemort avesse vinto? Se tutto quello
su cui aveva
ragionato non fosse stato corretto e all’ultimo non avesse
funzionato? O se….
Harry continuava
a girovagare per
il cortile, intontito dai sui stessi pensieri. Schivava le persone che
uscivano
dal portone. Stavano tutti uscendo. Le mura del castello imprigionavano
ancora
morte e desolazione, nonché i corpi di chi era caduto
combattendo. Harry
avrebbe voluto fermarsi a consolare ogni persona che piangeva e dare
pacche
sulle spalle a ogni ragazzo che aveva combattuto, ma adesso aveva una
cosa
importante da fare, non poteva fermarsi. Lo avrebbe fatto, fra poco, ma
prima
doveva cercare una persona.
La McGranitt
aveva allestito una
tenda con una piccola infermeria e Hermione la stava aiutando a
prestare i
primi aiuti. Chissà
dov’è Madama Chips
si chiese Harry. Dopo pochi minuti la vide uscire, seguita da Ginny,
dalla
tenda e richiamare l’attenzione della professoressa. Harry
non prestò più
attenzione. Ginny. Aveva visto Ginny.
Le
andò in contro e lei lo vide. Le
sorrise. Sorrise anche Ginny. “Ti avevo perso. Luna mi ha
detto che avevi
bisogno di tranquillità” Lui annuì
inconsapevolmente.
La rossa lo
abbracciò stretto e lui
ricambiò. “Sono tornato”
sussurrò. La voce gli usciva a malapena, ma lei lo
sentì lo stesso.
“Lo
sapevo. Ti stavo aspettando. Ti
ho sempre aspettato” E lo baciò. Un bacio
straziante, dolcissimo e consolatorio
allo stesso tempo.
***
Hermione vide i
due ragazzi abbracciati
e sorrise, sperando che tutta quella violenza, potesse finalmente
concludersi
con qualcosa di buono. Cercò
Ron,
guardandosi intorno, ma non lo vide. Va beh, lo avrebbe cercato dopo.
Vide La
professoressa McGranitt che si guardava intorno, e quando la vide le
fece cenno
di avvicinarsi.
Hermione si
incamminò verso la
donna e notò all’ultimo che stava parlando con
qualcuno.
“Ora
si faccia medicare, Signor
Malfoy. La lascio con la Signorina Granger e…”,
quando Malfoy, che era appoggiato
a delle rovine nel cortile in mezzo ad altre persone che avevano
bisogno di
essere curate, sentì quel nome, si mise in piedi e
iniziò a protestare: “No, no
e no. Non c’è bisogno, professoressa. Sto bene. Io
devo andare da…”
La strega gli
appoggiò una mano
sulla spalla e con un movimento deciso e fermo lo riportò
alla posizione di
prima. “Adesso stia zitto. Lei ha fatto scelte sbagliate per
i motivi giusti.
Ora inizi a far qualcosa di utile e produttivo: faccia scelte giuste.
Stia qui
e si faccia medicare”.
Il suo tono era
così risoluto che
il ragazzo non riuscì a obbiettare niente, ma
abbassò lo sguardo mentre lei se
ne andava e lasciava il posto alla Granger.
Malfoy
borbottò qualcosa, mentre la
ragazza, con la bacchetta, fece levitare ciò che le serviva
accanto a lei.
“Non
ho capito.”
Hermione
era stanca e non le piaceva molto
l’idea di essere li con lui, ma il ragazzo aveva il viso
tumefatto e un labbro
spaccato, così si mise all’opera mentre parlava.
“Ho
detto che non sei obbligata a
farlo” ripeté Draco.
Hermione fece
una smorfia e disse
solamente: “Sbaglio o la McGranitt ti ha detto di stare
zitto?”
Lui la
guardò un attimo negli occhi
e poi guardò altrove mentre lei gli sgonfiava
l’occhio tumefatto, incantava il
suo labbro inferiore e gli ungeva la fronte con una pomata gialla che
lui
riconobbe come pomata cancellalividi.
Hermione era
sempre stata brava a eseguire
i compiti che le venivano assegnati, ma quella volta fece fatica. Cosa
voleva
dire quella frase sulle scelte sbagliate e i motivi giusti? Che Draco
avesse
avuto dei buoni motivi per fare quello che aveva fatto? Non si accorse
di aver
finito, finché lui non la guardò ancora negli
occhi.
“Grazie.”
E, senza
aspettare risposta, lui si
alzò per andare a cercare sua madre. Hermione,
improvvisamente consapevole che
se ne stesse andando, gli bloccò un polso e tirò,
tanto che lui dovette girarsi
per forza.
“Ha
anche detto di fare scelte giuste,
adesso. Ricordatelo, ok?” Non sapeva neanche lei
perché avesse detto una cosa
del genere. Le era venuto fuori di getto, guardandolo negli occhi e
provando
una sensazione sconosciuta.
Lui
annuì, si scrollò dalla sua presa e se ne
andò.
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Capitolo 2 *** Ricostruzione ***
Ricostruzione
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Erano passati
due giorni dalla
notte della battaglia. Due lunghissimi giorni in cui tutti cercavano
di
rimettere ordine nelle loro vite e nelle rovine di Hogwarts. Era molto
più
semplice con le rovine, però.
Il cortile della scuola era
pieno di tende. Sembrava un enorme campeggio babbano. Piccole tende
magiche
allineate e in ordine nel cortile. Nessuno voleva andarsene
finché la scuola
era in quelle condizioni. Erano stati sepolti i corpi ed era stata
sistemata la
Sala Grande insieme alle cucine e ai piani bassi. I dormitori non erano
stati
ancora sistemati, ma ai ragazzi che aiutavano non importava di dormire
nelle
tende.
In due giorni il mondo
magico si era dato da fare: dopo che Kingsley fu nominato (in teoria
provvisoriamente) nuovo Ministro della Magia, c’era stata una
grande caccia ai
Mangiamorte e sembrava che fossero stati catturati tutti quelli
ricercati e più
della metà erano già stati processati.
Harry stava proprio tornando
dal Ministero, dov’era stato tutto il giorno, di nuovo. Si
chiedeva la sua
partecipazione a quasi tutti i processi e in molti aveva dovuto
testimoniare di
persona.
Quel giorno aveva dovuto
testimoniare contro la famiglia Malfoy, o per meglio dire, contro
Lucius. Perché
Harry parlò sinceramente e testimoniò a favore di
Narcissa, che gli aveva
praticamente salvato la vita, in cambio di quella di Draco. Lei e il
figlio
erano stati dichiarati innocenti e sarebbero tornati al Manor.
Il giorno prima Harry aveva
raccontato, davanti al ministero al completo, all’Ordine
della Fenice e alla
Stampa Magica tutto quello che era successo, da quando Silente aveva
scoperto
degli Horcux di Voldemort a tutto il resto e anche della parte di Piton
in
tutta la faccenda. Aveva parlato così tanto e a lungo che fu
una fortuna per
lui avere accanto i suoi migliori amici nel farlo, così che
quando gli mancarono
le parole o si dimenticò qualcosa o non riusciva
più a reggere l’emozione, loro
vennero in suo aiuto.
Sorrise stancamente al
pensiero che sarebbe dovuto tornare anche il giorno dopo. Era
particolarmente
stressante, ma necessario. Mentre si incamminava verso la parte del
cortile
dove erano state erette le tende dei Weasley, dei ragazzini gli
andarono
incontro sorridendo. Volevano mostrare di persona a Harry
l’aiuto che avevano
dato quel giorno a ricostruire la scuola.
Harry notò che
effettivamente la scuola si stava riprendendo, e, venendo usata la
magia, la
cosa era abbastanza veloce. Sperò di poter vedere presto la
scuola
completamente ristrutturata. Aveva bisogno di sapere che tutto sarebbe
tornato
come prima. Possibilmente al più presto.
“Lasciate
in pace il signor
Potter, ragazzi” La voce della McGranitt zittì
subito i ragazzi, che
silenziosamente corsero via. La strega si avvicinò a Harry,
gli appoggiò una
mano sulla spalla e gli chiese con il suo tono più dolce:
“Hai mangiato
qualcosa Harry? Qui abbiamo già cenato, ma gli elfi hanno
tenuto qualcosa per
te” E senza aspettare risposta, perché sapevano
tutti e due che Harry non
toccava cibo da quella mattina, lo sospinse verso l’entrata
della scuola.
Il giorno prima avevano
mangiato nel cortile, ma quel giorno avevano potuto rioccupare la Sala
Grande,
che era tornata maestosa come prima, se non di più.
C’erano le tavolate delle
case e il tavolo dei professori, gli arazzi e i quadri. Sembrava tutto
uguale,
ma a Harry, senza capire bene perché, sembrava tutto nuovo,
più brillante, più
luminoso.
“State facendo un ottimo
lavoro qui.”
“So che anche tu stai
facendo un ottimo lavoro al Ministero” La professoressa lo
fece accomodare al
primo tavolo e subito due elfi gli portarono un vassoio con del cibo.
Harry era veramente affamato
e se ne rese conto solo in quel momento, così
ringraziò e iniziò a mangiare.
“Contiamo di finire tutto in
dieci giorni. Forse meno. Ho parlato con il quadro di Silente nel suo
ufficio,
lui vorrebbe che finissimo al meglio questo anno scolastico e che
riaprissimo
la scuola il primo settembre, come sempre…”
-
-
La McGranitt si
guardava
intorno, mentre mentalmente si annotava altri particolari da sistemare.
Il
corridoio, a esempio era pieno ancora di calcinacci,
l’indomani mattina
avrebbero dovuto ripartire da lì. Magari sarebbero riusciti
a sistemare i
dormitori al più presto, così che le persone non
dovessero dormire nelle tende,
anche se lei aveva visto alunni divertiti dal cambiamento.
Quasi tutti gli studenti
erano tornati indietro, alla fine della battaglia, anche molte delle
loro
famiglie li avevano accompagnati, e ora c’erano un sacco di
bacchette a
lavorare per la scuola. A Silente sarebbe piaciuto.
-
La professoressa
si asciugò
una lacrima prima ancora che uscisse sulla pelle, e fu così
veloce che Harry pensò
di esserselo immaginato.
Si schiarì la voce: “Ehm…
professoressa… C’è una cosa che vorrei
chiederle…”
La strega voltò lo sguardo
verso di lui e Harry continuò: “Immagino che
sarà lei la prossima preside,
Giusto?”
Senza aspettare risposta,
prese un respiro e
disse: “Penso che sia una cosa giusta che fra i quadri dei
precedenti presidi
ci sia anche quello del Professor Piton. Del Preside Piton”
Si corresse
velocemente. “ A me farebbe piacere”
continuò e, sperando di non dover
aggiungere altro, riprese a mangiare.
La professoressa annuì. “Ho
parlato del professor Piton anche con Silente… Diciamo che
ho fatto una gran
bella chiacchierata con Albus. Una lunga chiacchierata. È
stata una delle poche
volte che mi sono arrabbiata così
tanto…”
Harry si fermò con il
cucchiaio a metà strada fra la scodella e la bocca.
Azzardò uno sguardo verso
la strega, ma lei continuò a guardare un punto fisso non
precisato.
“Ho
sentito tutto quello che
hai raccontato ieri, Harry, tutta la vostra avventura. Non ero a
conoscenza di
tante cose, ma scoprire che Severus fosse…” le
mancarono le parole e rimanette
in silenzio per qualche attimo, prima di continuare “Avrei
voluto saperlo.
Avrei potuto fare qualcosa, quest’anno è stato un
anno veramente difficile… Se
lo avessi saputo, avremmo potuto…”
Harry si rese
conto che non
stava più parlando con lui ma con se stessa. Ma sapeva
benissimo come si
sentiva. Era successo anche a lui. Se avessi saputo questo, se avessi
saputo
quello… erano quattro anni che si tormentava
così. E sapeva che poteva
distruggerti.
“Questi pensieri non portano
da nessuna parte, professoressa. Possiamo solo ripartire da dove siamo
e fare
qualcosa da adesso.”
La McGranitt si girò di
colpo verso il ragazzo, come se si fosse svegliata improvvisamente e si
rendesse conto soltanto in quel momento di lui. “Ha
perfettamente ragione
signor…” Non riuscì a finire la frase
che una voce risuonò nell’atrio.
“Harry!!!”
Ginny entrò nella
Sala Grande correndo e chiamandolo a gran voce. Harry sorrise appena la
vide,
trafelata e con i capelli in disordine. Praticamente bellissima.
“Signorina
Weasley!” Ginny
si fermò di colpo quando venne rimproverata dalla futura
preside.
“Oh, sì, mi scusi
professoressa” disse, avvicinandosi alla coppia seduta al
lungo tavolo. “Ciao
Harry” Il suo tono si era abbassato, ma non
l’intensità della sua voce.
“Buonanotte signor Potter,
buonanotte signorina Weasley” La McGranitt si
congedò uscendo velocemente, con
un sorriso nascosto. I ragazzi la salutarono e appena fu fuori dalla
loro
vista, Ginny si sedette vicino a Harry, gli prese il viso fra le mani e
lo baciò.
Un caldo, morbido e
avvolgente bacio. Harry non aveva bisogno di altro. Finì di
mangiare
velocemente mentre Ginny gli raccontava quello che era successo quel
giorno, poi,
quando ebbe finito, si alzò con lui, gli prese la mano e lo
tirò verso il
portone, per uscire fuori. “Vieni con me? Ho una
sorpresa…”
“Vieni
con me? Ho una sorpresa…” Il viso
della ragazza era così radioso e lei così
smaniosa che Harry non ebbe il
coraggio di dirle di no, anche se avrebbe voluto soltanto farsi una
doccia e
andare a letto. Così
la seguì
trotterellando, mentre si avvicinavano al campo delle tende.
Harry non riuscì a capire
bene il tragitto che avessero fatto ma, stranamente, non incontrarono
nessuno
e, all’improvviso, si
trovarono di
fronte all’entrata della tenda che la ragazza divideva con
Hermione. Ginny gli
strinse di più la mano e lo precedette, entrando nella tenda
e tirandoselo
dietro.
All’interno
della tenda,
incantata come quella dove lui, Ron e Hermione avevano alloggiato nei
boschi, si
sentiva una musica di sottofondo e una tenue luce che lasciava tutto un
po’ in
penombra. Al centro della tenda, invece dei lettini gemelli, come
quella dove
dormivano attualmente lui e Ron, c’era una grossa vasca da
bagno, piena di
schiuma e di acqua fumante che si increspava lungo i bordi in migliaia
di
piccole onde sulla superficie.
Harry pensò che Ginny avesse
incantato anche lui. Si sentiva
attratto dalla vasca come un cercatore dal boccino.
Era quello che ci voleva.
Adesso. Subito. Ginny sorrise della sua espressione estasiata e disse
solamente:
“Mi sono fatta aiutare da Hermione…”
Ginny sospirò poi riprese
“Entra intanto, arrivo subito” Harry la vide
sparire dietro una parete della
tenda.
Si tolse la maglietta e la
fece cadere malamente per terra. Poi, saltellando, si
tolse le scarpe e le calze. Bramava
la vasca in una maniera allucinante.
In men che non si dica, fu dentro.
Ginny
sentì lo sciabordio
dell’acqua che sbatteva sui bordi. Ritornò carica
di asciugamani e sorrise
quando lo vide togliersi gli occhiali per posarli sul bordo della
vasca, proprio
vicino alla bacchetta. Poco più in là della
bacchetta c’era una saponetta a
forma di sirena che muoveva la coda sensualmente e mandava minuscoli
baci
all’indirizzo di Harry. Ginny le diede un colpetto con la
mano e la tuffò nell’acqua
quando le passò vicina. Questa si arrabbiò e le
lanciò un brutto sguardo
mentre, gocciolante, riguadagnava il suo posto.
La rossa si
sedette su uno
sgabello dietro lo schienale dove era appoggiato Harry e gli
posò le mani sulle
spalle. “E la tua giornata com’è
andata?” Harry si irrigidì un attimo, poi
quando lei iniziò a muovere le dita sulla sua pelle, si
rilassò, appoggiò la
testa sul bordo della vasca e chiuse gli occhi.
Mentre lui
parlava, cercando
di fare un riassunto molto conciso della giornata, lei gli
accarezzò il collo,
la testa e gli bagnò i capelli con delicatezza. Lo
sentì rilassarsi sotto le
sue mani gli accarezzò una guancia ispida per un lieve
accenno di barba.
Era cresciuto. Un sacco. Non
l’aveva visto per tanto tempo… e questo nuovo
Harry le piaceva. L’aveva visto
sfidare Voldemort, fiero e coraggioso. Era così orgogliosa
di lui.
Aveva avuto così tanta
paura, lei. Paura per lui. Ma lui no. Oppure sì? Era stato
spaventato? E cosa
l’aveva aiutato a superare la paura? C’erano tanti
aspetti che non conosceva. Sì,
sapeva quello che sapevano tutti, ciò che lui aveva
raccontato, e aveva visto
quello che era successo nella sala grande, aveva seguito ogni gesto di
Harry
mentre la battaglia incombeva, ma lei voleva conoscere i suoi pensieri,
le sue
emozioni. Chissà se, dopo tutto quello che stava succedendo,
sarebbero riusciti
a parlarne in tranquillità.
Harry
pensò di essere in
paradiso. La musica, il rumore dell’acqua, le mani di
Ginny…. Si sentiva
rilassato e tranquillo per la prima volta dopo….
Dopo…. Boh, dopo una vita?
Girò la testa per guardarla
e la vide pensierosa. Cosa stava pensando? Qualcosa la preoccupava?
Quando Harry si
sollevò di
scatto dalla vasca, Ginny pensò di aver fatto qualcosa di
sbagliato. Merlino,
sembrava andasse tutto così bene, finalmente riuscivano a
stare un po’ insieme
e invece….
“Ehm, che succede? Tutto ok?”
“Vieni qui” Lui allungò un
braccio e le prese un polso, l’avvicinò
pericolosamente al bordo della vasca e
Ginny ebbe appena il tempo di capire cosa stesse succedendo prima di
ritrovarsi
dentro anche lei.
“Oh!”
Ginny ridacchiò quando
lui la fece cadere nell’acqua, su di sé.
“Cavolo! Non me lo aspettavo!”
Harry sorrideva, sornione.
“Era quella l’idea” Ma il suo sorriso
scomparve appena la guardò mettersi in
ginocchio. Aveva il maglioncino attaccato alla pelle, per via
dell’acqua e
Harry si rendette conto di
quello che
aveva combinato: lei era zuppa d’acqua. Le maniche
gocciolarono quando si portò
le mani ai lunghi capelli, bagnati anch’essi, e anche i suoi
jeans erano fradici.
Non riusciva a vedere le sue scarpe.
Per un momento pensò di aver
fatto una cavolata. Cosa gli era preso? Quando l’aveva tirata
dentro la vasca,
smanioso di condividere con lei quel momento, non ci aveva pensato
troppo, ma
ora, vedendola così, ebbe
il terrore di
aver esagerato.
Ma Ginny sorrideva ancora,
così le chiese: “A che pensavi?” Ginny
lo guardò sgranando gli occhi.
“Avevi una faccia strana…” La
piccola strega rossa sorrise.
“Oh… Sì... Pensieri, niente
di che…” lui non disse niente, in attesa che
continuasse “Sì… sai…
pensavo a quando
noi… Avremmo potuto parlare… di noi”.
Si passò una mano fra i
capelli, un po’ nervosamente, gocciolando ancora dappertutto.
Harry, che aveva vissuto gli
ultimi mesi sul filo della bacchetta e due giorni prima aveva visto per
ben due
volte l’Avada Kedavra in faccia, era deciso a non lasciar
più indietro niente,
così disse semplicemente: “Certo, hai
perfettamente ragione. Facciamolo adesso…”e
così dicendo cercò di uscire dalla vasca.
Ginny però era di parere
contrario e gli appoggiò una mano sul petto. “Ah,
no. Adesso che sono zuppa,
restiamo qui” E si sdraiò vicino a lui facendo
sparire i suoi vestiti con un
colpo di bacchetta.
Appena Harry si rese conto
di cosa avesse fatto, si immobilizzò, ma chiese
soltanto, senza muoversi:
“Hermione quando torna?”
Ginny continuò a giocare con
la bacchetta, spostando la schiuma e muovendo le onde in maniera
strategica.
“Dovrebbe tornare quando tu andrai alla tua tenda. Lei sta
intrattenendo Ron. O
può tornare prima, se la dovessimo chiamare
perché ho fatto qualche pasticcio”
La ragazza fece una smorfia quando nominò
‘pasticcio’, prendendo un suo braccio
e portandoselo sulle spalle.
“Tu non fai pasticci.”
“Spero proprio di no,” Gli appoggiò
la guancia sul petto “non stavolta...”
Lui le alzò il mento per guardarla negli
occhi. Sentiva la pelle di lei a contatto con la sua e la cosa gli dava
dei
brividi lungo la schiena, ma non voleva affrettare troppo le cose.
“Non siamo obbligati a fare
niente, lo sai, vero?”
“Non faccio ciò che non
voglio fare, Harry” E così dicendo lo
tacitò con un bacio e fece scorrere le
dita lungo il suo petto.
***
“Mi
dispiace.”
Hermione guardava il
soffitto della tenda. Se ci lavorava un po’ su era sicura di
poter fare
l’incantesimo che mostrava il cielo, proprio come nella sala
grande. Questa
volta proprio uguale uguale.
“Anche
per me è così,” Ron
si girò sulla pancia, sul letto a fianco a lei
“forse ci siamo fatti prendere
dalla situazione…”
Hermione era confusa. Aveva
creduto veramente di essere innamorata di Ron. Per tutto il sesto anno
gli era
stata dietro, era stata gelosa di Lavanda (Lavanda! Per Godric!!) poi i
mesi a
stretto contatto, come se non ci fosse nessun’altro, e ora? Ora le sembrava di
baciare suo cugino Peter.
E suo cugino Peter aveva due anni meno di lei e fino a poco tempo prima
saltava
nelle pozzanghere di fango per sporcare i vestiti alle ragazze. Giusto
per
chiarire la sua situazione.
Scosse la testa e si girò
anche lei prona e si portò vicino a Ron.
“Mi sa che hai ragione. È
che mi dispiace davvero. Avrei voluto che andasse diversamente. Sarebbe
stato
bello se noi due…”
“Sarebbe
stato bello sì, ma…”
Ron si interruppe, non sapendo più cosa dire. Non riusciva
neanche a baciarla…
Non sembravano proprio due che volessero stare insieme…
“Però possiamo comunque
provare a…” Hermione capì subito quello
che voleva dire e gli diede uno
schiaffetto sulla fronte, ma non riuscì a trattenere una
risata. “Stupido!”
Il ragazzo scoppiò a ridere
anche lui e continuò a dire buffonate, e senza accorgersene,
allentò la tensione
che si era creata.
Dopo uno scambio di
cuscinate i ragazzi si sdraiarono e lui sospirò.
“Resti con me un po’? Ti va?”
Hermione
sorrise, non voleva
comunque perdere la sua amicizia.
“Certo.”
Anche perché sl momento non
aveva un posto dove andare: Harry era con Ginny nella loro tenda, e
finché lui
non fosse ‘tornato dal ministero’ lei doveva stare
lì. Ma non le sembrava un
peso. Stava bene con Ron.
“Vieni qui” Ron alzò un
braccio per farle posto e la strinse. “Comunque non
smetterò mai di volerti
bene, lo sai vero?”
La ragazza sorrise commossa
“Neanch’io”.
Ron
continuò, dopo aver
osservato il soffitto: “A meno che tu non sposi un troll
tipo…. Tipo…” cercò
nella sua mente qualcuno a cui riferirsi ma non ci riuscì
subito. “Ecco, tipo
Malfoy”.
Il sorriso sulle labbra di
Hermione si congelò immediatamente a sentir quel nome, ma
non si stavano
guardando in faccia e Ron non se ne accorse.
Hermione non aveva
raccontato a nessuno di quando aveva medicato Malfoy pochi giorni
prima. E non
sapeva perché le facesse quello strano effetto pensare a
lui. Quel giorno lei e
Ron non avevano partecipato al processo contro la sua famiglia, e lei
non lo
aveva più visto da quella volta nel cortile.
“Ok” disse, sperando di
avere una voce normale “Non lo
sposerò…”
Ma Ron non stava facendo
attenzione al suo tono “E neanche uno dei miei fratelli!! Ti
prego!! Giurami
che non lo farai” era così buffo che Hermione si
scordò di Malfoy e
continuarono insieme un discorso demenziale su chi poteva sposare chi e
chi
sarebbe stato bene sposato con chi e chi sarebbe stato veramente
allucinante
sposato con chi.
Non si resero
neanche conto di quando, dopo
un’ora, si addormentarono.
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Capitolo 3 *** Riordinare ***
Riordinare
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Hermione venne
svegliata da
Harry poco prima delle tre del mattino. Le ci volle un po’
per capire dove
fosse e perché.
Lei e Ron si erano
addormentati sul letto, sopra coperte e completamente vestiti. Non
sembravano
per niente una coppia smaniosa di stare insieme…
Si alzò e fece per uscire,
salutando Harry che aveva uno sguardo beato in viso e lei
provò una leggera
fitta di invidia, quando lui sottovoce le disse: “Aspetta, ti
accompagno”.
“Non c’è bisogno. Buonanotte.”
Ma Harry non volle sentir ragioni
e la accompagnò fino alla tenda delle ragazze. Hermione gli
diede un bacio
sulla guancia ed entrò nella tenda, prima di vederlo sparire.
Pensava di trovare tutto in
subbuglio, come poco prima di far apparire la vasca, quando lei e Ginny
avevano
fatto le prove di spazio, giusto dopo aver fatto sparire i letti.
Ma era tutto a posto. I
letti erano tornati al loro posto. Ginny era riuscita a evocarli nella
maniera
giusta. Un po’ si sentì inutile… aveva
rimesso tutto a posto…
Sentì una fitta al centro
della fronte. Ecco, stava per tornarle il mal di testa.
“Ciao” salutò quando vide la
rossa girarsi verso l’entrata della tenda. “Oh,
Hermione!!! Scusa scusa!!! Non
mi ero accorta dell’ora!!!!” Ginny le
andò incontro porgendole le mani per
prendere le sue.
“Mi è sfuggito tutto. Puoi
perdonarmi?” Hermione sorrise, già ritornata di
buon umore.
“No no, non preoccuparti.
Anzi, com’è andata?” Il volto della
ragazza divenne del colore dei suoi capelli
e Hermione, curiosa e divertita la stuzzicò un
po’, ma la ragazza non si
sbottonò.
“E te
e Ron?” chiese Ginny
per distogliere l’attenzione da sé. Ma poi non fu
sicura di voler veramente
sapere la risposta.
Hermione, tanto,
non aveva
niente da rispondere e disse solamente: “Pensiamo di aver
fatto una cavolata”.
Ginny sgranò gli occhi e
balbettò: “Per Godric! Che avete fatto?”
La riccia rise dell’equivoco
e spiegò meglio: “No, no non abbiamo fatto
niente!!! E mi sa che non faremo mai
niente. Noi…” Hermione si morse il labbro, non
sapendo bene come continuare
“Non… io… cioè…
pensavo di sì…” Ginny era sempre
più confusa “Quello che dicevo
è che Ron non mi piace in quel senso…”
abbassò gli occhi “Quando l’ho baciato,
nella stanza delle necessità, pensavo di sì, ma
in verità… è stata una
cavolata”.
La rossa sospirò “Ah, ho
capito. Avevo pensato male!!! Mi spiace che non abbia funzionato tra di
voi. Io…”
Hermione la interruppe
perché l’ultima cosa
che voleva in quel momento era la pietà della ragazza e le
disse sorridendo:
“Quindi ora dovrai raccontarmi tutto quello che avete fatto
voi, così giusto
per consolarmi”.
Si preparò per andare a
letto e quando si infilò sotto le coperte la
incitò di nuovo “Dai, su, sono
stata di là per tutto questo tempo per qualcosa o
no?” Continuò, rendendosi
conto da sola di essere un po’ cattivella, ma diamine! Aveva
bisogno di sapere
che qualcosa stava andando per il verso giusto. Almeno quello.
-
***
-
Così,
dopo un’ora, con Ginny
che dormiva profondamente, Hermione non riusciva a prendere sonno e
guardava il
soffitto della tenda, pensando ai dettagli dell’incantesimo
del cielo. Aveva
già una mezza idea per realizzarlo.
Si girò per cambiare
posizione, sperando che le conciliasse il sonno, ma non
funzionò.
Pensò ancora a quello che le
aveva raccontato la sua dormiente vicina di letto. Per fortuna lei e
Harry non
si erano spinti fino in fondo, anche se c’erano andati molto
vicini. Perché per fortuna?
Quella vocina malefica
nella mente, ogni tanto saltava fuori. Perché pensava che
non avrebbero dovuto
farlo? Perché a lei non era successo? Perché lei
non aveva trovato in Ron la
persona che cercava? Era invidiosa dei suoi amici? Hermione
spalancò gli occhi
nel buio. E se fosse così? Se lei fosse veramente
così cattiva da essere
invidiosa di Ginny?
Una fitta alla fronte, ormai
familiare, le preannunciò una forte emicrania. Si
girò ancora. Ma
niente, il mal di testa era sempre più
forte. Si grattò una spalla. Stupendo, c’erano
anche gli insetti. Si grattò
convulsamente le braccia fino a lasciare dei segni rossi.
Il suo braccio la guardò. Le
linee rossastre delle lettere la guardavano in continuazione. Si
coprì con la
manica e chiuse gli occhi. Era così stanca che non capiva
niente.
Prese un cuscino per
premerlo contro la fronte, ma nel farlo fece cigolare il letto.
Controllò di
non aver svegliato la rossa, ma lei continuava beatamente a dormire.
Un’altra
fitta.
Si alzò e cercò nella tenda
lo zaino che aveva con sé. Forse avrebbe trovato qualche
pozione che l’avrebbe
aiutata. Cercò ma non la trovò. Merlino!!! Stava
per mettersi a urlare. Un’altra
fitta. Poi, trovò l’ampollina conosciuta in una
tasca interna. Sorrise. Ne
prese un sorso e tornò verso il letto.
Sperò di riuscire a dormire
se non subito, quasi. E magari, quella notte, senza incubi.
-
***
-
“Voi
ragazzi, andate pure con la signorina Granger
e Il signor Weasley verso il campo di Quidditch, intanto fate esercizio
con
alcuni incantesimi base.”
La McGranitt era riuscita a
trovar loro un’occupazione anche nel loro primo giorno libero
dal ministero.
Ron sbuffò e guardò
sconsolato quella
marmaglia di ragazzini
dei primi anni che stavano seguendo Hermione per andare allo stadio di
Quidditch che, essendo stato bruciato durante la battaglia, andava
ripulito
prima di essere ricostruito.
Hermione prendeva sul serio
qualsiasi compito le venisse dato, così quando aveva sentito
dire alla
professoressa ‘Farete esercizio con gli incantesimi
base’, fu proprio quello
che fece fare ai mocciosi, che continuarono a far levitare massi grossi
quanto
la sua testa, pezzi legno, cenere e altri detriti fuori dal prato, per
liberare
il campo.
Peccato che lui fosse sempre
nella traiettoria di qualche ragazzino. Per ben due volte fu colpito da
un sasso
che una biondina continuava a spostare verso di lui. Doveva ancora
capire se lo
facesse apposta o no. E in un’occasione un nanerottolo con
gli occhiali per
poco non lo lanciava in aria.
Per fortuna era intervenuta
Hermione, ma lei ridacchiava così tanto che non prese la
cosa sul serio come
avrebbe dovuto, secondo lui.
Adesso invidiava Harry.
Rise. Certo, lui invidiava sempre Harry, ci aveva fatto
l’abitudine. Ne avevano
anche discusso qualche volta. L’ultima volta aveva capito
come prendere bene la
cosa e non se ne faceva più un cruccio.
Ma adesso, avrebbe dato la
sua bacchetta per essere al posto di Harry! Sbuffò ancora.
Poi, in lontananza
vide arrivare tre persone.
Divenne serio
all’improvviso. Cos’era quella storia? Cosa ci
facevano lì? Si voltò verso
Hermione, ma lei era ancora alle prese con i ragazzini e la
sentì dire la
corretta pronuncia dell’incantesimo di levitazione.
Esattamente come l’aveva
detto a lui tanti anni prima!
Si innervosì un altro po’,
poi, vedendo che lei rimaneva occupata con i nanerottoli,
andò incontro alla
McGranitt e ai due ragazzi con lei.
Quando fu vicino, la
professoressa gli disse che avevano altre due bacchette di aiuto per lo
stadio.
Ron non la stette neanche a sentire, guardò i ragazzi dietro
la strega e disse in
tono duro: “ E voi cosa ci fate qui?”
Doveva aver alzato il tono
della voce senza rendersene conto perché dal gruppetto dei
ragazzini non si
sentì fiatare nessuno, e anche Hermione si era girata
silenziosamente verso di
loro.
Tutti gli occhi erano
puntati sul quel diavolo biondo di Malfoy, che svogliatamente aveva
seguito la
McGranitt, come se quello fosse l’ultimo posto dove volesse
stare. Che se ne
tornasse a casa sua, nel suo Manor, quell’odioso Mangiamorte!
Tutto questo si doveva
leggere perfettamente sul volto di Ron senza bisogno di nessuna magia,
al che
Malfoy provò a dire alla professoressa: “Io
pensavo di sistemare il settimo
piano…”
La McGranitt si voltò verso
di lui, con la sua solita espressione.
“Signor Malfoy, qui si fa
ciò di cui abbiamo bisogno e visto che non siamo ancora
arrivati al settimo
piano, dovrà aspettare.”
Malfoy la guardò negli
occhi, e come al solito non disse niente. Mormorò un
bassissimo: “Va bene”, guardò
verso Ron, poi verso Hermione e i ragazzini. Ron guardò la
McGranitt con uno
sguardo confuso e lei, come al solito, ricambiò il suo
sguardo con una freddezza
da gelare il deserto.
“Il
Signor Malfoy e il
signor Zabini” disse Minerva ad alta voce, indicando con la
mano il ragazzo
vicino a Malfoy, “si sono uniti a noi, per aiutarci a
sistemare il castello”.
Si voltò verso Hermione, per
notare se avesse sentito e lanciarle uno sguardo che Ron non
capì, e la giovane
strega annuì avvicinandosi.
“Malfoy può rimanere qui ad
aiutarmi con i ragazzi e Zabini può andare con Ron
all’interno del castello. Sentivo
che avevano bisogno al quinto piano…. Magari noi potremmo
fare qualche
esercizio di trasfigurazione. Cosa ne dice professoressa?”
Ora tutti i
ragazzi avevano
spalancato gli occhi. Ron sorpreso da quella proposta, Blaise curioso
che lei volesse
restare con Malfoy e Malfoy…. Malfoy aveva spalancato gli
occhi quando lei
aveva pronunciato “trasfigurazione” e Ron rideva
sotto i baffi quando vide le
labbra di Hermione sillabare ‘Furetto’
senza proferire parola.
La McGranitt si
allontanò
facendo cenno ai due ragazzi di seguirla. Ancora contrariato dalla
situazione,
Ron seguì la strega al fianco di Zabini e il suo umore
finì sotto i piedi
quando il moro gli rivolse un sorriso sfacciato e chiese
a voce alta: “Allora Weasley, come sta
tua sorella?”
***
Draco non voleva
essere lì.
Sua madre era riuscita a fargli fare quello che voleva. DI NUOVO. Per
fortuna
era riuscito a convincere Blaise ad accompagnarlo. Già.
Lo guardò andare via con
Lenticchia e poi si girò verso la Granger.
Prima era sicuro,
sicurissimo che lei avesse osato dire “Furetto”, ma
non riusciva a ricordarsi
di averlo sentito, così qualche dubbio l’aveva
avuto. Non gli aveva mandato un
Confundus, giusto? Se doveva rimanere da solo con lei, avrebbe dovuto
stare
attento.
Da soli. Beh, a dir la verità
c’erano almeno due squadre di Quidditch di ragazzini con
loro, e nessuno
sembrava propriamente sveglio.
Lei stava spiegando quello
che dovevano fare, ossia liberare lo stadio da tutta la roba che
c’era sul
prato e cercare di far evanescere e levitare sassi e pezzi di legno.
Era
stanco. E non aveva nessuna voglia di sopportare né lei
né quei piccoli
mostriciattoli.
Sua madre l’aveva obbligato
a presentarsi a scuola per aiutare. Era lì solo per quello.
Ah, no, era lì perché
era giusto. L’aveva detto lei.
Si mise le mani nelle tasche
dei pantaloni. Sua madre. L’unica a cui non riusciva a dire
di no. Aveva fatto
di tutto per tenerlo in vita, nonostante
Voldemort, nonostante suo padre. Draco sospirò,
pensare a suo padre gli
dava i brividi. Se Voldemort non fosse morto, cosa avrebbe fatto suo
padre?
Quanto in là si sarebbe spinto? Avrebbe sacrificato la sua
famiglia? Ancora non
riusciva a capire le sue azioni. Era stato un pazzo esaltato o una
povera
marionetta nelle mani di qualcuno più potente di lui?
Vederlo andare in pezzi
era stato straziante. E ancora non riusciva a dare una spiegazione a
tutto ciò
che aveva fatto.
Era perso nei suoi pensieri
mentre osservava un corvo posarsi su uno dei pali del Quidditch,
tristemente
rotto a metà e piegato di lato, e non sentì la
strega che lo chiamava, così
sobbalzò quando la Granger gli appoggiò la
bacchetta sul braccio.
“Mi scusi signor Malfoy se
la disturbo…”
Quella ragazza era
fastidiosa. Il suo tono di voce fece ridacchiare i ragazzini, che ora
lo
guardavano senza rispetto.
Si girò lentamente verso di
loro, guardandoli tutti in faccia con la sua solita espressione che
riservava
al pubblico e, lentamente, ognuno di loro smise di ridere. Qualcuno
trasformò
la risatina in un colpo di tosse, qualcun altro volse lo sguardo a
terra. Tutti
avevano cambiato espressione. Tutti tranne lei.
Draco
guardò negli occhi la Granger e aspettò
che lei abbassasse lo sguardo. Ma lei non lo fece. Non lo faceva mai.
“Grazie per la tua
attenzione”, continuò “vieni ad
aiutarci?”
Questa volta il suo tono era
stato, se non gentile, almeno conciliante.
Draco la seguì mentre ritornava
verso il prato, si sentiva vulnerabile, così
impugnò la bacchetta, per darsi da
solo un po’ di incoraggiamento. La sua bacchetta nuova.
Magari avrebbe rimesso a
posto i pali delle porte. Sì, quello lo avrebbe fatto
volentieri. Per il
Quidditch, per nient’altro.
-
***
-
Alla fine della
mattinata
avevano finito. La Granger era stata formidabile con i ragazzini, era
riuscita
a far fare tutto a loro. Beh, a loro e a lui. I mocciosi avevano
sgomberato il
prato e lui aveva sistemato i pali. Lei aveva guardato verso il
castello per
tutto il tempo.
Draco cercò di capire cosa
stesse pensando. Pensava a Weasley? Li aveva visti mano nella mano il
giorno
della battaglia. E poi li aveva visti baciarsi. Forse stavano insieme.
Ma lei l’aveva mandato via
con Zabini. Le femmine erano complicate. Capire cosa pensavano spesso
era più
complicato di una pozione ben riuscita di Felix Felicis.
Naturalmente, usare la
legimanzia sarebbe stato più semplice, ma quando ci aveva
provato poco prima,
lei sen’era accorta e gli aveva lanciato una fattura
Gambemolli, poi si era
avvicinata e l’aveva minacciato di peggio se ci avesse
riprovato.
Draco ancora non sapeva come
aveva fatto a capire le sue intenzioni. La guerra doveva aver affinato
le sue
abilità. Così decise di non riprovarci.
Decise che non gli
importava. Non gli interessava quello che pensava la NataBabbana.
Proprio no.
-
***
-
Hermione aveva i
nervi a
fior di pelle. Malfoy continuava a guardarla. Anche ora, che andavano
verso il
castello per pranzare, lui continuava a fissarla. La cosa le stava
dando
veramente fastidio.
Si pentì per un attimo di
aver mandato via gli altri. Ma poi ci ripensò. Malfoy da
solo era sicuramente
più gestibile di tre bambinoni che bisticciavano.
Perché quello sembravano i
maschi quando litigavano. Bambinoni. Sospirò. Spesso anche
quando non
litigavano.
Doveva solo stare attenta.
Non sapeva perché, ma Malfoy aveva tentato di leggerle i
pensieri e la cosa la
preoccupava. Però era stato bravo, doveva ammetterlo. Aveva
riposizionato i
pali con i cerchi proprio al posto giusto. Che, per inciso, lei non era
sicura
di quale fosse, il posto giusto.
Quando entrarono
in sala
Grande, molte teste si girarono verso di loro e quasi tutte si
zittirono e
cambiarono espressione, vedendo il ragazzo biondo. Già,
pensò Hermione, giusto,
lui è Malfoy. Agli occhi degli altri doveva essere
alquanto strano.
Sperò che lui la seguisse
senza doverglielo chiedere e, dopo aver lasciato i ragazzini a uno dei
tavoli,
si incamminò verso le scale per cercare Ron e Zabini. Con la
coda dell’occhio
vide che lui continuava a seguirla, così
proseguì.
Quando si fermò lungo le
scale, notò che lui si era fermato qualche passo indietro e
guardava un punto
preciso con uno strano ghigno in faccia. Ok, non era strano. Era il suo
solito
ghigno. E la cosa la preoccupò.
Tornò sui suoi passi e
quando lo vide afferrare la bacchetta gli fu addosso. “Che
fai?” Lui girò lo
sguardo verso di lei e, smettendo di sorridere disse:
“Niente”.
Mise via la bacchetta e
riprese il corridoio. Hermione cercò di capire cosa avesse
visto e fece un
passo avanti in quell’anfratto buio.
Due ragazzi si stavano
baciando. La
ragazza aveva le mani sotto
la maglietta di lui e le faceva scorrere su e giù, poi le
portò dietro la sua
schiena e lo avvicinò di più a sé. Il
ragazzo le posò una mano sulla testa e le
accarezzò i capelli rossi. Si staccarono per pochi secondi
l’uno dall’altra, e
poi lei, si alzò sulle punte per tornare a baciarlo. Bocca
su bocca, labbra su
labbra. Hermione sentiva che si dicevano poche parole nei momenti in
cui si
staccavano. Poi lui
portò le mani al
fondoschiena e la strinse contro il suo bacino. La ragazza gemette. O
era stato
il ragazzo? Fece un altro passo avanti. Li riconobbe.
Erano Harry e Ginny. Ma
Harry non doveva essere al Ministero? Quando lui la spinse contro il
muro
Hermione spalancò gli occhi dallo stupore. Quello era
davvero Harry? Quando
Ginny gli circondò la vita con le gambe, Hermione
spalancò anche la bocca.
Stava per dire qualcosa
quando venne afferrata per un braccio e trascinata indietro.
“Dai,
Granger, lascia stare San Potter,
ora che si è dato una
scantata. Finalmente!”
“Però non dovrebbero… qui
all’interno della scuola… con così
tanta gente…” Draco si voltò a
guardarla,
sorpreso che lei non l’avesse sgridato per il nomignolo che
aveva usato, doveva
essere… sconvolta?
“Se lo avessi fatto qualche
volta anche tu, non romperesti le pluffe così.”
La ragazza sbuffò per il
velato insulto “Guarda che può succedere qualcosa
di brutto!! Potrebbero
anche…. venire espulsi!!”
Draco rise forte. Veramente?
Per quella ragazza la cosa peggiore che poteva succedere era essere
espulsi? Si
poteva venir espulsi da una scuola che non si stava neanche
frequentando?
“Per Salazar, Granger
svegliati! Potter quest’anno
è venuto a
scuola solo per salvare tutti e la Weasley… beh, la Weasley
è la figlia e la
sorella di chi ha salvato il mondo magico, quindi non penso proprio che
qualcuno li voglia buttar fuori di qui!”
Il tono di
Malfoy ora aveva
preso una sfumatura strana. Hermione
riprese a camminare ma rimase così assorta nei suoi pensieri
che non prestò più
attenzione a dove metteva i piedi. Inciampò in qualcosa e
cadde distesa per
terra. Il ragazzo biondo si girò e la guardò
dall’alto.
“Ti sei emozionata, che non ti
reggono più le gambe?” E il ghigno ricomparve.
“Potresti anche aiutarmi.”
“Sì. Potrei. Se volessi.”
Hermione gli rivolse uno
sguardo cattivo e si mise in ginocchio. Stava per tirarsi su del tutto,
quando
Malfoy le allungò una mano per aiutarla. Ma lei, con il
tipico orgoglio da
Grifondoro, non l’accettò. Malfoy
scrollò le spalle e non disse niente.
Ma quando fu in piedi, Hermione
ebbe un giramento di testa e barcollò. Lui
l’afferrò per un braccio per non
farla cadere, e in quel momento sentirono delle voci lontane.
Per la precisione: una
risata e una voce stridula che gridava: “Toglile le mani di
dosso!”
Una furia rossa si avventò
sui due, dividendoli, mentre Zabini, che camminava con le mani in
tasca, non aveva
neanche accelerato l’andatura.
“Tutto bene, Hermione?” Ron
la guardava con uno sguardo preoccupato. Che
carino Pensò Hermione. La strega non
poté trattenere un sorriso. Nonostante
tutto era un tesoro.
“Sì, sì non preoccuparti. Vi
stavamo cercando.”
Ron si voltò come una furia
verso Malfoy “Toccala ancora e ti…”
Il biondo sbuffò annoiato
“Piantala. Non le ho fatto niente”.
Ron continuò a
guardarlo male, così Hermione
disse le parole magiche ‘Andiamo a mangiare?’, che
svegliarono Ron dal suo
incubo. Infatti sorrise e la prese sottobraccio, incamminandosi verso
la sala
grande.
Non calcolò più i due, così
Hermione, voltandosi fece loro un cenno per dire di andare tutti
insieme. Non
sia mai detto che Hermione Granger non conosca le buone maniere.
“Hai visto la McGranitt? Ti
cercava per quella cosa…” iniziò Ron,
con fare misterioso, lanciando strani
sguardi ai Serpeverde. Draco e Blaise si lanciarono
un’occhiata e scrollarono
le spalle.
Ginny sorrideva
mentre
trascinava Harry verso la sala Grande. E guardava
all’indietro, verso di lui, così
non si accorse del gruppetto che arrivava dalle scale,
finché non si
scontrarono.
“Harry!!
Sei qui!” esclamò
il rosso quando li vide.
“Ciao Ron, ci sono
anch’io!!” sbuffò la sorellina.
Lui la guardò e poi si
rivolse ancora a Harry. “Pensavo fossi al
ministero”.
Harry sorrise, spingendo gli
occhiali sul naso. “Sono venuto a pranzare con
voi”.
Poi guardò gli altri. “Ciao
Hermione” disse, dandole un bacio sulla guancia.
“Malfoy. Zabini” Ai Serpeverde
fece un cenno con la testa.
“E voi che ci fate qui?”
Ginny sembrava suo fratello qualche ora prima, con lo
stesso sguardo pericoloso verso i due
ragazzi, pensò Hermione.
Malfoy ghignò e rispose domandando:
“E voi che facevate lì in quel corridoio
buio?” e ricambiò lo sguardo della
ragazza. Zabini alzò un sopracciglio sorridendo divertito,
Ginny divenne del
colore dei suoi capelli, Hermione trattenne il fiato e Ron
spalancò gli occhi,
pronto a esplodere.
Harry invece
rimase calmo.
Spinse delicatamente la rossa, che stava per ribattere a tono, verso il
corridoio giusto e disse soltanto: “Andiamo che è
pronto. Sento odore di pollo
fritto”.
Ron, che sembrava ancora sul
punto di scoppiare, si riprese seguendoli “Aspettate! Cosa
intendeva dire? Cosa
stavate…. Davvero c’è il pollo? Io non
ho sentito niente”.
Zabini
scoppiò a ridere quando si
allontanarono. “Grande Draco, l’hai rimessa al suo
posto. Mitico!” E allungò il
pugno chiuso al biondo, che ci sbattè contro le sue nocche,
in un gesto
abituale.
Hermione si voltò verso i
ragazzi. Bambinoni, pensò. Però due chiacchiere
con la rossa le avrebbe
scambiate volentieri.
In quel momento
passò la
McGranitt che vedendo Hermione ferma la chiamò
“Signorina Granger, l’ho trovata”.
Sorrise alla giovane strega e
Draco pensò in
quel momento di averla vista sorridere solo quando c’era
anche la NataBabbana.
“Tenga, questo è per lei.”
Le mise in mano un oggetto
avvolto in un fazzoletto di stoffa e continuò
“Sarà attivo fra tre giorni alle
10. Mi raccomando, non vada da sola”.
Hermione
sbirciò oltre la
stoffa “Certo. Useremo tutte le misure di sicurezza. La
ringrazio” La professoressa
fece un cenno ai ragazzi e se ne andò. I tre ragazzi
rimasero lì un attimo a
fissarsi senza dire niente, come se la McGranitt avesse portato via
tutte le
parole.
“Beh, andiamo a sentire
com’è questo pollo fritto?” Zabini
sembrava imbarazzato, così Hermione rimpicciolì
l’oggetto con la bacchetta, se lo mise in tasca e si
incamminò di nuovo per il
corridoio.
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Capitolo 4 *** Tornare a scuola? ***
Tornare
a scuola?
-
-
“Quindi,
ora che la scuola è di nuovo praticabile, possiamo tornare
tutti per finire
l’anno scolastico.”
La
McGranitt, in piedi sul pulpito che fu di Silente, nella sala Grande,
aveva
riunito tutti gli studenti e le famiglie, per quella riunione
straordinaria. Le
tavole delle case erano sparite e tutti erano seduti su centinaia di
seggiole,
allineate in ordine per tutta la Sala Grande.
Harry,
Ginny, Hermione e Ron erano tutti seduti vicini e dietro di loro
c’erano anche
Molly e Arthur.
“Sfrutteremo
questo poco tempo a disposizione per permettervi di fare gli esami
finali e di
non perdere l’anno. I giovani del quinto anno potranno
scegliere se dare i
G.U.F.O o aspettare l’anno prossimo. Nessuno verrà
considerato ripetente. Per
Difesa contro le Arti Oscure, ci verrà ‘prestato’
un addetto dal Ministero. Ma i ragazzi dell’ultimo anno, non
potranno dare i
M.A.G.O.
Abbiamo
riunito il consiglio dei professori e deciso che questi esami sono
troppo
importanti per il vostro futuro, quindi, tutti gli studenti del settimo
anno,
torneranno in settembre, per (ri)frequentare le lezioni
dell’ultimo anno.”
Un
mormorio si levò dalla sala, mentre molti genitori annuivano
con il capo, ma la
neopreside lanciò uno sguardo alla scolaresca e il brusio
cessò.
Una
mano si alzò dalla parte opposta della sala. La McGranitt
alzò la bacchetta
dando la parola alla studentessa e amplificò la sua voce
mentre domandava
“Possiamo tornare anche noi di Serpeverde?”
Tutta
la sala si girò verso la ragazza. “Certo signorina
Parkinson… tutti gli
studenti possono tornare”.
Come
al solito non si capiva cosa passasse per la testa della professoressa,
ma lei
guardò verso Harry con un’occhiata che
capì solo lui e lui annuì in risposta a
quella tacita domanda.
Qualche
ora prima avevano avuto un colloquio con il ritratto di Silente e tutti
e tre
avevano convenuto al fatto che la scuola dovesse restare aperta per
tutti.
Anche per i figli dei Mangiamorte. Anche per i figli di quelli
condannati.
Questa
volta la sala si animò bruscamente, qualcuno si
alzò in piedi e qualcun altro
alzò la voce. Subito la preside si schiarì
rumorosamente la voce, richiedendo
il silenzio.
La
Parkinson alzò di nuovo la mano. “Possiamo tornare
anche adesso? A finire
l’anno scolastico? Anche se non possiamo dare i
M.A.G.O.?”
Hermione
si stupì della domanda. Da dove era non riusciva a vedere la
ragazza, quindi
non poteva vedere la sua espressione.
Perché
La Parkinson avrebbe dovuto voler tornare a scuola dopo quello che era
successo? I genitori della Parkinson erano ad Azkaban,
perché avrebbe dovuto
voler tornare a scuola? Ma mentre pensava questo Hermione
capì.
Chi
aveva i genitori ad Azkaban era da solo. Se non aveva nonni, zii o
qualcun
altro rimasto fuori dal clan dei mangiamorte, non aveva nessuno. Forse
neanche
un posto dove andare.
Guardò
verso Harry e capì che lui lo sapeva. Quando la
guardò lo fece con uno sguardo
triste. Povero Harry sempre a preoccuparsi di tutti. Ma mica era colpa
sua! Gli
sorrise con tenerezza e sperò che per il momento potesse
bastare.
Poi
vide Ginny prendergli la mano e stringergliela. Per fortuna ci
prendiamo cura
gli uni degli altri. Ginny di Harry. E lei? Chi avrebbe aiutato? E chi
avrebbe
aiutato lei?
Si
sentì sola per un momento. Una fitta alla testa. Merlino! Di
nuovo? Strinse le
mani in grembo e si massaggiò le braccia per un improvviso
brivido di freddo.
Quando si toccò la cicatrice sull’avambraccio, la
fitta divenne più intensa.
Non era la prima volta che lo notava. Quella maledetta scritta
c’entrava con l’emicrania.
Sperò
che la riunione finisse alla svelta. Aveva una gran voglia di stendersi
al buio
per almeno mezz’ora. Il maledetto mal di testa non ci voleva
in quel momento.
Lo sentì crescere e ancora aumentare. Non ce
l’avrebbe fatta.
Scappò
fuori dalla sala per salire nella camera che le avevano messo a
disposizione.
Si
buttò sullo zaino per prendere l’ampolla con la
pozione. Le sue mani tremavano
in maniera incontrollabile, infatti non riusciva a stappare la
boccetta.
La
porta si aprì e Ginny entrò velocemente nella
stanza. “Hermione tutto bene?
Cosa succede?” disse preoccupata all’amica ai piedi
del letto.
“Niente,
non preoccuparti. Torna pure in sala grande.”
Ginny
si avvicinò e si sedette vicino a lei “Dimmi che
ti succede” Hermione piangeva.
Non
era solo il dolore. Aveva male dentro. Si sentiva debole e vuota. E lei
odiava
sentirsi così.
“Mi
fa solo male la testa.”
“Hai
il ciclo? Andiamo da Madame Chips? Ti accompagno.”
Ginny
fece per alzarsi ma la sua amica la fermò scuotendo la testa
“Non è per il
ciclo. Ho già provato ad andare da Madame Chips, ma lei non
può aiutarmi”.
Mostrò
l’ampolla e fece tintinnare il liquido al suo interno
“Posso prendere solo della
pozione per il dolore, ma non funziona tanto...” Ammise
sottovoce.
“Ti
porto al San Mungo? Sono sicura che lì sanno come
aiutarti…” Hermione scosse
tristemente la testa.
“Penso
che non possano aiutarmi neanche loro.”
Ginny
aggrottò le sopracciglia non riuscendo a capire.
“Se ti faccio vedere una cosa,
prometti che non lo dici a nessuno? Neanche a Ron e Harry?”
Ginny
annuì meccanicamente, se Harry e Ron non sapevano niente
doveva essere una cosa
dannatamente seria.
Hermione
sospirò, contenta di confidarsi finalmente con qualcuno. Si tirò su la
manica della maglia e le fece
vedere la cicatrice.
Anche
solo guardarla le portava alla mente Bellatrix, quella maledetta strega
che la
chiamava Mudblood e rideva mentre
la
torturava. Un’altra fitta fortissima. Mostrò
quelle lettere alla ragazza e le
raccontò cosa le aveva fatto la strega al Manor. Era
riuscita a nascondere
velocemente il braccio a Harry e Ron quando erano scappati.
“Mi
formicola il braccio e poi mi viene questo mal di testa mostruoso. Ma
non è
solo il mal di testa. Ho un male strano dappertutto. Pensavo che con la
morte
di Bellatrix sarebbe passato tutto… ma non è
così. Deve essere una magia oscura
molto potente…” concluse Hermione, mentre lacrime
silenziose continuavano a
scenderle sulle guance e sul maglione.
Le
fitte alla testa erano diminuite man mano che raccontava, ma lei non se
ne
accorse, intenta com’era a spiegare a Ginny
l’accaduto. Ginny, da parte sua,
aveva gli occhi spalancati, incredula di quello che le stava
raccontando. Passò
inconsapevolmente il dito intorno alla cicatrice, senza toccarla per
paura di
farle male.
“MudBlood…”
Il suo sussurro si sentì appena “Quella stronza
bastarda!!!” l’insulto invece
si sentì benissimo e Hermione non riuscì a
trattenere un sorriso. Le amiche
erano la medicina migliore del mondo.
“Scusami”
Ginny era in imbarazzo per non essersi
riuscita a controllare. Purtroppo era molto istintiva e spesso non si
accorgeva
di quello che faceva finché non l’aveva fatto.
Così raccolse l’ampolla da terra
l’aprì e gliela passò.
“Grazie”
Hermione la guardò negli occhi per farle capire che non la
ringraziava per
averle aperto l’ampolla. Ginny
l’abbracciò forte e la tenne stretta
finché le
lacrime non finirono. Si staccò da lei e indicò
il letto.
“Quando
ero troppo piccola per prendere la pozione per il mal di testa, la
mamma mi
faceva un massaggio sulla fronte e le tempie, e mi parlava. Passava
sempre.
Vieni.”
Si
sedette sul letto a gambe incrociate e la fece stendere con la testa
sulle sue
cosce.
“Potremmo
sempre cercare in biblioteca, cosa dici?” Hermione sorrise.
Non è che Ginny
amasse tanto la biblioteca e dal suo tono si sentì.
“Potremmo
farlo insieme, intanto che mi aiuti a studiare per gli esami
finali… no?”
Hermione sorrise serena.
Per
fortuna alcune cose non cambiavano mai. Mentre le mani di Ginny
“volavano”
sulla sua testa, Hermione si rilassò. Aveva delle mani
d’oro.
Passarono
il tempo a chiacchierare e Hermione raccontò della
passaporta, l’oggetto che le
aveva dato la MCGranitt, che le serviva per andare in Australia a
“riprendersi”
i suoi genitori.
Le
raccontò i suoi piani per il viaggio e le promise di
aiutarla per le verifiche.
Quando Hermione si addormentò, Ginny scappò
silenziosamente dalla porta,
lasciando l’amica a riposare. In corridoio c’erano
Ron e Harry che l’aspettavano
e Ginny si bloccò di colpo quando li vide poiché
non se li aspettava.
“Tutto
bene?” balbettò Ron titubante.
“Sì,
sì” La ragazza fu molto brava a distogliere
l’attenzione da Hermione con poche
parole, infatti scelse accuratamente cosa dire e quando
pronunciò ‘ciclo’
entrambi i ragazzi guardarono da un’altra parte e non
chiesero più niente.
La
rossa sorrise un po’ maligna, per aver approfittato del loro
imbarazzo, ma il
suo sorriso sparì appena vide Malfoy appoggiato al muro in
un punto buio del
corridoio.
Doveva
aver ascoltato quel breve scambio di battute, notando alzarsi il suo
sopracciglio
quando incontrò il suo sguardo. Gli altri non si accorsero
di lui e lei non
disse niente, lo guardò e basta. Ma non riuscì a
sostenere il suo sguardo. Come
se lui sapesse.
Così
si incamminò velocemente verso le scale e cercò
di farsi raccontare quello che
aveva detto la McGranitt alla riunione.
-
***
-
“Certo
che torni a scuola!!” La voce di Molly
si sentiva fin dal piano di sopra.
Ginny
si affacciò alle scale con Hermione “Ma che
succede?” bisbigliò la riccia. Ginny
scosse le spalle e scesero insieme le scale.
In
cucina, sua madre stava discutendo con Ron. Harry era seduto vicino a
lui. Le
ragazze entrarono in cucina con sguardo interrogativo, ma la madre di
Ginny
sembrava non essersi accorta di loro. Continuava a sgridare Ron
perché sembrava
che lui non volesse far ritorno a Hogwarts per finire gli studi. Si
girò verso la
stufa borbottando e sistemando il bollitore per fare il te.
Vedendola
in difficoltà Hermione la raggiunse e le prese di mano il
tegame. “Lasci, lo
faccio io”.
Molly
si accorse di lei e le sorrise stancamente. “Grazie
cara”. Poi si girò verso il
tavolo e squadrò il figlio più giovane.
“Hermione, dimmi, pensi di tornare a
scuola per dare i M.A.G.O?” Mentre le poneva questa domanda,
la strega continuò
a guardare Ron, che abbassò lo sguardo, ma Hermione non se
ne accorse, (o finse
di non accorgersene) impegnata a prendere le tazze dalla credenza.
“Penso
proprio di sì”. Lo sguardo di sua madre si fece,
se possibile, ancora più duro.
Ginny le studiò il viso. Povera mamma, era invecchiata di
almeno dieci anni. La
morte di Fred era stata un duro colpo per tutti, ma per sua mamma,
giustamente,
era stata una maledizione. Ginny sapeva che non riusciva a dormire
né a
mangiare a sufficienza. Ogni tanto le lacrime scendevano inaspettate
dalle sue
ciglia, ma lei non se ne accorgeva finché non le cadevano
dal viso.
Era
straziante vederla così. Fred mancava a tutti loro. George
era così triste da
pensare che non avrebbe sorriso mai più. La giovane strega
sperava che non
fosse così.
Qualsiasi
cosa avesse in mente Ron, non era il momento. Non
ora, non oggi, non in questa vita, Ron.
Guardò anche lei verso il fratello e vide che alzava lo
sguardo per incontrare quello della madre.
“Mamma…”
Fece una lunga pausa per prendere
coraggio e continuò: “Io non ci voglio tornare. E
poi non ci torna neanche
Harry”.
Tutti
gli sguardi si posarono su Harry, fino a quel momento ignorato da
tutti, e lui
guardò, con sguardo tradito, l’amico. Ron
alzò le spalle e disse, colpevole: “Beh,
è vero”.
Ginny
stava per aprire bocca quando Molly parlò ancora, questa
volta all’indirizzo di
Harry: “Harry, tu puoi fare quello che vuoi. Sei maggiorenne
e in grado di
reggere la bacchetta. Ma, e lo dico esattamente come lo sto dicendo a
mio
figlio, e tu, caro Harry sei come uno di loro, dovresti tornare a
scuola e
finire gli studi. Potrai così fare l’accademia per
diventare Auror. Non è
quello che vuoi, ragazzo mio?”
Harry
non disse niente e Molly continuò: “Invece
Ron,” e spostò lo sguardo sul figlio
“per te è diverso. Ti dico solo che
finché abiti qui farai quello che ti dico,
maggiorenne o no. Salvatore del mondo o no. Mi è
già stato preso un figlio e
non permetterò che se ne perda in giro un altro”.
Nessuno
ribadì niente. Mentre il bollitore fischiava Molly si
incamminò lungo la scala
e a metà si fermò, si rigirò verso di
loro e disse: “Altrimenti non cucinerò
più il pollo, anche a costo di fare un voto
infrangibile”.
Con
quella frase Molly riuscì ad allentare la tensione in cucina
e tutti sentirono
la porta della camera di George aprirsi e richiudersi alle spalle della
signora
Weasley.
Lo
sguardo di tutti era verso le scale, finché Hermione non si
mosse per prendere
il bollitore e versare il tè.
“Cos’è che volete fare voi?”
Ginny
scosse la testa quando Hermione le allungò una tazza e anche
gli altri due lo
fecero. Lei sbuffò e si preparò una tazza solo
per sé. Poi le ragazze si
sedettero di fronte agli amici.
“Quindi?”
continuò Ginny con uno sguardo che assomigliava tantissimo,
se non troppo
secondo Harry, a quello di Molly. I due ragazzi si guardarono, non
più tanto
convinti della loro decisione.
“Noi
pensavamo di non tornare a settembre. Kingsley si dice disposto a
prenderci
anche senza i M.A.G.O.”
“Beh,
non è mica giusto. Quando avete parlato con lui?”
Hermione aveva preso la
parola e, senza dare troppo peso alle parole, buttò li
quella domanda intanto
che versava latte e zucchero nel tè.
I
due ragazzi si guardarono di nuovo di sottecchi.
Ginny
li osservò. Non avevano parlato con Kingsley, si capiva
benissimo. Questo la
rincuorò.
“Certo,
Kingsley vorrà di sicuro due ragazzini che non hanno neanche
frequentato
l’accademia. Perché senza i M.A.G.O. non si
può fare l’accademia, lo sapete,
vero? Salvatori del mondo o no.”
Scelse
apposta le parole della madre. I ragazzi si guardarono ancora di
nascosto.
Com’è
che la sera prima il loro ragionamento sembrava filasse di
più? Harry guardò
Ron e notò che anche lui aveva lo stesso interrogativo in
faccia. Forse si
erano lasciati prendere un po’ dalla smania
dell’eccitazione, ma Harry giurava
di aver pensato fosse una buona idea.
Ron,
tornato due giorni prima dall’Australia con Hermione, si era
sentito carico e
agitato dal viaggio, dal piano e dal fatto che tutto avesse funzionato
per il
verso giusto. Infatti i genitori di Hermione stavano bene, avevano
riacquistato
la memoria e, dopo una lunghissima chiacchierata con la figlia e aver
conosciuto Ron, si erano rassegnati al fatto che la loro figlia fosse
molto più
avanti dei suoi diciotto anni.
Ron
aveva raccontato a Harry anche del disastro della loro relazione
‘Per Godric, Harry, mi sembrava di
baciare
Ginny!!’ Harry aveva riso un sacco per
l’espressione del rosso appena
pronunciate quelle parole (ma a Ron la cosa non era piaciuta
particolarmente). E
poi aveva dovuto convincere un Ron molto abbattuto del fatto che non ci
fosse
niente di male in ciò. In fin dei conti, se non fosse stata
Hermione, sarebbe
stata un’altra, era meglio saperlo subito, no?
Poi
Ron era partito con la filippica di non tornare a Hogwarts, ed era
stato così
convincente nel suo discorso che anche Harry aveva deciso che era
più logico
non tornare. Ma ora….
I
ragazzi rimasero a chiacchierare senza più nominare il
Ministero, Kingsley e
Hogwarts, ma quando Ginny accompagnò Hermione in salotto per
prendere le sue
cose prima di smaterializzarsi, questa disse con un tono di voce un
po’ più
alta di quello che sarebbe servito: “Sai chi torna a
Hogwarts, Ginny? Michael,
Micheal Corner. Luna mi ha scritto che le ha chiesto di te”.
Hermione
sorrideva degli occhi sgranati di Ginny. “Di me?”
Hermione ammiccò e Ginny
stette zitta. Poi, dalla cucina si sentì Ron che
sussurrò (secondo lui): “Forse
dovremmo tornare a Hogwarts, giusto per vedere che vada tutto
bene… no?”
Ginny
si spostò per vedere da lontano i ragazzi ancora seduti al
tavolo e vide Harry
annuire con il capo. Trattenne a stento una risatina e
abbracciò stretta
Hermione prima di vederla sparire. Come avrebbe fatto senza di lei?
-
***
-
Diagon
Alley stava rialzando testa e cappello. I negozi erano quasi tutti
aperti.
Olivander era tornato a vendere bacchette ai giovani maghi, la
gelateria
Fortebraccio era stata riaperta da una giovane strega che diceva di
essere la
nipote di Florian (secondo Ron doveva essere vero perché a
lui sembrava che gli
assomigliasse parecchio) e il Ghirigoro, se possibile, era ancora
più pieno
degli anni precedenti.
Harry
si guardava intorno come la prima volta che era stato lì con
Hagrid. Vedere che
tutto riprendeva a vivere era una gran bella soddisfazione. Anche se
Florian
non c’era più, Olivander zoppicava ancora (ma
molto meno, secondo Ron) e non
tutti i negozi avevano riaperto le vetrine, secondo Harry era un grande
passo.
Lui,
Ron, Hermione e Ginny avevano già fatto un giro per i
negozi: erano stati da
Madama MacClan per le nuove divise ed erano già passati a
vedere la vetrina de
‘Accessori per Quidditch di qualità’
(dove Hermione aveva iniziato a sbuffare
dopo appena 10 minuti di beata osservazione da parte dei tre), e
stavano per
andare al Ghirigoro quando Harry disse sorridendo: “Devo
andare alla Gringott,
chi vuole farsi un giro sul carrello?”
Hermione
scosse il capo e disse che al massimo sarebbe andata a salutare Fleur
se fosse
stata al lavoro, ma non voleva, in quel mometo, tornare alla Gringott.
Ginny
allora propose all’amica di aspettare Harry e Ron al negozio
di George, mentre
loro sbrigavano da soli quella commissione. Ron fu d’accordo,
così si divisero.
Il
negozio ‘Tiri vispi Weasley’ era aperto e pieno di
ragazzini. George era al
banco con lo sguardo perso. A Ginny si strinse ancora una volta il
cuore. Fred
mancava ogni giorno, tantissimo, a ognuno di loro. Andò a
salutarlo e lui si
ravvivò un pochino. Faceva male anche quello, vedere quanto
si sforzasse e alla
fine vederlo ricadere.
Chiacchierò
un po’ con lui e decise di vedere gli ultimi arrivi. Girava
per il negozio
quando si trovò davanti alla gabbia delle Puffole Pigmee.
Non poteva farci
niente, le trovava carinissime e finiva sempre lì a
coccolarle.
“Delicious!”
Una bellisima ragazza mora si chinò sulla gabbia allungando
un dito fra le
sbarre per accarezzare una puffola rosa acceso.
Ginny
le sorrise e la ragazza si scusò: “Scusa, ho
gridato?”
Il sorriso della
rossa si fece ancora più
grande “È inevitabile, vero?”
“Oh
sì. Sono stupende…” Aveva un accento
francese molto meno marcato della cognata,
riflettè Ginny, chiedendosi da dove venisse. Non le sembrava
proprio di averla
mai vista.
Vedendo
il suo sguardo confuso, la ragazza sorrise “Si nota che non
sono di qui, vero?”
“Un
po’…” La ragazza allungò la
mano verso Ginny dicendo: “Sono Camille. Prima
andavo a Beauxbatons, in Francia, ma quest’anno
andrò a Hogwarts”.
La
rossa gliela strinse “Piacere! Io sono…”
“Ginny
Weasley!” Un gruppetto di ragazzine del secondo e terzo anno
le si strinsero
intorno, cercando di abbracciarla. Chiacchieravano tutte insieme,
contente di
vederla. Ginny non riusciva a contenerle. Salutò tutte con
affetto e rispose a
tutte le loro domande, chiese loro delle famiglie e di quello che si
ricordava
ma poi, prima che potesse capacitarsene, loro erano già
scappate a vedere i Filtri d’Amore e
i Sogni a Occhi Aperti.
“Ginny,
giusto?” La ragazza francese sorrise.
“Sì.
Ma non farti ingannare, non sono io a essere
famosa…”
Hermione
arrivò proprio in quel momento “Ginny, hai visto
quanti filtri d’amore ha
venduto George? Spero che a scuola… Oh, scusami, non avevo
visto che parlavi
con qualcuno. Ciao, io sono Hermione” disse, scorgendo la
ragazza in quel
momento “Io sono Camille”.
Ginny
si voltò verso uno degli scaffali del negozio, per vedere se
erano davvero
tanti i filtri d’amore che mancavano, ma il suo sguardo si
fermò alla vetrina, vedendo
Harry sul marciapiede appena fuori dal negozio. Ginny si
scordò delle due
ragazze accanto a lei, che avevano iniziato a parlare e non si accorse
neanche della
ragazza che parlava con Harry, concentrata a guardare il suo
ragazzo.
Quel
pensiero le faceva sorridere gli occhi e il cuore. Harry si era proprio
dichiarato il suo ragazzo, due
settimane prima, il giorno del suo compleanno. Lui era stato
così carino, le
aveva organizzato a sorpresa una romantica cenetta al civico 12 di
Grimmauld
Place, (ma loro non avrebbero MAI detto a Hermione che era stato
Kreacher a
cucinare) e poi avevano concluso la serata facendo l’amore
davanti al camino.
Ancora le si imporporavano le guance a pensarci. Lui era stato
così tenero e
lei era stata così bene….
“Con
chi sta parlando Harry?” Ron era arrivato in quel momento a
svegliarla dal suo
personale sogno a occhi aperti “ È proprio una
gran…”
Il
tono del rosso cambiò quando intercettò lo
sguardo accusatore di Hermione “Ehm,
bella ragazza…” Tutte e tre le ragazze guardarono
Ron e poi tutte e tre
guardarono Harry fuori dalla vetrina.
Hermione,
ancora seccata per il linguaggio di Ron, disse “Non sono
sicura… Sembra…”
“È
la Parkinson” concluse per lei Ginny.
“Sembra
davvero lei,” disse George, che si era avvicinato a loro, con
in mano uno
scatolone “ma sembra diversa”.
“È
cambiata. Sembra…” iniziò Hermione.
“Molto
carina” concluse Ron.
Ginny
si voltò verso di loro. A lei non sembrava cambiata. Non era
sempre stata così,
la Parkinson? Carina abbastanza e già l’anno prima
aveva smesso di avere in
viso quella smorfia da carlino. Ma poi si ricordò che Ron,
Hermione e George
non erano a Hogwarts, l’anno prima. Loro non
l’avevano vista. Ron e Hermione
erano arrivati dopo che lei era uscita da scuola insieme agli alunni
più
piccoli e agli altri Serpeverde. E dopo aver proposto di dare Harry (il
suo Harry!) in pasto a Voldemort, naturalmente.
“Non
mi sembra cambiata” sostenne alla fine.
“Sapete
cosa c’è? Sembra più carina soltanto
perché sta sorridendo, invece di ghignare.
Non mi ricordo di averla mai vista sorridere”
constatò George, sincero. Si
voltò verso delle ragazzine che chiedevano a gran voce altri
Filtri d’amore e se ne
andò.
Ginny
guardò ancora la Parkinson. Però era vero. Era
molto carina. Ma disse solamente:
“Ha delle scarpe bellissime”, che, per inciso, era
vero.
Quella
ragazza aveva sempre delle belle scarpe e doveva averne una
quantità indescrivibile.
Forse capitava così, a essere ricchi. Un po’ si
vergognò per quel pensiero, e
si scoprì quasi invidiosa.
L’importante,
carina o non carina, era che stesse lontano da Harry.
“Ha
anche delle belle gambe” Ron non la stava aiutando per
niente. Sbuffò girandosi
verso di lui e dirigendosi verso l’uscita del negozio, non
calcolando più
nessuno.
“Certo
che potevi stare zitto” Hermione lo rimproverò.
“Perché?
Che ho detto?” Ron era confuso. Hermione sospirò.
“Niente.
Perché non eri con Harry? E dov’è
Camille?” chiese, guardandosi intorno. La
ragazza non c’era più. Forse l’avevano
annoiata con i loro discorsi e lei se
l’era filata.
“Chi?”
Ron come al solito si sentiva incompreso.
-
***
-
Quando
Ginny uscì dal negozio, Harry era solo.
“Cosa
voleva la Parkinson?” Cercò di mantenere un tono
neutro, ma dentro si sentiva
malissimo. Aveva notato anche lui quanto fosse carina?
L’aveva notato come gli
altri? Merlino! Sperava che lui non potesse leggerle in faccia quello
che
pensava.
“L’ho
fermata io” disse invece.
“Oh…”
Questo non se lo aspettava.
“Sai,
l’ultima volta che l’ho vista, al Ministero,
lei… non stava molto bene…” Harry
parlava sottovoce.
“Oh?”
Ginny sperava di riuscire anche a dire qualcosa di diverso, ma proprio
non ce
la faceva.
Lui
continuò: “Beh, sai… il processo dei
suoi genitori…”
Adesso
Ginny aveva capito! Harry aveva fermato la Parkinson, la strega che
voleva
vederlo morto, per chiederle come stava. Era strano. Ma era da Harry.
Come era
stata stupida. Così sorrise.
“L’hai
vista il giorno del processo?” Harry annuì,
prendendole la mano.
“Sì.
Abbiamo scambiato due chiacchiere. A dir la verità si
è scusata con me, quel
giorno” Ginny era sorpresa.
“Davvero?
Si è scusata per quello che ha detto a Hogwarts?”
“Già.”
Per
un po’ non disse niente, poi riprese, per spiegarsi meglio:
“È stato un brutto
processo. Mi chiedevo soltanto se andasse tutto bene. Sai…
sì insomma…” Harry
non disse nient’altro. Ginny sapeva che non avrebbe detto
nient’altro. Ma
nient’altro doveva dire.
La
rossa gli prese il viso fra le mani e lo baciò.
“Ehi,
voi due! Smettetela immediatamente!!!” Ron arrivò
seguito da Hermione. I due
ragazzi si allontanarono senza fretta.
“Perché
non la pianti con questa sceneggiata? Se non la smetti ti lancio una
fattura
Orcovolante!” Ginny sbuffò infastidita rivolta al
fratello.
“Ti
sei ripresa subito, eh? Non eri preoccupata che la Parkinson ti
portasse via il
fidanzato?” disse il fratello ghignando.
A
sentir quelle parole Ginny divenne del colore dei suoi capelli e fece
scattare
la mano alla bacchetta gridando:“Chiudi quella boccaccia,
brutto…”, quando
Harry le fermò la mano e la guardò sorpreso.
“Sei
gelosa?”
La
giovane strega si sentì piccola piccola guardando Harry e
veramente infuriata
pensando a Ron. Per fortuna il moro era quello meno impulsivo dei due e
intrecciando le dita con le sue le disse ancora, sottovoce:
“Non devi essere
gelosa. Mai. Nessuna è come te. Per me ci sei solo tu. Mi
hai capito?”
L’unica
cosa che riuscì a fare fu annuire, ma non riuscì
a dire niente. Così Harry le
accarezzò una guancia e le passò il pollice sulle
labbra. Mancava poco e si
sarebbe commossa. Annuì ancora. Lui posò
lentamente le labbra sulle sue.
Hermione
li guardava con tenerezza, mentre Ron, al suo fianco, borbottava e
sbuffava
peggio dell’Espresso di Hogwarts.
“Dai,
Ron, andiamo al Ghirigoro. Devo ancora comprare quasi tutti i
libri” E così
dicendo lo prese per un braccio e lo trascinò via.
Mentre
camminavano lungo il marciapiede Hermione si guardò intorno.
Chissà se con la
Parkinson era venuto a Diagon Alley anche Malfoy….
Come
si rese conto di quello che aveva pensato, si bloccò di
colpo, tanto che Ron,
che non se lo aspettava, fece un altro passo in avanti prima di
fermarsi e
rimase con un braccio alzato verso di lei. “Che
succede?” chiese, serio,
guardandola in viso.
Hermione
aveva un’espressione strana e a lui non piaceva.
“Niente niente. Mi sono
scordata la lista dei libri a casa. Tu hai con te la tua?”
Ron
annuì sollevato. Quella ragazza prendeva la scuola troppo
sul serio. Davvero.
Per un attimo si immaginò ancora a Hogwarts in biblioteca
mentre cercava la
maniera per finire qualche compito impossibile.
Perché
aveva accettato la richiesta di sua madre di tornare a scuola? Non era
ora che
iniziasse a far valere le sue opinioni? Era vero che gli sarebbe
piaciuto
diventare Auror, però mica era l’unica scelta. O
no? Aveva appena scambiato due
parole con George, e gli aveva dato qualche buon suggerimento che il
fratello
aveva apprezzato. (A dir la verità, aveva buttato
lì qualche osservazione, era
stato George a ricamarci sopra e a dire che era un genio sorridendo,
quindi chi
era lui per dire che non aveva fatto un buon lavoro?)
Non
gli sarebbe dispiaciuto occuparsi degli scherzi per il negozio. Forse
faceva
ancora in tempo a cambiare idea….
I
due ragazzi camminavano vicini, sottobraccio, ma lontanissimi con i
pensieri.
Hermione cercava di controllarsi ogni volta che vedeva una testa bionda
e Ron
discuteva silenziosamente con se stesso su come fare per non tornare a
Hogwarts. Persero la battaglia tutti e due.
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Capitolo 5 *** Partenza e arrivo ***
Partenza
e arrivo
-
-
Il
binario 9 e ¾ era gremito di gente. Di famiglie, di
carrelli, di bauli, di
gabbie di gufi e civette e soprattutto di tanti, tanti alunni.
“Ma
sbaglio o c’è più gente?” Ron
era infastidito dalla confusione. Dai mocciosi,
specialmente. Tutti passavano accanto a loro bisbigliando e indicandoli
con il
dito. Più volte. Agli altri non importava, loro neanche ci
facevano caso. A lui
dava fastidio. Un sacco.
“Considera
che c’è un’annata in più.
Vorrà dire circa 40 o 50 studenti in più degli
altri
anni.”
Hermione,
da brava maestrina, sapeva sempre tutto. Non doveva tornare a scuola.
Lo
sapeva. Sbuffò guardandosi intorno.
“Hermione,
dici che sono tornati tutti? Quelli del vostro anno,
intendo.”
Ginny
cercava Luna e Neville fra la folla, in piedi sul suo baule.
“Non saprei.
Dimmelo, tu. Da lì in alto sicuramente vedi tutto. E
tutti”.
Hermione
rispose sorridendo. Era proprio contenta di essere tornata. Non vedeva
l’ora.
La scuola era facile da gestire. Bastava studiare, fare i compiti e
rispondere
alle domande che venivano poste. Estremamente facile.
“Eccoli!”
La rossa iniziò a sbracciarsi e chiamare a gran voce i suoi
amici per farsi
vedere e praticamente tutte le persone sul binario si girarono verso di
lei. Senza
preoccuparsi del fatto che stesse dando spettacolo, saltò
giù con un balzo e
corse ad abbracciare Luna.
“Luna!
Neville! Quanto mi siete mancati!” Dall’anno prima
la loro amicizia si era
rafforzata parecchio, a causa del regime scolastico a cui erano stati
sottoposti. A maggio avevano aiutato nella ricostruzione della scuola
insieme,
ma durante l’estate si erano visti poco. Ginny aveva mandato
loro decine di
gufi, il povero Leotordo aveva lavorato tantissimo.
Le
ragazze e Neville si avvicinarono ai tre ragazzi facendosi largo tra la
folla.
“Ragazzi, come va?” Neville, sempre di poche
parole, salutò tutti.
I
signori Weasley, che avevano insistito per accompagnare i ragazzi anche
se loro
sostenevano che non ce ne fosse bisogno, salutarono Luna e Neville.
Anche loro
erano contenti di vederli.
“Oh,
caro come sei diventato alto!” disse Molly abbracciando
Neville, che era
imbarazzato all’inverosimile. Non sapeva mai come comportarsi
con le mamme
degli altri.
“Cerchiamo
un posto? Se siamo davvero tanti, sarà difficile trovare uno
scompartimento
vuoto” Harry decise di venire in aiuto di Neville.
Visto
che si avvicinavano le 11, i ragazzi salutarono i Weasley e iniziarono
a salire
sul treno in fila indiana, uno alla volta.
Ron
rimase per ultimo e, dopo aver caricato il baule, quando stette per
salire
qualcuno gli tirò la stoffa della maglietta. Si
girò (sbuffando) ma non vide
nessuno. Però la sua maglia venne tirata ancora.
Guardò in basso e vide un
bambino piccolo, più piccolo di un primino, che cercava di
attirare la sua
attenzione. Si chinò appoggiando le mani sulle ginocchia,
per essere alla sua
altezza.
“Ciao
piccolo, ti sei perso?” Il bambino, con i capelli rossi come
i suoi, con gli
occhi luminosi e migliaia di lentiggini (molto più di lui,
constatò), gli
sorrideva (e gli mancavano due denti davanti).
Il
piccolo ignorò la sua domanda e gli chiese: “Tu
sei Ronald Weasley, vero?”
Ron
spalancò gli occhi dalla sorpresa. Tutti sapevano chi erano
loro tre: lui,
Harry e Hermione, ma di solito erano gli altri due a essere fermati
dalle
persone, non lui. Un po’ la cosa gli fece piacere. Era
un’enorme seccatura
quando da tutte le parti la gente ti indicava e parlottava di te o ti
fermavano
per strada duemila volte, ma non era mai successo che un bambino
fermasse lui.
Il
piccolo, che non era per niente timido, disse ancora: “Tu hai
salvato il mondo
magico, insieme a Harry Potter e Hermione Granger”.
Non
era una domanda e infatti continuò: “I miei amici
mi prendono in giro perché ho
i capelli rossi, ma io dico che quando sarò grande
sarò come te e loro smettono”.
Il bimbo si passò una mano fra i capelli e il suo sorriso si
allargò
ulteriormente.
Ron
era imbarazzato. Cosa si dice in queste circostanze? A lui nessuno
faceva mai
complimenti, non era mica abituato…
“Io… Io… Sai cosa ti dico?
L’importante non
è come si è, ma quello che si fa. E poi, gli
altri non capiscono niente, i tuoi
capelli sono bellissimi!!!”
Gli
mise una mano sulla testa, come aveva visto fare sua mamma con i
bambini
piccoli e sperò di averlo fatto bene. Il bambino in quel
momento aveva
spalancato la bocca e lui poteva benissimo vedere i pochi denti che
aveva, ma
vederlo così contento gli fece bene dentro,
all’altezza del petto. Sorrise
ancora rialzandosi e il bambino scappò via.
Ron
rimase un attimo fermo, ancora imbarazzato e contento come la mattina
di
Natale. Forse aveva fatto bene a decidere di venire. Chissà
forse sarebbe stato
un buon anno.
Si
guardò intorno un attimo con un gran sorriso e vide una
ragazza che lo guardava
in modo strano poco più in là: la Parkinson.
Quando
lei si rese conto che lui l’aveva vista, alzò un
sopracciglio e disse ad alta
voce nella sua direzione: “Non ti starai montando la testa,
eh Weasley?” e sul
suo viso comparve il ghigno che aveva imparato da Malfoy.
Ron
sentì le orecchie scaldarsi e si girò di scatto
per salire sul treno. Non gli
era venuto in mente niente da ribattere. Per Godric!
-
***
-
Era
più di un’ora che Camille fingeva di leggere la
stessa pagina di quel libro.
Era più di un’ora che era rimasta sola nello
scompartimento. Sua sorella aveva
detto che aveva un compito da svolgere e
che sarebbe tornata al più presto, ma non l’aveva
più rivista.
A
un tratto, un gruppetto di ragazze aprirono lo sportello chiedendo se i
posti
erano liberi. Lei annuì con il capo senza dire niente e loro
entrarono e si
sedettero. Erano in quattro quindi non la calcolarono più di
tanto.
Una
delle ragazze si girò verso di lei una o due volte
sorridendo e lei ricambiò ma
non riuscì a dirle niente. Ascoltò tutto quello
che si dissero, anche perché
loro parlavano a briglia sciolta come se lei non fosse stata neanche
lì.
“Astoria,
come è andata la tua estate? È vero che siete
andati in Italia?” La ragazza che
le aveva sorriso, si girò verso le altre e
raccontò: “Sì, siamo partiti subito
dopo gli esami. Mamma voleva cambiare
aria…” E piegò indice e medio
di tutte e due le mani per disegnare le
virgolette “Daphne non è stata contenta. Si
è lamentata tutto il tempo che
voleva tornare dai suoi amici. Invece a me è piaciuto molto.
Abbiamo
soggiornato in un’abitazione proprio sulla spiaggia, nel sud
dell’Italia. Il
mare era bellissimo e l’acqua molto più calda di
quella che c’è qui sulle
nostre spiagge!”
Le
altre le fecero un sacco di domande, a cui la poveretta rispondeva
sempre con
tono più basso, come se preferisse cambiare discorso. Non
doveva essere una di
quelle persone a cui piaceva essere al centro
dell’attenzione.
Poi
una delle altre le chiese: “È vero che tua sorella
e Pansy Parkinson hanno
litigato e non si parlano più?”
Astoria
avvampò e disse sottovoce: “Io
non…”
Un’altra
intervenne: “Io sapevo che hanno litigato per colpa di un
ragazzo, è vero?”
La
ragazza non rispose così la prima riprese: “Sembra
che Pansy si sia messa con
Blaise Zabini e Daphne non era per niente contenta. O no?”
Astoria,
Camille lo vedeva benissimo anche senza conoscerla, si stava
innervosendo. Si
alzò in piedi dicendo che sarebbe andata in bagno a mettersi
la divisa. Camille
non si fece scappare l’occasione e si alzò
seguendola nel corridoio del vagone.
Però la ragazza scappò via velocemente e si
ritrovò da sola, fuori dallo
scompartimento.
Decise
di girovagare e di non tornare più nel vagone di quelle
pettegole, almeno finché
non avesse trovato sua sorella.
Non
le sembrava il caso di tornare nella tana di quei draghi. Almeno non da
sola.
-
***
-
La
carrozza dei prefetti era piena. Infatti c’erano ben otto
prefetti in più
quell’anno. Ron era contento. Significava meno ronde di
pattugliamento e meno
lavoro.
Già
ci avevano messo un tempo infinito per mettersi d’accordo per
la prima riunione
e istruire i nuovi prefetti, così lasciarono il compito del
controllo dei
corridoi ai novellini e quelli del sesto anno.
Ron
e Hermione decisero di tornare nello scompartimento con Harry e gli
altri e si
avviarono verso la loro carrozza quando si scontrarono con la Parkinson
e
Malfoy nello stretto corridoio che separava i vagoni.
“Oh,
Malfoy, quest’anno ci fai il piacere di farti vedere! Che
dici, farai la tua
parte? O lascerai fare tutto agli altri come l’ultima
volta?”
Ron
era nervoso. Avrebbe preferito che i Serpeverde non potessero tornare a
scuola,
quell’anno. E anche quello dopo. O per sempre.
“Ronald!”
Hermione spalancò gli occhi scandalizzata. Perché
Ron aveva detto una cosa del
genere? Sapevano tutti cosa era successo l’ultimo anno che
avevano frequentato
(ossia due anni prima). Non era il caso di rivangare vecchie storie.
“Sì,
Ronald, la mammina non ti ha
insegnato le buone maniere? Non si parla così alle persone.
O la tua è solo
paura di non essere capace di fare il tuo
lavoro da solo?”
Malfoy
alzò un sopracciglio così come gli riusciva
sempre così bene (pensò Hermione) e
scimmiottò il nome di Weasley per imitare Hermione
(pensò Pansy).
La
Parkinson scosse la testa mentre Ron rispondeva a Malfoy che non lo
aveva mai
considerato una persona e che doveva tenere fuori dal discorso sua
madre, se
non voleva essere schiantato sul momento. Malfoy ridacchiando sostenne
che nel
tempo in cui Ron fosse riuscito a estrarre la bacchetta e pronunciare
decentemente un qualunque incantesimo, lui sarebbe riuscito a
completare una
pozione polisucco.
Poi
Ron imprecò e Malfoy cercò di alzare la voce
più di lui con un’offesa a certi suoi
vecchi antenati. Poi qualcuno disse che….
La
Parkinson, che scuoteva ancora la testa, estrasse la bacchetta e disse
senza alzare
troppo la voce: “Silencio”, agitando la bacchetta
nella loro direzione.
I
ragazzi continuarono a insultarsi senza emettere alcun suono.
“Siete due
idioti. Io ho altro da fare”. E detto questo,
salutò Hermione con un cenno del
capo, si girò e se ne andò.
Hermione
la guardò andare via. Merlino. A lei non era venuto in
mente. Guardò i due
ragazzi e la scena era così buffa che scoppiò a
ridere.
Nessuno
di loro riuscì a fare il contro incantesimo in maniera non
verbale. Si girarono
verso di lei con due sguardi affilati e incattiviti, ma lei non
riusciva a di
smettere di ridere.
“Per
Godric…. Scusate… Non riesco…. A
smettere…. Di…” Dovette prendere fiato
almeno
due volte prima di ristabilirsi e anche così non riusciva a
pronunciare il
contro incantesimo. Le era andato in pappa il cervello.
Appena
pensò quella frase, ricominciò a ridere. Al che
Ron e Malfoy si guardarono
straniti.
“Scusate
scusate…” Solo dopo qualche minuto (ma
secondo Ron furono molti di più) riuscì a far
tornare la voce ai ragazzi.
“Dovreste
allenarvi un po’ di più negli incantesimi non
verbali. Ma devo dire che ho
apprezzato tantissimo. Fai i miei complimenti alla Parkinson,
Malfoy.”
Il
biondo platinato ghignò mentre si aggiustava la spilla da
prefetto e disse:
“Oh, glieli farò stanotte. Magari dopo averla
sculacciata per punirla”.
Strizzò
un occhio nella sua direzione e se ne andò anche lui.
Hermione aveva una faccia
strana, come se avesse ingoiato un Doxy (almeno così
pensò Ron, lui per fortuna
non ne aveva mai ingoiato uno).
“Hermione,
sarà meglio andare. Ci aspettano…” La
strega annuì distrattamente, facendo
strada.
Erano
quasi arrivati allo scompartimento dei loro amici quando Ron disse
sottovoce:
“Non riesco a togliermi dalla mente Malfoy che sculaccia la
Parkinson…”
Voleva
dirla come se fosse stata una battuta divertente, molto divertente, e
invece,
notò, sembrava un annuncio mortuario.
“Già”
Rispose lei. Anche Hermione non riusciva a non pensarci.
-
***
-
Il
castello apparve in tutto il suo splendore, nelle luci notturne, man
mano che
le carrozze procedevano per la strada. Quasi tutti i ragazzi
più grandi
potevano vedere i Testral trainare le carrozze, ormai. Aver combattuto
la
guerra magica e aver visto tante persone morire aveva dato loro questa
opportunità, anche se ne avrebbero fatto volentieri a meno.
Camille,
che non vedeva i Testral, fu affascinata da tutto quello che poteva
vedere. Non
era mai stata a Hogwarts.
A
dir la verità aveva visto poco della Gran Bretagna. Giusto
la casa dei suoi
genitori, e i posti dove andavano in vacanza. Per il resto aveva
vissuto gran
parte della sua vita in Francia. E questa volta non sarebbe tornata
dopo tre
mesi di vacanza.
Questa
volta non sarebbe tornata più, probabilmente. Sua sorella
era venuta a
prenderla tre settimane prima, aveva avuto una lunga e accesa
discussione con i
suoi nonni, i suoi amatissimi nonni, e l’aveva portata via.
Di corsa, in
Inghilterra. E lei era riuscita a malapena ad avvertire i suoi amici.
Aveva in
tasca la lettera che le aveva scritto Justine, la sua migliore amica, e
voleva
risponderle al più presto.
Non
voleva venire in Inghilterra, né a Hogwarts, se è
per questo. Voleva rimanere
in Francia. Poteva rimanere dai nonni. Loro non avrebbero detto di no.
E
invece…. Adesso era qui. E il posto era bello.
Merlino,
se era bello. Il soffitto della sala grande sembrava un cielo. Migliaia
di
stelle brillavano nel buio ed era uno spettacolo favoloso. Glielo aveva
detto,
sua sorella, ma lei non aveva voluto crederci. Anche se tutto era
bello, ce
l’aveva ancora con lei.
Così,
mentre sfilava per la sala in mezzo ai lunghi tavoli (erano quattro,
due per
lato e quattro come le case dei fondatori, le aveva detto anche questo,
lei) insieme a degli studenti di
undici
anni, decise di non guardare nella sua direzione, per farle un
dispetto, anche
se aveva notato che lei cercava di attirare la sua attenzione con lo
sguardo.
Guardò
gli altri tavoli e, in quello vicino al muro in fondo riconobbe le
ragazze che
aveva visto quando era andata a comprare i libri per la scuola (e non
aveva
potuto comprare la puffola pigmea perché sua sorella non
aveva voluto) e quando
loro la videro, la ragazza rossa la chiamò per nome e tutte
e due la salutarono
con la mano.
Quando
fu il suo turno di sedersi sullo sgabello e indossare quel lurido
cappello che
decideva in quale casa metterla, (aveva anche cantato una canzoncina,
il lurido
cappello, ma lei non aveva capito le prime frasi e così non
aveva ascoltato
neanche il resto) non avrebbe saputo cosa sperare. La casa delle
ragazze
simpatiche? Com’è che si chiamavano? Ginny e
Hermione, forse? O la casa di sua
sorella?
Guardò
nella sua direzione, per la prima volta da quando era entrata, ma vide
che
guardava qualcuno e non proprio con uno sguardo amichevole.
Sembrava
l’ultimo sguardo che aveva rivolto a nonno Lemaire, giusto
prima di dire ‘Noi
ce ne andiamo’, quando l’aveva vista arrivare nella
stanza. Una gran brutta
faccia.
Chissà
se era possibile andarsene da lì per tornare in
Francia… Anche di nascosto…
Forse scappare era l’idea migliore, effettivamente. Come quel
pensiero prese
volume nella sua testa, il suo sorriso si allargò sul viso
e, subito dopo il
cappello gracchiò la parola
‘Serpeverde’.
Lei
neanche se ne rese conto, ma tutto il tavolo della casa dei Serpeverde,
alla
sua destra, batté le mani e si alzò, facendole
spazio per invitarla a sedersi.
Si alzò dallo sgabello e con pochi passi raggiunse il
tavolo.
Vide
sua sorella farle cenno di sedersi vicino a lei, ma Camille la
ignorò e si
sedette vicino a un ragazzo dai ricci castani e gli occhi azzurrissimi,
che le
sorrideva.
Sarà
stata anche una Serpeverde come lei, ma non avrebbe dovuto far sapere a
tutti
che era sua sorella, no?
Ginny
vide Camille che avanzava nella fila dei primini verso lo sgabello su
cui era
appoggiato il cappello parlante e le fece un cenno con la mano, che la
ragazza
ricambiò.
“Com’è
alta quella lì…” Ron, che non vedeva
l’ora che si potesse cenare, aveva fame e
iniziava a ravagliare.
Ginny
si girò e gli disse: “Come sei ottuso. Mica
è del primo anno. Viene da
Beauxbatons”.
Ron
sbuffò. Cosa pensava che gliene importasse a lui di quella
francese?
Hermione,
che stava guardando il tavolo dei Serpeverde (solo per controllare chi
era tornato
a scuola e chi no!!) notò che Malfoy, di cui vedeva solo la
schiena, era seduto
in fondo alla panca, vicino al corridoio e che nell’unico
posto di fianco a
lui, c’era Zabini. Vicino a quest’ultimo era seduta
la Parkinson.
Forse
Malfoy era ancora arrabbiato con lei e non si erano seduti vicini. Ma
poi notò
che Zabini portò la mano, che era appoggiata sul tavolo,
sulla panca a coprire
quella della ragazza. Lei sussultò come se non se
l’aspettasse e si girò verso
di lui.
Il
ragazzo si chinò quel tanto che bastava per avvicinarsi al
suo orecchio e le
sussurrò qualcosa, mentre lei annuiva.
Hermione
sorrise. Se anche qualcuno avesse sculacciato la Parkinson quella
notte, di
sicuro non sarebbe stato Malfoy. Ma a lei cosa importava? Si
sforzò di portare
l’attenzione sui ragazzini che venivano smistati e cercare di
ricordarsi
qualche nome e qualche faccia di quelli che erano stati scelti come
Grifondoro.
Come avrebbe fatto a essere un bravo prefetto se non sapeva neanche chi
erano i
suoi protetti? Doveva prestare più attenzione.
Quando
finì la cena, da bravo prefetto, radunò tutti i
nuovi alunni nella sala
d’Ingresso e spiegò loro che dovevano seguirla per
raggiungere la torre dei
Grifondoro, quindi la sala comune, quindi i dormitori.
Spiegò loro delle scale,
che cambiavano direzione ogni volta che ne avessero avuto voglia e del
quadro
della signora grassa. (per fortuna era stato ritrovato. Avevano avuto
paura di
averli persi per sempre, il quadro e la signora grassa).
Ron,
di fianco a lei, sbuffò. “Ma perché
dobbiamo farlo noi? Non puoi lasciarlo fare
agli altri prefetti?”
Hermione,
seccata, gli rispose: “Era meglio se lo avessi chiesto a
quelli del quinto
anno, sono molto più volenterosi di te!”
“Perché
è il primo anno che lo fanno. Nonna Weasley diceva sempre:
‘Scopa nuova vola
sempre bene’. Aspetta qualche mese e ne
riparliamo!”
Hermione
sospirò. Era stanca, voleva fare un buon lavoro e nel minor
tempo possibile.
-
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Capitolo 6 *** Nei corridoi di Hogwarts ***
Nei
corridoi di Hogwats
-
-
La
prima riunione dei prefetti fu praticamente organizzata per decidere i
turni dei
pattugliamenti. Come aveva previsto Ron, essendo più
prefetti, c’erano meno
ronde da fare e quindi, più giorni liberi. Quello che invece
Ron non aveva
previsto, era di essere affiancato a Elinor Simmons, quinto anno
Tassorosso che,
come aveva detto Hermione, era smaniosa di mettersi
all’opera.
Ron
e la Simmons avevano percorso solo metà del piano che
avrebbero dovuto
controllare e lei non era ancora stata zitta. Aveva raccontato delle
sue
vacanze, delle sue amiche, delle lezioni che aveva iniziato a seguire,
dei
G.U.F.O. e… e poi Ron non sapeva di cos’altro
stesse parlando, perché aveva
smesso di ascoltarla.
La
scuola era iniziata da solo una decina di giorni e lui già
non ne poteva più. Non
le prestò più molte attenzioni, finché
lei non si fermò improvvisamente in
mezzo al corridoio, con le braccia incrociate e battendo un piede per
terra.
Ron
si voltò verso di lei sospirando e le chiese:
“Cosa c’è adesso? Dai,
controlliamo le ultime aule, così possiamo tornarcene ognuno
nella propria sala
comune”.
Non vedeva l’ora di
raggiungere Harry e Ginny per
controllare cosa stessero facendo. La Simmons però era di un
altro avviso.
“Non
mi stavi ascoltando!” Ron balbettò qualcosa, preso
alla sprovvista. Com’erano
complicate le ragazze!
“Ok,
è vero. Scusami. Ma sono stanco e vorrei finire al
più presto.”
Il
viso della ragazza si rabbuiò un po’.
“Quindi non vuoi stare un po’ con me e
raccontarmi qualcosa anche tu?”
“E
di cosa dovrei parlarti?”
La
Simmons alzò le spalle. “Non so… di
come è stato sconfiggere Tu-sai-chi… o
distruggere uno di quei cosi
dell’anima…”
Ron
aggrottò le sopracciglie. “Dici gli
Horcrux?”
La
ragazza si animò “Sì! So che ne hai
distrutto uno! Dev’essere stato eccitante!”
Gli
Horcrux erano una cosa seria, non un aneddoto divertente da raccontare
in giro.
Ron si chiese come avesse fatto quella ragazza a diventare prefetto.
Non
sembrava essere né particolarmente studiosa né
intelligente. Poi, sulle scale
sentì la voce di altri due prefetti che discutevano di
qualcosa. Le loro voci
erano sempre più vicine, così immaginò
che si stessero avvicinando. Riconobbe
la voce di Anthony Goldstein e della Parkinson. Beh, se c’era
riuscita la
Parkinson a diventare prefetto, poteva riuscirci chiunque.
Spinse
la ragazza in una delle aule vuote per evitare di incontrarli e intanto
le disse:
“Non mi piace parlare di quello che è successo. E
penso che gli Horcrux siano
un argomento proibito qui a Hogwarts”.
La
ragazza si guardò intorno e sorrise, dicendo:
“Perché mi hai portato qui?”
Ron
controllò l’aula, che non aveva niente di strano,
e, non potendo dire che non
voleva incontrare gli altri prefetti, scrollò le spalle
dicendo: “Bo. Non lo so”.
La
ragazza sorrise e gli si avvicinò di più
“Ci sono altri argomenti proibiti che
potremmo affrontare…”
Ron
non era molto partecipe al momento “Dici? E quali?”
Quando
la ragazza gli si avvicinò di più, avvolgendogli
il collo con le braccia, tirandolo
verso di sé e sussurrando sulle sue
labbra: “Tipo questo”, prima di baciarlo, Ron aveva
capito. Eccome se aveva
capito.
Non
gli piaceva particolarmente, la Simmons, ma come diceva la nonna
‘Se la puffola
ti è stata donata non guardarne il colore’,
così ricambiò il suo bacio. Tutti i
suoi baci.
Dopo
venti minuti Ron aveva capito che la ragazza non aveva freni. Erano
sdraiati
sulla cattedra e la camicetta di lei non aveva più bottoni.
Le aveva messo le
mani dappertutto e lei non solo non aveva protestato, ma
l’aveva anche aiutato
quando si era trovato in difficoltà. Cercò, fra
un bacio e l’altro di pensare
se fosse o meno una cosa buona ma faticò a ragionare.
Non
voleva fare brutta figura, ma non voleva neanche sprecare
quell’occasione. Con
Hermione non era andata, se non andava neanche con questa si sarebbe
consacrato
sacerdote. Ma, per un momento, un piccolo momento di
lucidità, ragionò. Non
sapeva neanche com’era l’Incantesimo per la
contraccezione (e chiederle se lo
conoscesse lei era seccante) né se lei prendesse la
pozione… quindi, sospirò e
disse: “Aspetta… se non torniamo nella sala dei
prefetti, ci verranno a
cercare. Sarebbe meglio non farsi trovare
così…”
Gli
occhi di lei, quando lo guardarono sembravano liquidi. Ron dovette fare
uno
sforzo per fermarsi.
“Oh.
Giusto” approvò lei. Per fortuna.
“Potremmo
fare così…” la sollevò a
sedere sul bordo della cattedra, con le gambe a
penzoloni, sistemandosi fra di esse e tirandola verso di sé,
la baciò continuando:
“Adesso torniamo indietro… andiamo alla sala dei
prefetti…”
Ogni
volta si fermava e la baciava ancora. La ragazza sembrava capire poco,
ma
annuiva tutte le volte. “E, domani sera, ti prendi il giorno
libero, e andiamo
nella stanza delle necessità. Organizziamo una cosa fatta
bene, cosa dici? Ti
piacerebbe avere un bel letto?”
La
Simmons continuava ad annuire seguendo poco il suo discorso.
“Di che colore ti
piacerebbero le lenzuola? Rosa?” disse ancora Ron mentre la
faceva scendere. La
ragazza si ricompose e con un colpo di bacchetta i bottoni tornarono al
loro
posto. (Meno male, pensò Ron, visto che lui non era sicuro
di quale incantesimo
usare).
Uscirono
dall’aula, e Ron finì velocemente
l’ispezione del corridoio, per poi tornare
indietro e andare insieme alla stanza dei prefetti.
Le
prese la mano e le sorrise. Anche la ragazza gli sorrise, il suo
sguardo era
ancora appassionato. Quando entrarono nella stanza dei prefetti, Ron le
lasciò
la mano, ma così facendo attirò
l’attenzione su di loro.
Si
guardò intorno. C’erano Goldstein, la Parkinson,
la Abbott e un ragazzo del
sesto anno. Fece un cenno del capo a tutti e si domandò dove
fosse Hermione.
Aveva urgentemente bisogno di incontrarla.
Anthony
stava scrivendo su una pergamena sul tavolo della stanza e la Parkinson
guardò
nella loro direzione. Il suo sguardo scivolò su Ron senza
quasi vederlo e si
fermò sulla ragazza bionda che teneva gli occhi bassi.
“Tutto
ok?” chiese Anthony senza alzare la testa dalla piuma.
“Oh,
sì!” rispose la Simmons, raddrizzando il capo.
Tutti si voltarono verso di lei
per l’entusiasmo della sua risposta. Ron schioccò
la lingua contrariato e disse:
“Sì, sì, niente di strano. Nessuno in
giro, tutto al suo posto…”
Poi
si voltò verso di lei con uno sguardo di fuoco. Lei
mimò ‘Scusa’ con le labbra
e sorrise. Ron guardò di nuovo verso gli altri e
notò che nessuno prestava più
loro attenzione.
Nessuno
tranne la Parkinson, che guardava la tassorosso con uno sguardo strano.
Poi lo
spostò su di lui e i suoi occhi si illuminarono di
divertimento. Ron era sicuro
che lo stesse prendendo in giro, in quella maniera
così… così… ecco, Serpeverdese. Sì, era proprio
così. Si
stava burlando di lui anche se non aveva detto niente,
perché Ron lo sapeva che
loro facevano così
apposta.
Così
con un tono un po’ brusco, augurò la buonanotte a
tutti e se ne andò verso la
torre dei Grifondoro. Quando arrivò in sala comune non vide
Hermione e immaginò
che fosse già andata a letto, e allora imboccò le
scale per il suo dormitorio.
Fu
solo quando si mise a letto che si accorse di non aver detto niente
alla
Simmons, neanche ‘Buonanotte’. Tirò un
pugno al cuscino. Per Godric!
-
***
-
Hermione,
quando ebbe finito la ronda, si incamminò per la torre dei
Grifondoro stanca e
arrabbiata. Malfoy non si era presentato per il giro serale e lei aveva
dovuto
farlo da sola. Non era stato né faticoso né
difficile, ma quando si prende un
impegno, bisognerebbe mantenerlo. Ecco. Sì, era arrabbiata
per quello. Per la
mancanza di professionalità di Malfoy.
Stava
salendo le scale quando queste decisero di muoversi e cambiare
destinazione.
Oh, stupendo, la sua strada si era pure allungata. Non era proprio la
sua
giornata, quella.
Aspettò
che le scale si fermassero di nuovo e imboccò quel
pianerottolo, cercando di
vedere se, facendo il giro, avrebbe potuto prendere un’altra
scala.
Uno
strano rumore attirò la sua attenzione. Sembrava una
bottiglia che rotolava. E
un’imprecazione.
Hermione
tirò fuori la bacchetta, l’accese con un
incantesimo non verbale e si incamminò
verso quella voce. Chi aveva controllato quel corridoio? Non avevano
guardato
bene? Man mano che si avvicinava, la bottiglia continuava a cadere e la
voce
borbottava sempre di più.
Quando
si avvicinò del tutto, vide Malfoy seduto per terra, che
muoveva una bottiglia
di Firewhisky vuota con la bacchetta, un po’ con qualche
incantesimo e un po’
fisicamente spingendo con la punta della bacchetta.
“Malfoy!”
Hermione era seccata. Non solo quell’idiota non si era
presentato, ma era pure
ubriaco in giro per la scuola!
“Ma
vuoi farti espellere?” disse la prima cosa che le
passò per la testa. Lui alzò
quello sguardo gelato su di lei e ghignò.
“Granger,
che bella sorpresa, ti unisci a me?” e allungò
nella sua direzione un’altra
bottiglia, questa però piena per metà. Hermione
scosse la testa, puntò la
bacchetta verso le due bottiglie e disse:
“Evanesco”.
Le bottiglie sparirono e
Malfoy fece un
smorfia che deformò il suo viso.
“No!
Perché?” Hermione sbuffò.
“Perché
sei abbastanza ubriaco. Forza, andiamo, ti accompagno ai
sotterranei.”
“Io
non faccio niente.”
“Oh,
invece lo farai.”
“E
perché dovrei?” Quel
ragazzo parlava
troppo.
“Perché
me lo devi. Mi hai lasciato da sola a fare la ronda. Non è
stato professionale.
E ora ti ritrovo qui ubriaco!” Draco alzò di
scatto la testa, pentendosi subito
per quel gesto.
“Cosa
dici? Ho cambiato il turno con Ernie Macmillan.”
Hermione
abbassò la bacchetta sorpresa
“Oh.
Ernie è in infermeria. Gli è venuta
l’influenza…” Forse…
forse… non era stata
colpa sua. Ma allora…
“Perché
hai cambiato il turno?” Malfoy sbuffò.
“Ma
non hai niente da fare? Perché non vai a letto?”
“Perché
lo hai fatto?”
“Non
sono affari tuoi, Granger. Magari pensavo che fare la ronda con te
sarebbe
stato noioso!” Dal suo tono però, tutti e due
sapevano che stava mentendo.
“E
perché , Merlino, hai bevuto?” Hermione si sedette
per terra vicino a lui.
“Cosa
fai?”
“Mi
siedo vicino a te.”
“Perché?”
Hermione sorrise.
“Perché
mi va. Perché hai bevuto?”insistette lei.
Malfoy
fece una smorfia. “Non c’è un
motivo”.
“Quando
ci si scola una bottiglia di Firewhisky da soli,
c’è un motivo. E tu ne avevi
due.”
“Non
c’è un motivo” insistette lui.
“Ok.”
Draco
la guardò meravigliato che avesse lasciato perdere. Un
po’ anche deluso. Così
disse la prima cosa che gli venne in mente: “La Parkinson non
viene più a letto
con me. Ho bevuto per questo”.
Il
ragazzo si diede dell’idiota da solo. Aveva detto una cazzata
e lei, che non
era stupida, avrebbe capito che stava mentendo.
“Mi
spiace…” disse infatti lei, con tono piatto.
“Non
dire che ti dispiace, quando non è vero!”
La
riccia sentì il calore coprirle le guance, così
spostò la bacchetta in maniera
che lui non potesse vederlo.
“Non
dire che hai bevuto per la Parkinson, perché non
è vero” disse, sperando che
lui non si accorgesse di aver ignorato il suo commento.
Draco
ridacchiò ancora. Come se ne rese conto, decise di non bere
più così tanto. Non
riusciva a darsi un freno. “Hai ragione. Hai consigli da
darmi?”
Ridacchiò
ancora. Oh, Merlino.
Hermione
sbuffò. Che conversazione stupida! “Consigli? Per
cosa? Se lei non vuole fare
niente con te, trovatene un’altra!”
Scrollò
le spalle. Malfoy
si girò a guardarla e
sussurrò: “Ti stai offrendo tu?” e le
accarezzò una guancia con una delicatezza
che fece scorrere diversi brividi sulla schiena di Hermione.
Lei
si alzò in piedi, mezza sconvolta. Aveva gli occhi
spalancati e disse:“Ma
cosa…” Lui la guardò con gli occhi
tristi, ma si riprese subito e un ghigno
ricomparve sul suo viso. “Calmati, Granger. Non parlavo sul
serio. Dovresti
saperlo…”
Rimasero
in silenzio per qualche minuto. “Come hai fatto a non farti
vedere dai prefetti
della ronda?” Era veramente curiosa.
“Oh,
guarda, una ronda molto accurata…” disse ironico
“È passato solo Lenticchia e
l’ha fatto quasi di corsa. Penso non abbia neanche guardato
in questa direzione…”
“Ron?”
“Conosci
altri Lenticchia?”
Avrebbe dovuto
parlare con Ronald, il giorno dopo. Non era stato professionale.
“Posso
chiederti una cosa?” Draco aveva dovuto convincersi a
parlare, ma il fatto di
aver bevuto un po’ di più lo aiutava con i suoi
limiti.
La
strega sospirò. “Va bene, ma poi ti accompagno nei
sotterranei, ok?”
Lui
annuì ma poi rimase in silenzio, come se non riuscisse a
parlare e, quando alla
fine lo fece, Hermione pensava che non lo avrebbe più fatto.
Alzò lo sguardo
verso di lei. Aveva uno sguardo strano, pensò Hermione.
“Il
tuo braccio…. ti dà…
fastidio?” Lei si irrigidì e lui dovette
accorgersene
perché non disse niente, guardandola fisso.
Malfoy
era lì, quando Bellatrix aveva usato la bacchetta su di lei,
anche se, tra il
dolore della Cruciatus, lo stordimento, la paura e il resto, non si era
resa
conto che avesse assistito anche alla beffa della scritta
sull’avambraccio.
Prese
tempo e decise quali parole usare: “Beh, non è
proprio il tatuaggio che avrei
scelto...” Si guardò intorno, per non incontrare i
suoi occhi.
“Oh,
smettila. Non intendevo quello!”
Lo
sguardo di Malfoy era serio, serio come non l’aveva mai
visto. Velocemente lui si
alzò in piedi. Si fermò un attimo chiudendo gli
occhi e Hermione ebbe paura che
potesse stare male.
Aspettò,
pronta ad aiutarlo, ma non ce ne fu bisogno.
Quando
Draco riaprì gli occhi, lei era ancora davanti a lui.
Sentiva la testa girare e
un principio di nausea, forse per lo sforzo, forse per il momento o
forse per
quello che stava per dirle.
“Dolore.
Incubi. Dolore. Formicolii. Dolore. Paura.
Dolore…” Vergogna.
L’ultima parola si rese conto di non aver avuto il
coraggio di dirla ad alta voce.
Malfoy
parlava per esperienza, Hermione lo intuì senza saperlo.
Possibile che sapesse?
Poi
capì. Abbassò gli occhi sul suo avambraccio. Non
poteva vedere il marchio nero,
il segno dei mangiamorte, perché lui aveva il maglione della
divisa, e
comunque, come lei con la sua cicatrice, lo teneva sempre coperto.
Quando
riportò gli occhi al suo viso, seppe che lui sapeva. Che lui
provava le stesse
cose.
Ma
lei non voleva condividere quella cosa con lui. L’aveva fatto
con Ginny, ma con
Malfoy proprio no. Lui ne avrebbe approfittato la prossima volta che ce
ne
sarebbe stata l’occasione. E lei non poteva permetterselo.
Era una debolezza
che doveva sconfiggere, prima di scoprirsi troppo con gli altri.
Già quella
breve discussione le intontiva la testa e fra poco avrebbe lacerato
tutto. Il
braccio iniziò a intorpidirsi, e senza che lo avesse
toccato.
Forse
avrebbe dovuto stare lontano da lui.
“Io…
devo andare…” Draco non tentò di
fermarla quando gli passò vicino per scappare
via. Non era il momento. Lei non era pronta a raccontarsi. Lo sapeva
bene, ci
aveva messo del tempo anche lui, prima di capire, prima di
anestetizzare, e
ancora non c’era riuscito del tutto.
Non
aveva cercato di fermarla, però avrebbe voluto,
pensò mentre si girava
guardandola correre via da lui. Avrebbe voluto prenderle la mano e
tirarla
contro di sé. Avrebbe voluto passarle una mano fra i capelli
mentre le baciava
le labbra. Voleva darle la pace che quella cicatrice non le dava, visto
che
nessuno la stava aiutando. E lui voleva farlo disperatamente.
Da
quando frequentava il sesto anno, aveva capito che non aveva senso
combattere
contro quel sentimento che era cresciuto dentro di lui. Voleva lei, la
Sanguemarcio. Era impossibile. Poi, quando aveva capito che a lei
piaceva
Weasley, il mondo era crollato, il marchio aveva iniziato a dargli
problemi
anche di giorno, lui non era più riuscito a tenere a freno
suo padre e aveva
perso il controllo sulla sua mente. Ed era successo quel che era
successo.
Poi
l’ultimo giorno: lei e Lenticchia. Li aveva visti baciarsi il
giorno della
battaglia. Prima che lei lo medicasse. Si era sentito malissimo. Come
una
Cruciatus. Tutto il corpo si era spezzato. Un dolore indescrivibile
scorreva
nelle vene fino ad arrivare a ogni parte del corpo. Appunto, come una
Cruciatus. O forse di più. Poi, quell’idiota di
Weasley l’aveva lasciata andare
via. Se fosse capitata a lui un’occasione
così…
Il
suo cuore ora bramava, sperava, non smetteva di battere furiosamente
quando la
incontrava.
Si
girò per tornare nei sotterranei. Lei non avrebbe mai dovuto
saperlo. Avrebbe
potuto usarlo contro di lui. Sarebbe bastato poco e lui avrebbe potuto
perdere
la ragione. Sarebbe stato meglio evitarla. Come aveva tentato di fare
quella
sera.
-
***
-
“A
ottobre ci sarà il primo weekend a Hogsmeade!” La
voce di Ginny era eccitata
mentre lo comunicava agli altri.
“Capirai.
Sono cinque anni che ci andiamo…” Ron era di
cattivo umore. Aspettava di essere
da solo con Hermione per chiederle informazioni ed era nervoso sia per
il fatto
che non era capitata l’occasione sia per quello che voleva
chiederle, ossia l’incantensimo
di contraccezione. Cioè, avrebbe potuto benissimo fare una
ricerca, magari in
biblioteca, ma preferiva non perdere troppo tempo e chiedere
direttamente a
lei. In fin dei conti non c’era niente di male, no?
Però
aveva ancora dubbi. Avrebbe potuto chiedere a Harry, ma poi avrebbe
saputo cose
che non voleva assolutamente sapere su lui e sua sorella. No, era
meglio
Hermione.
Rimuginò
a lungo sopra la colazione e neanche si accorse di quando Ginny si
alzò dal
tavolo dei Grifondoro per avvicinarsi a Luna e chiederle qualcosa sulla
loro
lezione, finché lei non tornò indietro per
baciare Harry e riscappare via.
Per
fortuna Ginny e gli altri ragazzi del suo anno non frequentavano le
lezioni
insieme a loro. Sarebbe stato snervante.
Già
sua sorella e Harry si lanciavano sorrisi e baci a tavola, in sala
comune e
fuori nel giardino di Hogwarts, se fossero anche stati in classe
insieme lui
sarebbe morto di sicuro.
Ron
sbuffò. Era la cosa che gli riusciva meglio ultimamente,
visto che si era
allenato così spesso, pensò Hermione,
così sbuffò più forte di lui e disse
con
un tono un po’ acido: “Si può sapere
cos’hai? Sei intrattabile. E so che ieri
alla ronda non ti sei comportato bene!”
“Come
fai a sapere della ronda?” Ron era stupito, possibile che la
ragazzina avesse
già raccontato tutto?
“So
che non hai controllato bene tutti i corridoi. E non va bene. Non si
fa…” Il
suo tono era quasi pedante. Mancava solo che alzasse l’indice
della mano e lo
facesse dondolare a destra e a sinistra come si fa con i bambini.
Harry,
che si trovava praticamente in mezzo fra i due, decise di finire
velocemente la
sua colazione per andare a cercare qualcuno. Chiunque, pur di non
trovarsi in
quella difficile situazione.
Se
volevano litigare di nuovo, lui non avrebbe preso le parti di nessuno.
Appena
si rese conto di essere rimasto solo con Hermione, Ron sputò
il rospo: “Ascolta,
ti spiegherò tutto. Devo chiederti una cosa. Ma è
imbarazzante e preferirei non
farlo qui al tavolo della colazione…” La bocca di
Hermione disegnò un cerchio
quasi perfetto.
“Oh”
Hermione non si aspettava una risposta del genere. Guardò
l’orologio e vide che
avevano solo pochi minuti prima dell’inizio della prima ora.
E lei aveva
Antiche Rune, non voleva arrivare tardi.
“Facciamo
a pranzo?”
Ron,
meravigliato disse: “Dici che ci sarà meno
gente?” Hermione sospirò e si
corresse: “Facciamo a pranzo, in biblioteca?”
Il
rosso si illuminò e poi ridivenne confuso. “Quindi
non mangiamo?”
Hermione
iniziava a
spazientirsi, alzò un
sopracciglio e lo guardò. Ron capì e disse:
“Ok va bene, va bene. A pranzo. In
biblioteca”.
“Ok ci
vediamo dopo.”
Si
alzò velocemente dalla panca per raggiungere
l’aula di Antiche Rune.
Ron
si servì ancora di bacon. Se doveva saltare il pranzo,
avrebbe dovuto fare almeno una
buona colazione.
-
***
-
Ginny
era uscita dalla biblioteca dopo aver finito l’ultima
pergamena di compiti. Era
stanca e non vedeva l’ora di tornare in sala comune prima di
andare a cena.
Il
giorno dopo ci sarebbero stati i provini per la squadra di Quidditch, e
Harry (rieletto
Capitano), doveva decidere chi mettere in squadra. Era così
contenta che si
riprendesse a giocare, finalmente.
Avrebbe
passato sulla scopa tutti i pomeriggi, se ne avesse avuto la
possibilità.
Decise
di deviare per un corridoio poco trafficato per evitare di incontrare
quella
ciurma di ragazzine che Harry sosteneva fosse il suo “Fan
club” personale.
Quelle
ragazzine che aveva visto al negozio di George, ogni volta che la
incontravano
la fermavano, le facevano un sacco di domande e le dicevano cose che la
mettevano in imbarazzo.
All’inizio
era stata una cosa carina. Adesso stavano esagerando. Non capiva
perché le
fossero così attaccate e in quel momento non ci
pensò più di tanto.
Quando
svoltò l’angolo, vide un gruppo di studenti che
discutevano. Oh, fantastico,
pensava di non incontrare nessuno, e invece…
Si
avvicinò velocemente e cercò di passare lontano
dal gruppo, ma quando fu
abbastanza vicino capì che stava succedendo qualcosa di
strano. Si sentiva una
discussione accesa e delle voci arrabbiate. Non sentiva cosa si
dicevano, ma i
toni erano molto tesi.
Tirò fuori
la bacchetta e la tenne in mano,
nascosta contro la gamba. Quando fu più vicina
capì che il gruppetto, sei o
sette persone, era tutto contro il muro, e tutto, contro una persona.
“Che
succede qui?” Subito, ragazzi e ragazze del sesto o quinto
anno (o forse anche
più piccoli) si girarono verso di lei. Li conosceva di
vista. Forse di uno o
due conosceva anche il nome, ma non ne era sicura.
Guardò
oltre di loro, oltre alla ragazza di costituzione robusta che
nascondeva la
persona con cui stavano discutendo, quando la riconobbe: era Camille,
la
ragazza francese.
“Weasley,
fatti un giro.”
A
parlare era stato un ragazzo Serpeverde del quinto anno. Rowie, forse,
Ginny
non era sicura.
“Perché
non andate voi a farvi un giro?” rispose lei con un tono
calmo, avvicinandosi.
Cercò
di arrivare a Camille, per vedere se stesse bene. Il ragazzo
alzò il braccio
che impugnava la bacchetta, ma Ginny che era molto più
veloce di lui, lo guardò
lanciandogli una Fattura Orcovolante (che era quella che le veniva
meglio e le
piaceva di più), ben assestata. Quando apparvero i mostri
che iniziarono a
infastidire Rowie, gli altri si dileguarono subito.
La
giovane strega si avvicinò al ragazzo che aveva fatto cadere
la bacchetta,
facendo finire l’incantesimo.
“Sei
contro uno non mi sembra molto leale, Rowie.”
“Non
sono mica Tassorosso!” Sbuffò lui.
“Stai
attento. Vattene adesso e non perderai niente.”
“Non
sei un prefetto e non puoi togliere punti alla mia casa.”
Da
bravo Serpeverde, comparve un ghigno sul suo viso. Ma come fanno? Fanno
delle
lezioni speciali giù nei sotterranei? ‘Istruzioni
sul ghigno: come farlo quando si ha torto e prove pratiche senza
specchio’? Ginny
si innervosì ancora di più.
“Ma
posso farti cadere due denti da quella tua brutta faccia. E posso farlo
anche
senza la bacchetta. Vuoi provare?”
Strizzò
un occhio e ghignò anche lei quando l’espressione
del ragazzo si fece
spaventata. Lui raccolse la bacchetta e scappò via.
Ginny
lo guardò andarsene e poi si girò verso Camille:
“Tutto ok?” La ragazza annuì
ma aveva gli occhi lucidi.
“Cos’è
successo?” Questa volta lei scosse la testa, come se avesse
detto che non ne
voleva parlare. Ginny sospirò e le mise un braccio intorno
alle spalle.
“Ok.
Ti accompagno nei sotterranei?” Camille annuì
ancora. Serpeverde.
Perché
quella povera ragazza era stata messa fra i Serpeverde? Il cappello
parlante
doveva aver riportato seri danni durante la battaglia o essere
diventato troppo
vecchio per giudicare la gente. A meno che non avesse scelto lei la
casa. Ma
era troppo strano.
Si
incamminarono nella direzione dei sotterranei senza dire niente.
Poi
Ginny si schiarì la voce: “Senti, dovresti parlare
con i prefetti della tua
casa di questa cosa che è successa. O direttamente con il
caposcuola…” O con
Lumacorno, il professore direttore di Serpeverde. Ma non lo disse ad
alta voce.
Avrebbe avuto problemi anche lei ad andare da un adulto. E da Lumacorno
in
particolare.
La
ragazza scrollò ancora la testa, rassegnata. Poi la
alzò e guardandola disse:
“Mi insegneresti a fare la fattura che hai scagliato a
Rowie?” Ginny, che non
ci aveva pensato, annuì.
“Sì,
può essere un’idea.”
Erano
arrivate ai sotterranei quando incontrarono Zabini che raggiungeva
l’ingresso
dei Serpeverde anche lui.
“Oh,
mia cara signorina Weasley, che piacere vederla qui. È
venuta per incontrare
me?” Zabini fece sorridere le due ragazze con i suoi modi
d’altri tempi,
esageratamente pomposi e affettati. Il suo viso sorrideva come se non
avesse
nessun problema al mondo, e Ginny immaginò che fosse proprio
così, quando si
accorse della ragazza accanto alla rossa.
“Camille!
Tutto bene?” Ginny notò il suo mutare
d’espressione. Era preoccupato davvero?
Si voltò anche lei verso Camille, che ora stava sorridendo
timidamente.
“Sì
Blaise, tutto bene, grazie. Ginny mi ha
accompagnato…” Zabini guardò ancora
Ginny e questa annuì per conferma.
“Allora,
se non vuole proprio godere della mia compagnia, prendo in custodia
questa
giovane donzella e mi auguro di vederla al più presto,
signorina Weasley.”
A
quelle parole di Blaise, Camille salutò entrambi e
scappò dietro un altro
studente che entrava dalla porta d’ingresso.
Notando
che Zabini aveva fatto tutto da solo, e che stava seguendo la ragazza
anche
lui, Ginny fece appena in tempo a fermarlo con una mano sul braccio,
dicendogli:
“Stalle vicino. C’è qualcosa che non
va…” Il moro annuì, come se avesse
capito
perfettamente (e Ginny sperò che lo avesse capito davvero),
e la raggiunse.
La
rossa fece dietro front e si incamminò verso la torre dei
Grifondoro.
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Capitolo 7 *** Sabato ***
Sabato
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Harry
era appoggiato al tronco di un albero sulla riva del Lago Nero e
giocava con i
capelli di Ginny, seduta fra le sue gambe. Era il primo sabato di
ottobre, il
clima era ancora clemente e la sua ragazza era appoggiata al suo petto.
Il
mondo era perfetto. (Beh, a parte quel tema di storia della magia che
doveva
ancora terminare e di cui non sapeva un granché).
“Oggi
pomeriggio ci sono i provini per il Quidditch. Sei pronta?”
La rossa sorrise,
ma lui non poteva vederle il viso.
“Oh,
sì che sono pronta per il Quidditch!!”
ridacchiò lei. Si rannicchiò un po’ di
più contro di lui e Harry l’abbracciò.
“Quindi
pensi di essere abbastanza in gamba per essere ammessa in
squadra?” la
stuzzicò, facendole il solletico.
“Oh,
io SARO’ ammessa in squadra!”
“Sembri
molto sicura di te” Harry le diede tre piccoli baci fra la
base del collo e il
lobo dell’orecchio.
“Già,
sai ho escogitato un trucco per passare davanti a tutti gli altri
cacciatori…”
“Un
trucco? E sentiamo… Cosa hai in mente?”
Ginny
ridacchiò “Ho intenzione di sedurre il
capitano” disse in tono cospiratorio.
“Davvero?
E come farai?”
Lei
si girò alzandosi sulle ginocchia davanti a Harry. Gli
scostò i capelli dalla
fronte, guardandolo teneramente e disse sottovoce proprio sulle sue
labbra: “Mi
farò venire in mente qualcosa…” E lo
baciò.
Lui
le circondò la vita con le mani. “Anche secondo me
entrerai in squadra”.
Harry
sorrideva. Ginny, il Quidditch, la pace. Lei ridacchiò
ancora e poi si
rannicchiò di nuovo contro il suo petto. “Potremmo
tornare al castello e vedere
se la stanza delle necessità è
libera…” Buttò lì il
ragazzo, stringendola un
po’ di più.
Ginny
sorrideva. Le piaceva il fatto che lui la cercasse, che avesse voglia
di lei. Ma
lei doveva farlo stare un po’ sulle spine, no?
“Così,
prima di un importante avvenimento sportivo? Non mi sembra una buona
idea…”
rispose lei con una smorfia sorniona sul viso.
“Sono
solo provini…”
“Potrebbero
essere i provini più importanti della mia vita!”
Ginny stava ancora sorridendo.
“E se poi non piaccio al capitano?”
Harry
la strinse di nuovo, e questa volta la sua mano finì sotto i
suoi vestiti.
“Tu
piaci tantissimo al Capitano” sussurrò vicino al
suo orecchio.
Un
brivido le scese dal collo e percorse tutta la schiena. La mano di
Harry, sul
suo fianco nudo le dava un piacere vagamente primitivo, impedendole di
pensare
limpidamente. Quando lui la tirò verso di sè
per baciarla, Ginny si era già sciolta.
“Stanza
delle necessità, dicevi?” Harry la
guardò in viso sorridendo.
“Anche
l’Aula al secondo piano, non mi era dispiaciuta per
niente…” Ginny arrossì.
A
Harry piaceva vederla arrossire. Si tingeva le gote di un rosa tenue ed
era una
visione stupenda. Ginny aveva momenti in cui era audace come Cleopatra
e
momenti come quello in cui arrossiva quando lui le faceva capire quanto
la
desiderasse.
Averla tutta per sé, era la cosa migliore del mondo.
E lei lo sorprendeva ogni giorno di più.
“Anche
il bagno dei prefetti non era niente male…”
Harry
le strizzò un occhio “Oh, il bagno dei
prefetti… E se ti dicessi che so qual è
la parola d’ordine?” Ginny sorrise ancora, di quel
sorriso meraviglioso che,
secondo Harry, avrebbe
aperto il cuore
di tutti.
“Allora
dici che dovremmo approfittare?” E lo baciò di
nuovo sulle labbra.
Questa
volta il suo bacio si fece più profondo. I due ragazzi
rimasero incollati
quanto bastava per non accorgersi di nessun altro intorno a loro.
Quando
Harry riaprì gli occhi, lei disse: “Forse dovremmo
rientrare” Ma non si alzò.
Fece scivolare anche lei una mano sotto la maglietta di Harry, a
toccagli il
petto. La sua mano era fredda e sentiva Harry così caldo che
si fece un po’ più
audace.
Le
sue dita scivolarono poi sui jeans dei ragazzo e le fece scorrere lungo
la sua
coscia, avanti e indietro, prima di fermarsi lì, proprio
sulla zip dei
pantaloni.
“Sì
dovremmo proprio rientrare…” Lei sorrise ancora, e
un po’ perfidamente disse al
suo orecchio: “E tu dovresti coprirti con il
mantello”.
In
pochissimo tempo i ragazzi si alzarono e ancora ridacchiando si
avviarono verso
l’entrata del castello.
-
***
-
Ron
stava guardando da lontano sua sorella che faceva, solo Godric sapeva
cosa, sotto
quell’albero con Harry, quando una voce vicino a lui disse:
“Spiare non è da
Grifondoro, Weasley”.
Il
rosso si girò di scatto e vide, poco più in
là una ragazza che fumava una
sigaretta: la Parkinson. Se possibile, divenne ancora più
nervoso e di cattivo
umore.
“Fumare
non fa bene, Parkinson.”
Come
lo disse, si maledisse mentalmente. Perché aveva detto una
cosa del genere?
La
ragazza sollevò un sopracciglio divertita. (esattamente come
faceva Malfoy,
pensò di nuovo Ron, infastidito)
“E
a te cosa interessa?”
“Potresti
morire.”
NO,
NO, NO!!! Cosa aveva detto? Neanche quello era giusto!
Pansy
cambiò espressione. Se non era riuscita a ucciderla la
persona che l’aveva
messa al mondo, non ci sarebbe riuscito nessun altro, pensò.
La
vita era già difficile senza tutte quelle brave persone che
tentavano di far diventare
tutti come loro. Perché, Pansy lo sapeva, fondamentalmente
Weasley era una
brava persona. Forse era un po’ ingenuo e tontolone, ma era
una brava persona.
E lei doveva stare lontana dalle brave persone. Ma sorrise ancora.
“Fumare
calma, dicono. Magari, se non fumassi, tenterei di
ucciderti.”
Ammiccò
nella sua direzione, vagamente divertita.
Ron
era di cattivo umore perché il giorno prima, dopo
quell’incontro tremendamente
imbarazzante con Hermione, dopo aver dovuto imparare quel cavolo di
incantesimo
Condom (ma possibile che avesse un nome così stupido?) non
era andata bene.
Cioè aveva portato la Simmons nella stanza delle
necessità, che si era
abbellita come un confetto (sapeva che non doveva far passare davanti
alla
porta lei!) e la cosa l’aveva un po’ messo a
disagio.
Poi
tutto era andato sempre peggio. Alla fine era stato disastroso, lui non
sapeva
bene cosa fare (e lei continuava a dare istruzioni come la McGranitt
nei suoi
giorni migliori). La faccia di lei quando si erano lasciati gli aveva
fatto
capire che non ci sarebbe stata un’altra volta.
Forse
avrebbe dovuto iniziare a valutare l’idea del sacerdozio.
La
Parkinson che rideva di lui era l’ultima cosa. Le avrebbe
volentieri lanciato
un Avada Kedavra. Anche due. Molto, molto volentieri.
Invece,
fece una cosa inaspettata. Le sigarette calmano? Ah sì? Con
tre passi si
avvicinò a lei, le strappò la sigaretta dalle
labbra e aspirò un tiro anche
lui.
Si
sforzò di non tossire e la Parkinson, dopo il primo momento
di stupore, si sforzò
di non ridere.
Pansy,
non sapendo bene come reagire, si girò verso i due ragazzi,
ancora appoggiati
all’albero e gli disse: “Non dovresti preoccuparti
per loro”.
Weasley
si era avvicinato ancora di più e ora guardava il suo stesso
spettacolo vicino
a lei.
“Dici?
E perché non dovrei?”
Con
naturalezza le restituì la sigaretta, come se fra loro ci
fosse una certa
confidenza da anni di amicizia. La ragazza la riprese ancora confusa
dalle sue
azioni, ma quando lo guardò vide che lui guardava ancora la
coppia.
Finì
la sigaretta con l’ultima boccata e continuò:
“Perché tua sorella è una delle
persone più coraggiose che io abbia mai conosciuto. E
l’ho vista difendersi in
maniera egregia. E Potter… Potter è Potter,
dovresti saperlo meglio di me”.
Spense
la sigaretta sotto uno dei tacchi, poi impugnò la bacchetta
e la fece sparire
con un Evanesco.
Ron
sgranò gli occhi, voltandosi a guardarla, stupito che
difendesse così Ginny. “E
quando hai fatto questa scoperta?”
Pansy
lo guardò negli occhi e disse: “L’anno
scorso”.
“Intendi
l’anno scorso quando hai proposto di sacrificare
Harry?“
La
ragazza abbassò lo sguardo. Non si sarebbe giustificata con
lui. Mai. Si
vergognava per aver detto quella stupida frase, l’aveva detto
a Potter quel
giorno al Ministero. Ed era solo con lui che doveva sistemare la cosa.
Ora
che l’aveva fatto, non avrebbe permesso a nessun altro di
rivangare il tutto.
“Sono
andati via” disse la Parkinson.
“Cosa?”
La
ragazza, con un cenno del capo indicò dove prima erano
seduti Harry e Ginny.
Lui si voltò nella direzione che gli veniva indicata, senza
comprendere del
tutto e quando vide che i due ragazzi non erano più
lì, pensò ad alta voce: “E
dove sono andati?”
La
Parkinson rise forzata e disse, andando via: “Oh, Weasley,
quando sarai un po’
più grande te lo spiegherò!” E
continuò a camminare emettendo una risatina
stupida, senza allegria, come quelle che Ron si ricordava di aver
sempre
sentito da parte sua.
-
***
-
Hermione
vide Ron entrare nella sala comune con una faccia arrabbiata e pronto
alla lite
alla prima provocazione (lei lo conosceva bene, e sapeva riconoscere
quel suo
stato d’animo). Così gli andò vicino
quando si sedette sul divano e, posando la
mano sulla sua disse sottovoce: “Va tutto bene?”
Ron
si riscosse, come se non l’avesse vista.
“Oh,
ciao Hermione” Sbuffò insoddisfatto.
“Se
avessi uno Zellino ogni volta che sbuffi, sarei miliardaria.”
Ron
sbuffò due volte, sorridendo.
“È
una cosa che direbbe mia nonna.”
Sorrise
ancora. “Che succede?” insistette lei.
Oh, guarda
niente di che. Sono un
imbranato con le ragazze, è una cosa che tutti notano quando
mi guardano e
continuo a farmi prendere in giro dai Serpeverde, a parte
questo….
“Niente”
sospirò.
Hermione
sorrise (esattamente come avrebbe fatto sua nonna!!!)
“Ieri
non è successo niente?” Le orecchie di Ron
divennero in tinta con il rosso del
divano. Lui guardò per terra e Hermione capì che
era particolarmente
preoccupato. Si avvicinò a lui e disse: “Sicuro
che non vuoi parlarne?”
Ron
scosse il capo. Si sarebbe fatto punzecchiare dalla Parkinson tutta la
vita
piuttosto che ammettere con Hermione di non essere riuscito a
soddisfare la
Simmons il giorno prima.
Ma
Hermione sapeva che qualcosa non andava su quell’argomento e
aprì la bocca per
parlare quando…
“Allora,
siete pronti per assistere ai provini di Quidditch?”
Ginny
era entrata in quel momento nella sala comune e stava sbandierando le
braccia
come un piccolo Pixie ubriaco. Urlava come una puffola pigmea, era
euforica e
tutta la sala comune le rispose come a un concerto di Celestina Warbeck.
Ron
sbuffò ancora. Non voleva incontrarli. La
coppia perfetta. Harry si sedette vicino a loro, mentre
Ginny dava
spettacolo in piedi su uno dei tavolini.
“Come
fai a sopportarla?” ruggì Ron
all’indirizzo di Harry.
“Dai,
smettila. Ogni tanto ci vuole qualcuno che tiri su il morale. O
no?”
Tutti
e tre si voltarono verso Ginny che si inchinava a un improvviso
applauso di
quel pubblico studentesco. Quando alzò il busto,
incrociò lo sguardo di Harry e
gli lanciò un bacio. Ron sbuffò ancora.
Harry
si voltò verso di loro, ignorando lo sguardo di Ron.
C’era abituato. Prima o
poi gli sarebbe passata. E poi non voleva farsi rovinare il momento dal
malumore del suo amico.
“Harry,
ma hai i capelli bagnati?” Hermione, preoccupata come una
mamma, gli passò una
mano fra i capelli, poi, con un colpo di bacchetta glieli
sistemò. Ron lo
guardò torvo e disse: “Voi avreste bisogno
di…”
“Sai
di cosa hai bisogno tu, Ron?” Lo interruppe Hermione, che
aveva paura che
l’incarognito Ron dicesse qualcosa di troppo.
“Io?!?”
Ron la guardò ma lei si voltò verso Harry.
“Ron
potrebbe aver bisogno di quel libro che ti ho dato, ti
ricordi?” Harry fece una
faccia strana e annuì.
“Certo!”
Harry si alzò e fece cenno a Ron di seguirlo. Ron, confuso,
guardò prima
Hermione, che dopo averlo salutato con la mano, aveva tirato fuori un
libro
dalla borsa e si era messa a leggere, e poi verso Harry che stava
salendo la
scala del dormitorio maschile.
Non
capiva niente. Perché mai avrebbe dovuto avere bisogno di un
libro? Volevano
convincerlo a leggere qualcosa che non erano obbligati a leggere per
scuola? Un
po’ incuriosito e un po’ infastidito, Ron
seguì Harry in camera.
Quando entrò lui aveva già aperto il baule e
rovistava al suo interno per cercare il famoso libro. Ron si sedette
sul letto
di Harry.
“Guarda
che non so se mi interessa questo libro che dite voi. E poi non sono
sicuro di
averne bisogno, come dice Hermione…” disse Ron,
cercando di non guardare verso
Harry, ma alla fine dovette farlo e notò che lui lo guardava
comprensivo.
“Ascolta,
facciamo così. Io non dico niente a te, tu non dici niente a
me, ok?”
Ron,
sempre incuriosito, (in fin dei conti non sarebbe stato obbligato a
leggerlo quel
libro, no?), annuì. Harry gli lanciò sulle gambe
un libricino di piccole
dimensioni.
“La
cugina di Hermione glielo ha passato due anni fa, e Ha scritto dei
commenti sul
margine delle pagine. Come dicevo, non ti dirò
nient’altro. Ma vale la pena di
leggerlo.”
Ammiccò
e uscì dalla stanza. Ron prese il libro e lo girò
per guardare la copertina.
Un
libro babbano, fu la prima cosa che notò. Il disegno di un
ragazzo sdraiato
sull’erba con in bocca un filo d’erba, fu la
seconda. “Le gioie del sesso”, il
titolo, fu l’ultima. L’ultima, prima di farlo
cadere.
-
***
-
Hermione
stava mangiando in sala grande quando Ron arrivò e si
sedette vicino a lei. Si
voltò a guardarlo e vide che aveva le orecchie rosse.
Hermione sorrise
contenta. Era riuscita a far leggere un libro a Ron!
“Hai
dato tu quel libro a Harry?”
Il
sorriso di Hermione sparì, per il tono di Ron.
“Perché? Non dovevo?” Non
riusciva a capire quale fosse il problema. Forse aveva capito male?
Elinor
Simmons aveva raccontato quella mattina, bisbigliando a
un’amica che aveva
passato una serata con il ‘rosso del trio dei
miracoli’ (quella stupida
ragazzina l’aveva chiamato proprio così!), ed era
stato disastroso. Poi era
passata lei che aveva interrotto la conversazione con una scusa,
prendendo la
Simmons da parte per informarla che c’era stato un cambio nel
programma dei
prefetti, e che quindi aveva bisogno di lei. Era riuscita a inventarsi
la cosa
sul momento e si era complimentata con se stessa per aver risolto la
situazione, ma ora pensava di aver capito male.
“Se
non vuoi leggerlo…” Ron si riaccese di color
porpora e disse sottovoce: “Oh, io
l’ho letto. Quasi tutto. Volevo sapere perché lo
hai dato a lui invece che a me!”
Con
lui intendeva Harry? Hermione lo
guardò un po’ infastidita. “Beh,
l’hai avuto anche tu, no? Cosa ti interessa se
lui lo ha avuto prima?”
Ron
si guardò intorno, ma essendo sabato, ognuno mangiava
all’orario che preferiva
e intorno a loro non c’era nessuno.
“Glielo
hai dato per fargli fare quelle cose con mia sorella? Nonostante
sapessi quello
che pensavo di loro?” Hermione sospirò.
“Ma
quando crescerai Ron? Avresti preferito che la loro prima volta fosse
stata
come la tua di ieri?” E, dopo aver detto questo, si
alzò e corse via.
Ron
spalancò gli occhi. Come faceva a saperlo? Quella piccola
vipera della Simmons
aveva già spifferato in giro quello che era successo? Doveva
trovarla
immediatamente. Doveva chiarire le cose subito. Piccola stronzetta.
Tornò
in sala comune guardando l’orologio. Aveva due ore prima
dell’inizio dei provini.
Poteva farcela. Doveva solo trovare la Simmons e sistemare la cosa.
Tirò
fuori dal baule di Harry la mappa del malandrino e la cercò.
La vide quasi
subito e, rigettato la mappa nel baule (e dopo essere ritornato
indietro a
proteggerla, perché si era scordato), si diresse verso il
corridoio del quinto
piano.
Quando
la trovò, intenta a chiacchierare con due ragazze, la prese
per un polso senza
tanti complimenti e la portò via, senza spiegazioni. Era
arrabbiatissimo. Le
avrebbe stritolato il collo. La portò nella nicchia dietro
un arazzo (lo aveva
scoperto quel giorno che stava sistemando la scuola con Zabini), e
protesse
l’ingresso con un incantesimo. Quando si voltò
verso la ragazza, con sguardo
torvo e cattivo, scoprì che lei era eccitata dal suo
comportamento.
Ron
non seppe bene come fosse successo ma, invece di dirle quattro ragioni
balorde,
si ritrovò sdraiato su di lei, intento a baciarle il seno e
farla gemere.
Mezz’ora prima dell’inizio dei provini Ron, esausto
e molto soddisfatto, tornò
in sala comune, diretto in camera per sistemarsi e mettersi qualcosa di
comodo
per il provino di Quidditch.
-
***
-
Hermione
era uscita dalla sala grande con le lacrime agli occhi. Quel troll!
Stupido,
stupido troll! Lei voleva solo aiutarlo e lui aveva infierito su di
lei, come
se fosse stata colpa sua se Ginny e Harry avessero fatto sesso prima di
lui. E
prima di lei.
Ora
anche Ron aveva passato quel confine e lei era rimasta
l’unica (probabilmente
del suo anno e anche dei tre prima) a non averlo fatto.
Ma
per Godric, era una cosa personale e molto intima. Mica si poteva farlo
con
tutti, no? E poi lei non voleva far vedere a nessuno il suo braccio.
Come
avrebbe spiegato quello che era successo? Si fermò e si
sedette per terra lungo
uno dei corridoi.
Aveva
iniziato a correre verso la torre ma ora non sapeva dove si trovasse.
Doveva
andare a vedere i provini del Quidditch. L’aveva promesso ai
ragazzi. Però non
voleva vedere Ron. Non dopo quello che le aveva detto e come
l’aveva fatta
sentire.
Ora
il braccio le formicolava, la testa le doleva e sentiva un bruciore
all’altezza
del petto. Stupendo. Stava per risentirsi male e non sapeva neanche
dove fosse.
Cercò
di tranquillizzarsi, ma più ci provava più
pensava che forse aveva sbagliato
davvero. E più pensava di aver sbagliato, più le
veniva da piangere e più le
veniva da piangere, più si sentiva male. Appoggiò
la testa al muro e chiuse gli
occhi.
-
***
-
Dopo
quelli che a Hermione parvero pochi minuti, una mano le
accarezzò la testa e le
avvicinò una tazza con qualcosa da bere alle labbra. Come si
rese conto della
cosa, spalancò gli occhi. Davanti a lei c’era
Malfoy che la guardava
preoccupato.
“Malfoy…
ma cosa…” Il biondo sorrise. Non
ghignò, ma sorrise.
“Ero
preoccupato. Non volevi svegliarti. Ti agitavi…”
Hermione si rese conto di
essere seduta su una poltrona di pelle nera. Si guardò
intorno, ma non capiva
dove fosse.
“Do..
dove siamo?” Lui appoggiò la tazza su un tavolino
di fianco a lei.
“È
la stanza delle necessità. Quando ti ho trovato non sapevo
dove portarti.
Deliravi…”
Hermione
guardò l’orologio e si rese conto che erano
passate quasi due ore da quando si
era seduta nel corridoio.
“Non
mi hai portato in infermeria” constatò.
“No.
Non sarebbe servito a niente. E poi tutti avrebbero saputo. Non volevi
questo,
no?” Hermione annuì distrattamente. La testa le
doleva ancora, ma meno che
all’inizio. Forse perché prima era veramente molto
arrabbiata. Forse la
pressione…
“La
pressione non c’entra niente.”
Guardò
Malfoy, pronta a schiantarlo quando lui alzò le mani e
disse: “Guarda che l’hai
nominata tu. Io non ho fatto niente!”
Hermione
sospirò. Aveva parlato senza accorgersene? Poteva essere,
non era troppo
lucida.
“Come
stai adesso?” MAlfoy sembrava veramente preoccupato.
“Sto
bene. Ho solo avuto degli incubi” Hermione cercò
di minimizzare la cosa, ma lui
non ci cascò.
“Tutti
abbiamo gli incubi. Ma nessuno si riduce così
com’eri tu.”
Tutti abbiamo
gli incubi? Cosa voleva
dire? “Anche tu hai gli incubi?”
Il
biondo alzò le spalle, mentre si sedeva su
un’altra poltrona scura, di fronte a
lei.
“Come
ti dicevo, tutti li abbiamo. Soprattutto i vinti.”
Hermione
si appoggiò la testa sulla mano. Stava andando un
po’ via. O almeno credeva.
“Siamo
tutti vinti. In guerra non vince nessuno. MAI!” Il
ragazzò annuì.
“Mi
hai dato qualcosa?” cercò di rialzarsi.
I
provini di Quidditch dovevano ormai essere alla fine, e lei aveva
promesso di
esserci. Ma stavolta non avrebbe lanciato Confundus a nessuno.
Quando
fu in piedi, però si rese conto di sentirsi ancora debole, e
cercando di non
darlo a vedere, si risedette.
Malfoy
sorrise. “Quanta fiducia. Un bel ‘Grazie
Draco per non avermi lasciato svenuta in mezzo al corridoio’
sarebbe stato
anche carino. Comunque non ti ho dato niente. Non sapevo se
volessi…” E così
dicendo tirò fuori una boccetta verde dalla tasca del
mantello che era
appoggiato sul bracciolo della sua poltrona.
Hermione
sapeva che aveva ragione. Poteva ringraziarlo. Doveva.
“Ok.
Grazie, Malfoy” disse, calcando il fatto di non aver usato il
suo nome.
“E
poi hai ragione. Non voglio niente da te.”
Si
rialzò in piedi, e notando che questa volta
riuscì a rimanere l’equilibrio,
pensò di uscire da lì. Ma lo pensò e
basta. Il suo sguardo continuava a cadere
sulla boccetta che lui aveva appoggiato sul tavolino, vicino alla tazza
che non
aveva bevuto. Il mal di testa era ancora lì, sembrava meno
pericoloso di prima,
ma era ancora lì.
Poteva
scappare via subito, rifugiarsi nella torre e magari stendersi sul
letto, con
le cortine tirate a fare buio, prima che iniziasse di nuovo a
corroderla
dentro. Oppure… oppure….
Se
lei avesse immaginato quello che pensava Draco guardandola mordersi il
labbro
inferiore in quel modo, mentre pensava, avrebbe smesso subito. Ma non
lo
sapeva, e lui stava morendo.
Moriva
dalla voglia di prenderle il viso fra le mani e morderle lui il labbro.
Morderla e morderla ancora, finchè lei non avesse aperto le
labbra per lui e si
sarebbe lasciata baciare. Cercò di contenersi.
L’avrebbe fatta scappare, in
quel modo. Così, volse altrove lo sguardo.
Hermione
si risedette e disse sottovoce, come se avesse combattuto una battaglia
con se
stessa e avesse perso: “Cos’è quella
pozione?”
Si
maledisse. Non voleva saperlo. Non doveva saperlo. Avrebbe significato
ammettere con lui che aveva ragione, che stava male e che non riusciva
a
curarsi da sola.
La
testa venne investita da una fitta che le bloccò il respiro.
Lui
dovette accorgersene perché le si avvicinò e,
sedendosi sul bracciolo le prese
la mano. La strega non si accorse di lui subito. Un’altra
raffica di fitte le
intontirono il cervello. Lui le strinse la mano di più.
Quando
si rese conto di quello che stava facendo, cercò di ritirare
la mano. L’ultima
cosa che voleva era che lui la vedesse in quello stato. Nessuno doveva
vederla
così. Il petto le prese fuoco, come prima. Due lacrime le
scivolarono sulle
guance, fino a cadere sulla maglietta.
“Non
ci pensare.”
La
voce di Malfoy le arrivava da lontano. “A cosa non devo
pensare?” Era riuscita
a parlare, ma non era sicura di aver parlato senza balbettare o
intartagliarsi.
“A
quello che ti fa stare male.”
Senza
staccare la mano dalla sua, il Serpeverde avvicinò la
poltrona su cui era seduto
prima alla sua e si sedette sul bordo, per starle davanti.
“Adesso
ti do un sorso di pozione, ok? Me la diede Piton quando il braccio
iniziò a
darmi problemi. Ok?” Non capiva perché lui le
spiegasse quelle cose. Avrebbe
potuto farle bere anche un veleno, che lei non sarebbe riuscita a
opporre
resistenza.
Annuì,
anche se le causava dolore. Lui si allungò sul tavolino,
mentre con le dita
continuava ad accarezzarle il dorso della mano che teneva ancora
stretta. Aprì
l’ampolla con i denti e le mise in mano il contenitore.
Hermione
lo portò alle labbra, ma prima lo annusò. Non
aveva odori strani, per fortuna.
Draco
sorrise. Lei era ancora vigile. Era una buona cosa. La fermò
quando tentò di
bere più di un sorso e allontanò il flacone dalla
sua portata.
“Quanto
ci mette?” Hermione sperò che ci mettesse meno
della pozione per il mal di
testa e, magari, che facesse più effetto.
“Poco,
vedrai.”
Si
rimise davanti a lei, e le passò una mano sulla fronte. Le
spostò i capelli e
continuò a parlare.
“Adesso
passa, vedrai. Raccontami qualcosa.”
Hermione
aggrottò la fronte, chiedendo: “E cosa dovrei
raccontarti?” I suoi occhi erano
calamitanti, infatti non riusciva a togliere lo sguardo da lui. Erano
sempre
stati così belli i suoi occhi? Erano di un grigio
così chiaro, sembravano
d’argento, argento colato mischiato al cielo
d’autunno.
Merlino,
non le aveva dato l’Amortentia, vero?
Draco
cercò nella mente qualche domanda da farle, ma non riusciva
a pensare a niente,
con lei così vicina.
“Parlami
della tua famiglia, i babb…. I tuoi genitori. Hai
fratelli?” Sperò di essere
riuscito a mettere insieme le parole nel giusto ordine. Iniziava a far
fatica
anche lui a parlare, sebbene per motivi diversi.
“Io?
No, sono figlia unica. Mamma perse due bambini dopo di
me…” I suoi occhi si
riempirono di lacrime. Il ragazzo non sapeva cosa dire. Lei non doveva
cadere
nella tristezza. Non ora.
“Ok,
non sono bravo a fare domande. Raccontami qualcosa di bello, che ti
rende
felice. Dove passavi le vacanze da bambina?”
Ancora
non stava facendo effetto, lei doveva liberare la mente o non sarebbe
servito.
Come faceva Pansy due anni prima? Come ci riusciva quando succedeva a
lui? Oh, beh
sì. Si ricordava come ci riusciva.
Ma
non poteva farlo con la Granger. Con Hermione. Sorrise al pensiero di
averla
chiamata per nome.
“Sei
bello quando sorridi.”
Draco
non aveva capito. Non aveva sentito bene. Non poteva essere. Il suo
sorriso si
spense quando pensò che doveva essere l’effetto
della pozione.
“Non
sorridi più!” Lei lo guardò
incuriosita. Si stava riprendendo.
“Mi
sento bene. Molto bene. Non c’erano artigli di drago
lì dentro, vero?” disse indicando
con la testa l’ampolla, ancora aperta, sul tavolo.
“Non
penso” rispose lui, guardando l’ampolla.
Passarono
un po’ di tempo senza dirsi niente. Ma alla fine,
funzionò. Hermione non aveva
più niente. Non si sentiva più male. Si
alzò, un po’ imbarazzata per la
situazione, ma finalmente senza dolori.
Era
la prima volta che le succedeva così. Così
veloce. Così pulito. Stava veramente
bene. Guardò ancora una volta verso il tavolino.
“Tu
la usi ancora?” Draco annuì. Anche se di solito
preferiva berci dietro del
Firewhisky, qualche volta capitava che ne prendesse ancora.
Lei
si morse di nuovo il labbro. NO, NO, NO. Non ancora!
Poteva
dargliela dietro. Ma aveva paura che ne abusasse. Se le avesse
spiegato… No.
Decise. Forse se non le avesse detto niente….
“Non
te la do” disse secco lui. Lei annuì,
distrattamente. Era contenta di non
avergliela chiesta.
“Ma
facciamo così. Ogni volta che ne avrai bisogno, vieni da
me.”
Hermione
lo guardò sorpresa.
“Da
te?” Annuì anche lui.
“Sì.
Non puoi prenderne troppa e non voglio che ti faccia male. Non so
quanta ne
prenderesti se non avessi nessuno che ti controlla. Te la do
io.”
Sul
viso della ragazza si disegnò una smorfia. Così
non le piaceva per niente. Non
poter gestire da sola le cose… Mmm. Guardò ancora
il boccettino.
“Non
ce n’è tanta…”
constatò. Se l’aveva fatta Piton, che ora era
morto, chi ne
avrebbe fatta quando fosse finita?
“Non
preoccuparti di questo. Te ne servirà sempre
meno.”
Lei
sgranò gli occhi. “Sei sicuro?” Che
pozione era che potesse avere questi
poteri?
“Posso
analizzarla con un Specialis Revelio e provare
a…” Lui scosse il capo
seccato.
“L’ha
fatta Piton, non penso che troverai la maniera di rifarla su un libro
della
biblioteca.”
Buttò
lì, un po’ scorbutico. Lei lasciò
stare.
“Ok,
va bene grazie.”
Varcarono
insieme la soglia della stanza delle necessità, ma cercarono
di non guardarsi,
imbarazzati per motivi diversi.
Si
incamminarono verso due direzioni opposte quando Hermione si
voltò e chiese a
voce a alta: “Davvero posso venire…”
Lui
senza voltarsi alzò la voce:
“Sì”.
Ok
pensò
Hermione. Magari non ne avrebbe più avuto bisogno. Ma sapeva
che era una bugia.
Maledizione!
Pensò
Draco. Doveva dirglielo, della pozione.
Doveva dargliela e basta. Doveva essere la sua scelta giusta. Ma non
riusciva.
Non riusciva a lasciarla andare.
Mica
era un idiota come Weasley, lui.
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Capitolo 8 *** Tempo di feste, offese e scuse non dette ***
Tempo di feste,
offese e scuse (non dette)
-
-
Hermione
entrò nella sala comune dei Grifondoro nel pieno svolgimento
di una festa. Una
festa?? Ma cosa era successo? Ma quanto tempo era stata via?
Ginny
le venne incontro salutandola: “Hermione!! Dove sei stata? Ti
sei persa i
provini!!” Hermione guardò la ragazza, che beveva
una burrobirra direttamente
dalla bottiglia.
“Ma
cosa sta succedendo? Eh, Ginny, perché stai bevendo una
burrobirra?” Ginny la guardò
come se fosse impazzita. (Ah, lei impazzita, vero?)
“È
una festa! Cosa dovremmo bere? Succo di zucca?” Una festa. Ma
da quando in qua
si faceva una festa solo per dei provini? Non si dovrebbe fare solo (ed
esclusivamente!) quando si vinceva una partita?
“Perché
c’è una festa?” Ginny alzò le
spalle.
“Bo.
Eravamo tutti carichi. Alla fine abbiamo messo un po’ di
musica e tirato fuori
la burrobirra. Niente di che…” Hermione si
guardò intorno e vide Ron e Harry
che ballavano su uno dei tavoli (quelli su cui si dovrebbe fare i
compiti, non
ballare!) e un gruppo di ragazzi battevano le mani a ritmo di musica.
Guardò
ancora Ginny, che si muoveva per la sala saltando a tempo di musica.
Quando
i ragazzi la videro, le fecero un cenno di saluto e Ron
saltò giù dal tavolo
per andarle incontro, prenderla fra le braccia e farla girare. Oh, ma
che era
successo?
“Hermione!
Scusami per quello che ti ho detto prima, sono proprio un troll, a
volte…” Hermione
sorrise. Lo abbracciò e gli disse di non preoccuparsi. Rise,
battendogli la
mano sul braccio.
“Cosa
succede? Tutto questo casino…”
“Abbiamo
fatto i provini di Quidditch!”
“Oh,
sì, l’avevo capito. Ma perché la
festa?” Ma era l’unica a vedere
l’assurdità
della situazione?
“Così.
Ci siamo divertiti un sacco, anche chi è stato scartato. A
proposito, hai
davanti il portiere ufficiale della squadra dei Grifondoro!!”
Era
difficile non farsi entusiasmare. Hermione si fece trascinare in pista
anche
lei e iniziò a ballare. Qualcuno le passò una
burrobirra. Beh, dopo quello che
aveva passato quel pomeriggio, poteva concedersi un diversivo, no? Oh,
se li
avesse beccati la McGranitt, sarebbe successa una catastrofe!
Chissà se li
avrebbe potuti espellere tutti?
Quel
pensiero, come arrivò se ne andò appena il
ragazzo addetto alla musica mise una
delle sue canzoni preferite.
Come
era stato detto a Hermione, i provini erano stati molto divertenti.
Professionali,
ma divertenti. Harry aveva scelto sei compagni di squadra (fra cui
Ginny e Ron,
ma nessuno poteva dire che si era fatto travolgere
dall’amicizia invece che dal
giudicare la bravura) e aveva detto a qualcun altro che li avrebbe
tenuti come
riserve, che potevano andare agli allenamenti anche loro.
Il
pubblico era stato numeroso e, alla fine, Harry aveva detto che
potevano tornare
in sala comune. Ron, che era carico come una molla, aveva gridato:
‘Facciamo
una festa!’ e Ginny, che non a caso era sua sorella, gli
aveva dato man forte.
Così
ora, erano tutti lì, puzzavano come snasi ed erano tutti su
di giri.
“Oh,
ma cosa è successo?” Hermione si sedette sul
divanetto vicino a Harry.
“Non
ne ho la più pallida idea. Mi sa che la cosa ci è
un po’ sfuggita…” Hermione
ridacchiò.
“Un
po’? Direi del tutto. Ma non mi sono mai divertita tanto. Per
fortuna avete
insonorizzato bene l’entrata!”
“Oh,
è stata una ragazza del sesto anno. Stai attenta, potrebbe
superarti.”
“Scemo!”
Hermione rideva mentre gli dava una manata sulla testa.
Harry
ebbe poco tempo per riprendersi perché dopo pochissimo, una
ragazza gli saltò
sulle ginocchia. Dalla folta capigliatura che gli cadde sul viso
capì che era
Ginny, ma non la vide in faccia, in quanto, subito dopo di lei, gli
cadde sulla
testa una palla di pelo, che immaginò fosse Arnold e per
ultimo, gli arrivarono
addosso anche gli artigli di Grattastinchi.
“Nessuno
potrà mai superare Hermione!” disse la rossa, su
di giri e mandò un bacio a Hermione
che le sorrise.
“Qualcuno
sa cosa è successo a mio fratello? Oggi non mi ha ancora
seccato, nonostante
abbia baciato Harry un miliardo di volte!” E così
dicendo si dimenò sulle gambe
di Harry, che dovette sostenerla quando rischiò di cadere.
“Forse
non mi hai baciato poi così tanto…”
disse lui con uno sguardo divertito,
avvicinando il viso al suo. Ma la ragazza rise, allontanandolo.
“Oh,
che mezzucci per avere una bacio, Harry. Mi sa che adesso andrai in
bianco.
Vado a farmi un bagno perché mi sento un ippogrifo che si
è rotolato nel fango!”
“Potremmo
fare il bagno insieme. Hermione sai la nuova parola d’ordine
del bagno dei
prefetti? Dovrebbe essere cambiata nel
pomeriggio…”
Hermione,
che stava bevendo un’acquaviola, (e non sapeva neanche che
avessero cambiato la
parola d’ordine) non fece in tempo a rispondere che Ginny
disse, alzandosi:
“Ah, no. Stavolta voglio lavarmi davvero!” E, dopo
un cenno di saluto, sparì alla
loro vista.
L’acquaviola
le andò di traverso e Hermione iniziò a tossire,
con un Harry divertito che le
dava le pacche sulla schiena. Quando arrivò Ron non aveva
ancora finito di
tossire e anche lui iniziò a darle delle manate sul dorso.
Riuscì a fermare i
ragazzi prima di trovarsi con la faccia sul tappeto.
Per
un po’ nessuno disse niente. Rimasero così, seduti
sul divanetto. Solo loro
tre. Hermione sorrise. Che bell’immagine. Come ai vecchi
tempi. Poi Ron parlò e
a Hermione un po’ dispiacque perdere il momento.
“Dov’è
Ginny?”
“È
andata a lavarsi.”
“Giusto,
fra un po’ si cena…” Neville
passò li vicino e chiamò Harry per mostrargli una
cosa. Lui salutò e lo seguì.
“Scusa
ancora per oggi…” iniziò Ron, guardando
verso la pista improvvisata che si
stava vuotando e cercando di non incrociare il suo sguardo.
Hermione
annuì e disse: “So cosa è successo
ieri. Quella ragazzina starnazza come un’oca
e non sa quando dovrebbe stare zitta…” Ron si
girò verso di lei. Aveva le
orecchie rosse e Hermione sapeva che era in imbarazzo.
Lei
gli accarezzò un braccio con fare consolatorio. Ma lui si
riprese: “Spero che
sia più chiacchierona con le buone notizie che con quelle
cattive…” Hermione lo
guardò inarcando un sopracciglio. “Grazie del
libro. L’ho letto e a lei è
piaciuto, il fatto che io l’abbia letto”disse Ron,
sorridendo spavaldo.
Hermione
rise. Il libro!!! “Ah, è per questo che non
infastidisci più Ginny? Hai trovato
altro da fare?” Ron bevve un sorso dalla bottiglia.
“Non
infastidisco più Ginny? E per cosa? Dovrei proteggere Harry
da lei, mica il
contrario!”
La
ragazza sorrise ancora. Niente mal di testa, bella musica, tutti
contenti. Era
così la felicità?
-
***
-
Quella
sera, dopo cena, Hermione e Ron entrarono nella stanza dei prefetti per
effettuare
la ronda. Ron sbuffò. Miracolo
pensò
Hermione, alzando gli occhi al soffitto.
“Ma
perché tocca ancora noi? Questa cosa che siamo di
più non doveva essere a
nostro vantaggio?”
Hermione
sospirò e spiegò, come se Ron avesse quattro
anni: “Perché abbiamo deciso, il
sabato, di mettere due prefetti in più a far le ronde e
quindi metterci meno
tempo…”
“Così
possiamo andare prima a divertirci” disse un ragazzo del
sesto anno di
Corvonero. Ron lo conosceva solo di vista, non era sicuro di quale
fosse il suo
nome.
Il
ragazzo si avvicinò a Hermione e le disse qualcosa
all’orecchio. Lei arrossì e
rispose qualcosa che Ron non capì, ma doveva essere stata
convincente perché il
ragazzo smise di ridere e si disegnò una strana smorfia sul
suo viso.
Ron
sorrise. Quando si divisero in coppie Hermione si avvicinò a
Ron e gli tirò la
manica del maglione.
Ron
annuì e si incamminarono per il corridoio che dovevano
controllare. Se ci
misero meno tempo del solito, Ron non se ne accorse, visto che
Hermione, che
aveva saputo della sua ‘scarsa’ supervisione di
qualche giorno prima, aveva
voluto controllare ogni singola stanza, ogni singolo anfratto e ogni
singola
nicchia del loro corridoio.
Infatti,
quando tornarono nella stanza dei prefetti, era tardi ed erano rimasti
in pochi.
C’era Malfoy che stava scrivendo la pergamena e, sul tavolino
su cui lui stava
scrivendo, era seduta la Parkinson
che faceva ciondolare le gambe, in attesa che finisse. Il ragazzo di
Corvonero
era seduto di fianco a lei e le parlava sottovoce. Lei ascoltava senza
dire
niente. Non c’era nessun altro.
Quando
entrarono Malfoy alzò la testa e li salutò con un
cenno del capo. Quello che
Ron non vide fu lo sguardo che lanciò a Hermione. Altrimenti
ne avrebbero
parlato per giorni. Ma Hermione se lo tenne per sé, dopo
avergli sorriso.
Malfoy
chiese, come di rito: “Tutto bene al corridoio del secondo
piano?” Ron fece
schioccare la lingua, un verso fastidiosissimo, secondo Hermione,
ancora
contrariato dal fatto che ci avessero messo tanto.
“Oh
sì tutto tranquillo. Dorme anche Mirtilla
Malcontenta…”
Il ragazzo di
Corvonero alzò la testa verso di
loro e disse: “Bene, tutti da noi, allora, stasera diamo una
festa!”
Ron
e Hermione si guardarono. Un’altra festa? Hermione scosse il
capo (con quel
tipo lì in giro proprio no) Ron ci stava pensando, quando il
ragazzo si rivolse
alla ragazza accanto a lui: “E tu che fai Pansy,
vieni?”
La
ragazza stava per rispondere, quando Ron intervenne al suo posto:
“Oh, se fossi
in te non la farei venire. Potrebbe lanciare incantesimi a caso sulla
gente e
andarsene. Poi, al povero Malfoy
toccherebbe sculacciarla di notte per rimetterla al suo
posto!” E indicò Malfoy
con un cenno del capo.
Malfoy
appoggiò la piuma e alzò gli occhi al soffitto.
Hermione rimase di stucco per
quello che aveva appena detto il rosso, mentre Burrow, il ragazzo
Corvonero, spalancava
la bocca dicendo: “Scusa, cosa hai detto?”
Il
viso della Parkinson invece si pietrificò. Sgranò
gli occhi e con voce roca
disse: “Cosa?” Ron le rise in faccia. Si
voltò verso Malfoy e disse:
“Cos’è, a
lei non lo hai raccontato? Quello che hai detto a noi? Di come
l’avresti
sculacciata? Oh, Malfoy non si fa. No, no, no…” E
rise ancora dondolando
l’indice da una parte all’altra.
Alla
Parkinson non venne in mente niente da dire. Si girò
spaesata verso Malfoy e chiese
spiegazioni dicendo semplicemente: “Dra?”
Draco
si strinse nelle spalle prima ancora di rendersene conto e gli occhi
della
ragazza si riempirono di lacrime. Pansy guardò di nuovo
nella direzione dei Grifondoro
e senza dire niente scappò dalla porta con la testa bassa.
Almeno, Weasley ebbe
la decenza di smettere di ridere. Merlino!
“Ronald!”
Hermione era scandalizzata. Perché aveva detto una
cattiveria del genere? Di
nuovo, poi? Ron, dovette aver capito di aver esagerato
perché quando si voltò
verso di lei aveva una strana espressione. Oh, ti senti colpevole eh?
Ma poi il
suo viso si trasformò in un attimo per qualcosa che stava
avvenendo alle spalle
di Hermione, che fece appena in tempo a voltarsi e vedere Malfoy con la
bacchetta impugnata e sentirlo dire: “Stupeficium”.
Ron
cadde all’indietro e perse i sensi.
Burrow
guardò il ragazzo steso a terra, poi il biondo che aveva
ancora la bacchetta a
mezz’aria e la riccia che guardava furiosa il Serpeverde. La
sua serata da
prefetto era finita. Sgattaiolò velocemente oltre
l’uscio e sparì.
“Ma
cosa hai fatto?” Hermione non sapeva chi dei due fosse
più stupido: Ron o
Malfoy. Il biondo era affannato, come se avesse corso lungo una
scalinata di
dieci piani tutti in una volta.
“Alcune
persone dovrebbero imparare a tacere quando è il momento.
Oppure per sempre.”
Il
suo sguardo era duro.
Hermione,
nonostante sapesse che il rosso fosse in torto, non volle dare ragione
al Serpeverde.
“Te
la sei presa perché ti ha fatto fare la figura del troll?
L’hai preso quasi
all’improvviso…” gli disse,
rimproverandolo.
“Non
è vero. Ha avuto tutto il tempo di difendersi e poi non
l’ho colpito di
schiena. E per precisare: Non ha fatto fare la figura del troll a me,
l’ha
fatta fare a lei” disse, sempre con un tono duro, indicando
il posto dove era
seduta la Parkinson fino a poco tempo prima.
Hermione
era ancora più colpita. Tanto da non aver ancora soccorso
Ron.
“Pensavo
che fra voi fosse tutto finito…” disse curiosa,
togliendo lo sguardo da lui.
“Siamo
amici” disse lui confuso.
“Anche
te e Lenticchia siete amici, non è che quando non si va
più a letto insieme,
poi non si può più essere amici. O no?”
Il suo sguardo era strano, notò
Hermione.
Poi
il suo cervello, che ragionava in maniera troppo veloce, disse:
“Noi non
abbiamo…” Ma riuscì a fermarsi in
tempo.
L’ultima
cosa che voleva era far sapere al Serpeverde con chi era stata o meno.
Draco
voltò la testa in modo che la Granger non lo vedesse e
sorrise. Era stato
bravo. Era riuscito quasi a farle dire quello che voleva sapere. Per il
momento
era abbastanza.
Arrotolò
la pergamena, infilandola sullo scaffale, e senza neanche guardarla
uscì dalla
stanza. Una volta fuori però, rimise la testa dentro e le
sorrise.
“Buonanotte.”
-
***
-
Draco
ritornò nei sotterranei, sperando di trovare Pansy nella
sala comune, ma lei
non c’era. Un po’ era dispiaciuto. Avrebbe dovuto
scusarsi. Lo sapeva, con
tutto quello che lei aveva fatto per lui, glielo doveva. E sapeva che
non
avrebbe dovuto dirla, quella stupidaggine, in treno, ma aveva voluto
scandalizzare la Granger, ed era sicuro di esserci riuscito.
Quello
che non aveva previsto, era stato Lenticchia. Un nemico tanto stupido
quanto
imprevedibile era pericoloso. Peccato fosse ancora amico della strega
più bella
della scuola.
Strinse
forte il pugno e lo sbattè contro il muro. Dolore e un
po’ di sangue. Sorrise
guardandosi la mano.
Si
incamminò verso la sua stanza e quando entrò si
stupì di trovarla vuota. Erano
rimasti in tre a occuparla. Mancavano Tiger, morto nella stanza delle
necessità
a maggio e Goyle, che non aveva più rivisto. Probabilmente
era fuggito. Una
parte di sè sperò
che stesse bene e che
non facesse del male a nessuno.
Gli
altri letti erano occupati da lui, Zabini e Nott. Nessuno si immaginava
che
Nott tornasse a scuola, ma il primo di settembre si era presentato
lì ed era
stato accolto insieme agli altri.
Si
sdraiò vestito sul letto e pensò a come salvare
la situazione con Pansy. Quello
che aveva detto era vero. Erano amici, non voleva creare dissapori.
Anche
perché in quel momento aveva bisogno di amici come della
bacchetta.
La
porta si aprì ed entrò Zabini che lo
guardò con il suo solito modo di
sorridere, quando sembrava che prendesse in giro tutti.
“Oh,
Dra-Dra, che hai combinato?”
Il
biondo si alzò a sedere e disse, con gli occhi socchiusi,
studiando l’amico:
“Odio quando mi chiamano
così…”
Zabini
ridacchiò divertito togliendosi le scarpe. “Oh, lo
so. Me l’ha detto,” E
ammiccò divertito “Dra-Dra”.
Draco
si ributtò sul letto. Era stato da Pansy.
“È molto arrabbiata?”
Blaise,
sempre sorridendo, iniziò a sciogliersi il nodo della
cravatta con estenuante
lentezza. Se la sfilò, la piegò con cura e
l’appoggiò sul baule. Quando iniziò
a togliersi anche il maglione con la stessa flemma, il ragazzo
sbuffò. “Dai!
Smettila! So che lo fai apposta. Sta bene?”
Zabini
sorrise ancora. “Non so cosa avete fatto, tu e Weasley, ma
siete stati fortunati
a non essere stati nei paraggi. Quando è arrivata stava per
piangere, poi si è
ripresa e si è infuriata, con voi. Alla fine era arrabbiata
con se stessa per
non aver lanciato qualche incantesimo a Weasley. Ma, per fortuna, non
ce
l’aveva con me…” E ridacchiò
“Ha detto cose che la mia nobile bocca non può
ripetere ma ce l’aveva a morte sia con te che con il pezzente”. Draco
alzò un sopracciglio.
“L’ha
chiamato così?” Il ragazzo era stupito. Di solito
era lui che offendeva gli
altri per il loro status, non Pansy. Anzi, non si ricordava di averla
mai
sentita dire niente in merito.
“No,
effettivamente no. Ma se lo avesse fatto, sarebbe stato il complimento
più
bello, fra tutti i nomi che gli ha dato!” Il biondo sorrise.
Questo aveva
senso.
“Ora
dov’è?”
“In
dormitorio.”
Draco
annuì e chiese ancora: “L’hai
calmata?” Blaise si fece serio.
“Non
nel modo che pensi tu.” Ah.
“No?”
“No”
continuò Blaise.
Draco
si incuriosì.“Pensavo che…”
“Pensavi
male!” sbottò il moro. Ma se non con lui,
né con Blaise, con chi…?
In
quel momento la porta si aprì di nuovo ed entrò
Nott. Per Salazar. Non Nott,
vero? Il ragazzo, palesemente ubriaco (doveva essere stato da Corvonero
anche
lui), ruttò e si buttò di pancia sul letto.
“Oh, che
scopata, ragazzi!” Per le calze
sporche di Merlino.
Draco
cercò di usare un tono di voce indicato per la situazione:
“Nott, bentornato.
Chi era la fortunata stasera?” Il ragazzo si voltò
e alzò la testa.
“Una
ragazzina che ho visto da Corvonero.”
Draco
sospirò sollevato. Non era Pansy. “La
conosco?”
Nott
ghignò. “Penso di no. O forse sì. Oh,
che ne so…” E si addormentò russando.
“Veramente
un signore!” Blaise guardò schifato e infastidito.
Draco
alzò le spalle.
Velocemente
si spogliò e quando anche Blaise fu a letto, con la
bacchetta, spense le
lanterne.
Nel
buio l’amico gli disse a voce bassa: “Comunque,
quella ragazza ha un sacco di
demoni”.
Draco,
girandosi su un fianco gli rispose: “Tutti li abbiamo,
Blaise. Tutti…”
-
***
-
“Mi
ha schiantato!” Ron era furioso. Con Malfoy. Ma molto di
più con Hermione.
“L’hai
già detto, Ron” gli rispose Hermione.
“E
tu non hai fatto niente!” La strega sospirò e
prese un sorso di tè.
Il
tavolo della prima colazione, essendo domenica, era quasi deserto.
“Niente!”
continuò. Sembrava un disco rotto. Hermione
sospirò ancora. Bambini. I maschi
erano dei bambini.
“Non
hai fatto niente!” Ron si sentiva tradito. E si sentiva
tradito a giusta ragione.
“Che succede? Chi non ha fatto niente?” Ginny si
sedette vicino a Hermione e
Harry si accomodò vicino a Ron.
“Buongiorno”
disse a tutti e a nessuno.
Ron
era contento che fossero arrivati. Ora avrebbe spiegato loro cosa (non)
aveva
fatto Hermione.
Mangiò
una forchettata di uova solo per creare suspance, e poi disse:
“Malfoy mi ha
schiantato e Hermione dice che ha fatto bene!” Hermione lo
guardò con uno
sguardo arrabbiato, mentre lui la guardava con sguardo vittorioso.
“COSA?”
Harry, che finalmente si era svegliato, e Ginny che aveva in bocca un
acino
d’uva (che cadde sul tavolo), esplosero insieme.
“Non
è andata così!” disse la ragazza.
Hermione
cercò di calmare lo sguardo dei due ragazzi che la fissavano
straniti.
“Ron
ha detto delle cose brutte e Malfoy…” Non voleva
spiegare tutto quello che era
successo, anche perché avrebbe dovuto farlo Ron, secondo
lei, così magari
avrebbe potuto spiegare cosa gli fosse passato per la testa.
“Diciamo
sempre cose brutte a Malfoy e non aveva mai…”
iniziò Ginny ma Harry tossì
interrompendola: “Beh, non esageriamo…”
Ginny
lo guardò e annuì. “Sì, ok,
ma non è più come prima. Non
c’è Voldemort a
metterlo sotto pressione o cose così…
Aspetta!” E si girò verso il fratello
chiedendo: “Che gli hai detto di preciso?”
A
Ron iniziarono ad arrossarsi le orecchie. Hermione lo guardò
sorridendo e disse:
“Diglielo quello che hai detto!”
Lui
balbettò qualcosa ma non si capì. “Non
ho capito” disse infatti Harry
avvicinandosi.
“Ha
detto delle stupidaggini, ecco cosa ha detto. Ha offeso la Parkinson e
l’ha
fatta piangere. E per precisare, lei non aveva fatto niente”
disse tutto d’un
fiato Hermione.
Ron
divenne ancora più rosso, mentre diceva sottovoce:
“Non stava proprio
piangendo. E poi dai, è una che non piange! Avrei potuto
dirle qualsiasi cosa,
è una Serpeverde, ed è un’amica di
Malfoy!”
Hermione
sbuffò e disse: “Hai ragione a lamentarti che non
ho fatto niente. Dovevo
schiantarti io. Non ha pianto perché l’hai fatta
scappare, troll!”
Ginny
si voltò stranita verso il fratello
“Perché hai fatto piangere la
Parkinson?”
Poi guardò Harry e gli chiese: “Ce
l’abbiamo con la Parkinson?”
Harry
scosse la testa dicendo: “Io non ce l’ho con
nessuno”. E riprese a mangiare.
La
rossa gli sorrise e gli lanciò un bacio dall’altro
lato del tavolo.
“Lei
non aveva fatto niente” ribadì ancora Hermione.
“Sul
treno ci ha lanciato un Silencio! C’eri anche tu!”
si giustificò Ron. Hermione
e Ron continuarono a discutere, come se fossero da soli.
“Ma l’hai
umiliata!” sbottò alla fine
Hermione.
Harry
si voltò verso Ron e disse: “Le persone che
incontriamo spesso stanno
affrontando una battaglia di cui non sappiamo niente. Dovremmo cercare
di
essere sempre gentili”.
Ginny
si sporse sul tavolo per baciare il moro dagli occhi chiari e Ron
sbuffò. “Gentile?
Con quella?” disse indicando con la testa il tavolo dei
Serpeverde.
Tutti
guardarono in quella direzione.
La
Parkinson era seduta a scrivere una pergamena e sul tavolo accanto a
lei,
almeno due giornali arrotolati e uno steso aperto. Il suo sguardo
andava dal
giornale alla pergamena, senza mai alzare la testa. Ogni tanto
allungava una
mano verso una tazza e beveva il tè. Vicino alla tazza, su
un piattino giaceva
un toast dimenticato e due fette di pane ricoperte di marmellata. Era
così
intenta nello scrivere che non aveva mangiato niente e sul viso
un’espressione
seria ma serena.
“Chissà
a chi scrive…” disse Ginny, girata a guardarla.
“Scriverà
al suo nuovo fidanzato…”
“Chi?
Zabini?” chiese Ginny a nessuno in particolare. Hermione
allungò le orecchie.
“Sta
con Zabini?” chiese a Ginny.
“A
dir la verità non lo so, ma l’anno scorso, che
Malfoy non c’era, hanno passato
tanto tempo insieme. Girava questa voce, ma è un
pettegolezzo. Non sono sicura…”
Hermione
sorrise fra sè e sè. Poi si diede della stupida.
Non doveva pensare alla Parkinson.
Non doveva pensare a Malfoy. Né al fatto che la Parkinson
non stesse più con
Malfoy. Ma sorrise ancora.
“Dovresti
scusarti”. Si sentiva di buon umore mentre parlava con il
rosso.
“Che
cosa?” Ron aveva smesso di mangiare
“Cos’è che dovrei fare?”
Anche
Ginny si intromise: “Sì, anche secondo me dovresti
scusarti”.
“Non
mi interessa quello che pensate, non lo farò.”
Ron
sostenne lo sguardo delle ragazze e riprese a mangiare. Poi
arrivò Luna che si
sedette accanto a Ginny e le raccontò della festa della sera
prima.
Però,
mentre mangiava, Ron pensò, effettivamente, che avrebbe potuto scusarsi. Non dovuto.
Ci aveva già pensato. Aveva visto come c’era
rimasta male la ragazza quando
aveva detto quella cosa. Aveva voluto ferirla. Non Malfoy, voleva dire
quella
cosa per fare stare male proprio lei. E c’era riuscito. Ma
cosa gli era preso?
Quando
era entrato lei stava parlando con quel troll di Corvonero….
Ma questo non
giustificava niente, lo sapeva.
Quando
si alzarono tutti per andare fuori, si incamminò verso il
tavolo dei Serpeverde
e dopo poco, senza quasi rendersene conto, si fermò davanti
a lei.
La
Parkinson alzò la testa dalla pergamena giusto per
riconoscerlo, poi ritornò a
scrivere.
“Sparisci
Weasley” disse con tono duro.
Ron
però non se ne andò e anche se non sapeva bene
cosa dire, dopo un po’ ci provò:
“Io…”
“Vattene”
insistette lei.
“No,
aspetta…” Si impuntò lui.
La
mora sbuffò seccata e in pochissimo tempo raccolse giornali,
pergamena, piume e
calamaio e se ne andò.
Ron
era ancora davanti al tavolo. La Parkinson era sparita. E aveva
lasciato la
colazione intatta. Oh, era stato proprio bravo. Complimenti,
Ron.
Si
voltò per raggiungere gli altri, quando due ragazzine,
ridacchiando, gli
rivolsero la parola.
“Ciao
Ron” disse una, un po’ sdolcinata.
“Ciao…”
Ron non era abituato a questo. Erano zuccherose in maniera fastidiosa.
Lui non
disse niente (perché stupito, non perché fosse
maleducato).
“Cosa
fai oggi? Ti andrebbe di fare una passeggiata con noi?” Ron
le guardò sgranando
gli occhi. Con lui? Tutte e due?
Le
guardò ancora e quella più alta disse
:“Ti aspettiamo alle due alla porta
d’ingresso?”
Lui
annuì senza molta convinzione e quelle esultarono
ridacchiando. Che stava
succedendo? Guardò ancora verso il tavolo Serpeverde e il
posto vuoto lasciato
prima dalla ragazza bruna.
Si
rivoltò verso le ragazzine e disse, con il suo miglior
sorriso: “Sarà un
piacere ragazze!” Loro
ridacchiarono
ancora più felici.
-
***
-
Prima
di pranzo Ron uscì a fare una passeggiata. Aveva battuto
Harry a scacchi magici
per tre volte, poi lui aveva dichiarato che doveva finire un tema di
pozioni, che
Ron sapeva benissimo che fosse in consegna dopo due settimane, quindi
immaginò
che Harry volesse stare un po’ con Ginny.
Sospirò.
Non doveva mettersi in mezzo. O almeno ci avrebbe provato.
Aveva
scritto a George e si erano scambiati una gran quantità di
idee e di
esperimenti da provare. Era contento di aiutare George. Fred mancava
tanto
anche a lui e stare con il fratello gli sembrava la cosa più
giusta. E poi il
negozio lo entusiasmava. Voleva
chiedere
alla McGranitt il permesso di andare al tiri vispi qualche sabato.
In
fin dei conti, questa cosa di aver salvato il mondo doveva portargli
qualche
vantaggio, no?
Arrivò
sulla montagnola da cui si vedeva il lago nero e vide una figura, ormai
familiare, che camminava avanti e indietro sulla riva.
La
Parkinson si fermò, estrasse una sigaretta dalla borsa dei
libri e la sua
bacchetta si illuminò quando l’accese. Mela e
cannella. Ron si illuse di
sentirne l’odore da così lontano.
La
ragazza riprese a camminare, assorta nei suoi pensieri. Il rosso
avanzò di un
passo, deciso ad andare a parlarle, quando, tutti e due, sentirono una
voce che
la chiamò. Ron si fermò, ancora troppo lontano
per essere visto.
Vide
Zabini camminare a passo veloce verso di lei (non aveva mai visto quel
ragazzo
correre, né tantomeno, a cavallo di una scopa) e quando le
fu vicino
l’abbracciò.
Ron
trattenne il respiro. Se si fossero baciati avrebbe avuto sicuramente
un
infarto. Ne era sicuro. Per il raccapriccio. Per nient’altro.
Zabini
si staccò da lei e, mettendole la mano sotto al mento, le
fece sollevare la
testa. Ron capì che la Parkinson stava piangendo quando lui
le asciugò gli
occhi. Adesso avrebbe voluto fumare una di quelle sigarette alla mela e
cannella.
Chissà
se era già pronto il pranzo, pensò,
avviandosi verso
l’entrata del castello.
-
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Capitolo 9 *** Una lunga notte ***
Una
lunga notte
-
-
“C’è
posta!” Ginny vide un gufo arrivare, planare sul tavolo dei
Grifondoro e
lasciarle cadere sul piatto (per fortuna ancora vuoto) una busta color
avorio,
tutta intarsiata di rilievi e dal profumo floreale.
“Chi
ti scrive?” Ginny corrugò la fronte alla domanda
di Hermione.
“Penso
sia Fleur…” Fleur non le aveva mai scritto prima.
Era vero che da quando si era
presa cura di Harry e da dopo la battaglia di Hogwarts, avevano stretto
una
sorta di sopportata amicizia, ma restava il fatto che lei non le aveva
mai
scritto. Possibile che fosse successo qualcosa?
Aprì
la busta con un po’ di preoccupazione. Merlino, quella busta
profumava anche
dentro! Scorse velocemente la pergamena giusto per capire
l’umore e sorrise.
Fleur aspettava un bambino!
Hermione
sorrise quando Ginny lo disse ad alta voce. Ron, che aveva iniziato a
mangiare,
chiese: “Perché lo ha scritto a te?”
Ginny
lo guardò male, prima di chiedergli: “Volevi che
scrivesse a te?”
Ron,
che sapeva dove sarebbe finito se avesse soltanto provato a continuare
la
conversazione, disse solamente: “No”, continuando a
mangiare.
Ginny
e Hermione si guardarono sorridendo. Tutte e due erano contente per
Fleur (e
per Bill, logicamente), soprattutto dopo quello che era successo
l’ultima volta
che l’avevano vista….
*Flashback*
“Venite venite!!!” Fleur e Bill erano
andati a pranzo alla Tana e ora, finito di mangiare, Fleur aveva
raggiunto le
ragazze che erano in cucina a sfogliare il nuovo
‘Strega’s’ e sussurrava loro
con il suo strano accento. Era contenta. Ginny e Hermione si guardarono e la seguirono
sulle scale.
“Possiamo andare in camera tua,
Ginny?” chiese Fluer alla giovane cognata. Lei
annuì sperando che la cosa non
portasse via troppo tempo.
“Chi di voi vuole imparare a fare un
incantesimo Quaestiognatio?” propose la francese
sorridendo.
Hermione
sorrise (e non disse di
saperlo già fare), mentre Ginny guardava prima
l’una e poi l’altra,
probabilmente, non capendo perfettamente l’argomento.
“Dovrebbe essere Ginny a
fartelo, essendo della famiglia…”
Ginny sgranò gli occhi: di cosa
stavano parlando? Fleur sorrise alla faccia confusa della giovane
cognata. “È
l’ incantesimo per sapere se aspetto un bambino”
spiegò.
“Oh…” Ginny sorrise anche lei (adesso
che
glielo avevano spiegato, effettivamente, poteva essere un incantesimo
interessante da imparare) e guardò Hermione. Si vedeva dalla
sua faccia che
aveva voglia di farlo lei, (chissà che non si fosse
già esercitata) così disse
che avrebbe guardato, che non era sicura di come si facesse.
“Poi te lo faccio
rifare anche a te, tesoro” disse
Fleur, strizzandole l’occhio. Fleur a volte era veramente
carina, dovette
ammettere Ginny.
Così Hermione prese la bacchetta e la
puntò verso la ragazza bionda che sedeva compostamente sul
letto, scandì le
parole (Fleur non aveva neanche detto come si faceva, Hermione lo
sapeva già
fare!!) e un filo bianco di luce uscì dalla punta della
bacchetta di Hermione,
si annodò a formare un grosso fiocco, poi, esattamente come
si era annodato, si
slegò e cadde lungo disteso per terra fino ad arrotolarsi su
se stesso e
scomparire.
Ginny continuò a guardarlo senza
capire molto. Poi guardò Hermione, anche lei aveva una
faccia strana e guardava
Fleur, che invece aveva gli occhi spalancati e guardava per terra con
tristezza. Poi la ragazza bionda scoppiò a piangere.
Ginny e Hermione si guardarono per
pochi secondi e poi si sedettero sul letto a fianco della ragazza, una
per lato
e l’abbracciarono.
“Scusate… Ero così sicura di aspettare
un bambino… Non ho voluto provare prima perché
volevo farlo insieme a voi…”
“No, shhh… mi spiace tanto…. Forse non
era il momento, vedrai che succederà, e sarà il
momento giusto…” Ginny cercava
di consolare quella ragazza come se fosse stata una bambina invece che
una
donna più grande di lei.
Passarono diversi minuti in cui anche
Hermione consolò la francese. Poi si sdraiarono tutte e tre
sul letto di Ginny
e si raccontarono aneddoti di cose avvenute tanto tempo prima, per
alleggerire
la tensione.
*fine
flashback*
Ginny
ripensò ancora a quell’episodio, ora sorridendo.
Era contenta. Sarebbe
diventata zia!!!
“Ron,
diventiamo zii!!” Ron annuì e scosse le spalle.
Ginny sbuffò. (Allora era un
difetto di famiglia, pensò Hermione).
“Visto
che sei così entusiasta, adesso scrivo a Fleur e tu porti la
lettera in guferia
e la porti a Leotordo, che dici?” Ron annuì ancora
e scosse le spalle. Guardò
l’orologio. Non avrebbe fatto in tempo prima della prima
lezione. Ci sarebbe
andato a pranzo, ma decise di non dirlo a Ginny, onde evitare lamentele.
-
***
-
Ron
si diresse verso la guferia solo nel tardo pomeriggio. C’era
buio e il sentiero
era ripido e umido. O Merlino, perché aveva accettato? Ora
gli toccava salire
la lunga scala e trovare Leotordo. Non avendo ancora mandato gufi
quell’anno,
non era neanche sicuro di dove fosse fra tutti i gufi e le civette che
c’erano
nella guferia.
Quando
arrivò in cima, lo colpì il rumore di tante ali
che battevano. Non se lo
ricordava. Che ci fossero più gufi? C’era un altro
ragazzo e due ragazze che lo
salutarono con una risatina. Non sapeva perché, ma
ultimamente le ragazze
facevano le svenevoli con lui come prima lo facevano con
Harry…
Andò
a cercare il posto di Leo, ma faticò a trovarlo e perse un
sacco di tempo. Era
un po’ spazientito. Quando Leo, forse annoiato dal fatto che
non venisse
trovato, bubulò, Ron aveva quasi perso la pazienza, Ma aveva
perso la
compagnia, infatti era rimasto solo, con centinaia di volatili.
Leo
era da solo su un trespolo un po’ isolato. Era il primo anno
che riusciva a
stare con gli altri gufi nella guferia, ma probabilmente era ancora
troppo
vivace per una convivenza stretta sul trespolo.
Ron
prese dalla tasca del mantello un biscotto per gufi e glielo
allungò. Gli diede
la lettera per Fleur e disse a Leo da chi doveva andare. Il
gufò partì e volò
fuori dalla finestra.
Il
ragazzo si incamminò verso la scala, ma quando ci
arrivò vicino si scontrò con
una persona. Lunghi capelli corvini oscillavano di qua e di
là, perché la
ragazza che incontrò stava saltellando per salire
più velocemente. Quando si
trovò faccia a faccia con lui, la sua bocca si storse in una
smorfia, ma Ron
non se la prese.
“Ciao,
Parkinson” disse.
“Weasley”
rispose la mora, senza enfasi.
Lei
gli girò intorno, si diresse rapida verso un grosso gufo,
probabilmente un gufo
reale, visto che i Serpeverde dovevano farsi riconoscere anche con la
scelta
degli animali da compagnia e gli diede un pezzo di carne preso dal
mantello e
una busta. Guardò andare via il gufo, ma Ron
immaginò che stesse aspettando di
rimanere sola, visto che il
buio che
c’era non permetteva di vedere il volo dei gufi a lungo.
“Senti….
Volevo chiederti scusa. Sono stato un idiota. Non avrei dovuto
dire…” Ron mise
le mani in tasca mentre parlava frettolosamente, ma si interruppe e si
avvicinò
di qualche passo alla finestra dove lei stava guardando ancora fuori.
Quando la
ragazza vide che si era liberata la strada per la scala, ne
approfittò, e
girando intorno al ragazzo, la raggiunse ma poi, prima di scendere il
primo
scalino, si voltò verso di lui e disse: “Hai
proprio ragione, Weasley, sei un
idiota!” E sparì.
Ron
rimase lì. Beh, lui le aveva chiesto scusa. Lei non aveva
detto che non le
accettava, giusto?
-
***
-
Quella
notte Ginny venne svegliata improvvisamente da qualcuno che le
scostò le
cortine del letto. Ci mise qualche attimo a capire cosa stesse
succedendo,
quando vide la faccia di Hermione deformata da una smorfia di dolore e
capì che
stava ancora male.
“Hermione!”
sussurrò. La riccia disse con un filo di voce: “Ti
prego… chiedi a Malfoy…”
“Malfoy?”
Ginny pensò di aver capito male e di essere ancora
addormentata.
“Sì,
fallo venire, deve portare la pozione” sussurrò
Hermione.
La
rossa, nonostante non capisse il collegamento le disse:
“È il dormitorio delle
ragazze, non può venire qui”.
Hermione
indicò per terra dove aveva appoggiato quello che sembrava
un lenzuolo e
precisò: “Andiamo noi. Con il mantello. La stanza
delle necessità”.
Oh,
non era un lenzuolo, era il mantello
dell’invisibilità. Va bene. Avrebbe fatto
quello che diceva Hermione. Si vestì velocemente e dopo aver
controllato fuori
dalla porta accompagnò l’amica nella stanza delle
necessità.
Impiegarono
tanto tempo perché spesso Hermione doveva fermarsi per delle
fitte e delle
scosse al petto che la facevano stare male e Ginny doveva sostenerla
per
impedirle di cadere.
Ginny
era sconvolta. L’altra volta non era stato così.
Questo era peggio. Quando arrivarono
davanti al corridoio del settimo piano, Hermione disse:
“Aspetta, passo io”, e
Ginny la lasciò fare.
Quando
la porta apparve e loro riuscirono a entrare, la rossa si
guardò intorno.
C’erano tre poltrone, delle coperte, un tavolino con il
necessario per scrivere,
un camino acceso e un mobile bar. Un mobile bar? Si avvicinò
al mobile e vide
che c’erano anche delle bottiglie di liquore. Oh mamma!
Hermione
si sedette su una delle poltrone, si raggomitolò e si
coprì con una coperta,
poi spiegò: “Adesso mandi un messaggio a Malfoy e
gli chiedi di portare la sua
pozione”, fece un cenno con la mano quando notò
che la ragazza voleva
interromperla e continuò: “Non preoccuparti, lui
capirà”.
Ginny
scrisse il biglietto come lei aveva detto (beh, più o meno),
e con la bacchetta
lo fece piegare su se stesso finchè non divenne un piccolo
gufo e si alzò in
volo. Poi aprì la porta, lo fece uscire e lo
seguì.
Draco
venne svegliato da un picchiettio costante e vagamente fastidioso sul
suo naso.
Quando aprì gli occhi vide il piccolo gufo di carta e lo
fermò con la mano.
Nel
momento in cui lo toccò, questi si spiegò e
ritornò un pezzo di pergamena liscia.
Lesse il messaggio che vi era scritto e alzò un sopracciglio.
-
Vedi di
svegliarti
e portaci fuori la tua famosa pozione al più presto.
Hermione sta
male
G.W.
-
La
Weasley. Senza fronzoli la ragazza. Si vestì velocemente,
cercando di non
svegliare i suoi compagni di stanza. Quando uscì dalla porta
dei sotterranei si
guardò intorno. Dove doveva andare? Non glielo aveva
scritto.
A
un tratto si sentì tirare per un braccio e sentì
un fruscio. Prima di
rendersene conto era sotto il mantello
dell’invisibilità di Potter con la
Weasley. Se glielo avessero raccontato non ci avrebbe mai creduto.
“Buonasera…”
Cercò di essere gentile lui.
“Shh…
è un mantello dell’invisibilità, non
è insonorizzato, Malfoy!” precisò lei a
voce bassa. “Hai portato la pozione?” chiese lei
con un tono da malavitoso e il
biondo sorrise divertito.
“Sì.
Hermione dov’è?”
“Stanza
delle necessità” rispose la rossa. Lui
annuì e lei sbuffò.
“Possiamo
andare adesso? È una vita che sono
qui…” Draco annuì ancora.
Ginny
diede il passo e si incamminarono. Il mantello non era tanto grande e
lui era
più alto di lei, il che lasciava poco margine di stoffa,
così dovettero stare
vicini e la cosa non piaceva a entrambi. Quando arrivarono al settimo
piano,
Ginny tolse il mantello a tutti e due e passò davanti al
muro per far apparire
la porta.
Appena
ci riuscì la aprì ed entrarono insieme. Hermione
adesso batteva i denti. Ma non
c’era freddo. Malfoy si precipitò da lei.
“Da quanto tempo è iniziato?” le
chiese, voltandosi verso la rossa.
“Qualche
ora” rispose.
“Qualche
ora? Avresti dovuto chiamarmi prima!” esclamò lui
rivolgendosi, questa volta, a
Hermione.
Ginny
guardava i due ragazzi un po’ stranita. Non capiva bene bene
la situazione, ma
loro sembravano convinti di quello che stavano dicendo, così
si sedette sulla
poltrona accanto alla ragazza e osservò tutto.
Quando
Malfoy, dopo essersi seduto di fronte alla riccia, tirò
fuori la benedetta
pozione, Ginny si fece avanti.
“Aspetta.
Che cos’è?” chiese, sospettosa.
“La
pozione di Piton. Mi aiuta a stare meglio” Hermione rispose
al posto del
ragazzo. Ma la giovane strega non era convinta.
“Come
facciamo a sapere che non ti farà male?”
sussurrò all’amica.
“L’ho
già presa” disse Hermione, ma
Ginny non voleva ancora cedere.
“La
prendo prima io” disse, guardando Malfoy, che
sgranò gli occhi. Lui aveva uno
scintillio strano nello sguardo, secondo la rossa.
“No,
Ginny, ce n’è poca e serve a tutti e
due” rispose Hermione, ancora una volta al
posto del ragazzo.
Guardò
ancora l’amica. Lei guardava fiduciosa il biondo Serpeverde e
la cosa le
metteva ansia.
“Fammela
annusare” disse a Mafoy. Il ragazzo ghignò
nonostante tutto.
“Paura
che sia Amortentia?” chiese, ma gliela passò senza
problemi e la ragazza
l’annusò, poi lei gliela ridiede. Lui la
versò (con parsimonia) in bocca a Hermione
e la rimise via. Le massaggiò un attimo le mani (che aveva
tenuto strette in
maniera molto delicata, notò) poi si girò verso
di lei dicendo: “Legno?”
Ginny
lo guardò negli occhi. Voleva sapere di cosa profumasse la
sua Amortentia? Non
aveva bisogno di nascondersi né di mentire. E rispose
sinceramente: “Cuoio. Cuoio
della pluffa, torta di pesche di mamma e quello che penso sia il
dopobarba di
Harry”.
Hermione
sorrise. “Sandalo?” Ginny scosse il capo.
“È
un misto fra muschio bianco e patchouli, lo sento quando sono vicino a
lui.”
Hermione annuì, ma
non ci aveva mai fatto
caso.
Ginny
non chiese agli altri due che profumo avesse per loro
l’Amortentia. In quel
momento non le poteva importare di meno. Osservava ancora il biondo e
si
sentiva ipnotizzata. Immaginò che stesse succedendo la
stessa cosa anche a Hermione
perché lei lo guardava con una strana luce negli occhi.
Sperò di non avere lo
stesso sguardo. Sarebbe stato imbarazzante.
Si
rannicchiò meglio e si allungò ad afferrare la
coperta.
“Tesoro,
torna a letto e scusami se ti ho svegliato…”
Hermione parlava come Fleur, pensò
sbadigliando Ginny, come la vecchia Fleur, quella noiosa.
“Io
resto qui” insistette, ma poi non si accorse quando si
addormentò.
Malfoy
teneva ancora la
mano di Hermione, le
massaggiava le braccia ritmicamente e dopo un po’ le chiese:
“Come va?” Lei
sorrise.
“Molto
meglio” rispose. Lui le tenne ancora la mano. Hermione
scoprì che la cosa le piaceva.
Poi
il ragazzo le chiese, sottovoce: “Posso vedere la
cicatrice?” Lei si sentiva
serena e rilassata, e per niente intimorita. Annuì.
Spostò
le gambe giù dalla poltrona e facendolo la coperta cadde di
lato, la sua vestaglia
si aprì e le scoprì una coscia.
“Non
sarai mica nuda, lì sotto, vero?” Malfoy aveva sgranato gli occhi e alzato
un po’ la voce
(che si era fatta roca e molto sexy, secondo Hermione).
Lei
rise e scosse la testa “Certo che no!”
Lui
la guardava in modo strano, come se stesse decidendo se crederle o no.
Velocemente si alzò e andò al mobile bar a
versarsi un bicchiere di Firewhisky.
Quando
tornò, Hermione si stava arrotolando la manica della
vestaglia, fino a scoprire
l’avambraccio quel tanto che bastava per mostrare la parola.
Lui
bevve una lunga sorsata e dopo aver appoggiato il bicchiere,
allungò di nuovo
la mano verso di lei. Hermione ebbe un brivido quando la sua mano
fredda si
appoggiò sul braccio. Lui la guardò e
sussurrò: “Scusa”. Lei sorrise.
“Sei
gelato” disse, a mo’ di spiegazione. Sorrise anche
lui.
“Sempre”
rispose. La ragazza si domandò che effetto facesse quella
sensazione su altre
parti del corpo. E rabbrividì ancora.
Cercò
di pensare ad altro e si concentrò sul segno sul braccio. La
scritta era
sottile, cicatrizzata, ma si leggeva ancora. Lui dovette pensare la
stessa
cosa, perché lo sentì sospirare. Poi distolse lo
sguardo da lei e si allungò a
prendere il bicchiere. Lo scolò velocemente e si
alzò per andare a riempirlo
ancora.
Mentre
era lontano disse sottovoce: “Mi dispiace. Di non aver fatto
niente, intendo…”
Hermione
si rabbuiò. E cosa avrebbe dovuto fare? Così
glielo chiese. Lui si avvicinò con
il bicchiere in mano, ma quando si sedette, lo appoggiò sul
tavolino senza
berlo.
“Avrei
potuto impedirle di farti del male…” Ma da come lo
disse, si capiva che non ci
credeva nemmeno lui. Non ci sarebbe riuscito. E chissà cosa
sarebbe successo se
ci avesse provato.
“Cosa
devo dirti? Che avrei preferito non essere cruciata? Che avrei voluto
che
quella pazza morisse improvvisamente sotto i miei occhi? Sì.
È così. Si è
divertita con me, perchè aveva già deciso di
uccidere me e Ron, visto che
doveva consegnare Harry vivo a Voldemort!” Malfoy
trasalì quando lei pronunciò
quel nome. “Cosa ti fa pensare che non avrebbe ucciso anche
te se ci avessi
aiutato? Eri per caso il suo nipote preferito? Perché con
Tonks non è stata
proprio gentile…”
Il
tono di voce della ragazza si era fatto acuto e forte, così
Draco pensò di
calmarla prima che svegliasse la Weasley.
“Ok,
va bene. È che mi sento in colpa…” E ti
sogno di notte mentre vieni torturata.
“Tu?” Lei rise cattiva. Ma poi si
portò una mano alla testa.
“Mi
sta tornando!” I suoi occhi si sbarrarono impauriti e
ritornò la ragazzina che
lui prendeva in giro al primo anno.
Draco
si risedette velocemente dicendo: “No. Non lo permettere.
Pensa cose belle”.
Provò
a prenderle la mano, ma lei, che era ancora arrabbiata la
tirò via. “Come no!” Chiuse
gli occhi. “Perché non funziona
più?”
Lui
si allungò a prendere il bicchiere di prima e glielo
portò alle labbra.
“Bevi
un sorso e non pensare che non funzioni” disse. Lei smise di
ostacolarlo e
bevve.
“Per
questo bevi? Per il mal di testa?” Fosse stato solo per il
mal di testa…
“A
te fa solo male la testa, quando succede?” Lei scosse il
capo. Poi richiuse gli
occhi, probabilmente per il dolore.
“Ok,
me lo dici dopo” disse, preoccupato. Lei aprì gli
occhi e si guardò il braccio.
Draco le mise una mano sotto il mento, per non farle vedere la
cicatrice.
“Guarda
me, guarda me. Pensa cose belle.”
La
Granger ridacchiò, mente diceva: “Cose belle
guardando te?”
Lui
storse la bocca in una smorfia, ma scherzare era meglio che essere
arrabbiati.
“Ok,
allora non guardarmi!” disse stizzito. Si alzò in
piedi e passò oltre la
ragazza, scavalcò la poltrona con una gamba e si sedette
dietro di lei.
“Ma… cosa fai?” chiese lei, forse un
po’ spaventata.
“Così
non devi guardarmi. E adesso stai zitta e prova a dormire”.
E, tirando su la
coperta, l’abbracciò. Lei si rannicchiò
contro di lui e appoggiò la testa sul
suo petto. Per fortuna non aveva fatto resistenza. Doveva essere molto
stanca.
Ed era fra le sue braccia. Chiuse gli occhi sorridendo.
Quando
lui l’abbracciò, Hermione non pensò
più a niente. Era caldo, solido, morbido e
profumava di buono. Assenzio, forse? Sorrise mentre elencava
mentalmente le
proprietà e il nome scientifico della pianta, che si
adattavano così bene al
ragazzo biondo che l’abbracciava.
Così
chiuse gli occhi e si mise comoda. In fin dei conti che male
c’era? Erano nella
stanza delle necessità, nessuno li aveva visti e Ginny
dormiva. Lei, invece,
voleva sognare.
-
***
-
Harry
si era svegliato di soprassalto dopo l’ultimo incubo. Sognava
spesso Voldemort:
Voldemort che tornava, Voldemort che non moriva, Voldemort che uccideva
i suoi
amici, Voldemort che uccideva Ginny!
Si
alzò tutto sudato dal letto, andò in bagno e si
lavò la faccia. Tornò a letto
ma non riuscì ad addormentarsi. Dopo un po’ decise
di farsi un giro in sala
comune. Chissà che qualcuno non soffrisse di insonnia come
lui. A dir la verità
quasi tutti quelli che avevano partecipato alla battaglia avevano
incubi di
notte, quindi non era strano incontrare qualcuno in sala comune che
passasse il
tempo anche a quell’ora.
La
sala comune però era deserta. Guardò
l’orologio e vide che erano le tre. Era
sveglio da più di un’ora. E non aveva ancora
voglia di dormire.
Si
sedette su un divano davanti al camino, tirò fuori la
bacchetta e ravvivò il
fuoco, per aumentare il calore della stanza.
Dopo
dieci minuti era già annoiato. Guardò se in giro
ci fossero dei libri (Oh se lo
avesse saputo Hermione!!) ma non trovò niente.
Così tirò fuori dalla tasca la
mappa del malandrino e recitò sottovoce
l’incantesimo per far apparire
Hogwarts.
Pian
piano si disegnò tutto il castello, l’ultimo
piano, quelli intermedi, il primo
piano, la sala grande e i sotterranei. Vide il puntino di Ginny
spostarsi lungo
i sotterranei.
Harry
si mise più dritto e guardò meglio. Come poteva
essere? Ginny? Nei sotterranei?
Doveva aver letto male. No. Aveva visto giusto ‘Ginevra
Weasley’. Proprio lei.
Controllò
ancora e vide il puntino fermarsi a un certo punto del corridoio. Il
corridoio
dei sotterranei, dove c’era l’entrata dei
Serpeverde. Guardò il puntino
muoversi a destra e sinistra e poi ancora a destra e a sinistra, e capì che
andava avanti e indietro; stava
aspettando. Ma cosa aspettava nei sotterranei?
Quando
vide il puntino di Malfoy raggiungere quello della ragazza, gli si
spezzò il
cuore. CHI stava aspettando. I due puntini si avvicinarono. Troppo. Non
si stavano
baciando, vero? Il petto di Harry batteva furioso. No, c’era
una spiegazione.
Di sicuro. I due puntini rimasero vicini per quello che al ragazzo
sembrò
un’eternità, poi lentamente (più
lentamente di quando il puntino di Ginny era
da solo) si spostarono.
Harry
non capì subito dove stessero andando. Ma quando arrivarono
al quarto piano
ebbe il sospetto: la stanza delle necessità.
Corse
verso la camera a prendere il mantello
dell’invisibilità, ma a metà della
scala
si ricordò di averlo lasciato a Hermione. Guardò
verso la scala del dormitorio
femminile, non sarebbe riuscito ad andare in camera sua a prenderlo.
Non senza
svegliare tutto il dormitorio. Non voleva creare un putiferio. Voleva
andare da
Ginny.
Sospirò,
decidendo cosa fare. Poteva stare lì e aspettare che lei
tornasse (e se non
tornava?) oppure poteva sfidare Gazza e tutto il mondo e andare ad
aspettarli
davanti alla stanza delle necessità. Tornò in
camera per mettersi un maglione
pesante (la parte più difficile fu farlo in silenzio per non
svegliare gli
altri) e si fiondò fuori dal quadro della signora grassa.
Si
incamminò veloce verso il settimo piano, ma quando
salì le scale, capì di
essere arrivato tardi. Vide Ginny passare davanti al muro e vide la
porta
apparire, Ginny l’aprì e Malfoy entrò
dietro di lei e la porta sparì.
A
Harry caddero le braccia. Era successo tutto molto velocemente, ma
anche se avesse
voluto, cosa avrebbe potuto fare? Gridare per tutto il corridoio?
Si
avvicinò al muro, ma non successe niente. Provò a
pensare a qualunque cosa
potesse far apparire la porta della stanza, ma non apparì.
Non voleva pensare a
una camera da letto. Ma ci pensò. Tutte le volte che
passò davanti al muro. Una
camera con le lenzuola verdi e argento. No. C’era
un’altra spiegazione. Doveva
esserci. Avrebbe aspettato. Sarebbero usciti prima o poi, giusto?
Si
nascose dietro la statua che c’era davanti al muro, nel caso
passasse Gazza, e si
mise seduto, vicino al muro dove poteva vedere il corridoio senza
essere visto.
Tirò fuori la mappa e la consultò. Gazza non era
in giro. La rimise via. E
aspettò. Merlino se c’era freddo. Dopo
mezz’ora era gelato. E stanco. Cercò di
sforzarsi di tenere gli occhi aperti ma perse la battaglia. Si
addormentò
mezz’ora prima che Ginny e Hermione uscissero dalla stanza
delle necessità e si
infilarono il mantello. Malfoy invece uscì dopo un quarto
d’ora. Ma lui non
vide nessuno dei tre. E loro non lo videro.
Fu
svegliato dalla McGranitt alle sei del mattino che faceva il giro del
castello.
Lei lo guardò con curiosità e lui rispose
soltanto che aveva avuto incubi
strani e voleva assicurarsi che quella parte del castello fosse sicura.
Dovette
essere abbastanza convincente (o sembrare abbastanza matto da decidere
di
lasciarlo in pace) perché la professoressa non lo
sgridò né gli tolse punti né
lo mise in punizione. Era stato fortunato. Già. Proprio
fortunato….
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Capitolo 10 *** Problemi ***
Problemi
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Quella
mattina tutti erano assonnati. In sala comune Harry scorse Hermione che
scendeva lentamente le scale del dormitorio e le andò vicino
chiedendo notizie
del mantello. Lei fece una faccia sorpresa e disse:
“È vero, ce l’ho io.
Scusami. Ti serviva?” cercò di restare nel vago
lei.
Harry,
che non voleva parlare della notte passata, scrollò le
spalle.
“Pensavo
solo di tenerlo io” disse. Lei annuì.
“Certo,
certo. Te lo vado a prendere, mi aspetti?” Lui
annuì e si sedette.
Ron
arrivò poco dopo sbadigliando. Quando Hermione
tornò con il mantello di Harry,
insieme a lei c’era anche Ginny.
Harry
si agitò. Non
sapeva come comportarsi.
Fare finta di niente? Chiedere subito spiegazioni? Era la soluzione
migliore, ma
non chiese niente. Bravo Harry! In Serpeverde
dovevi finire, codardo! Pensò. Guardò
la rossa. Aveva una brutta faccia.
Era evidente.
Ron
le chiese: “Tutto bene Ginny? Hai una faccia
strana… Hai passato una brutta
notte?” A volte capitava che qualcuno di loro avesse degli
incubi, era normale (Infatti
lui li aveva avuti quella notte), ma lei sorrise. Harry non le aveva
mai visto
quel sorriso strano. Stava mentendo.
“No
no. Tutto bene. E voi?” rispose,
guardando tutti e tre. Harry pensò che la
mancanza di sonno gli avesse
tolto anche la capacità di giudizio, però lei
stava mentendo davvero. Lui lo
sapeva. Disse agli altri di andare a fare colazione mentre lui portava
il
mantello in camera e si dileguò.
Ginny
si accorse che Harry la stava evitando dopo la terza volta che fece
finta di
non vederla in corridoio. A colazione, quando era tornato, non si era
seduto
vicino a lei e non era riuscita a dargli neanche un bacio prima
dell’inizio
delle lezioni. Non capiva cosa stesse succedendo, ma era meglio
chiarirlo
subito. Così, quando suonò la campanella
dell’ultima lezione del mattino, lo
aspettò prima dell’ingresso in sala grande e lo
bloccò.
“Harry
possiamo parlare?” Lui era insieme a Seamus e a Lavanda.
Harry non si aspettava
di vederla e si spaventò quando lei gli intralciò
il passo. Annuì salutando con
il capo gli altri due. Ginny lo precedette in un angolo e
iniziò a parlare.
“Volevo
dirti che…” Ma Harry non la fece finire.
Alzò una mano per farla tacere e
iniziò dicendo: “Penso che dovremmo prenderci una
pausa”.
Dopo
che lui ebbe pronunciato la parola Pausa
Ginny non capì più niente. Aveva sentito racconti
sul fatto che succedeva, ma non
ci aveva mai creduto e invece era vero, a volte il tuo cervello non si
collegava più e tu ti perdevi. Sentì parole come futuro, giovani, per sempre, e quando lui
disse la frase fare altre esperienze,
non ascoltò più.
Non ci riusciva.
Harry,
il suo Harry, la stava lasciando. Per fare altre esperienze. Sapeva di
aver
risposto qualcosa, ma poi non si ricordò cosa disse.
Riuscì a non piangere
davanti a lui. Non voleva. Se Harry voleva fare altre esperienze era
stato
onesto a dirglielo e a non tradirla, però…
però… Lui non le diede neanche un
bacio sulla guancia, se ne andò e basta. E lei rimase
lì, per un tempo
infinito. Vide altri studenti passare per andare a pranzo. Qualcuno la
salutò.
Non si ricordò poi se lei avesse ricambiato il saluto o
meno.
Si
girò dalla parte opposta alla sala grande e si mise a
correre verso la torre
dei Grifondoro. Incontrò un professore che le
intimò di non correre e lei
rallentò per poi riprendere a correre quando fu dietro
l’angolo. Arrivò dal
quadro della signora grassa trafelata. E non si ricordava la parola
d’ordine.
Merlino. Stava per piangere. Per fortuna un ragazzino uscì
dalla sala comune in
quel momento e lei si intrufolò prima che la signora grassa
tornasse al suo
posto.
Si
diresse verso i dormitori e verso la stanza del suo anno. Per fortuna
era
vuota. Si distese sul letto, dopo aver abbandonato la borsa con i libri
per
terra. Con la bacchetta tirò le cortine del letto e si
abbandonò sul cuscino e
le lacrime le scesero da sole. Si raggomitolò e
cercò di pensare se le fosse
sfuggito qualcosa. Harry sembrava volere solo lei. Cos’era
cambiato? Ci pensò e
ripensò a ogni singola volta in cui lo avesse visto o in cui
gli avesse
parlato, ma niente, niente le aveva dato l’impressione che
volesse lasciarla…
Con
un incantesimo d’Appello richiamò la radio che le
aveva lasciato la mamma, la
stessa con cui lei ascoltava Celestina Warbeck prima che
papà gliene regalasse
una nuova, e l’accese. Quando sentì una canzone
particolarmente triste e adatta
allo stato d’animo in cui si trovava, incantò la
radio in maniera che ripetesse
sempre la stessa canzone. Stava male e non vedeva altra soluzione.
-
***
-
Hermione
non aveva visto Ginny a pranzo. Né nel pomeriggio. Vide
Harry che faceva i
compiti a uno dei tavoli della biblioteca, così si
avvicinò sorridendo e gli
chiese se l’avesse vista.
“No”
rispose Harry un po’ duramente, senza alzare gli occhi dalla
pergamena. Alla
ragazza sembrò una cosa strana, così chiese:
“Harry… sta succedendo qualcosa? ”
Lui
allora alzò la testa e disse: “Noi… ci
siamo lasciati”.
Hermione
cadde sulla sedia. “Come? Perché vi siete
lasciati?” lui alzò le spalle e disse:
“Abbiamo deciso di fare altre esperienze”.
COME?
Altre esperienze? Ma se dodici ore prima Ginny andava orgogliosa del
fatto che
la sua Amortentia profumasse di Harry!! “Ma… Sei
sicuro?”
Harry
la guardò come se si fosse trasformata in uno snaso.
“Secondo te?”
“Ma
che ti ha detto di preciso?”
Harry
riprese a scrivere e disse brusco: “Non ne voglio
parlare!”
Hermione,
quando capì che non avrebbe tirato fuori un Doxy dal buco,
si alzò e andò a
cercare Ginny.
Lungo
il corridoio incontrò Ron e chiese anche a lui se
l’avesse vista, ma non gli
disse nient’altro. Che se la sbrigasse Harry, con le
spiegazioni. Ma neanche
Ron l’aveva vista. Incontrò Luna, Neville e anche
qualcun altro, ma nessuno
l’aveva vista. L’aveva cercata anche allo stadio di
Quidditch, ma non c’era.
(Non c’era nessuno a dir la verità),
così si avviò verso la sala comune.
Una
compagna di stanza di Ginny scese le scale del dormitorio in quel
momento e,
prima che Hermione riuscisse a chiederle se sapesse dov’era
la rossa, questa le
andò vicino e le disse: “Ginny è in
camera. Dovresti proprio andare da lei…”
Hermione
annuì, senza chiedere ulteriori informazioni. Quando
arrivò davanti alla camera
del settimo anno, quello ufficiale, due ragazze stavano uscendo e
dissero
quando la videro: “Speriamo che si rimettano insieme al
più presto. Non ne
possiamo più di sentire quella canzone!”
Hermione
sentiva la musica venire dal baldacchino di Ginny, ma le cortine erano
tutte
tirate e non la vedeva.
“È
la dentro, è la dentro. Abbiamo provato a parlarne, ma ci ha
cacciato. Abbiamo
provato a incantare il letto per non ascoltare anche noi la musica, ma
deve
aver lanciato un incantesimo, visto che non funziona. Fra un
po’ vado io da
Potter a chiedergli di rimettersi con lei!” Effettivamente la
canzone, che
Hermione conosceva, era triste e bellissima e assolutamente adatta alla
situazione. Ma se l’ascoltava da più di
un’ora, entro
sera, si sarebbe gettata dalla torre di
Astronomia.
Avanzò
decisa verso il letto, mentre le ragazze uscivano, e con la bacchetta
aprì le
tende. Ginny non si scompose, né si spaventò. La
guardò con occhi da cucciolo e
Hermione riuscì a malapena a sgridarla.
“Ginny?
Stiamo scherzando? Da quanto stai ascoltando questa canzone? A tutto
volume?”
La
ragazza la guardò e balbettò: “Ci
siamo…” Non riuscì a finire la frase.
Hermione
si sedette vicino a lei e le posò una mano sulla spalla.
“Sì
lo so. E ora lo sanno anche le tue compagne di
stanza…”
“Non
volevo parlare con nessuno. Così hanno capito di che umore
fossi!” La riccia
l’abbracciò. Povera Ginny.
“E
con me vuoi parlare? Spiegami cos’è
successo...”
Si
sdraiarono vicine e Hermione le tenne un braccio intorno alle spalle.
“Io
non lo so. Mi ha detto che vuole fare altre
esperienze…” E si interruppe,
consapevole che avrebbe pianto se avesse continuato. E lei non voleva
piangere.
Non ancora.
Hermione
stava per ribattere, quando Ginny continuò:
“Ultimamente ci sono un sacco di
ragazze che girano intorno a Ron, forse… forse ora lui non
vuole più stare con
me e vuole…” E si interruppe ancora.
Hermione
non sapeva proprio cosa dire. Così disse l’unica
cosa che le venne in mente: “Ci
sono qua io. Non preoccuparti”.
L’abbracciò
un po’ più stretta. E rimasero così,
fino all’ora di cena.
-
***
-
“Hai
già saltato il pranzo. Non salterai anche la
cena!” Hermione era irremovibile.
Ma non riusciva a convincerla.
“Non
ho fame” si giustificò Ginny.
“L’avrai
stanotte” replicò Hermione.
“Andrò
in cucina dagli elfi e mi farò dare qualcosa. SE
succederà!”
Hermione
sgranò gli occhi esclamando:“NO!”
Ginny
la guardò. Era arrabbiata per il fatto che non volesse
scendere a cena o perché voleva
far lavorare gli elfi anche di notte? Scoppiò a ridere e si
sentì molto meglio.
Hermione
cambiò espressione e disse guardandola sorniona:
“Non ti facevo una che si
nasconde…”
“Io
non mi nascondo!” replicò l’amica,
piccata. La riccia sorrise di più. Aveva
toccato il tasto giusto. “Ah, no?”
continuò.
“No!”
sostenne Ginny.
“Quindi
adesso vieni a cena e fai vedere a questa scuola che una ragazza
cresciuta con
sei fratelli non ha paura di nessuno?” chiese Hermione, ormai
convinta che
fosse la strada giusta.
Ginny
ci pensò su. Quanto era stata male quando Harry era uscito
con la Chang? O
quando l’aveva baciata? Ron l’aveva informata
subito, quel troll!
Le
era sembrato di morire. E Hermione l’aveva consolata e
l’aveva aiutata ad
andare avanti. Poteva farlo ancora.
“Faccio
la doccia. Mi aspetti?” chiese all’amica. Hermione
annuì.
Dopo
mezz’ora scesero in sala grande.
La
cena era già iniziata e tutti erano già seduti
quando loro entrarono. Trovarono
posto vicino alla porta, in fondo al tavolo. Ginny non osò
guardare dove fosse
seduto Harry. Una cosa alla volta.
Harry
le vide entrare. Ginny non era venuta a pranzo (anche se lui non se
l’era
aspettato) e aveva guardato in continuazione l’entrata per
vedere se sarebbe
venuta a cena. Quando entrò, insieme a Hermione, molte teste
si girarono nella
loro direzione.
Lui
cercò di guardarla il meno possibile, così
buttò lo sguardo al tavolo dei Serpeverde.
Malfoy parlava con Zabini fino a poco prima (Harry aveva controllato
cosa
facesse fin troppe volte), ma quando le ragazze entrarono, si
voltò anche lui
verso di loro. Vide uno sguardo interrogativo sul suo viso e poi lo
vide
sorridere e salutare con un cenno del capo. Harry guardò il
suo piatto e non
alzò più lo sguardo.
Ron,
che non sapeva niente, si stupì del fatto che le ragazze si
fossero sedute
lontano da loro. Così chiese a Harry se sapesse il
perché e lui, senza alzare
gli occhi dal piatto gli comunicò che lui e Ginny non
stavano più insieme da
quel pomeriggio.
Ron,
dopo il primo sbalordimento, appoggiò la forchetta e gli
disse sottovoce:
“Dimmi che non ti devo spaccare la faccia”.
Harry
lo guardò e rispose: “Io… no. Ma non ne
voglio parlare con te”.
Ron
annuì. Avrebbe dovuto parlare con sua sorella.
Perché non glielo aveva detto? Perché
avresti fatto del casino. Ron
annuì ancora a se stesso. Avrebbe cercato di rimanere calmo
e le avrebbe
parlato. Dopo cena però, pensò riprendendo a
mangiare.
-
***
-
Pansy
stava fumando in cortile quando la voce di Draco le arrivò
alle spalle. “Pansy…”
Si voltò lentamente e disse salutandolo:
“Dra”.
“Non
ce l’hai con me?” le chiese. Lei sorrise.
“Secondo
te?” Draco ghignò.
“Secondo
me vorresti ma non ce la fai. Perché sono troppo
bello!” Pansy rise. Spaccone.
“Non
ce l’ho con te. Ma mi hai fatto fare la figura del
troll!”
“No,
non è vero. È stato Weasley.”
“Ho
sentito dire che è stato schiantato…”
Lui si strinse nelle spalle.
“L’ho
sentito dire anch’io.”
La mora aspirò una
boccata prima di dire,
incredula: “Mi hai difeso…”
Lei
aveva parlato con un tono strano, come se non credesse che lui
l’avrebbe fatto.
“Ti ci
avevo messo io in mezzo, dovevo
tirarti fuori io” spiegò e lei annuì
senza dire niente.
Dopo
un po’ anche lui si accese una sigaretta e la ragazza lo
guardò prima di
chiedere: “Quando hai detto quella stupidaggine,
c’era anche la Granger?”
Il
biondo tossì e Pansy rise. Ci aveva preso. Solo un ragazzo
poteva pensare di
dire una cosa del genere per far colpo su una ragazza.
“Se me lo avessi
detto non mi sarei arrabbiata
e avrei saputo cosa rispondere a Weasley. E magari sarei andata alla
festa dei
Corvonero!” Rise, più leggera.
Draco
non disse niente e lei continuò: “Ho sempre
sospettato che ti piacesse la
Granger”. Lui si stupì.
“Davvero?”
chiese quindi.
Pansy
alzò le spalle. “È molto carina
e… ha salvato il mondo magico. I suoi amici lo
sanno?”
“Non
lo sa neanche la Granger…” rispose Draco, un
po’ demoralizzato. Pansy si fermò
con la sigaretta a mezz’aria.
“Perché
non lo sa? Non sta più con Weasley, no? O sta con qualcun
altro?” Draco aspirò
lentamente prima di risponderle.
“Non
penso che stia con qualcuno…”
“Quindi?”
calcò lei.
“Ci
sono cose che…” Pansy sbuffò il fumo
rumorosamente e lo interruppe prima che
andasse avanti su quella strada.
“Oh
Draco, raccontati quello che vuoi, ma potrebbe essere
un’occasione persa. Se
non ti fai avanti tu, lo farà qualcun altro sicuramente. E
ora sei libero. Non
hai nessuno che ti dica cosa puoi o non puoi fare!”
Draco
si fermò a guardarla. Poteva avere ragione,
però… di chi stava parlando? Di sé
o di lui?
Per
un po’ stettero in silenzio finendo di fumare. Poi Draco
pensò di dar voce ai
suoi pensieri: “Tu potresti provarci con
Weasley…”
Pansy
si voltò di scatto verso di lui e sbottò:
“E perché dovrei?”
“Occasione
persa?” disse, usando le sue stesse parole. Pansy scosse in
aria la mano per
liquidare la questione e prendendo la bacchetta fece sparire il
mozzicone.
Si
incamminò verso il portone e lui le disse ad alta voce:
“È ancora quella questione
delle ‘brave persone’?” Lei si
fermò e si girò verso di lui.
“Sai
Draco cosa devi fare la prossima volta che sparli di me? Devi
esagerare. E io ti
reggerò il gioco!” Lui sorrise e annuì
mentre alzava la mano in segno di
saluto.
La
ragazza alzò la mano anche lei e ritornò dentro.
-
***
-
“Cosa
è successo fra te e Harry?”
Ron
avrebbe preferito che la sua domanda avesse avuto tutto il tatto che la
situazione richiedeva, ma non c’era riuscito. Era dovuto
correre dietro a Ginny
per tutto il castello (ok, non proprio tutto il castello, ma a lui
sembrava di
sì) e alla fine l’aveva beccata in biblioteca.
Lei
alzò gli occhi dal libro di pozioni che stava leggendo e
disse: “Buonasera
anche a te, Ron”. Lui sbuffò, si sedette vicino a
lei, e disse con un tono un
po’ più tenue: “Scusa”.
Lei
gli sorrise, nonostante tutto.
Ma
non voleva parlare di Harry con suo fratello. Così
continuò a leggere.
Ma
Ron chiese ancora: “Cosa è successo con
Harry?”
Lei
sospirò. Non se ne sarebbe liberata facilmente.
“Lui
cosa ti ha detto?” gli chiese.
“Niente!”
sbottò lui “Mi ha solo detto che vi siete
lasciati…”
Lei
fece una faccia strana, ma poi disse: “È giusto.
Questo è quello che è successo”.
E
riprese a leggere.
“Devo
spaccargli la faccia? Se mi dici di sì lo faccio.”
Ginny
alzò lo sguardo dal libro e gli sorrise. Il suo fratellone.
Non era neanche
sicura che avesse mai fatto a pugni. Ma il suo gesto era carino lo
stesso.
“Non
te lo chiederei mai” Ron sospirò sollevato
“ascolta…”, continuò lei,
posandogli
una mano sul braccio “La tua amicizia con Harry non deve
finire, ok? Siamo persone
civili, ok?”
Ron
annuì. Il suo miglior amico e sua sorella si erano lasciati.
Non doveva
spaccare la faccia a nessuno. Harry poteva continuare a venire a casa
sua. Sua
sorella si sarebbe trovata presto un altro. Ok, speriamo non presto.
Tutto il
resto non aveva importanza.
Guardò
Ginny studiare per un po’, finché lei non disse
spazientita: “Non hai
qualcos’altro da fare? Togliere punti a quelli del terzo
anno? Dare ordini a quelli
del primo? Dove sono le tue groupies?”
finì di chiedere guardandosi intorno come se cercasse
qualcuno.
“Chi?”
chiese Ron stupito.
“Tutte
quelle ragazzine che ti fanno il filo e ti seguono sempre. Quelle che
sospirano
quando le saluti. Quelle che agli allenamenti di Quidditch scrivono
‘Weasley
sei il migliore’ con le lingue di fuoco rosse nel cielo,
ricordi?” A Ron si
arrossarono le orecchie.
Ginny
rise. Suo fratello non era capace di gestire
quell’entusiasmo. Non c’era
abitutato. Cavolo, era successa la stessa cosa a lei, quando le
ragazzine più
piccole avevano iniziato a seguirla.
“Oh.
Non sono ragazzine, dai…” disse e divenne ancora
più rosso. Ginny smise di
ridere, guardandolo.
“Spero
che quando ci vai a letto tu prenda delle precauzioni!”
sbottò lei.
Ron
si arrabbiò ed esclamò: “Ma io ti ho
mai chiesto niente di quello che fai con
Harry?”
Ginny
si impensierì. Faceva con Harry.
Doveva averlo pensato anche Ron perché si zittì e
guardò da un’altra parte.
“Stai
solo attento, ok?” disse alla fine, sospirando. Ron
annuì e se ne andò.
-
***
-
Draco
era seduto da solo in biblioteca dopo cena e stava facendo i compiti di
Aritmanzia. Non
sapeva dove fosse finita
Pansy. A lei piaceva Aritmanzia. Piaceva! Lui faceva fatica a capire
tutti quei
numeri e le lettere.
Seguiva
Aritmanzia perché, secondo sua madre, era una materia utile.
Diceva che serviva
per prevedere il futuro in maniera strategica (qualsiasi cosa volesse
dire). Ci
avrebbe messo una vita.
“Ciao,
posso sedermi qui?” Draco alzò gli occhi e vide la
Granger, in attesa, vicino
alla sedia alla sua destra. Sicuramente lei era brava in Aritmanzia.
Hermione
era nervosa. Aveva deciso di cercare Malfoy e parlare con lui. Non si
erano più
detti niente da quando lei si era addormentata sulla poltrona fra le
sue
braccia.
Quando
erano da soli era tutto più semplice mentre ora
lì, in mezzo alla biblioteca,
insieme a tutti gli studenti, in mezzo a tutta la scuola, sembrava
diverso.
Stava
ancora aspettando risposta alla sua domanda quando si chiese se avesse
fatto
meglio a sedersi e basta. Continuò a guardarlo, ma non
capiva cosa gli passasse
per la testa. Poi lui ghignò, appoggiando un braccio sullo
schienale della
sedia.
“E
io cosa ci guadagno se ti lascio sedere?”
Hermione,
sorpresa, balbettò: “Oh…
io…” E si guardò intorno, come se
cercasse un aiuto
esterno. Per fortuna Malfoy venne in suo aiuto.
“Aritmanzia?”
disse, spostando la sedia e
avvicinandole il libro, mentre lei si sedeva meccanicamente.
La
Granger sorrise. E lui, oltre a numeri e lettere non capì
neanche più le
parole, quelle che stava dicendo lei.
“Non
ho capito” ammise.
La
ragazza si voltò verso di lui e disse: “Io ho
già fatto questa pagina. Posso
spiegartela”.
Lui
scrollò le spalle, dicendo: “Oppure potresti farmi
copiare la tua pergamena…”
“Oppure
tu potresti provare a farla da solo!” rispose un
po’ piccata lei, prima di
tornare a guardare il libro. Probabilmente riuscire a farsi passare i
compiti
da lei era concesso solo ai suoi amici.
“Oppure
potremmo…” iniziò a proporre lui, ma
non finì la frase. Lei stava ancora
leggendo la pagina sorridendo. Probabilmente piaceva anche a lei
quell’incomprensibile materia.
Si
avvicinò un po’ e, con l’intento di
scandalizzarla ancora, sussurrò vicino al
suo orecchio: “Potremmo fare uno scambio equo. Tu mi fai
copiare Aritmanzia e
io…”
Hermione
sentì i brividi percorrerle la nuca, il collo e scivolarle
giù per la schiena. Lui
si era avvicinato troppo, la sua voce era roca e dannatamente sexy. Il
suo
fiato le scaldava la parte del viso esposta verso di lui. Ebbe visioni
di prati
verdi e tovaglie svolazzanti stese al sole. Giornate calde e mare al
tramonto.
Labbra umide e pelle bollente. Lenzuola di seta e mani intrecciate.
Si
alzò di scatto e scappò via senza guardarsi
indietro.
Quando
raggiunse la sala comune, si appoggiò al muro, con il fiato
corto.
Ginny
la vide e le andò vicino. “Hermione tutto bene?
È successo qualcosa?” Lei annuì
e poi scosse la testa. Ginny la guardò preoccupata.
“Vieni,
siediti…” Le prese una mano e la
trascinò verso una poltrona. La fece sedere e si
accovacciò davanti a lei.
“Dimmi
cos’è successo” disse la rossa.
“C’è
una materia per cui non sono preparata. Di cui non so nulla e non so
come si
studia. Non sono capace di farlo…” Lo sguardo
della rossa era ancora più
confuso.
“Una
materia? Tu? Impossibile. Di cosa stai parlando?”
“Sto
parlando di sesso!” sbottò Hermione.
Una
ragazzina bionda del terzo anno che passava casualmente lì
vicino si girò verso
di loro e così facendo andò a sbattere contro uno
dei tavoli, dove un boccetto
di inchiostro cambia colore si rovesciò sulla pergamena di
un ragazzo del
sesto, che imprecò alzando le braccia e spostando indietro
la sedia per non
macchiarsi la divisa e finì addosso a un ragazzino del primo
che portava in
bilico fra le braccia quattro libri che finirono sul pavimento
sparpagliandosi.
Le
ragazze osservarono tutta la scena e alla fine Ginny disse:
“Andiamo in camera”.
“Aiutiamoli a sistemare...” tentò di
dire Hermione, ma la rossa la trascinò su
per le scale del dormitorio e si diresse verso la sua camera.
Quando
furono davanti alla porta, notarono che era piuttosto affollata,
così Hermione
la strattonò e le indicò la camera dove dormiva
lei. In effetti la camera del
settimo anno, settimo anno plus, era vuota.
“Dove
sono le altre?” chiese sospettosa Ginny. “Lavanda e
Calì sono uscite con due
ragazzi, Emily è in biblioteca (l’aveva appena
vista) e Amanda…” Hermione si
bloccò, perché tutte e due sapevano che Amanda
non era tornata quell’anno.
Ginny
annuì e si sedette sul letto dopo aver chiuso la porta.
“Quindi?” chiese.
Hermione
si stropicciò le mani. Come spiegare quello che voleva dire?
Capendo che non
riusciva a iniziare, Ginny parlò per lei.
“Parlavi
di sesso.”
Hermione
arrossì. “Sì… Non volevo
proprio dire sesso…”
La rossa la guardò curiosa.
“È
quello che hai detto, però” disse infatti.
Hermione
continuò: “Sì, ma vedi, io ho preo
informazioni sull’argomento, ho letto libri
ma…”
“Hai
letto libri sul sesso? DAVVERO?” la rossa era stupita. Che
genere di libri si
potevano leggere sul… “Aspetta! Hai letto libri
erotici?”
Hermione
scrollò le spalle e disse con lo stesso tono che usava in
classe: “Anche”.
Ginny
la guardò ancora. Probabilmente aveva letto e studiato anche
libri di anatomia
generale.
“Oh,
insomma io non so niente. Non ho mai… Sì
sono…”
Capendo
che faceva fatica a dirle che non aveva ancora fatto sesso, Ginny la interruppe:
“Ho capito”, e le fece
cenno di andare avanti.
“Sì
insomma, ho diciannove anni e qui le ragazze cominciano al quinto anno
ad
andare a letto con i ragazzi…”
“Tu
non sei come tutte le ragazze!” Ginny sperò che si
capisse dal suo tono che
intendeva farle un complimento e Hermione sorrise tristemente, come se
avesse
vinto il premio di consolazione a un concorso.
“Sì,
però…” Ginny le bloccò le
spalle.
“Non devi preoccuparti degli altri. Vuoi fare
sesso? Fallo. Vuoi aspettare di sposarti? Fallo, ma te lo sconsiglio.
Non c’è
una regola fissa. Io l’ho fatto con Harry solo poco tempo fa.
Mica al quinto
anno come le altre!”
“Tu
volevi aspettare Harry…” Anche Ginny sorrise del premio di consolazione.
“Già.
Bella idea” disse ironica.
“Oh.
Smettila. Sei pentita di averlo aspettato? Anche se con lui
è finita?” chiese Hermione.
“No”
rispose sicura la rossa.
“Lo
rifaresti?”
“Mille
volte. Ma qua è diverso. Io volevo Harry da quando
l’ho conosciuto. Penso che
Harry sia il ragazzo migliore del mondo, mi piace. Mi piace tantissimo.
Voglio…
volevo stare con lui tutta la vita…” Hermione
sorrise.
“Io
pensavo lo stesso di Ron. E poi…” la riccia si
interruppe.
“E
poi cosa? Mica è finito il mondo, no? Là fuori
è pieno di ragazzi che darebbero
la loro bacchetta pur di stare con te, quindi
non…”
“A
me non interessano gli altri ragazzi…” disse
inconsciamente la riccia. Ginny
spalancò gli occhi.
“Una
ragazza, allora?”
Hermione
rise sorpresa e disse: “No! Non intendevo quello”.
“E
allora? Faccio fatica a starti dietro, Hermione” disse
all’amica.
Ma
la ragazza ancora non parlava.
“C’è
uno che ti piace. Giusto?” Capitolò alla fine
Ginny. Hermione annuì senza
sorridere.
“Ed
è una brutta cosa perché….?”
Continuò a chiedere la rossa.
“Perché
non sono sicura che sia una buona idea” Oh.
Ginny
era confusa, così chiese:“Sta con
un’altra?” La riccia scosse la testa.
“È un
professore? O un adulto?” Hermione spalancò gli
occhi sorpresa e scosse energeticamente
la chioma.
“Quindi
il problema è….?” La giovane strega
iniziò a capire come mai fosse così stanco
Harry quando tornava dal Ministero dopo gli interrogatori.
“Lui
è già stato con delle ragazze, e io no. Lui
è abituato a certe cose, io no. Mi
sento… strana. E se non andasse bene? E se fosse una
stupidaggine? E se poi
cambio idea? Ci sono momenti che vorrei essere
più… audace e poi invece
scappo…”
Ginny
rimase in silenzio per un po’, prima di dire:
“Penso che sia così per tutti.
Non c’è niente di sicuro quando si parla di
sentimenti. Lui chi è?” chiese poi
alla fine.
Ma
Hermione guardò da un’altra parte. “Ti
offendi se non te lo dico?” chiese,
senza guardarla.
Ginny
scosse la testa. Poverina doveva essere davvero confusa per non
riuscire a
parlarne.
“L’hai
già baciato?” La riccia scosse la testa.
“Ci hai provato e lui si è tirato
indietro?” Hermione scosse di nuovo la testa.
Ginny
sospirò sollevata. Meno male. Sarebbe stato umiliante per la
sua amica se fosse
successa una cosa del genere (e lui un vero troll). Però
è sempre meglio che
morire dietro a qualcuno per una vita (o sette anni) senza sapere cosa
pensa di
te.
“Forse
dovresti scoprire cosa succede se ci provi. Prova a baciarlo tu.
Potrebbe
essere la cosa giusta. Lui potrebbe essere quello giusto. Lasciati
andare. Non
pensare. E poi vedi come va.”
“E
se mi succede come con tuo fratello? Se scopro che non riesco a provare
per
nessuno quello che dovrebbe unire due persone in una coppia?”
Hermione
sussurrò.
“Oh,
Hermione, non devi mica farlo subito! Comunque facciamo
così: se fra dieci anni
non avrai trovato nessuno, ci facciamo suore insieme, ok?” la
riccia sorrise. Le
amiche erano la medicina migliore del mondo.
“È
bello?” buttò lì la rossa.
“Oh,
è bellissimo” disse Hermione sognante. Ginny
sorrise. Non aveva mai parlato di
Ron con quell’espressione.
“Ma
è anche così strafottente e arrogante, pensa di
essere tutto lui…” continuò la
strega.
A
Ginny sparì il sorriso e si portò una mano alla
bocca esclamando: “Per la barba
di Merlino! Malfoy?”
-
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Capitolo 11 *** Una puffola rosa shocking ***
Una
puffola rosa shocking
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Harry
pensò di aver sbagliato tutto quando, dopo quasi tre
settimane che aveva
lasciato Ginny (perché era andata così, anche se
raccontava a tutti la
storiella del ‘ci siamo lasciati’), non riusciva
ancora a dormire una notte
intera, e faceva costantemente incubi su di lei e il Serpeverde.
Loro
non avevano dato scandalo a scuola mettendosi insieme, come si era
aspettato,
né avevano iniziato a frequentarsi in maniera assidua (si
era aspettato anche
questo). In verità non facevano proprio niente.
Harry
aveva lasciato la mappa del malandrino a Ron, chiedendogli di
tenergliela, per
non cadere nella tentazione di controllarli. Ron l’aveva
guardato strano ma non
aveva fatto domande. Harry gliela avrebbe chiesta se ne avesse avuto
bisogno.
Ultimamente
Ginny guardava verso il tavolo dei verdeargento un po’ di
più e con una strana
espressione incuriosita, ma nient’altro. Che avesse confuso
tutto? Che la
mancanza di sonno gli avesse veramente dato alla testa? Si
pentì di non aver
chiesto subito spiegazioni (e anche di non averglielo lasciato fare,
chissà
cosa voleva dirgli quando l’aveva interrotta…). Ma
ora cosa poteva fare?
“Harry
hai una gran brutta faccia! Ancora incubi?”
Neville
si era seduto vicino a lui e aveva sussurrato per non farsi sentire
dall’intera
tavolata. Harry annuì. Ma gli causò una fitta
dietro agli occhi.
“Sì.
Ma non i soliti” rispose.
Guardò
un attimo il viso dell’amico e fece la domanda che si era
ripromesso di non
fare a nessuno: “Sai come sta Ginny? Se lei sta…
mmm… bene?” Non era riuscito a
chiedergli se stesse con qualcuno.
Neville
alzò un sopracciglio. Quando aveva imparato a farlo?
Sembrava dannatamente adulto.
“Cosa
vuoi sapere di preciso?” chiese, iniziando a mangiare. Non
era riuscito a
fregarlo. Che Neville avesse capito? Harry non era abituato a questo nuovo Neville. Era calmo e non in
agitazione. Era sicuro di sé e non balbettava
più. Cioè questo era quello che
sembrava in quel momento agli occhi stanchi di Harry. Chissà
se ogni tanto venisse fuori ancora il
vecchio Neville. Per ora era quello che aveva salvato gli studenti di
Hogwarts.
Lui e Ginny erano molto amici. Lo erano sempre stati. Guardò
il ragazzo.
Sicuramente ne avevano parlato.
“Lei
sta con qualcuno?” (qualcun altro?)
La
voce di Harry era
bassissima, tanto che
Neville pensò di aver capito male. “Chi? Ginny? E
con chi dovrebbe stare?” Harry
si strinse nelle spalle e iniziò a mangiare. Neville non
disse più niente finché
non ebbe finito la colazione. Poi disse semplicemente:
“Dovreste parlare”. Si
alzò e si avviò verso il corridoio.
Harry
sospirò. Il nuovo Neville era decisamente fastidioso.
Giusto, leale e
coraggioso. E aveva dannatamente ragione. Santo Merlino!
-
***
-
Ron
quel sabato era al Tiri Vispi ad aiutare George.
Non
c’era tantissima gente, perché i ragazzi erano a
scuola, così in negozio
c’erano più che altro famiglie con ragazzini
piccoli e studenti dell’accademia.
Anche se svariati adulti curiosavano fra gli scaffali del negozio.
A
un certo punto, dalla porta arrivò un grosso gufo, che si
posò sul bancone,
proprio di fronte a lui. Non conosceva il gufo, anche se il suo aspetto
gli era
familiare. Cercò di prendere la pergamena legata alla zampa,
ma il gufo bubulò,
nervoso, impedendoglielo.
“George?
C’è un gufo…” disse al
fratello. George stava sistemando delle tavolette di
torrone sanguinolento sullo scaffale e si girò quando il
fratello lo chiamò.
“Deve
essere per gli ordini sul catalogo. Ti va di occupartene tu?
Lì in alto ci sono
dei biscotti per gufi e forse anche del bacon” rispose lui,
indicando con il
braccio uno scaffale.
Ron
guardò dove George aveva indicato e tirò
giù il barattolo dalla scansia.
“Allora
bel gufo, sei un tipo da biscotto o da bacon?” gli chiese,
guardandolo. Era veramente
un bell’esemplare, grosso, con il piumaggio grigio e
arancione e il torace
bianco. Provò con il bacon, sembrava un tipo sofisticato,
tipo da purosangue
snob. Come pensò quella parola, gli venne in mente
perché gli sembrava un gufo
familiare: l’aveva visto a Hogwarts. Il gufo
sbaffò il bacon e si lasciò
prendere la pergamena. Ron la srotolò.
Gent.le
signor Weasley,
le
scrivo
con l’intenzione di comprare via gufo una puffola pigmea
(sarebbe veramente di
mio gradimento se riuscisse a trovarne una di un colore compreso fra il
rosa shocking
e il fucsia). La prego quindi di informarmi sul costo
dell’acquisto, tramite il
mio gufo, che aspetterà e mi consegnerà la sua
risposta in un tempo decisamente
breve.
Intanto
la
ringrazio e le porgo distinti saluti.
Ps.
La prego
di non offendersi se non firmo questa mia, ma le assicuro di non avere
cattive
intenzioni.
La
lettera non era firmata e decisamente troppo formale per una
studentessa.
(perché quella grafia era da femmina, si vedeva lontano un
miglio).
“George?
Hai mai spedito una puffola pigmea via gufo?” chiese Ron.
George
ci pensò pochi secondi, poi disse: “No. Ci
è stato proibito. O una cosa così”.
Il
ragazzo sventolò la mano quando disse ‘cosa
così’ e gli si avvicinò. Lesse la
lettera e disse: “È stramaledettamente formale.
Chi usa più l’espressione
‘questa mia’? E ‘le porgo distinti
saluti’? Ma…”
Ron
alzò le spalle, dicendo: “Posso scriverle io, se
vuoi”.
George
sorrise sornione e chiese: “Scriverle?”
Ron
scrollò ancora le spalle, precisando: “A me sembra
una scrittura da femmina”. Raccontò
di aver visto il gufo a Hogwarts e quindi di sospettare che
l’autrice della
lettera venisse da lì.
“Sarà
la McGranitt, allora. Che non vuole far sapere che il suo sogno
più grande è
sempre stato quello di avere una puffola!” Angelina Johnson
entrò nella
conversazione con una confidenza che stupì Ron. George la
baciò sulla guancia.
“Ciao
Angelina, niente allenamenti oggi?” le chiese il rosso
più grande. Ron notò che
il fratello aveva fatto passare il braccio intorno alla vita della
ragazza in
maniera intima e questa si era sporta verso di lui per ricevere il
bacio con un
sorriso. Fra quei due c’era qualcosa di tenero che tenevano
nascosto oppure che
ancora non conoscevano nemmeno loro.
Sorrise
prima di risponderle: “Oh, può essere. Una puffola
rosa. Le scrivo io, allora.
Chissà se mi correggerà gli errori di
ortografia…” E ridacchiò come un
primino.
Ci
mise pochissimo a scrivere che non potevano spedire animali vivi e quindi l’unica
soluzione era che la persona al
di là della pergamena mandasse qualcuno a prendersi la
puffola (ne avevano due
del colore richiesto). Sperò di essere stato abbastanza
gentile e formale nella
lettera, ma pensò di non firmarla con nome e cognome, ma
semplicemente con ‘Tiri
Vispi’, nel caso fosse stata veramente la McGranitt a volere
la puffola e lo
sgridasse per la calligrafia e l’ortografia (le vecchie
abitudini sono dure a
morire).
Mandò
via il gufo e gli disse di portare a lui la prossima lettera per il
Tiri Vispi,
sperando che il gufo capisse.
Dopo
tre ore il gufo tornò indietro. Invece di posarsi sul
bancone, si posò su uno
scatolone nel magazzino, dove Ron e George si stavano riposando in un
attimo di
pace. Angelina era andata via da poco e loro si stavano bevendo una
burrobirra
prima di tornare rispettivamente a Hogwarts e alla Tana. George
non viveva più nell’appartamento sopra il negozio
che divideva con Fred, diceva
che gli era impossibile farlo e nessuno aveva obbiettato per questa
decisione.
George
si allungò a prendere la pergamena, curioso di quello che la
loro ‘anonima fan
di puffole rosa’ avesse scritto, ma il gufo lo
becchettò sulla mano. Ron rise.
“Dagli
del bacon” disse, lanciando a George un pezzo di carne e
questi provò a
corrompere il gufo. Ma il gufo non accettò il boccone.
Ron
e George si guardarono un attimo poi il più grande disse al
fratello: “Provaci
tu. In fin dei conti gli hai risposto tu”. Ron prese il pezzo
di carne dalla
mano del rosso e si avvicinò al gufo.
Era
veramente grosso. Secondo lui doveva essere almeno diciotto pollici di
altezza.
Con due occhi grandi come stelle nelle notti di agosto. Gli
lanciò il boccone e
il gufo lo prese al volo, poi si allungò a prendere la
pergamena, con timore di
venire beccato, ma non successe.
Srotolò
la pergamena sorridendo vittorioso al fratello, che alzò la
sua burrobirra in
segno di vittoria.
Gentile
signor Weasley,
Innanzitutto
la ringrazio per la celere risposta.
Non
ero a
conoscenza del fatto che non si potessero spedire animali vivi, mi
spiace.
Ora
però mi
trovo in seria difficoltà, in quanto non ho nessuno da
mandare nella Vs sede né
(qualora volessi presentarmi di persona) posso uscire da
Hogwarts
dal luogo in cui mi trovo per recarmi a Londra, poiché non
mi è permesso. Ho
bisogno di avere la puffola pigmea per sabato prossimo,
poiché il giorno dopo
sarà il quindicesimo compleanno della mia sorellina e lei
tiene davvero tanto a
ricevere tale animale da compagnia.
Lei
è sicuro
che non possiamo metterci d’accordo? Sarei disposta anche a
spendere qualcosa
per il disturbo che tale operazione potrebbe causarle…
La
prego di
farmi sapere al più presto.
Il
mio gufo
aspetterà la sua risposta (e non si preoccupi se ha bisogno
di tempo per
pensarci, Woddy vola benissimo anche nelle ore notturne).
In
attesa di
una sua gentile risposta,
la
saluto.
Ron
lesse ad alta voce la lettera. George
rise. Rise di gusto. Ron lo
guardò incuriosito. George estrasse la
bacchetta e fece un incantesimo sulla pergamena. La scritta ‘dal luogo in cui mi trovo’
scomparve e
apparve la scritta ‘da
Hogwarts’.
“Guarda,
avevi ragione tu: Hogwarts” disse George.
Ron
era a bocca aperta. Lui non conosceva quell’incantesimo.
George alzò le spalle
dicendo: “Me l’ha insegnato Hermione. Se qualcuno
ha effettuato una correzione
alla pergamena, si vede così. Come pensi che notino gli
errori i professori?”
Ron
scrollò la testa e le spalle. George invece finì
velocemente la burrobirra.
“Quindi, ricapitolando: Hogwarts, una sorellina di quindici
anni e una proposta
indecente. Escluderei degli adulti, no? Poi:
‘disposta’. Avevi ragione anche
qui. Una ragazza…” Ron guardava George stralunato.
“Proposta
indecente?” chiese, come se fosse l’unica cosa che
avesse sentito.
George
gli prese di mano la pergamena per rileggere alcune parti e dire:
“Beh, con ‘possiamo
metterci d’accordo’, ‘disposta a
spendere per il disturbo’, il gufo che vola nelle ore
notturne così è meno probabile
che venga controllato… sembra che intenda corromperci. Deve
tenere veramente
tanto alla puffola. Cosa le risponderai?”
Ron
balbettò: “Io?”
George
alzò le spalle mentre spiegava: “Il gufo
l’ha portata a te. Dille che hai
capito che è di Hogwarts. E che sarai disponibile.
Magari è carina e disposta a ‘ringraziarti’.
Prova a scoprire chi è, prima di dirle che sabato le
porterai la puffola.
Magari è già fidanzata. In quel caso, falle solo
pagare più galeoni”.
Ron
finì la sua burrobirra e disse: “E chi ha detto
che gliela porterò?”
“Ci
scommetterei 10 galeoni.”
Il
sorriso di George era fastidioso, secondo Ron, così
disse:“Ah, davvero?”
“E
poi perché non dovresti? Andrai avanti e indietro dal camino
di Hogwarts
proprio sabato.”
“Perché
se pensa di poter pagare per avere una cosa che non si può
avere, deve essere
una Serpeverde e io le serpi non le sopporto!” rispose
piccato Ron.
“Magari
potrebbe scapparci qualcosa di buono” disse ancora George
ammiccando.
“Non
ne ho bisogno” concluse sbuffando il fratello più
giovane.
“Qualcuno
qui esagera…” George rise ancora e Ron
sbuffò più forte.
-
***
-
“Ron
stai bene?” Ginny aveva guardato due volte in direzione del
fratello e per ben
due volte lui aveva avuto una faccia strana. Sembrava… pensieroso. E non era per niente da Ron.
Il
fratello si voltò verso la rossa e annuì,
dicendo: “Sì sì, scusa
dicevi?” Ginny
alzò le spalle.
“Veramente
non dicevo niente” rispose lei, guardandosi ancora intorno.
Ginny
pensava alla maniera migliore per aiutare Hermione. Era abbastanza
sicura che
nella settimana appena passata lei non avesse fatto niente per
avvicinare
Malfoy. E se Hermione non faceva niente, lei non avrebbe potuto
studiare la
reazione del biondo per capire le sue intenzioni. E Ginny non voleva
che
Hermione potesse farsi male. Doveva lasciare che la riccia si buttasse
e, se
necessario, lei avrebbe dovuto salvarla. SE ce ne fosse stato bisogno.
Sperava
così tanto che non ce fosse bisogno….
Ron
era davvero pensieroso. Aveva passato una settimana a battibeccare
via gufo con la “Fan della puffola” (come avevano
iniziato a chiamarla lui e George). Alla fine, come aveva detto suo
fratello,
era finita che lui portasse dal Tiri Vispi una (stridula e
fastidiosissima)
puffola pigmea rosa shocking, l’avesse data alla McGranitt
(che li aveva
guardati incuriosita, lui e la puffola) dicendo che qualcuno sarebbe
presto
andato a prenderla. Non aveva capito chi fosse, ma si era divertito un
mondo a
scriverle e aspettare una sua risposta.
In quel momento, nel giorno dopo la consegna, si sentiva perso.
“Chi
è che compie gli anni oggi?” chiese allora a sua
sorella.
“In
che senso? Della nostra famiglia?” Ron scosse il capo, mentre
mangiava una
fetta di pane.
“No,
qui a scuola. Una ragazza dovrebbe compiere quindici anni oggi, ma non
so chi…”
Ginny ci pensò su un po’ e scosse il capo.
“No,
non saprei, mi spiace. Perché questa domanda?”
Ron
non aveva raccontato a nessuno della richiesta della puffola
né del suo scambio
di lettere con la ragazza, così agitò in aria la
mano per liquidare la
questione. Era troppo complicato da spiegare.
Si
alzò e se ne andò.
Ginny
guardò verso il tavolo dei Serpeverde, ma Malfoy non
c’era. Si alzò, già
annoiata da quella domenica che pensava infruttuosa, quando una ragazza
le finì
quasi addosso.
“Ginny!
Ginny!” La rossa ebbe paura che a chiamarla fosse una di
quelle ragazzine che
le saltavano attorno quando stava con Harry (a dir la verità
le saltellavano
ancora intorno, ma lei pensava che lo facessero sempre per lo stesso
motivo,
ossia Harry) ma poi riconobbe Camille, la ragazza mezza francese.
Avevano fatto
un po’ amicizia e passato dei pomeriggi insieme, la ragazza
si sentiva molto
sola e le lezioni in cui lei le aveva insegnato le fatture che
conosceva,
avevano fatto bene a tutte e due.
Ginny
sorrise e disse: “Ciao Camille. Che succede?”
La
ragazza era contenta e aveva in mano qualcosa di peloso.
“Guarda!!
Una puffola pigmea!! Guarda com’è bella!! Me
l’hanno regalata oggi. Guarda,
guarda!” Ginny rise dell’entusiasmo della ragazza e
poi divenne seria.
“Aspetta!
È il tuo compleanno?” chiese e la ragazza
annuì “E ne compi 15?”
domandò
ancora. La ragazza annuì un’altra volta, ma questa
volta più lentamente,
essendo confusa. Ginny le sorrise.
“Auguri!
Come si chiama?” chiese accarezzando la puffola che si
sdraiò sulla schiena
mostrando il pancino.
“Non
ha ancora un nome. Vuoi aiutarmi a trovargliene uno?” disse
la Ginny rise “Secondo
mio fratello, non sono capace di dare dei nomi decenti agli animali. La
mia
puffola si chiama Arnold!” disse Ginny sorridendo e rise
ancor di più quando
vide l’espressione della ragazza.
Harry
vide Ginny parlare con una ragazza di Serpeverde e si bloccò
nel corridoio.
Doveva parlarle. Subito. Non poteva aspettare un momento di
più. Avanzò di un
passo, con l’intenzione di chiamarla ma in quel momento lei
si staccò dalla
mora, dopo averle detto qualcosa e chiamò a gran voce:
“Malfoy! Malfoy!
Aspettami!”, e scappò nella direzione del biondo.
A
Harry caddero le braccia. Guardò Ginny fermarsi da Malfoy e
Zabini e parlare
con loro. Non riusciva a sentire quello che si stavano dicendo, ma la
conversazione andò avanti un po’ e lui non
aspettò che finisse, si girò e tornò
in sala comune.
Malfoy
si era fermato ad aspettarla. Vicino a lui c’era Zabini. Va
beh, non si poteva
avere tutto.
“Tutto
ok?” chiese il biondo un po’ in agitazione.
“Sì
sì. Nessun problema”, alzò una mano
lei, capendo che lui stava chiedendo di
Hermione. Ginny guardò Zabini, che capì di essere
di troppo e, per questo, non
voleva andarsene.
“Zabini”
lo salutò, quando capì che non li avrebbe
lasciati da soli.
Così
si voltò a Malfoy che la guardava stranito. Effettivamente,
adesso non sapeva
bene cosa dirgli. Riuscì a fargli capire che quel pomeriggio
avrebbe portato
Hermione nella stanza delle necessità per
‘studiare Aritmanzia’, materia in cui
lui aveva avuto dei problemi, con la possibilità di
studiarla insieme. Riuscì a
non dire ‘Hermione’
né ‘stanza delle
necessità’, ma dalla sua
espressione, pensò che avesse capito.
Li
salutò e si avviò verso il cortile sbuffando,
dove aveva detto a Camille che
l’avrebbe aspettata. Diavolo di un Zabini! Sempre in mezzo!
Blaise
si fece cupo in viso. “Non mi piace che ti faccia la
Weasley” disse contrariato
all’amico.
“Infatti
non me la faccio” disse lui, piccato. Zabini
ritornò di buon umore.
“Oh,
bene. Però devo essermi perso qualcosa: non è
stata lei a darti un appuntamento
oggi pomeriggio?”
Il
biondo sorrise. La piccoletta era stata brava.
“Oggi
si studia Aritmanzia” disse solamente. Il moro
alzò un sopracciglio.
“A
te, Aritmanzia te l’ha sempre passata Pansy, lo sappiamo
tutti e due. Non hai
bisogno di studiarla.”
Draco
continuò a sorridere mentre spiegava: “Magari
adesso mi interessa capirla”.
Blaise
stette in silenzio qualche minuto. Sapeva che di Aritmanzia, a Draco,
non
gliene fregava niente. Doveva essere una ragazza per forza.
“Mmm..
ma se non è la Weasley, chi è?” Draco
non disse niente. Il moro sbuffò
rumorosamente, poi si incuriosì. “E poi,
perché hai l’appoggio della Weasley? È
la Lovegood?” L’espressione di Draco fece
ridacchiare Zabini per tutto il
pomeriggio.
-
***
-
Pansy
stava camminando di buon umore verso i sotterranei, prese una
scorciatoia
attraverso uno dei nuovi passaggi del castello, quando si
bloccò sentendo una
voce arrabbiata.
“Ti
sei scopata di nuovo Weasley!”
Poi
una voce piagnucolante rispose: “Non è
vero!”
“Sì
invece, ti hanno vista! Sei una gran…”
Il
ragazzo non finì l’insulto che venne interrotto
dalla stessa voce, che disse:
“Anche tu te le fai tutte!”
Pansy
riconobbe la voce di Elinor Simmons di Tassorosso. La ragazzina idiota
che era
diventata prefetto grazie alla distrazione della McGranitt (era
l’unica
spiegazione, effettivamente, non poteva essere stata scelta apposta).
“Ci
hai provato anche con la ragazza nuova, quella francese! Se non fosse
stato per
Ginny Weasley…”
“Taci!”
Pansy
si sporse da dove era nascosta per vedere chi fosse il ragazzo: Rowie.
Stupendo,
pensò ironica, un Serpeverde. Una testa
calda, per giunta. Avrebbe potuto al massimo togliergli dei punti. E in
quel
momento avrebbe voluto lanciargli una Cruciatus.
“E
poi Weasley è molto meglio. E l’ho detto anche a
tutte le altre! Lui non è
rozzo come te!”
Pansy
si portò una mano alla fronte. Ma come parlava quella
ragazzina? E poi, ma era
una cosa da dire a un troll arrabbiato come Rowie? Se lui le avesse
messo le
mani addosso sarebbe dovuta intervenire e si sarebbe fatta scoprire. Ma
il
rozzo Rovie stupì la Serpeverde con
l’autocontrollo.
Pansy
sentì dei rumori inequivocabili e capì che si
stavano baciando. Che rumore
fastidioso, non avrebbe mai voluto essere nei panni di uno dei due! La
ragazza
gemette. Che squallore,
mamma mia! E pensare che lei aveva appena
detto…
Scosse
la testa e fece per tornare indietro, immaginando quello che stava per
succedere, quando lui disse: “ Stasera fai la ronda con
lui?”
Ci fu un po’ di
silenzio e la mora immaginò
che la ragazza avesse annuito, visto che erano di turno tutti e due.
“A che piano sarete?” chiese ancora lui.
“Al
sesto.”
“Ok.
Ora ascolta. Voglio dargli una lezione. C’è un
bagno che nessuno usa, al sesto
piano. Tu fatti portare lì. Quando starete per farlo, gli
lancerò una fattura
come quella che mi ha lanciato sua sorella, lo schianteremo e poi lo
lasceremo
lì” lo sentì ridere soddisfatto, come
se avesse ideato chissà che cosa.
Che
piano idiota. Lei sarebbe riuscita a escogitarne uno
migliore. E poi,
colpire alle spalle! Aspettò che la ragazza negasse il suo
aiuto ma fu (di
nuovo) sorpresa, quando lei disse: “Va bene”.
Pansy
dovette trannersi dallo sbucare fuori. Piccola troietta!! Prima si
faceva
ripassare da metà scuola, poi…. Pansy si
riscosse. Merlino! Avevano ripreso a
baciarsi e, a giudicare dai rumori, sarebbero finiti presto nudi contro
il
muro.
Si
allontanò velocemente, tornando indietro. Avrebbe dovuto
interromperli e
metterli in punizione, ma preferì non farlo. Se si fosse
fatta scoprire avrebbero
potuto cambiare il piano e lei non avrebbe saputo cosa volessero fare.
E poi,
se li avesse interrotti, avrebbe visto il ghigno sul viso di quel troll
di
Rowie che le avrebbe ricordato che nessuno l’aveva cercata
nell’ultimo anno.
Che nessuno aveva tentato di baciarla. Che nessuno l’avrebbe
spinta contro il
muro in uno slancio di passione.
Ok,
forse qualcuno ci aveva provato, ma nessuno che lo avesse fatto per i
motivi
giusti.
Era
stata così tanto tempo con Draco che pensava a
un’altra che ora voleva qualcuno
che volesse proprio lei. Sospirò. Forse nella prossima
vita.
Ora aveva una
commissione da sbrigare, poi avrebbe avvisato Weasley. Serpeverde
sì, ma stronza
no. Beh, non questa volta, almeno.
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***grazie
a tutti voi che leggete e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. 😉
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