Ritorno a Hogwarts

di ONLYKORINE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ricostruzione ***
Capitolo 3: *** Riordinare ***
Capitolo 4: *** Tornare a scuola? ***
Capitolo 5: *** Partenza e arrivo ***
Capitolo 6: *** Nei corridoi di Hogwarts ***
Capitolo 7: *** Sabato ***
Capitolo 8: *** Tempo di feste, offese e scuse non dette ***
Capitolo 9: *** Una lunga notte ***
Capitolo 10: *** Problemi ***
Capitolo 11: *** Una puffola rosa shocking ***
Capitolo 12: *** Pansy ***
Capitolo 13: *** Il problema di Camille ***
Capitolo 14: *** Serata fra ragazze ***
Capitolo 15: *** Regali, allenamenti e feste ***
Capitolo 16: *** Gite, feste e spiegazioni ***
Capitolo 17: *** Partite e scommesse ***
Capitolo 18: *** La pozione di Draco ***
Capitolo 19: *** Visite ***
Capitolo 20: *** Partita a scacchi ***
Capitolo 21: *** Hermione spiega tutto ***
Capitolo 22: *** Alla Tana ***
Capitolo 23: *** Il carrillon ***
Capitolo 24: *** Subito ma troppo tardi ***
Capitolo 25: *** Ginny sempre più contenta ***
Capitolo 26: *** L'allenamento ***
Capitolo 27: *** L'ultima sera ***
Capitolo 28: *** Proposte ***
Capitolo 29: *** Medicazioni e visite ***
Capitolo 30: *** Chiacchiere chiacchiere chiacchiere ***
Capitolo 31: *** Incontri e spiegazioni ***
Capitolo 32: *** Il sabato di Hogsmeade ***
Capitolo 33: *** Al San Mungo ***
Capitolo 34: *** Il fiume dei serpeverde ***
Capitolo 35: *** La battaglia di neve ***
Capitolo 36: *** La festa nei sotterranei ***
Capitolo 37: *** Sorprese ***
Capitolo 38: *** La festa dei Serpeverde ***
Capitolo 39: *** Visita ad Azkaban ***
Capitolo 40: *** La casa di Pansy e Camille ***
Capitolo 41: *** In pizzeria ***
Capitolo 42: *** L'anello ***
Capitolo 43: *** Regali ***
Capitolo 44: *** Hermione ha un'altra crisi ***
Capitolo 45: *** Operazione 'Nott' ***
Capitolo 46: *** Appuntamenti, anelli e dichiarazioni ***
Capitolo 47: *** Vacanze ***
Capitolo 48: *** La cena alla tana ***
Capitolo 49: *** 2 maggio 1999 ***
Capitolo 50: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


I personaggi della saga di Harry Potter sono di proprietà dell’autrice JK Rowling e l’opera, di mia invenzione, è stata scritta senza scopo di lucro

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PROLOGO

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Era finita. Lui era morto. L’aveva visto. Ma faceva ancora fatica a crederci. Mentre camminava, Harry continuava ad avere spasmi ai muscoli e  le sue gambe facevano strani movimenti mentre ripensava all’ultimo duello con Lui. Anche il braccio che impugnava la sua bacchetta (ancora non riusciva a metterla via, come se non fosse realmente tutto finito) ogni tanto si agitava indicando  qualcosa che si muoveva.

Quando tentò di disarmare un rospo, probabilmente scappato di mano a un ragazzino, decise di metterla via e di darsi una calmata. Più facile a dirsi che a farsi. Così decise di cercare l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo  a trovare un po’ di pace, nonostante il cervello continuasse a pensare a quello che era successo.

Cosa sarebbe successo se, in quell’ultimo duello Voldemort avesse vinto? Se tutto quello su cui aveva ragionato non fosse stato corretto e all’ultimo non avesse funzionato? O se….

Harry continuava a girovagare per il cortile, intontito dai sui stessi pensieri. Schivava le persone che uscivano dal portone. Stavano tutti uscendo. Le mura del castello imprigionavano ancora morte e desolazione, nonché i corpi di chi era caduto combattendo. Harry avrebbe voluto fermarsi a consolare ogni persona che piangeva e dare pacche sulle spalle a ogni ragazzo che aveva combattuto, ma adesso aveva una cosa importante da fare, non poteva fermarsi. Lo avrebbe fatto, fra poco, ma prima doveva cercare una persona.

 

La McGranitt aveva allestito una tenda con una piccola infermeria e Hermione la stava aiutando a prestare i primi aiuti. Chissà dov’è Madama Chips si chiese Harry. Dopo pochi minuti la vide uscire, seguita da Ginny, dalla tenda e richiamare l’attenzione della professoressa. Harry non prestò più attenzione. Ginny. Aveva visto Ginny.

 

Le andò in contro e lei lo vide. Le sorrise. Sorrise anche Ginny. “Ti avevo perso. Luna mi ha detto che avevi bisogno di tranquillità” Lui annuì inconsapevolmente.

La rossa lo abbracciò stretto e lui ricambiò. “Sono tornato” sussurrò. La voce gli usciva a malapena, ma lei lo sentì lo stesso.

“Lo sapevo. Ti stavo aspettando. Ti ho sempre aspettato” E lo baciò. Un bacio straziante, dolcissimo e consolatorio allo stesso tempo.

 

***

 

Hermione vide i due ragazzi abbracciati e sorrise, sperando che tutta quella violenza, potesse finalmente concludersi con qualcosa di buono.  Cercò Ron, guardandosi intorno, ma non lo vide. Va beh, lo avrebbe cercato dopo. Vide La professoressa McGranitt che si guardava intorno, e quando la vide le fece cenno di avvicinarsi.

Hermione si incamminò verso la donna e notò all’ultimo che stava parlando con qualcuno.

“Ora si faccia medicare, Signor Malfoy. La lascio con la Signorina Granger e…”, quando Malfoy, che era appoggiato a delle rovine nel cortile in mezzo ad altre persone che avevano bisogno di essere curate, sentì quel nome, si mise in piedi e iniziò a protestare: “No, no e no. Non c’è bisogno, professoressa. Sto bene. Io devo andare da…”

La strega gli appoggiò una mano sulla spalla e con un movimento deciso e fermo lo riportò alla posizione di prima. “Adesso stia zitto. Lei ha fatto scelte sbagliate per i motivi giusti. Ora inizi a far qualcosa di utile e produttivo: faccia scelte giuste. Stia qui e si faccia medicare”.

Il suo tono era così risoluto che il ragazzo non riuscì a obbiettare niente, ma abbassò lo sguardo mentre lei se ne andava e lasciava il posto alla Granger.

Malfoy borbottò qualcosa, mentre la ragazza, con la bacchetta, fece levitare ciò che le serviva accanto a lei.

“Non ho capito.”

 Hermione era stanca e non le piaceva molto l’idea di essere li con lui, ma il ragazzo aveva il viso tumefatto e un labbro spaccato, così si mise all’opera mentre parlava.

“Ho detto che non sei obbligata a farlo” ripeté Draco.

Hermione fece una smorfia e disse solamente: “Sbaglio o la McGranitt ti ha detto di stare zitto?”

Lui la guardò un attimo negli occhi e poi guardò altrove mentre lei gli sgonfiava l’occhio tumefatto, incantava il suo labbro inferiore e gli ungeva la fronte con una pomata gialla che lui riconobbe come pomata cancellalividi.

 

Hermione era sempre stata brava a eseguire i compiti che le venivano assegnati, ma quella volta fece fatica. Cosa voleva dire quella frase sulle scelte sbagliate e i motivi giusti? Che Draco avesse avuto dei buoni motivi per fare quello che aveva fatto? Non si accorse di aver finito, finché lui non la guardò ancora negli occhi.

“Grazie.”

E, senza aspettare risposta, lui si alzò per andare a cercare sua madre. Hermione, improvvisamente consapevole che se ne stesse andando, gli bloccò un polso e tirò, tanto che lui dovette girarsi per forza.

“Ha anche detto di fare scelte giuste, adesso. Ricordatelo, ok?” Non sapeva neanche lei perché avesse detto una cosa del genere. Le era venuto fuori di getto, guardandolo negli occhi e provando una sensazione sconosciuta.

Lui annuì, si scrollò dalla sua presa e se ne andò.
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Capitolo 2
*** Ricostruzione ***


Ricostruzione

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Erano passati due giorni dalla notte della battaglia. Due lunghissimi giorni in cui tutti cercavano di rimettere ordine nelle loro vite e nelle rovine di Hogwarts. Era molto più semplice con le rovine, però.
Il cortile della scuola era pieno di tende. Sembrava un enorme campeggio babbano. Piccole tende magiche allineate e in ordine nel cortile. Nessuno voleva andarsene finché la scuola era in quelle condizioni. Erano stati sepolti i corpi ed era stata sistemata la Sala Grande insieme alle cucine e ai piani bassi. I dormitori non erano stati ancora sistemati, ma ai ragazzi che aiutavano non importava di dormire nelle tende.
In due giorni il mondo magico si era dato da fare: dopo che Kingsley fu nominato (in teoria provvisoriamente) nuovo Ministro della Magia, c’era stata una grande caccia ai Mangiamorte e sembrava che fossero stati catturati tutti quelli ricercati e più della metà erano già stati processati.
Harry stava proprio tornando dal Ministero, dov’era stato tutto il giorno, di nuovo. Si chiedeva la sua partecipazione a quasi tutti i processi e in molti aveva dovuto testimoniare di persona.
Quel giorno aveva dovuto testimoniare contro la famiglia Malfoy, o per meglio dire, contro Lucius. Perché Harry parlò sinceramente e testimoniò a favore di Narcissa, che gli aveva praticamente salvato la vita, in cambio di quella di Draco. Lei e il figlio erano stati dichiarati innocenti e sarebbero tornati al Manor.
Il giorno prima Harry aveva raccontato, davanti al ministero al completo, all’Ordine della Fenice e alla Stampa Magica tutto quello che era successo, da quando Silente aveva scoperto degli Horcux di Voldemort a tutto il resto e anche della parte di Piton in tutta la faccenda. Aveva parlato così tanto e a lungo che fu una fortuna per lui avere accanto i suoi migliori amici nel farlo, così che quando gli mancarono le parole o si dimenticò qualcosa o non riusciva più a reggere l’emozione, loro vennero in suo aiuto.
Sorrise stancamente al pensiero che sarebbe dovuto tornare anche il giorno dopo. Era particolarmente stressante, ma necessario. Mentre si incamminava verso la parte del cortile dove erano state erette le tende dei Weasley, dei ragazzini gli andarono incontro sorridendo. Volevano mostrare di persona a Harry l’aiuto che avevano dato quel giorno a ricostruire la scuola.
Harry notò che effettivamente la scuola si stava riprendendo, e, venendo usata la magia, la cosa era abbastanza veloce. Sperò di poter vedere presto la scuola completamente ristrutturata. Aveva bisogno di sapere che tutto sarebbe tornato come prima. Possibilmente al più presto.

“Lasciate in pace il signor Potter, ragazzi” La voce della McGranitt zittì subito i ragazzi, che silenziosamente corsero via. La strega si avvicinò a Harry, gli appoggiò una mano sulla spalla e gli chiese con il suo tono più dolce: “Hai mangiato qualcosa Harry? Qui abbiamo già cenato, ma gli elfi hanno tenuto qualcosa per te” E senza aspettare risposta, perché sapevano tutti e due che Harry non toccava cibo da quella mattina, lo sospinse verso l’entrata della scuola.
Il giorno prima avevano mangiato nel cortile, ma quel giorno avevano potuto rioccupare la Sala Grande, che era tornata maestosa come prima, se non di più. C’erano le tavolate delle case e il tavolo dei professori, gli arazzi e i quadri. Sembrava tutto uguale, ma a Harry, senza capire bene perché, sembrava tutto nuovo, più brillante, più luminoso.
“State facendo un ottimo lavoro qui.”
“So che anche tu stai facendo un ottimo lavoro al Ministero” La professoressa lo fece accomodare al primo tavolo e subito due elfi gli portarono un vassoio con del cibo. 
Harry era veramente affamato e se ne rese conto solo in quel momento, così ringraziò e iniziò a mangiare.
“Contiamo di finire tutto in dieci giorni. Forse meno. Ho parlato con il quadro di Silente nel suo ufficio, lui vorrebbe che finissimo al meglio questo anno scolastico e che riaprissimo la scuola il primo settembre, come sempre…”

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La McGranitt si guardava intorno, mentre mentalmente si annotava altri particolari da sistemare. Il corridoio, a esempio era pieno ancora di calcinacci, l’indomani mattina avrebbero dovuto ripartire da lì. Magari sarebbero riusciti a sistemare i dormitori al più presto, così che le persone non dovessero dormire nelle tende, anche se lei aveva visto alunni divertiti dal cambiamento.
Quasi tutti gli studenti erano tornati indietro, alla fine della battaglia, anche molte delle loro famiglie li avevano accompagnati, e ora c’erano un sacco di bacchette a lavorare per la scuola. A Silente sarebbe piaciuto.

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La professoressa si asciugò una lacrima prima ancora che uscisse sulla pelle, e fu così veloce che Harry pensò di esserselo immaginato.
Si schiarì la voce: “Ehm… professoressa… C’è una cosa che vorrei chiederle…”
La strega voltò lo sguardo verso di lui e Harry continuò: “Immagino che sarà lei la prossima preside, Giusto?”
Senza aspettare risposta, prese un respiro e disse: “Penso che sia una cosa giusta che fra i quadri dei precedenti presidi ci sia anche quello del Professor Piton. Del Preside Piton” Si corresse velocemente. “ A me farebbe piacere” continuò e, sperando di non dover aggiungere altro, riprese a mangiare.
La professoressa annuì. “Ho parlato del professor Piton anche con Silente… Diciamo che ho fatto una gran bella chiacchierata con Albus. Una lunga chiacchierata. È stata una delle poche volte che mi sono arrabbiata così tanto…”
Harry si fermò con il cucchiaio a metà strada fra la scodella e la bocca. Azzardò uno sguardo verso la strega, ma lei continuò a guardare un punto fisso non precisato.

“Ho sentito tutto quello che hai raccontato ieri, Harry, tutta la vostra avventura. Non ero a conoscenza di tante cose, ma scoprire che Severus fosse…” le mancarono le parole e rimanette in silenzio per qualche attimo, prima di continuare “Avrei voluto saperlo. Avrei potuto fare qualcosa, quest’anno è stato un anno veramente difficile… Se lo avessi saputo, avremmo potuto…”

Harry si rese conto che non stava più parlando con lui ma con se stessa. Ma sapeva benissimo come si sentiva. Era successo anche a lui. Se avessi saputo questo, se avessi saputo quello… erano quattro anni che si tormentava così. E sapeva che poteva distruggerti.
“Questi pensieri non portano da nessuna parte, professoressa. Possiamo solo ripartire da dove siamo e fare qualcosa da adesso.”
La McGranitt si girò di colpo verso il ragazzo, come se si fosse svegliata improvvisamente e si rendesse conto soltanto in quel momento di lui. “Ha perfettamente ragione signor…” Non riuscì a finire la frase che una voce risuonò nell’atrio.

 

“Harry!!!” Ginny entrò nella Sala Grande correndo e chiamandolo a gran voce. Harry sorrise appena la vide, trafelata e con i capelli in disordine. Praticamente bellissima.

 

“Signorina Weasley!” Ginny si fermò di colpo quando venne rimproverata dalla futura preside.
“Oh, sì, mi scusi professoressa” disse, avvicinandosi alla coppia seduta al lungo tavolo. “Ciao Harry” Il suo tono si era abbassato, ma non l’intensità della sua voce.
“Buonanotte signor Potter, buonanotte signorina Weasley” La McGranitt si congedò uscendo velocemente, con un sorriso nascosto. I ragazzi la salutarono e appena fu fuori dalla loro vista, Ginny si sedette vicino a Harry, gli prese il viso fra le mani e lo baciò.
Un caldo, morbido e avvolgente bacio. Harry non aveva bisogno di altro. Finì di mangiare velocemente mentre Ginny gli raccontava quello che era successo quel giorno, poi, quando ebbe finito, si alzò con lui, gli prese la mano e lo tirò verso il portone, per uscire fuori. “Vieni con me? Ho una sorpresa…”

 

 “Vieni con me? Ho una sorpresa…” Il viso della ragazza era così radioso e lei così smaniosa che Harry non ebbe il coraggio di dirle di no, anche se avrebbe voluto soltanto farsi una doccia e andare a letto.  Così la seguì trotterellando, mentre si avvicinavano al campo delle tende.
Harry non riuscì a capire bene il tragitto che avessero fatto ma, stranamente, non incontrarono nessuno e, all’improvviso,  si trovarono di fronte all’entrata della tenda che la ragazza divideva con Hermione. Ginny gli strinse di più la mano e lo precedette, entrando nella tenda e tirandoselo dietro.

 

All’interno della tenda, incantata come quella dove lui, Ron e Hermione avevano alloggiato nei boschi, si sentiva una musica di sottofondo e una tenue luce che lasciava tutto un po’ in penombra. Al centro della tenda, invece dei lettini gemelli, come quella dove dormivano attualmente lui e Ron, c’era una grossa vasca da bagno, piena di schiuma e di acqua fumante che si increspava lungo i bordi in migliaia di piccole onde sulla superficie.
Harry pensò che Ginny  avesse incantato anche lui. Si sentiva attratto dalla vasca come un cercatore dal boccino.
Era quello che ci voleva. Adesso. Subito. Ginny sorrise della sua espressione estasiata e disse solamente: “Mi sono fatta aiutare da Hermione…”
Ginny sospirò poi riprese “Entra intanto, arrivo subito” Harry la vide sparire dietro una parete della tenda.
Si tolse la maglietta e la fece cadere malamente per terra. Poi, saltellando,  si tolse le scarpe e le calze.  Bramava la vasca in una maniera allucinante. In men che non si dica, fu dentro.

 

Ginny sentì lo sciabordio dell’acqua che sbatteva sui bordi. Ritornò carica di asciugamani e sorrise quando lo vide togliersi gli occhiali per posarli sul bordo della vasca, proprio vicino alla bacchetta. Poco più in là della bacchetta c’era una saponetta a forma di sirena che muoveva la coda sensualmente e mandava minuscoli baci all’indirizzo di Harry. Ginny le diede un colpetto con la mano e la tuffò nell’acqua quando le passò vicina. Questa si arrabbiò e le lanciò un brutto sguardo mentre, gocciolante, riguadagnava il suo posto.

 

La rossa si sedette su uno sgabello dietro lo schienale dove era appoggiato Harry e gli posò le mani sulle spalle. “E la tua giornata com’è andata?” Harry si irrigidì un attimo, poi quando lei iniziò a muovere le dita sulla sua pelle, si rilassò, appoggiò la testa sul bordo della vasca e chiuse gli occhi.

 

Mentre lui parlava, cercando di fare un riassunto molto conciso della giornata, lei gli accarezzò il collo, la testa e gli bagnò i capelli con delicatezza. Lo sentì rilassarsi sotto le sue mani gli accarezzò una guancia ispida per un lieve accenno di barba.
Era cresciuto. Un sacco. Non l’aveva visto per tanto tempo… e questo nuovo Harry le piaceva. L’aveva visto sfidare Voldemort, fiero e coraggioso. Era così orgogliosa di lui.
Aveva avuto così tanta paura, lei. Paura per lui. Ma lui no. Oppure sì? Era stato spaventato? E cosa l’aveva aiutato a superare la paura? C’erano tanti aspetti che non conosceva. Sì, sapeva quello che sapevano tutti, ciò che lui aveva raccontato, e aveva visto quello che era successo nella sala grande, aveva seguito ogni gesto di Harry mentre la battaglia incombeva, ma lei voleva conoscere i suoi pensieri, le sue emozioni. Chissà se, dopo tutto quello che stava succedendo, sarebbero riusciti a parlarne in tranquillità.

 

Harry pensò di essere in paradiso. La musica, il rumore dell’acqua, le mani di Ginny…. Si sentiva rilassato e tranquillo per la prima volta dopo…. Dopo…. Boh, dopo una vita?
Girò la testa per guardarla e la vide pensierosa. Cosa stava pensando? Qualcosa la preoccupava?

 

Quando Harry si sollevò di scatto dalla vasca, Ginny pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato. Merlino, sembrava andasse tutto così bene, finalmente riuscivano a stare un po’ insieme e invece….
“Ehm, che succede? Tutto ok?”
“Vieni qui” Lui allungò un braccio e le prese un polso, l’avvicinò pericolosamente al bordo della vasca e Ginny ebbe appena il tempo di capire cosa stesse succedendo prima di ritrovarsi dentro anche lei.

“Oh!” Ginny ridacchiò quando lui la fece cadere nell’acqua, su di sé. “Cavolo! Non me lo aspettavo!”
Harry sorrideva, sornione. “Era quella l’idea” Ma il suo sorriso scomparve appena la guardò mettersi in ginocchio. Aveva il maglioncino attaccato alla pelle, per via dell’acqua e Harry si rendette conto  di quello che aveva combinato: lei era zuppa d’acqua. Le maniche gocciolarono quando si portò le mani ai lunghi capelli, bagnati anch’essi, e anche i suoi jeans erano fradici. Non riusciva a vedere le sue scarpe.
Per un momento pensò di aver fatto una cavolata. Cosa gli era preso? Quando l’aveva tirata dentro la vasca, smanioso di condividere con lei quel momento, non ci aveva pensato troppo, ma ora, vedendola così,  ebbe il terrore di aver esagerato.
Ma Ginny sorrideva ancora, così le chiese: “A che pensavi?” Ginny lo guardò sgranando gli occhi.
“Avevi una faccia strana…” La piccola strega rossa sorrise.
“Oh… Sì... Pensieri, niente di che…” lui non disse niente, in attesa che continuasse “Sì… sai… pensavo a quando noi… Avremmo potuto parlare… di noi”.
Si passò una mano fra i capelli, un po’ nervosamente, gocciolando ancora dappertutto.
Harry, che aveva vissuto gli ultimi mesi sul filo della bacchetta e due giorni prima aveva visto per ben due volte l’Avada Kedavra in faccia, era deciso a non lasciar più indietro niente, così disse semplicemente: “Certo, hai perfettamente ragione. Facciamolo adesso…”e così dicendo cercò di uscire dalla vasca.
Ginny però era di parere contrario e gli appoggiò una mano sul petto. “Ah, no. Adesso che sono zuppa, restiamo qui” E si sdraiò vicino a lui facendo sparire i suoi vestiti con un colpo di bacchetta.
Appena Harry si rese conto di cosa avesse fatto, si immobilizzò, ma chiese soltanto, senza muoversi: “Hermione quando torna?”
Ginny continuò a giocare con la bacchetta, spostando la schiuma e muovendo le onde in maniera strategica. “Dovrebbe tornare quando tu andrai alla tua tenda. Lei sta intrattenendo Ron. O può tornare prima, se la dovessimo chiamare perché ho fatto qualche pasticcio” La ragazza fece una smorfia quando nominò ‘pasticcio’, prendendo un suo braccio e portandoselo sulle spalle.
“Tu non fai pasticci.”
“Spero proprio di no,” Gli appoggiò la guancia sul petto “non stavolta...” 
Lui le alzò il mento per guardarla negli occhi. Sentiva la pelle di lei a contatto con la sua e la cosa gli dava dei brividi lungo la schiena, ma non voleva affrettare troppo le cose.
“Non siamo obbligati a fare niente, lo sai, vero?”
“Non faccio ciò che non voglio fare, Harry” E così dicendo lo tacitò con un bacio e fece scorrere le dita lungo il suo petto.

 

***

 

“Mi dispiace.”
Hermione guardava il soffitto della tenda. Se ci lavorava un po’ su era sicura di poter fare l’incantesimo che mostrava il cielo, proprio come nella sala grande. Questa volta proprio uguale uguale.

 

“Anche per me è così,” Ron si girò sulla pancia, sul letto a fianco a lei “forse ci siamo fatti prendere dalla situazione…”
Hermione era confusa. Aveva creduto veramente di essere innamorata di Ron. Per tutto il sesto anno gli era stata dietro, era stata gelosa di Lavanda (Lavanda! Per Godric!!) poi i mesi a stretto contatto, come se non ci fosse nessun’altro,  e ora? Ora le sembrava di baciare suo cugino Peter. E suo cugino Peter aveva due anni meno di lei e fino a poco tempo prima saltava nelle pozzanghere di fango per sporcare i vestiti alle ragazze. Giusto per chiarire la sua situazione.
Scosse la testa e si  girò anche lei prona e si portò vicino a Ron.
“Mi sa che hai ragione. È che mi dispiace davvero. Avrei voluto che andasse diversamente. Sarebbe stato bello se noi due…”

 

“Sarebbe stato bello sì, ma…” Ron si interruppe, non sapendo più cosa dire. Non riusciva neanche a baciarla… Non sembravano proprio due che volessero stare insieme… “Però possiamo comunque provare a…” Hermione capì subito quello che voleva dire e gli diede uno schiaffetto sulla fronte, ma non riuscì a trattenere una risata. “Stupido!”
Il ragazzo scoppiò a ridere anche lui e continuò a dire buffonate, e senza accorgersene, allentò la tensione che si era creata.
Dopo uno scambio di cuscinate i ragazzi si sdraiarono e lui sospirò. “Resti con me un po’? Ti va?”

 

Hermione sorrise, non voleva comunque perdere la sua amicizia.
“Certo.”
Anche perché sl momento non aveva un posto dove andare: Harry era con Ginny nella loro tenda, e finché lui non fosse ‘tornato dal ministero’ lei doveva stare lì. Ma non le sembrava un peso. Stava bene con Ron.  
“Vieni qui” Ron alzò un braccio per farle posto e la strinse. “Comunque non smetterò mai di volerti bene, lo sai vero?”
La ragazza sorrise commossa “Neanch’io”.

 

Ron continuò, dopo aver osservato il soffitto: “A meno che tu non sposi un troll tipo…. Tipo…” cercò nella sua mente qualcuno a cui riferirsi ma non ci riuscì subito. “Ecco, tipo Malfoy”.
Il sorriso sulle labbra di Hermione si congelò immediatamente a sentir quel nome, ma non si stavano guardando in faccia e Ron non se ne accorse.
Hermione non aveva raccontato a nessuno di quando aveva medicato Malfoy pochi giorni prima. E non sapeva perché le facesse quello strano effetto pensare a lui. Quel giorno lei e Ron non avevano partecipato al processo contro la sua famiglia, e lei non lo aveva più visto da quella volta nel cortile.
“Ok” disse, sperando di avere una voce normale “Non lo sposerò…”
Ma Ron non stava facendo attenzione al suo tono “E neanche uno dei miei fratelli!! Ti prego!! Giurami che non lo farai” era così buffo che Hermione si scordò di Malfoy e continuarono insieme un discorso demenziale su chi poteva sposare chi e chi sarebbe stato bene sposato con chi e chi sarebbe stato veramente allucinante sposato con chi.

Non si resero neanche conto di quando, dopo un’ora, si addormentarono.

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Capitolo 3
*** Riordinare ***


Riordinare

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Hermione venne svegliata da Harry poco prima delle tre del mattino. Le ci volle un po’ per capire dove fosse e perché.
Lei e Ron si erano addormentati sul letto, sopra coperte e completamente vestiti. Non sembravano per niente una coppia smaniosa di stare insieme…
Si alzò e fece per uscire, salutando Harry che aveva uno sguardo beato in viso e lei provò una leggera fitta di invidia, quando lui sottovoce le disse: “Aspetta, ti accompagno”.
“Non c’è bisogno. Buonanotte.”
Ma Harry non volle sentir ragioni e la accompagnò fino alla tenda delle ragazze. Hermione gli diede un bacio sulla guancia ed entrò nella tenda, prima di vederlo sparire.
Pensava di trovare tutto in subbuglio, come poco prima di far apparire la vasca, quando lei e Ginny avevano fatto le prove di spazio, giusto dopo aver fatto sparire i letti.
Ma era tutto a posto. I letti erano tornati al loro posto. Ginny era riuscita a evocarli nella maniera giusta. Un po’ si sentì inutile… aveva rimesso tutto a posto…
Sentì una fitta al centro della fronte. Ecco, stava per tornarle il mal di testa.
“Ciao” salutò quando vide la rossa girarsi verso l’entrata della tenda. “Oh, Hermione!!! Scusa scusa!!! Non mi ero accorta dell’ora!!!!” Ginny le andò incontro porgendole le mani per prendere le sue.
“Mi è sfuggito tutto. Puoi perdonarmi?” Hermione sorrise, già ritornata di buon umore.
“No no, non preoccuparti. Anzi, com’è andata?” Il volto della ragazza divenne del colore dei suoi capelli e Hermione, curiosa e divertita la stuzzicò un po’, ma la ragazza non si sbottonò.

 

“E te e Ron?” chiese Ginny per distogliere l’attenzione da sé. Ma poi non fu sicura di voler veramente sapere la risposta.

 

Hermione, tanto, non aveva niente da rispondere e disse solamente: “Pensiamo di aver fatto una cavolata”.
Ginny sgranò gli occhi e balbettò: “Per Godric! Che avete fatto?”
La riccia rise dell’equivoco e spiegò meglio: “No, no non abbiamo fatto niente!!! E mi sa che non faremo mai niente. Noi…” Hermione si morse il labbro, non sapendo bene come continuare “Non… io… cioè… pensavo di sì…” Ginny era sempre più confusa “Quello che dicevo è che Ron non mi piace in quel senso…” abbassò gli occhi “Quando l’ho baciato, nella stanza delle necessità, pensavo di sì, ma in verità… è stata una cavolata”.
La rossa sospirò “Ah, ho capito. Avevo pensato male!!! Mi spiace che non abbia funzionato tra di voi. Io…”
Hermione la interruppe perché l’ultima cosa che voleva in quel momento era la pietà della ragazza e le disse sorridendo: “Quindi ora dovrai raccontarmi tutto quello che avete fatto voi, così giusto per consolarmi”.
Si preparò per andare a letto e quando si infilò sotto le coperte la incitò di nuovo “Dai, su, sono stata di là per tutto questo tempo per qualcosa o no?” Continuò, rendendosi conto da sola di essere un po’ cattivella, ma diamine! Aveva bisogno di sapere che qualcosa stava andando per il verso giusto. Almeno quello.

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Così, dopo un’ora, con Ginny che dormiva profondamente, Hermione non riusciva a prendere sonno e guardava il soffitto della tenda, pensando ai dettagli dell’incantesimo del cielo. Aveva già una mezza idea per realizzarlo.
Si girò per cambiare posizione, sperando che le conciliasse il sonno, ma non funzionò.
Pensò ancora a quello che le aveva raccontato la sua dormiente vicina di letto. Per fortuna lei e Harry non si erano spinti fino in fondo, anche se c’erano andati molto vicini. Perché per fortuna? Quella vocina malefica nella mente, ogni tanto saltava fuori. Perché pensava che non avrebbero dovuto farlo? Perché a lei non era successo? Perché lei non aveva trovato in Ron la persona che cercava? Era invidiosa dei suoi amici? Hermione spalancò gli occhi nel buio. E se fosse così? Se lei fosse veramente così cattiva da essere invidiosa di Ginny?
Una fitta alla fronte, ormai familiare, le preannunciò una forte emicrania. Si girò ancora.  Ma niente, il mal di testa era sempre più forte. Si grattò una spalla. Stupendo, c’erano anche gli insetti. Si grattò convulsamente le braccia fino a lasciare dei segni rossi.
Il suo braccio la guardò. Le linee rossastre delle lettere la guardavano in continuazione. Si coprì con la manica e chiuse gli occhi. Era così stanca che non capiva niente.
Prese un cuscino per premerlo contro la fronte, ma nel farlo fece cigolare il letto. Controllò di non aver svegliato la rossa, ma lei continuava beatamente a dormire. Un’altra fitta.
Si alzò e cercò nella tenda lo zaino che aveva con sé. Forse avrebbe trovato qualche pozione che l’avrebbe aiutata. Cercò ma non la trovò. Merlino!!! Stava per mettersi a urlare. Un’altra fitta. Poi, trovò l’ampollina conosciuta in una tasca interna. Sorrise.  Ne prese un sorso e tornò verso il letto.
Sperò di riuscire a dormire se non subito, quasi. E magari, quella notte, senza incubi.

***

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 “Voi ragazzi, andate pure con la signorina Granger e Il signor Weasley verso il campo di Quidditch, intanto fate esercizio con alcuni incantesimi base.”
La McGranitt era riuscita a trovar loro un’occupazione anche nel loro primo giorno libero dal ministero.
Ron sbuffò e guardò sconsolato  quella marmaglia di ragazzini dei primi anni che stavano seguendo Hermione per andare allo stadio di Quidditch che, essendo stato bruciato durante la battaglia, andava ripulito prima di essere ricostruito.
Hermione prendeva sul serio qualsiasi compito le venisse dato, così quando aveva sentito dire alla professoressa ‘Farete esercizio con gli incantesimi base’, fu proprio quello che fece fare ai mocciosi, che continuarono a far levitare massi grossi quanto la sua testa, pezzi legno, cenere e altri detriti fuori dal prato, per liberare il campo.
Peccato che lui fosse sempre nella traiettoria di qualche ragazzino. Per ben due volte fu colpito da un sasso che una biondina continuava a spostare verso di lui. Doveva ancora capire se lo facesse apposta o no. E in un’occasione un nanerottolo con gli occhiali per poco non lo lanciava in aria.
Per fortuna era intervenuta Hermione, ma lei ridacchiava così tanto che non prese la cosa sul serio come avrebbe dovuto, secondo lui.
Adesso invidiava Harry. Rise. Certo, lui invidiava sempre Harry, ci aveva fatto l’abitudine. Ne avevano anche discusso qualche volta. L’ultima volta aveva capito come prendere bene la cosa e non se ne faceva più un cruccio.
Ma adesso, avrebbe dato la sua bacchetta per essere al posto di Harry! Sbuffò ancora. Poi, in lontananza vide arrivare tre persone.
Divenne serio all’improvviso. Cos’era quella storia? Cosa ci facevano lì? Si voltò verso Hermione, ma lei era ancora alle prese con i ragazzini e la sentì dire la corretta pronuncia dell’incantesimo di levitazione. Esattamente come l’aveva detto a lui tanti anni prima!
Si innervosì un altro po’, poi, vedendo che lei rimaneva occupata con i nanerottoli, andò incontro alla McGranitt e ai due ragazzi con lei.
Quando fu vicino, la professoressa gli disse che avevano altre due bacchette di aiuto per lo stadio. Ron non la stette neanche a sentire, guardò i ragazzi dietro la strega e disse in tono duro: “ E voi cosa ci fate qui?”
Doveva aver alzato il tono della voce senza rendersene conto perché dal gruppetto dei ragazzini non si sentì fiatare nessuno, e anche Hermione si era girata silenziosamente verso di loro.
Tutti gli occhi erano puntati sul quel diavolo biondo di Malfoy, che svogliatamente aveva seguito la McGranitt, come se quello fosse l’ultimo posto dove volesse stare. Che se ne tornasse a casa sua, nel suo Manor, quell’odioso Mangiamorte!
Tutto questo si doveva leggere perfettamente sul volto di Ron senza bisogno di nessuna magia, al che Malfoy provò a dire alla professoressa: “Io pensavo di sistemare il settimo piano…”
La McGranitt si voltò verso di lui, con la sua solita espressione.
“Signor Malfoy, qui si fa ciò di cui abbiamo bisogno e visto che non siamo ancora arrivati al settimo piano, dovrà aspettare.”
Malfoy la guardò negli occhi, e come al solito non disse niente. Mormorò un bassissimo: “Va bene”, guardò verso Ron, poi verso Hermione e i ragazzini. Ron guardò la McGranitt con uno sguardo confuso e lei, come al solito, ricambiò il suo sguardo con una freddezza da gelare il deserto.

 

“Il Signor Malfoy e il signor Zabini” disse Minerva ad alta voce, indicando con la mano il ragazzo vicino a Malfoy, “si sono uniti a noi, per aiutarci a sistemare il castello”.
Si voltò verso Hermione, per notare se avesse sentito e lanciarle uno sguardo che Ron non capì, e la giovane strega annuì avvicinandosi.
“Malfoy può rimanere qui ad aiutarmi con i ragazzi e Zabini può andare con Ron all’interno del castello. Sentivo che avevano bisogno al quinto piano…. Magari noi potremmo fare qualche esercizio di trasfigurazione. Cosa ne dice professoressa?”

 

Ora tutti i ragazzi avevano spalancato gli occhi. Ron sorpreso da quella proposta, Blaise curioso che lei volesse restare con Malfoy e Malfoy…. Malfoy aveva spalancato gli occhi quando lei aveva pronunciato “trasfigurazione” e Ron rideva sotto i baffi quando vide le labbra di Hermione sillabare ‘Furetto’ senza proferire parola.

 

La McGranitt si allontanò facendo cenno ai due ragazzi di seguirla. Ancora contrariato dalla situazione, Ron seguì la strega al fianco di Zabini e il suo umore finì sotto i piedi quando il moro gli rivolse un sorriso sfacciato e  chiese a voce alta: “Allora Weasley, come sta tua sorella?”

 

***

 

Draco non voleva essere lì. Sua madre era riuscita a fargli fare quello che voleva. DI NUOVO. Per fortuna era riuscito a convincere Blaise ad accompagnarlo. Già.
Lo guardò andare via con Lenticchia e poi si girò verso la Granger.
Prima era sicuro, sicurissimo che lei avesse osato dire “Furetto”, ma non riusciva a ricordarsi di averlo sentito, così qualche dubbio l’aveva avuto. Non gli aveva mandato un Confundus, giusto? Se doveva rimanere da solo con lei, avrebbe dovuto stare attento.
Da soli. Beh, a dir la verità c’erano almeno due squadre di Quidditch di ragazzini con loro, e nessuno sembrava propriamente sveglio.
Lei stava spiegando quello che dovevano fare, ossia liberare lo stadio da tutta la roba che c’era sul prato e cercare di far evanescere e levitare sassi e pezzi di legno. Era stanco. E non aveva nessuna voglia di sopportare né lei né quei piccoli mostriciattoli.  
Sua madre l’aveva obbligato a presentarsi a scuola per aiutare. Era lì solo per quello. Ah, no, era lì perché era giusto. L’aveva detto lei.
Si mise le mani nelle tasche dei pantaloni. Sua madre. L’unica a cui non riusciva a dire di no. Aveva fatto di tutto per tenerlo in vita, nonostante  Voldemort, nonostante suo padre. Draco sospirò, pensare a suo padre gli dava i brividi. Se Voldemort non fosse morto, cosa avrebbe fatto suo padre? Quanto in là si sarebbe spinto? Avrebbe sacrificato la sua famiglia? Ancora non riusciva a capire le sue azioni. Era stato un pazzo esaltato o una povera marionetta nelle mani di qualcuno più potente di lui? Vederlo andare in pezzi era stato straziante. E ancora non riusciva a dare una spiegazione a tutto ciò che aveva fatto.
Era perso nei suoi pensieri mentre osservava un corvo posarsi su uno dei pali del Quidditch, tristemente rotto a metà e piegato di lato, e non sentì la strega che lo chiamava, così sobbalzò quando la Granger gli appoggiò la bacchetta sul braccio.
“Mi scusi signor Malfoy se la disturbo…”
Quella ragazza era fastidiosa. Il suo tono di voce fece ridacchiare i ragazzini, che ora lo guardavano senza rispetto.
Si girò lentamente verso di loro, guardandoli tutti in faccia con la sua solita espressione che riservava al pubblico e, lentamente, ognuno di loro smise di ridere. Qualcuno trasformò la risatina in un colpo di tosse, qualcun altro volse lo sguardo a terra. Tutti avevano cambiato espressione. Tutti tranne lei.
 Draco guardò negli occhi la Granger e aspettò che lei abbassasse lo sguardo. Ma lei non lo fece. Non lo faceva mai.
“Grazie per la tua attenzione”, continuò “vieni ad aiutarci?”
Questa volta il suo tono era stato, se non gentile, almeno conciliante.
Draco la seguì mentre ritornava verso il prato, si sentiva vulnerabile, così impugnò la bacchetta, per darsi da solo un po’ di incoraggiamento. La sua bacchetta nuova.
Magari avrebbe rimesso a posto i pali delle porte. Sì, quello lo avrebbe fatto volentieri. Per il Quidditch, per nient’altro.

- 

***

 -

Alla fine della mattinata avevano finito. La Granger era stata formidabile con i ragazzini, era riuscita a far fare tutto a loro. Beh, a loro e a lui. I mocciosi avevano sgomberato il prato e lui aveva sistemato i pali. Lei aveva guardato verso il castello per tutto il tempo.
Draco cercò di capire cosa stesse pensando. Pensava a Weasley? Li aveva visti mano nella mano il giorno della battaglia. E poi li aveva visti baciarsi. Forse stavano insieme.
Ma lei l’aveva mandato via con Zabini. Le femmine erano complicate. Capire cosa pensavano spesso era più complicato di una pozione ben riuscita di Felix Felicis.
Naturalmente, usare la legimanzia sarebbe stato più semplice, ma quando ci aveva provato poco prima, lei sen’era accorta e gli aveva lanciato una fattura Gambemolli, poi si era avvicinata e l’aveva minacciato di peggio se ci avesse riprovato.
Draco ancora non sapeva come aveva fatto a capire le sue intenzioni. La guerra doveva aver affinato le sue abilità. Così decise di non riprovarci.
Decise che non gli importava. Non gli interessava quello che pensava la NataBabbana. Proprio no.

 -

***

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Hermione aveva i nervi a fior di pelle. Malfoy continuava a guardarla. Anche ora, che andavano verso il castello per pranzare, lui continuava a fissarla. La cosa le stava dando veramente fastidio.
Si pentì per un attimo di aver mandato via gli altri. Ma poi ci ripensò. Malfoy da solo era sicuramente più gestibile di tre bambinoni che bisticciavano. Perché quello sembravano i maschi quando litigavano. Bambinoni. Sospirò. Spesso anche quando non litigavano.
Doveva solo stare attenta. Non sapeva perché, ma Malfoy aveva tentato di leggerle i pensieri e la cosa la preoccupava. Però era stato bravo, doveva ammetterlo. Aveva riposizionato i pali con i cerchi proprio al posto giusto. Che, per inciso, lei non era sicura di quale fosse, il posto giusto.

 

Quando entrarono in sala Grande, molte teste si girarono verso di loro e quasi tutte si zittirono e cambiarono espressione, vedendo il ragazzo biondo. Già, pensò Hermione, giusto, lui è Malfoy. Agli occhi degli altri doveva essere alquanto strano.  
Sperò che lui la seguisse senza doverglielo chiedere e, dopo aver lasciato i ragazzini a uno dei tavoli, si incamminò verso le scale per cercare Ron e Zabini. Con la coda dell’occhio vide che lui continuava a seguirla, così proseguì.
Quando si fermò lungo le scale, notò che lui si era fermato qualche passo indietro e guardava un punto preciso con uno strano ghigno in faccia. Ok, non era strano. Era il suo solito ghigno. E la cosa la preoccupò.
Tornò sui suoi passi e quando lo vide afferrare la bacchetta gli fu addosso. “Che fai?” Lui girò lo sguardo verso di lei e, smettendo di sorridere disse: “Niente”.
Mise via la bacchetta e riprese il corridoio. Hermione cercò di capire cosa avesse visto e fece un passo avanti in quell’anfratto buio.
Due ragazzi si stavano baciando.  La ragazza aveva le mani sotto la maglietta di lui e le faceva scorrere su e giù, poi le portò dietro la sua schiena e lo avvicinò di più a sé. Il ragazzo le posò una mano sulla testa e le accarezzò i capelli rossi. Si staccarono per pochi secondi l’uno dall’altra, e poi lei, si alzò sulle punte per tornare a baciarlo. Bocca su bocca, labbra su labbra. Hermione sentiva che si dicevano poche parole nei momenti in cui si staccavano.  Poi lui portò le mani al fondoschiena e la strinse contro il suo bacino. La ragazza gemette. O era stato il ragazzo? Fece un altro passo avanti. Li riconobbe.
Erano Harry e Ginny. Ma Harry non doveva essere al Ministero? Quando lui la spinse contro il muro Hermione spalancò gli occhi dallo stupore. Quello era davvero Harry? Quando Ginny gli circondò la vita con le gambe, Hermione spalancò anche la bocca.
Stava per dire qualcosa quando venne afferrata per un braccio e trascinata indietro.

 

“Dai, Granger, lascia stare San Potter, ora che si è dato una scantata. Finalmente!”
“Però non dovrebbero… qui all’interno della scuola… con così tanta gente…” Draco si voltò a guardarla, sorpreso che lei non l’avesse sgridato per il nomignolo che aveva usato, doveva essere… sconvolta?
“Se lo avessi fatto qualche volta anche tu, non romperesti le pluffe così.”
La ragazza sbuffò per il velato insulto “Guarda che può succedere qualcosa di brutto!! Potrebbero anche…. venire espulsi!!”
Draco rise forte. Veramente? Per quella ragazza la cosa peggiore che poteva succedere era essere espulsi? Si poteva venir espulsi da una scuola che non si stava neanche frequentando?
“Per Salazar, Granger svegliati! Potter quest’anno  è venuto a scuola solo per salvare tutti e la Weasley… beh, la Weasley è la figlia e la sorella di chi ha salvato il mondo magico, quindi non penso proprio che qualcuno li voglia buttar fuori di qui!”

 

Il tono di Malfoy ora aveva preso una sfumatura strana.  Hermione riprese a camminare ma rimase così assorta nei suoi pensieri che non prestò più attenzione a dove metteva i piedi. Inciampò in qualcosa e cadde distesa per terra. Il ragazzo biondo si girò e la guardò dall’alto.
“Ti sei emozionata, che non ti reggono più le gambe?” E il ghigno ricomparve.
“Potresti anche aiutarmi.”
“Sì. Potrei. Se volessi.”
Hermione gli rivolse uno sguardo cattivo e si mise in ginocchio. Stava per tirarsi su del tutto, quando Malfoy le allungò una mano per aiutarla. Ma lei, con il tipico orgoglio da Grifondoro, non l’accettò. Malfoy scrollò le spalle e non disse niente.
Ma quando fu in piedi, Hermione ebbe un giramento di testa e barcollò. Lui l’afferrò per un braccio per non farla cadere, e in quel momento sentirono delle voci lontane.
Per la precisione: una risata e una voce stridula che gridava: “Toglile le mani di dosso!”
Una furia rossa si avventò sui due, dividendoli, mentre Zabini, che camminava con le mani in tasca,  non aveva neanche accelerato l’andatura.
“Tutto bene, Hermione?” Ron la guardava con uno sguardo preoccupato. Che carino Pensò Hermione. La strega non poté trattenere un sorriso. Nonostante tutto era un tesoro.
“Sì, sì non preoccuparti. Vi stavamo cercando.”
Ron si voltò come una furia verso Malfoy “Toccala ancora e ti…”
Il biondo sbuffò annoiato “Piantala. Non le ho fatto niente”.
Ron continuò a guardarlo male, così Hermione disse le parole magiche ‘Andiamo a mangiare?’, che svegliarono Ron dal suo incubo. Infatti sorrise e la prese sottobraccio, incamminandosi verso la sala grande.
Non calcolò più i due, così Hermione, voltandosi fece loro un cenno per dire di andare tutti insieme. Non sia mai detto che Hermione Granger non conosca le buone maniere.
“Hai visto la McGranitt? Ti cercava per quella cosa…” iniziò Ron, con fare misterioso, lanciando strani sguardi ai Serpeverde. Draco e Blaise si lanciarono un’occhiata e scrollarono le spalle.

 

Ginny sorrideva mentre trascinava Harry verso la sala Grande. E guardava all’indietro, verso di lui, così non si accorse del gruppetto che arrivava dalle scale, finché non si scontrarono.

 

“Harry!! Sei qui!” esclamò il rosso quando li vide.
“Ciao Ron, ci sono anch’io!!” sbuffò la sorellina.
Lui la guardò e poi si rivolse ancora a Harry. “Pensavo fossi al ministero”.
Harry sorrise, spingendo gli occhiali sul naso. “Sono venuto a pranzare con voi”.
Poi guardò gli altri. “Ciao Hermione” disse, dandole un bacio sulla guancia. “Malfoy. Zabini” Ai Serpeverde fece un cenno con la testa.
“E voi che ci fate qui?” Ginny sembrava suo fratello qualche ora prima, con lo  stesso sguardo pericoloso verso i due ragazzi, pensò Hermione.
Malfoy ghignò e rispose domandando: “E voi che facevate lì in quel corridoio buio?” e ricambiò lo sguardo della ragazza. Zabini alzò un sopracciglio sorridendo divertito, Ginny divenne del colore dei suoi capelli, Hermione trattenne il fiato e Ron spalancò gli occhi, pronto a esplodere.

Harry invece rimase calmo. Spinse delicatamente la rossa, che stava per ribattere a tono, verso il corridoio giusto e disse soltanto: “Andiamo che è pronto. Sento odore di pollo fritto”.
Ron, che sembrava ancora sul punto di scoppiare, si riprese seguendoli “Aspettate! Cosa intendeva dire? Cosa stavate…. Davvero c’è il pollo? Io non ho sentito niente”.

Zabini scoppiò a ridere quando si allontanarono. “Grande Draco, l’hai rimessa al suo posto. Mitico!” E allungò il pugno chiuso al biondo, che ci sbattè contro le sue nocche, in un gesto abituale.
Hermione si voltò verso i ragazzi. Bambinoni, pensò. Però due chiacchiere con la rossa le avrebbe scambiate volentieri.

 

In quel momento passò la McGranitt che vedendo Hermione ferma la chiamò “Signorina Granger, l’ho trovata”.
Sorrise alla giovane strega e Draco pensò in quel momento di averla vista sorridere solo quando c’era anche la NataBabbana.
“Tenga, questo è per lei.”
Le mise in mano un oggetto avvolto in un fazzoletto di stoffa e continuò “Sarà attivo fra tre giorni alle 10. Mi raccomando, non vada da sola”.

 

Hermione sbirciò oltre la stoffa “Certo. Useremo tutte le misure di sicurezza. La ringrazio” La professoressa fece un cenno ai ragazzi e se ne andò. I tre ragazzi rimasero lì un attimo a fissarsi senza dire niente, come se la McGranitt avesse portato via tutte le parole.
“Beh, andiamo a sentire com’è questo pollo fritto?” Zabini sembrava imbarazzato, così Hermione rimpicciolì l’oggetto con la bacchetta, se lo mise in tasca e si incamminò di nuovo per il corridoio.

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Capitolo 4
*** Tornare a scuola? ***


Tornare a scuola?

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“Quindi, ora che la scuola è di nuovo praticabile, possiamo tornare tutti per finire l’anno scolastico.”
La McGranitt, in piedi sul pulpito che fu di Silente, nella sala Grande, aveva riunito tutti gli studenti e le famiglie, per quella riunione straordinaria. Le tavole delle case erano sparite e tutti erano seduti su centinaia di seggiole, allineate in ordine per tutta la Sala Grande.
Harry, Ginny, Hermione e Ron erano tutti seduti vicini e dietro di loro c’erano anche Molly e Arthur.

 

“Sfrutteremo questo poco tempo a disposizione per permettervi di fare gli esami finali e di non perdere l’anno. I giovani del quinto anno potranno scegliere se dare i G.U.F.O o aspettare l’anno prossimo. Nessuno verrà considerato ripetente. Per Difesa contro le Arti Oscure, ci verrà ‘prestato’ un addetto dal Ministero. Ma i ragazzi dell’ultimo anno, non potranno dare i M.A.G.O.
Abbiamo riunito il consiglio dei professori e deciso che questi esami sono troppo importanti per il vostro futuro, quindi, tutti gli studenti del settimo anno, torneranno in settembre, per (ri)frequentare le lezioni dell’ultimo anno.”

 

Un mormorio si levò dalla sala, mentre molti genitori annuivano con il capo, ma la neopreside lanciò uno sguardo alla scolaresca e il brusio cessò.
Una mano si alzò dalla parte opposta della sala. La McGranitt alzò la bacchetta dando la parola alla studentessa e amplificò la sua voce mentre domandava “Possiamo tornare anche noi di Serpeverde?”
Tutta la sala si girò verso la ragazza. “Certo signorina Parkinson… tutti gli studenti possono tornare”.
Come al solito non si capiva cosa passasse per la testa della professoressa, ma lei guardò verso Harry con un’occhiata che capì solo lui e lui annuì in risposta a quella tacita domanda.
Qualche ora prima avevano avuto un colloquio con il ritratto di Silente e tutti e tre avevano convenuto al fatto che la scuola dovesse restare aperta per tutti. Anche per i figli dei Mangiamorte. Anche per i figli di quelli condannati.

 

Questa volta la sala si animò bruscamente, qualcuno si alzò in piedi e qualcun altro alzò la voce. Subito la preside si schiarì rumorosamente la voce, richiedendo il silenzio.
La Parkinson alzò di nuovo la mano. “Possiamo tornare anche adesso? A finire l’anno scolastico? Anche se non possiamo dare i M.A.G.O.?”

 

Hermione si stupì della domanda. Da dove era non riusciva a vedere la ragazza, quindi non poteva vedere la sua espressione.
Perché La Parkinson avrebbe dovuto voler tornare a scuola dopo quello che era successo? I genitori della Parkinson erano ad Azkaban, perché avrebbe dovuto voler tornare a scuola? Ma mentre pensava questo Hermione capì.
Chi aveva i genitori ad Azkaban era da solo. Se non aveva nonni, zii o qualcun altro rimasto fuori dal clan dei mangiamorte, non aveva nessuno. Forse neanche un posto dove andare.
Guardò verso Harry e capì che lui lo sapeva. Quando la guardò lo fece con uno sguardo triste. Povero Harry sempre a preoccuparsi di tutti. Ma mica era colpa sua! Gli sorrise con tenerezza e sperò che per il momento potesse bastare.
Poi vide Ginny prendergli la mano e stringergliela. Per fortuna ci prendiamo cura gli uni degli altri. Ginny di Harry. E lei? Chi avrebbe aiutato? E chi avrebbe aiutato lei?
Si sentì sola per un momento. Una fitta alla testa. Merlino! Di nuovo? Strinse le mani in grembo e si massaggiò le braccia per un improvviso brivido di freddo. Quando si toccò la cicatrice sull’avambraccio, la fitta divenne più intensa. Non era la prima volta che lo notava. Quella maledetta scritta c’entrava con l’emicrania.
Sperò che la riunione finisse alla svelta. Aveva una gran voglia di stendersi al buio per almeno mezz’ora. Il maledetto mal di testa non ci voleva in quel momento. Lo sentì crescere e ancora aumentare. Non ce l’avrebbe fatta.
Scappò fuori dalla sala per salire nella camera che le avevano messo a disposizione.
Si buttò sullo zaino per prendere l’ampolla con la pozione. Le sue mani tremavano in maniera incontrollabile, infatti non riusciva a stappare la boccetta.
La porta si aprì e Ginny entrò velocemente nella stanza. “Hermione tutto bene? Cosa succede?” disse preoccupata all’amica ai piedi del letto.
“Niente, non preoccuparti. Torna pure in sala grande.”
Ginny si avvicinò e si sedette vicino a lei “Dimmi che ti succede” Hermione piangeva.
Non era solo il dolore. Aveva male dentro. Si sentiva debole e vuota. E lei odiava sentirsi così.
“Mi fa solo male la testa.”
“Hai il ciclo? Andiamo da Madame Chips? Ti accompagno.”
Ginny fece per alzarsi ma la sua amica la fermò scuotendo la testa “Non è per il ciclo. Ho già provato ad andare da Madame Chips, ma lei non può aiutarmi”.
Mostrò l’ampolla e fece tintinnare il liquido al suo interno “Posso prendere solo della pozione per il dolore, ma non funziona tanto...” Ammise sottovoce.
“Ti porto al San Mungo? Sono sicura che lì sanno come aiutarti…” Hermione scosse tristemente la testa.
“Penso che non possano aiutarmi neanche loro.”

 

Ginny aggrottò le sopracciglia non riuscendo a capire. “Se ti faccio vedere una cosa, prometti che non lo dici a nessuno? Neanche a Ron e Harry?”
Ginny annuì meccanicamente, se Harry e Ron non sapevano niente doveva essere una cosa dannatamente seria.

 

Hermione sospirò, contenta di confidarsi finalmente con qualcuno.  Si tirò su la manica della maglia e le fece vedere la cicatrice.
Anche solo guardarla le portava alla mente Bellatrix, quella maledetta strega che la chiamava Mudblood e rideva mentre la torturava. Un’altra fitta fortissima. Mostrò quelle lettere alla ragazza e le raccontò cosa le aveva fatto la strega al Manor. Era riuscita a nascondere velocemente il braccio a Harry e Ron quando erano scappati.
“Mi formicola il braccio e poi mi viene questo mal di testa mostruoso. Ma non è solo il mal di testa. Ho un male strano dappertutto. Pensavo che con la morte di Bellatrix sarebbe passato tutto… ma non è così. Deve essere una magia oscura molto potente…” concluse Hermione, mentre lacrime silenziose continuavano a scenderle sulle guance e sul maglione.
Le fitte alla testa erano diminuite man mano che raccontava, ma lei non se ne accorse, intenta com’era a spiegare a Ginny l’accaduto. Ginny, da parte sua, aveva gli occhi spalancati, incredula di quello che le stava raccontando. Passò inconsapevolmente il dito intorno alla cicatrice, senza toccarla per paura di farle male.
“MudBlood…” Il suo sussurro si sentì appena “Quella stronza bastarda!!!” l’insulto invece si sentì benissimo e Hermione non riuscì a trattenere un sorriso. Le amiche erano la medicina migliore del mondo.

 

 “Scusami” Ginny era in imbarazzo per non essersi riuscita a controllare. Purtroppo era molto istintiva e spesso non si accorgeva di quello che faceva finché non l’aveva fatto. Così raccolse l’ampolla da terra l’aprì e gliela passò.

 

“Grazie” Hermione la guardò negli occhi per farle capire che non la ringraziava per averle aperto l’ampolla. Ginny l’abbracciò forte e la tenne stretta finché le lacrime non finirono. Si staccò da lei e indicò il letto.
“Quando ero troppo piccola per prendere la pozione per il mal di testa, la mamma mi faceva un massaggio sulla fronte e le tempie, e mi parlava. Passava sempre. Vieni.”
Si sedette sul letto a gambe incrociate e la fece stendere con la testa sulle sue cosce.
“Potremmo sempre cercare in biblioteca, cosa dici?” Hermione sorrise. Non è che Ginny amasse tanto la biblioteca e dal suo tono si sentì.
“Potremmo farlo insieme, intanto che mi aiuti a studiare per gli esami finali… no?” Hermione sorrise serena.
Per fortuna alcune cose non cambiavano mai. Mentre le mani di Ginny “volavano” sulla sua testa, Hermione si rilassò. Aveva delle mani d’oro.
Passarono il tempo a chiacchierare e Hermione raccontò della passaporta, l’oggetto che le aveva dato la MCGranitt, che le serviva per andare in Australia a “riprendersi” i suoi genitori.
Le raccontò i suoi piani per il viaggio e le promise di aiutarla per le verifiche. Quando Hermione si addormentò, Ginny scappò silenziosamente dalla porta, lasciando l’amica a riposare. In corridoio c’erano Ron e Harry che l’aspettavano e Ginny si bloccò di colpo quando li vide poiché non se li aspettava.

 

“Tutto bene?” balbettò Ron titubante.
“Sì, sì” La ragazza fu molto brava a distogliere l’attenzione da Hermione con poche parole, infatti scelse accuratamente cosa dire e quando pronunciò ‘ciclo’ entrambi i ragazzi guardarono da un’altra parte e non chiesero più niente.
La rossa sorrise un po’ maligna, per aver approfittato del loro imbarazzo, ma il suo sorriso sparì appena vide Malfoy appoggiato al muro in un punto buio del corridoio.
Doveva aver ascoltato quel breve scambio di battute, notando alzarsi il suo sopracciglio quando incontrò il suo sguardo. Gli altri non si accorsero di lui e lei non disse niente, lo guardò e basta. Ma non riuscì a sostenere il suo sguardo. Come se lui sapesse.
Così si incamminò velocemente verso le scale e cercò di farsi raccontare quello che aveva detto la McGranitt alla riunione.

***

 -

 “Certo che torni a scuola!!” La voce di Molly si sentiva fin dal piano di sopra.
Ginny si affacciò alle scale con Hermione “Ma che succede?” bisbigliò la riccia. Ginny scosse le spalle e scesero insieme le scale.
In cucina, sua madre stava discutendo con Ron. Harry era seduto vicino a lui. Le ragazze entrarono in cucina con sguardo interrogativo, ma la madre di Ginny sembrava non essersi accorta di loro. Continuava a sgridare Ron perché sembrava che lui non volesse far ritorno a Hogwarts per finire gli studi. Si girò verso la stufa borbottando e sistemando il bollitore per fare il te.
Vedendola in difficoltà Hermione la raggiunse e le prese di mano il tegame. “Lasci, lo faccio io”.
Molly si accorse di lei e le sorrise stancamente. “Grazie cara”. Poi si girò verso il tavolo e squadrò il figlio più giovane. “Hermione, dimmi, pensi di tornare a scuola per dare i M.A.G.O?” Mentre le poneva questa domanda, la strega continuò a guardare Ron, che abbassò lo sguardo, ma Hermione non se ne accorse, (o finse di non accorgersene) impegnata a prendere le tazze dalla credenza.
“Penso proprio di sì”. Lo sguardo di sua madre si fece, se possibile, ancora più duro. Ginny le studiò il viso. Povera mamma, era invecchiata di almeno dieci anni. La morte di Fred era stata un duro colpo per tutti, ma per sua mamma, giustamente, era stata una maledizione. Ginny sapeva che non riusciva a dormire né a mangiare a sufficienza. Ogni tanto le lacrime scendevano inaspettate dalle sue ciglia, ma lei non se ne accorgeva finché non le cadevano dal viso.
Era straziante vederla così. Fred mancava a tutti loro. George era così triste da pensare che non avrebbe sorriso mai più. La giovane strega sperava che non fosse così.
Qualsiasi cosa avesse in mente Ron, non era il momento. Non ora, non oggi, non in questa vita, Ron. Guardò anche lei verso il fratello e vide che alzava lo sguardo per incontrare quello della madre.

 

 “Mamma…” Fece una lunga pausa per prendere coraggio e continuò: “Io non ci voglio tornare. E poi non ci torna neanche Harry”.
Tutti gli sguardi si posarono su Harry, fino a quel momento ignorato da tutti, e lui guardò, con sguardo tradito, l’amico. Ron alzò le spalle e disse, colpevole: “Beh, è vero”.
Ginny stava per aprire bocca quando Molly parlò ancora, questa volta all’indirizzo di Harry: “Harry, tu puoi fare quello che vuoi. Sei maggiorenne e in grado di reggere la bacchetta. Ma, e lo dico esattamente come lo sto dicendo a mio figlio, e tu, caro Harry sei come uno di loro, dovresti tornare a scuola e finire gli studi. Potrai così fare l’accademia per diventare Auror. Non è quello che vuoi, ragazzo mio?”
Harry non disse niente e Molly continuò: “Invece Ron,” e spostò lo sguardo sul figlio “per te è diverso. Ti dico solo che finché abiti qui farai quello che ti dico, maggiorenne o no. Salvatore del mondo o no. Mi è già stato preso un figlio e non permetterò che se ne perda in giro un altro”.

 

Nessuno ribadì niente. Mentre il bollitore fischiava Molly si incamminò lungo la scala e a metà si fermò, si rigirò verso di loro e disse: “Altrimenti non cucinerò più il pollo, anche a costo di fare un voto infrangibile”.
Con quella frase Molly riuscì ad allentare la tensione in cucina e tutti sentirono la porta della camera di George aprirsi e richiudersi alle spalle della signora Weasley.

 

Lo sguardo di tutti era verso le scale, finché Hermione non si mosse per prendere il bollitore e versare il tè. “Cos’è che volete fare voi?”
Ginny scosse la testa quando Hermione le allungò una tazza e anche gli altri due lo fecero. Lei sbuffò e si preparò una tazza solo per sé. Poi le ragazze si sedettero di fronte agli amici.

 

“Quindi?” continuò Ginny con uno sguardo che assomigliava tantissimo, se non troppo secondo Harry, a quello di Molly. I due ragazzi si guardarono, non più tanto convinti della loro decisione.
“Noi pensavamo di non tornare a settembre. Kingsley si dice disposto a prenderci anche senza i M.A.G.O.”
“Beh, non è mica giusto. Quando avete parlato con lui?” Hermione aveva preso la parola e, senza dare troppo peso alle parole, buttò li quella domanda intanto che versava latte e zucchero nel tè.
I due ragazzi si guardarono di nuovo di sottecchi.

 

Ginny li osservò. Non avevano parlato con Kingsley, si capiva benissimo. Questo la rincuorò.
“Certo, Kingsley vorrà di sicuro due ragazzini che non hanno neanche frequentato l’accademia. Perché senza i M.A.G.O. non si può fare l’accademia, lo sapete, vero? Salvatori del mondo o no.”
Scelse apposta le parole della madre. I ragazzi si guardarono ancora di nascosto.

 

Com’è che la sera prima il loro ragionamento sembrava filasse di più? Harry guardò Ron e notò che anche lui aveva lo stesso interrogativo in faccia. Forse si erano lasciati prendere un po’ dalla smania dell’eccitazione, ma Harry giurava di aver pensato fosse una buona idea.
Ron, tornato due giorni prima dall’Australia con Hermione, si era sentito carico e agitato dal viaggio, dal piano e dal fatto che tutto avesse funzionato per il verso giusto. Infatti i genitori di Hermione stavano bene, avevano riacquistato la memoria e, dopo una lunghissima chiacchierata con la figlia e aver conosciuto Ron, si erano rassegnati al fatto che la loro figlia fosse molto più avanti dei suoi diciotto anni.
Ron aveva raccontato a Harry anche del disastro della loro relazione ‘Per Godric, Harry, mi sembrava di baciare Ginny!!’ Harry aveva riso un sacco per l’espressione del rosso appena pronunciate quelle parole (ma a Ron la cosa non era piaciuta particolarmente). E poi aveva dovuto convincere un Ron molto abbattuto del fatto che non ci fosse niente di male in ciò. In fin dei conti, se non fosse stata Hermione, sarebbe stata un’altra, era meglio saperlo subito, no?
Poi Ron era partito con la filippica di non tornare a Hogwarts, ed era stato così convincente nel suo discorso che anche Harry aveva deciso che era più logico non tornare. Ma ora….

 

I ragazzi rimasero a chiacchierare senza più nominare il Ministero, Kingsley e Hogwarts, ma quando Ginny accompagnò Hermione in salotto per prendere le sue cose prima di smaterializzarsi, questa disse con un tono di voce un po’ più alta di quello che sarebbe servito: “Sai chi torna a Hogwarts, Ginny? Michael, Micheal Corner. Luna mi ha scritto che le ha chiesto di te”.  

 

Hermione sorrideva degli occhi sgranati di Ginny. “Di me?” Hermione ammiccò e Ginny stette zitta. Poi, dalla cucina si sentì Ron che sussurrò (secondo lui): “Forse dovremmo tornare a Hogwarts, giusto per vedere che vada tutto bene… no?”
Ginny si spostò per vedere da lontano i ragazzi ancora seduti al tavolo e vide Harry annuire con il capo. Trattenne a stento una risatina e abbracciò stretta Hermione prima di vederla sparire. Come avrebbe fatto senza di lei?

***

 -

Diagon Alley stava rialzando testa e cappello. I negozi erano quasi tutti aperti. Olivander era tornato a vendere bacchette ai giovani maghi, la gelateria Fortebraccio era stata riaperta da una giovane strega che diceva di essere la nipote di Florian (secondo Ron doveva essere vero perché a lui sembrava che gli assomigliasse parecchio) e il Ghirigoro, se possibile, era ancora più pieno degli anni precedenti.

 

Harry si guardava intorno come la prima volta che era stato lì con Hagrid. Vedere che tutto riprendeva a vivere era una gran bella soddisfazione. Anche se Florian non c’era più, Olivander zoppicava ancora (ma molto meno, secondo Ron) e non tutti i negozi avevano riaperto le vetrine, secondo Harry era un grande passo.

 

Lui, Ron, Hermione e Ginny avevano già fatto un giro per i negozi: erano stati da Madama MacClan per le nuove divise ed erano già passati a vedere la vetrina de ‘Accessori per Quidditch di qualità’ (dove Hermione aveva iniziato a sbuffare dopo appena 10 minuti di beata osservazione da parte dei tre), e stavano per andare al Ghirigoro quando Harry disse sorridendo: “Devo andare alla Gringott, chi vuole farsi un giro sul carrello?”
Hermione scosse il capo e disse che al massimo sarebbe andata a salutare Fleur se fosse stata al lavoro, ma non voleva, in quel mometo, tornare alla Gringott. Ginny allora propose all’amica di aspettare Harry e Ron al negozio di George, mentre loro sbrigavano da soli quella commissione. Ron fu d’accordo, così si divisero.

 

Il negozio ‘Tiri vispi Weasley’ era aperto e pieno di ragazzini. George era al banco con lo sguardo perso. A Ginny si strinse ancora una volta il cuore. Fred mancava ogni giorno, tantissimo, a ognuno di loro. Andò a salutarlo e lui si ravvivò un pochino. Faceva male anche quello, vedere quanto si sforzasse e alla fine vederlo ricadere.
Chiacchierò un po’ con lui e decise di vedere gli ultimi arrivi. Girava per il negozio quando si trovò davanti alla gabbia delle Puffole Pigmee. Non poteva farci niente, le trovava carinissime e finiva sempre lì a coccolarle.
Delicious!” Una bellisima ragazza mora si chinò sulla gabbia allungando un dito fra le sbarre per accarezzare una puffola rosa acceso.
Ginny le sorrise e la ragazza si scusò: “Scusa, ho gridato?”
 Il sorriso della rossa si fece ancora più grande “È inevitabile, vero?”
“Oh sì. Sono stupende…” Aveva un accento francese molto meno marcato della cognata, riflettè Ginny, chiedendosi da dove venisse. Non le sembrava proprio di averla mai vista.
Vedendo il suo sguardo confuso, la ragazza sorrise “Si nota che non sono di qui, vero?”
“Un po’…” La ragazza allungò la mano verso Ginny dicendo: “Sono Camille. Prima andavo a Beauxbatons, in Francia, ma quest’anno andrò a Hogwarts”.
La rossa gliela strinse “Piacere! Io sono…”
“Ginny Weasley!” Un gruppetto di ragazzine del secondo e terzo anno le si strinsero intorno, cercando di abbracciarla. Chiacchieravano tutte insieme, contente di vederla. Ginny non riusciva a contenerle. Salutò tutte con affetto e rispose a tutte le loro domande, chiese loro delle famiglie e di quello che si ricordava ma poi, prima che potesse capacitarsene, loro erano già scappate a vedere i Filtri d’Amore e i Sogni a Occhi Aperti.
“Ginny, giusto?” La ragazza francese sorrise.
“Sì. Ma non farti ingannare, non sono io a essere famosa…”
Hermione arrivò proprio in quel momento “Ginny, hai visto quanti filtri d’amore ha venduto George? Spero che a scuola… Oh, scusami, non avevo visto che parlavi con qualcuno. Ciao, io sono Hermione” disse, scorgendo la ragazza in quel momento “Io sono Camille”.
Ginny si voltò verso uno degli scaffali del negozio, per vedere se erano davvero tanti i filtri d’amore che mancavano, ma il suo sguardo si fermò alla vetrina, vedendo Harry sul marciapiede appena fuori dal negozio. Ginny si scordò delle due ragazze accanto a lei, che avevano iniziato a parlare e non si accorse neanche della ragazza che parlava con Harry, concentrata a guardare il suo ragazzo.
Quel pensiero le faceva sorridere gli occhi e il cuore. Harry si era proprio dichiarato il suo ragazzo, due settimane prima, il giorno del suo compleanno. Lui era stato così carino, le aveva organizzato a sorpresa una romantica cenetta al civico 12 di Grimmauld Place, (ma loro non avrebbero MAI detto a Hermione che era stato Kreacher a cucinare) e poi avevano concluso la serata facendo l’amore davanti al camino. Ancora le si imporporavano le guance a pensarci. Lui era stato così tenero e lei era stata così bene….
“Con chi sta parlando Harry?” Ron era arrivato in quel momento a svegliarla dal suo personale sogno a occhi aperti “ È proprio una gran…”
Il tono del rosso cambiò quando intercettò lo sguardo accusatore di Hermione “Ehm, bella ragazza…” Tutte e tre le ragazze guardarono Ron e poi tutte e tre guardarono Harry fuori dalla vetrina.

 

Hermione, ancora seccata per il linguaggio di Ron, disse “Non sono sicura… Sembra…”
“È la Parkinson” concluse per lei Ginny.
“Sembra davvero lei,” disse George, che si era avvicinato a loro, con in mano uno scatolone “ma sembra diversa”.
“È cambiata. Sembra…” iniziò Hermione.
“Molto carina” concluse Ron.

 

Ginny si voltò verso di loro. A lei non sembrava cambiata. Non era sempre stata così, la Parkinson? Carina abbastanza e già l’anno prima aveva smesso di avere in viso quella smorfia da carlino. Ma poi si ricordò che Ron, Hermione e George non erano a Hogwarts, l’anno prima. Loro non l’avevano vista. Ron e Hermione erano arrivati dopo che lei era uscita da scuola insieme agli alunni più piccoli e agli altri Serpeverde. E dopo aver proposto di dare Harry (il suo Harry!) in pasto a Voldemort, naturalmente.
“Non mi sembra cambiata” sostenne alla fine.

 

“Sapete cosa c’è? Sembra più carina soltanto perché sta sorridendo, invece di ghignare. Non mi ricordo di averla mai vista sorridere” constatò George, sincero. Si voltò verso delle ragazzine che chiedevano a gran voce altri Filtri d’amore e se ne andò.

 

Ginny guardò ancora la Parkinson. Però era vero. Era molto carina. Ma disse solamente: “Ha delle scarpe bellissime”, che, per inciso, era vero.
Quella ragazza aveva sempre delle belle scarpe e doveva averne una quantità indescrivibile. Forse capitava così, a essere ricchi. Un po’ si vergognò per quel pensiero, e si scoprì quasi invidiosa.
L’importante, carina o non carina, era che stesse lontano da Harry.
“Ha anche delle belle gambe” Ron non la stava aiutando per niente. Sbuffò girandosi verso di lui e dirigendosi verso l’uscita del negozio, non calcolando più nessuno.

 

“Certo che potevi stare zitto” Hermione lo rimproverò.
“Perché? Che ho detto?” Ron era confuso. Hermione sospirò.

 

“Niente. Perché non eri con Harry? E dov’è Camille?” chiese, guardandosi intorno. La ragazza non c’era più. Forse l’avevano annoiata con i loro discorsi e lei se l’era filata.

 

“Chi?” Ron come al solito si sentiva incompreso.

***

 -

Quando Ginny uscì dal negozio, Harry era solo.
“Cosa voleva la Parkinson?” Cercò di mantenere un tono neutro, ma dentro si sentiva malissimo. Aveva notato anche lui quanto fosse carina? L’aveva notato come gli altri? Merlino! Sperava che lui non potesse leggerle in faccia quello che pensava.
“L’ho fermata io” disse invece.
“Oh…” Questo non se lo aspettava.
“Sai, l’ultima volta che l’ho vista, al Ministero, lei… non stava molto bene…” Harry parlava sottovoce.
“Oh?” Ginny sperava di riuscire anche a dire qualcosa di diverso, ma proprio non ce la faceva.
Lui continuò: “Beh, sai… il processo dei suoi genitori…”
Adesso Ginny aveva capito! Harry aveva fermato la Parkinson, la strega che voleva vederlo morto, per chiederle come stava. Era strano. Ma era da Harry. Come era stata stupida. Così sorrise.
“L’hai vista il giorno del processo?” Harry annuì, prendendole la mano.
“Sì. Abbiamo scambiato due chiacchiere. A dir la verità si è scusata con me, quel giorno” Ginny era sorpresa.
“Davvero? Si è scusata per quello che ha detto a Hogwarts?”
“Già.”
Per un po’ non disse niente, poi riprese, per spiegarsi meglio: “È stato un brutto processo. Mi chiedevo soltanto se andasse tutto bene. Sai… sì insomma…” Harry non disse nient’altro. Ginny sapeva che non avrebbe detto nient’altro.  Ma nient’altro doveva dire.
La rossa gli prese il viso fra le mani e lo baciò.

 

“Ehi, voi due! Smettetela immediatamente!!!” Ron arrivò seguito da Hermione. I due ragazzi si allontanarono senza fretta.
“Perché non la pianti con questa sceneggiata? Se non la smetti ti lancio una fattura Orcovolante!” Ginny sbuffò infastidita rivolta al fratello.
“Ti sei ripresa subito, eh? Non eri preoccupata che la Parkinson ti portasse via il fidanzato?” disse il fratello ghignando. 
A sentir quelle parole Ginny divenne del colore dei suoi capelli e fece scattare la mano alla bacchetta gridando:“Chiudi quella boccaccia, brutto…”, quando Harry le fermò la mano e la guardò sorpreso.
 “Sei gelosa?”

 

La giovane strega si sentì piccola piccola guardando Harry e veramente infuriata pensando a Ron. Per fortuna il moro era quello meno impulsivo dei due e intrecciando le dita con le sue le disse ancora, sottovoce: “Non devi essere gelosa. Mai. Nessuna è come te. Per me ci sei solo tu. Mi hai capito?”
L’unica cosa che riuscì a fare fu annuire, ma non riuscì a dire niente. Così Harry le accarezzò una guancia e le passò il pollice sulle labbra. Mancava poco e si sarebbe commossa. Annuì ancora. Lui posò lentamente le labbra sulle sue.

 

Hermione li guardava con tenerezza, mentre Ron, al suo fianco, borbottava e sbuffava peggio dell’Espresso di Hogwarts.
“Dai, Ron, andiamo al Ghirigoro. Devo ancora comprare quasi tutti i libri” E così dicendo lo prese per un braccio e lo trascinò via.
Mentre camminavano lungo il marciapiede Hermione si guardò intorno. Chissà se con la Parkinson era venuto a Diagon Alley anche Malfoy….
Come si rese conto di quello che aveva pensato, si bloccò di colpo, tanto che Ron, che non se lo aspettava, fece un altro passo in avanti prima di fermarsi e rimase con un braccio alzato verso di lei. “Che succede?” chiese, serio, guardandola in viso.

 

Hermione aveva un’espressione strana e a lui non piaceva. “Niente niente. Mi sono scordata la lista dei libri a casa. Tu hai con te la tua?”
Ron annuì sollevato. Quella ragazza prendeva la scuola troppo sul serio. Davvero. Per un attimo si immaginò ancora a Hogwarts in biblioteca mentre cercava la maniera per finire qualche compito impossibile.
Perché aveva accettato la richiesta di sua madre di tornare a scuola? Non era ora che iniziasse a far valere le sue opinioni? Era vero che gli sarebbe piaciuto diventare Auror, però mica era l’unica scelta. O no? Aveva appena scambiato due parole con George, e gli aveva dato qualche buon suggerimento che il fratello aveva apprezzato. (A dir la verità, aveva buttato lì qualche osservazione, era stato George a ricamarci sopra e a dire che era un genio sorridendo, quindi chi era lui per dire che non aveva fatto un buon lavoro?)
Non gli sarebbe dispiaciuto occuparsi degli scherzi per il negozio. Forse faceva ancora in tempo a cambiare idea….

 

I due ragazzi camminavano vicini, sottobraccio, ma lontanissimi con i pensieri. Hermione cercava di controllarsi ogni volta che vedeva una testa bionda e Ron discuteva silenziosamente con se stesso su come fare per non tornare a Hogwarts. Persero la battaglia tutti e due.

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Capitolo 5
*** Partenza e arrivo ***


     Partenza e arrivo

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Il binario 9 e ¾ era gremito di gente. Di famiglie, di carrelli, di bauli, di gabbie di gufi e civette e soprattutto di tanti, tanti alunni.

 

“Ma sbaglio o c’è più gente?” Ron era infastidito dalla confusione. Dai mocciosi, specialmente. Tutti passavano accanto a loro bisbigliando e indicandoli con il dito. Più volte. Agli altri non importava, loro neanche ci facevano caso. A lui dava fastidio. Un sacco. 
“Considera che c’è un’annata in più. Vorrà dire circa 40 o 50 studenti in più degli altri anni.”
Hermione, da brava maestrina, sapeva sempre tutto. Non doveva tornare a scuola. Lo sapeva. Sbuffò guardandosi intorno.

 

“Hermione, dici che sono tornati tutti? Quelli del vostro anno, intendo.”
Ginny cercava Luna e Neville fra la folla, in piedi sul suo baule. “Non saprei. Dimmelo, tu. Da lì in alto sicuramente vedi tutto. E tutti”.
Hermione rispose sorridendo. Era proprio contenta di essere tornata. Non vedeva l’ora. La scuola era facile da gestire. Bastava studiare, fare i compiti e rispondere alle domande che venivano poste. Estremamente facile.
“Eccoli!” La rossa iniziò a sbracciarsi e chiamare a gran voce i suoi amici per farsi vedere e praticamente tutte le persone sul binario si girarono verso di lei. Senza preoccuparsi del fatto che stesse dando spettacolo, saltò giù con un balzo e corse ad abbracciare Luna.
“Luna! Neville! Quanto mi siete mancati!” Dall’anno prima la loro amicizia si era rafforzata parecchio, a causa del regime scolastico a cui erano stati sottoposti. A maggio avevano aiutato nella ricostruzione della scuola insieme, ma durante l’estate si erano visti poco. Ginny aveva mandato loro decine di gufi, il povero Leotordo aveva lavorato tantissimo.
Le ragazze e Neville si avvicinarono ai tre ragazzi facendosi largo tra la folla. “Ragazzi, come va?” Neville, sempre di poche parole, salutò tutti.

 

I signori Weasley, che avevano insistito per accompagnare i ragazzi anche se loro sostenevano che non ce ne fosse bisogno, salutarono Luna e Neville. Anche loro erano contenti di vederli.
“Oh, caro come sei diventato alto!” disse Molly abbracciando Neville, che era imbarazzato all’inverosimile. Non sapeva mai come comportarsi con le mamme degli altri.

 

“Cerchiamo un posto? Se siamo davvero tanti, sarà difficile trovare uno scompartimento vuoto” Harry decise di venire in aiuto di Neville.
Visto che si avvicinavano le 11, i ragazzi salutarono i Weasley e iniziarono a salire sul treno in fila indiana, uno alla volta.

 

Ron rimase per ultimo e, dopo aver caricato il baule, quando stette per salire qualcuno gli tirò la stoffa della maglietta. Si girò (sbuffando) ma non vide nessuno. Però la sua maglia venne tirata ancora. Guardò in basso e vide un bambino piccolo, più piccolo di un primino, che cercava di attirare la sua attenzione. Si chinò appoggiando le mani sulle ginocchia, per essere alla sua altezza.
“Ciao piccolo, ti sei perso?” Il bambino, con i capelli rossi come i suoi, con gli occhi luminosi e migliaia di lentiggini (molto più di lui, constatò), gli sorrideva (e gli mancavano due denti davanti).
Il piccolo ignorò la sua domanda e gli chiese: “Tu sei Ronald Weasley, vero?”
Ron spalancò gli occhi dalla sorpresa. Tutti sapevano chi erano loro tre: lui, Harry e Hermione, ma di solito erano gli altri due a essere fermati dalle persone, non lui. Un po’ la cosa gli fece piacere. Era un’enorme seccatura quando da tutte le parti la gente ti indicava e parlottava di te o ti fermavano per strada duemila volte, ma non era mai successo che un bambino fermasse lui.
Il piccolo, che non era per niente timido, disse ancora: “Tu hai salvato il mondo magico, insieme a Harry Potter e Hermione Granger”.
Non era una domanda e infatti continuò: “I miei amici mi prendono in giro perché ho i capelli rossi, ma io dico che quando sarò grande sarò come te e loro smettono”. Il bimbo si passò una mano fra i capelli e il suo sorriso si allargò ulteriormente.
Ron era imbarazzato. Cosa si dice in queste circostanze? A lui nessuno faceva mai complimenti, non era mica abituato… “Io… Io… Sai cosa ti dico? L’importante non è come si è, ma quello che si fa. E poi, gli altri non capiscono niente, i tuoi capelli sono bellissimi!!!”
Gli mise una mano sulla testa, come aveva visto fare sua mamma con i bambini piccoli e sperò di averlo fatto bene. Il bambino in quel momento aveva spalancato la bocca e lui poteva benissimo vedere i pochi denti che aveva, ma vederlo così contento gli fece bene dentro, all’altezza del petto. Sorrise ancora rialzandosi e il bambino scappò via.
Ron rimase un attimo fermo, ancora imbarazzato e contento come la mattina di Natale. Forse aveva fatto bene a decidere di venire. Chissà forse sarebbe stato un buon anno.
Si guardò intorno un attimo con un gran sorriso e vide una ragazza che lo guardava in modo strano poco più in là: la Parkinson.
Quando lei si rese conto che lui l’aveva vista, alzò un sopracciglio e disse ad alta voce nella sua direzione: “Non ti starai montando la testa, eh Weasley?” e sul suo viso comparve il ghigno che aveva imparato da Malfoy.
Ron sentì le orecchie scaldarsi e si girò di scatto per salire sul treno. Non gli era venuto in mente niente da ribattere. Per Godric!

 -

***

Era più di un’ora che Camille fingeva di leggere la stessa pagina di quel libro. Era più di un’ora che era rimasta sola nello scompartimento. Sua sorella aveva detto che aveva un compito da svolgere e che sarebbe tornata al più presto, ma non l’aveva più rivista.
A un tratto, un gruppetto di ragazze aprirono lo sportello chiedendo se i posti erano liberi. Lei annuì con il capo senza dire niente e loro entrarono e si sedettero. Erano in quattro quindi non la calcolarono più di tanto.
Una delle ragazze si girò verso di lei una o due volte sorridendo e lei ricambiò ma non riuscì a dirle niente. Ascoltò tutto quello che si dissero, anche perché loro parlavano a briglia sciolta come se lei non fosse stata neanche lì.
“Astoria, come è andata la tua estate? È vero che siete andati in Italia?” La ragazza che le aveva sorriso, si girò verso le altre e raccontò: “Sì, siamo partiti subito dopo gli esami. Mamma voleva cambiare aria…” E piegò indice e medio di tutte e due le mani per disegnare le virgolette “Daphne non è stata contenta. Si è lamentata tutto il tempo che voleva tornare dai suoi amici. Invece a me è piaciuto molto. Abbiamo soggiornato in un’abitazione proprio sulla spiaggia, nel sud dell’Italia. Il mare era bellissimo e l’acqua molto più calda di quella che c’è qui sulle nostre spiagge!”
Le altre le fecero un sacco di domande, a cui la poveretta rispondeva sempre con tono più basso, come se preferisse cambiare discorso. Non doveva essere una di quelle persone a cui piaceva essere al centro dell’attenzione.
Poi una delle altre le chiese: “È vero che tua sorella e Pansy Parkinson hanno litigato e non si parlano più?”
Astoria avvampò e disse sottovoce: “Io non…”
Un’altra intervenne: “Io sapevo che hanno litigato per colpa di un ragazzo, è vero?”
La ragazza non rispose così la prima riprese: “Sembra che Pansy si sia messa con Blaise Zabini e Daphne non era per niente contenta. O no?”
Astoria, Camille lo vedeva benissimo anche senza conoscerla, si stava innervosendo. Si alzò in piedi dicendo che sarebbe andata in bagno a mettersi la divisa. Camille non si fece scappare l’occasione e si alzò seguendola nel corridoio del vagone. Però la ragazza scappò via velocemente e si ritrovò da sola, fuori dallo scompartimento.
Decise di girovagare e di non tornare più nel vagone di quelle pettegole, almeno finché non avesse trovato sua sorella.
Non le sembrava il caso di tornare nella tana di quei draghi. Almeno non da sola.

***

 -

La carrozza dei prefetti era piena. Infatti c’erano ben otto prefetti in più quell’anno. Ron era contento. Significava meno ronde di pattugliamento e meno lavoro.
Già ci avevano messo un tempo infinito per mettersi d’accordo per la prima riunione e istruire i nuovi prefetti, così lasciarono il compito del controllo dei corridoi ai novellini e quelli del sesto anno.
Ron e Hermione decisero di tornare nello scompartimento con Harry e gli altri e si avviarono verso la loro carrozza quando si scontrarono con la Parkinson e Malfoy nello stretto corridoio che separava i vagoni.
“Oh, Malfoy, quest’anno ci fai il piacere di farti vedere! Che dici, farai la tua parte? O lascerai fare tutto agli altri come l’ultima volta?”
Ron era nervoso. Avrebbe preferito che i Serpeverde non potessero tornare a scuola, quell’anno. E anche quello dopo. O per sempre.

 

“Ronald!” Hermione spalancò gli occhi scandalizzata. Perché Ron aveva detto una cosa del genere? Sapevano tutti cosa era successo l’ultimo anno che avevano frequentato (ossia due anni prima). Non era il caso di rivangare vecchie storie.
“Sì, Ronald, la mammina non ti ha insegnato le buone maniere? Non si parla così alle persone. O la tua è solo paura di non essere capace di fare il tuo lavoro da solo?”

 

Malfoy alzò un sopracciglio così come gli riusciva sempre così bene (pensò Hermione) e scimmiottò il nome di Weasley per imitare Hermione (pensò Pansy).

 

La Parkinson scosse la testa mentre Ron rispondeva a Malfoy che non lo aveva mai considerato una persona e che doveva tenere fuori dal discorso sua madre, se non voleva essere schiantato sul momento. Malfoy ridacchiando sostenne che nel tempo in cui Ron fosse riuscito a estrarre la bacchetta e pronunciare decentemente un qualunque incantesimo, lui sarebbe riuscito a completare una pozione polisucco.
Poi Ron imprecò e Malfoy cercò di alzare la voce più di lui con un’offesa a certi suoi vecchi antenati. Poi qualcuno disse che….
La Parkinson, che scuoteva ancora la testa, estrasse la bacchetta e disse senza alzare troppo la voce: “Silencio”, agitando la bacchetta nella loro direzione.
I ragazzi continuarono a insultarsi senza emettere alcun suono. “Siete due idioti. Io ho altro da fare”. E detto questo, salutò Hermione con un cenno del capo, si girò e se ne andò.
Hermione la guardò andare via. Merlino. A lei non era venuto in mente. Guardò i due ragazzi e la scena era così buffa che scoppiò a ridere.
Nessuno di loro riuscì a fare il contro incantesimo in maniera non verbale. Si girarono verso di lei con due sguardi affilati e incattiviti, ma lei non riusciva a di smettere di ridere.
“Per Godric…. Scusate… Non riesco…. A smettere…. Di…” Dovette prendere fiato almeno due volte prima di ristabilirsi e anche così non riusciva a pronunciare il contro incantesimo. Le era andato in pappa il cervello.
Appena pensò quella frase, ricominciò a ridere. Al che Ron e Malfoy si guardarono straniti.
“Scusate scusate…” Solo dopo qualche minuto  (ma secondo Ron furono molti di più) riuscì a far tornare la voce ai ragazzi.
“Dovreste allenarvi un po’ di più negli incantesimi non verbali. Ma devo dire che ho apprezzato tantissimo. Fai i miei complimenti alla Parkinson, Malfoy.”
Il biondo platinato ghignò mentre si aggiustava la spilla da prefetto e disse: “Oh, glieli farò stanotte. Magari dopo averla sculacciata per punirla”.
Strizzò un occhio nella sua direzione e se ne andò anche lui. Hermione aveva una faccia strana, come se avesse ingoiato un Doxy (almeno così pensò Ron, lui per fortuna non ne aveva mai ingoiato uno).
“Hermione, sarà meglio andare. Ci aspettano…” La strega annuì distrattamente, facendo strada.

 

Erano quasi arrivati allo scompartimento dei loro amici quando Ron disse sottovoce: “Non riesco a togliermi dalla mente Malfoy che sculaccia la Parkinson…”
Voleva dirla come se fosse stata una battuta divertente, molto divertente, e invece, notò, sembrava un annuncio mortuario.

 

“Già” Rispose lei. Anche Hermione non riusciva a non pensarci.

***

 -

Il castello apparve in tutto il suo splendore, nelle luci notturne, man mano che le carrozze procedevano per la strada. Quasi tutti i ragazzi più grandi potevano vedere i Testral trainare le carrozze, ormai. Aver combattuto la guerra magica e aver visto tante persone morire aveva dato loro questa opportunità, anche se ne avrebbero fatto volentieri a meno.

 

Camille, che non vedeva i Testral, fu affascinata da tutto quello che poteva vedere. Non era mai stata a Hogwarts.
A dir la verità aveva visto poco della Gran Bretagna. Giusto la casa dei suoi genitori, e i posti dove andavano in vacanza. Per il resto aveva vissuto gran parte della sua vita in Francia. E questa volta non sarebbe tornata dopo tre mesi di vacanza.
Questa volta non sarebbe tornata più, probabilmente. Sua sorella era venuta a prenderla tre settimane prima, aveva avuto una lunga e accesa discussione con i suoi nonni, i suoi amatissimi nonni, e l’aveva portata via. Di corsa, in Inghilterra. E lei era riuscita a malapena ad avvertire i suoi amici. Aveva in tasca la lettera che le aveva scritto Justine, la sua migliore amica, e voleva risponderle al più presto.
Non voleva venire in Inghilterra, né a Hogwarts, se è per questo. Voleva rimanere in Francia. Poteva rimanere dai nonni. Loro non avrebbero detto di no. E invece…. Adesso era qui. E il posto era bello.
Merlino, se era bello. Il soffitto della sala grande sembrava un cielo. Migliaia di stelle brillavano nel buio ed era uno spettacolo favoloso. Glielo aveva detto, sua sorella, ma lei non aveva voluto crederci. Anche se tutto era bello, ce l’aveva ancora con lei.
Così, mentre sfilava per la sala in mezzo ai lunghi tavoli (erano quattro, due per lato e quattro come le case dei fondatori, le aveva detto anche questo, lei) insieme a degli studenti di undici anni, decise di non guardare nella sua direzione, per farle un dispetto, anche se aveva notato che lei cercava di attirare la sua attenzione con lo sguardo.
Guardò gli altri tavoli e, in quello vicino al muro in fondo riconobbe le ragazze che aveva visto quando era andata a comprare i libri per la scuola (e non aveva potuto comprare la puffola pigmea perché sua sorella non aveva voluto) e quando loro la videro, la ragazza rossa la chiamò per nome e tutte e due la salutarono con la mano.

 

Quando fu il suo turno di sedersi sullo sgabello e indossare quel lurido cappello che decideva in quale casa metterla, (aveva anche cantato una canzoncina, il lurido cappello, ma lei non aveva capito le prime frasi e così non aveva ascoltato neanche il resto) non avrebbe saputo cosa sperare. La casa delle ragazze simpatiche? Com’è che si chiamavano? Ginny e Hermione, forse? O la casa di sua sorella?
Guardò nella sua direzione, per la prima volta da quando era entrata, ma vide che guardava qualcuno e non proprio con uno sguardo amichevole.
Sembrava l’ultimo sguardo che aveva rivolto a nonno Lemaire, giusto prima di dire ‘Noi ce ne andiamo’, quando l’aveva vista arrivare nella stanza. Una gran brutta faccia.
Chissà se era possibile andarsene da lì per tornare in Francia… Anche di nascosto… Forse scappare era l’idea migliore, effettivamente. Come quel pensiero prese volume nella sua testa, il suo sorriso si allargò sul viso e, subito dopo il cappello gracchiò la parola ‘Serpeverde’.
Lei neanche se ne rese conto, ma tutto il tavolo della casa dei Serpeverde, alla sua destra, batté le mani e si alzò, facendole spazio per invitarla a sedersi. Si alzò dallo sgabello e con pochi passi raggiunse il tavolo.
Vide sua sorella farle cenno di sedersi vicino a lei, ma Camille la ignorò e si sedette vicino a un ragazzo dai ricci castani e gli occhi azzurrissimi, che le sorrideva.
Sarà stata anche una Serpeverde come lei, ma non avrebbe dovuto far sapere a tutti che era sua sorella, no?

 

Ginny vide Camille che avanzava nella fila dei primini verso lo sgabello su cui era appoggiato il cappello parlante e le fece un cenno con la mano, che la ragazza ricambiò.
“Com’è alta quella lì…” Ron, che non vedeva l’ora che si potesse cenare, aveva fame e iniziava a ravagliare.
Ginny si girò e gli disse: “Come sei ottuso. Mica è del primo anno. Viene da Beauxbatons”.

Ron sbuffò. Cosa pensava che gliene importasse a lui di quella francese?

 

Hermione, che stava guardando il tavolo dei Serpeverde (solo per controllare chi era tornato a scuola e chi no!!) notò che Malfoy, di cui vedeva solo la schiena, era seduto in fondo alla panca, vicino al corridoio e che nell’unico posto di fianco a lui, c’era Zabini. Vicino a quest’ultimo era seduta la Parkinson.
Forse Malfoy era ancora arrabbiato con lei e non si erano seduti vicini. Ma poi notò che Zabini portò la mano, che era appoggiata sul tavolo, sulla panca a coprire quella della ragazza. Lei sussultò come se non se l’aspettasse e si girò verso di lui.
Il ragazzo si chinò quel tanto che bastava per avvicinarsi al suo orecchio e le sussurrò qualcosa, mentre lei annuiva.
Hermione sorrise. Se anche qualcuno avesse sculacciato la Parkinson quella notte, di sicuro non sarebbe stato Malfoy. Ma a lei cosa importava? Si sforzò di portare l’attenzione sui ragazzini che venivano smistati e cercare di ricordarsi qualche nome e qualche faccia di quelli che erano stati scelti come Grifondoro. Come avrebbe fatto a essere un bravo prefetto se non sapeva neanche chi erano i suoi protetti? Doveva prestare più attenzione.
Quando finì la cena, da bravo prefetto, radunò tutti i nuovi alunni nella sala d’Ingresso e spiegò loro che dovevano seguirla per raggiungere la torre dei Grifondoro, quindi la sala comune, quindi i dormitori. Spiegò loro delle scale, che cambiavano direzione ogni volta che ne avessero avuto voglia e del quadro della signora grassa. (per fortuna era stato ritrovato. Avevano avuto paura di averli persi per sempre, il quadro e la signora grassa).
Ron, di fianco a lei, sbuffò. “Ma perché dobbiamo farlo noi? Non puoi lasciarlo fare agli altri prefetti?”
Hermione, seccata, gli rispose: “Era meglio se lo avessi chiesto a quelli del quinto anno, sono molto più volenterosi di te!”
“Perché è il primo anno che lo fanno. Nonna Weasley diceva sempre: ‘Scopa nuova vola sempre bene’. Aspetta qualche mese e ne riparliamo!”
Hermione sospirò. Era stanca, voleva fare un buon lavoro e nel minor tempo possibile.

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Capitolo 6
*** Nei corridoi di Hogwarts ***


     Nei corridoi di Hogwats

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La prima riunione dei prefetti fu praticamente organizzata per decidere i turni dei pattugliamenti. Come aveva previsto Ron, essendo più prefetti, c’erano meno ronde da fare e quindi, più giorni liberi. Quello che invece Ron non aveva previsto, era di essere affiancato a Elinor Simmons, quinto anno Tassorosso che, come aveva detto Hermione, era smaniosa di mettersi all’opera.

 

Ron e la Simmons avevano percorso solo metà del piano che avrebbero dovuto controllare e lei non era ancora stata zitta. Aveva raccontato delle sue vacanze, delle sue amiche, delle lezioni che aveva iniziato a seguire, dei G.U.F.O. e… e poi Ron non sapeva di cos’altro stesse parlando, perché aveva smesso di ascoltarla.
La scuola era iniziata da solo una decina di giorni e lui già non ne poteva più. Non le prestò più molte attenzioni, finché lei non si fermò improvvisamente in mezzo al corridoio, con le braccia incrociate e battendo un piede per terra.
Ron si voltò verso di lei sospirando e le chiese: “Cosa c’è adesso? Dai, controlliamo le ultime aule, così possiamo tornarcene ognuno nella propria sala comune”.
Non vedeva l’ora di raggiungere Harry e Ginny per controllare cosa stessero facendo. La Simmons però era di un altro avviso.
“Non mi stavi ascoltando!” Ron balbettò qualcosa, preso alla sprovvista. Com’erano complicate le ragazze!
“Ok, è vero. Scusami. Ma sono stanco e vorrei finire al più presto.”
Il viso della ragazza si rabbuiò un po’. “Quindi non vuoi stare un po’ con me e raccontarmi qualcosa anche tu?”
“E di cosa dovrei parlarti?”
La Simmons alzò le spalle. “Non so… di come è stato sconfiggere Tu-sai-chi… o distruggere uno di quei cosi dell’anima…”
Ron aggrottò le sopracciglie. “Dici gli Horcrux?”
La ragazza si animò “Sì! So che ne hai distrutto uno! Dev’essere stato eccitante!”
Gli Horcrux erano una cosa seria, non un aneddoto divertente da raccontare in giro. Ron si chiese come avesse fatto quella ragazza a diventare prefetto. Non sembrava essere né particolarmente studiosa né intelligente. Poi, sulle scale sentì la voce di altri due prefetti che discutevano di qualcosa. Le loro voci erano sempre più vicine, così immaginò che si stessero avvicinando. Riconobbe la voce di Anthony Goldstein e della Parkinson. Beh, se c’era riuscita la Parkinson a diventare prefetto, poteva riuscirci chiunque.
Spinse la ragazza in una delle aule vuote per evitare di incontrarli e intanto le disse: “Non mi piace parlare di quello che è successo. E penso che gli Horcrux siano un argomento proibito qui a Hogwarts”.
La ragazza si guardò intorno e sorrise, dicendo: “Perché mi hai portato qui?”
Ron controllò l’aula, che non aveva niente di strano, e, non potendo dire che non voleva incontrare gli altri prefetti, scrollò le spalle dicendo: “Bo. Non lo so”.
La ragazza sorrise e gli si avvicinò di più “Ci sono altri argomenti proibiti che potremmo affrontare…”
Ron non era molto partecipe al momento “Dici? E quali?”
Quando la ragazza gli si avvicinò di più, avvolgendogli il collo con le braccia,  tirandolo verso di sé e sussurrando sulle sue labbra: “Tipo questo”, prima di baciarlo, Ron aveva capito. Eccome se aveva capito.
Non gli piaceva particolarmente, la Simmons, ma come diceva la nonna ‘Se la puffola ti è stata donata non guardarne il colore’, così ricambiò il suo bacio. Tutti i suoi baci.
Dopo venti minuti Ron aveva capito che la ragazza non aveva freni. Erano sdraiati sulla cattedra e la camicetta di lei non aveva più bottoni. Le aveva messo le mani dappertutto e lei non solo non aveva protestato, ma l’aveva anche aiutato quando si era trovato in difficoltà. Cercò, fra un bacio e l’altro di pensare se fosse o meno una cosa buona ma faticò a ragionare.
Non voleva fare brutta figura, ma non voleva neanche sprecare quell’occasione. Con Hermione non era andata, se non andava neanche con questa si sarebbe consacrato sacerdote. Ma, per un momento, un piccolo momento di lucidità, ragionò. Non sapeva neanche com’era l’Incantesimo per la contraccezione (e chiederle se lo conoscesse lei era seccante) né se lei prendesse la pozione… quindi, sospirò e disse: “Aspetta… se non torniamo nella sala dei prefetti, ci verranno a cercare. Sarebbe meglio non farsi trovare così…”
Gli occhi di lei, quando lo guardarono sembravano liquidi. Ron dovette fare uno sforzo per fermarsi.
“Oh. Giusto” approvò lei. Per fortuna.
“Potremmo fare così…” la sollevò a sedere sul bordo della cattedra, con le gambe a penzoloni, sistemandosi fra di esse e tirandola verso di sé, la baciò continuando: “Adesso torniamo indietro… andiamo alla sala dei prefetti…”
Ogni volta si fermava e la baciava ancora. La ragazza sembrava capire poco, ma annuiva tutte le volte. “E, domani sera, ti prendi il giorno libero, e andiamo nella stanza delle necessità. Organizziamo una cosa fatta bene, cosa dici? Ti piacerebbe avere un bel letto?”
La Simmons continuava ad annuire seguendo poco il suo discorso. “Di che colore ti piacerebbero le lenzuola? Rosa?” disse ancora Ron mentre la faceva scendere. La ragazza si ricompose e con un colpo di bacchetta i bottoni tornarono al loro posto. (Meno male, pensò Ron, visto che lui non era sicuro di quale incantesimo usare).
Uscirono dall’aula, e Ron finì velocemente l’ispezione del corridoio, per poi tornare indietro e andare insieme alla stanza dei prefetti.
Le prese la mano e le sorrise. Anche la ragazza gli sorrise, il suo sguardo era ancora appassionato. Quando entrarono nella stanza dei prefetti, Ron le lasciò la mano, ma così facendo attirò l’attenzione su di loro.
Si guardò intorno. C’erano Goldstein, la Parkinson, la Abbott e un ragazzo del sesto anno. Fece un cenno del capo a tutti e si domandò dove fosse Hermione. Aveva urgentemente bisogno di incontrarla.
Anthony stava scrivendo su una pergamena sul tavolo della stanza e la Parkinson guardò nella loro direzione. Il suo sguardo scivolò su Ron senza quasi vederlo e si fermò sulla ragazza bionda che teneva gli occhi bassi.
“Tutto ok?” chiese Anthony senza alzare la testa dalla piuma.
“Oh, sì!” rispose la Simmons, raddrizzando il capo. Tutti si voltarono verso di lei per l’entusiasmo della sua risposta. Ron schioccò la lingua contrariato e disse: “Sì, sì, niente di strano. Nessuno in giro, tutto al suo posto…”
Poi si voltò verso di lei con uno sguardo di fuoco. Lei mimò ‘Scusa’ con le labbra e sorrise. Ron guardò di nuovo verso gli altri e notò che nessuno prestava più loro attenzione.
Nessuno tranne la Parkinson, che guardava la tassorosso con uno sguardo strano. Poi lo spostò su di lui e i suoi occhi si illuminarono di divertimento. Ron era sicuro che lo stesse prendendo in giro, in quella maniera così… così… ecco, Serpeverdese. Sì, era proprio così. Si stava burlando di lui anche se non aveva detto niente, perché Ron lo sapeva che loro facevano così apposta.
Così con un tono un po’ brusco, augurò la buonanotte a tutti e se ne andò verso la torre dei Grifondoro. Quando arrivò in sala comune non vide Hermione e immaginò che fosse già andata a letto, e allora imboccò le scale per il suo dormitorio.
Fu solo quando si mise a letto che si accorse di non aver detto niente alla Simmons, neanche ‘Buonanotte’. Tirò un pugno al cuscino. Per Godric!

***

 -

Hermione, quando ebbe finito la ronda, si incamminò per la torre dei Grifondoro stanca e arrabbiata. Malfoy non si era presentato per il giro serale e lei aveva dovuto farlo da sola. Non era stato né faticoso né difficile, ma quando si prende un impegno, bisognerebbe mantenerlo. Ecco. Sì, era arrabbiata per quello. Per la mancanza di professionalità di Malfoy.
Stava salendo le scale quando queste decisero di muoversi e cambiare destinazione. Oh, stupendo, la sua strada si era pure allungata. Non era proprio la sua giornata, quella.
Aspettò che le scale si fermassero di nuovo e imboccò quel pianerottolo, cercando di vedere se, facendo il giro, avrebbe potuto prendere un’altra scala.
Uno strano rumore attirò la sua attenzione. Sembrava una bottiglia che rotolava. E un’imprecazione.
Hermione tirò fuori la bacchetta, l’accese con un incantesimo non verbale e si incamminò verso quella voce. Chi aveva controllato quel corridoio? Non avevano guardato bene? Man mano che si avvicinava, la bottiglia continuava a cadere e la voce borbottava sempre di più.
Quando si avvicinò del tutto, vide Malfoy seduto per terra, che muoveva una bottiglia di Firewhisky vuota con la bacchetta, un po’ con qualche incantesimo e un po’ fisicamente spingendo con la punta della bacchetta.
“Malfoy!” Hermione era seccata. Non solo quell’idiota non si era presentato, ma era pure ubriaco in giro per la scuola!
“Ma vuoi farti espellere?” disse la prima cosa che le passò per la testa. Lui alzò quello sguardo gelato su di lei e ghignò.
“Granger, che bella sorpresa, ti unisci a me?” e allungò nella sua direzione un’altra bottiglia, questa però piena per metà. Hermione scosse la testa, puntò la bacchetta verso le due bottiglie e disse: “Evanesco”.
Le bottiglie sparirono e Malfoy fece un smorfia che deformò il suo viso.
“No! Perché?” Hermione sbuffò.
“Perché sei abbastanza ubriaco. Forza, andiamo, ti accompagno ai sotterranei.”
“Io non faccio niente.”
“Oh, invece lo farai.”
“E perché dovrei?”  Quel ragazzo parlava troppo.

 

“Perché me lo devi. Mi hai lasciato da sola a fare la ronda. Non è stato professionale. E ora ti ritrovo qui ubriaco!” Draco alzò di scatto la testa, pentendosi subito per quel gesto.

 

“Cosa dici? Ho cambiato il turno con Ernie Macmillan.”
Hermione abbassò la bacchetta sorpresa
“Oh. Ernie è in infermeria. Gli è venuta l’influenza…” Forse… forse… non era stata colpa sua. Ma allora…
“Perché hai cambiato il turno?” Malfoy sbuffò.
“Ma non hai niente da fare? Perché non vai a letto?”
“Perché lo hai fatto?”
“Non sono affari tuoi, Granger. Magari pensavo che fare la ronda con te sarebbe stato noioso!” Dal suo tono però, tutti e due sapevano che stava mentendo.
“E perché , Merlino, hai bevuto?” Hermione si sedette per terra vicino a lui.
“Cosa fai?”
“Mi siedo vicino a te.”
“Perché?” Hermione sorrise.
“Perché mi va. Perché hai bevuto?”insistette lei.
Malfoy fece una smorfia. “Non c’è un motivo”.
“Quando ci si scola una bottiglia di Firewhisky da soli, c’è un motivo. E tu ne avevi due.”
“Non c’è un motivo” insistette lui.
“Ok.”

 

Draco la guardò meravigliato che avesse lasciato perdere. Un po’ anche deluso. Così disse la prima cosa che gli venne in mente: “La Parkinson non viene più a letto con me. Ho bevuto per questo”.
Il ragazzo si diede dell’idiota da solo. Aveva detto una cazzata e lei, che non era stupida, avrebbe capito che stava mentendo.
“Mi spiace…” disse infatti lei, con tono piatto.
“Non dire che ti dispiace, quando non è vero!”

 

La riccia sentì il calore coprirle le guance, così spostò la bacchetta in maniera che lui non potesse vederlo.
“Non dire che hai bevuto per la Parkinson, perché non è vero” disse, sperando che lui non si accorgesse di aver ignorato il suo commento.

 

Draco ridacchiò ancora. Come se ne rese conto, decise di non bere più così tanto. Non riusciva a darsi un freno. “Hai ragione. Hai consigli da darmi?”
Ridacchiò ancora. Oh, Merlino.

 

Hermione sbuffò. Che conversazione stupida! “Consigli? Per cosa? Se lei non vuole fare niente con te, trovatene un’altra!”
Scrollò le spalle.  Malfoy si girò a guardarla e sussurrò: “Ti stai offrendo tu?” e le accarezzò una guancia con una delicatezza che fece scorrere diversi brividi sulla schiena di Hermione.
Lei si alzò in piedi, mezza sconvolta. Aveva gli occhi spalancati e disse:“Ma cosa…” Lui la guardò con gli occhi tristi, ma si riprese subito e un ghigno ricomparve sul suo viso. “Calmati, Granger. Non parlavo sul serio. Dovresti saperlo…”
Rimasero in silenzio per qualche minuto. “Come hai fatto a non farti vedere dai prefetti della ronda?” Era veramente curiosa.
“Oh, guarda, una ronda molto accurata…” disse ironico “È passato solo Lenticchia e l’ha fatto quasi di corsa. Penso non abbia neanche guardato in questa direzione…”
“Ron?”
“Conosci altri Lenticchia?” Avrebbe dovuto parlare con Ronald, il giorno dopo. Non era stato professionale.

 

“Posso chiederti una cosa?” Draco aveva dovuto convincersi a parlare, ma il fatto di aver bevuto un po’ di più lo aiutava con i suoi limiti.

 

La strega sospirò. “Va bene, ma poi ti accompagno nei sotterranei, ok?”
Lui annuì ma poi rimase in silenzio, come se non riuscisse a parlare e, quando alla fine lo fece, Hermione pensava che non lo avrebbe più fatto. Alzò lo sguardo verso di lei. Aveva uno sguardo strano, pensò Hermione.
“Il tuo braccio…. ti dà… fastidio?” Lei si irrigidì e lui dovette accorgersene perché non disse niente, guardandola fisso.
Malfoy era lì, quando Bellatrix aveva usato la bacchetta su di lei, anche se, tra il dolore della Cruciatus, lo stordimento, la paura e il resto, non si era resa conto che avesse assistito anche alla beffa della scritta sull’avambraccio.
Prese tempo e decise quali parole usare: “Beh, non è proprio il tatuaggio che avrei scelto...” Si guardò intorno, per non incontrare i suoi occhi.
“Oh, smettila. Non intendevo quello!”
Lo sguardo di Malfoy era serio, serio come non l’aveva mai visto. Velocemente lui si alzò in piedi. Si fermò un attimo chiudendo gli occhi e Hermione ebbe paura che potesse stare male.
Aspettò, pronta ad aiutarlo, ma non ce ne fu bisogno.

 

Quando Draco riaprì gli occhi, lei era ancora davanti a lui. Sentiva la testa girare e un principio di nausea, forse per lo sforzo, forse per il momento o forse per quello che stava per dirle.
“Dolore. Incubi. Dolore. Formicolii. Dolore. Paura. Dolore…” Vergogna. L’ultima parola si rese conto di non aver avuto il coraggio di dirla ad alta voce.

 

Malfoy parlava per esperienza, Hermione lo intuì senza saperlo. Possibile che sapesse?
Poi capì. Abbassò gli occhi sul suo avambraccio. Non poteva vedere il marchio nero, il segno dei mangiamorte, perché lui aveva il maglione della divisa, e comunque, come lei con la sua cicatrice, lo teneva sempre coperto. Quando riportò gli occhi al suo viso, seppe che lui sapeva. Che lui provava le stesse cose.
Ma lei non voleva condividere quella cosa con lui. L’aveva fatto con Ginny, ma con Malfoy proprio no. Lui ne avrebbe approfittato la prossima volta che ce ne sarebbe stata l’occasione. E lei non poteva permetterselo. Era una debolezza che doveva sconfiggere, prima di scoprirsi troppo con gli altri. Già quella breve discussione le intontiva la testa e fra poco avrebbe lacerato tutto. Il braccio iniziò a intorpidirsi, e senza che lo avesse toccato.
Forse avrebbe dovuto stare lontano da lui.

 

“Io… devo andare…” Draco non tentò di fermarla quando gli passò vicino per scappare via. Non era il momento. Lei non era pronta a raccontarsi. Lo sapeva bene, ci aveva messo del tempo anche lui, prima di capire, prima di anestetizzare, e ancora non c’era riuscito del tutto.
Non aveva cercato di fermarla, però avrebbe voluto, pensò mentre si girava guardandola correre via da lui. Avrebbe voluto prenderle la mano e tirarla contro di sé. Avrebbe voluto passarle una mano fra i capelli mentre le baciava le labbra. Voleva darle la pace che quella cicatrice non le dava, visto che nessuno la stava aiutando. E lui voleva farlo disperatamente.
Da quando frequentava il sesto anno, aveva capito che non aveva senso combattere contro quel sentimento che era cresciuto dentro di lui. Voleva lei, la Sanguemarcio. Era impossibile. Poi, quando aveva capito che a lei piaceva Weasley, il mondo era crollato, il marchio aveva iniziato a dargli problemi anche di giorno, lui non era più riuscito a tenere a freno suo padre e aveva perso il controllo sulla sua mente. Ed era successo quel che era successo.
Poi l’ultimo giorno: lei e Lenticchia. Li aveva visti baciarsi il giorno della battaglia. Prima che lei lo medicasse. Si era sentito malissimo. Come una Cruciatus. Tutto il corpo si era spezzato. Un dolore indescrivibile scorreva nelle vene fino ad arrivare a ogni parte del corpo. Appunto, come una Cruciatus. O forse di più. Poi, quell’idiota di Weasley l’aveva lasciata andare via. Se fosse capitata a lui un’occasione così…
Il suo cuore ora bramava, sperava, non smetteva di battere furiosamente quando la incontrava.
Si girò per tornare nei sotterranei. Lei non avrebbe mai dovuto saperlo. Avrebbe potuto usarlo contro di lui. Sarebbe bastato poco e lui avrebbe potuto perdere la ragione. Sarebbe stato meglio evitarla. Come aveva tentato di fare quella sera.

***

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“A ottobre ci sarà il primo weekend a Hogsmeade!” La voce di Ginny era eccitata mentre lo comunicava agli altri.
“Capirai. Sono cinque anni che ci andiamo…” Ron era di cattivo umore. Aspettava di essere da solo con Hermione per chiederle informazioni ed era nervoso sia per il fatto che non era capitata l’occasione sia per quello che voleva chiederle, ossia l’incantensimo di contraccezione. Cioè, avrebbe potuto benissimo fare una ricerca, magari in biblioteca, ma preferiva non perdere troppo tempo e chiedere direttamente a lei. In fin dei conti non c’era niente di male, no?
Però aveva ancora dubbi. Avrebbe potuto chiedere a Harry, ma poi avrebbe saputo cose che non voleva assolutamente sapere su lui e sua sorella. No, era meglio Hermione.
Rimuginò a lungo sopra la colazione e neanche si accorse di quando Ginny si alzò dal tavolo dei Grifondoro per avvicinarsi a Luna e chiederle qualcosa sulla loro lezione, finché lei non tornò indietro per baciare Harry e riscappare via.
Per fortuna Ginny e gli altri ragazzi del suo anno non frequentavano le lezioni insieme a loro. Sarebbe stato snervante.
Già sua sorella e Harry si lanciavano sorrisi e baci a tavola, in sala comune e fuori nel giardino di Hogwarts, se fossero anche stati in classe insieme lui sarebbe morto di sicuro.

 

Ron sbuffò. Era la cosa che gli riusciva meglio ultimamente, visto che si era allenato così spesso, pensò Hermione, così sbuffò più forte di lui e disse con un tono un po’ acido: “Si può sapere cos’hai? Sei intrattabile. E so che ieri alla ronda non ti sei comportato bene!”

 

“Come fai a sapere della ronda?” Ron era stupito, possibile che la ragazzina avesse già raccontato tutto?
“So che non hai controllato bene tutti i corridoi. E non va bene. Non si fa…” Il suo tono era quasi pedante. Mancava solo che alzasse l’indice della mano e lo facesse dondolare a destra e a sinistra come si fa con i bambini.

 

Harry, che si trovava praticamente in mezzo fra i due, decise di finire velocemente la sua colazione per andare a cercare qualcuno. Chiunque, pur di non trovarsi in quella difficile situazione.
Se volevano litigare di nuovo, lui non avrebbe preso le parti di nessuno.

 

Appena si rese conto di essere rimasto solo con Hermione, Ron sputò il rospo: “Ascolta, ti spiegherò tutto. Devo chiederti una cosa. Ma è imbarazzante e preferirei non farlo qui al tavolo della colazione…” La bocca di Hermione disegnò un cerchio quasi perfetto.

 

“Oh” Hermione non si aspettava una risposta del genere. Guardò l’orologio e vide che avevano solo pochi minuti prima dell’inizio della prima ora. E lei aveva Antiche Rune, non voleva arrivare tardi.
“Facciamo a pranzo?”
Ron, meravigliato disse: “Dici che ci sarà meno gente?” Hermione sospirò e si corresse: “Facciamo a pranzo, in biblioteca?”
Il rosso si illuminò e poi ridivenne confuso. “Quindi non mangiamo?”
Hermione  iniziava a spazientirsi, alzò un sopracciglio e lo guardò. Ron capì e disse: “Ok va bene, va bene. A pranzo. In biblioteca”.
 “Ok ci vediamo dopo.”
Si alzò velocemente dalla panca per raggiungere l’aula di Antiche Rune.

 

Ron si servì ancora di bacon. Se doveva saltare il pranzo, avrebbe dovuto fare almeno una buona colazione.

***

 -

Ginny era uscita dalla biblioteca dopo aver finito l’ultima pergamena di compiti. Era stanca e non vedeva l’ora di tornare in sala comune prima di andare a cena.
Il giorno dopo ci sarebbero stati i provini per la squadra di Quidditch, e Harry (rieletto Capitano), doveva decidere chi mettere in squadra. Era così contenta che si riprendesse a giocare, finalmente.
Avrebbe passato sulla scopa tutti i pomeriggi, se ne avesse avuto la possibilità.
Decise di deviare per un corridoio poco trafficato per evitare di incontrare quella ciurma di ragazzine che Harry sosteneva fosse il suo “Fan club” personale.
Quelle ragazzine che aveva visto al negozio di George, ogni volta che la incontravano la fermavano, le facevano un sacco di domande e le dicevano cose che la mettevano in imbarazzo.
All’inizio era stata una cosa carina. Adesso stavano esagerando. Non capiva perché le fossero così attaccate e in quel momento non ci pensò più di tanto.
Quando svoltò l’angolo, vide un gruppo di studenti che discutevano. Oh, fantastico, pensava di non incontrare nessuno, e invece…
Si avvicinò velocemente e cercò di passare lontano dal gruppo, ma quando fu abbastanza vicino capì che stava succedendo qualcosa di strano. Si sentiva una discussione accesa e delle voci arrabbiate. Non sentiva cosa si dicevano, ma i toni erano molto tesi.
Tirò  fuori la bacchetta e la tenne in mano, nascosta contro la gamba. Quando fu più vicina capì che il gruppetto, sei o sette persone, era tutto contro il muro, e tutto, contro una persona.
“Che succede qui?” Subito, ragazzi e ragazze del sesto o quinto anno (o forse anche più piccoli) si girarono verso di lei. Li conosceva di vista. Forse di uno o due conosceva anche il nome, ma non ne era sicura.
Guardò oltre di loro, oltre alla ragazza di costituzione robusta che nascondeva la persona con cui stavano discutendo, quando la riconobbe: era Camille, la ragazza francese.
“Weasley, fatti un giro.”
A parlare era stato un ragazzo Serpeverde del quinto anno. Rowie, forse, Ginny non era sicura.
“Perché non andate voi a farvi un giro?” rispose lei con un tono calmo, avvicinandosi.
Cercò di arrivare a Camille, per vedere se stesse bene. Il ragazzo alzò il braccio che impugnava la bacchetta, ma Ginny che era molto più veloce di lui, lo guardò lanciandogli una Fattura Orcovolante (che era quella che le veniva meglio e le piaceva di più), ben assestata. Quando apparvero i mostri che iniziarono a infastidire Rowie, gli altri si dileguarono subito.
La giovane strega si avvicinò al ragazzo che aveva fatto cadere la bacchetta, facendo finire l’incantesimo.
“Sei contro uno non mi sembra molto leale, Rowie.”
“Non sono mica Tassorosso!” Sbuffò lui.
“Stai attento. Vattene adesso e non perderai niente.”
“Non sei un prefetto e non puoi togliere punti alla mia casa.”
Da bravo Serpeverde, comparve un ghigno sul suo viso. Ma come fanno? Fanno delle lezioni speciali giù nei sotterranei? ‘Istruzioni sul ghigno: come farlo quando si ha torto e prove pratiche senza specchio’? Ginny si innervosì ancora di più.
“Ma posso farti cadere due denti da quella tua brutta faccia. E posso farlo anche senza la bacchetta. Vuoi provare?”
Strizzò un occhio e ghignò anche lei quando l’espressione del ragazzo si fece spaventata. Lui raccolse la bacchetta e scappò via.
Ginny lo guardò andarsene e poi si girò verso Camille: “Tutto ok?” La ragazza annuì ma aveva gli occhi lucidi.
“Cos’è successo?” Questa volta lei scosse la testa, come se avesse detto che non ne voleva parlare. Ginny sospirò e le mise un braccio intorno alle spalle.
“Ok. Ti accompagno nei sotterranei?” Camille annuì ancora. Serpeverde.
Perché quella povera ragazza era stata messa fra i Serpeverde? Il cappello parlante doveva aver riportato seri danni durante la battaglia o essere diventato troppo vecchio per giudicare la gente. A meno che non avesse scelto lei la casa. Ma era troppo strano.
Si incamminarono nella direzione dei sotterranei senza dire niente.
Poi Ginny si schiarì la voce: “Senti, dovresti parlare con i prefetti della tua casa di questa cosa che è successa. O direttamente con il caposcuola…” O con Lumacorno, il professore direttore di Serpeverde. Ma non lo disse ad alta voce. Avrebbe avuto problemi anche lei ad andare da un adulto. E da Lumacorno in particolare.
La ragazza scrollò ancora la testa, rassegnata. Poi la alzò e guardandola disse: “Mi insegneresti a fare la fattura che hai scagliato a Rowie?” Ginny, che non ci aveva pensato, annuì.
“Sì, può essere un’idea.”
Erano arrivate ai sotterranei quando incontrarono Zabini che raggiungeva l’ingresso dei Serpeverde anche lui.
“Oh, mia cara signorina Weasley, che piacere vederla qui. È venuta per incontrare me?” Zabini fece sorridere le due ragazze con i suoi modi d’altri tempi, esageratamente pomposi e affettati. Il suo viso sorrideva come se non avesse nessun problema al mondo, e Ginny immaginò che fosse proprio così, quando si accorse della ragazza accanto alla rossa.
“Camille! Tutto bene?” Ginny notò il suo mutare d’espressione. Era preoccupato davvero? Si voltò anche lei verso Camille, che ora stava sorridendo timidamente.
“Sì Blaise, tutto bene, grazie. Ginny mi ha accompagnato…” Zabini guardò ancora Ginny e questa annuì per conferma.
“Allora, se non vuole proprio godere della mia compagnia, prendo in custodia questa giovane donzella e mi auguro di vederla al più presto, signorina Weasley.”
A quelle parole di Blaise, Camille salutò entrambi e scappò dietro un altro studente che entrava dalla porta d’ingresso.
Notando che Zabini aveva fatto tutto da solo, e che stava seguendo la ragazza anche lui, Ginny fece appena in tempo a fermarlo con una mano sul braccio, dicendogli: “Stalle vicino. C’è qualcosa che non va…” Il moro annuì, come se avesse capito perfettamente (e Ginny sperò che lo avesse capito davvero), e la raggiunse.
La rossa fece dietro front e si incamminò verso la torre dei Grifondoro.

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Capitolo 7
*** Sabato ***


Sabato
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Harry era appoggiato al tronco di un albero sulla riva del Lago Nero e giocava con i capelli di Ginny, seduta fra le sue gambe. Era il primo sabato di ottobre, il clima era ancora clemente e la sua ragazza era appoggiata al suo petto. Il mondo era perfetto. (Beh, a parte quel tema di storia della magia che doveva ancora terminare e di cui non sapeva un granché).

 

“Oggi pomeriggio ci sono i provini per il Quidditch. Sei pronta?” La rossa sorrise, ma lui non poteva vederle il viso.
“Oh, sì che sono pronta per il Quidditch!!” ridacchiò lei. Si rannicchiò un po’ di più contro di lui e Harry l’abbracciò.
“Quindi pensi di essere abbastanza in gamba per essere ammessa in squadra?” la stuzzicò, facendole il solletico.
“Oh, io SARO’ ammessa in squadra!”

 

“Sembri molto sicura di te” Harry le diede tre piccoli baci fra la base del collo e il lobo dell’orecchio.
“Già, sai ho escogitato un trucco per passare davanti a tutti gli altri cacciatori…”
“Un trucco? E sentiamo… Cosa hai in mente?”
Ginny ridacchiò “Ho intenzione di sedurre il capitano” disse in tono cospiratorio.
“Davvero? E come farai?”
Lei si girò alzandosi sulle ginocchia davanti a Harry. Gli scostò i capelli dalla fronte, guardandolo teneramente e disse sottovoce proprio sulle sue labbra: “Mi farò venire in mente qualcosa…” E lo baciò.
Lui le circondò la vita con le mani. “Anche secondo me entrerai in squadra”.
Harry sorrideva. Ginny, il Quidditch, la pace. Lei ridacchiò ancora e poi si rannicchiò di nuovo contro il suo petto. “Potremmo tornare al castello e vedere se la stanza delle necessità è libera…” Buttò lì il ragazzo, stringendola un po’ di più.

 

Ginny sorrideva. Le piaceva il fatto che lui la cercasse, che avesse voglia di lei. Ma lei doveva farlo stare un po’ sulle spine, no?
“Così, prima di un importante avvenimento sportivo? Non mi sembra una buona idea…” rispose lei con una smorfia sorniona sul viso.
“Sono solo provini…”
“Potrebbero essere i provini più importanti della mia vita!” Ginny stava ancora sorridendo. “E se poi non piaccio al capitano?”
Harry la strinse di nuovo, e questa volta la sua mano finì sotto i suoi vestiti.
“Tu piaci tantissimo al Capitano” sussurrò vicino al suo orecchio.
Un brivido le scese dal collo e percorse tutta la schiena. La mano di Harry, sul suo fianco nudo le dava un piacere vagamente primitivo, impedendole di pensare limpidamente. Quando lui la tirò verso di sè  per baciarla, Ginny si era già sciolta.
“Stanza delle necessità, dicevi?” Harry la guardò in viso sorridendo.
“Anche l’Aula al secondo piano, non mi era dispiaciuta per niente…” Ginny arrossì.

 

A Harry piaceva vederla arrossire. Si tingeva le gote di un rosa tenue ed era una visione stupenda. Ginny aveva momenti in cui era audace come Cleopatra e momenti come quello in cui arrossiva quando lui le faceva capire quanto la desiderasse.
Averla tutta per sé, era la cosa migliore del mondo. E lei lo sorprendeva ogni giorno di più.
“Anche il bagno dei prefetti non era niente male…”
Harry le strizzò un occhio “Oh, il bagno dei prefetti… E se ti dicessi che so qual è la parola d’ordine?” Ginny sorrise ancora, di quel sorriso meraviglioso che, secondo Harry,  avrebbe aperto il cuore di tutti.
“Allora dici che dovremmo approfittare?” E lo baciò di nuovo sulle labbra.
Questa volta il suo bacio si fece più profondo. I due ragazzi rimasero incollati quanto bastava per non accorgersi di nessun altro intorno a loro.

 

Quando Harry riaprì gli occhi, lei disse: “Forse dovremmo rientrare” Ma non si alzò. Fece scivolare anche lei una mano sotto la maglietta di Harry, a toccagli il petto. La sua mano era fredda e sentiva Harry così caldo che si fece un po’ più audace.
Le sue dita scivolarono poi sui jeans dei ragazzo e le fece scorrere lungo la sua coscia, avanti e indietro, prima di fermarsi lì, proprio sulla zip dei pantaloni.
“Sì dovremmo proprio rientrare…” Lei sorrise ancora, e un po’ perfidamente disse al suo orecchio: “E tu dovresti coprirti con il mantello”.
In pochissimo tempo i ragazzi si alzarono e ancora ridacchiando si avviarono verso l’entrata del castello.

- 

***

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Ron stava guardando da lontano sua sorella che faceva, solo Godric sapeva cosa, sotto quell’albero con Harry, quando una voce vicino a lui disse: “Spiare non è da Grifondoro, Weasley”.
Il rosso si girò di scatto e vide, poco più in là una ragazza che fumava una sigaretta: la Parkinson. Se possibile, divenne ancora più nervoso e di cattivo umore.
“Fumare non fa bene, Parkinson.”
Come lo disse, si maledisse mentalmente. Perché aveva detto una cosa del genere?
La ragazza sollevò un sopracciglio divertita. (esattamente come faceva Malfoy, pensò di nuovo Ron, infastidito)
“E a te cosa interessa?”
“Potresti morire.”
NO, NO, NO!!! Cosa aveva detto? Neanche quello era giusto!

 

Pansy cambiò espressione. Se non era riuscita a ucciderla la persona che l’aveva messa al mondo, non ci sarebbe riuscito nessun altro, pensò.
La vita era già difficile senza tutte quelle brave persone che tentavano di far diventare tutti come loro. Perché, Pansy lo sapeva, fondamentalmente Weasley era una brava persona. Forse era un po’ ingenuo e tontolone, ma era una brava persona. E lei doveva stare lontana dalle brave persone. Ma sorrise ancora.
“Fumare calma, dicono. Magari, se non fumassi, tenterei di ucciderti.”
Ammiccò nella sua direzione, vagamente divertita.

 

Ron era di cattivo umore perché il giorno prima, dopo quell’incontro tremendamente imbarazzante con Hermione, dopo aver dovuto imparare quel cavolo di incantesimo Condom (ma possibile che avesse un nome così stupido?) non era andata bene. Cioè aveva portato la Simmons nella stanza delle necessità, che si era abbellita come un confetto (sapeva che non doveva far passare davanti alla porta lei!) e la cosa l’aveva un po’ messo a disagio.
Poi tutto era andato sempre peggio. Alla fine era stato disastroso, lui non sapeva bene cosa fare (e lei continuava a dare istruzioni come la McGranitt nei suoi giorni migliori). La faccia di lei quando si erano lasciati gli aveva fatto capire che non ci sarebbe stata un’altra volta.
Forse avrebbe dovuto iniziare a valutare l’idea del sacerdozio.
La Parkinson che rideva di lui era l’ultima cosa. Le avrebbe volentieri lanciato un Avada Kedavra. Anche due. Molto, molto volentieri.
Invece, fece una cosa inaspettata. Le sigarette calmano? Ah sì? Con tre passi si avvicinò a lei, le strappò la sigaretta dalle labbra e aspirò un tiro anche lui.

 

Si sforzò di non tossire e la Parkinson, dopo il primo momento di stupore, si sforzò di non ridere.

 

Pansy, non sapendo bene come reagire, si girò verso i due ragazzi, ancora appoggiati all’albero e gli disse: “Non dovresti preoccuparti per loro”.
Weasley si era avvicinato ancora di più e ora guardava il suo stesso spettacolo vicino a lei.
“Dici? E perché non dovrei?”
Con naturalezza le restituì la sigaretta, come se fra loro ci fosse una certa confidenza da anni di amicizia. La ragazza la riprese ancora confusa dalle sue azioni, ma quando lo guardò vide che lui guardava ancora la coppia.
Finì la sigaretta con l’ultima boccata e continuò: “Perché tua sorella è una delle persone più coraggiose che io abbia mai conosciuto. E l’ho vista difendersi in maniera egregia. E Potter… Potter è Potter, dovresti saperlo meglio di me”.
Spense la sigaretta sotto uno dei tacchi, poi impugnò la bacchetta e la fece sparire con un Evanesco.

 

Ron sgranò gli occhi, voltandosi a guardarla, stupito che difendesse così Ginny. “E quando hai fatto questa scoperta?”

 

Pansy lo guardò negli occhi e disse: “L’anno scorso”.
“Intendi l’anno scorso quando hai proposto di sacrificare Harry?“
La ragazza abbassò lo sguardo. Non si sarebbe giustificata con lui. Mai. Si vergognava per aver detto quella stupida frase, l’aveva detto a Potter quel giorno al Ministero. Ed era solo con lui che doveva sistemare la cosa.
Ora che l’aveva fatto, non avrebbe permesso a nessun altro di rivangare il tutto.

 

“Sono andati via” disse la Parkinson.
“Cosa?”
La ragazza, con un cenno del capo indicò dove prima erano seduti Harry e Ginny. Lui si voltò nella direzione che gli veniva indicata, senza comprendere del tutto e quando vide che i due ragazzi non erano più lì, pensò ad alta voce: “E dove sono andati?”
La Parkinson rise forzata e disse, andando via: “Oh, Weasley, quando sarai un po’ più grande te lo spiegherò!” E continuò a camminare emettendo una risatina stupida, senza allegria, come quelle che Ron si ricordava di aver sempre sentito da parte sua.

***

 -

Hermione vide Ron entrare nella sala comune con una faccia arrabbiata e pronto alla lite alla prima provocazione (lei lo conosceva bene, e sapeva riconoscere quel suo stato d’animo). Così gli andò vicino quando si sedette sul divano e, posando la mano sulla sua disse sottovoce: “Va tutto bene?”

 

Ron si riscosse, come se non l’avesse vista.
“Oh, ciao Hermione” Sbuffò insoddisfatto.
“Se avessi uno Zellino ogni volta che sbuffi, sarei miliardaria.”
Ron sbuffò due volte, sorridendo.
“È una cosa che direbbe mia nonna.”
Sorrise ancora. “Che succede?” insistette lei.

Oh, guarda niente di che. Sono un imbranato con le ragazze, è una cosa che tutti notano quando mi guardano e continuo a farmi prendere in giro dai Serpeverde, a parte questo….
“Niente” sospirò.
Hermione sorrise (esattamente come avrebbe fatto sua nonna!!!)

 

“Ieri non è successo niente?” Le orecchie di Ron divennero in tinta con il rosso del divano. Lui guardò per terra e Hermione capì che era particolarmente preoccupato. Si avvicinò a lui e disse: “Sicuro che non vuoi parlarne?”

 

Ron scosse il capo. Si sarebbe fatto punzecchiare dalla Parkinson tutta la vita piuttosto che ammettere con Hermione di non essere riuscito a soddisfare la Simmons il giorno prima.

 

Ma Hermione sapeva che qualcosa non andava su quell’argomento e aprì la bocca per parlare quando…

 

“Allora, siete pronti per assistere ai provini di Quidditch?”
Ginny era entrata in quel momento nella sala comune e stava sbandierando le braccia come un piccolo Pixie ubriaco. Urlava come una puffola pigmea, era euforica e tutta la sala comune le rispose come a un concerto di Celestina Warbeck.
Ron sbuffò ancora. Non voleva incontrarli. La coppia perfetta. Harry si sedette vicino a loro, mentre Ginny dava spettacolo in piedi su uno dei tavolini.
“Come fai a sopportarla?” ruggì Ron all’indirizzo di Harry.
“Dai, smettila. Ogni tanto ci vuole qualcuno che tiri su il morale. O no?”
Tutti e tre si voltarono verso Ginny che si inchinava a un improvviso applauso di quel pubblico studentesco. Quando alzò il busto, incrociò lo sguardo di Harry e gli lanciò un bacio. Ron sbuffò ancora.

 

Harry si voltò verso di loro, ignorando lo sguardo di Ron. C’era abituato. Prima o poi gli sarebbe passata. E poi non voleva farsi rovinare il momento dal malumore del suo amico.

“Harry, ma hai i capelli bagnati?” Hermione, preoccupata come una mamma, gli passò una mano fra i capelli, poi, con un colpo di bacchetta glieli sistemò. Ron lo guardò torvo e disse: “Voi avreste bisogno di…”
“Sai di cosa hai bisogno tu, Ron?” Lo interruppe Hermione, che aveva paura che l’incarognito Ron dicesse qualcosa di troppo.
“Io?!?” Ron la guardò ma lei si voltò verso Harry.
“Ron potrebbe aver bisogno di quel libro che ti ho dato, ti ricordi?” Harry fece una faccia strana e annuì.

 

“Certo!” Harry si alzò e fece cenno a Ron di seguirlo. Ron, confuso, guardò prima Hermione, che dopo averlo salutato con la mano, aveva tirato fuori un libro dalla borsa e si era messa a leggere, e poi verso Harry che stava salendo la scala del dormitorio maschile.
Non capiva niente. Perché mai avrebbe dovuto avere bisogno di un libro? Volevano convincerlo a leggere qualcosa che non erano obbligati a leggere per scuola? Un po’ incuriosito e un po’ infastidito, Ron seguì Harry in camera.
Quando entrò lui aveva già aperto il baule e rovistava al suo interno per cercare il famoso libro. Ron si sedette sul letto di Harry.
“Guarda che non so se mi interessa questo libro che dite voi. E poi non sono sicuro di averne bisogno, come dice Hermione…” disse Ron, cercando di non guardare verso Harry, ma alla fine dovette farlo e notò che lui lo guardava comprensivo.
“Ascolta, facciamo così. Io non dico niente a te, tu non dici niente a me, ok?”
Ron, sempre incuriosito, (in fin dei conti non sarebbe stato obbligato a leggerlo quel libro, no?), annuì. Harry gli lanciò sulle gambe un libricino di piccole dimensioni.
“La cugina di Hermione glielo ha passato due anni fa, e Ha scritto dei commenti sul margine delle pagine. Come dicevo, non ti dirò nient’altro. Ma vale la pena di leggerlo.”
Ammiccò e uscì dalla stanza. Ron prese il libro e lo girò per guardare la copertina.
Un libro babbano, fu la prima cosa che notò. Il disegno di un ragazzo sdraiato sull’erba con in bocca un filo d’erba, fu la seconda. “Le gioie del sesso”, il titolo, fu l’ultima. L’ultima, prima di farlo cadere.

***

 -

Hermione stava mangiando in sala grande quando Ron arrivò e si sedette vicino a lei. Si voltò a guardarlo e vide che aveva le orecchie rosse. Hermione sorrise contenta. Era riuscita a far leggere un libro a Ron!
“Hai dato tu quel libro a Harry?”
Il sorriso di Hermione sparì, per il tono di Ron. “Perché? Non dovevo?” Non riusciva a capire quale fosse il problema. Forse aveva capito male?
Elinor Simmons aveva raccontato quella mattina, bisbigliando a un’amica che aveva passato una serata con il ‘rosso del trio dei miracoli’ (quella stupida ragazzina l’aveva chiamato proprio così!), ed era stato disastroso. Poi era passata lei che aveva interrotto la conversazione con una scusa, prendendo la Simmons da parte per informarla che c’era stato un cambio nel programma dei prefetti, e che quindi aveva bisogno di lei. Era riuscita a inventarsi la cosa sul momento e si era complimentata con se stessa per aver risolto la situazione, ma ora pensava di aver capito male.
“Se non vuoi leggerlo…” Ron si riaccese di color porpora e disse sottovoce: “Oh, io l’ho letto. Quasi tutto. Volevo sapere perché lo hai dato a lui invece che a me!”
Con lui intendeva Harry? Hermione lo guardò un po’ infastidita. “Beh, l’hai avuto anche tu, no? Cosa ti interessa se lui lo ha avuto prima?”

 

Ron si guardò intorno, ma essendo sabato, ognuno mangiava all’orario che preferiva e intorno a loro non c’era nessuno.

 

“Glielo hai dato per fargli fare quelle cose con mia sorella? Nonostante sapessi quello che pensavo di loro?” Hermione sospirò.
“Ma quando crescerai Ron? Avresti preferito che la loro prima volta fosse stata come la tua di ieri?” E, dopo aver detto questo, si alzò e corse via.

 

Ron spalancò gli occhi. Come faceva a saperlo? Quella piccola vipera della Simmons aveva già spifferato in giro quello che era successo? Doveva trovarla immediatamente. Doveva chiarire le cose subito. Piccola stronzetta.
Tornò in sala comune guardando l’orologio. Aveva due ore prima dell’inizio dei provini. Poteva farcela. Doveva solo trovare la Simmons e sistemare la cosa.
Tirò fuori dal baule di Harry la mappa del malandrino e la cercò. La vide quasi subito e, rigettato la mappa nel baule (e dopo essere ritornato indietro a proteggerla, perché si era scordato), si diresse verso il corridoio del quinto piano.
Quando la trovò, intenta a chiacchierare con due ragazze, la prese per un polso senza tanti complimenti e la portò via, senza spiegazioni. Era arrabbiatissimo. Le avrebbe stritolato il collo. La portò nella nicchia dietro un arazzo (lo aveva scoperto quel giorno che stava sistemando la scuola con Zabini), e protesse l’ingresso con un incantesimo. Quando si voltò verso la ragazza, con sguardo torvo e cattivo, scoprì che lei era eccitata dal suo comportamento.
Ron non seppe bene come fosse successo ma, invece di dirle quattro ragioni balorde, si ritrovò sdraiato su di lei, intento a baciarle il seno e farla gemere. Mezz’ora prima dell’inizio dei provini Ron, esausto e molto soddisfatto, tornò in sala comune, diretto in camera per sistemarsi e mettersi qualcosa di comodo per il provino di Quidditch.

***

 -

Hermione era uscita dalla sala grande con le lacrime agli occhi. Quel troll! Stupido, stupido troll! Lei voleva solo aiutarlo e lui aveva infierito su di lei, come se fosse stata colpa sua se Ginny e Harry avessero fatto sesso prima di lui. E prima di lei.
Ora anche Ron aveva passato quel confine e lei era rimasta l’unica (probabilmente del suo anno e anche dei tre prima) a non averlo fatto.
Ma per Godric, era una cosa personale e molto intima. Mica si poteva farlo con tutti, no? E poi lei non voleva far vedere a nessuno il suo braccio. Come avrebbe spiegato quello che era successo? Si fermò e si sedette per terra lungo uno dei corridoi.
Aveva iniziato a correre verso la torre ma ora non sapeva dove si trovasse. Doveva andare a vedere i provini del Quidditch. L’aveva promesso ai ragazzi. Però non voleva vedere Ron. Non dopo quello che le aveva detto e come l’aveva fatta sentire.
Ora il braccio le formicolava, la testa le doleva e sentiva un bruciore all’altezza del petto. Stupendo. Stava per risentirsi male e non sapeva neanche dove fosse.
Cercò di tranquillizzarsi, ma più ci provava più pensava che forse aveva sbagliato davvero. E più pensava di aver sbagliato, più le veniva da piangere e più le veniva da piangere, più si sentiva male. Appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi.

***

 -

Dopo quelli che a Hermione parvero pochi minuti, una mano le accarezzò la testa e le avvicinò una tazza con qualcosa da bere alle labbra. Come si rese conto della cosa, spalancò gli occhi. Davanti a lei c’era Malfoy che la guardava preoccupato.
“Malfoy… ma cosa…” Il biondo sorrise. Non ghignò, ma sorrise.
“Ero preoccupato. Non volevi svegliarti. Ti agitavi…” Hermione si rese conto di essere seduta su una poltrona di pelle nera. Si guardò intorno, ma non capiva dove fosse.
“Do.. dove siamo?” Lui appoggiò la tazza su un tavolino di fianco a lei.
“È la stanza delle necessità. Quando ti ho trovato non sapevo dove portarti. Deliravi…”
Hermione guardò l’orologio e si rese conto che erano passate quasi due ore da quando si era seduta nel corridoio.
“Non mi hai portato in infermeria” constatò.
“No. Non sarebbe servito a niente. E poi tutti avrebbero saputo. Non volevi questo, no?” Hermione annuì distrattamente. La testa le doleva ancora, ma meno che all’inizio. Forse perché prima era veramente molto arrabbiata. Forse la pressione…
“La pressione non c’entra niente.”
Guardò Malfoy, pronta a schiantarlo quando lui alzò le mani e disse: “Guarda che l’hai nominata tu. Io non ho fatto niente!”
Hermione sospirò. Aveva parlato senza accorgersene? Poteva essere, non era troppo lucida.
“Come stai adesso?” MAlfoy sembrava veramente preoccupato.
“Sto bene. Ho solo avuto degli incubi” Hermione cercò di minimizzare la cosa, ma lui non ci cascò.
“Tutti abbiamo gli incubi. Ma nessuno si riduce così com’eri tu.”

Tutti abbiamo gli incubi? Cosa voleva dire? “Anche tu hai gli incubi?”
Il biondo alzò le spalle, mentre si sedeva su un’altra poltrona scura, di fronte a lei.
“Come ti dicevo, tutti li abbiamo. Soprattutto i vinti.”
Hermione si appoggiò la testa sulla mano. Stava andando un po’ via. O almeno credeva.
“Siamo tutti vinti. In guerra non vince nessuno. MAI!” Il ragazzò annuì.
“Mi hai dato qualcosa?” cercò di rialzarsi.
I provini di Quidditch dovevano ormai essere alla fine, e lei aveva promesso di esserci. Ma stavolta non avrebbe lanciato Confundus a nessuno.
Quando fu in piedi, però si rese conto di sentirsi ancora debole, e cercando di non darlo a vedere, si risedette.
Malfoy sorrise. “Quanta fiducia. Un bel ‘Grazie Draco per non avermi lasciato svenuta in mezzo al corridoio’ sarebbe stato anche carino. Comunque non ti ho dato niente. Non sapevo se volessi…” E così dicendo tirò fuori una boccetta verde dalla tasca del mantello che era appoggiato sul bracciolo della sua poltrona.
Hermione sapeva che aveva ragione. Poteva ringraziarlo. Doveva.
“Ok. Grazie, Malfoy” disse, calcando il fatto di non aver usato il suo nome.
“E poi hai ragione. Non voglio niente da te.”
Si rialzò in piedi, e notando che questa volta riuscì a rimanere l’equilibrio, pensò di uscire da lì. Ma lo pensò e basta. Il suo sguardo continuava a cadere sulla boccetta che lui aveva appoggiato sul tavolino, vicino alla tazza che non aveva bevuto. Il mal di testa era ancora lì, sembrava meno pericoloso di prima, ma era ancora lì.
Poteva scappare via subito, rifugiarsi nella torre e magari stendersi sul letto, con le cortine tirate a fare buio, prima che iniziasse di nuovo a corroderla dentro. Oppure… oppure….

 

Se lei avesse immaginato quello che pensava Draco guardandola mordersi il labbro inferiore in quel modo, mentre pensava, avrebbe smesso subito. Ma non lo sapeva, e lui stava morendo.
Moriva dalla voglia di prenderle il viso fra le mani e morderle lui il labbro. Morderla e morderla ancora, finchè lei non avesse aperto le labbra per lui e si sarebbe lasciata baciare. Cercò di contenersi. L’avrebbe fatta scappare, in quel modo. Così, volse altrove lo sguardo.

 

Hermione si risedette e disse sottovoce, come se avesse combattuto una battaglia con se stessa e avesse perso: “Cos’è quella pozione?”
Si maledisse. Non voleva saperlo. Non doveva saperlo. Avrebbe significato ammettere con lui che aveva ragione, che stava male e che non riusciva a curarsi da sola.
La testa venne investita da una fitta che le bloccò il respiro.
Lui dovette accorgersene perché le si avvicinò e, sedendosi sul bracciolo le prese la mano. La strega non si accorse di lui subito. Un’altra raffica di fitte le intontirono il cervello. Lui le strinse la mano di più.
Quando si rese conto di quello che stava facendo, cercò di ritirare la mano. L’ultima cosa che voleva era che lui la vedesse in quello stato. Nessuno doveva vederla così. Il petto le prese fuoco, come prima. Due lacrime le scivolarono sulle guance, fino a cadere sulla maglietta.
“Non ci pensare.”
La voce di Malfoy le arrivava da lontano. “A cosa non devo pensare?” Era riuscita a parlare, ma non era sicura di aver parlato senza balbettare o intartagliarsi.
“A quello che ti fa stare male.”
Senza staccare la mano dalla sua, il Serpeverde avvicinò la poltrona su cui era seduto prima alla sua e si sedette sul bordo, per starle davanti.
“Adesso ti do un sorso di pozione, ok? Me la diede Piton quando il braccio iniziò a darmi problemi. Ok?” Non capiva perché lui le spiegasse quelle cose. Avrebbe potuto farle bere anche un veleno, che lei non sarebbe riuscita a opporre resistenza.
Annuì, anche se le causava dolore. Lui si allungò sul tavolino, mentre con le dita continuava ad accarezzarle il dorso della mano che teneva ancora stretta. Aprì l’ampolla con i denti e le mise in mano il contenitore.
Hermione lo portò alle labbra, ma prima lo annusò. Non aveva odori strani, per fortuna.

 

Draco sorrise. Lei era ancora vigile. Era una buona cosa. La fermò quando tentò di bere più di un sorso e allontanò il flacone dalla sua portata.

 

“Quanto ci mette?” Hermione sperò che ci mettesse meno della pozione per il mal di testa e, magari, che facesse più effetto.
“Poco, vedrai.”
Si rimise davanti a lei, e le passò una mano sulla fronte. Le spostò i capelli e continuò a parlare.
“Adesso passa, vedrai. Raccontami qualcosa.”
Hermione aggrottò la fronte, chiedendo: “E cosa dovrei raccontarti?” I suoi occhi erano calamitanti, infatti non riusciva a togliere lo sguardo da lui. Erano sempre stati così belli i suoi occhi? Erano di un grigio così chiaro, sembravano d’argento, argento colato mischiato al cielo d’autunno.
Merlino, non le aveva dato l’Amortentia, vero?

 

Draco cercò nella mente qualche domanda da farle, ma non riusciva a pensare a niente, con lei così vicina.
“Parlami della tua famiglia, i babb…. I tuoi genitori. Hai fratelli?” Sperò di essere riuscito a mettere insieme le parole nel giusto ordine. Iniziava a far fatica anche lui a parlare, sebbene per motivi diversi.
“Io? No, sono figlia unica. Mamma perse due bambini dopo di me…” I suoi occhi si riempirono di lacrime. Il ragazzo non sapeva cosa dire. Lei non doveva cadere nella tristezza. Non ora.
“Ok, non sono bravo a fare domande. Raccontami qualcosa di bello, che ti rende felice. Dove passavi le vacanze da bambina?”  
Ancora non stava facendo effetto, lei doveva liberare la mente o non sarebbe servito. Come faceva Pansy due anni prima? Come ci riusciva quando succedeva a lui? Oh, beh sì. Si ricordava come ci riusciva.
Ma non poteva farlo con la Granger. Con Hermione. Sorrise al pensiero di averla chiamata per nome.
“Sei bello quando sorridi.”
Draco non aveva capito. Non aveva sentito bene. Non poteva essere. Il suo sorriso si spense quando pensò che doveva essere l’effetto della pozione.
“Non sorridi più!” Lei lo guardò incuriosita. Si stava riprendendo.
“Mi sento bene. Molto bene. Non c’erano artigli di drago lì dentro, vero?” disse indicando con la testa l’ampolla, ancora aperta, sul tavolo.
“Non penso” rispose lui, guardando l’ampolla.

 

Passarono un po’ di tempo senza dirsi niente. Ma alla fine, funzionò. Hermione non aveva più niente. Non si sentiva più male. Si alzò, un po’ imbarazzata per la situazione, ma finalmente senza dolori.
Era la prima volta che le succedeva così. Così veloce. Così pulito. Stava veramente bene. Guardò ancora una volta verso il tavolino.

 

“Tu la usi ancora?” Draco annuì. Anche se di solito preferiva berci dietro del Firewhisky, qualche volta capitava che ne prendesse ancora.
Lei si morse di nuovo il labbro. NO, NO, NO. Non ancora!
Poteva dargliela dietro. Ma aveva paura che ne abusasse. Se le avesse spiegato… No. Decise. Forse se non le avesse detto niente….

 

“Non te la do” disse secco lui. Lei annuì, distrattamente. Era contenta di non avergliela chiesta.
“Ma facciamo così. Ogni volta che ne avrai bisogno, vieni da me.”
Hermione lo guardò sorpresa.
“Da te?” Annuì anche lui.
“Sì. Non puoi prenderne troppa e non voglio che ti faccia male. Non so quanta ne prenderesti se non avessi nessuno che ti controlla. Te la do io.”
Sul viso della ragazza si disegnò una smorfia. Così non le piaceva per niente. Non poter gestire da sola le cose… Mmm. Guardò ancora il boccettino.
“Non ce n’è tanta…” constatò. Se l’aveva fatta Piton, che ora era morto, chi ne avrebbe fatta quando fosse finita?
“Non preoccuparti di questo. Te ne servirà sempre meno.”
Lei sgranò gli occhi. “Sei sicuro?” Che pozione era che potesse avere questi poteri?
“Posso analizzarla con un Specialis Revelio  e provare a…” Lui scosse il capo seccato.
“L’ha fatta Piton, non penso che troverai la maniera di rifarla su un libro della biblioteca.”
Buttò lì, un po’ scorbutico. Lei lasciò stare.
“Ok, va bene grazie.”
Varcarono insieme la soglia della stanza delle necessità, ma cercarono di non guardarsi, imbarazzati per motivi diversi.
Si incamminarono verso due direzioni opposte quando Hermione si voltò e chiese a voce a alta: “Davvero posso venire…”
Lui senza voltarsi alzò la voce: “Sì”.

 

Ok pensò Hermione. Magari non ne avrebbe più avuto bisogno. Ma sapeva che era una bugia.

 

Maledizione! Pensò Draco. Doveva dirglielo, della pozione. Doveva dargliela e basta. Doveva essere la sua scelta giusta. Ma non riusciva. Non riusciva a lasciarla andare.
Mica era un idiota come Weasley, lui.

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Capitolo 8
*** Tempo di feste, offese e scuse non dette ***


Tempo di feste, offese e scuse (non dette)

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Hermione entrò nella sala comune dei Grifondoro nel pieno svolgimento di una festa. Una festa?? Ma cosa era successo? Ma quanto tempo era stata via?
Ginny le venne incontro salutandola: “Hermione!! Dove sei stata? Ti sei persa i provini!!” Hermione guardò la ragazza, che beveva una burrobirra direttamente dalla bottiglia.
“Ma cosa sta succedendo? Eh, Ginny, perché stai bevendo una burrobirra?” Ginny la guardò come se fosse impazzita. (Ah, lei impazzita, vero?)
“È una festa! Cosa dovremmo bere? Succo di zucca?” Una festa. Ma da quando in qua si faceva una festa solo per dei provini? Non si dovrebbe fare solo (ed esclusivamente!) quando si vinceva una partita?
“Perché c’è una festa?” Ginny alzò le spalle.
“Bo. Eravamo tutti carichi. Alla fine abbiamo messo un po’ di musica e tirato fuori la burrobirra. Niente di che…” Hermione si guardò intorno e vide Ron e Harry che ballavano su uno dei tavoli (quelli su cui si dovrebbe fare i compiti, non ballare!) e un gruppo di ragazzi battevano le mani a ritmo di musica. Guardò ancora Ginny, che si muoveva per la sala saltando a tempo di musica.
Quando i ragazzi la videro, le fecero un cenno di saluto e Ron saltò giù dal tavolo per andarle incontro, prenderla fra le braccia e farla girare. Oh, ma che era successo?
“Hermione! Scusami per quello che ti ho detto prima, sono proprio un troll, a volte…” Hermione sorrise. Lo abbracciò e gli disse di non preoccuparsi. Rise, battendogli la mano sul braccio.
“Cosa succede? Tutto questo casino…”
“Abbiamo fatto i provini di Quidditch!”
“Oh, sì, l’avevo capito. Ma perché la festa?” Ma era l’unica a vedere l’assurdità della situazione?
“Così. Ci siamo divertiti un sacco, anche chi è stato scartato. A proposito, hai davanti il portiere ufficiale della squadra dei Grifondoro!!”
Era difficile non farsi entusiasmare. Hermione si fece trascinare in pista anche lei e iniziò a ballare. Qualcuno le passò una burrobirra. Beh, dopo quello che aveva passato quel pomeriggio, poteva concedersi un diversivo, no? Oh, se li avesse beccati la McGranitt, sarebbe successa una catastrofe! Chissà se li avrebbe potuti espellere tutti?
Quel pensiero, come arrivò se ne andò appena il ragazzo addetto alla musica mise una delle sue canzoni preferite.

 

Come era stato detto a Hermione, i provini erano stati molto divertenti. Professionali, ma divertenti. Harry aveva scelto sei compagni di squadra (fra cui Ginny e Ron, ma nessuno poteva dire che si era fatto travolgere dall’amicizia invece che dal giudicare la bravura) e aveva detto a qualcun altro che li avrebbe tenuti come riserve, che potevano andare agli allenamenti anche loro.
Il pubblico era stato numeroso e, alla fine, Harry aveva detto che potevano tornare in sala comune. Ron, che era carico come una molla, aveva gridato: ‘Facciamo una festa!’ e Ginny, che non a caso era sua sorella, gli aveva dato man forte.
Così ora, erano tutti lì, puzzavano come snasi ed erano tutti su di giri.
“Oh, ma cosa è successo?” Hermione si sedette sul divanetto vicino a Harry.
“Non ne ho la più pallida idea. Mi sa che la cosa ci è un po’ sfuggita…” Hermione ridacchiò.
“Un po’? Direi del tutto. Ma non mi sono mai divertita tanto. Per fortuna avete insonorizzato bene l’entrata!”
“Oh, è stata una ragazza del sesto anno. Stai attenta, potrebbe superarti.”
“Scemo!” Hermione rideva mentre gli dava una manata sulla testa.
Harry ebbe poco tempo per riprendersi perché dopo pochissimo, una ragazza gli saltò sulle ginocchia. Dalla folta capigliatura che gli cadde sul viso capì che era Ginny, ma non la vide in faccia, in quanto, subito dopo di lei, gli cadde sulla testa una palla di pelo, che immaginò fosse Arnold e per ultimo, gli arrivarono addosso anche gli artigli di Grattastinchi.
“Nessuno potrà mai superare Hermione!” disse la rossa, su di giri e mandò un bacio a Hermione che le sorrise.
“Qualcuno sa cosa è successo a mio fratello? Oggi non mi ha ancora seccato, nonostante abbia baciato Harry un miliardo di volte!” E così dicendo si dimenò sulle gambe di Harry, che dovette sostenerla quando rischiò di cadere.
“Forse non mi hai baciato poi così tanto…” disse lui con uno sguardo divertito, avvicinando il viso al suo. Ma la ragazza rise, allontanandolo.
“Oh, che mezzucci per avere una bacio, Harry. Mi sa che adesso andrai in bianco. Vado a farmi un bagno perché mi sento un ippogrifo che si è rotolato nel fango!”
“Potremmo fare il bagno insieme. Hermione sai la nuova parola d’ordine del bagno dei prefetti? Dovrebbe essere cambiata nel pomeriggio…”

 

Hermione, che stava bevendo un’acquaviola, (e non sapeva neanche che avessero cambiato la parola d’ordine) non fece in tempo a rispondere che Ginny disse, alzandosi: “Ah, no. Stavolta voglio lavarmi davvero!” E, dopo un cenno di saluto, sparì alla loro vista.
L’acquaviola le andò di traverso e Hermione iniziò a tossire, con un Harry divertito che le dava le pacche sulla schiena. Quando arrivò Ron non aveva ancora finito di tossire e anche lui iniziò a darle delle manate sul dorso. Riuscì a fermare i ragazzi prima di trovarsi con la faccia sul tappeto.
Per un po’ nessuno disse niente. Rimasero così, seduti sul divanetto. Solo loro tre. Hermione sorrise. Che bell’immagine. Come ai vecchi tempi. Poi Ron parlò e a Hermione un po’ dispiacque perdere il momento.
“Dov’è Ginny?”
“È andata a lavarsi.”
“Giusto, fra un po’ si cena…” Neville passò li vicino e chiamò Harry per mostrargli una cosa. Lui salutò e lo seguì.
“Scusa ancora per oggi…” iniziò Ron, guardando verso la pista improvvisata che si stava vuotando e cercando di non incrociare il suo sguardo.
Hermione annuì e disse: “So cosa è successo ieri. Quella ragazzina starnazza come un’oca e non sa quando dovrebbe stare zitta…” Ron si girò verso di lei. Aveva le orecchie rosse e Hermione sapeva che era in imbarazzo.
Lei gli accarezzò un braccio con fare consolatorio. Ma lui si riprese: “Spero che sia più chiacchierona con le buone notizie che con quelle cattive…” Hermione lo guardò inarcando un sopracciglio. “Grazie del libro. L’ho letto e a lei è piaciuto, il fatto che io l’abbia letto”disse Ron, sorridendo spavaldo.
Hermione rise. Il libro!!! “Ah, è per questo che non infastidisci più Ginny? Hai trovato altro da fare?” Ron bevve un sorso dalla bottiglia.
“Non infastidisco più Ginny? E per cosa? Dovrei proteggere Harry da lei, mica il contrario!”
La ragazza sorrise ancora. Niente mal di testa, bella musica, tutti contenti. Era così la felicità?

***

 -

Quella sera, dopo cena, Hermione e Ron entrarono nella stanza dei prefetti per effettuare la ronda. Ron sbuffò. Miracolo pensò Hermione, alzando gli occhi al soffitto.
“Ma perché tocca ancora noi? Questa cosa che siamo di più non doveva essere a nostro vantaggio?”
Hermione sospirò e spiegò, come se Ron avesse quattro anni: “Perché abbiamo deciso, il sabato, di mettere due prefetti in più a far le ronde e quindi metterci meno tempo…”

 

“Così possiamo andare prima a divertirci” disse un ragazzo del sesto anno di Corvonero. Ron lo conosceva solo di vista, non era sicuro di quale fosse il suo nome.
Il ragazzo si avvicinò a Hermione e le disse qualcosa all’orecchio. Lei arrossì e rispose qualcosa che Ron non capì, ma doveva essere stata convincente perché il ragazzo smise di ridere e si disegnò una strana smorfia sul suo viso.
Ron sorrise. Quando si divisero in coppie Hermione si avvicinò a Ron e gli tirò la manica del maglione.
Ron annuì e si incamminarono per il corridoio che dovevano controllare. Se ci misero meno tempo del solito, Ron non se ne accorse, visto che Hermione, che aveva saputo della sua ‘scarsa’ supervisione di qualche giorno prima, aveva voluto controllare ogni singola stanza, ogni singolo anfratto e ogni singola nicchia del loro corridoio.
Infatti, quando tornarono nella stanza dei prefetti, era tardi ed erano rimasti in pochi. C’era Malfoy che stava scrivendo la pergamena e, sul tavolino su cui  lui stava scrivendo, era seduta la Parkinson che faceva ciondolare le gambe, in attesa che finisse. Il ragazzo di Corvonero era seduto di fianco a lei e le parlava sottovoce. Lei ascoltava senza dire niente. Non c’era nessun altro.

 

Quando entrarono Malfoy alzò la testa e li salutò con un cenno del capo. Quello che Ron non vide fu lo sguardo che lanciò a Hermione. Altrimenti ne avrebbero parlato per giorni. Ma Hermione se lo tenne per sé, dopo avergli sorriso.

 

Malfoy chiese, come di rito: “Tutto bene al corridoio del secondo piano?” Ron fece schioccare la lingua, un verso fastidiosissimo, secondo Hermione, ancora contrariato dal fatto che ci avessero messo tanto.
“Oh sì tutto tranquillo. Dorme anche Mirtilla Malcontenta…”
 Il ragazzo di Corvonero alzò la testa verso di loro e disse: “Bene, tutti da noi, allora, stasera diamo una festa!”
Ron e Hermione si guardarono. Un’altra festa? Hermione scosse il capo (con quel tipo lì in giro proprio no) Ron ci stava pensando, quando il ragazzo si rivolse alla ragazza accanto a lui: “E tu che fai Pansy, vieni?”
La ragazza stava per rispondere, quando Ron intervenne al suo posto: “Oh, se fossi in te non la farei venire. Potrebbe lanciare incantesimi a caso sulla gente e andarsene. Poi, al povero Malfoy toccherebbe sculacciarla di notte per rimetterla al suo posto!” E indicò Malfoy con un cenno del capo.
Malfoy appoggiò la piuma e alzò gli occhi al soffitto. Hermione rimase di stucco per quello che aveva appena detto il rosso, mentre Burrow, il ragazzo Corvonero, spalancava la bocca dicendo: “Scusa, cosa hai detto?”
Il viso della Parkinson invece si pietrificò. Sgranò gli occhi e con voce roca disse: “Cosa?” Ron le rise in faccia. Si voltò verso Malfoy e disse: “Cos’è, a lei non lo hai raccontato? Quello che hai detto a noi? Di come l’avresti sculacciata? Oh, Malfoy non si fa. No, no, no…” E rise ancora dondolando l’indice da una parte all’altra.
Alla Parkinson non venne in mente niente da dire. Si girò spaesata verso Malfoy e chiese spiegazioni dicendo semplicemente: “Dra?”

 

Draco si strinse nelle spalle prima ancora di rendersene conto e gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime. Pansy guardò di nuovo nella direzione dei Grifondoro e senza dire niente scappò dalla porta con la testa bassa. Almeno, Weasley ebbe la decenza di smettere di ridere. Merlino!

 

“Ronald!” Hermione era scandalizzata. Perché aveva detto una cattiveria del genere? Di nuovo, poi? Ron, dovette aver capito di aver esagerato perché quando si voltò verso di lei aveva una strana espressione. Oh, ti senti colpevole eh? Ma poi il suo viso si trasformò in un attimo per qualcosa che stava avvenendo alle spalle di Hermione, che fece appena in tempo a voltarsi e vedere Malfoy con la bacchetta impugnata e sentirlo dire: “Stupeficium”.
Ron cadde all’indietro e perse i sensi.

 

Burrow guardò il ragazzo steso a terra, poi il biondo che aveva ancora la bacchetta a mezz’aria e la riccia che guardava furiosa il Serpeverde. La sua serata da prefetto era finita. Sgattaiolò velocemente oltre l’uscio e sparì.

 

“Ma cosa hai fatto?” Hermione non sapeva chi dei due fosse più stupido: Ron o Malfoy. Il biondo era affannato, come se avesse corso lungo una scalinata di dieci piani tutti in una volta.
“Alcune persone dovrebbero imparare a tacere quando è il momento. Oppure per sempre.”
Il suo sguardo era duro.
Hermione, nonostante sapesse che il rosso fosse in torto, non volle dare ragione al Serpeverde.
“Te la sei presa perché ti ha fatto fare la figura del troll? L’hai preso quasi all’improvviso…” gli disse, rimproverandolo.
“Non è vero. Ha avuto tutto il tempo di difendersi e poi non l’ho colpito di schiena. E per precisare: Non ha fatto fare la figura del troll a me, l’ha fatta fare a lei” disse, sempre con un tono duro, indicando il posto dove era seduta la Parkinson fino a poco tempo prima.
Hermione era ancora più colpita. Tanto da non aver ancora soccorso Ron.
“Pensavo che fra voi fosse tutto finito…” disse curiosa, togliendo lo sguardo da lui.
“Siamo amici” disse lui confuso.
“Anche te e Lenticchia siete amici, non è che quando non si va più a letto insieme, poi non si può più essere amici. O no?” Il suo sguardo era strano, notò Hermione.
Poi il suo cervello, che ragionava in maniera troppo veloce, disse: “Noi non abbiamo…” Ma riuscì a fermarsi in tempo.
L’ultima cosa che voleva era far sapere al Serpeverde con chi era stata o meno.

 

Draco voltò la testa in modo che la Granger non lo vedesse e sorrise. Era stato bravo. Era riuscito quasi a farle dire quello che voleva sapere. Per il momento era abbastanza.
Arrotolò la pergamena, infilandola sullo scaffale, e senza neanche guardarla uscì dalla stanza. Una volta fuori però, rimise la testa dentro e le sorrise.
“Buonanotte.”

***

 -

Draco ritornò nei sotterranei, sperando di trovare Pansy nella sala comune, ma lei non c’era. Un po’ era dispiaciuto. Avrebbe dovuto scusarsi. Lo sapeva, con tutto quello che lei aveva fatto per lui, glielo doveva. E sapeva che non avrebbe dovuto dirla, quella stupidaggine, in treno, ma aveva voluto scandalizzare la Granger, ed era sicuro di esserci riuscito.
Quello che non aveva previsto, era stato Lenticchia. Un nemico tanto stupido quanto imprevedibile era pericoloso. Peccato fosse ancora amico della strega più bella della scuola.
Strinse forte il pugno e lo sbattè contro il muro. Dolore e un po’ di sangue. Sorrise guardandosi la mano.
Si incamminò verso la sua stanza e quando entrò si stupì di trovarla vuota. Erano rimasti in tre a occuparla. Mancavano Tiger, morto nella stanza delle necessità a maggio e Goyle, che non aveva più rivisto. Probabilmente era fuggito. Una parte di sè  sperò che stesse bene e che non facesse del male a nessuno.
Gli altri letti erano occupati da lui, Zabini e Nott. Nessuno si immaginava che Nott tornasse a scuola, ma il primo di settembre si era presentato lì ed era stato accolto insieme agli altri.
Si sdraiò vestito sul letto e pensò a come salvare la situazione con Pansy. Quello che aveva detto era vero. Erano amici, non voleva creare dissapori. Anche perché in quel momento aveva bisogno di amici come della bacchetta.
La porta si aprì ed entrò Zabini che lo guardò con il suo solito modo di sorridere, quando sembrava che prendesse in giro tutti.
“Oh, Dra-Dra, che hai combinato?”
Il biondo si alzò a sedere e disse, con gli occhi socchiusi, studiando l’amico: “Odio quando mi chiamano così…”
Zabini ridacchiò divertito togliendosi le scarpe. “Oh, lo so. Me l’ha detto,” E ammiccò divertito “Dra-Dra”.
Draco si ributtò sul letto. Era stato da Pansy. “È molto arrabbiata?”
Blaise, sempre sorridendo, iniziò a sciogliersi il nodo della cravatta con estenuante lentezza. Se la sfilò, la piegò con cura e l’appoggiò sul baule. Quando iniziò a togliersi anche il maglione con la stessa flemma, il ragazzo sbuffò. “Dai! Smettila! So che lo fai apposta. Sta bene?”
Zabini sorrise ancora. “Non so cosa avete fatto, tu e Weasley, ma siete stati fortunati a non essere stati nei paraggi. Quando è arrivata stava per piangere, poi si è ripresa e si è infuriata, con voi. Alla fine era arrabbiata con se stessa per non aver lanciato qualche incantesimo a Weasley. Ma, per fortuna, non ce l’aveva con me…” E ridacchiò “Ha detto cose che la mia nobile bocca non può ripetere ma ce l’aveva a morte sia con te che con il pezzente”. Draco alzò un sopracciglio.
“L’ha chiamato così?” Il ragazzo era stupito. Di solito era lui che offendeva gli altri per il loro status, non Pansy. Anzi, non si ricordava di averla mai sentita dire niente in merito.
“No, effettivamente no. Ma se lo avesse fatto, sarebbe stato il complimento più bello, fra tutti i nomi che gli ha dato!” Il biondo sorrise. Questo aveva senso.
“Ora dov’è?”
“In dormitorio.”
Draco annuì e chiese ancora: “L’hai calmata?” Blaise si fece serio.
“Non nel modo che pensi tu.” Ah.
“No?”
“No” continuò Blaise.
Draco si incuriosì.“Pensavo che…”
“Pensavi male!” sbottò il moro. Ma se non con lui, né con Blaise, con chi…?
In quel momento la porta si aprì di nuovo ed entrò Nott. Per Salazar. Non Nott, vero? Il ragazzo, palesemente ubriaco (doveva essere stato da Corvonero anche lui), ruttò e si buttò di pancia sul letto.
 “Oh, che scopata, ragazzi!” Per le calze sporche di Merlino.  
Draco cercò di usare un tono di voce indicato per la situazione: “Nott, bentornato. Chi era la fortunata stasera?” Il ragazzo si voltò e alzò la testa.
“Una ragazzina che ho visto da Corvonero.”
Draco sospirò sollevato. Non era Pansy. “La conosco?”
Nott ghignò. “Penso di no. O forse sì. Oh, che ne so…” E si addormentò russando.
“Veramente un signore!” Blaise guardò schifato e infastidito.  Draco alzò le spalle.
Velocemente si spogliò e quando anche Blaise fu a letto, con la bacchetta, spense le lanterne.
Nel buio l’amico gli disse a voce bassa: “Comunque, quella ragazza ha un sacco di demoni”.
Draco, girandosi su un fianco gli rispose: “Tutti li abbiamo, Blaise. Tutti…”

***

 -

“Mi ha schiantato!” Ron era furioso. Con Malfoy. Ma molto di più con Hermione.
“L’hai già detto, Ron” gli rispose Hermione.
“E tu non hai fatto niente!” La strega sospirò e prese un sorso di tè.
Il tavolo della prima colazione, essendo domenica, era quasi deserto.
“Niente!” continuò. Sembrava un disco rotto. Hermione sospirò ancora. Bambini. I maschi erano dei bambini.

 

“Non hai fatto niente!” Ron si sentiva tradito. E si sentiva tradito a giusta ragione. “Che succede? Chi non ha fatto niente?” Ginny si sedette vicino a Hermione e Harry si accomodò vicino a Ron.
“Buongiorno” disse a tutti e a nessuno.
Ron era contento che fossero arrivati. Ora avrebbe spiegato loro cosa (non) aveva fatto Hermione.
Mangiò una forchettata di uova solo per creare suspance, e poi disse: “Malfoy mi ha schiantato e Hermione dice che ha fatto bene!” Hermione lo guardò con uno sguardo arrabbiato, mentre lui la guardava con sguardo vittorioso.
“COSA?” Harry, che finalmente si era svegliato, e Ginny che aveva in bocca un acino d’uva (che cadde sul tavolo), esplosero insieme.
“Non è andata così!” disse la ragazza.

 

Hermione cercò di calmare lo sguardo dei due ragazzi che la fissavano straniti.
“Ron ha detto delle cose brutte e Malfoy…” Non voleva spiegare tutto quello che era successo, anche perché avrebbe dovuto farlo Ron, secondo lei, così magari avrebbe potuto spiegare cosa gli fosse passato per la testa.
“Diciamo sempre cose brutte a Malfoy e non aveva mai…” iniziò Ginny ma Harry tossì interrompendola: “Beh, non esageriamo…”
Ginny lo guardò e annuì. “Sì, ok, ma non è più come prima. Non c’è Voldemort a metterlo sotto pressione o cose così… Aspetta!” E si girò verso il fratello chiedendo: “Che gli hai detto di preciso?”
A Ron iniziarono ad arrossarsi le orecchie. Hermione lo guardò sorridendo e disse: “Diglielo quello che hai detto!”
Lui balbettò qualcosa ma non si capì. “Non ho capito” disse infatti Harry avvicinandosi.
“Ha detto delle stupidaggini, ecco cosa ha detto. Ha offeso la Parkinson e l’ha fatta piangere. E per precisare, lei non aveva fatto niente” disse tutto d’un fiato Hermione.

 

Ron divenne ancora più rosso, mentre diceva sottovoce: “Non stava proprio piangendo. E poi dai, è una che non piange! Avrei potuto dirle qualsiasi cosa, è una Serpeverde, ed è un’amica di Malfoy!”

 

Hermione sbuffò e disse: “Hai ragione a lamentarti che non ho fatto niente. Dovevo schiantarti io. Non ha pianto perché l’hai fatta scappare, troll!”
Ginny si voltò stranita verso il fratello “Perché hai fatto piangere la Parkinson?” Poi guardò Harry e gli chiese: “Ce l’abbiamo con la Parkinson?”
Harry scosse la testa dicendo: “Io non ce l’ho con nessuno”. E riprese a mangiare.
La rossa gli sorrise e gli lanciò un bacio dall’altro lato del tavolo.

 

“Lei non aveva fatto niente” ribadì ancora Hermione.
“Sul treno ci ha lanciato un Silencio! C’eri anche tu!” si giustificò Ron. Hermione e Ron continuarono a discutere, come se fossero da soli.
“Ma l’hai umiliata!” sbottò alla fine Hermione.
Harry si voltò verso Ron e disse: “Le persone che incontriamo spesso stanno affrontando una battaglia di cui non sappiamo niente. Dovremmo cercare di essere sempre gentili”.
Ginny si sporse sul tavolo per baciare il moro dagli occhi chiari e Ron sbuffò. “Gentile? Con quella?” disse indicando con la testa il tavolo dei Serpeverde.
Tutti guardarono in quella direzione.

 

La Parkinson era seduta a scrivere una pergamena e sul tavolo accanto a lei, almeno due giornali arrotolati e uno steso aperto. Il suo sguardo andava dal giornale alla pergamena, senza mai alzare la testa. Ogni tanto allungava una mano verso una tazza e beveva il tè. Vicino alla tazza, su un piattino giaceva un toast dimenticato e due fette di pane ricoperte di marmellata. Era così intenta nello scrivere che non aveva mangiato niente e sul viso un’espressione seria ma serena.
“Chissà a chi scrive…” disse Ginny, girata a guardarla.
“Scriverà al suo nuovo fidanzato…”
“Chi? Zabini?” chiese Ginny a nessuno in particolare. Hermione allungò le orecchie.
“Sta con Zabini?” chiese a Ginny.
“A dir la verità non lo so, ma l’anno scorso, che Malfoy non c’era, hanno passato tanto tempo insieme. Girava questa voce, ma è un pettegolezzo. Non sono sicura…”
Hermione sorrise fra sè e sè. Poi si diede della stupida. Non doveva pensare alla Parkinson. Non doveva pensare a Malfoy. Né al fatto che la Parkinson non stesse più con Malfoy. Ma sorrise ancora.
“Dovresti scusarti”. Si sentiva di buon umore mentre parlava con il rosso.
“Che cosa?” Ron aveva smesso di mangiare “Cos’è che dovrei fare?”
Anche Ginny si intromise: “Sì, anche secondo me dovresti scusarti”.

 

“Non mi interessa quello che pensate, non lo farò.”
Ron sostenne lo sguardo delle ragazze e riprese a mangiare. Poi arrivò Luna che si sedette accanto a Ginny e le raccontò della festa della sera prima.
Però, mentre mangiava, Ron pensò, effettivamente, che avrebbe potuto scusarsi. Non dovuto. Ci aveva già pensato. Aveva visto come c’era rimasta male la ragazza quando aveva detto quella cosa. Aveva voluto ferirla. Non Malfoy, voleva dire quella cosa per fare stare male proprio lei. E c’era riuscito. Ma cosa gli era preso?
Quando era entrato lei stava parlando con quel troll di Corvonero…. Ma questo non giustificava niente, lo sapeva.
Quando si alzarono tutti per andare fuori, si incamminò verso il tavolo dei Serpeverde e dopo poco, senza quasi rendersene conto, si fermò davanti a lei.
La Parkinson alzò la testa dalla pergamena giusto per riconoscerlo, poi ritornò a scrivere.
“Sparisci Weasley” disse con tono duro.
Ron però non se ne andò e anche se non sapeva bene cosa dire, dopo un po’ ci provò: “Io…”
“Vattene” insistette lei.
“No, aspetta…” Si impuntò lui.
La mora sbuffò seccata e in pochissimo tempo raccolse giornali, pergamena, piume e calamaio e se ne andò.
Ron era ancora davanti al tavolo. La Parkinson era sparita. E aveva lasciato la colazione intatta. Oh, era stato proprio bravo. Complimenti, Ron.
Si voltò per raggiungere gli altri, quando due ragazzine, ridacchiando, gli rivolsero la parola.
“Ciao Ron” disse una, un po’ sdolcinata.
“Ciao…” Ron non era abituato a questo. Erano zuccherose in maniera fastidiosa. Lui non disse niente (perché stupito, non perché fosse maleducato).
“Cosa fai oggi? Ti andrebbe di fare una passeggiata con noi?” Ron le guardò sgranando gli occhi. Con lui? Tutte e due?
Le guardò ancora e quella più alta disse :“Ti aspettiamo alle due alla porta d’ingresso?”
Lui annuì senza molta convinzione e quelle esultarono ridacchiando. Che stava succedendo? Guardò ancora verso il tavolo Serpeverde e il posto vuoto lasciato prima dalla ragazza bruna.
Si rivoltò verso le ragazzine e disse, con il suo miglior sorriso: “Sarà un piacere ragazze!”  Loro ridacchiarono ancora più felici.

 -

***

Prima di pranzo Ron uscì a fare una passeggiata. Aveva battuto Harry a scacchi magici per tre volte, poi lui aveva dichiarato che doveva finire un tema di pozioni, che Ron sapeva benissimo che fosse in consegna dopo due settimane, quindi immaginò che Harry volesse stare un po’ con Ginny.
Sospirò. Non doveva mettersi in mezzo. O almeno ci avrebbe provato.
Aveva scritto a George e si erano scambiati una gran quantità di idee e di esperimenti da provare. Era contento di aiutare George. Fred mancava tanto anche a lui e stare con il fratello gli sembrava la cosa più giusta. E poi il negozio lo entusiasmava.  Voleva chiedere alla McGranitt il permesso di andare al tiri vispi qualche sabato.
In fin dei conti, questa cosa di aver salvato il mondo doveva portargli qualche vantaggio, no?
Arrivò sulla montagnola da cui si vedeva il lago nero e vide una figura, ormai familiare, che camminava avanti e indietro sulla riva.
La Parkinson si fermò, estrasse una sigaretta dalla borsa dei libri e la sua bacchetta si illuminò quando l’accese. Mela e cannella. Ron si illuse di sentirne l’odore da così lontano.
La ragazza riprese a camminare, assorta nei suoi pensieri. Il rosso avanzò di un passo, deciso ad andare a parlarle, quando, tutti e due, sentirono una voce che la chiamò. Ron si fermò, ancora troppo lontano per essere visto.
Vide Zabini camminare a passo veloce verso di lei (non aveva mai visto quel ragazzo correre, né tantomeno, a cavallo di una scopa) e quando le fu vicino l’abbracciò.
Ron trattenne il respiro. Se si fossero baciati avrebbe avuto sicuramente un infarto. Ne era sicuro. Per il raccapriccio. Per nient’altro.
Zabini si staccò da lei e, mettendole la mano sotto al mento, le fece sollevare la testa. Ron capì che la Parkinson stava piangendo quando lui le asciugò gli occhi. Adesso avrebbe voluto fumare una di quelle sigarette alla mela e cannella.
Chissà se era già pronto il pranzo, pensò,  avviandosi verso l’entrata del castello.

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Capitolo 9
*** Una lunga notte ***


Una lunga notte

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“C’è posta!” Ginny vide un gufo arrivare, planare sul tavolo dei Grifondoro e lasciarle cadere sul piatto (per fortuna ancora vuoto) una busta color avorio, tutta intarsiata di rilievi e dal profumo floreale.

 

“Chi ti scrive?” Ginny corrugò la fronte alla domanda di Hermione.
“Penso sia Fleur…” Fleur non le aveva mai scritto prima. Era vero che da quando si era presa cura di Harry e da dopo la battaglia di Hogwarts, avevano stretto una sorta di sopportata amicizia, ma restava il fatto che lei non le aveva mai scritto. Possibile che fosse successo qualcosa?
Aprì la busta con un po’ di preoccupazione. Merlino, quella busta profumava anche dentro! Scorse velocemente la pergamena giusto per capire l’umore e sorrise. Fleur aspettava un bambino!
Hermione sorrise quando Ginny lo disse ad alta voce. Ron, che aveva iniziato a mangiare, chiese: “Perché lo ha scritto a te?”
Ginny lo guardò male, prima di chiedergli: “Volevi che scrivesse a te?”

 

Ron, che sapeva dove sarebbe finito se avesse soltanto provato a continuare la conversazione, disse solamente: “No”, continuando a mangiare.

 

Ginny e Hermione si guardarono sorridendo. Tutte e due erano contente per Fleur (e per Bill, logicamente), soprattutto dopo quello che era successo l’ultima volta che l’avevano vista….

 
*Flashback*

 
“Venite venite!!!” Fleur e Bill erano andati a pranzo alla Tana e ora, finito di mangiare, Fleur aveva raggiunto le ragazze che erano in cucina a sfogliare il nuovo ‘Strega’s’ e sussurrava loro con il suo strano accento. Era contenta. Ginny e Hermione  si guardarono e la seguirono sulle scale.
“Possiamo andare in camera tua, Ginny?” chiese Fluer alla giovane cognata. Lei annuì sperando che la cosa non portasse via troppo tempo.
“Chi di voi vuole imparare a fare un incantesimo Quaestiognatio?” propose la francese sorridendo. 

Hermione sorrise (e non disse di saperlo già fare), mentre Ginny guardava prima l’una e poi l’altra, probabilmente, non capendo perfettamente l’argomento. “Dovrebbe essere Ginny a fartelo, essendo della famiglia…”

 
Ginny sgranò gli occhi: di cosa stavano parlando? Fleur sorrise alla faccia confusa della giovane cognata. “È l’ incantesimo per sapere se aspetto un bambino” spiegò.
“Oh…” Ginny sorrise anche lei (adesso che glielo avevano spiegato, effettivamente, poteva essere un incantesimo interessante da imparare) e guardò Hermione. Si vedeva dalla sua faccia che aveva voglia di farlo lei, (chissà che non si fosse già esercitata) così disse che avrebbe guardato, che non era sicura di come si facesse.
“Poi te lo faccio rifare anche a te, tesoro” disse Fleur, strizzandole l’occhio. Fleur a volte era veramente carina, dovette ammettere Ginny.
Così Hermione prese la bacchetta e la puntò verso la ragazza bionda che sedeva compostamente sul letto, scandì le parole (Fleur non aveva neanche detto come si faceva, Hermione lo sapeva già fare!!) e un filo bianco di luce uscì dalla punta della bacchetta di Hermione, si annodò a formare un grosso fiocco, poi, esattamente come si era annodato, si slegò e cadde lungo disteso per terra fino ad arrotolarsi su se stesso e scomparire.
Ginny continuò a guardarlo senza capire molto. Poi guardò Hermione, anche lei aveva una faccia strana e guardava Fleur, che invece aveva gli occhi spalancati e guardava per terra con tristezza. Poi la ragazza bionda scoppiò a piangere.
Ginny e Hermione si guardarono per pochi secondi e poi si sedettero sul letto a fianco della ragazza, una per lato e l’abbracciarono.
“Scusate… Ero così sicura di aspettare un bambino… Non ho voluto provare prima perché volevo farlo insieme a voi…”
“No, shhh… mi spiace tanto…. Forse non era il momento, vedrai che succederà, e sarà il momento giusto…” Ginny cercava di consolare quella ragazza come se fosse stata una bambina invece che una donna più grande di lei.
Passarono diversi minuti in cui anche Hermione consolò la francese. Poi si sdraiarono tutte e tre sul letto di Ginny e si raccontarono aneddoti di cose avvenute tanto tempo prima, per alleggerire la tensione.
 

*fine flashback*

 

Ginny ripensò ancora a quell’episodio, ora sorridendo. Era contenta. Sarebbe diventata zia!!!
“Ron, diventiamo zii!!” Ron annuì e scosse le spalle. Ginny sbuffò. (Allora era un difetto di famiglia, pensò Hermione).
“Visto che sei così entusiasta, adesso scrivo a Fleur e tu porti la lettera in guferia e la porti a Leotordo, che dici?” Ron annuì ancora e scosse le spalle. Guardò l’orologio. Non avrebbe fatto in tempo prima della prima lezione. Ci sarebbe andato a pranzo, ma decise di non dirlo a Ginny, onde evitare lamentele.

***

 -

Ron si diresse verso la guferia solo nel tardo pomeriggio. C’era buio e il sentiero era ripido e umido. O Merlino, perché aveva accettato? Ora gli toccava salire la lunga scala e trovare Leotordo. Non avendo ancora mandato gufi quell’anno, non era neanche sicuro di dove fosse fra tutti i gufi e le civette che c’erano nella guferia.
Quando arrivò in cima, lo colpì il rumore di tante ali che battevano. Non se lo ricordava. Che ci fossero più gufi? C’era un altro ragazzo e due ragazze che lo salutarono con una risatina. Non sapeva perché, ma ultimamente le ragazze facevano le svenevoli con lui come prima lo facevano con Harry…
Andò a cercare il posto di Leo, ma faticò a trovarlo e perse un sacco di tempo. Era un po’ spazientito. Quando Leo, forse annoiato dal fatto che non venisse trovato, bubulò, Ron aveva quasi perso la pazienza, Ma aveva perso la compagnia, infatti era rimasto solo, con centinaia di volatili.
Leo era da solo su un trespolo un po’ isolato. Era il primo anno che riusciva a stare con gli altri gufi nella guferia, ma probabilmente era ancora troppo vivace per una convivenza stretta sul trespolo.
Ron prese dalla tasca del mantello un biscotto per gufi e glielo allungò. Gli diede la lettera per Fleur e disse a Leo da chi doveva andare. Il gufò partì e volò fuori dalla finestra.
Il ragazzo si incamminò verso la scala, ma quando ci arrivò vicino si scontrò con una persona. Lunghi capelli corvini oscillavano di qua e di là, perché la ragazza che incontrò stava saltellando per salire più velocemente. Quando si trovò faccia a faccia con lui, la sua bocca si storse in una smorfia, ma Ron non se la prese.
“Ciao, Parkinson” disse.
“Weasley” rispose la mora, senza enfasi.  
Lei gli girò intorno, si diresse rapida verso un grosso gufo, probabilmente un gufo reale, visto che i Serpeverde dovevano farsi riconoscere anche con la scelta degli animali da compagnia e gli diede un pezzo di carne preso dal mantello e una busta. Guardò andare via il gufo, ma Ron immaginò che stesse aspettando di rimanere sola, visto che  il buio che c’era non permetteva di vedere il volo dei gufi a lungo.
“Senti…. Volevo chiederti scusa. Sono stato un idiota. Non avrei dovuto dire…” Ron mise le mani in tasca mentre parlava frettolosamente, ma si interruppe e si avvicinò di qualche passo alla finestra dove lei stava guardando ancora fuori. Quando la ragazza vide che si era liberata la strada per la scala, ne approfittò, e girando intorno al ragazzo, la raggiunse ma poi, prima di scendere il primo scalino, si voltò verso di lui e disse: “Hai proprio ragione, Weasley, sei un idiota!” E sparì.
Ron rimase lì. Beh, lui le aveva chiesto scusa. Lei non aveva detto che non le accettava, giusto?

***

 -

Quella notte Ginny venne svegliata improvvisamente da qualcuno che le scostò le cortine del letto. Ci mise qualche attimo a capire cosa stesse succedendo, quando vide la faccia di Hermione deformata da una smorfia di dolore e capì che stava ancora male.
“Hermione!” sussurrò. La riccia disse con un filo di voce: “Ti prego… chiedi a Malfoy…”
“Malfoy?” Ginny pensò di aver capito male e di essere ancora addormentata.
“Sì, fallo venire, deve portare la pozione” sussurrò Hermione.
La rossa, nonostante non capisse il collegamento le disse: “È il dormitorio delle ragazze, non può venire qui”.
Hermione indicò per terra dove aveva appoggiato quello che sembrava un lenzuolo e precisò: “Andiamo noi. Con il mantello. La stanza delle necessità”.
Oh, non era un lenzuolo, era il mantello dell’invisibilità. Va bene. Avrebbe fatto quello che diceva Hermione. Si vestì velocemente e dopo aver controllato fuori dalla porta accompagnò l’amica nella stanza delle necessità.
Impiegarono tanto tempo perché spesso Hermione doveva fermarsi per delle fitte e delle scosse al petto che la facevano stare male e Ginny doveva sostenerla per impedirle di cadere.
Ginny era sconvolta. L’altra volta non era stato così. Questo era peggio. Quando arrivarono davanti al corridoio del settimo piano, Hermione disse: “Aspetta, passo io”, e Ginny la lasciò fare.
Quando la porta apparve e loro riuscirono a entrare, la rossa si guardò intorno. C’erano tre poltrone, delle coperte, un tavolino con il necessario per scrivere, un camino acceso e un mobile bar. Un mobile bar? Si avvicinò al mobile e vide che c’erano anche delle bottiglie di liquore. Oh mamma!
Hermione si sedette su una delle poltrone, si raggomitolò e si coprì con una coperta, poi spiegò: “Adesso mandi un messaggio a Malfoy e gli chiedi di portare la sua pozione”, fece un cenno con la mano quando notò che la ragazza voleva interromperla e continuò: “Non preoccuparti, lui capirà”.
Ginny scrisse il biglietto come lei aveva detto (beh, più o meno), e con la bacchetta lo fece piegare su se stesso finchè non divenne un piccolo gufo e si alzò in volo. Poi aprì la porta, lo fece uscire e lo seguì.

 

Draco venne svegliato da un picchiettio costante e vagamente fastidioso sul suo naso. Quando aprì gli occhi vide il piccolo gufo di carta e lo fermò con la mano.
Nel momento in cui lo toccò, questi si spiegò e ritornò un pezzo di pergamena liscia. Lesse il messaggio che vi era scritto e alzò un sopracciglio.

Vedi di svegliarti e portaci fuori la tua famosa pozione al più presto.

Hermione sta male

G.W.

 -

La Weasley. Senza fronzoli la ragazza. Si vestì velocemente, cercando di non svegliare i suoi compagni di stanza. Quando uscì dalla porta dei sotterranei si guardò intorno. Dove doveva andare? Non glielo aveva scritto.
A un tratto si sentì tirare per un braccio e sentì un fruscio. Prima di rendersene conto era sotto il mantello dell’invisibilità di Potter con la Weasley. Se glielo avessero raccontato non ci avrebbe mai creduto.
“Buonasera…” Cercò di essere gentile lui.
“Shh… è un mantello dell’invisibilità, non è insonorizzato, Malfoy!” precisò lei a voce bassa. “Hai portato la pozione?” chiese lei con un tono da malavitoso e il biondo sorrise divertito.
“Sì. Hermione dov’è?”
“Stanza delle necessità” rispose la rossa. Lui annuì e lei sbuffò.
“Possiamo andare adesso? È una vita che sono qui…” Draco annuì ancora.

 

Ginny diede il passo e si incamminarono. Il mantello non era tanto grande e lui era più alto di lei, il che lasciava poco margine di stoffa, così dovettero stare vicini e la cosa non piaceva a entrambi. Quando arrivarono al settimo piano, Ginny tolse il mantello a tutti e due e passò davanti al muro per far apparire la porta.
Appena ci riuscì la aprì ed entrarono insieme. Hermione adesso batteva i denti. Ma non c’era freddo. Malfoy si precipitò da lei. “Da quanto tempo è iniziato?” le chiese, voltandosi verso la rossa.
“Qualche ora” rispose.
“Qualche ora? Avresti dovuto chiamarmi prima!” esclamò lui rivolgendosi, questa volta, a Hermione.
Ginny guardava i due ragazzi un po’ stranita. Non capiva bene bene la situazione, ma loro sembravano convinti di quello che stavano dicendo, così si sedette sulla poltrona accanto alla ragazza e osservò tutto.
Quando Malfoy, dopo essersi seduto di fronte alla riccia, tirò fuori la benedetta pozione, Ginny si fece avanti.
“Aspetta. Che cos’è?” chiese, sospettosa.
“La pozione di Piton. Mi aiuta a stare meglio” Hermione rispose al posto del ragazzo. Ma la giovane strega non era convinta.
“Come facciamo a sapere che non ti farà male?” sussurrò all’amica.
“L’ho già presa” disse Hermione,  ma Ginny non voleva ancora cedere.
“La prendo prima io” disse, guardando Malfoy, che sgranò gli occhi. Lui aveva uno scintillio strano nello sguardo, secondo la rossa.
“No, Ginny, ce n’è poca e serve a tutti e due” rispose Hermione, ancora una volta al posto del ragazzo.
Guardò ancora l’amica. Lei guardava fiduciosa il biondo Serpeverde e la cosa le metteva ansia.
“Fammela annusare” disse a Mafoy. Il ragazzo ghignò nonostante tutto.
“Paura che sia Amortentia?” chiese, ma gliela passò senza problemi e la ragazza l’annusò, poi lei gliela ridiede. Lui la versò (con parsimonia) in bocca a Hermione e la rimise via. Le massaggiò un attimo le mani (che aveva tenuto strette in maniera molto delicata, notò) poi si girò verso di lei dicendo: “Legno?”
Ginny lo guardò negli occhi. Voleva sapere di cosa profumasse la sua Amortentia? Non aveva bisogno di nascondersi né di mentire. E rispose sinceramente: “Cuoio. Cuoio della pluffa, torta di pesche di mamma e quello che penso sia il dopobarba di Harry”.

 

Hermione sorrise. “Sandalo?” Ginny scosse il capo.
“È un misto fra muschio bianco e patchouli, lo sento quando sono vicino a lui.”
Hermione annuì, ma non ci aveva mai fatto caso.

 

Ginny non chiese agli altri due che profumo avesse per loro l’Amortentia. In quel momento non le poteva importare di meno. Osservava ancora il biondo e si sentiva ipnotizzata. Immaginò che stesse succedendo la stessa cosa anche a Hermione perché lei lo guardava con una strana luce negli occhi. Sperò di non avere lo stesso sguardo. Sarebbe stato imbarazzante.
Si rannicchiò meglio e si allungò ad afferrare la coperta.
“Tesoro, torna a letto e scusami se ti ho svegliato…” Hermione parlava come Fleur, pensò sbadigliando Ginny, come la vecchia Fleur, quella noiosa.
“Io resto qui” insistette, ma poi non si accorse quando si addormentò.

 

Malfoy  teneva ancora la mano di Hermione, le massaggiava le braccia ritmicamente e dopo un po’ le chiese: “Come va?” Lei sorrise.
“Molto meglio” rispose. Lui le tenne ancora la mano. Hermione scoprì che la cosa le piaceva.
Poi il ragazzo le chiese, sottovoce: “Posso vedere la cicatrice?” Lei si sentiva serena e rilassata, e per niente intimorita. Annuì.
Spostò le gambe giù dalla poltrona e facendolo la coperta cadde di lato, la sua vestaglia si aprì e le scoprì una coscia.
“Non sarai mica nuda, lì sotto, vero?” Malfoy aveva  sgranato gli occhi e alzato un po’ la voce (che si era fatta roca e molto sexy, secondo Hermione).
Lei rise e scosse la testa “Certo che no!”
Lui la guardava in modo strano, come se stesse decidendo se crederle o no. Velocemente si alzò e andò al mobile bar a versarsi un bicchiere di Firewhisky.
Quando tornò, Hermione si stava arrotolando la manica della vestaglia, fino a scoprire l’avambraccio quel tanto che bastava per mostrare la parola.
Lui bevve una lunga sorsata e dopo aver appoggiato il bicchiere, allungò di nuovo la mano verso di lei. Hermione ebbe un brivido quando la sua mano fredda si appoggiò sul braccio. Lui la guardò e sussurrò: “Scusa”. Lei sorrise.
“Sei gelato” disse, a mo’ di spiegazione. Sorrise anche lui.
“Sempre” rispose. La ragazza si domandò che effetto facesse quella sensazione su altre parti del corpo. E rabbrividì ancora.
Cercò di pensare ad altro e si concentrò sul segno sul braccio. La scritta era sottile, cicatrizzata, ma si leggeva ancora. Lui dovette pensare la stessa cosa, perché lo sentì sospirare. Poi distolse lo sguardo da lei e si allungò a prendere il bicchiere. Lo scolò velocemente e si alzò per andare a riempirlo ancora.
Mentre era lontano disse sottovoce: “Mi dispiace. Di non aver fatto niente, intendo…”
Hermione si rabbuiò. E cosa avrebbe dovuto fare? Così glielo chiese. Lui si avvicinò con il bicchiere in mano, ma quando si sedette, lo appoggiò sul tavolino senza berlo.
“Avrei potuto impedirle di farti del male…” Ma da come lo disse, si capiva che non ci credeva nemmeno lui. Non ci sarebbe riuscito. E chissà cosa sarebbe successo se ci avesse provato.
“Cosa devo dirti? Che avrei preferito non essere cruciata? Che avrei voluto che quella pazza morisse improvvisamente sotto i miei occhi? Sì. È così. Si è divertita con me, perchè aveva già deciso di uccidere me e Ron, visto che doveva consegnare Harry vivo a Voldemort!” Malfoy trasalì quando lei pronunciò quel nome. “Cosa ti fa pensare che non avrebbe ucciso anche te se ci avessi aiutato? Eri per caso il suo nipote preferito? Perché con Tonks non è stata proprio gentile…”

 

Il tono di voce della ragazza si era fatto acuto e forte, così Draco pensò di calmarla prima che svegliasse la Weasley.
“Ok, va bene. È che mi sento in colpa…” E ti sogno di notte mentre vieni torturata. “Tu?” Lei rise cattiva. Ma poi si portò una mano alla testa.
“Mi sta tornando!” I suoi occhi si sbarrarono impauriti e ritornò la ragazzina che lui prendeva in giro al primo anno.
Draco si risedette velocemente dicendo: “No. Non lo permettere. Pensa cose belle”.
Provò a prenderle la mano, ma lei, che era ancora arrabbiata la tirò via. “Come no!” Chiuse gli occhi. “Perché non funziona più?”
Lui si allungò a prendere il bicchiere di prima e glielo portò alle labbra.
“Bevi un sorso e non pensare che non funzioni” disse. Lei smise di ostacolarlo e bevve.
“Per questo bevi? Per il mal di testa?” Fosse stato solo per il mal di testa…
“A te fa solo male la testa, quando succede?” Lei scosse il capo. Poi richiuse gli occhi, probabilmente per il dolore.
“Ok, me lo dici dopo” disse, preoccupato. Lei aprì gli occhi e si guardò il braccio. Draco le mise una mano sotto il mento, per non farle vedere la cicatrice.
“Guarda me, guarda me. Pensa cose belle.”
La Granger ridacchiò, mente diceva: “Cose belle guardando te?”
Lui storse la bocca in una smorfia, ma scherzare era meglio che essere arrabbiati.
“Ok, allora non guardarmi!” disse stizzito. Si alzò in piedi e passò oltre la ragazza, scavalcò la poltrona con una gamba e si sedette dietro di lei.
“Ma… cosa fai?” chiese lei, forse un po’ spaventata.
“Così non devi guardarmi. E adesso stai zitta e prova a dormire”. E, tirando su la coperta, l’abbracciò. Lei si rannicchiò contro di lui e appoggiò la testa sul suo petto. Per fortuna non aveva fatto resistenza. Doveva essere molto stanca. Ed era fra le sue braccia. Chiuse gli occhi sorridendo.

 

Quando lui l’abbracciò, Hermione non pensò più a niente. Era caldo, solido, morbido e profumava di buono. Assenzio, forse? Sorrise mentre elencava mentalmente le proprietà e il nome scientifico della pianta, che si adattavano così bene al ragazzo biondo che l’abbracciava.
Così chiuse gli occhi e si mise comoda. In fin dei conti che male c’era? Erano nella stanza delle necessità, nessuno li aveva visti e Ginny dormiva. Lei, invece, voleva sognare.

 -

***

Harry si era svegliato di soprassalto dopo l’ultimo incubo. Sognava spesso Voldemort: Voldemort che tornava, Voldemort che non moriva, Voldemort che uccideva i suoi amici, Voldemort che uccideva Ginny!
Si alzò tutto sudato dal letto, andò in bagno e si lavò la faccia. Tornò a letto ma non riuscì ad addormentarsi. Dopo un po’ decise di farsi un giro in sala comune. Chissà che qualcuno non soffrisse di insonnia come lui. A dir la verità quasi tutti quelli che avevano partecipato alla battaglia avevano incubi di notte, quindi non era strano incontrare qualcuno in sala comune che passasse il tempo anche a quell’ora.
La sala comune però era deserta. Guardò l’orologio e vide che erano le tre. Era sveglio da più di un’ora. E non aveva ancora voglia di dormire.
Si sedette su un divano davanti al camino, tirò fuori la bacchetta e ravvivò il fuoco, per aumentare il calore della stanza.
Dopo dieci minuti era già annoiato. Guardò se in giro ci fossero dei libri (Oh se lo avesse saputo Hermione!!) ma non trovò niente. Così tirò fuori dalla tasca la mappa del malandrino e recitò sottovoce l’incantesimo per far apparire Hogwarts.
Pian piano si disegnò tutto il castello, l’ultimo piano, quelli intermedi, il primo piano, la sala grande e i sotterranei. Vide il puntino di Ginny spostarsi lungo i sotterranei.
Harry si mise più dritto e guardò meglio. Come poteva essere? Ginny? Nei sotterranei? Doveva aver letto male. No. Aveva visto giusto ‘Ginevra Weasley’. Proprio lei.
Controllò ancora e vide il puntino fermarsi a un certo punto del corridoio. Il corridoio dei sotterranei, dove c’era l’entrata dei Serpeverde. Guardò il puntino muoversi a destra e sinistra e poi ancora a destra e a sinistra,  e capì che andava avanti e indietro; stava aspettando. Ma cosa aspettava nei sotterranei?
Quando vide il puntino di Malfoy raggiungere quello della ragazza, gli si spezzò il cuore. CHI stava aspettando. I due puntini si avvicinarono. Troppo. Non si stavano baciando, vero? Il petto di Harry batteva furioso. No, c’era una spiegazione. Di sicuro. I due puntini rimasero vicini per quello che al ragazzo sembrò un’eternità, poi lentamente (più lentamente di quando il puntino di Ginny era da solo) si spostarono.
Harry non capì subito dove stessero andando. Ma quando arrivarono al quarto piano ebbe il sospetto: la stanza delle necessità.
Corse verso la camera a prendere il mantello dell’invisibilità, ma a metà della scala si ricordò di averlo lasciato a Hermione. Guardò verso la scala del dormitorio femminile, non sarebbe riuscito ad andare in camera sua a prenderlo. Non senza svegliare tutto il dormitorio. Non voleva creare un putiferio. Voleva andare da Ginny.
Sospirò, decidendo cosa fare. Poteva stare lì e aspettare che lei tornasse (e se non tornava?) oppure poteva sfidare Gazza e tutto il mondo e andare ad aspettarli davanti alla stanza delle necessità. Tornò in camera per mettersi un maglione pesante (la parte più difficile fu farlo in silenzio per non svegliare gli altri) e si fiondò fuori dal quadro della signora grassa.
Si incamminò veloce verso il settimo piano, ma quando salì le scale, capì di essere arrivato tardi. Vide Ginny passare davanti al muro e vide la porta apparire, Ginny l’aprì e Malfoy entrò dietro di lei e la porta sparì.
A Harry caddero le braccia. Era successo tutto molto velocemente, ma anche se avesse voluto, cosa avrebbe potuto fare? Gridare per tutto il corridoio?
Si avvicinò al muro, ma non successe niente. Provò a pensare a qualunque cosa potesse far apparire la porta della stanza, ma non apparì. Non voleva pensare a una camera da letto. Ma ci pensò. Tutte le volte che passò davanti al muro. Una camera con le lenzuola verdi e argento. No. C’era un’altra spiegazione. Doveva esserci. Avrebbe aspettato. Sarebbero usciti prima o poi, giusto?
Si nascose dietro la statua che c’era davanti al muro, nel caso passasse Gazza, e si mise seduto, vicino al muro dove poteva vedere il corridoio senza essere visto. Tirò fuori la mappa e la consultò. Gazza non era in giro. La rimise via. E aspettò. Merlino se c’era freddo. Dopo mezz’ora era gelato. E stanco. Cercò di sforzarsi di tenere gli occhi aperti ma perse la battaglia. Si addormentò mezz’ora prima che Ginny e Hermione uscissero dalla stanza delle necessità e si infilarono il mantello. Malfoy invece uscì dopo un quarto d’ora. Ma lui non vide nessuno dei tre. E loro non lo videro.
Fu svegliato dalla McGranitt alle sei del mattino che faceva il giro del castello. Lei lo guardò con curiosità e lui rispose soltanto che aveva avuto incubi strani e voleva assicurarsi che quella parte del castello fosse sicura.
Dovette essere abbastanza convincente (o sembrare abbastanza matto da decidere di lasciarlo in pace) perché la professoressa non lo sgridò né gli tolse punti né lo mise in punizione. Era stato fortunato. Già. Proprio fortunato….

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Capitolo 10
*** Problemi ***


Problemi

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Quella mattina tutti erano assonnati. In sala comune Harry scorse Hermione che scendeva lentamente le scale del dormitorio e le andò vicino chiedendo notizie del mantello. Lei fece una faccia sorpresa e disse: “È vero, ce l’ho io. Scusami. Ti serviva?” cercò di restare nel vago lei.
Harry, che non voleva parlare della notte passata, scrollò le spalle.
“Pensavo solo di tenerlo io” disse. Lei annuì.
“Certo, certo. Te lo vado a prendere, mi aspetti?” Lui annuì e si sedette.
Ron arrivò poco dopo sbadigliando. Quando Hermione tornò con il mantello di Harry, insieme a lei c’era anche Ginny.
Harry si agitò.  Non sapeva come comportarsi. Fare finta di niente? Chiedere subito spiegazioni? Era la soluzione migliore, ma non chiese niente. Bravo Harry! In Serpeverde dovevi finire, codardo! Pensò. Guardò la rossa. Aveva una brutta faccia. Era evidente.
Ron le chiese: “Tutto bene Ginny? Hai una faccia strana… Hai passato una brutta notte?” A volte capitava che qualcuno di loro avesse degli incubi, era normale (Infatti lui li aveva avuti quella notte), ma lei sorrise. Harry non le aveva mai visto quel sorriso strano. Stava mentendo.
“No no. Tutto bene. E voi?” rispose,  guardando tutti e tre. Harry pensò che la mancanza di sonno gli avesse tolto anche la capacità di giudizio, però lei stava mentendo davvero. Lui lo sapeva. Disse agli altri di andare a fare colazione mentre lui portava il mantello in camera e si dileguò.

 

Ginny si accorse che Harry la stava evitando dopo la terza volta che fece finta di non vederla in corridoio. A colazione, quando era tornato, non si era seduto vicino a lei e non era riuscita a dargli neanche un bacio prima dell’inizio delle lezioni. Non capiva cosa stesse succedendo, ma era meglio chiarirlo subito. Così, quando suonò la campanella dell’ultima lezione del mattino, lo aspettò prima dell’ingresso in sala grande e lo bloccò.
“Harry possiamo parlare?” Lui era insieme a Seamus e a Lavanda. Harry non si aspettava di vederla e si spaventò quando lei gli intralciò il passo. Annuì salutando con il capo gli altri due. Ginny lo precedette in un angolo e iniziò a parlare.
“Volevo dirti che…” Ma Harry non la fece finire. Alzò una mano per farla tacere e iniziò dicendo: “Penso che dovremmo prenderci una pausa”.
Dopo che lui ebbe pronunciato la parola Pausa Ginny non capì più niente. Aveva sentito racconti sul fatto che succedeva, ma non ci aveva mai creduto e invece era vero, a volte il tuo cervello non si collegava più e tu ti perdevi. Sentì parole come futuro, giovani, per sempre, e quando lui disse la frase fare altre esperienze, non ascoltò più. Non ci riusciva.
Harry, il suo Harry, la stava lasciando. Per fare altre esperienze. Sapeva di aver risposto qualcosa, ma poi non si ricordò cosa disse. Riuscì a non piangere davanti a lui. Non voleva. Se Harry voleva fare altre esperienze era stato onesto a dirglielo e a non tradirla, però… però… Lui non le diede neanche un bacio sulla guancia, se ne andò e basta. E lei rimase lì, per un tempo infinito. Vide altri studenti passare per andare a pranzo. Qualcuno la salutò. Non si ricordò poi se lei avesse ricambiato il saluto o meno.
Si girò dalla parte opposta alla sala grande e si mise a correre verso la torre dei Grifondoro. Incontrò un professore che le intimò di non correre e lei rallentò per poi riprendere a correre quando fu dietro l’angolo. Arrivò dal quadro della signora grassa trafelata. E non si ricordava la parola d’ordine. Merlino. Stava per piangere. Per fortuna un ragazzino uscì dalla sala comune in quel momento e lei si intrufolò prima che la signora grassa tornasse al suo posto.
Si diresse verso i dormitori e verso la stanza del suo anno. Per fortuna era vuota. Si distese sul letto, dopo aver abbandonato la borsa con i libri per terra. Con la bacchetta tirò le cortine del letto e si abbandonò sul cuscino e le lacrime le scesero da sole. Si raggomitolò e cercò di pensare se le fosse sfuggito qualcosa. Harry sembrava volere solo lei. Cos’era cambiato? Ci pensò e ripensò a ogni singola volta in cui lo avesse visto o in cui gli avesse parlato, ma niente, niente le aveva dato l’impressione che volesse lasciarla…
Con un incantesimo d’Appello richiamò la radio che le aveva lasciato la mamma, la stessa con cui lei ascoltava Celestina Warbeck prima che papà gliene regalasse una nuova, e l’accese. Quando sentì una canzone particolarmente triste e adatta allo stato d’animo in cui si trovava, incantò la radio in maniera che ripetesse sempre la stessa canzone. Stava male e non vedeva altra soluzione.

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 ***

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Hermione non aveva visto Ginny a pranzo. Né nel pomeriggio. Vide Harry che faceva i compiti a uno dei tavoli della biblioteca, così si avvicinò sorridendo e gli chiese se l’avesse vista.
“No” rispose Harry un po’ duramente, senza alzare gli occhi dalla pergamena. Alla ragazza sembrò una cosa strana, così chiese: “Harry… sta succedendo qualcosa? ”
Lui allora alzò la testa e disse: “Noi… ci siamo lasciati”.
Hermione cadde sulla sedia. “Come? Perché vi siete lasciati?” lui alzò le spalle e disse: “Abbiamo deciso di fare altre esperienze”.
COME? Altre esperienze? Ma se dodici ore prima Ginny andava orgogliosa del fatto che la sua Amortentia profumasse di Harry!! “Ma… Sei sicuro?”
Harry la guardò come se si fosse trasformata in uno snaso. “Secondo te?”
“Ma che ti ha detto di preciso?”
Harry riprese a scrivere e disse brusco: “Non ne voglio parlare!”
Hermione, quando capì che non avrebbe tirato fuori un Doxy dal buco, si alzò e andò a cercare Ginny.
Lungo il corridoio incontrò Ron e chiese anche a lui se l’avesse vista, ma non gli disse nient’altro. Che se la sbrigasse Harry, con le spiegazioni. Ma neanche Ron l’aveva vista. Incontrò Luna, Neville e anche qualcun altro, ma nessuno l’aveva vista. L’aveva cercata anche allo stadio di Quidditch, ma non c’era. (Non c’era nessuno a dir la verità), così si avviò verso la sala comune.
Una compagna di stanza di Ginny scese le scale del dormitorio in quel momento e, prima che Hermione riuscisse a chiederle se sapesse dov’era la rossa, questa le andò vicino e le disse: “Ginny è in camera. Dovresti proprio andare da lei…”
Hermione annuì, senza chiedere ulteriori informazioni. Quando arrivò davanti alla camera del settimo anno, quello ufficiale, due ragazze stavano uscendo e dissero quando la videro: “Speriamo che si rimettano insieme al più presto. Non ne possiamo più di sentire quella canzone!”
Hermione sentiva la musica venire dal baldacchino di Ginny, ma le cortine erano tutte tirate e non la vedeva.
“È la dentro, è la dentro. Abbiamo provato a parlarne, ma ci ha cacciato. Abbiamo provato a incantare il letto per non ascoltare anche noi la musica, ma deve aver lanciato un incantesimo, visto che non funziona. Fra un po’ vado io da Potter a chiedergli di rimettersi con lei!” Effettivamente la canzone, che Hermione conosceva, era triste e bellissima e assolutamente adatta alla situazione. Ma se l’ascoltava da più di un’ora,  entro sera, si sarebbe gettata dalla torre di Astronomia.
Avanzò decisa verso il letto, mentre le ragazze uscivano, e con la bacchetta aprì le tende. Ginny non si scompose, né si spaventò. La guardò con occhi da cucciolo e Hermione riuscì a malapena a sgridarla.
“Ginny? Stiamo scherzando? Da quanto stai ascoltando questa canzone? A tutto volume?”
La ragazza la guardò e balbettò: “Ci siamo…” Non riuscì a finire la frase. Hermione si sedette vicino a lei e le posò una mano sulla spalla.
“Sì lo so. E ora lo sanno anche le tue compagne di stanza…”
“Non volevo parlare con nessuno. Così hanno capito di che umore fossi!” La riccia l’abbracciò. Povera Ginny.
“E con me vuoi parlare? Spiegami cos’è successo...”

 

Si sdraiarono vicine e Hermione le tenne un braccio intorno alle spalle.
“Io non lo so. Mi ha detto che vuole fare altre esperienze…” E si interruppe, consapevole che avrebbe pianto se avesse continuato. E lei non voleva piangere. Non ancora.
Hermione stava per ribattere, quando Ginny continuò: “Ultimamente ci sono un sacco di ragazze che girano intorno a Ron, forse… forse ora lui non vuole più stare con me e vuole…” E si interruppe ancora.

 

Hermione non sapeva proprio cosa dire. Così disse l’unica cosa che le venne in mente: “Ci sono qua io. Non preoccuparti”.
L’abbracciò un po’ più stretta. E rimasero così, fino all’ora di cena.

***

 -

“Hai già saltato il pranzo. Non salterai anche la cena!” Hermione era irremovibile. Ma non riusciva a convincerla.
“Non ho fame” si giustificò Ginny.
 “L’avrai stanotte” replicò Hermione.
“Andrò in cucina dagli elfi e mi farò dare qualcosa. SE succederà!”
Hermione sgranò gli occhi esclamando:“NO!”
Ginny la guardò. Era arrabbiata per il fatto che non volesse scendere a cena o perché voleva far lavorare gli elfi anche di notte? Scoppiò a ridere e si sentì molto meglio.

 

Hermione cambiò espressione e disse guardandola sorniona: “Non ti facevo una che si nasconde…”
“Io non mi nascondo!” replicò l’amica, piccata. La riccia sorrise di più. Aveva toccato il tasto giusto. “Ah, no?” continuò.
“No!” sostenne Ginny.
“Quindi adesso vieni a cena e fai vedere a questa scuola che una ragazza cresciuta con sei fratelli non ha paura di nessuno?” chiese Hermione, ormai convinta che fosse la strada giusta.

 

Ginny ci pensò su. Quanto era stata male quando Harry era uscito con la Chang? O quando l’aveva baciata? Ron l’aveva informata subito, quel troll!
Le era sembrato di morire. E Hermione l’aveva consolata e l’aveva aiutata ad andare avanti. Poteva farlo ancora.
“Faccio la doccia. Mi aspetti?” chiese all’amica. Hermione annuì.
Dopo mezz’ora scesero in sala grande.

 

La cena era già iniziata e tutti erano già seduti quando loro entrarono. Trovarono posto vicino alla porta, in fondo al tavolo. Ginny non osò guardare dove fosse seduto Harry. Una cosa alla volta.

 

Harry le vide entrare. Ginny non era venuta a pranzo (anche se lui non se l’era aspettato) e aveva guardato in continuazione l’entrata per vedere se sarebbe venuta a cena. Quando entrò, insieme a Hermione, molte teste si girarono nella loro direzione.
Lui cercò di guardarla il meno possibile, così buttò lo sguardo al tavolo dei Serpeverde. Malfoy parlava con Zabini fino a poco prima (Harry aveva controllato cosa facesse fin troppe volte), ma quando le ragazze entrarono, si voltò anche lui verso di loro. Vide uno sguardo interrogativo sul suo viso e poi lo vide sorridere e salutare con un cenno del capo. Harry guardò il suo piatto e non alzò più lo sguardo.

 

Ron, che non sapeva niente, si stupì del fatto che le ragazze si fossero sedute lontano da loro. Così chiese a Harry se sapesse il perché e lui, senza alzare gli occhi dal piatto gli comunicò che lui e Ginny non stavano più insieme da quel pomeriggio.
Ron, dopo il primo sbalordimento, appoggiò la forchetta e gli disse sottovoce: “Dimmi che non ti devo spaccare la faccia”.
Harry lo guardò e rispose: “Io… no. Ma non ne voglio parlare con te”.
Ron annuì. Avrebbe dovuto parlare con sua sorella. Perché non glielo aveva detto? Perché avresti fatto del casino. Ron annuì ancora a se stesso. Avrebbe cercato di rimanere calmo e le avrebbe parlato. Dopo cena però, pensò riprendendo a mangiare.

***

 -

Pansy stava fumando in cortile quando la voce di Draco le arrivò alle spalle. “Pansy…” Si voltò lentamente e disse salutandolo: “Dra”.
“Non ce l’hai con me?” le chiese. Lei sorrise.
“Secondo te?” Draco ghignò.
“Secondo me vorresti ma non ce la fai. Perché sono troppo bello!” Pansy rise. Spaccone.
“Non ce l’ho con te. Ma mi hai fatto fare la figura del troll!”
“No, non è vero. È stato Weasley.”
“Ho sentito dire che è stato schiantato…” Lui si strinse nelle spalle.
“L’ho sentito dire anch’io.”
La mora aspirò una boccata prima di dire, incredula: “Mi hai difeso…”

 

Lei aveva parlato con un tono strano, come se non credesse che lui l’avrebbe fatto.  “Ti ci avevo messo io in mezzo, dovevo tirarti fuori io” spiegò e lei annuì senza dire niente.
Dopo un po’ anche lui si accese una sigaretta e la ragazza lo guardò prima di chiedere: “Quando hai detto quella stupidaggine, c’era anche la Granger?”

 

Il biondo tossì e Pansy rise. Ci aveva preso. Solo un ragazzo poteva pensare di dire una cosa del genere per far colpo su una ragazza.
“Se me lo avessi detto non mi sarei arrabbiata e avrei saputo cosa rispondere a Weasley. E magari sarei andata alla festa dei Corvonero!” Rise, più leggera.
Draco non disse niente e lei continuò: “Ho sempre sospettato che ti piacesse la Granger”. Lui si stupì.
“Davvero?” chiese quindi.
Pansy alzò le spalle. “È molto carina e… ha salvato il mondo magico. I suoi amici lo sanno?”
“Non lo sa neanche la Granger…” rispose Draco, un po’ demoralizzato. Pansy si fermò con la sigaretta a mezz’aria.
“Perché non lo sa? Non sta più con Weasley, no? O sta con qualcun altro?” Draco aspirò lentamente prima di risponderle.
“Non penso che stia con qualcuno…”
“Quindi?” calcò lei.
“Ci sono cose che…” Pansy sbuffò il fumo rumorosamente e lo interruppe prima che andasse avanti su quella strada.
“Oh Draco, raccontati quello che vuoi, ma potrebbe essere un’occasione persa. Se non ti fai avanti tu, lo farà qualcun altro sicuramente. E ora sei libero. Non hai nessuno che ti dica cosa puoi o non puoi fare!”

 

Draco si fermò a guardarla. Poteva avere ragione, però… di chi stava parlando? Di sé o di lui?
Per un po’ stettero in silenzio finendo di fumare. Poi Draco pensò di dar voce ai suoi pensieri: “Tu potresti provarci con Weasley…”
Pansy si voltò di scatto verso di lui e sbottò: “E perché dovrei?”
“Occasione persa?” disse, usando le sue stesse parole. Pansy scosse in aria la mano per liquidare la questione e prendendo la bacchetta fece sparire il mozzicone.
Si incamminò verso il portone e lui le disse ad alta voce: “È ancora quella questione delle ‘brave persone’?” Lei si fermò e si girò verso di lui.
“Sai Draco cosa devi fare la prossima volta che sparli di me? Devi esagerare. E io ti reggerò il gioco!” Lui sorrise e annuì mentre alzava la mano in segno di saluto.
La ragazza alzò la mano anche lei e ritornò dentro.

***

 -

“Cosa è successo fra te e Harry?”
Ron avrebbe preferito che la sua domanda avesse avuto tutto il tatto che la situazione richiedeva, ma non c’era riuscito. Era dovuto correre dietro a Ginny per tutto il castello (ok, non proprio tutto il castello, ma a lui sembrava di sì) e alla fine l’aveva beccata in biblioteca.
Lei alzò gli occhi dal libro di pozioni che stava leggendo e disse: “Buonasera anche a te, Ron”. Lui sbuffò, si sedette vicino a lei, e disse con un tono un po’ più tenue: “Scusa”.
Lei gli sorrise, nonostante tutto.

 

Ma non voleva parlare di Harry con suo fratello. Così continuò a leggere.
Ma Ron chiese ancora: “Cosa è successo con Harry?”
Lei sospirò. Non se ne sarebbe liberata facilmente.
“Lui cosa ti ha detto?” gli chiese.
“Niente!” sbottò lui “Mi ha solo detto che vi siete lasciati…”
Lei fece una faccia strana, ma poi disse: “È giusto. Questo è quello che è successo”.
E riprese a leggere.
“Devo spaccargli la faccia? Se mi dici di sì lo faccio.”
Ginny alzò lo sguardo dal libro e gli sorrise. Il suo fratellone. Non era neanche sicura che avesse mai fatto a pugni. Ma il suo gesto era carino lo stesso.
“Non te lo chiederei mai” Ron sospirò sollevato “ascolta…”, continuò lei, posandogli una mano sul braccio “La tua amicizia con Harry non deve finire, ok? Siamo persone civili, ok?”

 

Ron annuì. Il suo miglior amico e sua sorella si erano lasciati. Non doveva spaccare la faccia a nessuno. Harry poteva continuare a venire a casa sua. Sua sorella si sarebbe trovata presto un altro. Ok, speriamo non presto. Tutto il resto non aveva importanza.
Guardò Ginny studiare per un po’, finché lei non disse spazientita: “Non hai qualcos’altro da fare? Togliere punti a quelli del terzo anno? Dare ordini a quelli del primo? Dove sono le tue groupies?” finì di chiedere guardandosi intorno come se cercasse qualcuno.
“Chi?” chiese Ron stupito.
“Tutte quelle ragazzine che ti fanno il filo e ti seguono sempre. Quelle che sospirano quando le saluti. Quelle che agli allenamenti di Quidditch scrivono ‘Weasley sei il migliore’ con le lingue di fuoco rosse nel cielo, ricordi?” A Ron si arrossarono le orecchie.

 

Ginny rise. Suo fratello non era capace di gestire quell’entusiasmo. Non c’era abitutato. Cavolo, era successa la stessa cosa a lei, quando le ragazzine più piccole avevano iniziato a seguirla.
“Oh. Non sono ragazzine, dai…” disse e divenne ancora più rosso. Ginny smise di ridere, guardandolo.
“Spero che quando ci vai a letto tu prenda delle precauzioni!” sbottò lei.
Ron si arrabbiò ed esclamò: “Ma io ti ho mai chiesto niente di quello che fai con Harry?”
Ginny si impensierì. Faceva con Harry. Doveva averlo pensato anche Ron perché si zittì e guardò da un’altra parte.
“Stai solo attento, ok?” disse alla fine, sospirando. Ron annuì e se ne andò.

***

 -

Draco era seduto da solo in biblioteca dopo cena e stava facendo i compiti di  Aritmanzia. Non sapeva dove fosse finita Pansy. A lei piaceva Aritmanzia. Piaceva! Lui faceva fatica a capire tutti quei numeri e le lettere.
Seguiva Aritmanzia perché, secondo sua madre, era una materia utile. Diceva che serviva per prevedere il futuro in maniera strategica (qualsiasi cosa volesse dire). Ci avrebbe messo una vita.
“Ciao, posso sedermi qui?” Draco alzò gli occhi e vide la Granger, in attesa, vicino alla sedia alla sua destra. Sicuramente lei era brava in Aritmanzia.

 

Hermione era nervosa. Aveva deciso di cercare Malfoy e parlare con lui. Non si erano più detti niente da quando lei si era addormentata sulla poltrona fra le sue braccia.
Quando erano da soli era tutto più semplice mentre ora lì, in mezzo alla biblioteca, insieme a tutti gli studenti, in mezzo a tutta la scuola, sembrava diverso.
Stava ancora aspettando risposta alla sua domanda quando si chiese se avesse fatto meglio a sedersi e basta. Continuò a guardarlo, ma non capiva cosa gli passasse per la testa. Poi lui ghignò, appoggiando un braccio sullo schienale della sedia.
“E io cosa ci guadagno se ti lascio sedere?”
Hermione, sorpresa, balbettò: “Oh… io…” E si guardò intorno, come se cercasse un aiuto esterno. Per fortuna Malfoy venne in suo aiuto.
“Aritmanzia?” disse, spostando la sedia e avvicinandole il libro, mentre lei si sedeva meccanicamente.

 

La Granger sorrise. E lui, oltre a numeri e lettere non capì neanche più le parole, quelle che stava dicendo lei.
“Non ho capito” ammise.
La ragazza si voltò verso di lui e disse: “Io ho già fatto questa pagina. Posso spiegartela”.
Lui scrollò le spalle, dicendo: “Oppure potresti farmi copiare la tua pergamena…”
“Oppure tu potresti provare a farla da solo!” rispose un po’ piccata lei, prima di tornare a guardare il libro. Probabilmente riuscire a farsi passare i compiti da lei era concesso solo ai suoi amici.
“Oppure potremmo…” iniziò a proporre lui, ma non finì la frase. Lei stava ancora leggendo la pagina sorridendo. Probabilmente piaceva anche a lei quell’incomprensibile materia.
Si avvicinò un po’ e, con l’intento di scandalizzarla ancora, sussurrò vicino al suo orecchio: “Potremmo fare uno scambio equo. Tu mi fai copiare Aritmanzia e io…”

 

Hermione sentì i brividi percorrerle la nuca, il collo e scivolarle giù per la schiena. Lui si era avvicinato troppo, la sua voce era roca e dannatamente sexy. Il suo fiato le scaldava la parte del viso esposta verso di lui. Ebbe visioni di prati verdi e tovaglie svolazzanti stese al sole. Giornate calde e mare al tramonto. Labbra umide e pelle bollente. Lenzuola di seta e mani intrecciate.
Si alzò di scatto e scappò via senza guardarsi indietro.
Quando raggiunse la sala comune, si appoggiò al muro, con il fiato corto.

 

Ginny la vide e le andò vicino. “Hermione tutto bene? È successo qualcosa?” Lei annuì e poi scosse la testa. Ginny la guardò preoccupata.
“Vieni, siediti…” Le prese una mano e la trascinò verso una poltrona. La fece sedere e si accovacciò davanti a lei.
“Dimmi cos’è successo” disse la rossa.
“C’è una materia per cui non sono preparata. Di cui non so nulla e non so come si studia. Non sono capace di farlo…” Lo sguardo della rossa era ancora più confuso.
“Una materia? Tu? Impossibile. Di cosa stai parlando?”
“Sto parlando di sesso!” sbottò Hermione.
Una ragazzina bionda del terzo anno che passava casualmente lì vicino si girò verso di loro e così facendo andò a sbattere contro uno dei tavoli, dove un boccetto di inchiostro cambia colore si rovesciò sulla pergamena di un ragazzo del sesto, che imprecò alzando le braccia e spostando indietro la sedia per non macchiarsi la divisa e finì addosso a un ragazzino del primo che portava in bilico fra le braccia quattro libri che finirono sul pavimento sparpagliandosi.
Le ragazze osservarono tutta la scena e alla fine Ginny disse: “Andiamo in camera”. “Aiutiamoli a sistemare...” tentò di dire Hermione, ma la rossa la trascinò su per le scale del dormitorio e si diresse verso la sua camera.
Quando furono davanti alla porta, notarono che era piuttosto affollata, così Hermione la strattonò e le indicò la camera dove dormiva lei. In effetti la camera del settimo anno, settimo anno plus, era vuota.
“Dove sono le altre?” chiese sospettosa Ginny. “Lavanda e Calì sono uscite con due ragazzi, Emily è in biblioteca (l’aveva appena vista) e Amanda…” Hermione si bloccò, perché tutte e due sapevano che Amanda non era tornata quell’anno.
Ginny annuì e si sedette sul letto dopo aver chiuso la porta. “Quindi?” chiese.

 

Hermione si stropicciò le mani. Come spiegare quello che voleva dire? Capendo che non riusciva a iniziare, Ginny parlò per lei.
“Parlavi di sesso.”
Hermione arrossì. “Sì… Non volevo proprio dire sesso…” La rossa la guardò curiosa.
“È quello che hai detto, però” disse infatti.
Hermione continuò: “Sì, ma vedi, io ho preo informazioni sull’argomento, ho letto libri ma…”

 

“Hai letto libri sul sesso? DAVVERO?” la rossa era stupita. Che genere di libri si potevano leggere sul… “Aspetta! Hai letto libri erotici?”
Hermione scrollò le spalle e disse con lo stesso tono che usava in classe: “Anche”.
Ginny la guardò ancora. Probabilmente aveva letto e studiato anche libri di anatomia generale.
“Oh, insomma io non so niente. Non ho mai… Sì sono…”
Capendo che faceva fatica a dirle che non aveva ancora fatto sesso,  Ginny la interruppe: “Ho capito”, e le fece cenno di andare avanti.
“Sì insomma, ho diciannove anni e qui le ragazze cominciano al quinto anno ad andare a letto con i ragazzi…”
“Tu non sei come tutte le ragazze!” Ginny sperò che si capisse dal suo tono che intendeva farle un complimento e Hermione sorrise tristemente, come se avesse vinto il premio di consolazione a un concorso.
“Sì, però…” Ginny le bloccò le spalle.
“Non devi preoccuparti degli altri. Vuoi fare sesso? Fallo. Vuoi aspettare di sposarti? Fallo, ma te lo sconsiglio. Non c’è una regola fissa. Io l’ho fatto con Harry solo poco tempo fa. Mica al quinto anno come le altre!”
“Tu volevi aspettare Harry…” Anche Ginny sorrise del premio di consolazione.
“Già. Bella idea” disse ironica.
“Oh. Smettila. Sei pentita di averlo aspettato? Anche se con lui è finita?” chiese Hermione.
“No” rispose sicura la rossa.
“Lo rifaresti?”
“Mille volte. Ma qua è diverso. Io volevo Harry da quando l’ho conosciuto. Penso che Harry sia il ragazzo migliore del mondo, mi piace. Mi piace tantissimo. Voglio… volevo stare con lui tutta la vita…” Hermione sorrise.
“Io pensavo lo stesso di Ron. E poi…” la riccia si interruppe.
“E poi cosa? Mica è finito il mondo, no? Là fuori è pieno di ragazzi che darebbero la loro bacchetta pur di stare con te, quindi non…”
“A me non interessano gli altri ragazzi…” disse inconsciamente la riccia. Ginny spalancò gli occhi.
“Una ragazza, allora?”
Hermione rise sorpresa e disse: “No! Non intendevo quello”.
“E allora? Faccio fatica a starti dietro, Hermione” disse all’amica.
Ma la ragazza ancora non parlava.
“C’è uno che ti piace. Giusto?” Capitolò alla fine Ginny. Hermione annuì senza sorridere.
“Ed è una brutta cosa perché….?” Continuò a chiedere la rossa.
“Perché non sono sicura che sia una buona idea” Oh.
Ginny era confusa, così chiese:“Sta con un’altra?” La riccia scosse la testa. “È un professore? O un adulto?” Hermione spalancò gli occhi sorpresa e scosse energeticamente la chioma.
“Quindi il problema è….?” La giovane strega iniziò a capire come mai fosse così stanco Harry quando tornava dal Ministero dopo gli interrogatori.
“Lui è già stato con delle ragazze, e io no. Lui è abituato a certe cose, io no. Mi sento… strana. E se non andasse bene? E se fosse una stupidaggine? E se poi cambio idea? Ci sono momenti che vorrei essere più… audace e poi invece scappo…”
Ginny rimase in silenzio per un po’, prima di dire: “Penso che sia così per tutti. Non c’è niente di sicuro quando si parla di sentimenti. Lui chi è?” chiese poi alla fine.
Ma Hermione guardò da un’altra parte. “Ti offendi se non te lo dico?” chiese, senza guardarla.
Ginny scosse la testa. Poverina doveva essere davvero confusa per non riuscire a parlarne.
“L’hai già baciato?” La riccia scosse la testa. “Ci hai provato e lui si è tirato indietro?” Hermione scosse di nuovo la testa.
Ginny sospirò sollevata. Meno male. Sarebbe stato umiliante per la sua amica se fosse successa una cosa del genere (e lui un vero troll). Però è sempre meglio che morire dietro a qualcuno per una vita (o sette anni) senza sapere cosa pensa di te.
“Forse dovresti scoprire cosa succede se ci provi. Prova a baciarlo tu. Potrebbe essere la cosa giusta. Lui potrebbe essere quello giusto. Lasciati andare. Non pensare. E poi vedi come va.”
“E se mi succede come con tuo fratello? Se scopro che non riesco a provare per nessuno quello che dovrebbe unire due persone in una coppia?” Hermione sussurrò.

 

“Oh, Hermione, non devi mica farlo subito! Comunque facciamo così: se fra dieci anni non avrai trovato nessuno, ci facciamo suore insieme, ok?” la riccia sorrise. Le amiche erano la medicina migliore del mondo.
“È bello?” buttò lì la rossa.

 

“Oh, è bellissimo” disse Hermione sognante. Ginny sorrise. Non aveva mai parlato di Ron con quell’espressione.
“Ma è anche così strafottente e arrogante, pensa di essere tutto lui…” continuò la strega.
A Ginny sparì il sorriso e si portò una mano alla bocca esclamando: “Per la barba di Merlino! Malfoy?”

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Capitolo 11
*** Una puffola rosa shocking ***


 Una puffola rosa shocking

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Harry pensò di aver sbagliato tutto quando, dopo quasi tre settimane che aveva lasciato Ginny (perché era andata così, anche se raccontava a tutti la storiella del ‘ci siamo lasciati’), non riusciva ancora a dormire una notte intera, e faceva costantemente incubi su di lei e il Serpeverde.
Loro non avevano dato scandalo a scuola mettendosi insieme, come si era aspettato, né avevano iniziato a frequentarsi in maniera assidua (si era aspettato anche questo). In verità non facevano proprio niente.
Harry aveva lasciato la mappa del malandrino a Ron, chiedendogli di tenergliela, per non cadere nella tentazione di controllarli. Ron l’aveva guardato strano ma non aveva fatto domande. Harry gliela avrebbe chiesta se ne avesse avuto bisogno.
Ultimamente Ginny guardava verso il tavolo dei verdeargento un po’ di più e con una strana espressione incuriosita, ma nient’altro. Che avesse confuso tutto? Che la mancanza di sonno gli avesse veramente dato alla testa? Si pentì di non aver chiesto subito spiegazioni (e anche di non averglielo lasciato fare, chissà cosa voleva dirgli quando l’aveva interrotta…). Ma ora cosa poteva fare?

 

“Harry hai una gran brutta faccia! Ancora incubi?”
Neville si era seduto vicino a lui e aveva sussurrato per non farsi sentire dall’intera tavolata. Harry annuì. Ma gli causò una fitta dietro agli occhi.
“Sì. Ma non i soliti” rispose.
Guardò un attimo il viso dell’amico e fece la domanda che si era ripromesso di non fare a nessuno: “Sai come sta Ginny? Se lei sta… mmm… bene?” Non era riuscito a chiedergli se stesse con qualcuno.
Neville alzò un sopracciglio. Quando aveva imparato a farlo? Sembrava dannatamente adulto.
“Cosa vuoi sapere di preciso?” chiese, iniziando a mangiare. Non era riuscito a fregarlo. Che Neville avesse capito? Harry non era abituato a questo nuovo Neville. Era calmo e non in agitazione. Era sicuro di sé e non balbettava più. Cioè questo era quello che sembrava in quel momento agli occhi stanchi di Harry.  Chissà se ogni tanto venisse fuori ancora il vecchio Neville. Per ora era quello che aveva salvato gli studenti di Hogwarts. Lui e Ginny erano molto amici. Lo erano sempre stati. Guardò il ragazzo. Sicuramente ne avevano parlato.
“Lei sta con qualcuno?” (qualcun altro?)

 

La voce di Harry  era bassissima, tanto che Neville pensò di aver capito male. “Chi? Ginny? E con chi dovrebbe stare?” Harry si strinse nelle spalle e iniziò a mangiare. Neville non disse più niente finché non ebbe finito la colazione. Poi disse semplicemente: “Dovreste parlare”. Si alzò e si avviò verso il corridoio.

 

Harry sospirò. Il nuovo Neville era decisamente fastidioso. Giusto, leale e coraggioso. E aveva dannatamente ragione. Santo Merlino!

 -

***

 -

Ron quel sabato era al Tiri Vispi ad aiutare George.
Non c’era tantissima gente, perché i ragazzi erano a scuola, così in negozio c’erano più che altro famiglie con ragazzini piccoli e studenti dell’accademia. Anche se svariati adulti curiosavano fra gli scaffali del negozio.
A un certo punto, dalla porta arrivò un grosso gufo, che si posò sul bancone, proprio di fronte a lui. Non conosceva il gufo, anche se il suo aspetto gli era familiare. Cercò di prendere la pergamena legata alla zampa, ma il gufo bubulò, nervoso, impedendoglielo.
“George? C’è un gufo…” disse al fratello. George stava sistemando delle tavolette di torrone sanguinolento sullo scaffale e si girò quando il fratello lo chiamò.
“Deve essere per gli ordini sul catalogo. Ti va di occupartene tu? Lì in alto ci sono dei biscotti per gufi e forse anche del bacon” rispose lui, indicando con il braccio uno scaffale.
Ron guardò dove George aveva indicato e tirò giù il barattolo dalla scansia.
“Allora bel gufo, sei un tipo da biscotto o da bacon?” gli chiese, guardandolo. Era veramente un bell’esemplare, grosso, con il piumaggio grigio e arancione e il torace bianco. Provò con il bacon, sembrava un tipo sofisticato, tipo da purosangue snob. Come pensò quella parola, gli venne in mente perché gli sembrava un gufo familiare: l’aveva visto a Hogwarts. Il gufo sbaffò il bacon e si lasciò prendere la pergamena. Ron la srotolò.

 

Gent.le signor Weasley,

le scrivo con l’intenzione di comprare via gufo una puffola pigmea (sarebbe veramente di mio gradimento se riuscisse a trovarne una di un colore compreso fra il rosa shocking e il fucsia). La prego quindi di informarmi sul costo dell’acquisto, tramite il mio gufo, che aspetterà e mi consegnerà la sua risposta in un tempo decisamente breve.

Intanto la ringrazio e le porgo distinti saluti.

 

Ps. La prego di non offendersi se non firmo questa mia, ma le assicuro di non avere cattive intenzioni.

 

 

La lettera non era firmata e decisamente troppo formale per una studentessa. (perché quella grafia era da femmina, si vedeva lontano un miglio).
“George? Hai mai spedito una puffola pigmea via gufo?” chiese Ron.
George ci pensò pochi secondi, poi disse: “No. Ci è stato proibito. O una cosa così”.
Il ragazzo sventolò la mano quando disse ‘cosa così’ e gli si avvicinò. Lesse la lettera e disse: “È stramaledettamente formale. Chi usa più l’espressione ‘questa mia’? E ‘le porgo distinti saluti’? Ma…”
Ron alzò le spalle, dicendo: “Posso scriverle io, se vuoi”.
George sorrise sornione e chiese: “Scriverle?”
Ron scrollò ancora le spalle, precisando: “A me sembra una scrittura da femmina”. Raccontò di aver visto il gufo a Hogwarts e quindi di sospettare che l’autrice della lettera venisse da lì.
“Sarà la McGranitt, allora. Che non vuole far sapere che il suo sogno più grande è sempre stato quello di avere una puffola!” Angelina Johnson entrò nella conversazione con una confidenza che stupì Ron. George la baciò sulla guancia.
“Ciao Angelina, niente allenamenti oggi?” le chiese il rosso più grande. Ron notò che il fratello aveva fatto passare il braccio intorno alla vita della ragazza in maniera intima e questa si era sporta verso di lui per ricevere il bacio con un sorriso. Fra quei due c’era qualcosa di tenero che tenevano nascosto oppure che ancora non conoscevano nemmeno loro.
Sorrise prima di risponderle: “Oh, può essere. Una puffola rosa. Le scrivo io, allora. Chissà se mi correggerà gli errori di ortografia…” E ridacchiò come un primino.
Ci mise pochissimo a scrivere che non potevano spedire animali vivi e  quindi l’unica soluzione era che la persona al di là della pergamena mandasse qualcuno a prendersi la puffola (ne avevano due del colore richiesto). Sperò di essere stato abbastanza gentile e formale nella lettera, ma pensò di non firmarla con nome e cognome, ma semplicemente con ‘Tiri Vispi’, nel caso fosse stata veramente la McGranitt a volere la puffola e lo sgridasse per la calligrafia e l’ortografia (le vecchie abitudini sono dure a morire).
Mandò via il gufo e gli disse di portare a lui la prossima lettera per il Tiri Vispi, sperando che il gufo capisse.
Dopo tre ore il gufo tornò indietro. Invece di posarsi sul bancone, si posò su uno scatolone nel magazzino, dove Ron e George si stavano riposando in un attimo di pace. Angelina era andata via da poco e loro si stavano bevendo una burrobirra prima di tornare rispettivamente a Hogwarts e alla Tana. George non viveva più nell’appartamento sopra il negozio che divideva con Fred, diceva che gli era impossibile farlo e nessuno aveva obbiettato per questa decisione.
George si allungò a prendere la pergamena, curioso di quello che la loro ‘anonima fan di puffole rosa’ avesse scritto, ma il gufo lo becchettò sulla mano. Ron rise.
“Dagli del bacon” disse, lanciando a George un pezzo di carne e questi provò a corrompere il gufo. Ma il gufo non accettò il boccone.
Ron e George si guardarono un attimo poi il più grande disse al fratello: “Provaci tu. In fin dei conti gli hai risposto tu”. Ron prese il pezzo di carne dalla mano del rosso e si avvicinò al gufo.
Era veramente grosso. Secondo lui doveva essere almeno diciotto pollici di altezza. Con due occhi grandi come stelle nelle notti di agosto. Gli lanciò il boccone e il gufo lo prese al volo, poi si allungò a prendere la pergamena, con timore di venire beccato, ma non successe.
Srotolò la pergamena sorridendo vittorioso al fratello, che alzò la sua burrobirra in segno di vittoria.

 

Gentile signor Weasley,

Innanzitutto la ringrazio per la celere risposta.

Non ero a conoscenza del fatto che non si potessero spedire animali vivi, mi spiace.

Ora però mi trovo in seria difficoltà, in quanto non ho nessuno da mandare nella Vs sede né (qualora volessi presentarmi di persona) posso uscire da Hogwarts dal luogo in cui mi trovo per recarmi a Londra, poiché non mi è permesso. Ho bisogno di avere la puffola pigmea per sabato prossimo, poiché il giorno dopo sarà il quindicesimo compleanno della mia sorellina e lei tiene davvero tanto a ricevere tale animale da compagnia.

Lei è sicuro che non possiamo metterci d’accordo? Sarei disposta anche a spendere qualcosa per il disturbo che tale operazione potrebbe causarle…

La prego di farmi sapere al più presto.

Il mio gufo aspetterà la sua risposta (e non si preoccupi se ha bisogno di tempo per pensarci, Woddy vola benissimo anche nelle ore notturne).

In attesa di una sua gentile risposta,

la saluto.

 

Ron lesse ad alta voce la lettera. George rise. Rise di gusto. Ron lo guardò incuriosito. George estrasse la bacchetta e fece un incantesimo sulla pergamena. La scritta ‘dal luogo in cui mi trovo’ scomparve e apparve la scritta ‘da Hogwarts’.
“Guarda, avevi ragione tu: Hogwarts” disse George.
Ron era a bocca aperta. Lui non conosceva quell’incantesimo. George alzò le spalle dicendo: “Me l’ha insegnato Hermione. Se qualcuno ha effettuato una correzione alla pergamena, si vede così. Come pensi che notino gli errori i professori?”
Ron scrollò la testa e le spalle. George invece finì velocemente la burrobirra. “Quindi, ricapitolando: Hogwarts, una sorellina di quindici anni e una proposta indecente. Escluderei degli adulti, no? Poi: ‘disposta’. Avevi ragione anche qui. Una ragazza…” Ron guardava George stralunato.
“Proposta indecente?” chiese, come se fosse l’unica cosa che avesse sentito.
George gli prese di mano la pergamena per rileggere alcune parti e dire: “Beh, con ‘possiamo metterci d’accordo’, ‘disposta a spendere per il disturbo’, il gufo che vola nelle ore notturne così è meno probabile che venga controllato… sembra che intenda corromperci. Deve tenere veramente tanto alla puffola. Cosa le risponderai?”
Ron balbettò: “Io?”
George alzò le spalle mentre spiegava: “Il gufo l’ha portata a te. Dille che hai capito che è di Hogwarts. E che sarai disponibile. Magari è carina e disposta a ‘ringraziarti’. Prova a scoprire chi è, prima di dirle che sabato le porterai la puffola. Magari è già fidanzata. In quel caso, falle solo pagare più galeoni”.
Ron finì la sua burrobirra e disse: “E chi ha detto che gliela porterò?”
“Ci scommetterei 10 galeoni.”
Il sorriso di George era fastidioso, secondo Ron, così disse:“Ah, davvero?”
“E poi perché non dovresti? Andrai avanti e indietro dal camino di Hogwarts proprio sabato.”
“Perché se pensa di poter pagare per avere una cosa che non si può avere, deve essere una Serpeverde e io le serpi non le sopporto!” rispose piccato Ron.
“Magari potrebbe scapparci qualcosa di buono” disse ancora George ammiccando.
“Non ne ho bisogno” concluse sbuffando il fratello più giovane.
“Qualcuno qui esagera…” George rise ancora e Ron sbuffò più forte.

***

 -

“Ron stai bene?” Ginny aveva guardato due volte in direzione del fratello e per ben due volte lui aveva avuto una faccia strana. Sembrava… pensieroso. E non era per niente da Ron.
Il fratello si voltò verso la rossa e annuì, dicendo: “Sì sì, scusa dicevi?” Ginny alzò le spalle.
“Veramente non dicevo niente” rispose lei, guardandosi ancora intorno.
Ginny pensava alla maniera migliore per aiutare Hermione. Era abbastanza sicura che nella settimana appena passata lei non avesse fatto niente per avvicinare Malfoy. E se Hermione non faceva niente, lei non avrebbe potuto studiare la reazione del biondo per capire le sue intenzioni. E Ginny non voleva che Hermione potesse farsi male. Doveva lasciare che la riccia si buttasse e, se necessario, lei avrebbe dovuto salvarla. SE ce ne fosse stato bisogno.
Sperava così tanto che non ce fosse bisogno….

 

Ron era davvero pensieroso. Aveva passato una settimana a battibeccare via gufo con la “Fan della puffola” (come avevano iniziato a chiamarla lui e George). Alla fine, come aveva detto suo fratello, era finita che lui portasse dal Tiri Vispi una (stridula e fastidiosissima) puffola pigmea rosa shocking, l’avesse data alla McGranitt (che li aveva guardati incuriosita, lui e la puffola) dicendo che qualcuno sarebbe presto andato a prenderla. Non aveva capito chi fosse, ma si era divertito un mondo a scriverle e aspettare una sua risposta.
In quel momento, nel giorno dopo la consegna, si sentiva perso.
“Chi è che compie gli anni oggi?” chiese allora a sua sorella.
“In che senso? Della nostra famiglia?” Ron scosse il capo, mentre mangiava una fetta di pane.
“No, qui a scuola. Una ragazza dovrebbe compiere quindici anni oggi, ma non so chi…” Ginny ci pensò su un po’ e scosse il capo.
“No, non saprei, mi spiace. Perché questa domanda?”
Ron non aveva raccontato a nessuno della richiesta della puffola né del suo scambio di lettere con la ragazza, così agitò in aria la mano per liquidare la questione. Era troppo complicato da spiegare.
Si alzò e se ne andò.

 

Ginny guardò verso il tavolo dei Serpeverde, ma Malfoy non c’era. Si alzò, già annoiata da quella domenica che pensava infruttuosa, quando una ragazza le finì quasi addosso.
“Ginny! Ginny!” La rossa ebbe paura che a chiamarla fosse una di quelle ragazzine che le saltavano attorno quando stava con Harry (a dir la verità le saltellavano ancora intorno, ma lei pensava che lo facessero sempre per lo stesso motivo, ossia Harry) ma poi riconobbe Camille, la ragazza mezza francese. Avevano fatto un po’ amicizia e passato dei pomeriggi insieme, la ragazza si sentiva molto sola e le lezioni in cui lei le aveva insegnato le fatture che conosceva, avevano fatto bene a tutte e due.
Ginny sorrise e disse: “Ciao Camille. Che succede?”
La ragazza era contenta e aveva in mano qualcosa di peloso.
“Guarda!! Una puffola pigmea!! Guarda com’è bella!! Me l’hanno regalata oggi. Guarda, guarda!” Ginny rise dell’entusiasmo della ragazza e poi divenne seria.
“Aspetta! È il tuo compleanno?” chiese e la ragazza annuì “E ne compi 15?” domandò ancora. La ragazza annuì un’altra volta, ma questa volta più lentamente, essendo confusa. Ginny le sorrise.
“Auguri! Come si chiama?” chiese accarezzando la puffola che si sdraiò sulla schiena mostrando il pancino.
“Non ha ancora un nome. Vuoi aiutarmi a trovargliene uno?” disse la Ginny rise “Secondo mio fratello, non sono capace di dare dei nomi decenti agli animali. La mia puffola si chiama Arnold!” disse Ginny sorridendo e rise ancor di più quando vide l’espressione della ragazza.

 

Harry vide Ginny parlare con una ragazza di Serpeverde e si bloccò nel corridoio. Doveva parlarle. Subito. Non poteva aspettare un momento di più. Avanzò di un passo, con l’intenzione di chiamarla ma in quel momento lei si staccò dalla mora, dopo averle detto qualcosa e chiamò a gran voce: “Malfoy! Malfoy! Aspettami!”, e scappò nella direzione del biondo.
A Harry caddero le braccia. Guardò Ginny fermarsi da Malfoy e Zabini e parlare con loro. Non riusciva a sentire quello che si stavano dicendo, ma la conversazione andò avanti un po’ e lui non aspettò che finisse, si girò e tornò in sala comune.

 

Malfoy si era fermato ad aspettarla. Vicino a lui c’era Zabini. Va beh, non si poteva avere tutto.
“Tutto ok?” chiese il biondo un po’ in agitazione.
“Sì sì. Nessun problema”, alzò una mano lei, capendo che lui stava chiedendo di Hermione. Ginny guardò Zabini, che capì di essere di troppo e, per questo, non voleva andarsene.
“Zabini” lo salutò, quando capì che non li avrebbe lasciati da soli.
Così si voltò a Malfoy che la guardava stranito. Effettivamente, adesso non sapeva bene cosa dirgli. Riuscì a fargli capire che quel pomeriggio avrebbe portato Hermione nella stanza delle necessità per ‘studiare Aritmanzia’, materia in cui lui aveva avuto dei problemi, con la possibilità di studiarla insieme. Riuscì a non dire ‘Hermione’ né ‘stanza delle necessità’, ma dalla sua espressione, pensò che avesse capito.
Li salutò e si avviò verso il cortile sbuffando, dove aveva detto a Camille che l’avrebbe aspettata. Diavolo di un Zabini! Sempre in mezzo!

 

Blaise si fece cupo in viso. “Non mi piace che ti faccia la Weasley” disse contrariato all’amico.
“Infatti non me la faccio” disse lui, piccato. Zabini ritornò di buon umore.
“Oh, bene. Però devo essermi perso qualcosa: non è stata lei a darti un appuntamento oggi pomeriggio?”
Il biondo sorrise. La piccoletta era stata brava.
“Oggi si studia Aritmanzia” disse solamente. Il moro alzò un sopracciglio.
“A te, Aritmanzia te l’ha sempre passata Pansy, lo sappiamo tutti e due. Non hai bisogno di studiarla.”
Draco continuò a sorridere mentre spiegava: “Magari adesso mi interessa capirla”.

 

Blaise stette in silenzio qualche minuto. Sapeva che di Aritmanzia, a Draco, non gliene fregava niente. Doveva essere una ragazza per forza.
“Mmm.. ma se non è la Weasley, chi è?” Draco non disse niente. Il moro sbuffò rumorosamente, poi si incuriosì. “E poi, perché hai l’appoggio della Weasley? È la Lovegood?” L’espressione di Draco fece ridacchiare Zabini per tutto il pomeriggio.

***

 -

Pansy stava camminando di buon umore verso i sotterranei, prese una scorciatoia attraverso uno dei nuovi passaggi del castello, quando si bloccò sentendo una voce arrabbiata.
“Ti sei scopata di nuovo Weasley!”
Poi una voce piagnucolante rispose: “Non è vero!”
“Sì invece, ti hanno vista! Sei una gran…”
Il ragazzo non finì l’insulto che venne interrotto dalla stessa voce, che  disse: “Anche tu te le fai tutte!”
Pansy riconobbe la voce di Elinor Simmons di Tassorosso. La ragazzina idiota che era diventata prefetto grazie alla distrazione della McGranitt (era l’unica spiegazione, effettivamente, non poteva essere stata scelta apposta).
“Ci hai provato anche con la ragazza nuova, quella francese! Se non fosse stato per Ginny Weasley…”
“Taci!”
Pansy si sporse da dove era nascosta per vedere chi fosse il ragazzo: Rowie.

Stupendo, pensò ironica, un Serpeverde. Una testa calda, per giunta. Avrebbe potuto al massimo togliergli dei punti. E in quel momento avrebbe voluto lanciargli una Cruciatus.
“E poi Weasley è molto meglio. E l’ho detto anche a tutte le altre! Lui non è rozzo come te!”
Pansy si portò una mano alla fronte. Ma come parlava quella ragazzina? E poi, ma era una cosa da dire a un troll arrabbiato come Rowie? Se lui le avesse messo le mani addosso sarebbe dovuta intervenire e si sarebbe fatta scoprire. Ma il rozzo Rovie stupì la Serpeverde con l’autocontrollo.
Pansy sentì dei rumori inequivocabili e capì che si stavano baciando. Che rumore fastidioso, non avrebbe mai voluto essere nei panni di uno dei due! La ragazza gemette. Che squallore,  mamma mia! E pensare che lei aveva appena detto…
Scosse la testa e fece per tornare indietro, immaginando quello che stava per succedere, quando lui disse: “ Stasera fai la ronda con lui?”
Ci fu un po’ di silenzio e la mora immaginò che la ragazza avesse annuito, visto che erano di turno tutti e due.
“A che piano sarete?” chiese ancora lui.
“Al sesto.”
“Ok. Ora ascolta. Voglio dargli una lezione. C’è un bagno che nessuno usa, al sesto piano. Tu fatti portare lì. Quando starete per farlo, gli lancerò una fattura come quella che mi ha lanciato sua sorella, lo schianteremo e poi lo lasceremo lì” lo sentì ridere soddisfatto, come se avesse ideato chissà che cosa.
Che piano idiota. Lei sarebbe riuscita a escogitarne uno migliore. E poi, colpire alle spalle! Aspettò che la ragazza negasse il suo aiuto ma fu (di nuovo) sorpresa, quando lei disse: “Va bene”.
Pansy dovette trannersi dallo sbucare fuori. Piccola troietta!! Prima si faceva ripassare da metà scuola, poi…. Pansy si riscosse. Merlino! Avevano ripreso a baciarsi e, a giudicare dai rumori, sarebbero finiti presto nudi contro il muro.
Si allontanò velocemente, tornando indietro. Avrebbe dovuto interromperli e metterli in punizione, ma preferì non farlo. Se si fosse fatta scoprire avrebbero potuto cambiare il piano e lei non avrebbe saputo cosa volessero fare. E poi, se li avesse interrotti, avrebbe visto il ghigno sul viso di quel troll di Rowie che le avrebbe ricordato che nessuno l’aveva cercata nell’ultimo anno. Che nessuno aveva tentato di baciarla. Che nessuno l’avrebbe spinta contro il muro in uno slancio di passione.
Ok, forse qualcuno ci aveva provato, ma nessuno che lo avesse fatto per i motivi giusti.
Era stata così tanto tempo con Draco che pensava a un’altra che ora voleva qualcuno che volesse proprio lei. Sospirò. Forse nella prossima vita. 
Ora aveva una commissione da sbrigare, poi avrebbe avvisato Weasley. Serpeverde sì, ma stronza no. Beh, non questa volta, almeno.

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***grazie a tutti voi che leggete e se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. 😉

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Capitolo 12
*** Pansy ***


Pansy

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Ron stava osservando la meridiana del cerchio di pietre, per ammazzare il tempo. Harry era nervoso e Ron non capiva il perché e continuava a bisticciare sottovoce con Neville. Hermione aveva iniziato a battibeccare con Ginny per qualcosa che la rossa aveva fatto nel pomeriggio e lui, stufo di tutti, aveva deciso di aspettare l’ora di cena passeggiando per il cortile.
Si incamminò verso la guferia, quando vide un gufo uscire dalle alte finestre della torre. Il gufo fece un giro ampissimo e poi planò verso di lui.
Ron riconobbe Woddy, il gufo della ‘Fan della puffola’. Istintivamente sorrise, pensando che lei dovesse essere in guferia.
Un’emozione gli riempì il petto, si sentì gasatissimo. Avrebbe scoperto, finalmente, chi era? Aveva voglia di parlare con lei. Gli era piaciuto particolarmente scriverle e aspettare di leggere le sue lettere. Lui! Che non vedeva l’ora di scrivere e leggere. Non ci avrebbe creduto nessuno. Sorrise guardando il gufo avvicinarsi, finché non si posò vicino a lui. Se lei gli avesse detto chi era, non si sarebbe lamentato, neanche se fosse stata molto brutta. Però sperò che non lo fosse.
“Mi spiace Woddy, non ho niente da darti” disse al volatile. Il gufo bubulò e svolazzò più vicino. Lui si accucciò e prese la pergamena legata alla zampa:

 -

Carissimo Signor Weasley,
la ringrazio tantissimo per essere stato così gentile da venire in mio soccorso e consegnarmi la puffola pigmea. La professoressa McGranitt era piuttosto stranita dalla situazione, ma quando gliel’ho spiegata nei dettagli è stata molto comprensiva.
Grazie per aver fatto la felicità di una neo quindicenne non più triste e sconsolata.
Parlerò del Tiri Vispi con
tutti i miei contatti e spero di farle avere buona pubblicità.
Saluti.

 -

Ron cercò di non rimanerci male. Aveva davvero creduto che lei avesse firmato l’ultima lettera. Che le avesse detto chi era perché anche lei era rimasta colpita da quello che si erano scritti. Nessuno scriveva per dire grazie dopo una compravendita via catalogo. Forse lei non era tutta a posto.
Rifletté qualche minuto se aspettare o meno qualcuno che uscisse dalla torre dei gufi, quando qualcuno effettivamente uscì. Il cuore di Ron battè all’impazzata fino a quando la voce della ragazza non glielo fece fermare bruscamente (non veramente, fu solo l’impressione che ebbe lui).

 

“Woddy che fai qui? Devi consegnare…” disse, rivolta al gufo.
La sua voce morì quando vide Weasley (non il Weasley a cui stava scrivendo, l’altro) che la guardava stranito ed esclamò: “Parkinson? Sei tu quella della puffola?” Pansy non disse niente, ma quando capì quello che intendeva spalancò gli occhi. Merlino! Aveva scritto al Weasley sbagliato? E come aveva fatto?

 

“Pensavo di aver scritto a tuo fratello…”
“Lavoro anch’io al Tiri Vispi” precisò lui. La ragazza rimase zitta e lui continuò: “Avevo capito che eri Serpeverde; ‘posso pagare di più se facciamo come voglio io’…” la scimmiottò il rosso.

 

Per fortuna era buio e lui non poteva vedere il suo viso. Pansy si sentiva andare a fuoco. Aveva cercato in tutte le maniere di non farsi scoprire. Pensava di esserci riuscita. Ma era una Serpeverde davvero, così partì all’attacco.
“Hai fatto un sacco di scene e potevi portarmela tu!” Lui alzò le spalle, come se la cosa non lo riguardasse.
“Ti sei inventata una sorella.”
“Non mi sono inventata niente” disse lei, ancora arrabbiata.

 

“Perché? Hai una sorella?” chiese Ron. La mora non disse niente.
Il gufo volò via e facendo due ampi cerchi tornò in guferia da una delle finestre. I ragazzi lo guardarono e poi la Parkinson disse con tono quasi divertito: “Mi hai fatto pagare 5 galeoni in più”. Ron scrollò le spalle.
“Sembrava sospetto se non li avessi accettati. Me li avevi offerti…” Gongolò un po’ e poi continuò “e poi tu puoi permettertelo!”
La ragazza lo guardò con uno sguardo a metà fra l’arrabbiato e il comprensivo.
“Cosa hai comprato con quei soldi?” chiese lei.
Per fortuna c’era buio e lei non vide che al ragazzo iniziarono ad arrossarsi le orecchie.

 

“Volevo comprare le sigarette. Ma non l’ho fatto” ammise. Pansy rimase colpita. Sigarette? Era impazzito? Lei si avvicinò.
“E perché non l’hai fatto?”
“Come sei curiosa adesso…” La ragazza sorrise. Peccato che lui non potesse vederla. “Non ho trovato quelle che fumi tu” disse ancora. Pansy capì che non la stava prendendo in giro, ma era sorpresa, così chiese: “Oh, e dove le hai cercate, in farmacia? Perché le vendono dappertutto!”
“Veramente non le ha nessuno…”
Lei mise mano alla tasca del mantello e tirò fuori il portasigarette. Gliene passò una e ne prese una per sé. Tirò fuori la bacchetta, si accese la sua e poi fece il gesto di accendere anche quella del ragazzo. Lui accettò e aspirò per farla brillare.
“Non sono quelle dell’altra volta” fece notare Weasley.
“Ho sempre fumato solo queste” disse lei, non capendo.
“Ma sanno di cocco!” disse ancora lui, con tono scandalizzato. Pansy non capiva dove volesse andare a parare.
“E quindi?”

 

”Quando fumi si sente mela e canella” disse Ron. L’aveva sentito tantissime volte, ne era sicuro. Che volesse fregarlo?
La Serpeverde diede una lunga boccata, poi stette in silenzio per qualche minuto e alla fine disse: “Weasley, stasera non venire alla ronda. Fatti sostituire. Anche dalla Granger. Da chiunque”.
E si incamminò verso il castello senza più voltarsi. Ron la guardò andare via.

 -

***

-

Quella sera quando arrivò nella stanza dei prefetti, Pansy sbuffò alla vista di Weasley. Quel ragazzo non prestava ascolto a nessuno. O forse non prestava ascolto a lei. Se avesse spiegato alla Granger la situazione e gli avesse parlato lei, magari avrebbe evitato di trovarselo a far la ronda.
Gli andò vicino e disse a bassa voce: “Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di farti sostituire!”
“Non ho trovato nessuno. Non ti preoccupare. Ti sto lontano, ok?” rispose lui.
Oh, quel troll pensava che non lo volesse intorno! Quando Goldstein lesse i nomi delle coppie e chiamò la Simmons e Weasley per il sesto piano, si intromise e disse: “Ci vado io al sesto piano”.
“Con Weasley?” disse Anthony mentre correggeva i nomi sulla pergamena.
“No. Con la Simmons. Andiamo” ordinò. Fece un cenno con la testa alla ragazza e si incamminò senza aspettarla.
La Simmons guardò spaventata tutti i prefetti nella stanza, poi Anthony le disse: “Ti conviene seguirla” Così corse dietro alla Parkinson.

 -

***

 -

Quando tornò in camera dopo la ronda, Ron non fu sorpreso di trovare Harry ancora sveglio, quel ragazzo aveva continuamente incubi e dormiva pochissimo.
“Harry” lo salutò.
Ultimamente parlavano poco. Un po’ per Ginny, un po’ il suo lavoro al Tiri Vispi.
“Hai invitato qualcuna per il prossimo sabato a Hogsmeade?” gli chiese il rosso.
“E chi dovevo invitare?” rispose Harry, piccato. Ron alzò le spalle.
“Ci andiamo insieme?” Harry annuì distrattamente. Ron si spogliò e si mise il pigiama.
“Ma…. Che tu sappia… La Parkinson ha una sorella?” chiese sottovoce.
Harry alzò lo sguardo verso di lui e disse: “Sì. Una sorellastra”. Ron non fu sorpreso. Un po’ se lo aspettava che Harry sapesse.
“E chi è?” chiese ancora.
Harry scosse le spalle rispondendo: “Non lo so. Perché?”
“Così. Tu come fai a sapere che ha una sorella?”
“L’ho scoperto il giorno del processo ai suoi genitori. A sua mamma” si corresse Harry.
“E com’è andata?” si informò Ron.
“In che senso? Sua madre è ad Azkaban.”
Ron annuì. Effettivamente era una domanda stupita.

 

Harry ripensò al giorno che aveva incontrato la Parkinson al Ministero.

 

*Flashback*

Il giorno del processo alla signora Lemaire, una donna sulla quarantina, era un giorno di pioggia. C’era umido e il calore si attaccava alla pelle in maniera fastidiosa. Harry era arrivato al Ministero della Magia insieme a Molly e arthur. Hermione e Ron erano già a scuola ad aiutare con la ricostruzione.
Non sapeva quanti processi avesse visto, troppi per i suoi gusti. Ma Kingsley aveva insistito che lui assistesse a quasi tutti. E Harry non conosceva molte di quelle persone. Sentirli confessare quello che avevano fatto, molti per paura o sotto ricatto, molti invece perché credevano seriamente in quello che stavano facendo, gli dava la nausea. Quando usciva di lì era sempre stanco.
Quel giorno sedeva di fianco a Molly e ascoltava distrattamente la donna seduta al centro del tribunale. Quando lei disse: “Mia figlia Pansy Parkinson”, si fece più attento. Era più facile seguire un discorso quando si conoscevano le persone. Così quella era la mamma della Parkinson. Ma quello che disse gli fece gelare i peli del collo.
Perché la madre della Parkinson, tale Abigail Lemaire, nata Hamilton e vedova Parkinson, aveva un concetto tutto strano della maternità. Aveva cresciuto la prima figlia (Pansy, appunto) secondo lei poco sveglia e bruttarella per sposare un purosangue e fare un buon matrimonio per sistemare la famiglia, mentre la seconda, avuta dall’attuale marito, un purosangue francese, sarebbe cresciuta in Francia per gestire il patrimonio della famiglia del padre.
Aveva così diviso le figlie fin da piccole, aveva scelto il candidato per l’eventuale matrimonio, e aveva spinto Pansy fra le braccia dell’erede di Malfoy.
Harry inorridì quando lei ridacchiò per il fatto di averci visto giusto, visto che i Malfoy erano stati ‘scelti’ dal signore oscuro come luogotenenti dei suoi affari. Ma poi si era rattristata quando, andando avanti nel racconto, aveva raccontato di aver imposto alla figlia di cambiare ‘preda’ cercando di spingerla verso Nott e Zabini quando le cose si erano messe male fra il signore oscuro e i Malfoy. Harry non capiva perché raccontasse tutte quelle cose.
“Quella stupida donna ha preso un Veritaserum. Non si fa più da un sacco di tempo, ma lei lo ha preso pensando di aiutare il suo processo. Le farei lanciare un’anatema che uccide. A certa gente dovrebbe essere vietato crescere figli” spiegò la signora Weasley, di fianco a lui e a Harry sembrò che le stesse leggendo nella mente. Harry annuì, ma Molly non lo stava guardando; guardava la donna incriminata con un odio che le aveva visto in faccia solo durante la battaglia.
La signora Lemaire raccontò poi tutto quello che avevano fatto lei e il marito, per il Signore Oscuro. Lei non aveva appoggiato il Signore Oscuro nella prima battaglia magica, così aveva deciso di mostrare a lui la loro fedeltà, questa volta. E alla fine disse: “Convinsi mia figlia che se il Signore Oscuro avesse vinto, l’avrei lasciata libera. Perché lei aveva iniziato a non sopportare più la situazione, e scalpitava come un unicorno in trappola. Così se fosse riuscita a trovare la maniera di aiutarci a prendere Harry Potter, avrebbe potuto andarsene dall’Inghilterra e vivere come voleva”.
Harry sentì un brivido di paura corrergli lungo la schiena e Molly lo abbracciò, notandolo. “Ma le ho mentito” continuò la signora Lemaire e dopo fece una lunga pausa, come se lottasse contro i propri pensieri. Col senno di poi, Harry capì che era proprio quello che stava succedendo.
“Avevo promesso al Signore Oscuro che avrebbe potuto averla, se ci avesse accolto fra i suoi protetti e amici più stretti…” Tutta la sala mormorò parole sottovoce, poi, improvvisamente, cadde un silenzio impetuoso. Ci fu un rumore di vestiti sbattuti, uno scalpiccio veloce e una delle porte che davano sull’anello più alto di poltrone, quello delle persone che assistevano ai processi, si chiuse sonoramente.
Tutti si voltarono verso la porta. A nessuno era venuto in mente che la figlia in questione stesse assistendo al processo. Harry cercò lo sguardo del Ministro, che con un cenno del capo gli diede il permesso di uscire.
Trovò la Parkinson in uno dei corridoi vicino all’aula dieci, seduta su una poltrona che fumava. Le sue mani tremavano incontrollate e Harry sperò che non le cadesse la sigaretta accesa sulle gambe.
Si avvicinò e lei si spaventò. Alzò il viso verso Harry e quando lo riconobbe si girò, cercando di asciugarsi le lacrime. Lui si sedette su una delle poltrone vicino a lei, ma non disse niente.
Passarono qualche minuto in silenzio. La mora finì la sigaretta, prese la bacchetta e con un Evanesco fece sparire cenere, mozzicone e fumo. Quando fu di nuovo padrona di sé, disse: “Sei venuto a ridere di me, Potter?”
Harry si stranì. Lui? Ridere di chi? Scosse la testa. “No, Parkinson. Non potrei mai. So benissimo che non possiamo scegliere con chi crescere” disse serio.
La Serpeverde annuì, ancora triste. “Sono contenta che tu lo abbia sconfitto, adesso”. Harry capì che lei cercò di farlo sembrare divertente, ma riuscì solo a emettere un suono stridulo.
“Anch’io” disse solamente. E sorrise. Anche la Parkinson sorrise, quando si voltò a guardarlo. Un piccolo sorriso.
Poi lei sospirò, dicendo: “Non è tutto vero, quello che ha detto. Non ho fatto davvero tutte quelle cose…” Ma guardò verso il basso. Harry non ebbe il coraggio di dirle del Veritaserum “Mi sento stupida per aver detto di consegnarti a lui. Spero che tu possa scusarmi” disse ancora.
Harry annuì, ma la sua espressione doveva essere trasparente perché lei saltò dalla poltrona e disse in tono stridulo: “Non osare compatirmi!” Lui questa volta sorrise in pieno.
“Non ho intenzione di farlo.”
Si alzò anche lui e le porse la mano. Lei gliela strinse. Aveva le mani gelate.
“Cosa farai adesso?” le chiese lui, un po’ imbarazzato.
“Non ne ho la più pallida idea. Loro finiranno dentro, vero?” Il ragazzo annuì. Ormai sapeva come andavano le cose.
“Ma ad Azkaban non ci sono più dissennatori, non sarà così brutto come in passato” cercò di tranquillizzarla lui. Ma lei lo guardò seria e disse: “Peccato”.
Doveva essere arrabbiata. E triste. E confusa. Harry dovette fare un grosso sforzo per non provare compassione.
“Puoi sempre tornare a Hogwarts. Presto riaprirà.”
Lei annuì ancora, ma sembrava altrove con la testa.
“Andrò in Francia, a vedere com’è messa mia sorella. E poi vedrò cosa fare. Ma prima farò una cosa per me”. Harry sorrise. Gli faceva piacere che lei non fosse abbattuta.
“E cosa farai?” chiese più per educazione che per vero interesse.
“Mi farò un tatuaggio. È stato un piacere parlare con te, Potter. Non so se ci rivedremo, ma se succederà spero non sarà più da nemici.”
“Spero anch’io” disse lui.
Lei se ne andò e lui dovette tornare in aula, con la speranza che quella giornata finisse al più presto.

 

*fine flashback*

 

Harry voleva solo riuscire a prendere sonno.
“Non tormentarla. Davvero. Lasciala stare. Se la lascerai stare, lei non ti farà niente…”
Ron si stava innervosendo perché Harry non gli aveva raccontato niente. “Non ho paura di lei!” ribattè piccato.
“Dovresti. Una ragazza determinata è combattiva come un drago che difende il suo uovo.”
Ron alzò un sopracciglio e chiese: “In che senso?” Ma Harry si era addormentato.

 -

***

 -

Ginny e Ron stavano facendo colazione. Quel lunedì era tremendamente uggioso. Quando Harry arrivò non vide subito Ginny e quando fece per sedersi vicino a Ron, la vide e calcolò se avesse dovuto cambiare posto o no. Ma Ginny, che nonostante tutto era di buon umore, sorrise e gli disse di sedersi senza tanti complimenti.
Lui ubbidì e iniziò a far colazione. Parlarono della partita di Quidditch contro i Tassorosso che ci sarebbe stata dopo dieci giorni e se fosse stato il caso di aumentare gli allenamenti. Anche Harry adesso era di buon umore. Ginny parlava con lui. Se non ci fosse stato Ron avrebbe anche potuto parlarle di…..
“Hei, perché non mi hai detto niente?” Hermione, arrivò come un urgano e si sedette vicino a Ginny con un cipiglio deciso in viso e disse quando vide Harry :“Ciao Harry”.
Poi si girò verso Ginny rimproverandola: “Te non ti saluto, sono ancora arrabbiata per ieri!” Ginny rise di gusto e Harry si innamorò ancora di lei.
“Perché cos’è successo ieri?” chiese Ron.
“Oh, tua sorella mi ha organizzato un appuntamento al buio…”
“Con chi?” chiesero in coro i due ragazzi.
“Non è vero! C’ero anch’io!” ribattè Ginny.
“Sì, ma volevi andartene!” Hermione aveva totalmente ignorato i due amici.
“E lo avrei fatto, se non mi avessi minacciato con la bacchetta!”
“Ma non dovevi andartene!”
“Perché?” chiese la rossa. Hermione fece una faccia strana.
“Perché… Perché… Non lo so perché!” Ginny rise ancora e le si avvicinò accarezzandole la testa con mano materna.
“Tesoro, non devi preoccuparti. Andrà tutto bene…”
Harry e Ron cercavano di seguire il battibecco senza capirci molto.
Hermione rise “Sembri Fleur”. Ginny valutò l’osservazione e disse: “Fleur è carina, adesso”.
Hermione rise ancora “Allora sembri Fleur prima che diventasse carina!”
Ginny sbuffò, smise di accarezzare la riccia e si infilò in bocca una fetta biscottata con la marmellata.
“Chi è che non ti ha detto niente?” chiese quindi, con la bocca piena.
Hermione, come se si fosse ricordata di qualcosa in quel momento esclamò: “Ron!”
Ron, che stava mangiando, si sentì chiamato in causa e un po’ preoccupato disse: “Si?”
“Non mi hai detto del casino che è successo ieri durante la ronda!” Ron, spaesato, chiese: “Quale casino?”

 

Hermione sbuffò (ma più elegantemente di come lo faceva lui, sperò) “La Parkinson ha Schiantato uno del quinto anno e la Simmons è scappata urlando, pensando che volesse schiantare anche lei!” Ron spalancò gli occhi.
“Davvero? Ieri io e Ernie Macmillan abbiamo fatto presto e ce ne siamo andati quasi subito. Ha scritto Anthony la pergamena…”
Hermione chiese perplessa: “Ernie? Ma non dovevi fare la ronda con la Simmons?”
Ron annuì mentre spiegava: “Sì, dovevo. Ma ieri pomeriggio la Parkinson mi ha detto di farmi sostituire e non l’ho fatto e quando mi ha visto si è arrabbiata e ha preso il mio posto. Così io ho fatto la ronda con Macmillan…”
“Perché dovevi farti sostituire?” domandò Harry. Ron alzò le spalle, allargando le braccia.
“Beh, non glielo hai chiesto?” chiese Ginny. Ron si sentiva attaccato da tutte le parti.
“No. Pensavo che fosse una paranoia sua.”
“E invece non lo era…” Hermione si voltò verso il tavolo dei Serpeverde, ma la Parkinson non c’era.
“Chi è stato schiantato?” chiese Harry.
“Oh, un Serpeverde: Rowie. Un cretino” disse Hermione.
“Allora non abbiamo perso niente”, Ron riprese a mangiare subito dopo aver parlato.
Ma Ginny si fece seria. “Rowie è un piantagrane. L’ho beccato a infastidire Camille. Gli ho dovuto lanciare una fattura Orcovolante”.
Harry rise mentre diceva: “Dovuto?”
Ginny sorrise senza dire niente, guardò Harry che le sorrideva e si dimenticò di dire a Ron che era Camille che aveva compiuto gli anni il giorno prima.
“Comunque lui sta insieme alla Simmons.”
“COSA?” due voci simultanee gridarono e due facce incredule si girarono verso la rossa.
“Rowie sta con la Simmons” ripetè Ginny un po’ più a bassa voce.
“Tu lo sapevi?” chiese Hermione a Ron.

 

Ron scosse la testa. Merlino. Era andato a letto con quella ragazza almeno quattro volte e non sapeva neanche che avesse un ragazzo?
“Beh, non penso si sposeranno entro l’anno, si fanno un sacco di corna…” Ginny guardò prima Hermione e poi Ron, senza capire bene i loro sguardi.
“Vado a parlare con la Parkinson” disse Hermione.
“No, ci vado io” disse Ron. Il ragazzo sembrava molto più deciso, ma quando si alzarono la campanella suonò l’inizio delle lezioni, quindi dovettero rimandare tutti e due.

 

Alla prima ora Harry, Hermione e Ron avevano pozioni, con i Serpeverde. Quando entrarono nell’aula di Lumacorno, erano già tutti seduti, così si voltarono verso il lato Serpeverde, ma non videro la moretta: la sua postazione era vuota.
Lumacorno, suggerì un lavoro a coppie e Hermione stupì tutta la classe scegliendo di sedersi vicino a Malfoy. Quando il professore diede istruzioni su quale pozione realizzare, si risedette dietro la cattedra e si mise a correggere i temi che aveva dato come compito.

 

“C’eri ieri alla ronda, tu?” Draco alzò un sopracciglio alla domanda della Grifondoro e disse con un sorriso di scherno: “Buongiorno anche a te, Granger. Sì, sto bene, mi sembra un ottimo inizio settimana”.
La Granger sbuffò, imbronciata.
Il giorno prima Draco si era presentato alla porta della stanza delle necessità, così come gli era stato detto, ma il pomeriggio non era andato come si era aspettato.
La Granger aveva capito subito il piano della Weasley di lasciarli da soli e si era arrabbiata tantissimo. Ma quello che più lo aveva divertito era il fatto che la piccola teppista rossa non si era lasciata scalfire neanche un po’. Non era uscita dalla stanza, in quanto la Granger l’aveva minacciata con la bacchetta, ma l’aveva presa in giro tutto il tempo con il sorriso sulle labbra.
Gli aveva anche detto: “Mi spiace. Non doveva essere così”, a voce bassissima e poi aveva ripreso a lamentarsi con l’amica del fatto di non poter uscire.
Draco aveva pensato anche di uscire lui, ma la rossa gli aveva lanciato un’occhiataccia che lo aveva paralizzato sul posto. Dopo un po’ la Granger si era calmata e avevano studiato davvero. Beh, si erano copiati i compiti lui e la teppistella, mentre la Granger faceva finta di non vedere. Avevano chiacchierato del Quidditch e di come non piacesse alla ‘bisbetica riccia’ (la Weasley l’aveva chiamata proprio così), avevano speso qualche parola tutti e tre sulla scuola e altre cose, e alla fine si era pure divertito.
Stava pensando di chiederle di tornare anche quel giorno nella stanza delle necessità. Doveva essere impazzito. Un Malfoy con la Granger e la Weasley…
Però… però era stato bene. Per una volta non aveva pensato a niente, nient’altro che la scuola, il futuro e le altre cose a cui dovrebbe pensare un ragazzo della sua età. Ed era stato bene. Durante il sesto anno, la stanza delle necessità era stata un rifugio dove complottare ai danni del mondo, mentre ora era diventato un figugio, un luogo dove nessuno lo guardasse come il ‘mangiamorte mancato’ o il ‘ragazzo che aveva fallito’. Dove i ragazzini non sghignazzavano di lui (alle sue spalle) o bisbigliavano e si tappavano la bocca (davanti alla sua faccia).
Per un intero pomeriggio si era dimenticato tutto questo.

 

Hermione non capiva cosa avesse il biondo. Gli aveva chiesto se era alla ronda e lui non aveva ancora risposto. Ma non era sua amica la Parkinson? Oppure non sapeva che lei era scomparsa? Oppure sapeva benissimo dov’era e non era preoccupato...
Il giorno prima era venuto nella stanza delle necessità e dopo la prima arrabbiatura, quel pomeriggio le era piaciuto. Lui aveva raccontato fatti di quando era piccolo, di sua madre e qualcosa anche di suo padre. Lei aveva dovuto stare attenta a non pendere dalle sue labbra.
Ginny, intanto, aveva copiato compiti da tutti e due, quella piccola complottatrice! Sorrise al pensiero dell’amica che le accarezzava i capelli e la chiamava ‘Tesoro’.
“Allora, signorina Granger?” Hermione si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri quando Lumacorno le rivolse la parola sorridendo.
“Come? Io non…” annaspò, per la prima volta.
“Aconito, algabranchia ed Erba Fondente. Granger l’hai detto un secondo fa…” Malfoy la stava guardando con sguardo seccato, e lei annuì girandosi verso Lumacorno, che sorrise entusiasta battendo le mani. Quando lei si girò di nuovo verso il compagno di calderone, lui le sorrise e ammiccò. La riccia sentì le gote imporporarsi e si avvicinò di più al calderone.
“Mi devi un favore per averti coperto.”
“Che cosa? Non ti devo proprio niente!” Hermione girò il mestolo in senso orario tutte le volte che lui disse di farlo. Non aveva neanche capito che pozione stessero preparando, quindi lo seguì sulla fiducia.
“Hai fatto la ronda o no, ieri?”
“No” rispose finalmente lui.
“Sai cos’è successo?” lui scrollò le spalle. Com’è che i ragazzi non erano mai informati su niente?
“Perché la Parkinson non c’è?” provò ancora lei. Il biondo questa volta fu sorpreso. “Come faccio a saperlo io?” Hermione sbuffò ancora. Guardò verso Zabini, sperando che si girasse verso di lei per telepatia, ma non accadde.
Così lanciò sulla schiena del ragazzo il tappo di una boccetta di liquido rosa che c’era vicino al suo calderone e questi si girò lamentandosi.
“Oh, Zabini, scusami, mi è caduto il tappo. Potresti raccoglierlo per cortesia?” disse innocentemente Hermione stendendo la mano con il palmo in su.
Il moro la guardò stranito, lanciò uno sguardo al biondo che alzò le spalle e quando la riguardò il viso della ragazza si distese in un sorriso. Il Serpeverde si chinò a prendere il tappo di vetro e, facendo tre passi, lo appoggiò sulla mano della Grifondoro che strinse subito la sua mano nascondendosi dalla vista del professore.
Dopo dieci minuti finirono le due ore di pozioni. Hermione neanche si era accorta del tempo che passava. Salutò Malfoy e quando lui le chiese se si sarebbero visti nella stanza delle necessità lei annuì senza pensarci.
Si trovò con Harry e Ron e questi subito le chiese: “Allora? Dov’è la Parkinson?”
“In infermeria.”

 
Ron impallidì mentre chiedeva: “In infermeria? Ma…. si è fatta male?”

 

“Sembra di no…” Hermione camminava di fretta perché avrebbe dovuto raggiungere l’aula di Antiche Rune il più velocemente possibile ed era ancora lontana. Ma Ron la guardò, sperando che continuasse, così si fermò e spiegò ai ragazzi: “Anthony ha detto a Zabini che ieri sera durante la ronda la Simmons è tornata nella stanza dei prefetti urlando che la Parkinson avevesse ucciso Rowie. Per fortuna c’erano solo Anthony e una ragazza Corvonero del settimo anno. Così sono andati tutti e tre al bagno del sesto piano, sai quello in disuso?” al cenno affermativo del rosso, continuò: “E hanno trovato Rowie svenuto e incantato da un Immobilus della Parkinson. Quando sono entrati nel bagno la Simmons è scoppiata a piangere e ha raccontato quello che Rowie voleva fare a te, Ron. Lei avrebbe dovuto sedurti e poi lui vi avrebbe beccati mentre… mentre…” Ron divenne rosso sulle orecchie.
“Ok ho capito, ho capito…”
“Voleva lanciarti qualche fattura alle spalle!” La faccia di Hermione era inorridita, come se non ci fosse un crimine più grave di quello.
Harry, che aveva ascoltato tutto, disse: “Quindi la Parkinson deve averlo saputo e ti ha salvato il sedere, Ron”.
Ron scosse in aria la mano e  si rivolse di nuovo a Hermione: “E lei cosa ha detto?”
“La Simmons? Non lo so…” Ron era scarlatto in tutto il viso, ora.
“La Parkinson! Cosa ha detto la Parkinson?”
“Niente. Perché è svenuta” rispose Hermione scuotendo le spalle.
“Svenuta?” dissero in coro i ragazzi. Hermione annuì.
“Per questo è in infermeria. Ma sembra che non sia niente di…” Ron scappò via mentre l’amica finiva di parlare, “…grave. Solo un calo di zuccheri, ha detto la Chips” finì la ragazza quando lui era già lontano.
“Mi sono persa qualcosa?” chiese lei a Harry, incuriosita.
“Non lo so. Ma… Hermione, davvero? ‘sedurti’?” Hermione arrossì e riprese a camminare verso la lezione di Antiche Rune.
“Guarda che esiste” disse dopo poco. Harry rise.
“Oh sì, scommetto che esisteva già milioni di anni fa!” Hermione sbuffò e rise anche lei.

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*** grazie a chi legge e a chi ha inserito la storia fra le preferite (!!!😍) e le seguite.

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Capitolo 13
*** Il problema di Camille ***


Il problema di Camille

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Camille camminava veloce per raggiungere la biblioteca. Sperava che Ginny fosse lì. La stava cercando da quasi un’ora e lei era l’unica persona con cui potesse parlare. Il giorno prima avevano passato un po’ di tempo insieme e lei era stata lì lì, per dirle quello che pensava, ma non ce l’aveva fatta.
Ora però capiva che non poteva più rimandare. E poteva parlare solo con lei. Praticamente era la sua unica amica, l’unica persona con cui parlasse a parte le compagne di stanza.
Non parlava neanche con sua sorella. All’inizio l’aveva ignorata di proposito, per farle dispetto. E sapeva che sua sorella ci era rimasta male, tutte le volte, l’aveva notato, ma era stato più forte di lei. Adesso non era ancora arrabbiata, soprattutto dopo il regalo della puffola, ma non voleva parlare del suo problema con lei. Non ancora. O magari non c’era nessun problema di cui parlare e lei non lo avrebbe mai saputo.
Incontrò la rossa fuori dalla biblioteca. “Ginny! Per fortuna ti ho trovato!”

 

Ginny stava andando nella stanza delle necessità. Prima Malfoy, e poi Hermione l’avevano informata del fatto che avrebbero studiato come il giorno prima. Lei aveva sorriso: stava funzionando.
“Ciao, Camille. Dimmi, vado un po’ di fretta…”
“Ho bisogno di aiuto…” sussurrò la ragazza per non farsi sentire dagli altri studenti “…per piacere…”.
Dalla sua faccia Ginny capì che doveva essere una cosa seria, così disse: “Ok. Cerchiamo un posto dove non c’è nessuno”.
Finirono in un magazzino circolare pieno di cianfrusaglie e attrezzature per la scuola. “Siediti lì”, le indicò uno scatolone e lei si sedette su un altro scatolone, tirando fuori penna calamaio e pergamena.
“Fammi scrivere che tardo a un appuntamento, ok?” La ragazza annuì e aspettò pazientemente che lei scrivesse il biglietto, lo incantasse e che questo volasse via.
Poi Ginny si voltò verso di lei e disse: “Dimmi tutto”.
Lei balbettò un po’ in imbarazzo: “Io non ho il ciclo da un po’. Dopo quanto tempo devo preoccuparmi?” Ginny sbatté le palpebre. Più volte.
Quella ragazzina aveva appena compiuto quindici anni. Ed era… era incinta? Davvero? Ok. Calma e sangue di drago. Una cosa alla volta.
Le chiese se avesse fatto sesso non protetto (Si! Per Godric!) e le chiese da quanto tempo non avesse più il ciclo. La ragazza era un po’ restia a parlare, ma Ginny immaginò che fosse normale e cercò in tutti i modi di metterla a suo agio. Le disse che avrebbero dovuto fare l’incantesimo Quaestiognatio, per togliersi ogni dubbio e sapere se fosse o meno incinta.
“Io, però, non sono sicura di poterti aiutare. Non ho mai fatto quell’incantesimo. Ma l’ho visto fare. Penso che sarebbe meglio se chiedessimo…” La mora scosse i capelli.
“No, ti prego. L’ho detto solo a te. Prova, proviamoci e se poi non ci riusciamo pensiamo a cosa fare, ok?”
Ginny, che non era del tutto convinta, cercò di ricordarsi le parole e come Hermione avesse mosso la bacchetta quando aveva fatto l’incantesimo a Fleur. Merlino, se Fleur fosse stata incinta avrebbero fatto provare anche lei e ora saprebbe cosa fare!
Ripeté almeno tre volte le parole prima di prendere la bacchetta. Poi provò a scuoterla come aveva visto fare a Hermione in camera sua. Aveva un po’ paura. Se avesse fatto qualcosa di sbagliato? Se avesse fatto qualcosa di brutto a Camille? Non c’erano professori lì a correggere gli errori che facevano in aula e, per Godric, non c’era neanche Hermione di cui si fidava più di qualsiasi professore.
Si alzò in piedi, scosse la bacchetta verso Camille e disse: “Quaestiognatio” sperando di pronunciarlo giusto e aspettando il filo bianco dalla bacchetta.
Ma dalla bacchetta uscì solamente uno sbuffo di luce candida. Lo rifece. E ancora e ancora. Ma niente. Dopo il settimo fallimento, Ginny guardò sconsolata la ragazza e scosse la testa.
“Mi spiace Camille… non mi ricordo come si fa…” Avrebbe voluto piangere. Per una volta che poteva essere d’aiuto a qualcuno.
Guardò la ragazza che si teneva la testa fra le mani… Cosa avrebbe fatto se fosse capitato a lei? Sarebbe andata da Hermione. Lei l’avrebbe aiutata di sicuro. E cosa avrebbe fatto se avesse scoperto di aspettare un bambino? Ginny rabbrividì. Sua mamma si sarebbe arrabbiata come una furia, avrebbe gridato, l’avrebbe sgridata, e tutti avrebbero dovuto starle lontano per un po’. Ma poi l’avrebbe abbracciata, l’avrebbe baciata sui capelli e le avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene. Dov’era la mamma di quella ragazza?
“Potremmo chiedere a Hermione” disse alla fine, ma vide sul volto di Camille un’espressione che le fece cambiare idea “o forse sarebbe meglio se andassi dal tuo caposcuola. Chi è?” La ragazza glielo disse. Era un ragazzo del suo anno, ma, appunto, era un ragazzo. Improponibile.
“E se andassimo da uno dei prefetti della tua casa? Andiamo da una ragazza” propose.
Camille sorrise per la prima volta e chiese: “Verresti con me?”
“Certo.”
“E le parleresti prima tu?”
“Oh... sì, se vuoi…” Ginny non si era aspettata quella domanda.
“Allora va bene” concesse la ragazza.
Ok, aveva convinto Camille. Ora doveva convincere se stessa. Andare da un prefetto di Serpeverde. Del suo anno i prefetti verde argento non erano particolarmente simpatici. E preferiva andare da qualcuno di più grande… Rimaneva solo lei… sospirò.
“Da chi andiamo? Hai preferenze? Non c’è molta simpatia con i Serpeverde... forse… la Parkinson?”
Camille annuì contenta e ripeté: “Però vieni con me e glielo dici prima tu!” Per Godric, la Parkinson doveva essere veramente cattiva con i suoi studenti!

***

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Pansy stava scrivendo una pergamena di Aritmanzia in biblioteca, quando vide entrare la Weasley dalla porta d’entrata. Riprese a scrivere fino a quando la rossa non si sedette al tavolo con lei.
“Weasley?” chiese incuriosita.
“Ciao, Parkinson. Hai un minuto?”
“Oh. Sì…” La mora era stranita. Non aveva mai scambiato più di cinque parole con la piccola Weasley. Sperò che non volesse parlare di suo fratello. Di nessuno dei suoi fratelli.
“Vedi, c’è una mia amica che ha un problema diciamo…” La rossa si guardò intorno, e Pansy pensò che stesse valutando la distanza delle orecchie degli altri studenti, “diciamo… medico. Ha bisogno di un incantesimo che io non so fare…”
La Serpeverde disse un po’ malignamente: “Weasley, vai da madama Chips”.
“Preferiremmo di no.”
Pansy sospirò. Che problemi aveva quella ragazzina?
“Allora vai dalla Granger. Perché sei qui da me?”
“Perché la mia amica è Serpeverde. E tu sei un prefetto.”
Pansy sgranò gli occhi e anche la bocca. “Oh…” La rossa sorrise.
“Bene, ora che ho la tua attenzione, diciamo che lei ha bisogno di un incantesimo Quaestiognatio, e io, che non so farlo, vorrei imparare come si fa.”
La mora sgranò ancora di più gli occhi e disse a voce bassa: “Ok. Va bene. Lei chi è?” Ginny fece un cenno allo scaffale dietro di lei e Pansy guardò Camille avanzare titubante verso di loro.
“Camille? Ma cosa…” La ragazza scoppiò a piangere scusandosi con la sorella e la strega più grande si alzò prendendola fra le braccia, cullandola.
“Mi dispiace, io non lo so… non l’ho fatto apposta… scusa… non volevo… lo so che ti ho creato problemi da quando maman…”
“Shh.. non ti preoccupare. Adesso risolviamo tutto, ok? Non ti preoccupare.”
 Pansy vide la Weasley guardarle incuriosita. Camille non le aveva detto di essere sua sorella. Probabilmente non l’aveva detto a nessuno.

 

Ginny osservava la scena un po’ in imbarazzo. Era la sorella della Parkinson! Per Godric. Lei non sapeva neanche che la Parkinson avesse dei fratelli. E adesso? Si sentiva un po’ di troppo, come se stesse assistendo a una scena intima. Cosa doveva fare? Andarsene? Forse era meglio.
Si alzò dalla sedia e si girò verso l’uscita della biblioteca quando la Parkinson la chiamò: “Aspetta Weasley!” Ginny si voltò di nuovo verso le due sorelle.
“Vieni con noi. Ti faccio vedere come si fa” disse la Parkinson parlando a voce troppo alta e Ginny sorrise annuendo.

***

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La Parkinson era una persona maledettamente pratica. Non era come se l’aspettava. Pensava fosse tutta risolini e battutine e invece no. Erano con lei da poco meno di un’ora e aveva già pensato a tutto.
Erano passate da Daphne Greengrass, che aveva lanciato a lei e Camille due sguardi incuranti e alla Parkinson uno sguardo di fuoco, poi la mora, come un incantesimo senza bacchetta, le aveva detto: “Daphne devi organizzare una riunione”, e la Greengrass aveva cambiato espressione annuendo.
“Ok. Settimana prossima?” chiese.
La Parkinson le rispose: “Anche prima. Quest’anno non lo abbiamo ancora fatto”. La Greengrass annuì ancora.
“Ci sarai, Pansy?”
“Ci sarò. Fammi sapere quando.”
Le due ragazze si salutarono silenziosamente con il capo e il tutto fu molto misterioso, secondo Ginny. Ma non chiese niente. Tutti questi atteggiamenti nuovi la stordivano come un Confundus ben assestato.
Così fu contenta quando fu Camille a chiedere: “Una riunione?”
“Sì. Tutti gli anni vengono organizzate delle riunioni per illustrare alle ragazze gli incantesimi contraccettivi, la funzione delle pozioni antigravidanza e l’incantesimo Quaestiognatio. E anche altre cose. Tipo cosa fare se il tuo ragazzo insiste quando tu non vuoi e come riconoscere la polvere di oppio. Cose così…”
Ginny si stupì quando si sentì dire: “Sembra una cosa utile”.
La Parkinson sorrise nella sua direzione. Merlino, avevano ragione! Era veramente carina.
“Già. Voi non lo fate?”
“No, non lo abbiamo mai fatto” ammise lei.
“Oh. Beh, immagino che la Granger abbia sempre avuto cose più importanti da fare. Tipo tirare fuori Potter e Weasley dai guai.”
Ginny notò che lo disse senza ironia, anzi quasi con rispetto nei confronti di Hermione, così non seppe cosa ribattere.
Arrivarono nel bagno di Mirtilla Malcontenta, dove, giustamente, Mirtilla si stava lagnando su uno dei gabinetti.
La Parkinson le andò vicino e disse: “Mirtilla! Cosa fai qui? Draco ti sta cercando per tutto il castello!”
Il fantasma smise di piangere e l’occhialuta Mirtilla guardò la mora davanti a lei. “Draco? Draco Malfoy?” La Parkinson annuì vigorosamente.
“Ha detto che andava al bagno del sesto piano, a cercarti. O forse era il terzo? Oh, scusami Mirtilla, non me lo ricordo. Prova a cercarlo in tutti e due.”
Il fantasma annuì dicendo che lo avrebbe fatto e sparì velocemente.
Ginny era sempre più colpita. La mora appoggiò la borsa sul piano vicino al lavello, tirò fuori la bacchetta e disse che non avevano molto tempo. Spiegò brevemente a Ginny come si faceva l’incantesimo. Ginny scoprì che agitava la bacchetta nel verso sbagliato e scoprì che era una cosa tremendamente facile.
La Parkinson glielo fece provare su di lei. Il filo di luce si annodò e poi si slegò esattamente come era successo con Fleur. La Parkinson guardò il filo con uno sguardo che Ginny non capì, ma non fece in tempo a chiedere niente, poiché venne il momento di provare l’incantesimo con Camille.
Il filo di luce bianca uscito dalla bacchetta della Serpeverde si annodò più volte e generò un grosso fiocco luminoso che rimase sospeso sulla testa di Camille.
“Per le mutande sporche di Merlino!” esclamò Ginny tappandosi la bocca. Doveva essere quella la risposta positiva! Ginny vide il terrore negli occhi spalancati della Parkinson che sparì subito quando abbassò lo sguardo e incontrò gli occhi della sorella. La vide sorridere. Un sorriso tirato, ma che ci stava tutto.

 

Camille scoppiò a piangere ancora. Pansy l’abbracciò e le assicurò che tutto sarebbe andato bene. Non sapeva ancora cosa fare, ma tutto sarebbe andato bene. Che giornata!
“Allora…” disse, cercando di radunare un po’ di voce. Era la sorella maggiore, doveva sembrare convincente. Ma non ne aveva la forza, non in quel momento.
“Stasera vieni in camera mia, le altre vanno a una festa e io non ho la ronda, quindi abbiamo tutto il tempo e tutto lo spazio per noi. Ok?” Camille, aveva ancora le guance rigate dalle lacrime e annuì.
“Parliamo del bambino?” Pansy scosse il capo.
“No, tesoro. Non stasera. Ne parleremo da domani e per tutto il tempo che servirà, ma stasera io non penso di farcela, ok? Ci faremo una chiacchierata fra ragazze, ci facciamo portare il gelato dagli elfi e ci mettiamo lo smalto sulle unghie, o cose così. Va bene?” Camille annuì.
La mora guardò in direzione di Ginny, che aveva uno sguardo spaesato in viso e le sorrise. Poverina, sicuramente a casa sua queste ‘situazioni’ vengono affrontate meglio. O forse non si presentano proprio. Ma lei non sapeva cosa si faceva quando in famiglia un’adolescente scopre di essere incinta.
“Tu Weasley che fai? Sei dei nostri?”

 

Ginny alzò lo sguardo sulle due Serpeverde e vide l’espressione speranzosa di Camille. “Io vengo, ma penso che avrò bisogno di un po’ Firewhisky”.
La Parkinson sospirò e disse: “E pensi di essere l’unica?”

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***

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Hermione ricevette il gufo di carta di Ginny nel momento in cui si incontrò con Malfoy al settimo piano. Era da sola. Da sola con lui. L’aveva fatto apposta. Piccola strega!

 

Draco vide la sua espressione e per un attimo pensò di tornare in biblioteca. “Tutto bene?”
“Ginny non viene!” disse, quasi scandalizzata.

 

Hermione vide Malfoy sorridere e si insospettì. “Non sarai mica stato tu, vero?”
“A far che?” chiese lui.
“A dirle di non venire.”
Il biondo fece una faccia sorpresa (finta, si vedeva benissimo, pensò Hermione)
“Assolutamente no!”
“L’hai minacciata?” continuò lei, passando davanti al muro per far apparire la porta.
“Ti giuro su ciò che ho di più caro che non l'ho fatto!” Lei lo guardò divertita e chiese: “Su ciò che hai di più caro? Cos’è? La tua scopa?” Malfoy sorrise.
“La Firebolt? Mmm… non so… posso giurare su qualcos’altro?” Lei rise nonostante tutto.
Entrarono nella stanza del giorno prima: poltrone, tavolo, camino, uguale a quella della notte che avevano passato insieme.
“Che materie hai portato?” chiese Hermione.
“Pozioni, storia della magia e…. bo, ho preso un libro a caso” rispose il Serpeverde. Lei lo guardò.
“Come?”
“Ho portato un libro a caso. Aspetta… Antiche Rune” spiegò, mostrando il libro.
La ragazza lo guardò con rimprovero. “Ma tu non fai Antiche Rune!”

 

Draco alzò le spalle dicendo: “Sarà di Zabini. O di Nott” (o di qualche ragazza che si era portato in camera Nott).
La Granger sbuffò. Draco pensava che fosse tremendamente sexy quando lo faceva. Si guardò intorno e per un momento pensò di aver sbagliato ad andare lì. Soprattutto se non c’era la Weasley.
“Perché la teppistella non è venuta?” Hermione sventolò una mano contrariata e gli fece vedere la pergamena che le aveva mandato Ginny.
“Oh, dice che deve aiutare una sua amica per una questione molto importante” disse poco convinta.
Lui si fece serio e disse, raccogliendo la borsa: “Vuoi che me ne vada?”
“NO!” gridò la Granger, che si era girata verso di lui e aveva alzato le mani nella sua direzione, ma quando si rese conto della velocità della cosa e di quanto avesse gridato, si fermò abbassando le mani. Draco riuscì a vedere le sue guance arrossire.
“Possiamo non fare i compiti, se vuoi” propose, senza sapere bene cosa dire. Lei inclinò la testa.
“Non fare i compiti? Non si può!” Il biondo rise.
“Già, giusto…” E rise ancora.

 

Hermione capì che la stava prendendo in giro. Ah sì? Tutti la prendevano in giro perché le piaceva studiare e fare i compiti era per lei una cosa semplice.
“Ok, non facciamo i compiti oggi.”
Si sedette al tavolo e rimise via i libri. Era un po’ contrariata. Tutti la prendevano in giro. Era davvero messa così male? Le si bloccò il respiro. Merlino! Non adesso. Il biondo le si sedette di fronte e disse: “Dai non ti arrabbiare. Facciamo i compiti”.
Malfoy accondiscendente con lei? Che succedeva? Si innervosì ancora di più.
“Oh, no. Così non ti devo nessun favore. Niente compiti…” Si strofinò le braccia e si guardò intorno. Lui le appoggiò una mano sul braccio sinistro e disse: “Calmati. Non innervosirti”.
“Non sono nervosa” mentì. Lui alzò un sopracciglio e la guardò con sospetto.
“Ok, forse un po’” ammise lei.
Per un po’ non dissero niente, e non fecero niente. Poi lei gli chiese a bruciapelo: “Hai con te la pozione?”
Lui, colto alla sprovvista disse di no, ma il suo sguardo finì verso la borsa dove c’erano i libri. Hermione rise.
“Che fai, Malfoy, dici le bugie?” E allungò la mano verso la sua borsa. Lui le afferrò il polso e lo strinse.
“No” disse risoluto. Fu il turno di Hermione di alzare le sopracciglia.
“No?”
“No!” Lei spostò la mano, preoccupata.
Quando stava male non aveva avuto problemi a lasciarle la pozione. Perché ora…. Guardò verso la porta. Era il caso di andarsene? Guardò di nuovo il biondo. Ora sembrava che stesse male lui. I suoi occhi erano lucidi e lui iniziò a passarsi le mani fra i capelli, nervosamente. Che stava succedendo? Malfoy si alzò velocemente ma dovette fermarsi per qualcosa che Hermione non capì subito. Poi, riconobbe il dolore. Stava avendo una crisi, esattamente come era successo a lei.

 

Draco si incamminò verso il mobile bar. Per fortuna la stanza era sempre uguale. E per fortuna i liquori c’erano sempre. Allungò un braccio verso la bottiglia di Firewhisky, quando venne fermato.
Si girò e vide la ragazza, con una mano sul suo braccio che lo guardava preoccupata. “Lascia, te lo verso io”. Gli indicò con la testa di sedersi e lui, invece di andare verso il tavolo, si sedette direttamente su una delle poltrone.

 

Hermione gli portò il bicchiere e appoggiò la bottiglia sul tavolino. Poi si guardò intorno e si sedette su una delle altre poltrone.
“Poco fa stavi bene. Ora…”
“Sto bene” la interruppe lui.
“Sì, e io sono Priscilla Corvonero…” Il biondo la guardò male, ma a Hermione non interessava.
Com’era possibile? Poco prima stava ridendo. Anche a lei succedeva così rapidamente? Lui bevve tre sorsi di liquido e ne lasciò poco sul fondo. Hermione lo guardò e chiese: “Perché fa così anche se loro sono morti?”

 

Malfoy la guardò. Sapeva cosa fare per stare meglio. E di certo non era parlare di Voldemort e Bellatrix. Ma forse lei meritava una spiegazione. O almeno metà. Pensò a cosa dirle quando chiese ancora: “È magia oscura?” Lui annuì con la testa.
Non avrebbe detto bugie. O almeno ci avrebbe provato. La Granger sospirò, gli si avvicinò e gli prese la mano, come lui aveva fatto con lei quando stava male. Sussultò. Non se lo aspettava. Lei gli sorrise. Per Salazar!

Si allungò verso il bicchiere, lo prese con la mano libera e finì quello che c’era dentro. Ne voleva ancora, ma non voleva lasciarle la mano. Quei pochi momenti erano rubati e lui lo sapeva bene. Doveva approfittare di ogni opportunità. Così chiuse gli occhi. Lei gli accarezzò la mano e Draco immaginò un giardino, un prato rasato e un sole pomeridiano, poi tutto divenne confuso… Vide sua madre che prendeva il tè in giardino, seduta sotto un gazebo bianco di ferro battuto e lo guardava salutandolo con la mano. Suo padre le andò vicino, cingendole le spalle, e lei gli diceva qualcosa che Draco non poteva sentire, poi insieme si voltarono verso di lui sorridendo.
All’improvviso una grande ombra scura li avvolse, loro, il gazebo e il giardino. Si ritrovò solo a correre su un terreno bruciato e nel buio, cercando di rincorrere i suoi genitori.
“Mamma! Papà!” quando gridò si svegliò di soprassalto. Era nella stanza delle necessità, sulla poltrona. La Granger lo guardava preoccupata, tenendogli ancora la mano. Lui la lasciò andare, imbarazzato per la situazione.
“Stai bene?” gli chiese. Lui annuì, guardandosi intorno, in cerca della borsa. Si alzò dalla poltrona, deciso ad andarsene da lì.
“Aspetta. Dove vai?” La Grifondoro aveva una faccia preoccupata, molto preoccupata.
“Vado in camera.”
“No. Tu resti qui.”
Draco la ignorò e fece un passo verso il tavolo dove era ancora appoggiata la borsa.
“Fermo lì!” La Granger aveva tirato fuori la bacchetta.
“Cosa fai?” le chiese.
“Siediti. Non sei in grado di uscire”. Lui scrollò le spalle e lei alzò la bacchetta.
Non sarebbe riuscito a tirar fuori la sua bacchetta velocemente, sentiva le braccia terribilmente pesanti, come le gambe, così cedette. Fece un passo indietro e si sedette di nuovo sulla poltrona.

 

“Bravo”. Hermione sorrise, ma non mise via la bacchetta. Sarebbe scappato subito. Aspettò con lui, seduta al suo fianco.
“Ti è passato?” chiese, dopo un po’. Lui annuì distrattamente.
“Come hai fatto… senza pozione?” sussurrò lei, quasi vergognandosi di quella domanda.
“Con la pratica” rispose.
“Ti è capitato altre volte di farlo passare senza pozione?” Quando Malfoy capì che lei gli faceva quelle domande solo per studiare nuove soluzioni, si arrabbiò.
“Non ti fidi di me?”
Lei spalancò gli occhi e disse: “Cosa dici?”
Lui era agitatissimo, si alzò in piedi, ma era malfermo sulle gambe. Si voltò verso di lei, che era ancora seduta e l’accusò: “Mi stai facendo tutte queste domande per scoprire il modo di non usare la mia pozione. Vuoi evitare di avere a che fare con me!”
I suoi occhi erano grigio scuro adesso, lui urlava e non era per niente in sé. Ma Hermione non aveva paura. Non sapeva il perché, forse riusciva a capire che in verità la crisi non era passata, che doveva aver sognato qualcosa che lo aveva scosso o semplicemente capì che non le avrebbe fatto del male.
Lentamente mise via la bacchetta, si alzò e fece una cosa che non si era aspettata neanche lei: l’abbracciò.

 

Draco, che venne colto di sorpresa, si calmò. Riuscì a fermarsi e per quello che gli sembrò un’eternità non fece niente. Poi la Granger lo strinse di più e lui lasciò che le sue mani andassero su e giù lungo la sua schiena. Si portò ancora più vicina a lui e Draco sentì tutto il calore del suo corpo che premeva su di sé. Il biondo si sciolse. Lentamente, alzò le braccia e ricambiò il suo abbraccio. La sentì rilassarsi come se non fosse sicura di quello che poteva succedere e fosse rimasta in attesa.
“Non ti lascerò da solo” disse.
Lui sorrise, ma solo perché lei non poteva vederlo.
“Non ti lascerò da solo neanche quando scoprirò come fare a meno di quella maledetta pozione.”
Il Serpeverde tossì ridacchiando. “Me lo giuri sul tuo libro di Antiche Rune?” La Granger si staccò da lui quel tanto che bastava per vederlo in faccia e lo guardò stranita, così lui ghignò e disse: “Me lo giuri su ciò che hai di più caro?”
Lei si finse arrabbiata e cercò di staccarsi definitivamente da lui. Ma il biondo non glielo lasciò fare, la strinse ancora e le sussurrò sull’orecchio “Grazie”.

 

Hermione sentì di nuovo i brividi lungo la schiena e immaginò di nuovo labbra calde e morbide. Ma questa volta non voleva scappare. Non di nuovo. Voleva fare qualcosa di diverso, che avrebbe potuto essere sbagliato come saltare le lezioni o avrebbe potuto essere meraviglioso come trovare il libro delle soluzioni in biblioteca.
Così voltò il viso quel tanto che bastava per incontrarlo, gli appoggiò una mano sulla guancia, chiuse gli occhi e avvicinò le labbra alle sue.

***

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Quando Ron era arrivato in infermeria, quella mattina, la Parkinson era già uscita.
Come gli disse Madama Chips, la ragazza aveva passato la notte in infermeria solo per precauzione, perché aveva avuto solo un calo di zuccheri (che le era passato subito dopo un sacchetto di dolci di Mielandia), anche se a Madama Chips non era stato spiegato come era accaduto.
Ron la ringraziò e corse a lezione. Quindi Anthony era riuscito a tenere nascosto l’aggressione nel bagno.
Subito dopo le lezioni (e prima ancora di andare a mangiare!) scrisse alla Parkinson e mise nella busta i cinque galeoni che, effettivamente, le aveva fregato.

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***

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Pansy tornò in camera prima di cena e si distese sul letto. Era stata una lunga giornata.
Il giorno prima, dopo aver schiantato e immobilizzato Rowie (come si era divertita!), non aveva calcolato quella piccola deficiente della Simmons che era scappata urlando, lei si era sentita così debole e la testa aveva iniziato a girarle così tanto che quando era riuscita a rimanere ferma, aggrappandosi a uno dei lavandini, erano entrati Anthony e la Simmons di corsa e lei, lasciando di scatto la presa del lavandino per raggiungerli, aveva visto tutto nero e aveva perso conoscenza.
Alla fine si era svegliata in infermeria con accanto Zabini che rideva e la prendeva in giro per essersi fatta beccare a schiantare un idiota.
Madama Chips le aveva negato di tornare in camera a dormire e le aveva lasciato una sacchetto di caramelle dolci che aveva fatto mangiare a Blaise. Parlavano tutti di un calo di zuccheri. Forse era solo così arrabbiata con Weasley che lo sforzo dell’incantesimo le aveva prosciugato le forze.
Era riuscita a fuggire dall’infermeria poco prima delle dieci. Quella megera non sapeva tutte le cose che aveva da fare, così si era trovata a corto di tempo e con una marea di cose da finire. E ora quel casino con Camille.
Pansy si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Santo Salazar!
Un picchiettio deciso la fece voltare verso la porta della stanza. L’aprì e vide un piccolo gufo grigio un po’ arruffato che andò a posarsi sulla sua scrivania, lasciando cadere una lettera che sembrava molto pesante. Era carinissimo.
Sorrise. Cercò nel mantello un pezzo di carne e glielo allungò. Quando il gufo, dopo avere inghiottito il boccone, volò via, prese la busta incuriosita. Non conosceva il gufo e non conosceva neanche la busta. L’aprì e cinque monete caddero sulla scrivania.
Tirò fuori la pergamena e lesse:

 

Mi spiace non aver capito quello che intendevi.

Grazie.

R.W.

Ps. Visto che sono un imbranato anche negli acquisti, tanto vale che ti ridia indietro i tuoi soldi.

 

Pansy rise. Era la prima cosa divertente che le era successa quel giorno. Povero Weasley che non era stato in grado di comprare le sigarette!
Il suo sorriso si fece più tenero quando ripensò alla loro conversazione e al perché non aveva trovato quelle giuste.

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Capitolo 14
*** Serata fra ragazze ***


 Serata fra ragazze

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A cena Ginny pensò all’invito della Parkinson. Non era sicurissima che andare nella sua stanza sarebbe stata una buona idea, ma effettivamente non aveva neanche ragioni di credere che non lo fosse.
Guardò un paio di volte verso il tavolo dei Serpeverde, ma la Parkinson non l’aveva in nota. Effettivamente, guardandola, sembrava che non avesse in nota nessuno. Era seduta con Malfoy, Zabini e qualcun altro, forse qualcuno della squadra di Quidditch, ma sembrava persa nei suoi pensieri. Non era uno sguardo preoccupato, come quello che aveva nel bagno di Mirtilla, era diverso.
“Chissà a cosa pensa la Parkinson” disse ad alta voce. Ron e Hermione si girarono verso Ginny, incuriositi e tutti e due si voltarono poi verso la ragazza in questione.
“Non saprei. Sembra da un’altra parte”disse Hermione, poi riportò l’attenzione al piatto e riprese a mangiare. Era stizzita, ma nessuno ci fece caso.
“Vorrei anch’io essere da un’altra parte” confessò Ron. Ginny si voltò verso il fratello “E dove vorresti essere?” Il rosso scosse le spalle e riprese a mangiare.
Ma cosa avevano tutti? Forse un giro nei sotterranei le avrebbe fatto cambiare aria. Sorrise quando decise cosa fare.
Camille si affiancò alla rossa quando si alzò da tavola. “Ciao, hai detto che vieni, stasera, vero?”
Ginny la guardò. Sembrava preoccupata. “Sì, perché? Anzi, come faccio a venire?” Camille sorrise, più serena.
“Se ti fai trovare fuori dalla porta dei sotterranei alle nove, ti vengo a prendere.”
Ginny annuì. Ci sarebbe stata. Per quella ragazza.

***

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Ron si stava annoiando. Era in sala comune che cercava qualcuno con cui fare una partita a scacchi magici, ma nessuno voleva giocare con lui. Hermione stava leggendo un libro ed era piuttosto nervosa, così decise di lasciarla stare. Fece un giro della sala comune e vide due ragazze che parlottavano e lo guardavano. Quando si resero conto che lui le aveva viste, ridacchiarono nervose e lo salutarono con la mano, facendogli cenno di andarsi a sedere con loro, ma il rosso scosse il capo. Non aveva voglia di far conversazione e non aveva voglia di fare altro con nessuna delle due.
Quando finì il giro della sala comune, salì in camera. Trovò Harry sul letto che lanciava una pluffa in aria e la riprendeva, come in trance.
“Harry, tutto bene?”chiese all’amico.
Harry si girò verso di lui e lo salutò con un cenno del capo, poi scrollò le spalle e tornò a fare quello che stava facendo. Tutti strani quella sera. Si sedette sul letto e tirò fuori la mappa del malandrino dal baule.
“Cosa fai?” gli chiese Harry.
Ron scrollò le spalle esattamente come aveva fatto l’amico poco prima e Harry ricominciò a giocare con la pluffa.
“Giuro solennemente di non avere buone intenzioni!”
Poco alla volta, ma velocemente, tutta Hogwarts comparve sulla mappa. Ron non voleva guardare, ma istintivamente il suo sguardo cadde subito sui sotterranei. Stava cercando una persona. Chissà cosa stava…. Aspetta. Ma quel puntino era… Ma cosa….

 

“Merlino! Cosa ci fa mia sorella nei sotterranei?” Harry girò lo sguardo su di lui, con gli occhi spalancati. No. Ginny stava aspettando Malfoy? Di nuovo?
“Fuori dai sotterranei?” chiese con noncuranza.
“No, no. È nella sala comune dei Serpeverde” precisò il rosso.
A Harry mancò il respiro. Magari i Serpeverde coprivano Ginny e il biondo…. Il suo petto si strinse in una morsa. Magari c’era una spiegazione anche a questo. Una spiegazione che non avrebbe chiesto. Di nuovo.
“Devo andare a controllare, secondo te?” Harry fece una smorfia strana.
“Controllare cosa?”
“Che stia bene. Vieni con me?”
Harry non riacchiappò la pluffa che aveva lanciato in aria e questa gli cadde sul viso. “Io non… non credo che ci sia bisogno che tu vada a controllare”.
L’ultima cosa a cui teneva era vedere Ginny e Malfoy insieme. O che lo scoprisse Ron.

 

Ma Ron voleva andarci a tutti i costi. E Ginny poteva essere una buona scusa.
“E se invece avesse bisogno?” provò a convincerlo. Voleva andare nei sotterranei, voleva vedere se lei c’era. Ma andarci da solo non gli sembrava una buona idea.
“Non fare casini. Lasciala stare” disse Harry.
Ron si stizzì, pronunciò le parole per chiudere la mappa, la mise via e ritornò in sala comune. Al diavolo tutti. Avrebbe aspettato un po’. Se non fosse tornata, sarebbe andato a cercarla. Nei sotterranei.
Invece, se Ron avesse aspettato qualche minuto, avrebbe visto il puntino di Ginny avvicinarsi proprio al puntino della persona a cui cercava di non pensare.

***

 -

Ginny arrivò alla porta dei sotterranei che Camille la stava già aspettando. Le sorrise. Un po’ nervosa lo era, ma anche eccitata. Era stata nella sala comune dei Corvonero, con Luna, ma nei sotterranei non c’era mai andata.
La strega più giovane, la prese per mano e la trascinò oltre il passaggio. Fu così veloce che Ginny non capì neanche la parola d’ordine.
Quando fu dentro, la rossa si guardò intorno. C’era una luce soffusa verde e la stanza aveva pareti e soffitto di pietra. Avrebbe dovuto essere gelata, invece si stava bene. Un enorme camino era acceso e scoppiettava invitante in fondo alla stanza. C’erano divani in pelle nera su cui molti ragazzi erano seduti a chiacchierare. C’erano tavoli su cui altri ragazzi facevano i compiti. Alcune teste si alzarono al suo passaggio, mentre seguiva Camille, qualcuno la guardava incuriosito, qualcuno la salutò.
A un certo punto si ritrovò di fronte Rowie, il ragazzo che aveva infastidito Camille. “Weasley, sei venuta a trovarmi?” chiese lui.
Il ragazzo aveva un cipiglio strano e si voltò più volte verso due amici, sorridendo. Ginny capì che voleva farsi grande a sue spese, così alzò un sopracciglio (che la rese tanto Serpeverde) e rispose al ragazzo, che era alto quasi quanto lei: “Ti piacerebbe, Rowie!” Lui sghignazzò.
“Vieni in camera da me e scoprirai qualcosa che piace anche a te” disse a voce troppo alta per essere un tentativo di innocente seduzione.
“Richiedimelo quando avrai ammucchiato dieci centimetri e un po’ di manualità con la bacchetta e io ti rifiuterò lasciandoti anche la dignità!”
Lui ci mise un po’ a capire quello che intendeva e quando i suoi amici ridacchiarono, capì che era un insulto e la sua faccia si trasformò. Si avvicinò di un passo e Ginny si preparò a tirar fuori la bacchetta quando una voce alle sue spalle esclamò: “Rowie, smettila di agitarti e sii gentile con gli ospiti. Su”.
Il ragazzo guardò alle spalle della Grifondoro, incassò il colpo e se ne andò. La rossa si girò e vide la Parkinson che seguiva con lo sguardo il ragazzo. Quando lui fu seduto, la Serpeverde guardò Ginny e le sorrise.
“Sei una persona coraggiosa. Mi piace” disse. La rossa alzò le spalle e le andò incontro.
“Qualcuno mi ha promesso del gelato, sono sempre coraggiosa quando c’è di mezzo il gelato.”
La mora annuì, fece un cenno a Camille, che si era allontanata quando si era avvicinato il ragazzo e le fece strada.

 

Ginny guardava fuori dalle finestre man mano che attraversarono la sala. Davano tutte sul lago nero. Sotto il lago nero. Era bellissimo. Riusciva a vedere gli abitanti del lago: svariati pesci e qualche avvincino, ma non vedeva sirene da nessuna parte. Per fortuna neanche la piovra gigante.
Quando arrivarono nella camera del settimo anno (settimo anno plus), la rossa si guardò in giro. Non era poi tanto diversa dalla sua camera. I letti a baldacchino erano uguali a quelli del suo dormitorio, solo che questi erano tutti nel tono del verde. Verde e argento, logicamente. Seta probabilmente, pensò, accarezzando le cortine del letto più vicino.
“Carino qui” disse. Il rumore dell’acqua era calmante e, come aveva già pensato, il fatto che non facesse freddo era molto piacevole.
Si avvicinò al letto dove si erano sedute le ragazze e Camille iniziò a chiacchierare senza sosta, probabilmente perché era un po’ nervosa. E anche Ginny iniziava a esserlo. Guardò il baule in fondo al letto della Parkinson e vide lo stemma della sua famiglia sul lato. Non lo conosceva molto bene, forse non lo aveva mai visto. Ma era lo stesso di Camille?
“Allora, com’è che siete sorelle?” Buttò li per rompere il ghiaccio.

 

Pansy fu contenta che la Weasley avesse parlato per prima. Iniziava a essere nervosa e Camille chiacchierava di cose inutili senza concludere niente. Sapeva che la sorella aveva pochissime amiche, così quando si erano presentate insieme, aveva capito che Camille teneva a lei e l’aveva invitata, ma poi si era sentita un po’ agitata. Di cosa avrebbero parlato? Cosa potevano avere in comune?
“Quando mio padre è morto, mia mamma si è risposata e poi è nata lei” disse alla Grifondoro. Si rese conto di essere stata un po’ freddina, ma era ancora nervosa.
La rossa sorrise dicendo: “Concisa, eh?”
Pansy ricambiò il sorriso. Chiamò a gran voce un elfo, che apparve subito, e gli chiese di portagli del gelato per tre persone. Poi si corresse e disse ‘tanto gelato’ e prima che se ne andasse gli chiese anche di portare del Firewhisky.
L’elfo guardò Camille e poi la Grifondoro e brontolò qualcosa sul mescolare alcolici e minorenni, così Pansy tranquillizzò l’elfo dicendo che Camille non ne avrebbe bevuto e che la Weasley fosse maggiorenne, e lui andò via, ma sempre brontolando. “Merlino! Ma è così facile? Basta chiamare un elfo?”
Pansy la guardò e le spiegò: “Quircky è uno dei nostri elfi, non lavora nelle cucine di Hogwarts…”

 

“Oh. Sì, giusto…” La rossa fece un giro per la stanza, imbarazzata.
Camille disse alla sorella: “Ginny si starà chiedendo dove tieni i tuoi vestiti. Dice che hai delle bellissime scarpe!”
La Parkinson, presa alla sprovvista alzò lo sguardo sulla rossa che, presa in contropiede anche lei, arrossì.
“Davvero?” chiese la mora e rise.
Fu una risata liberatoria, perché scacciò via il nervosismo. Ginny non sapeva perché Camille avesse detto una cosa del genere (assolutamente vera, comunque) e quando vide la mora alzarsi e aprire il baule, rimase di sasso.

Il coperchio del baule si spalancò al comando della bacchetta della Parkinson e si aprì anche un’altra stanza dentro la camera da letto. Una ENORME cabina armadio.
Le ragazze salirono i gradini che portavano al coperchio del baule e furono dentro questo corridoio fatto di scarpe, cinture, vestiti, calze di seta, gioielli e altri accessori (e anche divise scolastiche, ma fu l’ultima cosa che la rossa notò). Ginny, a cui di solito non interessavano i vestiti in generale, rimase incantata.
“Aspetta che lo dica a Lavanda! Si vanta tanto di aver dovuto fare l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile al baule, ma questo lo supera di gran lunga…”disse estasiata.
“Pansy lo ha fatto anche a me” disse la piccola Serpeverde.
Ginny si voltò verso Camille “Hai anche tu così tante scarpe?” le chiese.
“Oh, no. Si vede che maman vuole più bene a lei che a me” rispose scherzando. La Parkinson si irrigidì e divenne seria per un attimo.
“Ogni singolo oggetto qui dentro ha avuto un elevato prezzo da pagare. E non parlo di denaro” Ginny capì che doveva essere una cosa seria così non disse niente.

 

Appena sentì il rumore di posate e vassoi che venivano appoggiati, la Parkinson disse a Camille: “È arrivato l’elfo con il gelato. Prendi lo smalto, che torniamo in camera” Le ragazze uscirono dal baule e trovarono il gelato sulla scrivania, ma non l’elfo. Mangiarono il gelato chiacchierando e facendo una classifica fra gli insegnanti. Il professore più noioso (Ruf), quello più bello (Clooney, il nuovo professore di difesa contro le arti oscure) la professoressa più rigida (McGranitt, ma non c’era concorrenza) e il professore più strano (Lumacorno).
Quando finirono il gelato e dovettero scegliere lo smalto, (Ginny non aveva mai visto così tante tonalità di colore) Camille tirò fuori un boccetto con dello smalto bianco e disse di averlo ricevuto in dono da una gentilissima ragazza bionda di Corvonero.
“Chi? La Lovegood?” le chiese sua sorella.
Camille si illuminò rispondendo: “Sì sì! Proprio lei. Ha detto che cambia colore, ma una ragazza diceva che non era vero…”

 
Ginny si allungò a prenderlo e disse: “Se Luna dice che cambia colore, allora cambia colore. Lo metto io”.
La Parkinson si offrì di stenderglielo, ma anche Camille disse di volerlo, così Ginny lasciò che la mora lo mettesse prima alla sorella. Fu una cosa lunga, perché la giovane Serpeverde si agitava tantissimo, raccontando aneddoti accaduti da quando era in Inghilterra e la sorella impiegò più tempo per usare la bacchetta e correggere gli errori che per stenderle lo smalto.
Sembrava avesse una pazienza infinita, pensò ammirata Ginny, e continuava a sorridere a Camille. Lei avrebbe perso la pazienza più volte.

 

Camille era strafelice. Era la serata più bella che avesse mai passato da quando era a Hogwarts. Continuava a saltellare e a raccontare cose di cui fino a poco prima non si ricordava neanche. Il gelato non le era mai sembrato così buono e sua sorella così gentile. Forse questa cosa non sarebbe stata solo negativa.
Si andò a stendere su uno degli altri letti e si guardava lo smalto sperando che cambiasse colore. Ma non si accorse di essere terribilmente stanca e che gli occhi le si chiudessero da soli.
Si addormentò e neanche se ne accorse.

 

La Parkinson ci mise pochissimo, per fortuna, a mettere lo smalto a Ginny però, non aveva ancora cambiato colore. Aveva pensato che cambiasse in base al colore dei vestiti e invece non l’aveva fatto.
Chiese alla Serpeverde se volesse metterlo anche lei e, sebbene non le piacesse molto farlo, iniziò a stenderlo anche sulle unghie della mora.
Si accorse che Camille si era addormentata quando la sentirono russare.
“Cosa faccio adesso?” sussurrò, quasi a se stessa, la Parkinson.
Ginny alzò lo sguardo dalle mani della ragazza e la guardò in viso. Stava guardando la giovane ragazza incinta. Cosa avrebbe potuto dirle? Niente. Non lo sapeva neanche lei.
“Non sai quante volte ho detto questa frase negli ultimi mesi…” disse poi, guardando la Grifondoro negli occhi “Adesso che dorme ti va un po’ di Firewhisky?”
Ginny annuì e senza che glielo avesse chiesto, si alzò e lo versò per tutte e due.
Allungò un bicchiere alla mora e bevve un sorso dal suo. Bruciava in gola. E per rompere il silenzio disse la prima cosa che le passò per la mente: “Anch’io divento zia”. La Serpeverde si illuminò.
“Davvero? Complimenti!” esclamò, facendo tintinnare il bicchiere con il suo per un brindisi.
“E chi dei tuoi fratelli…?” chiese, dopo aver bevuto il primo sorso. Giusto, doveva essere più precisa.
“Bill, mio fratello più grande. Ha sposato Fleur. Te la ricordi? Fleur Delacour, del torneo Tremaghi?” La Parkinson annuì.
“Oh, la Veela. Quanto l’ho odiata. Pensavo mi portasse via Draco” disse ridacchiando e strizzò un occhio sorridendo. Ginny rise e spalancò gli occhi.
“Davvero?” chiese.
“Davvero. Ti scoccia se fumo?” Ginny scosse la testa. La mora tirò fuori il portasigarette e ne accese una. “Ne vuoi una?”
Ginny scosse ancora la testa. “Meglio una cosa nuova per volta”, disse alzando il bicchiere con il liquore.

 

“Ma tu e Malfoy state ancora insieme?” Pansy tirò una lunga boccata, soffiando poi il fumo.
“Io e Draco non siamo mai stati insieme. Non davvero…” ammise, sottovoce.
“No?” chiese stranita la Grifondoro.
“Potter non ti ha detto niente del processo di mia madre?” La rossa scosse la testa. “No. Perché?” Se lo avesse avuto vicino, Pansy avrebbe voluto abbracciare il sopravvissuto.
“Dovevi tenertelo stretto, allora. Non son tanti i ragazzi così…” sussurrò ancora, pensando ai ragazzi che non parlano quando non c’è bisogno e che non spettegolano quando non è il caso.
La Weasley bevve un sorso. “Lo so. Non l’ho lasciato io” Pansy la guardò sorpresa. “Ah no? Ho capito male, allora…”

 

Ma Ginny non voleva parlare di Harry. Le interessava molto di più quello che la mora le poteva dire sul furetto. Ma non voleva fare domande esplicite, così aspettò in silenzio che continuasse a parlare.

 

Pansy aspirò ancora dalla sigaretta, pensando a cosa dire.
“A Draco piace un’altra. Gli è sempre piaciuta. Ma mia madre pensava che fosse un buon partito e ha cercato di convincermi a farmi stare con lui. A convincerlo che potevamo sposarci. A volte è stato brutto” disse alla fine, poi guardò in viso la rossa. Lei non capiva. Se ne accorse dalla sua faccia. Ma non poteva capire per forza. Faceva fatica a capire anche lei fino a dove volesse spingersi sua madre.
“Mia madre ha raccontato tutto al processo, per quello ti ho chiesto di Potter, lui c’era”, la Grifondoro annuì senza dire niente e Pansy continuò “ Ha raccontato tutto… Tutti i suoi piani. Farmi sposare Draco sembrava essere la cosa più importante, ma poi, quando Voldemort cambiò idea sulla sua famiglia, mi disse di cercarne un altro che fosse più congeniale al suo Signore Oscuro…”

 

Ginny notò come disse con cattiveria ‘Voldemort’ e con derisione ‘suo Signore Oscuro’. Annuì senza sapere bene perché. Sua mamma non le avrebbe mai detto di fare una cosa del genere.

 

“Voi siete brave persone, tu non puoi capire. Non sai cosa passa per la mente di una persona così. Merlino, non l’ho saputo neanch’io fino al giorno del processo. Pensa, lì davanti a tutti, mia madre mi ha reso lo zimbello del mondo magico. Una povera ragazza stupida che deve convincere un ragazzo a sposarla andandoci a letto, perché non ha nient’altro da offrire…” Fece cadere la cenere della sigaretta sul tappeto prima di sospirare e prendere il coraggio per continuare “E poi, quando cambiò idea, e mi disse di provarci con un altro io le ho pure detto di sì! Per non parlare di quando mi aveva detto che avrei potuto andarmene se li avessi aiutati a prendere Potter e non avrei più dovuto fare quello che voleva lei e invece… invece…” Si rese conto di aver detto troppo quando vide gli occhi spalancati della Weasley.
Si guardarono per un intero minuto senza dire niente. Fra loro non c’era confidenza, non erano amiche. Ma Pansy si era tenuta dentro tutto per così tanto che ora, era scoppiata. E lo aveva fatto con la piccola Grifondoro. Cosa avrebbe pensato adessso di lei? Beh, che avesse proposto di mandare Potter da Voldermort lo sapeva già e non è che pensasse di avere una buona reputazione agli occhi di tutti i Grifondoro quindi non ci sarebbe stata molta differenza…
Scosse la mano che reggeva la sigaretta verso la porta dicendo: “Se vuoi andare, vai pure. Non intendevo buttarti addosso questo schifo…” Ma quella testa rossa le sorrise, gentile.
“Io posso ascoltare. Tutto quello che vuoi raccontare. E ti giuro su quello che vuoi, che non uscirà da questa stanza. O ti racconterò qualche segreto anch’io. Ma dubito di poterti raccontare qualcosa di interessante. A parte il fatto che sono qui che aspetto che Harry cambi idea e ritorni da me (e non sto facendo niente per far sì che succeda) non ho cose imbarazzanti che potresti usare contro di me. Penso…” disse alla fine, pensandoci.
Oh, com’era carina. Pansy aveva sperato che fosse Daphne a dirle una cosa del genere e invece era stata lei. Aveva finito la sigaretta da un po’, così usò la bacchetta per far sparire tutto.

 

Ci mise tanto tempo, così Ginny pensò che fosse arrivato il momento di andare via. “Buonanotte, a domani, Parkinson…”
Si alzò e fece per andarsene quando una voce roca e un po’ nervosa le disse: “Aspetta. Se vuoi restare… Io…” balbettò la mora, per la prima volta in difficoltà. Ginny si girò verso di lei e annuì, risedendosi. Versò ancora da bere e le allungò il bicchiere senza chiederle niente.

 

Pansy guardò il bicchiere e poi guardò la rossa. Prese il bicchiere e lo vuotò in solo sorso. Non aveva mai detto a nessuno quello che stava per dire alla Weasley ma pensò che fosse il momento giusto.

 

Ginny la guardò scolarsi il Firewhisky e aspettò che parlasse. Quando aprì bocca la prima cosa che le disse la mora, fu che sua madre le regalava un paio di scarpe nuove per ogni volta che le aveva scritto di essere andata a letto con Malfoy.

 

Ginny bevve un sacco di bicchieri di Firewhisky, dopo il primo, ma nessuno da sola.

***

 -

“I Serpeverde sono veramente odiosi” concluse Hermione la sua lunga filippica sul carattere dei Serpeverde, su quanto fossero crudeli, arroganti, strafottenti e snob. Harry le dava ragione annuendo e ogni tanto dicendo ‘Sì’, ma tanto Hermione non lo notò.
Ginny, che aveva preso la pozione per il mal di testa un’ora prima e iniziava a farle effetto in quel momento, invece guardava Ron stranita e lui ricambiava il suo sguardo alla stessa maniera.
Il tavolo della colazione era gremito di cibo, ma Ginny non aveva voglia di mangiare niente. Si versò del tè e guardò la riccia. “Come mai ce l’avete tanto con i Serpeverde, oggi? E poi, perché Hermione, TU ce l’hai con i Serpeverde?”
Ginny prese un sorso di tè. “Hai ragione, Ginny. Perché dovrei avercela con i Serpeverde quando in verità è colpa tua?”
Alla rossa andò di traverso la bevanda e iniziò a tossire.
“Co… cof cof COLPA cof cof COLPA MIA?” chiese fra un colpo di tosse e l’altro.
Hermione si alzò in piedi, visibilmente irritata, dicendo: “Sì, esattamente. È stata tutta colpa tua!”
Quando Ginny smise di tossire la riccia si era già dileguata. La rossa guardò i due ragazzi e chiese: “Perché è colpa mia?”
Ron alzò le spalle mangiando le uova e Harry la guardò e basta. Che brutta giornata.

***

 -

Quando Ginny si avvicinò al tavolo per il pranzo, Hermione, Ron e Harry erano già seduti vicini. Hermione era rimasta arrabbiata con lei per tutta la mattina e Ginny non riusciva a capire perché. Era ancora quella storia di Malfoy? Quel discorso assurdo sui Serpeverde era così strano…
Ma Ginny aveva deciso di frequentare chi voleva e di non dar retta alle paranoie dell’amica, così restò ferma in piedi dietro alla riccia e disse per tutti e tre: “Giusto perché sappiate come la penso… Venerdì andrò alla festa nella sala comune dei Serpeverde. Perché non penso assolutamente che siano arroganti e crudeli e tutto il resto. Anzi a volte sono molto meglio di certe persone che credevi amici. E ora vado a sedermi vicino a Neville. Non ho nessuna voglia di sedermi con voi, che avete pregiudizi e oggi non mi piacete come persone”. E così dicendo se ne andò. Che loro pensassero quello che volevano.

***

 -

Subito dopo pranzo Ginny venne fermata da Malfoy che le chiese se quel giorno si sarebbe presentata o meno nella stanza delle necessità.
“Oh, guarda non lo so. Non so cos’è successo, ma Hermione ce l’ha con me per qualcosa che non ho capito, quindi non so se oggi sono persona gradita o no!” esclamò ancora un po’ arrabbiata.
Si girò per andarsene, ma a quel punto il biondo fece una cosa che lei mai si sarebbe immaginata: le bloccò un polso. E lei, sorpresa, si dovette rigirare. “Vieni, per favore” disse solamente.

 

La piccola teppista rossa lo guardava confusa. Giustamente. Non aveva mai detto ‘per favore’ a nessuno. Forse a Pansy qualche anno prima. Forse no. Ma aveva bisogno che lei ci fosse. Non poteva rimanere solo con la Granger ancora.
“Non so se lei sarà nella stanza delle necessità” gli disse a quel punto, poi sospirò strappando il polso alla sua stretta, “cosa avete combinato ieri?”
“Già, ieri. Perché ieri non sei venuta?” chiese lui ignorando sua domanda.
“Sono fatti miei” esclamò sostenuta.
Ora si stava arrabbiando. E sì che lui era così calmo. Doveva convincerla a esserci.
“Qui le domande le faccio io. Dimmi cos’è successo ieri e verrò. Ma, come ti dicevo, non so se lei verrà. Devi aver fatto un gran casino, visto che stamattina ce l’aveva a morte con tutti i Serpeverde!” Draco incassò il colpo e non disse niente.
Ma cosa doveva dirle? Che la Granger lo aveva baciato per pietà e lui si era sentito morire? Che avrebbe preferito che gli lanciasse una cruciatus piuttosto che quello che le aveva letto in faccia? Forse non doveva andare neanche lui. Forse sarebbe stato meglio se non l’avesse vista più. Avrebbe potuto passare questi mesi senza incontrarla troppo spesso e poi, una volta fuori da Hogwarts, se la sarebbe cavata. Forse.

 

Il biondo divenne paonazzo. Probabilmente arrossivano così quelli pallidi come lui. Ginny era stufa di sentire i problemi degli altri. No. Non è vero. Non doveva prenderla così.
Sospirò e girò la testa, guardandosi intorno. A pochi passi c’era Harry. Non voleva che sentisse la loro discussione. Prese Malfoy per un braccio e lo trascinò lungo il corridoio, ovunque ma non li.

 

Harry aveva visto quando lui le aveva preso il polso e l’aveva guardata con quello sguardo implorante. E aveva visto quando Ginny lo aveva preso per un braccio e lo aveva portato via. Forse era arrivato il momento di cercarsi un’altra ragazza. Una qualunque. Si guardò intorno, ma come al solito, non vide nessuno.

 

“Ok, ascoltami. Posso aiutarti, ma tu devi aiutare me. Spiegami cos’è successo…” Draco aprì la bocca per propinare alla piccola Weasley qualche convincente bugia, quando vide, oltre le spalle della rossa, Hermione che si muoveva in maniera strana verso le scale. Ignorò totalmente la nanetta e corse in direzione della ragazza, che iniziava a salire le scale.

 

“Ehi, ma cosa…” Ginny non capiva, poco prima lui era davanti a lei, propenso a parlarle e dopo pochi istanti, scappava via per chissà quale motivo. Quando si voltò, capì.
Hermione saliva le scale, mentre queste si muovevano, ma lei sembrava non accorgersene. Arrivò all’ultimo gradino, e, appoggiata una mano sul corrimano, alzò un piede nel vuoto.
Ginny gridò. Gridò forte. Gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Per fortuna Draco riuscì ad afferrarla per la vita in tempo. Aveva appoggiato una mano al corrimano anche lui e facendo leva sulle gambe, aveva allungato un braccio e, dopo averglielo passato sul ventre, la tirò verso di sé con tutta la forza che aveva. Lei, che non se l’aspettava, era caduta indietro a peso morto ma Draco, che aveva immaginato l’effetto che avrebbe fatto, riuscì a rimanere fermo mentre lei gli cadeva addosso. La Weasley arrivò subito. L’aveva sentita gridare, più volte.
“Tutto bene?” aveva il fiatone “Hermione stai bene?”
Draco abbassò gli occhi sulla ragazza contro il suo petto: piangeva. Sospirò forte e quando le scale si fermarono, si lasciò andare e si sedette sul gradino, trascinandola giù con lui.

 

Ginny era preoccupatissima. Hermione era quasi caduta nel vuoto! Come era possibile? Come aveva fatto a non accorgersene? Si chinò vicino a lei e si inginocchiò sul gradino più in basso. Le alzò il viso e vide che piangeva.
“Hermione, tesoro, non piangere. Ti prego. Non piangere…” Ginny ebbe l’impressione che lei non riuscisse a vederla. Piangeva copiosamente, ma senza far rumore. Nessun singhiozzo. Nessuno spasmo del petto. Solo tante lacrime che scivolavano giù. I suoi occhi erano lucidissimi, come se avesse la febbre, ma la sua fronte era gelata. La rossa alzò gli occhi verso il biondo e vide che anche lui era preoccupato.
“È ancora quella cosa? O è più grave? Dobbiamo andare da Madama Chips? O al San Mungo?” Malfoy scosse la testa.
“Non lo so. Però proverei prima con la pozione. Lei non vorrebbe che…”

 

“Ok. Va bene. Ho capito” concesse Ginny. Si guardò intorno: le scale si mossero ancora. Capì dove stavano andando. Non mancava molto alla stanza delle necessità. Forse un piano o due.
“Andiamo!” Si alzarono e aiutarono Hermione uno per lato. Ginny passò davanti al muro tre volte e la porta apparve.
L’aprì e tornò verso Malfoy per aiutarlo con Hermione, ma lui fu più lesto, la prese in braccio e la portò dentro senza sforzo.

 

La rossa aveva arredato la stanza come l’ultima volta, ma in più c’era un divano con un sacco di cuscini, così pensò di dirigersi lì con la Granger fra le braccia. La fece sdraiare e si inginocchiò al suo fianco. La ragazza batteva i denti. La Weasley arrivò subito con una coperta e la coprì, sedendosi vicino a lei, che si rannicchiò.
“Dici di provare con la pozione?” Draco annuì. “Potrebbe farla riposare” Prese la boccetta dalla borsa dei libri e gliela fece bere. La Granger non sembrava troppo consapevole della cosa. La rossa accarezzava i capelli della strega distesa e sembrava assorta.
“Stamattina ce l’aveva con me. Prima di pranzo mi sono arrabbiata e le ho detto una cosa che potrebbe avere preso male…. Può essere stato quello che ho detto a farle quest’effetto?”
La piccola teppistella era troppo intuitiva. Sarebbe riuscito a ingannare Hermione quando era in quello stato, ma non una ragazza in piene capacità mentali. Lo sapeva. Si allontanò dal divano e andò alla fine della stanza. Tirò fuori il portasigarette e ne estrasse una. L’accese senza neanche guardare la Grifondoro. Cosa dirle?

 

Ginny guardò il ragazzo che si accendeva la sigaretta. Era molto nervoso. Come se stesse valutando cosa fare. L’aroma della sigaretta arrivò fino a lei: liquirizia.
“Non ti facevo uno da liquirizia, Malfoy” disse per spezzare la tensione. Lui alzò un sopracciglio, incuriosito.
“Cosa pensavi?” le chiese.
“Gufo morto?” lui rise e fece una faccia disgustata.
“Nooo. Non prima di cena” scherzò.
Quando finì la sigaretta, fece sparire tutto con la bacchetta, si versò un bicchiere di Firewhisky e disse: “Perché hai pensato a un mobile bar?” Ginny alzò le spalle.
“L’aveva fatto lei la prima volta e pensavo servisse. Versane anche a me e vieni al tavolino” ordinò. Hermione dormiva profondamente.
Lui fece quanto richiesto e quando glielo appoggiò davanti le chiese: “Da quando ti sei unita a noi bevitori?” Lei si sedette a gambe incrociate su una delle poltrone vicino al tavolino.
“L’ho assaggiato ieri. A breve sarò un’alcolista, visto quanto mi piace”. Cercò di essere divertente.
“Ieri sera? Quando ti hanno vista nella nostra sala comune?”
Lei bevve un piccolo sorso (La Parkinson aveva detto che se ne beveva troppo in troppo poco tempo, le avrebbe preso subito la testa)
“Non ti sfugge niente, eh, Malfoy?” Lui sorrise.
“Da chi sei andata?” chiese e lei lo guardò.
“Se fossi andata da un ragazzo sarei stata più discreta.”
“Lo spero per te.”
Non dissero niente per un po’.
“Sono andata dalla Parkinson, con Camille” ammise. Lui avrebbe dovuto sapere che Camille fosse sua sorella (da quel che lei aveva capito), ma preferì non dire altro. Il biondo annuì. Ginny pensò che stesse per dire qualcosa, ma poi si bloccò e non disse niente.
“Puoi rispondere alla mia domanda? Sono stata io a farle questo?” domandò allora indicando Hermione sul divano.
“Forse” rispose lui prima di avvicinare il bicchiere alle labbra.

 

Draco bevve il liquore tutto d’un fiato. Era arrivato il momento.
“Cosa ti ha detto Pansy su di me?” chiese. La rossa alzò le spalle.
“Qualcosa…” Il biondo iniziò ad avere pietà di Potter. L’avrebbe volentieri cruciata. “Cosa vuol dire?”
“Perché non puoi rispondere prima alla mia domanda?” La rossa prese un altro sorso di Firewhisky. Voleva giocare con i grandi? Ok.
“Ok. Risponderò alle tue domande” concesse lui. Lei si mise più dritta sulla poltrona.
“E sarai sincero?” chiese. Lui la guardò di sottecchi, cercando di capire se per caso l’avesse sottovalutata. Non doveva sottovalutarla. Annuì e aspettò. Pensò a cosa dirle per quanto riguardava la domanda di poco prima. Ma lei lo spiazzò.
“Che è successo ieri fra te e Hermione?” Oh, Merlino. Quella domanda? Cosa rispondere? Pensa. Pensa. Ma disse la verità.
“Mi ha baciato” ammise, guardandola negli occhi. Se lo doveva fare, lo avrebbe fatto alla Malfoy. Lei sorrise meravigliata.
“Davvero? Wow. E poi?” Lui rimase di sale. Non si aspettava una reazione del genere.
“Poi cosa?”
“Vi siete fermati lì?” chiese incredula. Per la prima volta in vita sua, era imbarazzato dalla domanda di una ragazza.
“Io… l’ho fermata. Me ne sono andato…”

 

No! Come? Perché? “No! Perché? Ma a te lei non piace?” chiese senza accorgersene.
Ginny iniziò a preoccuparsi. Aveva capito male. Pensava che a lui piacesse. L’aveva spinta fra le sue braccia e a lui nemmeno piaceva? Iniziava a sentirsi male. Era stata davvero lei a far venire la crisi a Hermione.
“Lei mi piace. Tanto. Da tanto tempo…” iniziò lui, lentamente.
La rossa ora era spazientita. Ok, lui si stava aprendo e doveva essere una cosa nuova, ma che due pluffe. Cos’era un interrogatorio? Si ricordò della sera prima, quando la Parkinson aveva detto che a Draco piaceva un’altra. Doveva essere Hermione. Per forza.
“E quindi? Perché sento un ‘MA’ in arrivo?” Lui scosse la mano.
“Non puoi capire…” iniziò, ma lei si arrabbiò. Tantissimo.
Era una vita che sentiva quella frase. ‘Non puoi capire Ginny, perché sei piccola’, ‘quando sarai grande, capirai’, ‘non conosci tutte le cose, non puoi capire’. Erano le frasi che odiava di più. Si alzò in piedi e bevve tutto il bicchiere d’un fiato.
“Sei un troll. Non capisco, hai ragione. Non capisco perché dopo essere scampati a una guerra non si cerca di approfittare di ogni istante felice. Quindi farsi delle seghe mentali in questa maniera rovina la vita e quella delle persone che si ha intorno. Sai che cosa, Malfoy? Mi sento male. Lei sta male così per colpa mia, sì. Perché io le ho detto di baciarti e le ho detto di lasciarsi andare. Con te. Che scema che sono. Sei tormentato? Beh, caro mio non sei mica l’unico. Lei è la tua possibilità di fare qualcosa di giusto in questa tua miserabile vita. Anzi, era. Non te la meriti.”
Si avviò verso la porta, raccolse la borsa dei libri nel tragitto e disse: “Quando si sveglia dille di venire nella torre dei Grifondoro”.

 

Prima che sbattesse la porta Draco la sentì dire: “Dovevo dirle di baciare Anthony Goldstein!” E  prese la porta e se ne andò. Draco era sbalordito. Aveva fatto e disfatto tutto da sola. Però forse aveva ragione. Glielo aveva detto anche Pansy. Che avessero parlato di lui? Guardò la ragazza addormentata sul divano. Era bella. Era intelligente. Era tutto. E l’aveva baciato. Possibile?
Rimase a guardarla. Avrebbe potuto perderla. Weasley l’aveva lasciata andare. Ma lui avrebbe potuto perderla. Finì il bicchiere in un sorso e si avvicinò al divano. Con la bacchetta allargò la seduta, si tolse le scarpe e si infilò sotto la coperta, vicino a lei.
Non avrebbe commesso errori. Le avrebbe detto tutto. Dopo. L’abbracciò e se la strinse vicino. Il suo viso era sereno, adesso. Anthony Goldstein? Per Salazar!

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*** grazie a tutti voi che leggete!!! se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate... 😘

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Capitolo 15
*** Regali, allenamenti e feste ***


Regali, allenamenti e feste

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Harry e Ron tornarono in sala comune dopo aver passato il pomeriggio in biblioteca a fare i compiti. Non avevano parlato delle ragazze; né di Hermione, né di Ginny, né di nessun’altra ragazza.
Tutti e due erano rimasti un po’ sulle loro senza parlarsi troppo ma, alla fine, avevano fatto compiti per tutta la settimana. Era stato un record.
Harry si fermò in sala comune con Dean e Lydia, una ragazza del sesto anno che faceva parte della squadra di Quidditch, per aggiornarli sul cambio di calendario per gli allenamenti.

 

Ron salì in camera per appoggiare il materiale scolastico e la sua attenzione andò direttamente alla finestra, dove un bellissimo gufo reale si era appena posato sul davanzale. Incuriosito, aprì la finestra e il gufo entrò nella stanza, andando a depositare sul suo letto un pacchetto e poi volò sulla spalliera del letto.
Ron riconobbe Woddy, il gufo della Parkinson. Gli andò vicino e lo grattò sotto la testa, dove sapeva che gli piaceva essere coccolato. Guardò il pacchetto incuriosito, ma deciso ad accontentare prima il gufo, cercò un boccone da dargli.
Nel baule trovò la scatola dove teneva la carne secca per queste occasioni e gliene diede un grosso pezzo: era stato bravo e voleva premiarlo. Il gufo strofinò la testa contro la sua mano e velocemente afferrò con il becco la carne, volando via. Ron chiuse la finestra e tornò sul letto.
Appoggiò per terra la borsa e si sedette appoggiandosi alla testiera del letto. Aprì il pacchetto e gli cadde in grembo un porta sigarette (d’argento?) e un biglietto di pergamena.

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Vista la tua onestà, non ho voluto tenermi i soldi.

Ti faccio un regalo.

Qui ci sono dieci sigarette diverse, compreso quelle che fumo io (e l’ultima che ho sequestrato a un ragazzino del quarto anno, che è ‘artigianale’)

Così potrai scegliere.

 

P.P.

 

Ps. Hai cercato le sigarette sbagliate, perché Mela e Cannella è il mio profumo, non quello delle sigarette

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Ron sentì le orecchie diventargli calde. Aprì il portasigarette e lì, tutte in fila, c’erano dieci sigarette, tutte diverse, per colore della pergamena, per lunghezza e per fattura. Guardò l’ultima: com’era strana!
Ne aveva viste parecchie, ma non ne aveva mai fumato. Merlino, aveva fumato la sua prima sigaretta strappandola dalla bocca della Serpeverde! Sorrise al ricordo.
Chiuse il portasigarette e lo infilò nella tasca del mantello, che aveva ancora addosso, poco prima che entrasse Neville nella stanza.

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***

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Quella sera a cena, Hermione era molto calma e sorridente, Ginny lo notò subito ma non disse niente. Le andò vicino e si scusò per quello che aveva detto a pranzo, ma lo fece sottovoce, in maniera che sentisse solo lei. Hermione si scusò per quello che aveva detto la mattina e fecero pace.
“Così andrai alla festa dei Serpeverde, venerdì?” le chiese.
“Già” rispose Ginny.
Hermione aveva parlato a voce alta e anche Harry e Ron avevano sentito.
“Puoi venire anche tu, se vuoi” le propose. Non disse ‘se ti è passata l’arrabbiatura verso i Serpeverde’, ma fu quello che le due ragazze si dissero telepaticamente. Hermione sorrise.
“Non lo so. Vedrò.”
Ron  guardò la sorella e le chiese: “Vai alla festa nella sala comune dei Serpeverde? Ci vai da sola?” Ginny alzò le spalle.
“Ci sarà di sicuro altra gente. Perché non vieni anche tu?”
Non incluse Harry nell’invito perché l’ultima cosa che voleva fare era passare la serata a guardare quello che faceva lui. Erano già una tortura la sala comune e gli allenamenti di Quidditch, voleva stare tranquilla per un po’. Era meglio non vedere. E poi come aveva detto la Parkinson (e lei si era trovata pienamente d’accordo) ‘avevano bisogno di divertirsi’.
Sapeva che quel giorno la Serpeverde e Camille avevano parlato con la McGranitt e il giovedì Camille avrebbe avuto una visita al San Mungo per controllare tutta la situazione, così immaginava il nervosismo della Serpeverde e la sua voglia di non pensarci almeno per una sera.
“Se verrò sarà solo per controllarti” disse il rosso, indicandola con la forchetta. “Allora sarà una serata divertente per tutti e due” gli rispose ironica facendogli una boccaccia.

 

Hermione giocherellava con il cibo. Era stato il pomeriggio più bello della sua vita. Quando si era svegliata lo aveva fatto fra le braccia del più bel diavolo biondo del mondo. Cioè, questo era quello che aveva pensato.
Poi aveva realizzato che si trattava di Malfoy. L’aveva chiamato per capire se fosse reale o stesse ancora sognando (quando prendeva quella pozione, la sua mente faceva viaggi strani), lui le aveva sorriso, le aveva accarezzato la guancia e le aveva detto che si sentiva un troll.
La ragazza aveva riso, e lui aveva appoggiato le labbra sulle sue, rubandole il suono. Lei era rimasta subito stupita, ma si era ripresa subito, ricambiando il suo bacio. I primi minuti ebbe paura che da un momento all’altro lui si tirasse indietro come il giorno prima, provocandole  un’umiliazione totale. Si era fatta coraggio, aveva preso l’iniziativa e lui si era spostato quando lei lo aveva baciato. Invece adesso…
Quando capì che lui non si sarebbe tirando indietro, gli passò le mani intorno al collo, Draco si spostò su di lei e le infilò una gamba fra le sue.
Hermione si sentiva viva. Serena. Lui aveva ripreso a baciarla. Sulle labbra, sul collo, sulla pelle esposta fra i bottoni aperti della camicetta. Lei gli accarezzava i capelli e gioiva di ogni suo contatto.
Non lo fermò. Neanche quando sapeva che sarebbe stato giusto farlo. E quando lui si fermò da solo, lei non glielo permise. Che fosse una sola volta o per sempre, quel pomeriggio voleva che lui fosse suo. E voleva essere sua. E così successe.

***

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Draco guardò tutta sera il tavolo dei Grifondoro. Tanto che venne prese in giro da più persone, ma non se ne curò (né li minacciò, e per questo si sentì superiore).
Notò Zabini dire qualcosa all’orecchio di Pansy e la ragazza, che aveva passato gli ultimi due giorni con uno sguardo strano, sorrise guardando verso il biondo.

 

Pansy, mentre beveva, si girò e cercò di capire dove guardasse Draco. Quando vide la Granger alzare lo sguardo verso di loro e sorridere al biondo, intuì qualcosa.
Sorrise e vide che la Weasley l’aveva vista e, per un attimo, non seppe se salutarla o no, ma poi la rossa alzò la mano e le sorrise. La salutò anche Pansy, contenta che l’avesse fatto, e mentre alzava la mano, si girò anche suo fratello e lei salutò anche lui che rimase un po’ stupito e poi ricambiò il saluto.
Sembrava il giorno delle partenze, tutti a salutarsi, pensò senza cattiveria.

 

Harry non si voltò a vedere chi aveva salutato Ginny, ma quando finirono di mangiare e si alzarono, guardò verso il tavolo dei Serpeverde e vide Malfoy proprio nella direzione in cui aveva guardato la ragazza. E lui era stato l’unico che lei non avesse invitato per venerdì. Non che fosse interessato, comunque. Però, se lei non avesse avuto niente da nascondere…
“Harry, vieni con me venerdì?” Ron gli si accostò mentre tornavano in sala comune. Ginny, poco più avanti scherzava con Neville.
“Non penso” gli rispose.
“Dai! Non mi manderai da solo nella tana delle serpi?” disse scherzando il rosso.
“Ho un appuntamento” mentì.
Ron assottigliò gli occhi; sapevano tutti e due che non era vero.
“E con chi?” Harry alzò le spalle e borbottò qualcosa.
“Dai, vieni. Almeno mi divertirò, altrimenti mi toccherà stare appoggiato al muro da solo. Dai, sicuramente ci saranno delle altre ragazze…” Harry sentì solo ‘altre ragazze’.
“Preferisco non venire” capitolò. Ron non gli disse niente.
 “Sabato però andiamo da Mielandia?” chiese quando arrivarono davanti al quadro della signora grassa.  Harry annuì e affrettò il passo.

***

 -

Ginny non sapeva se andare o no nella stanza delle necessità. Doveva lasciare soli i due piccioncini? Un po’ si vergognava di aver fatto quella sfuriata a Malfoy (anche se effettivamente, sembrava aver avuto l’effetto giusto), così provò a passare davanti al muro del settimo piano.
Se, (appunto SE) fosse apparsa la porta, sarebbe stata la stanza dei compiti, se invece, non fosse apparso niente, voleva dire che Hermione e il furetto (ricordarsi di non chiamarlo più così davanti a Hermione!!!) non volevano essere disturbati.
Passò due volte, avanti e indietro e alla terza nemmeno si fermò, ma quando tirò dritto verso le scale, si girò notando che la porta era apparsa. Sospirò. Sperava che non comparisse.
Tornò indietro e aprì la porta. Forse non c’era nessuno e lei avrebbe fatto i compiti da sola. Mise dentro la testa e loro erano lì, intorno al tavolo grande, quello rotondo.
“Buongiorno” disse e si schiarì la voce. Hermione sorrise senza alzare la testa dal libro che stava leggendo e disse con un tono da maestrina: “Pensavo non venissi più…”
La rossa si sedette sulla sedia libera e rispose a Hermione: “Pensavo di trovarvi aggrovigliati, nudi e sudati sul tavolo”. Ginny ammiccò e Hermione divenne tutta rossa, ma alzò la testa e la guardò con gli occhi spalancati.
“Oh, ciao Hermione! Sono contenta di avere la tua attenzione!” E ridacchiò appoggiando la borsa con i libri accanto a lei.
Si girò verso Malfoy, che la guardava senza dire niente e gli disse: “Buongiorno, Malfoy”.
“Piccola Weasley” la salutò lui. Ginny sbuffò. Iniziamo bene. Lui si voltò verso Hermione con sguardo confuso per la sua reazione e la riccia lo istruì sottovoce: “Non chiamarla ‘piccola’!”
Il biondo corrugò la fronte e chiese, sempre sottovoce: “Perché?”
“Vi ricordo che sono ancora qui e vi sento…” Ginny era quasi divertita.

***

 -

“Com’è andata ieri al San Mungo?” Ginny si sedette vicino alla Parkinson in biblioteca e cercò di usare un tono di voce basso. La mora alzò lo sguardo dalla pergamena che stava scrivendo.
“Oh, è andata abbastanza bene” rispose e Ginny spalancò gli occhi.
“Abbastanza? Che vuol dire?” La Serpeverde fece una faccia strana.
“No, no. Camille e il bambino stanno benissimo. È che…” Guardò la pergamena e poi tornò a guardarla.
“Tu per caso sai chi è il suo ragazzo? Sì… il padre del bambino?” Ginny scosse la testa.
“Noi non siamo così in confidenza. Io le ho insegnato a fare qualche incantesimo, ma non è che…” si interruppe da sola, quando la Parkinson divenne triste .
“Sicuramente hai fatto più di me. Non è che io abbia fatto molto… Non sapevo neanche che avesse un ragazzo…”
“Ma lui sa del bambino?” La mora scosse la testa, allargando le braccia.
“Lei non vuole parlare di questo. È così cocciuta!” La rossa rise.
“Chissà a chi assomiglia…” disse ridacchiano. La Serpeverde esclamò: “Ehi!” Ginny rise ancora.
“Dai, su, non puoi negarlo!” Risero insieme e poi tornarono pensierose.
“A chi scrivi? Così se ci sono scommesse ho qualche vantaggio” chiese Ginny indicando la pergamena e strizzando un occhio.
“Oh, scrivo al nostro consulente economico. Non è gran che, per una scommessa” disse lei, storcendo la bocca.
“Il vostro che?” La mora rise.

“Un consulente… ok, lascia stare. Dì in giro che mi scrivo con William, che ha ventotto anni, due spalle così e che ha una sola cosa che funziona meglio della sua bacchetta!” Ginny spalancò la bocca e la Parkinson rise ancora.
“Gran bella idea, dimmi che posso dire che gli scrivo io!” disse la rossa ridendo e allungando le mani sul tavolo.
In quel momento passò Luna e salutò la Grifondoro. Ginny ebbe paura di quello che avrebbe potuto dire la Parkinson ma lei disse solo: “Lovegood” salutandola, e le fece un cenno con il capo.
“Oh, ciao Parkinson, non ti avevo vista…” La Parkinson non disse niente. Era difficile crederci, ma Luna non faceva trucchetti.
“Oh, Ginny, hai anche tu lo smalto come il mio!” disse mostrando le unghie.
Ginny le guardò ma non ebbe il coraggio di dirle che non erano dello stesso colore. Le prese una mano e lo smalto della bionda divenne rosa. Molto rosa.
“Oh. Sì, è vero che cambia colore. Lo abbiamo messo insieme, ce l’ha anche lei” disse, indicando la Parkinson.
Luna guardò le mani della Serpeverde: lo smalto era bianco ma la bionda annuì.
Anche la mano di Ginny che stringeva quella di Luna aveva le unghie rosa. La rossa si guardò anche l’altra mano. Quando l’avvicinò a Luna cambiarono colore anche le altre dita.
Sorrise alla Parkinson che guardava la cosa incuriosita quando capì il funzionamento.
La Serpeverde avvicinò la sua mano a quella libera di Ginny e le dieci dita divennero tutte della stessa tonalità di rosa chiaro. Sorrise anche la mora.
Poi Luna disse, verso l’amica: “Perché non sei agli allenamenti di Quidditch? Harry ha radunato tutti già da un po’…”
La rossa si alzò in piedi ed esclamò:“COSA?!?”, lasciò la presa e scappò via.

 

Pansy guardò la Lovegood, pensando che se ne andasse via, invece la bionda inclinò la testa e disse una cosa strana: “Sai Parkinson che quest’anno sei molto più bella?”
La Serpeverde aggrottò la fronte imbarazzata e disse con un filo di voce: “Grazie”. Non sapeva perché le avesse detto una cosa del genere, quella ragazza era strana, ma difficilmente diceva cose che non pensasse davvero.
“Forse avevi un gorgosprizzo che ti confondeva il cervello, prima, quando avevi sempre quella brutta smorfia. Ora deve essere andato via, perché quando sorridi sorridono anche i tuoi occhi!” La mora fece fatica a seguire il discorso della Corvonero.
“Un… cosa?” chiese.
“Un gorgosprizzo” specificò la Lovegood, prima di salutare e andarsene via.
Pansy rimase a fissarla mentre usciva dalla biblioteca. Poi, lentamente, riprese a scrivere, ma dovette correggere la pergamena almeno quattro volte, perché non riusciva a concentrarsi.
Cos’era un gorgosprizzo?!?

***

 -

Dopo quaranta minuti di allenamento Harry volò vicino a Ron, che davanti ai pali stava parando i tiri dei due cacciatori presenti in campo. Era riuscito tranquillamente a parare quasi tutte le pluffe e, ogni volta che ci riusciva, un piccolo coro dagli spalti esultava.

 

“Ehi, Ron, ma Ginny ti ha detto che faceva tardi?”
Ron, che stava guardando una scritta giallo shocking appena sopra il gruppo delle ragazzine che popolava la tribuna, sgranò gli occhi e si voltò verso di lui.
“Ginny?” Harry annuì.
“Sì. Non è ancora arrivata. Dobbiamo preoccuparci?”
Ron storse la bocca quando non riuscì a parare un tiro abbastanza facile e alzò la voce per farsi sentire da Harry: “Pensavo avvisassi tu Ginny”.
Harry spalancò la bocca. “Io? Pensavo lo facessi te”.
“Sei tu il capitano…” concluse il rosso. Parata. Coro di “Oh, bravo Ron!!” e altri sospiri dagli spalti. Lui a malapena si girò.
Harry continuò: “Quindi non l’ha avvisata nessuno? Dean! Hai detto a Ginny dell’allenamento di oggi?” Si girò verso il cacciatore ma questi scosse la testa.
Così Harry chiese a voce alta agli altri membri della squadra se qualcuno avesse avvisato Ginny. Tutti negarono scuotendo la testa. Merlino!
Harry atterrò sul prato proprio mentre una figura si stava dirigendo verso di lui.
Camminava velocemente e Harry aveva una mezza idea su chi fosse.

 

Ginny arrivò trafelata al campo da Quidditch, Harry la stava aspettando con la scopa in mano.
“Perché non mi hai avvisato di questo allenamento?” sbottò quando ancora non gli era vicino. Atterrò anche Ron vicino a Harry.
“Scusa Ginny se non ti abbiamo informato in tempo…” Harry era imbarazzato e guardava per terra. Ginny era incredula.
“Ti… ti… ti sei scordato di me?” balbettò, arrabbiatissima, ma la sua voce era più che altro incredula.
“No, non mi sono scordato di te. È che…” iniziò a giustificarsi Harry e Ron si intromise subito.
“Ginny, io…”
Ma la sorella lo interruppe: “Ron, non adesso, sto cercando di chiarire una cosa con Harry”.
Aveva quasi le lacrime agli occhi.
Il rosso parlò ancora: “No, Ginny, ti stavo dicendo che è stata colpa mia. Dovevo avvisarti io, ma mi sono scordato. Pensavo di averlo fatto e invece…” Ginny si voltò verso di lui. Lo guardò.
“Sei stato tu?” Ron annuì vigorosamente. Ginny non sapeva se crederci o no. Guardò prima lui e poi Harry. Poi ancora Ron. Li odiava.
E lo disse a voce alta mentre si girava e ritornava al castello.

***

 -

La festa nella sala comune dei Serpeverde era FAVOLOSA. Ginny si stava divertendo tantissimo. Ballava da più di un’ora con la Parkinson (che si era rivelata una ballerina pazza ed entusiasta e la cosa le piaceva da matti) che le aveva prestato un vestito e un paio di stivali che le stavano veramente bene.
Era ancora arrabbiata con Harry e suo fratello, per la storia dell’allenamento di Quidditch, così si era decisa a divertirsi senza pensare a niente.
Quando la Parkinson le fece segno che sarebbe andata a bere, le fece cenno di aver capito e si spostò in un punto più largo per ballare. Quando la canzone cambiò iniziò a cantare saltando insieme a un ragazzo del suo anno.

 

Ron aveva guardato nella loro direzione da quando era entrato. Ginny aveva fatto amicizia con la Parkinson. Aveva visto la sorella, con un vestito attillato e troppo corto, ballare disinvolta. Era abbastanza sicuro di non averle mai visto addosso quel vestito. Anche gli stivaletti che aveva ai piedi non erano suoi. Sperò che quell’amicizia non la trascinasse nei guai. Non si sapeva mai cosa passava per la testa della Serpeverde.
Aveva controllato per bene anche la Parkinson (doveva farlo per forza) e anche lei aveva un vestito troppo scollato, troppo corto, troppo sottile e troppo tutto.
Poi la vide avvicinarsi a lui. Per un attimo si agitò, ma poi quando era quasi vicino a lui, la ragazza deviò e andò verso il tavolo dove lui aveva preso la burrobirra.
Senza ammettere troppo la delusione, seguì i suoi movimenti.

 

Pansy stava morendo di sete. C’era un caldo pazzesco. Si avvicinò al tavolo dei beveraggi, in un angolo un po’ nascosto ma era pieno di bottiglie di burrobirra vuote, bicchieri riempiti a metà e caraffe rovesciate.. Cercò con lo sguardo lungo tutto il tavolo, ma non trovò niente da bere.
“È finito tutto.”
La mora si voltò verso la voce e vide un ragazzo appoggiato al muro, vicino al tavolo, con in mano una bottiglia piena a metà.
“Weasley. Che ci fai qui?” chiese, prima di voltarsi in cerca di qualcuno che potesse occuparsi del bar. Come vide Mike Derrick, gli fece un cenno con la mano e lui capì. Si voltò di nuovo verso il rosso e gli si avvicinò.
“Pensavo fossi di ronda” disse. Lui bevve un sorso dalla bottiglia e scosse le spalle “Mi sono fatto sostituire” ammise,  Pansy però non lo stava ascoltando. Aveva sete. E lui stava bevendo.
Si voltò verso Mike, ma lui non era ancora tornato.

 

Ron vide il suo sguardo e capì. E fece una cosa nuova per lui: ghignò.
“Vuoi?” chiese muovendo la bottiglia e facendo roteare il liquido al suo interno. “Potrei chiederti 5 galeoni…” disse e lei sorrise divertita.
“Ti giuro che se li avessi qui te li darei!”
Il rosso le allungò la bottiglia e mentre beveva le guardò il vestito, attillato sul seno e troppo corto sulle gambe.
“Dubito che avresti un posto dove metterli. Dove hai la bacchetta?” le chiese, con la stessa preoccupazione di un fidanzato, notò.
Lei finì tutta la burrobirra e sospirò. Si toccò uno stivale sul lato, alzando la gamba e le si scoprì una coscia. Ron sperò che non gli si leggesse in faccia quello che stava pensando. Ma quando alzò lo sguardo su di lei, vide che guardava verso la pista. Spostò lo sguardo verso la pista anche lui e notò sua sorella che ballava vicino a un ragazzo. Non capiva chi fosse perché lui era di schiena.
“È Corner” lo informò lei. Si girò verso la Parkinson.
“Dovrei essere contento?”
“Poteva andare peggio…” Lei alzò le spalle. “Almeno lo conosce già. Sa già con chi ha a che fare”.
In quel momento arrivarono le burrobirre. La Serpeverde ringraziò il ragazzo (lei lo chiamò Mike, ma Ron non lo conosceva) e lui fece anche l’idiota con lei (sempre secondo Ron). Era seccato. E lo era perché era fra le serpi a una festa dove non si stava divertendo solo per controllare che sua sorella non finisse nei guai. Solo per questo era seccato.
La Parkinson gli porse una bottiglia nuova e ne prese una per sé. La fece tintinnare con la sua e bevve ancora. Ron guardò di nuovo verso Ginny. La Serpeverde lo notò e gli disse: “Se continui così, ti odierà. Ti ha già visto?”
La Parkinson si appoggiò al muro accanto a lui e il rosso riuscì a sentire il suo profumo. E non quello delle sigarette, troll!! Pensò.
“Oh, mi odia già. Non te l’ha detto?” Lei sorrise.
“Non oggi.”

 

Era piacevole. Pansy non era sicura di essersi mai sentita come in quel momento. Weasley continuò: “Le ho detto che è stata colpa mia se non l’abbiamo avvisata del cambiamento dell’allenamento di Quidditch. Ora è arrabbiata con me…” Pansy annuì.
“Glielo hai detto o è stata colpa tua davvero?” Il rosso scosse le spalle e alzò la bottiglia.
“Che differenza fa?” Lei alzò lo sguardo. Anche con gli stivali con il tacco, era più bassa di lui. E lui era un fratello maggiore da più tempo di lei. In tutti i sensi. Si sentì piccola.
“Sei stato carino” sussurrò, ma erano così vicini che lui la sentì nonostante la confusione.
“Quei due hanno un sacco di problemi da risolvere, ma non si parlano…” Capendo che si riferiva a Potter gli chiese: “Cosa è successo? Perché si sono lasciati?”
“Non lo so. Nessuno dei due parla con me di questo. Te che sai?”
Lei scosse le spalle e disse: “Lei mi ha solo detto che l’ha lasciata Potter…” Weasley si voltò verso di lei con uno sguardo intenso. Pansy pensò di vedere cose che non c’erano.
“Vorrei che si rimettessero insieme” confessò lui, togliendo lo sguardo. Lei si stupì.
“Non la pensavi così, l’altra volta.”
“Stanno meglio insieme che separati. Harry non è più lui, non dorme decentemente e si guarda intorno con sospetto, neanche Voldemort fosse ancora vivo…”
Lei si irrigidì quando pronunciò quel nome. Le faceva ancora effetto. Soprattutto dopo quello che aveva saputo al processo.

 

Ron si accorse di aver commesso un errore quando lei si irrigidì. Doveva scusarsi? E di cosa? Lui tornò a guardare Ginny. Ora ballava con due ragazzi. Per Godric!

 

Pansy guardò anche lei verso Ginny e sperò che il rosso se ne andasse prima che iniziassero i lenti, altrimenti sarebbe scoppiato un casino.
“Ci manca solo Zabini e sono a posto.”
Weasley sbuffò e la mora prese le difese dell’amico. “Veramente Blaise fa così con Ginny solo per far arrabbiare te. E forse un po’ per far arrabbiare anche lei. È tutta scena…”
“Sì sì, come no. Per fare arrabbiare me”disse ironico. Lei rise.
“Davvero. Non gli interessa tua sorella.”
“Ti piacerebbe. Cos’è sei gelosa del tuo fidanzato?” Pansy lo guardò male.
“Blaise non è il mio fidanzato”, Idiota.
In quel momento arrivarono tre ragazze del quinto anno. Solo una era Serpeverde, le altre due le conosceva solo di vista. Le tre sghignazzarono e dissero qualche carineria (stucchevole e superata, secondo Pansy) verso Weasley.
Ok, poteva andarsene. L’ultima cosa che voleva vedere era il rosso che rimorchiava una ragazzina (o tutte e tre?). Staccò la schiena dal muro e si girò per andarsene, quando lui le prese la mano e la fermò. Lo guardò e lui le disse sottovoce, ignorando le ragazzine: “Scusa”.

 

La Parkinson annuì, ma aveva uno sguardo triste. La musica cambiò e iniziò una canzone lenta. Vide la mora fare una faccia preoccupata e guardare la pista.
Chi cercava? Era preoccupata? Avrebbe… cercato qualcuno con cui ballare? E se lui avesse provato a chiederle…
Una delle tre tipe che aveva davanti gli chiese se volesse ballare. Le altre due sghignazzarono.
La Parkinson riportò lo sguardo su di lui, e gli chiese: “Andiamo a fumare?”, ma poi, senza aspettare la sua risposta, lo trascinò via.

 

Pansy trascinò Weasley fuori dai sotterranei, dentro l’aula di pozioni, la prima che incontrarono. Gli lasciò la mano quando si rese conto che la teneva ancora.
Aveva visto Ginny essere invitata da Corner. Aveva paura davvero che il rosso facesse del casino. E dopo, addio feste.
Però aveva fatto male i conti. Lì sotto, fuori dalla sala comune, c’era freddo. Anche con le lanterne accese. E ne avevano accese solo da un lato. Prese la bacchetta e fece qualche incantesimo, ma senza il camino, quella stanza così grande iniziò a scaldarsi lentamente.
Il suo vestito, fatto per ballare, era leggero, corto e senza maniche. Guardò la porta e valutò le opzioni. Il suo mantello era in camera, da qualche parte. Non si ricordava dove. Niente incantesimo d’appello. Non poteva tornare in sala comune, quindi niente dormitori e niente mantello.

 

Ron si sfilò il maglione e glielo porse.
“Cosa fai?” chiese lei, allarmata.
“Hai la pelle d’oca. E non solo.”
Le strizzò un occhio. Lei fece una faccia strana (Ron immaginò che stesse arrossendo, in quella stanza non si vedeva niente!) mentre si guardava le braccia e poi abbassava lo sguardo verso il corpino attillato del vestito. Doveva aver visto per forza quello che lui aveva notato subito.
La Parkinson si girò di scatto e lui le appoggiò il maglione sulle spalle. Lei lo infilò velocemente e si voltò di nuovo verso di lui.
“Però non ho le sigarette” ammise, passandosi una mano fra i capelli. Se non l’avesse conosciuta bene, avrebbe detto che fosse in imbarazzo.
Ron si appoggiò a uno dei banchi, e tirò fuori il portasigarette.
“Io ne ho dieci” dichiarò, aprendolo e mostrandole l’interno.

 

Pansy sorrise quando riconobbe il regalo e gli andò vicino.
“Le hai ancora tutte?” Guardò la fila delle sigarette. C’erano davvero tutte. Anche la canna che aveva sequestrato a Time, il ragazzino che aveva beccato dietro l’armatura del quinto piano insieme ad altri due.
“Non ne hai fumata nessuna?” chiese ancora, stupita. Lui scosse le spalle.
“E te? Le hai fumate? E dove le hai prese?” chiese invece Ron, consapevole che nessuno spediva sigarette a Hogwarts. Pansy guardò da un’altra parte.
“Le ho rubate in giro” ammise, sottovoce. Weasley rise forte, una risata grossa, bella, contagiosa. Lei riportò lo sguardo verso di lui.
“Scusa, non dovevo. Mi è sfuggito” Lui sembrava sinceramente divertito. La sua risata era così bella che non gli disse niente e scosse le spalle, sorridendo. E gliele indicò una per una, scandendo bene.
“Mia. Draco. Blaise. Daphne. Goldstein. Burrow. Steeval. Bones. MacMilliam. Time. Le conosco tutte, tranne quella di Blaise. È stato già difficile rubarne una e lui non offre mai” dichiarò.
“Hai fumato anche l’ultima?” disse lui incuriosito.
“Certo. Non potevo darti qualcosa che non conoscessi. Ne avevo sequestrate tre. Non ho mai fumato quelle di Blaise, ma lui dice che sono ‘da orgasmo’ e mi fido.”
“Da orgasmo, eh? Proviamo” propose Weasley prendendo la terza e mettendo via il portasigarette.
La mora si sedette sul banco accanto a lui e appoggiò i piedi su una sedia. Tirò fuori la bacchetta dallo stivale e accese la sigaretta quando lui le passò la sigaretta (altro gesto da gentiluomo, due in pochissimo tempo. Oh, i bravi ragazzi che tentazione!). Diede due boccate e gliela allungò. Arancia e cioccolato. Aveva sempre sentito il profumo ora sentiva anche il sapore.
Lui la prese dicendo qualcosa sul fatto che Blaise non voleva mai sudare e quindi probabilmente non sapeva cosa fosse un orgasmo.
Pansy sorrise. Il moro faceva quell’effetto, ma non lo disse ad alta voce.

 

A Ron non era piaciuta particolarmente, ma fumarla insieme alla Parkinson era stato bello. Quando la finirono ebbe paura che fosse finito anche quel momento e parlò un po’ a vanvera, per non andarsene subito. Lei era lì, seduta accanto a lui, con il suo maglione (per fortuna non uno di quelli che confezionava sua madre!) ed era bella. Bella.
Si stupì di aver pensato una cosa del genere. Aveva la pelle dorata e liscia e lui avrebbe voluto poter allungare la mano per sapere se fosse morbida come la immaginav e due occhi grandi e allungati del colore del carbone. In quel momento la penombra le dava un po’ di mistero.
“Lo dirò a Blaise” disse lei a un tratto. Ron si risvegliò dai suoi pensieri.
“Cosa gli dirai?”
“Che le sue sigarette hanno un sapore orribile!” esclamò lei. Il rosso sorrise alla sua smorfia.
“Tua sorella?” domandò quando non seppe più cosa dire e non voleva ancora uscire dall’aula. Per Godric, avrebbe fumato tutte le sigarette pur di non uscire.
“Abbiamo litigato. Noi.. non siamo proprio… sì… insomma… sai, in confidenza…” tentennò lei.
Ron non capiva. Lui con i suoi fratelli litigava sempre e più confidenza di così…
“Dovresti regalarle una puffola pigmea” disse. La prima sciocchezza che gli passò per la testa. Lei rise e lui avrebbe voluto avere un pensatoio solo per rivivere quel momento all’infinito.
“Le è piaciuta, la puffola. Tanto. Era il colore giusto, sei stato bravo” ammise.
Lui annuì. Quando faceva qualcosa, la faceva bene. Dopo dieci minuti, le chiese se volesse fumare un’altra sigaretta.

 

Quando Weasley le propose di fumare la canna di Time, Pansy avrebbe dovuto iniziare a prestare attenzione, ma non lo fece. Avrebbe dovuto capire le sue intenzioni quando l’aveva guardata ancora come l’aveva guardata alla festa. E invece non lo fece. Avrebbe dovuto dire di no, quando l’aveva invitata a ballare e invece non lo fece. Avrebbe dovuto spostarlo delicatamente quando l’aveva abbracciata. E invece non lo fece. Avrebbe dovuto spostarsi da lui mentre si avvicinava e invece non lo fece. Avrebbe dovuto fare qualsiasi cosa tranne ricambiare, quando la baciò. E invece non lo fece.
Resistere alle tentazioni era così difficile.

 

Ron si sentiva al settimo cielo. Era appoggiato contro il muro e la bella mora fra le sue braccia gli accarezzava il collo mentre lo baciava. E lo faceva divinamente. Da almeno dieci minuti. Come se non fosse nata per nient’altro.
Non era sicuro di come muoversi. Avrebbe dovuto osare di più? (o avrebbe pensato che fosse un maiale?) O non avrebbe dovuto fare niente? (ed essere considerato un imbranato?) Non che avesse avuto molte esperienze. A parte qualche rapporto occasionale (tutti protetti, come aveva consigliato Ginny) non sapeva bene cosa fare con una ‘vera’ ragazza. Già baciarla nell’aula di pozioni dopo una festa, non era un granché. Il giorno dopo sarebbero andati a Hogsmeade, avrebbe potuto invitarla a uscire (anche se avrebbe dovuto farlo prima di baciarla), Harry avrebbe capito, se lo avesse fatto.
E invece fece una cosa che garantì l’effetto contrario di quello che voleva. In uno di quei momenti in cui ripresero fiato, lei aprì gli occhi e lui per ingannare l’imbarazzo disse: “Hai avuto un’ottima idea”.
Lei l’aveva guardato stranita “Che idea?”
“Venire qui”disse e allargò le braccia per indicare l’aula.
“Io… non ho avuto nessuna idea…”
“Però mi hai portato qui” Lui cercò ancora di sorridere, per farle capire che era una cosa buona, ma non doveva essergli riuscito bene, a giudicare dalla sua faccia.
“Io… ti portato qui perché volevo farti uscire dalla sala comune. Erano iniziati i lenti e tua sorella era stata invitata da Corner a ballare. Avevo paura che…. facessi un casino e mandassi a monte la festa…” Lei abbassò gli occhi.
Oh. Stupendo. Che idiota davvero. Quindi per questo si era lasciata baciare? Per la festa? E lui che voleva invitarla fuori…

 

Pansy si staccò dal ragazzo e lo guardò in faccia: era deluso. Lei aveva detto una stupidaggine. Aveva detto la verità. Ma poteva non dirla. È che non voleva che pensasse che avesse architettato tutto.
Per questo non bisognava mischiarsi con i bravi ragazzi. Loro non dovevano avere a che fare con persone come lei. Loro dovevano stare con delle brave ragazze. Così non sarebbero stati delusi.
Si tolse il maglione (il suo maglione!) e glielo ridiede. “Scusami” sussurrò, prima di scappare via senza guardarsi indietro.
Mentre usciva dall’aula notò che le sue unghie avevano cambiato colore. Erano rosse, rosso sangue.

 

Ron pensò di fermarla, di chiarire la cosa, ma ci pensò e basta, ma il suo corpo non aveva seguito il cervello (tanto per cambiare). Si mosse tardi e quando raggiunse il corridoio, lei stava entrando nella sala comune. Non voleva tornare dentro. Ma avrebbe voluto seguirla.
Rimase un po’ a guardare la porta. C’era un viavai di ragazzi che entravano e uscivano. Si sarebbero fatti beccare in quella maniera lì. Erano fortunati che nei sotterranei a quell’ora girasse solo Lumacorno e che probabilmente fosse a dormire. Si girò e tornò verso la torre di Grifondoro.

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Capitolo 16
*** Gite, feste e spiegazioni ***


15. gite, feste e spiegazioni
Gite, feste e spiegazioni
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Il giorno dopo una Ginny molto allegra entrò in sala grande, trovando il fratello già in piedi al tavolo della colazione. Lo abbracciò da dietro e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ciao, fratellone” esordì. Ron quasi si strozzò.
“A cosa devo questo affettuoso saluto?” chiese corrugando la fronte.
Lei si sedette vicino a lui e alzò le spalle dicendo: “Mi fa piacere che ieri tu non sia venuto a fare scenate!” Ron si sentì male.
Fece per dire qualcosa e poi lei continuò: “Vuol dire che (finalmente) ti fidi di me. Ho deciso di non essere più arrabbiata con te per via dell’allenamento”.
Merlino. Cosa doveva fare? Sarebbe stato meglio andare al Tiri vispi. Così annuì e non disse niente.
“Cosa fai oggi? Vai da George o a Hogsmeade?” chiese lei, iniziando la colazione.
“Io e Harry andiamo a Hogsmeade” rispose. Ron vide il viso di Ginny incupirsi. “Vuoi venire con noi?”
Lei scosse la testa e ripsose: “Stamattina ho un impegno. Forse ci vediamo dopo, ok?” Ron annuì sapendo che non si sarebbero visti.

 

Ginny, quando ebbe finito di fare colazione, si alzò e si diresse verso il tavolo dei Serpeverde sperando di beccare Pansy o Camille. Doveva assolutamente chiedere per la riunione che si sarebbe tenuta nei sotterranei.

 

Ron guardò da lontano la sorella avvicinarsi alla Parkinson ed ebbe il terrore che lei potesse raccontarle qualcosa (Merlino, qualsiasi cosa!) della sera prima. La mora le sorrise e annuì a qualcosa che sua sorella le aveva chiesto, e poi vide Ginny andare via con Camille.
Ron si alzò sperando di riuscire a parlare alla Serpeverde prima che se ne andasse. C’era un po’ di confusione, infatti quando arrivò sul loro lato, lei era già in piedi circondata da altre ragazze. Si avvicinò un po’ titubante e quando le fu vicino le chiese: “Parkinson, possiamo… parlare?”
Lei si girò nella sua direzione e spalancò gli occhi sorpresa.

 

Weasley era venuto da lei. Nonostante fosse circondata dalle altre, lui era venuto da lei. Il suo petto batteva furioso e avrebbe sorriso come un’idiota se non avesse sentito Millicent dire: “Weasley, che ci fai qui? Non dovresti essere sul campo da Quidditch con tutte quelle troiette che ti girano intorno?” E ridacchiò.
Pansy si voltò verso di lei. Anche le altre ragazze ridacchiavano come stupide. Guardò Daphne che corrugò la fronte, come se non sapesse bene cosa pensare della situazione.
Il rosso sorrise e disse: “Bulstrode, che linguaggio! Pensavo che voi giovani donne Serpeverde foste tutte ragazze raffinate e invece vengo a scoprire che usi queste brutte parole. Non va mica bene, no no…” E ammiccò sorridendo sornione.
Merlino, dove aveva imparato Weasley a farlo in maniera così… così… sexy?
Pansy trattenne il fiato. Non riusciva a smettere di guardarlo. Merlino, Merlino Merlino. Quando le ragazze intorno a Millicent iniziarono a ridacchiare e fare risolini, con una Serpeverde rossa e arrabbiata al centro, la mora disse alle altre: “Scusatemi, arrivo subito”, e trascinò il rosso via da lì.
Camminò finché non incontrò una porta, l’aprì ed entrò. Un’aula. Vuota. Beh, era sabato...
“L’ultima volta che mi hai portato in un aula vuota, mi è piaciuto” disse il ragazzo.
Lei sentì le guance scaldarsi. Sperò che non si notasse, ma lui la stava guardando come se avesse saputo che sarebbe successo e lei si imbarazzò ancora di più.
“Cosa volevi dirmi?” chiese, per togliersi dall’imbarazzo.

 

Cosa volevo farti. Ron non riuscì a fermare quel pensiero. Avrebbe voluto fare due passi e bloccarla contro il banco. Ma si trattenne.
“Io… volevo chiederti di non dire niente a mia sorella. Sì, di… Ieri. Della festa. Lei pensa che io non sia venuto...” Lei lo guardava con quegli occhi da cerbiatta e lui non riusciva a capire bene cosa pensasse. Non riusciva mai a capirle, le ragazze. Questa specialmente. Lei annuì e fece un passo verso la porta. Ah no.
Ron allungò il braccio dicendo: “Mi piacerebbe finire anche il discorso di ieri…” Non si era mai sentito così audace. Ma lei era arrossita e lui si sentiva invincibile. Come se lei potesse volere proprio uno come lui.
La ragazza aprì la bocca per parlare, ma lui la tirò verso di sé e la baciò. E ancora. E poi ancora.

 

Pansy avrebbe voluto lasciarsi andare, davvero. Se lui fosse stato un altro lo avrebbe fatto. Se di lui non le fosse interessato niente, avrebbe fatto anche di più. Ma mentre lui la baciava (e lo faceva così bene….) le venne in mente ancora lo sguardo che aveva avuto la sera prima nell’aula di pozioni. Quello sguardo ferito, deluso. E lo aveva procurato lei. Lui era una persona buona e lei avrebbe finito col distruggerlo. E sarebbe morta piuttosto che distruggere qualcuno. Soprattutto qualcuno come Weasley.
Gentilmente si spostò da lui. Il rosso non fece obiezioni. Già, appunto. Lui la guardava ancora in quella maniera.
“Tu sei un bravo ragazzo, davvero. Ma noi siamo troppo diversi” spiegò, prima di scappare via. Di nuovo.

***

 -

Pansy arrivò all’ingresso dei sotterranei un po’ trafelata. Si sistemò e quando entrò vide Ginny Weasley e Camille che l’aspettavano. La Grifondoro alzò un sopracciglio sorridendo quando la vide, mentre Camille era un po’ assorta.
“È meglio se ti sistemi il rossetto, prima di andare alla riunione” le  sussurrò la rossa.
Pansy spalancò gli occhi. Non ci aveva pensato. Mentre faceva cenno alle due di seguirla, si tolse il rossetto con un fazzoletto. Avrebbe cancellato tutto. Subito, pensò tristemente.
Arrivarono nella sala dove tenevano tutti gli anni la riunione per le ragazze e vide che era già piena, come sempre. Tenne aperta la porta per far passare Camille e Ginny e si chiese per un attimo se aver portato la piccola Weasley avrebbe fatto scoppiare del malumore. Scosse le spalle. Lei aveva avuto l’idea delle riunioni, lei invitava chi voleva. E chiunque avesse detto una parola, l’avrebbe stesa. Aveva appena liquidato il miglior ragazzo che le era mai capitato, l’unico che aveva risvegliato in lei un certo interesse, quindi si sentiva cattiva. Cattiva come ai tempi d’oro.
Quando una ragazza guardò Ginny sedersi fra di loro e alzò lo sguardo verso Millicent che era su un piccolo palco e la sentì dire a mezza voce qualcosa tipo: “Ci stanno circondando”, Pansy salì anche lei sul palco e disse ad alta voce (e la sua voce si sentì fino in fondo senza bisogno di un Sonorus): “La Weasley è con me. Se a qualcuno non stesse bene, me lo dica subito”.
Si girò verso la platea e fulminò con lo sguardo tutte le ragazze, poi si girò verso le due ragazze con lei sul palco. Il suo sguardo diceva tutto. Daphne annuì. Dopo aver visto Daphne, anche Millicent annuì. Nessuno fiatò.

 

Ginny fu ipnotizzata dalla Parkinson. Aveva fatto quell’entrata così… così spettacolare e aveva preso le sue difese quando la ragazza di fianco a lei l’aveva guardata con sufficienza.
Si era guardata intorno e aveva visto la sorella della Greengrass, Astoria, girarsi verso di loro e salutare lei e Camille. La stanza era piena di ragazze, nonostante fosse il weekend di Hogsmeade, constatò.

***

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La riunione era stata interessante. Le ragazze sul palco avevano spiegato tutto. Avevano spiegato come si facesse l’incantesimo Condom (che Millicent commentò con ‘Nel caso il vostro ragazzo non sappia farlo’ e una smorfia in viso), come si riconosceva se era stato fatto bene (non lo sapeva! Pensandoci, Harry l’aveva fatto giusto tutte le volte), come si prende una pozione antigravidanza (alcune ragazze la prendevano e spiegarono anche loro alcuni dettagli).
Poi spiegarono come si faceva l’incantesimo Quaestiognatio e la Greengrass lo fece vedere sia sulla Bulstrode che sulla Parkinson. Ginny notò che la mora non aveva guardato il filo di luce, ma aveva fissato lo sguardo da un’altra parte mentre la bionda eseguiva l’incantesimo. Le ragazze avevano anche spiegato com’era il risultato quando era positivo. Poi avevano insistito sul fatto di non lasciarsi mai convincere a fare qualcosa che non si vuole. Che non era importante solo la prima volta, ma tutte. E che, se succedeva che un ragazzo riuscisse a fare qualcosa che non si volesse, dovevano comunicarlo subito ai prefetti.
Ginny pensava che tutte le ragazze lì dentro avessero già fatto l’esperienza che lei aveva fatto solo l’estate prima, però effettivamente non si poteva dire. Spiegarono come riconoscere la polvere di oppio e come spesso venisse usata come sedativo e, anche se un po’ vagamente, spiegarono anche il sapore che avesse. Avevano risposto a un sacco di domande e quando una ragazza disse di venire infastidita ripetutamente da un ragazzo del quinto anno, Pansy le disse di andare da lei al termine della riunione.
Quando tutto fu finito mentre Ginny e Camille si incamminarono verso l’uscita, sentirono alcune Serpeverde chiacchierare delle loro esperienze e Camille disse a Ginny: “Capirai, io l’ho fatto una volta sola e guarda come sono finita. Non lo farò mai più!”
Ginny alzò le spalle replicando: “Io l’ho fatto solo con un ragazzo e non voglio farlo con nessun’altro”. La mora arrivò in quel momento e, avendo sentito parlare Ginny, confidò: “Io invece non lo faccio da tantissimo tempo e la prossima volta che lo farò sarà con un tipo che mi desidera così tanto da non riuscire a togliermi gli occhi di dosso. E anche le mani!”
Ginny, che sapeva i precedenti della mora, scherzò: “Allora questa volta puoi scrivere tu a William”. La Parkinson rise.

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***

 -

Hermione era indecisa su cosa fare. Voleva andare a Hogsmeade, ma non aveva chiesto a nessuno di andarci con lei. Non lo aveva chiesto a Draco, perché era presto. Oh, per lui non ci sarebbero stati problemi. Ma Hermione voleva dirlo lei per prima ai suoi amici. E ancora non l’aveva fatto. Girò un po’ nella sala d’ingresso finché non passarono anche Neville e Luna.
“Ragazzi! Andate a Hogsmeade?” Era brutto dire che voleva andare anche lei, ma non voleva neanche rimanere al castello da sola. Ginny era sparita e non vedeva in giro neanche Ron o Harry. Luna annuì, le chiese se volesse andare con loro e Hermione si aggregò volentieri. Finché non le venne un dubbio: “Non è che disturbo? Voi volevate andarci da soli?”
Luna rise e disse: “No no, anzi. Neville vorrebbe andarci con una ragazza, ma non ha ancora avuto il coraggio di invitarla. Così stavamo andando insieme io e lui”.
Hermione sorrise al compagno di casa. “Neville! Ma che bello! Chi è?” Neville, rosso in viso e un po’ imbarazzato, borbottò qualcosa. Il caro vecchio Neville esisteva ancora.
La Grifondoro prese a braccetto tutti e due e si incamminò con loro. Passeggiarono per High street, visitarono tutti i negozi e comprarono dolci da Mielandia. Quando finirono il giro, andarono ai Tre manici di scopa e si sedettero a un tavolo, scaldandosi un po’. Dopo poco entrarono nel locale anche Harry e Ron e i tre fecero loro segno di sedersi insieme. I due si avvicinarono.
Harry andò al bancone a ordinare e Ron si sedette vicino a Luna. Quando Harry tornò, si strinsero ancora per fargli posto. Il sopravvissuto allungò una burrobirra a Ron.
Chiacchierarono per un po’ e poi dalla porta entrarono anche Zabini e Malfoy. Neville si fece un po’ rigido e Hermione cercò di non farsi sorprendere a guardare Draco. Non sapeva come l’avrebbero presa, se avessero scoperto di lei e il Serpeverde, dopo tutto quello che era successo.
Hermione osservò i suoi amici: Harry aveva una brutta faccia (ma ce l’aveva da quando aveva lasciato Ginny quindi non ci fece troppo caso) e Ron sembrava molto pensieroso.
Hermione era tranquilla, finché non vide i due Serpeverde avvicinarsi al loro tavolo. “Buongiorno grifoni. Lovegood” disse Draco con gentilezza e cortesia. Zabini sghignazzò. Quando il moro vide Ron, gli chiese dove fosse sua sorella, ma Ron non gli prestò attenzione; disse qualcosa in risposta, ma senza crederci troppo.
I due si allontanarono dopo poche frasi. Hermione sperò che gli altri non si accorgessero di niente. Di come si sentiva in quel momento o dello sguardo del Serpeverde. Controllò Luna, che era la più imprevedibile, ma lei sorrideva in un mondo tutto suo.
“Ron, com’è che non hai risposto alla provocazione di Zabini?” gli chiese Harry che era sorpreso, ma anche abbastanza nervoso.
Il rosso li guardò tutti, come se fosse entrato in quel momento nel locale: “Come?”
Hermione intervenne: “Ci chiedevamo perché non sei esploso come al solito al commento di Zabini…” Ron scrollò le spalle dicendo: “Oh. È un troll” E lasciò finire lì la frase.
Gli altri si guardarono un po’ straniti. Quello non era mica Ron. Hermione si rivolse a Harry: “Sicuro che non sia un altro sotto pozione polisucco?”

 

Harry sorrise. “È con me da più di un’ora e non ha ancora bevuto niente, neanche la burrobirra” rispose, indicando il bicchiere di Ron e bevve un sorso della sua. Avrebbe voluto sapere dov’era Ginny, però. Nessuno ne aveva ancora parlato.
“Dov’è tua sorella, a proposito?” buttò lì, verso Ron. Lui alzò ancora le spalle e disse che aveva un impegno. Harry aspettò, ma l’amico non chiarì.
Sbuffò e guardò Hermione, ma scosse le spalle anche lei. Neville guardava un tavolo in fondo al locale, dove erano sedute delle ragazze di Tassorosso e Luna invece gli sorrideva. E quando la guardò, lei disse: “Ginny è andata nei sotterranei, dai Serpeverde”.
Senza volerlo Harry si girò verso il tavolo dove erano seduti Malfoy e Zabini. E notò che Malfoy tolse subito lo sguardo da loro. Ma Luna continuò: “E non è andata lì per un ragazzo. Stai tranquillo, Harry”. Lui la guardò. Di solito Luna diceva la verità. Ma anche se avesse voluto chiederle cosa c’era andata a fare, non lo chiese. Poi Ron stupì tutti.

 

“Cosa vuol dire quando una ragazza dice che sei un ‘bravo ragazzo’?” chiese il rosso, mimando con le mani le virgolette, per far capire bene agli altri.
“Che non vuole stare con te!” Neville aveva parlato pochissimo, come al solito, e Ron avrebbe preferito che stesse zitto un altro po’.
“No, quello è quando ti dicono siamo solo amici, o no?” chiese Harry a nessuno in particolare. Ma siccomen non se ne intendeva tanto chiese, direttamente a Ron: “Cosa ti ha detto di preciso?”
Ron divenne rosso sulle orecchie quando chiese: “A me?” Hermione rise e gli disse: “Sì, immaginiamo che sia successo a te, o no? Non sei tu il bravo ragazzo?”
Il rosso annuì e spiegò: “Ha detto che siamo troppo diversi. Cosa vuol dire?” Ci fu un momento in cui nessuno parlò e lui li guardò tutti.
“Io non le piaccio?” chiese in un sussurro.

 

Gli occhi di Ron erano confusi e lui era molto tenero nella sua insicurezza, notò Hermione. Chissà chi era la ragazza. Doveva piacergli tanto per impensierirlo così. Così gli posò una mano sulla sua, per tranquillizzarlo.
“Io penso che lei abbia paura” disse Luna, prendendo la parola. Non si sapeva mai cosa potesse dire, Luna, poteva essere qualcosa di imbarazzante o qualcosa di altamente sconveniente.
Ron chiese ironico: “Paura di me?” Tutti si girarono verso la Corvonero. Luna scosse la testa in maniera impercettibile.
“Ci sono persone che si credono delle brutte persone, per qualcosa che hanno fatto o che hanno vissuto. Si credono inferiori agli altri e hanno paura di rovinare le cose. Hanno paura di non meritarsi la felicità” disse, guardando e poi continuò: “Fanno dei gran casini perché combattono dentro di loro e le altre persone fanno fatica a capire quello che provano. Ma non sono veramente persone cattive, perché le persone cattive, e lo sappiamo bene, non pensano di essere cattive e non si fanno tutti questi problemi”.

 

A Hermione sembrò di riconoscere Draco in quella descrizione, così guardò nella sua direzione e scoprì che lui la stava guardando. Gli sorrise. Gli avrebbe mandato un bacio se non ci fossero stati gli altri. Oh, Godric, sarebbe seduta con lui se non ci fossero stati gli altri. Doveva dirlo a loro al più presto.

***

 -

Tornarono nel tardo pomeriggio verso il castello. Erano ancora tutti in gruppo. Sulla strada che li avrebbe portati a Hogwarts, videro Ginny, la Parkinson e Camille che camminavano poco più avanti. Ma le ragazze non si accorsero di loro.
Harry sorrise. Ginny non si era vista con un ragazzo.
“Sei contento, Harry?” gli chiese Hermione, notando il suo sorriso. “Sì” rispose, ma da bravo orgoglioso Grifondoro non ammise che era per quello che intendeva l’amica.
“Sono contento che Ginny abbia fatto amicizia con la Parkinson” disse, ad alta voce. Gli altri tre si voltarono verso di lui.
“Davvero?”
“Perché?”
Luna non disse niente.
Harry alzò le spalle. “Mi sembra in gamba. Ginny è in buona compagnia” disse. Ron si voltò verso di lui fermandolo. Gli altri avevano continuato a camminare.“
“Non ti piacerà mica la Parkinson?” gli chiese. Harry lo guardò e disse l’unica cosa più vera di tutte: “A me piace Ginny”.
“Però l’hai lasciata tu” disse Ron e Harry annuì.
“Perché l’hai lasciata?”
“Non sono fatti tuoi.”
“È mia sorella!” esclamò il rosso.
“È la mia ragazza” dichiarò Harry.
“No, ti sbagli, non lo è più. E ieri ballava con Corner.”
Ron si girò e raggiunse gli altri. Harry si incamminò lentamente. Perfetto, ci mancava solo che litigasse con Ron.

***

 -

La festa dai Corvonero era noiosa. Non le piaceva la musica, non le piaceva la gente. Non le piaceva niente.
Ok, forse era Ginny che non voleva esserci. La festa non aveva niente che non andasse. La Parkinson aveva la ronda e lei si era ritrovata da sola.
Luna si avvicinò a una Ginny pensierosa, seduta su uno stretto tavolo appoggiato al muro, e le chiese: “Tutto bene?” Ginny sorrise all’amica e annuì.
“Non dovresti correre troppo in fretta, lo sai vero?” disse la Corvonero. La rossa guardò stranita l’amica. Correre? Che intendeva?
“Non correrò” disse, senza aver capito appieno ciò che intendesse la bionda.
Ma Luna, che era avanti anni luce a tutti loro, le disse: “Non devi cercarti un altro ragazzo. Si vede che non vuoi”. Ginny spostò lo sguardo da un’altra parte. Dannato intuito di Luna.
“Cosa faccio, allora? Dimmi!”
“Divertiti!” esclamò andando a ballare, in quel suo modo scoordinato e fuori ritmo con la musica che c’era in quel momento e senza invitarla a seguirla. Ginny sospirò e guardò verso la pista.
Un ragazzo le si affiancò e le disse: “Piccola Weasley”.
Lei alzò lo sguardo. Malfoy. Sbuffò.
Graaaande Maaaalfoy” disse con suspance allargando le dita delle mani mentre apriva le braccia. Lui sorrise.
“Dov’è Hermione?” gli chiese.
“Ronda” Lei fece una smorfia.
“E tu?” gli chiese ancora.
“Io l’aspetto” disse.
Ginny si era sempre chiesta come funzionava quella cosa delle ronde quando c’erano le feste. I prefetti chiudevano un occhio? O come? Avrebbe dovuto chiederlo a Hermione o a Pansy. O a Malfoy.
Stava per aprire bocca quando lui disse: “E tu che ci fai qui?” Lei alzò le spalle.
“Me lo sto chiedendo anch’io…” La rossa vide Zabini venire nella loro direzione, mentre Malfoy guardava da un’altra parte.
“Stai attenta che ho visto brutta gente” disse lui, guardando un punto preciso, ma Ginny non riusciva a vedere cosa stesse guardando, così lo guardò alzando un sopracciglio e disse: “Sì, mamma!”
Lui divenne serio. “Davvero. Stai. Attenta” disse ancora prima di andarsene.

 

Nott guardava la piccola Weasley. Si era fatta molto carina, ma anche molto sfacciata. Avrebbe voluto darle una bella punizione, quella sera, nel suo letto. Era venuta alla festa dei Serpeverde ma quando lui ci aveva provato, lei gli aveva dato picche. Girava voce che non avesse ancora scordato Potter. Piccola smorfiosa.
Versò un bicchiere di acquaviola e ci versò dentro un liquido verde. Vide Corner avvicinarsi al tavolo. Anche lui ci aveva provato con la rossa, venerdì.
“Corner, puoi portare quest’acquaviola alla Weasley?” il ragazzo, che doveva aver già bevuto qualcosa di suo, lo prese senza fare domande e si incamminò verso la Weasley.
Nott sorrise. Se non fosse stato lui, quella sera, sarebbe stato Corner. E il giorno dopo, lei si sarebbe svegliata accanto a uno che non fosse Potter. Ghignò. Piccola stronza.
Si girò e andò a cercare la ragazza che aveva rimorchiato il venerdì precedente. Non era una gran bellezza, ma almeno non si era rifiutata di fare niente.

 

Ginny vide arrivare Michael con in mano un bicchiere. “Tieni, bellezza” Era un po’ su di giri.
“Cos’è?” gli chiese.
“Acquaviola” rispose lui, ballando sul posto.
Ginny lo prese ma le sembrò che avesse un colore strano. Ne bevve un sorso piccolissimo. Non somigliava al sapore della polvere di oppio, per fortuna. Però non somigliava tanto neanche all’acquaviola. Lo ridiede al Corvonero.
“Grazie” gli disse. Lui, che stava ballando un po’ esageratamente, lo prese e lo bevve tutto. Ok, forse si era sbagliata. La riunione di sabato le aveva fatto dubitare di tutti. Michael era molto carico (Ginny pensò che avesse bevuto un po’), e quando, dopo mezz’ora le saltò addosso, lei gridò.
“Oh, scusami. Io non so… Non lo faccio più” si scusò lui. La rossa volle credergli e continuò a stargli vicino, ma rimase sospettosa.

 

Poco più in la, Draco, aveva visto la scena. Il ragazzo era palesemente ubriaco o qualcosa di peggio, così tirò fuori la bacchetta e fece un’altra cosa su cui non avrebbe mai scommesso: scrisse a Potter.

Vieni subito in sala comune Corvonero.

La Weasley potrebbe finire male.

Draco Malfoy

Quando Harry ricevette il gufo di carta, era in sala comune dei Grifondoro a leggere un libro di cui non gli interessava niente. Aspettava che Ron tornasse dalla ronda per parlare con lui. Era una settimana che non si parlavano. Ma appena lesse il gufo, decise che avrebbe parlato con Ron la mattina dopo.
Perché Malfoy gli aveva scritto? Perché non si stava occupando lui di Ginny? Ma voleva veramente saperlo? Corse in camera a prendere il mantello dell’Invisibilità. Per fortuna non c’era nessuno. Così, aprì il baule di Ron e guardò la mappa del Malandrino. Giusto per assicurarsi che non fosse una trappola. Malfoy era sul confine della sala comune dei Corvonero. Dentro la sala comune (di dimensioni più grandi del solito, notò Harry) c’erano un sacco di puntini. Cercò velocemente Ginny e vide il suo puntino vicino a quello di Corner. Merlino! Allora Ron non lo aveva detto solo per farlo arrabbiare.
Corse per il corridoio, nascosto dal mantello. La torre dei Corvonero era proprio dall’altra parte del castello. Incontrò due prefetti che facevano la ronda. Per fortuna non erano né Ron né Hermione.
Quando arrivò davanti alla porta senza maniglia dei Corvonero, vide Malfoy che stava in mezzo per non far chiudere la porta. Si tolse il mantello prima di avvicinarsi. “Ce ne hai messo di tempo!” lo salutò Malfoy
“Che fai lì in mezzo?” gli chiese e il biondo sbuffò.
“Cerco di non far chiudere la porta. Quei cavolo di indovinelli sono tremendi!” Harry annuì.
“Che è successo?” chiese mentre si facevano largo tra le persone.
“Penso che qualcuno abbia dato qualcosa di forte a Corner e che prima di sera salti addosso alla Weasley. Non so se hanno dato qualcosa anche a lei, ma non lo escluderei…” Harry dovette trattenersi per non correre.
“E perché hai chiamato me?” gli chiese, senza riuscire a stare zitto. Malfoy si fermò, si voltò e lo guardò stranito.
“Volevi che la lasciassi a Corner?” Harry scosse una mano e poco dopo trovarono Ginny. Malfoy si dileguò, restando in disparte, ma controllando la situazione. Harry prese per mano la rossa e la tirò verso di sé.
“Harry!” esclamò lei, quando lo vide.. Harry era sereno.
“Vieni, andiamo via” le disse. Lei non oppose resistenza: forse non era tutto perduto.

 

Appena fuori dalla sala comune, Harry buttò il mantello su tutti e due. Lui le accarezzò una guancia.
“Stai bene?” le chiese e la rossa annuì.
“Ti hanno dato qualcosa?” domandò ancora. Lei stava per rispondere di no quando disse: “Michael mi ha portato un bicchiere strano, ma non l’ho bevuto. Lui l’ha bevuto, ma mi sa che non sapesse che c’era dentro qualcosa…”

 

Harry annuì. Come aveva detto Malfoy. Sperò che si occupasse lui di Corner e mentalmente lo ringraziò. Ma lo avrebbe ringraziato davvero comunque. Il sopravvissuto abbracciò la rossa. Se la strinse addosso e rimase così un sacco di tempo. Ginny, ancora, non oppose resistenza. Aveva desiderato quell’abbraccio morbosamente. Quando lui si staccò lei disse: “Oh, Harry mi sei mancato così tanto!” Harry non resistette più, le prese il mento e la baciò.

 

Oh, per tutti gli antenati di Godric e Salazar!!! Ginny quasi piangeva. Non riusciva a crederci. Harry era lì con lei e la stava baciando. Non le interessava quello che era successo prima, solo quello che stava succedendo in quel momento.
“Andiamo nella torre dalla Cooman?” propose e Harry rise.
“Vuoi ubriacarti?” le chiese e lei sbuffò divertita (niente avrebbe potuto metterla di cattivo umore).
“Andiamo” disse Harry e la trascinò velocemente, incurante del mantello che svolazzava e avrebbe consentito a chiunque di vederli.
Ma tanto non incontrarono nessuno. Ogni tanto si fermavano per baciarsi lungo il cammino e, man mano che si avvicinavano alla torre di divinazione i loro baci si facevano sempre più profondi e anche le loro carezze.
Quando entrarono dalla botola, riuscirono a malapena ad accendere il fuoco prima di buttarsi una fra le braccia dell’altro.

 

Se Harry avesse potuto vedere la mappa del malandrino mentre loro correvano verso l’aula, avrebbe notato la differenza fra il loro percorso e quello che avevano fatto Ginny e Malfoy per la stanza delle necessità, quella famosa notte, e non avrebbe fatto tutta quella confusione.

***

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Ginny si coprì con una coperta, mentre Harry l’abbracciava da dietro. Avevano fatto l’amore. Non riusciva a crederci. Il suo smalto era diventato rosso, rosso intenso. Doveva essere il colore di Harry. Il suo Harry. Erano tornati insieme? Non riusciva a smettere di pensarlo e non voleva rovinare il momento, chiedendolo. Ma lo fece.
“Hai usato precauzioni con le altre?” gli chiese.
Era una domanda bruttissima da fare subito dopo l’amore, Ginny lo sapeva bene, ma il tarlo della gelosia la stava rosicchiando dentro come un doxy affamato. Con quante ragazze era stato? E ora? Sarebbe rimasto con lei? Harry, che era senza occhiali, la guardò stranito.
“Io… io non l’ho fatto con nessuna” balbettò il ragazzo.
Se da un lato il cuore di Ginny esplose, il suo cervello decise di metterci lo zampino. “Ma scusa… avevi parlato di fare ‘nuove esperienze’…”
Possibile che non avesse trovato nessuna? C’erano un sacco di ragazzine in giro e se c’era riuscito Ron ad averne a dozzine, non sarebbe stato difficile per Harry (che era anche molto più carino. E buono. E gentile. Sì, sì, ok).
Harry si voltò sulla schiena e sussurrò: “Io parlavo di te”, Ginny si girò verso di lui, incredula.
“Di me?” ora era confusa.
“Sì, io ti ho vista con Malfoy quella notte e…” Ginny si tirò a sedere alle parole del ragazzo. “Aspetta, aspetta, aspetta. Tu hai fatto cosa?”

 

Dal suo tono, Harry capì che si stava scaldando. Si mise seduto anche lui.
“Vi ho visti nella mappa del malandrino. Pensavo… Vi ho visti andare nella stanza delle necessità, vi ho seguito…” Mentre lo raccontava, Harry si rese conto di non fare una gran figura.
“La mappa del malandrino? Ma non era andata persa?” chiese Ginny.
“L’ha ritrovata Ron” rispose lui.
“Oh. E tu hai visto me e Malfoy sulla mappa? Ma… mi spiavi?” domandò, incredula.
“No, no. Non ti spiavo. Ti ho visto per caso nei sotterranei. Poi è uscito Malfoy e…” Harry non riuscì a continuare.
“E….?” chiese Ginny con un filo di voce.
“ Siete rimasti vicini per un sacco di tempo. Pensavo vi steste baciando e quando ho visto che andavate nella stanza delle necessità, vi ho seguito. Vi ho visto entrare, ma non sono riuscito a raggiungervi…” ammise Harry.
Lei annuì e concluse: “E il giorno dopo mi hai lasciato”. Lui non disse niente. Ginny si alzò.
“Dove vai?” Harry era spaventato.
“Torno in dormitorio” rispose e iniziò a vestirsi continuando a parlare: “Tu mi hai evitato, Harry. Io ho dovuto fermarti per chiederti spiegazioni. E hai dato per scontato che ti avessi tradito. Con Malfoy!”
La sua faccia diceva tutto quello che pensava. “A questo punto vorrei dirti di averlo fatto. Davvero. Ma non è così. Io non ti ho mai tradito, né ho mai dubitato di te” sussurrò concludendo. Si era rimessa il maglione e i pantaloni.
“Aspetta!” Harry cercò di fermarla.
“No” ribadì Ginny. Si mise anche le scarpe, mentre Harry era ancora nudo e non si ricordava dove erano finiti i suoi occhiali.
“E allora perché sei andata nella stanza delle necessità con Malfoy se non mi hai tradito?”

 

 

Ginny si fermò e lo guardò. Poi si ricordò che sulla mappa non si vedeva la stanza delle necessità, quindi Harry non poteva sapere che dentro c’era Hermione. E Hermione aveva chiesto di non dire niente a Ron e Harry.
“Avresti dovuto chiedermelo prima di lasciarmi!” E detto questo, uscì dalla botola.

 

Merlino! Lei era sparita più veloce di una smaterializzazione. E lui non aveva ancora trovato gli occhiali!

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Capitolo 17
*** Partite e scommesse ***


partite e scommesse

Partite e scommesse

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La mattina dopo, Ginny camminava verso la sala Grande per la colazione, quando incontrò due ragazzine che l’aspettavano. Era un po’ spazientita e, invece di schivarle, aspettò che le fossero vicino e disse loro: “Se dovete chiedermi di Harry, potete sparire”.
Le due ragazzine sgranarono gli occhi e una scosse la testa dicendo:  “No, no. Scusa. Volevamo sapere se è giusto l’orario della partita di oggi”.
La partita! Grifondoro-Tassorosso si sarebbe svolta quel giorno. Merlino, con quello che era successo, se l’era proprio scordato. Come era possibile? Si scusò con loro e confermò l’orario. Sempre che i troll dei suoi compagni di squadra non l’avessero sostituita e giocassero a un altro orario... sbuffò nervosa.
Quando arrivò al tavolo della colazione, vide Ron, Harry e Hermione. Quando Harry si accorse di lei, si alzò per andarle incontro.
“Ginny, vorrei spiegarti…” Lei gli mise una mano sul petto e disse: “Oggi non ci spiegheremo proprio niente. Si gioca?” Harry annuì e si risedette vicino a Ron, guardandola andare via.
“Che è successo?” gli chiese il rosso.
“Ho fatto un casino” disse sottovoce, solo per Ron, che sorrise.
“L’hai fatta arrabbiare, eh?” lo prese in giro
“Già. Sono un troll…” rispose Harry.

 

Ron rise forte. Almeno era meglio di quando si ignoravano. Si sentì in tutta la sala. Dal tavolo dei Serpeverde si voltò un po’ di gente, ma Ron vide solo la Parkinson. La salutò e lei sorrise per rispondere al saluto.

 

Hermione invece vide solo Malfoy. Non si salutarono, ma lo sguardo che si scambiarono fu sufficiente per giorni e giorni di saluti.
Mentre guardava ancora verso il tavolo verdeargento, Ginny le si piazzò davanti e le disse: “Oggi devi venire a vederci”.
Non era proprio un ordine, ma lo sembrava. La riccia sorrise e le rispose: “Va bene, ci sarò”.
Sapeva che i suoi amici ci tenevano e quella era la loro prima partita di campionato. “Porta il furetto e obbligalo a tifare per noi. Me lo deve!” Hermione fece una faccia sorpresa.
“Perché te lo deve?” La rossa se ne stava andando e, camminando all’indietro,  gridò: “Perché mi chiama ancora piccola Weasley!!”

 

Pansy stava scrivendo una pergamena come al solito. Ginny le andò vicino e le chiese: “Vieni a vederci?” La mora la guardò confusa.
“Dai, la partita di Quidditch contro Tassorosso!” esclamò ancora. La Serpeverde fece una smorfia e disse: “Quidditch? No, grazie, ne ho subìto abbastanza con Draco”.
Ginny sbuffò, ma non si mosse. Pansy sorrise e cedette. “Ok. A che ora c’è?” La Grifondoro glielo disse e l’abbracciò.
“Grazie” le disse la rossa.
“Non ti prometto niente. Devo comunque finire di scrivere prima…” Ginny fece qualche passo indietro per incamminarsi in un’altra direzione e fece un ghigno.
“Dai scrivi a William domani!” gridò la rossa, ridendo.
“Chi è William?” La ragazza si girò verso i due ragazzi che le erano arrivati vicino, salutò con un cenno la Serpeverde e continuò a camminare.
“William è il fidanzato della Parkinson”, buttò lì Ginny sottovoce, guardando Harry torva.
Ron, che era vicino a Harry, esclamò: “Fidanzato?”, ma nessuno badò a lui, mentre Harry cercava ancora di avvicinare Ginny e lei si allontanava sbuffando.

 

***

 

La partita era particolarmente intensa e interessante, dovette ammettere Hermione. Ginny era particolarmente agguerrita e ogni volta che lanciava la pluffa, segnava.
Dopo il decimo tiro, iniziò a prestare più attenzione. Alla sua destra c’era Malfoy che cercava di spiegare alle ragazze alcune regole, che secondo lui avrebbero già dovuto sapere e alcuni trucchi che la squadra Grifondoro stava eseguendo. LE ragazze, già, perché alla sua sinistra, c’era la Parkinson.
Hermione non sapeva bene come fosse successo, ma quando lei e Draco si erano trovati allo stadio di Quidditch, l’avevano vista e lui le aveva chiesto se poteva sedersi con loro. Lei lo aveva guardato strano, ma Draco aveva strizzato un occhio e le aveva promesso che non se ne sarebbe pentita. E così era stato.
Scoprì con un po’ di invidia, che la Parkinson sapeva di loro di due. Invidia perché lei era contenta per loro. Quindi Draco era riuscito a dirlo a una delle sue migliori amiche e lei no.
Si era sentita così… in difetto, ma poi la Parkinson le aveva confidato che lui non le aveva detto niente, ma che lei aveva intuito. Già. Anche Ginny aveva capito senza spiegare niente… Erano i maschi il problema. Guardò verso Harry, che cercava il boccino, e Ron che aveva una carica addosso tremenda. Le poche volte che la pluffa capitava in mano avversaria non riusciva a passare dai pali Grifondoro neanche a incantarla.
Non sapeva cosa fosse successo, ma stavano vincendo alla grande e notò che la Parkinson sobbalzava tutte le volte che uno dei cacciatori tirava verso i pali di Ron e tratteneva il respiro quando i battitori lanciavano dei bolidi in quella zona del campo. Non esultava quando Ron parava, come invece faceva il gruppetto più a destra e verso cui Ron esultava facendo acrobazie con la scopa, ma sorrideva quando succedeva: era una cosa strana.
Hermione guardò ancora Ron mentre parava e faceva il buffone. Purtroppo gli riusciva molto bene, notò sbuffando. Non capiva cosa stesse succedendo, ma un Ron così stupido non l’aveva visto neanche quando stava con Lavanda.

 

Alla fine Harry riuscì a prendere il boccino e la partita venne dichiarata vinta dai Grifondoro.
Harry atterrò vicino a Truman, l’altro capitano, e si salutarono stringendosi la mano. Tutta la squadra si salutò e Harry notò che il portiere dei Tassorosso, quando strinse la mano a Ginny la tenne un po’ di più e si avvicinò per dirle qualcosa all’orecchio. Lei rise.
Harry si pietrificò. Ron atterrò accanto a lui e gli disse: “Gran bella partita!”, dandogli  una sonora pacca sulla spalla.
“Non so cosa hai fatto a Ginny, ma se riesci, fallo anche per la prossima partita!” esclamò il rosso, contento.
Harry storse la bocca. Già gran bella partita.

 

***

 

Draco stava baciando Hermione sul tavolo rotondo nella stanza delle necessità.
“Dai, Draco, basta. Potrebbe arrivare Ginny…” gli disse Hermione, ma lo sguardo che aveva era pericoloso e chiedeva profondamente il contrario. Il Serpeverde decise di accontentare le sue parole. Adorava come diceva il suo nome. O quando lo sussurrava mentre facevano l’amore.
“Ok. Però bastava dirle di non venire, no? Avrebbe capito”, le disse lui. Hermione fece una faccia scandalizzata ed esclamò: “Ma non si fa!” Draco rise.
Ultimamente rideva. Più che in tutta la sua vita. Era preoccupante. Poteva finire da un momento all’altro e non avrebbe più avuto niente da ridere.
Avrebbe potuto risvegliarsi da questo sogno e scoprire che in verità era ancora tutto come due anni prima: una missione impossibile che sapeva di non poter compiere, un marchio non voluto che distruggeva la sua mente e una pressione sulla schiena da parte di suo padre. O forse peggio.
Avrebbe potuto svegliarsi in un mondo dove Voldemort fosse sopravvissuto e Potter sconfitto. Un brivido gli corse lungo la schiena. Hermione se ne accorse e gli tornò vicino. Gli appoggiò una mano sulla spalla e gli chiese: “Tutto ok?” Lui annuì.

 

Quando Ginny entrò nella stanza delle necessità, loro erano seduti vicino sul divano. Lei entrò arrabbiata per aver avuto l’ennesima discussione con Harry: dopo una settimana, litigavano ancora. E quel giorno aveva esagerato. Aveva persino dichiarato che non gli interessava cosa aveva fatto con Malfoy nella stanza delle necessità. Che ipocrita!
Appoggiò i libri sul tavolo e appoggiò anche la borsa di fianco. Avevano un sacco di compiti. “Ehi, buongiorno” disse Hermione mentre Ginny guardava torva i due sul divano che ridacchiavano.
“Buongiorno, mi fa piacere vedervi vestiti” disse, stizzita. Hermione alzò un sopracciglio, capendo che c’era qualcosa che non andava.
“Tutto ok?” le chiese.
“Sì, sì. È che ho un tema di erbologia che mi fa dannare…” mentì.
“Oh, fattelo fare da Paciock, scommetto che per te farebbe di tutto…” Malfoy ghignò (un vizio che non aveva perso) come se intendesse dell’altro e Ginny non ci vide più.
“Sai che c’è, Malfoy? Sei un idiota. Neville mi farebbe copiare i compiti, esattamente come lo farebbe qualsiasi amico. Se tu avessi degli amici, lo sapresti, senza mettere doppi sensi dappertutto. Neville è la persona più cara che conosca e se non fosse stato per lui non sarei sopravvissuta all’anno scorso. Ma tu non puoi saperlo, perché giocavi a fare il mangiamorte. Ma sotto pressione si vede bene di che pasta sono fatte le persone. E Neville è un eroe. Tu invece, cosa sei?” disse Ginny tutto d’un fiato.
Aveva parlato come l’altra volta, ma questa volta, lo sapeva, aveva esagerato. Se ne rendeva conto da sola. Ma era incattivita. Loro erano sul divano a baciarsi e lei litigava con Harry per quel troll di Malfoy. Ma sarebbe stato stupido dar la colpa a lui. Anche prendersela con lui era stato stupido.
Malfoy tirò fuori la bacchetta, rosso in viso e pronto a colpirla. Ginny lo aveva visto, ma non aveva cercato di difendersi.

 

Hermione fece in tempo a intervenire prima che succedesse un pandemonio. Si mise in mezzo davanti a Draco, che era l’unico armato. Non disse niente e lui, lentamente, l’abbassò. Ginny lo aveva provocato apposta. Ma perché? Cosa era successo?
Poi Ginny cadde sulla sedia, si passò una mano sul viso e disse: “Merlino, non dovevo prendermela con te. Alla fine tu non c’entri niente, Malfoy…”, e detto questo, prese la borsa e i libri e uscì dalla porta. Hermione guardò Draco che la guardava senza capire.

 

“Cosa è successo?” chiese il ragazzo. La riccia lo guardò.
“Io non lo so. Che abbia discusso con Harry?” propose. Draco scrollò le spalle. Come faceva a saperlo, lui?
“Non devi dare peso a quello che ha detto…” incominciò lei. Draco la guardò alzando un sopracciglio.
“No?” chiese ironico.
“No. Era solo arrabbiata” spiegò lui. Lui sospirò.
“La verità la dicono solo gli arrabbiati, i bambini e gli ubriachi” disse. Lei scosse la testa.
“Non è vero. La rabbia è insidiosa. Ti fa dire cose esagerate per un’esaltazione del momento” spiegò Hermione.
“Però ha detto cose vere: giocavo a fare il mangiamorte. Gli altri qui a essere torturati. Voi a cercare di fermarlo…” Di fermare me. Si sedette. E si accese una sigaretta. Ancora. Chissà se un giorno sarebbe riuscito a smettere.
“Ok. È vero. Ma ricordi? Scelte sbagliate per i motivi giusti…” continuò la Grifondoro.
“Oh, sì. Gran bel motivo. Salvare la mia famiglia. Guarda come siamo finiti. Io qui, la misera copia di me stesso. Mia madre incattivita e sotto pozioni e mio padre ad Azkaban. Gran bel motivo…” ripetè.
“No non è vero. Hai iniziato a fare scelte giuste. Sei venuto a scuola, hai aiutato a ricostruire e ora sei qui. Ora stai bene. Non sei… quello che hai detto. Hai aiutato me, quando stavo male…” tentennò lei. Lui la guardò in uno strano modo, l’ultima cosa che voleva era la compassione. Così disse la cosa più stupida che potesse dire: “L’ho fatto solo per portarti a letto”.

 

Subito dopo averlo detto, Draco tolse lo sguardo dal suo viso. Hermione riconobbe il discorso di Luna. “Non è vero. Mi hai fermato quando ti ho baciato” insistette.
“Avevi avuto pietà di me!” sbottò lui.
“NON È VERO!” gridò Hermione, tanto che lui ne fu spaventato.
“Volevo solo portarti a letto” ripetè ancora.
“L’avresti fatto la prima volta. Non sarei riuscita a fermarti. Ma non l’hai fatto”, disse lei sospirando “Non facciamo questo stupido gioco, Draco, per favore. Non voglio litigare con te o odiarti. Ti prego…”
Draco la guardò negli occhi e lei continuò: “Potrei non farcela, davvero. Se vuoi lasciarmi o qualsiasi motivo per cui tu abbia detto queste cose adesso, va bene. Ma se davvero tieni a me, quanto io tengo a te, smettila, smettila subito”. Lui guardò da un’altra parte.
“Ho promesso di non lasciarti da solo. Non farmi rimangiare questa promessa…”, poi lei gli prese il viso fra le mani, lo obbligò a girarsi verso di lei e continuò “Ti prego. Amami. Adesso”.

 

Draco non se lo fece ripetere ancora. Voleva amarla, certo. Voleva che lei fosse felice. E lei diceva di voler stare con lui. Lui l’avrebbe fatto, finché lei non avesse cambiato idea. Perché avrebbe cambiato idea. Chi avrebbe voluto stare veramente con uno come lui? Aveva giocato a fare il mangiamorte. E non ci era neanche riuscito bene.

 

***

 

Ginny era seduta su una delle panchine del parco. C’era dannatamente freddo. Dicembre aveva portato brina, umidità e tanto, tanto freddo. Una persona si sedette sulla panchina.
“Piccola Weasley” disse Malfoy. Stavolta la rossa non sbuffò.
“Malfoy…” Lui non disse niente e lei continuò “Ti ha mandato Hermione?”
“Mmmm…” Fu la sua risposta. Ginny rise.
“Ok. Mi dispiace per quello che ho detto. Davvero. Non avrei dovuto. Non stavolta…” disse e Malfoy la guardò alzando un sopracciglio. “Beh, ci sono state delle volte che gli insulti te li sei meritati. Tutti” continuò lei. Il Serpeverde sorrise.
“È vero” ammise. Si appoggiò allo schienale e tirò fuori una sigaretta. Gliene offrì una, ma lei scosse la testa.
“Puoi dire a Hermione che abbiamo fatto pace. Puoi anche dirle che mi sono scusata…” disse, ma lui la ignorò.
“Che è successo?” le chiese. Lei lo guardò stranita.
“In che senso?”
“Venerdì scorso, dopo la festa da Corvonero, che è successo? Sei andata via con Potter” disse ancora Malfoy.
“E tu come lo sai?” chiese Ginny sospettosa.
“Gli ho scritto io di venire a prenderti” Lei si alzò in piedi e urlò: “COSA?”
Il Serpeverde sbuffò il fumo. “Siediti, Weasley” disse. Lei stette in piedi un po’, giusto per non fare quello che diceva lui, poi, curiosa, si sedette.
“Cosa hai fatto?” gli chiese, con tono più calmo. “Quando ti ho visto con Corner gli ho scritto. E lui è venuto subito” disse, soffiando il fumo in aria. Ginny sospirò.

 

“Allora che è successo?” chiese ancora. Lei non lo guardò, ma disse: “Non voglio dirtelo”, e fissò lo sguardo verso il lago.
“Ok. E dopo il sesso?” chiese lui e Ginny lo guardò, sorpresa. “Non intendevo quello…” Lui ghignò. “No?”
La rossa sbuffò. E le si arrossarono le guance.
“Quindi?” chiese ancora il ragazzo.
Ginny lo guardò. Non aveva detto a Hermione quello che era successo dopo la festa, nè dei dubbi di Harry. E non poteva parlarne con nessun altro perché non voleva dire a nessuno del problema di Hermione. Lo osservò finire la sigaretta e farla sparire con la bacchetta .
“Harry è un troll” ammise.
“Quando lo dicevo io…” cominciò lui, ma la rossa lo guardò assottigliando gli occhi. “Ok, ok. Ho capito…” Con la mano le fece cenno di continuare.
“Lui pensa che l’abbia tradito” si confidò.
“Pensa?” domandò Malfoy. Lo sguardo della Grifondoro si fece di ghiaccio.
“Io non ho mai tradito Harry. Merlino, non ho mai neanche pensato a un altro ragazzo!”

 

“E perché lo pensa, allora?” chiese Draco sospirando.
La Granger (perché quando faceva così, ritornava a essere ‘la Granger’) l’aveva obbligato a parlarle. Era lì solo per quello. Di quello che pensasse lo sfregiato della Weasley gli interessava ben poco. Ma erano amici di Hermione…

 

“Ci ha visti la notte che sono venuta a prenderti nei sotterranei, quando Hermione è stata male…” Ginny non riuscì a guardarlo.
“Pensa che tu l’abbia tradito con.. ME?”

 

Draco avrebbe voluto ridere. Davvero. La situazione sarebbe stata divertente, due anni prima. E lui ne avrebbe approfittato. Merlino, forse ci avrebbe anche provato con la Weasley, se avesse saputo che Potter sarebbe andato giù di testa. Scosse la testa. Per fortuna non era successo. Ma lo sguardo della rossa gli fece passare la voglia di ridere.
“E perché non gli hai detto come stavano le cose? Di Hermione?” le chiese.
“Primo, perché avrebbe dovuto parlarne lui con me, invece di lasciarmi così. E poi, Harry e Ron non sanno delle crisi di Hermione. Le ho promesso che non l’avrei detto a nessuno, neanche a loro. Non so neanche perché lo sai tu…” Lui guardò la Grifondoro guardare ancora verso il lago.
“Ma se lei lo sapesse ti direbbe…” cominciò Draco.
“Lo so, cosa mi direbbe. Per questo non gliel’ho detto. Lei non voleva che lo sapesse nessuno. Dovrei chiederle di dire una cosa che non avrebbe detto neanche a me, solo perché Harry non si fida della sua ragazza?”
Draco non disse niente. Che ragionamento contorto. Solo una ragazza avrebbe potuto farlo. Una ragazza con l’orgoglio dei Grifondoro. Non sapendo cosa ribattere, annuì. Ma poi disse: “Sarà anche un troll, ma penso che Potter tenga…”, ma non riuscì a finire la frase.
Lei si alzò velocemente e gli disse: “Dì a Hermione che mi sono scusata. Ma non dirle niente del resto. Se scopro che lo hai fatto, te la farò pagare. Troverò un modo. Hai capito?”
Lui annuì, per niente spaventato. Lei però era così agitata che pensò di assecondarla.

 

***

 

“Ehi Ron, stai andando alla stanza dei prefetti?”
Ron si girò e vide la sorella che gli allungava qualcosa, mentre spiegava: “Hermione dovrebbe essere nel bagno dei prefetti a cercare questa catenina, ma l’ho trovata in camera mia, puoi dargliela tu? Tanto ci passi davanti…” Ron sbuffò, vero che ci passava davanti, però…
Guardò la sorella e non riuscì a dirle di no, esattamente come tutte le altre volte..
“Ok, dai” acconsentì.
“Grazie” disse Ginny e l’abbracciò, fuggendo poco dopo verso i sotterranei.

 

Ron fece lentamente le scale, non aveva nessuna voglia di deviare per il bagno dei prefetti. Guardò il gioiello che gli aveva dato Ginny. Era uno di quelli della nonna di Hermione. Glieli aveva lasciati quando era morta. Sospirò. Una buona causa.
Accelerò il passo. Arrivò al quinto piano, passò la statua e contò quattro porte. Quando si trovò davanti alla porta del bagno rimase un attimo lì a fissarla: com’era la parola per entrare? Era un po’ che non usava il bagno dei prefetti.
Ci rifletté un attimo, poi disse alla porta: “Pozione guaritrice”, e questa si aprì. Lui entrò lasciando la porta aperta e chiamò ad alta voce: “Hermione? Sono Ron!”
Fece un passo avanti ma un grido lo fece fermare sul posto. C’era un paravento davanti a parte della grande vasca olimpionica e c’era una ragazza fra lui e il paravento. Una ragazza che reggeva un asciugamano bianco contro di sè, per coprirsi. Per il resto, doveva essere nuda.
“Non sei Hermione” disse, meravigliato.

 

Pansy fece una smorfia. Che domanda stupida.
“No, è evidente. Lei è già uscita” disse,  indicando la porta con il capo. Lui si girò e vide la porta spalancata, l’accostò con il piede e si girò ancora verso di lei.

 

Ron sapeva che era molto maleducato, quello che stava facendo, ma non riuscì a non farlo. La guardò in viso: i suoi occhi, la sua bocca… scese con lo sguardo. La pelle dorata del seno della ragazza era un contrasto peccaminoso contro il candore dell’asciugamano. Lui continuò a guardarla, e fece scivolare lo sguardo ancora più giù. L’asciugamano non era tanto grande e lei riusciva a coprirsi il giusto.

 

Pansy, imbarazzata, lanciò un’occhiata alla sua bacchetta, rimasta sul lavandino vicino a Weasley e lanciò uno sguardo alla parete degli asciugamani, lontana dall’altra parte. Ma anche prendere un asciugamano più grande, avrebbe significato non reggere più quello che aveva addosso. E spostarsi sarebbe stato pericoloso.
Era meglio stare lì con quell’asciugamano. Almeno quello riusciva a coprirla. Un po’. Davanti.

 

Ron vide lo sguardo della mora andare agli asciugamani e sentì le orecchie diventare rosse. Spostò lo sguardo da lei, non perché volesse, ma perché era la cosa giusta. (non gli attraversò per la mente che andarsene sarebbe stato ancora più giusto, pensò molto più tardi). Alzò lo sguardo e lo posò dietro di lei, finché non si accorse di guardare uno specchio. Vedeva la schiena della ragazza, e sulla sua schiena c’erano un tatuaggio magico.
Un disegno bellissimo, piccoli puntini luminosi brillavano come stelle. Incantato continuò a guardare: capì che fosse veramente una costellazione grazie al disegno e a come si illuminavano gli astri luminosi. Non riusciva a capire quale fosse, però, lui conosceva solo il grande carro e le cose più ovvie. Perché non era stato più attento ad Astronomia? La guardò bene e cercò di imprimerselo nella mente. Doveva essere per forza una costellazione.

 

Ron fece un passo avanti  per guardare meglio lo specchio, quando lei gli chiese, con un filo di voce: “Puoi uscire, per favore?”
Lui si riprese., tornò a guardarla in viso e disse, con voce roca: “Sì, scusami”.
Fece un passo indietro e, vedendo la bacchetta della ragazza, la prese e gliela portò. “Chiuditi dentro, appena esco.”
Quando uscì si ricordò che lei era fidanzata. Non ci aveva più pensato dalla partita di Quidditch.

 

Pansy annuì. Non riusciva a dire niente.
Lui se ne andò senza più guardarla e lei rimase in quella posizione per un tempo infinito. Era uscito. Sì, beh, glielo aveva detto lei. E lui le aveva dato la bacchetta per chiudersi dentro.
Chiunque altro avrebbe approfittato della situazione (e di lei). Ma non lui. Weasley l’aveva guardata con quello sguardo voglioso negli occhi e lei sapeva che se avesse fatto cadere l’asciugamano, lui avrebbe fatto i pochi passi per coprire la distanza che li separava e sarebbe stato da lei. O almeno, lo sperava. Ma poi aveva distolto lo sguardo, perché era un bravo ragazzo e non approfitta di nessuno (e probabilmente non ne ha bisogno).
La Serpeverde pianse, silenziosamente, mentre si immergeva nella grande vasca. Da sola.

 

***

 

La mattina dopo Ron vide Hermione nella sala comune, prima di scendere a fare colazione. Le consegnò la catenina e le disse che Ginny l’aveva trovata in camera sua. Lei lo ringranziò contenta.
Poi le allungò una pergamena piegata e le chiese: “Dovrebbe essere una costellazione, tu sai quale?” Hermione, incuriosita prese la pergamena e l’aprì.
Ron aveva disegnato le stelle che aveva visto sulla schiena della Parkinson appena era riuscito a mettere mano a una piuma autoinchiostrante. Aveva cercato sul libro di Astronomia ma non aveva trovato la costellazione giusta. O non esisteva, oppure Hermione sapeva quale fosse. Aspettò con impazienza ma non disse niente.
Hermione corrugò la fronte e lui pensò di averlo disegnato male, ma lei disse: “Possibile che sia da guardare così?” gli chiese, girando la pergamena e guardando la parte immacolata dietro il foglio. Tirò fuori la bacchetta e lanciò un incantesimo alla pergamena e il disegno si riflettè, simmetrico. Oh, giusto, lui lo aveva visto nello specchio! Ecco perché non l’aveva trovato!
Hermione guardò il foglio e poi sorrise dicendo: “È la costellazione del cane”.
“Del cane?” chiese Ron, forse non aveva capito giusto.
Hermione annuì e gli indicò un puntino in basso. “Questo è Sirio, la stella più luminosa del cielo” spiegò. Ron annuì. La stella più luminosa? La cosa era interessante.
“Perché ti interessa?” gli chiese l’amica.
Ron scosse la testa, come se non fosse importante, poi guardò a lungo Hermione e le chiese sottovoce “Tu… Tu hai trovato qualcuno? Qualcuno che ti piace veramente?”
Loro non avevano più parlato di quello. Lei divenne un po’ rossa ma sorrise.
“Sì. E tu?” Lui guardò altrove.
“Non lo so…”
“Ne vuoi parlare?” gli chiese e lui fece una faccia scandalizzata.
“NO!” esclamò.
Hermione rise e ammiccò, dicendo: “È sempre quella del bravo ragazzo?”
Lui annuì, solo che ora aveva scoperto che era fidanzata. Se lui non fosse stato un bravo ragazzo, lei avrebbe lasciato l’altro?
“Secondo te, dovrei essere diverso? Dovrei cambiare?” le chiese.
“No. Non devi smettere di essere un bravo ragazzo. Anche perché magari, se lei sapesse di tutte le ragazzine che ti girano intorno, potrebbe cambiare idea senza che tu faccia niente.”
Hermione gli strizzò un occhio.
Ron divenne rosso e disse: “Ma io, veramente…”
A parte la Simmons, che aveva liquidato dopo la faccenda di Rowie, era stato con due ragazze, ma mica ragazzine, erano del settimo anno. Ma nessuna che gli avesse fatto venir voglia di uscire con loro. E dopo che aveva baciato la Parkinson nell’aula di pozioni, non aveva cercato più nessuna. Ma non poteva raccontare tutto questo a Hermione. Così cambiò discorso.
“E allora, chi è il tuo ragazzo?” le chiese.
Lei disse qualcosa sulla colazione, come se le cose fossero collegate e lo salutò con la scusa che fosse in ritardo. Quando passò il ritratto, Ron capì che aveva deviato il discorso per non dirgli niente. Sbuffò. Bastava dirlo, no?

 

***

 

Quel giorno, l’aria dell’aula di pozioni per la lezione del settimo anno (plus) era strana. I calderoni fumavano colori diversi e le menti dei giovani ragazzi non potevano essere più lontane dalla stanza. Ginny entrò con una pergamena arrotolata e il sorriso di Fred e George sul volto.
“Buongiorno, professor Lumacorno. La preside McGranitt le chiede se può procurarle alcuni ingredienti della sua scorta che occorrono a lei e a Madama Chips” salutò la piccola rossa e camminò in mezzo ai banchi, dirigendosi verso la cattedra di Lumacorno. Lui, come lei aveva ipotizzato, aveva sgranato gli occhi desideroso di aiutare la preside.
“Vuole che aspetti qui? O preferisce che torni dopo le lezioni?” La domanda di Ginny era stata posta in maniera che lui si sentisse in dovere di eseguire subito la richiesta.
Infatti il professore disse: “Glieli prendo subito signorina Weasley. Che ne dice di aspettare in cattedra? Voi ragazzi continuate con quello che stavamo facendo”.
Prese la pergamena e si incamminò velocemente verso la porta dello stanzino delle scorte. Ginny si sedette, appoggiò i piedi sulla cattedra e disse sorridendo: “Buongiorno, ragazzi”, con uno sguardo stranissimo.

 

Ron la guardò: conosceva quello sguardo.
“Cosa hai in mente?” le chiese. Aveva un tono strano, ma Ron aveva iniziato a odiare l’aula di pozioni.
Lei si girò verso il fratello e chiese innocentemente: “Io? Niente, sto eseguendo una commissione”.
“Da parte di chi?”
Lei sventolò la mano. Qualcuno dei Serpeverde ridacchiò e lei volse lo sguardo da quel lato della classe. Salutò Pansy con la mano e lei ricambiò.
Hermione la guardò e si raccomandò: “Non ti cacciare nei guai”.
Lei riportò l’attenzione sui Grifondoro e le lanciò un bacio.
“Non siete contenti che Lumacorno resti impegnato per un po’? È così noioso… Cosa state facendo Voi? Noi ieri abbiamo studiato l’Amortentia…”
Il suo sguardo era quasi disgustato.
Calì ridacchiò. Ginny la fulminò con un’occhiataccia. Per istinto guardò anche Lavanda, la sua vicina di calderone, ma notò che stava piangendo. La rossa si alzò velocemente. Anche Hermione si accorse di Lavanda.
“Lavanda, tutto bene?” le chiese la riccia senza alzarsi dal posto, mentre mescolava il calderone.
Lavanda singhiozzò un po’ di più e guardò verso Seamus, senza rispondere. Lui imbarazzato guardò da un’altra parte.
Ma cosa stava succedendo? Ginny guardò Seamus, ma lui continuò a fissare qualcosa vicino alla lavagna. Così Ginny guardò di nuovo verso Ron, che scosse la testa, poi verso Neville, che alzò le spalle e infine verso Dean, che guardò in basso.
“Dean!” Ginny si avvicinò a lui, capendo a chi avrebbe potuto chiedere, “Tu sai che succede?”
Lui bisbigliò qualcosa ma la ragazza era troppo lontana e non capì. Così si avvicinò e ripetè la domanda a bassa voce.
In quel momento Lavanda esplose e disse: “Seamus mi ha lasciato perché dice che al sesto anno sono andata a letto con Ron. E invece non è vero!”
Ginny si voltò verso Seamus con uno sguardo furente effetto mamma Weasley.

 

Per un attimo nessuno parlò, poi, dal lato Serpeverde si alzò una voce: “Allora Weasley, facci sapere anche la tua versione. Sì o no?”
Ron si girò verso la voce: era stato un ghignante Nott a parlare. Di solito non parlava mai. Ora sapeva perché.
Lavanda sorrise tristemente fra le lacrime e lo pregò:“Sì, Ron diglielo tu, forse a te crederà…” Ginny, alla parola crederà, tirò fuori la bacchetta e la puntò su Ron che spalancò gli occhi.
“Se apri la bocca ti schianto, Ron!” Poi si rivolse a Lavanda e camminando nella sua direzione, disse in tono non proprio basso: “Se il tuo ragazzo non ti crede è un idiota. Mi hai capito? Tu non devi dimostrare niente. Sono fatti tuoi cosa hai fatto prima di lui. Avresti dovuto lasciarlo tu e cercartene uno intelligente!”
Ma quella ragazza non aveva un po’ di orgoglio? Ginny sapeva che dopo la battaglia era stata per un mese al San Mungo e che le due cicatrici che portava sul busto la rendevano insicura, però…
Il suo ragazzo doveva proprio essere un animale. Si voltò di nuovo verso Seamus e il fatto che avesse ancora in mano la bacchetta la rendeva pericolosa ai suoi occhi, infatti lui abbassò lo sguardo.
Poi Ginny si voltò verso Harry. E lui non abbassò lo sguardo.

 

“Però se vi va di dirlo anche a noi, avremmo ancora in ballo una scommessa…”
Ron si voltò verso Zabini, che aveva parlato, dicendo: “Avete scommesso su di me?”, si girò subito verso la Parkinson e lei guardò da un’altra parte.

 

Si sentirono i passi di Lumacorno che tornava dalla dispensa e quando entrò, non notò niente di strano. Ginny si alzò dalla sedia in cattedra e ringraziò. Lui sorrise e le consegnò una scatola.
Lei gli disse che la preside sarebbe stata molto contenta, ma lo disse in maniera strana, come se non avesse più voglia di scherzare. Salutò e uscì dall’aula.
Lumacorno sorrideva ancora alla fine della lezione, ma l’aria della classe era ancora strana.

*** grazie a chi recensisce e a chi legge 😘

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Capitolo 18
*** La pozione di Draco ***


18. la pozione di Draco

 La pozione di Draco

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Prima di cena, Pansy era seduta su una panchina nel parco. C’era già buio e stava accarezzando un gatto che era acciambellato sulle sue cosce, sopra il mantello.
Quando Ron arrivò vicino alla panchina, si meravigliò del fatto che il gatto fosse Grattastinchi.
“Rubi i gatti?”
Lei si voltò di soprassalto, come se si fosse spaventata. Poi guardò il gattone.
“Non mi sembra un gatto che si fa rubare” disse sorridendo, grattandogli le orecchie. Lui annuì e si sedette vicino a lei. “Ho sempre desiderato un gatto. Mamma non ha mai voluto prendermelo” disse ancora, coccolando il gatto.
Ron pensò che parlasse da sola e la guardò mentre continuava ad accarezzare Grattastinchi.

 

Wesley le offrì una sigaretta e Pansy la prese chiedendogli quale fosse.
“La tua. Le altre le ho finite tutte. E le tue sono le più buone” rispose.
La ragazza sentì le guance andare a fuoco. E ci rimase male quando lui tirò fuori un’altra sigaretta per sé. Cosa aveva pensato? Accese la sua con la bacchetta e poi si accese la propria.
“Hai vinto la scommessa?” le chiese, dopo un po’.
“Che scomm… ah!” Pansy capì che si riferiva alla storia della Brown. “Non lo so”.
Lui la guardò inarcando un sopracciglio. “Non lo sai?”
“No. Non hai risposto a Zabini”, rispose con rispetto prima di continuare “ma io ho scommesso che non ci saresti riuscito. Vi odiavo tutti intensamente. Era meglio perdere dei galeoni piuttosto che pensare bene di voi tre, prima della battaglia” concluse, onestamente.
Due anni prima, quando Pansy aveva scelto Draco nonostante sua madre le avesse detto di provarci con un altro e Draco stava male per colpa di Voldemort, lei sperava solamente che finisse tutto al più presto. Non era importante chi vinceva, non le interessava.
All’epoca non sapeva quale fosse il compito di Draco. E ora era felice di non averlo saputo. L’aveva aiutato e basta. L’aveva tirato su tutte le volte che era caduto e consolato quando c’era bisogno. Non era sicura di come avrebbe reagito se avesse saputo tutto. A lei Silente piaceva.
Probabilmente non glielo aveva detto perché non si fidava di lei. Ma andava bene così. Era una cosa per cui avrebbe ringraziato il biondo fino alla fine dei suoi giorni. Ed essersi tenuto tutto dentro lo aveva quasi distrutto.

 

Il gatto miagolò, si alzò e camminò fino a Ron. Si strusciò sulla sua mano e poi se ne andò.
“Strano. Non gli sono mai stato simpatico…”, disse e poi continuò “Così ci odi…”
Lei si voltò verso di lui e precisò: “Vi odiavo. Avrei pagato tutti i soldi che avevo, pur di far finire tutto e le nostre famiglie erano dalla sua parte. Non c’era molta scelta…”
Ron capì quello che intendeva con ‘sua parte’.
“C’è sempre scelta” dichiarò, un po’ sostenuto.
“Non è vero. Pensi che quella che ti hanno indicato sia la scelta giusta. Perché sei cresciuto così” lo contraddise lei e alzò una spalla.
“E quando ti accorgi che non è la scelta giusta?”
“Bella domanda, Weasley. Io non lo so. Perché ho scoperto di aver vissuto diciotto anni in una bolla di sapone, alla mercé di chi dovrebbe proteggerti e invece non lo fa…”
Lui tirò una lunga boccata prima di chiederle: “E quando l’hai scoperto?”
“Il giorno del processo a mia mamma. Lei ha detto delle cose…” si interruppe e Ron non chiese niente.
“È per questo che hai paura dei bravi ragazzi?” le chiese ancora.

 

Pansy si alzò e sussurrò girandosi verso di lui: “Io non ho paura di te”. Ho paura di me.
“E lui è un bravo ragazzo?” sussurrò anche lui.
La mora corrugò la fronte chiedendo: “Lui chi?”

 

Ron sbuffò il fumo in aria. E si alzò anche lui. William. Lo nominò mentre….
“Ron, ma stai fumando?”
Tutti e due si voltarono verso Ginny, entrata sulla voce del fratello.
“Ginny” la salutò freddamente lui. Non poteva aspettare dieci minuti? Per una volta che si era convinto a parlare...
“Aspetta che lo dica alla mamma!”
La Parkinson sorrise e Ginny, che la notò, si fece audace proponendo: “Se mi dai il sacchetto di dolci che hai preso da mielandia, non le dico niente”.
Ron la guardò e spense la sigaretta con estrema calma. La spense anche la Serpeverde e fece sparire tutti e due i mozziconi.
“No” disse Ron. Non voleva dargliela vinta.
Ginny mise il broncio e disse: “Allora glielo dico”.
Il rosso la guardò. Sarebbe sempre stata la sua sorellina. Anche quando era così irritante.
“Facciamo a metà?” le propose e lei sorrise vittoriosa.
Poi si voltò verso la mora e le chiese: “Dopo cena vieni in camera mia a mangiare metà sacchetto di dolci? Chiamiamo anche Camille”. La Parkinson rise.
“Ti ringrazio. Ma non posso” rispose.
“Hai la ronda?”, lei scosse il capo per rispondere, “E quindi? Non vuoi venire?”
“Camille verrà volentieri” disse la mora, diplomaticamente. Sembrava proprio che non volesse andare da sua sorella, pensò Ron.
La rossa la guardò un po’ prima di chiederle: “Hai paura di venire da noi Grifondoro?”, ma non aspettò che rispondesse e si girò verso il fratello, domandando: “Ron, perché non abbiamo mai fatto feste aperte a tutte le case, noi?” Il ragazzo alzò le spalle.
“Bo. Non lo so. Devi chiedere a Hermione” rispose, un po’ stranito.
 “Non è lei il nostro caposcuola” ribattè la sorella.
Lui liquidò la cosa con la mano. Sperò che se ne andasse al più presto. Voleva rimanere da solo con la Serpeverde. Voleva parlarle. Oh per Godric, voleva anche baciarla. Voleva spogliarla e baciare la pelle dorata che aveva visto nel bagno dei prefetti. Voleva accarezzare il tatuaggio delle stelle. Voleva farla gemere, voleva farle scordare William. Merlino, William!
Si riprese dal suo stato e, nervoso, salutò tornando verso il castello.

 

Ginny lo guardò andare via e poi si girò ancora verso la mora.
“Allora? Stasera? Mi sono appena guadagnata mezzo sacchetto di mielandia per niente?” La Parkinson rise.
“Non ti sei guadagnata niente” disse.
“Come no, l’ho appena ricattato!” La mora sorrideva ancora.
“Sei sicura?”
La sicurezza di Ginny vacillò.
“Dici di no? Io penso che se mi fossi impegnata avrei potuto portare a casa tutto il sacchetto…” constatò, girandosi verso l’entrata del castello, dove suo fratello era appena sparito.
“Forse. Ma non perché l’hai ricattato. Perché è tuo fratello…”
Ginny la guardò stranita, e quando la Serpeverde si mosse, nel bagliore della luna, vide che aveva gli occhi lucidi.
La rossa sapeva che la Parkinson si rimproverava di non essere una buona sorella, ma non era vero. Come aveva consolato Camille, come l’aveva tranquillizzata, quando avevano scoperto della gravidanza. L’avrebbe fatto anche suo fratello per lei e lo sapeva. Guardò di nuovo verso il castello. Poi si voltò di nuovo verso la Parkinson. Verso Pansy. Le andò vicino e l’abbracciò.
“Anche tu sei una brava persona” disse, stringendola forte.
La Serpeverde non doveva essere abituata agli abbracci: ci mise un po’ a rilassarsi. E Ginny sapeva che stava piangendo, ma non disse niente.
“Ci vediamo domani sera da voi. Io porterò i dolci. Dillo a Camille”, e scappò verso il castello.

 

***

 

Quella sera, dopo la ronda Ron andò in camera a prendere il sacchetto di dolci che aveva preso a Hogsmeade.
Scese in sala comune e si guardò intorno. Quando individuò Ginny la prese per un braccio e la portò in un angolo, facendola sedere su una poltrona.
Le allungò il sacchetto davanti al naso e tenendolo a penzoloni disse: “Te lo do tutto se rispondi a qualche domanda…”

 

Ginny guardò prima lui, che era molto serio, e poi il sacchetto. Era un sacchetto di quelli grandi. Ed era bello pieno. C’erano api frizzole, cioccorane, palline di sorbetto, lumache gelatinose, piperille nere e anche rospi alla menta. E altre cose che non vedeva.
Guardò di nuovo il fratello: ma non l’aveva ricattato prima lei? Cosa voleva chiederle? Guardò ancora il sacchetto, indecisa.

 

Ron sbuffò. Pensò di velocizzare la decisione della sorella. Si sedette sul tavolino di fronte a lei e scartò una cioccorana. Ginny protestò. Lui la infilò tutta in bocca. “NO!” esclamò la sorella, sorpresa.
“Allora deciditi. Vuoi il sacchetto?” chiese, anche se dovette aspettare di mandare giù tutto il boccone prima di parlare. Ma lei non disse ancora niente. Prese un’altra cioccorana sperando di non doverla mangiare, ma Ginny non aveva ancora deciso. Mangiò la cioccorana e anche due api frizzole. Se avesse continuato così avrebbe vomitato entro poco.
La guardò ancora mentre pescava un altro dolce, al che lei disse: “Ok. Ok. Ok. Vada per tutto il sacchetto in cambio di qualche domanda”.

 

Lui appoggiò il sacchetto sul tavolino e Ginny lo guardò: sperava di riuscire a prendere il sacchetto e a scappare per la scala a chiocciola prima che lui se ne accorgesse, ma Ron fu svelto e la bloccò alla poltrona.
“Cosa vuoi sapere?” chiese, arrendendosi.
“Cosa sai di William?” domandò suo fratello. William? E chi cavolo era… ah!
“William? Ah, dici il fidanzato della Parkinson?”
Ron annuì senza dire niente e Ginny ghignò (ormai lo faceva divinamente).
“William ha ventotto anni, è biondo, ha gli occhi blu, due spalle così e c’è solo una cosa che usa meglio della bacchetta!”

 

Ron rimase a bocca aperta. Era nauseato. Forse per via dei dolci.
Come allentò la presa sulla sorella, questa si alzò, afferrò il sacchetto e scappò prima che lui potesse chiedere altro. Biondo. Ventotto anni. E la storia della bacchetta? Merlino!

 

***

 

Hermione era appoggiata sul suo petto, in un letto dalle varie sfumature grigie nella stanza delle necessità.
Draco sospirò e le accarezzò la schiena.
“Stai bene?” le chiese e lei annuì.
Il biondo, con l’altra mano, le accarezzò la guancia e le fece passare le dita sotto al mento, alzandole il viso verso il suo.
“Vuoi che ti faccia stare bene, ancora?” le chiese con un sorriso sornione e le sfiorò le labbra con un bacio. Hermione sorrise quando lui si staccò, guardandola.
“Sbruffone” lo accusò e ridacchiò.
Draco era deliziato. Non aveva mai sentito Hermione ridacchiare come da quando stava insieme a lui. Perché stavano insieme. Anche se lei non lo aveva ancora detto ai suoi amici (a parte la piccola teppista), loro stavano insieme.
Lui non lo aveva detto a nessuno, ma Zabini aveva iniziato a fare battutine mirate e lui aveva capito che sapeva. E lo sapeva anche Pansy. Si era stupito, di Pansy.
Lei gli aveva sorriso e gli aveva detto qualcosa tipo ‘La Granger sembra molto contenta ultimamente’, e gli aveva dato una pacca sulla spalla.
Draco l’aveva anche invitata a sedersi vicino a loro alla partita di Quidditch. Anche se quello era stato uno sbaglio: le due ragazze si erano coalizzate contro di lui e contro il suo sport preferito, aveva fatto fatica a spiegare loro anche le cose più semplici.
Strinse un po’ di più la riccia a sé e le baciò la fronte.
“A cosa pensi?” gli chiese lei mentre con la mano giocava con i suoi capelli.
“Pensavo a quanto sto bene con te” le rispose lui, accarezzandole un lembo di pelle del fianco che fece sorridere Hermione come una dea greca.
La ragazza fece un sorriso strano e poi disse: “Allora sarò io a far star bene te, adesso”.
Poco dopo Draco non riuscì più a pensare.

 

***

 

Ginny era in biblioteca con Pansy e Camille e le guardava un po’ nervosa.
Le due non avevano ancora chiarito dall’ultimo litigio che avevano avuto, e la situazione era tesa.
Pansy era nervosa. Molto nevosa, (e secondo lei aveva una gran brutta cera) mentre Camille era sulle sue ma continuava a guardare la sorella come se volesse a tutti i costi dirle qualcosa.
Fra poco se ne sarebbe andata. Molto meglio i piccioncini di loro due che si studiavano come animali nell’arena.

 

“Ok, puoi non dirmi chi è lui, va bene. Però visto che sei decisa a tenere il bambino, probabilmente, lui dovrebbe saperlo, no?” iniziò Pansy, rivolgendosi a Camille.
Sua sorella aveva deciso, subito dopo la visita al San Mungo, di tenere il bambino. Secondo Pansy era una scelta azzardata, vista la sua giovane età, ma essendo cresciuta in un regime autoritario, o si faceva quello che voleva la mamma o si faceva quello che la mamma voleva, aveva deciso di lasciarle la libertà che meritava. Così avrebbero cresciuto il bambino loro due, visto che Camille non voleva informare il padre.
Ma questo ragazzo dov’era? Non si era domandato come mai lei non volesse più vederlo? Perché lei non vedeva nessuno. Nessun ragazzo, nessun amico.
Pansy aveva tanti interrogativi per la testa, e questo casino era troppo da gestire per lei. Si sentiva così stanca…
Avrebbe avuto bisogno di un adulto. Lo capiva perfettamente. Aveva mandato Camille al consultorio, ma la ragazza non aveva voluto che entrasse anche lei a parlare con i medimaghi. Era solo riuscita a sapere che loro due stavano bene fisicamente e aveva dovuto farselo bastare.
Appoggiò la testa sulla mano e sospirò.

 

Camille guardò la sorella: sapeva che aveva ragione. Ma cosa poteva dirle? Che si era inventata un ragazzo di sana pianta? Che era rimasta incinta perché si era ubriacata e di quell’esperienza non voleva ricordare niente? Sbuffò rumorosamente. Lei sapeva cosa voleva: non voleva stare con Pansy. Sì, beh, le era grata, certo, era molto comprensiva e non si era arrabbiata come aveva pensato subito. Ma da qui al resto…
Camille voleva tornare in Francia, dai suoi nonni. Loro l’avrebbero coccolata e non subissata di domande. Loro avrebbero trovato una soluzione. A tutto. Lei non avrebbe dovuto pensare a niente. Anzi, probabilmente le avrebbero permesso di rimanere con loro e avrebbero cresciuto il bambino mentre lei andava a scuola.
Sì, poteva essere una buona idea.
Non lo disse. Ma ci pensò.

 

Ginny stava ancora valutando la situazione quando Camille disse, cogliendole di sorpresa: “Vorrei andare a stare dai nonni, durante le vacanze di Natale”. Ginny guardò Pansy che si immobilizzò in una trance davvero paurosa: aprì la bocca e poi la richiuse alla stessa velocità.
La vide mentre pensava velocemente. Aveva imparato, guardandola. Era una cosa stupefacente. Aveva detto che sua madre la considerava poco sveglia, ma Ginny riusciva a immaginarsi benissimo i meccanismi del suo cervello, come quelli di un orologio, muoversi all’interno della sua testa.
E alla fine la sentì dire: “Fammici pensare, ok?”, poi un piccolo ghigno comparve sulle sue labbra e chiese: “Lui di che casa è?”

 

Camille si sentì in trappola e odiò Pansy. Come quando l’aveva portata via dai nonni.
“Grifondoro. E fammi sapere quando hai deciso” rispose stizzita.
Si alzò, un po’ nervosa e abbandonò la biblioteca.

 
Pansy sentì il viso congelarsi. Grifondoro? Non lo avrebbe mai detto. La Weasley si voltò verso di lei dicendo: “Io penso che…”
Ma la Serpeverde non la stava ascoltando ed esclamò, interrompendola: “Per Salazar! Speriamo non sia tuo fratello!” Poi, mentre realizzava quello che aveva detto, si sentì in colpa. “Scusa… Io non intendevo… non volevo dire che… non ho niente contro tuo fratello” capitolò alla fine alzando le mani.

 

Ginny annuì. Aveva capito. Anche perché lei aveva pensato la stessa cosa.
“Quello che volevo dire io, invece, è che secondo me, Camille non ha un ragazzo…” Pansy, la guardò interessata a quello che stava dicendo, ma allo stesso tempo così strana…
Ginny, prima di continuare, la osservò: Aveva gli occhi lucidi. Troppo lucidi. E le guance di una tinta strana. Non si era truccata bene? Di solito era molto brava in quelle cose, poi capì.
“Pansy…” iniziò “Non è che… hai la febbre?” La Serpeverde sorrise.
“Non preoccuparti, Ginny, è solo qualche linea. Fra qualche giorno mi passa…”
Ginny si alzò dal suo posto per andarle più vicino. Le toccò la guancia dicendo un po’ divertita: “Mi hai chiamato per nome… devi avere una gran febbre”.
Effettivamente scottava. Tanto. Non poteva avere solo qualche linea.
“E sono molti giorni che hai, come dire, qualche linea di febbre?” le chiese, ma non si aspettava una risposta. Sapeva cosa doveva fare: dovevano andare subito da Madama Chips.
Pansy borbottò qualcosa sul fatto che doveva andare fuori a fumare, ma Ginny la ignorò. La prese sottobraccio e si mise a tracolla anche la sua borsa dei libri.
“Dai, andiamo. Ti accompagno ai sotterranei” propose la rossa, sapendo che se avesse detto ‘infermeria’, sarebbe stato molto più difficile portarcela.
“Stavamo parlando del ragazzo di Camille. Dicevi che forse sai chi è…” disse ancora la mora: stava vaneggiando e Ginny sospirò.
“Veramente dicevo che secondo me non ce l’ha, un ragazzo. Ma ora non preoccuparti. Adesso andiamo a letto. Vieni”, iniziarono a scendere, ma quando furono al primo piano Ginny, invece di guidarla nei sotterranei, la trascinò in infermeria.

 

Quando entrarono dalla porta, Pansy si irrigidì. Odiava l’infermeria.
“Cosa facciamo qui?” chiese alla Grifondoro.
“Madama Chips ti darà qualcosa per la febbre, vero Madama Chips?” rispose rivolgendosi poi alla strega che era andata loro incontro quando le aveva viste arrivare.
“È solo qualche linea… Non ne ho bisogno” cercò di negare Pansy, ma effettivamente si sentiva stanca.
“Mi hai chiamato ‘Ginny’, stai vaneggiando di sicuro” le spiegò la rossa, con un sorriso divertito come poco prima in biblioteca.
Ginny? E certo che la chiamava così. Non era il suo nome?
“Anche tu mi chiami Pansy. Come dovrei chiamarti?” le chiese, cercando di mettere insieme le parole senza chiudere gli occhi. La Grifondoro ridacchiò.
“Mi puoi chiamare ‘Ginny’, ma ora siediti e riposati” acconsentì.
La fece sedere su uno dei letti e Pansy scoprì di essere stanca, così si sedette, giusto dieci minuti. Dopo dieci minuti, una pozione intrugliosa dal dubbio gusto, una raccomandazione da parte di Ginny di non muoversi da lì e un incantesimo d’appello per la sua camicia da notte (che Ginny guardò in un modo strano), Pansy si coricò. Non ebbe altra scelta.
E a dir la verità, non sarebbe riuscita a rialzarsi da sola.

 

Ginny tirò la tenda intorno alla ragazza e appoggiò la borsa con i libri sulla sedia vicino al letto. Solo che l’appoggiò male e questa si aprì, facendo cadere a terra un libro, una piuma e una piccola boccetta. Ginny la raccolse e la guardò: Merlino! Era la pozione di Malfoy. Perché ce l’aveva lei?
La stava ancora osservando quando si voltò verso il letto: Pansy la stava guardando. Dalla sua faccia, non riusciva a capire cosa pensasse, così provò a chiedere: “Perché hai la pozione di Malfoy?”
Pansy inclinò la testa e rispose: “Me la sono fatta prestare”.
“Ma per cosa l’hai presa?” le domandò ancora.
“Per dormire” ribattè, stranita, Pansy.
Ginny ora era confusa e non riuscì a non chiedere: “Per dormire? E come mai te l’ha lasciata?”
Hermione aveva raccontato a Ginny che Malfoy non aveva voluto saperne di lasciarle la boccetta. Ok che Pansy era una sua amica, ma non capiva perché a una sì e all’altra no.
“E perché non avrebbe dovuto? Basta stare attenti a quanta se ne prende…”
“Ma… e se finisce?”
Pansy la guardò stranita. Molto più stranita di una con la febbre (anche se Madama Chips aveva dichiarato 39.8).
“La rifacciamo, se finisce” disse la mora sbadigliando.
“La rifate?” Ginny si rendeva conto da sola di essere un po’ petulante, ma non riusciva a fare domande più intelligenti.
“Ginny, qual è il problema, scusa?” chiese quindi la Serpeverde.
“Che pozione è?” Ginny pensava quasi si approfittare di lei. Ma forse era il caso di chiedere. Forse…
“È la pozione della pace. Ma non lo sapevi già?” rispose.
La rossa spalancò gli occhi, la boccetta le cadde quasi di mano e vide Pansy spaventarsi.
“Giusto. Sì, sì. Certo: la pozione della pace. Ora stai tranquilla, dai. Resta qui, stanotte. Domani torno a vedere come stai, ok?” balbettò un po’ Ginny cercando di districarsi in quel dedalo di informazioni.
La Serpeverde annuì e si coprì spiegando alla Grifondoro come indagare per cercare il ragazzo di Camille fra i suoi compagni di casa. Ginny non stette lì a specificare ancora che secondo lei non aveva un ragazzo, ma annuì e se ne andò: aveva altro a cui pensare in quel momento.
Come chiuse la porta dell’infermeria, si mise a correre.
Un lampo illuminò le finestre del primo piano. Subito dopo un tuono scaricò rumori e frastuoni facendo vibrare i vetri. Niente a confronto di quello che sentiva dentro.
POZIONE DELLA PACE! UNA. CAZZO. DI. POZIONE. DELLA. PACE!!!
La pozione della pace serviva a calmare la mente. Lei l’aveva studiata e preparata al quinto anno. Alcuni ragazzi la prendevano per l’ansia degli esami. Sua mamma l’aveva presa subito dopo la morte di Fred. In casa ne avevano un boccetto, ognuno di loro ne aveva preso almeno un sorso, dopo la guerra. Cosa c’entrava con i problemi di Hermione? Doveva trovare Malfoy. No, doveva trovare Hermione. Si fermò. Con chi doveva parlare prima? Doveva affrontare il Serpeverde e permettergli di spiegarsi? Doveva informare Hermione e permetterle di infuriarsi con il diavolo biondo? Voleva mettere zizzania fra i due? Hermione era felice. Non aveva più avuto crisi. Guardava Malfoy come se fosse lui il salvatore del mondo magico (e non il non più suo Harry), però non poteva non dire niente a nessuno. O si? Poteva?
Camminò velocemente verso la sala comune. Quando entrò dal ritratto, si guardò intorno cercando Hermione. Ma lei non c’era. Era un segno? Era giusto così?
Si guardò ancora intorno e vide Harry e Ron che giocavano a scacchi magici.
Harry era un tesoro: Ron vinceva quasi sempre a scacchi, infatti nessuno voleva giocare con lui, ma Harry non gli diceva mai di no. Sorrise vedendoli.
Si avvicinò e Harry le sorrise quando si sedette fra di loro. Ginny non rispose al suo sorriso.
Avrebbe voluto farlo, ma si sentiva ancora in trappola. Da un lato la voglia di saltargli addosso e perdonarlo per non aver avuto fiducia in lei, e dall’altra la consapevolezza che la prossima volta che avrebbero avuto un problema, sarebbe stato uguale e non avrebbero risolto niente. Sospirò e decise di salvare Harry, metaforicamente, da Ron.
“Ron posso parlarti?” chiese a mezza voce. Harry la guardò meravigliato e lei gli rivolse uno sguardo di scuse. Per questo poteva farlo senza rimetterci la faccia. Harry annuì, campò una scusa stupida e molto creativa e si dileguò verso i dormitori. Ron si voltò verso di lei, mentre sistemava i pezzi sulla scacchiera.
“Giochi?” le chiese, ma lei storse la bocca.
“No.”
Non le piaceva perdere contro Ron, esattamente come a tutti gli altri. Ron sbuffò.
“Allora non so se voglio parlare con te. Mi devi ancora metà sacchetto di dolci” dichiarò il ragazzo e Ginny sbuffò. Si mise al posto di Harry e mosse un pedone. Un pedone a caso perché sapeva che a Ron avrebbe dato fastidio.
“Ancora questa storia?” disse la ragazza. Non lo aveva imbrogliato. Non del tutto. E non più del solito.
Ron scosse le spalle e iniziò la partita anche lui.
“Dimmi” le disse, muovendo la torre.
Lei, improvvisamente si imbarazzò. Poteva chiedere a suo fratello se avesse messo incinta Camille? E c’era un modo carino per chiederglielo? Sperava ancora che non fosse lui. Camille aveva parlato di una volta sola. E con la schiera di ragazzine di Ron, poteva essere. Ma aveva anche detto, se non ricordava male, che non era stato un granchè. L’ultima cosa che voleva sapere era se suo fratello a letto fosse un disastro. Tossì per schiarirsi la voce, ma le venne malissimo.
“Sei andato… cioè, hai fatto qualcosa…. in quel senso…. con qualche ragazza Serpeverde?” bisbigliò. Pensava che buttandola giù così invece che diretta, sarebbe stato meno imbarazzante. E invece no. Era imbarazzante comunque.

 

Ron sentì le orecchie scaldarsi. Perché Ginny gli faceva una domanda del genere? E cosa avrebbe dovuto rispondere? Mentire? Dire la verità? Sì, cara Ginny, ho baciato una bellissima Serpeverde, ma poi ho scoperto, proprio da te, che è fidanzata, e non ho guardato più nessun’altra, perché non riesco a togliermela dalla mente.

 

Ginny vide il fratello impensierirsi e notò che gli si arrossarono le orecchie. Gli succedeva sempre quando era in imbarazzo. Merlino! No. NO. NO!!!! Non poteva essere.
Poi lui disse: “Non capisco cosa intendi”. Non aveva funzionato la parte non diretta. Ok. Sarebbe stata diretta.
Ginny si fece più vicina sussurrando: “Intendo: hai per caso scopato senza protezione con una quindicenne che ora potrebbe essere incinta?”
Ron spalancò gli occhi al tono duro della sorella. Scosse la testa. “No.”
“Sei sicuro?” rimarcò la sorella.
“Sì” rispose, sicuro, lui.
Ginny sospirò. Bene. Uno di meno. Si guardò intorno. Erano tanti comunque, i ragazzi Grifondoro. E storia o non storia, Camille era incinta di uno di loro. Sospirò di nuovo.
Si voltò di nuovo verso il rosso e gli chiese: “Con chi sei stato? Anzi, aspetta, non dirmelo, non voglio saperlo. Facciamo così: stai lontano dalle mie amiche, ok?”

 

Ron annuì. Come se gli interessassero le sue amiche. Un attimo! Ma la Parkinson era una sua amica? Poteva chiederglielo? Avrebbe sospettato della domanda? Idiota, sì che avrebbe sospettato! Pensò.
Mosse il cavallo in una posizione orribile e sconveniente, infatti dopo sole quattro mosse Ginny gli diede scacco matto. Lei ghignò. Non glielo avrebbe mai fatto scordare. Per almeno vent’anni. Ma poi sorrise dolce come la mamma, fece il giro del tavolo e lo abbracciò da dietro.
“Grazie. Sei un gran fratello, sai?” sussurrò al suo orecchio.
Oh, pensava l’avesse fatta vincere apposta?

 

***

 

Il mattino dopo Ginny scese a colazione con Latonya Cooper, una delle sue compagne di stanza, che insistette per seguirla fino al posto vicino a Ron e Harry. Non aveva visto Hermione, né nel corridoio del dormitorio né in camera sua. Aveva pensato che fosse già in sala grande, invece non c’era.
“Dov’è Hermione?” chiese mentre si sedeva di fronte ai ragazzi.
“Ciao Ron” Latonya salutò solo il rosso. E con un gran sorriso. Ginny si voltò verso di lei. Ecco perché aveva voluto scendere insieme. Sbuffò. Almeno non aveva salutato Harry con quello sguardo. Altrimenti avrebbe dovuto lanciarle una fattura Orcovolante. Ron alzò lo sguardo dal piatto e le fece un cenno con il capo.
“Cooper” la salutò.
Poi si voltò verso Ginny e le rispose: “Pensavamo fosse con te”.
La rossa scosse la testa. Stupendo. Aveva passato la notte con il Serpeverde? Si voltò verso il tavolo dei verdeargento e cercò Malfoy. Lo vide quasi subito. Lui la guardò alzando un sopracciglio. Ma se lui era lì… Dov’era Hermione?
“Non c’è neanche la Parkinson” disse Harry, casualmente. Si girarono verso di lui. “Dici che sono insieme?” chiese Ron. Harry scosse le spalle.
“Era una constatazione. Non so dove siano. Nessuna delle due” Ginny non prestò molta attenzione ai ragazzi, lei sapeva benissimo dove fosse Pansy, voleva sapere dove fosse Hermione.
Si alzò e andò al tavolo dei Serpeverde e si sedette di fronte a Malfoy, vicino a Zabini.
“Buongiorno, piccola Weasley, accomodati pure. Gradisci una tazza di te?” le disse Malfoy, ironico. E Ginny sarebbe stata al gioco, se non fosse stata preoccupata. Lanciò un occhiata a Zabini, che le fece un cenno con il capo e riprese a mangiare, e si rivolse al biondo: “Dov’è Hermione?”

 

Draco alzò subito la testa dal piatto. Perché lo chiedeva a lui? La rossa dovette leggergli in viso perché continuò: “Era con te, ieri sera?” Lui scosse la testa.
“No, ci siamo visti nel pomeriggio. Ieri sera aveva la ronda. Era stanca e mi ha detto che sarebbe andata direttamente a letto. Cos’è successo?” le chiese, con una calma che era ben lungi dal provare. Era successo qualcosa a Hermione? Il suo petto si riempì di una nebbia grigia. La teppistella scosse la testa.

 

“Non lo so. Non l’ho vista stamattina” rispose Ginny.
Si girò per cercare Calì o Lavanda, ma non le vedeva. A chi poteva chiedere? Meglio chiedere a qualcuno dei prefetti. Magari a qualcuno che avesse fatto la ronda la sera prima.
Vide Hannah Abbott che entrava in sala grande: lei era un prefetto. Si alzò senza degnare il Serpeverde di altra attenzione e andò incontro a Hannah.
“Hannah, Hannah” la chiamò. La moretta si girò verso di lei. “Ciao, ieri eri alla ronda?”
“No, ma c’era Ernie” rispose lei indicando Ernie MacMillian, già seduto al tavolo a fare colazione. Ginny la ringraziò e corse da lui. Ernie si spaventò quando la rossa si sedette di fianco a lui.
“Ginny, buongiorno” la salutò lui.
Ma Ginny non aveva tempo. Fra non molto sarebbero iniziate le lezioni.
“Ernie, scusa, eri alla ronda dei prefetti, ieri?” gli chiese, un po’ frettolosamente e lui la guardò curioso.
“Sì.”
“E hai visto Hermione?” domandò la rossa, ancora. Lui annuì.
“Abbiamo fatto la ronda insieme” rispose.
Ginny sospirò. Oh, la. Bene.
“Dopo è andata via con Goldstein” continuò il ragazzo. Con Anthony? E dove erano andati?
“Con chi?” chiese una voce alle loro spalle.
I due ragazzi seduti si girarono di colpo, alla domanda di Malfoy, che doveva aver seguito Ginny. La rossa sorrise, mentre si alzava.
“Cerco Anthony. Grazie, Ernie” disse prendendo Malfoy per la manica.
“Perché è andata via con Goldstein?” chiese il biondo, ma parlava da solo. Ginny gongolò.
“Perché è molto carino?” domandò con un ghigno divertito. Lui la guardò con uno sguardo glaciale e Ginny quasi si pentì di averlo detto. Quasi. Doveva ancora risolvere la questione della pozione. Ma prima dovevano trovare Hermione. Anthony Goldstein entrò in quel momento nella sala grande e Ginny allungò il passo verso di lui.
“Anthony!”lo chiamò a gran voce. Il ragazzo si voltò e si fermò.
“Ciao Ginny…” iniziò, ma lei non gli diede tempo di dire nient’altro.
“Tu sai dov’è Hermione?”
Il moro annuì e disse sottovoce: “È in infermeria: ieri, dopo la ronda abbiamo beccato un ragazzino con degli scherzi esplosivi e lei si è fatta male a un polso”.

Ginny sgranò gli occhi. Perché lei non lo sapeva? Perché a Hermione non piaceva far sapere le sue cose. Avrebbe dovuto saperlo, ormai.
“Oh, Merlino! Ma sta bene?” chiese, preoccupata e Anthony annuì.
“Madama Chips le ha aggiustato il polso, ma ha detto che avrebbe potuto uscire stasera, perché l’osso deve rimarginarsi, o qualcosa così…”
Malfoy, che aveva sentito a poca distanza, si girò subito verso le scale e Ginny brontolò perché, dopo aver salutato Anthony, avrebbe dovuto correre per raggiungerlo.

 

Draco camminava velocemente. Goldstein aveva detto che stava bene, ma lui voleva vederla con i suoi occhi. La piccola teppistella gli trotterellava dietro, aveva le gambe corte, lei.
Quando raggiunsero la porta dell’infermeria, la prima ora di lezione era già iniziata.

 

Ginny camminò verso l’ufficio di Madama Chips, ma quando raggiunse il letto dove aveva lasciato Pansy la sera prima, con sua sorpresa vide anche Hermione.
“Oh!” Si stupì. Che scema. Se erano tutte e due in infermeria, era logico che sarebbero state vicine. “Hermione! Cosa è successo?” chiese all’amica e poi si voltò verso la Serpeverde e la salutò.
Pansy alzò la mano per salutarla. Malfoy andò a sedersi sul letto di Hermione e le prese la mano non fasciata. Le chiese qualcosa e poi la baciò. La rossa alzò gli occhi al cielo. Poi fece una smorfia in direzione dell’altro letto, ma Pansy sorrise. Le fece cenno di sedersi accanto a lei e si sedette.
Hermione raccontò una versione concisa di quello che le era successo e confermò ciò che aveva detto Anthony. Avrebbe passato la giornata in infermeria. Però l’aveva presa bene, notò Ginny.

 
Draco disse qualcosa a Hermione e poi chiese a Pansy come mai fosse lì anche lei.
“Oh, ho qualche linea di febbre. Qualcuno…”, guardò verso la Weasley, “pensava che non sarei riuscita ad arrivare nella mia stanza” spiegò. La rossa sbuffò.
“Deliravi e non capivi quello che ti dicevo…”

 

Ginny sbuffò. Nessuno che ringraziava mai. Pansy le sorrise e le accarezzò un braccio.
“Hai ragione, ok? È che quella megera dice che devo rimanere qui finché non va via la febbre. E stamattina ce l’avevo ancora. Mi ha dato quell’intruglio disgustoso… devo ancora scrivere a William e non posso usare l’inchiostro, qui…” tentò di spiegare.
“Se per una volta non scrivi al tuo fidanzato, non succede niente” sbottò ridendo la rossa.
Hermione e Malfoy chiesero insieme: “A chi?” Pansy rise.
“Ginny sta un po’ esagerando. Si è inventata un mio fidanzato” spiegò.
“Beh, no. William te lo sei inventato tu” si difese. La Serpeverde rise ancora.
“Non mi sono inventata William: lui esiste. È solo che non è così interessante come te l’ho descritto. Ma non dirlo a nessuno, ok? Meglio che rimaniamo alla nostra versione originale.”
“William? William White? Il consulente di mia mamma?” chiese Malfoy. Pansy annuì.
“È anche il nostro consulente, adesso” spiegò la Serpeverde.  
“Ma è vecchio!” Malfoy aveva una faccia strana, secondo Ginny. Pansy annuì ancora “Ma noi abbiamo deciso che lui è… com’è Ginny?” chiese girandosi verso la Grifondoro e lei rispose: “Giovane, biondo, con gli occhi blu”.
“Biondo?” chiese Pansy pensierosa. “Mi sa che hai aggiunto qualcosa dall’ultima volta…”
La rossa ammiccò e disse: “E aggiungerò qualcosa la prossima. Così da confondere chi osa troppo” rispose e ammiccò all’indirizzo della mora.

 

Draco si fece serio e chiese sottovoce: “Nott ti ha ancora dato problemi?”
Pansy s’irrigidì, scosse la testa ma guardò da un’altra parte.
Qualche settimana prima, Nott ci aveva provato con Pansy e lei l’aveva scansato in malo modo. Doveva essere successo qualcos’altro, perché Draco aveva sentito Nott parlare di ‘altre volte’. Ma lui non era sicuro di cosa fosse successo e Pansy non si confidava con lui. Una volta lo faceva. Ci pensò un attimo. Forse no, non l’aveva mai fatto veramente. La guardò e si domandò cosa nascondesse, ancora.
Molte cose lui le aveva scoperte dopo tanto tempo. Di sua sorella, di sua madre. Draco aveva raccontato un bel po’ di cose a Pansy in quegli anni che erano stati vicini, ma lei difficilmente si era aperta con lui. Se ne rese conto in quel momento. Aveva creduto per anni che lei gli morisse dietro e invece…

 

“Ragazzi! Cosa fate qui? Le lezioni sono già iniziate!”
Tutti si girarono verso una Madama Chips arrabbiata, con le braccia piegate e le mani appoggiate sui fianchi. Malfoy si alzò in piedi per campare qualche scusa, ma Ginny fu più veloce e disse: “Stamattina la prima ora è un’ora buca, Madama Chips. Abbiamo Erbologia, ma la professoressa Sprite è andata…”
“A Londra. Sì lo so” rispose la guaritrice, guardandola cercando di capire se dicesse o meno la verità.
Ginny le fece il suo faccino da ‘Mamma guarda me che sono la più brava di tutti’ che aveva perfezionato negli ultimi diciassette anni e Madama Chips se ne andò borbottando.
Alla prima ora Ginny aveva babbanologia, cosa avesse Malfoy lo ignorava (e non poteva fregargliene di meno). I tre ragazzi si girarono verso di lei.
“Fai paura. Davvero” disse Malfoy. Ginny si girò verso Hermione e Malfoy e ghignò.
“Grazie” disse, inchinandosi.
“Non era un complimento!” esclamò Hermione.
Ginny sventolò una mano in aria, dicendo: “Per me sì”, e chiuse lì la questione.
Rimasero ancora un po’ a chiacchierare e poi Ginny si alzò dicendo che la seconda ora aveva Trasfigurazione e non poteva mancare, in quanto la McGranitt la teneva d’occhio.
“Chissà come mai” disse Hermione sorridendo.
Se ne andò e lasciò lì Malfoy. Che se la vedesse lui, adesso con la sua ex e la sua attuale ragazza, pensò ghignando. La storia della pozione l’avrebbe rivelata a Hermione nel pomeriggio, quando sarebbero state da sole.

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Capitolo 19
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Harry e Ron entrarono in infermeria subito dopo l’ultima lezione del mattino, prima di andare a pranzo. Ginny li aveva informati di quello che era successo e decisero di andare insieme a trovare l’amica.
Hermione stava ridendo e chiacchierando con qualcuno che loro non vedevano, perché era coperto dalla tenda che separava i letti, aperta solo per metà. Quando furono vicini, scoprirono che era la Parkinson e che le ragazze stavano giocando a scacchi magici.
Hermione aveva una mano ferma fasciata su un pezzo di legno. La scacchiera era appoggiata su una sedia che divideva i due letti. Ron guardò con curiosità le due ragazze e Harry sorrise a tutte e due.
Il sopravvissuto si sedette sul letto di Hermione, allungandole un sacchetto di gommose. La riccia sorrise contenta e ne offrì a tutti, Parkinson compresa, ma questa rifiutò dicendo che non mangiava dolci.

 

“Come mai anche tu in infermeria?” chiese Ron direttamente alla Serpeverde, rimanendo in piedi fra i due letti. Lei alzò lo sguardo su di lui e disse semplicemente: “Mi tengono rinchiusa”.
Hermione ridacchiò  e disse: “Non è vero. Lei ha la febbre”.

 

Pansy sbuffò e si passò una mano fra i capelli. In che stato erano? Si guardò intorno: non c’era neanche uno specchio in quel postaccio. E lei era in camicia da notte. Camicia da notte e un golfino disgustoso.
Guardò il rosso di sottecchi. Avrebbe dovuto immaginare che gli amici della Granger sarebbero venuti a trovarla. Sospirò. Doveva smetterla di pensarci.

 

“Buon pomeriggio gente, avete già mangiato?”
Ginny arrivò con entusiasmo e carica di appunti. Salutò tutti. E il suo sguardo si fermò un po’ di più su Harry. Avrebbe dovuto parlare anche con lui.
Harry la salutò e lei appoggiò ciò che teneva fra le braccia sul letto della Serpeverde. “Zabini dice che oggi avevate in comune solo Incantesimi e Storia della magia. Il resto dovrai fartelo passare da qualcun altro. E lui verrà comunque nel pomeriggio.”
Pansy prese il malloppo di pergamene e li sfogliò velocemente.
“Grazie Ginny, sei stata gentilissima” la ringraziò Pansy.
La rossa scosse in aria una mano dicendo: “Oh, ma io lo sono sem…. aspetta. Cos’è quella cosa orribile che hai addosso?”, e lanciò uno sguardo preoccupato a un manufatto artigianale in sottile lana rosa che le stringeva il petto e le gonfiava le tette in una maniera divina, pensò Ginny.

 

Pansy abbassò lo sguardo e s’imbarazzò.
“Oh, ho provato a farmi mandare in camera da Madama Chips, dicendo che la mia camicia da notte era troppo leggera per stare qui. Ma non ha funzionato, ha tirato fuori questo coso dal suo armadio e mi ha detto di indossarlo, nonostante sia evidentemente troppo piccolo” spiegò. Ginny la guardò confusa.
“ Ma la tua camicia da notte ieri andava bene…”

 

Hermione rise e disse: “Sì, ma l’abbiamo un po’ modificata… Ma non c’è stato verso. Non l’ha lasciata andare via. Ora si ritrova con una camicia da notte troppo succinta e un golfino di dubbio gusto!”
Ginny continuò a guardare l’amica. Si erano divertite eh? Hermione che usava la magia in maniera non convenzionale? Carino. I Serpeverde avevano un buon effetto su di lei.
“E usare un po’ di magia? Rimettere a posto la camicia? O un colore più carino per il golfino? O allargarlo un po’?” propose la rossa.
“Ci ha portato via le bacchette, così ‘non facciamo più danni’…” disse la Serpeverde, imitando l’infermiera. “Ha già detto che prima di domani non mi fa uscire”, poi si voltò verso la riccia “stasera avrei avuto la ronda, dovresti chiedere a qualcuno di sostituirmi” Ginny che non aveva ascoltato tutto il discorso la stava ancora guardando.
“Se te lo sistemo io, prima me lo fai provare?” le chiese Ginny e Pansy spalancò gli occhi.
“Perché vuoi provarlo?”
“Perché voglio vedere se anche a me fa delle tette belle così!” esclamò in risposta. La mora spalancò gli occhi.

 

Ron si era incantato a guardare la Serpeverde, quando le aveva rivolto la parola e non aveva ascoltato niente di quello che si erano dette le ragazze. Forse qualche parola gli era arrivata al cervello, ma non riusciva veramente a ricordarsi quale.
Un orribile golfino rosa, fasciava il seno della mora in un modo che toglieva tutto all’immaginazione. I bottoni davanti tiravano la lana perché quel coso era troppo piccolo e il tessuto la fasciava così stretta che riusciva a distinguere benissimo la forma rotondeggiante di tutto. Sarebbe stato favoloso appoggiare le mani proprio lì davanti, sull’orribile lana rosa, dove tutto dava l’impressione di confortevole morbidezza. Come sarebbe stato farlo davvero? Gli prudevano le mani.
Ron aveva sentito nominare una camicia da notte succinta (doveva essere stata Hermione, visto che sembrava l’unica a usare quella parola). Se avesse sbottonato quei tre bottoni, cosa avrebbe trovato sotto? Pizzo? Iniziò ad agitarsi.
Poi, improvvisamente, mentre fantasticava, il golfino divenne verdeargento, più lungo, più largo, cambiò disegno delle maglie e i bottoni divennero una fila di bottoncini rotondi grigi. Il rosso non faticò a capire che era stata sua sorella a rovinargli il sogno a occhi aperti.
“Ok, te l’ho sistemato lo stesso, perché sono una buona amica” disse con rassegnazione la rossa. La Parkinson sorrise guardandolo.
“Ora è bello. Me lo porterò via” disse la Serpeverde.
Hermione si allungò a guardare e chiese a Ginny: “E la camicia? L’hai rimessa a posto?”
Sua sorella sorrise sorniona e rispose: “No. Metti caso che riceve visite questa notte…” e ammiccò in direzione della mora.
La Serpeverde sorrise imbarazzata e poi fece una faccia veramente triste, che però scomparve subito. Ron pensò quasi di esserselo immaginato.

 

***

 

Quel pomeriggio, Ron e Harry si ripresentarono in infermeria poco prima che Hermione uscisse. Lei si meravigliò della cosa e spalancò la bocca stupita.
“Ragazzi! Non vi aspettavo! Come mai siete venuti?” chiese, stupita.
Harry scosse le spalle, mentre Ron rispose: “Servirà mica un motivo per essere venuti da te, vero?” La riccia scosse velocemente la testa.
“No. No, stavo per venire in sala comune, comunque” rispose, ma lanciò un’occhiata verso la porta.
Entro poco sarebbe arrivato Draco a prenderla e non era proprio il caso che si trovassero lì tutti e quattro.
Harry si avvicinò al letto della Parkinson e sussurrò al suo indirizzo: “Speravo di incontrare Ginny…” La Serpeverde scosse la testa.
“Mi spiace, è già andata via. Ma dovrebbe essere in biblioteca, se vuoi provare” disse e il sopravvissuto la ringraziò.

 

Quando Malfoy entrò in infermeria, Ron fu il primo a vederlo. Sentì montare l’ira. Che cosa era venuto a fare? Perché era lì?

 

Harry lo vide subito dopo e si domandò la stessa cosa, ma rimase molto più calmo.

 

Hermione invece per un attimo ebbe proprio paura. Vide il viso di Ron trasformarsi e non sapeva cosa sarebbe successo. Purtroppo Draco non li vide finché non fu troppo vicino per andarsene con nonchalance, così quando sentì il rosso alzare la voce dicendo: “Cosa ci fai qui?”, le si spalancarono gli occhi in automatico.

 

Pansy vide la scena dal letto. Sentì Weasley arrabbiarsi nella sua domanda e vide gli occhi della Granger allargarsi fino a consumarle la faccia.
Stava cercando di attirare l’attenzione del biondo, ma lui, che era stato preso di sorpresa, continuava a fissare i ragazzi. Potter lo guardava a sua volta senza grossi problemi. Pansy l’aveva visto salutare Draco con un cenno del capo, ma poi non fu troppo sicura di averlo visto.
Così, disse ad alta voce: “Dra! Mi hai portato gli appunti di Aritmanzia?”
Tutti e quattro si girarono verso l’unica occupante di un letto, ma lei non tolse l’attenzione dal compagno di casa.

 

Hermione sospirò in silenzio. Harry aveva il solito sguardo. Draco aveva imitato la Parkinson mentre gli faceva cenno di annuire e Ron… La faccia di Ron sarebbe stata perfetta per i due Serpeverde, due anni prima: era ancora arrabbiato. O forse di Più.
“Ma tu non fai Aritmanzia!” esclamò infatti il rosso verso il biondo. Draco si riprese subito.
“Certo, troll, che seguo Aritmanzia. Solo perché tu non la capisci, non vuol dire che altri non la possano fare!” lo offese Draco.
Ron si innervosì ancora di più.

 

Pansy fece cenno con la mano a Draco di avvicinarsi e quando lo fece, lo obbligò a sedersi sul letto. Osservarono in silenzio gli altri che si allontanavano, ma prima di andarsene, sia Weasley che la Granger, in due momenti diversi, si girarono verso di loro: Wealsey aveva uno sguardo da far invidia a un basilisco, mentre la Granger, che aveva guardato lei, aveva mimato ‘Grazie’ sulle labbra e aveva fatto loro un cenno di saluto.

 

“Loro non lo sanno?” gli chiese Pansy e lui la guardò senza dire niente “Dovreste risolvere questa cosa…” Draco scosse le spalle.
“Lo so. Ma che ci posso fare? È lei che deve parlarne con loro e non posso obbligarla se non vuole” ammise il biondo.
Perché non glielo aveva ancora detto? Si vergognava di lui? O aveva intenzione di lasciarlo così presto che non valeva neanche la pena di informare i suoi amici? Draco strizzò gli occhi.

 

Pansy riconobbe quella faccia: era la stessa che faceva al sesto anno e non portava a niente di buono.
“Draco, sveglia!” gridò. Gli schioccò le dita davanti alla faccia e lo obbligò a guardarla. “Non pensare cose brutte…”
Lui fece un faccia strana e poi le chiese: “Hai la pozione, qui?”
“Sì, ma non prenderla. Ce la puoi fare” lo incoraggiò, ma lui aveva già frugato nella borsa dei libri e l’aveva tirata fuori.
“Zabini ti ha portato gli appunti?” chiese, spostando tutte le pergamene.
“Me li ha portati Ginny. A proposito…” iniziò lei, “Ieri, quando mi ha accompagnato qui, è successa una cosa strana…” si fermò indecisa per un attimo su cosa dire “Ginny, sì, la Weasley… lei… lei aveva già visto il boccetto, lo ha riconosciuto… ma è stato strano, non so se fosse perché avevo la febbre, ma lei mi è sembrata… sì, sconvolta, quando ha saputo cos’era…”
Draco alzò lo sguardo dalla boccetta ed esclamò, interrompendola: “Le hai detto cos’è?”
Pansy capì che era qualcosa che lo spaventava e quasi si vergognò quando annuì.
“Devo cercare Hermione” disse lui, alzandosi e procedendo a grandi falcate verso la porta.
La Serpeverde lo guardò andare via, senza capirci niente. Oh, come avrebbe voluto essere fuori di lì. Di sicuro non poteva andarsene senza la sua bacchetta, chiusa ancora nell’ufficio della Chips. Sbuffò. Aveva convinto l’infermiera a lasciarla andare a dormire nei sotterranei se non avesse avuto la febbre per tutto il pomeriggio e la sera. Sbuffò ancora. Non mancava molto.

 

***

 

Draco stava cercando Hermione in lungo e in largo quando, passando dalla sala grande, trovò la Weasley. Indeciso se affrontarla subito o no, fece finta di non vederla, ma quando vide con la coda dell’occhio il suo sguardo, tornò sui suoi passi.
“Piccola Weasley, dov’è Hermione?” Lei scosse le spalle.
“Non lo so” rispose. Lui inarcò un sopracciglio. La sua faccia era strana “Ok. Sì so dov’è. Ma non ti sarà d’aiuto: è nella torre Grifondoro con Ron e Harry”, e fece per andarsene.
“Dove vai?” le chiese.
“E a te cosa interessa?” Draco sospirò. Odiava quella ragazzina. Ringraziò ancora di non aver fratelli piccoli.
“Pansy mi ha detto che sai della pozione” ammise e la rossa tornò più vicino.

 

“Già. Una cazzo di pozione della pace. ‘Piton ha preparato la pozione per me’, ‘Dobbiamo usarne poca, che poi finisce…’ Perché non hai detto a Hermione la verità?” Ginny si era ripromessa di parlarne prima con l’amica, prima di chiedere qualsiasi cosa a lui, così si arrabbiò con se stessa per essere stata così impulsiva.
“Facciamo così” propose lui “andiamo tutti e tre nella stanza delle necessità e vi spiego tutto”, ma lei lo guardò incredula.
“Sì, certo, come no” disse ironica, “Io non voglio saperne niente. Veditela con lei”. E fece per andarsene ancora.
“Ferma. Vai a chiamarla” riprovò il biondo.
“No.”
“Ok, ci vado io e le dico che tu lo sapevi.”
Lei spalancò gli occhi. “Sei così stronzo che lo faresti davvero…”
“Già. Andiamo a chiamarla” concluse, prendedola per un braccio, senza farle male, ma spingendola con fermezza verso le scale.

 

La piccola teppista rossa si fece spingere fino al quadro della signora grassa. Lui disse che avrebbe aspettato lì che lei uscisse con Hermione. Lui non poteva andare da Hermione se lei era con Weasley e Potter. Non ancora.
Dopo dieci minuti pensò che la Wealsey l’avesse fregato. Dopo venti iniziò a irritarsi. Se non fosse uscita al più presto avrebbe fatto un casino. E stava ancora rimuginando sul fatto che Hermione non avesse detto ai suoi amici di lui.
Si guardò intorno, per vedere se qualche ragazzino Grifondoro poteva suggerirgli la parola d’ordine, quando le ragazze uscirono.
La piccola aveva un ghigno degno di un Serpeverde e Draco immaginò che ci avesse messo tanto tempo apposta.

 

Hermione non capiva cosa stesse succedendo. Era in sala comune con Ron e Harry quando era arrivata Ginny. Lei stava cercando di liquidare in una maniera carina i ragazzi per andare a cercare Draco, ma Ginny aveva iniziato a intrufolarsi nei discorsi, impedendole di andarsene.
Aveva provato a farle dei cenni, per farle capire le sue intenzioni, ma la rossa l’aveva ignorata intenzionalmente, secondo lei. Poi, a un certo punto, era riuscita a sbloccare la situazione e farla uscire dalla sala comune.
Fuori, c’era Draco ad aspettarle. Nessuno disse niente.
“Scusate… Ma cosa succede?” chiese, a tutti e due.
“Possiamo andare nella stanza delle necessità?” propose il Serpeverde. Lei annuì e si voltò verso Ginny che però non ricambiò il suo sguardo.

 

La stanza delle necessità fu aperta da Malfoy per la prima volta, ma era sempre la stessa. Entrarono tutti e tre, poi Hermione si voltò verso gli altri due e richiese: “Allora, che sta succedendo?”

 

Draco era ancora nervoso per la storia di Potter e Weasley, del fatto che avrebbero dovuto saperlo. Avrebbe voluto chiederle perché non li aveva ancora informati. E voleva farlo subito.
“C’è una cosa che devo chiederti e una che ti devo dire.”

 

Ginny tossì fiaccamente. “O confessare…” Il biondo le lanciò un’occhiata gelida ma lei non si scompose, andò verso il mobile bar, prese la bottiglia di Firewhisky (quello invecchiato, che dicevano fosse più buono), agguantò tre bicchieri tondi e portò tutto sul tavolino vicino alle poltrone. Allineò i bicchieri vicini e con un’unica versata li riempì tutti e tre (poi, però, pulì il tavolo con la bacchetta).
Hermione la guardò stranita e chiese ancora: “Ma cosa sta succedendo? Cosa fai, Ginny?” La rossa bevve metà bicchiere tutto in un sorso, si sistemò sulla poltrona e appoggiò i piedi sul tavolino.
“Voglio sentire cosa ti dice, lui. Soprattutto, cosa dice su di me” disse, indicando Malfoy con l’indice alzato della mano che reggeva ancora il bicchiere. La riccia si voltò di nuovo verso il biondo e decise di tagliare la testa al toro.
“Cosa devi chiedermi?” Ginny fece tintinnare il bicchiere quando lo riappoggiò.
“Fatti dire prima la cosa che ti deve confessare.”
Hermione alzò un sopracciglio verso Draco.

 

Draco era nervoso. “Non sono mica l’unico a dover confessare qualcosa!” replicò alla rossa.

 

Ginny lo guardò come se gli avesse sputato sulla scopa. Quel bastardo sapeva che lei non voleva dirglielo.

 

“Quindi?” Anche Hermione si stava innervosendo.
Cercava di capire cosa poteva essere successo, ma proprio non capiva. Perché erano così arrabbiati? E la storia delle cose da confessare? Per un attimo pensò che avessero una storia. Un brevissimo attimo. Ma poi l’allontanò dalla mente. Era stata Ginny a spingerla fra le braccia di Draco, non lo avrebbe mai fatto. Però… una fitta alla testa la prese alla sprovvista. Non era più capitato. Non da quando stava con lui. Non da quando sapeva come fare. Si portò una mano alla fronte, ma cercò di non far capire agli altri quello che stava succedendo.
“Allora? Facciamo che decido io?” chiese e guardò i ragazzi che continuarono a guardarsi in cagnesco.
Ginny annuì. Anche Draco. Ok. Da dove iniziare? Una cosa da chiedere e due cose da confessare. Sospirò. Sperò che il mal di testa non peggiorasse velocemente.

 

Hermione si voltò verso Malfoy e gli chiese: “Cosa devi chiedermi?”
A quella scelta, Ginny sbuffò. Lei era lì e Hermione iniziava da lui. Poi però ci ripensò. In fin dei conti non voleva dirle il suo segreto. Un po’ si vergognava e un po’ era irritante. Così stette zitta e si preparò ad ascoltare.

 

Draco, che aveva gli occhi delle ragazze addosso che aspettavano che parlasse, tentennò. Non era più così sicuro di volerglielo chiedere. Non davanti alla rossa. Così la guardò e lei dovette capire che era in imbarazzo, perché ghignò. Lo fece davvero.
Merlino! Era un Malfoy, non provava imbarazzo. Mai.
Gli era stato insegnato a fregarsene degli altri, perché lui era un purosangue. Ma gli era stato anche insegnato a non lasciar trapelare nessun sentimento.
Si avvicinò al tavolino e prese uno dei bicchieri. Lo scolò tutto e quando lo rimise giù disse ad alta voce, con tono piatto e senza guardare nessuno: “Perché i tuoi amici non sanno di noi?”
Ginny si tirò su, indignata. “E io chi sono? La figlia del Magonò?” Lui la ignorò.

 

Hermione non sapeva cosa rispondere. Era più di un mese che stavano insieme e lei non lo aveva detto a nessuno. Era vero. Nessuno lo sapeva.
“Non lo so” ammise. Si avvicinò anche lei al tavolino e prese il bicchiere rimasto. Ne bevve un sorso, ma le bruciò la gola. “Non lo so perché non l’ho detto a nessuno”, poi si girò verso Ginny. “Lo sai solo te…”
“Veramente, non lo volevi dire neanche a me” precisò la rossa. Hermione le lanciò uno sguardo offeso. “Scusa” borbottò la giovane Grifondoro e riprese il bicchiere. Poi la riccia si voltò di nuovo verso il Serpeverde.
“Ancora non so cosa siamo. Penso che sia un po’ presto. Che potresti cambiare idea e lasciarmi appena le cose saranno difficili…” E abbassò lo sguardo, vergognandosi di pensare una cosa del genere.

 

“Pensi che io possa lasciarti? Non lo farei mai!” Draco era stupefatto, perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
“Oh, sì gran belle parole, lo diceva anche Harry” sussurrò la Weasley, più a se stessa che a loro.
Il biondo si voltò verso la giovane Grifondoro. Si era bevuta tutto il secondo (o era il terzo?) bicchiere e se n’era già versato un altro. Così riportò l’attenzione su Hermione.
“Ho passato due anni a pensare a te. Tu non sai quanto sono stato male, quanto ti desideravo, quanto…”
“Ma nel frattempo ti scopavi Pansy…” La Weasley si stava rivelando un intralcio. Avrebbe dovuto lasciarla nella torre. Perché aveva insistito che venisse anche lei? In quel momento non si ricordava.

 

Hermione si girò verso Ginny. “Ginny, quanti bicchieri hai già bevuto?”
Dopo i commenti dell’amica le fitte alla testa erano peggiorate. E non sapeva per quanto tempo sarebbe riuscita a tenerlo nascosto. La rossa scosse le spalle. Vide Draco avvicinarsi al tavolino e spostare la bottiglia.
“Neanche tu l’hai detto ai tuoi amici. La Parkinson” continuò la riccia “mi ha detto che non glielo hai detto tu. E lei è l’unica che lo sa!”
Sapeva da sola che era una spiegazione che non stava né in cielo né in terra. Solo, non sapeva cosa dire. Non sapeva neanche lei perché non lo avesse detto a Harry e Ron. Anche se dopo la sceneggiata nell’infermeria, aveva sempre meno voglia di affrontare l’argomento con loro.

 

Draco sbuffò. “L’ho detto a Blaise. A chi altri dovevo dirlo?” Era una mezza verità. Non glielo aveva detto. Ma lei non poteva saperlo.
“Già, Hermione, mica è colpa sua se non ha amici. No, aspetta. Sì che è colpa sua!” La rossa si era versata un altro bicchiere. Doveva aver ripreso la bottiglia.
Draco la ignorò per dare la stoccata alla riccia: “E sarà un supplizio sopportarlo, quando mi lascerai”.

 

Hermione si innervosì. “Perché dici che ti lascerò io?” Malfoy fece una smorfia.
“Perché sei una perfettina. E se le cose non vanno come dici tu, non se ne fa niente. Mi mollerai come hai mollato le cose che non potevi sistemare. ”
“Un po’ sei perfettina…” Ormai nessuno dei due si curava più di Ginny.
“Io mollare? Ma come osi! Io ho vissuto per mesi nei boschi nel cercare una soluzione per distruggere Voldemort. Tu non sai neanche di cosa stai parlando! Io non sono una che molla tutto quando non va bene. Io faccio in modo che le cose vadano bene!” Fece una lunga pausa, bevve un altro sorso e continuò “Io ho sopportato gente come te dal mio primo anno qui. E sono ancora in piedi!” Hermione ebbe quasi paura di sprigionare della magia involontaria, tanto era furiosa.
“Dieci pari, Malfoy. Cerca il boccino, adesso” disse la rossa.
Ginny alzò un bicchiere come per brindare. Hermione le si avvicinò e le portò via il bicchiere senza dirle niente.

 

Draco incassò il colpo molto bene. “Sta di fatto che ti vergogni di stare con me…”
“Non l’ho mai detto!”
“Ma da come ti comporti si capisce benissimo”. Lui adesso aveva una faccia da unicorno bastonato.

 

“È il caso che io vada” disse Ginny, che si alzò, ma barcollò.
“SIEDITI!” gridarono in coro gli altri due. L’unica cosa su cui erano d’accordo.
Ginny sbuffò e si risedette. Non sarebbe comunque riuscita ad andare da nessuna parte.
Sentì Malfoy dire che Hermione era una sotuttoio capricciosa e incontentabile. Hermione gli rispose quanto lui fosse viziato e abituato ad averla sempre vinta. I due ragazzi continuarono a insultarsi apertamente. Se avessero tirato fuori le bacchette ci sarebbe stato da divertirsi, pensò la rossa. Aveva afferrato il bicchiere abbandonato da Hermione, che era ancora mezzo pieno, e lo guardò.
“Ehi, basta. Rimaniamo qui fino a domani, cosi. Vi siete detti abbastanza, no? Perché adesso non confessi l’altra cosa?” Ammiccò verso Malfoy. In fin dei conti era l’unico motivo per cui lei si trovasse lì, dopo poteva andarsene. Ma quello non voleva perderselo.

 

Draco si zittì subito. Hermione si sarebbe arrabbiata anche per la pozione? Lui non si era aspettato una reazione del genere per il fatto che non avesse raccontato di loro ai suoi amici (e pensava ancora di avere ragione!) ma su una cosa che sapeva benissimo di essere nel torto?
“La pozione che ti ho fatto bere…” si bloccò quasi subito.

 

A Hermione era passato il mal di testa. Non era sicura di come fosse possibile. Perché in teoria dopo una litigata del genere, avrebbe dovuto stramazzare al suolo dolorante. Ma neanche a lui era successo.
“La pozione cosa?” Si sentiva cattiva. Lui stava confessando? Doveva lasciarglielo fare? Doveva dirgli quello che sapeva? Dopo tutto quello che le aveva detto, lui si meritava di soffrire un po’. Ma non era nella sua natura e si arrese. “È una pozione della pace, giusto?” Vide Draco strabuzzare gli occhi, sorpreso e lanciare uno sguardo a Ginny. Ma la rossa alzò le mani mostrando i palmi e disse: “Non gliel’ho detto io. Non ho ancora avuto l’occasione”.
Oh, lo sapeva anche Ginny?

 

“Chi te l’ha detto?” Draco era stupefatto. Chi era stato a dirglielo? Pansy? E perché avrebbe dovuto? Si sentiva così in colpa quando gli aveva fatto sapere di averlo detto alla Weasley. Chi altri lo sapeva? Provò a pensarci ma non gli venne in mente nessuno. Nessuno che lo potesse sapere. Piton era morto.

 

Hermione si sentì offesa. Come chi glielo aveva detto? Doveva essere stato per forza qualcuno? Così lo chiese ad alta voce.
Ginny la guardò. “Cosa vuol dire?”
Hermione si girò di nuovo verso il biondo. “Non esiste un incantesimo, neanche di magia oscura, che continui a far danni a una persona vivente, dopo la morte di chi l’ha invocato. Così mi sono informata. In biblioteca” precisò, prima che uno di loro potesse fare battutine sul suo luogo abituale di informazioni.

 

Draco la guardò ancora più stranito. “È una magia che viene dalla mente di chi riceve l’incantesimo. Si chiama ‘Blocco della mente’ o ‘Negazione della memoria’. Succede quando ti viene inciso sulla pelle qualcosa contro la tua volontà” spiegò lei. Si ritrovò ad annuire inconsapevolmente.

 

Ginny si alzò ancora instabile ma convinta. “Quando la Umbridge scrisse sulla mano di Harry ‘non devo dire bugie’, a lui non successe”. Hermione si voltò verso Ginny, le andò vicino e la fece sedere.
Si inginocchiò davanti a lei e spiegò: “Perché Harry sapeva di non meritarselo. Non aveva detto bugie”. Ginny annuì. Lei si alzò e continuò, tornando verso Draco. “Ho fatto delle ricerche. Ho scoperto che è un male che ti provochi da solo. Quando pensi di meritarti quello che ti è stato fatto, la tua mente si ingarbuglia. Provi emozioni forti come la vergogna, la paura e ti senti inadatto…” Lui annuì, ma non la guardò. “E la magia della tua mente circola nel corpo, da sola senza che tu ne abbia controllo. Un po’ come la magia involontaria dei bambini, ma questa provoca danni dentro di te. A me, la scritta MUDBLOOD sul braccio, ricordava l’odio di Bellatrix per noi nati Babbani e il disprezzo dei maghi più potenti, mi sentivo inferiore, inutile, inadatta appunto…” Ginny fece un verso strano.
“Tu?” le chiese e Hermione annuì, guardandola. Questa volta Ginny si alzò e riuscì a camminare fino a raggiungerla: l’abbracciò forte. “Non devi mai, mai, mai pensare una cosa del genere. Sei la strega più in gamba che io conosca. Hai tirato fuori dai guai mio fratello e Harry così tante volte che non potranno mai ricambiare. E neanch’io. Sei l’unica di cui io mi fidi per sapere qualcosa, molto più di qualsiasi professore o libro in biblioteca. Sei super. Non scordarlo mai”.

 

Hermione si commosse. “Adesso infiliamo questo ricordo in una fialetta, così, tutte le volte che starò male, lo rivivrò e mi passerà tutto”.
“Non starai più male. Farò in modo che non succeda più” disse la rossa, staccandosi da lei.
La Grifondoro sorrise. Poi si voltò verso Draco. “Quello che non so, è perché stessi male anche tu…” O perché tu stia male ancora.

 

Draco non rispose subito.
“Non volevo il marchio. Non volevo far parte del suo clan. Odiavo mio padre perché mi ci aveva costretto e perché credeva fermamente in lui. Il Signore Oscuro era diventato più importante di noi, di me e di mia madre. Ma pensavo anche che non avrei potuto fare nient’altro. Mi sembrava di non valere niente e volevo dimostrare a mio padre che ero quello che voleva lui. Quando poi Voldemort mi diede l’incarico di uccidere Silente solo per fare un dispetto a mio padre, andai giù di testa. Odiai tutto e tutti. Avevo incubi e crisi. Lui pensava che non ci sarei riuscito e io lottavo contro il non volerlo fare e fargli vedere chi ero.
“Piton aveva capito. Ma non poteva aiutarmi che così. Mi passò la pozione, mi disse cos’era e quanto ne potevo prendere prima di cadere in catalessi. Quando non potevo più prenderla, bevevo. E Pansy. Lei mi ha aiutato. Tantissimo. Nel modo…. di cui sapete anche voi. Non ce l’avrei fatta senza di lei. Davvero. Ma pensavo che lo facesse perché era innamorata di me.”

 

Hermione non voleva ascoltare la parte sulla Parkinson, ma chiese lo stesso: “Non era innamorata di te?”
“No”, questa volta parlò Ginny. “La madre della Parkinson voleva che sposasse Malfoy, così le ha detto di essere carina con lui in tutti i modi possibili”.

 

Draco annuì. Era un po’ imbarazzante. Lui era convinto di averla usata, e invece, qualche mese prima, aveva scoperto che era stata lei a usare lui.
“Sai, sua madre era un po’... eccentrica” disse ancora la Weasley e Hermione annuì senza capire molto.
“E poi, cos’è successo? A voi, intendo” gli chiese ancora la riccia. Draco scosse la testa: non sapeva bene quella parte della storia.

 

Ginny parlò direttamente al Serpeverde. Non si rendeva conto di parlare a briglia sciolta. In fin dei conti era la sua prima vera sbronza.
“Lei ti vuole bene. Ma non è mai stata innamorata di te. Il suo smalto diventa giallo quando è vicino a te. A me succede quando sono vicino a Neville. Due anni fa i tuoi non erano più i favoriti di Voldemort e sua madre voleva obbligarla a rifare lo stesso giochino con un altro. Ma lei si è rifiutata ed è rimasta con te contro il suo parere. Capiva che non stavi bene e avevi bisogno di aiuto.
“Poi, l’anno scorso, quando non sei venuto a scuola, sua madre ha insistito perché trovasse un altro. Non ho ben capito chi abbia scelto Zabini, se lei o sua madre, ma lui aveva capito la situazione, così stette al gioco” Ginny sospirò. “Merlino. Penso di aver bevuto troppo. Non riesco a smettere di parlare…”
Hermione, stufa di quel discorso pesante, sorrise sorniona all’amica. “Quindi posso chiederti qualsiasi cosa?”
“Oh, Hermione, per essere il futuro Ministro della Magia, sei un po’ troppo spiritosa” le rispose Ginny, lasciandola di stucco.
Si sedette e si appoggiò allo schienale della poltrona, chiudendo gli occhi, mentre Hermione si accomodava su un’altra poltrona.

 

Draco, che non aveva detto niente, si sedette anche lui sulla poltrona rimasta vuota e bevve un sorso di Firewhisky. “Ministro della Magia?” chiese. Ginny aprì gli occhi.
“Sì, l’ho visto al quarto anno, quando facevo Divinazione. Ma ho visto anche un bambino con gli occhi di Harry correre sul tappeto della Tana, quindi non so se quello che ho visto è giusto…”
Per un po’ nessuno disse niente, poi Draco decise di approfittare della rossa. “Allora, non devi confessare niente a Hermione, tu?” Ginny volse il capo e guardò l’amica.
“Giusto. Sai perché quel troll di Harry mi ha lasciato? Perché pensava che fossi andata a letto con il tuo ragazzo!” e detto questo, richiuse gli occhi e si addormentò.

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**** grazie a tutti quelli che leggono, commentano e seguono la mia FF!!!😘
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Capitolo 20
*** Partita a scacchi ***


Partita a scacchi magici

Pansy era serena. Aveva appena fatto il bagno più lungo che si fosse concessa in almeno quattro  anni, si era dedicata un sacco di tempo (non poteva fare nient’altro…) si era spalmata la sua lozione preferita e non sapeva quante altre creme e si era pettinata i capelli in due trecce. Non ci era mai riuscita. E per asciugarsi i capelli la Chips aveva dovuto restituirle la bacchetta. Che lei le non le aveva ridato. Era veramente una serata bellissima. Tornò verso il letto dell’infermeria in vestaglia e si bloccò un attimo quando vide Weasley che camminava nella sua direzione. Si incontrarono all’altezza del suo letto. “Ciao.” Balbettò lui. “Weasley. Sei malato?” Pansy sistemò sul comodino il nécéssaire per il bagno, mentre lui balbettava ancora “No, sono venuto a trovare  te.” Lei si voltò di colpo, per guardarlo. “Me?” “Si.”

Per un attimo nessuno disse niente. Ron la guardò. Non sembrava malata. Anzi. Aveva la pelle luminosa e liscia, si era fatta le trecce, che continuava ad accarezzarsi nervosamente, e profumava come l’estate. Mela e cannella. Di nuovo. Ron, pensò che quel profumo gli desse alla testa come se avesse fumato dieci canne tutte insieme. Chissà se, posando le labbra sul suo collo avrebbe potuto sentirne anche il sapore. Gli girò la testa. Lei gli prese una mano chiedendo “Sicuro di non essere malato?” Lui annuì.

Pansy lo fece sedere sulle coperte. Non era sicura che stesse benissimo. Perché era venuto a trovarla? La mora si morse il labbro per non chiederglielo. Era meglio non farlo. Già il fatto che fosse lì, era strano. E straordinario. Sorrise. No. No. Non doveva essere così. Lui non doveva venire da lei. E lei non avrebbe dovuto essere così felice perché lui lo aveva fatto. Non andava bene. Sarebbe  stato difficile dire di no ancora. Si girò di scatto. Non doveva guardarlo.

“Sai, non sembri malata.” Lei si voltò di nuovo verso di lui, sorridendo “Ti ho detto che mi tengono qui contro la mia volontà.” Sorrise anche il rosso “Oh, dubito che sia vero. Non faresti qualcosa che non vuoi.” Doveva aver detto qualcosa di sbagliato perché gli occhi della ragazza divennero lucidi e il suo viso assunse una strana espressione. “Magari fosse così.” “Co..me?” Lei scosse una mano in aria, e poi si sedette sul letto, vicino a lui. “Niente. Tua sorella?” Ron scosse le spalle “Non lo so. E la tua?” lei sorrise “Uguale. Non lo so. E’ di nuovo arrabbiata con me. Non la vedo da quando Ginny mi ha portato qui. Uno o due secoli fa.” Ron si guardò intorno. “Dai che non si sta male.” Non ti ho mai visto così bella. Lei alzò le spalle. “Fra un’ora devo provare la febbre. Se non ce l’ho, e non l’ho avuta tutto il pomeriggio, Madama Chips mi manda nei sotterranei a dormire.” Disse sorridendo. “Ok, allora aspettiamo un’ora. Che facciamo?” lei spalancò gli occhi. “Facciamo? Resti qui?” Voleva rimanere lì? Si. “Vuoi giocare a scacchi magici?” chiese lui.  La mora fece una faccia strana. Merlino! Non lo voleva li? Aveva sbagliato a dirlo? Ma poi la mora annuì. “Ok.”

“Perché non mangi dolci?” Per Salazar. E cosa doveva rispondere? Non voleva rispondere. “Perché non mi piacciono.” Lui alzò un sopracciglio e Pansy guardò da un’altra parte. Mosse l’alfiere e non alzò lo sguardo. Il rosso parlò, mentre faceva spostare la torre di destra “Ginny ha avuto il primo attacco di magia involontaria prima di me, nonostante sia più piccola. E se ne vanta.” Pansy alzò lo sguardo “Perché me l’hai detto?” Lui scosse le spalle “Così. E’ una cosa di cui mi vergogno. Non lo sanno neanche Harry ed Hermione. No, forse Ginny l’ha detto ad Harry.” Pansy osservò il viso del Grifondoro mentre guardava in alto, pensando. Era stato un pensiero carino. Ma…. Lei si morse il labbro. “Mia madre usava i dolci per convincermi a fare le cose che non volevo fare, quando ero piccola. Avrei preferito che la mia sorellina avesse fatto magie prima di me.” “Tu non conosci Ginny.” Pansy sorrise “Un po’ la conosco.” Fece un’altra mossa e il suo sorriso svanì. “Ti assicuro che è meglio che avere una madre come la mia.”

La voce della Serpeverde era triste. Forse perché sua madre era ad Azkaban. Ron si pentì di averglielo chiesto. “Scusa. Non dovevo insistere.” Lei lo guardò sbuffando.

“Smettila.” Weasley sgranò gli occhi “Smettere… cosa?” “Di essere così.” “Così?” “Si, così. Così educato, così gentile, così…” carino. Lui aveva una faccia sorpresa. Poverino. Lo stava facendo impazzire. Come spiegarglielo? “Così un bravo ragazzo?” Weasley sorrise sornione. Pansy non riuscì a rimanere seria. “Quanto sei Troll...” rise. Poi guardò la scacchiera, fece una mossa e disse più seria “Scacco.”

Ron fu ancora più sorpreso. “Cosa?” abbassò lo sguardo. Scacco davvero. Valutò qualche opzione, ma poi decise di mettere in mezzo la regina. “NO! Non puoi sacrificare la regina! Non si fa.” Lui alzò le spalle “Si può fare, se ne vale la pena.” “Ma hai poche possibilità di riuscita, se perdi la regina adesso...” Ron appoggiò una mano sulla sua “Calmati. E’ solo un gioco.” La mora lo guardò negli occhi e poi annuì. “Si, giusto. Solo un gioco.” “E poi vincerò io.” Lei si rianimò subito “E chi l’ha detto?” Con un colpo secco il suo alfiere troncò la regina di Ron. La Serpeverde ghignò “Adesso vediamo chi vince.” Ron sorrise. Così gli piaceva. Una bella sfida.

Dopo un quarto d’ora, stavano ancora giocando. E lui aveva perso la regina. Non era possibile. Era riuscito a ribaltare la situazione. Pansy era nervosa. Di solito non aveva problemi a scacchi. “Scacco. Anzi, scacco matto.” Annunciò il Grifondoro facendo muovere un pezzo “No.” “E invece si.” Lei le studiò tutte, ma aveva ragione lui, qualsiasi mossa facesse, il re veniva preso. La mora sbuffò, poi mosse un pezzo qualsiasi (tanto non faceva differenza) per lasciargli il gusto di distruggere il suo re. “Vai. Distruggimi.” La sua torre uccise il re, poi tutti i pezzi si ricomposero e tornarono ognuno al loro posto iniziale. Lei guardò sconsolata tutta la scena. “Non mi ricordo l’ultima volta che ho perso a scacchi.” “Io ho perso ieri.” Pansy alzò lo sguardo verso di lui “Contro chi?” “Ginny. Ma mi ha distratto facendomi domande imbarazzanti.” Oh là là. Domande imbarazzanti?

Lei fece un sorriso da Serpeverde. Non un ghigno, ma molto simile “Tipo?” Ron scosse le spalle “Mi ha chiesto se ho messo incinta una quindicenne.” Il viso di lei si fece serio “E tu che hai risposto?”  Lui la guardò senza dire niente. Era serio anche lui, adesso. Ma se avesse saputo quello che lei stava pensando, avrebbe risposto subito.

Pansy aspettò che lui rispondesse, nel silenzio che c’era sentì il suo cuore battere come se fosse sotto effetto di un Sonorus, ma lui rimase zitto. Era una confessione? Era venuto a dirle questo? Che aveva messo incinta sua sorella? Che era lui il padre del bambino? Perché non diceva niente? Così riprovò “Quindi sei stato tu?”

Ron si riscosse da quell’attimo di trance. Si era incantato a guardare i suoi occhi. “Come? No, no. Non sono stato io.” Lei sospirò. Lui la guardò ancora negli occhi. “Sai cosa penso?”

Pansy fu contenta. Sospirò di gioia. Anche se il suo problema non era ancora risolto. Ma il fatto che non fosse stato lui, la rincuorava. Ora doveva solo trovare il Grifondoro giusto. Si sentì stanca. “Cosa pensi Weasley?” quando la sua mano le toccò la guancia sussultò. E trattenne il fiato quando scese ad accarezzarle il collo. Si avvicinò a lei, e le sussurrò all’orecchio “Penso che tu abbia la febbre.” Lei non riusciva a muoversi, né a pensare se per questo. Quando riuscì a mettere insieme i pensieri ghignò (o almeno ci provò) e disse “Ecco perché hai vinto.” Lui sorrise. “Sicuramente è per quello.” Disse ironico. “La prossima volta ti faccio domande imbarazzanti anch’io.” Concluse lei.

Se Madama Chips non fosse arrivata in quel momento, lui l’avrebbe baciata. Si, ne era sicuro. L’avrebbe fatto. O forse no. Era un vigliacco. Aveva paura che lei lo rifiutasse ancora. O forse non l’aveva fatto perché non voleva baciare la ragazza di un altro. Si raccontò un po’ di scuse, fatto sta che quando la Chips portò il termometro, lui non l’aveva baciata. Anche se voleva. La vide guardare il termometro sconsolata e annuire.

La porta dell’infermeria si spalancò e un gran vociare riempì la stanza. Due ragazzi entrarono reggendo un terzo sotto le braccia. Tutti e tre ridevano a gran voce e facevano una gran confusione. Pansy, Ron e Madama Chips si voltarono tutti e tre nello stesso momento. E nello stesso momento l’infermiera andò incontro ai tre alzando la voce, Pansy imprecò e Ron si voltò  verso di lei.

Merlino, Merlino, Merlino! Nott! Quei ragazzi stavano reggendo Nott. Sentì Rowie spiegare alla Chips come si era fatto male Nott e del fatto che tutti e tre pensassero che si fosse rotto un piede. Guardò il piede di Nott, senza scarpa, che era gonfio e tutto blu. Era rotto davvero. Però quell’idiota di un ragazzo rideva. E ridevano i suoi amici. Lo accompagnarono in un letto dall’altra parte della stanza e Madama Chips sentenziò la stessa cosa: il piede era rotto. Gli spiegò che gli avrebbe dato una pozione, dopo avergli rimesso in linea tutto. E l’indomani pomeriggio l’avrebbe mandato via. E disse anche che gli avrebbe fatto male. (ma mai abbastanza, pensò Pansy). Non voleva rimanere lì con lui quella notte. Quando lui li vide, ghignò, tanto per cambiare.

“Parkinson, Weasley, che bella sorpresa!” Nott venne appoggiato, non proprio silenziosamente, dai compagni di casa. Ron non capiva bene cosa pensasse lei, ma il suo viso non gli piaceva per niente. Nott continuò a ridere quando Madama Chips sparì nel suo ufficio parlando di pozioni. “Parkinson, come sei bella stasera. Cosa hai fatto?” “Si chiama lavarsi, Nott. Dovresti provarlo, qualche volta.” Lui fece una smorfia e i ragazzi con lui ridacchiarono. Ron riconobbe Rowie, il ragazzo che voleva schiantarlo, in uno dei due accompagnatori, aveva già visto anche l’altro, giocava a Quidditch nella squadra serpeverde ma non riusciva a ricordarsi il nome. “Rowie. Guarda chi c’è.” Fece un passo verso di lui, ma la Parkinson gli posò una mano sul braccio per fermarlo. Rowie, da bravo Serpeverde, scappò via. Il suo amico lo seguì subito. Nott guardò i due ragazzi che erano fuggiti come se fossero stati sterco di drago. Poi il Serpeverde riportò lo sguardo su di loro, li squadrò tutti e due, per bene, e dovette dedurre dalla vestaglia di Pansy che fosse lei quella in infermeria, perché quando aprì bocca disse “Weasley, sei venuto a trovare la Parkinson? Le hai fatto una dichiarazione? Oppure ho interrotto qualcosa di più spinto?” e ghignò, ancora.

Pansy decise in fretta. La febbre non poteva metterla KO. “Nott sei un idiota.” Tirò la tenda quel tanto che bastava a nascondersi alla vista del ragazzo, poi si voltò verso il Grifondoro, gli mise in mano il termometro e dichiarò sottovoce “Mettilo in bocca e provati la febbre. Per favore. Io stanotte non rimango qui per nessun motivo.” Sentì Nott ridere e dire qualche stupidaggine a voce alta.

Ron si ritrovò con il termometro in bocca, nascosto dalla tenda, alla vista di Nott e a quella  dell’infermiera. Si sentiva stupido, ma lei sembrava preoccupata, così non disse niente.

Quando Madama Chips si avvicinò al letto di Pansy, lei gli strappò il termometro e lo mise in bocca, giusto in tempo per farsi trovare così dall’infermiera. Madama Chips le disse sorridendo che non aveva febbre e che poteva tornare nei sotterranei. Poi guardò il rosso e disse “L’accompagni tu?” Lui annuì. Mentre la strega sistemava il piede di Nott (e lui urlava di dolore) Ron sparì oltre la porta adiacente l’infermeria e Pansy si cambiò velocemente. Quando tirò la tenda, la Chips stava sgridando Nott perché non stava fermo così solo lei vide Weasley che usciva furtivamente dall’ufficio dell’infermiera e alzò un sopracciglio con fare curioso. Lui scosse la testa e indicò con un cenno del capo la porta.

Si avviarono dopo aver salutato la strega, una davanti all’altro quando la Parkinson salutò ironica Nott, che doveva aver capito che lei se ne andava per colpa sua, perché disse ad alta voce “Parkinson, ma lo sa Weasley che saresti stata la puttana di Tu-sai-chi se avesse vinto lui?” La mora si bloccò, tanto che Ron le finì addosso e, gentilmente, la sospinse verso l’uscita, nel momento in cui si stava voltando verso il serpeverde. Un secondo dopo aver aperto bocca, Nott urlò in maniera disumana. Ron si girò e vide la Chips appoggiata di peso sul suo piede con uno sguardo severo in viso. Subito dopo si chiuse la porta alle spalle. Quando furono fuori, lei si voltò verso di lui, ma non disse niente, non alzò neanche lo sguardo. Ron le mise una mano sulla spalla e disse “Vieni.” La spinse nella prima aula che trovarono e chiuse la porta magicamente. Lei si guardò intorno e poi tornò su di lui con sguardo interrogativo. Lui le fece cenno di sedersi e tirò fuori da sotto il maglione un boccetto a collo largo. “Cos’è?” “Pozione per la febbre. La Chips l’aveva preparata per te, nel caso avessi tenuto in bocca il termometro.” Lei ne bevve metà senza dire niente. “Aspettiamo dieci minuti e poi ti accompagno ai sotterranei, ok?”

Dopo dieci minuti, Pansy era davanti alla porta dei sotterranei che guardava la schiena di Weasley che se ne andava. Non era riuscita a dire niente. Probabilmente adesso non avrebbe più rivisto il Grifondoro. Non dopo quello che aveva detto Nott. Sospirò. Era meglio così e lo sapeva benissimo.

***

“Così non sei arrabbiata?” Draco guardò la Weasley che dormiva sulla poltrona con la bocca aperta. “No. Ma dovrei.” Lui si voltò verso di lei. “Quando l’hai scoperto?” Anche Hermione stava guardando la teppistella rossa “Una settimana fa.” Poi continuò “Deve essere così avere dei fratelli piccoli.” Disse mentre si alzava per coprire l’amica con una coperta. “Sembra di avere un cucciolo sempre in mezzo ai piedi.” Sentenziò lui. “Già. Stessa cosa.” Ma lei sorrise gentilmente. Lui la guardò mentre accarezzava la testa della rossa con un movimento delicato. Il giorno dopo avrebbe avuto mal di testa. Per tutto il giorno. Un ghigno comparve sul suo volto.

Hermione si girò in quel momento. Il ghigno scomparve, come se fosse stato rimproverato dalla McGranitt. “Non mi chiedi niente?” La riccia lo guardò piegando la testa di lato. Poi si risedette sulla poltrona. “Dovrei chiederti perché non me l’hai detto? L’hai detto tu: Volevi portarmi a letto.” Draco aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse. Aspettò un po’ e poi parlò  “Lo sai che non intendevo veramente quello che ho detto.” Oh, si, lei lo sapeva benissimo. Ma con tutto quello che aveva detto poco prima, Hermione era ancora arrabbiata. “Quindi? A cosa dovrei credere?” Lui le rivolse uno sguardo strano. “Ho l’impressione che qualsiasi cosa io dica non andrà bene.” Hermione sorrise. Merlino, aveva ragione. Non disse niente per un po’ e l’unico rumore che si sentì fu il respiro regolare di Ginny.

Poi, dopo un’infinità di tempo, Draco le chiese “Vieni a trovarmi durante le vacanze?” Lei si girò verso di lui, ma il biondo non la stava guardando. “A casa tua?” lui annuì, ma poi disse “No. Non al Manor. Mia madre non abita più la.” Lei si tirò su. “E dove abita?” “Abbiamo altre residenze. E’ in campagna.” Lei annuì guardandolo negli occhi “E vorresti che venissi a trovarti?” Draco non disse niente, ma la guardò negli occhi in una maniera imbarazzante. “Perché?” Lui scosse la testa “Perché, cosa?” “Perché dovrei venire a trovarti?” Lui ci pensò su, come se fosse un’interrogazione “Perché mi farebbe piacere?” disse poco convinto “E’ una domanda, la tua?” “No. So che mi farebbe piacere. Mi chiedo se a te può bastare come motivo.” “Potrei anche pensarci. Hai invitato qualcun altro?” Il Serpeverde, che non si aspettava quella domanda, guardò verso la rossa che dormiva. “Mia madre ha invitato Pansy e Camille a passare le vacanze con noi. Ma lei ha detto di no. Penso che mia madre insisterà sul fatto che non passino Natale da sole. E poi dovrebbe venire Andromeda con Teddy, ma non so bene quando.” Hermione era indecisa su come prendere l’invito che Narcissa aveva fatto alla Parkinson. La ragazza le piaceva come nuora o era solo generosità? Forse era presto, per tutto questo. “E tu? Verresti a trovare me a casa dei miei?” Draco si accese una sigaretta. Aspirò e disse “Penso che non mi troverei a mio agio.”

Hermione si stava di nuovo scaldando. “E invece io si? A casa tua con la tua ex?” Lui strinse gli occhi. “Pensavo avessimo chiarito….” “Non abbiamo chiarito niente. Ho capito che lei veniva a letto con te quando stavi male e non potevi prendere la pozione, perché sua madre voleva che la sposassi, ma il resto non lo so. Non so bene cosa ci fosse tra voi, o cosa ne pensassero i tuoi genitori, o in che rapporti eravate con le vostre famiglie…” “Ma….” Ma lei non gli permise di parlare “No. Facciamo che a Natale ognuno sta a casa sua. E con chi vuole.” Si alzò e si avvicinò a Ginny. Le diede uno scrollone un po’ troppo forte e la ragazza si svegliò subito spaesata. “Ma cosa…” “Vieni, Ginny torniamo nella torre.” Lei annuì ma fece una smorfia. Si mise in piedi e si guardò intorno. Quando capì dove fosse, annuì di nuovo. E di nuovo strinse gli occhi. Hermione la prese per mano e disse “Dai, prima che inizi la ronda.”

La rossa si voltò verso Malfoy e notò che lui, non solo non si era alzato, ma stava fumando e guardava Hermione con uno sguardo strano. Ma non disse niente. Lo salutò con un cenno della mano e venne trascinata fuori dall’amica. “Perché siamo scappate così?” disse una volta nel corridoio del settimo piano. “Perché sta per iniziare la ronda. Non voglio che ci trovino qui.” Ginny faceva fatica a pensare, così si accontentò della brutta spiegazione della riccia (aveva capito che era successo qualcosa, ma l’unica cosa che voleva fare era stendersi a letto, così non replicò niente).

Davanti al quadro della signora grassa c’erano quattro ragazzini del primo anno che si erano scordati la parola d’ordine. Hermione sbuffò spazientita, lasciando la mano dell’amica e passando davanti a tutti per raggiungere il quadro. Disse ‘Drago spinato’ con tono esasperato (e la signora grassa borbottò qualcosa sull’educazione) e poi si spostò per far passare prima i ragazzini. Quando si avvicinò al quadro, fece cenno a Ginny di raggiungerla e insieme entrarono in sala comune.

Una volta dentro, videro gli altri: Seamus, Neville, Dean, Harry e Ron erano tutti insieme intorno ad un tavolino davanti al fuoco. Ginny salutò con la mano, ma quando vide Harry sorrise e disse troppo sdolcinata “Ciao Harry.” Quando se ne rese conto, filò dritto in dormitorio senza voltarsi indietro. “Ma che succede?” chiese Ron. Hermione ridacchiò. “E’ brilla. Ma niente di che. La prossima volta ci penserà due volte, prima di bere un bicchiere di firewhisky. Parla a vanvera.” Ron annuì distratto, mentre osservava la sorella salire le scale del dormitorio femminile. Hermione si fermò un po’ con gli altri e poi salutò anche lei e andò a dormire.

***

Il giorno dopo, a colazione, Pansy cercò la sorella al tavolo verdeargento. Le si sedette vicino e, notando che non aveva vicino nessuno, iniziò il suo discorso. “Penso non ci siano grossi problemi, per mandarti in Francia dai tuoi nonni. Ma devi seguire qualche regola: Devi scrivermi ogni due giorni e voglio che tu non dica loro del tuo stato. Siamo d’accordo?” La ragazza sorrise estasiata e annuì “Farò tutto quello che vuoi.” Pansy fece un cenno con la testa. “Bene. Scriverò al ministero e vedrò di farti fare una passaporta.” “Una passaporta?” chiese curiosa Camille. “Si. Voglio che tu abbia la maniera di tornare in qualsiasi momento.” La giovane Serpeverde, nonostante non capisse bene la spiegazione, annuì. Pansy annuì anche lei. Sarebbe andata da sola. Sarebbe andata bene, comunque. In fin dei conti erano i suoi nonni. Sperò di non doversene pentire.

Pansy si alzò dal tavolo della colazione e si incamminò verso l’uscita per andare in guferia prima della prima lezione del mattino, quando un ragazzo rosso le bloccò la strada proprio sul portone. “Ciao, come stai?” la Serpeverde si bloccò di colpo. Weasley aveva le mani in tasca e sembrava un po’ imbarazzato. “Oh, sto bene. E tu?” disse lei in tono strano “Non ero io ad avere la febbre ieri sera.” La mora sorrise e annuì. “Hai ragione, scusami.” Lui era stato così gentile a chiederlo. Era sempre gentile. Troppo gentile. E non l’aveva evitata, nonostante la battutaccia di Nott. “Sto andando in guferia....” continuò lei “Oh, va bene. Ti lascio andare.” Lei, che non si mosse da dov’era, disse “Se hai già fatto colazione, puoi venire con me…” lui la guardò di sottecchi e annuì. “Ok. Vengo anch’io.”

Ron non disse niente per tutto il tragitto. Ma il loro fu un silenzio senza imbarazzo. Quando salirono la scala la Serpeverde tirò fuori tre buste da spedire. Lui la guardò mentre dava al suo gufo un pezzo di bacon e gli infilò nel becco la busta, grattandolo sotto la testa, dove anche il rosso sapeva che gli piaceva, e poi cercò altri due gufi della scuola. Disse sottovoce ai gufi dove dovevano andare e a tutti e due diede un bocconcino di carne. “Ti costerà un sacco in carne, tutta questa corrispondenza.” Lei alzò le spalle, mentre coccolava l’ultimo gufo e si girò verso di lui per raggiungerlo. “Si può fare, se ne vale la pena.” Ron riconobbe le sue parole della sera prima e la guardò mentre lei lo prendeva in giro bonariamente. Che cosa intendeva? Che scrivere al suo ragazzo non aveva prezzo? Lui si imbarazzò. Si pentì di aver accettato di venire. Non aveva neanche fatto colazione. Così disse la prima cosa che gli venne in mente. “Quando le hai scritte tre lettere? In infermeria madama Chips non fa portare l’inchiostro.” Iniziarono a scendere le scale. “Le ho scritte ieri sera, in camera.” La sera prima? Ci doveva aver messo un bel po’ di tempo. “Ma non dormi mai?” lei si bloccò sullo scalino. “Io…” lui, che era un gradino sotto di lei, le prese la mano e la tirò leggermente per farla proseguire “Dev’essere una di quelle domande da non fare, vero? Tipo quanti anni hanno alle signore e quanto pesano.” Lei sorrise annuendo “Si. Una cosa così.” Riprese a camminare, ma lui non le lasciò la mano. Quando arrivarono in fondo alla scala, si diressero verso l’entrata del castello. “Che cos’hai alla prima ora?” chiese lei “Babbanologia.” “Allora ci vediamo a pozioni alla quarta ora?” lui annuì, mentre entravano nell’ingresso. Magari quel giorno, l’aula non sarebbe stata così fastidiosa. Prima di accorgersene, la mora gli diede un bacio sulla guancia. “Ciao. A dopo. E grazie ancora per ieri.”

Ron la guardò incamminarsi verso le scale. Non se l’aspettava. Cioè non era niente. Solo un bacio sulla guancia. Come quelli che lui dava ad Hermione. O a sua sorella. Ma sorrise senza motivo. Guardò l’orologio. Se faceva presto, sarebbe riuscito a mangiare qualcosa prima di andare a lezione.

***

Ginny era in ritardo, non aveva mangiato niente perché la testa le pulsava da matti ed era andata a cercare Pansy, ma al tavolo verdeargento aveva trovato solo Camille. “Ciao, Pansy non c’è?” “Ciao,  è scappata via poco fa. Andava a spedire un gufo.” Ginny guardò verso il portone di ingresso. “Oh. Va bene. Intanto lo dico a te. Vuoi venire a casa mia il 23 a fare i biscotti di Natale?” La ragazza inclinò la testa di lato e disse “Dipende da quando vado via. Se il 23 sono ancora qui, vengo volentieri. Ma non ho la più pallida idea di come si facciano i biscotti.” Ginny sorrise, sedendosi sulla panca vicino a lei. “Guarda, non è niente di che, ma a mia mamma piace avere ragazzi in cucina a fare dolci, così stendiamo la pasta (che prepara lei) e facciamo i biscotti con le formine. Poi li decoriamo. E’ una cosa carina, si chiacchiera e passiamo un pomeriggio insieme. Ci saranno Hermione e mio fratello George con una sua amica.” La ragazza annuì. “Spero di si, allora. Non vedo l’ora di vedere camera tua.” “Ok. Appena vedo Pansy lo dico anche a lei.” La salutò e si diresse verso le serre per la lezione di Erbologia.

***

Hermione stava giocherellando con il cibo. Era ancora arrabbiata con Draco. Lui voleva che lei  andasse a casa sua, dove c’era la sua ex, ma non voleva venire a casa dai suoi. Non aveva niente contro la Parkinson, ma non le andava proprio giù la situazione. Spostò di nuovo i piselli dall’altra parte del piatto, e sospirò. Se n’erano già andati quasi tutti. Buttò un occhio agli altri tavoli: anche lì i ragazzi erano pochi. Si stava ancora guardando intorno, quando un’ombra le si parò davanti. Alzò lo sguardo e la Parkinson le fece un sorriso strano. “Ciao, Granger, hai un minuto?” Hermione si fece più attenta. Annuì e le fece cenno di sedersi di fronte a lei. Avevano passato una giornata insieme in infermeria, avevano chiacchierato e la Serpeverde l’aveva tirata fuori da una situazione scomoda, il giorno prima. Poteva concederle anche più di un minuto. Le sorrise, ma subito dopo le venne in mente che poteva essere lì per conto di Draco, e il suo sorriso scomparve. “Non verrò a casa sua.” Le disse, giusto per chiarire la situazione. Ma la ragazza la guardò confusa.

“Vaaaa beeene.” Pansy strascicò un po’ le parole dalla sorpresa. Non sapeva di cosa stesse parlando. Ma non glielo chiese. Adesso doveva chiederle cose più importanti. “Io volevo chiederti una cosa…” Pensò a come formulare la domanda senza dare una cattiva impressione “C’è la maniera di controllare qualcuno quando si trova lontano, tipo in un altro stato?” La grifona la guardò inclinando la testa “In che senso?.”

Hermione vide la Serpeverde sospirare e guardarsi intorno. Come lei aveva già notato, non c’era in giro quasi nessuno. E nessuno era vicino a loro al tavolo. “Se io volessi controllare qualcuno… tipo cosa fa o dove va… C’è la maniera?” La mora abbassò gli occhi e poi li posò di nuovo su di lei. “Non penso sia legale. Chi devi controllare?” “Neanche se è minorenne e in pericolo?” Hermione spalancò gli occhi. “Forse dovresti provare al Ministero.” La Parkinson scosse la testa. “Il Ministero non può fare niente. Ho scritto quando ho chiesto la passaporta, ma non possono fare nient’altro.” Sospirò.

Probabilmente non volevano fare nient’altro, ma questo non lo disse alla Granger. Aveva voglia di fumare. Già chiedere una cosa del genere a lei era da matti. Ma non sapeva a chi chiedere consiglio. Non voleva far sapere in giro troppe cose. Daphne e Millicent avevano ripreso a parlarle ma mancava un po’ di quella confidenza che avevano gli anni precedenti. E la Granger era la persona più competente in queste cose. E se avesse avuto qualche problema con il  Ministero… La Grifondoro tossicchiò “Ok. Facciamo così: spiegami il problema e troviamo una soluzione. Altrimenti non so come aiutarti.”

Vide la Parkinson pensare. Davvero. I movimenti della sua testa e dei suoi occhi le facevano chiaramente capire che stava pensando. E forse valutando la situazione. “Posso prometterti di non dire niente, ma non farò un voto infrangibile.”disse allora la Grifondoro. L’altra spalancò gli occhi “Per Salazar, vorrebbe dire raccontarlo anche a qualcun altro!” Hermione sorrise. Non era male la Serpeverde. “Ok. Se mi prometti che non lo racconterai a nessuno, ti spiego.” Hermione annuì e le porse la mano sopra il tavolo. La Serpeverde gliela strinse. “Però andiamo fuori perché ho bisogno di fumare.” Lei annuì ancora, raccolse borsa e mantello e uscirono. Tanto non avrebbe finito il pranzo comunque.

Appena aspirò si sentì meglio. “Ok, allora io pensavo che quella storia della traccia magica fosse una cosa sempre valida, invece funziona solo se il minorenne fa degli incantesimi fuori dalla scuola. Quindi se le venisse presa la bacchetta….” “Aspetta aspetta. Faccio fatica a starti dietro. Respira e ricomincia.” Lei aspirò ancora. “Allora, mia sorella vuole andare in Francia per le vacanze di Natale, dai suoi nonni. Non so se Ginny ti ha raccontato…” Hermione annuì. “So di Camille. Che ha frequentato Beauxbatons e che è tua sorella.” La Parkinson annuì. “Io l’ho portata via dai suoi nonni, per questo mi odia.” “Non penso che….” La Serpeverde sventolò la mano con la sigaretta. “Lascia stare, non è un problema. Va bene così. Una più o una meno.” Aspirò ancora ed Hermione aspettò “Lei vuole andare a trovarli, ma io ho paura che non torni più.”

Pansy si sentiva agitata. Non aveva raccontato tutto a nessuno. Neanche a Blaise. Di come aveva ‘rapito’ la sorella. L’aveva trascinata in Inghilterra di corsa e aveva chiesto la sua tutela prima che lo facessero i suoi nonni. Vide la grifona aprire la bocca e chiuderla. Poi aprirla di nuovo. Sapeva cosa voleva chiederle. E infatti “Perché hai paura che non torni più?” Già perché? “Perché vogliono che si sposi con un uomo che non mi piace.” Non vide la riccia spalancare gli occhi mentre faceva sparire il mozzicone della sigaretta.

Hermione rimase di sasso. Sposare? Ma non aveva quindici anni? Quando la Serpeverde tornò a guardarla disse “Perché non ti piace?” lei scrollò le spalle. “Oh, non lo conosco. Ma un uomo che vuole sposare una ragazzina… e poi dovrebbe scegliere lei, chi sposare. Fra un po’ di anni, no?” Hermione annuì. Non faceva una piega. “Ma Camille cosa pensa di…” la mora la interruppe “Lei non sa niente. E non voglio che sappia niente. I suoi nonni sono l’unica cosa che le sono rimasta, da quando loro sono ad Azkaban.” Hermione annuì ancora. Non disse che Camille aveva anche lei, sua sorella. Che casino. E ammirò la Parkinson per come voleva proteggerla. Così ridivenne pratica. “Io penso che qualcosa si possa fare. Scriverò a Kingsley, e chiederò un controllo. Posso guardare in biblioteca se esiste qualcosa. Si potrebbe chiedere al Tiri Vispi se riescono a creare qualcosa tipo la mappa del malandrino al contrario. Non un luogo che ti dice le persone che ci sono, ma qualcosa che ti dice dov’è una persona. Sarebbe utilissimo se funzionasse in un altro stato. Sotto un altro ministero. Forse però bisognerebbe chiedere un permesso. Ma non so se è fattibile per Natale…”

Pansy credette di aver perso la Granger. Parlottava di mappe e controllo. (disse anche qualcosa sul  fatto che andasse creata una legge per impedire che venisse usato in maniera sbagliata). La  Serpeverde non capì più niente. Finchè non le disse “Preferirei non tirare in ballo il Tiri Vispi. E poi io non voglio controllarla. Voglio solo che stia bene. Esserne sicura. Le ho già detto che deve scrivermi ogni due giorni, però non so quanto un gufo possa metterci, nel caso si trovasse in difficoltà…”

Oh. Niente mappa al contrario, quindi. Però… “Sai, avevo pensato anche ad un incanto Proteus, ma….” Hermione annuì ancora. Lei aveva usato quell’incantesimo al quinto anno, per l’esercito di Silente. Aveva incantato i finti Galeoni in maniera che quando si faceva una magia su uno, tutti i Galeoni la ricevevano. Sarebbe stato comodo. Soprattutto a distanza. “Ma?” “Ma il solito problema: se le confiscano la bacchetta, non serve più a niente. Ho questo terrore: che le tolgano la bacchetta e che lei sparisca. Non me lo perdonerei mai.”

Hermione guardò in aria, pensando. “Una volta ho creato due pergamente collegate con incanto Proteus, e abbiamo tenuto, io e Ginny, una pergamena ciascuno. Quando lei scriveva qualcosa, compariva anche sulla mia e viceversa. Ma se ci allontanavamo troppo le parole si perdevano. Non sono ancora riuscita a trovare la maniera di ‘aggiustare’ quell’inghippo. E poi resta il problema del Ministero Francese.”

Pansy la guardò. Quella ragazza era veramente la strega più brillante della sua età. Annuì. “Merlino. Sembra una gran bella cosa. Sono sicura che riuscirai a farlo.” Commentò la mora onestamente.

Hermione non disse niente. Al momento non serviva. Così chiese:“Non puoi andare con lei?”

Pansy sospirò “Non sono persona gradita. L’ultima volta non ci siamo lasciati bene. Anche se potrei  andare lo stesso, in fin dei conti.” Non era gradita a un sacco di gente, ma non le importava niente.  Forse per sua sorella avrebbe potuto farlo. Voleva sistemare la casa di suo padre durante le  vacanze, ma aveva aspettato quindici anni, poteva aspettare ancora qualche mese. “Sai cosa? Lo  farò, se non troverò altra maniera, farò così. L’accompagnerò. Grazie comunque.” Avrebbe potuto farlo. Vide la Granger annuire. Sospirò ancora. Ok avrebbe fatto così. Il Natale più brutto di sempre. Ma  per una buona causa.

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Capitolo 21
*** Hermione spiega tutto ***


21. hermione spiega tutto

Hermione spiega tutto

 

Gli studenti stavano cenando in sala grande quando si sentì un urlo venire dal tavolo dei Serpeverde.
“No! No! No! Non voglio!” Tutta la sala si girò. Qualcuno si alzò in piedi, per vedere meglio.
La professoressa McGranitt si alzò e si diresse verso il tavolo verde argento.

 

Pansy non riusciva a credere alla reazione della sorella. Quando le aveva detto che sarebbe andata con lei in Francia aveva urlato e fatto quella sceneggiata. Si sentiva in imbarazzo: tutti si erano girati verso di loro. Anche i professori.
Sua sorella aveva gli occhi fuori dalle orbite e piangeva. Le sembrava una reazione esagerata. Che fosse colpa degli ormoni?
“Dai, calmati. Che non ti fa bene.”
Le appoggiò il braccio sulle spalle, ma la giovane Serpeverde la scansò e corse via dicendo: “Vuoi rovinarmi le vacanze? Non faremo come dici tu!” Pansy ci rimase malissimo. Non era stata scortese e non l’aveva obbligata a fare niente, stavolta. Le aveva solo detto che sarebbe andata con lei e Camille aveva fatto quel casino.
Non voleva rovinare le vacanze a nessuno. Era solo preoccupata. E non era preoccupata per una cosa da poco. Lo sapeva.

 

La Mcgranitt le andò vicino chiedendo se avesse bisogno di parlarle, ma Pansy scosse la testa. Cosa avrebbe potuto dirle? Si alzò dal tavoloe si avviò verso il portone di uscita dalla sala grande.

 

Hermione si alzò quando vide la Serpeverde uscire. Si alzarono anche Ron e Ginny.
Harry si guardò intorno, rendendosi conto improvvisamente di essere rimasto da solo.

 

Fuori faceva freddo e nessuno di loro si era portato il mantello. Improvvisamente, Ginny si trovò con il fratello e Hermione fuori in cortile, a cercare la Serpeverde. Perché erano venuti anche loro? Non si fermò a chiederlo.
Andò direttamente nel posto preferito di Pansy per fumare, ma lei non c’era. Si guardò intorno, ma stava morendo di freddo e la mora non era da nessuna parte. Probabilmente non era uscita dal castello. Magari aveva girato prima del portone del castello ed era andata nei sotterranei.
Vide Hermione tornare dentro. Pensò di seguirla quando sentì suo fratello dire: “Ma cosa è successo?”
La rossa si voltò. “Tu perché sei uscito?”

 

Ron sentì le orecchie andare a fuoco. Non si era accorto di essersi alzato e aver seguito la Parkinson finché il freddo non gli aveva artigliato il collo. Ora? Cosa dire?
“Bo. Ho sentito delle grida, ho visto della gente scappare, non so cosa mi è preso.”
S’incamminò con la sorella verso il castello, guardandola con la coda dell’occhio. Sembrava crederci. Ma a un certo punto, Ginny si fermò davanti a lui e si girò, mettendogli una mano sul petto.
“Aspetta” disse.

 

Ginny non era totalmente stupita. Avrebbe dovuto arrivarci prima. C’erano stati tanti piccoli particolari che avrebbero dovuto farglielo notare. Doveva essere stata distratta. Per un attimo pensò di non dire niente. Non voleva mettersi in mezzo. Sapeva quanto fosse odioso. Ma dall’altro…
Si voltò verso il fratello e lo fermò. “Aspetta”, disse e prese fiato. Era ancora più difficile dell’altra volta. “Non farlo. Lei non è così come pensi”.
“Cosa?”

 

Ron pensava di non aver capito bene. “Non so bene perché cerchi di portartela a letto. Per Godric, sì lo so: è molto carina. Ma… davvero. Non farle questo. Lasciala stare” bisbigliò alla fine.
Lui fece finta di non capire ed escalmò: “Ma cosa dici? Io non sto facendo niente!”, ma Ginny alzò un sopracciglio con un’espressione seria.
“Davvero Ronald?” Maledettamente seria. “Non dovrei dirtelo, lo so, ma ti prego, per favore, non farle questo. Lei non è… come pensavamo”.

 

L’ultima cosa di cui aveva bisogno Pansy era di uno come suo fratello. Lui, in quella fase ‘mi sento il più bello della scuola’ che si scopava tutto ciò che aveva a disposizione. E lei le aveva viste. Come quell’oca di Latonya. C’erano delle ragazze a cui bastava veramente poco per infilarsi nel letto di chiunque.
Per quanto avesse odiato la Serpeverde, da quando la conosceva davvero, Ginny sapeva che era in gamba e aveva bisogno di trovarsi un ragazzo che le volesse davvero bene. Di ragazzi che volevano solo portala a letto, la scuola era piena.
“Lei si merita qualcosa di diverso” disse ancora, ma non lo guardò. Rimase un attimo zitta e riprese a parlare, anzi mentì: “E poi è fidanzata”.
Che almeno servisse a qualcosa.

 

 

Se Ginny gli avesse dato uno schiaffo sarebbe stato meno colpito. E avrebbe fatto meno male. Anche sua sorella pensava che lui non valesse niente? Lui guardò verso il castello e la liquidò.
“Non so proprio di cosa stai parlando. Ho freddo, vado dentro.”
La lasciò lì e non si guardò indietro mentre raggiungeva la porta d’entrata.

 

Anche Hermione stava tremando per il freddo, e quando tornò in Sala grande, vide la Parkinson dirigersi verso i sotterranei con Zabini. La mora si voltò e i loro sguardi s’incontrarono.
Poi la Serpeverde scosse le spalle e le sorrise mesta. Le fece cenno che avrebbero parlato alla ronda.
Hermione annuì e la lasciò andare. Tornò al tavolo dei Grifondoro e vide Harry seduto da solo che mangiava. Decise di iniziare da lui.
Dopo quello che aveva saputo la sera prima, pensava che fosse il male minore. E poi voleva un po’ di spiegazioni. Ed era pronta a darne anche lei.

 

***

 

Hermione si sedette vicino a Harry, invece che sull’altra panca, e disse solamente: “Harry”.
Lui alzò lo sguardo verso di lei e capì, guardandola, che stava per parlargli di qualcosa di serio. E la riccia attaccò: “Perché hai lasciato Ginny?”

 

Il viso di Harry si adombrò. Non voleva parlare di Ginny. Con nessuno. Anche se effettivamente, se l’avesse fatto prima, forse avrebbe avuto anche un’altra opinione.
“Non voglio dirtelo”, riprese la forchetta e tornò a mangiare. Ma l’amica lo frequentava da sette anni e lo conosceva molto bene.
“Non vuoi che pensi male di lei?” Lui spalancò gli occhi senza dire niente e poi annuì. “Non penserò male di lei. Anche lei è mia amica”. E gli sorrise.

 

Hermione vide il momento preciso in cui Harry cedette. Prima i suoi occhi e poi le sue spalle. Alla fine disse: “Pensavo mi avesse tradito”.
“Pensavi?” Quella parte Hermione già la conosceva, ma voleva che fosse lui a spiegargliela. Lui annuì e guardò in basso.
“Sì. Lei dice che non l’ha fatto. E io le credo. Ma prima…”
Hermione gli appoggiò una mano sulla sua e disse semplicemente: “Ti va di raccontarmelo?”
Così lui glielo spiegò: di come si era svegliato dall’incubo di Voldemort, della mappa del malandrino, di Malfoy, del pensiero che si stessero baciando, di averli visti che andavano al settimo piano, della porta della stanza delle necessità, di loro due che entravano e anche… di lui che aspettava nascosto.
“Davvero hai aspettato dietro la statua del Cavaliere D’Argento?” Harry annuì. Non aveva idea di chi fosse il Cavaliere d’Argento, ma c’era solo una statua, quindi era proprio quella.
“Sì. Mi ha svegliato la McGranitt. Poi il giorno dopo Ginny aveva una faccia… e ha mentito a Ron. Ti ricordi? Era la mattina che ti ho chiesto il mantello. Ginny ha detto che andava tutto bene e invece non era vero.”
Hermione sospirò. Era arrivato il momento. “Sì, mi ricordo. Lei aveva una brutta faccia perché non aveva dormito a causa mia e ha mentito a Ron dicendo che andava tutto bene, perché glielo avevo chiesto io”.
Harry la guardò “Colpa tua?”
La riccia annuì. “Ero io nella stanza delle necessità. Ho mandato Ginny a prendere Draco nei sotterranei per portarlo al settimo piano. E l’ho mandata con il mantello dell’invisibilità. Per quello erano così vicini”.
La voce di Harry si sentì a malapena quando chiese: “Perché?”
“Perché stavo male. E Draco aveva la pozione giusta per aiutarmi. Ginny ha aiutato me. E le avevo chiesto di non dirlo a nessuno. Non va neanche tanto d’accordo con Draco, bisticciano in continuazione. Come con Ron.”

 

Harry faticava a credere alle proprie orecchie. E poi… perché Hermione chiamava Malfoy per nome?
“Draco?” chiese bisbigliando. Lei arrossì e Harry spalancò la bocca. Per Godric, Salazar e compagnia bella! Hermione? Hermione e Malfoy? Harry rise. Una risata nervosa, stridula e acida. Poi continuò, non riusciva più a smettere. La sua risata divenne più distesa, il petto gli si allargò e iniziò a emettere strani rumori dalla gola. Hermione lo guardava stranita. Nel giro di un minuto la sua risata divenne sincera, bella e contagiosa.
La riccia sorrise e cercò di fermare anche lei la risata che sentiva crescere in gola, ma non ci riuscì. Alla fine, quando finirono di ridere, Harry tornò serio.
“Sono un idiota” dichiarò.
“Mi sa proprio di sì” gli rispose lei.

 

“Perché stavi male?” Hermione cercò di spiegare quello che era successo in quei mesi. Della cicatrice, dei dolori, della pozione di Draco, della scoperta del “Blocco della mente” e di tutto il resto, in un lasso di tempo breve, ma fu difficile.
“Non ce l’hai detto.”
“No. Mi vergognavo” ammise  lei, abbassando lo sguardo.
“Non avresti dovuto” la sgridò Harry.
“Ora lo so” Il ragazzo le circondò le spalle con il braccio e le diede un bacio sulla guancia. Quando si guardarono intorno, si resero conto di essere rimasti quasi da soli.
“Ho la ronda. Magari riesco a parlare anche con Ron” disse Hermione alzandosi e Harry annuì. Lui doveva cercare Ginny.

 

Quando Hermione arrivò nella stanza dei prefetti, Ron non c’era. Ma c’era Hannah, che quella sera non doveva venire.
“Ciao Hannah, tutto bene?” Lei sorrise. Era così carina.
“Sì. E Te? Ron mi ha chiesto di sostituirlo, così sono venuta.”
Hermione spalancò la bocca. Perché Ron si era fatto sostituire senza dirglielo? Scambiò qualche parola con lei poi si guardò in giro cercando la Parkinson. Quando la vide, le andò vicino.
“Oh, ciao. Che è successo a cena?” le chiese.
Anthony chiamò per la ronda e Hermione decise di fare il giro con la Serpeverde.
“Ho detto a Camille che l’avrei accompagnata in Francia e lei l’ha presa malissimo” spiegò la Parkinson mentre uscivano dalla porta.
“E te? Come hai preso la sua reazione?” La mora alzò le spalle, ma la Grifondoro notò che c’era rimasta male. “E ora? Che farete?” chiese ancora.
“L’accompagnerò. Una volta là, vedrò. Tornerò indietro e ripartirò ogni tanto, giusto per assicurarmi che vada tutto bene” rispose, alzando le spalle.
Hermione pensò che sarebbero state veramente delle brutte vacanze, così. “E se non sarai là, dove andrai a Natale?”
La Serpeverde si voltò verso di lei. “A Natale?”
“Sì, sai il 25 dicembre?” La Serpeverde guardò dentro un’aula sul suo lato del corridoio, mentre Hermione guardava nell’altra.
“Ho delle cose da fare” spiegò, rimanendo sul vago.
“Tipo?” domandò Hermione. Il viso della mora si distese, mentre sorrideva. “Ah, non ti preoccupare, non andrò a casa di Draco”.
“Io non intendevo…”
“Ah no?” chiese e la guardò con un sorriso strano. Hermione volse lo sguardo altrove.
“Scusa” cercò di giustificarsi.
“Oh, non preoccuparti. Io… ho trovato casa di mio padre. Quella dove vivevamo prima che morisse. È da sistemare, ma è in buone condizioni. Pensavo di andare ad abitare lì, una volta uscita da qui. Dovrei fare un sopralluogo e sistemare alcune cose…”
“Perché non andrai da Draco? Narcissa ti ha invitato.”
La Parkinson era quasi triste quando spiegò: “Non posso andare da lei. Per delle cose che ho… fatto”.
Lei non sapeva che Hermione conosceva già la storia. La riccia immaginò che fosse imbarazzata per aver imbrogliato Draco e la sua famiglia. Infatti la Serpeverde guardò altrove, come se si vergognasse e controllò ancora l’ultima stanza. Hermione non disse niente, mentre tornarono indietro.
Poco prima della stanza dei prefetti le disse: “Parlerò con Kingsley, comunque. Magari qualcosa si può fare e non dovrai andare avanti e inidetro”.
La Serpeverde la guardò e rispose: “Ti ringrazio, ma non dire che è per me. Non siamo visti molto bene al ministero, noi figli dei mangiamorte”. Detto questo entrò nella stanza e chiuse l’argomento.

 

***

 

Ron quel giorno era stato introverso e irritabile. Erano due giorni che pensava a quello che gli aveva detto Ginny. Ed era stato lontano. Dalla Parkinson, anche da Ginny, onde evitare. Harry gli aveva chiesto almeno venti volte se andasse tutto bene e lui, da gran codardo qual era, non gli aveva raccontato la verità.
Si vergognava troppo. Sua sorella non solo aveva capito quello che lui provava (e se n’era accorta a una velocità sorprendente, visto che lui ci aveva messo una vita a capirlo), ma gli aveva anche detto di lasciar stare tutto. Che la Parkinson si meritava ben altro.
Probabilmente aveva conosciuto William. Anche se sapeva pochissimo di lui, Ron se lo immaginava affascinante e alto come Bill (anche se sapeva che era biondo), simpatico e bravo come Charlie e divertente e spiritoso come Fred e George insieme.
Per quanto ci pensasse, non riusciva a trovare una somiglianza con Percy. Sarà stato che ai suoi occhi il fratello non aveva grandi qualità. Chissà. Forse lui e Percy erano simili: non avevano qualità. Che qualità aveva lui, Ron, a parte quella di essere un amico dei salvatori del mondo?
Cambiò posizione sulla poltrona e pensò anche a tutti gli altri ragazzi che aveva visto intorno alla ragazza che occupava i suoi pensieri: Burrow, il ragazzo delle burrobirre la sera della festa, Zabini, Malfoy, aveva visto anche qualcuno dei ragazzi più giovani lanciarle occhiate che per lui sarebbero state sufficienti per uno o due schiantesimi.
Ron sospirò. Chissà chi aveva baciato. Chissà con chi era stata.
Beh, di sicuro Malfoy. Ne era certo. Era anche andato a trovarla in infermeria. Si ricordava come lei ridacchiava quando c’era lui, gli anni passati. Anche quando quel troll diceva qualcosa di stupido o offensivo.
Man mano che pensava a ogni singola volta che era successo, riusciva a trovare qualche ricordo o qualche sfumatura che non aveva notato subito. Era come una scatola a sorpresa, sempre una cosa nuova. Ma era stato prima, prima della battaglia. Ora sembrava che non stessero più insieme. Chissà se ogni tanto, ancora, succedeva qualcosa fra di loro…
Si stava immaginando i due Serpeverde nell’aula di pozioni, appoggiati al muro dove era appoggiato lui quando l’aveva baciata. Poi se li immaginò in un letto con le lenzuola di seta verde argento. Li vide baciarsi, spogliarsi, e immaginò la mora allungarsi nuda sul letto. Pensò a lui che le accarezzava la schiena stendendo le sue mani sul disegno delle stelle e poi chinarsi a baciarla nel punto in cui avrebbe voluto farlo lui, lì dove c’era Sirio, la stella più luminosa.
Quando Hermione si sedette sul bracciolo della poltrona su cui era seduto in sala comune, si spaventò. “Per Godric, Hermione, mi hai spaventato!”
La strega sorrise. “Eri molto pensieroso” disse e il rosso annuì. “Vuoi parlarne?”
Lui la guardò e poi scosse la testa, senza dire niente. “Ok. Posso parlarti io di una cosa importante?”
Il Grifondoro si fece più attento. “Certo” La ragazza si alzò e si sedette sul tavolino di fronte a lui.

 

Hermione sorrise e spiegò: “Dovrai avere pazienza però, perché per me è una cosa imbarazzante. Ma voglio dirtela comunque”.
“Ok. Più imbarazzante di quando ti ho chiesto di insegnarmi l’incantesimo Condom?”
Lei rise. “No!” Come voleva bene a Ron.
Lui si mise comodo.“Ti ascolto”.

 

La riccia tentennò. “Ti ricordi quando mi hai chiesto se avevo trovato qualcuno?”
 “Il ragazzo di cui non volevi parlare?” rispose Ron e lei annuì sorpresa.
“Sì” rispose e Ron le fece cenno di continuare. “Io ho paura che tu la prenda male”.
Guardò verso il camino. Ron si chiese se lui fosse veramente così intrattabile. Forse sì. S’impose di rimanere calmo.
“Lo lasceresti se io la prendessi male?” chiese.
Lei sospirò e ammise: “Preferirei non dover scegliere. Tengo molto a te, ma voglio stare con lui”.
Lui annuì. Gli sembrava la risposta giusta. “Ok, chi è?”
“Ti ricordi quando mi hai detto chi non dovevo sposare?” gli chiese. Ron sbuffò. Ma come faceva a ricordarsi queste cose? Quanto tempo prima era successo? Ma chi se lo ricordava?
“Non puoi dirmelo e basta, senza interrogarmi?”
Lei si raddrizzò. “Oh, sì. Sì, posso”, disse, ma poi stette zitta. Ron la guardò ancora.
“Io sto con… Beh a dir la verità, adesso abbiamo litigato, ma io penso…”
“Hermione?” la interruppe.
“Sì sì, hai ragione. Ma prima voglio rassicurarti che lui mi tratta bene, è bravo anche se non si direbbe…” Il ragazzo annuì ancora. A momenti avrebbe preferito ritornare a commiserarsi e pensare alla Parkinson che tradiva il meraviglioso William con Malfoy.

 

Harry si avvicinò ai due. Aveva visto poche volte Hermione così in difficoltà. Le mise una mano sulla spalla mentre diceva a Ron: “Ron, mi sa che Hermione non riesce a dirtelo”.
Si voltò poi verso l’amica e le chiese: “Glielo dico io?”
Ma la riccia scosse la testa. “Voglio farlo io”.
Harry sentì Ron sospirare. “Scusate. Ma chi sarà mai?” E provò a pensare alla persona che odiava di più, visto l’atteggiamento della ragazza. Chi odiava così tanto che lei non riusciva a dirglielo? “Chi è, Malfoy?” disse, con il primo nome che gli venne in mente. Gli altri due si bloccarono. Oh vhe, ci aveva preso. Come? Davvero? Malfoy? Ma cosa… “Ma davvero? Ho sparato un nome a caso!”
Hermione guardò per terra, ma poi riportò quasi subito lo sguardo su di lui, come per sfidarlo. Ma Ron guardò Harry.
“Perché tu lo sapevi già?” gli chiese e Harry alzò le spalle.
“Io l’ho saputo l’altro ieri.”
Il rosso non disse niente, ma pensò. Quindi, se Malfoy stava con Hermione, non aveva avuto contatti intimi con… un momento!

 

“Da quanto tempo state insieme?” Hermione, che si aspettava una reazione molto più rumorosa, rimase di stucco.
“Un mesetto.”
“Oh. Non di più?”
La riccia era confusa. L’aveva presa bene. Troppo bene. Forse non aveva capito. Si voltò verso Harry che, di nuovo, alzò le spalle. Non l’aveva immaginata così, la conversazione. “Non va bene?” chiese incuriosita.
“Oh, sì, va bene. Va bene. Se sei contenta tu.”
Ma per un momento pensò che lui avesse la testa altrove. Poi Harry le fece cenno alla cicatrice. Giusto. Doveva parlare anche della cicatrice. “Ron, ho un’altra cosa da dirti” disse ancora.
“Questa volta mi arrabbio davvero?” chiese lui.
“Non lo so” rispose Hermione. E gli raccontò di Bellatrix, della cicatrice, del mal di testa, della pozione e di come aveva conosciuto l’altra parte di Malfoy.

 

Ron l’ascoltò. Fece qualche domanda, ma riuscì a rimanere calmo. Soprattutto quando lei spiegò cosa le aveva fatto la mangiamorte mentre loro erano imprigionati. Si sentiva rovistare dentro, una bestia che lo divorava dall’interno. Ma riuscì a rimanere calmo, per lei.
Hermione sembrava così calma mentre raccontava tutto, che riuscì a trasmettergli quella sensazione. Avrebbe preferito mille volte ricevere lui la maledizione, piuttosto che farla stare male e spesso sognava ancora quel momento. Impotenti nel salvarla e lei urlante che veniva torturata. E sapeva che per Harry era lo stesso. Guardò l’amico che ricambiò la sua occhiata e gli sorrise. Sorrise anche Ron.

 

Anche Hermione sorrise, vedendo i due amici scambiarsi occhiate per lei indecifrabili. Di nuovo loro tre. Ancora una volta. Per sempre.

 

***

 

“Pansy, Pansy!”
La Serpeverde si girò verso la voce che la chiamava.
“Ciao, Ginny. Ti siedi a far colazione?” La Grifondoro annuì e si accomodò sulla panca vicino alla mora, al tavolo Serpeverde, scansando un po’ Blaise.
“Fai pure, Weasley. Come se io non ci fossi” le disse il ragazzo. Ginny si voltò verso di lui con un gran sorriso.
“Faccio già così, Zabini” gli rispose candidamente. Poi si voltò di nuovo verso la mora. “Ho invitato te e tua sorella a casa mia, ma penso che non te l’abbia ancora detto” esordì.
“A casa tua?” chiese la ragazza, mentre Zabini allungava una mano per prendere lo zucchero.
“Zabini, perché non provi anche tu a far finta che io non ci sia?” chiese la rossa un po’ infastidita.
“Sarebbe più semplice se tu non fossi fra me e la mia colazione!” Pansy rise.
“Basta, bambini” li sgridò bonariamente. Il moro la guardò scontroso e si voltò dall’altra parte.
Ginny continuò: “Il ventitrè facciamo i biscotti a casa mia. Vi andrebbe di venire?” La mora la guardò incuriosita.
“Vuoi che cucini?” Ginny, che si era versata un bicchiere di succo di zucca e si era allungata ad afferrare una fetta biscottata, scosse la testa.
“È una cosa divertente, fare i biscotti, non è cucinare!” Dalla sua faccia si doveva capire quello che pensava lei di ‘cucinare’. “Cioè, di solito ci divertiamo. Dai, è una cosa carina”.

 

Per un attimo Ginny pensò che fosse una cosa stupida. Magari Pansy pensava che fosse stupido fare i biscotti e lei stava per fare una figuraccia…
“Ci sarà anche Hermione. E mio fratello con una sua amica. E la mia mamma. Dai.. venite” mormorò cercando di convincerla che se avesse partecipato più gente voleva dire che era per forza divertene.  

 

Pansy capì solo ‘mio fratello e una sua amica’. E chiese, prima di controllarsi: “Quale fratello?”
“Oh, sì, giusto. George, ci sarà George, ma ha promesso che non farà scherzi. E viene anche Angelina. Angelina Johnson, te la ricordi? Era una Grifondoro e giocava a Quidditch” spiegò la ragazzina.
La Serpeverde annuì. “Ma gli altri lo sanno? Che verrei anch’io?” La rossa fece una faccia strana.
“In che senso?” le chiese.
“Hai chiesto a tua mamma il permesso di invitarmi? E agli altri starebbe bene se venissi?”
“Ma che domande sono? Certo!” esclamò spalancando gli occhi la giovane strega.
Pansy era tentata di accettare. Le sarebbe piaciuto tantissimo, ma Camille partiva il giorno prima e lei voleva accompagnarla, qualsiasi cosa dicesse. Per quanto sarebbe di sicuro stata meglio a casa dai Weasley che dai suoi stessi parenti, era una cosa che doveva fare.
“Devo vedere come organizzare la partenza di Camille, non lo so” spiegò.
“A me farebbe veramente piacere se venissi. Dai, ti prego. Vieni con Camille, se non è già partita o vieni anche se sei da sola, ok? Per favore…” Pansy sorrise. La piccola Grifondoro era convincente, l’aveva già notato.
“Va bene. Vedremo di esserci. Altrimenti verrò io” acconsentì. Ginny sorrise contenta e le diede un bacio sulla guancia prima di portarsi le fette biscottate al tavolo dei grifoni.

 

Blaise si spostò di lato, ritornando vicino all’amica. “Cosa fai, ci vai?”
Lei stava ancora guardando la rossa che tornava al tavolo rosso e oro. “Se ti dicessi che mi piacerebbe andare?”
“Ti direi di andarci” ammise candidamente il ragazzo. Pansy spostò lo sguardo su di lui.
“Sai cosa penso di loro” rispose la ragazza.
“Dovresti smetterla.”
“Loro sono brave persone” disse ancora, come se lui non avesse pensato.
Blaise sospirò. Pansy aveva dei grossi problemi da risolvere. E di sicuro non le avrebbe fatto male passare un po’ di tempo con qualcuno che aveva insistito per invitarla a casa.
“Appunto. Sono brave persone che ti hanno invitato a… cos’è che dovete cucinare?”
“Biscotti” gli ricordò lei, sorridendo. Probabilmente a lei piaceva l’idea.
Il Serpeverde fece una faccia schifata. “Roba da elfi” mormorò.
La mora sospirò, tornando a guardare la piccola Weasley che gesticolava con la Granger al tavolo dei Grifondoro.
“Non posso mischiarmi con gente come loro” continuò la mora.
“Non sei Voldemort, lo sai vero?”
Il viso della ragazza divenne serio, mentre diceva: “Non sono neanche una piccola e tenera puffola pigmea. Ti ricordi com’ero l’anno scorso? E due anni fa? O tre? Dopo tutto quello che ho fatto o ho detto su di loro, dopo tutto quello che è successo… la piccola rossa mi invita a casa sua”, tornò a guardare il tavolo in fondo, con uno sguardo triste.
“Sappi che se dici ‘non me lo merito’, ti lancio uno schiantesimo” sbuffò Blaise.
Pansy tornò a sorridere. “Grazie, posso sempre contare su di te”.
Lui appoggiò un braccio sulle sue spalle e le sussurrò: “Potrai sempre farlo, lo sai. Ma adesso abbracciami anche tu, che sta arrivando Daphne”
Pansy sospirò. “Sei un cretino. Basta usare questi trucchetti. Vai da lei e chiedile di uscire, no?” lo sgridò.
Blaise si staccò da lei e brontolò. Mica era così semplice.

 

***

 

 

Quel sabato, il sabato prima delle vacanze scolastiche natalizie, ci sarebbe stata la partita di Quidditch fra Serpeverde e Corvonero.
Hermione non era sicura di andare a vederla, visto che non aveva ancora fatto pace con Draco (praticamente lo stava evitando da una settimana, anche se lui aveva tentato almeno tre volte di parlarle e lei non gli aveva ancora detto di aver raccontato di loro a Harry e Ron), ma Ginny aveva già deciso per lei.
Ginny aveva deciso infatti di portare lei e la Parkinson abbastanza presto allo stadio, per poter prendere dei buoni posti. Nessuna delle due voleva andare a vedere la partita, ma la piccola Weasley, come la chiamava Draco, era riuscita a convincere le ragazze dicendo che doveva assolutamente vedere come giocavano sia i Corvonero che i Serpeverde, per farsi un’idea delle prossime partite.

 

Ginny aveva pensato che fosse una buona idea portarle tutte e due: disse a Hermione che doveva venire per convincere Pansy a venire alla Tana a fare i biscotti, mentre alla Serpeverde aveva detto che non poteva mancare per aiutarla a convincere Hermione a far pace con Malfoy. Da una settimana infatti, la riccia non faceva altro che sospirare e guardare nel vuoto e Ginny aveva capito che era successo qualcosa che non le voleva raccontare. Ma ultimamente Hermione e Pansy avevano parlato spesso, così Ginny pensò che si sarebbero aiutate mentre lei controllava la tecnica dei giocatori in campo. Era vero che aveva bisogno di guardare come giocavano, non era riuscita ad assistere neanche a un loro allenamento.
Ma le due ragazze non capivano niente di Quidditch! Ginny sbuffò quando Hermione chiese, per la duecentesima volta la stessa cosa. E ancora quando chiese perché il battitore di Corvonero facesse un determinato lancio (che fra l’altro Ginny avrebbe dovuto ricordarselo nella prossima partita, perché riusciva particolarmente bene a colpire i cacciatori che si avvicinavano agli anelli da un lato del campo), o quando Pansy chiuse gli occhi nel momento in cui il portiere di Serpeverde si sporse troppo dalla scopa per parare la pluffa e dovette fare un’acrobazia azzardata per rimanere sulla scopa.

 

“Dovrebbe insegnarlo anche a mio fratello! Chi è il vostro portiere? È nuovo?” chiese Ginny alla Serpeverde.
Pansy alzò le spalle (che ne sapeva lei di chi fosse il loro portiere? Non riusciva neanche a vederlo…) e disse prima di rendersene conto: “Ho visto tuo fratello fare acrobazie più sfrenate e parate migliori”.

 

La rossa si voltò verso di lei. “E quando l’hai visto?”
“Quando mi hai obbligato a venire a vedere la vostra partita, ricordi?” le rispose con uno sguardo curioso.
“Oh, e hai guardato mio fratello?” Hermione allungò le orecchie. Si ricordava di quella partita. E si ricordava della reazione della Parkinson, verso il portiere dei Grifondoro. Chissà se avrebbe detto qualcosa sul fatto che lui si era comportato come uno stupido esibizionista.
“Vi ho guardato tutti. Ho anche visto la faccia di Potter quando il portiere di Tassorosso ti ha stretto la mano” disse strizzando un occhio. Poi tornò a guardare la partita. Ginny divenne del colore della sua sciarpa.
“Ma adesso chi sta vincendo?” Hermione ci aveva provato a seguire la partita, davvero. Ma alla fine guardava solo Draco sulla scopa.
La Sepeverde rispose, lentamente e trascinando le parole: “Penso noi”.
Ginny sbuffò. “Veramente sono pari” disse, sentendosi incompresa.

 

Dopo dieci minuti ci fu un boato e metà stadio si alzò in piedi. “Che succede? È finita?” la riccia cercò di capire chi avesse vinto dalle persone che gioivano. Dovevano aver vinto i Serpeverde.
“Malfoy ha preso il boccino!” strillò la giovane strega alle altre due, per sovrastare il rumore della folla intorno a loro.

 

Pansy strillò nell’orecchio di Hermione “Devi andare da Draco!”
Ma questa rispose, stupita: “Perché?”
“Beh, perché ha preso il boccino! Dovete festeggiare!” tentò di spiegarle.
“Non penso che lo farò.”
La mora sospirò. Doveva essere ancora arrabbiata se non voleva fare pace. Chissà per cosa avevano discusso… “Beh, se fossi in te, ci andrei prima che ci vada qualcun’altra” disse, indicando un gruppo di ragazzine che andavano incontro al biondo capitano.

 

Hermione era indecisa. Era ancora arrabbiata con lui per quello che aveva detto sulle vacanze… oh, per Godric! Chi era quella ragazzina che l’aveva abbracciato? Si alzò per andare verso il campo e non si rese conto di correre finché Draco non la fermò circondandola con un braccio.
“Hermione! Hai visto la partita?” le chiese sorpreso. Oh, come le era mancato.
“Sì. Sei stato bravissimo!” e detto questo gli allacciò le braccia al collo e incollò le sue labbra su quelle del giocatore.

 

Draco non se l’aspettava (e neanche tutti quelli intorno a loro), lasciò cadere la scopa e la circondò anche con l’altro braccio. Rispose al suo bacio sorridendo e le sussurrò sulle labbra, nel momento in cui si staccarono: “Mi sei mancata, piccola”. E la strinse di più.
Poi si ricordò di dove fossero. Si guardò intorno. E notò che tutti si erano fermati. Le ragazzine che avevano fatto il tifo per loro stavano guardando Hermione a bocca aperta. E anche qualcuno dei ragazzi. Poi tutto si riprese e la squadra continuò a festeggiare.
Draco guardò Hermione negli occhi. Per Salazar, che begli occhi che aveva. Le sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio e le chiese:“Cos’è successo?”
Lei sorrise, i suoi occhi brillarono e rispose: “Quando hai preso il boccino avete vinto la partita”.
“Io non intendevo…” iniziò, ma quando la vide ridere capì che lo stava prendendo in giro. Cercò con gli occhi la scopa e la raccolse. Avrebbero parlato dopo. “Vieni alla festa?” lei annuì. Era una giornata fantastica.

 

***

 

Ron e Harry avevano visto la partita lontano dalle ragazze. Videro Hermione fiondarsi fra le braccia del Serpeverde.
Harry sorrise, poi cercò nella folla Ginny. Quando aveva cercato di parlare con lei, aveva iniziato dicendo: “Ho parlato con Hermione…”, ma la rossa si era arrabbiata e se n’era andata. E si che pensava che avrebbero chiarito facilmente dopo la chiacchierata con Hermione. Forse aveva sbagliato a nominarla? Loro erano amiche. Lui era così confuso.
La vide gesticolare mentre rideva con la Parkinson, Luna e un’altra ragazza di cui gli sfuggiva il nome. Sospirò.
Ron, accanto a lui, seguì il suo sguardo. “Ma si può sapere cos’è successo fra di voi?” gli chiese.
“Sono stato un…”
Ron sventolò una mano davanti alla sua faccia, interrompendolo: “Sì sì, me la ricordo quella storia lì. Perché non vuoi spiegarmi cosa è successo? Ti giuro che non mi arrabbierò” Harry alzò un sopracciglio. “Ti giuro che proverò a non arrabbiarmi?” riprovò il rosso. Harry sorrise, mesto.
Stavano uscendo dallo stadio, dall’uscita più lontana da dov’erano le ragazze. “Dai, su. Ti giuro che se anche mi arrabbio non ti tirerò un pugno sul naso” Harry sorrise di un sorriso meno triste.
“Perché vuoi saperlo?” gli chiese il moro.
“Perché così posso aiutarti a tornare con lei?” propose Ron, spazientito.
“Ma tu non volevi che stesse con me!”
Ron sbuffò, non gli piaceva ammettere di essersi sbagliato. “Non voglio Corner o un altro a casa mia il giorno di Natale, è meglio che ci sia tu” spiegò, un po’ imbarazzato.

 

Harry non era sicuro del fatto che ci fosse una metafora sotto la frase sul Natale di Ron, ma la prese come un consenso e gli sorrise. “Grazie”.
Ron sbuffò ancora e riprovò a chiedere: “Quindi?”
“L’ho lasciata perché pensavo che mi avesse tradito. E quando ho capito che non mi aveva tradito lei si è arrabbiata” spiegò.
“Oh. E perché non me l’hai detto?”
“È tua sorella, non volevo che pensassi male di lei.”
Ron si accese una sigaretta mentre camminavano verso la scuola “È mia sorella. Penso sempre male di lei” disse un po’ serio e un po’ no. “Con chi pensavi?”
“Malfoy” Ron si fermò.
“Oh. L’avrei mollata anch’io. Ma Hermione lo sa?” Harry spiegò, per la terza volta, di come era andata quella notte. E poi gli raccontò quello che gli aveva detto Hermione. Ron rise.
Harry lo guardò malissimo. Davvero? Lui stava male e Ron rideva? Harry ora era un po’ arrabbiato. Come osava?
“Ok, scusa, amico. Quindi, ora che facciamo?” gli chiese il rosso.
“Facciamo?” rispose Harry stranito.
Ron alzò tutte e due le sopracciglia. “Non vorrai andare avanti così a lungo, vero?” Harry guardò per terra. Ma era così evidente? Ma cosa potevano fare? Guardò di nuovo l’amico.
“Io ho provato a parlarle. L’ultima volta due giorni fa. Ma lei parla di cose che non capisco. Dice che non ho fiducia in lei…” Ron si strinse nelle spalle.
“Oh, neanch’io capisco le ragazze…” Harry si ricordò della tipa che lo aveva liquidato con la storia del ‘bravo ragazzo’.

 

“E se provassi a farla ingelosire?” propose Ron. Cavolo non poteva non fare niente. Doveva convincere Harry a smuovere la situazione.
Harry spalancò occhi e bocca. “E se poi pensa che non la voglio più e si trova un altro?”
Ron sbuffò via il fumo e gli rispose: “E se si trova un altro senza che tu faccia niente? Ti ho mica detto di tradirla”.

 

Harry non sapeva cosa rispondere e disse la prima cosa che gli passò per la testa: “Ma da quand’è che fumi, tu?”

*** Grazie a tutti voi che leggete!!!! 😘

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Capitolo 22
*** Alla Tana ***


Alla tana

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Ginny non aveva proprio detto la verità.
Non aveva detto a nessuno in casa di aver invitato Pansy e Camille per il giorno dei biscotti. Purtroppo Camille era partita due giorni prima, così la Serpeverde sarebbe venuta da sola.
“Mamma, ho invitato una persona a fare i biscotti” inziò e  Molly le sorrise. Un sorriso vero. Sarebbe stato il primo Natale senza Fred e Ginny sapeva che sua mamma prendeva ancora la pozione della pace, ma quel pomeriggio era in forma. Tenersi occupata in cose fisiche l’aiutava a non pensare.
“Hai fatto bene. Chi viene? Luna? Più siamo…”
“No, mamma, viene Pansy. Pansy Parkinson. Ti ricordi di lei? È dello stesso anno di Ron, ma lei è in…” spiegò, con un tono basso.
“Serpeverde!” la interruppe sua mamma. “Sì, me la ricordo. Come mai l’hai invitata? Non pensavo vi frequentaste…”
“Oh, veramente ho iniziato a uscire con lei quest’anno...” Sbagliava o sua madre aveva sospirato di sollievo? “Lei non è male…” disse quasi per giustificarsi.
Molly annuì. “Io c’ero al processo di sua madre”. Ginny si bloccò. Davvero? Al processo della madre di Pansy?
“Tu sai…” Iniziò a chiedere la giovane strega
“Sì. Ho sentito tutto quello che ha detto sua madre al processo” rispose la strega, capendo quello che la figlia voleva chiederle. Questa volta annuì Ginny.
“Non ti dispiace se l’ho invitata, vero?”
Molly sorrise ancora. “Assolutamente no. Mi farebbe piacere conoscerla”.
Lei l’abbracciò e sussurrò vicino al suo orecchio: “Grazie mamma”.
Dopo poco suonò alla porta Hermione.

 

“Vieni cara, accomodati” la salutò Molly quando le aprì la porta.
Quando si tolse il mantello la strega le chiese: “Ti ha detto Ginny che verrà anche una sua amica?”
Hermione annuì. “Sì, sì, lo so che viene anche la Parkinson. A lei sta bene, Molly?”
La strega fece una faccia scandalizzata. “Certo! Perché non dovrebbe?”
Hermione sorrise. Ginny glielo aveva detto. Andò in cucina a salutare l’amica, si sedette sulla panca e chiacchierò un po’ con lei, aspettando gli altri.

 

George scese subito dopo il suo arrivo. Era ancora più magro del solito, ma sembrava che stesse bene. Le sorrise e le diede un bacio sulla guancia.
“Viene anche Angelina, giusto?” gli chiese la riccia.
Il ragazzo arrossì e annuì, andando verso il lavello. Hermione e Ginny si scambiarono un’occhiata tutta femminile e sorrisero.
“Come viene?” chiese allora Hermione.
“Viene con la metropolvere, via camino. Non è mai stata qui” rispose George, bevendo un bicchiere d’acqua.
“Certo che potevi andarla a prendere… “ disse Ginny, con finta noncuranza.
“Perché, tu sei andata a prendere la tua amica?” la sfidò il fratello, con un sorrisetto.
“No, neanch’io sono mai stata a casa sua, invece immagino tu ci sia già stato da Angelina, no?” disse la sorellina ridacchiando.

 

George era ancora imbarazzato e Ginny fu contenta di esserne la causa, con tutte le volte che lui aveva messo in imbarazzo lei con Harry!
“A proposito, chi è? La conosco?” chiese George: si era ripreso subito.
Ginny scosse le spalle. Tanto valeva dirlo subito. “Si che la conosci. È la Parkinson”.
George, stupito, esclamò: “No!”, con una faccia così strana che Ginny si irrigidì. Non pensava che avrebbe reagito così. Anche Angelina l’avrebbe presa male?
Hermione venne in suo aiuto e gli domandò: “Perché?”
George sorrise di quel sorriso che Ginny si ricordava di aver visto solo prima della guerra magica. “Lei viene qui e Ron non c’è? Vedrai come rosicherà quando lo saprà”, rispose ridacchiando.
Ginny si rilassò ma lo guardò curiosa. “Ron?” disse. Merlino, Ron! Non pensava di doversi preoccupare di Ron. Non dopo la loro chiacchierata.
George annuì. “Ti ricordi cosa ha detto quando l’abbiamo vista al negozio, quest’estate? Che belle gambe qua, che bella ragazza là…” Ginny liquidò il fratello con la mano. Ah, parlava dell’estate scorsa.
“Oh, dovevi vedere a scuola, ha un treno di ragazzine che gli corrono dietro. Non gli farà né caldo né freddo” spiegò.
George ora era stupito e alzò un sopracciglio: la sua faccia divenne strana. “Ragazzine che gli corrono dietro? Sei sicura? Ronald nostro fratello?”

 

Prima che Ginny potesse rispondere, si sentì un rumore dal salotto e una voce che diceva: “Buongiorno”. Angelina era arrivata. George si scordò della conversazione e uscì dalla cucina.
“Ciao Angelina, cara, accomodati” disse Molly e abbracciò la ragazza che ricambiò l’abbraccio e si guardò intorno.
George si diresse subito verso di lei e la salutò con un bacio sulla guancia. Mentre erano ancora tutti lì a salutarla, arrivò anche la Parkinson.

 

Pansy sperò di non fare brutte figure. Come si comportavano le persone normali? Prese un po’ di metropolvere e si avvicinò al camino. Rimase almeno cinque minuti a guardarlo, poi si fece coraggio. Si avvicinò, gettò la polvere e disse chiaramente dove volesse andare.
Quando arrivò nel soggiorno dei Weasley, tutti la stavano guardando. Si sentì un attimo in imbarazzo, poi Ginny le andò vicino e l’abbracciò.
“Ciao, Pansy!” le disse la rossa e lei si sentì subito meglio. Salutò tutti (nessuno ebbe da dire che lei fosse lì, anche se la Johnson l’aveva guardata un po’ sorpresa), poi la madre di Ginny venne a salutarla e l’abbracciò. Era una cosa così strana. Loro si abbracciavano tutti. Ma era anche così confortevole, essere abbracciati.
Si guardò intorno: era un posto caldo e vissuto. Forse era un po’ in disordine, ma Pansy immaginò bambini dai capelli rossi che correvano per il soggiorno e sorrise. Quella era una ‘vera casa’.
“Com’è carino, qui. Signora Weasley ha una bella casa” Per fortuna sua madre le aveva dato anche un’educazione, anche se lei, nei confronti dei Weasley l’aveva usata ben poco.
“Grazie cara. Togliti pure il mantello” le disse e prese il suo mantello e si diresse verso la cucina insieme agli altri.
Lei si stava ancora guardando intorno, quando nell’angolo vide un grosso orologio a pendolo. Era strano: aveva più lancette degli orologi normali e non aveva i numeri. Si avvicinò per guardarlo meglio: sulle lancette erano scritti i nomi dei componenti della famiglia, mentre sul riquadro c’erano scritte tipo ‘scuola’, ‘lavoro’, ‘dentista’ e qualcuna più inquietante tipo ‘perso’ o ‘pericolo mortale’.
Solo la lancetta che riportava il nome di Fred, era rivolta verso il basso, a penzoloni, nel vuoto. Quando capì a cosa servisse esclamò qualcosa che fece voltare gli ultimi rimasti con lei nella stanza: Hermione e George.
Loro si girarono verso di lei e le andarono vicino.

 

Quando Hermione fu vicino alla Parkinson, questa le appoggiò una mano sul braccio e, indicando l’orologio con l’altra mano, disse: “Non mi hai proposto questo, per mia sorella. È stupefacente!”
La riccia sorrise. “È bello, vero? È che non funziona all’estero. Vedi? Charlie, che è in Romania, resta sempre fisso su ‘Fuori’.
“Oh, che disdetta!” esclamò la Serpeverde, mordendosi poi un labbro.
“A cosa ti serviva?” le chiese George, avvicinandosi.
“Volevo una cosa così per controllare mia sorella” disse lei, sventolando una mano.
“Tua sorella… minore?” domandò ancora George. Hermione lo guardò confusa dalla sua domanda, ma lui stava ancora guardando la Parkinson e non la vide.
Pansy si voltò verso il rosso, sospirando e spiegando: “Già. Ha tre anni meno di me, quasi quattro. Ed è terribile”.
“Oh, sì, so come sono le sorelle piccole”, disse Weasley, guardando verso la cucina.
“Fidati, Ginny è un fiore in confronto alla mia” sottolineò Pansy. Ginny era stata una scoperta. Una ragazza fantastica, un’amica preziosa.
“Oh, forse è più una puffola pigmea. Tanto carina e dolce, ma che quando strilla lo fa con voce acuta” spiegò e ammiccò divertito nella sua direzione.
Pansy sentì il calore salirle al viso. Aveva parlato di puffole? Cosa sapeva della storia della puffola? Probabilmente tutto. Per Salazar, che imbarazzo.
Tornò a guardare l’orologio. Tutti lo guardarono.

 

George osservava la lancetta di Fred. Non l’aveva più guardata. Faceva male. Ma era anche brutta da vedere, così fissa nel vuoto. Forse tutti ci pensavano, ma nessuno faceva niente.
Avrebbero dovuto toglierla? Mamma avrebbe tirato orecchie e lanciato ciabatte, se qualcuno avesse soltanto osato proporlo.
Poi la Serpeverde parlò ancora: “Perché la lancetta di Fred pende così?”
Hermione si voltò verso di lei con gli occhi sbarrati dicendo: “È perché lui è…”
Ma la mora la interruppe: “Sì, lo so. Ma perché è così, nel vuoto? Non indica niente”, poi si voltò verso George e gli chiese con un tono più basso: “Secondo te lui dov’è, adesso?”
George ci pensò su un attimo, poi disse: “Lui è dappertutto. È con me quando sono al Tiri Vispi, o in camera mia, o quando guardo il cielo. In cielo, sì, lui è lì”. Tornò a guardare l’orologio.
Lei annuì. Poi disse: “Posso?”, e tirò fuori la bacchetta.
Esattamente sotto la punta della lancetta di Fred, si creò l’immagine di un cielo scuro con le stelle luminose. Una piccola macchia scura con dei piccoli puntini che brillavano a intermittenza. Per riuscire a crearsi l’immagine, le scritte ‘al lavoro’ e ‘in viaggio’ si spostarono un pochino.
George sorrise. Non era più brutto da vedere. “È bellissimo” disse, quasi emozionato.
Le lancette di Ron, del Papà, di Bill e di Percy si spostarono un po’ per tornare sulla scritta ‘al lavoro’.
“Andiamo a fare i biscotti, prima che mamma ci chiami.”

 

La cucina di mamma Weasley era piccola e incasinata. E accogliente. Anche qui c’era un orologio senza numeri e il ripiano sopra il camino era pieno di libri di cucina e di cura per la casa. Pansy pensò che nella sua nuova casa avrebbe voluto una cucina così: calda e confortevole. Magari un po’ più grande. Cercò di memorizzare il più possibile. Nella casa dove aveva sempre vissuto, le cucine erano nascoste, dimora degli elfi. Avrebbe avuto ancora elfi, su questo non c’era dubbio, ma avrebbe preferito avere una cucina da vivere. Sospirò.
Ginny le andò vicino “Tutto bene?” le chiese e Pansy annuì.
“Mi piace, casa tua” rispose solamente.
Ginny la guardò con uno sguardo incuriosito e poi disse: “Casa mia? Davvero?” la mora sorrise e annuì ancora.

 

***

 

Fare i biscotti era davvero divertente. La signora Weasley aveva preteso che non si usassero le bacchette e così avevano fatto. Avevano usato uno strano attrezzo per stendere la pasta, poi avevano usato dei piccoli pezzi di metallo dalle varie forme per formare i biscotti.
Avevano riso tantissimo (Pansy non si ricordava l’ultima volta che aveva riso così tanto). La cucina era invasa di farina e tutti loro l’avevano dappertutto. Sul piano da lavoro c’erano teglie di biscotti da cuocere e teglie di biscotti cotti, pronti per essere decorati. Molly aveva tirato fuori delle tazze con dentro un liquido di tanti colori diversi, che lei chiamava ‘glassa’ che si faceva colare sui biscotti e poi induriva, dandogli quell’aspetto liscio e lucente.
Erano bellissimi. Quasi un peccato non mangiarli. Pansy beccò più volte Ginny che si mangiava qualche biscotto di nascosto, dicendo: “mi è venuto male”, mentre ridacchiava. Angelina e George erano molto simpatici e, più di una volta, notò che si lanciavano sguardi teneri, da un lato del tavolo all’altro.

 

“Come va il negozio, George?”
Hermione non aveva tirato su la testa dalla decorazione di un albero di Natale particolarmente difficile, mentre poneva la domanda.
“Oh, va benissimo. Abbiamo ricevuto molti più ordini ultimamente, probabilmente per via del Natale” rispose il rosso, mentre giocava con un pezzo di pasta frolla, lanciando sguardi strani alla ragazza mulatta al di là del tavolo.
“Chi c’è adesso in negozio, se tu sei qui?” chiese Angelina, quando alzò lo sguardo, lo beccò a guardarla e quindi gli sorrise.

 
“Ho lasciato a Ron il comando, ma spero che Harry lo stia aiutando” spiegò il ragazzo. Ginny alzò gli occhi dal suo biscotto a forma di boccino, su cui voleva stendere la glassa dorata.
“Harry?” chiese la rossa. George annuì curioso. “Quindi dopo verranno qui?” continuò lei. Hermione tirò su la testa (il suo albero era perfetto, comunque).
“Perché dove pensavi che andassero?” le chiese la riccia. Ginny alzò le spalle.  
“Per fortuna ci fermiamo per le vacanze di Natale anche noi, quest’anno. Ma andrò a trovare dei parenti con i miei fino a capodanno” disse Angelina, per cambiare argomento, guardando George.
Pansy le chiese cosa facesse adesso che aveva finito Hogwarts e lei rispose: “Gioco a Quidditch”.
“Davvero? Professionalmente?” esclamò la Serpevere e Angelina sorrise, contenta.
“Sì, con le Holyhead Harpies, le conosci?”
Pansy scosse la testa. “Le ho solo sentite nominare, io… non sono una gran tifosa di Quidditch, mi spiace” rispose.
Ginny sbuffò al suo fianco. “Già, non le piace il Quidditch, come a Hermione. Ma come si fa?” Angelina le sorrise scuotendo le spalle e le altre due ragazze si scambiarono un’occhiata. Poi Ginny continuò: “Io darei la mia bacchetta per giocare con le Holyhead Harpies…”
Angelina, che si era chinata per spostare un po’ di farina dal piano, si ritirò su e le disse: “Ti piacerebbe? Dovresti venire a fare qualche allenamento. Stiamo cercando una cacciatrice e tu eri molto brava”.
A Ginny cadde per terra il biscotto. “Davvero? Posso? Mamma, posso?”
Si voltò verso la madre che infornava le teglie dei biscotti ancora da cuocere.
“Solo se non comprometterà i tuoi voti a scuola” rispose lei.
La rossa corse ad abbracciare la madre che sorrideva e poi disse ad Angelina: “Comunque sono ancora brava. L’ultima partita ho segnato tantissimi punti”.

 

In quel momento suonarono il campanello. Molly andò ad aprire ed entrarono Bill e Fleur, che parlavano animatamente fra di loro. Il ragazzo aveva un viso serio reso un po’ inquietante dalla cicatrice che gli solcava la guancia e la ragazza che entrò in cucina subito dopo di lui era visibilmente incinta e molto agitata.
Stavano discutendo, solo che lui parlava in inglese e lei gli rispondeva in francese. Erano veramente buffi, ma i toni erano accesi e nessuno osò dire niente. Tutti guardavano il piano di lavoro e andarono avanti in quello che stavano facendo. Era un po’ imbarazzante.

 

“Ti ho detto che non me ne sono accorto!” esclamò Bill per la terza volta e Fleur gli rispose qualcosa in francese.
“No, non è vero, non ho fatto niente, te lo giuro” disse ancora lui, subito seguito da un’altra frase di Fleur.
“Ma non l’ho neanche guardata!” Fleur disse ancora qualcosa. La ragazza si stava agitando e se n’erano accorti tutti. Nella cucina, ora, gli sguardi andavano da una persona all’altra e Molly, ancora sulla porta della cucina, non riuscì a non guardare i ragazzi che litigavano.
Poi Fleur disse qualcos’altro indicandosi con una mano e con una voce più stridula, sembrava sul punto di piangere.

 

Pansy alzò la testa e non riuscì a non esclamare: “Ma se sei bellissima! Le avessi io le tette così!”
Tutti si girarono verso di lei e la Serpeverde si rese conto di aver parlato senza pensare, così per un momento stette in silenzio prima di dire: “Scusate”.
Ginny la guardò e disse sottovoce: “Ma che hai detto?”
Pansy sbarrò gli occhi. Per Salazar, era una cosa sconveniente? Aveva esagerato? Fleur si voltò verso di loro e le sorrise andandole incontro.
“Tesoro. Sei carinissima” le disse. Le prese il volto fra le mani e le diede un bacio in fronte. Poi si voltò verso il marito che aveva guardato la scena, un po’ meno serio e preoccupato di prima e gli comunicò con finto rimprovero: “La prossima volta sposo lei”.
La bionda tornò di buon umore e salutò con baci e abbracci tutti gli altri. Il ragazzo rosso guardò Pansy e le fece un cenno con la testa, per ringraziarla. Lei annuì con il capo in risposta. Era abbastanza in imbarazzo, ma l’importante era che la discussione fosse sfumata.
“Ma sai il francese, tu?” le chiese la Granger.
La mora capì in quel momento di aver parlato in francese. “Un po’” rispose. Poi qualcuno arrivò ancora dal camino e Molly e Fleur andarono in soggiorno.
“Che cosa diceva Fluer?” chiese Ginny, a cui il francese non interessava per niente.
Pansy alzò lo sguardo verso Bill e lui spiegò: “È gelosa di una nuova collega che lavora alla Gringott. Beh, a dir la verità è gelosa di tutte. Sembra che il fatto che stia ingrassando, la renda insicura. E scontrosa. E irritabile”. Il rosso sospirò.
“Succede anche a mia sorella. È normale. Sono gli ormoni” disse la Serpeverde, spargendo nocciole gratinate sulla glassa dei biscotti.
“Tua sorella?” esclamarono insieme Weasley e la Granger.
“Già, è incinta” ammise Pansy un po’ a disagio. Non lo sapevano?
Guardò verso Ginny, che alzò le spalle. “Io non lo avevo detto a nessuno”.

 

***

 

“Chi è che è incinta?” Molly era tornata in cucina con Fleur che teneva sul fianco un bambino con i capelli azzurri e, dietro di lei, entrò una signora sulla cinquantina, con i capelli biondi raccolti sulla nuca, salutando tutti.
“Mia sorella, signora Weasley” disse la ragazza, girandosi verso di lei. La donna si girò verso la Serpeverde, guardandola curiosa.
“Tua sorella? Ma quanti ha?”
Bill, che riconobbe il tono della madre, fece cenno a George di uscire con lui dalla cucina. “George, non avevi detto che mi avresti fatto vedere…. ehm… qualcosa?”
George lanciò un’occhiata ad Angelina, che annuì, ed esclamò: “Certo! Mi ero scordato. Vieni in camera mia che te lo faccio vedere”. E i ragazzi uscirono.

 

Pansy che aveva seguito con lo sguardo i due ragazzi (e aveva tanto desiderato dire che voleva andare con loro), tornò a guardare la madre di Ginny e sussurrò: “Quindici”.
Fluer fece un verso strano di stupore e si sedette con il bambino sulla panca mentre il piccolo giocava con i suoi capelli.
“Quindici! Pansy…” mormorò la signora Weasley.
La donna bionda si avvicinò al tavolo, dove ormai tutti i biscotti erano stati decorati, e le sorrise. “Sei Pansy? Pansy Parkinson?” Pansy annuì.
La signora le si avvicinò. “Mia sorella Narcissa mi ha parlato di te” disse e quando la guardò, le porse la mano “Ah, io sono Andromeda Tonks. E lui è il mio nipotino Teddy”.
La ragazza guardò il bambino, che si stava mettendo una mano in bocca e poi riportò lo sguardo su Andromeda. Non riusciva a capire chi fosse. La Granger le sussurrò: “È la zia di Draco”. Pansy capì che doveva essere quella sorella di Narcissa che era stata rinnegata dalla famiglia. Una volta Draco le aveva detto qualcosa a proposito… Sì, doveva essere la madre di Ninfadora Tonks.
“Piacere, signora Tonks” disse, stringendole la mano un po’ imbarazzata.
“Oh, chiamami pure Andromeda. Ci vedremo comunque a Natale a casa di Narcissa.”
“Io non…” Ma la Serpeverde non potè finire la frase.
“Ma tua sorella sta bene? E adesso cosa farete?”

 

Molly non era in vena di convenevoli, anzi, pensava ci fossero cose più importanti.
La ragazza alzò le spalle: “Io penso che stia bene. Cioè, l’ho portata al San Mungo e i medimaghi l’hanno visitata. Le ho detto che le sarei stata vicina, ma effettivamente non ho la più pallida idea di cosa fare. Lei vuole tenere il bambino e io l’aiuterò. Posso fare solo questo. Non mi vuole neanche dire chi è il padre”.
Ci fu un minuto di silenzio. Poi, sempre silenziosamente, la strega più vecchia, bacchetta alla mano, sgomberò il tavolo, lo ripulì e poi fece sedere la ragazza sulla panca.

 

Pansy, per un attimo, pensò che la signora Weasley l’avrebbe sgridata (come sapeva avrebbe fatto sua madre) con frasi tipo ‘Ma che ti salta in mente?’, ‘Ma dove eri quando tua sorella si stava cacciando nei guai? ’o ‘Perché hai lasciato che succedesse?’.
Ma lei le andò vicino e la fece sedere, accomodandosi accanto a lei e mettendole un braccio sulle spalle, un gesto che Pansy avrebbe voluto ricevere tante volte, da sua madre, ma che non era mai successo.

 

Dal salotto, in quel momento, si sentirono delle voci. Probabilmente suo marito Arthur e i ragazzi erano tornati a casa. Molly fece cenno a Ginny di chiudere la porta della cucina.
“Ma non avete nessuno che può aiutarvi a crescere il bambino?” chiese alla mora, mentre Ginny chiudeva la porta. Tutte le ragazze si sedettero, chi vicino a Fluer, chi vicino a Pansy, mentre Andromeda metteva su l’acqua per il tè.

 

Harry e Ron erano arrivati con la metropolvere pochi secondi dietro al padre di Ron. Harry salutò tutti. In soggiorno c’erano Bill e George e lo salutarono anche loro. “Come è andata? Mi avete distrutto il negozio?” George sorrideva, e a Harry la cosa piacque molto.
“No, abbiamo pensato di farlo saltare in aria la prossima volta, così da non creare sospetti” gli rispose e George annuì con un cenno del capo.
Ron sentì delle voci in cucina e chiese ai fratelli: “Chi c’è?”
Bill gli rispose: “C’è Andromeda con Teddy”.
Il viso di Harry si illuminò. “Teddy?”

 

Ron si avvicinò alla cucina ma quando fu davanti alla porta vide la Parkinson seduta sulla panca, vicino a sua madre che le chiedeva: “Ma non avete nessuno che può aiutarvi a crescere il bambino?”, e la mora scuotere la testa. Fece un passo avanti, ma dopo pochissimo, Ginny lo chiuse fuori dalla cucina.
Ma cosa stava succedendo? Cosa ci faceva lì la Serpeverde? E poi.. un bambino? Ma la Parkinson era incinta? Quell’idiota del suo fidanzato l’aveva messa incinta? Si passò nervosamente una mano fra i capelli e si rigirò verso il soggiorno.
George disse, indicando la cucina con il capo: “C’è aria tesa, là dentro. Noi siamo usciti”.
Ron annuì e guardò Harry che, non avendo sentito quello che aveva sentito lui, non capì. “Facciamo un giro?” gli chiese e Harry annuì. Uscirono insieme da casa e andarono sul retro girando intorno all’edificio.

 

In cucina, nel frattempo, Molly coccolava la moretta come se fosse un’altra figlia.
La giovane raccontò della sorella, di come avesse scoperto di essere incinta e del fatto che avesse voluto andare dai nonni in Francia. Aveva spiegato come aveva accompagnato in Francia la sorella, che era ancora arrabbiata con lei, così non si era fermata nella casa dei nonni. Aveva comunque già ricevuto una sua lettera, molto striminzita, in cui le diceva che stava bene. Ne aspettava un’altra per l’indomani. Poi sarebbe tornata in Francia per assicurarsi che stesse andando tutto bene. Le aveva comunque lasciato la passaporta, nel caso ne avesse avuto bisogno.
“Ma perché pensi che ne potrebbe avere bisogno?” Ginny stava giocando con Teddy sul pavimento, ma quando il bambino le tirò i capelli, cacciò un urletto. Hermione si avvicinò e prese in braccio il piccolo, dopo avergli tolto i capelli della rossa dalle mani.

 

Pansy scosse le spalle. “I suoi nonni somigliano troppo a mia madre” spiegò. Ginny la guardò in una maniera curiosa, ma lei sperò che riuscisse a capire.

 

Ginny pensò che Pansy non volesse dire troppo davanti a persone che non conosceva bene. Così alla fine annuì. Si alzò da terra e riprese Teddy in braccio, facendogli una pernacchia sul pancino. Il bambino rise rumorosamente e lei si avvicinò all’amica.
“Vedrai che andrà tutto bene” disse sua madre, guardando Teddy. Aveva un tono strano. Probabilmente stava pensando. Ginny si risedette vicino alla mora e si mise Teddy sulle ginocchia, girato verso di lei.
“Andrà bene sì. Guarda come sono carini i bambini.”

 

Teddy allungò una manina a toccarle un ginocchio. La sua pelle era calda, la sentiva attraverso le calze. Pansy sorrise. Il bambino alzò lo sguardo su di lei e i suoi occhi brillarono di un altro colore. La mora pensò di esserselo immaginato.
Poi Ginny le diede il bambino e disse: “To’ fai un po’ di pratica”.
Pansy sollevò Teddy davanti al viso, un po’ imbarazzata perché non sapeva molto bene come tenerlo, ma lui non lo sapeva e rise gaio. I suoi occhi questa volta cambiarono colore davvero e divennero viola e lei sgranò gli occhi stupita. Lui rise di più, aprendo la bocca e infilandoci una mano.
Pansy, contagiata dal bambino rise e lui, guardandola, cambiò il colore dei capelli. “Mah…” esclamò lei, guardandosi intorno sorpresa.
“Teddy è un Metamorfomagus” spiegò Hermione e accarezzò il bimbo sui ricci fucsia.
La Serpeverde fece sedere il bambino sulle sue gambe e disse: “Così piccolo e già così interessante”, Poi sussurrò: “Vedrai quante ragazze cadranno ai tuoi piedi!”
Andromeda rise, versando il tè. Anche Molly sorrise.
“Chi vuole una tazza di te?” chiese la donna. Pansy si alzò e consegnò il bambino alla nonna.
“Io ho bisogno di fumare, scusatemi” dichiarò e fuggì dalla cucina prima di sentire qualche commento su quanto facesse male fumare.
Uscì dalla cucina, indossò il mantello e andò in cortile, guardandosi intorno. Ormai c’era buio e intorno a lei solo campagna. Molto carino.

 

Ginny sentì dei rumori oltre la porta che dava sul retro. Si alzò e andò a vedere: Ron e Harry stavano volando sulle scope, rincorrendosi come bambini.
Quando la vide, Harry atterrò vicino a lei. Poco dopo anche Ron atterrò vicino a Harry. “Tutto a posto lì in cucina?” le chiese suo fratello.
Lei annuì, guardando Harry. “Sì sì. Venite”. Ron entrò lasciando fuori la scopa. Poco dopo entrò anche Harry.
“Biscotti?” Il rosso allungò una mano verso un biscotto e lo fece sparire in bocca.
“Tanto lavoro e poi…” brontolò Ginny.
“Che si mangia, stasera, mamma?” chiese Ron, ignorandola. Mangiò anche un altro biscotto. Molly borbottò qualcosa che Ginny non capì, ma Ron dovette capire perché non rifece la domanda. “E di dolce?”
“Torta di Melassa” specificò Molly. A Harry si illuminarono gli occhi. Era il suo dolce preferito. Ginny si irritò.
“Perché hai fatto la torta di melassa, mamma?” Molly la guardò stranita “L’hai fatta per Harry?”
La signora Weasley si imbarazzò, colta sul fatto. “Beh, io pensavo…”
“Grazie, signora Weasley” disse a quel punto Harry. Ginny si irritò ancora di più.
“Mamma, lo sai che ci siamo anche noi? Noi altri figli? Perché non hai fatto la mia torta preferita? O quella di Ron?”

 

Il rosso guardò la sorella, non capendo la sua sfuriata. Poi guardò Hermione, ma neanche lei ci capiva molto.
“Ma lo sai qual è la torta preferita di Ron, almeno, mamma? O sai solo qual è quella di Harry?”
Tutti si voltarono verso Molly e poi verso Ron. Lui si sentì in imbarazzo. Cosa aveva sua sorella? Perché era così cattiva? Lui la guardò, ma lei non ricambiò il suo sguardo. Così guardò sua mamma, che aveva una faccia strana, come se fosse preoccupata per la figlia. Quando la madre lo guardò, aveva uno sguardo colpevole. Lui lanciò uno sguardo di fuoco alla sorella (e si assicurò che lei lo vedesse) e poi si avvicinò alla strega più vecchia.
“Mamma, a me le tue torte piacciono tutte. Non ne ho una preferita” disse, le diede un bacio sulla guancia e uscì fuori. Prese la scopa e fece un altro giro.

 

Pansy sentì una gallina chiocciare da qualche parte. Andò verso il giardino e si sedette su una panchina girandosi verso la casa. Da lì poteva vedere tutta la costruzione: era fatta in maniera stranissima.
Immaginò che per ogni figlio che nasceva i coniugi Weasley aggiungessero un pezzo di casa per fare spazio. Era incredibile. Chissà com’era crescere in una famiglia numerosa.
Si accese una sigaretta e aspirò. Da fuori vide le lanterne accendersi in soggiorno. Ci furono un po’di grida e tante risate. Da dov’era poteva osservare l’ombra delle persone sui vetri delle finestre. Erano una gran famiglia.
Sentì la voce della Granger chiamare uno dei Weasley e sentì la Johnson urlare a seguito di uno scoppio. Poi ci fu la risata del gemello. La voce della signora Weasley sovrastava tutti, gridando e sgridando. Ci furono altre risate e si sentirono dei rumori strani. Poi il Weasley che aveva fatto i biscotti con loro, chiamò a gran voce Potter, ma qualcun altro gridò di non andare e poi ci fu un altro scoppio. Di sicuro non si annoiavano mai.

 

“Ciao.”
Ron atterrò vicino alla panchina. La Parkinson sobbalzò quando sentì la sua voce. Fece cadere la sigaretta. “Oh, Merlino!” E si chinò a raccoglierla. Ma come, stava fumando?

 

“Non dovresti fumare” la sgridò.
Lei lo guardò stranita. “Abbiamo già fatto questo discorso…”
“No, davvero. Non fa male… al bambino?” La mora sgranò gli occhi quando capì cosa intendesse. Doveva aver sentito qualche frase dalla cucina.
“Oh, no. Non sono io a essere… incinta.”

 

Ron si sedette anche lui sulla panchina, sorridendo.
“Oh, meglio così” disse allora. Lei lo guardò con uno sguardo strano. Non c’era tanta luce e lui non la vedeva benissimo.
“È mia sorella che aspetta un bambino” spiegò.
“Per Godric. La Serpeverde di quindici anni, giusto?” Lei annuì. Si accese anche lui una sigaretta.
“Già. Ma cosa fai, fumi? E se tua mamma lo viene a sapere?” Lui scosse le spalle.
“Merlino, fa paura a me, tua mamma!” Ron rise. Già, mamma faceva quell’effetto. Lei sospirò. Poi Ron tirò dalla sigaretta.
“Sarà contento il tuo fidanzato” disse, poi si rese conto di quello che aveva detto e cercò di rimediare “Non che sia incinta tua sorella… ma che non lo sia tu… oh Merlino. Intendevo…”
Ron si sentiva malissimo. Diceva sempre la cosa sbagliata. Come uscirne, adesso?

 

Pansy iniziò a ridere. La sua faccia era spassosissima: era così tenero. Le vennero le lacrime agli occhi e, quando riuscì a controllarsi, disse: “Non preoccuparti. Ho capito. Ma io non ce l’ho un fidanzato”. Alzò le spalle e guardò verso la casa, rigirando la sigaretta fra le dita.

 

Ron sorrise ancora. Ma poi il suo sorriso svanì. “Ma Ginny dice…” Lei aspirò e quando sbuffò il fumo. Qualcosa si mosse nel petto del rosso.
“Oh, William è un gioco fra me e tua sorella. Ci è solo sfuggito di mano” liquidò la cosa lei.
Ron si guardò intorno: una gran bella serata. Per uccidere una sorella. Prima la sceneggiata con sua madre, ora questa scoperta. Se fosse dipeso da lui, non sarebbe arrivata viva a Natale.
“Oh là là” esclamò la mora e lui si voltò verso di lei. Gli indicò una finestra. Stava guardando verso casa sua, verso i piani più alti. Si girò anche lui verso il quarto piano: la camera di George aveva le luci accese. Si vedevano chiaramente due ombre, quella di George e quella di Angelina. Si stavano baciando, dopo poco Angelina tolse la maglietta a George. Non si vedeva granchè, ma c’era da immaginare che fra non molto sarebbero finiti a letto.
“Immaginavo qualcosa del genere” disse lui, sorridendo.

 

Lei si alzò e spense la sigaretta sotto la scarpa. Tirò fuori la bacchetta per farla sparire e nel farlo, il mantello le si aprì un po’.
“Sei sporca di farina” disse Weasley, allungò la mano verso la sua gamba e la pulì dalla polvere bianca.

 

Quando la toccò le sue gambe tremarono e se ne accorse anche lui.
“Ti sei scordata di vestirti?” le chiese e Pansy pensò di aver capito male.
“Scusa?”
“È dicembre. Sei troppo poco vestita” la sgridò il rosso.
“Ma cosa dici?” Pansy si guardò: aveva dei pantaloncini, le calze coprenti e una maglia sottile ma caldissima. Anche lì fuori, non aveva freddo.

 

La stava guardando anche Ron. Prima le aveva guardato le gambe. Ma quelli erano pantaloncini? Erano corti. Troppo corti. Lui riusciva a vedere tantissimo. Quando poi spostò il mantello per guardarsi meglio, lui vide che indossava una maglia attillata che le metteva in mostra il seno.
Si leccò le labbra. Per Godric, sarebbe stato difficile non fare niente.
Così pensò a qualcosa da dire, senza tornare in casa. Ma lei la pensava diversamente.
Si era già incamminata verso il portone d’ingresso quando Ron, che non voleva che se ne andasse disse ad alta voce: “Vuoi vedere una cosa bella?”

 

Pansy si girò. Avrebbe dovuto dire di no? Come si fa a dire di no a una cosa bella?
“Che cosa?” gli chiese. Si rese conto da sola che era una domanda stupida. Ma sapeva anche che non voleva dire di no. E per accettare ci voleva un buon motivo.
“Dovrai fidarti” disse il rosso, poi si alzò e fece sparire la sigaretta.
Tentennò un po’. Ma neanche tanto.
“Ok” rispose, e fece due passi fino a raggiungerlo.

 

Ron le prese la mano e la portò dietro casa. Girarono intorno alla costruzione e si trovarono davanti un piccolo capanno di legno.
Lui aprì la porta e, sempre con la mano libera, afferrò la bacchetta e accese le lanterne. Le fece cenno di entrare e poi chiuse la porta dietro di sé. 

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Capitolo 23
*** Il carrillon ***


il carillon - spazi

Il carillon

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Il capanno era un ripostiglio, Weasley l’aveva portata in un ripostiglio. Più o meno.
C’era confusione. Più che in casa. Su un lato c’era un tavolo di legno con appoggiati sopra un po’ di oggetti strani. E poi scaffali e mensole, pieni di cose.
“Questo è il rifugio di mio padre. Studia qui gli oggetti babbani. Mamma non entra mai” spiegò lui.
Lei non capì bene né perché glielo stesse dicendo, né perché l’avesse portata lì.
Quando Weasley la tirò per la mano (lui non l’aveva ancora lasciata), lo seguì verso il fondo del locale. Lui si chinò e spostò una coperta da una scatola di carta. Sotto la coperta, quattro testoline guardarono in alto: quattro gatti. Un gatto grosso e tre gattini piccoli.
“Oh…” esclamò, lasciando la sua mano e chinandosi vicino a lui.
Erano stupendi. Mamma gatta non oppose resistenza quando Weasley ne prese uno per la collottola e glielo allungò. Lei tenne in mano quel gattino grigio con gli occhi verdi, mentre lui strofinava la testa contro la sua mano. Miagolava. Com’era morbido. Pansy lo accarezzò sulla testolina mentre lui allargava le zampine. Il suo punto debole: i gattini.

 

I suoi occhi brillavano. Era bellissima. Ron pensò di non aver mai visto qualcosa di così bello. E poi lei non era fidanzata. Cosa avrebbe fatto se l’avesse baciata ancora? Le sue labbra erano così invitanti. Si alzò velocemente. Non era sicuro. Lei lo guardò e poi si alzò anche lei.
“Stai bene? Hai una faccia strana” gli chiese, preoccupata.
Lei si richinò a sistemare il gatto vicino alla mamma e fece una carezza a tutti.
Lui indietreggiò di un passo, finì contrò il tavolo e una scatola di legno cadde sulla coperta, vicino a lei, spaventando i gatti.
La mora lo guardò stranita, continuò ad accarezzare la mamma gatta e poi si alzò, raccogliendo la scatola e appoggiandola vicino a lui.

 

“Che succede?” gli chiese ancora.
Pansy pensava di aver fatto qualcosa di male. Ma non capiva cosa. Lui aveva una faccia così strana. Il rosso non parlava, ancora. E lei si stava spaventando. Appoggiò la scatola sul tavolo dietro di lui, un tavolo stretto e lungo appoggiato al muro, e guardò le cose che c’erano sopra per non guardarlo ancora in faccia. Oggetti babbani, aveva detto. Anche la scatola che aveva in mano era babbana?
La guardò bene: aveva delle decorazioni su tutti i lati, alcune linee sembravano addirittura essere state intagliate nel legno. L’accarezzò con la mano.

 

Ron si riscosse quel tanto che bastava per accorgersi che lei aveva appoggiato la scatola e la stava osservando. Si girò, e notò che lei passava la mano avanti e indietro, come se dovesse succedere qualcosa. Così allungò la mano anche lui e fece scattare la piccola serratura.
“È un carillon babbano” spiegò.
Lo aprì e la statua immobile di una ballerina, in piedi al centro della scatola, fece la sua apparizione.

 

Pansy si dimenticò di essere stata spaventata, poco prima. Quella scatola era bellissima. Anche dentro era decorata, con disegni di fiori e foglie e, al centro, c’era una piccola donna, immobile e vestita di pizzo, in una posizione strana. Aveva le braccia aperte, una verso l’alto e l’altra verso il basso.
Lei tirò fuori la bacchetta per incantarla ma Weasley le bloccò la mano. “No. Funziona senza magia” disse.
Si voltò a guardarlo. “Possibile?”
Quando Weasley sorrise, lei si sentì mancare. “Sì, è possibile. Guarda: questa è una ballerina e adesso la facciamo ballare”.
Voltò la scatola e girò (con la mano!) più volte, un pezzo di metallo dalla forma strana che c’era nella parte posteriore. Poi rimise la scatola diritta, l’aprì per bene e toccò qualcosa dietro.
La ballerina, iniziò a girare, perfettamente immobile, ma girando su se stessa, creando con le braccia un disegno strano. Tutto questo al suono di una musica lenta e dolce, che Pansy non aveva mai sentito e che usciva dalla scatola quando la ballerina si muoveva. Era una cosa strana. La ballerina era immobile, vero, ma era bellissima. E funzionava senza magia. La guardò, incantata, mentre girava.
A un certo punto la musica si interruppe e la scatola fece un rumore strano.
“Che succede?” gli chiese, voltandosi verso di lui.
“Niente” rispose. Lui riportò la mano dietro e la scatola smise di far rumore e la ballerina di girare. “È rotto. Mio padre dice che bisogna aprirlo e aggiustare un meccanismo. Ma non so cosa sia, un meccanismo

 

La mora ci rimase male. Ron lo notò dalla sua espressione. “È un peccato. È molto bello. Non pensavo che i babbani potessero fare delle cose così… così belle, senza la magia” sussurrò.
“Sì, a lui piacciono queste cose, ma poi non è capace di usarli. È qui da qualche anno, non l’ha mai aggiustato. Doveva regalarlo a Ginny ma lei si è lamentata del fatto che la ballerina non fosse una giocatrice di Quidditch e non avesse la scopa.”
Lei sorrise, chiudendo la scatola. “Non faccio fatica a immaginarlo” ammise.

 

“Mi hai fatto vedere due cose belle” mormorò dopo un attimo di silenzio.
“Ti avevo detto di fidarti e tu l’hai fatto” Lei guardò per terra, imbarazzata. Aveva grossi problemi con la fiducia e non voleva parlarne. Weasley si avvicinò e le mise due dita sotto il mento.
“Grazie per esserti fidata di me.”
Pansy si perse. Si perse nei suoi occhi blu. Fantastici occhi blu. Quando lui si avvicinò per baciarla, non disse di no, non si tirò indietro e non pensò neanche per un momento di permettergli di smettere.

 

Quando le loro bocche si erano toccate, Ron pensava che lei si sarebbe tirata indietro. Quando le aveva fatto aprire le labbra con le sue, lei non si era staccata. Quando aveva accarezzato la sua lingua, era preparato a un’eventuale fuga. Ma lei gli aveva gettato le braccia al collo e si era stretta a lui. Molto di più dell’altra volta. Poteva sentire il suo seno premergli sul petto.
Stavolta non aveva dubbi, sapeva cosa fare: le mise le mani sotto il sedere e l’alzò, sistemandola sul tavolo. Lei si staccò da lui quel tanto per dire: “Attento al carillon”.
Lui sorrise dicendo: “Quante pretese…”, mentre le mordeva il labbro e lei inarcava la schiena.
La mora gli strinse le gambe intorno al bacino e sussurrò sulla sua bocca: “Tu non ne hai idea delle pretese che ho”. Il suo sguardo si fece pericoloso e con un gesto veloce si sganciò il mantello, lasciandolo cadere alle sue spalle. Slegò anche quello del ragazzo e Ron non si preoccupò di sapere dove finisse.
Le mani di lei erano fameliche, gli alzarono il maglione e si intrufolarono sotto, cercando la sua pelle. Ron gemette quando sentì le mani fredde accarezzargli il petto, prima di togliergli gli indumenti. I loro baci divennero sempre più appassionati e lui pensò che lei lo avrebbe divorato. E glielo avrebbe lasciato fare volentieri.
Quando le accarezzò i seni dalle sue labbra uscì il suono più bello del mondo. Non si sarebbe mai stancato di sentirlo, se fosse stato sempre lui a provocarlo.
Quando buona parte dei loro vestiti finì sul pavimento, e le loro bocche avevano assaggiato più pelle che labbra, il rosso si voltò velocemente verso la porta e poi disse sulla sua bocca: “In camera mia…”
Ma lei era di parere diverso. “No. Va bene qui”. Ron non protestò, mise mano alla bacchetta, lanciò un incantesimo all’entrata del capanno, uno su se stesso e l’amò.

 

Pansy si svegliò dal suo sogno. No. Non si svegliò, perché non era un sogno. Era su un tavolo di legno e fra le gambe aveva il ragazzo più dolce che avesse mai conosciuto.
Per un attimo si spaventò di nuovo. Perché glielo aveva permesso? Cosa sarebbe successo? Lui cosa avrebbe fatto? E lei? Aveva fatto bene? Oh, per Salazar, a lei aveva fatto bene. Benissimo. Al resto avrebbe pensato dopo.

 

Ron era imbarazzato. Aveva insistito troppo? E lei era pentita di quello che era successo? Gli avrebbe rifilato la storia del bravo ragazzo? E se poi se ne fosse andata? E se lei avesse detto che era un errore? Doveva vergognarsi di averla presa lì, nella baracca, invece che su un letto?
Un turbine di domande tutte insieme gli si presentarono alla mente e poi… poi lei sorrise e a lui non interessò più niente. Si avvicinò di nuovo e la baciò ancora. E lei rispose al bacio. Ancora.
“Siamo stati via parecchio” le disse, allungandole i pantaloncini.
Lei ridacchiò mentre si rivestiva. “Ti sopravvaluti, Weasley”.
La sua bocca disegnò un cerchio mentre diceva: “Oh?”
Ma lei, che si era già infilata metà dei vestiti, gli sorrise e gli tornò vicino. “Scherzavo, non fare così” disse,  prima di baciarlo ancora.

 

Quando capì che lui si era tranquillizzato, si spostò per finire di vestirsi. “Ci staranno cercando davvero”. Weasley si risvegliò dal momento di stupore, che lei fece finta di non vedere ma che notò benissimo, e prese a vestirsi velocemente.
Pansy portò una mano all’orecchio e si tolse un orecchino, e tenendolo in mano.

 

Uscirono dal capanno e Ron le chiese: “Che diciamo se ci chiedono…” In quel momento Ginny e Hermione si avvicinarono di corsa a loro. “Ma che fine avete fatto?” domandò Ginny, mentre Hermione sorrise e basta.

 

Pansy indicò con il pollice il capanno. “Tuo fratello mi ha fatto vedere i gattini. Ma poi mi è caduto un orecchino e ci abbiamo messo una vita a trovarlo. C’è così tanta roba là dentro…” disse, mostrando l’orecchino nella mano. Ginny divenne rossa sulle guance e disse imbarazzata: “Si effettivamente…”

 

Hermione guardò la Serpeverde: aveva il trucco un po’ sbavato, i capelli spettinati e i vestiti leggermente in disordine. Guardò anche Ron: anche lui sembrava stropicciato. Ma si vedeva che stavano bene, tutti e due. Tornarno in casa tutti e quattro e la riccia indicò il bagno alla mora, che la ringraziò, il tutto di nascosto a Ginny.

 

Pansy si guardò allo specchio appena chiuse la porta del bagno. Per Salazar, aveva appena fatto l’amore con Weasley, nel ripostiglio in giardino, con la sua famiglia in casa! Per la barba di Merlino! Ma sorrise a se stessa.
Si sistemò i vestiti e i capelli e si aggiustò il trucco. Si rimise l’orecchino e piegò il mantello, appoggiandolo sul braccio. Quando uscì dal bagno si sentì in ordine. E la bella sensazione di prima non era ancora passata.
Erano tutti in soggiorno. Lanciò uno sguardo al rosso, che la stava guardando e lui le sorrise. Lei ricambiò il suo sorriso. Come doveva comportarsi, adesso? La signora Weasley uscì dalla cucina e la chiamò. Pansy si avviò, un po’ preoccupata, verso la cucina.
Possibile che avesse capito quello che era successo? Cosa voleva fare, sgridarla? Entrò in cucina titubante.
La signora Weasley aveva già iniziato a preparare la cena e un leggero profumino si levava dai fornelli, dove una pentola si stava mescolando da sola. La strega le fece cenno di chiudere la porta. Erano solo loro in cucina.
“Dove dormi in questi giorni?” le chiese la donna. Uh. Diretta quanto Ginny.
Così Pansy glielo spiegò: “Ho trovato la casa di mio padre. La sto sistemando”.
“E la casa dove abitavi prima?” domandò la strega.
“Il ministero l’ha sequestrata” rispose Pansy. Perché glielo chiedeva?
“E quando ti sarà riconsegnata?”
La ragazza scosse le spalle. “Non lo so. Me la ridaranno? Pensavo di no…”
La signora Weasley la guardò comprensiva. “Il ministero ha 31 giorni per fare le proprie indagini. Se non trova niente, tutto decade. Se avessero trovato qualcosa, l’avresti saputo. Manderò qualche gufo” spiegò.
“Non c’è bisogno” disse Pansy, velocemente. Voleva uscire da quella cucina al più presto. Non voleva che la donna si preoccupasse per lei, ma la strega non l’ascoltò.
“E invece tua madre?” domandò ancora.
La Serpeverde rimase un attimo zitta, poi chiese, sottovoce: “Cosa intende?”
“Sei andata a trovarla? Le hai scritto?” La mora scosse la testa.
“Lei c’era al processo, l’ho vista. Ha sentito tutto quello che ha detto… ha detto su di me” lo sguardo di Pansy si fece duro e lei ridivenne la Pansy di due anni prima. “Perché mi chiede se ho avuto contatti con mia madre?” le chiese ancora.
“Perché dovresti parlare con lei” spiegò dolcemente la signora Weasley. Il suo sguardo divenne comprensivo e Pansy percepì così tanto affetto in quegli occhi che si mise sulla difensiva.
“Per farla stare meglio?” le chiese, con tono provocatorio. La strega rossa le si avvicinò.
“Per far star meglio te” sussurrò.
Lei guardò da un’altra parte. “Non voglio parlarle” disse con un filo di voce.
“Pensaci, ok?” Pansy si sentì obbligata ad annuire. Ma non ci sarebbe mai andata. Mai. Sua madre era l’ultima persona che voleva incontrare.
Era difficile da spiegare, a loro. Sapeva che la strega che aveva davanti, aveva ucciso Bellatrix quando aveva tentato di lanciare una maledizione a Ginny.
La ragazza non era così sicura che sua madre avrebbe fatto lo stesso per lei. Poi la donna le si avvicinò di più e l’abbracciò.
Per un attimo ebbe paura che sentisse addosso a lei il profumo del figlio. Pansy lo sentiva tantissimo: pino. Era sicura che fosse pino di Scozia.
“Di qualunque cosa tu abbia bisogno, noi siamo qui, ok?” Pansy si staccò dalla strega con le lacrime agli occhi e annuì ancora. “Ti fermi a cena?” domandò ancora la donna.
“No, grazie, sono un po’ stanca, preferisco andare a casa” rispose la Serpeverde e non era neanche una bugia: era stanca davvero. Un pomeriggio molto impegnativo. Emotivamente.
“Prendi su un po’ di biscotti” disse la strega, facendo levitare una decina di biscotti dentro un sacchetto di carta.
Pansy li prese, per non essere scortese, ma era sicurissima che non li avrebbe mangiati. Non riusciva a mangiare dolci da almeno due anni.

 

Ron era seduto sul tappeto a giocare a carte con Harry e continuava a guardare la porta chiusa della cucina e sua sorella.
Sembrava che Ginny si fosse calmata e Harry gli lanciò un’occhiata per dirgli che andava tutto bene.
La Parkinson era in cucina con sua madre da quasi un quarto d’ora. Cosa stava succedendo? Quando la porta si aprì e uscì sua madre, tirò un sospiro di sollievo. Quando uscì anche la ragazza notò che aveva già indossato il mantello. Se ne stava andando? Anche Hermione si stava mettendo il mantello. Ginny alzò lo sguardo sulle amiche e chiese: “No, andate già via? Non rimanete a cena?”
Hermione spiegò che doveva tornare a casa dai suoi e Pansy raccontò di avere delle cose da fare.
Ron andò in panico. Era stata sua madre a mandarla via? Ginny abbracciò le ragazze e promise di rimanere in contatto, con tutte e due.
Ron si alzò a sua volta e sgattaiolò fuori appena uscirono. Sarebbero tornate a casa smaterializzandosi, se non faceva presto, lei se ne sarebbe andata e lui non avrebbe saputo come raggiungerla.
Hermione, che aveva capito che Ron voleva parlare con la Serpeverde, salutò e sparì subito. Appena furono soli, il rosso prese la mano di Pansy e le chiese se andasse tutto bene. Lei annuì silenziosamete. Aveva uno sguardo triste.
“Mia madre ti ha detto qualcosa? Qualcosa di brutto?” le domandò.
La Serpeverde spalancò la bocca. “No! Tua madre è carinissima. Faccio solo fatica a dirle di no” disse sorridendo e sventolando il sacchetto con i biscotti.
“Lo dice anche mio padre” Ron era contento: lei era tranquilla. “Dove vai adesso?” le chiese.
“A casa di mio padre. È appena fuori Londra” spiegò lei.  
“Posso venire a trovarti?” Ron vide chiaramente il suo sguardo mutare e sorridere in maniera strana. “Vuoi venire a mangiare i biscotti?”
Lui rise, ma insistette: “Come vengo?” Non voleva cedere. Non voleva lasciare al caso. Forse per la prima volta in vita sua.
“Siamo collegati alla metropolvere” disse.
Casa Parkinson, quindi?” Lei annuì e Ron si chinò per baciarla dolcemente sulle labbra, senza preoccuparsi che qualcuno potesse vederli. “Vengo dopo cena” disse e lei si smaterializzò.
Lui sospirò, guardando il punto in cui era sparita. Sperò che arrivasse presto il momento di buttarsi nel camino.

 

***

 

Erano ancora a tavola, quando Ginny iniziò a dar segni di nervosismo. Ron riuscì a far arrivare il dolce prima di alzarsi e chiederle di seguirlo.
Andarono in camera della ragazza. “Che succede? Prima quella sfuriata con la mamma, adesso sei così strana. È tutto a posto, Ginny?” Lei sbuffò.
“Io non lo so, va bene? Anche Hermione prima mi ha fatto la stessa domanda. Non ho niente, ok? A voi non capita di avere delle giornate no?” rispose.
“Non era mai successo che te la prendessi con la mamma” sostenne Ron, guardandola stranito.
La strega sbuffò più forte. “Ha fatto la torta alla melassa!”
Lui sorrise. “E quindi?”

 

“Non doveva farla! Lui non se la merita!”
A Ron sparì il sorriso. “Intendi Harry? Perché non se la merita?” Ginny si rese conto di aver esagerato. Si sedette pesantemente sul letto. “Mi ha lasciato perché…”
“So perché ti ha lasciato” la interruppe Ron e lei lo guardò dura.
“Mi ha lasciato perché è un troll!” dichiarò.

 

Ron alzò le spalle. Adesso avrebbe voluto fumare. “Non la starai tirando avanti un po’ troppo?” Il viso della ragazza divenne arrabbiato.
“Io sono stata male.”
“Anche Harry” lo difese lui. Ginny sbuffò ancora, con una strana smorfia.
“Mi fa piacere” mentì.
“Non è vero. Non ci credo” disse il fratello.

 

“Lui pensava che l’avessi tradito con Malfoy. Hai presente? È assurdo. Io con Malfoy!” Ginny si rese conto da sola di aver alzato la voce. Ma era strano solo per lei?
Lui alzò le spalle, dicendo: “Nessuno si immaginava neanche Hermione con Malfoy”.
Ginny sbuffò ancora, arrabbiata. Perché non capiva? “Lui mi ha spiata, non si fida di me!”
“Ma non è vero!”
“Ha guardato la mappa. E ha controllato cosa facessi. Questo è spiare. Non riesco a fidarmi più. La prossima volta cosa succederà? Di cosa mi accuserà?”, si interruppe e lo guardò. “Giurami che non parlerai con lui di questo” Ron fece una faccia strana, che lei non capì. Voleva parlare con lei per poi andare da lui a dirgli tutto quello che si erano detti? “Giuramelo. O non ti parlo più” lo minacciò.
Lui fece un sorrisino furbo e le domandò, sornione: “Non mi parli più?” lei non riuscì a nascondere il sorriso che le affiorò sulle labbra.
“Dai”, poi tornò seria “ti prego, non dirgli niente” Lui annuì. “Non so cosa fare. Davvero. Dovrei cercarmi un altro…”
“Ma non è vero” disse lui, sospirando stanco.
Ginny lo guardò con gli occhi sbarrati. E mentì: “E invece sì”.
Ron alzò gli occhi al cielo. “Forse allora si troverà un’altra anche lui.”
“Magari” mentì ancora Ginny.

Ma speriamo di no.

 

***

 

Harry aveva visto i due fratelli andarsene dalla tavola e non li aveva visti tornare. Cosa doveva fare? Cercarli? Andarsene via? Doveva tornare a Grimmauld Place? La signora Weasley dovette leggergli le cose in faccia perché gli disse: “Tu non andrai da nessuna parte, Harry”.
Harry guardò il piatto e non alzò più lo sguardo. Dopo poco Ron tornò giù e si risedette vicino a lui. Gli bisbigliò, per non farsi sentire da sua madre: “Ho voglia di fumare, vieni fuori con me?” Harry annuì e lo seguì fuori.

 

“Andiamo nel capanno?” gli chiese Harry quando lui tirò fuori le sigarette. Ron scrollò le spalle. Per Godric, meglio di no!
“Dici che me ne devo andare via?” chiese il moro dopo un po’.
L’amico lo guardò. “Perché dovresti andare via?”
Harry si sedette sulla panchina. “Sono di troppo” dichiarò, forse un poì stanco.
Ron sbuffò il fumo. “Non sarai mai di troppo, qui. Dovresti saperlo” gli rispose.
Harry guardò verso la casa: Ron seguì il suo sguardo verso il terzo piano. Le lanterne in camera di Ginny erano accese.
“Forse è il caso che tu smetta di guardarti intorno e faccia qualcosa” Harry si voltò verso di lui.
“Hai ragione” disse. Si alzò e si incamminò verso casa.
Ron, che non se l’era aspettato, dovette rincorrerlo per chiedergli: “È un problema se io esco?” Harry scosse la testa, ma il rosso non era sicuro che avesse capito bene “Sicuro?”
“Certo. Non sei mica la mia balia” dichiarò, sorridendo. Fece un altro passo e poi si voltò “Trattala bene. Ne ha bisogno”.
A Ron cadde il mozzicone di sigaretta “Come?” Tirò fuori la bacchetta, fece sparire tutto e raggiunse l’amico. “Come hai detto?”
“Sarò un troll, ma mi accorgo ancora di alcune cose” gli disse sorridendo e Ron sorrise a sua volta.
“Ok. Ma non dirlo a mia sorella.”
 Harry lo guardò inclinando la testa. “Tua sorella?”
“È una storia complicata” disse Ron. Harry alzò una spalla.
“Allora non farò domande”. Poi si girò ed entrò in casa.
Come mise piede oltre l’uscio si sentirono le voci degli altri. Erano quasi tutti in soggiorno: Ron fece un giro nel cortile, poi decise di aspettare che tutti fossero a letto, per andare in soggiorno e usare il camino in santa pace.
Così entrò nel capanno. Si diresse verso il tavolo e la scatola dei gatti. Quando vide il carillon, si fermò. Chissà se sarebbe riuscito ad aprirlo. Forse avrebbe scoperto cos’era un meccanismo.

 

***

 

Harry cercò di non farsi notare e salì al terzo piano. Bussò alla camera di Ginny e aspettò. Aspettò ancora e ribussò.
“Lei non c’è” disse una voce alle sue spalle. Harry si voltò verso George, che lo guardava dalla scala. “È andata da Hermione” continuò lui. Merlino. Aveva aspettato troppo.
“Oh. Sì. Ha fatto bene, così… ehm… può passare una bella serata” balbettò imbarazzato. Una bella serata senza di me. Non sapeva cosa dire.
“Dovreste parlare” disse il rosso. Harry sospirò ancora.
“Me lo dicono tutti…” rispose il sopravvissuto.
“Giochiamo a poker? Prometto di provare a non barare” disse George indicando con il pollice camera sua. Harry annuì e si avviò per la scala, dietro al rosso.

 

***

 

Ci volle un’ora prima che il soggiorno si svuotasse. Ron fremeva e continuava a guardare il camino.
Forse poteva andare a casa di Harry smaterializzandosi e poi prendere il camino da lì. Oppure al Tiri Vispi, avrebbe potuto usare la metropolvere anche da lì.
Quando improvvisamente in soggiorno rimase solo lui, prese la polvere dal vaso sulla mensola e, prima che potesse scendere qualcun altro, buttò la polvere nel camino e disse la sua destinazione.

 

***

 

Pansy stava bevendo una burrobirra seduta sul bovindo del suo nuovo soggiorno e leggeva un romanzo. Uno di quelli che sua madre non voleva che leggesse. Si sentiva benissimo. Le sembrava di essere in un sogno e di non vivere veramente. Quel pomeriggio…
Quel pomeriggio era qualcosa che non si sarebbe più ripetuto, lo sapeva benissimo, ma non le importava. Forse era meglio così. Alla fine era sempre così. Aveva detto che sarebbe venuto, ma lei non pensava che lo avrebbe fatto davvero.
Guardò il camino: la casa di suo padre era sua, avevano detto. E lei poteva farci quello che voleva. Per la prima volta in vita sua, era libera di scegliere.
Appoggiò il libro e guardò la stanza, desolatamente spoglia. Aveva intenzione di prendere con calma qualsiasi decisione, anche quella dell’arredamento. Infatti, il soggiorno, dopo essere stato imbiancato, presentava solo un divano, un tappeto, un tavolino e due poltrone, il tutto nelle vicinanze del camino. Il resto era tutto vuoto. Aveva arredato solo le stanze da letto: la sua camera, riempita con mobili trovati in soffitta dall’elfo e quella di Camille, che era stata indifferente, come se non considerasse quella casa sua. Ma in fin dei conti aveva ragione, passava a scuola molto più tempo di quanto ne passasse a casa, e così avrebbe fatto i prossimi tre anni, o forse no, per via del bambino.
La mora sospirò, e bevve un altro sorso, mentre si tirava le ginocchia al petto. Improvvisamente, il fuoco fece meno luce del solito e lei non fu più sola. Si girò verso il camino e un ragazzo fulvo di capelli, che tossiva e brontolava, era apparso sul tappeto. Chinato in avanti, con le mani sulle cosce.
Weasley! La mora sorrise. Era venuto. Venuto davvero.

 

Ron ebbe qualche problema con la fuliggine. Voleva fare in fretta e aveva paura che qualcuno scendesse dalla scala proprio mentre usciva, così aveva fatto un po’ di confusione con i tempi.
Quando aveva pronunciato la destinazione, doveva aver aspirato un po’ di fuliggine e adesso gli sembrava che i polmoni si volessero staccare dal suo corpo. Quando alzò lo sguardo, sperò almeno di aver beccato il camino giusto. Non poteva dare niente per scontato. Sì, era nel posto giusto. Vide la Serpeverde scendere dalla finestra, scalza e con una vestaglia bianca, che gli andava incontro sorridendo.
“Sei venuto davvero” disse.
Ron non capì: non le aveva per caso detto che sarebbe andato? O era così tardi che lei aveva pensato che non avrebbe mantenuto la parola?

 

Pansy tirò fuori la bacchetta e la puntò verso di lui, eliminando tutta la fuliggine. Gliene rimase un po’ sul viso, ma mise via la bacchetta e gliela tolse con la mano. “Grazie. Sono sempre un imbranato” disse lui e sorrise, quel sorriso strano così bello.
Il mio imbranato. Pensò e subito dopo scacciò quel pensiero, scuotendo la testa.

 

Quando finì di tossire, si guardò intorno: Merlino, quella stanza era grande quanto casa sua.

 

“È casa tua?” la mora annuì. L’aveva chiamata ‘casa di mio padre’ ma, effettivamente, era casa sua.
Weasley si guardò intorno. Lei seguì il suo sguardo e cercò di vederla con gli occhi del ragazzo.
“Non è ancora finita, non rimarrà così…” mormorò per giustificarsi del minimalismo.
“È bellissima” disse lui, ma lo disse guardando lei. Pansy si sentì le guance in fiamme. Non si era neanche truccata dopo il bagno. Chissà in che stato era.

 

Ron la guardava. Lei aveva quell’espressione che gli smuoveva il petto in tantissimi piccoli battiti e non riusciva a togliere lo sguardo. I suoi occhi erano lucidissimi e ridevano promettendo il paradiso. I suoi capelli erano umidi, doveva aver fatto il bagno. E il suo profumo… Oh, il suo profumo! Si avvicinò per sentirlo meglio e lei non indietreggiò. Sorrise. Le passò un braccio dietro la schiena e l’avvicinò a sé, baciandola. Lei non fece resistenza.
Aveva aspettato un’eternità in salotto che si vuotasse la stanza solo per questo, e si prese tutto il tempo per farlo bene.

***

Si stavano baciando da un quarto d’ora, accoccolati sul divano, quando bussarono alla porta principale. O meglio, dal rumore sembrava che qualcuno cercasse di buttare giù la porta.
Il rosso si staccò da lei e chiese: “Aspetti qualcuno?”
Gli sembrava un po’ tardi per ricevere visite, ma in fin dei conti non sapeva molto su di lei. La mora scosse la testa. “No. Vado a vedere chi è. Non te ne andare” mormorò.
Lui annuì. Si richiuse la vestaglia sul petto e si incamminò verso il portone. Un elfo domestico apparve prima che lei lasciasse la stanza.

 

“Vado ad aprire io, signorina Pansy?” chiese l’elfo.
“No, Quircky, vado io. Magari potresti portare qualcosa da bere al signor Weasley?” E gli indicò il rosso ancora seduto sul divano.
Il piccolo elfo annuì. Pansy aveva notato che se parlava con loro senza urlare e in maniera cortese (cosa che non faceva mai sua madre), loro si spaventavano meno ed erano più produttivi.

 

Ron sentì che impartiva ordini all’elfo. E stette attento mentre si avvicinava alla porta e l’apriva. Ma si fece distrarre dall’elfo che si materializzò vicino a lui, con un vassoio in mano.
Merlino che figata! Subito allungò le orecchie quando sentì la mora dire, vicino alla porta d’ingresso: “Draco! Cosa ci fai qui? Ma… hai bevuto?”
Per Godric, che ci faceva lì Malfoy? Possibile che loro… no, era sorpresa anche lei di trovarlo alla porta. Non riuscì a capire quello che lui rispose, ma sentì i loro passi avvicinarsi.
Malfoy aveva gli occhi spiritati (come avrebbe detto sua madre) e i capelli spettinati. Quando entrò nel salone si bloccò, vedendolo seduto sul divano. Ron si alzò e si passò una mano fra i capelli, imbarazzato.

 

Anche Draco, senza accorgersene, si passò una mano fra i capelli. Che ci faceva lì, Weasley? Si voltò verso l’amica con uno sguardo interrogativo e disse: “Ecco perché non sono riuscito a smaterializzarmi in casa... devo andare via?”

 

Ron sperò che lei gli dicesse di andarsene.

 

Draco sperò che mandasse via Weasley.

 

Pansy si sentiva in imbarazzo. Se avesse avuto un altro posto dove andare, sarebbe uscita lei. Valutò la situazione, guardando i ragazzi: Draco aveva bevuto e aveva un brutto aspetto, non lo avrebbe lasciato uscire. E Weasley… Merlino, ancora non sapeva cosa fare con Weasley ma non avrebbe voluto lasciarlo andare via.

 

“Dubito che tu riesca ad andare da qualche parte. Siediti, Draco” ordinò con tono neutro.
Poi guardò il rosso e disse: “Preferirei che rimanessi anche tu, ma fai come vuoi”.
Ron annuì, si risedette e si allungò a prendere la burrobirra che l’elfo aveva lasciato sul tavolino.

 

Lei lo avrebbe abbracciato. Sospirò. Il biondo si sedette su una delle poltrone, lontano dal Grifondoro, appoggiò i gomiti alle ginocchia e la faccia sulle mani.
“Ok”, fu tutto quello che disse.

 

“Cos’è successo?” gli chiese Pansy. Il biondo si alzò di scatto.
“Cos’è successo? Sai cos’è successo? Adesso te lo spiego!” urlò. La Serpeverde si spaventò. E capì: aveva una crisi. Succedeva ancora? E perché era lì e non dalla sua ragazza?
“Calmati, Draco. O peggiori. Perché non hai avvertito la Granger?” gli chiese lei. Draco scosse la testa, si risedette e strizzò gli occhi. Pansy sbuffò, “Dov’è la pozione?” chiese, e si sedette sul divano, guardandolo.
“Non ce l’ho. Pensavo l’avessi tu” rispose il biondo.
La Serpeverde scosse la testa “No, l’hai presa tu l’ultima volta, ricordi?”
“Allora ce l’ha Hermione o l’ho lasciata a Hogwarts” mormorò lui, passandosi una mano fra i capelli. Non era messo bene, i suoi occhi erano strani.
Pansy lo guardò stranita. Lasciare in giro la pozione? Strano.

 

“La pozione della pace?” chiese Ron. Si sentiva escluso e non gli piaceva per niente.
La Serpeverde si voltò verso di lui. “Sì, Draco dovrebbe prenderla quando è così agitato” spiegò.
“NON SONO AGITATO!” urlò il biondo.
“Già, si nota” disse ironico il rosso. I ragazzi si guardavano in cagnesco.
“Potresti andare dalla Granger e vedere se ce l’ha lei? Non riusciremmo a preparla in tempo” chiese rivolta al rosso.
“NO!” urlò ancora Malfoy, alzandosi all’improvviso. Barcollò. La ragazza si alzò e cercò di farlo sedere ancora, ma lui era più forte e non voleva sedersi. “Tu non andrai a casa sua!” esclamò guardando il ragazzo con occhi spalancati.
Ron sorrise. No, ghignò: Malfoy era geloso. Non gli disse di non essere mai stato a casa di Hermione, così prese tempo. “Non c’è un’altra soluzione?”
Vide Malfoy ghignare e guardarlo dritto negli occhi. “Oh, sì che c’è. Ma non ti piacerebbe rimanere a guardare”.
Ron si accigliò, mise mano alla bacchetta senza estrarla dai jeans ma si alzò in piedi per controbattere.

 

“NO!”
Pansy ora era arrabbiata: si era alzata anche lei e aveva le mani sui fianchi. In quella stanza c’era troppo testosterone. “Sedetevi. Tutti e due. E niente bacchette. Adesso vi mettete buoni e fate quello che dico io” ordinò, puntando il dito su entrambi i ragazzi.
Draco si risedette. “Scommetto che lui lo fa già” disse indicando il rosso.
“Adesso basta, Draco. Se vuoi rimanere qui, almeno sii educato” disse, alzando un sopracciglio.
“Mia madre ha un boccetto di pozione della pace a casa. Posso andarti a prendere quella” propose il Grifondoro. Non si era ancora seduto, lui.

 

Ron sperava che Malfoy se ne andasse presto. Prima avesse preso la pozione, prima se ne sarebbe andato. Non voleva neanche lasciarli da soli, ma se fosse andato a casa sua, avrebbe fatto prima.
Si avvicinò di due passi e mormorò solo per Malfoy: “Te la vado a prendere se te ne vai subito dopo”.
Malfoy annuì, ma il suo sguardo era perso. Sperò di non pentirsene.

 

Pansy guardò il rosso con un sorriso e lo ringraziò. Lui la baciò su una guancia e si smaterializzò.

 

“Perché Weasley è qui?” chiese Draco. I suoi occhi erano ancora spalancati.
Lei si sedette di nuovo sul divano. “Gli faccio copiare aritmanzia”.
Draco sorrise. “Ah Ah”.
Pansy lo ignorò. “Adesso prendi la pozione e vedrai che starai meglio. Cos’è successo?” gli chiese.
Lui si agitò e spiegò: “Mia mamma mi ha beccato mentre leggevo il libro di Babbanologia che mi hai dato. Subito mi ha subissato di domande ‘Perché leggi quel libro’, ‘Ti interessano i babbani’ ‘Avrai mica trovato una ragazza babbana’ e cose così. Ho cercato di deviare tutte le domande, ma poi lei è saltata fuori con una storia assurda sul fatto che devo andare a trovare mio padre ad Azkaban. Sembra che ne abbia parlato con Andromeda e loro abbiano pensato che fosse una buona cosa per me. LORO. Ho quasi dato di matto in casa”.
Pansy annuì: era la stessa cosa che aveva detto la signora Weasley. “Ho conosciuto Andromeda e Teddy, oggi. È carina. Dici che dovremmo dare loro ascolto?”
“Hanno detto anche a te di andare ad Azkaban?” le chiese e Pansy annuì.

 

 

Draco sospirò e si portò una mano alla fronte. Poi rivolse di nuovo l’attenzione su di lei. “Dove hai conosciuto Andromeda?”
Lui aveva conosciuto Andromeda solo quell’anno, dopo la guerra, dopo che sua madre, avendo perso una sorella, aveva deciso di riallacciare i rapporti con l’altra.
“A casa dei Weasley” disse Pansy.
“Sei stata alla Tana?” le chiese Draco con uno strano sguardo.
“Sì.”
Lui ci pensò un attimo e disse: “Ah, avete cucinato i biscotti. È venuta anche Hermione, giusto?” lei annuì. “E com’è?”
“Cosa?” chiese stranita la ragazza.
“La Tana!” esclamò il biondo. Com’era la casa dell’ex della sua ragazza? E perché lei ci andava come se stessero ancora insieme? La testa gli faceva malissimo.
“Oh, è bellissima” rispose Pansy. Una fitta intensa gli passò la fronte. Sapeva di dover pensare ad altro, ma non ci riusciva. Il fatto che Hermione andasse così tranquillamente a casa dei Weasley e non volesse venire a casa sua, lo mandava in panico. “Davvero?” riuscì a chiedere, dopo aver chiuso gli occhi.
“Beh, fuori è strana. Ma dentro è la più bella casa che abbia mai visto. È calda e fa venire in mente risate, dolci fatti in casa e bambini” disse lei, guardandosi intorno. Pansy aveva uno sguardo strano, secondo lui.

 

“E c’era anche lui?” le domandò Draco, indicando il posto prima occupato dal rosso.
“A fare i biscotti, no” rispose Pansy, imbarazzata. Però dopo c’era. C’era sì.
“Ma c’era?” insistette lui.
“Cos’è, un interrogatorio?” Lui alzò gli occhi al soffitto.
“Si parlava…” Draco aveva ancora quello sguardo strano, ma ora le sembrava che la guardasse in modo strano.
“Parliamo d’altro, allora” disse la ragazza. Lui sbuffò, ma sorrise.
“Ok. Com’è a letto?”  Draco appoggiò la schiena alla poltrona e portò le mani dietro la testa.
“Draco…” Pansy sospirò, come se stesse sgridando un bambino. Lui ghignò, come un bambino. Ma anche lei era una Serpeverde. “Dovresti chiederlo alla Granger” disse, guardando il camino.
 Lui ghignò di nuovo, mentre diceva, al soffitto: “Non sono stati a letto insieme”.
Sul viso di lei non passò nessuna espressione. “Ne sei così sicuro?” lo stuzzicò e, subito dopo, lo guardò: la sicurezza di lui vacillò. E Pansy se ne accorse. Lui strizzò gli occhi e lei si sentì in colpa. “Ok, l’ho detto per provocarti. Non lo so”.
Draco si riprese, ci mise un po’, ma si riprese. “No, non l’hanno fatto. Ne sono sicuro” disse, alla fine.
“Ok”, lui ghignò ancora e il suo viso si distese. La cosa lo rendeva più tranquillo, Pansy lo notava bene. “Secondo me stai meglio. Magari potresti tornare a casa”
“Così da lasciarti sola con Lenticchia e farti scoprire com’è a letto? No, rimarrò qui un altro po’, grazie” disse Draco.
“Magari mi stai rovinando la serata” gli fece notare lei.
“Magari la sto rovinando a lui” Draco ridacchiò. Stava veramente meglio. Pansy sbuffò. Si alzò e andò a prendere la bottiglia di burrobirra che era rimasta sul bovindo. “Ok, me ne andrò subito. Ma lui com’è? Ti tratta bene, almento?”
Pansy rispose mentre ancora gli dava le spalle: “Weasley è una luce nello schifo che ho vissuto nell’ultimo anno.  Solo che è un bravo ragazzo e lo sai cosa penso dei bravi ragazzi…”
Quando prese la bottiglia e si voltò per tornare verso il divano, si trovò davanti Wealsey che la guardava in modo strano. Lanciò uno sguardo verso il biondo che le sorrideva sornione. BASTARDO.

 

Draco si alzò, prese dalla mano di Weasley la boccetta, ne bevve un sorso e glielo ridiede. Gli altri erano ancora in silenzio.
“Grazie, Weasley. Giuro che ne ricorderò” lo guardò per capire se avrebbe dovuto aggiungere qualcosa su Pansy, ma decise di lasciar perdere, quando notò come la stava guardando. “La metropolvere?” disse poi verso la Serpeverde. Lei continuò a guardare il rosso e gli indicò con una mano il vaso sopra il camino.
Lui salutò i due, che si degnarono a malapena di rispondere, e si dileguò velocemente.

 

Non sapendo bene cosa dire, Pansy tolse lo sguardo da lui.
“Se avessi saputo che sarebbe andata così avrei riempito il boccetto con un filtro d’amore” disse Weasley, probabilmente per rompere quel silenzio così imbarazzato. Pansy sorrise e lo guardò.
“Te lo saresti trovato a casa a farti una serenata” gli rispose.
Lui storse la bocca. “Giusto. Meglio così”.
Non aveva detto niente su quello che aveva appena detto lei. Se ne sarebbe andato? “Potremmo lanciare qualche incantesimo di anti-intrusione e magari bloccare il camino, adesso?”
Lei annuì. “Sarebbe carino”.
“Dovevamo farlo prima” . Il ragazzo sorrise e si avvicinò per baciarla.

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Capitolo 24
*** Subito ma troppo tardi ***


Subito ma troppo tardi

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Ginny si era materializzata nella stanza di Hermione con una mano sugli occhi.
La riccia la vide in quella strana posizione e chiese: “Ginny? Tutto ok?”
“Siete nudi?” domandò Ginny.
“Chi?” La rossa aprì un occhio e constatò che Hermione era da sola.
“Oh. Bene, avevo il terrore di interrompervi. Non ti ho neanche detto che arrivavo…”
Hermione sorrise tristemente. Draco non voleva venire da lei. Ma voleva che andasse a casa sua. Quel troglodita! Ma non disse niente all’amica.

 

Ginny si stese sul letto e disse tutto d’un fiato: “Ho fatto un casino”.
“Sì, ho notato. Non ti avevo mai visto così con tua madre” disse Hermione.
“Le ho chiesto scusa. Ha capito che non volevo…”
La sua mamma era sempre la sua mamma. Hermione le si sedette vicino e le accarezzò i capelli.
“Vuoi parlarne?” le domandò.
“Di cosa?” chiese Ginny.
“Di quello che ti fa stare così” spiegò e Ginny si girò su un fianco.
“Sono una brutta persona” mormorò.
La riccia rise, continuando ad accarezzarle i capelli. “Non è vero, piccola”.
“Non chiamarmi piccola” si lamentò e si rannicchiò come un bambino.
“Hai ragione, non sei piccola. Tu lo sai perché hai sempre tante ragazzine che ti girano intorno?” le chiese Hermione dopo un po’.
“Il mio fan club? Sì, perché sono, anzi ero, la ragazza di Harry” rispose la rossa con una smorfia. Odiava il fatto di essere ‘la ragazza di Harry’. E odiava il fatto di non esserlo più. Sospirò: che mondo difficile.
“Non è vero neanche questo” disse ancora Hermione. Ginny alzò un sopracciglio. “Loro ti ammirano e ti vogliono bene e sai perché?” le domandò.
La rossa scosse la testa sul cuscino, mentre l’amica non smetteva di accarezzarle i capelli. “Perché l’anno scorso hai difeso e protetto quelle ragazze, le hai consolate, le hai incoraggiate a non mollare e a credere, sei stata il loro sostegno quando ne avevano bisogno”.
“Ma io non ho fatto questo” replicò. Quando lo aveva fatto? Non era vero.
“Dici? Loro mi hanno raccontato di quando le andavi a cercare perché erano nascoste nei bagni o di quando ti ribellavi al fatto che dovevano subire la Cruciatus. O quando hai asciugato loro le lacrime o di quando raccontavi di come Harry sarebbe venuto a salvarvi. Tutti.”
Ginny si sentiva un po’ in imbarazzo. Era vero, aveva fatto quelle cose. Ma erano così importanti? Erano cose che avrebbe fatto chiunque. Lei si era alleata con Neville e loro avevano aiutato chiunque ne avesse bisogno, ma era una cosa che avevano fatto insieme, lei non aveva fatto poi granchè. O sì?
Da un lato era bello sentirsi dire quelle cose, che fra l’altro sembravano successe una vita fa, e dall’altro era così difficile accettare tutti quei complimenti, come se lei non se li meritasse. Rimase zitta.
“Adesso mi ricordo. Poverine, era così difficile, per loro. La scuola dovrebbe essere un bel posto dove stare. Mi facevano venire in mente come mi ero sentita io, il primo anno. È stato disastroso. Mi fa piacere sapere che le ho aiutate. La prossima volta non le eviterò” disse dopo un po’.

 

Hermione si stese vicino a lei. “Hai anche smesso di raccontare a quelli del primo anno della battaglia. A loro piaceva tanto ascoltarti”.
“Di cosa parli?” domandò ancora.
“Di quando spiegavi ai piccoli gli incantesimi che aveva usato Harry e perché li aveva usati. Di come è sopravvissuto, due volte, a Voldemort, grazie all’amore. Loro ti ascoltavano rapiti. Tutte le volte” raccontò la riccia.
“Mi fa male parlare di Harry, di quanto sia bravo e buono, di come sia cresciuto senza affetto e tutto il resto. E adesso mi fa male pensare di non essere al suo fianco quando ha gli incubi o soffre di nostalgia per Sirius o Lupin” spiegò la rossa.
“Forse allora dovresti parlargli…” buttò lì Hermione. Doveva assolutamente convincerla a lasciare da parte l’orgoglio.
“Lui mi spiava. Non si fidava di me. Non si fida di me” replicò la rossa, con nervosisimo.
“Prova a passare sopra a questa cosa. Magari non è così come dici. O magari con il tempo la cosa cambia. Stavate insieme da poco e la vostra non era una storia come le altre” difese l’amico Hermione.

 

La rossa annuì. Effettivamente poteva andare a parlargli. Sì, non voleva andare avanti così. Doveva chiarire. In fin dei conti lei voleva stare con lui, perché continuare a rinfacciargli che non si fidava di lei? Gli avrebbe parlato appena tornata alla Tana.
“E te? Come va con Malfoy? Hai notato che non lo chiamo più Furetto? Sono brava, eh?” cercò di cambiare il discorso e Hermione rise.
“Va bene. A parte il fatto che voleva che andassi a casa sua a trovarlo durante le vacanze.”
Ginny si mise seduta e, incrociando le gambe si girò verso l’amica. “È una brutta cosa?” chiese, confusa.
“Narcissa ha invitato la Parkinson, per Natale.”
“E quindi?” Ginny non capiva quale problema ci fosse.
La riccia alzò una spalla. “Bo, non lo so. Ho paura di sentirmi… di troppo”.
“Sono sicura che Pansy non ti farebbe sentire di troppo” disse Ginny, difendendo la Serpeverde.
“Però… non ti sembra strano?” domandò Hermione.
Questa volta fu Ginny ad alzare le spalle. “Mia mamma ti invita a casa nostra. E lo farà anche quando, e se, ci sarà la moglie di Ron” spiegò. Era tutto così semplice.
“Mi sembra diverso. E poi io e tuo fratello non pensavamo di sposarci” disse Hermione, diventando rossa sulle guance.
“Oh, neanche loro.”
La riccia sbuffò, quando Ginny si intestardiva era difficile cavarsela.
“E poi io e tuo fratello non siamo stati a letto insieme!” Hermione era rossa in tutto il viso.
Ginny capì al volo. “Ah! Sei gelosa!” e ridacchiò, “Gelosa del furetto!!”
Hemione sbuffò ancora, ma non riuscì a nascondere un sorriso. “Ha detto che non vuole venire qui…” disse, guardandosi intorno nella sua stanza.
La rossa sospirò e mormorò: “Ah. Che stronzo”.
“Ma vuole che vada da lui…”
Ginny le toccò un braccio “Io non ci andrei”.
“Infatti non lo farò!” Hermione però non voleva discutere di quell’argomento, così le chiese: “Tu non sei gelosa di Harry?”
“Oh, sì. Quando ho visto la Chang, per la battaglia di Hogwarts, ho dovuto calmare i nervi e respirare piano. Ti ricordi come c’ero rimasta male quando si sono messi insieme?” Hermione annuì.
“E adesso? Se Harry adesso fosse a un appuntamento con una ragazza, cosa faresti?”
Ginny si fece seria e, più attenta, chiese: “È andato a un appuntamento? Con un’altra? L’ha detto a te?”
Hermione sorrise sorniona. “No. Non lo so, ma se non vi rimetterete più insieme, succederà, no? Magari una sera di queste lui e Ron andranno da qualche parte per un’uscita a quattro” buttò lì, facendo spallucce.
Ginny ci pensò su. Già, poteva essere. Soprattutto dopo quello che aveva detto a suo fratello dopo cena.
“Perché non ti sei arrabbiata per la pozione?” Ginny cambiò improvvisamente argomento. Non voleva più parlare di Harry. E poi non aveva ancora capito come mai Hermione non avesse fatto un casino (lei l’avrebbe fatto!) per il fatto che Malfoy le avesse mentito.

 

Hermione sospirò. “Non volevo arrabbiarmi. Tutto qui” disse. Sapeva però che Ginny avrebbe fatto fatica a comprendere.

 

“Tutto qui?” Ginny era sorpresa. Se il suo ragazzo l’avesse presa in giro per un mese, anzi di più, lei avrebbe scatenato un’altra battaglia, o forse due. Non avrebbe sorriso e detto ‘Non volevo arrabbiarmi’!

 

La riccia sorrise come quando spiegava qualcosa ai ragazzini dei primi anni e disse: “Se lui mi avesse detto subito cos’era, non l’avrei più cercato. Non avrei scoperto quello che so e adesso non starei con lui. Ci ho pensato, sai? Il primo giorno che ho capito come funzionava il tutto, il fatto che fossi io a farmi del male e che bastava la pozione della pace per ‘tranquillizzare’ la mente, ero arrabbiatissima. Davvero. Praticamente l’ho evitato per un giorno e mezzo. Poi però, passato quel momento, ho pensato che non valesse la pena essere arrabbiata con lui. Non si è approfittato di me. Mi ha mentito, ma per stare con me, non per ingannarmi”.
Hermione la guardò con uno sguardo strano e sorrise dicendo: “Preferisco essere felice”. Forse poteva spiegarlo così.  

 

Ginny ebbe un fremito. Anche lei avrebbe dovuto scegliere di essere felice? Fare finta di niente? Non ci sarebbe mai riuscita.
“E lo farò penare un po’” disse alla fine la riccia, ammiccando verso Ginny.
Ora la rossa la riconosceva. E sorrise. Rimase a casa di Hermione ancora un po’ e poi si smaterializzò per tornare a casa.
Quando si materializzò in cucina, nel silenzio più assoluto e al buio attraversò il soggiorno e salì i cinque piani di scale. Bussò piano alla camera di Ron, chiamando Harry.
Gli avrebbe chiesto di andare in camera sua e avrebbero chiarito. E avrebbero fatto l’amore. Si immaginò ad abbracciare il moro. Quanto le mancava il profumo di Harry! E i suoi baci. E le sue carezze. Sorrideva mentre aspettava che aprisse la porta. Sperava che Ron non si svegliasse, così da non dover dare nessuna spiegazione.
Quando si rese conto di aspettare da troppo tempo, bussò ancora e poi entrò. La stanza era buia.
“Lumus” disse sottovoce. La bacchetta si illuminò. La tenne davanti a sé per attraversare la stanza, schivare tutto ciò che c’era sul pavimento e arrivare ai letti dei ragazzi. Illuminò il letto dove dormiva Harry, ma era vuoto. E fatto. Come se lui non fosse ancora andato a dormire. Puntò la bacchetta sul letto del fratello: uguale.
Merlino! Dov’erano? L’immagine di Ron e Harry in un pub babbano con due ragazze apparve nella sua mente. Hermione sapeva qualcosa e voleva metterla in guardia? Sospirò. Si girò verso la porta. Doveva tornare in camera sua. Non voleva che la trovassero lì quando fossero tornati. Soprattutto se non tornavano da soli. Scese le scale silenziosamente e tornò in camera sua.
Si tolse le scarpe e si mise a letto vestita. Che brutta serata.

 

***

 

Il giorno dopo Ron si era alzato presto. Presto secondo i suoi canoni e presto per il fatto che era tornato a casa presto quella mattina. Sorrideva.
Poco dopo di lui scesero George e Harry.
“Buongiorno” li salutò.
“Buongiorno. Stanotte ho vinto contro Harry a Poker” lo salutò il fratello.
Ron alzò un sopracciglio. “Hai dormito da George?”chiese a Harry e lui annuì stringendosi nelle spalle.
“Abbiamo giocato fino a notte fonda. È stato difficile riuscire a batterlo. La prossima volta vieni anche tu” sentenziò George.
“Non penso proprio. Scommetto che hai imbrogliato” rispose Ron. Non avrebbe barattato la sua serata neanche con mille galeoni. George fece la sua miglior faccia (finta) scandalizzata e poi ridacchiò. Ron non si scompose. Aveva passato la notte sul morbido tappeto bianco a casa della Parkinson, davanti al camino, scaldato dal corpo più caldo che gli fosse capitato di tenere fra le braccia. Niente avrebbe potuto smuoverlo da quella sensazione. Niente.
A parte la faccia di Ginny quando entrò in cucina.

 

Quando arrivò in cucina, Ginny notò che era troppo affollata per i suoi gusti: George e Harry le davano le spalle, quindi non la videro arrivare né girarsi per deviare verso la porta di ingresso, ma Ron sì.

 

Ron la vide fare dietrofront e andare verso l’uscita. Non era una cosa da Ginny. Finì le uova e disse a George: “Ci vediamo in negozio. Harry vieni anche tu, ci sono delle cose interessanti per il ministero”, prima di alzarsi e correre dietro alla sorella.
Quando uscì in cortile si rese conto di non avere il mantello, così lo appellò e se lo strinse addosso. Fece il giro della casa e trovò Ginny pronta a salire su un manico di scopa.
“Gara?” propose. La rossa alzò gli occhi su di lui, che gran brutta faccia pensò Ron e annuì. Gli lanciò una scopa e si preparò.

 

“Fino al solito ciliegio e ritorno qui. Dai il via tu” propose Ginny, Ron annuì, si preparò anche lui, diede il via e partirono.
Fu una gara entusiasmante: il vento che le scompigliava i capelli, il freddo sulle guance, il legno fra le sue mani. Niente risollevava il morale come una corsa sulla scopa.
Fu difficile battere Ron. Era partita bene, ma poi lui era riuscito a sorpassarla. Se n’era meravigliata. Lui non era veloce, di solito. Giocare a Quidditch come portiere non lo aiutava ad avere dimestichezza nelle corse di velocità. Così non aveva pensato a nient’altro che a raggiungerlo. E ci era riuscita, tre volte. Perché lui era riuscito a sorpassarla ancora. Quando avevano girato intorno al ciliegio, si era chinata in avanti per riuscire ad acquisire più velocità. Lui aveva riso mentre la rincorreva e la raggiungeva.
Merlino, aveva passato così tanto tempo girata, preoccupata che lui la sorpassasse!!
Alla fine era arrivata al punto di partenza di pochissimo prima di lui. Andava così veloce che quando atterrò aveva ancora spinta e il suo piede non la resse, facendole fare una capriola di lato e ritrovandosi poi sdraiata sulla ghiaia.

 

Quando Ron atterrò gli si bloccò il fiato in gola mentre le chiedeva: “Tutto bene, Ginny?”, ma poi lei scoppiò a ridere e lui le si sedette vicino, per terra.
“Sì. Tutto bene. Grazie Ron, ne avevo bisogno” rispose.
Si mise seduta, gli appoggiò una mano sulla spalla e gli diede un bacio sulla guancia. Mentre si sporgeva, vide che il suo mantello si era spostato, trascinando il maglione e lasciandogli scoperto il collo e l’inizio della schiena, notò dei segni rossi.
“Ron, hai dei…” iniziò toccandogli il collo. Suo fratello si irrigidì e si alzò, facendo finta di niente.
Merlino! La sera prima… Aveva capito cos’erano. A volte era successo anche a lei di lasciare qualche graffio sulla schiena di Harry, mentre facevano l’amore. Guardò da un’altra parte. Dove erano andati? Con chi? Anche Harry aveva dei graffi simili? Con chi era stato?
“Ieri sera?” chiese soltanto.

 

“Ieri sera?” gli chiese Ginny. Beh, anche ieri pomeriggio. Ma non gli sembrò il caso di dirlo. Guardò verso le finestre della cucina. Erano già andati a Diagon Alley, gli altri? Faceva in tempo a raggiungerli? Ron riportò lo sguardo su di lei e annuì.

 

Ginny, senza dire niente, seguì il suo sguardo e guardò le finestre della cucina, dove aveva appena visto Harry. Erano insieme quando…
“Non ne parliamo, ok?” propose. Suo fratello annuì e le sembrò che sospirasse sollevato.

 

***

 

“Pansy che succede?” Ginny uscì dal camino di casa Parkinson con ancora la pergamena scritta dalla mora in mano.
La Serpeverde era seduta sul divano e vicino a lei c’era seduto Malfoy. La rossa sbuffò. Non era una cosa urgente, non se c’era di mezzo il furetto.
“Buongiorno, Weasley, passato un buon Natale?” la salutò Malfoy. Il Serpeverde cercava di fare il carino.
Lei lo guardò controvoglia e si rivolse all’amica, ignorandolo: “Pensavo fosse una cosa importante”.
Pansy sorrise. “Lo è”.
Le fece cenno di sedersi vicino a lei. Ginny si guardò intorno e si avvicinò al divano sospettosa, ma scelse di sedersi su una poltrona, lontano da loro. Pansy stava dando istruzioni a un elfo vestito con una tovaglietta da tè (di colore verde argento!), poco dopo essere sparito, si materializzò vicino a lei, portando burrobirre e pasticcini.
Ginny lo guardò appoggiare il vassoio sul tavolino e smaterializzarsi di nuovo. Osservò i pasticcini e dovette controllare la mano perché non si allungasse di volontà propria ad afferrarne uno con la panna.
Portò lo sguardo sui Serpeverde e disse: “Sembra un tentativo di corruzione”.
“Lo è” disse di nuovo Pansy.
La mora sembrava molto più distesa, serena e tranquilla. Che fosse andata a trovare sua sorella e avessero chiarito? O forse… Aveva ripreso a fare sesso? Hermione e Malfoy da quando lo facevano non avevano più bisogno della pozione che calmava la mente. Che Pansy lo facesse con il biondo? Istintivamente guardò le sue unghie: gialle. Sospirò. Bene.
“Quindi?” chiese, impaziente. La mora si girò verso l’amico.
“Ho bisogno di un piccolo aiuto” mormorò lui.

 

Ginny sorrise strafottente. Perfetto. “Eh, dimmi, Malfoy, di cosa hai bisogno da me?” chiese con tono soddisfatto, mentre si appoggiava alla spalliera della poltrona e, con il suo sguardo migliore, prestò tutta la sua attenzione al biondo.
Lui si voltò verso la mora e disse: “Non posso farlo”.
Lei gli posò una mano sul ginocchio. “Certo che puoi: riprova”.
MAlfoy guardò Ginny con uno sguardo glaciale.
“Pansy mi ha convinto a chiedere il tuo aiuto per risolvere una piccola faccenda che riguarda…” inziò il biondo.
“Guarda che se non ne sei convinto, non c’è problema” disse la rossa, sorridendo divertita.

 

Draco l’avrebbe cruciata. Pensò a tutte le maledizioni che avrebbe potuto lanciarle, ma poi stette zitto. Sapeva di aver bisogno del suo aiuto.

 

Pansy sospirò, alzandosi e facendo un giro per la stanza, pensando a come riempire quel locale. Oh, se solo fosse riuscita a trovare un pianoforte! E se fosse riuscita a sapere il nome di quella musica babbana ascoltata nel carrilon, avrebbe potuto incantare il pianoforte in maniera che la suonasse…
“Allora, quello che Draco non riesce a dire è che la Granger non gli scrive da prima di Natale ed è preoccupato” iniziò.
La rossa alzò le spalle. “Hermione l’ho vista ieri. Sta benissimo”.
“Penso che sia arrabbiata con me” disse il biondo, ignorando il suo commento.

 

“E come mai è arrabbiata con te?” chiese Ginny con un tono falsamente ingenuo.
Sapeva che Hermione avrebbe lasciato Malfoy sulle spine, quando lui aveva detto che non sarebbe andato a trovarla a casa dei suoi. Sbuffò mentalmente. Lei aveva Harry (che probabilmente aveva un’altra ragazza) che abitava due piani sopra la sua testa. Chi aveva la bacchetta non faceva magie e chi poteva fare magie non aveva la bacchetta. Sempre così la vita.
“Perché l’ho invitata a casa mia per Natale ma non è voluta venire” rispose il Serpeverde.
“Davvero?” Ginny non riuscì a nascondere un sorriso birichino e si allungò a prendere un benedetto pasticcino con la panna.
“Tu lo sai già” Malfoy si stava innervosendo. Carino.
“Già. Lo so già, ma mi piace questa conversazione” disse prima di mordere ancora il pasticcino. Era delizioso. Lui guardò verso la mora, adesso vicino al camino.
“Te lo avevo detto che lei sapeva qualcosa. Magari può aiutarti” rispose Pansy alla sua domanda silenziosa.

 

Draco sbuffò e tornò a guardare la rossa. Sperò di riuscire a non ucciderla prima di sera.
“E sai perché è arrabbiata o perché non mi scrive?” le chiese.
“Tu sai perché non è venuta a casa tua?”
La Serpeverde si intromise nella discussione: “Perché pensava che ci fossi io. Ma glielo avevo detto, che non ci sarei andata”.

 

Ginny prese un sorso di burrobirra e sventolò una mano nella direzione della mora. “No, non è per quello” disse.
Il biondo si fece più attento. “E allora perché?”
Ginny sbuffò. “Voi maschi non capite niente. Mi sembra di parlare con mio fratello Ron” brontolò.
Un ghigno apparve sul viso del biondo. “Non c’è bisogno di offendermi, Wesley piccola” la provocò Malfoy.
“Draco, smettila” Pansy aveva tirato fuori la bacchetta e spostato qualche ceppo di legno nel camino.
Ginny parlò, con lo stesso tono che usava quando parlava ai primini e gli chiese: “Cosa le hai detto quando avete parlato del Natale?”
Lui rimase zitto un attimo, come se ci stesse pensando. Ginny ne approfittò per prendere un altro pasticcino, questa volta con il cioccolato.
“Mmm, Pansy sono divini questi pasticcini. È veramente un peccato che tu non li mangi…”

 

Pansy stava ancora trafficando con il camino un po’ soprappensiero, tanto che disse senza accorgersene: “La settimana scorsa ho mangiato i biscotti che abbiamo fatto a casa tua”.
“DAVVERO?” due voci si fusero insieme e due teste si girarono verso di lei.
Quando si rese conto di cosa aveva detto, cercò di rimanere impassibile, mentre sentiva le guance prenderle fuoco. Li aveva mangiati quella stessa sera davanti al camino, con il fratello di Ginny e poi lei aveva leccato le briciole dalle sue labbra.

 

Draco la guardò un pochino più del necessario, secondo Ginny, ma subito dopo si rigirò verso di lei.
“Cosa le ho detto?” le chiese. Non sarebbero andati da nessuna parte così. La rossa sbuffò e decise di lasciar perdere i giochetti.
“Le hai detto che non volevi andare a casa sua perché non ti saresti sentito a tuo agio, ma volevi che lei venisse da te lo stesso.”

 

“Draco, hai detto così?” Pansy aveva un brutto sguardo. Draco la guardò, ma non le rispose. Non si ricordava di averlo detto, ma poteva essere, perché era quello che pensava.
“Per questo non è venuta?” chiese alla rossa e lei annuì. Oh, Merlino. Quindi se lui non lo avesse detto, lei sarebbe andata?
“Perché non vuoi andare a casa sua?” gli chiese Pansy mentre lo guardava incuriosita.
“Non so come devo comportarmi, in una casa di babbani. Magari faccio qualcosa di… bo… nonbabbano?” spiegò un po’ imbarazzato.

 

Ginny, nonostante fosse Malfoy, sorrise. Ci aveva visto giusto. Lui ci teneva.
“Ma non avevi detto che avresti letto babbanologia per evitare di avere atteggiamenti strani?” Pansy parlò ancora.
“Babbanologia? Malfoy hai letto un libro di babbanologia?” Ginny non riuscì a nascondere una risata, nonostante cercasse di camuffarlo molto bene. “E dove l’hai preso un libro di babbanologia? L’hai cercato in biblioteca? Tu?”
Malfoy la guardò con uno sguardo strano, poi guardò la Serpeverde. “Gli ho dato il mio libro dell’anno scorso, sai, quando babbanologia era obbligatoria a Hogwarts?” spiegò la mora.
Ginny smise di sorridere. L’anno prima babbanologia era diventata obbligatoria e la Carrow la insegnava in una maniera alquanto terrificante. Ma non avevano mai usato il libro. Probabilmente perché il libro era veramente un libro di babbanologia. Annuì distratta.
“Non ci avrai capito niente” disse comprensiva. Sicuramente leggere un libro del settimo anno senza sapere niente dei primi sei avrebbe confuso chiunque.
“Effettivamente…” Il biondo si passò una mano fra i capelli.
“Guarda che i genitori di Hermione sono delle bravissime persone. E poi non è la prima volta che incontrano dei maghi. Sono venuti qualche volta alla Tana e non sono scappati neanche quando mio papà li ha subissati di domande. E questo vuol dire tutto. E se non considerano strani noi, non potranno mai considerare strano te!”
“Loro hanno conosciuto i tuoi?” le chiese preoccupato il Serpeverde. La rossa lo guardò curiosa, qual era il problema?
Si girò verso l’amica per capire e lei mormorò sottovoce: “È geloso di tuo fratello”.
Ginny avrebbe potuto ghignare o dire qualcosa di cattivo, ma non lo fece. Si alzò e si sedette vicino a lui. “A Hermione, anche se ancora non so il perché, piaci tu. Basta. Non farti troppi problemi, ok? I suoi sono persone meravigliose. A loro basterà sapere che tu tratti bene Hermione e che le voglia bene”.

 

“Io amo Hermione” mormorò Draco. Non si rese conto di aver risposto senza pensarci, guardando il camino.

 

Ginny guardò Pansy che ricambiò il suo sguardo sorridendo e spalancando gli occhi. “Bravo Malfoy. Allora, andiamo a casa sua, cosi magari glielo fai sapere?” gli chiese.
Lui strabuzzò gli occhi, ripetendo: “Andiamo?”
“No? Ma sì, dai, andiamo adesso” disse, carica. Ginny era pronta.
“Non è collegata alla metropolvere” disse lui. Sembrava una scusa.
“Lo so. Ci smaterializziamo” spiegò, paziente.
“Sei già stata a casa sua?”
Ginny sbuffò. Quante domande. “Secondo te? Siamo amiche!”

 

Pansy tornò verso il divano. “Vai a casa, prendi il regalo della Granger, una bottiglia di vino e chiedi a uno degli elfi di trovarti un mazzo di fiori e di incartarlo. Più o meno grosso così” spiegò a Draco, misurando con le mani.
Lui alzò lo sguardo verso di lei e chiese: “Perché?”
Ginny si alzò dalla poltrona dicendo: “Per fare bella figura con i suoi. Che vi insegnano a voi purosangue?”
“Piccola Weasley sei purosangue anche tu” ci tenne a chiarire lui.
“Ok. Che insegnano a voi purosangue snob? A parte come sputare su noi gentaglia del popolo, logicamente.”
“Ginny…” la sgridò Pansy.
“Ok ok. La smetto. Muoviti, Malfoy” ordinò, fiera al cospetto del biondo. Lui la guardò in cagnesco ma, consapevole di aver bisogno del suo aiuto, non disse niente e si smaterializzò.

 

Ginny si voltò sorridendo verso Pansy. “E te? Novità?”
La Serpeverde la guardò stranita. “Di che genere?”
“Di genere maschile!”
La mora spalancò gli occhi e sembrava arrossita sulle guance “Ma…”
Ginny gongolò. “Ti ho beccata eh? Chi è? È carino? Lo conosco?”
“Ma chi?” chiese, facendo la finta tonta.
Il viso dell’amica era tornato normale. Che si fosse sbagliata? La spiò di sottecchi e disse: “Niente, niente”.
“Ti va di venire con me in Francia?” chiese Pansy alla Grifondoro.
“In Francia?”
“Sì, da Camille”.
Quando la mora alzò lo sguardo su di lei, Ginny notò che era nervosa.
“È successo qualcosa?” domandò, preoccupata.
“No no. È solo così… bo, non mi piace andare là. Vorrei non andarci da sola…” la Serpeverde si passò una mano fra i capelli.  Ginny sentì una sensazione strana al petto. Non le piaceva che fosse così nervosa. Ma allo stesso tempo non voleva che pensasse che le facesse pena.
“Sì, va bene, verrò con te. Così saluto Camille” disse, annuendo.
“Grazie” rispose la mora e sospirò.
“Hai una passaporta?” chiese. La smaterializzazione era impossibile fra due posti così lontani.
 “Sì. Ne ho fatte fare due. Hanno un po’ brontolato, al ministero, ma alla fine ci sono riuscita” rispose la Serpeverde, guardando ancora il camino.
La rossa si allungò a prendere un altro pasticcino e chiese: “Perché hanno brontolato?”
Pansy scosse le spalle, nervosa come se fosse stata colta in fallo. “Oh, niente”.
Ginny si fermò con il pasticcino a metà fra il vassoio e la bocca. Riconobbe il suo tono. “Che vuol dire?”.
“Vuol dire che noi figli dei mangiamorte siamo maghi di serie B, adesso. E tutto ciò che passa dal ministero ce lo fanno sudare” disse una voce alle sue spalle.
Ginny si voltò verso Malfoy, che si era materializzato e aveva parlato con tono freddo.
Lo guardò: si era cambiato. Aveva un paio di pantaloni non troppo eleganti (per essere un Malfoy) e una camicia grigia chiara con la giacca nera. “Ti sei cambiato?” chiese incredula.
Lui sbarrò gli occhi e guardò verso Pansy chiedendo: “Vado bene?”
Lei sorrise e gli si avvicinò. “Vai benissimo. Sei bello come il sole” disse. Gli accarezzò una guancia e lo guardò come la mamma di Ginny guardava Harry.
“Beh, non esageriamo…” Ginny non riuscì a trattenere una risata quando il biondo si voltò verso di lei guardandola male. “Se ti sei vestito bene perché hai un anello in tasca, voglio esserci anch’io” disse allora.
“No, io non ho…” Lo sguardo preoccupato di Malfoy tornò verso l’amica.
Lei scosse la testa, per rassicurarlo. “Adesso Ginny la smette di prenderti in giro, vero?” iniziò, voltandosi verso di lei e lanciandole un’occhiata ammonitrice. La rossa sbuffò. Si stava divertendo, perché smetterla?
“Va bene, va bene” si arrese. Poi, come se si fosse ricordata della cosa solo in quel momento disse alla Serpeverde: “La prossima volta che devi passare dal ministero, chiedi a Harry o a Hermione o a Ron. Loro… sono tenuti in considerazione dopo… sì, ecco potrebbero aiutarti”. Ginny sperò di essere riuscita a spiegare quello che voleva senza parlare della guerra.
La mora scosse le spalle, ma le fece un cenno con il capo, mentre metteva a posto il colletto della camicia dell’amico. Tutte e due erano consapevoli che non l’avrebbe fatto.
“Oh sì, Pansy, chiedi aiuto a Weasley, ti aiuterà volentieri. Sicuramente!” Il biondo aveva un tono strano, come di scherno e Ginny non capì bene cosa intendesse. Pansy e suo fratello avevano avuto da dire? Avevano litigato? Di nuovo? E quando?
La Serpeverde rimproverò Malfoy e lui ghignò, ma subito cambiò espressione esclamando: “Ahia!”
“Oh, scusa, devo averti graffiato” si scusò Pansy.
Ginny non prestò troppa attenzione ai due e prese un altro pasticcino. “Allora? Io non ho tutto il giorno!”

 

Malfoy riconobbe l’espressione dell’amica mentre lo rimetteva al suo posto. Ok. Aveva esagerato. La piccola Weasley non sapeva di suo fratello, eh? Gli piaceva la cosa.
Le diede il vino.
”Stai attenta alla bottiglia. Non farla cadere. Sicura di quello che fai, vero?” (Era un Chateau Figeac Grand Cru del 1952, Per Salazar!) non si fidava troppo della piccola teppista, ma era la sua unica possibilità.

 

Ginny sbuffò ancora. Guardò l’etichetta (non ci capiva niente di vino, lei) ma c’erano dei nomi in francese così ghignò e disse, mente lui teneva il mazzo di fiori con una mano e la prendeva sottobraccio con l’altra: “Ma è francese? Il padre di Hermione odia il vino francese!”
Lui strabuzzò gli occhi, girandosi verso di lei, mentre girava su se stessa per smaterializzarsi.
Quando si materializzarono in un vicoletto, Ginny rideva ancora. Lui un po’ meno. Il povero mazzo di fiori era un po’ sgualcito, così la rossa tirò fuori la bacchetta e gli diede una sistemata. “Dai, su, non si può neanche scherzare?” disse e ridacchiò ancora.

 

Draco odiava la smaterializzazione congiunta. Non avere il controllo gli dava sui nervi. Si sentiva un po’ agitato e aveva lo stomaco sottosopra. Odiava un po’ anche la Weasley.
Si guardò intorno: era una stradina stretta e orribile, buia e maleodorante. “Ma dove siamo?” chiese.
“Siamo nella Londra babbana, genio. Non potevamo smaterializzarci davanti al suo portone. Nè in camera sua, ti pare?” gli rispose lei come se avesse tre anni. Annuì: aveva senso.
Seguì la piccola rossa che con passo sicuro uscì dall’orribile vicolo e girò a destra. La stette dietro per un tratto di strada abbastanza lungo. O forse era lui che si sentiva nervoso e gli sembrava che non arrivassero mai? A un certo punto si fermò davanti a una piccola costruzione su due piani: casa di Hermione.
Gli fece cenno di seguirla e insieme si incamminarono verso la porta. Draco fece il primo passo lentamente. E se non fosse andata bene? Ne fece un altro. E se lei non fosse stata contenta di vederlo? La Weasley dovette tirarlo per farlo camminare. E se fosse stata ancora arrabbiata? Si fermò a pochi passi dalla porta blu e sospirò.

 

Ginny si voltò. Vedere Malfoy così era FAVOLOSO. Lui era nervosissimo. Gli tremavano anche le mani. Ma ebbe pietà.
Tornò indietro sui suoi passi e gli si avvicinò. “Ehi, sei un Malfoy, ricordi? Puoi spaccare il mondo” lo incoraggiò. Sperò di non doverlo mai raccontare a nessuno.
Lui la guardò, pensando ad altro, ma almeno annuì. Ginny sospirò.
“Ami Hermione?” Gli chiese.
Lui si riprese subito e disse: “Certo”.
“Allora ce la puoi fare. Vai e fai vedere di che pasta sono fatti i maghi!”
Gli diede una pacca sulla spalla e lo spinse verso la porta. Si allontanò quel tanto da osservare la scena (doveva assicurarsi che lui suonasse ed entrasse e non scappasse via).
Quando lo vide entrare, si rincamminò verso il vicoletto. Sospirò prima di smaterializzarsi e tornare da Pansy.

 

***

 

“Buonasera, posso aiutarla?”
La signora che gli aprì la porta era una versione un po’ più vecchia di Hermione. Stessi occhi, stesso colore dei capelli, stessa forma del viso. Ma aveva i capelli lisci e un paio di occhiali neri sul naso.
“Ehm… sì… buonasera… io…” balbettò lui.
“Draco!” Hermione gli apparve sulla scala che portava al piano superiore come una visione. Non la vedeva da una settimana.
Lui sorrise e tornò a rivolgersi alla donna, con molta più sicurezza: “Buonasera, sono Draco, Draco Malfoy. Sono venuto a trovare Hermione”.
Il sorriso della donna si allargò e si fece da parte per farlo entrare. Lui si inchinò appena (glielo avevano insegnato da ragazzino, ma qualcosa si ricordava ancora) e porse il mazzo di fiori alla madre di Hermione.
Lei lo ringraziò con ammirazione e si presentò: “Piacere Draco, io sono Jean, la mamma di Hermione”.
Quando un uomo sulla cinquantina con una folta capigliatura brizzolata entrò nell’ingresso, Hermione, che adesso era vicino a lui, glielo presentò: “Draco, lui è mio padre. Papà, lui è Draco Malfoy”.
Il signor Granger gli strinse la mano sorridendogli e gli disse di chiamarlo Aaron. Sembravano persone a posto. In quel momento si ricordò del vino e glielo porse un po’ impacciato. Hermione se ne accorse e gli lanciò un sorriso colmo d’affetto.
L’uomo guardò la bottiglia e i suoi occhi si illuminarono. Draco sorrise: ci aveva preso. Aveva scelto il vino giusto. Lo avrebbe raccontato alla Weasley, quella piccola stronzetta.

 

Hermione era in camera sua a leggere quando avevano suonato alla porta. Si affacciò sulle scale, incuriosita e spalancò gli occhi! Draco era lì! Lì a casa sua. A casa di babbani. Pensò che gli occhi le giocassero un brutto scherzo. Non lo vedeva dalla fine della scuola e lei si era rifiutata di scrivergli quando lui aveva insistito sul fatto che dovesse andare a casa sua per Natale. Aveva fatto una fatica immane a non rispondergli. Le mancava da morire.
Poi, quando lo aveva sentito balbettare con sua madre, il suo cuore si era aperto e non era riuscita a contenere la gioia. L’aveva chiamato, lui aveva alzato lo sguardo su di lei e le aveva sorriso. Quel magnifico sorriso che faceva solo a lei.
Era scesa per le scale e gli era andata incontro: era venuto. Era venuto per lei.

 

Draco aveva scoperto che i genitori di Hermione avevano paura di essere considerati “strani” dagli amici della figlia tanto quanto lui, così, dopo l’iniziale imbarazzo, avevano cercato di intavolare una conversazione neutra ed erano partiti da lì.
La madre di Hermione aveva preparato il tè e la ragazza aveva guidato tutti gli argomenti di discussione.
Non era stato male. Fino a quando un rumore strano gli aveva fatto saltare la tazza sul piattino. Si guardò intorno preoccupato, mentre la signora Granger si alzava per uscire dalla stanza.

 

Quando squillò il telefono, Hermione vide Draco contrarsi e la mano che reggeva il piattino del tè, vibrare. Gli appoggiò delicatamente una mano sul braccio dicendo sottovoce: “Non spaventarti. Non è niente. Adesso sentirai mia madre parlare da sola con un oggetto, ok?”
Lui la guardò stranito, ma annuì. “Voi non avete il telefono, giusto?” chiese comprensivo il padre di Hermione. Draco scosse la testa. “Come comunicate, voi nel mondo della magia? A parte i gufi. Usate i gufi per spedire le lettere, giusto?” continuò Aaron guardando la figlia. Lei annuì, contenta che il padre facesse lo sforzo di capire.
“Sì. Spediamo lettere con i gufi” disse il biondo e guardò Hermione, che sorrideva. “Ma se c’è bisogno di parlarsi subito, usiamo il camino” osò.
L’uomo si mise attento. “Il camino? Non viene usato per spostarsi da un luogo all’altro?” Lanciò uno sguardo alla figlia e lei annuì ancora con il capo.
“Sì, ma vede, possiamo anche mostrarci a qualcuno che è lontano, basta che abbia un camino. Così ci si può parlare anche a distanza.”

 

Il signor Granger annuì, pensoso, mentre il ragazzo glielo spiegava. Alla fine era come un telefono: bisognava avere due camini (o telefoni) e ci si poteva parlare direttamente (e, probabilmente, interrompersi a vicenda proprio come stavano facendo in quel momento sua moglie e la sorella).
L’unica differenza era che si usava la magia e non si pagava la compagnia telefonica.

 

Hermione vide il padre con uno sguardo particolare, come se stesse accettando la cosa. Loro avevano sempre fatto fatica a capire il mondo in cui lei si era trovata sommersa da quando aveva compiuto undici anni e se lei aveva accettato la magia con semplicità, curiosità e anche una buona dose di sollievo, i suoi genitori avevano sempre mostrato un certo distacco e una certa riluttanza a comprendere il tutto.
Da quando aveva parlato loro in Australia, però, si erano mostrati molto più aperti, avevano accettato tutto e cercato di andarle incontro. Aveva potuto parlare con sua madre della scuola (e questa volta veramente, non come gli anni passati!) e le aveva raccontato anche dei ragazzi. Durante le vacanze di Natale le aveva parlato di Draco.
Beh, non le aveva proprio detto tutto, però voleva che fossero preparati al fatto che le piacesse un mago, e infatti, quando lui si era presentato, sull’uscio di casa, sua madre doveva aver capito subito chi fosse. Sorrise alla donna quando tornò in soggiorno.

 

“Mia sorella ci ha invitato a mangiare da lei stasera” annunciò Jean.
“Nooo. Non avrai accettato, vero?”
La signora Granger guardò torva il marito. “Penso di essermi espressa male”.
L’uomo sorrise, ma il suo sorriso sparì quando sentì la moglie dire: “Andiamo a mangiare da mia sorella, stasera”.

 

Il signor Granger si girò verso i ragazzi e chiese loro se volessero accompagnarli. Ma prima che Draco aprisse bocca, Hermione se ne uscì con un: “No, noi stasera andiamo a mangiare una pizza”, e poi strinse un po’ il braccio del biondo per fargli capire di non obbiettare. Lui annuì all’indirizzo degli adulti e stette zitto.
“Ok, va bene” rispose rassegnato suo padre.

 

Quando i genitori di Hermione si prepararono per uscire, dopo aver salutato Draco, la madre prese la ragazza da parte per dirle di ‘stare attenta’.
“Mamma non ti preoccupare, andiamo solo a mangiare una pizza” disse la ragazza.
La madre la guardò alzando un sopracciglio e disse: “Ho avuto anch’io la tua età, Hermione, e lui è molto più carino di quello che mi hai raccontato”.
Le diede un bacio sulla guancia, mentre Hermione arrossiva. Suo padre era già uscito e aspettava la moglie in fondo al vialetto. La ragazza lo salutò ancora con la mano. E poi chiuse la porta.

 

Draco stava osservando una foto incorniciata: era una foto strana. E orribile. Anche la persona fotografata era orribile. A parte il fatto che era ferma immobile e non stava né sorridendo né salutando, era proprio strana. Lui era abituato a foto molto più belle, dove le persone sorridevano e gesticolavano con la mano o a volte, anche solo con gli occhi. Invece questa foto, appoggiata sul mobile del soggiorno, ritraeva una signora anziana che, immobile con una mano per aria, aveva una brutta smorfia sul viso, un cappello rosa e una camicetta con del pizzo dello stesso colore. Non voleva essere scortese, così chiese alla ragazza se fosse sua nonna. Lei sorrise in maniera strana e scosse il capo.
“No, è la regina. Mia madre è un po’ fissata, con la regina” spiegò la ragazza.
Draco annuì, senza capire niente. Chi era ‘la regina’?

 

Quando Draco le aveva chiesto se la regina fosse sua nonna, aveva dovuto trattenere una risata. Non era colpa sua, se non conosceva la regina, giusto?
Magari un giorno o l’altro gli avrebbe spiegato qualcosa, ma di sicuro non era quello il momento.
“Grazie, Draco. Grazie di essere venuto” gli disse.
Lui si imbarazzò e divenne di un colore strano. Le si aprì di nuovo il petto. Si avvicinò a lui e gli fece una carezza prima di baciarlo sulle labbra. Un bacio piccolo e veloce. Poi gli chiese: “Vieni su in camera mia?”

 

Draco non rispose alla sua domanda ma le circondò i fianchi con le mani e la tirò a sé. Non la baciava da una settimana. Era un’eternità.
Appoggiò le labbra sulle sue, prima con delicatezza e poi, con desiderio. Aspettò pazientemente che lei aprisse la bocca per lui e poi non si preoccupò più di niente. La baciò per almeno dieci minuti, prima di chinarsi a posarle le labbra sul collo dicendole quanto le era mancata.
Hermione si staccò da lui quel tanto che bastava a guardarlo e sorrise, prima di prendergli un braccio e girare su se stessa.

 

Draco si ritrovò in una stanza dai mobili in legno chiaro con colori neutri. Hermione fece un passo indietro, mentre lui si guardava intorno: contro la parete c’era un letto singolo con una trapunta sui toni celesti e anche le tende alla finestra richiamavano quel colore. Sulla parete opposta c’era un armadio, non troppo grande e, sull’altra parete, vicino alla finestra, una scrivania con una seggiola e una mensola. L’ultima parete era occupata da un’enorme libreria piena, giustamente, di libri.
La camera di Hermione. La rispecchiava in tutto. Semplice, ma vissuta. Probabilmente il posto dove passava più tempo in quella casa.
“Bello qui” disse. Draco lo pensava veramente.
Camera sua, al Manor era un’enorme stanza fredda con i colori della sua casa. Anche il bagno privato era verde argento. Suo padre era fissato su tante cose e i colori dei Serpeverde era una di queste, altro che foto ‘di regina’ in salotto. Il suo letto era matrimoniale, perché i purosangue usavano stanze e letti enormi da migliaia di anni, come se l’ampiezza delle stanze dovesse in qualche modo confermare la purezza del cognome.
Il letto di Hermione invece, sembrava caldo, piccolo e confortevole. Il posto ideale per stare abbracciati stretti. Lei dovette leggergli i pensieri perché poco dopo, lo trascinò lì, sedendosi e obbligandolo a fare lo stesso.
“Anche tu mi sei mancato” gli confidò, prima di farlo stendere e montare a cavalcioni su di lui.

 

Hermione non pensava che sarebbe mai successo. Draco lì, nella sua stanza. Merlino non aveva neanche messo in ordine. Aveva lasciato dei libri vicino al letto e anche vicino alla scrivania.
Sperò che lui non se ne accorgesse. Quando lo osservò guardare il letto con quell’espressione tenera, decise che l’avrebbe distratto per non fargli notare le cose in disordine. Lo spinse verso il letto e pensò a quanto le era mancato. Tantissimo. Le era mancato tantissimo. Ed era così contenta che lui fosse lì.

 

La ragazza gli aveva slacciato i bottoni della camicia, dopo avergli tolto la giacca, e lui non capiva già più niente. Quando lei si tolse il maglione rimanendo solo con il reggiseno lui si ricordò a malapena il suo nome.
Lei continuava a fargli quell’effetto. Probabilmente sarebbe stato sempre così. Era sconvolgente, ma lui era felice.
Quando si chinò a baciargli la base del collo e il petto, sorrise al mondo, chiudendo gli occhi.

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Capitolo 25
*** Ginny sempre più contenta ***


25.ginny semèpre più contenta

 Ginny sempre più contenta

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Ginny aveva lo stomaco in subbuglio. Secondo lei era meglio la smaterializzazione. La passaporta le aveva lasciato un senso di nausea.
“Santo Merlino! Come fa tua sorella che è pure incinta? A me viene da vomitare ancora!”
La rossa, atterrata nel salotto dell’amica, si era girata verso Pansy con la faccia disgustata.
“Io lo faccio ogni due giorni, per due volte” rispose la Serpeverde.
“Devi avere uno stomaco di ferro” disse Ginny prima di correre in bagno.

 

Pansy sentì la rossa vomitare da dietro la porta del bagno. “Mi spiace… Hai bisogno?”
“Ho finito” rispose con una voce da oltretomba. Ginny apparve, pallida come la luna nei giorni migliori, mentre usciva dal bagno.
“Forse sono stati i pasticcini. Non dovevo chiederti di accompagnarmi, dopo tutto quello che avevi mangiato…” iniziava a sentirsi in colpa.
“Non è stata colpa tua. Non mi hai obbligato. Volevo vedere Camille. E ho mangiato io sette pasticcini, mica tu!” esclamò vivacemente la ragazza.
“Sette?” Pansy spalancò gli occhi mentre la rossa inclinò la testa.

 

“Dici che erano otto? Non mi ricordo” disse Ginny, pensierosa. Voltò il viso verso il tavolino, ma l’elfo aveva sistemato tutto. Non lo avrebbe mai ammesso davanti a Hermione, ma gli elfi erano veramente una gran cosa. Servizievoli, pronti a esaudire ogni tuo desiderio… come si faceva a non volerli?
“Sette o Otto? Sei tu che hai uno stomaco di ferro!” esclamò Pansy, ridendo.
Ginny guardò la mora, quasi con affetto. “Guarda che io ho un appetito da strega normale. Sei tu quella strana”.

 

Pansy la guardò ancora, ma non le disse niente. Le aveva chiesto di accompagnarla in Francia e le aveva detto di sì, era rimasta con lei per tre ore, insieme agli amici di Camille, che l’aveva ignorata palesemente (mentre era stata così contenta del fatto che ci fosse anche Ginny), poteva solo ringraziarla, non iniziare una discussione sul cibo.
“Grazie ancora. La mia giornata è stata meno noiosa, con te” le disse.
“Oh, mi sembrava che te la cavassi bene!” rispose la rossa e la Serpeverde la guardò stranita.
“Di cosa parli?” le chiese.
“Di Philippe, il fratello di Justine.”
Pansy corrugò la fronte. “Philippe?”
“Sì. Non hai visto come ti guardava?” Poi si guardò intorno dicendo “Ma il tuo elfo può portarci da mangiare?”
Pansy rise. “Sì, adesso te lo chiamo. Sicura di non essere incinta anche tu, vero?”
La rossa si girò verso di lei e mormorò: “Certo che ne sono sicura. Avrei dovuto fare sesso, per essere incinta. E non lo faccio da novembre…”
L’elfo si materializzò subito, quando lo chiamò.

 

Sempre più affascinata dall’elfo, Ginny non prestò attenzione a quello che diceva. “Grazie, signore” gli disse, quando lui portò burrobirra e snack salati. L’elfo sorrise.

 

“Ma… ha sorriso?” esclamò Pansy quando vide la scena.
La rossa si girò verso di lei con in bocca un pezzo di formaggio. “Sì. Non lo sapevi, vero? Se li tratti bene, sono adorabili, anche più di quelli della scuola. Dobby era un tesoro, e anche Kreacher, l’elfo che Harry ha ereditato da Sirius, è molto carino, adesso. Una volta l’ho sentito cantare mentre spolverava”.
La Serpeverde era affascinata. Non aveva mai pensato a queste cose. “Ci farò attenzione. Novembre, dicevi? Un mese fa. Non è tanto tempo. E poi mi sembrava che tu e Harry vi foste lasciati molto prima…”

 

Ginny spalancò gli occhi. Uffa, lo aveva fatto ancora: aveva parlato quando doveva stare zitta. Per fortuna era Pansy e non un’altra.
“Sì, beh, io e Harry ci siamo ecco… rivisti… una sera, alla festa dei Corvonero…”
La Serpeverde aveva spalancato la bocca. “Dai! E non vi siete rimessi insieme? Perché?” La rossa sbuffò. Era noioso ripeterlo a tutti.
“Oh, perché Harry mi ha detto perché mi aveva lasciato!”

 

Pansy si sedette sul divano, vicino a dove si era seduta Ginny, che si era allungata ancora verso il vassoio, e disse: “E perché ti ha lasciato?”
“Oh, quel troll pensava che io lo avessi tradito con Malfoy! Hai presente, Malfoy?”
Ginny doveva aver parlato senza rendersi conto di chi aveva davanti, pensò la mora, sorridendo. Poi la rossa la guardò e sbuffò, dicendo: “Certo che parlare con te e Hermione è proprio noioso. Solo Luna mi ha veramente capito quando gliel’ho detto”.

La Serpeverde rise. “Già, immagino. Mi spiace non riuscire a capirti pienamente”.
E rise ancora.

 

Ginny sbuffò di nuovo. Adesso la stava prendendo in giro. Uffa. Prese la burrobirra, mentre la mora non smetteva di ridere.
“Scusami. Almeno avevi la Lovegood, no? Ti ha parlato dei Gorgocosi? Ha dato la colpa a loro?”
La rossa rise. “Luna ha parlato anche a te dei Gorgosprizzi?”
“Oh, secondo la Lovegood ne avevo uno nella testa che mi faceva sembrare brutta.”
Ginny tornò seria. “Non sei brutta” disse, socchiudendo gli occhi. Aveva sentito parecchi commenti che riferivano il contrario. Parecchi. Anche in sala comune dei Grifondoro.
La mora sventolò una mano per farle sapere che non era un problema e, dopo aver bevuto anche lei, le chiese: “Novembre era solo un mese fa, avete usato… uhm… precauzioni?”
Ginny annuì. “Speriamo che Harry le usi anche con quell’altra”.

 

Pansy sputò la burrobirra quando sentì quella frase. “Quale altra?”
Vide la rossa intristirsi e la sentì dire: “Penso che stia uscendo con un’altra”.
“Come Harry pensava che l’avessi tradito?”

 

Ginny scosse le spalle. Non ne aveva ancora parlato neanche con Hermione.
“Bo. Hermione una volta ha detto che presto lui e Ron sarebbero usciti in quattro, con altre ragazze, se io non avessi fatto qualcosa per tornare con Harry. Ma è successo prima di quello che pensasse lei. Escono tutte le sere. Da prima di Natale.”
Pansy si irrigidì e si mise dritta. “Ed escono insieme?” chiese.
“Sì. La loro camera è vuota. Fino al mattino, ho… controllato tre volte” confessò. Era andata in camera di Ron altre due volte dopo la prima e loro non c’erano mai.

 

“Magari c’è un’altra spiegazione” disse, ma forse non riuscì a essere convincente, perchè la rossa la guardò, con occhi da cucciolo di unicorno.
“Tipo?” chiese la Grifondoro. Ma Pansy scrollò le spalle. Cosa poteva dirle? Cosa doveva dirle? “Vedi? Ma non posso neanche lamentarmi: è stata colpa mia”.
Il suo tono era tristissimo. “Sarebbe meglio se tu gli parlassi” cercòdi convincerla la mora.

 

Ginny si alzò in piedi improvvisamente, tanto che Pansy si spaventò.
“Ecco! C’è una cosa che devo dirti! Mi sono completamente scordata!” esclamò, si diede una manata in fronte e si risedette. “È importante: quando Justine e Camille sono andate in bagno, al locale francese, ho sentito che parlavano” continuò.
La mora alzò un sopracciglio e chiese: “Hai sentito?”
“Ok, ho origliato. Ho usato le Orecchie Oblunghe del Tiri Vispi” disse, tirando fuori l’oggetto da una tasca dei jeans.

 

Pansy guardò quello strano oggetto: un orecchio con un lungo filo collegato. “Interessante. E te lo porti sempre dietro?” chiese, incredula.
Lei scrollò le spalle e si giustificò a modo suo: “L’ho visto in camera di Ron. Penso che volessero migliorarlo. E quando l’ho visto, l’ho preso su. Ma vuoi sapere cosa ho sentito o vuoi farmi la ramanzina?”
Assolutamente no, pensò Pansy. Le fece cenno di continuare, mentre ancora osservava quell’orecchio strano.

 

“Allora, sembra che Justine voglia farlo per la prima volta con il suo ragazzo. Così ha chiesto consiglio a Camille” confidò Ginny alla mora.
“Oh, la persona giusta” disse amaramente Pansy, bevendo ancora.
Ginny continuò senza preoccuparsi dell’interruzione: “Le ha fatto un sacco di domande. Sai, le solite, ‘fa male’, ‘quanto dura’ ‘hai perso molto…’” La mora le fece cenno di sorvolare. “Beh, saresti stata fiera di Camille, è stata bravissima. Le ha spiegato tutto, beh, tutto quello che abbiamo sentito alla vostra riunione. Ma poi lei le ha detto di non correre, che se lui le voleva bene avrebbe aspettato e di non farlo se non era sicura…”
La Serpeverde fece un verso strano con la bocca. Ginny la guardò ma non capì.

 

Pansy si stava sentendo male. Camille aveva detto alla sua amica tutte le cose che lei avrebbe dovuto dire qualche mese prima a Camille. Se avesse fatto un po’ di attenzione, se non l’avesse sempre zittita o trattata con freddezza, forse lei si sarebbe confidata e ora non si sarebbe trovata in quella situazione.
“Tutto ok?” le chiese la rossa. Senza dire niente, lei annuì e le fece cenno di andare avanti.

 

Ginny le lanciò un’occhiata, non del tutto convinta, ma continuò.
“Poi Justine le ha chiesto com’era il ragazzo con cui l’aveva fatto e come era stato.”
Fece una pausa. Dalla faccia della Serpeverde capì che l’avrebbe strozzata se non avesse continuato al più presto. “E lei glielo ha raccontato. Ha detto che è stato un disastro. Che erano ubriachi tutti e due, che lei non lo conosceva quasi per niente ed era più grande. Lui non è stato particolarmente gentile ma, almeno, il dolore è durato poco e lui era alto, magro e scuro di capelli”.
“Merlino! Poverina… che brutta storia. Solo una volta, è stato un disastro e ora è pure incinta…. ecco perché non mi voleva dire chi è…. speriamo almeno che Justine stia attenta.”
“E so anche dov’è successo” continuò Ginny. La mora pendeva dalle sue labbra.
”Quindi?” le chiese quando lei non rispose subito.
“A una festa dai Corvonero” disse la rossa compiaciuta. Ma poi perse l’espressione del viso, non era una cosa di cui vantarsi.
“Lo ha detto Camille?” chiese Pansy con la fronte corrugata.
“No. Lei ha detto ‘a una festa in una torre di Hogwarts’. Ma visto che nelle torri ci siamo noi e i Corvonero e noi non facciamo feste tanto spesso, e di solito non invitiamo quelli delle altre case...”
Pansy sospirò annuendo, ma disse: “Rimangono solo i Corvonero, giusto. Però lei ha detto che è un Grifondoro”.
“Io però non ne sono sicura. Potrebbe essere una bugia. Per sviarti.”
“O forse non lo sa neanche lei” disse sconsolata la mora, pensando al fatto che la ragazza avesse detto che fosse ubriaca. “Quante feste hanno fatto i Corvonero?” chiese e Ginny alzò le spalle. Mica era stata a tutte le loro feste. “Aspetta!”
La moretta sparì dalla porta e tornò poco dopo, con un plico di pergamene tenute insieme da un nastro rosa.

 

Pansy aprì il nodo e scartabellò tutte le pergamene finchè non trovò quello che stava cercando. “Ecco!” disse alzando una pergamena. Ginny le si avvicinò e lesse anche lei. “Guarda. Data di concepimento 3-4 ottobre” decretò, con vittoria.
“Erano un sabato e una domenica. Potrebbe essere, bisogna vedere se c’è stata una festa in quella data” ammise Ginny.
“Sì, c’era” rispose Pansy.
Si sedette pesantemente sulla poltrona, come se il mondo le fosse caduto addosso all’improvviso. “E io dovevo andarci, ma non ci sono andata” disse sconsolata.
Come sarebbe andata se lei fosse andata alla festa? Forse sua sorella non avrebbe bevuto. O non si sarebbe fatta rimorchiare. Pensò che fosse colpa sua.

 

Ginny vide il viso dell’amica trasformarsi e capì quello che stava pensando.
“Guarda che non c’entra niente. Non fa differenza” disse.
“E invece sì. Lei mi odiava così tanto che se mi avesse visto alla festa sarebbe di sicuro andata a letto. Da sola” precisò la mora.
“E sarebbe successo alla festa dopo. Non fa differenza. Guarda che è un gioco stupido. Se qui, se là. Non cambia niente, solo a distruggerti la mente” disse ancora.

 

Pansy la guardò. Aveva ragione. Come faceva a essere così saggia? (una persona che aveva mangiato otto pasticcini, vomitato e poi ripreso a mangiare come se niente fosse?) Annuì.
“Perché non ci sei andata?” le chiese la rossa.

 

“Niente.”
Ginny riconobbe il tono della mora: non era niente. Era qualcosa che non voleva dire. Che cosa era successo il 3 di ottobre? Boh, lei non si ricordava neanche cosa aveva mangiato a pranzo. Ah, no! Si ricordava: avevano dato una festa anche loro!
“Abbiamo dato una festa anche noi, a dir la verità, quel giorno. Potrebbe essere che si fosse intrufolata e senza essere vista…” ammise.
“Stupendo. Sì, potrebbe essere. Perché avete dato una festa?” le chiese Pansy con noncuranza.
“Per i provini del Quidditch. Ci siamo divertiti tantissimo e alla fine mio fratello ha proposto di fare una festa” spiegò.
Pansy annuì, ma Ginny capì che non la seguiva. Era stato il giorno in cui lei e Harry avevano usato il bagno dei prefetti per… sentì le guance andarle a fuoco. Che bei momenti. Ma poi si ricordò: il giorno dopo, la domenica, il litigio di Hermione e Ron al tavolo della colazione. Per qualcosa che suo fratello aveva detto a Pansy, per cui lei era scappata via o qualcosa del genere…
Guardandola in viso, qualcosa le disse che se lo stava ricordando anche lei. Quell’idiota di Ron.

 

“Due feste. Quanti ragazzi ‘grandi’ alti magri e mori esistono? Troppi.”
Pansy riannodò le pergamene e con la bacchetta le fece levitare per farle tornare a posto. Rimasero in silenzio un sacco di tempo, ognuna pensando a cose diverse.
Poi Ginny si alzò e disse: “Penso che andrò a casa”. Pansy si alzò con lei e la ringraziò per averla accompagnata e per tutto il resto. Mentre si allacciava il mantello Ginny le chiese: “Perché non vieni con me?”
“Dove?” La rossa sorrise.
“Come dove? A casa mia. Dai, vieni” insistette. La Serpeverde sorrise.
“Ti ringrazio, ma preferisco rimanere qui.”
La rossa ghignò “Non hai detto ‘preferisco rimanere da sola’, quindi non rimarrai sola!”
La mora la guardò inclinando la testa. “Come?”
“Oh, hai capito benissimo” disse Ginny. Pansy continuava a guardarla stranita. “Se volevi rimanere sola, lo avresti detto. Quindi: aspetti qualcuno. E quando sono arrivata, oggi pomeriggio, avevi quella faccia serena e rilassata di quando si fa del buon sesso. Quindi: aspetti qualcuno per fare sesso”.
Pansy si girò e guardò verso il camino. “Non aspetto nessuno” disse.
Il viso di Ginny si imbronciò. “Oh, se non vuoi dirmelo, dimmi che non vuoi parlarne, ma non dirmi bugie. Ormai io ho solo te e Hermione per fantasticare un po’…”
“Continua a fantasticare sulla Granger, allora.”
“Non mi convinci” dichiarò la rossa e sbuffò come una bambina.
Pansy rise. Una bella risata, notò Ginny. Va beh, avrebbe lasciato perdere. Per adesso. Salutò la mora e si smaterializzò.

 

***

 

Ron, George e Harry tornarono dal Tiri Vispi poco dopo il ritorno di Ginny.
Lei era ancora carica dalla giornata. Aveva aiutato sua madre ad apparecchiare e l’aveva ascoltata senza protestare quando aveva gongolato raccontando di Percy che era stato promosso capo del Dipartimento dei trasporti magici e che sarebbe venuto a cena il giorno dopo. Ma Ginny era ancora contenta.
Quando arrivarono i ragazzi, stava posizionando i bicchieri con la bacchetta sulla tavola (nonostante sua madre continuasse a sgridarla perché li faceva volteggiare per tutta la cucina).
“Andate a lavarvi le mani, ragazzi!” Li anticipò Molly prima ancora di permettere loro di entrare in cucina.
Ginny andò anche lei in salotto. Harry stava guardando l’orologio a pendolo del nonno. Chissà a cosa pensava. Gli andò vicino.
“Ciao” lo salutò e Harry si voltò.
“Ciao Ginny.”
Guardò anche lei il pendolo: la freccia di Fred puntata sempre sul cielo era bella. Pansy aveva avuto una bella idea.
“Tutto bene?” gli chiese.
Harry annuì distrattamente e le domandò: “E te?”
“Sai cosa ho fatto oggi?” disse lei ancora allegra, “Ho fatto impazzire Malfoy. Davvero! Avresti dovuto vedere la sua faccia! Saresti stato contento di me!”
Lui la osservò inclinando la testa e sorridendole teneramente. “Io sono contento quando lo sei tu” disse.
Ginny si bloccò. Cosa aveva detto Harry? E cosa diavolo gli aveva detto lei? Perché aveva parlato di Malfoy? Che stupidaggine! La rossa si girò verso di lui, con una strana luce negli occhi. Harry si allungò a prenderle la mano.
“Se ti va di raccontarmelo, ti ascolto” disse, teneramente.
Ginny aprì la bocca ma in quel momento si spalancò la porta del bagno in fondo al corridoio e le grida di George e Ron riempirono la casa, facendo girare i ragazzi in quella direzione.
“No, no, no!! Dai stai giù!” Il rosso più giovane corse verso il soggiorno seguito dal fratello che ridacchiava e cercava di prenderlo. Quando arrivò in soggiorno, inciampò nel tappeto e cadde a terra ma George non lo risparmiò, gli saltò addosso e continuarono a contorcersi sul tappeto come se avessero ancora cinque anni.
Ginny ridacchiò e si voltò verso Harry che le fece un gran sorriso.

 

“Dai, dai, diccelo!” gridò il fratello maggiore. Ginny si fece avanti, dando una mano a George tenendo fermo Ron mentre lui lo punzecchiava.
“Dai, non è giusto, siete in due!!” si lamentò Ron.
“Cosa ci deve dire?” sussurrò Ginny verso George.
“Da chi va tutte le sere. Stamattina è tornato a casa profumando di fragole!”
La rossa mollò subito la presa sul fratello. “Fragole?” chiese, distrattamente.
Il fratello più grande si ributtò su Ron gridando: “Fragole!” Ron non riusciva neanche a respirare. George continuava a riempirlo di pugni, pizzicotti e gomitate.
Molly arrivò in quel momento, brandendo un canovaccio come un’arma e sbandierandolo in giro verso i figli.
“Smettetela. Siete grandi, ormai” li sgridò, ma ridacchiava anche lei.

 

Harry guardava la scena dall’angolo del soggiorno, sorridendo. Si avvicinò a Ginny e l’aiutò a rialzarsi. Dalla cucina si sentì il rumore di un coperchio che sbatteva su una delle pentole e Molly si rifiondò in cucina, ma non prima di gridare: “Fate i bravi”, ai ragazzi.
Ron era sdraiato sul tappeto, con George seduto sulla sua schiena che lo teneva giù, mentre il fratello maggiore spiegava verso Ginny: “Ron ha una ragazza, ma non vuole dirci chi è. Torna tardi e tutto il giorno guarda per aria, tanto che io e Harry dobbiamo fare anche il suo lavoro”.
“Non è vero!” protestò il rosso.
“Non è vero che ti vedi con una ragazza?” rimarcò George ridacchiando e tenendolo fermo mentre si agitava. A Ron si arrossarono le orecchie. “Guarda guarda!! Hai le orecchie rosse!”
Tutti in famiglia sapevano che arrossiva così. Ron divenne ancora più rosso. “Dovremmo cercare dei succhiotti, per caso?” disse ancora George, afferrando il suo maglione. Ron riuscì a sfuggire alle grinfie del fratello, girandosi su se stesso e lanciò uno sguardo a Harry. “Aiutami, Harry”.
Lui alzò le mani con i palmi in avanti dicendo: “Oh, no. Sono cose di famiglia. E poi non voglio neanche sapere cosa combini”.
Ginny si voltò verso Harry. “Tu non lo sai?” gli chiese.
“Oh… io…” Harry non voleva dire una bugia, ma non voleva neanche dire la verità.
“Harry resta con me, quando lui esce, vero fratellino?” George tornò alla carica verso il fratello e tentò di alzargli il maglione, di nuovo.
I fratelli si azzuffarono ancora, ma Ginny non li guardò più. Si rigirò verso Harry e gli chiese: “Tu dormi da George?”
Harry la guardò, con uno sguardo strano, come se si sentisse in colpa. “Sì, ma non lo dire a tua mamma. Non vorrei che le desse fastidio, sai… che io dorma nel letto di Fred…”

 

Il sorriso che esplose sul viso di Ginny era incantevole e quando gli gettò le braccia al collo Harry, che non se l’aspettava, non riuscì ad approfittare della situazione e a ricambiare, ma fu comunque contentissimo.
“Io e te dobbiamo parlare. Al più presto” gli disse la rossa. Lui annuì. Quando si rigirarono verso il tappeto, Ron si stava alzando con uno strano sorriso sul volto, mentre George, era ancora sul tappeto, con gli occhi sbarrati. Incontrò lo sguardo dei ragazzi in piedi e sorrise, alzandosi.
Ginny guardò Harry. Si erano persi qualcosa? Harry si strinse nelle spalle.

 

Molly chiamò dalla cucina per dire che era pronto e tutti andarono verso la cucina.

 

***

 

Dopo cena Harry seguì Ron che era andato fuori a fumare. Gli si avvicinò di soppiatto ed esclamò dietro alla sua schiena: “Fragole, Ron?” Lui sobbalzò e per poco non gli cadde la sigaretta.
“Oh, santo Merlino, Harry! A momenti mi prende un colpo!” Harry ridacchiò. “Stai troppo tempo con George” continuò il rosso.
“Quindi non hai niente da dire sulle fragole?”
Harry era contento. Lo era da quando Ginny lo aveva abbracciato improvvisamente, dopo tanto tempo. Ron aspirò e aspettò a parlare. “Era sciroppo di fragole” spiegò.
Harry lo guardò corrugando la fronte. “Davvero? Io e George pensavamo che fosse un profumo o una crema… cosa ci avete fatto con lo sciroppo di… oh...” disse, guardando da un’altra parte. “Non controllerò se hai succhiotti, in questo caso”.
“Non ho succhiotti!”

 

Harry rise e Ron lo guardò: sembrava contento. Buon per lui. Ginny si affacciò alla porta d’ingresso gridando: “Chi vuole giocare a Spara Schiocco?” e Harry si affrettò subito verso la porta (troppo presto, secondo Ron).
“Giochi?” chiese al rosso, mentre si incamminava all’indietro verso casa. Ron sbuffò il fumo e fece sparire ciò che rimaneva della sigaretta. Avrebbe voluto andarsene subito, ma annuì e si incamminò.
Quando entrò in casa sentì la sorella dire: “Il primo che gli scoppia una carta in mano paga 5 falci!”
“Facciamo anche gli altri” disse George.
Sarebbe stata una serata interessante.

 

***

 

Ron si materializzò nel salotto di Pansy, ma non c’era nessuno. Merlino, era tardi? Controllò l’orologio. No, non era tardi.
Sentì un rumore e la voce della Serpeverde venire da una delle porte del soggiorno, che era socchiusa. L’aprì un po’ di più e si ritrovò in un corridoio con altre porte: una settimana che andava lì tutte le sere e non era ancora uscito dal salotto.
Si incamminò accendendo le lanterne del corridoio. Quando arrivò alla porta, spalancata, da dove veniva la sua voce, si sentì un rumore e la voce dell’elfo che diceva: “Signorina Pansy lasci che ci pensi Quircky”.
Lei aveva la voce affannata mentre replicava: “Oh, per Salazar, taci Quircky e aiutami. Questo coso non si regge da solo!”
Quando Ron entrò nella stanza (un’altra stanza grande quanto il soggiorno) vide l’elfo guardare in alto con le mani rivolte al piano superiore e Pansy con la bacchetta sguainata, che cercavano di far levitare un grosso tubo che si staccava dal soffitto. No, non lo volevano far levitare, volevano tirarlo giù.
“Posso aiutarvi?” chiese, avvicinandosi.
Sia la strega che l’elfo ebbero un sussulto: nessuno si era accorto di lui. Quando si voltarono insieme verso di lui, il grosso tubo si inclinò pericolosamente. Dal condotto inclinato uscì una cascata di acqua direttamente in testa alla Serpeverde, che si spaventò ancora di più, abbassando la bacchetta.
Quando la bacchetta puntò il pavimento, il tubo si ruppe del tutto e cadde verso il pavimento. Pansy alzò gli occhi, ma prima che riuscisse tirar su la bacchetta, Ron tirò fuori la sua, fece tre passi e fermò il tubo in aria gridando: “Wingardium Leviosa”, e accompagnandolo verso il pavimento. Poi si girò verso di lei e chiese: “Tutto bene?”
La ragazza annuì ma, mentre muoveva la testa, un grosso calcinaccio si staccò dal soffitto. Questa volta anche Ron fu preso alla sprovvista e non riuscì ad alzare la bacchetta ma, essendo vicino alla Serpeverde, la spinse con la mano libera, mentre Quircky puntava una mano e faceva esplodere il calcinaccio con un Depulso.

 

Una pioggia di polvere bianca finì sopra al rosso e un po’ anche su Pansy. Quando si rese conto che non si erano fatti niente, Pansy scoppiò a ridere, vedendo la faccia del Grifondoro tutta bianca.
Lui fece una smorfia strana, si avvicinò a lei e scosse la testa, mandandole addosso una gran quantità di polvere. La ragazza urlò, ridacchiando e cercando di spostarsi, ma lui continuò ad avvicinarsi, così si spostò ancora, venendo rincorsa.
Stavano ancora ridacchiando quando l’elfo tossì.
Loro si girarono verso di lui (che era l’unico a non aver subito danni) e, quando ebbe la loro attenzione, l’elfo parlò: “Mi scusi, signorina Pansy, ma forse sarebbe il caso che lei si facesse un bagno caldo”.
“Ha ragione” disse il rosso “Potresti ammalarti”. Lei gli fece una linguaccia. Poi si rivolse verso l’elfo dicendo: “Dai, Quircky, aiutami a sistemare il tubo, prima”.
L’elfo però replicò: “Se il signor Weasley avesse voglia di aiutarmi, possiamo farlo io e lui”, si girò verso il Grifondoro prima di continuare. “Le dispiacerebbe aiutare Quircky con il tubo, se Quircky andasse a prendere un tubo nuovo e il necessario per rattoppare il soffitto?”
“È casa mia, Quircky, ti aiuto io” disse Pansy.
“Io, però, l’ho già fatto.”

 

Lei si girò verso Ron che annuì all’elfo che si smaterializzò. “Cosa vuol dire che l’hai già fatto?”
“Ho aiutato mio padre diverse volte, con la manutenzione della casa. Tubi e cose varie. Dubito che tu sappia come usare la bacchetta” dichiarò, un po’ saccentemente. Ma era vero: lo aveva fatto più volte.

 

Pansy si imbronciò e si girò verso il buco del soffitto. Era vero, non ci capiva niente. Ma doveva pure iniziare da qualche parte. Per fortuna che c’era Quircky, uno degli elfi che aveva trovato ad abitare nella casa: sua madre aveva abbandonato gli elfi, quando aveva abbandonato la casa e lui era rimasto solo per quindici anni, infatti non aveva più il tipico comportamento da elfo. Sì, ubbidiva e tutto il resto, ma non si picchiava quando sbagliava (il che era un bene, era una tale seccatura quando lo facevano) e aveva un certo atteggiamento altezzoso anche se sempre nel limite.

 

Quando l’elfo si materializzò, con il tubo, dei secchi, dei sacchi e altre cose, Ron guardò il soffitto e il tubo caduto. “Bisognerà togliere tutto il tubo marcio e sostituirlo. E assicurarsi che non ci siano altre parti marce”. Quircky annuì.
“È marcio solo in questo punto. Lo avevo detto alla signorina Pansy che era da cambiare” dichiarò l’elfo un po’ risentito.
Lei sbuffò e stette a guardarli quando segarono un’altra parte del tubo che era ancora sul soffitto e montarono il tubo nuovo. Quircky sostenne di non aver più bisogno di loro, che avrebbe chiuso il buco nel soffitto da solo, a quel punto.
Ron guardò la mora, a cui gocciolavano i capelli, che sbadigliò.
“Forse dovresti fare un bagno davvero” le disse.
“Il tubo non reggerà l’acqua di scolo” constatò lei, indicando il soffitto, con espressione un po’ saccente. Ron pensò che fosse un po’ risentita per essere stata esclusa.
“Quel tubo viene dal bagno privato della camera della signorina Camille. Il bagno della camera padronale non scarica da questo lato della casa”  dichiarò ancora l’elfo.

 

“Oh. Dici?” Pansy sorrise. Avrebbe potuto fare il bagno. Guardò di sottecchi il rosso. Avrebbero fatto il bagno insieme.

 

Ron cercò di non mostrarsi sorpreso. Una casa così grande quanti bagni aveva? Ogni camera aveva un bagno? E cos’era una camera padronale? Si girò verso l’elfo che annuiva in risposta alla domanda della Serpeverde. Poi guardò anche lei. Aveva uno strano luccichio negli occhi.
“Fai il bagno con me?” mimò lei con le labbra senza emettere alcun suono. Ron sorrise. Oh sì. Era da quando l’aveva vista nel bagno dei prefetti che la sognava fra vasche, acqua e schiuma.
Lasciarono l’elfo e, fuori dalla stanza, la mora gli prese la mano. Tornarono verso il salotto e poi lei aprì un’altra porta, che dava nell’ingresso. Qui una doppia scala portava ai piani superiori. Lei salì tirandosi dietro il rosso. Al primo piano imboccò un corridoio e poco dopo aprì la porta di una stanza. Tutte le stanze che avevano attraversato, erano imbiancate, ma tutte spoglie.
Quando aprì la porta di quella che Ron capì che fosse la camera padronale, sembrava di aver passato il passaggio per un altro mondo, o una passaporta: era piena di roba.
Un enorme letto di legno troneggiava su un piedistallo contro una delle pareti. Un camino sulla parete opposta, acceso, illuminava un poco la stanza. Era quasi tutta sui toni del grigio (o era argento, quel colore?): il tappeto che ricopriva quasi tutto il pavimento, le lenzuola e le tendine del letto, le lanterne alle pareti. I pochi mobili erano in legno, laccati di grigio, ma Ron non riuscì a vedere bene tutta la stanza, perché lei lo tirò velocemente verso un altro locale.
Aprì infatti un’altra porta che rivelò una stanza da bagno. Una signora stanza da bagno. Ron calcolò che fosse grande quanto camera sua.

 

Una grande vasca decorata era al centro del locale. Pansy si avvicinò alla vasca e aprì uno dei rubinetti. Dell’acqua fumante uscì e iniziò a riempire la vasca. Versò qualcosa nell’acqua che prese subito a fare schiuma. Il suo profumo riempì la stanza.

 

Ron si sentiva imbarazzato. Quella casa era enorme. Finché erano rimasti nel salotto, non se n’era reso conto ma, ora che avevano attraversato, sperò, più di metà costruzione, si rendeva conto di quanto fosse grande.
Lei aveva detto che erano diversi, tanto tempo prima o una vita fa, per quel che sembrava, e ora Ron riusciva a capire cosa intendesse. Due mondi diversi, due pianeti diversi, due vite diverse.
Guardò indietro, verso la porta, come se volesse scappare, ma la mora gli parlò proprio mentre pensava che sarebbe stato meglio andarsene.

 

Pansy notò che l’espressione di lui era cambiata. Per un attimo ebbe paura che si sarebbe smaterializzato. Cosa era successo? Era per la casa così spoglia? O perché aveva visto la sua camera? Quando era entrata, aveva notato tutte quelle cose fuori post: i vestiti gettati sulle sedie, la porta della cabina armadio aperta… aveva visto le scarpe tutte ammonticchiate?
Aveva detto a Quircky di non entrare in camera sua a riordinare, che avrebbe dovuto dare prima la precedenza alle riparazioni al resto della casa. Forse era stato un errore.
In quel momento avrebbe voluto avere un bel letto fatto, con i fiori freschi sul comò e sulla toilette, le foto sul camino, e tutte quelle altre cose che sua madre aveva tentato di insegnarle anni prima. Non le veniva in mente niente: come doveva essere la camera di una ragazza? Per un attimo ebbe paura che saltasse fuori sua madre da qualche parte, sgridandola per aver portato un ragazzo in una camera non adatta. Lei si sentì non adatta.
“Tutto bene?” gli chiese.
Non seppe neanche lei come riuscì a parlare, nonostante i pensieri nella sua testa, ma quando lui si voltò a guardarla, le sorrise e tutto tornò a posto.

 

Ron si voltò verso la ragazza, che aveva uno sguardo terrorizzato in viso. Lui la guardò per un breve momento, lei, ancora bagnata zuppa e così dannatamente bella. Pensò che entro poco si sarebbe spogliata. Per lui. Le sorrise e le andò vicino.
“Hai da troppo tempo i vestiti bagnati. Potrebbe venirti il raffreddore” disse, preoccupato.
Lei sbuffò bonariamente e si tolse le scarpe. Poco dopo si tolse anche il maglione. Rimase con una canottiera di pizzo viola, tutta bagnata che le aderiva alla pelle. Sotto non aveva nient’altro. Ron esultò internamente: pizzo!!!
Aveva scoperto che gli piaceva il pizzo. Su di lei. Rimase a guardarla mentre si sbottonava i jeans, ma lei si fermò e disse: “E te? Farai mica il bagno vestito?”
“Mi sto gustando il momento” dichiarò, sorridendo.

 

Il ragazzo la guardò con uno sguardo che avrebbe preso fuoco anche il polo nord. Pansy sentì le guance arrossire, e guardò subito da un’altra parte, ma poi riportò lo sguardo su di lui, avvicinandosi.
“Ah, no! Siamo già stati in un bagno con te completamente vestito e io no. Non vale!” Quando gli fu abbastanza vicino, lui si chinò per baciarla ma lei si ritrasse sorridendo. “No no. Prima ti spoglio”.
Lui le circondò la vita con le braccia proponendo: “Un bacio per ogni cosa che mi togli?”
Lei rise. “Va bene”. Ma si allontanò per non farsi baciare prima di averlo spogliato. Quando gli tolse il maglione, lui l’aiutò alzando le mani, ma essendo più alto di lei, Pansy fece fatica a sfilarglielo dalle braccia e lui ne approfittò per imprigionarla.
“No, non vale!” esclamò, ridacchiando, lei.
“Oh, sì che vale.”

 

Ron lanciò il maglione con una mano, mentre con l’altra la teneva ferma, per ricevere il suo bacio. Andò avanti così per tutti gli indumenti e quando al ragazzo furono rimasti solo i boxer, decise di invertire i ruoli, ma lei non glielo permise.
“No no, l’ultima volta io ero proprio nuda. Ti tolgo tutto!”
E il suo sguardo era particolarmente divertito. Lui le lasciò fare tutto quello che voleva. Come al solito, pensò sorridendo.

 

***

 

“Angelina mi ha detto che parteciperai al primo allenamento, il due di gennaio” disse George scartando una carta che scoppiò quando fu sul tappeto. Harry alzò lo sguardo dalle sue carte, per guardare la rossa.
“Allenamento? Vai a fare l’allenamento con le Holyhead Harpies?” Ginny annuì, mentre mangiava una cioccorana.
“Sì, stanno cercando una cacciatrice” rispose.
Harry sorrise. “Ma è fantastico!”
Sorrise anche Ginny “Vero? Non vedo l’ora” dichiarò, scuotendo tutto il busto, come se ballasse.
“Però, se ti prendono, non mancare ai nostri, di allenamenti, ok?” Harry ammiccò.
Lei rimase di stucco per un momento, poi disse borbottando: “Se vi ricorderete di chiamarmi…”, ripensando a quando non le avevano detto di aver spostato l’allenamento.
Harry mormorò ancora ‘scusa’ e pescò dal mazzo in centro. Quando gli scoppiò la carta in mano, sospirò e buttò 5 falci nel cestino delle monete.

 

“Angelina dov’è?” gli chiese Ginny, mentre giocava i suo turno, senza scoppi.
“È andata a trovare dei parenti con i suoi” rispose, sospirando,
George. Angelina gli mancava. E sarebbe tornata fra due giorni. Ne avrebbero avuti pochi per stare insieme.
“E dimmi, George… vi state scrivendo? C’è un gufo che vedo arrivare la mattina…” disse sorniona la ragazza, guardando Harry sorridendo. George sorrise mesto a nessuno in particolare.
“Sì. Mi continua a scrivere per convincermi ad andare a casa dei suoi zii, dice che si annoia e che se ci fossi io…”
Si bloccò rendendosi conto di aver parlato senza pensare.
“Cioè, lei ti ha chiesto di andare là, e tu stai giocando a Spara schiocco con noi?” gli chiese Ginny, incredula.
“E cosa faccio, ci vado da solo?”
Ginny rise. “E con chi ci dovresti andare?” Guardando la sua faccia, la rossa capì di aver fatto un errore: stava pensando a Fred.

 

Harry, con il suo tono calmo disse: “Non penso che Fred vorrebbe che tu non ci andassi per colpa sua”. George annuì, come se per lui non fosse un ragionamento nuovo, ma rimase ancora saldo nel suo intento.

 

“Fred si rivolterebbe nella tomba, se lo sapesse” Ginny aveva molto meno tatto di Harry. “Se il tuo problema è questo, sei un troll. E lei si stancherà di chiedertelo” sostenne ancora. “Dici che dovrei andare?” le chiese ancora.
Ginny sbuffò. “Le hai chiesto di venire qui?”
“Qui?” ripetè George, guardandosi intorno.
Erano ancora nella camera di Ron. I maschi erano dei capoccioni, quando ci si mettevano. “In camera tua” precisò, guardandolo divertita.
Lui guardò Harry che pensò bene di controllare le sue carte e poi tornò a guardare Ginny. “Avrei dovuto invitarla?”
“Certo che voi maschi non capite proprio niente! Lei ti invita, ti dice che vorrebbe stare con te… e te… ma tu non vuoi stare con lei?” Il rosso annuì. “E quindi cosa stai aspettando? Mandale un gufo e dille di raggiungerti o dille che hai accettato il suo invito!” George guardò di nuovo Harry che gli fece la sua faccia da ‘perché no?’ e si alzò.
“Le scrivo subito” disse e neanche li salutò quando uscì dalla stanza. Harry sorrise a Ginny. Lei si allungò a prendere il cestino delle monete per contarle.
Aveva bisogno di tempo. Erano rimasti soli ed ebbe un attacco di panico al pensiero. Harry dovette accorgersene perché disse: “Sei stata brava. Gli hai dato la giusta spinta”.
“Quanto deve pregare una ragazza per farsi notare da un ragazzo?” si chiese Ginny ad alta voce.
“A volte noi ragazzi siamo un po’ ottusi, eh?” Harry sorrideva.
Ginny ricambiò il sorriso. “A volte?” Harry rise di gusto e lei si rilassò. “Non farò l’amore con te, stanotte” dichiarò.

 

Harry rimase un attimo stupito da quell’affermazione. “Va bene” disse subito dopo. Qualunque cosa andava bene. Lo sguardo che Ginny gli rivolse valeva mille cuori. Lei annuì, sorridendo.
“E quindi? Che facciamo?” chiese.
“Potremmo giocare a scacchi, mentre mi racconti di Malfoy” propose Harry. Avrebbe ascoltato Ginny anche se parlava di Malfoy.
Lei sorrise. “Ma lo vuoi proprio sapere? O Mi prendi in giro?”
“Dicevi che era quasi impazzito” incalzò lui.
Lei sghignazzò. “Sì, più volte…”
E iniziò a raccontare mentre gli scacchi si posizionavano ognuno al suo posto.

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Capitolo 26
*** L'allenamento ***


L’allenamento

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Pansy era appoggiata con la schiena al petto del rosso, nella vasca da bagno.
Erano dentro da più di un’ora. Aveva fatto sparire i vestiti, e le sue scarpe, direttamente nella lavanderia degli elfi ed era sicura che fossero già stati lavati e stirati.
Aveva dovuto scaldare l’acqua già tre volte e si stava di nuovo raffreddando, senza contare che la schiuma viola era sparita da un bel po’, ma nessuno dei due aveva voglia di uscire.
“Dovresti parlare con Ginny. Lei pensa che tu e Potter usciate tutte le sere con delle ragazze” disse al rosso.

 

Ron giocò con l’acqua e i suoi capelli. “E quindi?”
“Pensa che lui abbia un’altra. Che ci vada a letto.”
Lui sospirò, prima di dire: “Non è un problema mio”.

 

Pansy si innervosì. “Non dico che devi dirle che vieni qui. Basta che le dici che Potter non è con te!”
Il rosso le spostò tutti capelli davanti alla spalla. “Mica facciamo un’orgia, io e Harry” disse, facendole scorrere un po’ di acqua sul collo e le spalle.
Lei sbuffò ancora, non riusciva a seguire la conversazione, così. “Ma lui dove va?” gli chiese, muovendo appena le spalle.
“Dorme in camera con George” spiegò.
“Non puoi chiedere a lui di dirle che non esce con te?”
“Ma che ti cambia?” chiese, facendole scorrere un dito sulla schiena. Pansy sapeva che stava seguendo le linee del suo tatuaggio. Non sapeva perché, ma a lui piaceva tantissimo farlo. Di solito, quando arrivava a toccare Sirio, la stella più luminosa della costellazione del cane, lei aveva smesso di ragionare già da un po’. Si spostò appena in avanti.
“Mi spiace per lei. Pensa che Potter si sia trovato un’altra e invece non è vero” spiegò.
“E tu che ne sai?” le domandò, baciandola sulla prima stella. A Pansy vennero i brividi: sapeva cosa sarebbe successo dopo. Dovevano finire quella conversazione al più presto. E doveva assicurarsi che lui parlasse con Potter.

 

“Lui non ha un’altra, si capisce. E lei è l’unica che lo pensa. O vuoi dirmi che si vede con una ragazza?” gli chiese.
Ron sbuffò. “No”.
Lei si girò e si mise a cavalcioni su di lui. “Vedi?” esclamò, sorridendo.
A Ron non poteva fregare di meno, in quel momento, delle paranoie di sua sorella. “Ma a te i letti fanno proprio schifo?” disse ridendo, mentre lei si metteva comoda.
“In che senso?” chiese incuriosita.
Non lo capiva davvero o faceva finta? Il ragazzo non disse niente e lei si chinò a baciarlo, prendendogli il viso fra le mani. Quando si staccò da lui, ancora con le mani sulle sue guance, gli chiese: “Parlerai con tua sorella o almeno con Potter?”
Ron sospirò. Voleva corromperlo? Con il sesso? Non sapeva come funzionava con gli altri ragazzi che aveva avuto, ma non poteva lasciare andare la cosa così.
Le cinse la schiena con un braccio e con l’altro si aggrappò alla vasca mentre si alzava tenendola in braccio. La ragazza urlò, ridacchiando: “Cosa fai?”
“Farò in modo che lei lo sappia. E noi lo faremo in un letto, per una volta” sostenne.

 

Scavalcò la vasca e Pansy ridacchiò ancora. Lui si incamminò verso la porta, passò vicino alle bacchette e le fece cenno di prenderle poi continuò per la sua strada. Aprì la porta del bagno e riprese il cammino. Quando fu vicino al letto, la baciò e poi, senza preavviso, la lanciò sul materasso.
“Ehi!” esclamò lei, facendo finta di essere indignata.
“Io parlerò con lui, ma tu dovrai essere carina con me.”

 

Le lanciò quello che sperò fosse uno sguardo malizioso. La mora ridacchiò e si intrufolò sotto la trapunta, coprendosi. “E poi sono io quella che ha tante pretese!”
Ron si infilò anche lui sotto la coperta, gioendo del fatto che il letto fosse disfatto solo da un lato, e l’abbracciò. Lei si avvicinò, lo baciò e intrecciò le gambe con le sue.

 

***

 

Dopo ore, Ron si svegliò di soprassalto.
Si guardò intorno, spaesato. Era ancora nel letto della Parkinson.
La ragazza era vicino a lui, addormentata. Su una sedia vicino alla parte del letto dove stava dormendo, c’erano i suoi vestiti, puliti e ripiegati, le sue scarpe e il mantello. Pensò di vestirsi e tornare a casa.
Si era alzato e aveva già infilato i boxer, quando la Serpeverde si agitò nel sonno: riconobbe il movimento che l’aveva svegliato. Quando lei iniziò a parlare, quasi si spaventò: “No. No. No. Non toccarmi. Lasciami. No! NOTT!”
Quando urlò la ragazza si svegliò, aprì gli occhi e si mise seduta. Quando si rese conto di essere nuda, si coprì con la coperta e si guardò intorno.
Ron si avvicinò al letto e si sedette vicino a lei. “Tutto bene?”
Per un attimo gli sembrò che lei si stupisse di vederlo lì. Doveva essere proprio un brutto sogno. “Stavi sognando” spiegò e le accarezzò una guancia.

 

Pansy annuì, appoggiando la guancia alla sua mano e chiudendo gli occhi.
“Vuoi raccontarmelo?” Lei spalancò gli occhi per un attimo e poi riprese un’espressione normale.
“No” rispose. Lui continuava a guardarla ma lei abbassò lo sguardo. Quando realizzò che il ragazzo era sopra la coperta capì che si stava rivestendo. “Che ore sono?” gli chiese.
“È mattina. Forse le cinque.”
Lei annuì. Era giusto che tornasse a casa. Era stato con lei più delle altre volte. Dovette fare uno sforzo immane per non chiedergli di rimanere. Ma sarebbe stato umiliante e non voleva farlo, per nessuna ragione al mondo.
Il rosso gli passò una mano sulla schiena e le chiese: “Sicura che va tutto bene?” Pansy annuì.
“Hai sognato Nott?”
“NO!” rispose lei, forse troppo velocemente. Merlino.
“Sicura? Perché l’hai nominato…”
La mora spalancò ancora gli occhi. “Ho parlato?” chiese. Lui continuò ad accarezzarle la schiena. Merlino! Cosa aveva detto? Cercò di non dare importanza alla cosa.
“Ti sarai sbagliato” mentì. Il rosso fece una faccia strana, ma lei guardò da un’altra parte.

 

Ron non capiva. Aveva detto o fatto qualcosa di sbagliato? Continuò ad accarezzarle la schiena, mentre lei stava rigida e guardava il camino. La vide prendere la bacchetta e accenderlo. Tolse la mano da lei e rimase a guardare il camino. “Io…” iniziò.
“Tu stavi andando, giusto?” domandò lei, ma non aspettava una risposte e lui annuì confuso per il tono che aveva usato. Lo stava cacciando?
Si alzò e si rivestì. A quella ragazza facevano male i letti. Altroché. Avrebbero dovuto farlo nella vasca. Guardò l’ultima volta verso il letto e si passò una mano fra i capelli. Si avvicinò a lei, ma Pansy non si voltò verso di lui. Le diede un bacio sulla guancia. “Torno domani… oggi… stasera. Torno stasera dopo cena, ok?” balbettò quasi. Non era sicuro di come si stavano lasciando.
“No. Stasera vado in Francia da Camille, magari ti scrivo per domani, ok?”
Come come come? Ma non era stata quel giorno da Camille? Cioè il giorno prima, o Merlino, sì, insomma! Ginny aveva raccontato di essere andata in Francia con Pansy e di aver passato il pomeriggio con Camille e i suoi amici. Perché lei doveva tornarci di sera? E dopo così poco tempo? Glielo chiese.
“Ci vado quando voglio” Fu la sua gelida risposta. Lui non disse più niente, annuì, agganciò il mantello e uscì dalla stanza.
Nel corridoio si incamminò verso la scala. Cosa stava facendo? Perché non si era smaterializzato direttamente a casa sua? Quando scese si avviò verso il soggiorno e lì, chiamò l’elfo, che apparve subito.
“Mi dica signor Weasley” disse l’elfo, in attesa di ordini.
“La signorina… la signorina Pansy ha fatto un brutto sogno, magari puoi andare a controllare se va tutto bene e portarle qualcosa di caldo?”
L’elfo annuì. “Quircky porta subito alla signorina Pansy un po’ di Firewhisky” rispose.
“Firewhisky?” chiese, Ron, stupito. Quircky inclinò la testa.
“Dopo gli incubi, la signorina Pansy riesce a dormire solo con il Firewhisky” spiegò.
“Oh. E le capita spesso di avere incubi?” L’elfo fece un’espressione indecifrabile.
Guardò il soffitto. Doveva tornare di sopra? Da lei? “Portami il Firewhisky, per piacere. Glielo porto io” disse. L’elfo annuì e sparì. Dopo pochissimo si materializzò con una bottiglia e un vassoio con due bicchieri. Ron lo ringraziò e Quircky sorrise. Un po’ gli ricordò Dobby. Si smaterializzò anche lui per tornare in camera dalla Serpeverde.

 

Pansy si era alzata e aveva indossato la vestaglia senza mettersi la biancheria. Perché gli aveva risposto così male? Perché gli aveva detto di non venire quella sera? E, Merlino, perché mai aveva detto che doveva andare in Francia? Camminò avanti indietro, sempre più agitata. Non aveva neanche la pozione da prendere…
Chissà se sarebbe mai riuscita a dormire una notte intera. Chissà se sarebbe mai riuscita a non dover bere il Firewhisky per addormentarsi.
Stava per chiamare Quircky, quando il Grifondoro si materializzò con una bottiglia e due piccoli bicchieri.
“Mah…” esclamò, sorpresa.
“Il tuo elfo dice che il Firewhisky sia meglio del latte caldo” spiegò, appoggiando il vassoio. Lei sorrise. Come si faceva a stare senza una persona così? “Penso che dovrai spiegarmi un po’ di cose” continuò lui e il sorriso di Pansy sparì.
“Del tipo?” chiese, guardinga.
“Cos’è successo con Nott?”
Lei trattenne il respiro. “Niente”.
“Niente? Mi sono provato la febbre al tuo posto per non lasciarti con lui” le ricordò.
“Se non volevi, non dovevi farlo” disse. Lui la ignorò.
“Io mi ricordo quello che ti ha detto quando siamo usciti dall’infermeria” continuò, ignorando quello che aveva detto. Pansy guardò da un’altra parte. “Adesso viene fuori che sogni Nott tutte le notti” disse, con un tono strano.
“Ma non lo sogno tutte le notti!”
“Quindi l’hai sognato?” Lei guardò il camino per non rispondergli.

 

Ron versò due bicchieri di Firewhisky. Li appoggiò a un tavolino rotondo che c’era davanti al camino e si sedette su una delle due poltrone (veramente orribili, dovevano essere di qualche secolo prima), facendole cenno di sedersi. Lei stette in piedi, ancora vicino al camino, stringendosi la vestaglia addosso.
“Parliamo” disse lui. La faccia di lei non gli piaceva per niente.
“Pensavo che stessi tornando a casa” mormorò la Serpeverde.
“Vuoi che me ne vada?” le chiese e lei lo guardò senza dire niente.
Ron non capiva. “Potresti raccontarmi cosa ti inquieta così tanto da non lasciarti dormire” propose. La ragazza alzò un sopracciglio. “Tutti noi abbiamo incubi, da dopo la guerra. Parlarne aiuta” Lei non disse ancora niente. Se gli avesse raccontato anche solo metà delle cose che le erano successe, lui l’avrebbe guardata con quella faccia delusa che aveva avuto nell’aula di pozioni. O peggio, l’avrebbe guardata con ribrezzo. E lei non sarebbe riuscita a sopportarlo. Piuttosto sarebbe stato meglio non vedersi più. Lui si alzò e le portò il bicchiere. Lei lo prese ma non lo bevve.
“Non voglio parlare di niente” dichiarò lei, ferma.
“Non vuoi parlarne o non vuoi dirlo a me?” le chiese.
La Serpeverde guardò il bicchiere, poi lo bevve tutto d’un fiato e disse: “È ora che torni a casa”.
Lui annuì. “Come vuoi”.
Fece un passo indietro e senza salutare girò su se stesso e si smaterializzò.

 

Pansy rimase a guardare il vuoto lasciato dal ragazzo. L’aveva mandato via. Di nuovo. Ma cercò di convincersi che fosse meglio così. Lei non era proprio una bella persona.
Anche Nott glielo aveva ricordato, l’ultimo giorno a scuola.
“Ti fai corteggiare da Weasley, eh? Ma lui lo sa come sei veramente? Lascialo giocare nel tuo letto, che è una cosa che ti riesce bene, e poi lascialo andare. Ricordi? Lui ha salvato il mondo magico. E tu? Tu eri dall’altra parte, ricordi? Quelle come te non finiscono con quelli come lui, dovresti saperlo, ormai. Tu finirai con quelli uguali a te. A te e a me.”
Si era leccato le labbra e le si era avvicinato. Troppo. E aveva riso quando, indietreggiando, si era ritrovata contro il muro e lei si era spaventata. Quando l’aveva toccata, era rimasta pietrificata, subito, ma poi si era ripresa ed era riuscita a liberarsi. Lui aveva riso. Riso di lei.
“Ti credi superiore a me? Perché lui si interessa a te? Sei proprio una stupida” aveva detto. E aveva riso ancora.
“E sì che ci siamo divertiti, no?” Le si era avvicinato e le aveva parlato all’orecchio.
“Ero stupida davvero, hai ragione” aveva ribattuto lei, con il cuore che batteva all’impazzata per la paura. Nott si era arrabbiato e l’aveva bloccata contro il muro.
“Sei una puttana e lo sai benissimo. Quando lui se ne renderà conto, gli farà schifo anche solo scaldarti il letto!” Aveva bisgliato con enfasi quelle parole vicino al suo orecchio, mentre lei tremava ancora. Poi aveva ghignato e se n’era andato.
La cosa buffa era che non aveva dato peso alle sue parole fino a quando non aveva desiderato così tanto il rosso da non riuscire a togliergli le mani di dosso. Da quando era stata alla Tana pensava alle parole di Nott così spesso che aveva preso a sognarlo di notte. Erano incubi. Incubi in cui lui riusciva a spogliarla e lei urlava.
Però Pansy sapeva che aveva ragione: quelle come lei non finivano con quelli come Weasley. Era questo che la tormentava. Questo e il fatto che forse il moro aveva ragione anche su altro: lei sarebbe finita con uno come lui. E lei sapeva che Nott era cattivo. Malefico e cattivo. L’aveva capito al terzo anno. E Nott aveva predetto tutto. Si scolò tre bicchieri e si rimise a letto.

 

***

 

Ron si materializzò in camera sua. Quando accese la bacchetta, per farsi strada attraverso la camera, vide che il suo letto era occupato. Da sua sorella. Lei dormiva beatamente, sopra le coperte. Spostò la bacchetta e vide che il letto di Harry era occupato da Harry (logicamente), ma anche lui dormiva sulle coperte, con gli stessi vestiti che aveva quando avevano giocato a carte.
Dovevano aver passato la serata insieme. Sua sorella doveva aver capito che Harry non usciva con lui, né con nessuna ragazza. Si stizzì. Lui aveva avuto quella discussione noiosa con Pansy e loro stavano passando la serata insieme.
Almeno erano vestiti. Ron scrollò la sorella per svegliarla. Poi la scrollò ancora. Sbuffò. L’ultima volta la scrollò molto forte. Lei aprì gli occhi. “Ma cosa…”
“Vai nel tuo letto, Ginny” le disse.
“Oh” rispose lei. Si guardò intorno e vide Harry. “Ci siamo addormentati” constatò.
“Già. Sono stanco, puoi andartene?” Il suo tono non sfuggì alla sorella.
“Stai bene, Ron?” gli chiese, facendosi i fatti suoi.
“Certo. Mai stato meglio” mentì. Le tirò un braccio per farla alzare.
“Niente fragole, stasera?” disse la rossa ammiccando.
Lui si voltò verso la sorella con uno sguardo irato. “Perché non ti fai gli affari tuoi?”

 
Ginny si stupì: di solito non era così. “Scusa. Sicuro che vada tutto bene?”
“Non c’è niente che va bene. Buonanotte” la liquidò.
“Ne vuoi parlare?”

 

Ron si stava scaldando. Possibile che tutte le ragazze che aveva intorno volessero parlargli, tranne l’unica con cui volesse parlare lui?
“Sono stanco, fra poco mi alzo per andare al Tiri Vispi. Buonanotte” ripetè lui.
Quando vide Ginny che guardava Harry parlò ancora, con lo stesso tono: “Se hai intenzione di svegliarlo, poi portatelo in camera: non voglio ascoltarvi mentre vi scambiate frasi d’amore”.
La rossa lo guardò con sguardo glaciale e disse: “Spero che quando Harry si sveglia pensi ancora che ci sia io nel tuo letto e venga a baciarti”.
Lui inorridì e lei ghignò, andandosene. Ron si mise a letto e guardò il soffitto, prima di addormentarsi.
Sperò di svegliarsi prima di Harry.

 

***

 

Ginny era agitata. Agitatissima.
Quel giorno doveva andare all’allenamento delle Holyhead Harpies. Aveva ricevuto un gufo di convocazione ufficiale (in cui c’era scritto che era SOLO un allenamento, ma Angelina aveva detto che lo scrivevano sempre) e così quella mattina, si era svegliata un po’ ansiosa. Aveva rovesciato tre volte la tazza del tè. Si era sbagliata e aveva aggiunto l’acqua al vaso vuoto invece che a quello dove c’era il Dente di Leone. E aveva perso le sue scarpe preferite in giro per la sua stanza. A parte questo, era tutto normale. In fin dei conti avrebbe solamente dovuto fare l’allenamento più importante della sua vita.
Ripensò al giorno dei provini. Di come aveva scherzato quella mattina con Harry. Lui era bravissimo a calmarla. Chissà se Harry… no, no. Non doveva pensare a Harry. In quel momento c’era in ballo il suo futuro come giocatrice, doveva rimanere concentrata. Beh, fatto sta che quando vide Harry scendere le scale, gli corse incontro gridando il suo nome.

 

Harry aveva deciso di prendersi una pausa. Stava studiando in camera di Ron, e si stava annoiando.
Quel giorno aveva deciso di rimanere alla Tana per finire i compiti. Chissà se in cucina era avanzata una fetta di torta. Scese le scale con quel pensiero quando qualcuno lo chiamò: “Harry, Harry!”
La sua ragazza preferita stava correndo verso di lui. Quando Ginny gli fu davanti gli chiese saltellando: “Fai un giro sulla scopa con me?”
Lei era agitata: saltava prima su un piede e poi sull’altro. Harry sapeva che era il giorno dell’allenamento con le Holyhead Harpies. Lui si perse a guardarla.
“Cos’è una proposta indecente?” le chiese, scherzando.
Ginnysi fermò e arrossì. “Come?”
“Dai, scherzavo. Va bene. Metto qualcosa di comodo e arrivo. Lei annuì.

 

Harry era sceso con il maglione che la signora Weasley gli aveva fatto quell’anno a Natale. Era tremendamente imbarazzante, ma a lui era piaciuto tantissimo. Erano usciti in giardino e si erano allenati con la pluffa. Ginny aveva preso in giro Harry perché come portiere non era il massimo, ma lui aveva riso e gliela aveva fatta pagare, facendola allenare nei tiri di precisione e nel volo con una mano.
Quando lei non ce la fece più, le propose: “Facciamo un giro? Fino al ciliegio?”
“Facciamo una gara?” domandò, invece, lei.
“Oh, non te lo chiederei mai, oggi pomeriggio hai un allenamento importante e non vorrei che tu non ce la facessi a reggere il peso di tutte queste cose…” Harry fece un sorriso sornione e lei rise.
“Ah ah, sei spiritoso, Potter. Di’ che hai paura di perdere” lo schernì Ginny.
“Nah, sono sicuro di batterti” ripose Harry e lei sorrise
“Sicuro? Potremmo scommetterci qualcosa, allora” ribattè la ragazza.
Gli occhi di Harry si accesero di divertimento. “Perché no?”

 

Ginny si avvicinò e gli  tese la mano. “Quanto scommettiamo? Cinque galeoni?” chiese lei. Al negozio di Accessori per il Quidditch aveva visto un paio di polsini decorati con il marchio delle Holyhead Harpies, che le piacevano tanto, e costavano proprio cinque galeoni.
Lui gliela strinse. “Se vinco io, però voglio un bacio” disse prima che lei potesse ritirare la mano. La ragazza arrossì e rimase imbambolata a guardarlo mentre si preparava.
“Se rimani lì immobile, penserò che tu voglia perdere” disse lui strizzando un occhio.
Lei si riscosse e si preparò. “Dai il via tu.”
Quando Harry diede il via, Ginny partì di slancio senza guardarsi indietro. Era sicurissima di vincere. Quando arrivò quasi al ciliegio, si girò per controllare Harry e se lo vide praticamente di fianco, si agitò un po’ sulla scopa, e girò intorno all’albero, mentre lui faceva lo stesso. Anche lui voleva vincere: lo vide concentrato quanto lei e le passò davanti.
Cercò di chinarsi il più possibile, ma era così intenta a guardare lui che non prestò attenzione davanti a sé. Un piccolo gruppo di
Jobberknoll stava attraversando il cortile e lei ci finì in mezzo, barcollando con la scopa. Harry si era girato quando l’aveva sentita gridare ed era rimasto a guardare la scena, mentre la scopa continuava a volare in avanti.
Quando lei si riprese e riaggiustò la traiettoria, lui era già arrivato a meta e la stava guardando con un sorrisino strafottente. Lei atterrò vicino a lui dicendo: “Non è giusto! Avrei vinto io se non fosse stato per…”
Non finì la frase perché Harry la raggiunse con tre passi, le mise una mano dietro la nuca, l’avvicinò a sé e la baciò sulle labbra. Lei rimase di sasso. Non pensava che sarebbe successo subito. Non fece in tempo neanche a rendersi conto della cosa che Harry si era già staccato da lei.
“Ma…” tentennò.
“Non volevo discutere. Ho vinto io: mi sono preso il bacio” dichiarò Harry, probabilmente pensando che lei volesse protestare.
“Perché questo tu lo chiami bacio?” gli chiese.
Harry spalancò gli occhi sorpreso. Ginny portò le mani dietro il suo collo, si alzò in punta di piedi e si appoggiò al suo petto. Avvicinò la bocca alla sua e posò le labbra su quelle del moro. Gli leccò le labbra e si intrufolò dolcemente mentre lo sentiva sorridere. Poco dopo si staccò da lui.
“Questo è un bacio, Harry.”
“Mi sa che stavolta hai vinto tu” constatò lui, con voce roca. Lei sorrise.
“Sì, io vinco sempre” disse e subito dopo girò su se stessa, tenendolo stretto.

 

Harry si ritrovò in camera di Ginny. Aveva sempre sostenuto che la smaterializzazione non facesse per lui. Quel giorno si ricredette mentre lei gli toglieva il maglione e rimaneva in maglietta.
“Fai l’amore con me, Harry?” sussurrò.
“Sempre” rispose il moro.
Le tolse il maglione e quello che aveva sotto con un unico gesto, lasciandola con la biancheria. Le baciò il collo e la pelle del seno. Si tolse il maglione e lei lo trascinò sul letto, mentre si toglieva le scarpe. Gli appoggiò le piccole mani sul torace.
“Il resto te lo tolgo io.”
Harry non oppose resistenza e le lasciò fare tutto quello che voleva.

 

***

 

Hermione arrivò al Tiri Vispi poco prima che chiudesse.
Quando entrò dalla porta si scontrò con un ragazzo moro: non lo riconobbe subito.
“Buonasera, Granger. Quale onore” disse lui divertito, andandosene.
Nott. La ragazza corrugò la fronte ed entrò quando George la chiamò.
“Ciao, George, tutto bene?” Si sporse sul bancone per dargli un bacio su una guancia.
“Tu sai cosa è successo a Ron?” chiese di rimando lui, saltando i convenevoli.
“A Ron? Perché?”
George scosse la testa. “È una settimana che è strano” rispose, guardando verso il fratello più giovane.
Hermione rise.
“Lo hai detto anche la settimana scorsa!”
Lui abbassò la voce e mormorò: “Sì, ma questa volta è diverso. Prima era uno ‘strano’ buono. Adesso no”.
Lei si preoccupò. “In che senso?” chiese.
Lui indicò il fratello. “Guardalo”.
Hermione si voltò verso il rosso più giovane e lo guardò: Ron stava impilando degli scatoloni nel retro del negozio, loro riuscirono a vederlo attraverso la porta aperta. Quando lo scatolone che aveva appoggiato gli cadde sul piede, imprecò e gli diede un calcio.
No, non andava per niente bene.

 

La porta si aprì e una donna mora, visibilmente imbarazzata, entrò nel negozio tenendo per mano un bambino di circa sette anni con una massa di riccioli rossi che si guardava intorno sorridendo.
“Scusate” disse a Hermione e a George “Noi stiamo cercando…”
Il bambino spalancò la bocca e gridò indicando la porta che dava sul retro: “Ron Weasley!”
La donna sospirò e sorrise. “Esatto. Il  signor Ronald Weasley”.
Hermione si fece avanti e le sorrise. “Siete nel posto giusto, allora”.
“Hai sentito, Jake? Siamo nel posto giusto”.
Lui si voltò verso la madre e poi verso Hermione. “Sei Hermione, giusto?” le chiese. Hermione annuì con il capo, sorridendo. Jake si voltò ancora verso la madre e le spiegò: “Lei ha aiutato Ron a salvare il mondo magico”.

 

George, che aveva assistito alla scena, scoppiò a ridere. Hermione aveva aiutato Ron a salvare il mondo magico? Hermione aveva salvato il mondo magico!
La ragazza si girò verso George con uno sguardo strano e lui ridimensionò la sua risata. La signora mora sorrise ai ragazzi.
“Vieni con me” disse Hermione al bambino, “andiamo da Ron. Sarà felice di conoscerti”.
Lui le diede la mano e disse con soddisfazione: “Noi ci conosciamo già”.
Hermione si sorprese “Davvero? Allora sarà contento di rivederti”.
Arrivò davanti alla porta del magazzino e annunciò ad alta voce: “Ron, guarda chi ti è venuto a trovare. Ti ricordi di Jake?”

 

Ron, ancora un po’ arrabbiato, si girò verso Hermione e abbassò lo sguardo verso il ragazzino che lei continuava a indicare con gli occhi e la mano libera: riconobbe il bambino che lo aveva fermato a King’s Cross. Sorrise.
Si chinò e gli porse il pugno chiuso. “Ciao amico, come stai?”
Il bambino sbattè il pugno contro il suo e sorrise. Lasciò andare la mano di Hermione e mormorò: “Mi ha chiamato ‘amico’…”
Hermione rimase a guardare Ron che faceva fare un giro del negozio a Jake, mentre il bambino lo guardava con ammirazione. Tornò indietro verso George e la madre di Jake, che stavano parlando.
“Sembra che si siano già incontrati” disse.
La signora mora sorrise. “Jake è andato a disturbare il signor Weasley anche al binario 9 e ¾, quando abbiamo accompagnato
Janine, l’altra nostra figlia, al treno per Hogwarts”.
Ron arrivò per presentarsi: “Nessun disturbo, signora. Piacere, io sono Ron. Il ‘signor Weasley’ è mio padre, per me”, e allungò la mano alla signora.
“Piacere, Hannah Howard” disse lei, stringendola. “Jake è un po’ ossessionato, mi spiace essere venuti qui e creare questo trambusto…”

 

George guardò il fratello come se lo vedesse per la prima volta. Anche Hermione sorrise.

 

“Potete venire tutte le volte che volete. Ma domani tornerò a scuola, come immagino farà anche tua sorella, giusto Jake?” disse Ron al bambino, posandogli una mano sulla testa e ciondolandogliela un po’. Lui sorrise divertito. “Ti sono cresciuti i denti davanti!” esclamò quando Jake aprì la bocca “Ci vuole una caramella per festeggiare!”
George si allungò verso un vaso dietro al bancone e gliene allungò due sussurrando: “Queste ti fanno diventare verde per evitare di andare a scuola, ma non dirlo alla mamma.”

 

“George!” esclamò Hermione scandalizzata. Ma la signora Howard sorrise. Hermione le chiese dell’altra figlia.
“Janine ha iniziato il primo anno quest’anno. È molto contenta. Grazie per aver risistemato la scuola e averla resa ancora un posto sicuro e felice” disse sinceramente. Hermione, imbarazzata la ringraziò a sua volta.
“In che casa è?” le chiese George per cambiare argomento.
“Corvonero.”
Il bambino storse la bocca. “Io sarò un Grifondoro. Come te” disse, guardando Ron. “Oh, sarai quello che vorrai. Ma mia sorella ha un’amica che è Corvonero ed è molto in gamba, sai?”
Il bambino continuò: “Mia sorella, invece, si crede tanto intelligente. Da quando è venuta a casa, non fa altro che dire che i Corvonero sono i più bravi di tutti”.
Ron gli sorrise senza dire più niente: sapeva cosa voleva dire essere fratelli piccoli e sopportare quelli più grandi.
“Ora dobbiamo proprio andare. Grazie mille per il vostro tempo” disse la strega. E dopo qualche saluto, si apprestarono a uscire dal negozio.

 

I tre ragazzi guardarono madre e figlio andarsene e sistemarono per la chiusura.
“Vai da Angelina stasera, George?” chiese Hermione spegnendo le lanterne.
Lui annuì. “Sto bene quando vado da lei” confessò e lei gli sorrise.
“Allora vacci spesso” gli disse Hermione sorridendo.
George annuì. “E lui, invece?” chiese indicando con il mento il fratello.
“Non lo so. Magari ne parlo con Harry e vediamo di capire che succede, ok?”
George si fece pensieroso. “Mi spiace che fra voi…”
“Non ha funzionato. Va bene così”. Lo interruppe lei.
“Quindi tu e Malfoy…” George sghignazzò.
Lei divenne rossa ma poi disse: “Già. Io e Draco”. Dirlo ad alta voce era stupendo: lei e Draco.
Ron scelse quel momento per annunciare: “Dietro ho chiuso tutto. Possiamo andare”.
“Metropolvere?” chiese George vicino al camino. Ron annuì e scrollò le spalle, andando per primo. Anche Hermione scelse la metropolvere, George invece, girò su stesso e si smaterializzò.

 

***

 

Quando Ginny tornò a casa, era esausta. Tante emozioni le erano passate addosso, quella giornata, dalla mattina con Harry al pomeriggio in Galles.
Quando Angelina era venuta a prenderla, era ancora agitatissima e convinta di sbagliare tutto, poi quando aveva stretto la mano a Gwenog Jones, che si ricordava di lei dalla cena al Lumaclub, tutto era filato liscio, si era rilassata, aveva conosciuto le altre giocatrici e si era ambientata benissimo.
A fine allenamento Gwenog le aveva chiesto se era disponibile ad andare a qualche altro allenamento, visto che presto una delle loro cacciatrici si sarebbe ritirata e lei era piaciuta particolarmente. Ginny aveva annuito entusiasta, sperando di non sembrare una sciocca.
Gwenog le aveva detto che c’era anche un’altra ragazza che faceva qualche allenamento con loro, una ragazza dell’accademia, e avrebbero scelto la nuova giocatrice fra di loro. Ginny era rimasta a occhi e bocca aperta. C’era seriamente la possibilità di giocare con le Holyhead Harpies?
Sperò di non sembrare troppo immatura quando disse: “Però devo finire la scuola”, ma Gwenog le aveva sorriso e garantito che avrebbe potuto tranquillamente finire l’anno a Howgarts in qualsiasi caso. Si erano lasciate così, con un sorriso, una stretta di mano e l’invito a rivedersi per l’allenamento successivo.
Quando si era materializzata in soggiorno, aveva sospirato contenta, con l’immagine di un bel sogno davanti agli occhi.
In salotto aveva trovato Hermione che parlottava con Harry sul divano. Il ragazzo aveva alzato lo sguardo su di lei quando era arrivata e le era andato incontro per salutarla.
Lei, ancora allegra disse scherzando: “Dovrei preoccuparmi che vi trovo a parlottare sottovoce?”
Hermione le rivolse un sorrisone e si alzò per salutarla. “Mi sa che il tuo allenamento è andato bene, che sei così spiritosa!”
Ginny sorrise ancora mentre l’abbracciava. “Oh, sì. Torno per un altro allenamento, forse il mese prossimo”.
“È stupendo. Bravissima!” Harry la prese per la vita e la fece girare intorno, prima di stringerla e darle un leggero bacio sulle labbra. “Dobbiamo festeggiare. Pizza?”
Ginny fu ancora più entusiasta. “Sì! La pizza!” Hermione e Harry, che conoscevano la Londra babbana, avevano portato i due Weasley in quel nuovo mondo già da un po’ e Ginny si era innamorata della pizza.
“Sì, usciamo tutti insieme. Vado a dirlo a Ron” disse Hermione, ma venne fermata dall’amica.
“Vado io, da Ron. Ci troviamo qui fra un’ora?”
Hermione annuì e Harry le disse: “Tuo fratello è fuori nel capanno”. Ginny si incamminò fuori ed entrò nel capanno.

 

Ron era intento a sistemare un minuscolo affarino di metallo dentro al carrilon. Era convinto che non avesse niente di rotto. L’aveva smontato tutto e quando girava manualmente quei pezzi di metallo, si sentiva la musica, ma quando lo rimontava, la musica si fermava e la ballerina non girava.
Era arrivato alla conclusione che ci volesse un po’ di olio per aiutare tutti i pezzi a girare senza sforzo (i famosi meccanismi!) e ora voleva vedere se era riuscito ad aggiustare il tutto.
Quando si aprì la porta del capanno, si spaventò e quel pezzo di metallo che andava incastrato gli cadde dalle mani.
“Ciao Ron, che fai?” Ginny entrò, spavalda e sorridente. Lui si girò, un po’ irritato, lo era dal pomeriggio. “Ciao Ginny”.
“Cerchi ancora di aggiustare il carrilon? Papà non c’era riuscito” disse lei, un po’ sorpresa.
“Non lo so. Cosa vuoi?”
Ginny si ritrasse. “Oh, come sei carino. ‘Ginny è andato bene l’allenamento più importante della tua vita?’ ‘Sì, Ron, grazie per avermelo chiesto’…”
E gli fece una boccaccia. “Scusa, mi ero scordato”, Ron sospirò, cercando di calmarsi “com’è andato?” chiese con un sorriso un po’ tirato.
“È andato bene. Che ti succede Ron?” gli chiese, corrugando la fronte.
“Niente. Mi sono un po’ innervosito per questo coso” disse indicando il carrilon.
“Oh. E perché lo aggiusti? La ragazza con cui ti vedi è babbana?”
Lui tirò su la testa e le chiese: “Perché pensi ci sia di mezzo una ragazza?”
“Lo vuoi aggiustare per ascoltarlo prima di addormentarti? O per metterci i tuoi gioielli?” Ginny si fece ironica.
Lui alzò le spalle. La rossa andò ad accarezzare i gattini che si muovevano liberi per il capanno.
Ne acchiappò uno, tornò da lui e gli chiese: “Ci sei riuscito?”
“Penso di sì. Stai a guardare” disse. Ci mise dieci minuti per rimettere tutti i pezzi dove andavano messi e si mise a girare il pezzo di metallo.
“Ma perché non usi la magia?”
“È una cosa fra me e lui. Se è stato progettato senza, voglio riuscirci senza. Poi, al massimo, lo incanterà lei, no?” spiegò il ragazzo.
“Dopo tutta la fatica che hai fatto? Dovrebbe apprezzarlo così!” disse.
Lui la guardò, mentre coccolava un gattino. “Sempre se glielo darò”.
Quando il pezzo di metallo ebbe raggiunto la fine della corsa, lo azionò e rimase a guardare la ballerina che girava e girava. Quando finì la musica, si fermò; ma non si inceppò.
“Bravo. Ce l’hai fatta. Ma rimane noiosissimo. Dovrebbe esserci una ragazza sulla scopa con una divisa verde scuro che svolazza con la pluffa!” esclamò lei, con una faccia strana.
Ron rise, contento di esserci riuscito. “Vedrai che ti prenderanno” le disse, quando capì che era in pensiero per il Quidditch.
Ginny sorrise mesta. “C’è un’altra ragazza, più grande, che stanno valutando”.
Ron le passò un braccio intorno alle spalle.
“Sono sicuro che è brutta e non vola veloce come te”.
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla. “Grazie, Ron. Ma ne dubito”.
“Potrai fare tutto ciò che vorrai, lo sai” dichiarò lui e lei annuì.
“Vieni a mangiare la pizza, stasera? Solo noi quattro”, poi ci ripensò “O vai…”
“Vengo con voi” disse. Chiuse il carrilon e uscirono insieme dal capanno.

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Capitolo 27
*** L'ultima sera ***


L’ultima sera

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La pizzeria era piccola e molto carina.
Ginny se n’era innamorata la prima volta che c’erano andati, tutti e quattro. Si sedette vicino a Harry, che le strinse la mano, sotto al tavolo.
“Allora, Malfoy ti ha lasciato venire con noi, stasera?” Hermione guardò Ron, che gli aveva fatto la domanda con un po’ di cattiveria.
“Non avrebbe dovuto?” chiese, ignorando il tono dell’amico e alzando un sopracciglio. Ron scosse le spalle e aprì il menù.
“Dov’è il fur… Malfoy, stasera?” le chiese Ginny.
“Oh, andava con Zabini a casa della Parkinson” rispose.
Ron abbassò il menù. “Ah sì?”
“Sì” confermò Hermione. Aveva immaginato che lui non lo sapesse e lo aveva detto apposta, ma Ginny e Harry non prestarono loro molta attenzione, intenti com’erano a scegliere una pizza dallo stesso menù.

 

Ron guardò la mano della sorella e commentò: “Non ti facevo da smalto rosso, Ginny. Sembri zia Muriel”.
Lei si guardò le mani e spiegò: “È uno smalto che ci ha dato Luna. Cambia colore a seconda di cosa provi per chi hai vicino. Guarda, vicino a Harry è rosso, perché lui è il mio Harry”. Gli fece una carezza, come se le sue parole spiegassero tutto. “Se invece allungo la mano verso di te Ron, diventa giallo, perché mi fai sempre arrabbiare”.
“Davvero?” chiese poco convinto lui.
“No, è perché per te prova affetto fraterno. Vero Ginny?” Hermione parlò con tono neutro e la rossa scosse la mano per negare. “Ma non ti capita anche con Neville?” insistette.
Ginny sbuffò. “Ok. Il giallo è per l’affetto fraterno, contenti? Se invece prendo la mano di Hermione, guarda qui!” Le unghie della mano divennero rosa, molto rosa. “Questo è per le amiche”. Sorrise dolcemente alla riccia. “Il tuo è il rosa più carico. Con le altre è sempre rosa ma non così intenso” spiegò.
Hermione le sorrise. “E con chi altro l’hai provato?” disse fingendosi gelosa, ma sentendo di essere contentissima.
“Oh, con Luna, con Camille, con le ragazze della mia stanza, con Pansy…”
“Con la Parkinson? E di che colore è quando sei con lei?” chiese Harry, dolcemente
“È un rosa un po’ più chiaro. Ma è lo stesso rosa per tutte e due” disse ancora.
“Ce l’ha anche lei, lo smalto?” chiese Ron
“Sì. Lo abbiamo messo insieme io, lei e Camille” spiegò ancora.

 

“Quello della Parkinson diventa giallo quando è con Draco” li informò Hermione e Ginny sorrise.
“Te lo devi ricordare ogni tanto, giusto?”
“Già…” Hermione lanciò un’occhiata strana a Ron, di cui si accorse solo lui.
“Non devi preoccuparti per loro. Te l’ho già detto: sono amici. Come noi.”
Hermione sorrise a Ginny. “Tu ricordamelo lo stesso, ogni tanto, ok?” disse.
La rossa rise. “Lo farò”.
“E poi penso che Pansy si veda con qualcuno” buttò lì Ginny.
Hermione alzò un sopracciglio, giocando con la forchetta. “Davvero?” chiese, sempre con noncuranza.
“Sì, ma non so chi è. Anche se so che c’è Philippe che la guarda con degli occhi così dolci…” Ginny giocherellò con le dita di Harry mentre raccontava di come aveva sorpreso il ragazzo quando era andata in Francia.
“Chi?” chiese Hermione, notando che Ron era rimasto a bocca aperta.
“Oh, Philippe, il fratello dell’amica di Camille. Li ho conosciuti quando siamo andate in Francia” continuò Ginny.

 

A Ron cadde il tovagliolo. “In Francia?” chiese, corrugando la fronte.
“Sì. Guarda che te l’ho detto, che ci sono andata, non fare quella faccia!” Ginny fece una smorfia.
Ron non sapeva bene che faccia stesse facendo, così si chinò a raccogliere il tovagliolo. Erano cinque giorni che non andava a casa della Serpeverde. Cinque giorni. Lei gli aveva detto che gli avrebbe scritto, dopo essere stata in Francia (di sera…) e non l’aveva più fatto. Dopo l’ultima volta che si erano visti, quando lei lo aveva cacciato via in malo modo, non era sicuro di poter andare da lei senza essere invitato. E ora questo Philippe…
Quando arrivarono le pizze e iniziarono a mangiare, Hermione si rivolse a Ron e gli chiese: “Quando sono venuta in negozio, oggi, ho incontrato Nott sulla porta. È venuto in negozio anche lui?”
Il rosso, che stava masticando, annuì con il capo. Harry lo guardò e disse: “È un tipo strano. Il ministero sta ancora cercando suo padre”. Ron annuì ancora.
Non disse che aveva il sospetto che Nott fosse andato in negozio per parlare con lui. Aveva iniziato con una frase scema: “Weasley, non sei venuto a trovare anche me in infermeria, e sì che ti aspettavo!” E poi aveva ghignato, da bravo Serpeverde.
Aveva detto qualche brutta battuta e aveva gettato sul bancone due merendine marinare, appoggiato sul bancone troppe monete per l’acquisto e aveva detto una frase del tipo: “Tieni il resto. So che ne hai bisogno”, ammiccando.
Ma Ron c’era abituato e non si era scomposto tanto, stava imparando a gestire quelle cose. Ma quando aveva detto una frase offensiva nei confronti di Pansy, si era incavolato. Aveva cercato di rimanere calmo, ma non c’era riuscito del tutto e lui se n’era accorto. Quell’idiota aveva sghignazzato mentre usciva dal negozio e lui si era rifugiato nel retro per smaltire la rabbia che non aveva potuto sfogare su di lui. Forse non stava imparando a gestirle molto bene.
“Nott ha tentato di attaccar bottone con me quando sono andata alla festa dai Serpeverde” disse Ginny con noncuranza mentre arrotolava un filo di mozzarella.
“Davvero?” tutti e tre si girarono verso di lei e lei si bloccò con la forchetta osservando la scena.
“E tu cosa hai fatto?” chiese Hermione, curiosa.
“Oh, ho inventato una scusa e me ne sono andata. Hai presente? Dai, Nott? È così viscido. Ci prova con tutte, non volevo che ci provasse anche con me. E poi Pansy mi ha detto di stargli lontano e di non assecondarlo per nessun motivo” spiegò, prima di dare un morso alla pizza.
“E come mai?” chiese Ron, sperando che non si notasse l’interesse che aveva nella domanda.
“Non lo so. Ma ci sarà un buon motivo. È l’unica persona di cui lei ha paura.”
“Paura?” questa volta fu Harry a chiedere.
“Sì. Paura o qualcosa così. Si irrigidisce quando lo vede, gli passa lontano e quando lui è troppo vicino si allontana. L’ultimo giorno di scuola hanno avuto una discussione in corridoio e lei era molto scossa, quando è venuta via: le tremavano le mani e le labbra. A casa sua ha messo un incantesimo per cui lui non può entrare”. Ginny infilò in bocca un altro pezzo di pizza e chiuse gli occhi.

 

Hermione era un po’ stranita. “Oh. Con me non ci ha mai provato”. Era una cosa buona o cattiva?
“Non ci ha mai provato perché Nott teme Malfoy. Non penso che gli pesterà mai i piedi. Non devi preoccuparti. Non ti darà fastidio.”
Uno strano silenzio calò sul tavolo, mentre tutti mangiavano. “In infermeria Draco aveva detto qualcosa sul fatto che Nott aveva infastidito la Parkinson” continuò Hermione.
“Sì, mi ricordo. Pansy è… molto riservata. A quanto pare, Nott è qualcosa di cui non vuole parlare. E se Pansy non vuole parlare di qualcosa, stai sicura che non ne parla!”

 

Ron aveva seguito tutto il discorso delle ragazze e disse sospirando: “Già, è vero. E lei non te lo dice neanche se glielo chiedi”.
La rossa alzò gli occhi dal piatto e lo guardò. “Cosa?” gli chiese.
Lui spalancò gli occhi. “Cosa?” ripetè.
Non si era reso conto di aver parlato a voce alta. Cercò Harry con lo sguardo e pensò a cosa rispondere, ma non gli venne in mente niente.

 

Ginny appoggiò la pizza sul piatto e osservò il fratello che annaspava. Cosa stava succedendo?
“Cosa vuoi dire?” chiese, in un sussurro. Le orecchie di Ron iniziarono a diventare rosse. Era quello a cui si riferiva Malfoy l’altro giorno? “Tu e Pansy avete avuto da dire?” Lui la guardava ancora con uno sguardo strano. Ma cosa aveva? Poi le venne un dubbio. Il dubbio. No, una certezza. “Ci sei andato a letto! Sei tu! Pansy è la ragazza delle fragole!” Non era una domanda e non la formulò come tale.
Ron guardò Harry. E quando Ginny si voltò verso Harry, lui guardò il piatto. Poi la rossa tornò a guardare il fratello. “Ti avevo detto di non farlo! Ti avevo detto di lasciarla stare! Non dovevi…”
Harry cercò di venire in aiuto all’amico: “Ginny…”
Lei si voltò verso il moro e gli intimò sibilando: “E tu lo sapevi!”. Harry la guardò senza dire niente.

 

Ron pensò di prendere in mano la situazione: Harry non c’entrava niente. “Harry non c’entra, lascialo stare…”
“Lui avrebbe dovuto dirmelo, visto che lo sapeva” dichiarò la ragazza.
Il rosso sostenne il suo sguardo. “Glielo ho chiesto io di non dirtelo: è il mio miglior amico…”
La rossa si alzò e appoggiando le mani sul tavolo e si sporse verso il fratello. “Ma è con me che ha fatto l’amore stamattina. È a me che ha promesso fiducia!” Poi si voltò di nuovo verso Harry. “Ed è con me che ha appena chiuso”.
Ron non seppe cosa dire. Vide la sorella girarsi verso Hermione e chiederle: “Fammi indovinare: lo sapevi anche tu?”
Il rosso sperò che Hermione fosse più brava di loro a mentire o che lui avesse mal interpretato tutti i segnali che lei gli aveva mandato. Sperò inutilmente: la riccia annuì con il capo.

 

Harry vide Ginny crollare. Vide la delusione passare sul suo viso. E rabbia. E rancore. “Certo. Avrei dovuto immaginarlo. Il trio dei miracoli” sussurrò lei.

 

Ginny parlò quasi con disprezzo. Lei non faceva parte del loro gruppo. Non era una di loro. Era, di nuovo, la piccola.
Si staccò dal tavolo andando verso il bagno. Harry si alzò per andarle dietro e quando lei ritornò a prendere il cappotto gli disse: “Torna a sederti Harry. Io vado da Luna. Non vorrei essere di troppo. Ron, di’ alla mamma che torno a Hogwarts con i Lovegood, domani”.
E senza salutare né aspettare risposte affermative, si rincamminò verso il bagno. Si chiuse dentro e si sedette sul gabinetto. Con la bacchetta ritrasformò il cappotto nel suo mantello e rimase lì, a guardare la porta chiusa.
L’avevano fatta parlare. Lei aveva raccontato, orgogliosa, di come il suo smalto fosse più rosa con Hermione che con chiunque altra. E poi aveva raccontato di Pansy. Chissà come la prendevano in giro, adesso, per tutto quello che aveva detto.
Di come aveva raccontato che secondo lei si vedeva con qualcuno e loro, tutti e tre, lo sapevano. Che stronzi.
Però anche Pansy… averle chiesto aiuto per Malfoy e non dirle niente di Ron…
Però lei era riservata, e Ginny lo sapeva bene, l’aveva appena confermato. Però tutto quello che lei le aveva raccontato di Harry, che pensava uscisse con Ron insieme a delle altre ragazze… beh, senz’altro poteva dirgliene quattro. Si rimise il mantello e girò su stessa.

 

***

 

Pansy, Draco e Blaise stavano giocando a poker nel salotto di casa di Pansy, bevendo Firewhisky e burrobirra, e mangiando stuzzichini salati che Quircky si assicurava di far apparire quando il piatto rimaneva vuoto.
L’arrivo della rossa spaventò tutti e tre.

 

“Pansy, per Godric, con mio fratello!”
Draco scoppiò a ridere, Pansy la guardò a bocca aperta e Blaise esclamò: “E va Pansy, un Weasley! Quale? Ti prego dimmi quello sposato!” E ridacchiò.
La strega si voltò verso di lui e gli lanciò un’occhiata glaciale. Lui ridimensionò la risata ma non smise del tutto.

 

Ginny non si aspettava altra gente, oltre all’amica, così rimase di sasso. Merlino, Hermione lo aveva detto, a tavola, che loro erano lì. Doveva prestare più attenzione.
Guardò i tre senza dire niente. Notò il tavolo, le carte, e i galeoni.
“Buonasera, piccola Weasley, unisciti a noi.”
Malfoy le lanciò uno sguardo amichevole e fece apparire una quarta sedia al tavolo rotondo coperto da un panno verde. Lei valutò la situazione: questi tre o gli altri tre? Da questi si aspettava poco, non sarebbe rimasta delusa di sicuro.
Si sedette annuendo. “Ho solo sterline, però” dichiarò.
Zabini alzò un sopracciglio. “Non facciamo cose così volgari come giocare a soldi, noi”.
“Ah no, Zabini? E cosa scommettete?” Guardò il piatto che aveva portato l’elfo quando si era seduta e chiese: “Biscotti salati?”
Lui ghignò. “No, ci scambiamo segreti inconfessabili, giochiamo a ‘Obbligo o verità’ e, prima di andare a casa, finiamo con un’orgia”. Alzò e abbassò velocemente le sopracciglia in un gesto divertito.
“Smettila, Blaise” lo sgridò Pansy, parlando per la prima volta da quando lei era entrata.
Il mazzo si mescolò e diede carte anche a Ginny. Prese le prime due carte. Due nove. Iniziamo bene.
Si allungò a prendere una burrobirra e mangiò un salatino: aveva lasciato quasi tutta la pizza sul tavolo, Santo Merlino!

 

Parecchie carte, giri di soldi, burrobirre, bicchierini di Firewhisky e (forse troppo pochi) salatini dopo, i ragazzi erano ancora al tavolo a giocare.
Pansy guardò la rossa: aveva bevuto un po’, anzi un bel po’, ma sembrava stesse bene.
“Cos’è successo stasera?” Draco anticipò la sua domanda. Ginny alzò lo sguardo dai galeoni davanti a lei.
“Tu lo sapevi che Pansy e mio fratello se la spassano di nascosto? E che lo sapevano tutti tranne me?”
Draco non cambiò espressione e Blaise tossicchiò. “Quale fratello?”

 

Ginny gli lanciò un’occhiata divertita. Almeno non era l’unica a non saperlo. “Vuoi indovinare, in palio un galeone. E sono buona, ti do un indizio: non è furbo”. Si sentiva molto carica e allungò davanti a Zabini un galeone.
“Ginny…” La rossa si voltò verso Pansy che la guardava con uno sguardo triste. “Senti…” continuò.
“Immagino che ti abbia detto lui di non dirmi niente, giusto?” Pansy non negò e non confermò niente, ma lei aveva immaginato che fosse così. Sbuffò. Si riprese il galeone. “Vi odio tutti” dichiarò. E prese altre due carte. Stava vincendo e la serata poteva andare avanti ancora un po’.
“Perché hai delle sterline?” Le chiese il moro. Ginny appoggiò la burrobirra su una carta e prese le noccioline.
“Siamo andati a mangiare la pizza in una pizzeria babbana. Beh, io non l’ho mica mangiata… me ne sono andata quando mi hanno fatto arrabbiare. Potevano farlo al dessert” spiegò, arricciando il naso.
Malfoy guardò la rossa. “Hermione ha nominato la pizza quando sono andato a casa dai suoi” disse con curiosità.
“Sì, è un cibo tipicamente babbano. I babbani ne vanno matti. Ed effettivamente è buonissima” dichiarò Ginny.

 

“I babbani fanno un sacco di cose.”
Pansy aveva parlato spostando una carta da una parte all’altra. E aveva ripensato al carillon visto nel capanno degli attrezzi della rossa. Ma allontanò il pensiero. “Io e Daphne andavamo spesso nella Londra babbana. Di nascosto, perchè i suoi non volevano. Beh, neanche i miei a dir la verità. Abbiamo anche iniziato ad andare in uno di quei negozi dove fanno i massaggi con le mani. L’ultima volta è venuta anche Astoria, sua sorella”.
Ginny inclinò la testa. “Astoria?”
Pansy sorrise. “Sì. È una ragazzina così gentile e carina, adesso. Da piccola era una smorfiosetta sempre attaccata ai piedi”, sorrise ancora pensando a quei momenti, chissà se Camille sarebbe stata così, se fossero cresciute insieme come Daphne e Astoria… “Le ho chiesto se le andava di fare amicizia con Camille, all’inizio dell’anno, quando faceva finta di non conoscermi e so che ogni tanto hanno parlato”.
Draco la guardò. “Perché glielo hai chiesto?”
Pansy alzò le spalle. “Camille mi odiava ed era da sola in una scuola nuova. Ho pensato che Astoria fosse una compagnia adatta”.
Ginny posò una carta sul tavolo a faccia in giù. “Ti odierà quando scoprirà che glielo hai chiesto tu”.
Lei sorrise. “Più di quanto mi odi adesso? Dubito. E poi, almeno ha avuto qualcuno con cui parlare”. Pansy si voltò verso Zabini e lo scoprì a fissarla. “Cosa c’è, Blaise?”
“Cos’è un negozio dove fanno i massaggi con le mani, dove sei andata con Daphne?” chiese lui, come se lei avesse detto solo quello.
“I babbani non hanno magia: per farti i massaggi ti spalmano di olio e muovono le mani su di te massaggiando i muscoli. In quel negozio ci sono delle persone che lo fanno. È una cosa molto più rilassante di quando si usa la bacchetta” spiegò.
“Ma ti toccano? Tipo il sesso?” domandò ancora.
“Beh… a noi, nel negozio facevano il massaggio. Però sì, ti toccano” disse lei alzando le spalle.
“E a Daphne l’ha fatto un maschio o una femmina?”
Pansy ghignò da Serpeverde. “Ti piacerebbe saperlo, eh?”
Blaise guardò la mora con uno sguardo strano, poi, come se tutto fosse collegato, si voltò verso la Grifondoro e le chiese: “Perché avevi i soldi? Non c’era Potter?”
Pansy lanciò un galeone nel mezzo del tavolo. “Blaise, le donne possono pagare, sai?” gli disse, come se fosse una confessione.
“No no” sostenne lui, scuotendo la testa. “Daphne non pagherà, quando usciremo insieme”.
Pansy sospirò e gli fece notare: “Blaise tu non hai mai chiesto a Daphne di uscire”.
Lui scosse le spalle, come se fosse un dettaglio senza importanza.
“Quando succederà, non lo farà. E quando sarà mia moglie, non andrà in un negozio a farsi fare un massaggio con le mani” precisò.
Pansy sorrise, sorniona. “No? So che le piacciono molto…”
Lui scosse il capo. “Allora glieli farò io”.
“Questo potrebbe convincerla a uscire con te. Diglielo” disse la mora scoprendo le sue carte.
Pansy vinse quel giro. Quello dopo vinse Blaise e gli altri quattro vinse Ginny.

 

***

 

Ginny si sentiva un po’ strana. Avevano finito di giocare già da un bel po’ e lei aveva un bel gruzzoletto in tasca. Peccato che il giorno dopo sarebbero dovuti tornare tutti a Hogwarts. Ah no, era quel giorno: era già domenica.
“Oggi ho fatto un allenamento con le
Holyhead Harpies” annunciò, a tutti e a nessuno, stesa a testa in giù su una poltrona.
“Davvero?” Malfoy si voltò verso di lei, giocando con il bicchiere.
“Sì. Forse mi prendono” disse, più speranzosa che convincente.
“Dai! Mi fa piacere per te” si complimentò Pansy mentre indicava all’elfo cosa dovesse fare.
Ginny le sorrise: dei quattro che le avevano mentito era quella con cui ce l’aveva meno.
Malfoy si versò da bere. “Anch’io vorrei giocare a Quidditch professionalmente”.
Ginny ghignò. “Pensavo che tu, Malfoy dovessi preservarti per portare avanti il nome di famiglia. Non devi curare i tuoi numerosissimi galeoni? E non farai tanti piccoli Malfoietti? Se li facessi con Hermione, avresti la possibilità che nascano anche belli e intelligenti!” Lui non disse niente, ma lei continuò a ghignare.
“Perché, non può giocare a Quidditch se anche fa dei nanetti? Mica li deve crescere lui. Può fare quello che vuole!” Ginny guardò il moro, che aveva parlato, sempre dalla sua posizione sottosopra.
“Zabini, questo non dirglielo a Daphne perché non penso che uscirebbe con te, se lo sapesse. Snob purosangue” sputò lì Ginny quasi con disprezzo.
Zabini fece una smorfia e concretizzò: “Comunque è così”.
“Così come?” gli chiese.
“Così: le donne in casa a crescere bambini e gli uomini fuori a lavorare” spiegò, alzando le spalle, come se fosse la cosa più semplice del mondo e lei non capisse.
Ginny cadde sul tappeto quando provò a tirarsi su.
“Ginny, stai bene?” Pansy la guardò stranita.
“Ma hai sentito cosa ha detto quel troll?” le chiese.
Pansy alzò le spalle. “Mica lo devi sposare tu. E neanch’io”, ammiccò e continuò: “Non preoccuparti, Daphne lo metterà in riga”. Aiutò la rossa ad alzarsi e rimettersi seduta sulla poltrona e disse tristemente: “Comunque è questo che viene inculcato ai figli, soprattutto ai figli maschi, dai genitori di noi snob purosangue. Non è la prima volta che lo sento”.
“Hanno detto così anche a te?” chiese allora Ginny, stranita. Ma in che mondo vivevano?
“Oh, io dovevo sposare Draco” disse, guardò il biondo e ammiccò. Lui fece un cenno con il capo e alzò il bicchiere. “Non mi sarebbe andata male. Non è il peggiore fra quelli che aveva scelto mia madre”.
Draco fece una faccia strana. “E chi altro c’era?” Pansy scrollò le spalle.
“Dai, almeno dicci chi era il peggiore” disse il moro. Zabini era tremendo, quando si impuntava. Ma anche Ginny era curiosa, così aspettò.

 

Pansy si ritrovò tre paia di occhi puntati addosso. “È tardi ragazzi. Tutti a letto” dichiarò.
Zabini si alzò e chiese: “Ok da che parte? Io dormo con la Wealsey”.
Ginny fece una faccia inorridita. “Io non dormo con te!”
“E perché?” domandò, un po’ intontito, il Serpeverde.
“Primo: non dormo qui. Non voglio dormire dove mio fratello ha fatto…”
Mentre la rossa e Blaise discutevano, Draco si avvicinò a Pansy. “Era Nott?” sussurrò. La mora alzò gli occhi su di lui. E poi li spostò sui ragazzi che discutevano. “Prima di me. È stato Nott? È per questo che lo odi?”
Lei riportò lo sguardo sul biondo. “Perché pensate tutti che Nott sia così importante per me?”
Draco alzò un sopracciglio. “Tutti chi?” Lei spalancò gli occhi, rendendosi conto dell’errore e guardò verso il camino.
“Nessuno” disse. Poi si girò verso il moro che stava allungando una mano verso la Grifondoro seduta in poltrona e vide lei schiaffeggiargli la mano.
“Qui non dorme nessuno. Ognuno va a casa sua” dichiarò ad alta voce. Poi si avvicinò alla rossa e disse con voce più bassa: “E Ginny, se non vuoi stare dove tuo fratello ha fatto certe cose, alzati anche da lì”. Ginny si alzò improvvisamente dalla poltrona, mentre Blaise ridacchiava e Draco prese un braccio alla mora.

 

“Hai discusso con Weasley per via di Nott?” le chiese Draco sottovoce.
“Non sono affari tuoi, Malfoy” sussurrò lei, scrollando il braccio.
Draco ci rimase malissimo. La Serpeverde aveva smesso di chiamarlo per cognome al terzo anno.

 

Ginny si avvicinò ma percepì poco della loro conversazione. “Nott? Hermione diceva che oggi l’ha visto”.
Malfoy si girò verso di lei “Hermione?”
“Sì. L’ha incrociato mentre usciva dal Tiri Vispi” rispose, cercando di controllare con gli occhi gli spostamenti di Zabini.
Pansy balbettò: “Al Tiri Vispi?”

 

Pansy sperò che la rossa fosse sotto effetto di un Confundus. O si stesse sbagliando. O le stesse mentendo. Qualsiasi cosa. Nott che andava al Tiri Vispi non era una buona cosa. Cercò di trattenersi, di dirsi che non era importante e che non le importava niente, ma alla fine perse contro se stessa e chiese: “E c’era anche Ron? Sai se gli ha detto… No, niente”. Sospirò piano e neanche si accorse di aver chiamato Weasley per nome. Quando ci pensò, sentì le guance arrossarsi e si giustificò dicendo che non poteva chiedere a Ginny quale dei suoi fratelli ci fosse senza per forza chiamarlo per nome. Già. Non poteva proprio. Si voltò e si avvicinò a Blaise che si incamminava verso una delle porte.

 

Ginny si voltò verso Malfoy che continuava a guardare verso la Serpeverde. “Cosa è successo?”
Il biondo alzò le spalle “Non lo so. Mi ha liquidato quando le ho chiesto se aveva discusso con tuo fratello per colpa di Nott. Tu sai cosa è successo con Nott?”
La rossa scosse la testa. “Io non so mai niente, a quanto pare…”
Pansy tende a tenere le cose per sé. Se tuo fratello riuscisse a farla aprire un po’… ma può darsi che ci abbia provato e che sia per questo che non si vedono più” difese l’amica il biondo. Ginny pensò che fosse un bel gesto da parte sua.
“Chi è che non si vede più?”
Malfoy sbuffò. “Piccola Weasley, ti facevo più sveglia. Pansy e tuo fratello non si vedono da qualche giorno. Dev’essere successo qualcosa, perché lei ha già iniziato a essere intrattabile” le confidò lui, abbassando la voce.
Ginny guardò verso i due Serpeverde oltre la porta aperta del salotto. Non si era accorta di niente. Possibile? Però che Pansy fosse più nervosa era vero. Ripensandoci adesso, qualche comportamento strano c’era stato. Era lei che non aveva afferrato bene la situazione. Poi tornò a guardare Malfoy. “Guarda, io ho scoperto poche ore fa che avevano una storia e adesso tu mi dici che è finito tutto. Per quel che ne so io, potrebbero essersi sposati stamattina e oggi pomeriggio aver divorziato” disse, ma forse aveva usato un tono un po’ duro.

 

Draco notò che la rossa aveva lo sguardo un po’ instabile. “Sei arrabbiata perché non te l’hanno detto oppure non volevi che stessero insieme?”
Lei alzò le spalle. “Se me lo avessero detto, non avrei fatto la figura della stupida. Con Pansy, con Ron, con Harry, con Hermione… Non mi interessa con chi va a letto Ron ma gli avevo detto che Pansy era fidanzata così le sarebbe stato lontano. Avevo paura che lui si approfittasse di lei…”
Draco strabuzzò gli occhi. “Chi, lenticchia?” esclamò incredulo prima di rendersene conto “Lenticchia approfittarsi di lei? Non ci sarebbe riuscito neanche se lo avesse voluto. Lei sa quello che fa”.
La rossa sorrise al soprannome, ma poi tornò di nuovo seria. “Pensavo che lei sarebbe stata meglio con un ragazzo che le volesse bene, più che per del sesso occasionale” disse.
Sesso occasionale? Pansy sapeva quello che faceva di solito, ma se non l’avesse saputo questa volta? Se la situazione gli fosse sfuggita di mano? E se lei era così nervosa perché lui stava facendo l’idiota?

 

Malfoy si fece serio e le chiese: “Dici che lui vuole solo…”
Ginny lo fermò alzando una mano. “Io non so più niente”. Le venne in mente il carillon, che Ron aveva aggiustato senza magia e aveva parlato di una ‘lei’… e se si fosse sbagliata? E se invece suo fratello fosse interessato a Pansy, nella maniera giusta? Guardò la Serpeverde che riportava un Zabini barcollante in salotto. Però il sesso le aveva fatto bene. Se n’era accorta anche lei. “Vado a casa” disse. Forse era il momento buono per scoprire un po’ di cose. Mmm le girava la testa. Forse il momento buono poteva essere il giorno dopo.

 

Pansy la guardò e annuì. “Prendi la metropolvere, chissà dove finisci se ti smaterializzi in quello stato” le disse.
“Ma figurati. Certo che ci riesco!” Poi la mora si rivolse al biondo e gli chiese: “Accompagni tu Blaise?”
Draco annuì e prima di avvicinarsi le disse: “Però domani finiamo il discorso”.
Pansy si irrigidì. Non c’era niente di cui parlare. “Domani vado a prendere Camille e nel pomeriggio torniamo a Hogwarts, come ben sai. Ne parleremo un’altra volta”.

 

Draco sapeva che lei lo stava liquidando e che non ne avrebbero mai parlato. Così si voltò verso la rossa e le sussurrò: “Vedi di scoprire qualcosa tu sul tipo alto, magro e scuro di capelli”.

 

Ginny spalancò gli occhi: le stesse parole di Camille. Merlino!
“Merlino!” esclamò infatti, portandosi una mano alla bocca. Pansy e Zabini si girarono verso di lei.
Si avvicinarono e Zabini esclamò: “Dra, non devi scandalizzare la Weasley quando io non sono attento!”
Ginny lanciò uno sguardo al moro e poi si rivolse verso Pansy. “Malfoy dice che Nott è alto, magro e scuro di capelli”.
Pansy spalancò gli occhi e guardò verso l’amico. “Hai detto così?”

 

Draco non capiva cosa stesse succedendo. A parte il fatto che se aveva parlato sottovoce, la Weasley avrebbe dovuto capire che non doveva dirlo agli altri e poi… poi… che problema c’era se anche lui avesse detto che Nott era così? Che problemi avevano le femmine?
Guardò Pansy e restò vago. “Può darsi”. Anche perché mica aveva detto una bugia! Nott era veramente altro, magro e scuro di capelli!

 

Ginny li guardò. Poi Zabini interruppe tutti dicendo: “Mi sa che vado a casa: ho sonno. Ci vediamo domani a scuola. Weasley vieni qui che ti do un bacio”.
La rossa inorridì ancora. “Non voglio che mi baci!” E si spostò dietro alla Serpeverde. Lui rise divertito e si avvicinò barcollando: era brillo anche lui.
“Stai lontano Zabini, o tiro fuori la bacchetta” lo ammonì lei. Lui rise ancora più forte e si avvicinò ancora.
Pansy lo fermò appoggiandogli una mano sul petto. “Dai, Blaise, non diventare molesto. Vuoi che ti accompagni a casa?”
Ginny non capì bene cosa passasse per la mente del moro, mentre guardava l’amica, ma lei non abbassò lo sguardo e lui scosse la testa, salutò e se ne andò con la metropolvere.

 

“Quindi?”Chiese Draco.
Pansy si andò a sedere su una delle poltrone, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e la faccia fra le mani.

Speriamo di no. Speriamo di no.
Ginny le andò vicino e si sedette su uno dei braccioli. “Non è detto. Non è detto che sia lui. Anche se sono le stesse parole. Non è detto. Chissà quanti ragazzi ci sono alti magri e mori…”
Pansy tirò su la testa. “Però ci hai pensato anche tu. Anche tu hai pensato che fossero le stesse parole di Camille”. Ginny annuì lentamente.
La Serpeverde si alzò e guardò Draco che, giustamente, non capiva. “Ti ricordi la sera che hai schiantato Weasley?” Draco annuì. “C’è stata una festa da Corvonero”, Draco annuì ancora “Ci sei andato? O sai se c’è andato Nott?”
Il biondo aggrottò la fronte. “Non ci sono andato. Ma Nott ha detto di esserci stato. È tornato ubriaco e disse di aver scopato. Io pensavo…”
Pansy sospirò “Cosa pensavi?” gli chiese.
“Pensavo che andassi a letto con lui”.

 

Lo sguardo della Serpeverde si fece atterrito. “Oh. Io con Nott?”.
Il biondo continuò: “Così gliel’ho chiesto”.
“Gli hai chiesto se veniva a letto con me?” Pansy sbarrò gli occhi.
“No. Gli ho chiesto con chi era stato.”
Ginny si alzò e sbuffò forte prima di chiedergli: “Merlino, Malfoy ti serve un invito scritto? È stato lui o no?”

 

Draco non capiva. Era stato Nott a fare cosa?
“A far che?” chiese. Ormai non gli interessava più di fare o meno la figura dello stupido: non capiva davvero.
“A mettere incinta Camille” tagliò corto la Serpeverde.
Ora Draco aveva capito: spalancò la bocca. Poi la richiuse. Nott? Era il tipo.
“Quella sera ha detto di esser stato con una ragazzina conosciuta da Corvonero. Quando gli ho chiesto se la conoscevo, disse che non ne era sicuro.”

 

Pansy si risedette. Merlino. Avrebbe chiesto conferma a Camille.
“Avrei dovuto dirle di stargli lontano. Avrei dovuto metterla in guardia. Avrei dovuto… per Salazar, lei così giovane, lui così…” si passò nervosamente una mano fra i capelli. Stava iniziando a tremare. Perché era successo? Quello stronzo di Nott sapeva che era sua sorella? L’aveva fatto apposta? Forse no.
Glielo avrebbe detto subito, probabilmente prima ancora di Camille, se lui l’avesse saputo. O forse no? Si stava immaginando tutto? Magari non era vero. Magari non era lui. Magari… sperò che almeno la sorella fosse stata consenziente e che lui non l’avesse ingannata.

 

Ginny notò che la Serpeverde iniziava a sragionare. Quando iniziò ad alzarsi e a camminare per la stanza come se loro non ci fossero e a parlare da sola, si spaventò. Voltò lo sguardo verso il biondo e vide che anche lui aveva uno sguardo preoccupato.
“Forse è il caso di andare a letto” iniziò la rossa.
Pansy si girò verso di lei e annuì. “Sì, sì. Buonanotte” disse senza vederli veramente.
“Io intendevo te. Dovresti andare a letto, Pansy” le disse. Si voltò di nuovo verso Malfoy e lui annuì.
“Sì, dovresti riposarti” la sostenne lui.
Ma la Serpeverde non li stava ascoltando. “Devo assolutamente chiedere a Camille se è stato lui davvero. Magari mi sto facendo una paranoia per niente. Che ore sono in Francia? Un’ora avanti o indietro? Perché non me lo ricordo mai?” disse ancora (a nessuno) controllando l’orologio.
Ora Ginny era seriamente preoccupata. “Pansy? Pansy, calmati. E fermati, per favore. Ora devi andare a letto. Davvero. Ti accompagno io in Francia, domani, e lo chiederemo a Camille, ma adesso bisogna dormire. Vedrai, dopo una bella dormita, tutto sembrerà meno brutto”. Le prese le mani e la guardò negli occhi.
Ma la mora era ancora agitata e non riusciva a guardarla: i suoi occhi continuavano ad andare da una parte all’altra della stanza.

 

Draco decise di prendere in mano la situazione, si avvicinò e le chiese: “Avevi fatto la pozione?”
Pansy lo guardò, ma sembrò non capire. “Che pozione?” ripetè.
“La pozione della pace. Ne avevi fatta ancora?”
Lei scrollò il capo “No. Quando non riesco a dormire bevo il Firewhisky, non serve la pozione”.
Ginny fischiò. “E poi ero io quella con lo stomaco di ferro!”
La Serpeverde si girò verso di lei, con sguardo corrucciato e le domandò: “Che vuoi dire?”
Draco si mise in mezzo, riportando l’attenzione dove doveva stare. “Che dovresti prendere la pozione. E andare a letto”.
Ma lei non era dello stesso parere. “Non c’è bisogno”.
“Mi stai dicendo che dormirai lo stesso?” continuò il biondo incredulo.
“Non c’è bisogno di dormire. Fra poche ore è giorno: posso andare subito in Francia.”
Draco sbuffò: stava sragionando. Si girò verso la Weasley e le disse: “Tua madre ha della pozione della pace da qualche parte, a casa vostra: valla a prendere. La mia è rimasta a Hogwarts”.

 

Ginny non gli chiese come facesse a sapere che sua madre ne aveva un boccetto in cucina. Lo sguardo del biondo era serio come quando aveva curato Hermione. Annuì e si smaterializzò a casa.
La cucina era vuota, per fortuna. Dovevano essere tutti a letto. Guardò la mensola sopra il camino. La pozione avrebbe dovuto essere lì. Si arrampicò su una sedia, per riuscire a controllare meglio, ma non c’era.
“Merlino! Dov’è?” Spostò la sedia verso la mensola sopra il forno e si arrampicò ancora.
“Cosa fai?” La voce di Ron per poco non la fece cadere.
“Sai dov’è la pozione della pace della mamma?” gli chiese.
“Perché?” Ginny sbuffò mentre il fratello si muoveva verso l’altro lato della cucina
“Perché ci serve” spiegò, continuando a tastare.
“A te e a Luna?” chiese lui, ironico.
“Non sono andata da Luna. Ho giocato a poker con i Serpeverde” spiegò lei.
Ron prese un boccetto da uno sportello e glielo passò, ma prima che lei riuscisse ad afferrarlo, il rosso lo spostò in alto, fuori dalla sua portata. “Allora per chi è? Malfoy ha un’altra crisi?”
Ginny lo guardò incuriosita. Che voleva dire? Ma adesso non aveva molto tempo.Lui però aspettava una risposta e disse la verità: “È per Pansy”. Il braccio del fratello si abbassò da solo, mentre il suo sguardo si faceva preoccupato.
“Per Pansy? Che è successo?”
La rossa si innervosì. “Vestiti e vieni anche tu. Così non dovrò spiegarti niente” disse mentre si appropriava della pozione.

 

Ron si guardò: era scalzo e aveva solo i pantaloni del pigiama. “Ok” rispose.
Appellò i suoi vestiti e bevve un bicchiere d’acqua (ciò per cui era sceso in cucina). Si vestì e dopo pochissimo disse: “Dove andiamo?”
Lei lo prese sottobraccio e si smaterializzò.

 

Ginny fece prima a prendere il fratello per un braccio che a dirgli dove doveva andare. Si materializzarono nel salotto della Serpeverde e vide il biondo girarsi verso di loro, mentre Pansy ancora si agitava camminando e gesticolando con le mani.
“È tornata la Weasley. E ha portato rinforzi” disse Malfoy, prendendo un braccio della mora. Lei si girò e quando vide suo fratello si bloccò e lasciò cadere le braccia.
Per un attimo, Ginny, pensò di aver sbagliato a farlo venire, ma poi la Serpeverde sorrise a Ron, solo a lui notò, e lei si tranquillizzò.
Vide il biondo camminare verso suo fratello e dirgli: “Te ne occupi tu?” Suo fratello annuì.
Malfoy si avvicinò di più al rosso e disse qualcosa che sentì solo lui. Ron rispose qualcosa e gli fece un cenno col capo. Ginny si sentì di nuovo esclusa. Com’è che quei due si parlavano tranquillamente, adesso? Sbuffò. Cosa doveva fare? Guardò il Serpeverde che la salutò, salutò Pansy e se ne andò.
Prima esclusa e ora di troppo. Passò la pozione nella mano del fratello e gli disse: “Ci vediamo a casa. O a Hogwarts”.
Salutò Pansy e se ne andò anche lei.

 

“Ti hanno abbandonato qui” gli disse Pansy.
Lui sorrise. “È sembrato anche a te? Mi hanno detto che hai bisogno di dormire”. E alzò il braccio mostrando la pozione.
“Di solito dormo ben poco quando sei qui” disse lei, maliziosamente. Il sorriso del rosso si fece più ampio.
“Dai, andiamo a letto” disse lui.
Pansy alzò un sopracciglio.  “Così? Senza darmi neanche un bacio?” chiese, anche se aveva capito benissimo le sue intenzioni.

 

Ron sentì le orecchie in fiamme. Lui non intendeva… voleva soltanto… oh, Merlino!

 

Pansy rise quando vide il suo sguardo e notò il rossore ai lati del viso.
“Prenderti in giro è facilissimo.”
E non si era mai divertita così tanto a farlo. Si avvicinò a lui per abbracciarlo, ma lui la fermò.
“Mi hanno detto di darti prima la pozione” disse lui, sostenuto.
Pansy si innervosì. “Ti hanno anche detto che ero agitata? Come puoi vedere non lo sono più”. Sarebbe riuscita a fargli credere di non essere agitata. E appena se ne fosse andato, sarebbe andata da Camille.
“O magari mi hanno detto di non farmi fregare da te” continuò il rosso. Gli occhi della ragazza si illuminarono di divertimento.
“Ok. Tutti contro di me” replicò, prese la boccetta dalla mano del ragazzo e ne bevve un sorso. Un bel sorso, così che non potesse dire niente. Ma senza farsi notare, non lo inghiottì. Sperò che lui non le parlasse e le desse il tempo di toccare la bacchetta per farlo sparire.
Ma lui fu più svelto di quel che immaginava: le appoggiò due dita sulla gola e le sussurrò: “Mandala giù”.
Lei non se l’aspettava e inghiottì davvero per la sorpresa.

 

La faccia di lei era impagabile e Ron rise.
“Non fare la bambina, non è cattiva” le disse.
La mora si imbronciò. “E tu che ne sai?” Poi cambiò espressione e, sorpresa, gli chiese: “L’hai presa anche tu?”
Ron alzò le spalle con noncuranza. Non gli piaceva molto il fatto di aver avuto bisogno della pozione.
“Oh. Per gli esami? O per… la guerra?” chiese lei.
Lui la guardò serio. “La guerra è stata brutta” sussurrò.
“Già.”
Lei tolse lo sguardo da lui, come se si vergognasse. E Ron immaginò che fosse davvero così. Le prese la mano e le baciò le dita. Aveva lo smalto rosso. Rosso sangue. Sorrise compiaciuto. “Ti porto a letto. A dormire” precisò. E insieme si smaterializzarono e andarono di sopra.

 

Dopo mezz’ora la pozione iniziò a fare il suo effetto. Pansy sentì il cervello rallentare e godersi il riposo. Decise di non opporre resistenza.
Era sdraiata a letto, appoggiata al petto del rosso (che però aveva tenuto la maglietta, con suo dispiacere) e bisbigliò: “Mi svegli quando vai via? Così saprò che sei stato qui davvero”. Sbadigliò.

 

Ron pensò di non aver capito bene. Doveva essere la pozione. “Va bene. Magari starò qui finché non ti svegli” le disse.
“Oh, chissà quanto dormirò. Odio questa pozione. Mi intontisce parecchio” confessò.
“Domani si torna a Hogwarts. Dovrai svegliarti per forza.”

 

Pansy collegò Hogwarts al fatto di dover andare a prendere Camille e collegò Camille a quello che avevano scoperto quella sera.
“Camille! Nott!” Non urlò, ma si tirò a sedere. Ma il rosso, stavolta, non si scompose, e la riportò sul suo petto.
“Non ci pensare” le disse.
“Sai che stasera, con tua sorella, ci è venuto il dubbio che possa essere Nott il padre del bambino di Camille?” Poi si morse il labbro. Odiava davvero la pozione.
“Non puoi fare niente, finché non lo chiedi a lei, quindi non ci pensare adesso” sentenziò.
“Tu non hai idea… se fosse veramente così… ehi, ma tu hai visto Nott al negozio, oggi!” Lui si irrigidì e lei lo sentì benissimo. Si girò per guardarlo in faccia. “Mi dispiace” gli disse.

 

Ron pensò che la pozione facesse più effetto del Firewhisky su sua sorella.
“Per cosa ti dispiace?”
“Per quello che ti ha detto” disse lei.
“Non sai quello che mi ha detto.”
“So com’è fatto Nott. L’unico a cui non dice niente è Draco. È un gran codardo e immagino che non sia venuto a comprare una puffola pigmea.”
Ron cercò di dare un senso a quelle informazioni e alla fine disse, per sdrammatizzare: “Potrei averlo beccato mentre le guardava e sceglieva il colore adatto che si intona alla sua stanza”.
Lei ridacchiò piano, prima di sbadigliare ancora. “Magari”.
Ron la strinse a sé e appoggiò la guancia sui suoi capelli. “Comunque non preoccuparti, non mi ha detto niente su di te”. Tralasciò il fatto che l’avesse insultata, memore di quello che Ginny aveva raccontato in pizzeria.
“Certo che non ti ha raccontato niente. Non saresti qui, altrimenti” disse lei, quasi mormorando.
Ron corrugò la fronte, ma lei non lo vide perché aveva riappoggiato il viso su di lui e chiuso gli occhi. “Che vuol dire?”
“Che vieni da me perché non sai niente di me. Quando scoprirai le cose che ho fatto, ti farò orrore” spiegò lei, con una naturalezza che gli fece accapponare i peli sul collo.
“Non mi farai orrore” esclamò con enfasi, ma tanto lei non lo stava seguendo con la giusta attenzione.
“E invece sì. L’ha detto anche lui”. Pansy sbadigliò ancora.
“Lui chi?”
“Nott. Ha detto che quando scoprirai come sono davvero, ti farà schifo anche solo…” La Serpeverde si era addormentata e non aveva finito la frase.
Ron invece ci mise una vita a prendere sonno.

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*** ok ok non mi odiate, è l'ultima volta che si mollano, davvero. ( o forse no? 😜)

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Capitolo 28
*** Proposte ***


 Proposte

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Erano tornati a scuola da una settimana quando gli allenamenti di Quidditch si intensificarono per l’imminente partita Grifondoro contro Corvonero. Questa volta si ricordarono di aggiornare Ginny su tutti gli allenamenti, ma lei rimase ancora sulle sue, senza dare troppa confidenza agli altri.
Alla rossa piacevano tantissimo gli allenamenti in quanto le permettevano di stare sulla scopa e volare senza troppi pensieri.
Peccato che dovesse condividere gli allenamenti con loro, pensò mentre si cambiava. Era rimasta l’ultima a uscire dagli spogliatoi femminili e infatti uscì da sola, al buio. Si strinse la sciarpa rosso e oro ben stretta al collo e si avviò verso l’ingresso del castello.
“Ginny!”
La rossa si spaventò e sobbalzò quando venne chiamata. Si girò per vedere chi fosse ma fuori tutte le luci erano spente.
Vide qualcuno avanzare verso di lei. Rimase ferma finché non riconobbe il ragazzo.
“Harry?” chiese.

 
“Ginny, pensavo non uscissi più!”
Nuvolette di fiato uscivano dalla sua bocca. Harry pensava che lei avrebbe trovato il suo cadavere congelato se avesse ritardato altri dieci minuti.
“Sì, ci ho messo un po’. Avevi bisogno?”
Sì, ho bisogno di te. “Io… volevo parlarti” disse.
Cercò di prenderle la mano, ma lei la ritrasse. La vide guardare verso la scuola e sospirare.
“Non c’è nulla da dire, Harry” disse Ginny, con il viso un po’ triste.
“Io invece penso di sì” replicò lui.
“Ah!”
Si incamminarono insieme verso il castello. “Io pensavo… Lo sai che non siamo mai usciti per un appuntamento?”
Lei si girò verso il moro per un attimo e poi continuò a guardare dritto davanti a sé. “Sì lo so” ammise.
Harry pensò di essere sulla strada giusta. “Ti andrebbe di… uscire con me?” le chiese sbarrandole la strada e costringendola a fermarsi.
“Oh. E dove vorresti andare?” gli chiese.
Merlino! A quello, Harry, non aveva pensato. Il primo weekend a Hogsmeade ci sarebbe stato dopo dieci giorni. Era troppo lontano? Beh, lui avrebbe potuto aspettare. Per lei avrebbe aspettato anche di più. “Potremmo andare a Hogsmeade insieme” propose. Lei lo guardò con uno sguardo strano ma non disse niente così lui cercò di farsi venire in mente qualcos’altro. “Potremmo andare da Madame Piediburro!” E sorrise: alle ragazze piaceva quell’orribile sala da tè. Sentiva spesso delle esclamazioni estasiate di ragazze invitate in quel posto.
“Madame Piediburro? Dove sei andato per il tuo appuntamento con la Chang?” esclamò Ginny con occhi spalancati.
Oh oh. A Harry morì il sorriso. Merlino! Non aveva pensato neanche a questo. E non è che Hogsmeade fosse poi tanto grande. O andavano al Tre manici di scopa (dove comunque andavano tutti) o non c’era un altro posto dove avrebbe potuto portarla, senza contare la Testa di Porco.
“Ma tu odi quel posto! Perché mi vuoi portare in un posto che non ti piace?” continuò la rossa. Ma non gli diede tempo di rispondere. Lo schivò e riprendendo la strada per il castello, disse: “Devo incontrare la McGranitt, scusami”.
Harry rimase basito e la guardò andare via. Com’era successo? Era partito così bene. Come aveva fatto a rovinare tutto, di nuovo?

 

Ginny allungò il passo sempre più velocemente e davanti al portone di ingresso si rese conto di aver corso. Perché Harry le aveva proposto una cosa del genere? Perché non le aveva chiesto di fare una passeggiata nel parco del castello? Il giorno dopo, invece che dopo due settimane? Era vero che non avevano mai avuto un appuntamento, ma non era così importante, no? Anche se le sarebbe piaciuto. Un appuntamento con Harry…
Pensò che avrebbe potuto proporgli di andare ai Tre manici di scopa invece di attaccarlo in quella maniera. Oh, perché era così istintiva? E perché era ancora così gelosa? Prima o poi lui si sarebbe stancato di lei.
Di lei, sempre così impulsiva. Magari era già troppo tardi. Si fermò e pensò di tornare indietro. Ma doveva andare veramente dalla McGranitt. Così sospirò e si avviò al primo piano.
Bussò piano alla porta dell’ufficio della strega e attese l’invito a entrare. Era già stata lì. Era l’ufficio del direttore della casa di Grifondoro. Non sapeva perché la preside fosse restia a usare l’ufficio di Silente. Oh, forse proprio perché era di Silente.

 

La McGranitt le sorrise di quel sorriso glaciale che solo lei riusciva a fare e la invitò a sedersi. Ginny, ubbidiente, si sedette. La preside tirò fuori una pergamena da una pila di altre pergamene e la tenne davanti al viso.
“Mi è arrivata questa richiesta da parte di Gwenog Jones per lasciarla uscire dalla scuola per partecipare a un allenamento questo sabato…” Ginny si innervosì. La McGranitt voleva fare storie per farla uscire dalla scuola? Cioè, Harry e suo fratello andavano e venivano quando volevano e lei invece non poteva partecipare all’allenamento che avrebbe potuto decidere il suo futuro?
“Beh…” iniziò, ma la preside la zittì con un’occhiata delle sue.
“Ho controllato il calendario e quel giorno abbiamo in programma la partita Grifondoro contro Corvonero…” La strega si tolse gli occhiali e li appoggiò sul tavolo, sospirò guardando in aria e poi li riprese e li rinforcò sul naso. “Quindi spero che non ci siano problemi se ho risposto che noi non avremmo mai potuto rinunciare alla nostra miglior cacciatrice e quindi ho dovuto spostare il suo allenamento con le Holyhead Harpies. Gwenog ha accettato la mia proposta e ha chiesto se lei può partecipare all’allenamento del ventuno…”
Ginny non riuscì a non fare un sorriso ebete. Invece del mese prossimo, Gwenog, come la chiamava la McGranitt, l’aveva richiamata subito. E la preside aveva contrattato con il Capitano per non farle perdere la partita? Wow.
Poi la preside continuò: “Solo che il ventuno è un giovedì, in quanto sabato ventitre la squadra ha una partita importante in Cornovaglia e lei, signorina Wealsey, ha delle lezioni che non può mancare…”
“Non posso andarci?” Alla rossa sparì il sorriso. No! Lei voleva andarci! Anche se era giovedì, anche se fosse stato domenica mattina. Anche…
“Se lei mi facesse finire…” disse la McGranitt stirando le labbra. Ginny richiuse la bocca e si rimise tranquilla. “Siccome è un giovedì e lei ha delle lezioni a cui non può mancare…” continuò.
La rossa le avrebbe lanciato una Cruciatus quando la preside fece una pausa lunghissima. Sicuramente lo fece apposta.
“Pensavo di lasciarla andare a Hogsmeade subito dopo la fine delle lezioni del mattino e poi lì, dall’ufficio postale dove ci sarà una persona di mia conoscenza, vi potrete smaterializzare direttamente allo stadio per l’allenamento. Stessa cosa per il ritorno.”
Ginny esplose in un “Sì!” molto poco contenuto, ma poi si bloccò. ‘Loro’ chi? “Chi verrà con me?” chiese sospettosa.
“Beh, pensavo di non lasciarla andare da sola. So che è maggiorenne, ma…” fece un lungo sospiro e continuò “Preferirei che si facesse accompagnare da qualcuno. Non so, dal signor Potter, forse?” proferì la strega.
Ora a Ginny caddero le braccia. Sarebbe stato tremendo. Sarebbe stata in imbarazzo con Harry per il tragitto fino a Hogsmeade e nervosa saperlo lì allo stadio a guardarla.
“Deve venire per forza Harry? Cioè, il signor Harry… Potter, il signor Potter?” chiese ingarbugliando le parole.
La McGranitt raddrizzò la testa un po’ rigidamente. “No?”
“Oh, io bo... Non so professoressa… Preside…” Ginny balbettò ancora e la preside tornò alla sua solita espressione.
“Basta che sia una persona maggiorenne e potrà scegliere chi vuole, va bene, signorina Weasley? Ha comunque tempo per pensarci” dichiarò alla fine.
La rossa annuì. La preside la congedò e lei andò a cena.
Era presto, infatti, il tavolo era semideserto. Si sedette, pensando ancora alla conversazione avuta con la McGranitt.
Si guardò intorno: Neville si sedette poco più in là e la salutò con la mano. Lei gli sorrise. Neville era un carissimo amico: peccato che non gli interessasse il Quidditch. Si sarebbe annoiato a morte.
Idem per Pansy, che vide arrivare dai sotterranei con Zabini. Zabini no, per Godric, se avesse portato lui non l’avrebbero mai presa in squadra per paura di rivederlo!
Entrarono in sala grande anche Micheal e Goldstein. No e no. Entrò anche Luna, seguita dalla Patil e Steeval. Ancora no. Per quanto le piacesse l’idea di portare Luna, sapeva che lei capiva troppo poco di Quidditch per essere una buona idea. Sospirò.
“Se ogni volta che un zellino sospira… no. Se avessi sospirato ogni volta… no. Merlino, che proverbio del cavolo. Hermione com’era?” Ron si sedette di fianco a lei e Hermione si sedette al di là del tavolo.
Ron. Avrebbe potuto portare Ron. A lui sarebbe piaciuto tantissimo e l’avrebbe ringraziata tutta la vita.
Se non fosse stata arrabbiata con lui. Ma alla fine non era arrabbiata. Come per Hermione e Harry, lei non era arrabbiata. Era solo… delusa. C’era rimasta male. Più che per quel che era successo, per come si era sentita. Così non disse niente e iniziò a mangiare.
“Pansy mi ha detto che hai tu le Orecchie Oblunghe che ho lasciato in camera mia a Natale” le disse il rosso. Ginny guardò il fratello e annuì con il capo.
Poco dopo arrivò anche Harry. “Ti davamo per disperso, Harry” disse Hermione.
E se avesse davvero portato Harry?

 

Harry guardò Ginny, ma lei sembrava pensierosa e guardava il piatto. Era strano che si fosse seduta vicino a loro, quindi lo prese come un buon segno.
“Oh, ho fatto tardi in biblioteca” mentì.
Hermione si girò verso di lui. “Davvero?” disse incredula.
Harry la guardò con un’occhiataccia: non voleva dire di aver cercato Ginny per tutto il castello da quando era scappata via da lui perchè pensava che l’incontro con la preside fosse una bugia.
Ginny alzò lo sguardo e lo guardò, ma sembrava che non lo vedesse.
 “Ciao Harry” lo salutò. Poi si voltò verso il fratello. “Ti vado a prendere le Orecchie Oblunghe”. Si alzò e imboccò la porta.

 

“Mi sa che è ancora arrabbiata” disse Hermione guardando la rossa che usciva dalla sala grande.
“Magari. Se fosse arrabbiata scalpiterebbe e urlerebbe. Sembra così calma… non sembra più neanche lei…” Ron si girò verso la sorella giusto un attimo e poi tornò a mangiare. “Magari dopo le parlo”.
“E cosa vorresti dirle?” gli chiese la riccia.
“Boh, che non sono fatti suoi chi frequento, forse?” Hermione sbuffò alla sua stupida risposta.
“Sbuffi anche tu, adesso?” la incolpò Harry.
“Ehi, cerchiamo di non litigare fra di noi, per piacere?” disse ancora la strega, innervosendosi. Poi riportò l’attenzione sul rosso. “La Parkinson cosa dice?”
“Di cosa?” le chiese lui, sorpreso.
Lei soffiò e arricciò nervosa le labbra. “Che hai litigato con Ginny!” Lui alzò le spalle.
“Non parliamo di queste cose” rispose con noncuranza. Ma come?
“Loro non parlano molto” disse Harry e fece un sorrisino furbo a Hermione.
“No, infatti. Ogni volta che parliamo litighiamo” ribattè Ron aggrottando la fronte. “Non so perché” concluse poi, alzando ancora le spalle.
“Perché parlate troppo poco, probabilmente” spiegò Hermione. Era così semplice, chissà perché non c’era arrivato da solo.
Il rosso alzò un sopracciglio. “Quello che dici non ha senso!”
“No, invece. Parlare indica che si ha fiducia uno nell’altro e…” iniziò lei, ma venne interrotta da Harry che tossì.
“Possiamo cambiare argomento? Evitiamo di parlare di fiducia? Fatelo per me…”
Hermione si zittì e rivolse tutta la sua attenzione al cibo.
Ron invece pensò alle sue parole, guardando la porta da cui era uscita sua sorella. Fiducia? Fiducia.

 

***

 

Come aveva previsto, Ginny non tornò in sala grande. Ron la andò a cercare dopo cena.
La trovò in sala comune, seduta a gambe incrociate per terra, mezzo nascosta da una miriade di ragazzini dei primi anni che ascoltavano rapiti quello che raccontava. Ron si avvicinò, ma lei non poteva vederlo perché gli dava le spalle. Si sedette e l’ascoltò anche lui: Ginny parlava a voce bassa, ma il suo tono era molto coinvolgente.
Raccontò di loro tre, Harry, Hermione e lui, della guerra, di quella battaglia in cui persero la vita tante persone (e tante persone a loro care) e raccontò di come Harry avesse sconfitto Voldemort.
Spiegò loro di come Harry riuscì a sopravvivere, di come l’amore di sua madre l’avesse protetto e di come l’amore proteggesse tutti loro, di come i maghi malvagi fossero caduti sotto gli incantesimi delle brave persone, di come Harry, lui e Hermione avessero salvato il mondo magico. Tutto.
Qualche ragazzino si addormentò sorridendo, qualcuno fece qualche domanda, qualcun altro rimase a bocca aperta fino alla fine. Quando finì, Ron sentì la voce di Ginny incrinarsi.
Si guardò intorno e vide i due prefetti del quinto anno e fece loro cenno di occuparsi dei ragazzini. Andò verso la sorella, la prese delicatamente per un braccio e la fece alzare. Lei si girò verso di lui. “Ron!” esclamò, sorpresa.
“Non sei tornata a cena. Vieni con me” le disse a mo’ di spiegazione. La portò nel dormitorio maschile. Aprì la porta della camera del settimo anno e la fece sedere sul letto.
“Ho le tue Orecchie…” iniziò, mettendo una mano in tasca, ma lui la bloccò.
“Sei tu che racconti della guerra ai primini?” le chiese, stupito.
Sapeva che qualcuno raccontava la guerra e tutto ciò che era successo, ma non si era mai interessato abbastanza da informarsi su chi fosse a farlo.
“Sì. Lo facevo prima di lasciarmi con Harry, ma Hermione mi ha detto di continuare....” disse un po’ imbarazzata
“Sei stata brava. Lo racconti bene” si complimentò.
“Oh. Grazie…”

 

“Mi dispiace, sai?” le disse Ron e Ginny guardò il fratello.
“Per cosa ti dispiace?” gli chiese, non capendo.
“Di non avertelo detto.”
Lei annuì: intendeva Pansy.
“Avevi ragione. Non sono fatti miei. Ho sempre odiato quando t’impicciavi tu” lo difese.
Lui sorrise. “Quindi non sei arrabbiata con me?” le chiese.
“Adesso no.”
“Adesso?” ripetè lui.
Lei fece una smorfia. “Se la farai soffrire mi arrabbierò molto” annunciò, seria.
“E se lei facesse soffrire me?”
Ginny alzò lo sguardo verso di lui. “Se lei… Ron… sei… innamorato?” chiese spalancando gli occhi sorpresa. Si scoprì a sorridere.
Lui scrollò le spalle. “Non voglio parlarne con te” disse.

 

Ron non voleva veramente parlare con sua sorella di quelle cose.
“Non voglio parlarne con te” disse.
“Ok. Allora cosa volevi?” gli chiese lei, lasciando subito perdere, per fortuna.
“Voglio sapere se funzionano le Orecchie Oblunghe. Le ho modificate io” disse orgoglioso.
“In che senso? Funzionano come sempre” spiegò Ginny, alzando le spalle. Il rosso aggrottò la fronte. Ma come? Non le aveva usate? Non era stato fantastico?
“Quindi non hai notato niente di diverso?” Che avesse capito male? Pansy gli aveva detto che lei le aveva usate per ascoltare la conversazione di Camille con la sua amica, quando erano andate in Francia, (cosa si fossero dette, però, non glielo aveva comunicato) così lui aveva creduto che…
“Diverso?” chiese, stupita.
Ron sbuffò. Forte. O sua sorella si era rincretinita o si stava prendendo gioco di lui.
“Cosa hai sentito?” le chiese. Ginny divenne un po’ rossa sulle guance e lui la guardò inclinando la testa. “Non cosa di preciso. Più che altro come” si corresse.

 

Ora a Ginny sembrava che Ron parlasse un’altra lingua.
“Ron, spiegati meglio. Sono stanca e poco ricettiva” gli disse.
“L’amica di Camille… parla inglese?” chiese lui.
“Eh, io che ne so… però, aspetta, al locale non ha mai parlato inglese. Perché me lo chiedi?”
“Tu non sai il francese” disse ancora.
“No” confermò Ginny.
“E sei sicura che fra di loro, abbiano parlato inglese, quando le hai… ehm… sentite?” Ginny spalancò gli occhi. Nella foga del momento non ci aveva fatto caso. Lei aveva capito tutto quello che si erano dette. Ma loro, essendo due francesi, probabilmente avevano parlato nella loro lingua.
“Vuoi dire che loro hanno parlato in francese e io ho capito tutto lo stesso?” chiese, curiosa.

 

Ron rise. “Beh, dovresti dirmelo tu, a dir la verità” esclamò.
Lei alzò le spalle. “Non ci ho fatto caso. E non ho intenzione di chiedere a Camille che lingua parlasse mentre origliavo!” Ora rise anche Ginny e lui annuì. “Ma… mi stai dicendo che hai modificato tu le Orecchie Oblunghe per riuscire a tradurre il francese?”
Ron annuì ancora, sorridendo. “Già. Figo, eh? Pensa che il Ministero ci ha chiesto di presentargliele, che valuteranno l’idea dell’acquisto in blocco”.
“Ma è stupendo! Grande!” Ginny si alzò entusiasta e l’abbracciò.
“Non ti sembro più un imbranato, eh?” le chiese, un po’ nervoso.
“Non sei un imbranato, se non qualche volta” lo prese in giro Ginny.
“Tipo quando tua sorella ti chiede di star lontano dalla sua amica?” azzardò.
“Come?” chiese lei, corrugando la fronte.
“Pensavi che non fossi abbastanza per lei, vero? O forse lo pensi ancora?”
Forse non aveva cambiato idea su di lui.
“Io non ho mai pensato una cosa del genere!” La rossa spalancò gli occhi.

 

Ginny rimase di sale. Perché Ron pensava una cosa del genere?
“Hai detto che si meritava di meglio…” disse lui, imbarazzato.
Oh. Si erano capiti male. “Io intendevo di diverso. Pensavo che volessi solo portatela a letto. E se sapessi in quanti vorrebbero…”
Lui la interruppe: “Sì sì, immagino”.
“Mi spiace che tu abbia capito male. Io non ho una brutta opinione di te!”
Poi ghignò beffardamente e disse: “Non sempre”.
Lui rise e l’abbracciò ancora.

 

Harry entrò in camera vedendo una coppia abbracciata.
Riconobbe subito Ginny dalla folta capigliatura e il suo petto si strinse in una morsa. Poi riconobbe Ron e sospirò contento.
Aveva avuto paura per un momento. Un lunghissimo momento. Poi Ginny si voltò verso di lui e ancora sorridendo lo salutò, prima di uscire dalla stanza.

 

***

 

“Tu non sai quello che mi fai.”
La voce di Draco vibrò prima di chinarsi a baciare Hermione sulle labbra. E la baciò ancora. E ancora. “So quello che fai tu a me. Spero che sia simile” disse lei, sorridendo. Lui, che non la stava guardando in viso, sentì il sorriso nelle sue parole.

 

“O no. È molto di più” la corresse lui.
La festa che c’era dai Corvonero era divina, secondo Hermione. Beh, era la prima vera festa a cui partecipava, escludendo quelle per il Quidditch.
La ragazza che metteva la musica, una brunetta con un piercing sul naso e un tatuaggio che si vedeva attraverso la maglietta, aveva messo i lenti e lei era abbracciata a Draco da quando erano iniziati. Fra non molto la musica sarebbe cambiata di nuovo.
“Andiamo a prendere da bere?” le chiese lui e Hermione annuì. Lui si staccò da lei, tenendola per mano e trascinandola verso il tavolo dei beveraggi.
“Ciao, Hermione!” Luna, con i suoi occhiali, la collana di tappi di burrobirra e uno dei suoi strani vestiti, la salutò con la mano.
“Ciao, Luna! Come stai?”
“Io sto bene e sembra anche tu” rispose la bionda, guardando Draco.
La riccia aveva da poco iniziato a frequentare il Serpeverde pubblicamente e tutti li guardavano in maniera strana o incuriosita.
Luna no. Era come se lei avesse sempre saputo. Hermione pensò che fosse così. Così punto e basta.
“C’è Ginny con te?” le chiese un po’ titubante.
Luna riportò lo sguardo su di lei e le rispose: “No, Ginny non è voluta venire”.
La Corvonero continuò a guardarla in maniera strana e Hermione si sentì un po’ in imbarazzo. Forse Ginny ce l’aveva ancora con lei. Non le aveva parlato veramente dal giorno prima di tornare a Hogwarts. E lei l’aveva evitata.

 

Draco, capendo che qualcosa non andava, le circondò le spalle con un braccio e la baciò sui capelli mentre le passava un bicchiere appena versato. Luna sorrise.
“State bene insieme” disse. Draco la ringraziò. Luna fece un’altra faccia strana. “Perché mi hai ringraziato?”
Il biondo si girò verso Hermione, non capendo la frase della Corvonero.
La riccia venne in suo aiuto. “Ti ha ringraziato perché hai detto una cosa gentile” spiegò Hermione alla bionda.
Luna inclinò la testa di lato. “Io ho detto quello che penso” dichiarò Luna.
“Allora grazie per aver condiviso con noi quello che pensi.”
Hermione conosceva la biondina abbastanza da sapere di non seguire una logica normale.
“Penso anche che dovresti parlare con Ginny. Lei è così triste, ultimamente. Molto più di quando Harry l’ha lasciata perché pensava che l’avesse tradito con lui” continuò Luna indicando il Serpeverde.
Hermione sospirò e annuì con un sorriso.

 

Luna guardò i due ragazzi andare via. Erano molto carini insieme. Lui la guardava come se non avesse mai posato gli occhi su qualcosa di così bello. Sorrise.
Quando sarebbe arrivato il suo momento, avrebbe voluto un ragazzo che la guardasse così. Un ragazzo più normale, però.
Malfoy era così strano, secondo lei. A lei sarebbe bastato un ragazzo a cui piacessero le stesse cose che piacevano a lei, che amasse gli animali e correre nei prati.
Un giorno l’avrebbe trovato. Sapeva che lui era lì fuori, ad aspettare di incontrarla. Sorrise ancora.
Vide Neville che la cercava e si avviò salutando nella sua direzione. Invece quel ragazzo doveva fare qualcosa al più presto, altrimenti Hannah avrebbe pensato di non piacergli e si sarebbe guardata intorno cercando un altro.

 

“Hai litigato con la piccola Weasley?” chiese Draco a Hermione, mentre si dirigevano verso una delle aule vuote del secondo piano. La ronda dei prefetti era già finita, così avevano campo libero. Sempre che non li beccasse Gazza.
La riccia alzò una spalla. “Una cosa così. Non abbiamo proprio litigato, ma non è come prima” spiegò.
Lui si preoccupò un po’. La piccola teppista era l’amica più… come dicevano le ragazze? Più cosa? Insomma, era l’equivalente di Zabini per lui. Gli dispiaceva che loro non avessero più quel legame di prima. In fin dei conti era stata la rossa ad aiutarlo con Hermione. Avrebbe potuto provare a essere d’aiuto.
Contò fino a dieci. Poi fino a quindici. Aspettò ancora, ma lei non disse niente. Sospirò piano. E, alla fine, lo disse: “Vuoi parlarne?”
Sperò comunque che lei non volesse parlarne. Sapeva come andavano a finire queste cose: avrebbe ascoltato una filippica fatta di ‘lei ha detto’ e ‘io ho risposto’ e alla fine avrebbe dovuto dare ragione alla sua ragazza, che tanto avrebbe avuto da ridire.
Hermione, però, scosse la testa. Lui subito esultò, ma quando vide la sua espressione capì che la cosa intristiva anche lei. La guidò verso l’aula che usavano di solito, incantò la porta e fece apparire un letto.
“Perché c’è un letto?” chiese lei.
Lui capì che voleva iniziare una discussione, e la baciò. “Perché stasera rimaniamo insieme, ok?”
Le passò le mani fra i capelli, sulla nuca, massaggiandole la testa con i polpastrelli. Aveva imparato che lei si rilassava quando lo faceva. Poi, le spostò una ciocca dietro l’orecchio e le accarezzò la guancia. Lei aveva chiuso gli occhi e si stava lasciando andare. Quando gli appoggiò il viso sul petto, Draco le baciò la fronte.
“Cosa farei se non avessi te?” chiese lei sottovoce.
“Ci sarebbe un altro” rispose. Magari migliore di me.
La ragazza si staccò da lui e si tolse il maglioncino. “Sono molto pignola a scegliere. Non penso ci sarebbe un altro” disse.

 

Hermione si tolse il maglioncino e sbottonò la camicia di lui. Gliela tolse e si girò fra le sue braccia. Appoggiò la schiena al suo petto e gli prese le braccia per stringersele addosso.
Il suo marchio nero era lì, sbiadito come un vecchio tatuaggio babbano, che la guardava. Abbassò lo sguardo a guardarlo: non lo aveva mai fatto veramente. Ci passò sopra un dito, per tutta la lunghezza. Lui si irrigidì e provò a spostare il braccio, ma lei lo tenne fermo con l’altra mano. Gli prese le dita e alzò il braccio fino all’altezza del suo viso. Baciò il disegno. Lui ebbe uno spasmo involontario.
Hermione lo baciò ancora. Si voltò e lo guardò in faccia. “Io ho scelto te. Tutto quello che sei”. Draco la guardò con il fiato corto. Ma poi volse lo sguardo in basso. “Dovessi dirtelo per i prossimi quarant’anni. Io ho scelto te. Sei ciò che voglio” continuò e poi lo obbligò a guardarla.
Il biondo le passò un braccio dietro la schiena e con l’altra mano sulla nuca si avvicinò la ragazza al viso. “Allora mi avrai. Tutte le volte che vorrai”. E posò le labbra sulle sue.

 

Draco avrebbe voluto darle un bacio dolce, di quelli che le ragazze ricordano per la vita. Ma il suo tocco caldo, che sentiva tramite la pelle del petto, gli impedì di controllare il bacio. Fu un bacio famelico, bramoso e ardente. Ma a lei piacque. Ricambiò con trasporto e si strinse a lui come se ne andasse della sua vita.
E lui non pensò più di non meritarsela. Non pensò che fosse un momento rubato né che fosse per un periodo limitato. Per la prima volta, sperò.
Sperò che lei rimanesse con lui. Per sempre.

 

***

 

Harry aveva detto a Ron che voleva invitare Ginny a Hogsmeade per un appuntamento da soli e che quindi non sarebbero andati insieme loro due.
Ron ci aveva pensato su tantissimo. Gli sarebbe piaciuto invitare Pansy. Ma non si erano mai fatti vedere in giro, loro due.
Avevano passato molte sere da soli e avevano chiacchierato di cose di poco conto quando si erano incontrati in giro per il castello, ma per il resto, niente.
Quando la vide, quel pomeriggio in biblioteca, Ron le si sedette vicino e cercò di prendere un po’ di coraggio. Non aveva mai invitato nessuna a uscire. “Sabato prossimo si va a Hogsmeade” esordì, contento di non essersi intartagliato. Lei lo guardò incuriosita. E non disse niente. Così lui andò avanti.
Ma non sapeva bene cosa dire, così ercò di prenderla alla lontana, anche se non era proprio molto coraggioso da parte sua. “Io dovevo uscire con…” iniziò.
Gli era venuto in mente in quel momento che avrebbe potuto proporre un’uscita a quattro con Harry e Ginny. Avrebbe aiutato sia lui che Harry, pensò. Perché loro non ci avevano pensato prima?
Ma lei non gli fece finire la frase e disse: “Guarda che puoi uscire con chi vuoi”.

 

Pansy si era sforzata di parlare normalmente. Il rosso le stava dicendo che aveva promesso a un’altra ragazza di uscire? Beh, lei non lo avrebbe mica pregato di non farlo. In fin dei conti non le interessava. Ok, sì le interessava, a dir la verità: non voleva che uscisse con un’altra.
Ma a lui non l’avrebbe mai detto.

 

“Come?” Ron non aveva capito.
“Ho detto che puoi uscire con chi vuoi. Non sei obbligato a fare niente con… me. Noi… noi non stiamo insieme” rispose lei.
La Serpeverde, aveva riportato lo sguardo sulla pergamena, come se fosse molto più importante di lui.
“No?” chiese solamente, prima di pensarci. Oh, complimenti Ron, ora lei penserà che tu sia un troll! Lei lo aveva guardato ancora di sfuggita.
“No” confermò.
“Ah” esclamò. Non le disse che non voleva uscire con nessun’altra. Non le disse che voleva uscire con lei. Non le chiese neanche perché avesse detto così. “Ma stasera… ci vediamo?” chiese soltanto.
“Stasera, ho qualche… impedimento” disse lei, ma non lo guardò.
Lo stava scaricando? “Del tipo?”
Lei lo guardò in modo strano e lui capì che era in imbarazzo. Voleva vedersi con un altro? Non voleva farsi vedere con lui? O cosa?

 

Pansy riportò l’attenzione sul rosso. E tutto crollò intorno a lei. Ma solo per un momento. Un lunghissimo momento. Lui aveva di nuovo quello sguardo. E lo aveva, di nuovo, provocato lei.
Era imbarazzante dirgli che lei aveva il ciclo e non potevano ‘vedersi’. Così non glielo disse e riportò la sua attenzione ai compiti.
“Non posso e basta.”

 

Ron vide Dean che si alzava qualche tavolo più in là e veniva verso di lui.
“Ron, vieni all’allenamento?” gli chiese.
Il rosso controllò l’orologio e annuì. “Sì, sì, arrivo subito” gli rispose e il moro se ne andò.
Prima di alzarsi Ron posò una mano su un braccio della Serpeverde e lei sobbalzò. “Ma domani vieni alla partita?” chiese. Non concluse la frase con un ‘almeno’ perché gli sembrava di pregare per un tozzo di pane, ma ci mancò poco che lo facesse.
“Sì, va bene” rispose la Serpeverde.
Lui sorrise, ma lei non ricambiò il sorriso, anzi non lo notò neppure.

 

***

 

Harry notò che Ron non era in forma e aveva la testa altrove. Per Godric, era l’ultimo allenamento prima della partita! Il rosso era formidabile, quando stava attento e prestava la giusta attenzione.
Gli volò vicino e si affiancò a lui. “Ron, c’è qualcosa che non va?”
Lui si irritò e gli rispose un po’ scontroso: “No, perché?”
Harry sospirò. C’era sicuramente qualcosa che non andava. “Così. Non sembri proprio…”
La pluffa sibilò accanto all’orecchio di Harry, interrompendolo e colpì Ron alla testa. Si voltarono insieme verso Ginny che ridacchiava. “Scusate” gridò alzando una mano con uno sguardo fintamente dispiaciuto .
“Io la uccido!” Il rosso partì a razzo verso la sorella, ma lei fu più veloce e scappò via ridendo. Harry volò dietro a Ron e riuscì a fermarlo sbarrandogli la strada.
“RON! RON!” urlò. L’amico si voltò verso di lui, con gli occhi spalancati dall’ira. “Calmati, Ron” ripetè.
Lui si fermò, principalmente per calmarsi, ma quando dalla tribuna ci fu uno scoppio e la frase “Forza Ron Weasley” si alzò dagli spalti in un rosso fiammante, si innervosì ancora di più e volò verso il gruppetto di ragazzine che stava assistendo all’allenamento.

 

“Basta! Basta! Piantatela una buona volta! Oggi non è proprio giornata! Smettetela con le vostre scritte! Mi distraete e non riesco a concentrarmi! Volete farci perdere la partita?” Le ragazzine si ammutolirono e sbarrarono gli occhi.
Ron sapeva di aver usato un tono troppo duro per la situazione, ma l’ultima cosa che voleva, al momento, era tutto quel vociare, le risatine e le frasi luminose che loro continuavano a mandare. Sembrava che fosse a gara a chi faceva la scritta più grande e accecante. Sperò che la piantassero.

 

“Che succede a Ron?”
Ginny volò vicino a Harry. Lui calcolò che se si fosse sporto dalla scopa appena un po’, sarebbe riuscito a baciarla. Sempre che lei non si spostasse. Ed era abbastanza sicuro che lei si sarebbe spostata. E lui sarebbe caduto. E lei avrebbe riso. Di lui.
Sospirò. “Non lo so” ammise.
“Speriamo che gli passi, andare a domani” mormorò lei.
“Sì, vedrai che andrà tutto bene” disse, poco convinto.
Ormai mancavano solo cinque minuti alla fine dell’allenamento e decise di terminare in anticipo. Tanto non avrebbero fatto tanti progressi, di quel passo.
Si tolsero la divisa e mentre si rivestivano Ron si sedette sulla panca e guardò il soffitto pensieroso.
Harry gli andò vicino. “Tutto bene?” gli chiese e il rosso annuì. Sembrava molto più calmo di prima.
“Sai che pensavo?”
Harry si infilò i jeans e si sedette vicino a lui. “Dimmi tutto”.
“Hai detto che Ginny non ha preso bene la tua richiesta di un appuntamento” iniziò.
Harry aprì la bocca e la richiuse. Aveva raccontato a Ron di quello che si erano detti lui e Ginny in confidenza, ma lì con loro nello spogliatoio, c’erano anche gli altri. Guardò i ragazzi che chiacchieravano, specialmente Dean: non gli piaceva l’idea che lui sapesse che con Ginny non andasse tutto bene. Non era sicuro del perché.
“Abbassa la voce” sussurrò Harry.
Ron si guardò intorno e disse: “Sì, scusa”. Si avvicinò ancora di più e continuò: “E se uscissimo in quattro?”
Harry lo guardò: quale parte del fatto che volesse rimanere da solo con Ginny non aveva capito? Però come idea non era malaccio…
“Ginny non vuole uscire con me” ammise il moro, sottovoce.
Lui alzò una spalla. “Se è per questo neanche Pansy vuole uscire con me”.
Harry rise  e tutti si girarono. “Allora mi sa che abbiamo un problema”.

 

***

 

Pansy aspettava pazientemente con la Granger, in attesa che Draco si facesse vedere. Attendevano da un po’ davanti all’entrata dello stadio, la partita Grifondoro contro Corvonero sarebbe iniziata dopo poco.
“Vado a prendere i posti, tu aspetta Draco, ok?” La Serpeverde si incamminò dentro lo stadio e guardò verso le tribune.
Quando vide un posto decente dove avrebbero potuto sedersi tutti e tre, iniziò a salire i gradini. Arrivata su, si sedette e guardò in basso, per vedere l’arrivo della Granger e di Draco e far loro sapere dove fosse.
Intanto si guardò intorno: la tribuna dei Grifondoro era gremita. C’erano anche le ragazzine che facevano il tifo per i rosso e oro, anche se erano ancora stranamente silenziose. Non ci fece molto caso.
Guardò i giocatori in campo che si riscaldavano: Potter, con la divisa da capitano volava dando istruzioni e, non troppo lontano, Ginny svolazzava intorno a lui, anche se in maniera non troppo evidente. Sembrava carica e sorridente.
La salutò con la mano e lei ricambiò. Cercò anche il portiere e lo vide, vicino ai pali: sembrava un po’ instabile sulla scopa. Sperò di sbagliarsi.
Guardò le persone sedute sui gradini: poco più in là, vide Camille con Astoria. Camille aveva negato, quando lei l’aveva messa alle strette, che fosse Nott il padre del bambino. Ma lei aveva ancora una brutta sensazione. E la faccia della sorella le aveva fatto capire che non fosse del tutto sincera. Forse era stata un po’ aggressiva? Merlino, era molto probabile che fosse stata aggressiva! Si parlava di Nott. Avere a che fare con Nott avrebbe reso aggressivo chiunque. Sospirò. Ci avrebbe provato ancora, magari con più gentilezza.
Vide Draco e la Grifondoro cercarla fra la gente e fece loro un cenno con la mano.

 

“Eccoci” disse la riccia.
La Serpeverde annuì, mentre loro si sedevano. La Bumb diede il via alla partita e liberò le palle. Il boccino volò subito via, leggero e dorato come la scia che lasciò. La partita iniziò, ma i Grifondoro non partirono benissimo: i Corvonero si impossessarono della pluffa e riuscirono a fare i primi dieci punti.
Il ragazzo che faceva la cronaca ebbe da ridire su come il portiere dei Grifondoro non sembrasse molto sveglio. Il rosso in questione si agitò e fece un gestaccio che per fortuna l’arbitro non vide.
Subito dopo riuscì a parare un tiro. E la pluffa cambiò campo.

 

Pansy osservava lo svolgimento del gioco un po’ stranita: se il rosso aveva fatto quella parata, perché non era partito il coro delle ragazzine? Neanche un fuoco d’artificio, una scritta, niente di niente.
Ginny e un altro cacciatore riuscirono a segnare qualche tiro, poi la pluffa fu di nuovo presso l’area dei pali dei Grifondoro: ancora niente scritte. I Corvonero segnarono ancora.
Ma poi, dopo pochi minuti, quando ci riprovarono, Ron riuscì a parare ancora: niente di niente.
Non riuscì più a stare zitta e chiese: “Ma perché non fanno il tifo, le ragazzine? Perché non ci sono più scritte?”
La Granger alzò un sopracciglio. “Ieri Ron si è arrabbiato con loro, dicendo che lo distraevano e ha detto di non farle più” spiegò.
“Ma è una stro… una cosa stupida! Lui ha bisogno del tifo!”

 

Hermione sorrise. “Dici?” chiese.
“Certo. Ma è una cosa che sanno tutti!” le rispose la Parkinson, un po’ agitata.
“Forse lui pensa di non averne bisogno” disse lei, continuando a sorridere.
“Forse i maschi a volte sono un po’ dei troll” ribadì la Serpeverde sbuffando. La riccia ridacchiò sottovoce, era una bella cosa che lei si preoccupasse così per Ron.
Però, quando vide la Parkinson tirare fuori la bacchetta, si agitò ed esclamò: “Non puoi fare magie! È contro il regolamento”.
Lei si voltò e sorrise. “Non farò magie in campo, non preoccuparti”.
Tenne la bacchetta bassa e lanciò qualche incantesimo non verbale.
Subito dalla tribuna dei Grifondoro si alzò la frase in rosso e oro ‘Forza Weasley sei il nostro re’ che salì in cielo fino a scomparire e subito seguita dall’altra ‘Il miglior portiere è rosso e oro’ e da altre scritte.
Le ragazzine si guardarono l’una con l’altra sgranando gli occhi. Poi si voltarono verso il campo per vedere la reazione del portiere. Ma Ron scoppiò a ridere e alzò un braccio in segno di gratitudine. Iniziò a svolazzare e gridare incoraggiamenti alla squadra.
Quando i cacciatori di Corvonero si avvicinarono e tentarono ancora di tirare ai pali, lui riuscì a bloccarli, tutte e tre le volte. Riuscì ad afferrare la pluffa al volo durante uno dei tiri e la tribuna esplose: si alzò urlando tutta insieme, neanche Harry avesse preso il boccino.
Hermione guardò la Serpeverde, che, facendo finta di niente, continuò a osservare la partita.
Gran bella mossa, Parkinson.
Si volse verso il campo anche lei e guardò la partita.

 

Ginny era carica. Riusciva a lanciare occhiate a Dean e a Lydia, l’altra cacciatrice, e riuscivano a capirsi benissimo. Avevano già fatto un bel po’ di gol. Si guardò intorno, e vide suo fratello pavoneggiarsi sulla scopa. O beh, almeno si era ripreso.
La tribuna era scoppiettante di lettere rosse e oro. Cercò in giro Harry e lo vide guardarsi intorno e tenere d’occhio l’altro cercatore. Riportò l’attenzione al campo e alla pluffa.
Giocarono ancora per un’ora. Aveva detto agli altri cacciatori di quel battitore che si metteva in quel punto strategico a lanciare bolidi ed, effettivamente, erano riusciti a smascherare il suo gioco e lui, Ginny era convinta si chiamasse Burrow ma non ne era sicurissima, stava cercando di cambiare strategia, quindi andava tenuto d’occhio.
Dopo altri voli e gol, Ginny si fermò a riprendere fiato. Faceva un freddo becco. Vide Dean con la pluffa, seguito da uno degli altri cacciatori e volò nella sua direzione per aiutarlo nell’impresa. Lui gliela passò e lei riuscì a fare gol.
La tribuna esplose ancora: fuochi d’artificio rossi e oro si alzarono dagli spalti. Lei alzò un braccio verso i tifosi e sentì, dietro di lei, Dean gridare il suo nome. Si voltò nella sua direzione e rimase bloccata a bocca aperta: un bolide stava arrivando, a tutta velocità, verso di lei. Verso la sua faccia. Non riuscì a muoversi. Si rese perfettamente conto di quello che stava succedendo, ma non riuscì a spostarsi.
Rimase lì, a guardarlo arrivare.

 

Harry vide la scena da troppo lontano per riuscire ad attirare la sua attenzione. Per fortuna Dean era più vicino e riuscì a farla voltare. Ma il sopravvissuto si spaventò ancora di più: Ginny stava guardando il bolide. Lo stava guardando avvicinarsi. Non fece niente: non volò via, non si spostò, non si chinò neanche.
Gli sembrava di vedere la scena al rallentatore. E Harry non si rese conto di essere partito a razzo nella sua direzione.

 

Ginny vedeva il bolide avvicinarsi sempre di più, riusciva a sentire il fruscio che emetteva. Ma non riuscì a fare nient’altro. Non sentì le esclamazioni del pubblico, né vide Harry arrivare, finché non sentì uno spintone che la spostò e vide Harry venire colpito, alla coscia, dal bolide.
Rimase a bocca aperta: il ragazzo perse stabilità e volteggiò sempre più in basso con la scopa, fino a cadere sul prato ghiacciato. Tutto lo stadio si zittì.
Si voltò verso Dean e Lydia e gridò ordini per il recupero della pluffa: solo il capitano poteva fermare il gioco, se non lo faceva l’arbitro e la Bumb non aveva dato l’ordine, quindi sperò che non perdessero troppi punti mentre andava ad assicurarsi di come stesse Harry.
Il ragazzo si era appena sdraiato sul prato con una smorfia dolorante in viso. Lei si avvicinò e cercò la professoressa Bumb con lo sguardo. Dove diavolo era quella donna? Possibile che non avesse visto?
“Stai tranquillo, Harry: adesso faccio fermare il gioco. Stai buono e andiamo in infermeria” gli disse, guardandosi intorno.
“NO!” Harry urlò e lei pensò che avesse battuto la testa. Lo guardò mentre atterrava vicino a lui. Il moro però allungò una mano velocemente verso di lei. Per un attimo ebbe paura che volesse darle uno schiaffo, tanto fu veloce il gesto. Poi lui stese il braccio dietro di lei e subito dopo alzò il pugno chiuso: dalle sue dita sbucarono due ali d’oro.
Ginny sorrise: il boccino. Sentì il fischio della Bumb e la vide atterrare vicino a loro. Subito, tutti gli altri giocatori li accerchiarono. “Signor Potter, non l’avevo vista. Sta bene?” gli chiese la strega.
“Harry ha preso il boccino, professoressa Bumb” spiegò Ginny.
Harry scosse il pugno e aprì la mano tenendo il boccino con due dita. La professoressa fischiò tre volte. La squadra scarlatta esultò verso gli spalti e la tribuna festeggiò.
Ginny si alzò e aiutò Harry ad alzarsi mentre il campo venne invaso dai tifosi.

 ***

 “Tutti fuori.”
Harry guardò Ginny, ancora con la divisa addosso, sulla porta degli spogliatoi maschili. Si girò verso i compagni di squadra e chiese: “Potete darci dieci minuti, per piacere?”
I ragazzi uscirono e Ron, che era rimasto per ultimo, lanciò un’occhiata strana ai due, prima di uscire.
“Perché l’hai fatto?” gli chiese Ginny appena furono soli.
Harry la guardò. Glielo stava chiedendo davvero? “Ti stava arrivando addosso” spiegò.
“È un bolide, è quello che fanno!”
“Forse dovresti ringraziarmi” disse lui, storcendo il naso.
“Sì, grazie. Ma non dovevi. Hai rischiato. Hai rischiato di farti male e di far perdere la partita alla squadra” spiegò lei.
“Beh, nessuno me l’ha fatto notare.”
“Avrebbero dovuto. Sei il capitano. Dovresti avere a cuore il destino della squadra” rimarcò lei.
“Io ho a cuore il destino della squadra. Di ogni componente della squadra” disse il moro.
“Lo avresti fatto anche se ci fosse stato Dean al mio posto?” gli chiese.

Beccato, Harry! No, non avrebbe salvato l’ex della sua ragazza da un bolide, non da quando lo aveva sentito dire a Seamus che voleva invitarla a uscire con lui.
“Non potevo perdere la miglior cacciatrice che ho” si scusò ancora, ma si capiva che era una scusa.
“Io non lo direi davanti agli altri, se fossi in te” disse Ginny. Doveva averlo capito ma non voleva infierire.
“Non lo farò”, la guardò e poi continuò “a dir la verità, non mi sono reso conto di quello che facevo, finché il bolide non mi ha colpito. Non mi ero accorto di esser volato fino a te, l’ho fatto e basta. E, comunque, non sono pentito di ciò che ho fatto”. Sorrise “Avevo cercato quel boccino per più di un’ora. Se lo avessi saputo, mi sarei fatto colpire prima”.
Lei probabilmente decise di lasciar perdere, perché annuì pensierosa. “Ti fa male?”
“Un po’, ma solo se lo piego” ammise lui.
“Vado a cambiarmi e ti accompagno in infermeria, ok?” Il moro annuì.
Non voleva andare in infermeria, ma se Ginny voleva andare con lui da qualche parte, lui ci sarebbe andato.

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Capitolo 29
*** Medicazioni e visite ***


Medicazioni e visite

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Pansy era nell’ufficio della McGranitt da almeno mezz’ora. La preside le aveva detto di entrare e di aspettare lì, ma lei pensò che se ne fosse dimenticata. Guardò ancora l’orologio: fra non molto sarebbe stata ora di cena. E poi un meraviglioso sabato sera. Da sola.
Stava guardando fuori dalla finestra, annoiata, quando improvvisamente, dal camino uscì qualcuno.

 

Ron arrivò a Hogwarts come al solito in ritardo, ma quando uscì dal camino della McGranitt non vide la preside, pronta a sgridarlo, ma si trovò faccia a faccia con la sua Serpeverde preferita. Doppia fortuna.
“Ciao” le disse sorpreso. Si guardò intorno, per verificare di non aver sbagliato camino, e poi riportò l’attenzione su di lei, che lo guardava con gli occhi sbarrati.

 

Pansy vide il rosso uscire dal camino con quel sorriso strambo e si sorprese un po’. Di cosa, poi? Sapeva che l’unica via di accesso con l’esterno (a parte le proprie gambe) era proprio il camino della preside.
“Ciao. Tiri Vispi?” chiese.
Lui annuì. “Già. È molto più comodo tornare senza puffole” disse alzando le mani e sorridendo. Doveva essere contento. Sorrise all’idea senza accorgersene.
“Gran bella partita, oggi” si complimentò, non sapendo cosa dire.
“Sei venuta a vederci?” le chiese lui.
Oh. Non si ricordava di averla vista? Ci rimase malissimo. Poi lui rise: la stava prendendo in giro! Si ritrovò a sorridere ancora.
“Mi ricordo di averti salutato, non fare quella faccia” esclamò, ammicando.
Lei si voltò verso la finestra, un po’ arrabbiata, ma non del tutto.

 

“Vieni a Hogsmeade con me sabato prossimo?” Ron parlò tutto di un fiato per paura di non riuscirci.
Pansy si rivoltò verso di lui, con la bocca aperta. “Ma non dovevi andarci con qualcun altro?” gli chiese, con la fronte corrugata.
“Harry se ne farà una ragione. Ma se non vuoi venire da sola con me, chiediamo a lui e a Ginny di venire con noi” continuò lui. Di’ di sì. Di’ di sì. Lei aggrottò la fronte. Brutto segno.
“Dovevi uscire con Potter?”

 

Il rosso fece una smorfia strana, si avvicinò e si sedette sull’altra sedia che c’era da quel lato della scrivania.
“E con chi sarei dovuto uscire?” Lei alzò le spalle.
Si sentirono dei passi in lontananza fuori dalla porta. Si girarono tutti e due verso l’uscio.
“Ne parliamo stasera?” le chiese lui, velocemente. Lei scosse la testa.
“Stasera ho lo stesso problema di ieri” gli rispose.
“Che era?”
I passi erano sempre più vicini.

Pansy si avvicinò a lui e gli parlò direttamente all’orecchio. Quando tornò ad appoggiare la schiena alla sedia vide le sue orecchie diventare sempre più rosse. Lui si alzò e lei si preparò a vederlo andare via prima che arrivasse la McGranitt.
“Ci vediamo alle nove in sala grande?” le chiese invece, ancora vicino alle sedia.
La porta si aprì e la preside entrò. “Mi scusi signorina Parkinson, degli studenti mi hanno fermato per… Oh, signor Weasley, vedo con piacere che è tornato in tempo per la cena, stavolta” disse e rimarcò l’ultima parola con tono allusivo.

 

Ron si voltò verso la preside e riuscì a risponderle qualcosa. Poi si girò verso la Serpeverde, in attesa di una risposta, ma lei lo guardava in maniera strana, senza dire niente.
“Buonasera, signor Weasley”, lo congedò la McGranitt.
Lui salutò e prima di uscire la guardò ancora: Pansy annuì e poi si girò verso la strega.
Uscì sorridendo.

 

***

 

L’infermiera aveva dato a Harry una pomata (che Ginny immaginò fosse la Pomata Cancellalividi del Tiri Vispi) e gli disse che avrebbe dovuto spalmarla sulla parte lesa. Ginny lo guardò ridendo mentre si toglieva i pantaloni.
“Non si ride delle disgrazie altrui!” Harry sorrise, mentre la sgridava.
“Sei buffo” disse lei, guardandolo contorcersi.
“Veramente mi fa male” ammisse il moro. Lei si avvicinò e lo aiutò a sedersi e a sfilarsi l’indumento. Quando vide il livido, che gli occupava tutta la coscia, spalancò gli occhi.
“Merlino! È bello grosso” esclamò. Lui ridacchiò divertito per il doppio senso e lei lo zittì con un’occhiata. Lo fece stendere su uno dei letti e gli spalmò la pomata sul livido violaceo, sedendosi di fianco a lui.
“Giovedì vado a fare un altro allenamento con le Holyhead Harpies” annunciò.

 

Harry trattenne il respiro quando lei passò le dita sulla parte del livido più scura.
“Di già? Devi essere piaciuta molto alla Jones!”
Lei sorrise senza dire niente. Passò ancora la mano sul livido, un pochino più leggera e senza spalmare la crema. Sembrava una carezza, ma Harry trattenne il respiro ancora.
“Vorresti… ti piacerebbe… venire con me?” gli chiese.
Il ragazzo si tirò su, appoggiandosi a un gomito.
“Venire a vedere il tuo allenamento?” Ginny annuì. “Certo!”
Poi ci pensò su. “Ma non so se la McGranitt…”
“Mi ha detto lei di scegliere qualcuno da portare con me” spiegò.
“Allora sì. Starò attento ai bolidi per te” disse, ammiccò e si ridistese sul letto.

 

“Non mi distrarrai, vero?” Ginny non era ancora del tutto convinta.
“Assolutamente no. Ma potrei fare il tifo e lanciare scritte verdi tipo quelle che c’erano oggi per Ron in tribuna” disse, prendendola in giro.
Ginny si agitò e premette, apposta, la mano sul livido. Vide la faccia di Harry contorcersi dal dolore e ridere allo stesso tempo. “Ok, ok, lo sai che non lo farò!”
“Mi fai sempre arrabbiare” si lamentò lei, sbuffando divertita.
“È per non farti annoiare” ammise Harry.
“Ci riesci bene” disse lei.
Gli occhi di Harry erano ancora divertiti, ma quando lui divenne serio, l’unica cosa che pensò di fare Ginny fu di mettergli le braccia al collo e baciarlo.
Purtroppo, vide arrivare la Chips e si alzò dal letto. L’infermiera controllò la gamba di Harry e gli disse che entro un’ora sarebbe andato via tutto e lo avrebbe fatto uscire. La rossa lo vide annuire e gli sorrise.
“Signorina Wealsey, lei può andare, è quasi ora di cena” la liquidò l’infermiera.
“Ci vediamo dopo, Harry?” Lui le fece un cenno con la testa e lei si avviò verso l’uscita.

 

***

 

Ron era in sala grande, appoggiato al muro del corridoio che portava ai sotterranei. Non erano tanti i ragazzi in giro.
Guardò l’orologio. Le nove e dieci: pensò che la Serpeverde gli desse buca. Sbuffò, appoggiò la pianta del piede al muro e lanciò un’occhiata verso i sotterranei: niente.
Poi, improvvisamente sentì uno scalpiccio sempre più rumoroso e sempre più vicino. Si tirò su e guardò il corridoio. Quando Pansy girò l’angolo correndo, sorrise. Per fortuna aveva i Jeans e le scarpe da ginnastica.

 

Quando Pansy si accorse del rosso, rallentò l’andatura, ma non lo fece apposta. Lui era lì, che l’aspettava. Sempre; lui c’era sempre. Sorrise.
“Scusa, Camille ha avuto una crisi isterica… Ho dovuto calmarla e sembra che non ci sia niente che tranquillizzi un’adolescente incinta” spiegò, brevemente e lui annuì.
Guardò la sala grande, fra non molto sarebbe iniziato il coprifuoco e si sarebbe svuotata del tutto.

 

“Andiamo.”
Ron le prese la mano e si avviò verso la porta per imboccare le scale. “Ok. Dove andiamo?”
Lui sorrise e si voltò verso di lei. “Forse dovevi chiederlo prima di dire ‘Ok’” disse.
Sorrise anche lei. “Non c’è bisogno” rispose lei.
Ron si fermò. “Perché non c’è bisogno?”
“Perché stasera mi fido di te” gli sussurrò. Il suo sorriso si allargò, ma lui rimase fermo a osservarla. “Forse, però, dovremmo andare, o saremo ancora qui, domani”.
Il rosso si riprese e tornò a camminare. “Quindi non me lo dici dove andiamo?” richiese dopo un po’.
“Andiamo sulla torre di Astronomia” rispose Ron.

 

La torre di Astronomia? Che aveva in mente? Ma Pansy non se ne curò.
“Va bene.”
Salirono insieme le scale del castello e passarono pianerottoli e ancora gradini, tantissimi gradini. Quando oltrepassarono la porta che dava sulla scala a chiocciola e dove, finalmente, rimasero soli lui si girò e la spinse delicatamente contro il muro; le portò una mano sul viso e la baciò. Teneramente.
Pansy socchiuse le labbra e rispose al suo bacio, lasciando che lui l’accarezzasse.
“Scusa. Non ce l’ho fatta ad aspettare di arrivare su” ammise lui, con le orecchie rosse.
Pansy brillava. Le sue parole erano come il miele, scivolavano dense lasciando una traccia dolce e lei non aveva mai amato così tanto le cose dolci.

 

Non era riuscito ad aspettare. Non ce l’aveva fatta. Merlino. Chissà cosa pensava, adesso, di lui.
Si staccò malvolentieri da lei e riprese a salire i gradini. Quando aprirono la porta che dava sui bastioni, al piano più alto, il freddo li investì. Doppio Merlino. Non aveva pensato che li facesse più freddo che giù. Si voltò verso di lei, per vedere se il freddo la infastidiva, ma Pansy aveva già tirato fuori la bacchetta.
Quando uscirono dalla porta, il gelo di gennaio che aveva ghiacciato i merli della balaustra, annebbiò per un attimo le loro menti. Poi Pansy, con la bacchetta in mano, fece comparire una spessa coperta sul pavimento vicino al muro e gli fece cenno di sedersi.
Quando si sedette, Ron scoprì che la coperta emanava calore. Lei gli si sedette vicino e un’altra coperta comparve a coprirli. Posò la bacchetta nello spazio fra loro e si appoggiò contro di lui.
“Le stelle stasera sono bellissime” disse il ragazzo.
Nonostante il freddo, infatti, il cielo era limpido, il giorno dopo sarebbe stata serata di luna nuova e non c’erano altre luci oltre alle stelle. Lui le circondò le spalle con un braccio.
“A mio papà piacevano le stelle” confidò lei.
“Per questo hai le stelle tatuate? La costellazione del cane, con Sirio?”
Non ne avevano mai parlato, così lui non aveva mai potuto dirle che sapeva quale fosse, né le aveva mai detto quanto trovasse eccitante vedere le stelle brillare sulla sua schiena quando stavano insieme.
Lei annuì, si agitò e si mosse sotto la coperta. “Se ti faccio vedere una cosa, prometti che non ridi?”
Lui si voltò appena verso di lei e annuì. Poi si rese conto che forse lei non lo vedeva e disse: “Certo”.
Pansy tirò fuori una mano dalla coperta e la sua bacchetta si illuminò. Ron vide che, oltre alla bacchetta aveva in mano un pezzo di pergamena. Lo prese quando glielo porse e scoprì che era una foto. Quando la prese, lei puntò la bacchetta in maniera che si vedesse meglio: un uomo sulla trentina, o forse meno, aveva in braccio una bambina piccola, scura di capelli di circa un anno; si voltò verso di loro e salutò con la mano libera. La piccola rideva, e appoggiava le manine sulla faccia dell’uomo per farlo girare verso di lei. Lui lo fece e le diede un bacio sulla guancia.
Ron guardò ancora la foto, sorridendo. La girò e lesse la grafia elegante che diceva: “Pansy, la mia principessa delle stelle”
Poi gliela allungò, lei la mise in tasca, e spense la bacchetta. “È l’unica foto che ho. L’ho trovata per caso. Mamma aveva buttato tutto” disse, un po’ triste.
“Oh. E come mai?”
Lei alzò le spalle. “Non lo so. Non ho mai capito veramente mia madre. Faccio ancora fatica adesso”. Lui si trattenne dal chiederle qualunque cosa. “Camille avrebbe bisogno di lei, adesso” mormorò, più a se stessa che a lui.
Sospirò e appoggiò la guancia sulla sua spalla. Ron non sapeva bene cosa dire. Ma lei non aveva bisogno di un interlocutore, infatti continuò: “Oggi si è provata dei vestiti che non le entravano più e ha avuto una mezza crisi. Ha iniziato a piangere. Non riuscivo più a calmarla. Ha scoperto che le divise scolastiche non si possono modificare con la magia…”
“No?” chiese, stupito, lui.
“Non lo sapevi? Beh, forse tua sorella non è il tipo che abbia mai provato ad accorciare la gonna della sua divisa” disse divertita.
Ron non lo sapeva. Ma sapeva che… “Le tue gonne sono più corte di quelle delle altre ragazze”.

 

Come, come, come? Ma cosa diceva?
“Come?” gli chiese Pansy.
“Le tue gonne sono più corte. Io l’ho notato.”
“Oh. Io… ho le divise vecchie e…” Pansy si zittì per non dire che non aveva potuto acquistare divise nuove quell’anno.

 

Ron non le avrebbe mai detto di averlo notato quando era iniziata la scuola e non di recente.
Rimasero zitti per un po’, lui contento del fatto che non potesse vedere il suo imbarazzo e Pansy fantasticando sul fatto che lui avesse notato una cosa così… così… così stupida. E carina. La guardava? Sorrise ancora.

 

Ora aveva dovuto prestare le sue divise vecchie alla sorella. Sospirò. “Questa gravidanza fa diventare matta me”.  
“Mio fratello Bill dice la stessa cosa” disse lui e la strinse un po’. Lei sorrise.
“Dovrebbe essere il padre del bambino a subirsi tutto questo, non io” disse, pensando al ragazzo con la cicatrice nella cucina dei Weasley. Poi si rese conto di ciò che aveva detto. Merlino. “Per Salazar, che cosa orribile ho detto!”

 

Ron cercò la sua pelle sotto il maglione e l’accarezzò con la punta delle dita. “Penso sia normale. Non devi preoccuparti. E poi è vero, non dovrebbe essere compito tuo…” Cercò di ricordarsi cosa aveva detto sua madre a Bill quando, stanco, si era lamentato. “Vedrai che quando nascerà ti sarai dimenticata di tutto questo”.

 

Pansy si tirò su in ginocchio e si voltò verso di lui. Veramente aveva detto una cosa così? Veramente lo pensava? Illuminò la bacchetta e lo guardò. “Sei serio?” Ron sentì le orecchie infiammarsi e lei, che ormai conosceva il suo imbarazzo corrugò la fronte.
“Mamma l’ha detto a Bill quando ci è venuto a trovare. Pensavo fosse... tipo… una frase di circostanza…”
Lei rise. “Sei impagabile, te l’hanno mai detto?” Si avvicinò a lui in ginocchio e gli fece girare il viso verso di lei; gli appoggiò le labbra sulle sue, in un piccolo bacio. Un piccolo bacio dolce e leggero. Poi però ritornò seduta e si ricoprì con la coperta.

 

Ron aveva ancora le orecchie in fiamme. Non era bravo a parlare. Diceva spesso cose sbagliate al momento sbagliato. Ma lei aveva riso e l’aveva baciato.
“E la storia di Nott?” Pansy si irrigidì e lui pensò di aver detto, di nuovo, la cosa sbagliata.
“Camille dice che non è lui il padre del bambino” disse.
Aveva un tono che Ron conosceva già, infatti chiese: “Ma…?”
“Ma io non le credo. Sono un’orribile persona che dice cose orribili.”
“Perché sei orribile?” le chiese. A lui non sembrava proprio.
“Perché dovrei credere a mia sorella.”
“Allora sono una persona orribile anch’io. Ho smesso di credere a mia sorella tempo fa”. Soprattutto da quando mi racconta delle stupidate su fidanzati fasulli.
“Tu non sei orribile. Hai salvato il mondo magico.”
Il rosso lasciò cadere l’argomento. Come gli facevano notare, erano stati l’intelligenza di Hermione e il coraggio di Harry a salvare il mondo magico. Lui in fin dei conti che aveva fatto? Gli Horcrux avrebbe potuto distruggerli chiunque con l’arma giusta. Non è che avesse fatto poi granché.
Così chiese ancora “Ma Nott cosa pensa?”

 

Pansy si immobilizzò. Cosa pensava Nott riguardo a cosa? “Cosa pensa di cosa?” gli chiese.
“Pensa che sia suo?” Ah. Si rilassò senza accorgersene
“Non ho intenzione di dire niente a lui. Per quel che ne so, non c’entra niente” rispose. Guardò in alto. Le stelle erano favolose, ma così lontane. “Nott non mi piace. È una persona cattiva…” Guardò l’orologio ed esclamò: “È mezzanotte! Dobbiamo andare, la ronda dei prefetti sarà già finita!”

 

E fece per alzarsi. Ron invece voleva stare ancora lì. Stava bene. E voleva sapere di più sulla cattiveria di Nott. Ma si alzò anche lui. “Sì, andiamo”.
In fondo alla scala a chiocciola, tirò fuori il mantello dell’invisibilità. Aveva chiesto a Harry di prestarglielo e lui non aveva avuto problemi. Coprì lei e se stesso e l’accompagnò ai sotterranei.

 

Pansy continuava a dirgli che non c’era bisogno, che sarebbe andata da sola, che non era il caso che lui andasse fino ai sotterranei per poi tornare alla torre dei Grifondoro. Ma lui non volle sentir ragioni.
L’accompagnò e aspettò che lei entrasse nei sotterranei, e poi, tornò nella torre. Proprio un bravo ragazzo. Sorrise mentre si avviava verso i dormitori.

 

***

 

Ginny era seduta in sala comune da un tempo memorabile, secondo lei. Guardò di nuovo Hermione, in poltrona vicino al camino che leggeva un libro della biblioteca. Si avvicinò e si sedette sul tavolino davanti a lei.
“Ciao” esordì. La riccia alzò gli occhi dalla pagina e, sorpresa, rispose al suo saluto. “Cos’è successo, Hermione?” La ragazza la guardò, ancora più sorpresa, e poi si guardò intorno.
Quando riportò gli occhi sulla rossa chiese: “Che vuoi dire?”
“Ti guardavo da un po’ e sembra che tu non stia girando le pagine di quel libro che fingi di leggere. Ma non ti ho visto controllare nessuno, qui in sala comune, quindi immagino che tu abbia la testa altrove.”
Hermione chiuse di scatto il libro. “Non è successo niente” rispose, troppo velocemente per essere vero.
Ginny si inclinò all’indietro e appoggiò le mani sul tavolino, dietro di lei. “O forse non lo vuoi raccontare a me. Vuoi che vada a chiamare Harry? O Ron?”

 

Hermione capì che Ginny era ancora arrabbiata per la storia di Ron.
“Non potevo dirtelo, non era un mio segreto e non era un pettegolezzo. Come me n’ero accorta io, avresti potuto accorgertene anche tu.”
Gli occhi della rossa si assottigliarono. “E perché non me l’hai detto prima?”
“Ti ho detto perché. Non era…” Ginny si ritirò su e si riavvicinò alla poltrona con il busto.
“Perché non mi hai detto questa frase prima? Tipo quando siamo tornati a scuola? O la settimana dopo o la scorsa o tre giorni fa o ieri? Perché non mi hai più parlato?” La voce della ragazza si incrinò.
“Oh, piccola, pensavo che tu ce l’avessi con me. Pensavo non volessi parlarmi tu.”
La strega più giovane spalancò gli occhi ma non disse niente e allungò una mano verso di lei; il suo smalto divenne rosa, un bel rosa carico. Hermione sorrise. “Pensavo che fossi arrabbiata”
“Lo ero”, guardò sorridendo la sua mano e continuò “ma tu rimani comunque la mia miglior amica. So di aver esagerato in pizzeria; mi dispiace. So di essere troppo impulsiva. Mi dispiace anche di questo. So di sbagliare troppo spesso. Volevo solo che tu venissi da me e…”
La riccia si alzò dalla poltrona e l’abbacciò. Non si preoccupò neanche del libro che cadde sul tappeto. Ginny la circondò con le braccia e strinse forte.
“Dispiace anche a me. Ti giuro che non volevamo escluderti” le disse.
“Ok.”
Rimasero abbracciate un pochino e quando si staccarono Hermione raccolse il libro che le era caduto. “Allora, che è successo? Posso andare a chiamare veramente Harry o Ron, se hai bisogno”.
“No. Non devi chiamare nessuno. Perché mi chiedi se è successo qualcosa?”
Ginny sorrise meravigliata. “Perché ormai ti conosco?”
La riccia sorrise tristemente. “Non è successo niente di importante…”
La rossa rise. “Vedi che è successo qualcosa? Allora cos’è? Ti avranno mica dato un brutto voto?”
Hermione spalancò senza volere gli occhi. “NO!” Poi si rese conto che Ginny lo aveva detto apposta e abbassò gli occhi sorridendo. “Non cambi mai”.
“Ma ti faccio ridere” le dissse la rossa.
“Sì. È vero.”
Ginny si alzò e si andò a sedere sul bracciolo della poltrona, accarezzandole la testa. “Vuoi dirmi cos’è successo da impedirti di leggere un interessantissimo libro su…”, si sporse per vedere il titolo del libro e Hermione rise leggermente, “... oh, ve, il Quidditch!”

 

Cosa?
“Cosa?” Hermione cambiò espressione e si allungò per recuperare il libro sul tavolino e lo girò. Possibile che si fosse sbagliata e avesse preso un libro sul Quidditch senza accorgersene? Praticamente non l’aveva neanche guardato, quando si era messa in poltrona.
Guardò il titolo: ‘Traduzione Avanzata delle Rune”, no, non si era sbagliata, era uno dei suoi. Era giusto. Guardò Ginny che rideva sguaiatamente. Sbuffò ma rise anche lei.
Quando la rossa finì, la guardò e le disse: “Se ne vuoi parlare, sono qui, ok?” Hermione scosse la testa.
“No. Altrimenti diventerà reale” rispose, smettendo di ridere.
“Cosa?”
La riccia sospirò. “Quello che ho visto”.
“E cosa hai visto?”
“Ho visto Draco al ministero, oggi.”

 

Santo Godric. Il furetto faceva danni?
“E quindi?” Hermione sospirò. Due volte.
“Non mi sono fatta vedere.”
“Non sa che c’eri anche tu?” La riccia scosse la testa.
Ma una relazione normale, quei due, no?
“Non gli hai detto che andavi al ministero?” Hermione divenne rossa sulle guance.
“No. Non l’ho detto a nessuno” rispose.
Ginny aspettò. E aspettò ancora. Poi sospirò anche lei. “Ok. Così diventa molto lungo. Se non mi vuoi dire cosa ci sei andata a fare e perché non l’hai detto a nessuno, va bene, ma Malfoy perché c’è andato?”
“Non lo so” ammise.
Adesso la rossa sbuffò. “E perché non glielo hai chiesto?”
“Te l’ho detto. Non mi sono fatta vedere” precisò.
“E dopo? Non l’hai visto qui a scuola?” Hermione iniziò a giocare con la copertina del libro.
“Sì, ma lui non me ne ha parlato. E io non volevo dirgli che l’avevo visto.”
“Quindi, oggi siete andati tutti e due al ministero della magia, senza dirvelo, ma tu l’hai sgamato. Giusto?”
La riccia la guardò un attimo e poi annuì. “Sì, più o meno”.
“Avete dei grossi problemi” disse la rossa. Hermione rise dell’espressione di Ginny, ma lei continuò. “Guarda che dovreste parlarvi. Digli che c’eri anche tu e che l’hai visto. O digli solo che ci sei andata e vedi cosa ti dice lui”.

 

Hemione scosse la testa. Non sapeva cosa pensare. Draco le stava nascondendo qualcosa? E cosa? E perché? Era qualcosa che le nascondeva fin da quando si erano messi insieme o solo adesso? Perché era andato al ministero da solo?
Di qualsiasi cosa avesse bisogno, sicuramente lei avrebbe potuto aiutarlo nella pratica. Una piccola fitta al centro della fronte le fece capire che la sua mente stava andando nella direzione sbagliata, quando Ginny improvvisamente gridò.

 

“Il C.R.E.P.A.! Sei andata al ministero per il C.R.E.P.A.! È giusto?” gridò.
La riccia spostò il suo sguardo su Ginny, sorridendo.
“Già” ammise.
“Oh. E perché non ne volevi parlare con nessuno?”
“Perché è una cosa mia e ancora non l’ho studiata fino in fondo. Preferisco non parlarne con nessuno, visto il poco entusiasmo manifestato” ammise Hermione, un po’ seccata.
“E non vuoi che lo sappia neanche Malfoy? Se avessi il suo appoggio…”
“No. Come dicevo: è una cosa mia.”
La rossa guardò Hermione e vide la sua espressione risoluta e non andò avanti nell’argomento. “Però non so come aiutarti per l’altra questione…”
“La Parkinson non ti ha detto niente?” le chiese la riccia.
Ginny sapeva bene quanto le costava quella domanda, così decise di parlare francamente: “Beh, è molto difficile che Pansy racconti qualcosa di sé, figurati qualcosa di qualcun altro. Di Malfoy, poi. Durante le vacanze hanno avuto una piccola discussione su Nott e se ho capito bene, lei lo sta evitando per non dargli spiegazioni”.
“Oh. Non lo sapevo” ammise Hermione.
“Già. Ho faticato anch’io a mettere insieme tutto.”
La riccia tornò a guardare il libro con sguardo pensieroso e Ginny l’aveva vista chiudere gli occhi come quando aveva le crisi.
“Facciamo così. Se mi prometti che non ci pensi, vedrò se riesco a scoprire qualcosa, ok?” le propose Ginny e lei annuì, ma la rossa non era ancora convinta. “Vai a cercare Ron e…”
“Dici che a lui la Parkinson ha detto qualcosa?” l’interruppe lei, non troppo convinta.
“…fate una partita a scacchi che ti distrae” continuò Ginny e la guardò male. “Ti ho detto di non pensarci. E non chiedergli niente. Non so neanche se quei due parlano, oltre a rotolarsi sotto le lenzuola!”
Hermione rise. “Ok, va bene”.

 

***

 

Camille quella mattina non sarebbe andata a lezione. Aveva il permesso della McGranitt di saltare le lezioni. Sarebbe andata al San Mungo con Pansy; per controllare il bambino.
Quel piccolo maghetto o streghetta le aveva dato un sacco di fastidi, aveva avuto tantissime nausee, ma adesso non ne aveva più e mangiava con più gusto. E non si sentiva più stanca come all’inizio, ma la pancia iniziava a gonfiarsi e i jeans non le stavano più. Aveva scoperto che le divise le scolastiche non si potevano modificare con la magia, così ora stava usando le vecchie divise di sua sorella, anche se le aveva detto che sarebbero andate presto a farne fare altre.
C’erano momenti in cui lo sconforto la faceva deprimere e immaginare le cose peggiori. Avrebbe tanto voluto chiedere consiglio a maman, ma lei era ad Azkaban.
Non aveva ben capito il perché fosse lì. Sapeva solo che da quando era successo la sua vita aveva preso quella brutta piega. Forse aveva sbagliato a dire che voleva tenere il bambino, forse sarebbe stato meglio decidere diversamente… ma ormai non si poteva più fare niente.
Guardò il vasetto con le tre pastiglie di vitamine che doveva prendere; una per sera a partire dal terzo giorno dalla luna nuova. E quando era la luna nuova? Doveva ricordarsi di chiederlo alla professoressa o a sua sorella.
“Lunedì era luna nuova” disse Pansy a colazione, quando la sorella glielo chiese. Camille annuì, contando i giorni. Quella sera doveva iniziare.
“Perché vuoi saperlo?” Lei scosse la testa, per non parlare al tavolo della colazione e salutò Astoria che entrava in quel momento in sala grande. Aveva chiesto se poteva venire anche Astoria con loro, visto che era l’unica a cui avesse raccontato del suo stato, ma la McGranitt non aveva dato l’approvazione perché la giovane Greengrass era ancora minorenne.

 

Pansy entrò al San Mungo nel reparto che le aveva indicato la strega alla reception, con un po’ di timore. Notò che anche Camille era un po’ intimorita, così cercò di sembrare, se non proprio sicura, almeno convinta di quello che stavano facendo.
Il medimago che le accolse era gentilissimo e anche molto giovane. Pansy lo guardò un po’ stranita. Non era troppo giovane? Aveva studiato abbastanza?
“Hai visto com’è carino?” le sussurrò Camille. Lei si girò con l’intenzione di sgridarla. Ma era una cosa da pensare? Nel suo stato? Ma poi, quando la guardò vide una ragazzina di quindici anni, che le uniche cose di cui avrebbe dovuto preoccuparsi dovevano essere i trucchi, i vestiti e come far sparire i brufoli prima di un appuntamento, così stette zitta e le sorrise.
Le prese la mano ed entrarono nell’ambulatorio.

 

Il medimago le fece tantissimi esami, e ci mise una gran quantità di tempo, ma sembravano tutti importanti, così Camille non si lamentò. Quando la fece sdraiare sul lettino, avvicinò una macchina che sembrava una macchina fotografica, solo molto più grande, dicendo che quel tipo di esame era nuovo ed era molto interessante perché si poteva vedere il bambino. La giovane strega guardò la sorella con un gran sorriso e lei annuì. Lui parlò con Pansy dicendo qualcosa sul fatto che quello non era compreso nella visita e avrebbe avuto un conto a parte. Sua sorella disse che non era un problema e, anche se la vide alzare le sopracciglia quando lui disse il prezzo, acconsentì.
Il medimago le appoggiò la macchina sulla pancia e schiacciò due bottoni. Una grossa fotografia uscì da quell’affare e gliela mostrò. L’immagine non era chiara come una fotografia, ma il bambino si vedeva bene, un piccolo esserino che si muoveva, spingendo i piedini e agitando le manine.
Le vennero le lacrime agli occhi. Il suo bambino? Quello era il suo bambino? Ma che piccolo, dolce, tenero…. vide che anche Pansy aveva le lacrime agli occhi, mentre le sorrideva.
Forse sarebbe andato tutto bene.

 

Quando uscirono dal San Mungo, era ora di pranzo. “Ho fame” disse, infatti, Camille.
Pansy annuì e le fece una proposta: “Potremmo andare a mangiare qualcosa, fare shopping e passare il pomeriggio insieme, che dici?”
Camille sorrise. “Sì! Vestiti che mi vanno!”
La strega più grande sorrise ancora e annuì. “Te lo avevo promesso, no?”
“Grazie!” esclamò e l’abbracciò.
Pansy era contenta. Sarebbe stato un bel pomeriggio.

 

“Ma guarda! Si muove un sacco!” disse sua sorella.
Stavano ancora guardando la fotografia che il medimago aveva dato loro, mentre aspettavano che arrivasse il pranzo, sedute in un locale.
“Oh, penso si stia muovendo anche adesso!” esclamò Camille, appoggiandosi una mano sul ventre. “Non sono sicura che tu riesca a sentirlo, ma prova”.
Le prese una mano e l’avvicinò all’altra mano, per essere sicura che fosse il posto giusto.

 

Pansy sentì qualcosa di impercettibile, o forse se l’era immaginato? Ma la sensazione che le aveva lasciato addosso era stupenda. Glielo disse. Ancora meravigliata, pensò: un bambino. O una bambina.
“Potremmo iniziare a parlare di nomi, che dici?”
Camille sorrise. “Tu cosa pensi che sia? Un maschio o una femmina?”
“Non so. Cosa ti piacerebbe?” le chiese Pansy.
“Oh, non saprei. Devo ancora abituarmi all’idea”. Camille si passò ancora la mano sul ventre.
Pansy guardò ancora la foto: quell’esserino era così tenero. “Sai che sembra che abbia il mento come Julien, tuo papà? Guarda”.
Si avvicinò alla sorella e le mostrò un particolare della foto.

 

Camille alzò lo sguardo su di lei: era il momento giusto, forse.
“Mi dispiace” sussurrò.
Pansy la guardò, ancora sorridendo e le chiese: “Per cosa?”
“Per tutto. Per questo. So che non poteva esserci momento peggiore” disse ancora, indicandosi la pancia.
“Non devi preoccuparti, hai capito? Sistemeremo tutto”
Le prese la mano e la strinse forte. Camille stava per piangere, così non disse niente e annuì.
“Anche a me dispiace. Di essere stata così… fredda con te. Avrei potuto parlarti un po’ di più. Non ho molte scusanti, ma è stato difficile, trovarsi così di punto in bianco, senza la mamma e Julien” ammise anche sua sorella.
Camille annuì ancora. Ma perché non erano rimaste tutte e due in Francia con i suoi nonni? Ma non lo chiese.
Però disse un’altra cosa: “Ti ho mentito”.

 

Pansy, che stava facendo cenno alla ragazza che portava il pranzo, le lanciò un’occhiata materna.
“Anch’io. Un sacco di volte. Quando ti ho detto che ti odiavo, o quando dicevo che non ti volevo qui. Ho mentito, sempre. Mi dispiace tantissimo. Mi sento male ancora, quando ci penso.”
Camille le sorrise e l’abbacciò. “Anch’io ti voglio bene, anche se non te l’ho mai detto”.
Le ragazze si staccarono e arrivò il pranzo. Era una delle prime volte in cui Pansy sentiva di avere fame, dopo tanto tempo. Aveva mangiato qualche boccone, quando Camille parlò ancora, mentre mangiava.
“Ti ho mentito, dicevo, perché non avevo un ragazzo. Io… l’ho fatto solo una volta. E l’ho fatto con Nott” disse, tutto d’un fiato la strega più giovane.
Pansy fece cadere la forchetta; il padre del bambino era Nott. Immaginarlo e basta era un conto. Questa certezza, invece, era devastante.
Sentì un’ondata di nausea.

 

Camille non era sicura di aver fatto bene a dirglielo. Sua sorella aveva una faccia strana. Molto strana. Si sarebbe arrabbiata? Ora che stava andando tutto bene fra loro?
Poi Pansy si alzò e mormorò: “Vado un attimo in bagno, torno subito”. La vide precipitarsi in bagno e si preoccupò. Cos’era successo? Si alzò quando la vide accelerare il passo e la seguì.
Quando entrò in bagno la sentì dare di stomaco oltre la porta. Una strega che si stava lavando le mani lanciò una brutta occhiata alla porta chiusa, scosse la testa e lanciò a Camille uno sguardo compiaciuto.
Camille si arrabbiò. Chi era quella stronza che si permetteva una cosa del genere? Così inarcò la schiena e spinse in fuori la pancia per fare notare l’arrotondamento del ventre e guardò la strega con un’occhiata di sfida.
Questa dovette capire perché si affrettò a uscire.

 

Quando Pansy uscì dal cubicolo del gabinetto, trovò Camille che guardava l’entrata del bagno. Poi la sorella si girò e la guardò preoccupata.
“Non sei incinta anche tu, vero?” le chiese.
Pansy sorrise. “No, tesoro. Non preoccuparti. Dev’essere stato quello che ho mangiato”.
Si lavò le mani, si sciacquò la bocca e uscirono dal bagno. Quando si risedettero al tavolo, Pansy spostò il piatto e ordinò una tazza di tè.
Le tremavano le mani e non voleva che Camille se ne accorgesse, così le tenne sotto il tavolo, mentre lei mangiava.
“A lui lo hai detto?”

 

Camille si fermò con la forchetta a mezz’aria.
“Volevo farlo, ma quando sono arrivata da lui, ho sentito che stava avendo una discussione con un’altra ragazza e quando lui le ha detto che erano fatti suoi perché lui non ne voleva sapere niente, ho pensato di non dirglielo. Che non sarebbe stato… gentile…”
Sua sorella annuì. L’avrebbe obbligata a dirglielo? Lei avrebbe preferito non doverlo vedere più.
“Hai fatto bene” disse. Camille sospirò soddisfatta. Bene. “L’avete fatto solo una volta, quindi?”
“Sì te l’ho detto prima. Una cosa allucinante, io penso di aver bevuto troppo, mi sentivo… Sola e ho fatto una cazzata…”
“Mi dispiace”, Pansy si avvicinò e le strinse un braccio “se io ti fossi stata più vicina…”
Camille scosse la testa. “Ho fatto io una stupidaggine, non è stata colpa tua”. Lei la guardò con uno sguardo tenero.
“Ma… almeno, eri consenziente? Lui non ti ha… mmm…”
La giovane strega scosse la testa e spalancò gli occhi. “Non mi ha violentato. È stato distrasoso, ma non così. Io volevo. Anche se dopo avrei voluto aver detto di no. Dovevo ascoltarti quella volta che mi avevi detto di non farlo con il primo che passava”.
Camille guardò la sorella, perché le faceva questa domanda? Era strano.
“E non ti ha offerto da bere prima, vero?” chiese Pansy. Lei scosse ancora la testa, confusa.

 

Pansy riuscì a fermare il tremore delle mani e a bere un po’ di te.
Dovevo dirti chiaro e tondo di star lontano da Nott. Si maledisse per non averlo fatto quando era il momento. La cameriera portò un piattino di biscotti per accompagnare il suo tè. La Serpeverde la ringraziò.
Ne prese uno e gli diede un morso; erano molto più buoni quelli che aveva fatto la signora Weasley.
Una lacrima le scese lungo la guancia. L’asciugò velocemente. Non si sarebbe fatta mettere KO. Da nessuno. Così mangiò un altro biscotto, sorrise e si voltò verso la sorella. “Allora, adesso andiamo a comprare un po’ di vestiti e poi ti porto in un posto favoloso” disse.
Camille annuì. “Dove andiamo?”
“Ti fidi di me?” La strega più giovane annuì ancora, un po’ confusa. “Bene. Ti piacerà vedrai”.
Dopo un pomeriggio di shopping si sarebbero meritate un bel massaggio. Alla babbana.

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*** Eccomi con il nuovo capitolo!!! Grazie a chi legge, a chi ha messo la storia fra le seguite e preferite, a chi lascia una recensione, a tutti!! Buona lettura 😉

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Capitolo 30
*** Chiacchiere chiacchiere chiacchiere ***


Chiacchiere, chiacchiere e chiacchiere

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Ginny non vedeva Pansy da dopo la colazione. A pranzo chiese a Ron se lui l’avesse vista.
“È andata al San Mungo con Camille” rispose il rosso. Oh. Si era scordata.
“E quando tornano?”
Lui scosse le spalle. “Non lo so. Pensavo stessero via solo la mattina, ma si vede che mi ricordo male”.
“Ok.”
“Perché la cerchi?”
Scosse le spalle e si sedette vicino al fratello, iniziando a  mangiare anche lei.
“Mi ha scritto la mamma. Ti ricordi la tipa che Percy ha portato a casa dopo Natale?” disse a Ron.
“Sì. La tipa bionda? Avril? O Aretha?”
Ginny sorrise. “Quasi: Audrey. Ma non ricordo il cognome”. Lui annuì, più interessato al cibo che alla fiamma di Percy. “Beh, si sono fidanzati”.
Ron fece cadere la forchetta e fischiò. Ginny spalancò gli occhi divertita.
“Di già?” le domandò.
“Se ho capito bene, lui le stava dietro da quasi un anno. Ma lei si è convinta a uscire con lui solo quando si è finalmente unito all’Ordine della Fenice e ha combattuto” spiegò lei e Ron la guardò di sottecchi.
“E tu come lo sai?” Lei sorrise.
“Non sottovalutare la mamma, Ron. Quando Percy si è presentato con Audrey lei ha subito sguinzagliato tutte le sue conoscenze al ministero per scoprire se era una brava ragazza e che tipo fosse: ha superato l’esame”. Ginny strizzò un occhio sorridendo ancora.

 

Ron era inorridito. Cosa aveva fatto sua mamma?
“E l’ha fatto anche con Fleur?” domandò.
“Cosa?”
“Chiedere informazioni” precisò Ron.
“Ma mica è andata in giro a fare domande, la fai sembrare una fuori di zucca!”
Lui era ancora stranito. “Ma l’ha fatto?”
“Beh, un po’ conosceva Fleur e ha tenuto occhi e orecchie aperte. Ma penso che si sia convinta quando Fleur ha dichiarato il suo amore a Bill dopo che era stato attaccato da Greyback” spiegò.
“E chiederà informazioni anche per me, George e Charlie?” chiese il rosso.
Lei alzò le spalle. “Beh, Angelina la conosce già e ha un’alta opinione di lei. Per Charlie, avrà qualche problema se si trova una ragazza in Romania, ma immagino che non sia un grosso impedimento, quando mamma si mette in testa qualcosa...  Per te… sicuramente chiederà informazioni su di te!”
Ginny rise mentre il fratello le lanciava il tovagliolo di stoffa e lei si chinava per schivarlo.

 

“Quindi si sposano?” le chiese Ron.
“Così sembra.”
“Quando?”
“Non hanno ancora deciso”. Ginny stava spostando le patate arrosto nel piatto da una parte all’altra. Sospirò.
“Cosa c’è?” le chiese il fratello.
“Come?” La rossa alzò lo sguardo.
“Che hai? Di solito non giochi con il cibo” disse lui, corrugando la fronte.
“Oh. Niente…” E continuò a spostare le patate, schiacciandole.
“Non posso lasciartelo fare!” Ron si allungò e con la forchetta le rubò tre patate che si mise in bocca.
“EHI!” urlò Ginny. Alzò la testa e gli picchiò una mano con il dorso della forchetta.
“Non te le meriti. Sono buonissime” disse lui allungandosi ancora.
Ginny spostò il piatto ridendo. “Smettila!”
“Allora, cos’hai?” le chiese ancora e la ragazza tornò seria.
“Domani vado all’allenamento con le Holyhead Harpies” ammise.
“Oh, ancora? Dovresti smetterla di angustiarti così. Se ti hanno chiamato dopo poco tempo, hai fatto bella figura, no?”
Però Ginny continuò a pensare all’altra ragazza, quella dell’accademia. Glielo disse.
“Cos’è, hai paura che sia la Chang?” chiese Ron, continuando a mangiare.
La rossa spalancò gli occhi. Non ci aveva pensato. La Chang? No. No! “Tu dici che…”
Ron si sporse verso di lei e le mise le mani sulle spalle, scuotendola. “Basta. Ti stavo prendendo in giro. E poi la Chang è una cercatrice, no?” Ginny annuì. “E poi non avevamo detto che era brutta, quell’altra?” Strizzò un occhio e ridacchiò mentre la prendeva in giro.
Ginny si infuriò ma si fece contagiare dalla sua risata. “Ti odio, sai?” disse ancora mentre rideva.
Almeno non era più agitata per l’allenamento. Ora voleva solo prendere a pugni suo fratello. Come tutti gli altri giorni. Lui si risedette per mangiare il dessert, così lei allungò un cucchiaio e gliene rubò metà.
“NO!” esclamò lui.
“Così impari.”
Lui sbuffò. “Sicuramente la Chang mangia meno di te!”
Ginny spalancò gli occhi, gli rubò anche l’altra metà del dessert e andò via dal tavolo Grifondoro sorridendo.

 

***

 

Quando Pansy e Camille tornarono a Hogwarts, tramite il camino della McGranitt, la preside le guardò con aria severa. E con aria severa guardò tutti i pacchi e le borse che le ragazze avevano, testimoni del pomeriggio di shopping.
“Signorina Parkinson, signorina Lemaire. Buonasera. È stata molto lunga questa visita al San Mungo?”
“Preside McGranitt, potremmo parlare io e lei e mandare in camera Camille, che è molto stanca?” chiese Pansy. Sapeva che ci sarebbe stata una punizione, ma preferiva che Camille non ne sapesse niene.
La McGranitt fece un cenno con il capo e disse: “Signorina Lemaire, lei può andare”.

 

Camille guardò le due streghe che si osservavano, senza capire granché. Così salutò e uscì dall’ufficio. Ma non andò in camera: si fermò poco lontano dall’ufficio e si nascose in attesa di veder uscire la sorella.

 

“Non metta in punizione Camille, per favore. Le ho detto io che potevamo stare fuori, non aveva motivo per non credermi”. Pansy parlò velocemente, prima di ripensarci.
La strega più vecchia la guardò con il suo sguardo glaciale e tirò le labbra in una linea di disapprovazione. “Parlerò con il professor Lumacorno della sua punizione, signorina Parkinson, e poi le faremo sapere”.
Detto ciò la congedò con un cenno del capo e le indicò la porta.
Quando uscì, Pansy trovò la sorella che l’aspettava.
“Cos’è successo? Ti ha messo in punizione?” le chiese.
Pansy sorrise. “No no”. Non ancora. Ma andava bene così: era stata una bella giornata, nonostante tutto.
Arrivarono prima alla stanza di Pansy e quando entrarono, trovarono Millicent e Daphne che chiacchieravano scegliendo vestiti dalle loro cabine armadio e si zittirono subito loro quando entrarono.
Camille se ne accorse e disse alla sorella: “È meglio che vada in camera mia”. Prese quasi tutte le borse e i pacchi, salutò tutte le ragazze e se ne andò.
Pansy appoggiò quel poco che aveva sul letto, sorrise alle compagne e aprì il suo baule, pensando di lasciarle continuare.
Millicent però, dopo una strana occhiata le chiese: “Avete fatto acquisti?”
“Sì” le rispose, sintetica.
Non voleva essere maleducata, ma Millicent poteva essere pesante e Pansy voleva darle meno corda possibile.
“E la McGranitt vi ha lasciato uscire?” domandò ancora.
“Sì” confermò lei.
La mora lanciò un’occhiata a Daphne, ma lei non ricambiò lo sguardo, lo tenne fisso su un completino intimo che aveva appoggiato sul letto.
“Hai fatto acquisti per sabato?” continuò il suo interrogatorio Millicent.
“Sabato?” chiese Pansy, stranita.
Daphne intervenne: “Sabato c’è il weekend a Hogsmeade”.
Pansy tornò a quello che stava facendo. “Oh. Giusto. Mi ero scordata”.
“Tu ci vai con qualcuno?” chiese ancora.
Pansy era stufa di tutte quelle domande, così alzò lo sguardo e domandò: “Dimmi Millicent, che facciamo prima: cosa vuoi sapere da me?”
Vide la compagna di casa inalberarsi. “Io non voglio sapere proprio niente!” Poi si girò verso Daphne e le comunicò in tono rabbioso: “Io vado a farmi la doccia. Ci vediamo dopo”.
Prese l’accappatoio, il beauty e tutto quello che le serviva e a passo deciso uscì dalla stanza.

 

Daphne guardò la compagna uscire. E sospirò contenta: a volte Millicent diventava un po’ opprimente. Poi si rivolse alla mora e le chiese: “Siete state al San Mungo?” Pansy la guardò con sospetto, ma poi lei spiegò: “Astoria mi ha detto di Camille”.
“Non lo dirai a nessuno, vero? Non metterla in mezzo fra noi”. Pansy si agitò. No, non aveva capito. Lei non voleva litigare, anzi…
“No no. Non lo dirò a nessuno, lo sai. Va…. tutto bene?” Vide la mora annuire e tornare a guardare nel suo baule. Si avvicinò al suo letto e si sedette. “Vai con Weasley, sabato?”
Pansy alzò lo sguardo verso di lei. “Weasley?” le chiese, confusa.

 

Pansy vide la vecchia Daphne, la sua amica, sorridere. “Sì, Wealsey! All’inizio mi hai confuso e parecchio. Ma adesso no” esclamò.
La mora si avvicinò al letto. “In che senso ti ho confuso?” domandò.
“Quando abbiamo fatto la riunione, sei andata via con lui e quando sei tornata non avevi più il rossetto”. Pansy spalancò gli occhi e la bionda rise, quando capì di averci beccato. “Ma poi niente, non vi ho mai visto fare cose… compromettenti. Sembravate solo amici. Come con… Blaise”. Daphne sospirò e poi il suo sguardo si illuminò. “Ma ultimamente… Lo guardi in una maniera… Oh, Pansy dovresti vederti, davvero. Te lo mangi con gli occhi. Non hai mai guardato nessuno così, neanche Draco. E sappiamo tutti quanto tempo hai speso dietro a Draco!”
Pansy si chiese se fosse una cosa così evidente per tutti. Si stava rincretinendo? Lei? Ma poi immaginò che forse, Daphne la conosceva da così tanto che aveva capito quello che stava succedendo. Forse prima ancora di lei. E sorrise. Daphne, l’amica più cara che aveva, era tornata. Ma era anche quella che l’anno prima, seppur per colpa sua, le aveva voltato le spalle. Così non disse niente. Ma la bionda dovette immaginarlo, perché parlò ancora.
“Io sabato esco con Macmillan di Tassorosso” confidò Daphne.
“Macmillan? Ma come…”
Daphne, guardò per terra, come se si vergognasse. “Sì, lo so, ma non posso passare la vita aspettando che Blaise mi chieda di uscire, no? Secondo Millicent è una buona idea, farlo ingelosire” ammise.
“Io non credo che usare Macmillan sia una gran idea, sai?”
La biondina alzò lo sguardo. “Lo so. Non ho intenzione di ingannarlo”.
Pansy annuì. Chissà come avrebbe reagito Blaise. Sperò che non reagisse male come lei immaginava.
“Tu e Blaise avete mai fatto…” iniziò a chiedere la bionda.
Era il momento delle confessioni? La mora la interruppe: “Daphne, non ho mai fatto niente con Blaise. Non l’ho neanche baciato. E comunque, tu avresti dovuto dirmelo, che ti piaceva, ero la tua miglior amica!”
La bionda scosse le spalle ma poi sorrise, contenta. “E perché stavate insieme?”
Pansy sospirò. Forse era davvero arrivato il momento. Così raccontò all’amica quello che era successo: di sua madre, di Draco, di Blaise.
Non raccontò della storia di come sua madre aveva tentato di venderla a Voldemort. Quello… ancora non ci riusciva. Non con Daphne che la conosceva da sempre. Lei, che aveva una famiglia così perfetta e con cui andava d’accordo. L’aveva detto solo a Ginny.
In compenso, si vergognò immensamente di tutto il resto che raccontò, ma sapeva che poteva fidarsi di Daphne e ora, che era tutto finito, non doveva più nascondersi.

 

Daphne si portò una mano alla bocca a soffocare un’esclamazione non proprio da signora, più volte, durante il racconto dell’amica. E alla fine rimase senza parole.
“Non me l’hai mai detto” sussurrò.
“No” ammise, ancora.
“Avresti dovuto dirmelo”. Pansy alzò le spalle. Ormai non faceva differenza. “E ora stai con Weasley? Anche lui ti mangia con gli occhi!” Sorrise alla mora dandole una gomitata.
Lei aveva un’espressione sognante, ma poi tornò seria. “Oh, non lo so”.
“Non sai cosa?” le chiese, confusa.
“Se sto con lui” disse l’amica.

 

La bionda ora era confusa e Pansy lo vedeva chiaramente. “Perché non lo sai?”
“Noi… è complicato” rispose.
Daphne la guardò ancora, ma Pansy non voleva parlare del Grifondoro, così si alzò e disse, andando verso il letto dell’amica: “Allora, cosa ti metti sabato?”
La bionda si alzò e si avvicinò a lei. “Non ho ancora deciso. Neanche l’intimo. Millicent dice che devo mettere qualcosa di sexy…”
“Devi mettere quello che ti fa stare meglio, quello che ti fa sentire più bella” disse la mora.
“Ma io non voglio spogliarmi!” Pansy si girò verso di lei; da quando aveva la tutela di Camille, la sua visione del mondo era molto cambiata rispetto a prima.
“Non dovrai spogliarti assolutamente. Ma sapere che sotto sei bella e ti senti bene, ti farà sentire più tranquilla”. Daphne annuì e lei continuò: “So che hai nel baule un vestito nero di velluto e pizzo che ti piace molto…”
La bionda la guardò e scosse le spalle. “Quel vestito non l’ho mai messo, perché non è veramente mio” disse, poi si morse un labbro e abbassò gli occhi.
“Io invece sono sicura che sia tuo. E so che ti sta bene. Dovresti metterlo.”
Daphne la guardò ancora. “Dici davvero?”
Pansy annuì, poi, senza premeditarlo, l’abbracciò. Daphne sembrò piacevolmente colpita dalla cosa. “Weasley ti sta dando belle abitudini” mormorò, stringendola.
“Oh, non sai quante” disse Pansy.

E non hai idea di quanto mi mancheranno.

 

***

 

Nel pomeriggio Ginny bazzicò nei sotterranei, cercando la maniera per entrare nella sala comune dei Serpeverde. Sapeva che Pansy e Camille erano tornate, ma non le aveva ancora viste. Deviò e si nascose quando passarono Rowie e i suoi amici e anche quando passò Nott.
Lo guardò di nascosto: chissà se era lui il padre del bambino di Camille. Quel tipo non era né bello, né simpatico né gentile. Sperò che fosse qualcun altro. Chiunque.
Quando scorse Malfoy, sorrise. “Malfoy!” esclamò, uscendo da dietro una delle colonne.
Lui, che non l’aveva vista, si bloccò di colpo quando se la trovò davanti ma, da vero snob, si riprese subito e la sua espressione tornò la solita, prima di chiederle: “Piccola Weasley. Che ci fai in giro da sola?”

 

“Sto cercando il modo per andare da Camille. Mi fai entrare in sala comune?” chiese a Draco.
La piccola teppista aveva il suo faccino da sorella minore. Pietà per Weasley, pietà per Potter. Come facevano a sopportarla? Sbuffò. Non voleva farsi vedere entrare in sala comune con lei.
La rossa dovette capirlo perché esclamò: “Oh, e io che pensavo che voi purosangue snob ve ne fregaste di quello che pensano gli altri!”
Il biondo rise. “Ok. Dai, andiamo”.
“Bravo Malfoy!”
La rossa gli diede una pacca sulla spalla. Una vigorosa pacca sulla spalla. Probabilmente Zabini sarebbe stato più delicato.

 

Ginny lo seguì e poco prima della porta dei Serpeverde, lui si chinò e le chiese: “Avete fatto pace tu e Hermione?”
Lei si girò piacevolmente sorpresa. “Sì. Ma non avevamo proprio litigato” Lui annuì. Entrarono in sala comune e lei si fermò, guardando chi c’era in giro. Malfoy si diresse verso i dormitori maschili senza salutarla e lei lo richiamò.
“Aspetta, Malfoy: ti dico una cosa.”

 

Draco si girò, ma vide che lei era rimasta ferma, invece di avvicinarsi a lui. Alzò un sopracciglio e lei ghignò.
“Magari non ti interessa?” lo provocò lei. Il biondo sbuffò e si avvicinò alla Grifondoro; lei sorrise vittoriosa. “Può essere che tu sia stato in un determinato posto, poco tempo fa, senza dirlo a nessuno. E può essere che qualcuno che non sapevi essere lì, ti abbia visto. Quindi questo tuo segreto, non è più tanto un segreto e adesso, la persona che ti ha visto, si sta facendo un po’ di paranoie…”
“Di cosa stai parlando? Non si capisce niente” Lei sbuffò.
“Stai attento” iniziò e riformulò tutto come prima. “Parla con la persona che ti ha visto, ok?” disse alla fine.
Draco era ancora confuso.

 

La sua faccia era molto confusa. Era così ottuso. Come tutti gli altri ragazzi.
“Parla con lei” concluse lei, poi si girò e si incamminò verso il corridoio dei dormitori femminili.
Non si voltò a guardare la faccia del ragazzo. Che si arrangiasse. Aveva detto fin troppo.
Camminò fino alla stanza delle ragazze del quarto anno e bussò prima di entrare. Le aprì la porta una delle compagne di Camille (l’unica che le fosse simpatica) che l’accolse con un sorriso. “Weasley, ciao bella, entra”.
Ginny entrò salutando, Camille stava sistemando i suoi acquisti e aveva una montagna di vestiti sul letto. Oltre a loro due, non c’era nessuno.

 

Camille si voltò verso la Grifondoro quando la chiamò. “Ciao Ginny! Vieni, vieni, guarda cosa ho comprato oggi!”
La rossa si avvicinò sorridendo. “E al San Mungo com’è andata?”
La mora sorrise contenta. “Avvicinati, che ti faccio vedere il bambino!” Parlò sottovoce, ma quando vide Ester uscire dalla camera fu contenta di poter usare un tono normale. “Guarda com’è bello!”

 

Ginny si avvicinò, mentre lei spostava dei vestiti per farla sedere sul letto e prese dal comodino una foto di dimensioni giganti. Si sedette vicino a lei e Camille le mostrò il bambino che si agitava.
“Sai che oggi l’ho sentito muoversi? Vuoi provare? Però adesso non sta facendo niente” disse. Le prese la mano e l’avvicinò alla sua pancia, ma Ginny non sentì niente. “Avresti dovuto vedere Pansy, era così commossa…”
La rossa le sorrise. Camille parlava tantissimo. Poi, improvvisamente si fece seria e guardò la porta della camera che era chiusa.
“Posso chiederti una cosa?” le chiese.
Ginny annuì. “Certo. Puoi chiedermi quello che vuoi. Ma non soldi” concluse sorridendo. Vide Camille scuotere la testa senza sorridere e capì che era una cosa importante.
“Oggi ho detto a Pansy che Nott è il padre del bambino e…” la rossa si portò una mano alla bocca spalancando gli occhi. Merlino! Allora era vero!

 

Camille la guardò mentre imprecava. Possibile che solo lei fosse stata così stupida da non capire che Nott era un troll? Sospirò: magari fosse stato solo quello il problema.

 

“Ma avevi detto che era un Grifondoro” obbiettò Ginny.
Camille alzò le spalle “Ho mentito. Non volevo dirle la verità. Mi vergognavo di farle sapere che ero rimasta incinta con un troll e che mi ero ubriacata. Pansy pensa che voi Grifondoro siate tutti brave persone e io ho pensato che se avessi detto che avevo un ragazzo, e che era un bravo ragazzo Grifondoro, non sarebbe stato così brutto”.
Ginny scosse la testa lentamente. Ormai, non faceva differenza. “E lei come l’ha presa?” chiese ancora la rossa. Si ricordava la reazione di Pansy quando c’era stato solo un dubbio, quel giorno che ne aveva avuto la conferma, cosa era successo?
“Male. E bene” rispose Camille. Oh. Doveva essere una bella notizia.
“In che senso?” chiese comunque “Quando gliel’ho detto è scappata in bagno a vomitare, ma poi mi ha detto che le aveva fatto male qualcosa che aveva mangiato”, Camille si fermò e poi continuò sottovoce: “abbiamo deciso di non dirgli del bambino”.
Ginny annuì: sembrava una saggia decisione. Ma la ragazza aveva ancora uno sguardo strano. “Mi sembra che fosse quello che volevi, no?”  La mora riportò lo sguardo su di lei. “Sì, sì. È che mi ha chiesto una cosa strana…”

 

Camille non era sicura che parlarne con lei fosse giusto, ma non riusciva più a tenerselo dentro. E non aveva nessun altro con cui parlarne. Nessuno che conoscesse tutta la storia. “Cosa ti ha chiesto?” le chiese quindi Ginny.

 

“Mi ha chiesto se io fossi consenziente e se mi avesse dato qualcosa da bere prima”.
Ginny spalancò gli occhi.
“Davvero?” Era una domanda molto particolare, quasi… vissuta.
“Perché Pansy pensava che lui avrebbe potuto violentarmi, secondo te? Tu pensi che Nott abbia fatto del male a qualche ragazza? Lei è un prefetto, magari ha saputo…”
Ginny invece pensava che la ragazza in questione potesse essere proprio Pansy. Sarebbe tornato tutto: il fatto che lei fosse spaventata da lui, che non volesse neanche vederlo, che si allontanasse quando lui era nei paraggi. Si ricordò di quando avevano avuto la discussione prima di Natale e del fatto che lei fosse molto scossa. O di quando aveva avuto bisogno della pozione per dormire. Certo che se fosse stato davvero così…
Decise di stare zitta: se Camille non ci aveva pensato, non voleva farle venire il dubbio proprio lei.
“Potrebbe essere” rispose vaga. “Fammi vedere meglio quella foto”, cercò di cambiare discorso.
La mora sorrise e gliela allungò. Le spiegò tutto quello che faceva il piccolo e tutto quello che le aveva spiegato il medimago. Poi le raccontò del loro pomeriggio e anche di quando erano andate nella Londra babbana in un posto dove delle ragazze le avevano massaggiate. Secondo Camille era stato fantastico. Ginny era già la seconda volta che sentiva nominare la cosa.
Per le prossime vacanze avrebbe proposto a Hermione di andarci insieme. Sicuramente lei sapeva di cosa parlavano, quando dicevano ‘massaggio’.

 

***

 

Camille notò che era quasi ora di cena e chiese a Ginny se le andasse di andare a chiamare Pansy insieme per andare in sala grande. La rossa annuì. Si diressero insieme verso la camera del settimo anno plus, quando videro arrivare, dal corridoio dei bagni, una delle compagne di stanza di Pansy. Quella che sul treno aveva fatto l’interrogatorio ad Astoria sul perché avessero litigato Pansy e Daphne.

 

“Weasley, cosa fai nei nostri dormitori?”
Ginny si voltò e vide la Bulstrode avanzare verso di loro. “Buonasera anche a te, Bulstrode. Sempre carina, eh?”
La Serpeverde aprì la porta della camera facendo una smorfia alla Grifondoro e il suono di una canzone delle Sorelle Stravagarie riempì il corridoio.
“Entrate e chiudete la porta!” urlò una voce sulla musica.
Tutte e tre entrarono e chiusero la porta obbedendo. La musica era molto alta, adesso che la porta era chiusa. Le due Serpeverde, Pansy e la Greengrass ballavano scatenate, insieme, sul tappeto in mezzo alla stanza.
“Su, forza, unitevi a noi” La Greengrass fece un cenno con la mano. Ginny non se lo fece ripetere una seconda volta e si unì a loro, trascinando Camille.

 

Camille si unì alle ragazze in maniera molto più composta di Ginny. Era convinta di non ballare bene e non le era mai piaciuto particolarmente anche quando non era incinta, quindi non dovette sforzarsi di limitare i suoi movimenti per via del bambino.
Ballarono per pochi minuti, prima che la musica si interrompesse improvvisamente.
Tutte si girarono verso la radio e tutte e quattro videro una Bulstrode arrabbiata e un po’ nervosa che agitava la bacchetta.
“Ma cosa state facendo?” chiese, ancora furiosa.
Pansy scoppiò a ridere e spiegò: “Scusa Millicent, ci stavamo divertendo”.
“Già. Era davvero divertente. Perché hai spento la radio?” rincarò la sorella di Astoria.

 

Ginny tossicchiò. La Bulstrode la guardò con aria severa, come se fosse colpa sua (qualsiasi colpa, probabilmente).
“Perché stavate ballando?” La corpulenta Serpeverde era ancora nervosa.
“Millicent, che ti prende? Abbiamo ballato un sacco di volte!” disse sorridendo la Greengrass, scambiando un’occhiata complice con Pansy. Anche lei ridacchiò.
A Ginny fece così piacere vederla ridere che si dimenticò del discorso con Camille.
“Non vi sarete fumate una canna, vero?” Lo sguardo della Bulstrode si assottigliò e divenne di fuoco.
Daphne rise. “Magari. Ne hai sequestrata qualcuna?” chiese rivolta a Pansy.
La mora fece un verso con le labbra e disse: “Macchè. Niente da novembre”. Ridacchiarono ancora. La Bulstrode si arrabbiò ancora di più.
“BASTA! Non avevate litigato vuoi due?” Poi si girò verso Pansy e disse con cattiveria: “Non ti eri scopata il suo ragazzo?”

 

Un silenzio imbarazzante calò nella stanza. Pansy si immobilizzò e rimase senza parole.
“Andiamo a cena, Camille”, Ginny prese la mano della giovane strega che guardava tutte con gli occhi sbarrati.
“Non si toccano i ragazzi delle altre” disse, meccanicamente, Camille.
Pansy riconobbe le sue parole in quelle della sorella. Si girò verso di lei. “Infatti non l’ho fatto. Avrò tanti difetti, ma non ho mai rubato il ragazzo di un’altra. Di un’amica poi…” Guardò Millicent con uno sguardo veramente glaciale. “Grazie per aver detto veramente quello che pensi di me. Che tu ci creda o no, sarei stata lontano anche dal tuo, di ragazzo” Poi si girò verso Daphne. “Quello che pensi tu, non lo so. Ma come stanno le cose, adesso lo sai”.
Tornò verso il suo letto e sistemò le due buste di acquisti che aveva.

 

Ginny la seguì con lo sguardo e vide che aveva una piccola busta con il logo del negozio ‘Accessori per il Quidditch di alta qualità’; lo fece scivolare fra il comodino e il letto, come se volesse nasconderlo e poi rialzò lo sguardo.
“Andiamo a cena” disse la mora. Fece un cenno a Camille e a Ginny e si incamminò verso la porta.
“Aspettatemi!” La Greengrass le raggiunse velocemente e tutte e quattro uscirono dalla porta.

 

Millicent guardò le ragazze andare via. Si sedette sul letto, appoggiando le cose che aveva portato in bagno per fare la doccia.
Stupide ragazze ricche. Loro non sapevano cosa voleva dire dividere la camera con loro. Stupide, stupide, stupide. Erano sette anni che le sopportava.
Loro, con i bei lineamenti e il fisico snello. Loro, con i bei vestiti e le scarpe nuove. Loro, con le lozioni e trucchi costosi. Loro, con le loro generazioni di purosangue alle spalle. Loro…. che erano ancora amiche.
E poi c’era lei, che non lo era mai stata.

 

Ginny e le ragazze avevano camminato dai sotterranei fino alla sala grande chiacchierando. La Greengrass non era male. Si notava che lei e Pansy erano amiche da tanto. Sembrava che avessero fatto pace da poco. Chissà se avevano litigato per quello che aveva detto la Bulstrude. Ma quella non faceva che mettere zizzania dappertutto.
Pensò a cose più interessanti: prese Camille da parte e le chiese: “Cosa avete comprato al negozio del Quidditch?”
La mora fece una faccia strana, come se non si ricordasse e improvvisamente si ricordò: “Oh, dei guanti!”
“Guanti?” chiese Ginny, ancora più curiosa.
“Sì, dei guanti arancioni” precisò la ragazza scrollando le spalle con noncuranza.
Dei guanti arancioni, eh? “Dei guanti da portiere?”chiese ancora Ginny.
La Serpeverde corrugò la fronte “Non so”.
“E c’erano per caso delle lettere sui guanti? Tipo due ‘C’ nere? E una palla di cannone?” Camille sorrise annuendo.
“Sì, sì” rispose.
Anche Ginny sorrise: dei guanti da portiere dei Chudley Cannons. Per una a cui il Quidditch non interessava neanche, erano un acquisto strano. I Chudley Cannons erano la squadra preferita di Ron. E lui era un portiere. Dovette trattenere una risatina.

 

***

 

Quel giovedì mattina Ginny non riusciva a concentrarsi a lezione. La McGranitt la vide alla fine della terza ora mentre raccoglieva da terra i libri e le pergamene di Trasfiguarazione che le erano cadute.
“Signorina Weasley, tanto valeva che le dessi la giornata libera!”
“Mi scusi, preside McGranitt, mi sento un po’ agitata. Prometto che recupererò la lezione al più presto” spiegò.
La strega fece volteggiare con la bacchetta una pergamena che era caduta lontano dal banco della studentessa. “Vada pure a pozioni, adesso, ma cerchi di non far esplodere niente, per cortesia”.
La rossa annuì distrattamente. La McGranitt fece la sua smorfia preferita, quella uguale a zia Muriel quando il medimago le aveva detto di mangiare la frutta invece dei dolci, e se ne andò.
Ancora due ore di pozioni con Lumacorno e poi poteva pensare serenamente all’allenamento. Serenamente? Per Godric, ma che pensava? Non poteva essere serena.
Doveva assolutamente riuscire a fare un bel allenamento, mica a rilassarsi. Doveva essere più brava di quell’altra. Lo era di sicuro. (Anche se continuava a pensare alla Chang.)
Le sue compagne l’avevano lasciata indietro, notò; si incamminò lentamente verso i sotterranei, schivando altri ragazzi nei corridoi. Quando arrivò all’aula di pozioni, Lumacorno sorrise quando entrò per ultima, comunicandole che avrebbero fatto un lavoro a coppie.
Guardò verso il lato Grifondoro dell’aula. Dei Grifondoro mancava Ritchie Coote, in infermeria dal giorno prima. Erano quindi dispari. E gli altri erano tutti in coppie. Stupendo.
Si voltò verso il lato Serpeverde: in due erano rimasti da soli. Guardò bene chi fossero: Harper, che conosceva perché giocava nella squadra di Quiddich, e piuttosto che passare due ore vicino a lui si sarebbe fatta cruciare, oppure Derrick, un ragazzo biondo e magro, con gli occhiali. Si diresse verso quest’ultimo.
Di solito i Serpeverde erano piuttosto bravi in pozioni. Sperò che lo fosse anche il biondino.
“Weasley, vieni da me carina, che Derrick non sa neanche da che parte mettere le mani!”
Harper aveva sussurrato in maniera che si sentisse solo dal lato dei Serpeverde, ma ridacchiò, intendendo doppi sensi. Ginny alzò gli occhi, ignorando colui che aveva già definito ‘idiota’ tempo prima, e sorrise a un arrossato Derrick.
“Ti dispiace se mi metto qui?” gli chiese. Lui scosse la testa senza dire niente.
Lumacorno scrisse alla lavagna di preparare mezzo calderone di ‘Pozione per attraversare un fuoco incantato di colore nero’ precisando che avrebbero potuto trovare la preparazione di tale pozione alla pagina 104 del libro.
Ginny guardò la lavagna imbambolata: non poteva dar loro qualcosa di più semplice? Avrebbero dovuto cercare gli ingredienti e la prepazione specifica per le fiamme nere. La rossa sbuffò. Che due pluffe. Si voltò verso il Serpeverde con cui divideva il calderone e gli fece una smorfia.
Lui alzò una spalla e sorrise. Tirò fuori il libro e le disse: “Vai alla pagina giusta, intanto prendo l’occorrente”.
Lei rimase a bocca aperta. Come faceva a prendere ciò che serviva se non aveva ancora aperto il libro? Sperò di non aver fatto la scelta sbagliata. Ok.
Aprì il libro alla pagina 104. Per la pozione servivano: zolfo e crini di Terstal. Oh, e basta? Ginny sorrise contenta. Magari avrebbero anche fatto presto.
Poi continuò a leggere. Serviva un altro ingrediente a seconda del colore delle fiamme del fuoco magico da cui si voleva proteggersi. Merlino. Cercò bene nel testo, ma non riusciva a trovare le fiamme nere. Sbuffò e si girò a guardare gli altri nella stanza: qualcuno leggeva il libro, qualcuno preparava il calderone, qualcuno si avventurava verso la dispensa dove c’erano gli ingredienti.
Sospirò. Sperò che quelle due ore passassero alla svelta. Guardò l’orologio: erano passati solo dieci minuti. Ci avrebbe messo una vita. Derrick tornò con quella che le sembrò troppa roba.
Zolfo, sì, ma anche Erba Fondente e Algabranchia rossa, radice di Radigorga e quella che le sembrò Ruta. Lei lo guardò stranita. “Mah…” Lui ammiccò e sorrise.
“Shh… “ Si portò l’indice alle labbra per dirle di non parlare e poi con un cenno del capo gli indicò Harper che passava vicino a loro. Aveva preso tutto quello che aveva scelto Derrick. Ginny sorrise. Quell’idiota l’aveva copiato senza neanche guardare il libro! Poi il biondo tirò fuori da sotto il maglione un mazzetto di Crini di Therstal. Un genio! Si voltò verso il calderone di Harper e notò che lui non li aveva presi.
Sorrise al biondo con più entusiasmo.

 

Iniziarono a lavorare insieme e scambiarono quattro chiacchiere. Per essere un Serpeverde non era male. Era il fratello minore di un giocatore di Quidditch di cui Ginny non si ricordava ma, come disse lui subito dopo: “Di sicuro si ricorderà Potter”, così lei lasciò cadere l’argomento.
Merlino, sette anni insieme e lei non aveva guardato quel ragazzo più di quante, dieci volte? Lo guardò di sottecchi: non era male. E il suo biondo sarebbe stato benissimo con Luna. Le si illuminarono gli occhi. Gli fece un po’ di domande: gli piacevano gli animali, non gli piaceva il Quidditch (ma non piaceva molto neanche a Luna, quindi erano a posto) e voleva diventare medimago.
La fine delle due ore di pozioni arrivò subito, secondo Ginny. E il ragazzo sarebbe stato perfetto per Luna. La loro non fu la pozione meglio riuscita, ma lei non se ne fece un cruccio. Vide Lumacorno sospirare e scuotere la testa davanti al calderone di Harper e lui guardare il liquido con espressione confusa. Si sforzò di non sorridere. Derrick invece ghignava, da bravo Serpeverde. Quando incontrò il suo sguardo, si voltò dall’altra parte, come se fosse stato sorpreso a rubare. Ma lei pensò che avesse fatto bene.
“È stato un piacere lavorare con te, Derrick. Alla prossima” gli disse. Lui allungò una mano e lei, confusa, gliela strinse.
“Il piacere è stato mio”. E detto ciò se ne andò. Ginny si riscosse e uscì dall’aula diretta in sala grande. Ora doveva solo mangiare e cambiarsi. Sospirò. Per fortuna ci sarebbe stato Harry. Harry? Già, avrebbe passato il pomeriggio con Harry! Da soli. Beh, da soli con la squadra di Quidditch più bella di sempre.

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Capitolo 31
*** Incontri e spiegazioni ***


Incontri e spiegazioni

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Quel pomeriggio Hermione decise di fare qualcosa per scoprire quello che Draco aveva fatto tre giorni prima al Ministero. Si erano incontrati, ma lei non aveva avuto il coraggio di dirgli che l’aveva visto. Né lui le aveva detto di esserci stato.
Si stava arrovellando il cervello per sapere cosa stesse succedendo. Ginny le aveva promesso che avrebbe chiesto alla Parkinson se sapesse qualcosa, ma doveva essersi scordata. Così, decise di chiederglielo lei di persona. Incontrò la Serpeverde in uno dei corridoi. Beh, a dir la verità sapeva che sarebbe passata di lì e si era fermata ad aspettarla.
“Parkinson” disse staccandosi dal muro.
La mora si spaventò.

 

Pansy stava tranquillamente pensando ai fatti suoi mentre andava in biblioteca, ma dal nulla sbucò la Granger che le si parò davanti all’improvviso.
“Granger! Vuoi uccidermi?” gridò, con il cuore che batteva furioso.
Le aveva teso un agguato?

 

Hermione spalancò gli occhi. Doveva essere soprapensiero, per non averla vista!
“Scusa… io…. non volevo” si giustificò.
Lei annuì e tornò alla solita espressione. “Cosa è successo?” le chiese la mora.
“Ehm… io volevo chiederti se…. cioè io lo so che non siamo amiche…. però è importante… non vorrei…”
La Parkinson aveva corrugato la fronte. Giustamente. “Di cosa parli?”
Decise di tagliare la testa al toro. “Hai parlato con Draco, ultimamente?” le chiese allora.
“Io?” esclamò la Serpeverde. Ora era Hermione a essere confusa.
“E chi?”
“Io non parlo con Draco da prima di tornare a scuola” ammise la mora. Oh. Sì, forse Ginny aveva accennato a qualcosa del genere.
“Avete litigato?” chiese ancora.

 

Pansy non voleva raccontare i fatti suoi, soprattutto alla Granger.
“Mmm, una cosa così” disse, vaga.
Vide la Granger spalancare gli occhi. “Non avrete litigato per colpa mia, vero?” La Serpeverde la guardò di traverso.
“Ma no” esclamò. Perché avrebbero dovuto litigare per colpa sua?
“Avete litigato per qualcosa che Draco vuole fare?” chiese ancora la Grifondoro.
Pansy era sempre più confusa. I Grifondoro erano veramente strani.
“Abbiamo discusso perché Draco non vuole farsi i fatti suoi” sbottò alla fine.
Ora l’avrebbe lasciata andare in biblioteca?

 

Hermione strabuzzò gli occhi. “Ok, scusa non volevo essere invadente” si giustificò.
“Brava, spiegalo anche a lui” disse la Serpeverde, girandole intorno e prima di rendersene conto le richiese: “Quindi non sai perché è andato al Ministero?”

 

Pansy si fermò. Draco era andato al ministero? Poteva essere solo per andare ad Azkaban. Per un attimo, si pentì di aver evitato il biondo. Solo per un attimo.
Si girò di nuovo verso di lei. “Draco è andato al Ministero?” chiese. La riccia annuì. “Ma non ti aveva detto che ci andava, giusto?” domandò di nuovo. Lei annuì ancora.
La guardò di sottecchi, mentre faceva finta di pensare. Come aveva fatto a scoprirlo?
Beh, erano affari loro. Draco poteva fare quello che voleva. Ma non poteva andare ad Azkaban da solo. Se voleva andare a trovare Lucius, aveva bisogno di qualcuno che andasse con lui. E la Granger andava benissimo, ma lui non glielo aveva detto. Forse non voleva metterla in mezzo. Effettivamente Lucius era difficile da gestire; se lo ricordava bene.

 

La Parkinson sospirò e fece un passo verso di lei. “Non voglio neanche sapere come hai fatto a scoprire che lui fosse là senza che te l’abbia detto”, alzò una mano per interromperla quando Hermione tentò parlare “ma se il motivo per cui c’è andato è quello che penso, avrà bisogno di te. Parlaci al più presto”.
“E perchè è andato al Ministero, secondo te?” le chiese, ma lei scosse le spalle.
“Non ho intenzione di dirtelo. Io posso immaginare, non sono sicura” spiegò.
La riccia si adombrò. “Non vorrai farti pregare!”
“Io so solo che lui ha parlato con… Narcissa?!”
Hermione corrugò la fronte; era strano che Draco parlasse con sua madre? Perché aveva usato quel tono? Vide lo sguardo della Serpeverde allungarsi dietro di lei, lungo il corridoio alle sue spalle. Lentamente si girò e vide una strega bionda, elegantemente vestita con quello che sembrava un abito costoso. Hermione la riconobbe: era la madre di Draco, Narcissa, e stava camminando nella loro direzione, ma non le aveva ancora viste.

 

Pansy non sapeva cosa fare: non voleva incontrare Narcissa. Era riuscita a evitarla fino a quel momento. Poteva continuare benissimo così.
Prese il braccio della Granger e la tirò indietro, verso un altro corridoio. Lei si girò verso la Serpeverde e le chiese: “Cosa fai?”
“Ah, volevi incontrarla?” le chiese, ironica. Vide passare sul viso della riccia diverse emozioni, ma non era sicura di decifrarle correttamente.

 

Hermione non sapeva cosa rispondere. Voleva incontrare Narcissa? L’ultima volta che l’aveva vista, era stato durante la battaglia e l’ultima volta che lei era stata nel raggio visivo della strega, era stato al Manor, quando Bellatrix…
Sì, va bene, ok, non voleva incontrarla. Non così.
Annuì senza dire niente e rimase lì dov’era.

 

 

Ma Narcissa le aveva viste. Non si diventa la moglie di un Malfoy senza avere imparato ad avere tutto sotto controllo. Aveva visto le ragazze, anche se aveva riconosciuto solo Pansy, e aveva visto come erano scappate quando si erano accorte di lei. Non sapeva bene perché fossero scappate, anche se la cosa la fece sorridere.
Qualche tempo prima avrebbe ghignato. Ora avrebbe anche pianto. Non voleva essere quel tipo di persona. Si incamminò velocemente verso l’altro corridoio e sperò che non fossero andate troppo lontano. Quando girò l’angolo le trovò subito. L’altro corridoio era cieco.
Cercò di sorridere come aveva visto fare ad Andromeda: aveva un sorriso così dolce, la sorella.

 

Quando Pansy si ritrovò davanti la strega bionda, trattenne il fiato, soprattutto quando fece quel sorriso così strano. Quando Narcissa pronunciò il suo nome, un brivido le fece vibrare tutta la schiena.

 

Quando la signora Malfoy sorrise e salutò la Serpeverde con un: “Pansy, cara”, la mora si irrigidì, Hermione se ne accorse subito, ma subito dopo tornò rilassata.
“Narcissa” la salutò la Parkinson.
La strega bionda spostò lo sguardo su Hermione e i suoi occhi si spalancarono per pochi secondi, prima di tornare alla normalità. “Mi spiace cara, non mi ricordo il tuo nome” le disse con un sorriso. Un sorriso vero.
“Hermione. Sono Hermione Granger” riuscì a dire. Stava per aggiungere la natababbana, Sanguemarcio, Mudblood, giusto per farle capire chi fosse, quando una fitta le trapassò la testa.

 

Pansy guardò la Grifondoro e vide la stessa espressione che aveva Draco quando andava in crisi. Anche lei? Anche a lei succedeva? Perché?
“Granger, stai bene?” le chiese.
Pansy le appoggiò una mano sul braccio, lei ebbe un brivido e si agitò. “Sì, sto bene” rispose, poco convincente.
“Vuoi che chiami… qualcuno?” le chiese sottovoce. Intendeva Draco, ma in quel momento Draco era l’ultima persona che voleva cercare. Sperò che al massimo le chiedesse di andare a chiamare Ginny.
La riccia appoggiò una mano al muro. “No no, ho detto che sto bene”.
Narcissa si avvicinò, con in viso la stessa preoccupazione di Pansy e disse: “Mio figlio dovrebbe avere qualcosa per questi momenti…”

 

Hermione e la Parkinson guardarono la signora Malfoy. Questa volta fu Hermione a sgranare gli occhi. “Lei… sa?” chiese, poi si voltò verso la Serpeverde ma vide sul suo viso uno stupore identico al suo.
Narcissa annuì e si guardò intorno. “C’è un posto dove possiamo sederci?”
La mora indicò il corridoio. “C’è una stanza in disuso, di là”.
Narcissa annuì ancora, posò un braccio intorno alle spalle della Grifondoro e tutte e tre presero quella direzione.
Hermione ebbe la sensazione che, più che per aiutarla lo avesse fatto per non farla scappare. Entrarono in un magazzino circolare e Narcissa, dopo aver acceso delle lanterne, fece comparire un tavolino da tè, con tre sedie. “Gradite del tè?” chiese quindi alle ragazze.
Senza aspettare risposta, chiamò un elfo e gli diede istruzioni. Quando l’elfo tornò, la strega si sedette e versò il tè.
Hermione guardò la Parkinson che scrollò le spalle e si sedette, così prese posto anche lei. Era un po’ infastidita per via degli ordini dati all’elfo, ma Narcissa non era stata né sgarbata né cattiva quindi non seppe bene per cosa lamentarsi, visto che una tazza di tè l’avrebbe gradita volentieri. “Se non passa, chiamiamo Draco, ok?” spiegò, mentre riempiva l’ultima tazza.
Hermione annuì, mentre prendeva un sorso di bevanda calda: era rigenerante.
“Sono stata io? Ti ho spaventato io?” le chiese la signora Malfoy. Sapeva come venivano le crisi, la sua domanda non era stata casuale.
“Non è stata lei” disse la Grifondoro a bassa voce.
“Quello che ti ricordo, allora?”
Hermione piegò la testa di lato. “Forse. Anzi, sì, è molto probabile”.
Narcissa appoggiò la tazza sul piattino e le posò una mano sulla sua. “Mi dispiace”. Sembrava sincera.

 

Pansy, che non capiva bene lo scambio di battute, si alzò. “Forse è meglio se vi lascio sole…” Narcissa sorrise ancora.
Merlino, non l’aveva mai vista sorridere così spesso, se non quando parlava di suo figlio o lo guardava. “Veramente ero venuta a cercare te” disse.
La Serpeverde si risedette. “Me? E perché?”
Per Salazar, cosa voleva Narcissa da lei? Era per la storia del piano di sua madre? Era perché aveva fatto finta di voler stare con Draco?
“Beh…” iniziò, ma sembrava un po’ tentennante. Ed era la prima volta che le succedeva. “Ho parlato con William White, il consulente che ti ho consigliato l’estate scorsa…” si interruppe e prese un sorso di tè. “Io lo so che non sono affari miei, ma… chi ti dice cosa scrivere a William per investire i soldi?”
Pansy spalancò gli occhi. Ma che razza di domanda era? “Nessuno mi dice cosa scrivere”, iniziò un po’ confusa dalla domanda “perché?”
“Perché sembra che tu riesca sempre a fare dei buoni investimenti. William dice che…” Lanciò un’occhiata alla riccia e poi ritornò a guardare la Serpeverde. “Quando ha iniziato a seguire i tuoi conti non avevi niente, mentre ora hai una delle camere blindate più sicure alla Gringott, e sono passati solo pochi mesi” spiegò.

 

Hermione si voltò verso la Serpeverde “Cosa vuol dire che non avevi niente?”
La Parkinson si agitò sulla sedia e le rivolse uno sguardo veloce. “Mia madre ha vuotato la camera alla Gringott, quando Voldemort ha avuto bisogno. Lei doveva mostrargli più fedeltà degli altri perché la prima volta che lui era salito al potere mio padre non aveva voluto unirsi a lui”, poi si rivolse ancora a Narcissa. “E quindi? Qual è il problema?”
Narcissa la guardò fissa negli occhi. “Nessuno crede che tu possa averlo fatto da sola. Pensano che tu sia in contatto con qualcuno. Qualcuno che sta ad… Azkaban”

 

Pansy si alzò di nuovo e appoggiò le mani sul tavolino. “Voi non credete che l’abbia fatto da sola? Credete che ci sia mia madre dietro? Davvero? Beh, sapete una cosa? Non mi interessa” disse. Si sentiva un po’ agitata.
“Calmati e siediti” le ordinò e Pansy sbuffò e si risedette.
“L’unica cosa che sapeva riconoscere mia madre era un vestito di alta moda da uno contraffatto. Non ci capiva niente di transazioni bancarie. E poi ci appoggiamo alla borsa babbana. Lei non lo avrebbe mai accettato”. Stava quasi parlando da sola.
“A me non interessa chi c’è dietro. William passa le informazioni anche a me, abbiamo fatto i tuoi stessi investimenti e ci va bene. Il problema è un altro. Comunicare con Azkaban senza passare dal ministero è un reato, volevo solo dirti di stare attenta. Potrebbero anche venire a prenderti per interrogarti. Ma se dici che non hai avuto contatti…”
“Ho detto di averlo fatto da sola perché è quello che ho fatto. Posso dirlo a chi volete anche a Shacklebolt in persona, se lo volesse sapere. Non ho niente da nascondere” disse, alla fine, con più sicurezza di quella che sentiva veramente: non le piaceva il Ministero e sperava di averci a che fare il meno possibile.
Vide Narcissa annuire. “Bene. Allora sei a posto. E anche noi. So che il ministero ha tenuto sotto sequestro la vostra casa più del necessario. Non hai un avvocato che si occupi di queste cose burocratiche?”
Pansy alzò le spalle e scosse la testa. Non le interessava la casa dove abitava prima. Però magari interessava a Camille. Sospirò. “Devo andare al Ministero allora? Per la storia di Azkaban?”
Narcissa scosse le spalle. “Non lo so. Ti ho solo raccontato quello che ho saputo”.

 

“Posso pensarci io” disse Hermione. Non aveva più detto niente.
La Parkinson si voltò verso di lei. “Lo posso fare da sola”.
La riccia alzò le spalle “Come vuoi” l’assecondò.

 

Narcissa guardò le due ragazze. Non avrebbe mai pensato di incontrarle insieme. E neanche di prendere il tè con loro, se è per questo. Sorseggiò ancora la bevanda e appoggiò la tazza sul piattino.
Guardò la ragazza seduta vicino a Pansy. Subito si era spaventata quando l’aveva riconosciuta: l’amica di Potter, la babbana. Si ricordò di Bellatrix. Bellatrix che la torturava. E quando le aveva scritto sul braccio quella parola. Un brivido le passò lungo la schiena. Sua sorella era fuori di testa. Quando era uscita da Azkaban sembrava che non avesse più contatto con la realtà.
E ora la ragazza stava male come stava male Draco quando Lucius l’aveva obbligato a farsi fare il marchio sul braccio. L’unica volta che aveva pregato, urlato e pianto contro il marito era stata quella volta. Non voleva che Draco diventasse come Lucius, non voleva che avesse a che fare con la magia oscura, non voleva che servisse il signore oscuro. Ma si era ritrovata circondata. Suo marito e sua sorella. Per loro era una buona idea. Un’ottima idea. E alla fine Draco aveva ceduto. Il suo Draco, il suo bambino.
Avrebbe fatto una brutta fine, se non fosse stato per Severus. E per Pansy. Sapeva come era stato quel sesto anno per Draco. Guardò la mora che fissava la tazza. Sorrise. Suo figlio era la persona più importante, lo sarebbe sempre stata.
Si rivolse all’amica di Potter. “Stai meglio cara?” Lei annuì.

 

“Lei sapeva delle crisi?” Pansy le fece la domanda quasi a tradimento.
“Sì” ripsose.
Poi si voltò verso la Granger e le chiese: “E perché le hai anche tu?”
La ragazza arrossì. “Io… ho una cicatrice sul braccio che me le provoca” spiegò. Pansy non riuscì a non lasciar cadere lo sguardo sulle sue braccia: logicamente erano coperte. Spostò altrove lo sguardo, vergognandosi di non essere riuscita a controllarsi.
“Gliel’ha fatta mia sorella Bellatrix, a casa mia, l’anno scorso”. Narcissa l’aveva guardata. Lei si voltò di nuovo verso la Grifondoro e questa annuì senza abbassare lo sguardo. Prima ancora di rendersene conto, allungò una mano verso la spalla della ragazza e gliela strinse in un gesto comprensivo. Forse era per questo che non era andata a casa Malfoy. Poi guardò ancora la madre di Draco.
“Narcissa, ma perché lei è qui? Di sicuro non è venuta per me” disse, incuriosita.
“Beh, non hai mai risposto alle mie lettere e non sei venuta a Natale. Volevo solo avvertirti…”
Pansy fece un sorriso di circostanza. “Non è venuta per me” disse, più sicura. Poi si girò verso la Granger e le fece un cenno con gli occhi. Tornò a guardare Narcissa. “È venuta perché Draco è andato al Ministero. Giusto?”

 

Hermione era rimasta stupefatta quando la Parkinson le aveva stretto calorosamente la spalla e si stupì anche quando aveva cercato di far dire a Narcissa perché Draco fosse andato al Ministero.
“Sì, è vero. Sono venuta per Draco, ma non l’ho trovato. Lui è…”
“Agli allenamenti di Quidditch” concluse per lei Hermione, prima di pensarci.
La strega si voltò verso di lei con uno sguardo strano. Poi guardò ancora la Parkinson. “Già. Così mi sono ritrovata da sola e ti sono venuta a cercare”.

 

Pansy sorrise ancora e prese la tazza con il tè. Si ripeté ancora che non le interessava quello che pensava lei.
“Quindi non ce l’ha con me?” Non riuscì a non chiederlo.
“No. Dovrei?”
Pansy alzò le spalle. “Pensavo che dopo aver scoperto di mia madre, dei suoi piani…”
“Tua madre non mi è mai stata particolarmente simpatica. Avevo immaginato qualcosa del genere. Draco era considerato un buon partito, in tante ci hanno provato. Ma so che tu non hai mai ingannato mio figlio. E questo è quello che conta per me.”
Pansy decise di accontentarsi di questa spiegazione e annuì. “Però adesso è venuta per sgridarlo” disse. Aveva imparato a leggere le espressioni di Narcissa già da un po’, così andò sul sicuro mentre parlava. “Per sgridarlo perché è andato al Ministero senza dirglielo” continuò. Stette attenta agli occhi e alla bocca della strega mentre lei continuava a parlare. “Perché lui…”Draco glielo aveva detto! “Vuole andare ad Azkaban; da Lucius. E vuole andarci senza di lei!”
Narcissa, che aveva imparato presto a non rivelare emozioni, non si capiva se fosse sorpresa o no, ma sicuramente Pansy ci aveva preso. Su tutto.

 

Narcissa bevve un altro sorso di tè, che ormai si era fatto freddo. Quella ragazzina era tremendamente furba. E sua madre non capiva niente. Sorrise.
“Già. Bella la maternità, vero? Ho rischiato così tanto per lui e ora, dopo che l’ho convinto ad andare a trovare il padre, vuole andarci da solo” ammise la strega.
“Prima o poi dovrà lasciarlo andare, no?” Questa volta aveva parlato l’amica di Potter; la guardò male: cosa ne sapeva lei? Sospirò.
“Lui non può andarci da solo. Ho insistito io perché ci andasse, è vero, ma non voglio che ci vada da solo. Non può farlo da solo. Non dopo tutto quello che è successo. Ha bisogno di chiarirsi con lui, ma ho paura che possa stare male, quindi vorrei che avesse vicino qualcuno che lo possa sostenere” spiegò la donna e tornò a guardare la moretta. “Potresti andare tu, con lui. E lui potrebbe venire con te quando andrai da tua madre”.
In fin dei conti Pansy era meglio di tante altre. Sembrava una buona amica. E non le sarebbe dispiaciuto neanche se si fossero sposati veramente.

 

Hermione si agitò. Non le piaceva la piega che aveva preso la discussione. Ma la Parkinson le strinse ancora la spalla.
“Non penso di essere la persona adatta, Narcissa. Ma prometto che non lo lascerò andare da solo, va bene?” E le lanciò un sorriso di nascosto. Vide Narcissa annuire.
“Io vado” disse la Grifondoro.
L’ultima cosa che voleva fare era assistere mentre la madre del suo ragazzo gli organizzava un incontro con un’altra.
“Andiamo tutte”. La Parkinson si alzò e salutò Narcissa, che le guardava stranita, le prese la mano e sgattaiolò via dalla porta prima che la strega potesse dire qualcosa.
Hemione non sapeva cosa dire: la Serpeverde stava quasi correndo. Si fermò solo dopo molti passi lungo i corridoi.
“Oh, per Salazar. Auguri, Granger, con una suocera così!” Si fermò e sospirò sollevata, come se fosse scampata a un grosso pericolo.
La riccia la guardò. “Sembra che voglia te come nuora” mormorò. Non si rese conto di averlo detto finché non lo sentì con le sue orecchie.
“Oh, vuole qualcuno facile da gestire. E io lo sono sempre stata. Ma sarà molto più divertente con te, scommetto che saprai tenerle testa meglio di me”.
Hermione la guardò incuriosita. “Ma le hai detto che andrai con Draco!”
“No. Ho detto che non lo lascerò andare da solo. Perché ci andrai tu. Io non ho nessunissima intenzione di vedere Lucius” disse.
Hermione era ancora più curiosa: aveva dosato le parole. Avrebbe dovuto imparare anche lei a farlo.
“Perché non vuoi vedere il padre di Draco?” Lei sventolò una mano per liquidare la questione.
“L’hai incontrato anche tu quell’uomo, no?” disse solamente.
“Puoi sempre accompagnarlo e aspettarlo fuori” propose la riccia.
La Parkinson sbuffò. “Oh, ma da che parte stai? Non vuoi andarci tu?”
“Lui non me l’ha chiesto…”
“Non te lo chiederà mai” ammise la mora.
“Allora non voglio andarci!”

 

Pansy sbuffò; stupido orgoglio Grifondoro.
“Ascolta. Non andrete da nessuna parte così. Ogni tanto bisogna cedere, no?” disse.
“Ma non posso dirgli che so cosa vuole fare!” esclamò la Granger.
“Perché no? Ce l’ha detto Narcissa.”
“Ma io l’ho visto al Ministero…” La Serpeverde sbuffò ancora.
“Non è importante. Non devi dirgli che l’hai visto. Quando finirà l’allenamento, Narcissa gli dirà che ha parlato con noi, quindi lui saprà che tu sai. Partite da lì” spiegò.
Vide la Grifondoro intristirsi. “Gli dirà che ha parlato con te e una tua amica e lui penserà che l’abbia detto alla Bulstrude”.
Pansy scoppiò a ridere. “È abbastanza stronza da farglielo credere”, poi si guardò intorno. Erano in mezzo al corridoio. “Vuoi venire nei sotterranei?”

 

Hermione spalancò gli occhi. La Parkinson la stava invitando in camera sua? Assolutamente no.
“Perché non vieni tu nella torre?” Vide la Serpeverde tentennare. Era ora di una piccola rivincita. “O hai paura di incontrare Ron?”
“Io non ho paura di nessuno” esordì, forse un po’ troppo velocemente.
Hermione sorrise. “Perfetto. Andiamo, allora” disse, voltandosi, ma la mora rimase ferma.
“Ok, è vero, non voglio incontrarlo.”
Lo disse così piano che Hermione non fu sicura di aver sentito giusto. “Perché?” le chiese, allora tornando vicino.
“Perché vuole che vada a Hogsmeade con lui, sabato.”

 

“Mi sembra veramente un ottimo motivo per evitarlo. Dovrebbe finire ad Azkaban per questo”. La Granger era ironica, adesso. Pansy sbuffò sorridendo. Poi la Grifondoro si avvicinò. “Perché non vuoi andare a Hogsmeade con lui?”
“Perché è un appuntamento!” esclamò Pansy.
Ma lei non capiva. “E quindi?” chiese infatti.
Non potevano uscire per un appuntamento. Già era stato disastroso quando erano andati sulla torre di astronomia. Lei aveva parlato troppo e gli aveva fatto vedere la foto di suo padre. Era sempre più difficile, non riusciva più a dirgli di no. L’unica era evitarlo.
“Non sono brava con gli appuntamenti” spiegò.
“Non penso sia un grosso problema, penso che neanche lui lo sia” le rispose la riccia.

 

Ma la Parkinson non era ancora convinta. La vide tentennare ancora. Qual era il problema di quella ragazza? Lei non vedeva l’ora che arrivasse sabato per andare a Hogsmeade con Draco. Sorrise ancora all’idea.
“Io… non vado bene per lui” mormorò la ragazza mora, guardandosi intorno.
Hermione tornò al presente. Cosa aveva detto? “Come dici?”
“Se uscissimo insieme, sotto gli occhi di tutti, la cosa diventerebbe seria. Seria davvero. Non andrebbe bene” spiegò.
“E perché non andrebbe bene?”
Lei la guardò negli occhi. “Perché siamo diversi, troppo diversi”.
Hermione sbatté gli occhi. A cosa si riferiva? Intendeva che Ron non era abbastanza per lei? Si stava per arrabbiare, quando vide un’emozione strana negli occhi della Serpeverde. Si ricordò del discorso di Luna, quello sulle persone cattive.
“Pensi di non meritartelo?” domandò, stupita.
La Parkinson abbassò gli occhi. "Sono la figlia di una mangiamorte” sussurrò.
“Io so che non è importante quello che si è, ma quello che si fa” disse.
“Sì, ho già sentito questa frase. Ma io ho fatto brutte cose. Molte dovresti ricordartele anche tu. Vado a fumare, Granger. Ci vediamo in giro.”
La Parkinson cercò di liquidarla. Cosa voleva dire che aveva già sentito la frase? “Le hai fatte tu o te le hanno fatte fare?” le chiese, alzando un po’ la voce.
La mora, che se ne stava andando, si girò e disse allargando le braccia: “E che differenza fa?”
Hermione guardò la ragazza andare via e non disse niente.

 

***

 

Ginny chiese a Harry se si fosse annoiato appena rimasero soli. Il pomeriggio era stato fantastico. Aveva mangiato poco per il nervosismo e per non appesantirsi, poi aveva rintracciato Harry e insieme avevano camminato fino all’ufficio postale di Hogsmeade, dove un signore con la barba bianca molto gentile li aveva accolti e lasciato che si smaterializzassero in Galles.
Harry le sorrise. “Assolutamente no. Mi è piaciuto tantissimo. E anche conoscere Gwenog Jones!” Si toccò la tasca interna del mantello dove aveva messo le due figurine delle cioccorane autografate dalla giocatrice (una era per Ron).
Anche Ginny sorrise. Aveva paura che rimanere seduto a guardare sarebbe stato noioso e invece lui era stato carino. Carino e gentile, come sempre. Sospirò. Si smaterializzarono all’ufficio postale e si fecero vedere dal signore con la barba bianca che sorrise loro amichevolmente.
Uscirono dall’ufficio postale e si incamminarono verso la scuola. C’era freddissimo. Molto più che in Galles. Camminarono vicini senza dire niente. Ginny era stanca ma soddisfatta.
“Ti ricordi di un tipo di nome Derrick, Peregrine Derrick? Un Serpeverde che giocava a Quiddicth?”
Il viso di Harry si piegò in una smorfia. “Sì. Un battitore. Perché?”
Lei alzò una spalla. “Oggi ho diviso il calderone con suo fratello. Non mi ricordavo di Peregrine, ma Mike diceva che tu te lo saresti ricordato di sicuro” spiegò.

 

Harry si fece più attento. Chi era Mike? E perché Ginny era finita con un Serpeverde? Un maschio, poi? La guardò di sottecchi, ma lei sorrideva senza dire niente.
“Derrick e l’altro battitore avevano colpito Baston a tradimento. Si sono beccati un rigore” spiegò.
“Ecco perché era così sicuro che te lo saresti ricordato!” esclamò lei.
E cos’altro si erano detti? “E cos’altro vi siete detti?” si informò infatti.
“Oh, abbiamo fatto uno scherzo a Harper. Ti ricordi di Harper? Il cercatore al posto di Malfoy?” Harry annuì e lei andò avanti: “Quell’idiota ha detto una cavolata perché non avevo scelto lui e Mike è riuscito a fargli prendere un brutto voto” esclamò contenta; adesso rideva. Troppo.
Harry era gelosissimo. Se avesse avuto quel tale Mike fra le mani in quel momento, non sapeva cosa gli avrebbe fatto. Cercò di rilassarsi e rimanere calmo. “E la vostra pozione com’è andata?”

 

Lei si voltò verso di lui. “Oh, non è stata la pozione meglio riuscita, ma mi sono divertita”. Almeno Derrick era riuscito a distrarla dal pensiero dell’allenamento. Le due ore erano volate.
“Dovresti sceglierlo anche la prossima volta, allora” disse nervosamente. Lei alzò le spalle.
“Magari lo farò. Devo conoscerlo meglio” disse e non si accorse che Harry si era irrigidito.
“Come mai?” chiese lui.
Ginny sorrise ancora. “Sarebbe perfetto per Luna!”

 

Harry guardò in direzione della ragazza. “Luna?”
“Sì. Trovo starebbero bene insieme. Devo riuscire a farli uscire” spiegò.
Lui si rilassò davvero. Luna, certo; Luna poteva uscire con chi voleva. Anche con Mike. Annuì. Si avvicinò e le prese la mano guantata senza dire niente. Lei ricambiò la stretta e gli lanciò un sorriso dal basso.
Quando arrivarono nel cortile della scuola, Harry si fermò e le tirò il braccio per farla girare. “Andiamo a Hogsmeade insieme, sabato. Solo io e te. Andiamo da Mielandia, al parco o alla stazione. Dove vuoi tu. Ma andiamoci insieme”. Harry aveva parlato con tono basso ma fermo.
Lei sorrise e annuì. “Scusa se l’altra volta ho reagito così, io non…” Harry non voleva sentire altro. Fece un passo e la strinse fra le braccia prima di chinarsi sulle sue labbra. Era tutto il giorno che voleva farlo.
“È ora di rientrare.”
Gazza, sul portone della scuola, li guardava con il suo sguardo vacuo. Harry vide Ginny annuire e tirarlo per la mano per entrare al castello. Salirono ridendo le scale e attraversarono i corridoi. Sarebbe stata ora di cena fra non molto. Davanti al quadro della signora grassa, la ragazza gli diede un bacio e disse: “Vado a far la doccia, ci vediamo a cena?”
Lui annuì senza dire niente. Riuscì a baciarla un’altra volta e poi entrarono dal ritratto. Ginny scappò verso la scala a chiocciola del dormitorio femminile e Harry si diresse verso le camere dei ragazzi sorridendo.

 

***

 

Prima di cena Draco si incamminò verso il settimo piano. Sorrise del fatto che Hermione gli avesse mandato un gufo di pergamena per chiedergli di incontrarlo e avrebbero potuto avere la stanza delle necessità tutta per loro, se non era già arrivato qualcun altro.
Nel pomeriggio Draco aveva incontrato sua madre e lei gli aveva detto di aver incontrato Pansy e di aver fatto un’interessante chiacchierata. Poi sarebbe andato a chiederle di cosa avessero parlato; sua madre non glielo aveva detto.
Ma aveva ricevuto una bella strigliata da parte sua per il fatto di non averle detto che era andato al Ministero. Si era arrabbiata tantissimo. Pensava che lui sarebbe andato ad Azkaban con lei. Certo. Come no: mamma e papà insieme nella stessa stanza.
Non aveva ancora deciso se andare da suo padre o no. Ma avrebbe deciso lui se, quando e con chi. Su questo era stato irremovibile. Per fortuna sua madre aveva capito. Alla fine gli aveva dato un freddo bacio sulla guancia e in silenzio lui l’aveva accompagnata all’ingresso della scuola.
Poi, prima di andare via, lei gli aveva detto: “Sai chi altri ho incontrato? La babbana amica di Potter. Te la ricordi? Quella che hanno portato al Manor Greyback e i suoi scagnozzi”. Draco si era irrigidito. E aveva visto sua madre sorridere. Non il solito sorriso. Il sorriso che riservava a lui. “Avevo immaginato qualcosa del genere. Stai attento, Draco”, ed era uscita dal portone.
L’aveva guardata finché non era uscita dalla proprietà di Hogwarts e l’aveva vista smaterializzarsi. Aveva capito? E cosa aveva capito? E a cosa doveva stare attento?
Hermione lo aspettava al settimo piano. Quando lo vide arrivare gli sorrise. “Ciao”.
“Ciao, piccola” rispose lui. Si chinò a baciarla prima di aprire la porta della stanza delle necessità.
Sorrise guardando la stanza. Le prese la mano e la trascinò dentro. Lei si sedette sul letto senza guardarlo. Sembrava nervosa. “È successo qualcosa?”
“Oggi ho visto tua madre” esordì la riccia. Draco smise di sorridere: pensava che Hermione non l’avesse vista.
“Oh, davvero?” Non le disse che Narcissa l’aveva riconosciuta.
“Lei… non ti ha detto niente?” gli chiese la ragazza.

 

Hermione non sapeva come affrontare l’argomento. Sapeva che Narcissa l’aveva riconosciuta. Ma cosa aveva detto a Draco? Adesso le venne qualche dubbio. Vide il ragazzo corrugare la fronte.
“Cosa doveva dirmi?” le chiese, con la fronte corrugata.
Sospirò.

 

Draco guardava Hermione senza capire bene la situazione. Cosa doveva dirgli sua madre?
“Ti ha sgridato per qualcosa che hai fatto?” continuò lei. Draco si sentì arrossire. Si sentiva un bambino, un bambino di cinque anni.
“No” mentì Ma non riuscì a guardarla e dovette spostare lo sguardo. Come faceva lei a saperlo? Era impossibile che li avesse visti. Quando aveva accompagnato sua madre fuori dal castello, dopo la loro discussione, non avevano incontrato nessuno. E nessuno poteva averli sentiti litigare su suo padre. Sua madre aveva insonorizzato la stanza, da brava purosangue aveva imparato come non far sapere in giro i fatti loro.

 

Le stava mentendo! Draco le stava mentendo! “No?” gli chiese, anche se sapeva già la risposta corretta.
“No. Per cosa doveva sgridarmi?” Ora lui la stava guardando negli occhi. Quante altre volte lo aveva fatto? Su quante cose aveva mentito? E a quante cose lei aveva creduto? Le si informicolarono le braccia. Merlino, Merlino, Merlino. Non adesso.
“Forse perché sei andato al Ministero senza dirglielo?”
La faccia del biondo ora era impagabile.

 

Draco spalancò occhi e bocca. Come faceva a saperlo lei?
“Come fai a sapere che sono andato al Ministero?”
Poi si ricordò: la piccola Weasley. Lei gli aveva detto che qualcuno lo aveva visto. E quel qualcuno lo aveva detto a Hermione. Santo Salazar! Lei aveva salvato il mondo magico, probabilmente si scriveva tutti i giorni con il Ministro o cose così. Avrebbe dovuto pensarci.
“Perché non mi hai detto che ci andavi?” gli chiese. Il suo sguardo era deluso. Deluso e arrabbiato. La sua voce si era incrinata. Lui sospirò.
“È una cosa mia.”

 

Hermione riconobbe le sue stesse parole. Anche lei non gli aveva detto del C.R.E.P.A. ma il gesto di lui le sembrava meno innocente del suo.
“Immagino che tu abbia ragione” disse.
Si alzò e fece per uscire dalla porta quando lui la bloccò per un braccio. “Dove vai?”
“In dormitorio.”

 


“Aspetta” disse Draco, fermandola mentre andava via.
Forse poteva dirle perché era andato al Ministero. Lei avrebbe capito e lo avrebbe lasciato stare.
“Ok. Sì, sono andato al Ministero. E mia madre mi ha sgridato” confessò. Anche se ancora non sapeva come facesse a saperlo lei.
“E perché ti ha sgridato?” gli chiese.
“Perché l’ho fatto di nascosto.”
“L’hai tenuto nascosto anche a me. Dovrei sgridarti?”
Lui ghignò. “Vuoi sculacciarmi?”
Ma lei non aveva voglia di scherzare. “Perché non mi hai detto che volevi andare ad Azkaban?” sbottò.

 

Hermione si era spazientita quando lui aveva tentato di fare lo stupido. Non era il momento. Lo vide diventare di ghiaccio.
“Come fai a sapere che voglio andare ad Azkaban? Non può avertelo detto nessuno al Ministero. Il segreto professionale…”
Adesso la riccia era nervosissima. “Ma quale segreto professionale! Ce l’ha detto tua madre!”
La faccia di Draco era sempre più pallida e rigida. Aveva l’impressione che potesse sgretolarsi da un momento all’altro.

 

“Mia madre?” Draco era sempre più stupito.
Sua madre non gli aveva detto di aver parlato con Hermione, ma solo di aver parlato con… “Pansy! Te l’ha detto Pansy?” Vide la riccia sbuffare e i suoi capelli agitarsi insieme a lei.
“Eravamo insieme quando tua madre ce l’ha detto” spiegò, lentamente come se fosse stupido.
“Mia madre non avrebbe mai detto una cosa così personale a…” si interruppe da solo prima di finire la frase.
“A me?” concluse Hermione. “Hai ragione. Probabilmente non ce lo avrebbe detto, se la Parkinson non l’avesse indovinato per prima. E purtroppo per voi, c’ero anch’io”.
Draco corrugò la fronte Quindi sua madre aveva parlato con tutte e due? E perché non glielo aveva detto? “Eravate insieme?” chiese sempre più incuriosito. “Mia madre mi ha detto di aver incontrato solo Pansy”.
Hermione alzò un sopracciglio in maniera perfetta. “Perché non sono stupita? Tua madre ha una mente contorta!” Lui alzò una spalla.
“Viveva con mio padre.”
 Lo disse come se fosse una spiegazione plausibile.

 

Il suo sguardo era rassegnato, come se fosse una cosa normale. Hermione alzò le spalle, accettando la sconfitta. “Ma sai che cosa? Non mi interessa. Vai da tuo padre. Vacci da solo. Vacci con la Parkinson. Portati un boccetto di pozione della pace. Bello pieno. Per quando starai male, e SE starai male. Non sono fatti miei”.
Si alzò e questa volta riuscì ad aprire la porta e uscire in corridoio. “Aspetta! Hermione, ma cosa…” Lui l’aveva seguita.
Hermione si voltò verso il Serpeverde e, tirando fuori la bacchetta, lo fece fermare sul posto. “Non ti muovere. È una cosa tua. Hai ragione. Tua madre non me l’avrebbe mai detto. Hai ragione anche su questo. Ma pensavo che me l’avresti detto tu. Ho sbagliato io. Pensavo che fidarmi di te sarebbe stata la cosa migliore. Mi sbagliavo ancora. Mi ero illusa che… Mi ero illusa” concluse tristemente.
Si allontanò all’indietro, ancora con la bacchetta puntata, finché non girò l’angolo.

 

Draco non le corse dietro. Non questa volta. La guardò andare via.

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Capitolo 32
*** Il sabato di Hogsmeade ***


Il sabato di Hogsmeade

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Ginny aveva fatto la doccia ed era scesa in sala comune ad aspettare Hermione per andare a cena. L’aveva incrociata nel corridoio, aveva una gran brutta faccia, ma non si era fermata a parlare con lei, aveva tirato dritto verso la sua camera e aveva sbattuto la porta.
“Ginny, com’è andato l’allenamento?” Ron si sedette vicino a lei sul divano.
“È andato benissimo. Grazie” rispose.
Ron sorrise. “Visto che me lo sono ricordato?”
Ginny ridacchiò. “Te lo sei ricordato solo perché non c’era Harry a scuola, dì la verità!” Al fratello si arrossarono le orecchie. L’aveva beccato! Ma Ginny era contenta. “Parliamo di cose serie” incominciò e lui sospirò.
“Dimmi…”
Lei sorrise ancora. “Dov’è il carillon?” gli chiese.
Ron si guardò intorno dicendo: “Shhhh! Abbassa la voce!”
“Sono andata in camera di Pansy ieri e non l’ho visto. Non glielo hai dato?”
Le sue orecchie divennero scarlatte. “No…” Ron aveva abbassato tantissimo la voce.
“Perché?” domandò. Perché non glielo aveva ancora dato?
“Ho cambiato idea. Non voglio darglielo” ammise il ragazzo.
Oh. Come mai? “Perché hai cambiato idea?”
Lui alzò le spalle “Ho paura che sembri… stupido” si giustificò Ron.
Che tenero. “Non sembrerà stupido. È un bel gesto” disse la ragazza.
Lui non sembrava convinto. “Quando l’aveva visto le era piaciuto. Ma era rotto, ricordi?” Ginny annuì e lui continuò. “C’era rimasta male quando si era bloccato. Aggiustarlo mi era sembrava una buona idea. Ma adesso…” Lui si fermò e sospirò. “Sai, lei… è ricca”, Ginny alzò un sopracciglio. “Può comprarsi quello che vuole, anche un carillon babbano funzionante” finì lui.
“Se tu avessi voluto darglielo due anni fa, ti avrei detto che ti avrebbe riso dietro. Ma non penso che lo farà, ora. Non deve dimostrare niente, non deve star dietro a nessuno, sì… non deve far la stupida, adesso” spiegò.
Questa volta alzò lui un sopracciglio. “Che vuol dire?”
“Non te la ricordi? Quando stava con Malfoy? Quanto sembrava stupida?”

 

Ron aggrottò la fronte. Cosa voleva dire ‘sembrava’?
“Beh, le piaceva Malfoy” disse lui scrollando le spalle. Ginny rise.
“Non è che ci morisse dietro…” Lui si fece più attento. E sperò che lei andasse avanti senza chiederle niente.

 

Ginny vide il fratello confuso. Non sapeva niente? “Non sai perché lei stava con Malfoy?” Lui alzò le spalle. “Forse dovreste parlarvi un po’ di più” capitolò lei.

 

Ron sbuffò. Che due pluffe. Tutti con quella storia del parlarsi.
“Lei mi evita.”
Ginny, che si era voltata verso la scala a chiocciola, si rigirò verso di lui “Ti evita?” Ron annuì.
Martedì aveva risollevato l’argomento Hogsmeade ma lei non gli aveva risposto. Mercoledì era stata via tutto il giorno e quel giorno l’aveva evitato. Glielo disse.

 

Hermione scese le scale e si avvicinò a Ginny mentre parlottava con Ron. Sentì dire al ragazzo ‘Lei mi evita’ e capì che stavano parlando della Parkinson. Sospirò.
“I Serpeverde sono tutti strani” si intromise nella discussione. Ginny la guardò stranita.
“Che intendi?” chiese invece, diretto, Ron.
“Ti ricordi il discorso di Luna? Quello sulle persone cattive? Pensaci. E vai a cercare la Parkinson. Obbligala a uscire con te. Non lo ammetterà, ma l’idea le piace.”
Ron guardò la riccia e poi guardò sua sorella, che gli fece cenno di muoversi. “Magari la becchi prima che si sieda a tavola” disse Ginny.
Lui annuì e scappò via.

 

Ginny guardò il viso di Hermione e la sua prima sensazione venne confermata: qualcosa non andava.
“Che succede Hermione? Tutto bene?” Lei sbuffò e sventolò una mano in aria.
“Niente.”
Ma Ginny si rese conto che non era vero. “Non è vero” disse infatti.
La riccia sorrise tristemente. “Già. Non è vero. Ho discusso con Draco” spiegò.
Ginny spalancò gli occhi. Sperò che non avessero litigato per quello che lei aveva detto al furetto. “Perché avete discusso?”
“So cosa è andato a fare al ministero” disse.
Ginny sorrise e chiese ancora: “Te l’ha detto?”
“No. Non me l’ha detto. Ma me l’ha detto Narcissa” rispose Hermione con voce stizzita.
“Narcissa?” Hermione le fece cenno di incamminarsi e insieme uscirono dalla sala comune per andare a cena. La riccia le raccontò tutto nel tragitto. “Certo che sua madre è proprio strana” disse Ginny, quando l’amica ebbe finito.
“Era Serpeverde anche lei” disse Hermione, come se fosse una valida spiegazione.
“Ma tu vorresti andare a trovare il signor Malfoy? Davvero, dopo quello che ti ha fatto? Per come ti ha trattato?”

 

Hermione per la prima volta si fermò a pensare se volesse o meno andare veramente ad Azkaban. Certo che non ci voleva andare. Ma se lui glielo avesse chiesto, lo avrebbe fatto. Avrebbe preso su un boccetto di pozione bello pieno, (come aveva consigliato a Draco) ma lo avrebbe accompagnato. Se lui glielo avesse chiesto. Ma lui non l’aveva fatto, quindi il problema non c’era.
“Ma non hai pensato che lui non te l’abbia chiesto per evitarti di prendere questa decisione? Per non farti scegliere?” le chiese la rossa.
Hermione la guardò: Ginny sembrava così sicura di quello che diceva. Possibile che lui l’avesse fatto per lei? No. Era impossibile.
“Forse non voleva far sapere a suo padre che stiamo iniseme. Che io gli piaccio. Sempre se gli piaccio davvero…” Si morse un labbro. La testa iniziava a farle male.
“Hermione, fermati”, la rossa la prese per un braccio e la obbligò a fermarsi lungo il corridoio. “Non pensarlo. Tu gli piaci, io lo so. E se dubiti di lui, dubiterai di te e avrai una crisi”.
Hermione scosse un po’ la testa, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime. “Tu sai che io gli piaccio davvero?” chiese, usando le sue parole.
Ginny annuì. “Già. Io so tutto, ricordi?” disse sorridendo.
“Non sai tutto” la prese in giro l’amica, iniziando a calmarsi.
“È vero. Non so cosa mettermi sabato, per uscire con Harry. Mi aiuterai?”
Sorrise anche Hermione “Volentieri”.

 

Ginny pensò di deviare un po’ l’argomento.
“Così Pansy era rimasta al verde, dopo il processo?”
Hermione, che un po’ si era ripresa, annuì e tornò a incamminarsi verso la sala grande. “Tu non lo sapevi?” La rossa scosse la testa.
Ecco perché Pansy scriveva così spesso al consulente. A William. Sorrise. “Come avrà fatto?”
“Non lo so. Ma Narcissa era molto colpita. Le ha chiesto se avesse avuto contatti con sua madre, ma lei ha detto di aver fatto tutto da sola. Secondo te è vero?” le chiese.
Ginny alzò le spalle, mentre giravano l’ultimo angolo del corridoio prima dell’entrata in sala grande. “Non penso che chiederebbe aiuto a sua mamma neanche se ne andasse della sua vita. Sembra che al processo lei abbia detto che voleva ‘donare’ Pansy a Voldemort, se avesse vinto. Hai presente?” spiegò la rossa.
“CHE COSA?”
Ginny si voltò di scatto, verso la voce che aveva sentito. Pensava di aver parlato a voce bassa; ed era stato così, effettivamente, ma suo fratello era così vicino che aveva sentito tutto comunque. Lei non lo aveva visto.
Ron aveva il viso sconvolto. Forse come l’aveva lei quando Pansy glielo aveva raccontato.
“Ron…” iniziò a parlare. Merlino, lui non doveva saperlo da lei. Doveva stare attenta. Avrebbe dovuto fare attenzione. Si guardò velocemente intorno, ma nessuno l’aveva sentita, per fortuna.

 

Ron guardava la sorella sconvolto. Cosa aveva intenzione di fare la madre di Pansy? Era quello che aveva detto Nott. Un brivido lo percorse dal collo in giù. Vide Ginny avvicinarsi a lui.
“Ron…”
“Cosa voleva fare?” le chiese, sempre più stranito.
Ginny sospirò e disse: “Adesso non è questo a essere importante, tu… non avresti dovuto saperlo. Lei non voleva che tu lo sapessi”.
“Perché non avrei dovuto saperlo?” Ron sentì l’ira salirgli dallo stomaco fino in gola. “No, non ti arrabbiare”, tentò di calmarlo.
La rossa gli appoggiò una mano sul braccio e lo strinse con delicatezza, lui abbassò lo sguardo e vide lo smalto della sorella diventare giallo. Giallo intenso.
“Non voleva che lo sapessi?” le chiese.
Ginny alzò un sopracciglio. “È una cosa che racconteresti in giro?”
Ron scosse la testa. No. Ma allora perché lo sapeva Nott? Non lo disse.
“Non è mica colpa sua” disse, invece.
“No, appunto. Ma lei non vuole essere compatita. Non te l’ha detto perché ha paura che la gente la guardi con pietà” gli spiegò la sorella.
“Però l’ha detto a te” mormorò, un po’ deluso.
Ginny sorrise. “È diverso. Era un momento un po’ così, lei si è sfogata quando abbiamo saputo della gravidanza di Camille. Forse si è sentita cadere il mondo addosso e aveva bisogno di parlarne con qualcuno. E io ero lì. E forse avevamo bevuto un po’ troppo” spiegò.
Ron non voleva ascoltare queste cose. “Bene, una sorella ubriacona” la prese in giro, ma sorrise tristemente. “Penso di aver capito” disse sottovoce prima di girare i tacchi.
Non l’avrebbe compatita. Non l’avrebbe mai fatto. Ringraziò il cielo che Harry avesse battuto Voldemort in quell’ultimo duello. Per un breve istante la immaginò a fianco del mostro senza naso. Un’immagine diabolica. La vide piccola, maltrattata e triste. Merlino. Stava facendo ciò che non doveva fare. Si sforzò di cancellare quel pensiero ed entrò in sala grande; lei stava entrando dalla parte dei sotterranei.
Allungò il passo e le andò incontro. Non le diede tempo di scappare. “Ti devo una partita a scacchi, se non sbaglio” iniziò senza neanche salutarla. Lei sbatté le palpebre dalla sorpresa e annuì corrugando la fronte. “Ci vediamo alle nove qui. Ho una proposta per te” disse.
Poi si girò e puntò dritto al tavolo dei Grifondoro senza girarsi.

 

***

 

Pansy entrò in sala comune Serpeverde relativamente presto, quella sera. Il suo Grifondoro preferito l’aveva accompagnata alla porta scorrevole di pietra e poi sorridendo, se n’era andato.
In sala comune non c’era nessuno, notò. Era un po’ strano, in fin dei conti era da poco passata la mezzanotte, non erano le quattro del mattino!
Sorrise e si lasciò cadere di schiena su uno dei divani, con le gambe su uno dei braccioli, sospirando.
“Sembri felice.”
Pansy si spaventò e si tirò su appoggiandosi ai gomiti: su una delle poltrone con lo schienale più alto era seduto un ragazzo. Dalla porta non lo si vedeva.
“Dra! Mi hai spaventato, per la barba di Merlino!” Si sistemò la gonna e incrociò le caviglie. “Che fai da solo?” gli chiese.
Poi si voltò di nuovo verso il biondo. Aveva una brutta faccia: era serio e corrucciato. Notò che sul tavolino vicino a lui c’era una bottiglia di Firewhisky e un bicchiere. La bottiglia non era piena. “Dra… va tutto bene?”

 

Draco scosse la testa con una smorfia per liquidare la questione. Non voleva parlarne.
“Tu?” le chiese. Lei lo guardò dal basso.
“Ho perso una partita a scacchi…” Ma il suo tono divertito contrastava con quello che diceva.
“E sei contenta?” Lei scosse le spalle senza dire niente. “Ah, devi aver perso contro Weasley. Com’è andata? L’hai fatto vincere per farlo sentire importante?” disse forse un po’ troppo duramente.
Pansy gli lanciò un’occhiataccia. “Non l’ho fatto vincere. Mi ha battuto lui. E non è neanche la prima volta”.
Draco alzò un sopracciglio. Sapeva che a Pansy piaceva giocare a scacchi, infatti era brava. Rise. “Hai trovato chi ti da del filo da torcere?”
Lei si girò sulla pancia. “Già. È stupido che io trovi la cosa eccitante?”
Draco le sorrise “No. Capita anche a me, con Hermione”. Capitava. Il suo sorrise si spense nello stesso instante in cui comparve sulle labbra della ragazza.
“Allora va bene. Se succede anche a voi, è una cosa giusta” sentenziò lei, appoggiando il viso sulle mani. “Mi toccherà anche andare a Hogsmeade con lui”. Ancora una volta, il tono era contrastante con quello che diceva.
Ti toccherà? Dovrebbe essere una punizione?”
“Fino a oggi gli ho sempre detto che non volevo andarci e stasera si è presentato con la scacchiera dicendo che se avesse vinto lui saremmo usciti insieme sabato” spiegò lei. Draco pensò che fosse una situazione strana: lui avrebbe dato la sua bacchetta per uscire con Hermione e Pansy, a cui non piacevano le cose ufficiali, era costretta a uscire con Weasley.
“E se avessi vinto tu?” le chiese, incuriosito.
“Mi ha detto di scegliere quello che volevo” rispose lei, muovendo le spalle.
“E cosa hai scelto?”
“Niente. Non ho vinto” spiegò.
Lui ghignò. “E non hai pensato a niente?” Il viso di Pansy divenne strano. Era in imbarazzo. Stava arrossendo? C’era troppo buio per notarlo. “Scommetto che hai pensato per tutta la partita a dove portarlo per fare sesso e non sei riuscita a concentrarti!”

 

Pansy spalancò la bocca. Merlino, era andata proprio così! Draco rise di gusto quando capì di aver indovinato. Santo Salazar! L’aveva fregata? L’aveva fatto apposta?
Draco rise ancora guardandola in faccia. Poi si allungò verso il bicchiere e ridivenne triste.
Lei si alzò e andò a sedersi sul tavolino davanti a lui. “Oggi ho visto Narcissa” disse.
Draco annuì prima di bere.
“Me l’ha detto” confermò.
Lei sospirò mentalmente. “L’hai vista? Ti ha raccontato che ci ha detto che sei andato al Ministero?”
Lui guardò il bicchiere. “Sì. Ma non mi ha detto che ne aveva parlato con Hermione. Mi ha detto che aveva visto solo te e che avevate fatto una ‘interessante chiacchierata’” spiegò.
Però, che stronza! “Ah!” esclamò infatti.
“Già. Ho discusso con lei perché non glielo avevo raccontato.”
“Con tua mamma?” chiese Pansy.
Lui alzò lo sguardo verso di lei: un cucciolo bastonato. “Ho discusso con Hermione. Lei si è arrabbiata e se n’è andata via” spiegò.
Merlino. “E adesso?”
Lui alzò le spalle. “Non lo so”.
“Perché non volevi che lo sapesse?” gli chiese.
“Si sarebbe offerta di accompagnarmi”. E cosa c’era di male in questo?
“E perché non vuoi che ti accompagni?”
“Dai: mio padre!” sbottò Draco.
“Sì, ma lei lo farebbe per te” la giustificò Pansy.
“Mio padre la distruggerebbe. Potrebbe dirle qualcosa di brutto, potrebbe offenderla. Lui…”
“Magari lei è preparata a questo. E lui non avrebbe su di lei lo stesso potere che ha su di te. Perché poi vuoi andare ad Azkaban?”
“Voglio andare là e parlare l’ultima volta con lui. Voglio chiarire e dirgli finalmente quello che penso. E voglio andarci da solo.”
“Le hai detto proprio così?” chiese lei, allarmata. Lui scosse le spalle.
“Non ricordo cosa le ho detto di preciso. Perché?”
“La Granger potrebbe aver pensato che tu non vuoi che ti accompagni per non far sapere a tuo padre di voi” spiegò.
Draco spalancò gli occhi. “Cosa? E perché avrebbe dovuto pensarlo? Non me ne frega niente di quello che pensa mio padre! Non voglio che venga perché potrebbe stare male! Lui è così… lo sai, com’è. Ho il terrore che lei possa avere una… crisi” disse, cercando di spiegare.
Pansy annuì. “So che anche lei le ha. Ma se ci sei tu con lei, potrete sostenervi a vicenda, no?”
Draco fece roteare il liquido nel bicchiere, ipnotizzato dal movimento. “E se mio padre raccontasse delle cose su di me… cose brutte… e Hermione… non volesse più stare con me?” Il biondo aveva abbassato la voce.
“Non lo farà: lei ti conosce. Sa che quello che hai fatto non è stata colpa tua e quando si è trattato di scegliere, sei stato sincero con la tua vera natura. Se lei ti ama, non cambierà idea per questo. E, secondo me, ti ama” disse sinceramente, chinandosi in avanti per posargli una mano su un braccio e accarezzarlo.
Lui si tranquillizzò e appoggiò il bicchiere. “È successo così con Weasley? Gli hai parlato di tua madre e lui non ha… detto niente?” Lei tolse la mano da lui e si rimise dritta, guardando per terra. “Pansy? È andata così?” le chiese ancora.

 

Draco voleva solo essere sicuro. Sicuro che fosse la cosa giusta. Se lei aveva raccontato al Grifondoro i suoi segreti, anche quelli che considerava ‘brutti’, lui forse avrebbe seguito la stessa strada. Anche se non era del tutto sicuro. Pansy non era oscura come lui. Non era una ex Mangiamorte, non aveva sulla coscienza la tortura di altre persone.
Ma lei non lo guardava. Si allungò lui e le toccò la mano, appoggiata sul tavolino. Lei alzò lo sguardo verso di lui.
“Io non gli ho raccontato niente” ammise.
Draco si infastidì. “No? E perché vuoi che lo faccia io?” Il suo labbro tremò.
“Non è detto che venga a sapere cose che non sa. Lei ti conosce, sa com’eri prima della guerra e nonostante questo sta con te. Ti vuole per come sei” spiegò, forse un po’ triste.
“Avrei potuto evitare che venisse torturata e non l’ho fatto” disse lui, più a se stesso che a lei. “Avrei dovuto fermare mio padre e mia zia quando loro sono arrivati a casa nostra. Avrei dovuto oppormi… avrei dovuto…” Strinse gli occhi, si portò un pugno chiuso alla fronte e allungò la mano verso il bicchiere.

 

Merlino, Merlino, Merlino. No, una crisi no!
“Draco… io non so cosa è successo a casa tua, ma dubito che avresti potuto fare qualcosa di concreto” lo consolò. Si inginocchiò ai suoi piedi e gli tolse il pugno dalla fronte. “Guardami: loro erano troppo potenti per essere sconfitti da qualcuno da solo, lo sai”.
Il Serpeverde aveva gli occhi appannati. “Loro tre però sono riusciti a sconfiggerlo. Io non ci ho neanche provato”.
“Avevi in ballo troppe cose, avresti perso la tua famiglia, lo sai. Non avresti mai lasciato tua madre da sola. Lo sappiamo tutti e due” Lui annuì lentamente. Lei gli accarezzò ancora il braccio. Merlino. Merlino. Stava passando? “Vuoi la pozione?” Lui scosse la testa. “Ti accompagno in camera” gli disse.
Fece sparire la bottiglia e il bicchiere e si alzò. “Andiamo, dai” quasi ordinò. La stanza del settimo anno plus era in fondo al corridoio. Camminarono in silenzio per un po’, si sentiva solo il rumore dei tacchi delle scarpe della ragazza.
Pansy appoggiò una mano alla sua spalla e disse sottovoce: “Andrà tutto bene, non preoccuparti”, si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, prima di tornare indietro.
Se lo avesse ripetuto tante volte, alla fine, tutto sarebbe andato bene per forza, no?

 

***

 

Ginny aveva indossato un vestito di velluto verde e nero (che aveva scelto fra quelli che Pansy non aveva mai messo), un paio di stivali sotto al ginocchio e si era anche lasciata truccare. Si sentiva bellissima. E stava anche iniziando a valutare l’idea di aggiungere qualche gonna al suo guardaroba.
Aspettava Harry nella sala d’ingresso, pronta per il loro appuntamento a Hogsmeade.

 

Harry aveva fatto tardi perché pensava di aspettare Ron per andare verso la sala d’ingresso, ma poi scoprì che lui era già uscito dalla sala comune.
Si incamminò velocemente verso le scale e percorse il lungo tragitto con il fiato corto. In quel momento si pentì di non aver dato appuntamento a Ginny in sala comune invece che davanti al portone.
Quando arrivò, ancora trafelato, la vide tranquilla che guardava la fila di gente che usciva dal portone, dove Gazza segnava sulla sua lista la gente che usciva. Si fermò a riprendere fiato, giusto per non fare brutta figura e la osservò: si era messa la gonna. E sembrava così bella. La sua Ginny. Per fortuna tutto si era risolto, e loro avevano fatto pace.
Vide Zabini avvicinarsi a lei e parlarle. Lei gli rispose qualcosa che Harry, logicamente, non sentì e poi vide una scena da gelargli il sangue: il Serpeverde si era avvicinato di più a lei, si era chinato e l’aveva baciata sulla bocca. Lei aveva spalancato gli occhi sorpresa, aveva fatto un passo indietro e gli aveva tirato un sonoro ceffone.

 

Blaise era uscito dai sotterranei per andare a Hogmeade; era riuscito a convincere Draco ad andare con lui, perché altrimenti sarebbe rimasto in camera a piangersi addosso, ma secondo Blaise doveva aver cambiato idea perché non riusciva a trovarlo da nessuna parte.
Quando era arrivato alla sala d’ingresso, aveva visto la Weasley ferma vicino alla porta, da sola. Si era avvicinato per darle un po’ fastidio: era così divertente. Anche se sapeva che era dannatamente triste per lui.
Gli piaceva stuzzicare la piccola rossa perché lei si agitava subito (esattamente come una volta faceva il fratello, ma adesso con lui non c’era più soddisfazione) e perché Blaise era consapevole che lei lo respingeva tutte le volte. Pensava che se avesse fatto una buona pratica di rifiuti, non avrebbe avuto paura di una reazione negativa da parte di Daphne e, forse avrebbe tentato un approccio con lei. Forse.
“Hai visto Draco?” le chiese, avvicinandosi.
Lei aveva alzato lo sguardo su di lui. “Ciao Zabini” disse un po’ piccata, come se volesse ricordargli l’educazione. E probabilmente era così. “No, non l’ho visto. Non ho visto neanche Hermione, effettivamente” continuò lei, ma lui non l’aveva ascoltata perché aveva visto, nella colonna di ragazzi in fila, Daphne.
Era con quell’idiota di Tassorosso, Macmillan, rideva di qualcosa che aveva detto lui e lui aveva allungato una mano per toccarle una guancia. Sentì salirgli la bile fino in gola. Lui non doveva toccarla. Ma Blaise non poteva fare niente: tornò a guardare la Weasley che lo guardava con una faccia stranita e le disse avvicinandosi: “Scusami Weasley”.
“Per cosa?” gli chiese lei, stranita.
“Per questo” rispose Blaise. Poi si era chinato e l’aveva baciata. Beh, aveva appoggiato le labbra sulle sue e basta. Perché lei era indietreggiata subito e lui aveva sentito il viso andargli a fuoco. E non stava arrossendo: era stato colpito. E forte. Merlino!
“Fallo ancora e ti schianto, hai capito?”
Il suo sguardo era furente e i suoi occhi lampeggiavano mentre si allontanava. Il Serpeverde si era girato verso di lei e l’aveva vista passare davanti a Potter, dirgli qualcosa e allontanarsi anche da lui: si sentì quasi in colpa. Quasi.
Fece un passo verso Potter che avanzava verso di lui e gli disse: “Devi essere una persona tremendamente difficile da dimenticare, tu, Potter”. E guardò verso Daphne, che lo guardava con gli occhi e la bocca spalancati.
Macmillan guardava la ragazza e poi volse lo sguardo verso di lui e Blaise li salutò con la mano, ghignando.

 

Harry vide Ginny andare verso di lui mentre si incamminava verso l’ingresso. Gli passò vicino e quando lo vide (dovette capire dalla sua faccia che aveva visto tutto) disse: “Immagino che dirti che non è come sembra non serva a niente. Come la storia della mappa, no?”, e senza aspettare risposta tirò dritto per le scale.
Harry si girò per chiamarla, ma lei non lo sentì. Si voltò verso Zabini che ormai l’aveva raggiunto e gli disse qualcosa sul fatto che lui fosse difficile da dimenticare, mentre si teneva la guancia con la mano. Stava per ribattere quando vide lo sguardo del Serpeverde andare oltre di lui e si girò: la Greengrass, insieme a Macmillan, li guardava con sguardo atterrito e quando riportò lo sguardo sul Serpeverde vide che aveva un sorriso strano.
Quell’idiota aveva fatto il troll con la sua ragazza per farsi vedere dalla Greengrass?
Harry prese il moro per il gancio del mantello e lo avvicinò alla sua faccia. “Zabini, Ginny è la mia ragazza…” iniziò con il tono più duro che aveva, ma lui lo interruppe. “Oh, siete tornati insieme?” chiese sorridendo.
“Sì. La prossima volta che ti avvicini a lei, ti schianto” lo minnacciò, prima di spingerlo via in malo modo. Lui rise e a Harry venne voglia di schiantarlo subito. O tirargli un pugno sul naso.
“Stesse parole della Wealsey. Siete fatti l’uno per l’altra” disse, ma il suo ghigno era quasi strafottente.
Si avvicinò di un passo e strinse la mano a pugno: oh, che voglia di cancellargli quel sorriso dalla faccia! Velocemente, gettò l’occhio verso le scale, ma Ginny non si vedeva più e la rabbia gli montò dentro come se l’avesse covata con cura.
Sentì qualcuno tossire: si girò e vide la preside, insieme a Lumacorno, osservare la scena. La mano gli prudeva ancora. Togliersi la soddisfazione di pestare Zabini (e finire a farsi rimproverare nell’ufficio della McGranitt per tutto il giorno) o seguire Ginny e chiarirsi con lei? Non aveva voglia di perdere tempo.
Guardò verso le scale, nella direzione presa dalla rossa: decise di seguirla, subito. Lasciò perdere il moro e sussurrò: “Ti è andata bene”. Si affrettò e fece gli scalini due a due, finché non riuscì a raggiungerla al quinto piano. “Ginny!”

 

“Ginny!”
Qualcuno la stava chiamando. Ginny se ne accorse solo dopo che il suo nome venne pronunciato più volte. Si voltò e si fermò. Era arrabbiatissima: con Zabini, con Harry, con se stessa. Non aveva capito cos’era successo: quell’idiota l’aveva baciata davanti a Harry e ora lui, che non aveva fiducia in lei, avrebbe pensato tutte le idiozie più improbabili e non le avrebbe mai creduto. Ed era arrabbiata con se stessa perché… Merlino perché era arrabbiata con se stessa? Non aveva colpe!
Harry stava correndo nella sua direzione e quando la raggiunse si fermò con le mani sulle cosce, con il fiato corto.
“Ginny…” iniziò, ma si interruppe ansimando.
Lei lo guardò stranita e un po’ triste. “Non è stata colpa mia”.
Harry si tirò su e le sorrise. “Lo so” rispose.
Ginny, che si stava preparando per una discussione, si bloccò. “Lo sai?” Lui annuì, ancora senza fiato.
Si appoggiò al muro con la mano aperta e spiegò: “Ho visto cos’è successo. Gran bel colpo. Anche se forse, una fattura ben assestata…”
Lei arrossì. “Non sono stata svelta a tirar fuori la bacchetta, questo vestito…” disse, aprendo il mantello.

 

Harry la guardò: era stupenda. Adesso che poteva vederla da vicino, notò che era truccata, aveva un vestito che non le aveva mai visto e sorrideva un po’ insicura.
“Sei bellissima” le disse e Ginny arrossì. “Grazie. Volevo che fosse tutto perfetto per il nostro appuntamento…”
“E infatti lo sarà”, le porse il braccio piegato. “Vuoi venire a Hogsmeade con me?”

 

Ginny annuì. Harry era perfetto.
“Adesso avrai fiducia in me?”
“Non ho mai smesso di aver fiducia in te. Te lo giuro. Sono stato un idiota sì, ma non ho mai pensato male di te” spiegò Harry, guardandola.
Lei guardò per terra mentre ritornavano al piano inferiore. “Però mi spiavi sulla mappa del malandrino…” Non riuscì a stare zitta.
Lui si fermò, le prese le spalle e la girò verso di lui. “Io non ti spiavo. Io guardavo la mappa del malandrino per… per non sentirmi solo. Di notte, quando ero nel bosco con Ron e Hermione, guardavo la mappa per sentirti vicino. Mi piaceva vedere il tuo puntino e immaginare quello che facevi, mi dava tranquillità e sicurezza. Sapere di avere qualcuno che mi aspettasse perché ero semplicemente Harry e non “Il prescelto” mi aiutava in quello che stavo facendo. Mi mancavi così tanto, avevo una paura fottuta e spesso non riuscivo a dormire. Tu mi tranquillizzavi, mi davi coraggio. Quella sera ho avuto un incubo e non mi sono riaddormentato. Ho aperto la mappa perché mi annoiavo e ti ho visto. So che non avrei dovuto saltare alle conclusioni. Mi dispiace tantissimo. Ma la mia mente era ancora ingarbugliata”, fece una pausa e i suoi occhi si abbassarono. “Mi spiace, non riesco a spiegarlo bene” disse alla fine, alzando una spalla come per scusarsi.
E invece si era spiegato benissimo. Ginny non riuscì a trattenere una lacrima. La sentì scivolare giù lungo la guancia.

 

Harry vide la lacrima di Ginny scivolarle sul viso e la raccolse con la punta del dito. Le appoggiò la mano sulla guancia.
“Scusami” le disse.
“Non scusarti: baciami” Lui non se lo fece ripetere e la baciò. “Andiamo a Hogsmeade. Ho aspettato tanto questo primo appuntamento”.
Lei sorrise, di quel sorriso che piaceva tanto a Harry.

 

***

 

Quando Pansy uscì dalla porta scorrevole dei sotterranei sospirò: Camille la stava facendo impazzire. Di nuovo. La ragazza aveva deciso di tornare in bagno poco prima che uscissero dalla sala comune. Doveva andare con Astoria da Mielandia e Camille non vedeva l’ora. Anche Pansy non vedeva l’ora che Camille uscisse con Astoria e le sue amiche. O Santa Astoria!
Fuori dalla sala comune vide Ron Weasley che l’aspettava. Lo guardò stranita.
“Non dovevamo vederci all’ingresso?” gli chiese e lui sorrise.
“Pensavo che non saresti venuta” si giustificò il Grifondoro.
Lei alzò un sopracciglio. “Davvero? Ho perso una partita a schacchi magici. Dovevo venire per mantenere la mia reputazione” spiegò.
Il rosso sorrise ancora. “Ma ieri hai vinto tu. Chissà cosa pensavi di poter fare…”
La Serpeverde rise: era riuscita a vincere contro di lui, ma non avrebbe mai fatto saltare l’uscita a Hogsmeade. Mai. Ma non glielo disse
“Se avessi vinto io ti avrei detto che dovevi metterti la gonna, ma vedo che ci siamo letti nel pensiero” disse il ragazzo, sorridendo e guardandola con uno sguardo malizioso.
Pansy arrossì, ma si riprese subito. “Ma ho vinto io. Considerati fortunato che non l’ho fatta mettere a te!” E ammiccò nella sua direzione. Lo sguardo del Grifondoro valeva più di mille parole. Rise ancora. “Aspettiamo Camille, ti va? È andata in bagno…” gli chiese con un po’ di rassegnazione.
Lui annuì senza problemi. Vide Daphne uscire dalla sala comune. Le ragazze si sorrisero. Daphne salutò anche il rosso. La guardò girare l’angolo e andare verso la sala d’ingresso.

 

Ron aspettava pazientemente. Non era mai stato bravo a essere paziente, ma in quel momento non ebbe problemi. Era appoggiato al muro dei sotterranei e davanti a lui la Serpeverde camminava avanti e indietro aspettando Camille. Il suo mantello si apriva a ogni passo e lui riusciva a vedere le sue gambe calzate d’argento ogni volta che il mantello si spostava. Si rallegrò del fatto che avesse messo la gonna, senza capacitarsi bene del perché. Non gli importava troppo di quello che aveva addosso, di solito, visto che poi se lo toglieva. Ma gli piaceva il fatto che lo avesse fatto per lui. Lo faceva sentire importante. Forse si illudeva disperato. O forse no. Sorrise. In quel momento uscì dalla porta Camille: sembrava sconvolta.
La salutò ma lei non lo vide, si diresse velocemente verso Pansy e le chiese: “Hai visto Daphne?”

 

Pansy si girò alla voce della sorella. Andò vicino al rosso per fargli cenno. “Sì l’ho vista. Perché?” Camille era agitata. Non avrebbe dovuto esserlo.
“Hai visto il vestito che aveva addosso?” domandò, nervosa.
Pansy si immobilizzò. Merlino. Non aveva pensato che Camille avrebbe potuto riconoscere il vestito. In fin dei conti lei non lo aveva mai messo.
“Mmm no” mentì.

 

Ron vide lo sguardo della Serpeverde e capì che stava mentendo. I suoi occhi vagavano in maniera strana, probabilmente pensando a cosa rispondere.
“Quindi te l’ha preso di nascosto?” chiese ancora Camille. Pansy lo guardò sorridendo e poi si rivolse di nuovo alla sorella.
“No. Gliel’ho dato io” confessò.
Camille si arrabbiò. “Perché lo hai dato a lei? Potevi darlo a me se a te non piaceva! Io l’ho desiderato tantissimo e tu lo sapevi!”
Pansy sospirò spalancando gli occhi, glielo aveva visto fare ogni volta che affrontava un problema. “Non mi ricordavo” mentì ancora.

 

Camille era incazzata nera. Il vestito che maman aveva preso in Francia per Pansy, il bellissimo vestito di pizzo nero e argento che ora indossava la sorella di Astoria, era il suo abito preferito. Pansy non poteva non ricordarsi: lo aveva provato così tante volte da immaginarsi di sposarsi con quel vestito. Era nuovissimo. Sapeva che Pansy non l’aveva mai messo. Chissà poi perché. Glielo aveva visto addosso e sapeva che le stava benissimo. Maman aveva speso tanti galeoni per comprarglielo e lei lo aveva dato via così? Avrebbe potuto darlo benissimo a lei! Diceva che non si ricordava? Balle. Non poteva essere, le aveva fatto un sacco di moine per quel vestito, non poteva non ricordarsi!

 

Ron per un attimo pensò che le due sorelle si fossero scordate di lui. Discutevano animatamente su un vestito. Camille disse anche quanto era stato pagato e di quanto fosse infastidita del fatto che la sorella lo avesse regalato all’amica.
Infatti, secondo Camille avrebbe dovuto averlo lei, il vestito.
Per fortuna aveva una sorella sola e che non amava i vestiti.
Erano imbarazzanti. Fino a quando Pansy disse con un filo di voce: “Camille, basta! Non gliel’ho regalato. Gliel’ho venduto!”
Si scoprì a spalancare gli occhi e a esclamare, insieme a Camille: “CHE COSA?”

 

Quando Pansy sentì la voce del Grifondoro, si girò verso di lui, sperando che non avesse capito quello che aveva detto. O Merlino, che vergogna! E aveva solo detto la verità. Di nuovo. Si ritrovò davanti due paia di occhi che la guardavano con meraviglia. Sospirò.
“Niente” disse, riprendendo a camminare.
Qualcuno le prese un braccio. Quando si voltò scoprì che era stata Camille a fermarla. “Che vuol dire che glielo hai venduto?”
Pansy sospirò: aveva fatto trenta… “Quando mamma e Julien sono stati arrestati dal Ministero, la nostra camera di sicurezza alla Gringott era vuota. Ho dovuto… inventarmi qualcosa” spiegò.

 

Camille le lasciò il braccio, stranita. “Oh” Merlino, non sapeva cosa dire. Non lo sapeva. Per questo aveva fatto quella faccia quando il medimago carino aveva detto il prezzo della foto del bambino? Si sentì in colpa. “Ma… e adesso?”

 

Pansy si voltò verso la sorella e le mise le mani sulle spalle. Doveva ricordarsi che era incinta e non doveva subire troppi sballottamenti di emozioni.
“Adesso è tutto ok. Sono riuscita a risolvere tutto.”

 

Ron ascoltava le due Serpeverde sempre più stupito. La famiglia Parkinson al verde? E adesso aveva risolto tutto? Possibile? Non disse niente. Loro di soldi non ne avevano mai avuti, quindi non sapeva come funzionassero quelle cose.

 

Camille, però, ancora non capiva. “Ma perché allora sei venuta a prendermi? Perché non mi hai lasciato con i nonni?”
Vide Pansy sbuffare e riprendere a camminare. “Non preoccuparti. È tutto a posto”.
Un’altra di quelle cose che, secondo la sorella, non doveva sapere. Si arrabbiò di nuovo e sbottò: “Intendevo: perché mi hai obbligato a venire qui, quando potevo benissimo stare in Francia con i miei nonni e magari stare meglio che qui con te?” Calcò un po’ troppo la frase sul fatto che i nonni fossero i suoi e non quelli della sorella e che là sarebbe stata meglio.

 

Pansy ora era arrabbiata. Davvero? Con tutto quello che aveva fatto? Con tutto quello che aveva passato? Ora Camille intendeva che non stava bene lì con lei? Si inalberò così tanto che non riuscì a frenarsi mentre faceva un passo verso di lei e le diceva: “Perché, piccola ingrata, anche i tuoi nonni sono a corto di soldi e pensavano di risolvere la cosa facendoti sposare uno che abita in fondo alla loro via!” Quando si rese conto di quello che aveva detto, si portò una mano alla bocca e strabuzzò gli occhi. “Merlino…”

 

Camille si sentiva male. Esattamente come la sera prima e come quella mattina. Quando Pansy disse che i suoi nonni volevano farla sposare con qualcuno (e lei non sapeva niente!) per risollevare i guadagni della famiglia, le venne la nausea. Ma era sicura? Forse aveva capito male.
Poi pensò: gli strani atteggiamenti della nonna, le cose che le aveva detto… un altro attacco di nausea e un dolore lancinante alla pancia.
Si portò una mano al ventre e gridò, vide tutto nero e perse conoscenza.

 

Pansy vide la sorella cadere e una chiazza di sangue allargarsi sotto di lei. Non riuscì a fare niente. La guardò sconsolata cadere. Non riuscì a prenderla, nonostante fosse sicura di averci provato. I suoi occhi si sgranarono più della sorella, poi, mentre effettivamente faceva un passo in avanti, inciampò e cadde in avanti.

 

Ron non riuscì a tenerle tutte e due. Quando aveva visto Camille tenersi la pancia e la pioggia di sangue che aveva perso, la raggiunse, per aiutarla, e quando perse i sensi riuscì ad appoggiarla per terra.
Quello che non aveva previsto era che Pansy tentasse di aiutarla e cadesse per non essere riuscita a muoversi. Quando cadde in ginocchio le andò vicino. Lei lo guardava con uno sguardo terrorizzato in viso.

Ron non era un granché quando si trattava di prendere decisioni, lo sapeva benissimo: di solito erano Hermione o Harry che gli dicevano cosa fare, in quello era bravo. Ora era tutta un’altra storia. Avevano bisogno di Madama Chips o forse, ancora meglio, del San Mungo. Ma non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Cercò di pensare velocemente; tirò fuori la bacchetta e pronunciò ad alta voce: “EXPECTO PATRONUM”.
Quando dalla bacchetta uscì un fiotto di luce che prese le sembianze del cane, si sentì più tranquillo. Quando il cane corse dalla McGranitt, per avvisarla del problema, si sentì quasi in pace. Quando poi sarebbe arrivata la preside, si sarebbe tranquillamente rilassato.
Pansy lo guardò sgranando gli occhi. “Che magia è?” chiese e Ron vide rispetto nei suoi occhi. Gli piacque. Tanto.
“Te lo spiego dopo. Adesso arriverà la McGranitt, non preoccuparti” continuò lui. La Serpeverde però raggiunse la sorella e le prese la mano.
“Hai visto cosa ho fatto? Merlino, le ho fatto male? L’ho… uccisa?”
Ron si inginocchiò di fianco a lei e le circondò le spalle in un abbraccio. “No che non l’hai uccisa, non preoccuparti. Andrà tutto bene” la tranquillizzò sospirando.
Non aveva la più pallida idea di quello che fosse successo, né di come sarebbe andata, ma in quel momento voleva solo tranquillizzare la ragazza.

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*** Ecco a voi il nuovo capitolo!! Se vi va di lasciare un commento... Buona lettura a tutti!!!

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Capitolo 33
*** Al San Mungo ***


 Al San Mungo

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Pansy continuò a tenere la mano della sorella. Vide arrivare la McGranitt e il rosso parlare con la preside.
Dopo poco erano passati da un camino e si era ritrovata al San Mungo, seduta su un divano in una sala d’attesa con in mano una tazza di tè e Ron che le sedeva vicino.
Cosa avrebbe fatto se non ci fosse stato lui? Sarebbe stata ancora lì nel corridoio? Sua sorella sarebbe morta? L’avevano portata via appena erano comparsi al San Mungo e ora non sapeva più niente. Cosa era successo?
Le sue mani non smettevano di tremare, infatti la tazza di tè continuava a traboccare. Il ragazzo gliela tolse di mano e l’appoggiò da qualche parte. Poi si alzò e andò a parlare con una delle infermiere.

 

Ron si sentiva impotente. Chiese a una delle infermiere se c’erano delle novità, ma questa gentilmente gli rispose che appena avessero saputo qualcosa, li avrebbero subito informati. Il rosso annuì e ringraziò.
Tornò a sedersi vicino a Pansy, che guadava davanti a sé come se fosse stata in trance.
Le mise una mano sulla schiena e le disse ancora che sarebbe andato tutto bene. Lei si voltò verso di lui e disse: “Ho ucciso mia sorella”.
“No che non l’hai fatto.”

 

Pansy sentì gli occhi inumidirsi mentre lui la tirava verso di sé e la baciava sulla testa. Si coccolò con il suo calore finché un’infermiera si avvicinò chiedendo se volesse prendere un po’ di pozione della pace.
“No” rispose, risoluta.
“Forse sarebbe il caso che la prendessi” disse il rosso. La ragazza si staccò da lui.
“Preferirei rimanere lucida finché non sappiamo qualcosa” rispose all’infermiera. Questa le fece un sorriso molto dolce e annuì. Pansy si alzò e fece qualche passo avanti e indietro. Aveva ancora il vestito che aveva messo per andare a Hogsmeade.
“Mi spiace, ho rovinato l’appuntamento” mormorò.
“Non dirlo neanche per scherzo!”
Lui era serio ma poi le sorrise, gentile. Merlino! Era sempre più difficile. Lui era sempre così gentile. Era quasi meglio quando la trattava male. No, non era vero, pensò sbuffando: a Pansy piaceva tutto di lui.
In quel momento, una persona uscì dal camino della sala d’attesa. Un ragazzo. Biondo. Si guardò intorno, cercandoli e quando li vide si avvicinò.

 

“Draco!”
Ron vide Pansy spalancare gli occhi. Probabilmente era meravigliata che lui fosse lì. O era molto felice che lui fosse lì? Si domandò un po’ preoccupato.
La ragazza si avvicinò di un passo al Serpeverde e lui accorciò la distanza e l’abbracciò stretta.
Ron spostò un po’ la testa. Non voleva guardarle le mani, ma non resistette. Sospirò sollevato quando vide il colore delle unghie della ragazza.
“Grazie di essere venuto” gli disse lei, poi si staccò da Malfoy e gli fece un sorriso triste.
“Io ci sono sempre. Lo sai” le rispose.
Poi, velocemente, si avvicinò al divano dove era seduto Ron e gli porse la mano. “Grazie per avermi fatto chiamare”. Il rosso gliela strinse e fece un cenno con il capo.
“L’hai fatto chiamare tu?”
Pansy lo guardava adorante. Il suo sguardo valeva più di mille parole. Sentì le orecchie andargli a fuoco e fece un altro cenno con il capo. Doveva sembrare proprio uno stupido.
“Cosa dicono?”
“Purtroppo non dicono niente” rispose Ron al Serpeverde.

 

Pansy non riusciva a crederci. Ron aveva fatto chiamare Draco per lei? Perché era un suo amico? Anche se lui lo detestava? Sorrise. Era un tesoro. Si sedette di nuovo vicino a lui e gli appoggiò una mano sul ginocchio.
“Grazie” gli sussurrò, ma prima che lui aprisse bocca per dire qualsiasi cosa, dal camino uscì qualcun altro: una ragazza rossa, poi un ragazzo scuro e una bionda. Subito dopo arrivò anche il moro con gli occhiali.
E fecero un gran casino.

 

Ginny tossicchiò. Preferiva sempre la smaterializzazione.
“Malfoy!” gridò quando riuscì a inquadrare tutta la stanza. “Ecco dov’eri!” Si voltò verso gli altri dicendo: “E noi che lo davamo per disperso. Lui era qui!”
Si avvicinò a Pansy e l’abbracciò. “Tesoro, come va?”

 

Pansy venne abbracciata da tutti. Ginny, Blaise, Daphne e anche Potter, sebbene lui lo fece con molto imbarazzo. Rise un pochino, nervosamente.
“Cosa ci fate qui?” chiese loro.
Ginny si meravigliò della domanda. “Cosa vuol dire? Siamo qui per darti sostegno morale”. Si guardò intorno. “Camille?”
La Serpeverde scosse la testa “Ancora non sappiamo niente…”

 

“La McGranitt vi ha lasciato venire tutti?” chiese Ron. Sua sorella si girò verso di lui come se lo vedesse per la prima volta.
“Beh, sì… più o meno… diciamo che la preside è dovuta uscire dal suo ufficio per qualcosa che è successo nel corridoio e noi siamo entrati proprio quando lei non c’era, così non è che ci ha proprio detto che non potevamo venire…”
Sua sorella si sarebbe presto messa nei guai. Lo sapeva. Ma Ron sorrise. “E cos’è successo in corridoio?”
Fu La Greengrass a rispondere: “Oh, dei ragazzini hanno fatto scoppiare delle caccabombe”.
“Dai, che fortunata coincidenza!” ammise Ron.
“Vero? E pensa che tutti credevano che avessi obbligato io i ragazzini a farlo!” Ginny continuava a sorridere.
“No! Chissà perché lo pensavano!” esclamò, ironico.

 

“Hai minacciato dei ragazzini?” chiese Pansy. Ginny le rivolse uno sguardo scandalizzato.
“Assolutamente no! Cercavo Malfoy per farlo fare a lui. Ma lui non c’era…” disse poi lanciando uno sguardo corrucciato nella direzione del biondo. “Io… ho dovuto contrattare”.
“È il caso che non ti chieda come” le disse la mora.
“Già. Tanto non vuoi saperlo davvero”. Agitò una mano in aria. E poi si rivolse direttamente a Draco: “Sei da solo, Malfoy? Dov’è Hermione?”
Lui scosse la testa e guardò verso il corridoio da dove stava arrivando un’infermiera. Anche Pansy guardò in quella direzione.

 

Ginny corrugò la fronte: cosa aveva il furetto? E dov’era Hermione? Era ancora per la storia di Azkaban? Ma… avevano smesso di parlarsi, per quella stupida discussione? Ginny guardò Ron che scosse le spalle, poi si voltò verso Harry, ma anche lui aveva uno sguardo stranito e scosse la testa.
In quel momento arrivò un’infermiera che li sgridò: “Ragazzi questo è un ospedale, fate meno confusione”. Tutti annuirono e qualcuno guardò per terra, colpevole.
Ginny le sorrise del suo sorriso da brava bambina e le promise che avrebbero fatto meno casino. Ma lei non si fece corrompere e se ne andò borbottando. Ginny sbuffò.

 

Ron vide l’infermiera andare via e sua sorella sbuffare.
La Serpeverde vicino a lui aveva posato ancora la mano sul suo ginocchio; gliela strinse. Lei si voltò verso di lui e gli sorrise.
Sarebbe andato tutto bene. Ma fu con sollievo che vide arrivare l’infermiera simpatica che comunicò loro che Camille stava bene ed era sveglia e cosciente.
Sentì Pansy sospirare di sollievo e la sentì chiedere all’infermiera, mentre si alzava di slancio: “E il bambino come sta?”
“Adesso le chiamo un medimago” rispose lei e se ne andò.
Pansy si girò verso Ron con uno sguardo corrucciato. “Perché se n’è andata?”.

 

Pansy non capiva perché l’infermiera non aveva risposto alla sua domanda. Daphne le si avvicinò e le posò una mano sul braccio. “Le infermiere non possono dare notizie mediche. È andata a chiamare un medimago perché possa darti tutte le informazioni” spiegò.
La mora annuì vagamente. Il signor Greengrass era un famoso medimago privato, lei sapeva di sicuro quello di cui stava parlando.
Dal camino uscirono altre due persone e Pansy si voltò a vedere chi fossero. Merlino! I nonni di Camille. Non aveva pensato ad avvisarli!
Andò loro incontro e li salutò. Amelie, la nonna di Camille, aveva uno sguardo preoccupato, giustamente, ma non le rivolse delle brutte parole, come si era aspettata. Pascal invece aveva gli occhi sgranati e sembrava arrabbiato.
“Vi ha scritto la McGranitt? Scusate, non ho pensato di avvisarvi, è successo tutto così…” Lui le fece un piccolo sorriso, forse per la prima volta, pensò.
“Non preoccuparti. Ora siamo qui. Camille come sta?” le chise.
“Sto aspettando un medimago che ci dica tutto. Ma l’infermiera dice che è sveglia e sta bene” spiegò.  L’uomo annuì e poi guardò la moglie con uno sguardo arrabbiato.

 

Ginny si era seduta al posto della Serpeverde sul divano, fra Ron e Malfoy.
“Chi sono?” le chiese suo fratello.
“Sono i nonni di Camille. Devono essere venuti dalla Francia.”
Malfoy alzò un sopracciglio. “In così poco tempo? Come ha fatto la McGranitt a mandar loro un gufo e loro ad arrivare subito? Avranno avuto bisogno di una passaporta…”
Ginny alzò le spalle. “Non lo so. Magari la McGranitt ha mandato loro un Patronus e il loro Ministero ha fatto presto per via della gravità della cosa” disse.
Il biondo la guardò stranito: forse loro non conoscevano i Patronus. “Un Patronus?”
“È una magia che ci ha insegnato Harry. Quelli dell’Ordine della Fenice la usavano per comunicare fra di loro ma fondamentalmente è un incantesimo difensivo per proteggersi dai dissennatori” spiegò. Il Serpeverde la guardava incuriosito.
“Oh, se invece di darci la caccia quando ci nascondevamo a fare esercizi di magia, vi foste uniti a noi, non mi guarderesti così e sapresti farlo anche tu. Forse” aggiunse alla fine, ghignando un pochino.
Vide Pansy che li guardava dopo aver lasciato i nonni ed essersi avvicinata. “Patronus. È la magia che hai usato oggi?” chiese lei direttamente a suo fratello.
Ginny si girò verso Ron e gli sorrise. “Hai usato un Patronus?” Lui annuì a tutte e due.
“Se non ci fosse stato tuo fratello, io e Camille saremmo ancora là nel corridoio. È stato grande” disse Pansy.
La rossa notò lo guardo che la Serpeverde lanciò a suo fratello e vide le orecchie di Ron diventare rosse. Trattenne una risata. Dire che erano carini era sdolcinato. Ma erano veramente carini. Guardò verso Harry, che chiacchierava con il nonno di Camille. Come se le avesse letto nel pensiero, lui si girò a guardarla e le sorrise.
Si alzò e andò vicino a lui.

 

Il medimago che aveva visitato Camille la settimana prima entrò nella sala d’aspetto e si fermò, colpito dal fatto di trovare tanta gente. Pansy gli andò incontro e chiese notizie. Lui li guardò tutti, valutando se parlare lì o spostarsi in un’altra stanza. Ma alla ragazza non interessava la privacy. Voleva sapere come stesse Camille. Amelie e Pascal si avvicinarono anche loro.
Camille stava bene, era sveglia e aveva chiesto della sorella, disse il medimago, dopo un attimo di esitazione.
“E il bambino?” Si ritrovò a dover chiedere Pansy. La faccia del medimago parlava da sola.
“Mi dispiace. Il bambino non ce l’ha fatta.”
 Oh. No. Povera Camille. Povero bambino.
Sentì le lacrime scendere sulle guance. Si girò velocemente, per nascondere la cosa. Una mano si posò sulla sua spalla.

 

Quando Pansy aveva iniziato a piangere Ron aveva sentito una stretta allo stomaco, ma quando il medimago le aveva appoggiato una mano sulla spalla, aveva sentito una stretta diversa nel petto. Si era avvicinato già mentre lui parlava e quando l’aveva toccata si era fatto avanti e l’aveva abbracciata, spostandola da lui.
Sperò che il medimago capisse senza dover esser troppo diretto.

 

“Possiamo vederla?” chiese la nonna.
Il medimago spostò lo sguardo verso di lei e annuì. “Ma non potete entrare tutti. Solo i familiari. Ha bisogno di riposarsi” spiegò.
Mentre i nonni si incamminarono verso la stanza di Camille, Pansy si girò verso gli altri.
“Grazie ragazzi per essere venuti. È il caso che torniate a scuola. Prima che la McGranitt si arrabbi” disse, un po’ meno in ansia.
Abbracciò Daphne e Zabini e si girò verso la rossa. Mentre l’abbracciava disse a Ron: “Dici tu alla preside che rimango qui?”
Ron scosse la testa mentre lei si staccava da Ginny. “No. Glielo dice Malfoy, giusto? Le dice che rimaniamo qui tutti e due” rispose, girandosi verso il biondo che annuì e l’abbracciò.
“Glielo dico io” confermò Draco.
Pansy guardò il Grifondoro. “Resti qui?”
“Resto con te” dichiarò lui. Lei annuì come se foste stata la spiegazione più logica.
Tutti se ne andarono e loro rimasero soli ad aspettare il ritorno dei nonni. Videro due infermiere (quella gentile e quella scorbutica) passare insieme parlando sottovoce e sparire dentro un altro corridoio.
Quando tornarono indietro, Ron chiese della pozione della pace. L’infermiera annuì e sorrise alla ragazza. Pansy si girò verso di lui come se l’avesse tradita. “Perché gliel’hai chiesta?”
Lui le accarezzò una guancia. “Perché qualcuno deve occuparsi di te, visto che tu non lo stai facendo” spiegò.
Pansy sbuffò e spostò la guancia. “Non sono io a essere stata male”.
“Se ti fossi vista con i miei occhi non lo diresti” disse il rosso e lei spalancò gli occhi.
“Ho fatto qualcosa di brutto?”
Lui scosse la testa. “Hai subito uno shock. È normale. Per fortuna è passato e lei adesso sta bene”.
“Ho ucciso il bambino” disse, guardando la porta verso cui erano andati i nonni.
“Non l’hai ucciso.”
“La settimana scorsa l’ho sentito muoversi, ho visto la foto che il medimago gli ha fatto, ho visto quell’esserino agitarsi e dimenarsi. E ora non c’è più: l’ho ucciso” “Non sei stata tu” precisò lui.
La ragazza lo guardò poco convinta.

 

In quel momento dal camino uscirono due persone vestite di nero.
Pansy e Ron li guardarono. Sembravano… sembravano addetti del Ministero. Loro li guardarono e si avviarono verso uno dei corridoi, senza rivolger loro nessuna parola.
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo curioso. Ma in quel momento tornarono i nonni di Camille nella sala d’aspetto.
“Tutto bene?” chiese Pansy quando vide la faccia dei due anziani. Loro annuirono. Pascal era ancora arrabbiato e Amelie invece sembrava spaventata. Cosa stava succedendo? Perché si comportavano in quella maniera così strana?
Pansy si preoccupò: voleva vedere Camille. Subito. Uno dei due tipi del ministero tornò in sala d’aspetto seguito da un’infermiera.
“Ci deve seguire al Ministero. Dovrà consegnarci la bacchetta” disse a Pansy.
Pansy pensò che avesse parlato con Camille, che lei avesse raccontato quello che era successo e che volessero interrogarla. Era giusto. Era colpa sua. Ma prima voleva assicurarsi che Camille stesse bene. Drizzò le spalle e annuì.
“Certamente. Ma non prima di essermi assicurata che mia sorella stia bene” disse. Quando il tipo vestito di nero tentò di dire qualcosa lei gli lanciò un’occhiata glaciale e lui annuì senza più dire niente.

 

Ron non capiva cosa stesse succedendo: i nonni della ragazza erano tornati con delle facce da paura e poi erano arrivati i due tipi del Ministero. Uno di loro era sparito da qualche parte e l’altro aveva detto a Pansy che doveva andare al Ministero. E lo aveva detto con un tono così strafottente che si sentì indignato. Lui si sentiva indignato! Insegnavano questo all’accademia? Non era così sicuro di volerci andare.
Pansy aveva tirato fuori tutto il suo atteggiamento snob da purosangue e l’aveva guardato dall’alto al basso dicendo che prima avrebbe visto Camille. Per fortuna. Per la prima volta fu contento che lei avesse quell’atteggiamento. Ma la cosa era strana comunque e lui era sempre più stranito e il culmine lo raggiunse quando l’infermiera dietro il benvestito del Ministero aveva esclamato: “Ho detto quella donna, non la ragazza!”
Tutti si girarono nella direzione indicata dall’infermiera e guardarono la nonna di Camille: lei scoppiò a piangere.

 

Pansy strabuzzò gli occhi e si guardò intorno spaesata.
“Che succede?” chiese direttamente al tipo vestito di nero che le aveva detto di seguirlo.
“Non posso parlarne con lei” disse saccentemente.
“Voleva portarmi al Ministero e adesso non può parlarmi di niente?” Alzò un sopracciglio. Era più forte di lei. Lui balbettò qualcosa. L’infermiera si avvicinò sospirando e guardando male l’uomo.
“Vieni con me, ti porto a vedere tua sorella” disse.
Le mise una mano sulla spalla e la spinse verso la camera di Camille. Pansy si girò verso il rosso e gli fece cenno di seguirle. L’infermiera gentile, dopo averla portata via dalla sala d’attesa, la fece fermare e tirò fuori dalla tasca del camice un boccetto e fece apparire un cucchiaio.
“Prendi la pozione, prima” le disse e Pansy ubbidì senza dire niente. Voleva sapere cosa stava succedendo. Se doveva bere quella cosa prima di saperlo, lo avrebbe fatto subito, così subito lo avrebbe saputo. “Brava. Vieni ora, entra”.
La spinse verso una delle camere e quando sentì il Grifondoro prenderle la mano, entrò.

 

Ron le prese la mano quando ebbe il sospetto che lei ne avesse bisogno. Riuscì a farlo nel modo giusto ed entrarono insieme nella camera.
Camille era sdraiata a letto. Era maledettamente pallida e piangeva. Quando vide la sorella sorrise e cercò di mettersi a sedere. Pansy raggiunse il letto e le disse di non affaticarsi.
“Mi dispiace, io non sapevo! Davvero. Ti giuro che non lo sapevo!”
La Serpeverde l’abbracciò e la tenne stretta mentre le accarezzava la testa.
Ron non capiva niente della situazione e, dalla faccia di Pansy, intuì che neanche lei ci capiva molto.

 

“Shh… adesso non ci pensare. Ti hanno dato qualcosa per dormire?” chiese la ragazza a Camille.
“Mi hanno dato una pozione… hanno detto che calma la mente” rispose e Pansy annuì: la pozione della pace. “Però voglio prima dirti una cosa e voglio dirtela io. Voglio assicurarti che non sapevo niente. Davvero. Non sapevo sarebbe successo… questo” disse indicando il letto.
La mora alzò un sopracciglio. “Ti ascolto” disse, corrugando la fronte. Era qualcosa di cui preoccuparsi?
“So che mi avevi detto di non raccontare ai nonni della gravidanza, ma un giorno la nonna mi ha visto vomitare e ha capito…” Pansy trattenne il respiro e le accarezzò la testa. “Così le ho raccontato quello che era successo: della gravidanza e di tutto il resto… io pensavo… le ho detto che a volte mi capitava di sentirmi pentita di aver scelto di tenere il bambino…”
Camille abbassò gli occhi e la sorella, seduta sul letto, si avvicinò di slancio per abbracciarla. Merlino! Perché Camille non si era confidata con lei? Perché non le aveva detto come si sentiva? Ora provava un gran senso di colpa. L’aveva lasciata sola. Sola per scrivere a William, per fare il prefetto, per la scuola. Si voltò verso il rosso, in piedi vicino alla porta: per lui.
Riportò lo sguardo sulla sorella. “Mi dispiace che tu ti sia sentita così” mormorò. Non era brava a scusasi. Non lo faceva mai.
La ragazzina pianse ancora e scosse la testa.
Dopo un po’ continuò: “Quando sei venuta a prendermi per tornare a Hogwarts, la nonna mi ha dato una scatolina con tre pastiglie. Mi ha detto che erano vitamine molto importanti. Dovevo prenderle il terzo giorno dalla luna nuova”.
Pansy annuì. Si ricordò di quando le aveva chiesto quando c’era la luna nuova. Il terzo giorno: mercoledì. Mercoledì giovedì e venerdì. L’ultima il giorno prima. E quella mattina….
“Quindi ti ha fatto abortire Amelie?” chiese quasi balbettando. Camille annuì.
“Me l’ha detto prima, quando è venuta a vedere come stavo. Io non lo sapevo… E non volevo. È vero che le avevo detto che ero pentita, ma quando abbiamo visto il bambino nella foto… ti ricordi? La foto che ci ha dato il medimago carino? Il bambino era così reale. E poi si è mosso e io mi sono sentita… diversa” Lei annuì ancora. “Però la nonna si è spaventata e si è scusata. Ha detto che non pensava sarebbe stato così… lei pensava che fossi incinta da poco e non sarebbe successo tutto questo”. Camille piangeva ancora.
“Ascolta, ora non preoccuparti. Dormi, ok? Sistemerò tutto io. Tu riposati” disse la mora. La ragazzina annuì, ma prima che si alzasse le prese la mano.
“Pansy… perché mi hai fatto quella domanda al ristorante? Su Nott, sul fatto di essere consenziente. Conosci qualcuna che è stata molestata da Nott?”
Pansy si alzò lentamente e prese il mantello che aveva tenuto sulle gambe fino a quel momento. “No, Camille. Ero solo preoccupata per te. Io… non conosco nessuno” disse, senza osare guardarla.
Si incamminò verso la porta e uscì, passando davanti a Ron. Non riuscì a guardare neanche lui.

 

***

 

Harry e Hermione erano seduti davanti alla scrivania vuota del Ministro della Magia: Ron aveva mandato loro un Patronus dal San Mungo.
Kingsley tornò con un plico di pergamene. Uno spesso plico di pergamene. Harry imprecò sottovoce quando vide il tutto. Il nome in alto indicava tutti i provvedimenti presi per qualcuno. Pansy Parkinson.
Si voltò velocemente verso Hermione e si scambiarono uno sguardo corrucciato. La Parkinson era nei guai? Il Ministro si sedette alla scrivania e appoggiò il plico davanti a sé. “Allora: ho una casa sequestrata, la richiesta di due passaporte per la Francia, terminate, e un provvedimento amministrativo per un controllo su comunicazioni non tracciate con Azkaban. No, aspettate…” Una piuma auto inchiostrante, uscì dal plico e iniziò a scrivere su una pergamena. “C’è anche un’indagine in corso per qualcosa… un incidente, forse” Alzò uno sguardo preoccupato su di loro.
Harry imprecò ancora mentalmente. In che guai si era cacciata la Parkinson? E in che guai sarebbe finito Ron? Harry pensava che lei fosse a posto. L’aveva detto a tutti. Ora non ne era così sicuro.
“Ah, no. Sembra debba essere interrogata solo come strega a conoscenza dei fatti. Non è sospettata” continuò a leggere il Ministro finché la piuma non finì di scrivere e si posò a lato della pergamena. Harry sospirò. Almeno quello. Ma il resto?
Si girò di nuovo verso Hermione: era sempre lei quella che capiva quelle cose.

 

Hermione sapeva già qualcosa. Si avvicinò con la sedia alla scrivania e girò il plico verso di lei. Scartabellò un po’ le pergamene. Ne spostò qualcuna.
“Le passaporte per la Francia, visto che sono terminate, possiamo archiviarle, no?” Guardò il Ministro con un sorriso: lui prese la bacchetta e fece volare le pergamene in un’altra stanza. Lei annuì. Ora la casa: aveva parlato con Molly. Sapeva che aveva scritto per velocizzare la cosa.
“Chi si occupa dei tre casi? Il controllo della casa, di Azkaban e dell’indagine? A che punto siamo?” chiese, con professionalità.
Kingsley alzò la bacchetta e un fascio di luce gialla uscì dalla punta. La luce investì tutte le pergamene, finché due fogli non uscirono dal plico e si posarono, uno di fianco all’altro davanti a Hermione. Vide Harry alzare un sopracciglio ammirato. Lui era uno da fatti, non da pergamene scritte. Quando fosse diventato un Auror avrebbe avuto un lavoro sul campo, non in ufficio. Prese il primo foglio e lo lesse.
“Qui c’è scritto che nella casa non hanno trovato niente. Che può essere riconsegnata. E la data è dello scorso settembre” dichiarò la strega.
Girò il foglio verso il Ministro, che lo prese e lo lesse. Intanto Hermione aveva iniziato a leggere l’altro foglio.

 

Harry non capiva niente. Cercava di stare attento, ma era difficile. C’erano troppe pergamene, secondo lui.
“È vero. Avremmo dovuto riconsegnarla. Non so perché non sia stato fatto. Abbiamo riconsegnato molte delle case in ritardo. I proprietari ci mandavano gufi dopo i trentun giorni di controllo, se non avevamo provveduto. C’è stato così tanto lavoro da quando… Provvedo subito a mandare comunicazione con un gufo.”
Il mago sospirò. Con la bacchetta incantò anche quella pergamena che volò fuori dalla porta.
Harry vide Hermione sorridere: le piaceva fare ordine. Eccome, se le piaceva! Sorrise anche lui.
“E la storia di Azkaban?” chiese quindi Harry. Non aveva detto niente, non voleva sembrare un troll.

 

Hermione aveva in mano la pergamena conclusiva sull’indagine di Azkaban. Gliela passò.
“Anche quella dovrebbe essere chiusa. C’è scritto che non hanno trovato niente. Nessun gufo fra la Parkinson e sua madre, nessuna pergamena, nessuna comunicazione via camino, niente di niente. La Parkinson ha detto la verità.”
Per fortuna sapeva anche questo e sapeva cosa cercare. Sarebbe stata una cosa veloce. “Perché il plico è così spesso? Quando le cose vengono concluse, non sarebbe meglio archiviarle subito? Onde evitare equivoci? E ora: L’indagine sull’incidente? A chi possiamo chiedere?”

 

Kingsley sospirò. Hermione aveva ragione. Lo sapeva. Ma il lavoro era stato troppo: troppi mangiamorte da processare, controllare, perquisire, senza contare quelli ancora da arrestare. Troppe persone da tenere sotto controllo. Troppe dimore, manufatti e pergamene da controllare. Azkaban da sistemare. Era brutto da dire, ma senza i dissennatori c’era più lavoro per loro. E il personale scarseggiava.
Annuì mentre scriveva una pergamena che fece volare in corridoio con la bacchetta. Guardò di sfuggita il nome sul plico. Chissà se quella ragazza era… Sospirò ancora.
Dopo poco arrivarono i due addetti che si occupavano dell’indagine del San Mungo. Erano entrambi vestiti di nero. Il Ministro li osservò. Non sembravano particolarmente svegli. Dovevano essere fra quelli che avevano ‘ereditato’ dal governo precedente.
“Buongiorno. Vi state occupando voi dell’indagine su un aborto illegale ai danni di una giovane strega di nome…” Si allungò a leggere la pergamena scritta dalla piuma “…Camille Lemaire?”

 

Hermione si bloccò. Non aveva capito bene, prima. L’incidente riguardava Camille? Il bambino di Camille? Harry l’aveva chiamata appena aveva ricevuto il messaggio da parte di Ron, ma non le aveva spiegato tutto. Camille aveva perso il bambino? I due che erano entrati nella stanza si presentarono e spiegarono quello che era successo.
Hermione prestò troppa poca attenzione, purtroppo, troppo presa a pensare a Camille. Non era la sorella a essere accusata, dissero, ma la nonna paterna. Fece fatica a seguire quello che dicevano perché l’indagine era troppo fresca per avere notizie dettagliate. Era già stata interrogata la nonna, che si era presa tutta la colpa. Fra qualche giorno avrebbero chiuso tutto.
Riuscì però a capire che la Parkinson non aveva più pratiche aperte presso il ministero. Quando i due agenti se ne furono andati, si rivolse ancora verso Kingsley
“Quindi non ci sono più pratiche aperte su di lei?” chiese e lui confermò il suo pensiero. Perfetto, avevano finito.
Lei e Harry si alzarono per tornare a Hogwarts, ma il ministro chiese a Hermione di parlare con lei in privato. Lei annuì e si voltò verso il moro che le disse: “Vado a salutare Arthur, quando hai finito, torniamo a scuola insieme”. Salutò e uscì.
La riccia si rimise seduta e chiese: “Avete bisogno d’aiuto a sistemare le pratiche?” Il ministro scosse la testa.
“No, volevo parlarti di altro.”

 

***

 

Ron uscì dietro a Pansy fuori dalla camera di Camille, cercò un posto isolato e mandò un patronus a Harry per scoprire cosa fosse successo con il ministero.
Quando tornò in sala d’aspetto vide che la ragazza era seduta sullo stesso divano di prima. Forse non s’era neanche accorta che lui si fosse assentato.
Aveva uno sguardo strano ed evitava il suo sguardo da quando aveva risposto a Camille.
Si avvicinò e le chiese se volesse fumare.

 

“Sigaretta?”  
Gli occhi di Pansy si illuminarono. “Oh, sì ti prego. Dici che qui ci sia un balcone o qualcosa del genere? Avrei paura che l’infermiera cattiva ci sbatta fuori” disse guardandosi intorno.
Lui sorrise e indicò una porta con il capo. “Mi sembra che di là ci sia una terrazza”.
Pansy si alzò e insieme raggiunsero la terrazza.
Quando la porta si aprì nel tardo pomeriggio, il cielo era scuro e il freddo insistente. I rumori della città arrivavano fin lassù e si vedevano le luci di Londra.
La ragazza si agganciò il mantello e si avvicinò alla balaustra. Ron le andò vicino. Le allungò una sigaretta e ne prese una per sé. Tirò fuori la bacchetta e le accese tutte e due.
Pansy diede una lunga boccata. “Dopo il processo sono andata in Francia per spiegare ai nonni di Camille quello che era successo. Quando loro mi dissero che avevano problemi di soldi e volevano far sposare a Camille un tizio per sistemare i loro affari, non ci ho visto più: l’ho rapita. Letteralmente: l’ho portata qui in Inghilterra e ho proibito loro di vederla. Probabilmente se non avessi reagito così d’impulso, sarei riuscita a sistemare le cose e lei ora non si troverebbe in questo casino...”
Il rosso non sapeva bene quale fosse la cosa giusta da dire. “Oppure sarebbe sposata con un uomo che neanche conosce e magari sarebbe stata incinta lo stesso”.
Lei alzò le spalle e diede un’altra boccata. “Ho sempre eseguito gli ordini di mia madre. Quando mi sono trovata libera di scegliere è stato difficile. Ho sempre paura di fare dei casini. Anche adesso” ammise.
Ron non disse niente, immaginava che fosse difficile confidarsi, soprattutto per lei, così le prese la mano: era gelata.

 

Pansy lo guardò. “Dovresti scappare il più lontano possibile da me. Porto solo guai” sussurrò.
“Non ho nessuna intenzione di farlo. Hai fame?” Lei scosse la testa. Ma poi annuì. “Forse un po’.”
“Dici che
Quircky riuscirebbe a portarci qualcosa da mangiare?” le chiese lui, sorridendo.
La Serpeverde gli sorrise. “Immagino di sì”.
L’elfo arrivò subito e nel giro di mezz’ora si ritrovarono su una panchina, con una coperta riscaldante a mangiare pasticcio di carne.
“Non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto stamattina. Se non fosse stato per te…” si scusò lei, ma il ragazzo scosse le spalle.
“Per un attimo non ho saputo cosa fare. Poi… bo, ho agito senza riflettere troppo. È una cosa che faccio spesso. Non sempre riesce bene…” ammise lui.
“Smettila di sminuirti: sei stato bravo. Penso che utilizzerò la mia vincita agli scacchi magici per obbligarti a insegnarmi la magia che hai usato” disse la Serpeverde, sempre guardando il piatto.
“Tu chiedi e ti sarà dato. Chissà com’è il tuo Patronus…”
“In che senso?” Pansy alzò il viso dal piatto e lo guardò, curiosa.
“Il Patronus è un incantesimo che nella sua forma più completa, ossia quando diventa corporeo prende la forma di un animale. Per evocarlo devi immaginarti pensieri felici, che ti emozionano e ti fanno stare bene. Non è semplicissimo, ma siccome ognuno ha pensieri diversi, cambia da persona a persona. Il mio è il cane, quello di Harry è un cervo, quello di Ginny un cavallo e così via…” spiegò il ragazzo.
“Oh” rispose Pansy senza badarci. Pensieri felici? Merlino, lei non aveva pensieri felici!
Rimasero zitti un altro po’, finendo di mangiare. Mentre lei beveva, il grifondoro le chiese: “Hermione e Malfoy hanno litigato?”
Lei finì di bere e prese tempo. Poteva dirglielo? Era un segreto?
“Sì. Draco ha paura che Hermione possa scoprire qualcosa che lo riguarda che le faccia cambiare idea e decida di non stare più con lui” spiegò.

 

Ron ripensò a Luna. Si armò di coraggio e chiese: “Come te?”
“Come me cosa?” gli domandò lei, con un tono strano.
“Anche tu la pensi così” disse lui.
“Io?”
“Sì, me l’hai detto quella notte a casa tua. Dicevi che se avessi saputo tutto di te, non sarei più venuto a cercarti” disse.
Lei rimase zitta. Appoggiò il piatto e lo fece sparire con la bacchetta. Ci mise così tanto tempo che quando alla fine parlò, Ron si meravigliò.
“Non mi ricordavo di avertelo detto…” ammise, guardando il cielo.
Dalla strada sotto di loro arrivava la luce dei lampioni babbani.

 

Pansy guardò verso di lui. Lo vedeva poco, ma lo vedeva ancora. Lui avrebbe mai potuto capire?
”Potrei anche raccontarti tutto. Tutto quello che vuoi sapere. Ma poi non mi guarderesti più come mi guardi adesso. E il tuo sguardo non mi piacerebbe. Merlino, vorrei che tu non potessi vedermi neanche adesso” disse.
Lui mise mano al mantello e armeggiò con qualcosa. Poco dopo tutte le luci babbane più vicino a loro vennero catturate dalla sua mano. La mora rimase di sasso. Non aveva più scuse: il buio era totale. Ma rimase ancora zitta.
“Pensi che Hermione non vorrebbe più stare con Malfoy se venisse a sapere qualcosa di brutto su di lui?” le chiese il rosso.
La Serpeverde si morse il labbro per non dire che, secondo lei, la Granger amava Draco. E niente può farti cambiare idea quando ami qualcuno. Ma non voleva dirlo. Non voleva parlare d’amore.
“Lei sa già di lui. Se ha accettato il suo passato, non cambierà idea. Tu di me non sai niente” disse, cercando di spiegarlo bene.
“Proviamo. Non mi sono arrabbiato neanche quando hai detto di aver scommesso contro di me” concesse lui. Pansy sentì il calore salirle alle guance.
“Io… prima ero diversa” disse, nervosamente. Ero dannatamente stupida, codarda e avevo paura. Come si vergognava di aver scommesso contro di lui, ora!
“Lo so. Mi piaci adesso” mormorò il Grifondoro.
Il cuore le mancò un battito. Lui aveva detto che gli piaceva?
Iniziò raccontando di quando al terzo anno sua madre l’avesse mandata a Hogwarts con una pozione antigravidanza nel baule e l’incarico di avvicinarsi a Draco. Ma lui non ne voleva proprio sapere di lei, così si era lasciata andare con la persona sbagliata.
“Nott?” chiese il ragazzo.
“Sì. Ma lui non era proprio… carino. Beh, subito sì, ma poi…”
Gli raccontò di come l’avesse convinta a uscire con lui e poi avesse insistito sul fare cose che non sempre le piacevano. Avevano iniziato a frequentare le feste di quelli dell’ultimo anno, si era trovata in mezzo ai loro giri di alcool e sesso, e quando aveva detto a Nott che lei non voleva far più parte di quel giro, lui aveva fatto finta di accettare la cosa ma poi le aveva dato la polvere di oppio di nascosto.
Quella volta che lei si era risvegliata nel letto di un altro, aveva capito che non voleva continuare così ed era andata da lui a dirglielo, ma Nott le aveva riso in faccia, dicendo di smetterla di fare la santarellina.
Avevano avuto una discussione molto accesa e lui le aveva strappato la camicetta della divisa dicendo che l’avrebbe convinta alla ‘solita maniera’. Era stato violento e non si era fermato quando lei aveva opposto resistenza.
Da quel momento gli era girata al largo. Poi Draco era stato ferito dall’Ippogrifo e lei era riuscita ad attirare la sua attenzione mostrandosi crocerossina e inveendo contro i Grifondoro. Così aveva continuato ad assecondarlo.
Nel tempo si era affezionata a Draco, che era diventato un amico insostituibile e faceva paura a Nott.
Il sesto anno Draco era diventato instabile, cattivo e combattuto, ma con lei si era sempre comportato bene, così aveva deciso di stargli vicino contro il volere di sua madre.
Gli raccontò del settimo anno senza Draco e della finta storia con Blaise. Poi gli raccontò di come l’aveva ingannata la madre, facendole credere di lasciarla andare via. E poi, ancora, di quando aveva scoperto che avevano svuotato la camera alla Gringott e di come si era ritrovata da sola: da sola e al verde. Quando finì di parlare, si girò verso di lui, ma appunto, c’era buio e non riusciva a vedere la sua espressione. Per fortuna.
Lui si mosse, si avvicinò a lei e l’abbracciò. La tenne stretta per così tanto tempo che lei pensò che non l’avrebbe mai lasciata andare. E la sensazione che le si sprigionò in ogni cellula era lenitiva. Avrebbe davvero voluto che lui non la lasciasse andare più.
“Torniamo dentro?” le chiese e lei annuì, ma prima di alzarsi il rosso la baciò.
Un bacio tenero e dolce. Proprio come lui.
Pansy pianse ancora, ma non da sola.

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*** Buona lettura a tutti! Grazie mille a chi legge e recensisce!! 😘

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Capitolo 34
*** Il fiume dei serpeverde ***


Il fiume dei Serpeverde

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Ginny camminava fra i tavoli della biblioteca senza meta e senza sapere cosa fare.
Vide un ragazzino venire sgridato bruscamente da Malfoy e si avvicinò per capire la situazione.
Un piccolo Tassorosso stava cercando di prendere un libro da uno degli scaffali, ma il biondo per ben due volte gli aveva detto in malo modo di allontanarsi. Il piccolo aveva uno sguardo spaventato e quando Malfoy tirò fuori la bacchetta iniziò a balbettare. Ginny si avvicinò sbuffando.
Si avvicinò al Tassorosso e guardando Malfoy chiese al ragazzino quale libro volesse e lei si avvicinò a prenderlo. Continuò a guardare il Serpeverde, anche dopo aver consegnato il libro al ragazzino. Ma lui non la stava guardando. L’aveva vista, sì, ma non guardava lei. Ginny notò che i libri davanti a lui erano chiusi e il boccetto di inchiostro non era stato aperto.
Si voltò nella direzione in cui guardava: vide Hermione fare i compiti. Lei non avrebbe potuto vederli da dov’era. Sospirò e si avvicinò al biondo. Si sedette vicino a lui e guardò nella sua stessa direzione.
“Malfoy…” iniziò quando capì che lui non avrebbe aperto bocca.
“Weasley, non dovresti starmi così vicino. Potter potrebbe pensare male” disse lui. Doveva essere una battuta, ma il suo tono era stanco e non ghignò. Ginny pensò che così non sarebbe stato divertente e non stette al gioco.
“Non vi siete ancora chiariti. E non vi frequentate più” disse, guardando Hermione.
“Un’acuta osservazione, piccola Weasley.”

 

Draco non aveva voglia di parlare con la teppistella.
Aveva scoperto quel posto in biblioteca due anni prima, quando osservava Hermione da lontano: lei si sedeva sempre nello stesso posto. Quando era occupato si sedeva due tavoli più indietro, ma lui sapeva dove sedersi per continuare a osservarla.
Sentì la rossa tossicchiare e dirgli: “Posso aiutarti?”
“Fammi i compiti” disse, senza spostare lo sguardo e appoggiando davanti a lei un libro a caso.

 

Ginny sbuffò. Era stato così difficile offrire il suo aiuto così, volontariamente, e quel troll faceva l’idiota.
“Hai capito cosa intendo” precisò la rossa.
“Non ho bisogno di niente.”
“Vuoi dirmi come farai per farla tornare da te?”
“Non farò niente” ammise Malfoy.
Gran bella mossa. “Non penso che funzionerà” disse con ironia.
Lui si voltò finalmente verso di lei. “Non hai niente da fare?”
La rossa si alzò e brontolò nella sua direzione. “Sei un troll!”
Ginny fece un giro diverso dei tavoli e vide Pansy che faceva i compiti con la Greengrass. Si sedette di fronte alla mora e le salutò: “Ciao, come sta Camille?”
La Serpeverde rispose al suo saluto e alzò le spalle. “Insomma. È stato uno shock forte. Per fortuna ci sono Astoria e una delle sue compagne di stanza che cercano di tenerla su di morale” spiegò.
Ginny annuì. Era venuta fuori tutta quella storia sul fatto che la nonna di Camille le avesse dato delle pastiglie per abortire a sua insaputa e per lei era stato traumatico. Quando il nonno della ragazza aveva scoperto quello che aveva fatto la moglie, si era precipitato a richiedere una passaporta ed erano venuti in Inghilterra, sperando di fermare il tutto, ma erano arrivati troppo tardi e il danno era già stato fatto. La nonna era stata processata e aveva schivato Azkaban per un soffio. Ma Camille c’era rimasta malissimo. Non se lo aspettava. Erano riusciti a tenere il fatto della gravidanza (e dell’aborto) fuori da Hogwarts e così gli altri non avevano saputo niente, giusto le persone più vicino a Camille.
“Senti…” iniziò la ragazza verso la Serpeverde mora. Sicuramente Pansy aveva più esperienza, pensò Ginny. “Come si fa a far fare qualcosa a un ragazzo che è così cocciuto da non volerla fare?”
Pansy non tirò su neanche la testa dalla pergamena, mentre la Greengrass la guardò inclinando la testa. “Dipende dal ragazzo e da cosa deve fare. Ma normalmente basta fargli credere che sia un’idea sua” spiegò la mora.
La Greengrass si girò di colpo verso Pansy, dicendo: “Davvero? Io pensavo bisognasse farlo ingelosire!”
La mora alzò lo sguardo e guardò l’amica. “Quella tattica è imprevedibile. Non sempre va come ci si aspetta. Guarda cos’è successo con Blaise” le rispose Pansy.
Ginny spalancò gli occhi. Parlavano di Zabini? Vide la Grenngrass arrossire e abbassare lo sguardo. Guardò la bionda con curiosità. “Però adesso mi parla” mormorò.
Pansy sbuffò sorridendo. “Contenta tu... intanto, quando ti ha vista con Macmillan, ha baciato lei” spiegò la mora e poi si girò verso Ginny. “Ci ho messo un sacco di tempo a convincere tuo fratello che Blaise non ci avrebbe mai provato con te e cosa succede? Ti bacia!” esclamò, poi alzò le braccia al cielo e fece una smorfia così strana che Ginny rise di gusto.
Le due Serpeverde la guardarono stranita.

 

Pansy guardò Ginny che rideva e arrossiva. Ma… “Pensavo la prendessi peggio” le disse.
Lei continuò a ridere e iniziò a sventolare una mano. Pansy guardò Daphne. Anche lei non ci capiva molto e sorrideva in modo enigmatico.
“È stato…. Strano? Quando ho capito cosa voleva fare era tardi e non sono riuscita a tirar fuori la bacchetta, così l’ho schiaffeggiato. È stato forte. Ma dopo ero incazzatissima perché Harry era lì che ci aveva visti e dovevamo uscire insieme e avevo paura che fosse finita per sempre. E invece… Harry mi è venuto a cercare e si è complimentato con me. E mi ha detto un sacco di cose, è stato così carino… Siamo andati a Hogsmeade…”
La rossa si interruppe. Probabilmente perché invece di rimanere a Hogsmeade fino a sera, erano venuti al San Mungo da Camille.

 

Ginny vide lo sguardo perso della Serpeverde e si interruppe. Non voleva causarle brutti pensieri. Non era colpa sua se era saltato Hogsmeade e lei poi era contenta di come fossero andate le cose. Beh, a parte Camille.
“Quindi? Come si fa a far fare qualcosa a un ragazzo?”

 

Daphne guardò la Grifondoro: era un po’ invidiosa di lei. Aveva fatto amicizia con Pansy e ora Blaise l’aveva baciata. Forse non si rendeva conto delle fortune che aveva. Ma era anche maledettamente simpatica. E aveva inventiva; se non fosse stato per lei non sarebbero riusciti ad andare al San Mungo a trovare Pansy e Camille.
“Ma se con Potter va tutto bene, chiediglielo e basta, no?” le disse.
La Weasley si girò verso di lei. “Non parlo di Harry. Parlo di uno dei vostri”.
Daphne spalancò gli occhi. Blaise? Voleva qualcosa da Blaise? E cosa?
Sentì la mano di Pansy posarsi sul suo braccio.

 

Pansy ide Daphne spaventarsi e pensar male. Le appoggiò una mano sul braccio per tranquillizzarla e disse: “Non intende Blaise. Sta parlando di Draco”.
La bionda annuì guardandola e si calmò. Così Pansy riportò lo sguardo su Ginny e le chiese: “Non sono tornati insieme, giusto?”
La rossa scosse la testa. Merlino, con quello che era successo a Camille, aveva sottovalutato la situazione degli altri. Draco non aveva risolto: come stava? Non lo vedeva da sabato. Sospirò. “Non so come aiutarli”. Sperò che le venisse in mente qualcosa al più presto.

 

***

 

Harry era appena stato a trovare Hagrid e tornava verso il castello camminando sereno. Non riusciva ad andarlo a trovare tanto quanto voleva, ma lui non si offendeva mai. Sorrise nel buio.
“Potter.”
Si girò di scatto. “Scusa, non volevo spaventarti” si scusò la Parkinson: stava fumando vicino a una panchina che dava sul lago nero.
“Parkinson. Non ti avevo visto. Sei… sola?” Si guardò intorno: non c’era Ginny, non c’era Ron. Neanche un Serpeverde.
“È strano?” gli chiese lei e lui scosse le spalle. “Posso chiederti una cosa, Potter?”
“Sicuro” rispose lui.
“Ti ricordi… quando mi hai detto che ad Azkaban non ci sono più dissennatori?” Lui annuì e si avvicinò di un passo. La luna illuminava un po’ il cortile e riuscì a vederla meglio. “Com’è adesso? Com’è Azkaban? Tu… ci sei stato?”
Harry guardò verso il lago. Era stato ad Azkaban solo una volta, prima di iniziare la scuola. Kingsley aveva voluto la sua opinione su un po’ di cose e gli aveva fatto vedere la nuova struttura.
“Sì ci sono stato. Non è male. Ma è sempre una prigione” le rispose. Si chiese se lei pensasse a sua madre. “Le persone non diventano matte come prima, ma non è un bel posto comunque. Se volessi andare a trovare tua madre, potresti trovarla cambiata” ammise.
Lei sorrise nel buio e Harry le vide il bianco dei denti. “Non sono preoccupata che sia cambiata. Non mi interessa andarla a trovare. Anche se la signora Weasley dice che mi farebbe bene…” Aspirò una boccata dalla sigaretta. Molly le aveva detto di andare a trovare sua madre? Harry non disse niente, nonostante la cosa fosse curiosa. “Camille mi ha chiesto di andarci. Vuole andare a trovare i suoi. Vorrei sapere se è una cosa che si può fare o se lei rimarrebbe traumatizzata. Dopo tutto quello che è successo…” Sospirò.
Harry non sapeva cosa risponderle. A lui Azkaban non era piaciuto: ci era andato per forza e non voleva farlo. Ma se si andava a trovare qualcuno a cui si teneva, poteva essere diverso.
“Posso chiedere informazioni a chi si occupa di Azkaban. Posso chiedere come funzionano i colloqui e posso chiedere notizie di tua madre. E poi, valuteresti tu cosa fare” le propose.

 

Pansy raddrizzò la testa. Lui poteva fare quelle cose? Ma certo, Potter era il salvatore del mondo, poteva fare tutto! Forse aveva ragione Ginny.
“Potresti davvero?”
Lui scosse le spalle “Certo”.
Pansy sorrise ancora, ma poi il suo sorriso sparì. “E sarebbe brutto se ti chiedessi di non dirlo a nessuno?”
Vide il sopravvissuto annuire. “Non c’è problema” le rispose.
“Grazie, Potter.”

 

Harry capì che gli stava chiedendo di non dire niente a Ron. Era un macigno da sostenere. Ma avrebbe potuto farlo. In fin dei conti era una cosa personale. E poi, magari, lei avrebbe cambiato idea e glielo avrebbe detto. Chi lo sa.
La salutò e tornò al castello.

 

***

 

Hermione era uscita dalla biblioteca un po’ troppo velocemente.
Doveva assolutamente arrivare in camera prima che arrivassero le altre, altrimenti non avrebbe avuto pace finché non fossero uscite di nuovo. Da quando Lavanda si era rimessa con Seamus era tutto un chiacchiericcio con Calì che, da quanto aveva capito, si era messa con un Tassorosso e la cosa, a Hermione, dava veramente fastidio.
Non che le desse fastidio perché lei non aveva più un ragazzo, era solo perché si comportavano in una maniera così stupida. Non prestò attenzione a dove stesse andando e sbatté contro qualcosa, anzi contro qualcuno e le caddero tutti i libri che aveva in mano.
“Merlino!”
“Oh, Granger, mi sei venuta addosso tu!” Lei alzò lo sguardo verso il ragazzo che aveva parlato: Nott. O Santo Godric era dappertutto?
“Scusa. Andavo di fretta e non ti ho visto” si giustificò, poi si chinò a raccogliere i libri e il ragazzo si piegò con lei.
Hermione rimase allibita: davvero voleva aiutarla? Mentre erano ancora accovacciati per terra, sentirono la risata di una ragazza che si stava avvicinando. Si girarono tutti e due verso le voci e poco dopo, alla luce della lanterna sopra di loro videro arrivare Draco e la Parkinson che andavano verso la biblioteca.
Li guardò per un attimo e notò che Draco sorrideva: com’era bello quando sorrideva. Sospirò. La Parkinson invece saltellava contenta gesticolando le mani.
“Ma ti rendi conto? È stata una sorpresa…” stava spiegando.
Si girarono insieme verso di lei. Beh, verso di loro. Nott la stava ancora aiutando, ma notò che non fu sorpreso di vederli arrivare: doveva essersi fermato apposta ad aiutarla. Loro, invece, quando li videro si fecero seri, tutti e due.
Hermione raccolse l’ultimo libro e si alzò. Nott la seguì subito dopo. “Glielo dico io al tuo ragazzo che non è come sembra?”
La riccia si voltò verso Nott che, ghignando, si voltò verso i ragazzi.
“O lo dite voi? Chi è che sta facendo qualcosa che non deve?” Sghignazzò ancora.
La faccia di Draco divenne di pietra, Hermione lo capì nonostante fosse in penombra e abbastanza lontano. “Nessuno sta facendo niente, mi sembra. O mi sbaglio, Nott? Stai facendo qualcosa che non dovresti fare?”
Hermione vide Nott innervosirsi e, forse, spaventarsi. “Grazie Nott, sei stato gentile” gli disse, anche se sapeva che non l’aveva fatto per aiutarla.
Poi si girò per andare verso le scale e allungò il passo.

 

Pansy vide la Granger andare via e senza pensarci la raggiunse. Quando le fu vicino continuò a camminare con lei senza dire niente.
Si voltò e con la coda dell’occhio vide che i ragazzi erano rimasti l’uno di fronte all’altro senza dirsi niente. Quando furono lontane abbastanza, le appoggiò una mano sul braccio e la costrinse a fermarsi.
“Stai attenta” le disse solamente.

 

Hermione si innervosì. “Non ho fatto niente!”
Come osava? Voleva insinuare che lei avesse… E perché si stava giustificando? Con la Parkinson, poi? Merlino, una fitta alla testa!

 

Pansy fece un passo indietro. “Non intendevo… Stai bene, Granger?” La Grifondoro aveva gli occhi lucidi. Una crisi? “Hai… Hai una crisi? Merlino!” Si guardò intorno. Non aveva la pozione. Dov’era Draco? “Chiamo Draco” disse, ma mentre si girò la riccia le prese il polso.
“No” rispose la Granger. La vide guardarsi intorno.
La Serpeverde sorrise beffardamente. “Preferisci che chiami Narcissa per il tè?”
La Grifondoro sorrise. “Anche no. Ma sediamoci”.
Pansy aprì la prima porta che vide, ci mise dentro la testa e, assicurandosi che fosse un’aula vuota, le fece cenno di entrare.
“Scusa Granger, non volevo accusarti o cose così… Volevo dirti di stare attenta a…”

 

“A Nott?” chiese Hermione ricordandosi le parole di Ginny, mentre si sedeva a un banco. Che aula era? Non riusciva a riconoscerla. La Serpeverde annuì.
“Vado a prenderti la pozione?”
“No. No, ci riesco” rispose la riccia.
“Ok.”

 

Pansy giocò con l’orlo della divisa guardando l’altra ragazza che stringeva gli occhi. Cosa doveva fare? Stare lì con la Granger? Già l’altra volta era stato imbarazzante. Si guardò intorno e poi riportò l’attenzione su di lei: la stava guardando.

 

La Parkinson era in imbarazzo. E non voleva stare lì. Non voleva starci neanche lei, però…
“Perché devo stare attenta a Nott?” le chiese e la sua faccia divenne ancora più strana.
Pensò che non le avrebbe risposto ma alla fine disse: “All’inizio è gentile, ma poi potrebbe non esserlo più”.
“Non ho intenzione di fare…”
“Non intendo quello che vuoi fare tu, ma quello che vuole fare lui. Stai attenta, ok?”
La Serpeverde si alzò per lasciare la stanza ma Hermione la bloccò dicendo: “Cos’altro sai dirmi su di lui?”
“Dirti cosa?” Hermione alzò le spalle in un gesto calcolato “Cosa vuoi sapere? No, aspetta. Chi lo vuole sapere?” Lei alzò ancora le spalle e la Parkinson sbuffò.

 

Per la barba di Merlino! La Granger stava indagando su Nott? E da quanto tempo? “Non posso dirti cose che non so. Ma lascia Draco fuori da questa storia” la ammonì.
“Draco non c’entra niente. E Nott non mi interessa” disse. Pansy annuì.
“Allora stai attenta il doppio” rispose la mora. La Serpeverde prese la porta e uscì.

 

***

 

“Domani vai al Ministero?”
Ginny si girò nella schiuma nuotando pigramente sul dorso. Il bagno dei prefetti era fantastico. Avevano dovuto aspettare un sacco di tempo per andarci perché a novembre era successo qualcosa per cui ora bisognava scrivere su una pergamena quando prenotare il bagno. Secondo la rossa era una stupidata. Ma tant’è vero che non l’aveva decisa lei quella regola. Probabilmente lei non avrebbe neanche potuto entrarci nel bagno dei prefetti: non era né un prefetto né un capitano di Quidditch. Quindi si godette la schiuma viola profumata senza pensare a nient’altro.
Harry si avvicinò a lei e l’abbracciò da dietro. “Sì. Ma non dovrei metterci tanto, ho giusto tre o quattro cose da fare” le rispose, poi si chinò a baciarle il collo.
“Oh, io ho promesso a Camille di passare un po’ di tempo con lei, non preoccuparti. Vai da solo o viene anche Hermione?” Ginny spostò la testa per dargli più porzione di pelle da baciare.
“Viene anche Hermione” mormorò il ragazzo. Harry approfittò della posizione e iniziò a baciarla sulla spalla, sulla clavicola, spostandosi verso il collo e mordicchiandole il lobo dell’orecchio.
Quando lei chiuse gli occhi lui la strinse e senza preavviso, la tirò sotto la superficie dell’acqua ridendo.

 

“Harry!” gridò lei quando riemerse.
Harry pensò ancora che fosse bellissima. I suoi occhi nocciola lampeggiavano divertiti mentre si avvicinava minacciosamente verso di lui. “Adesso me la paghi!”
Lui rise, indietreggiò un po’ ma si fece raggiungere quasi subito. Quando la ragazza gli allacciò le braccia intorno al collo lui si avvicinò per baciarla ma lei si fece desiderare spostandosi all’indietro e lasciandolo andare. Quando riuscì a bloccarla (o, probabilmente, quando lei decise di farsi prendere) inciampò e finirono sotto l’acqua tutti e due.
Harry aprì gli occhi e vide che lei lo stava guardando. Si agitò finché non riuscì ad andarle vicino e la baciò. Ma aveva calcolato male la cosa e le loro bocche si riempirono di acqua e sapone.

 

Ginny riemerse tirando Harry e ridendo a crepapelle. Lui sorrideva. Le sorrideva sempre. Oh, quanto l’amava. Si bloccò su quel pensiero. Oh.
L’amava? Certo che sì! Ma vide la faccia di Harry incupirsi.

 

Ginny si era bloccata, il suo meraviglioso sorriso si era congelato e la sua faccia si era fatta pensierosa. Cos’era successo? A cosa stava pensando?
Harry si preoccupò. Le andò vicino e le circondò la schiena con un braccio per tirarsela vicino. “Tutto bene?”
“Sì, certo” rispose lei e riprese a sorridere. A sorridere maliziosamente.
Il sopravvissuto conosceva quel sorriso. Quando si avvicinò e gli circondò i fianchi con le gambe, aveva già capito dove volesse arrivare.

 

***

 

“Lo sai che puoi dirmi tutto, vero?”
La rossa, appoggiata a lui su un materasso di asciugamani sul pavimento del bagno, lo guardò aprendo appena gli occhi. Era stanchissima. Avevano fatto l’amore due volte e lei avrebbe soltanto voluto addormentarsi abbracciata a lui.
“Cosa intendi?” gli chiese.
“Hai pensato qualcosa che ti ha fatto cambiare espressione, prima. Non voglio che dubiti di me o cose così. Se ho fatto qualcosa…”
Lei faticosamente si tirò su verso di lui e gli baciò la punta del naso. ”Non hai fatto niente. E non dubito di te. È che ho pensato…” si bloccò di nuovo, cercando le parole per spiegarlo, ma poi disse esattamente quello che aveva in mente: “Ho pensato a quanto ti amo ed è stato strano. E spaventoso. E bellissimo”. Sorrise ancora.

 

Quando lei parlò il petto di Harry si aprì e lui sentì un calore indescrivibile avvolgerlo. Ginny lo amava! Amava lui!
“Ti amo anch’io, Ginny” dissse, emozionato.
E si chinò a baciarla. La strinse a sè e coprì tutti e due con un asciugamano bianco grande quanto la piscina.

 

***

 

Ginny era sdraiata sul letto di Pansy e chiacchierava con Camille dividendo con lei un sacchetto di dolci. La giovane Serpeverde si stava riprendendo e per questo avrebbe dovuto ringraziare tutte le ragazze che c’erano nella stanza.
“La cosa più imbarazzante che avete fatto?”
Astoria era piccola di statura ma bella tosta, una volta passata la timidezza iniziale. Ginny lo stava scoprendo poco a poco.
“Io sono andata in giro per un pomeriggio intero con la gonna nel collant” ammise la Grifondoro.
Camille rise. “Davvero?”
Ginny annuì.

 

“Oh. È successo anche a me.”
Astoria alzò le spalle. Non era una cosa da considerare imbarazzante, per lei. Si avvicinò al letto anche lei e pescò due piperille nere dal sacchetto.
“Quelle non sono cose imbarazzanti” disse.
Ginny alzò un sopracciglio. “Mi hanno riso dietro per due giorni. Se non è imbarazzante…”
“Va be, ma mica l’hai fatto apposta, no? Io intendo una cosa imbarazzante che sapevi fosse imbarazzante ma che hai fatto lo stesso” disse ancora.
“Ho ballato in modo provocante per attirare l’attenzione di un ragazzo” confidò Camille, dopo un po’.
Pansy tirò su la testa dalle mani di Daphne. “Forse non…”
Camille ridacchiò affettuosamente. “No no, è successo l’anno scorso, a Beauxbatons”.
Astoria vide Pansy sospirare. Si girò verso Camille e le chiese: “E com’è andata?”
Lei scosse le spalle. “Mi sa che non mi è venuto bene. Non si è accorto di me. E anche questo è stato imbarazzante!”
Camille adesso quasi odiava ballare, Astoria lo sapeva bene.
“Come si chiamava?” chiese Daphne mentre si stava ammirando le unghie.
Camille si guardò intorno e arrossì. “Oh, non lo dirò. Sarebbe imbarazzante anche farvelo sapere”.
“Perché? Lo conosciamo?” chiese Ginny, mettendosi seduta e pizzicandole un fianco.
“No no” rispose la giovane strega, ma rise.
Ginny e Pansy si scambiarono un’occhiata complice e Pansy chiese alla sorella: “Louis?”

 

Pansy cercò di ricordarsi gli amici della sorella conosciuti in Francia. Non era sicura di ricordarseli. Conosceva appena Justine, la miglior amica di Camille.
“Chi è Louis?” chiese la più piccola di tutte.
Pansy, presa in contropiede guardò ancora Ginny, in cerca d’aiuto: come si chiamavano i ragazzi che avevano conosciuto quando erano andati in Francia insieme?
“Forse intende Lionel” disse la rossa.
Camille strabuzzò gli occhi esclamando: “N’importe quoi!”
Pansy scoppiò a ridere. “Perché?”
“Ma dai! È più basso di me!” Le ragazze scoppiarono a ridere.

 

Ginny si infilò un’ape frizzola in bocca. “Smettila di parlare in francese, altrimenti vado a prendere gli strumenti da spia di mio fratello!” Succhiò la caramella per un po’, pensando, e poi esordì: “A Camille piacciono quelli più grandi. Se dovesse essere uno di quelli che abbiamo conosciuto in Francia, punterei su Philippe”.
Camille strabuzzò gli occhi. “Ginny!” La Grifondoro rise e le fece l’occhiolino.
Vide Pansy agitarsi. “Per Salazar, il fratello di Justine è più grande di me!”
Astoria sorrise, era arrivato il suo turno per mettere lo smalto di Luna. “Ma è bello?” chiese.
“Sì” rispose per tutte Ginny.
La rossa volteggiava sul letto. Quando finì la caramella tornò lentamente giù. “Allora voglio conoscerlo anch’io” disse Astoria. Ginny vide Daphne rivolgere uno sguardo di rimprovero alla sorella.
“Grenngrass, e tu, hai mai fatto qualcosa di imbarazzante per un ragazzo?” Le due sorelle si girano insieme verso di lei. Giusto, doveva essere più precisa. “Daphne” disse, indicandola.
Astoria rise. “Daphne non farà mai niente di imbarazzante, soprattutto per un ragazzo. Aspetterà buona che lui si accorga di lei. Giusto Daph?” rispose per lei, poi si girò verso la sorella.
La rossa notò che Daphne aveva gli occhi spalancati. Però era vero: moriva dietro a Zabini e lui moriva dietro a lei. Non se l’erano mai detto e se nessuno faceva niente… “Potrei… aver comprato un filtro d’amore…” Daphne sussurrò.

 

Pansy sbavò lo smalto di Astoria e guardò l’amica.
“Un filtro d’amore? Per chi?” chiese.
Daphne, la timida Daphne che aspettava paziente che Blaise la invitasse a uscire aveva comprato un filtro d’amore? “Per Blaise. Ma giuro che non l’ho usato…” ammise la ragazza e alzò entrambe le mani in segno di difesa. Pansy sentì Ginny ridere.
“Se lo avessi usato, almeno sarebbe successo qualcosa. Voi due avete qualcosa che non va: siete lì che aspettate che l’altro faccia qualcosa e vi continuate a guardare. Smettetela e fatevi avanti. Fatti avanti tu: invitalo a uscire!” Ginny era in piedi con le braccia spalancate.
“Io… non sono sicura che lui vorrebbe una ragazza che fa il primo passo…” rispose, timida, Daphne.
Pansy vide Ginny innervosirsi. “A quell’idiota devi piacere tu per come sei, non devi diventare la ragazza che piacerebbe a lui!” Si sedette sul letto e sospirò. “Spero almeno che il filtro d’amore tu l’abbia comprato al Tiri Vispi!”
“Io non sono mai entrata al Tiri Vispi” disse Pansy per poter togliere l’amica dall’imbarazzo e aveva ripreso a mettere lo smalto ad Astoria.
“No?” chiese, stupida, la Grifondoro. Pansy scosse la testa senza alzarla. “E la puffola?”
“Volevo farmela spedire via gufo, ma non si poteva. Così tuo fratello me l’ha portata via camino” ammise la mora, mormorando.

 

Ginnyrimase stupita: era successo tantissimo tempo prima; loro si frequentavano già? Pansy le lanciò un’occhiata da sotto le ciglia e disse a voce più bassa: “Non sapeva fosse per me”.
Ah, ecco. “Beh, devi venirci. È un posto stupendo. Per le vacanze di Primavera ci andiamo insieme” le propose.

 

La mora annuì distrattamente e lei non si accorse di quanto le era costata quella confessione.

 

Dal corridoio del dormitorio femminile si sentirono urla, schiamazzi e un forte rumore di acqua corrente. Pansy e Daphne alzarono la testa insieme e si guardarono. “NO!” gridarono insieme e poi si alzarono di corsa e spalancarono la porta: la loro era una delle ultime stanze del corridoio, che finiva piatto, con un muro senza decorazioni e con solo una lanterna a illuminare.
Ginny guardò curiosa oltre la porta: un fiume; il corridoio era diventato un fiume. Acqua verde scura (a Ginny ricordava tantissimo quella del lago in inverno) trascinava mobili e quadri caduti dalle pareti. Le urla delle ragazze accorse nel corridoio, dei quadri e di due ragazzini che venivano trascinati dall’acqua, si sentivano anche dalla sala comune, probabilmente.
La rossa osservò tutto da dentro la stanza del settimo anno. Non si azzardò a uscire. Non lo fece nessuno se non qualche ragazza più piccola. Il fiume si schiantò contro il muro alla fine del corridoio, spegnendo la lanterna e ammucchiando le ragazze, che avevano avuto la sfrontatezza di uscire dal riparo della stanza, contro il muro e poi sparì. Dei due ragazzini non c’era più traccia.
“Cos’è successo?” chiese. La Grifondoro uscì dietro a Pansy quando capì che la via era libera.
“I ragazzi non possono venire nei dormitori femminili” iniziò a spiegare la Serpeverde. “Il corridoio si trasforma in un fiume e travolge tutti, i ragazzi finiscono oltre il muro, nei sotterranei fuori dalla sala comune. Le ragazze vengono travolte, ma restano asciutte e contro il muro. I mobili e i quadri invece si bagnano, si spostano, si rompono e noi dobbiamo sistemarli”. Sbuffò prima di continuare: “Noi prefetti spieghiamo all’inizio dell’anno che i maschi non posso accedere a questo corridoio, ma spesso ci provano lo stesso o i piccoli se ne dimenticano”.
Daphne fece capolino dietro di lei, e insieme andarono verso i quadri e i mobili accatastati “Oppure alcuni ragazzi degli ultimi anni fanno degli scherzi ai più piccoli e li mandano qui con delle scuse. Per divertirsi” spiegò anche la Greengrass. A Ginny si illuminarono gli occhi. Per Godric! E loro avevano solo la scala a chiocciola che diventava uno scivolo. Non vedeva l’ora di dirlo a Hermione e Luna.

 

Aiutò le Serpeverde a sistemare il corridoio e insieme a Pansy si diresse verso la sala comune.
“Adesso, di solito, vado a controllare come stanno i ragazzi che vengono trascinati via” disse, sospirando. Trovarono Zabini e Malfoy seduti in poltrona che guardavano verso il corridoio femminile. “Draco! Ma allora… sei stato tu?” Pansy sbuffò e continuò a spiegare a Ginny: “A volte, invece, Draco trova divertente mandare un ragazzino con una scusa, o un ricatto, per richiamare la mia attenzione”.
Lui ghignò. “Molto più divertente che mandarti a chiamare da un gufo di pergamena, no?”

 

Pansy sbuffò. “Adesso devo andare a vedere se quei due ragazzini stanno bene!” Draco sventolò in aria una mano.
“Ho mandato due prefetti” disse il ragazzo. Pansy però non si fidava.
“Chi?” Vide il biondo girarsi verso Blaise e il moro alzare le spalle.
“Erano alti così” disse Blaise alzando le mani a due livelli diversi sotto le sue spalle.
Sbuffò ancora. Ma i maschi sarebbero mai cresciuti?
Poi improvvisamente Draco si fece serio e le sussurrò: “Dobbiamo parlarti”. Poi dovettero notare anche Ginny dietro di lei perché Draco disse guardandola: “Potrebbe interessare anche a te, quello che sto per dire”.
La vide annuire e si avviarono tutti e quattro vicino al camino. Si sedettero sul divano e su due poltrone.
“Spero che sia veramente importante da giustificare tutto questo casino.”

 

Draco annuì e abbassò la voce: “Ho parlato con Nott”. Vide l’amica irrigidirsi e tentare di alzarsi: non avevano più affrontato quell’argomento. Ma ora era diverso. “No. Siediti. Ascoltami” le disse e Lei ubbidì. “Gli ho fatto credere di essere interessato a fare esperimenti… mmm… diciamo alternativi” iniziò, un po’ impacciato. Pansy corrugò la fronte: non capiva. Si avvicinò e abbassò ancora la voce per precauzione. “Gli ho chiesto se aveva della polvere di oppio e se mi spiegava bene come usarla” concluse, alla fine.
La Serpeverde spalancò gli occhi e impallidì. Draco si alzò e si sedette vicino a lei. “Non mi interessava davvero. Te lo giuro. Non avevo intenzione di usarla” le confidò. Lei annuì.

 

Ginny si spostò quando Malfoy si sedette vicino a Pansy parlandole sottovoce. Vide l’amica annuire. Polvere di oppio? Ma era una cosa così facile da trovare?
“Cosa ti ha detto?” Anche Pansy sussurrò.
“Mi ha detto che se avevo intenzione di… di… sì…” Il biondo non riusciva ad andare avanti.
“Convincere” disse Zabini, “Ha usato la parola ‘Convincere’, Draco”.
Ginny lo guardò e per la prima volta lo vide serio. Molto serio. Malfoy continuò: “Sì, convincere. Per convincere una ragazza, secondo lui, invece della polvere di oppio mi sarebbe stato più utile questo” disse e tirò fuori dalla tasca un boccettino piccolo, più piccolo di quello della pozione della pace, con dentro un liquido verde. Lo tenne nascosto nella mano quando passarono due primini che ridacchiavano andando verso i dormitori.
Ginny si fece più attenta. “A cosa servirebbe?” gli chiese.
Malfoy si voltò verso di lei. I suoi occhi erano scuri come il cielo di novembre. Non lo aveva mai visto così. “Dice che serve a infiammare la mente. Ci si perde il controllo”.
“Potrebbe averlo preso Michael alla festa dei Corvonero?” chiese Ginny. Lui era sembrato su di giri.
Malfoy annuì. “Potrebbe essere. Ho visto Nott a quella festa”.
“Michael l’aveva offerta a me e quando ho rifiutato l’ha bevuta lui” disse.
Il biondo annuì ancora. “Penso che Nott l’abbia data a lui sperando che la desse a te. Io ho controllato Corner finché non è tornato in camera, sembrava molto su di giri, ma non è successo niente”.

 

“Se invece l’avesse data a una ragazza… “
Pansy si bloccò. Camille aveva detto di non aver bevuto niente. Sperò che fosse vero. Non aveva bisogno di rivangare tutto. Non ora che si stava lasciando tutto alle spalle.
“Hai scoperto cos’è o di cosa è fatta?” chiese, per sviare il pensiero dalla sorella.
Blaise annuì. “Abbiamo fatto un Specialis Revelio. C’è dentro Coclearia, Levitisco, Starnutaria e Digitale purpurea” spiegò, elencando gli ingredienti.
Una pozione confondente. Con l’aggiunta di Digitale? “Digitale? In una pozione confondente?”
Draco sospirò e iniziò a recitare: “La pozione confondente provoca stati di eccitazione e …” Pansy pensò che frequentare la Granger gli facesse male.
“Ma mica così tanto! È una pozione legale! Basta un po’ di ghiaccio o la camomilla a farne cadere gli effetti!” lo interruppe lei, nervosa.
“Sì, ma la digitale altera la funzione del cuore e aumenta l’eccitazione. Mi ha detto che se faccio bere a qualcuno metà di questo, poi riuscirò a fargli fare quello che voglio.”
Merlino. Porco Merlino. “Bisogna mettere in guardia le ragazze” disse Pansy, girandosi verso Ginny. “E bisogna dirlo alla Granger!” esclamò, subito dopo.
Draco spalancò gli occhi. “Hermione? Perché?”
Pansy si alzò di scatto: Merlino. Non doveva farlo preoccupare. “Non lei” mentì. “Lei lo deve dire a tutte le altre” aggiunse subito dopo: sperò di cavarsela così. Draco ci credette.
Doveva parlare con la Grifondoro al più presto. Doveva stare attenta se voleva frequentare Nott.

 

***

 

Hermione vide Ginny, seguita dalla Parkinson, entrare dal quadro della signora grassa.
Cosa ci faceva lì la Parkinson? Doveva essere successo qualcosa di grave.
“È successo qualcosa a Draco?” chiese infatti, andando loro incontro.
Ginny la guardò sorniona e sorrise, mentre la Parkinson si guardava intorno: non era mai stata nella loro sala comune.
“No. Draco sta bene” disse infatti la Serpeverde.
“Ron non c’è. È al Tiri Vispi” la informò subito Hermione.

 

Il tono della Granger era strano, secondo Pansy.
“Sì, lo so. Siamo venute per parlare con te” disse.
“Con me?” La riccia guardò le due ragazze alternativamente.
Ginny annuì. “Sì, con te, con la Abbott e la Patil. Riusciamo a trovarle?” continuò la mora mentre guardava la stanza.
Così quella era la sala comune di Grifondoro? Era molto carina: il camino scoppiettava allegro e i divani erano come i loro, solo che i colori erano quelli della casa, rosso e oro. Due scale a chiocciola, ai lati della stanza dovevano portare ai dormitori. Ginny le aveva detto qualcosa sul fatto che la loro scala diventasse uno scivolo quando i ragazzi tentavano di intrufolarsi nel dormitorio.
Chissà com’era quando succedeva.

 

Hermione guardò la Parkinson, poi Ginny e poi ancora la Serpeverde. Cosa stava succedendo?
“Perché dobbiamo chiamare gli altri prefetti?” chiese.
“Solo le ragazze e, pensavamo, solo quelle del vostro anno. Se ti spieghiamo intanto che andiamo a cercarle?” Ginny aveva aperto la bocca per la prima volta da quando erano entrate.
“Va bene, ma subito dopo pranzo devo andare al Ministero. Riusciamo a fare presto?” domandò Hermione, capendo l’urgenza e loro annuirono.
Uscirono dalla sala comune e si diressero verso la torre dei Corvonero, sperando che Padma fosse lì.
La Parkinson riuscì a spiegarle brevemente la situazione mentre attraversavano il castello. Quando Hermione sentì le parole ‘polvere di oppio’ e ‘pozione confondente accelerata’ si fermò. Polvere di oppio? A scuola girava la polvere di oppio? Sapeva che in alcuni locali, veniva usata a scopi illeciti, ma non aveva mai immaginato che potesse esserci a Hogwarts.
Guardò la Parkinson che le mandava messaggi strani con gli occhi, ma lei non capiva. Alla fine nominò Nott. Merlino. Ecco cosa voleva dirle! Ecco perché doveva stare attenta a Nott. Annuì e riprese a camminare.
Riuscirono a trovare Padma e anche Hannah, le informarono della cosa e decisero, tutte insieme, di organizzare una riunione in cui informare le ragazze. Tutte le ragazze.
Hermione disse che si poteva fare, ma sarebbe stato meglio comunicarlo anche alla McGranitt. Ma le altre non furono d’accordo.

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Capitolo 35
*** La battaglia di neve ***


La battaglia di neve

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Ginny aveva lasciato le ragazze quando si erano ritrovate tutte e quattro.
Lei, che non era un prefetto e a cui non piacevano quelle cose organizzative, si defilò dicendo che andava in biblioteca. Ma, invece, andò verso la sala grande: era quasi ora di pranzo.
Incontrò Harry in uno dei corridoi, ma lui sembrava distratto. Gli disse qualcosa ma notò che lui non prestava attenzione. Gli chiese se Ron fosse al Tiri Vispi. Rispose di sì. (Ma lei lo sapeva già). Era ancora distratto.
“Chissà se si ricorderà di portarmi i tre filtri d’amore che gli ho chiesto…” disse, con nonchalance. Harry rispose ancora di sì. Lei sorrise: era ancora distratto. “Avevo intenzione di metterne uno nel succo di zucca di Goldstein, stasera…” Quando Harry disse ancora ‘Sì’, ridacchiò. “E un altro in quello di Neville…”

 

Harry stava di nuovo per rispondere affermativamente quando si fermò e la guardò. Non si ricordava cosa gli avesse chiesto. Merlino. Cosa doveva fare con Neville? Lei ridacchiò ancora e lui si preoccupò. Cosa aveva detto? Si grattò la testa.
“Scusa Ginny, non ero attento.”
Lei rise forte. “Avevo notato. Cos’è successo?” Oh. Niente: era stanco.
“Stamattina quando sono tornato in camera tuo fratello mi ha subissato di domande. Un sacco di domande stupide. Alla fine si sono svegliati anche gli altri e non mi ha più fatto dormire. Sono stanchissimo. Ed è colpa tua” spiegò sorridendo, prendendole la mano e spostandosi verso un punto buio. “Mi fai sempre dannare” disse ancora. Si avvicinò e la baciò.
“Già. Devo ricambiare, no? Un po’ per uno” precisò Ginny, ridacchiando.
Dopo qualche altro bacio, Harry si staccò da lei sospirando. “Andiamo a pranzo?” Ginny annuì.

 

***

 

Aveva iniziato a nevicare prima di pranzo. Nel primo pomeriggio, il cortile era coperto da almeno quindici centimetri di neve e decine di ragazzini erano nel piazzale davanti all’ingresso a tirare palle di neve.
Ginny, Camille e Astoria si erano ben coperte ed erano pronte a uscire per rendere difficile la vittoria ai piccoli nanerottoli. Camille rideva divertita mentre si nascondeva con Ginny dietro una delle statue.
Una manciata di neve volò poco lontano da loro e la rossa scappò via con due palle di notevole dimensione. Tornò ridacchiando informando l’amica di aver colpito almeno uno degli avversari. Quando arrivò anche Astoria, Camille stava preparando altre palle di neve con la bacchetta.
“Stanno passando quelli del settimo anno” disse la biondina Serpeverde.
Ginny non se lo fece ripetere due volte: aveva preparato almeno sei palle. E altre ancora erano vicino a Camille.
Scambiò uno sguardo con l’amica e poi uscirono tutte e due insieme, ai lati opposti della statua. La rossa colpì a caso: un ragazzo Tassorosso e due Corvonero. (Non sapeva chi fossero, visto che erano tutti bardati, ma gli stemmi sui mantelli e i colori delle case parlavano per loro.) Ma poi venne colpita da qualcuno, mentre si girava.
Colpita alle spalle! Inciampò e cadde, sempre ridendo. Un Serpeverde si avvicinò a lei e riconobbe Derrick, il compagno di calderone.
“Stai bene?” le chiese e la rossa rise.
“Sì, sì sto bene” rispose, ancora ridendo.
Lui sospirò e l’aiutò ad alzarsi. Quattro ragazzini del terzo anno si avvicinarono carichi di neve e Ginny fece cenno al Serpeverde di scappare. Si rifugiarono dietro la statua di prima. Dietro c’era ancora Astoria che si strofinava le mani sul viso nel tentativo di scaldarlo.
“Mike!”
Ginny vide le guance della ragazza farsi rosa acceso.
“Oh, ciao Astoria”, lui rise mentre si scuoteva dal mantello la neve.
La Serpeverde si girò verso Ginny e lei alzò un sopracciglio con intenzione: alla tosta Astoria piaceva Mike? Sorrise compiaciuta. Non era riuscita a farlo mettere con Luna (perché Luna aveva detto di no, Mike non sapeva niente dei suoi piani), ma Astoria era già cotta a puntino.
Si sporse verso il cortile e vide Camille dietro la fontana. Corse per raggiungerla. Quando si sedette vicino a lei gli fece notare i due ragazzi, che non si erano accorti che lei se ne fosse andata.
“Chi è? Non lo riconosco da qui” chiese la giovane strega.
“Derrick.”
“Oh. Mike? Allora Astoria potrebbe svenire da un momento all’altro. È uno dei pochi che non ci prova con lei. E lei ci muore dietro” disse e Ginny ghignò.
“Davvero?” Tirò fuori la bacchetta e la puntò, senza farsi vedere, verso di loro. Fece cadere dall’alto un po’ di neve proprio sulla testa di Astoria. Che rimase di sale, rabbrividì e scosse il mantello. Derrick si avvicinò e l’aiutò a far cadere la neve.
La ragazza si spaventò (o qualcosa di simile, erano un po’ lontane per capire bene) e fece dei passi indietro, ma inciampò e cadde distesa nella neve, fuori dal riparo della statua. Il ragazzo si avvicinò ancora, le tese la mano e l’aiutò ad alzarsi, ma quando videro arrivare altri ragazzini, Derrick si mise a correre e Astoria, che gli teneva ancora la mano, lo seguì.
Ginny e Camille li videro sparire dietro a una delle siepi. La rossa rimase a bocca aperta e guardò la Serpeverde.
“Dici che è andata bene?” Camille alzò le spalle in risposta.
“Non lo so. Andiamo a vedere?” Il suo sorriso sembrava un ghigno della miglior specie. Piccola Serpeverde. Ma Ginny annuì e corsero, fra le palle di neve che volavano, fino alla siepe.
Quando si affacciarono videro la Serpeverde che allungava una mano sul viso del ragazzo e si avvicinava chiudendo gli occhi. Quando le loro labbra si sfiorarono, Ginny prese la mano di Camille e riscapparono via: la battaglia di neve non era ancora finita!

 

***

 

Le prefetto del settimo anno plus (tranne Hermione che era al Ministero), avevano organizzato una riunione per le ragazze in meno di un’ora. Era quasi ora di cena quando finirono e Pansy, alzandosi dalla sedia salutò la Abbott e la Patil e uscì dalla stanza dei prefetti.
Fuori, nel corridoio, poco distante dall’uscita, un ragazzo era appoggiato al muro in attesa. Pansy lo guardò e lo riconobbe. Quando gli passò davanti lo salutò.
“Paciock.”
Il ragazzo alzò lo sguardo da terra e le fece un cenno del capo. Il rospo del Grifondoro le saltò vicino. Dovette fare uno sforzo per non fare un passo indietro. “Oscar II?” chiese, guardandolo. Paciock sorrise e scosse la testa.
“No. Cioè sì. Ma non è Oscar II” rispose lui.
“No?” Pansy volse lo sguardo in basso. Però sembrava proprio Oscar II. Vabbè che i rospi sono tutti uguali.
Il ragazzo si chinò a raccogliere il rospo e disse guardandolo: “È quello che mi hai dato tu. Ma si chiama Wilma”.
“Wilma!” La Serpeverde si tappò la bocca con la mano per coprire una risatina. “Mi spiace. Ti giuro che pensavo fosse un maschio!”
Lui alzò una spalla. “Va bene comunque. Anzi, questa non scappa” disse lui.
“Le femmine scappano meno dei maschi?” chiese lei sorridendo.

 

“Non sempre.”
Tutti e due si girarono verso il ragazzo che avanzava dal corridoio. “Ciao Ron” lo salutò Neville. Anche Pansy lo salutò.
Si avvicinò ai due che parlavano a qualche passo dalla porta della stanza dei prefetti. Aveva visto Pansy ridacchiare. Ridacchiare con Neville. Il petto gli fece male.
“Tutto bene?” chiese lei.
Quando le fu vicino le circondò la vita con il braccio in un gesto di possesso e le diede un bacio sulla guancia. “Ora sì”. E le sorrise, poi si voltò verso il ragazzo. “Che fai qui, Neville?”

 

Pansy sbuffò e gli diede uno schiaffetto sul braccio. “Non fare il troll. Sta aspettando la Abbott”.
Il viso del rosso si fece più disteso. Geloso? Davvero? Pansy sentì un formicolio nello stomaco. E sorrise. Paciock divenne tutto rosso mentre guardava verso la stanza dei prefetti. “E di cosa parlavate?”
Lei e il Grifondoro parlarono insieme.
“Di niente” disse lei.
“Del rospo” rispose Paciock.
Vide il Grifondoro spalancare gli occhi sorpreso. Non aveva raccontato a Ron del rospo.

 

Ron si fece più attento. Vide Neville strabuzzare gli occhi e guardare la ragazza con curiosità. Ehi, giù gli occhi!
“Quindi?” Il suo tono si fece più sostenuto.
“Lui non lo sa?” Neville guardò ancora Pansy con uno sguardo sorpreso. Merlino, basta! Guardò la Serpeverde che scosse appena la testa, alzando le spalle. “La tua ragazza mi ha regalato un rospo, l’anno scorso” continuò Neville.
Lei balbettò: “Io non…”
Ron la strinse con la mano che aveva posato prima sul suo fianco per farla tacere.
“Sei la mia ragazza, non discutere almeno su questo. Gli hai fatto un regalo?”

 

Pansy lo guardò: era la sua ragazza? Oh. Sorrise inconsapevolmente.
Voleva dire che non aveva regalato il rospo, ma lasciò stare.
Tossicchiò, ma Paciock intervenne prima che potesse dire qualunque cosa: “L’anno scorso Carrow uccise il mio rospo. Apposta. Lei me ne ha regalato uno per sostituirlo. Solo che pensava fosse un maschio quando in realtà è una femmina. Ecco Wilma”. E gli fece vedere il rospo. Per fortuna anche il rosso tirò indietro la testa quando glielo mise troppo vicino.
Ron si voltò verso di lei. “Gli hai regalato un rospo?” Peccato che non fosse andata così.
“Voi Grifondoro fate sembrare nobile anche un semplice tentativo di corruzione” sbottò.
“Quelle ragazze avrebbero avuto riparo nella stanza delle necessità comunque” disse Paciock e lei alzò le spalle.
“Se me l’avessi detto, mi sarei risparmiata il rospo” disse, sospirando.
Sentì Paciock ridere. E vide il rosso sempre più confuso.

 

Ma che storia era? E perché lui non la conosceva?
Ron si fece un sacco di domande. Cosa era successo l’anno prima? Quando lui non c’era? Poi Neville venne in suo aiuto e gli spiegò: “Mi ha regalato il rospo chiedendo se alcune ragazze Serpeverde potevano entrare nella stanza delle necessità a nascondersi. Ti ricordi, quando vi ho spiegato come abbiamo gestito la stanza delle necessità per nasconderci dai Carrow?” Ron annuì. E guardò Pansy, che abbassò gli occhi.
“Non è stato facile neanche per noi” ammise, sottovoce. Poi lei voltò lo sguardo verso la stanza dei prefetti e disse: “Sta arrivando la Abbott, andiamo”, lo prese per un braccio e lo trascinò via.

 

***

 

“Dovresti andare in infermeria.”
Hermione la guardava con rimprovero, mentre aspettavano in sala comune che arrivasse l’ora di cena.
“È solo un raffreddore!” Ginny starnutì ancora.
Effettivamente si sentiva un po’ stanca. Ma che diamine, quella sera ci sarebbe stata una festa e lei voleva andarci con Harry. Voleva ballare stretta a lui. Ed era una festa esclusiva, suo fratello non ci sarebbe stato, così non avrebbe osservato tutto quello che faceva e non l’avrebbe guardata tutto il tempo con lo sguardo truce.
Avrebbe dovuto chiedere a Pansy di tenerlo impegnato comunque, quella sera, per evitare, pensò sorridendo. Starnutì ancora e si soffiò il naso.
Ok, forse avrebbe potuto prendere una pozione curativa. Mica poteva andare alla festa con il naso che colava, no? Hermione continuava a guardarla.
“Puoi darmi qualcosa tu?” chiese alla riccia.
“Non ti darò niente. Non sono un medimago né un’infermiera” ribattè Hermione.
Ginny sbuffò. “Come sei noiosa…” Si guardò intorno: a chi avrebbe potuto chiedere?
“Mettiti a letto, almeno. Ti porto qualcosa di caldo dalla cucina e vedrai che domani ti sentirai già meglio” continuò l’amica scuotendo la testa come faceva la McGranitt.
Ginny sbuffò ancora. “No, stasera ho da fare con Harry”.
La riccia fece schioccare la lingua. “Giocare a palle di neve come i bambini… E sì che sei del settimo anno!” Hermione si alzò mentre la rossa sorrideva guardandola allontanarsi verso la scala del dormitorio femminile.
Raffreddore a parte, era stato un pomeriggio divertentissimo. Le aveva ricordato un po’ le vacanze di Natale alla Tana quando tutti tornavano a casa da scuola. Lei si alleava sempre con Charlie perché era uno stratega fantastico e chiunque stesse con lui vinceva sempre.
Starnutì ancora. Merlino! Vide arrivare Harry insieme a Ron e unendosi a loro, si incamminarono verso la sala grande.
“Tu sapevi che Pansy aveva regalato un rospo a Neville?” le chiese Ron. Ginny annuì. Si ricordava qualcosa del genere.
“Sì. L’anno scorso, giusto? Ma non ricordo bene…”
Harry la guardò sorridendo. Poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò: “È più di un’ora che va avanti con questa storia… è geloso”. E ridacchiò.

 

“Sei geloso di Neville?” gli chiese sua sorella con quella voce nasale dovuta al raffreddore. Se non fosse stato così pensieroso l’avrebbe presa in giro di sicuro.
Ron si voltò con sguardo truce verso Harry. Poteva evitare di farsi ridere dietro?
Sbuffò e sorrise malignamente. “Non dovrei, giusto. Se non è geloso Harry…” E allungò il passo verso la sala grande.

 

Harry si immobilizzò. “Che intendeva?” le chiese.
Ginny alzò le spalle. “Non lo so. Penso ti prendesse in giro” rispose.
Il moro pensò di dover prestare più attenzione ma, in quel momento, lasciò perdere.
“Certo che hai un bel raffreddore” le disse.
Lei sorrise prima di rispondere: “È stato bellissimo, oggi. Posso tenermi il raffreddore per qualche giorno, in compenso”.
Anche Harry sorrise. La circondò con un braccio e le posò un bacio sulla testa.
“Forse stasera non dovremmo andare…” Non poté neanche finire la frase che lei lo interruppe quando capì quello che voleva dire.
“Non tirarti indietro Potter! Mi hai promesso un lento e almeno un lento balleremo!”
E sorridendo scappò via anche lei. Harry rimase lì a guardarla.
E lì lo trovò Hermione quando scese per andare a cena.

 

“Harry, tutto bene?”
Hermione guardava l’amico che fissava il corridoio (senza vederlo, ipotizzò).
Lui si girò verso di lei e le rispose: “Sì, sì”.
Si incamminarono insieme verso la sala grande. “Com’è andata oggi?” le chiese lui. Anche se erano andati nello stesso posto, non si erano visti per niente.
“Oh, bene. Kingsley mi ha fatto una proposta interessante”

 

Harry si voltò verso di lei, bloccandosi. “Riguardo cosa?”
Cosa le aveva offerto Kingsley? Lui voleva diventare un Auror e stava facendo tutta quella gavetta al Ministero, non è che Hermione aveva trovato la maniera di…
Lei divenne rossa e si guardò intorno prima di abbassare la voce.
“Per il C.R.E.P.A. ma non dirlo a nessuno, ok?” Harry sospirò sollevato.
“Certo, non preoccuparti.”

 

***

 

Ginny si sedette vicino a Pansy sulla panca dei Serpeverde. Salutò anche la Greengrass, Malfoy e Zabini.
“Hai qualcosa da darmi per il raffreddore?” le chiese e Pansy si girò verso di lei.
“Io?” chiese, stupita.
“Sì, voi Serpeverde non siete dei geni con le pozioni? Avrete qualcosa! Cosa prendete per il raffreddore?” chiese rivolta verso il quartetto.
Tutti e quattro risposero in coro: “Latte caldo e Firewhisky!” Ginny li guardò uno per uno. Davvero? Pansy annuì.
“Ok. E se non mi piacesse il latte?” Zabini ridacchiò.
“Doppio Firewhisky!” E annuì verso Malfoy, cercando approvazione. Malfoy non aveva una gran bella faccia, ma lo nascondeva bene come al solito.
Vide la Greengrass lanciare uno sguardo a Zabini che se l’avesse lanciato a lei, Ginny si sarebbe spaventata. Pansy scosse la testa.
“Non funziona così” dichiarò.
Zabini mise mano sotto al tavolo e quando la riportò su appoggiò una bottiglia vicino a lei e disse: “Si può sempre provare”.  Alzò una spalla e ignorò deliberatamente la bionda vicino a Pansy. Il moro versò in un bicchierone il liquido ambrato. Ginny lo guardò: voleva andare alla festa, voleva ballare con Harry. Lo prese senza pensarci più e lo bevve tutto d’un fiato.
“Ginny!” La mora le tolse il bicchiere di mano, ma lei lo aveva quasi finito. “Non così, lo sai. Hai mangiato almeno qualcosa?”
“Certo” mentì lei. Cosa avrebbe mai potuto farle? Era solo un bicchiere. Ok, un bicchiere bello pieno. E bello grosso.
“Sei andata a fare a palle di neve anche tu?” le chiese e Ginny annuì. Si sentiva già meglio. O tentava di convincersi? “Anche Astoria e Camille sono tornate bagnate zuppe. Daphne le ha asciugate con un incantesimo quando sono entrate in sala comune”.
La bionda annuì mentre aggiungeva: “Ridevano come oche. Neanche i primini erano in quello stato!”
La rossa rise. Ma poi immaginò che se avesse pensato anche lei ad asciugarsi, ora non si sarebbe trovata in quella situazione.
“Torno al tavolo. Ci vediamo dopo” li salutò alzandosi.
Mentre attraversava la sala grande, però, si sentì strana.
Prima di arrivare al tavolo dei Grifondoro la rossa svenne in mezzo alla sala grande. La prima persona che le fu vicino fu Pansy, preoccupatissima.

 

***

 

“Ma cosa è successo?”
Ron era entrato in infermeria come una folata di vento e stava portando scompiglio esattamente alla stessa maniera. Si scontrò contro un letto e imprecò. Sua sorella era in fondo all’infermeria. Aveva perso tempo con Seamus prima di andare a cena e quando era entrato in sala grande, c’era ancora trambusto per quello che era appena successo.
Ma lui non sapeva fosse successo a sua sorella. Quando Neville l’aveva informato dell’accaduto, si era alzato e si era precipitato in infermeria. E ora era lì e voleva vedere Ginny con i suoi occhi. E magari staccarle la testa.
Quando arrivò vicino al letto, notò che Harry era seduto vicino a lei e Hermione e Luna si erano sedute su un letto vuoto lì vicino.
“Allora? Che è successo?”

 

Ginny sbuffò. Sempre esagerato suo fratello!
“Non è successo niente” disse. Aveva ancora quella voce orribile. Sbuffò ancora.
“Tua sorella ha bevuto una pinta di FireWhisky poco prima di cena. Quando si è alzata dal tavolo è svenuta” disse Hermione.
“Ma non è vero!” Ginny le lanciò un’occhiataccia.
“Cosa hai fatto? Ma sei impazzita? E dove diavolo l’hai preso il Firewhisky?” le chiese Ron, con le orecchie scarlatte.Lei sventolò una mano per liquidare la cosa ma Harry al suo fianco, era ancora arrabbiato.
“Al tavolo dei Serpeverde, gliel’ha dato Zabini.”

 

Harry era arrabbiato con Ginny:  lei aveva bevuto a stomaco vuoto un bicchiere da una pinta di Firewhisky ed era svenuta. Lui si era spaventato da matti quando l’aveva vista cadere in mezzo alla sala grande, si era alzato e aveva fatto cadere i piatti e rotto il bicchiere da tanto si era agitato quando aveva spostato tutto per raggiungerla. E ora lei rideva! Ma non si rendeva conto? Era stata la Parkinson, che aveva trovato già vicino a lei, gli aveva spiegato cos’era successo.
Si pentì di non aver schiantato Zabini il sabato prima. In quel momento gli avrebbe lanciato un Avada Kedrava. Si rendeva conto di avere un tono sostenuto, ma non riusciva a farci niente. Guardò la sua ragazza con uno sguardo severo, ma lei non si scompose. Giusto, era abituata allo sguardo di Molly.
Ginny gli accarezzò una mano e spiegò: “Avevano detto latte caldo e Firewhisky per far passare il raffreddore. Volevo andare alla festa stasera. Volevo ballare con te. Ma non mi piace il latte…” E sorrise con quel sorriso di scuse che le riusciva così bene e a cui lui non sapeva resistere. Sospirò. Sospirò e sorrise.
“Piccola. Abbiamo tempo per ballare” le disse. Si avvicinò a lei e con la mano avvicinò la sua testa alle sue labbra.

 

“Stronzate! Sei stata un’idiota. Sarebbe potuto andare peggio!”
Ron vide Hermione annuire in approvazione alle sue parole. “Da quando frequenti i Serpeverde fai delle cose stupide!” Era così carico in quello che stava dicendo che continuò senza guardare nessuno se non sua sorella. “Da quando stai con loro, sei cambiata. Metti le gonne corte, vai alle feste a farti rimorchiare e ti lasci baciare davanti al portone! Diventerai come…”
L’espressione sul viso della sorella passò da sorpreso a incredulo alla fine all’arrabbiato. Ron se ne accorse e non riuscì a finire la frase.
Cosa stava dicendo? Perché era così arrabbiato? Sua sorella stava bene. Aveva fatto una cazzata. Chi di loro non ne aveva fatte? E allora?
Allora ce l’aveva con Neville, con il suo maledetto rospo. Non riusciva a toglierselo dalla mente. Lui l’anno scorso non c’era e sapeva che era giusto così, ma odiava perdersi le cose. E ce l’aveva con quell’idiota di Zabini. Perché lui c’era l’anno prima. E gli anni prima ancora. Ed era un Serpeverde. E aveva il dormitorio vicino a quello della sua ragazza. Beh, e poi aveva dato da bere a sua sorella una pinta di Firewhisky. Già. Si ce l’aveva con Zabini per quello. Giusto.
Ma il viso di sua sorella era strano e guardava dietro di lui. Si girò: Pansy era nel corridoio fra le file di letti e reggeva un vassoio.

 

Pansy aveva in mano un vassoio con una teiera di camomilla, biscotti e un boccetto rosso. Lo appoggiò sul comodino della rossa e le disse: “Le ho detto che non ti piace il latte caldo, così mi ha dato la camomilla. Spero che vada bene lo stesso. Dice di prendere metà di questo adesso e l’altra metà fra tre ore”.
Aveva preso in mano il boccetto per spiegarle come prendere la medicina, ma le sue mani tremavano troppo e lo appoggiò sperando che nessuno notasse niente. Si rialzò in tutta la sua (poca) altezza e si girò verso gli altri.
“Io vado. Buonanotte”, guardò il rosso e disse: “Tua sorella non diventerà mai così, non preoccuparti”.
Si incamminò verso l’uscita senza guardare in faccia nessuno, ma senza inclinare la testa. Cercò di mantenere un passo neutrale almeno fino alla porta dell’infermeria. Una volta chiusa alle sue spalle non ce la fece più: accelerò il passo finché non si rese conto di correre.
Così lui pensava che da quando la frequentava, sua sorella fosse diventata una… una ragazza facile? Non riuscì neanche a pensarla, quella parola, la parola che avrebbe usato lui, perché continuava a ripetersi ‘una come me’. Una parola che aveva sentito più volte e spesso rivolta proprio a lei. Una parola che le ricordava la madre. Si asciugò una lacrima.
Quando fu vicino alla sala grande si scontrò con la Abbott. “Parkinson, scusa non ti avevo visto” Lei scosse la testa non riusciva ancora a parlare.
“Scusami tu, Abbott.”
La ragazza la guardò un attimo prima di inclinare la testa. “Stai bene?”
“Oh, sì. Sono solo un po’ stanca” rispose la Serpeverde, non mentendo del tutto.
“Vuoi che chieda a qualcuno di sostituirti per la ronda?”
La ronda! Se n’era dimenticata! Non voleva andare alla ronda. Ci sarebbe stato anche lui. Oh, Salazar che vigliacca. Però sorrise e chiese alla Habbot: “E riusciresti a trovare qualcuno in così poco tempo?”
“Certo” rispose la Tassorosso.
Non se lo fece richiedere: la ringraziò e accettò. Non passò neanche dalla sala grande a cenare. Imboccò la strada per i sotterranei e sparì nel buio. Vigliacca. Vigliacca. E va be. Mica siamo tutti salvatori del mondo magico, no?

 

***

 

“Ron, cosa cazzo hai detto?”
Ginny esplose appena la porta dell’infermeria si chiuse dietro la Serpeverde. “Perché?” rispose Ron, osservando la porta. Capiva di aver sbagliato qualcosa. Davvero. L’atteggiamento di Pansy era stato strano. Non sapeva bene perché gli avesse detto quelle parole e se ne fosse andata. Era arrabbiata perché aveva offeso Zabini? Beh, per Godric, aveva dato un bicchiere di Firewhisky a sua sorella che non stava neanche bene! Forse lei voleva difendere l’amico?
“Come perché!” continuò la sorella “L’hai appena offesa!”
Lui spalancò gli occhi. “Ma cosa dici? Non l’ho offesa! E poi perché avrei dovuto?”
“Sei proprio un troll. Hai offeso me e lei e neanche te ne sei accorto?” gli chiese la sorella, sempre più incredula.
Ron voltò lo sguardo verso Hermione che lo guardava in maniera strana e poi verso Harry che aveva la fronte corrucciata. “Io non ho offeso nessuno…” Beh, a parte quell’idiota di Zabini.
“Beh… le tue parole sono state un po’… e poi quello che ti ha detto la Parkinson…” disse Hermione. Ma perché ce l’avevano tutti con lui?
“Ci hai appena dato della puttane! E lei è stata fin troppo gentile a risponderti così. Chissà poi perché ha difeso me e non ti ha dato un ceffone!” Ginny parlò sottovoce perché erano entrati altri ragazzini in infermeria.
“È più nobile difendere qualcuno a cui si vuole bene che se stessi” disse Luna, che non aveva detto niente fino a quel momento. Tutti si voltarono verso di lei, ma lei osservava con interesse uno dei tappi della sua collana, senza calcolare nessuno.
“Questa battaglia di neve ha fatto un sacco di vittime!” disse l’infermiera voltandosi verso di loro con sguardo severo.
Ron si avvicinò a Ginny appena la Chips fu fuori dalla loro portata e le disse sottovoce: “Non ti ho detto che sei una puttana”.
“Forse, Ron, non intendevi ma quello che hai detto…” Hermione provò a prendere la parola in sua difesa ma la rossa la interruppe: “Stronzate. Voleva o non voleva, quello che ha detto era quello. E Hai offeso anche lei”.
Ron scosse la testa sconsolato. Aveva dato della puttana a Pansy? Alla sua ragazza? Ma cos’era, un idiota? A quanto pareva, sì. Si voltò verso la porta.
“Vedi di scusarti e fallo entro stasera” gli intimò Ginny. Lui annuì senza ascoltare quello che diceva. Doveva parlarle. Che avesse capito male? Lui non ce l’aveva con lei.
“Le parlo alla ronda. Ora vado a mangiare” concluse. Non gli piaceva che gli dicesse cosa fare con Pansy. Hermione si alzò e disse che sarebbe andata con lui. Luna la imitò continuando a guardare la sua collana.

 

“Vengo anch’io” disse Harry. Si chinò a dare un bacio a Ginny e le sussurrò: “Dopo torno con il mantello”.
Ginny annuì e li guardò uscire. Si voltò verso il comodino e con la bacchetta scaldò la camomilla. Non le piaceva la camomilla. Ma preferì non dirlo e berla ugualmente. Con tutto il casino che era successo perché aveva detto che non le piaceva il latte... Sospirò.

 

***

 

“Sei stato un troll” Hermione annuì alle parole di Harry.
“Guarda che io non intendevo quello che avete capito voi. Mi avete capito male” spiegò il rosso, convinto. Harry tornò alla carica.
“Tutti quanti?” Ron lo vide alzare un sopracciglio e sospirò.
“Sono sicuro che Pansy non ha capito male” disse, senza esserne del tutto convinto.
“Infatti è stata molto affettuosa con te, prima” lo prese in giro.
Ok, qualcosa non era andato proprio nel modo giusto, ma possibile che lei avesse frainteso così tanto? Guardò Hermione. Aveva frainteso anche lei. E Luna aveva detto quella cosa strana. Ok, forse Luna non era da prendere in considerazione. O forse sì. Merlino.
Mentre imboccavano il corridoio per andare in sala grande, si imbatterono nel gruppetto Serpeverde: Malfoy, Zabini e la Greengrass camminavano in direzione dell’infermeria.
“Zabini” annunciò in tono sostenuto Ron. Come lo odiava in quel momento. Era tutta colpa sua. Il moro sorrise strafottente, quasi lo sapesse.
“Weasley” ricambiò il finto saluto.
“Cosa fai qui? Mi sembra che tu abbia già tentato di uccidere mia sorella, oggi” lo accusò il rosso, ancora nervoso.

 

Hermione e Harry si voltarono verso di lui. L’espressione del Serpeverde vacillò, ma non troppo. “Sono venuto apposta per chiederle scusa. C’è Pansy con lei?”
“No. È da sola” disse Hermione. Zabini ghignò per l’informazione, ma il suo viso si trasformò quando incrociò lo sguardo della Greengrass.
“Non andrai da lei, Zabini. Le posso portare io le tue scuse, più tardi.”
Il tono di Harry era severo e duro al punto giusto, tanto che la bionda Serpeverde gli sorrise. Harry rise quando vide l’espressione di Zabini.

 

“Dov’è Pansy?” chiese Draco dopo aver guardato, per quello che gli era sembrata mezza giornata, Hermione.
“È uscita un quarto d’ora fa dall’infermeria” gli rispose proprio la Grifondoro.
Lui aggrottò la fronte incuriosito ma non disse niente. “Possiamo tornare tutti in sala grande” disse Potter e Draco lo vide allargare le braccia e dondolarle avanti e indietro, per indicare la direzione del corridoio: marcava il territorio. Carino, pensò sarcasticamente. Gli tornò in mente Piton mentre lo pensava.
Fecero dietrofront e si incamminarono tutti nel corridoio. Cercò di rimanere indietro vicino a Hermione.
“Tutto bene?” la salutò.
Lei alzò lo sguardo verso di lui e annuì. “Sì. Oggi sono stata al Ministero” gli rispose.
“Buon per te” disse lui e riportò lo sguardo in avanti.
Poi sentì una mano piccola e calda posarsi sul suo braccio. Si girò verso di lei alzando un sopracciglio. “Mi manchi” mormorò la riccia. Draco pensò di esserselo immaginato. Lei gli stava chiedendo scusa? Alla sua maniera? Si guardò intorno velocemente. Gli altri erano un po’ più avanti e nel corridoio non c’era nessun’altro.
“Come?” chiese.
Lei sorrise mentre rispondeva. “Oh, non lo ripeterò”. Lui sorrise e velocemente le mise una mano dietro la schiena per sorreggerla e con l’altra la spinse contro il muro. Finirono sotto una delle lanterne. Draco si toccò la bacchetta in tasca e la spense.
“Mi manchi anche tu.”

 

Hermione ridacchiò: non voleva chiedergli scusa e non voleva baciarlo. O almeno, l’aveva pensato finché non l’aveva visto così vicino. Finché lui non le aveva rivolto la parola. E lì non aveva capito più nulla. Ma ora non vedeva l’ora che lui la baciasse.
Il suo stomaco brontolò rumorosamente: a pranzo aveva mangiato pochissimo perché doveva andare al Ministero e ora aveva posticipato la cena per via di Ginny.
Sentì le guance andare a fuoco e si fece piccola piccola quando lui la guardò sorridendo. “Fame?” le chiese. Lei annuì e basta.
Draco la prese per mano e si riavviò verso la sala grande. Quando entrarono Hannah gli andò incontro e chiese al biondo: “Malfoy ho avuto una disdetta, puoi venire alla ronda stasera?”
Hermione gli strinse la mano e lui si voltò verso di lei. Annuì facendogli capire che lei era in lista per la ronda e lui accettò.

 

La Tassorosso lo ringraziò e se ne andò. Draco portò Hermione al tavolo dei Serpeverde e le fece cenno di sedersi.
“Vieni tu da noi” gli disse invece lei tirandogli la mano. Come?
Si girò verso il tavolo rosso e oro: c’erano Potter e Weasley che mangiavano. Non voleva sedersi con loro, ma voleva stare con Hermione.
Si sentì molto combattuto; guardò il suo tavolo, ma loro avevano già mangiato e non riuscì a inventarsi una scusa. Ma… Un Malfoy al tavolo Grifondoro? Davvero?
Hermione lo stava già tirando verso il tavolo. Per fortuna che molti si erano già alzati. Lei si sedette sulla panca di fronte a Potter e Wealsey, che alzarono gli occhi su di lui: Potter fece quel suo sorriso strano e gli fece cenno di sedersi davanti a lui. Mentre si sedeva Weasley ghignò. Merlino, frequentare Pansy iniziava a dare i suoi frutti.
“Va là, Malfoy, sei fortunato che non c’è mia sorella. Non te lo farebbe mai scordare. Te l’assicuro” disse ridacchiando e chinò la testa per tornare a mangiare.
Già: la teppistella. Chissà come rosicherà quando lo saprà. Ghignò anche lui.
Vide Wealsey lanciare più volte l’occhio al tavolo Serpeverde. Si voltò senza farsi vedere, ma non vide Pansy. Era successo qualcosa? Ma poi Hermione gli chiese qualcosa e lui non se ne preoccupò più.

 

***

 

Ron non aveva visto Pansy da nessuna parte: né a cena, né dopo cena. Aspettò con ansia il momento di fare la ronda. Iniziava a pensare che lei fosse offesa. E visto che tutti dicevano che era stato lui a offendere le ragazze…
Si passò nervosamente la mano fra i capelli. Ma dov’era? Pensò di aspettare direttamente nella sala dei prefetti.
Fu il primo ad arrivare, con largo anticipo. Aspettò nervosamente e iniziò a compilare la pergamena. La prima che vide arrivare fu la Abbott. Aveva guardato l’uscio quando si rese conto che stava entrando qualcuno, ma aveva spostato lo sguardo quando si era accorto che non era la persona che aspettava.
Poi arrivarono Burrow e la Simmons. Arrivò anche la Serpeverde del settimo anno e subito dietro di lei arrivarono Hermione e Malfoy. Continuò a guardare la porta: sarebbe arrivata, giusto?
Arrivarono anche Goldstein e altri due Corvonero. Dieci, erano in dieci. Non si ricordava chi altro ci doveva essere, ma dieci era il numero per la ronda. Merlino: lei non c’era. Ma doveva esserci.
Riprese in mano la pergamena e disse: “C’è un errore”.
La Abbott gli andò vicino e spiegò: “La Parkinson non sta bene, è venuto Malfoy per sostituirla. Cancella il suo nome, per cortesia”. Ron alzò gli occhi verso Malfoy e Hermione. Lei scosse la testa: non lo sapeva. La vide allungarsi per parlare all’orecchio del biondo. Lui scosse la testa e si voltò verso Ron. Con un brutto sguardo, o così gli sembrò. Merlino, merlino, merlino.
Ora avrebbe dovuto aspettare la fine della ronda.

 

***

 

Ginny si stava annoiando. Alcuni dei ragazzini che erano arrivati prima di cena se n’erano già andati. Beati loro: quel posto era noiosissimo.
Dall’altra parte della stanza c’erano due letti occupati. Ma non vedeva chi c’era perché le tende dei letti erano tirate. Sentì qualcuno russare. Che due pluffe. Guardò verso la porta, ma di Harry ancora nessuna traccia.

*** Ecco il nuovo capitolo! Spero vi piaccia!!! 😊

*** E perdonate gli errori!

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Capitolo 36
*** La festa nei sotterranei ***


 La festa nei sotterranei

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-

 

Pansy ciondolava in camera da un sacco di tempo.
Gran bella idea, davvero. Era arrivata nel dormitorio prima di cena e ora era stufa di essere lì. E avrebbe potuto uscire solo l’indomani. Che idea stupida farsi sostituire alla ronda! Almeno avrebbe fatto qualcosa…
Daphne non era tornata e PAnsy sperò che fosse con Blaise. Neanche Millicent era rientrata, ma non ci pensò su troppo: dopo quella bella chiacchierata che avevano avuto qualche giorno prima, avevano preso a ignorarsi. E a lei stava bene.
Aveva sentito dire da alcune ragazze del quinto anno che ci sarebbe stata una festa. Doveva essere una festa un po’ esclusiva, visto che lei non sapeva niente. Pensò di andare a dare un’occhiata. Almeno l’avrebbe distratta dal pensiero del rosso. E poi doveva controllare chi c’era: la riunione per le ragazze ci sarebbe stata il giorno dopo e lei doveva assicurarsi che quella notte non succedesse niente.
Si truccò e si cambiò il vestito. Quando uscì in corridoio, seguì due ragazze del quinto che parlottavano fra loro. Neanche si accorsero di lei: uscirono dalla sala comune e girarono a destra. Quando ebbero girato la terza volta capì dove stavano andando. Non le piacque tanto, saperlo. Era già stata in quella stanza, anni prima. Si fermò senza accorgersene. Merlino. Si guardò intorno: le ragazze erano sparite.
Si incamminò lo stesso e arrivò al locale della festa, notando di aver indovinato il luogo, ma senza esserne contenta. Almeno avevano insonorizzato la stanza: dal corridoio, infatti, non si sentiva la musica.  
Sulla porta c’era Rowie. Ancora Merlino. Il ragazzo alzò un sopracciglio quando la vide e ghignò. “Parkinson” disse, strafottente.
“Rowie” lo salutò lei.
“Mi spiace non puoi entrare. È una festa riservata” disse, con un po’ di arroganza.
“Ah, sì? Riservata a chi?” chiese e buttò un occhio dentro la stanza: erano quasi tutti Serpeverde, ma non tutti. Ma tutti erano maledettamente giovani. C’erano anche ragazzini dei primi anni.
Non vide Blaise né Daphne. Non vide neanche Millicent. Sperò che ci fosse qualcuno del settimo anno a controllare.
Quando vide passare Astoria, si preoccupò. Astoria? Ma allora c’era anche Camille! “Oh, riservata ai Serpeverde” rispose Rowie dopo averla squadrata con uno sguardo lascivo.

E sì che il suo non era un vestito di quelli che metteva di solito alle feste, visto che non voleva attirare l’attenzione. Quel ragazzino non aveva visto niente. Rise di lui.
“E io ti sembro un Tassorosso? Comunque ho visto due ragazzine Corvonero. Proprio là. Cos’è perdi i colpi? Non hanno neanche la gonna corta. Come ti hanno corrotto? Ti hanno fatto vedere le caviglie?” lo prese in giro lei.
Lui divenne rosso e disse qualcosa, ma lei lo ignorò, studiando il modo per entrare a vedere cosa stesse succedendo.
“Non potrei farti entrare, ma se sarai carina con me…” Rowie lasciò in sospeso la frase apposta. Pansy stava ancora guardando la stanza. Si girò verso di lui e lo guardò male.
“Vuoi che ti schianti ancora? Comunque non voglio entrare, mi piace stare qui” mentì lei.
“Come?” chiese lui sorpreso.
“Sì, immagino che fra poco, dopo che mi avranno visto, qui sulla porta, in bella vista, si faranno tutti qualche domanda. Ricordi? Sono un prefetto. E sono il prefetto più vecchio. Potrei smontarti questa festa in dieci minuti” mentì. Allungò la mano e la fece roteare davanti a sé. Lo sguardo del ragazzo vacillò.
Sperò che l’idiota ci credesse. Lei non avrebbe potuto fare niente. Ma lui non lo sapeva. E Pansy era bravissima a bluffare. Ghignò.
“Ok entra” disse, con un gesto della mano. Oh. Era stato così facile?
“Davvero? Come sei gentile” disse, melliflua.
Fece qualche passo avanti e poi si voltò di nuovo verso di lui, quando vide che le un ragazzino dietro di lei gli aveva allungato qualcosa nella mano.
Pansy si chinò un po’ in avanti perché si era seduto e trafficava con una scatola di legno mentre entravano altri due ragazzini. Lo vide allungare lo sguardo nella sua scollatura, ma lo lasciò fare.
“Che scopo ha questa festa? Fate pagare gli alcolici?” gli chiese.
Rowie non rispose subito, così gli mise un dito sotto il mento e lo obbligò ad alzare lo sguardo. “Quindi?” insistette.
Lui scosse le spalle. “Sì, una cosa così, farsi pagare gli alcolici e l’entrata. E proporre giochi alcolici... ci ha detto Nott di farlo, daremo a lui il denaro e…”
Quando sentì quel nome la ragazza si irrigidì. Ma l’idiota non se ne accorse, per fortuna.
“Oh, e Nott è qui?” chiese e si guardò intorno mentre lui continuava a guardarle dentro il vestito.
Rowie scosse ancora la testa, confuso. “No, è andato via con una” rispose. Merlino. Una ragazza? O una ragazzina?
“Una chi?” gli chiese, preoccupata.
 “La Bulstrode” rispose il ragazzo. Per Salazar, Millicent!

 

Si voltò verso la stanza piena di ragazzini e tirò fuori la bacchetta. In un angolo, in un cerchio di persone sedute per terra, vide Camille e Astoria: chiacchieravano con altri. No e no. Guastafeste.
Al centro dei ragazzi vide una bottiglia girare. Si sentì male. Aveva partecipato a feste per tutti gli anni di Hogwarts. Era davvero una ragazza facile. E ora, invece, era una guastafeste. Ma doveva farlo. Soprattutto se era stato Nott a organizzare la festa.
Fece su di sé un incantesimo Muffliatio e ne lanciò uno Assordante nella stanza: un rumore potentissimo uscì dalla bacchetta, spaventando tutti i ragazzini.
Presero tutti a correre verso l’uscita.
Rowie cercò di fermarli, così Pansy gli lanciò uno schiantesimo, mentre con un altro incantesimo allargava la porta d’uscita. In meno di dieci minuti la stanza fu vuota.
Fece finire gli incantesimi e si guardò intorno: era rimasto solo Rowie, svenuto. Oh, aveva ragione. Dieci minuti e avrebbe potuto far finire la festa. Sorrise. Sperò che nessuno si fosse fatto male scappando. Andò a controllare il ragazzo per terra. Era ancora svenuto, ma stava bene.
Puntò la bacchetta alla sua testa e disse: “Obliviate”. Se non si fosse ricordato cos'era successo, non avrebbe potuto raccontarlo a nessuno.
Vide vicino a lui la cassetta di legno. La raccolse e l’aprì: era piena di monete. L’incasso della serata? Si voltò e andò verso il bancone del bar. Sapeva esattamente dove guardare, pensò un po’ tristemente mentre si chinava sulla sinistra, sotto tutte le bottiglie.
Raccolse l’altra cassetta e la vuotò nella borsetta come aveva fatto con la prima. Uscì dalla porta chiudendosela alle spalle. Tornò sui suoi passi e vide l’entrata della sala comune presa d’assalto dai ragazzi della festa.
Cercò con lo sguardo sua sorella e Astoria. Loro la videro e Camille abbassò lo sguardo quando i loro occhi si incrociarono. Aspettò che tutti entrassero e quando il corridoio fu di nuovo libero, andò a cercare Millicent. Dove avrebbe potuto portarla Nott?
Girovagò un po’. Era ancora presto, effettivamente. Forse era appena iniziata la ronda. Non li trovò da nessuna parte. Aveva cercato in tutti i posti che conosceva nei sotterranei. Dopo un’ora decise di tornare in dormitorio. Magari non era successo niente e Millicent era a letto.
Come entrò in sala comune notò solo le luci più basse del solito, ma non c’era nessuno. Doveva aver spaventato abbastanza i ragazzi visto che si erano rifugiati nei dormitori. Si avviò verso il suo corridoio quando sentì una risatina. Si girò: da dov’era non vedeva niente.
Alla risatina se ne unì un’altra. Si avvicinò a uno dei divani in fondo, quello girato vicino al corridoio dei ragazzi e lì, sdraiati, c’erano Millicent e Nott che pomiciavano. Merlino.
“Parkinson!” esclamò lui sorpreso, ghignando.

 

***

 

Harry entrò in infermeria dopo cena, senza indossare il mantello.
Ginny sorrise e lui le andò incontro e si sedette sul suo letto. “Non hai il mantello?” sussurrò lei quando la baciò.
“Sì, sì, che ce l’ho. Ma pensavo di usarlo dopo. Adesso sono in visita finché posso restare” spiegò e lei annuì. Si spostò per farlo sdraiare di fianco a lei e Harry la baciò ancora.
“Ehi! Potreste avere un po’ di rispetto. Non siete mica soli!”
Tutti e due alzarono la testa verso uno dei letti con le tende tirate. Harry si alzò e andò a tirare la tenda, scoprendo chi aveva parlato: Harper. Stupendo. Il Serpeverde li guardò con un sorriso strafottente.
“Harper” sputò il suo nome Ginny.
“Già, visto che fortuna ritrovarci qui insieme? Appena Potter se ne va potresti venire a trovarmi” continuò ghignando.
Doveva essere lì per il raffreddore anche lui, pensò Ginny, notando la voce nasale. Lei, che aveva già preso la medicina qualche ora prima e si sentiva molto meglio, alzò un sopracciglio. “Che voce sexy, Harper. Eri tu che russavi?” gli chiese con tono sarcastico.
Lui si sorprese e non riuscì a ribattere niente. Harry rise e tornò vicino a lei. Harper sbuffò. In quel momento anche l’altra tenda si aprì.
“Weasley, anche tu qui?” disse il ragazzo che c’era dietro.
Ginny sorrise. “Derrick!” Il ragazzo fece un cenno del capo a Harry che ricambiò con una strana espressione.

 

Ad Harry la situazione non piacque molto. Finché c’era l’idiota, andava bene. Ma Derrick (detto con il tono che aveva usato Ginny) non andava bene. No, no. Non l’avrebbe lasciata lì con Derrick.
“Harry ti ricordi di Derrick? Te ne ho parlato quando siamo andati in Galles” gli chiese la rossa e lui annuì distrattamente.
Poi si girò verso di lei e sussurrò: “Quello che doveva uscire con Luna?”
Lei annuì ma poi disse sottovoce: “Ma Luna non ha voluto neanche conoscerlo”.
Oh. No, no. Ancora no. “Anche tu reduce dalla battaglia di neve?” le chiese il ragazzo Serpeverde.
“Già. Ci siamo divertiti, eh?” gli rispose Ginny. Ok. Basta. Si risedette sul letto vicino alla ragazza e le portò una mano dietro la schiena in un gesto possessivo, senza darlo a vedere. Lei stava ancora chiacchierando del pomeriggio Derrick, però aveva iniziato a chiamarlo Mike. Oh, sembrava che si fossero divertiti, mentre lui era al ministero a lavorare. Ginny, Camille, Astoria e… Mike.
Ginny ridacchiava mentre raccontava di questo o di quello, anche se ogni tanto si ricordava di lui e gli posava la mano sulla gamba per richiamare la sua attenzione quando raccontava qualcosa di divertente. Rise anche quando raccontò di essere caduta nella neve.
Oh, c’era da dire che mentre raccontava era bellissima, come sempre. Ed era sua. Le sorrise nonostante quello che sentiva dentro. Quando lei prese fiato e rimase zitta, si girò verso di lui con uno sguardo così dolce, si dimenticò tutto, mentre le spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

 

Madama Chips entrò in infermeria dalla porta del suo ufficio.
“Adesso l’orario delle visite è finito. Questi ragazzi devono riposare” disse e fece cenno a Harry di andare fuori.
Il Grifondoro annuì e si alzò dal letto, baciò Ginny sulla testa e le diede la buonanotte. Si avviò verso la porta e quando uscì la lasciò aperta. Tornò indietro quasi subito protetto dal mantello. Sentì Ginny dire ai ragazzi che era stanca e tirare la tenda con la bacchetta per garantirsi un po’ di privacy.
Passò da dietro il letto; fu molto bravo, secondo lui. Appena si tolse il mantello, la rossa gli sorrise. Si sedette sul letto, dov’era prima.
“Rimani con me?” chiese lei.
“Sì, tutta la notte.”

 

Harry le aveva detto che sarebbe rimasto con lei tutta la notte. Avrebbero dormito vicino, fino al mattino. Sorrise. Si spostò sul letto per fargli di nuovo posto e sussurrò ancora: “Tieni vicino il mantello”. Lui annuì e la baciò.
In quel momento la tenda venne tirata per metà, scoprendoli, e Harper fece capolino dietro.
“Potter! Come hai fatto?” esclamò, stupito di verderlo.
“Harper, idiota cosa fai?” iniziò Ginny, ma il Serpeverde chiamò a gran voce la Chips che arrivò quasi subito.

 

Harry fece appena in tempo a nascondersi dietro la tenda ancora tirata di fianco al letto e a gettarsi addosso il mantello. L’infermiera arrivò con uno scalpiccìo veloce e si fermò vicino a Harper.
“Signor Harper, cosa sta facendo fuori dal suo letto?” gli chiese. Aveva le mani sui fianchi e guardava il ragazzo con un cipiglio severo.
Harper ghignò e disse: “Loro mi davano fastidio”, indicando Ginny. La Chips si voltò verso di lei inarcando un sopracciglio.
“Chi?” domandò ancora.
“Loro. La Wealsey e Potter” rispose con arroganza.
“Potter è uscito prima” dichiarò la Chips e lo guardò stranita, come se fosse pazzo.
Lui ghignò ancora. “No no, è tornato dentro. È lì, dietro alla tenda”.

 

Harry sentì l’infermiera arrivare e fece un passo indietro. Non c’era tanto spazio. Sperò di non farsi beccare e trattenne il respiro.
Madama Chips spostò la tenda e lui la vide guardare nella sua direzione. Come ogni volta, ogni maledettissima volta, pensò che il mantello per qualche motivo non funzionasse e chiuse gli occhi.

Coraggiosissimo, si lodò sarcastico.
“Qui non c’è nessuno, signor Harper.”
Anche se era lontano, Harry sentì Ginny sospirare. Si girò e vide l’infermiera girarsi verso Harper che guardava nella sua direzione con gli occhi sbarrati.
“Ma era lì. Appena dietro la tenda. L’ho visto. Deve essere lì” si giustificò il Serpeverde.
Mentre si muoveva furtivo, il moro notò Derrick, ancora seduto sul letto che guardava la scena incuriosito.

 

Ginny ridacchiò e trasformò la risata in qualche colpo di tosse. “È vero Madama Chips. Harry è tornato”.
Harry la guardò spalancando gli occhi; non si ricordò che lei non poteva vederlo. Ma cosa stava dicendo? Voleva che lo scoprisse?
La ragazza prese la tazza sul comodino e disse: “Ho trasfigurato Harry in questa tazza, così che potesse stare con me per tutta la notte”. E guardò la tazzina con sguardo adorante.

 

“Oh, non ci creda, Madama Chips.”
Questa volta aveva parlato Derrick. “Faccio Trasfigurazione con quella ragazza da sette anni e non ci riuscirebbe neanche se volesse. Se quella tazza fosse veramente Harry Potter, avrebbe ancora gli occhiali, si fidi di me!” Fece un sorriso strafottente e Harry vide Ginny guardarlo male. “Potter è uscito dieci minuti fa, quando glielo ha detto lei” continuò lui indicando la porta.
L’infermiera lo guardò e annuì, poi si girò verso Harper e sgridò il Serpeverde dicendogli di tornare a letto, altrimenti gli avrebbe dato una pozione soporifera.
Harper non disse più niente, guardò male Ginny e tornò verso il suo letto. Madama Chips se ne andò dicendo che avrebbe spento le lanterne entro poco. Harper tirò la tenda e si mise a letto.
Ginny guardò Derrick con riconoscenza e mimò ‘Grazie’ sulle labbra. Lui fece un cenno nella sua direzione, lanciò un’occhiata dove era Harry e tirò la sua tenda con la bacchetta.

 

“Non ti ha visto” sussurrò a Harry quando le tornò vicino.
Lui non disse che invece il Serpeverde l’aveva visto: se n’era accorto quando si era nascosto dietro l’altro pezzo di tenda. Forse aveva visto anche il mantello. Di quello non era sicuro. Annuì senza dire niente e si sdraiò vicino a lei. Ginny appoggiò il viso su di lui e chiuse gli occhi.
“Buonanotte.”
“Buonanotte, piccola” le rispose, le accarezzò la testa e la baciò sulla fronte.
Dopo poco si addormentarono.

 

***

 

Hermione e Draco fecero la ronda insieme.
Avevano il corridoio del primo piano, ma non furono molto professionali, secondo Hermione. Continuavano a fermarsi a baciarsi in ogni angolo buio e Draco si premurò di spegnere parecchie lanterne al loro passaggio. Lei sorrideva. Per tutta la sera non aveva ripensato a quello per cui avevano discusso. Discusso… poi… non è che avessero discusso.
Lei ci aveva pensato parecchio. Alla fine, pensava di aver sbagliato lei. Pensava… beh, lo diceva Ginny e lo aveva accennato Harry. Draco era libero di fare quello che voleva, questo lo ammetteva anche Hermione. Quello che lei non riusciva a far capire ai suoi amici era che lei non voleva a tutti costi andare con lui ad Azkaban, voleva solo che lui glielo avesse detto. Ma era così difficile? Capiva che forse lui doveva chiudere i conti in sospeso con suo padre, però… però poteva dirglielo, no? Lei lo avrebbe aiutato. Magari sarebbe riuscita a fargli avere un colloquio prima se fosse stata lei a chiederlo, no? Però Ginny diceva che se lo avesse saputo avrebbe preteso di fare come voleva lei e non come voleva Draco. Ma davvero? Lei era veramente così? No. Non lo era. O forse sì? Forse solo quando il suo modo di agire sarebbe stato più giusto di quello di qualcun altro. Sospirò.
“Tutto bene?” le chiese lui alzando un sopracciglio. Lei sorrise ancora. “Ti ho detto cosa sono andata a fare al Ministero quella volta che ti ho visto?” buttò lì.
Lui si fermò. “Quando?”
“Quando sei andato al Ministero. Tu forse non lo sai, ma non me l’ha detto tua mamma che ci sei andato. Io… Io ti ho visto perché c’ero anch’io” parlò velocemente, un po’ per non interrompersi e un po’ per vedere la sua reazione.

 

Hermione era andata al Ministero il giorno che c’era andato anche lui? E perché non lo sapeva?
“No. Non sapevo che ci saresti andata” disse e lei annuì.
“Non te l’avevo detto” precisò.
“Perché?” Lei lo guardò con un sorriso strafottente. Ok se l’era cercata.
“Perché è una cosa mia” continuò, però lo disse con un tono strano. “E mi piacerebbe parlartene.”
Lui, che non si era ancora mosso, annuì stranito. “Oh. Ok”.
“Però è una cosa che potrebbe non piacerti oppure potresti ridere di me” ammise.
“E cosa dovrei fare, quindi?” Lei gli prese la mano mentre lo tirava per finire il corridoio.
“Potresti ascoltarmi fino alla fine senza dire niente” propose Hermione e lui annuì.
Quando lei parlò del gruppo che aveva fondato per i diritti degli elfi, Draco si ricordò qualcosa: sapeva di aver già sentito parlare del C.R.E.P.A., ma non era sicuro del come, dove e quando. Così ascoltò fino alla fine senza dire niente.
Era una stupidata. Lei voleva dare dei diritti agli elfi. Merlino, neanche gli elfi volevano quei diritti che elencava lei! Avrebbe voluto anche permettere agli elfi di usare la bacchetta. Draco non seppe bene cosa dire o anche pensare. Quando alla fine lei disse che il Ministro le aveva proposto un piccolo lavoro all’ufficio regolazione e controllo creature magiche, lei sorrideva così tanto che lui non ebbe il coraggio di dirle niente.
Così, la fece voltare verso di sé e le appoggiò le mani sulla schiena, guardandola in faccia. “Sei il futuro Ministro della Magia. Potrai fare…” Venne interrotto da una porta che si apriva.

 

Si voltarono tutti e due verso l’infermeria: Harry era uscito dalla porta e li aveva visti. Li salutò con la mano e si coprì con il mantello dell’invisibilità. Poi videro la porta chiudersi.
“Ma…” iniziò Hermione. “Cosa fa?”
“Torna dentro dalla Weasley” le disse Draco con un tono strano.
Lo guardò in faccia e notò che per lui era una cosa scontata. Ma… non poteva! Non era una cosa giusta! Cosa pensava di fare? Rimanere in infermeria tutta la notte? Vide il biondo sorridere divertito.
“Fammi indovinare: è una cosa che non si fa?” Lei sentì le guance in fiamme. No, che non si faceva! Santo Godric! Lui continuò a ridere, guardandola divertito. Hermione sbuffò.
“Dai, finiamo la ronda e torniamo su alla stanza dei prefetti” disse un po’ stizzita, trascinandolo per il corridoio.
Draco rise ancora.

 

Riuscirono a finire la ronda, con Hermione che sbottava nervosa a ogni aula.
Draco, invece, continuava a sorridere: lei era adorabile quando si innervosiva così. Non riusciva proprio a non sorridere, guardandola.
Quando tornarono nella stanza dei prefetti c’erano solo la Abbott e Weasley che scriveva la pergamena. Aspettarono che ebbe finito e tutti insieme uscirono dalla stanza.
Davanti a loro la Abbott e Hermione chiacchieravano di qualcosa che avevano organizzato per il giorno dopo, mentre Weasley rallentò il passo. Quando si fermò, Draco sospirò e si girò verso di lui: capiva che qualcosa non andava. Non aveva nessuna voglia di chiederglielo, ma era in debito col rosso, così si armò di santa pazienza e chiese senza farsi sentire dalle ragazze: “Che succede, Weasley?”

 

Ron guardò Malfoy: lui avrebbe potuto aiutarlo.
“Mi fai entrare nei sotterranei?” chiese, velocemente. Il Serpeverde alzò un sopracciglio.
“È successo qualcosa con Pansy?” domandò, senza rispondere alla sua domanda.
“Una cosa così” liquidò lui la questione. Non voleva parlarne con il biondo. Voleva solo vedere lei. “Mi fai entrare o devo trovare un’altra maniera?”

 

Draco lo guardò: sembrava nervoso. Perfetto. Ma si ricordò ancora di avere  quel conto in sospeso con il Grifondoro e annuì.
“Ok. Ti faccio entrare in sala comune” concluse. Al resto ci avrebbe pensato da solo.
Vide il rosso annuire: sarebbero stati pari. E non avrebbe avuto più debiti.

 

Hermione vide i ragazzi parlare, salutò Hannah che si avviò al corridoio delle cucine da sola e tornò verso di loro.
“Che succede?” chiese.
“Vado con Malfoy nei sotterranei” rispose Ron e lei annuì.
“Ti accompagniamo alla torre” propose Draco.
“Non serve”, appoggiò una mano sul braccio del ragazzo e gli lanciò uno sguardo complice. “Portalo giù” aggiunse. Draco alzò un sopracciglio incuriosito e lei lo spinse un po’. “Su andate. O lei andrà a letto!”

 

Draco vide Weasley fare una faccia strana: sorrise. Anche lui sapeva che Pansy non dormiva? Annuì a Hermione, si chinò a baciarla e si salutarono.
Poi si incamminò con il rosso verso i sotterranei.

 

***

 

“Parkinson, che piacere” disse Nott con tono lascivo.
Pansy pensò che avesse bevuto. Guardò anche Millicent: anche lei doveva aver bevuto. Le aveva dato qualcosa? Pensava che la ragazza non provasse neanche simpatia per Nott. Farsi rimorchiare poi…
“Avete bevuto?” chiese. Loro ridacchiarono. Sì, avevano bevuto decisamente. “Dai, Millie, andiamo in camera” disse allungando una mano.
Lei si ritrasse guardandola male. Il suo sguardo fece male. Tanto. Più delle parole dell’altra volta. “Cos’è sei gelosa che sia con me?”
Pansy sgranò gli occhi. Gelosa di Nott? Doveva aver bevuto parecchio. “No, Millie, penso solo che tu abbia bevuto troppo. Dovresti venire in camera con me”.
Lei fece un sorriso tirato “No, grazie” rispose, come se fosse schifata.
Lui rise sguaiato. “Visto Parkinson? Non sono tutte noiose come te!” Nott le lanciò uno sguardo provocatorio mentre palpava il seno di Millicent. Merlino.
“Oh, sì, da quando è venuta sua sorella, è diventata parecchio noiosa.”
Ora notava che l’amica aveva strascicato le parole: doveva farla alzare da quel divano. Subito.
Pansy fece il giro del sofà e si immobilizzò quando lui disse: “Oh, hai una sorella? È bella? E me la presenti?” Il suo sguardo si fece di nuovo viscido e un brivido le scosse le spalle. Lasciò perdere: era meglio non far sapere i punti deboli ai nemici. Se si fosse infuriata, lui avrebbe saputo dove colpirla la prossima volta.
Fu solo contenta che non avesse collegato lei e Camille.

 

“Oh, loro sono sempre belle…”
Millicent non si rese conto di aver parlato e di averlo detto davvero. Le sembrava di aver bevuto solo due o tre drink, ma in quel momento non ne fu sicura. Si sentiva un po’ confusa. Quando lui la palpeggiò ancora davanti a Pansy non le piacque. Per niente. Sembrava lo facesse apposta per dar fastidio alla sua amica.
La guardò, ma la mora continuava a guardare lei. “Vieni Millicent, andiamo in camera” le disse ancora e allungò una mano verso di lei.
Si mise seduta e fece per prenderle la mano, quando Nott la tirò di nuovo indietro. “Ah no. È con me, stasera” dichiarò, con tono sostenuto.
Millicent sorrise: un ragazzo che teneva a lei? Sarebbe stato il primo ma faceva comunque piacere.
“Nott, lasciala stare”. Pansy si chinò per prenderle la mano, ma lui la spinse appena. “Non toccarmi!” La Serpeverde aveva uno sguardo di fuoco. Millie glielo aveva visto poche volte, ma faceva paura. Sentì il ragazzo che la teneva stretta irrigidirsi. Aveva spaventato anche lui. Ma poi lo sentì ridere.
“Lei vuole stare con me. Vero?” disse e la ragazza si girò verso di lui, ma Nott non aspettava veramente una risposta. Si sentì intrappolata. Lo sguardo di lui non le piaceva e avrebbe voluto andarsene da lì. Si alzò in piedi.
“Forse…” Nott la stava guardando malissimo.
“Forse niente! Tu stai con me, stasera. Dovresti ringraziarmi. Sai quante ne avrei potute avere più belle di te?”

 

Pansy vide il viso di Millicent irrigidirsi e per un attimo sembrò sobrissima.
“Ringraziarti?” Prese la sua mano e tentò di tirarla verso il dormitorio. Nott avrebbe potuto dire qualcosa di cattivo, cattivo e offensivo. Lo sapeva. Non voleva che lei sentisse. La ragazza castana scansò la mano dalla sua. Lui ghignò.
“Certo. Ma ti sei vista allo specchio? Sembri uno snaso! Chi ti sco…”
Pansy spalancò gli occhi quando vide l’amica tirar fuori la bacchetta. Una luce rossa uscì dalla bacchetta mentre lanciava lo schiantesimo. Nott si impaurì ma l’incantesimo non lo colpì: la ragazza non aveva mirato giusto. Anche lui tirò fuori la bacchetta ma fu lento e impacciato, anche per colpa dell’alcool. Una bacchetta in mano a un ubriaco era pericolosissima.
Pansy impugnò la bacchetta e disse: “Petrificus totalus”, in direzione del ragazzo, che ricadde immobile sul divano. Con noncuranza mise via la bacchetta, sotto gli occhi sbarrati dell’amica, la prese per mano e disse: “Adesso andiamo in camera, ok?”

 

Millicent annuì con le lacrime agli occhi: si vergognava.
Aveva creduto a tutte le belle parole di Nott. Le aveva detto che aveva sempre pensato che fosse carina ma di non averci mai provato perché convinto di non essere alla sua altezza. Che idiota! C’era cascata con tutto il mantello!
Pansy le circondò le spalle con il braccio; erano alte uguali. Avvicinò la testa verso di lei. “È un troll. Non credere a quello che ha detto. A lui piace mortificare le altre persone. Lo fa sentire superiore, distruggerti. È una persona crudele. Non dare mai ascolto a quello che dice. E non bere mai qualcosa che ti offre lui, capito?” Millicent annuì silenziosamente. Sembrava che lei sapesse di cosa stesse parlando. Si meravigliò. La perfetta Pansy aveva passato brutti momenti? Brutti momenti come lei?
“Grazie, per non avermi lasciato con lui.”
La mora si staccò da lei per aprire la porta della camera e quando si voltò, sorrise. “Non lo avrei mai fatto” dichiarò, seria. Millie le bloccò la mano, prima che si posasse sulla maniglia.
“Avresti avuto tutte le ragioni, dopo quello che ti ho detto” ammise.
Pansy sussurrò: “Nessuno si merita uno così”.
“Scusami per l’altra volta”. Aveva le lacrime agli occhi. L’amica le fece un cenno con il capo.
Quando entrarono in camera scoprirono che era vuota. Millicent si spogliò per mettersi il pigiama. Sapeva di non essere bella. Non aveva tutte le forme al posto giusto come Daphne o Pansy o come le altre. Non era magra e le sue gambe non erano belle da vedere sotto la divisa. La divisa poi, le stava malissimo. Sembrava davvero uno Snaso, ma non aveva mai sbattuto contro uno come Nott, che glielo dicesse in faccia.
Per fortuna era arrivata Pansy. La guardò mentre si infilava il pigiama, l’amica non si era ancora spogliata. Millie pensava che per lei fosse tutto facile: tanti soldi, tanta bellezza, tanta popolarità, tanti ragazzi ed era una purosangue. E invece… Niente di tutto questo ti garantiva la felicità probabilmente pensò, guardando il viso di Pansy. Sembrava triste. Inconsolabile. Per un attimo ebbe il timore che piangesse. Ma non l’aveva mai vista piangere. Ogni tanto, quando riceveva le lettere da sua madre, diventava pensierosa o a volte si arrabbiava in maniera nervosa, ma fino a ora niente l’aveva abbattuta. Ora però sembrava più tranquilla, forse perchè non riceveva più lettere dalla madre.
Per forza, stupida, sua madre era ad Azkaban!

 

Pansy si sedette sul letto. Avrebbe voluto dormire. Per giorni. Settimane. Mesi. Millicent la ringraziò ancora e poi si addormentò. Sentì il suo respiro regolare.
Dopo dieci minuti la porta si aprì ancora e tornò Daphne. Una Daphne con le guance rosse e un sorriso ebete sul viso. “Oh. Daphne, qualcuno è stato baciato stasera?” Sapeva quanto l’amica fosse timida. Era una delle poche. E sorrise di gioia a vedere che arrossiva ancora di più dopo le sue parole.
Le fece cenno con la mano di sedersi sul letto di fianco a lei e si fece raccontare tutto, mentre si preparavano per la notte. Dopo tanti sospiri e tanti “Oh, Pansy!”, Daphne le aveva raccontato tutto, quando sentirono un inconfondibile rumore venire dal corridoio: acqua.
No! Ma cos’altro doveva succedere ancora quella sera? Aprirono la porta (per fortuna notarono che furono le uniche ad aprirla) e guardarono la scena. Videro passare Nott nella corrente e lo videro sparire oltre il muro. Sospirò: andava bene così. Chissà cosa voleva fare quell’idiota. Non sarebbe neanche andata a controllarlo. Stava per richiudere la porta quando sentì la risata di Draco nel silenzio. Normalmente non l’avrebbe sentita se non fosse stata un’ora così tarda e silenziosa.
Merlino, Draco! Aveva usato Nott per chiamarla? Come aveva fatto con i ragazzini? Pensò di non andare in sala comune, ma poi pensò a come stesse Draco da quando aveva litigato con la Granger, così si incamminò controvoglia nel corridoio, sbuffando.
Quando si rese conto di essere in camicia da notte, appellò la vestaglia e cercò di infilarsela mentre raggiungeva la sala comune. Quando finì il corridoio, non solo non si era infilata la vestaglia, ma oltre a Draco, si trovò di fronte il rosso Grifondoro.
Oh, Merlino che serata!

 

***

 

Quando i ragazzi si erano incamminati verso i sotterranei non si dissero niente per almeno tre piani. Il silenzio era imbarazzante, così Ron provò a dire: “Vi siete chiariti, tu e Hermione?”
Il biondo lo guardò di sottecchi. “Tu sai del C.R.E.P.A.?” rispose lui.
Ron sospirò rumorosamente. “Oh, auguri. È una mattata di Hermione. Non è che noi ne siamo proprio entusiasti…” si interruppe e il Serpeverde annuì, capendo quello che voleva dire.
Non lo invidiava proprio. Fecero altri passi in silenzio, poi Malfoy pensò di ricambiare il favore.
“E voi? È successo qualcosa?”
Ron prese tempo e si infilò le mani in tasca. “Sembra… che io abbia offeso Pansy. Cioè, lo dicono loro” disse, indicando la torre con il capo “Ma forse lo pensa anche lei… io... non intendevo… sembra che io non sia molto bravo con le parole…” E si zittì: non voleva dire nient’altro.
Se avesse parlato ancora avrebbe detto a Malfoy quanto fosse geloso e non voleva far sapere all’ex della sua ragazza quanto lo fosse. E quanto fosse stupido.

 

Draco non disse niente, ma si fermò e Weasley fu costretto a fermarsi con lui. “Io tengo a Pansy. Lei è mia amica…” si interruppe per guardare da un’altra parte, improvvisamente a disagio.
“Anche Hermione è mia amica. So cosa vuoi dire” disse il rosso e Draco annuì. 
“Perfetto.”
E ripresero a camminare serenamente, come se avessero fatto una lunga chiacchierata rivelatrice.

 

“A volte è difficile. Mi sembra di muovermi in un labirinto di vetro insieme a un drago: penso sempre di fare la cosa sbagliata, che in verità è quella giusta e quando mi sento convinto di quello che faccio, faccio una cazzata” spiegò Ron, con sincerità. Non lo aveva detto a nessuno: Harry era il ragazzo che faceva sempre la cosa giusta, non lo avrebbe mai capito. Con sua sorpresa, invece, Malfoy annuì.
“A chi lo dici” ammise il biondo. Ron lo guardò, sorpreso di avere qualcosa in comune con lui.
Arrivarono nei sotterranei e passarono la porta scorrevole. In sala comune la luce era più bassa dell’ultima volta che c’era stato, ma non se ne stupì troppo.
“Mandiamo un gufo di pergamena?” propose quando il biondo si fermò davanti a un corridoio, informandolo che era il corridoio delle ragazze e loro non potevano oltrepassarlo.
Malfoy stava per rispondere quando videro alzarsi da uno dei divani in fondo, un ragazzo: Nott. Aveva una brutta faccia.
Il biondo imprecò sottovoce.

 

Merlino, Nott! Draco non immaginava di incontrarlo lì. E dopo tutte le cose che gli aveva detto per strappargli le informazioni sulle pozioni, non ci voleva proprio.
Guardò Weasley, che guardò Nott con uno sguardo di odio. Probabilmente Pansy gli aveva raccontato di Nott. Perché lui sapeva che c’era qualcosa, anche se non era a conoscenza di niente. Si voltò verso di lui e gli disse sottovoce: “Qualsiasi cosa io dica, reggimi il gioco, e non prestare troppa attenzione a ciò che dice lui, io potrei… avergli raccontato cose strane. Ok?” Vide Weasley guardarlo stranito e alzare un sopracciglio, ma alla fine annuì.
Nott li vide, si avvicinò e ghignò. “Come sei entrato, Weasley?”
Il suo tono era un po’ pomposo e le parole strascicate, come se avesse bevuto o fosse molto stanco. “L’ho portato io”.
Draco disse la prima cosa che gli venne in mente. “Sei qui per vedere la Parkinson? La sua stanza è di là. Vai pure”. Nott ghignò indicando il corridoio del dormitorio delle ragazze, probabilmente sperando che il rosso venisse investito dal fiume. Ma loro non si mossero. Draco sperò che lui si incamminasse verso i dormitori maschili, ma invece si avvicinò ancora di più a loro. Aveva una gran brutta faccia.
“Tu che fai qui?” chiese allora Draco, spostandosi con Weasley di lato. Nott camminò ancora nella loro direzione.
“Oh, solite cose…” Il viso del Serpeverde si inasprì mentre scrollava le spalle.
“Una ragazza?” chiese Draco e lui ghignò, rispondendo: “A dir la verità, due”.
Draco si guardò intorno: erano soli.
“E dove sono?” Il moro scosse la testa.
“Andate. Se dici loro la verità, si arrabbiano.”
“E la pozione?”
“Ce l’ho in camera. Ne vuoi un po’?”
Draco annuì, sperando così di portarsi via il ragazzo. Fece un cenno a Weasley e si incamminò verso Nott. Improvvisamente, Nott scelse di cambiare strada e si avvicinò al rosso, con un’andatura traballante. Girò intorno ai divani e si trovò di fronte al corridoio del dormitorio femminile.
“Forse dovrebbe comprarne un po’ anche lui” disse al compagno di casa intendendo il Grifondoro, che guardò in direzione di Draco. Riuscì a non far capire dallo sguardo che sapeva di cosa stessero parlando, ma il biondo pensò che Nott avesse bevuto abbastanza da non accorgersi di niente.

 

“E perché dovrei comprarne anch’io?” chiese Ron.
Era curioso di sapere di cosa stessero parlando, ma cercò di non darlo a vedere. Nott rise un po’ volgarmente.
“Perché la Parkinson è acida come una vecchia zitella. Se te la scopassi un po’ di più forse sarebbe meno…” Ron non ci vide più. Tirò fuori la bacchetta e fece un passo in avanti. Sentì Malfoy dietro di lui imprecare e questo lo bloccò.
Non lanciò a Nott nessun incantesimo, non fece in tempo perché il ragazzo si spaventò comunque e facendo un passo indietro inciampò e cadde sul sedere sul pavimento. Cadde proprio sull’entrata del corridoio.
Ron sentì Malfoy tirarlo indietro per un braccio. In quel momento, dall’alto cadde una cascata d’acqua che si riversò lungo il corridoio e corse via nel buio, portandosi via Nott.

 

Draco vide Weasley con gli occhi spalancati.
“Io non ho fatto niente” disse lui e Draco annuì. Quando si sentì lo sciabordio dell’acqua contro il muro, rise. Rise forte.
“No, ma hai fatto un gran bel lavoro. Adesso arriverà” spiegò.
Il rosso si voltò e chiese: “Chi?”
“Stai a vedere” rispose lui, enigmatico.
“Di che pozione parlava?” chiese ancora Weasley.
“Nott ha ideato una pozione che fa disinibire le ragazze. La usa per portarsele a letto e, da quel che ho capito, la vende qui a scuola” spiegò e Weasley fece una faccia seria.
Ma poi sentirono dei rumori dal corridoio e non ne parlarono più.

 

Ron sentì una voce borbottante venire dal corridoio e uno scalpiccio veloce.
“Per Salazar, Dra, quante volte ti ho detto che… oh!” Pansy stava arrivando e si fermò prima della fine del corridoio, vedendoli.
Ron sorrise senza accorgersene.

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*** Grazie ancora a chi continua a leggere!!!!

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Capitolo 37
*** Sorprese ***


36. sorprese

 Sorprese

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Pansy vide i ragazzi osservarla.
Le si era bloccata la vestaglia sulle braccia e non riusciva più a infilarsela, né a toglierla. Oh, Merlino.
Strattonò un po’, ma quando capì che non ci sarebbe riuscita, abbassò le mani e si avvicinò a loro.
“Aiutatemi” disse, si girò e diede loro la schiena.

 

Draco allungò le mani per aiutarla, quando Weasley lo spostò e si mise lui all’opera. “Pansy, cos’hai sulla schiena?” le chiese il biondo.
La sua camicia da notte era piuttosto scollata dietro e lei aveva dei segni… no, non dei segni, ma un disegno… forse un… tatuaggio?
“Draco lascia stare e aiutami” rispose lei, nervosa.
Draco vide il rosso girarsi verso di lui e alzare un sopracciglio. Ma perché? Che aveva detto? Quando lui ebbe finito di aiutarla e Pansy riuscì a indossare la vestaglia, la strinse, si legò la cintura in vita e si rigirò verso di loro.
“Hai un tatuaggio? E quando l’hai fatto?” richiese.
“Il giorno del processo” rispose lei, sventolando una mano come quando voleva liquidare qualcosa. In quel caso, lui.

 

Ron sorrise sorpreso. Malfoy non sapeva del tatuaggio. Non riuscì a non essere contento.
Finché lei non li guardò severa e domandò: “Allora? Perché avete fatto tutto questo casino?”
“Oh, è stato un caso, stavolta. Ma molto più divertente. Ed è stato lui” rispose Malfoy, indicando con la mano il Grifondoro e continuò: “Anzi, ora vado a letto. Buonanotte”. E detto ciò, Malfoy salutò e se ne andò.
Quando rimasero soli, Ron la guardò sorridendo, ma lei non cambiò espressione. Merlino. Doveva essere ancora offesa o arrabbiata.
“Malfoy non sa del tatuaggio.”
Non voleva dirlo. Non voleva gongolare. Ma fu più forte di lui. Lei inclinò la testa, corrugando la fronte. Non avrebbe mai potuto capire cosa volesse dire per lui. Chissà se era l’unico ad aver fatto l’amore con lei da quando aveva il tatuaggio. Già, il fatto che il biondo si fosse stupito, lo faceva sentire come sul campo da Quidditch: un re.
“Adesso lo sa. Cosa c’è? Sono stanca, voglio tornare a letto” disse.
Giusto. Lei era arrabbiata. Come scusarsi? Scusarsi di qualcosa che non si sapeva di aver fatto?

 

Quando lui balbettò: “Sembra che io abbia detto…”, Pansy non ci vide più.
“Hai detto una cattiveria. Su tua sorella. Una stupidaggine. Lei non sarà mai… come intendevi tu. Una come… me.”
L’ultima parola la disse sottovoce. Non fu neanche sicura di averla detta.

 

No, no. Santo Godric, avevano ragione gli altri!
“Io non ce l’avevo con te” disse Ron. Si avvicinò a lei e le mise la mani ai lati delle spalle. “Ho esagerato perché ero spaventato, avevo paura e ho detto una stupidaggine. Non intendevo quello che avete capito tutti. Mi sono spiegato male…”
“Ma va’. Si era capito benissimo. Forse non te ne sei accorto, ma intendevi proprio che...” iniziò lei, ma lui la fece tacere.
“Adesso vuoi dirmi quello che intendevo dire?” disse un po’ sostenuto. Pansy aveva un’espressione severa. “Ti ho detto che mi sono preoccupato per mia sorella e ce l’avevo con Zabini. Ho detto una cazzata. Non ti è mai capitato di dire qualcosa di stupido? Qualcosa che non pensavi e che venisse frainteso da tutti?”
Lei spostò lo sguardo. “Beh, io ho detto di catturare Potter…” Oh. Vero. L’aveva detto. Ecco era uguale.
“È vero. Visto? Non puoi non capirmi!” Lei lo guardò stranita.
“Ma cosa dici?” chiese. Sembrava confusa.
“Certo. Ora sei obbligata a perdonarmi” spiegò Ron.

 

Cos’era obbligata a fare, lei?
Pansy spalancò gli occhi e aprì la bocca per rispondergli quando la porta scorrevole si aprì. La testa del Grifondoro si girò e quando Ron riconobbe Nott, che entrò gocciolando acqua, le si mise davanti con le braccia leggermente aperte.
Voleva proteggere lei? Poteva anche essere un gesto carino, ma non ne aveva bisogno, pensò toccando la bacchetta.
Ma lo sguardo di Pansy continuò a posarsi sulle sue mani: aveva le mani grandi ed erano ruvide, lei lo sapeva, probabilmente per gli allenamenti di Quidditch. I suoi pensieri corsero in una zona segreta della mente e si sentì le guance in fiamme.
Non era il momento, però. Doveva rimanere vigile, non fantasticare. Cercò di pensare a qualcosa di pratico. Ecco. Lui non aveva la bacchetta. E il Serpeverde era entrato con la bacchetta in mano. Doveva distrarre Nott per evitare che se la prendesse con il rosso.
“Mi sa che non è la tua serata, eh, Nott?” lo provocò lei. Lui li guardò tutti e due senza dire niente, ma si fermò.
Cambiò angolazione e ghignò: “Gran bella vestaglia, Parkinson. Dopo vieni a trovarmi in camera, come ai vecchi tempi”.

 

Ron sentì, più che vedere, Pansy irrigidirsi, ma lei non disse niente. Si girò appena e notò che il suo viso era immobile e impallidito.
Tornò a guardare Nott che, non soddisfatto della reazione della ragazza, continuò: “Quando avrai finito di frequentare i bassifondi, logicamente”. Il Serpeverde ghignò ancora. Ron la vide prendere la bacchetta con la coda dell’occhio, ma lui non voleva che facesse niente. Le prese la mano libera e la strinse. Pansy si voltò verso di lui, sorpresa. Scosse la testa, per farle capire che non c’era bisogno.
Gli vennero in mente ancora le parole di Luna: ‘È più nobile difendere qualcun altro che se stessi’, aveva detto. Le sorrise e lei ricambiò.
“Che scenetta sdolcinata” li prese in giro il moro.
Ron vide Pansy rivolgergli un sorriso. Un sorriso che non le aveva mai visto. Non un ghigno. “Oh, Nott. Come sei infantile. Solo perché ti hanno scaricato, non dovresti prendertela con il mondo…” Il suo tono era accondiscendente, come quando si parla a un bambino capriccioso.
“Scaricato? Quella stronza se n’è andata solo perché ti sei messa in mezzo!”
Lei aveva ancora quel sorriso. E Ron capì: era falso, un sorriso falso. Lo notò quando la sua espressione cambiò per pochi secondi per tornare come prima.
“Non scopi neanche se imbrogli. Dovrai arrangiarti da solo, stasera” disse ancora e Ron ebbe quasi paura: il suo tono era strano e cattivo.

 

Pansy capì di essersi abbassata al suo livello. Ma lo odiava. Non voleva che andasse in giro a circuire ragazzine inesperte. O ragazze come Millicent. Quando vide Nott puntarle contro la bacchetta, rise.
“Protego” disse, fermando il suo incantesimo. “Nott, non sei mai stato bravo con gli incantesimi, smettila”.
Lui rise nervosamente. “Ma che ne sai?”
“Hai tentato di lanciarmi un incantesimo OBLIVION. Tre volte” Lui si fermò e spalancò gli occhi. “Pensavi di esserci riuscito, vero?” Idiota. Quando lui alzò di nuovo la bacchetta sospirò. “Stupeficium” disse e lo schiantò. Ma non fu neanche divertente.
Si voltò verso Ron che la guardava con uno sguardo strano. Sospirò: lui non avrebbe mai potuto capire.

 

Ron la stava ancora guardando. Era formidabile. Era fortissima. Lei era così… non seppe trovare le parole. Lei gli lasciò la mano.
Si voltò verso Nott e gli andò vicino. Gli spostò una gamba con un piede e vide che era incosciente. “Fra un po’ si riprende, non preoccuparti” disse lei.
“Oh, non sono preoccupato. Malfoy mi ha detto della pozione” aggiunse.
Pansy annuì. “Già. Dovrebbe essere ad Azkaban insieme a suo padre”.
“Suo padre non è ad Azkaban” la contraddisse Ron.
Lei sollevò la testa di scatto e lo guardò negli occhi. “Come?”
“È ancora ricercato.”
“Ma… era stato arrestato due anni fa.”
Ron annuì. “È riuscito a evadere quando Voldemort ha reclutato i dissennatori”.
Lei corrugò la fronte per un attimo e poi i suoi occhi e la sua testa iniziarono a fare movimenti strani: stava pensando.
Ron sorrise del fatto di conoscerla così bene da accorgersene.

 

Il padre di Nott non era più ad Azkaban? E da quanto tempo? Merlino. Non era una bella notizia.
Pansy vide il Grifondoro avvicinarsi a lei. “Stavamo dicendo…”
La ragazza alzò lo sguardo su di lui. Ma non aveva visto quello che aveva appena fatto? Come era stata con Nott, quello che gli aveva detto? Come faceva a sopportarlo? Come faceva a sopportare una come lei? Aveva ragione ad aver paura per sua sorella. Lei non era una ragazza da frequentare.“Non stavamo dicendo niente. Buonanotte”.
Lui le prese la mano mentre si girava per tornare in camera. “No” sussurrò.
“No, cosa?” gli chiese lei.
“Non andartene” sussurrò ancora.
Sospirò. “Ascolta. È stato bellissimo, davvero. Ma adesso è finita. Hai visto quello che ho fatto, hai sentito quello che ho detto. Non sono la persona adatta per… te. Mento così tante volte che non sapresti mai quando dico la verità e quando no. Sono una… Serpeverde. Sono falsa, manipolatrice e crudele” disse. Cercò di dirlo con fierezza, ma non ci riuscì. Avrebbe voluto essere la ragazza adatta per uno come lui. Per uno dei salvatori del mondo magico. Ma lei era così e non voleva, o forse non poteva, essere diversa.

 

Ron non riusciva credere alle sue orecchie. Quando aveva detto quelle cose, lei non l’aveva guardato. Aveva guardato verso Nott, per terra, immobile. Probabilmente lui avrebbe riso, se fosse stato cosciente. “Io non voglio che…”
Lei si avvicinò e gli appoggiò una mano sul petto. “Sai cosa ho fatto stasera? Mi sono fatta guardare nella scollatura da un ragazzino per farmi dire quello che volevo sapere. Io…” I suoi occhi divennero lucidi. “Sarebbe stato grandioso, stare con te. Mi dispiace”.
Si allungò in punta di piedi e lo baciò sulle labbra, poi scappò via.
Ron non riuscì a fermarla. Il suo corpo non seguì il suo cervello. Di nuovo. Imprecò quando lei sparì nel corridoio.

 

***

 

Hermione decise di fare colazione al tavolo dei Serpeverde. Così quando arrivò in sala grande per la colazione, costeggiò il tavolo dei Grifondoro fino ad arrivare al posto dove erano seduti Harry e Ron ma, invece di sedersi, diede uno scappellotto a Harry, rimanendo in piedi.
Il moro si girò verso di lei. “Hermione!” esclamò, stupito.
Ron, che continuava a guardare il tavolo in fondo, si girò verso di loro: “Perché l’hai fatto?”
La riccia era allegra e sorrise. “L’avresti fatto anche tu, Ron, se avessi visto quello che ho visto io, ieri” spiegò e Ron diede uno scappellotto a Harry.

 

Harry non se l’aspettava neanche da lui. “Ron!”
Il rosso alzò le spalle riprendendo a mangiare. “Mi fido di Hermione” spiegò, con naturalezza.
La ragazza gli sorrise e tirò dritto verso il tavolo verdeargento. Ron la guardò sedersi vicino a Malfoy e dargli un bacio sulla guancia. Guardò ancora. Niente: lei non c’era.
Quando finì di mangiare decise di andare a trovare Ginny.

 

Ginny vide arrivare suo fratello e gli sorrise. In quel posto il tempo non passava mai e ci si annoiava a morte. L’unica soddisfazione era chiacchierare con Derrick, ma lui aveva ancora la tenda tirata.
“Ciao Ron” lo salutò. Lui si sedette di fianco a lei con uno sguardo strano. “Hai parlato con Pansy?” Lui annuì senza dire niente ma lei non ci fece troppo caso: Harry era andato appena si era fatto giorno, aveva passato tutta la notte con lei e sarebbe uscita prima di pranzo.
Ginny sorrise.

 

Ron vide la sorella sorridere senza motivo. Doveva essere qualcosa che c’entrava con Harry. Decise di non chiedere.
“Ieri Malfoy si è seduto al nostro tavolo” buttò lì.

 

Ginny ritornò al presente. Velocissimamente. No! Malfoy al tavolo dei Grifondoro? A fare che? Perché Harry non glielo aveva detto? E perché era successo quando lei non c’era? Avrebbe voluto vederlo. E lanciargli qualche battutina.
“No! E io qui. Come mai ha mangiato con voi?” Il fratello alzò le spalle.
“Bo. Ce lo siamo trovato lì con Hermione e si sono seduti.”
“Per Godric, avrei voluto vederlo! Almeno era in imbarazzo?” Ron la guardò stranito.
“Non lo so.”
“Ma come non lo sai? Che hai fatto mentre lui era li?”
Il fratello corrugò la fronte “Mangiato?”
Ginny sbuffò: Ron non serviva a niente.
Ma Malfoy e Hermione erano tornati insieme? Non gli chiese neanche quello, sicura che non sapesse niente.

 

Ron non disse che non aveva fatto caso a Malfoy perché era troppo impegnato a guardare il tavolo dietro di lui. Non raccontò della ronda, né dell’incontro nei sotterranei e né della discussione con Pansy. Merlino, non aveva capito neanche lui la discussione con la Serpeverde. Ma si ricordò una cosa importante.
“Tu sai di una pozione che gira…”
Ginny lo guardò seria e disse: “La pozione confondente? Quella di Nott?” Lui annuì. “Sì. Malfoy l’ha detto a Pansy ieri, sembra una cosa seria, oggi i prefetti faranno una riunione per spiegarlo alle ragazze”.
Oh. “E ci sarà anche Pansy?” La rossa corrugò la fronte.
“Certo. Anche se non so i dettagli. Non so chi l’abbia organizzata, alla fine.”
Ron non l’ascoltava. “A che ora?”
“Alle undici.”
“E dove?”
Ginny scosse la testa. “Non lo so. Sono qui da ieri. Devi chiederlo a Pansy. O a Hermione. Loro dovrebbero saperlo. Perché?”
Ron scosse le spalle e si alzò.

 

Camille entrò in infermeria per andare a trovare Ginny e si scontrò con suo fratello che stava uscendo.
“Scusami. Ciao, Camille” disse velocemente, reggendola per le spalle. Lei lo guardò andare via.
“Camille!” Si girò alla voce dell’amica che la chiamava.
“Ginny!” la salutò lei andandole vicino e abbracciandola.

 

Ginny si fece abbracciare da Camille e poi la obbligò a sedersi sul letto. “Adesso mi racconti tutto ciò che mi sono persa ieri sera!”
La Serpeverde fece una smorfia. “Oh, niente di che, alla fine” disse e la rossa rimase delusa.
“Come?” Cioè, lei a momenti si uccide e la festa non era un granché?
“Non si ballava.”
Ah no? E che si faceva? “No?”
“No. Eravamo in pochi. Non era in sala comune. Era nei sotterranei in una stanza che non avevo mai visto. Non c’erano i lenti. Ma abbiamo giocato al gioco della bottiglia!” Oh. Interessante. Una festa da single, quindi.
“Il gioco della bottiglia? Meno male che non sono venuta con Harry. Racconta, però. Io sono qui da ieri e non ho fatto niente. Hai giocato?”
Camille annuì divertita. “Sì. Io e Astoria ci siamo sedute quando eravamo ancora in pochi, ma quasi subito siamo diventati una decina e…” Ginny ascoltava rapita. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva giocato al gioco della bottiglia!
“Chi c’era? Qualcuno di carino?” chiese. Camille raccontò con entusiasmo come era andata la serata. Alla fine l’unica cosa divertente era stato appunto il gioco della bottiglia. E Ginny si fece raccontare tutto. Camille aveva baciato tre ragazzi: uno decisamente carino del sesto anno, ma la ragazza bocciò il suo bacio come il più disastroso. Ginny rise.
“Poi ho baciato Stretton, di Corvonero. Ma lui sembrava più interessato ad Astoria, infatti quando ha baciato lei…”
“CHI HA BACIATO ASTORIA?” Le ragazze si girarono verso il letto di Derrick che aveva quasi urlato e tirato la tenda per farsi vedere.
Ginny vide Camille spalancare gli occhi e guardarla un po’ spaesata.
“Oh, sì, c’è anche lui qui in infermeria…” Merlino. Merlino. Merlino.
Ma poi Camille tornò serena e disse: “Ciao Mike”, tornando a parlare con lei con un tono più basso.
Ginny non capì bene la reazione di Camille. Neanche quella di Astoria, effettivamente. Il giorno prima aveva visto Astoria e Derrick baciarsi, ma la sera, lei non era venuta a trovarlo ed era andata a una festa a fare un gioco da single.
Poi Camille si chinò su di lei spiegandole che Derrick, dopo che Astoria lo aveva baciato, l’aveva ‘liquidata’ dicendo che era meglio rimanessero ‘solo amici’.

 

Mike borbottò qualcosa sui giochi pericolosi. Camille sorrise. Il gioco della bottiglia un gioco pericoloso? In Francia loro iniziavano al secondo anno a giocarci! Quello stupido doveva essere geloso. Ben gli stava. Così avrebbe imparato a dire ad Astoria che erano solo amici. Lei ci era rimasta così male…
Chiese a Ginny se lei avesse mai giocato, giusto per farlo innervosire un po’.

 

Ginny sorrise. “Certo che ho giocato al gioco della bottiglia! Chi non ci ha mai giocato?”
“Io.”
Nessuno aveva sentito Harry entrare. Ginny si voltò verso di lui e vide che stava entrando con Pansy. “Beh, allora spero proprio che tu non lo faccia mai” gli disse e gli lanciò un bacio.
Camille lanciò uno sguardo colpevole alla sorella e questa le disse: “Io e te, dopo, facciamo una bella chiacchierata, eh?” Lei annuì.
“E poi, cosa avete fatto?” le chiese ancora Ginny, ma il momento confidenze era finito.
“Niente. Perché Pansy ha messo fine alla festa. E siamo tornati tutti in dormitorio” disse sottovoce alla rossa, indicando la sorella.

 

Pansy sbuffò. Ecco, adesso sembrava veramente una noiosa guastafeste.
“Ho avuto i miei buoni motivi per farlo” disse un po’, nervosamente. Puoi avere delle scuse ma, anche se buone, nessuno te le ascolterà. Si avvicinò alla rossa e le chiese: “Come stai?”, stringendole un braccio e dandole un bacio sulla guancia.

 

Ginny fece una smorfia. “Non ho più niente. Ma mi farà uscire proprio prima di pranzo. Non riuscirò a venire alla riunione” spiegò.
Pansy alzò le spalle. “Camille viene. Ti farà un resoconto dettagliato, giusto?” E si voltò verso la sorella con uno sguardo severo.
“Sì, sì, sì.”
Ginny le osservò e immaginò che Camille fosse stata sgridata dalla sorella. Infatti la giovane Serpeverde si chinò in avanti per sussurrare, solo per lei: “Pansy oggi è cattivissima! Avresti dovuto vedere che faccia aveva quando ha lanciato l’incantesimo ieri sera. E non le è ancora passata!”
Pansy arrabbiata per la festa? Forse. Decise di non indagare. I rapporti fra fratelli erano cose complicate. Lo sapeva bene.
Dopo mezz’ora Pansy e Camille uscirono per gli ultimi preparativi.

 

“Quindi, quante volte hai giocato al gioco della bottiglia, tu?” chiese Harry sedendosi vicino a lei.
“È un gioco stupido“ borbottò Derrick. Harry fu d’accordo con lui.
Ginny lo guardò e gli chiese: “Sei così sicuro di volerlo sapere?”, con il suo faccino fintamente innocente. Probabilmente no. Scosse la testa.

 

***

 

La riunione era andata bene, Hermione era contenta. Perché non avevano mai fatto delle riunioni così? C’erano tantissime ragazze e loro avevano spiegato come girasse a scuola la pozione verde che serviva a ‘convincere’ le ragazze. Poi si erano lasciate un po’ andare e avevano parlato di tantissime altre cose. Tante ragazze avevano cose da dire ed era stato interessante.
Ormai erano uscite quasi tutte quando vide in un angolo la Parkinson e la Bulstrode che parlavano. La Bulstrode sembrava particolarmente triste e si passò una mano su un occhio, come ad asciugare una lacrima. Si avvicinò a loro quando si dividettero.
“Tutto ok?” chiese alla Parkinson. Lei si voltò e disse: “Certo”, ma non sorrise.
“Ho qualcosa da dirti, Granger.”
Hermione allargò gli occhi. “A me?”
“Non sei tu che mi hai chiesto di Nott?” La riccia annuì e loro si spostarono ancora. “Ho saputo ieri sera che il padre di Nott non è ad Azkaban. È vero?” Hermione annuì ancora. “Ieri sera c’è stata una festa nei sotterranei…”
“Draco non mi ha detto niente” la interruppe.
La Parkinson alzò una mano sventolandola verso di lei. “Oh, non penso che lo sapesse. Non era in sala comune. Era una festa un po’ più… riservata. C’erano più che altro ragazzini”.
La Grifondoro si fece più attenta. “E quindi?”
“Era una festa per tirar su soldi. Sono riuscita a farmi dire dal ragazzo all’entrata che è stato Nott a organizzarla. Ha detto loro di farsi pagare l’entrata e far pagare gli alcolici. Queste feste… io ne ho vista qualcuna qualche anno fa… di solito si fanno entrare i ragazzini e si propongono giochi alcolici e loro… sono facilmente ingannabili. Gli altri anni lo si faceva per raccogliere soldi per qualcosa di specifico tipo divise o scope nuove per il Quidditch, ma si faceva anche per l’erba e la polvere di oppio. E Draco dice che Nott non ha problemi a vendere la pozione a chiunque…” fece una pausa lunghissima.
Hermione la guardò: non riusciva più a parlare, era un po’ nervosa o agitata. O forse arrabbiata. “Dici che sta racimolando soldi per suo padre?”

 

Pansy annuì. Ma non ne era sicura. “Io penso di sì. Ma non so. Potrebbe essere per qualsiasi cosa. Fatto sta…” Tirò fuori la borsetta dove aveva nascosto i galeoni requisiti alla festa. “Questo è l’incasso di ieri sera. E ho interrotto la festa. Non so quanto avrebbero fatto se fosse andata avanti…”
La Granger scrutò nella borsa. “Quanto c’è?”
“Ottantasette Galeoni.”
La Grifondoro sgranò gli occhi. “Hai detto che hai interrotto la festa?” chiese la Grifondoro. Pansy arrossì.
“Io ho fatto un po’ di casino. Per farmi dire quello che volevo sapere e dopo per far uscire tutti dalla sala…” La Granger annuì e Pansy continuò indicando la borsetta. “Io non so se sono per suo padre o per che cosa… Però è una cosa sospetta, no?”

 

Hermione annuì. Era sospetto sì. Sospirò. “Ok, grazie mille” disse, prendendo la borsetta.
Si incamminarono insieme verso la sala grande. Dopo due piani di silenzio, Hermione le chiese se avesse visto Ron, la sera prima. La vide irrigidirsi e subito dopo tornare come prima.
“Sì, ci siamo visti” disse solamente. Aveva un tono strano. Ma quindi?
“Lui si è scusato? Avete fatto pace?”
“Ho dimenticato una cosa in biblioteca. Ci vediamo dopo, Granger” disse la Serpeverde scappando via.

 

***

 

Ron entrò in sala grande per pranzo un po’ esasperato. Aveva cercato in lungo e in largo Hermione per tutta la scuola per farsi dire dove avrebbero fatto quella maledetta riunione, ma non l’aveva trovata.
Alle undici passate aveva capito che poteva smettere di cercare perché non c’era più nessuna ragazza in giro a Hogwarts. Davvero. Ovunque si girasse, vedeva solo ragazzi. Qualche professoressa, ma nessuna ragazza. Neanche del primo anno. Si era messo l’animo in pace e aveva provato a cercare da solo un luogo dove avrebbe potuto essere. Niente.
Alla fine si era arreso. Aveva incontrato Ginny e Harry che arrivavano dall’infermeria e si era unito a loro. Alla fine aveva visto entrare le ragazze. Erano entrate quasi tutte, ma ancora di Pansy nessuna traccia. Arrivò anche Hermione che decise di mangiare con loro.

 

Ginny stava meglio, si sedette vicino a Hermione e disse: “È vero che il fure… Malfoy ha mangiato qui ieri sera?”
“No, lui aveva già mangiato. Si è solo seduto.”
Ginny alzò gli occhi al cielo e anche Harry aveva ridacchiato, mentre la riccia diceva per difendersi: “È vero, volevo solo essere precisa!” I due ragazzi risero, prendendola in giro. Ron invece non disse niente.
“Ehi, Ron non dici niente a Hermione?” Il rosso si girò verso di loro.
“Per cosa?” Ginny sbuffò.
“Che ti succede?”
“Io… niente, ho solo fame.”
“Sai che novità!” Lo liquidò la sorella.

 

Hermione guardò il rosso con uno sguardo strano e lui la ricambiò con lo stesso sguardo. Alzò un sopracciglio in una muta domanda, ma Ron alzò le spalle e scosse la testa.
Si girò verso la rossa e vide che non aveva in nota nessuno, se non Harry.

 

***

 

“È stato difficile trovarti.”
Pansy si voltò di scatto verso la voce. “Potter! Mi hai spaventato. È successo qualcosa a Ginny?” O a Ron? Ma non ebbe il coraggio di chiederlo.
Il ragazzo scosse la testa. “No. Ti ho portato le cose di cui abbiamo parlato”. Potter si avvicinò e le porse una grossa busta gialla di pergamena.
La Serpeverde si avvicinò sorpresa. “Di già? Sei stato velocissimo, Potter. Grazie”.
Prese la busta mentre lui continuava: “A dir la verità non ho fatto niente. Molly ha iniziato a lavorare part time al ministero e sta cercando di sistemare le pratiche che vengono chiuse ma non archiviate. Qui c’è il resoconto per la casa di Julien e Abigail Lemaire e dentro ci dovrebbe essere anche l’appuntamento con l’addetto responsabile della consegna”.
Pansy sbatté gli occhi, stupita. “La signora Wealsey?” Potter annuì. Lei, ancora sorpresa continuò: “La casa di mia madre?”
Lui annuì ancora. “E poi ci sono anche le pergamene per andare ad Azkaban. Però se vuoi portarci tua sorella, devi passare dall’ufficio dei colloqui. Sembra che ci siano giorni apposta per i minorenni” continuò, un po’ in imbarazzo.
Lei sbatté di nuovo gli occhi, sorpresa. “Oh. Grazie davvero”.

 

Harry annuì e si guardò intorno: la stanza dei trofei era proprio come se la ricordava. Non ricordava, però, l’ultima volta che c’era stato, ma non gli sembrava troppo diversa. Forse qualche trofeo di Quidditch in più e premi minori.
Quando era entrato, la Parkinson guardava la teca del Quidditch. “Come mai qui? Pensavo che non ti interessasse il Quidditch”. Lei alzò le spalle.
“Infatti. Ma la settimana scorsa ho dovuto pulire tutti i trofei e…” Fece una pausa. Una lunga pausa.
“Una punizione?”
Lei annuì e sorrise. “La McGranitt è fissata con lo spolverare, eh?” La Serpeverde si avvicinò alla teca, indicando una foto.
Si avvicinò anche Harry: sette ragazzi in divisa verde e argento esultavano reggendo le scope e una coppa. La squadra di Quidditch di Serpeverde. Harry cercò la didascalia. Diceva: ‘Anno 1974/1975’. Cercò i nomi degli studenti e trovò quello che immaginava: ‘H. Parkinson, Portiere’. “Portiere? Buffo!” Sorrise, pensando a Ron. Lei no.
Guardò ancora la foto e disse: “Già”. Stava pensando anche lei a Ron? Harry capiva perché fosse lì. Aveva cercato anche lui il nome dei suoi genitori dappertutto. Era come scoprire ogni volta qualcosa di nuovo.
“È stata una sorpresa?” Lei annuì.
“Non so niente di mio padre. Mia madre ha fatto sparire tutto. E non ha mai voluto parlarne. Ma ho trovato casa sua di recente. Aspetto le prossime vacanze per andare in soffitta e scoprire se ci sono vecchi bauli.”
Sorrise mentre guardava ancora la foto. Harry sapeva come si sentiva. Avrebbe voluto anche lui avere una soffitta con bauli da aprire. Sospirò.
Lei si voltò verso di lui e disse abbassando gli occhi: “Oh! Non avevo pensato…”
Harry scosse le spalle. “Anche mio padre giocava a Quidditch. Era un Grifondoro. Si saranno battuti uno contro l’altro?”
“Se era un Grifondoro si saranno tirati maledizioni nel tempo libero.”
“Mio padre prendeva di mira Piton”. Lo disse un po’ sottovoce, perché effettivamente era vergognoso.

 

“Piton?” Pansy, sorpresa, non riuscì a non ripetere il nome. Piton a scuola? Merlino, non ci aveva mai pensato. Chissà se aveva conosciuto suo padre. Erano anche nella stessa casa. Ci rimase male, al pensiero di non averglielo mai chiesto. Avrebbe potuto sapere qualcosa su di lui. Sapeva solo che la famiglia di suo padre fosse purosangue da una miriade di generazioni, l’unica cosa che aveva tenuto a specificare sua madre. Come se fosse la cosa più importante.
Chissà com’era la vita di Piton a scuola, pensò, per la prima volta. Potter continuò: “Piton… Amava mia madre. Erano amici prima che lei venisse smistata in Grifondoro e si mettesse…”
Per un attimo guardò Potter per quello che era: un ragazzo cresciuto senza genitori, con una maledizione sulla fronte e un incarico gravoso sulle spalle. Senza accorgersene inclinò la testa. Perché lo avevano odiato? Avrebbe dovuto chiedere a Draco di ricordarglielo, perché lei proprio non se lo ricordava.
“Serpeverde e Grifondoro? Gran brutta cosa” disse senza accorgersene.

 

Harry si stupì di quello che disse la Serpeverde, ma dalla sua faccia si capiva che anche lei era rimasta sorpresa. Alzò un sopracciglio e chiese: “Davvero?”
Lei si riprese subito e scrollò le spalle. “Confidiamo in Draco e la Granger. Spezzeranno questa maledizione. Grazie ancora, Potter”. Se ne andò.
Harry rimase ancora un po’ a guardare le teche, gli annali, le pergamene… Cose già viste e riviste. Ma sempre gradite.
Guardò la lista dei prefetti del 1977 e lesse il nome della madre. Toccò il vetro con la mano. Sospirò e tornò nella torre per andare a letto.

 

Come entrò dal quadro, vide Ginny alzarsi in piedi e corrergli incontro.
“Via, via, via” gli disse sottovoce. Lo spinse fuori dal ritratto e si ritrovarono in corridoio.
“Che succede?”
“Ron ti ha visto con Pansy sulla mappa. È fuori di testa. Hermione lo sta calmando. Noi, invece, andiamo.”
Oh. “E dove andiamo?”
“Al sicuro” rispose la ragazza. E dove poteva essere ‘al sicuro’? Ma non lo chiese. Seguì Ginny fino alla stanza delle necessità.
Quando entrarono si guardò intorno, aveva aperto lei la porta. C’erano tanti cuscini per terra, su un soffice tappeto, ma neanche un letto. Cercò di non rimanerci male. Ginny si voltò verso di lui e, con uno sguardo strano, chiese: “Devo preoccuparmi?”
Harry non capì. “Di cosa?”
“Di te e di Pansy.”
“Oh, certo che no! Mi ha chiesto aiuto per delle pratiche al Ministero” rispose, quando capì cosa intendesse. In fin dei conti, era più o meno così.

 

Ginny notò che Harry era imbarazzato e non la guardava. Era una bugia?
“Sei sicuro? Solo questo?” Merlino, le aveva detto lei di andare da Harry se avesse avuto bisogno!
“È che mi ha chiesto di non dire niente a nessuno e non mi piace avere dei segreti…”
“Con me?”
Harry la guardò sorpreso. “Te? Cosa c’entri tu? Con Ron!” Ginny si sentì stupida. Veramente stupida. Non aveva pensato a Ron. Non aveva pensato a Pansy. Aveva pensato che Harry… ok poteva smettere di pensarci. Sorrise. Era come la storia del processo. Harry era una persona riservata con i fatti degli altri. E a lei piaceva anche per questo.
“Ok. Scusa, se ho pensato male…”
Harry fece un’altra faccia sorpresa. “Sei ancora gelosa?”
“Oh, Harry io sarò sempre gelosa di te!” esclamò.
“Ma non devi. Per me…” Lei l’abbracciò.
“Sì sì, mi ricordo quello che hai detto quest’estate. Baciami come mi hai baciato subito dopo e mi convincerò ancora.”

 

Lui sorrise e si chinò su di lei.
Mentre la baciava sentì il fruscio di lenzuola e cortine di letti. Si girò e vide un letto gigantesco tutto bianco che li aspettava.
“Oh?” Sorrise. Lei divenne rossa e Harry pensò di essere il ragazzo più fortunato del mondo.

 

***

 

“Per Godric, calmati Ron!”
Hermione non sapeva più cosa fare. Ron era nervoso e da quando lei aveva portato la mappa del malandrino in camera sua lo era ancora di più.
“Ma perché erano insieme?” chiese il ragazzo.
“Ci possono essere mille motivi, su no pensare subito al peggio!”
“Tipo quale motivo?” Hermione non sapeva cosa dire. Non ne aveva la più pallida idea del perché Harry e la Parkinson fossero nella sala trofei. Insieme. Harry non le aveva detto niente. E lei non sapeva cosa inventarsi. Poteva essere qualcosa riguardante il Ministero?
“Forse è per qualche pratica al Ministero”, provò a buttar lì.
“E perché non ha chiesto a me?” Hermione scosse le spalle. Già, perché? Quella ragazza era maledettamente strana e complicata.
“Forse non voleva tirarti in mezzo perché sei troppo coinvolto.”
“Coinvolto cosa che mi ha lasciato!” Hermione spalancò la bocca. La Parkinson l’aveva lasciato? Ma quando era successo? Ecco perché non aveva chiesto a lui. Ma come spiegarglielo? Ron era così sconvolto.

 

Ron si passò una mano fra i capelli mentre si sedeva sul letto. Prima Neville e ora Harry. Stava dando di matto.
“Perché ti ha lasciato? Per quello che hai detto in infermeria?” gli chiese lei.
Ancora con quella storia? Lui non aveva detto niente! Decise di stare zitto. Scrollò le spalle. “Qualcosa riguardante il fatto che lei è comunque una Serpeverde e che è falsa e cattiva e qualcosa sul fatto di aver fatto vedere le tette a un ragazzino, per farsi dire qualcosa che non voleva dirgli, ieri sera”.
Hermione spalancò gli occhi. “Le tette?”
Lui alzò le spalle. “Ha parlato di scollatura. Non è questa?” chiese, indicandosi la parte alta del petto.
Hermione sorrise. “Si è chinata in avanti per fargli vedere dentro la scollatura?”
“Sì, forse ha detto così…” Oh. Non era proprio far vedere le tette.
“Ma dai! Lavanda lo faceva sempre con te! Non riuscivi a parlarle perché guardavi sempre in basso!”
“Non è vero!” A Ron divennero rosse le orecchie. Lei rise.
“E ho visto Ginny farlo una volta con Harry…” Il rosso fece una faccia strana.
“E tu lo fai con Malfoy?”
Hermione sentì le guance andare a fuoco. “No. Ma… l’ho fatto con Krum. E non ne voglio parlare” sentenziò, arrossendo.
Però… e se ci avesse provato in un momento di calma con Draco per chiedergli di Azkaban? Avrebbe potuto funzionare? Lei non era brava in quelle cose…
“Almeno ti ha detto perché l’ha fatto?” gli chiese, tornando ai problemi del ragazzo.
Ron scosse le spalle. “Per farsi dire qualcosa, ma non mi ha detto cosa…”
Doveva essere quello che le aveva raccontato dopo la riunione. “L’ha fatto per sapere la natura di una festa nascosta che aveva scoperto. E ha scoperto che la festa andava fermata. E l’ha fatto. Ha fermato la festa. Una festa dove si ingannavano ragazzini. Questo non te l’ha detto?” Il rosso scosse la testa.
Chissà perché non era sorpresa. Sospirò e si sedette sul letto vicino a Ron. “Guarda che non è una cattiva ragazza” disse lui.
Hermione lo guardò: era così carino che volesse difendere la Parkinson.
“Io lo so. È lei che non lo sa” rispose lei.

 

“Lo sai che se la Parkinson o Draco avessero una mappa del malandrino come la nostra, adesso ci vedrebbero in camera tua, da soli, molto vicini e sopra al letto?”
Hermione si voltò verso di lui, Ron la guardò e si alzò in piedi così velocemente che il letto si mosse e lei perse un po’ l’equilibrio.
“Non ce l’hanno mica” disse lei, sorridendo.
Ron scrollò le spalle: si sentiva tradito. Da tutti.

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Capitolo 38
*** La festa dei Serpeverde ***


 La festa dei Serpeverde

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Hermione continuava a guardare Draco. Non riusciva a smettere. Ci provava. Riusciva a concentrarsi sui compiti ma poi, dopo cinque minuti, perdeva l’attenzione e tornava a guardarlo.
“Mi consumi, così, Granger” disse lui con uno sguardo malizioso, posandole una mano sul ginocchio. Lei sobbalzò e sorrise. Quando la chiamava così, con quel tono, si sentiva sciogliere.
“Oh, Malfoy, come sei presuntuoso. Pensi di esserci solo tu?” mormorò lei alzando un sopracciglio. Lui rise. Quella risata che riservava solo a lei. Si avvicinò un po’ di più e quando fu solo alla sua portata di orecchio le disse: “Mi stai dicendo che guardi anche qualcun altro con quello sguardo voglioso?”
Hermione sentì le guance andare a fuoco. “Io non ho…”
“No? Quindi non pensavi di saltarmi addosso appena la Pince si fosse voltata?” Tutti e due si girarono verso la bibliotecaria, che osservava la sala da sopra i suoi occhiali da lettura. Quando si voltò verso di loro e li scoprì a guardarla alzò un sopracciglio.
Loro ridacchiarono e si girarono per non farsi sgridare. Draco tolse la mano dal suo ginocchio. Hermione ebbe l’impressione di aver perso un polmone nel petto. Ma poi il ragazzo portò la mano sulla sua fronte e le sistemò una ciocca di capelli.

 

Draco divenne serio. “Mi vuoi chiedere qualcosa?”
Sapeva che lei voleva sapere di Azkaban. Aveva visto quando quella mattina era arrivato un gufo e gli aveva lasciato la busta con lo stemma del Ministero. Non avevano risolto la cosa. Semplicemente non ne avevano più parlato.
“No” disse lei velocemente e spostando di nuovo l’attenzione sulla pergamena.
No? Davvero?

 

“Non vuoi chiedermi se andrò ad Azkaban?” le chiese lui.
Hermione mentì.“No”. Lei moriva dalla voglia di sapere. Ma non glielo avrebbe mai chiesto. MAI.
“No?”
“Sei diventato sordo?” adesso si stava scaldando. Perché lui insisteva tanto? Non gli aveva rotto le pluffe, non aveva più sollevato l’argomento. Cosa voleva adesso? Lo guardò di sottecchi: aveva un viso strano. E se invece… “A meno che… tu non voglia parlarmene lo stesso”.
Draco la guardò e i suoi occhi erano un po’ persi. Le fece tenerezza. Lo rivide al sesto anno, quando lo incontrava in biblioteca per caso e lui la guardava con quello sguardo, subito prima di ghignare o offenderla se c’erano gli altri. Adesso sapeva cosa significava. Adesso.
Gli accarezzò la guancia e chiese: “Vuoi parlarne tu con me?” Lui sospirò e si guardò intorno. Annuì.
“Ma non qui”. Annuì anche lei. Si alzarono e lasciarono la biblioteca.

 

***

 

Pansy aprì la busta che il gufo le aveva consegnato quella mattina. Sulla busta c’era lo stemma del Ministero. Aveva deciso di aprirla in un momento che fosse stata sola e non c’era ancora riuscita: le lezioni del mattino, il pranzo e poi Camille che aveva bisogno di aiuto per i compiti.
Appena rimase sola, la tirò fuori e l’aprì. La lesse velocemente, radunò le sue cose e si alzò dal tavolo della biblioteca, quello vicino alla finestra che dava sulle serre, protetto dagli scaffali e dove aveva iniziato a rifugiarsi da quando non voleva incontrare alcune persone. Si affrettò a uscire dalla biblioteca e si incamminò verso l’ufficio della McGranitt.
Quando lo raggiunse, bussò alla porta e aspettò. Poco dopo la porta si aprì magicamente ma, prima che potesse entrare, un ragazzo uscì dall’ufficio.

 

Ron si scontrò con Pansy appena fuori dall’ufficio della McGranitt.
Si fermò e per un attimo non seppe cosa dire. Si sentì colpevole. Come se lei lo avesse beccato a fare qualcosa di sbagliato. Non era un segno, vero? Le fece un cenno con il capo e se ne andò velocemente. Che codardo. Complimenti! Pensò.
Quando si rese conto di essere scappato via, si diede una manata sulla fronte. Non avrebbe dovuto. Non aveva fatto niente di male, in fin dei conti.

 

Pansy si girò a guardare il rosso che si allontanava. Oh, quindi non si salutavano neanche più? Abbassò gli occhi. Eh va beh. Avrebbe superato anche questa. Presto, sperò.
“Venga avanti signorina Parkinson.”
Si girò verso la porta aperta e, sospirando, entrò. Si sedette sulla sedia al di qua della scrivania e disse: “Buonasera, ho ricevuto queste lettere dal Ministero e quindi sono a chiedere…” Mostrò le lettere ricevute con il sigillo del Ministero e spiegò alla McGranitt di aver due appuntamenti.
“Sono molto vicini questi appuntamenti… e sono giornate di scuola” iniziò la McGranitt.
“Sì, effettivamente anch’io l’avevo pensato. Ma sembra che il Ministero non sia propenso a trattare per queste cose…” disse seccata la moretta. La McGranitt alzò un sopracciglio con uno sguardo severo e Pansy ricambiò la sua occhiata con uno degli sguardi più altezzosi che faceva senza accorgersene. Era un po’ nervosa per il fatto di aver incontrato il rosso in corridoio e che lui fosse scappato senza salutarla. C’era rimasta così male che non si accorse di essere un pochino ‘fredda’. O forse sarebbe meglio dire glaciale. E se fosse stata lì, sua madre sarebbe stata fiera del suo atteggiamento. Ma appunto, lei non si rese conto di niente.
“È strano” dichiarò la preside, quasi sovrappensiero.
“Cosa, che il Ministero assegni appuntamenti senza considerare gli impegni delle persone? Può essere. Sa, da quando hanno deciso di cambiare la gestione di tutto, effettivamente sono un po’ in confusione. E in ritardo. Ha visto? Questo appuntamento doveva essere mesi fa…” E fece un sorrisino di circostanza indicando una delle pergamene. Al diavolo anche il Ministero. Al diavolo la McGranitt se le avesse detto di no.
“No, intendevo strano che… Oh, lasciamo stare. Quindi vuole due giorni liberi, giusto?” La Serpeverde esultò internamente. Sperò che non si notasse troppo e sorrise veramente.
“E per questo ho bisogno anche del permesso per Camille” continuò, indicando la stessa pergamena di prima.
“La signorina Lemaire? È minorenne.”
“Ma è anche casa sua. Camille è mia sorella, ne ha diritto anche lei. E poi io ho la sua tutela, se vuole posso firmarle io il permesso” disse di nuovo alzando il sopracciglio.
La McGranitt fece una cosa che la spiazzò perché totalmente incongruente: sorrise. Pansy fu così spaesata che perse tutte le sue espressioni e rimase con la bocca aperta.
“Certo, signorina Parkinson. E poi sono un martedì e un giovedì. Sicuramente riuscirà a recuperare le lezioni in breve tempo. Il martedì abbiamo trasfigurazione insieme, sono sicura che per la lezione successiva avrà già recuperato tutto. Mi sembra abbastanza matura da riuscire a gestire la cosa senza troppi problemi.”
Le parlò ancora di alcune cose e quando alla fine firmò due pergamene e le disse di portarle a Lumacorno, lei, ancora incredula, le prese velocemente e uscì dall’ufficio sorridendo.

 

Minerva sorrideva di quel sorriso solo poche volte. L’ultima era stata quando aveva visto quel mago orribile cadere sotto la bacchetta di Harry Potter. Era contenta. Stavolta non sapeva bene perché. Ma pensava ancora che la situazione fosse strana. Anche se non aveva dato voce al suo pensiero.
Nel giro di mezz’ora due studenti le avevano chiesto dei permessi per uscire dalla scuola nello stesso giorno. Due studenti che non si erano neanche salutati quando si erano incontrati sulla porta. Mah…
Prese delle pergamene e lesse gli appunti. Avrebbe dovuto organizzare qualcosa per il giorno di ricorrenza della battaglia. Sospirò. Era importante e andava fatto bene. Scrisse una pergamena agli artigiani per la realizzazione del monumento con i nomi dei caduti che avrebbero inaugurato quel giorno e l’affidò al gufo che aveva alle spalle.

 

***

 

“Quindi?” erano andati sulla torre di astronomia. Ma c’era freddissimo.
Hermione si strinse addosso il mantello, si sedette su una sporgenza del bastione e aspettò che lui parlasse. Draco si accese una sigaretta. Si prese tutto il tempo necessario per pensare e poi, dopo la terza boccata e dopo aver soffiato via il fumo disse: “Mi hanno dato appuntamento per Azkaban a fine mese”.
Lei annuì senza dire niente. Non sapeva bene se doveva aspettare che lui parlasse di nuovo o se doveva fare qualche domanda. Così stette zitta.
Lui aspirò ancora e sbuffò il fumo.

 

Draco non sapeva cosa dire. Sperava che parlasse lei. Lui le aveva detto quello che aveva saputo quella mattina. Aveva voluto dirglielo subito, ma ora non sapeva cos’altro fare.
Voleva che lei andasse con lui? Non lo sapeva. E lei gli avrebbe chiesto di andare con lui? Sarebbe stato più facile. Sarebbe stato meglio. Avrebbe preferito non doverglielo chiedere. Anche perché non aveva ancora deciso.
La guardò. Lei non gli disse niente. Non gli chiese niente, ma si alzò da dove era seduta e si avvicinò a lui, prendendogli la mano e stringendola forte.

 

“Penso che te l’avrei detto, sai?” Lei annuì anche se non ne era per niente convinta.
“Ginny diceva che dovevo lasciarti stare. Che dovevi essere libero di fare quello che volevi. Mi sono resa conto che aveva ragione”, sorrise e disse ancora: “Strano, eh?”
“Beh, ogni tanto qualche cosa giusta l’azzecca la teppistella. Non ti aveva detto di provarci con me?” Il suo sorriso, sotto la luna quasi piena era strafottente e meraviglioso.
Hermione rise. “Sì, quello stupido sei stato tu. Ti stavi lasciando scappare una come me!”
“Mi stavo lasciando scappare te”. Buttò la sigaretta, la tirò verso di sè e la baciò. “Mia madre sa di te” disse ancora.
Non sapeva bene cosa lui intendesse, ma cercò di capirlo senza bisogno di chiederlo. “Davvero?” chiese con un finto tono neutro.
“Mi ha detto di stare attento.”
“In che senso?”
“Oh, non lo so.”
Hermione poteva immaginare qualcosa, invece. Poteva essere qualcosa in mezzo fra ‘non metterla incinta che devi sposare una purosangue’ e ‘non farti rompere il cuore’. E sapendo quanto Narcissa amasse il figlio…
“Lei mi dice sempre di stare attento.”
“Perché ci tiene a te. Sei suo figlio. È normale.”
“Ha solo me, adesso.”
“E quindi?”
“Non voglio deluderla. Ma non voglio neanche fare sempre come vuole lei.”
“Tu diglielo.”
“Ci proverò.”

 

Stettero in silenzio per un po’. Lui l’abbracciò senza dire niente. Era bellissimo anche così.
Poi lei disse: “Non ci andare da solo, però”.
“Come?”
“Non andare ad Azkaban da solo. Vai con tua madre, con Zabini, con la Parkinson, con chi vuoi, ma non andarci da solo. Per favore.”
Draco annuì e basta. Perché avrebbe dovuto andarci con Pansy? Lei odiava suo padre e suo padre non la vedeva di buon occhio. Probabilmente se si fosse presentato con lei suo padre avrebbe avuto un mezzo attacco e l’altro mezzo glielo avrebbe lanciato Pansy con la bacchetta. Non era il caso. Però sorrise all’idea.
“Non voglio che incontri mio padre.”
“Chi?”
“Tu”. Lei si girò verso di lui.
“Non ti ho detto di portare me. Ho solo detto…”
“Volevo spiegarti…”
“Non c’è bisogno. Va bene così. È una cosa che devi gestirti da solo. Ti ho detto che ho capito.”

 

“Io invece ho detto che voglio spiegarti!” Draco aveva alzato la voce.
“Ehi, non alzare la voce con me.”
“Ok. Io volevo dire… Pansy pensa che tu possa aver capito male…” si interruppe quando lei lo guardò.
Oh, cosa pensava la Parkinson che lei non aveva capito? Si stava innervosendo, ma sperò che non si notasse. “Lei dice che tu potresti pensare che non voglio che tu venga con me per paura che mio padre sappia di noi”. Fece una pausa lunghissima.
Ok. La Parkinson aveva ragione. Lei aveva pensato che fosse proprio per quello. Che lui non volesse far sapere a Lucius di loro. Che si vergognasse di lei. La sanguesporco. E quindi non era quello il motivo? E allora qual era? Non voleva chiedere ma sentì la sua voce sussurrare: “E invece…?”
“E invece adesso apri bene le orecchie, ok? Io non mi vergogno di te. Non mi interessa quello che pensa mio padre, se non per il fatto che ho paura che lui possa dirti qualcosa di brutto. Che possa offenderti o peggio. Io non voglio che tu subisca cose brutte, soprattutto dai miei. E a quanto pare, mia madre è già riuscita a mettermi in cattiva luce, quindi vorrei tenerti lontano almeno da lui. Io ho paura. Ho paura che se venissi con me tu possa pensare che io un giorno diventerò come lui o che mio padre possa dirti qualcosa su di me per cui tu poi possa odiarmi. Ho paura di perderti. Perché io… io…” Hermione divenne rossa, ma per fortuna non si sarebbe notato tanto, lì fuori al buio.
“Ho capito” disse, interrompendolo. “Ho capito. Va bene. So che non…”

 

“MERLINO!” quasi gridò. Possibile che quella ragazza dovesse parlare anche nei momenti più importanti?

 

Hermione si interruppe quando lui gridò.
“Ma non stai mai zitta? Già non riesco a parlare, se poi non mi fai finire… Allora… dicevo…” Le si mise davanti e le circondò i fianchi con le mani. “Io ho paura di perderti, perché ti amo. E non so proprio cosa farei senza di te”. Sospirò rumorosamente. “Ecco adesso l’ho detto e puoi continuare con le tue tiritere!” Hermione spalancò la bocca. Lui aveva appena detto che l’amava? Gli prese il viso fra le mani e lo baciò sulla bocca. Si staccò da lui quel tanto che bastava per dirgli: “Anch’io ti amo”,  tornò a baciarlo.

 

Draco sorrise sulle sue labbra e la strinse di più. Quando si staccarono, dopo svariati minuti, lui guardò l’orologio.
Lei lo osservò e disse: “Mi sa che ci siamo persi la cena”.

 

***

 

Quel sabato sera Ron si stava annoiando. Sapeva che c’era una festa nella sala comune dei Serpeverde, ma stavolta non aveva proprio voglia di andarci. Era sicuro che lei sarebbe stata lì e lui non sarebbe riuscito a far finta di niente.
Il suo stomaco si contorceva così tanto che aveva anche fatto fatica a mangiare e per lui era una cosa totalmente nuova.
Entrò in camera e vide Dean e Seamus che giocavano a carte con una bottiglia di Firewhisky. “Cosa fate qui?” Dean sospirò e lanciò una carta.
“Seamus è appena stato scaricato da Lavanda.”
“Ehi!” Seamus gli diede una gomitata.
“Beh, che c’è? È vero!” L’amico fece una faccia strana. Ron lo guardò. Ma Seamus non riusciva a guardarlo.
“Hai ancora problemi con me?” chiese Ron un po’ nervoso. Seamus scosse la testa.
“Mi becca male. Tu sei… un suo ex.”
Ron, nonostante tutto, riusciva a capire quello che intendeva. Harry aveva lo stesso problema con Dean e lui lo aveva con Malfoy. Merlino, lui era geloso anche di alcuni con cui Pansy non era neanche stata! La porta si aprì ed entrò Neville. Ecco, appunto.
“Anche noi ci siamo lasciati” disse Ron per solidarietà.
Dean sospirò. “Lo avevamo capito. Quello che non sappiamo è chi è che ti ha lasciato”. Ah. Ok. Loro non lo sapevano? Effettivamente non lo aveva raccontato a nessuno. E Pansy non era come Lavanda che sbandierava il suo possesso in ogni corridoio, aula o anfratto del castello. Però Neville sapeva. Il rosso lanciò un’occhiata a Neville, ma lui spostò lo sguardo da lui e guardò Seamus.
“Vi siete lasciati, tu e Lavanda?” gli chiese sedendosi sul letto.
“Già.”
“Io ho litigato con Hannah” disse ancora Neville sconsolato.
“Dean? Tu niente da dire?”
“Io non sto con nessuna”. Il moro alzò le spalle.
“Però…” inziò Seamus.
“Però?” chiese Ron.
“Oh, ho chiesto a una ragazza di venire a una festa con me, ma ci andava con un altro…”
“La festa dai Serpeverde?” chiese Neville. Il moro annuì. E va che bel quartetto. Malgrado tutto, Ron sorrise. “E quella da dove viene?” chiese indicando la bottiglia.
Dean sorrise mentre spostava le carte. “Seamus ha fatto amicizia con un elfo della scuola. Ce la siamo fatta portare.”
Grandi. “Allora, visto che siamo quattro sfigati, fatti portare altre tre bottiglie, così almeno ci divertiamo”. A Seamus piacque la cosa. Chiamò l’elfo, che si scoprì poi essere un’elfa, e si fece portare un sacco di cose, sistemarono tutto sul pavimento e si sedettero tutti e quattro in cerchio.

 

Quando Harry entrò in camera venne accolto con un grido simultaneo che neanche la tribuna del Quidditch avrebbe potuto competere.
“Ma siete qui? Vi cerco da almeno tre quarti d’ora!” disse un po’ sbuffando.
“Ti sei lasciato con Ginny?” chiese Dean. Harry lo guardò male. Doveva aver bevuto.
“No. Perché?”
“È la serata degli sfigati in amore, non puoi stare qui, allora!” continuò il moro, alzando un bicchiere. Harry rise.
“Perché sei da solo?” chiese Neville.
“Serata fra ragazze” disse alzando le spalle.
“Beh, allora sei un po’ sfigato anche tu, stasera. Puoi sederti” continuò Dean. Harry rise ancora e si sedette sul tappeto con loro. Ron fece apparire un bicchiere.
“Prego, si serva pure, signor Potter”. Anche Ron era abbastanza brillo.

 

Dopo un’ora e altri tre viaggi dell’elfa, erano tutti ubriachi. “Chi era la ragazza che ti ha dato picche, Dean?” chiese Ron.
“La Jones” rispose il moro alzando una spalla. Non sembrava troppo dispiaciuto. Dean giocava con le noccioline, le lanciava e le prendeva al volo in bocca. Quasi tutte.
“Lancia qui, Dean” disse Seamus. Dean gli lanciò quattro noccioline insieme e lui non riuscì a prenderne neanche una.
Ridacchiarono tutti.

 

Neville, che non aveva mai bevuto così tanto in vita sua, si sdraiò sul pavimento, con le braccia aperte. Guardava il soffitto, oh, come si stava bene. Finché rimaneva sdraiato stava bene. Wilma saltò vicino a lui.
“Oh, guarda Ron, c’è il rospo di Neville”. Harry ridacchiò. Ron gli lanciò il cuscino più vicino.
“Idiota!”
“Ce l’hai ancora con Wilma?” chiese Neville, appoggiandosi ai gomiti.
“Perché ce l’hai con Wilma?” domandò Dean.

 

Ron alzò le spalle. Non voleva raccontare niente.

 

“Oh, Merlino io non bevo più!”
Neville adesso si era sdraiato di nuovo per terra e Ron, che evidentemente ce l’aveva ancora con il rospo, chiese all’amico: “Perché hai litigato con la Abbott?”
“Non lo so.”

 

“Che vuol dire che non lo sai?” chiese Harry. Anche lui si sentiva un po’ instabile.
“Oh, io mi sono distratto mentre lei mi raccontava qualcosa e sembra che io non abbia risposto esattamente quello che dovevo rispondere quando lei mi ha fatto una domanda”. Harry annuì. Era riuscito a capire il discorso un po’ confuso di Neville perché capitava anche a lui.

 

Harry spostò con il piede il rospo vicino a Ron, senza farsi vedere da Neville. Ron sbuffò e il moro ridacchiò.
Ron si voltò verso Neville e gli chiese a bruciapelo: “Neville, è vero che hai baciato Ginny?” Neville divenne improvvisamente rosso sulle guance. Guardò da sotto le ciglia prima Ron e poi Harry che lo guardava con gli occhi spalancati e un brutto sguardo.
Dean si sistemò meglio. “E quando è successo?” chiese.
Neville era sempre più imbarazzato. “Quindi?” lo inerrogò Harry. Si voltò nel frattempo verso Ron e lui ghignò.
“Ehm… è successo tempo fa…”
“Quando?” chiese ancora Harry.
“Dopo il ballo del ceppo. Io… lei… giuro Harry, solo quella volta!”
Harry sospirò. Quattro anni prima. Lui al ballo c’era andato con la Patil. Si girò verso Ron, per lanciargli un’occhiata di fuoco. Ma il rosso ridacchiò. Deficiente. Ecco perché diceva che doveva essere geloso, lui probabilmente lo sapeva già.
Ghignò anche Harry. “Te lo ricordi il ballo del ceppo, Ron? Ti ricordi con chi ci sei andato? Sei riuscito a baciarla, dopo?” E ammiccò.
Seamus si voltò verso il rosso. “Con chi eri andato?”
“Con Padma, la sorella di Calì. Lei è scappata via con un altro. Ma neanche Harry ha baciato la sua compagna, eh, Harry?” lui non gli rispose.
Dean sospirò pesantemente. “Invece Seamus è riuscito a baciare Padma…”
Seamus alzò un sopracciglio. “Ma è stato due anni fa! Che c’è sei geloso?” Per la prima volta a Dean sparì il sorriso. C’era rimasto male davvero.
“Comunque pensavo fosse Calì” disse alzando una spalla.
Ron ridacchiò. “Davvero? E Lavanda lo sa?” Lavanda e Calì si vantavano di essere migliori amiche, chissà come l’avrebbe presa.
Seamus lo guardò male. “Se non glielo ha detto Padma…”
Harry si raddrizzò. “No, aspetta, Padma lo sa? Che pensavi fosse Calì?” Seamus fece una smorfia.
“Oh, sì. Quando l’ho chiamata Calì mi ha dato una cinquina sulla guancia. È stato lì che ho scoperto che non era lei”.
Harry ridacchiò. Anche Neville ridacchiò. Quando rise anche Ron, Seamus rise anche lui. Dean guardava tutti malissimo. Ma dopo poco rise anche lui.
“Siete tutti ubriachi. E stronzi”. Alzò il bicchierino che aveva ancora in mano e con l’indice teso li indicò tutti.
“Intanto la cinquina l’ho presa io” ci tenne a precisare Seamus. E tutti tornarono a ridacchiare.
“Anche Zabini si è preso una bello cinquina.
Eh, Harry?”

 

Harry guardò Dean. Seamus ridacchiò “Avrei voluto esserci!”
“Io c’ero” disse Neville.
“Tu?” Harry si voltò verso di lui. “Non ti ho visto”.
“Ero in fila per uscire, con Hannah, Ernie e la Greengrass.”
Dean alzò un bicchiere miracolosamente ancora pieno. Ma non era finito tutto?
“La Greengrass! Anche lei è molto carina!”
Ammise il moro, ancora con il bicchiere in mano. “Sta con Zabini, adesso” disse Ron.
“E certo! Perché non avrebbe dovuto? Alla sfiga!” Dean alzò ancora il bicchiere e lo tracannò.
Si fecero portare un’altra bottiglia dall’elfa di Seamus e iniziarono a discutere per decidere chi fosse il più sfigato in amore.

 

***

 

La serata fra ragazze stava andando bene. Ginny ballava nella sala comune dei Serpeverde insieme ad Astoria e Camille.
Pansy e Hermione, invece, erano vicino ai tavoli dei beveraggi e controllavano la festa.

 

“Ma Draco dov’è?” chiese Pansy alla Grifondoro.
“Ha detto che avrebbe tenuto d’occhio Nott.”
“Oh. Ok.”
Pansy era seduta su un tavolo e ciondolava le gambe vicino alla Granger. Si erano ritrovate loro due, Ginny e le ragazze ballavano in pista. Pansy lanciava loro un’occhiata ogni tanto.
Daphne era fuori da qualche parte del castello con Blaise e Milliecent aveva detto che non sarebbe venuta alla festa perché aveva da fare. Così stava cercando di rimanere sveglia a controllare tutto; una festa dove non ci si poteva divertire era una cosa noiosa.
“Guarda che se vuoi andare a ballare, resto io qui a vedere se va tutto bene.”
La Granger doveva aver capito che si stava annoiando. “Ti ringrazio ma non ho voglia di ballare, stasera. Tu, invece?”
La riccia scosse la testa. “Oh, non ne ho voglia neanch’io”. Pansy la guardò con la coda dell’occhio non troppo convinta, ma annuì. “Draco ha un appuntamento per fine mese per andare ad Azkaban” disse ancora la riccia.
La Serpeverde pensò di aver capito male. “Azkaban?”

 

Hermione annuì. Sarebbe riuscita a chiederle di andare con Draco? Non voleva che andassero insieme, ma non voleva neanche che lui andasse da solo. Sospirò.
“Non mi ha chiesto di andarci” spiegò.
“Come? Ma non siete tornati insieme?” La riccia si trovò ad annuire ancora. “E non te l’ha chiesto?” Questa volta scosse la testa. Non riusciva proprio a parlare.
“Merlino!” La mora si toccò un fianco e tirò fuori una sigaretta. Hermione strabuzzò gli occhi.
“Ma cosa fai?” La Serpeverde alzò una spalla, accendendo la punta con la bacchetta.
“Non se ne accorgerà nessuno. E adesso dimmi: perché non gli hai chiesto di andare con lui?”
“Perché no! Non me l’ha chiesto!” Lei sbuffò il fumo in alto.
“Sai perché non te l’ha chiesto?”
“Non vuole che incontri suo padre…” Vide la mora annuire.
“Che, detto fra noi, non è una cattiva idea” disse alzando una mano aperta. “Ma… visto che non voglio andarci io e ho promesso a Narcissa di non lasciarlo andare da solo, proverò a convincerlo a farti andare con lui, ok?”
“Basta che non lo fai con un vestito scollato…” disse Hermione prendendo da bere.

 

Pansy sentì il calore salirle alle guance. Doveva aver parlato con il rosso. Per un attimo si vergognò, ma poi si rimise dritta con la schiena e disse: “Allora convincilo tu”. Il suo tono era un po’ cattivo, lo sapeva. Ma la Grifondoro sorrise.
“Ti ho fatto arrabbiare.”
Pansy sospirò, poi disse: “A dir la verità, no. Sono arrabbiata di mio. Comunque, se lo vuoi sapere, non ha mai funzionato con lui, la mia scollatura. Ci ho provato due volte al quarto anno, per farmi invitare al ballo del Ceppo”. Abbassò la voce. Era abbastanza deprimente senza farlo sapere a tutti.
“Ma ci sei andata con lui: ha funzionato.”

 

Hermione vide la Serpeverde fare una brutta smorfia e dare una lunga boccata alla sigaretta. “No, è andata diversamente”.
Oh. Però adesso era curiosa. Non riuscì a non chiedere: “E come?” Lei alzò le spalle.
“Niente.”
Oh. Era una di quelle cose che non voleva raccontare. “Al sesto anno ho lanciato un Confundus a McLaggen per far prendere Ron come portiere della squadra” disse la riccia guardandola con la coda dell’occhio.

 

Pansy sbuffò. Ma perché i Grifondoro ti dicevano sempre qualcosa di loro per far dire qualcosa a te? Cos’è, facevano delle lezioni speciali riservate a loro? ‘Come interrogare il prossimo senza veritaserum’.
Sbuffò ancora, ma poi sorrise nervosamente e si passò una mano fra i capelli. Va beh, se proprio lo voleva sapere… “Mi aveva invitato un altro. E io avevo accettato: Draco non ne voleva sapere e io avevo accantonato l’idea”. Vide la Granger sgranare gli occhi. Cercò di non offendersi.
“E poi?” chiese la riccia.
“E poi si è tirato indietro. E Draco mi ha invitato quando l’altro mi ha detto che non sarebbe venuto con me. È andata bene così” concluse velocemente.
Si alzò per andare a controllare il tavolo con le burrobirre.

 

Hermione fece finta di niente. Ma aveva visto il suo sguardo. Chissà se c’era rimasta male quando l’altro si era tirato indietro. Che domande, certo che c’era rimasta male! Ma chi è che si comporta così? Chissà se era stata colpa di Draco. Magari lei glielo aveva chiesto e lui aveva detto di no e poi si era reso conto di essere geloso.
Non doveva pensarci. Erano cose successe tempo prima. Quando la Serpeverde tornò, non aveva più la sigaretta ma due burrobirre e si rimise seduta, non disse niente e non la guardò, ma le passò una burrobirra.
“Comunque potrei dirgli che vado con lui e all’ultimo mi invento qualcosa e ci vai tu. Se riusciamo a trovarci tutti e tre poco prima di andare, dovremmo riuscirci. Di sicuro a te la McGranitt non farà storie.”
Scosse la testa “Non lo so. Vedremo…” Sospirò. “Tu andrai ad Azkaban a trovare tua madre?” La Serpeverde annuì prima di bere. “E con chi ci vai?”
“Con chi ci dovrei andare?” La mora si rivolse a lei con uno sguardo curioso.
Hermione alzò le spalle. “Non so, chiedevo e basta”.
“Ci vado per vedere com’è quel posto. E se è una cosa che si può fare, ci porto Camille. È a lei che interessa vedere maman…”
Il suo viso divenne tetro quando disse il nomignolo con cui la francese chiamava la mamma.
“Non ho bisogno del sostegno di nessuno” disse ancora. Ma chi voleva convincere?
“Dici?” Hermione sapeva quanto fosse duro fare tutto da soli.
La Serpeverde guardò verso la pista mentre diceva: “Ne sono sicura”.

 

Ginny si fece largo fra la folla fino al tavolo dei beveraggi.
“Belle donne! Che fate? Non venite a ballare?” Stappò una burrobirra e la bevve avidamente. “Sai una cosa, Pansy?” disse indicando la mora con la bottiglia. “Voi siete quelli che danno le feste più belle. E la vostra musica è la migliore!”
Vide l’amica sorridere. “Sono contenta che tu sia qui, allora, piccola Grifondoro”. E sbattè la sua burrobirra contro quella della rossa. Poi, la porta scorrevole si aprì e alcuni ragazzi entrarono facendo più confusione di tutta la sala che ballava.
La Serpeverde si alzò sul tavolo dove era seduta e controllò l’ingresso.
“Oh, Merlino!” la sentì dire Ginny.

 

Pansy si era alzata quando aveva sentito del frastuono verso la porta scorrevole. Ormai era tardi, non pensava sarebbe entrato ancora qualcuno. Quando vide cinque ragazzi entrare insieme e facendo un po’ troppo casino, dalla porta scorrevole si stupì. Merlino, i cinque Grifondoro del settimo anno plus. Tutti insieme? Che stava succedendo?
Molta gente si girò verso l’ingresso e si accalcò in quella direzione per vedere cosa stesse accadendo.
Pansy vide proprio una folla di persone spostarsi. Non sarebbe riuscita a passare in mezzo alla calca e raggiungere l’ingresso per evitare che succedessero ulteriori casini.
Pensò pochi secondi e poi fece quello che le sembrò più adatto: saltò da un tavolo all’altro fino ad arrivare all’ingresso. I tavoli erano stati spostati per far posto alla pista da ballo ed erano tutti addossati al muro.
Per i primi tre tavoli non ebbe problemi, tranne per una coppia che si stava baciando e che non la vide arrivare così rischiò di finire loro addosso, ma riuscì a non fare danni e saltare ancora. Ma il quarto tavolo era un po’ troppo lontano per riuscire ad arrivarci con un salto. E c’era troppa gente per riuscire a scendere e avventurarsi verso l’entrata.
Così, fece un passo indietro e corse in avanti saltando dal bordo. Merlino, se non si fosse fatta male, sarebbe stato fenomenale. Ma non atterrò bene. Un piede le si spostò mentre si appoggiava e finì addosso a un ragazzo.
“Parkinson, ma da dove arrivi?” per fortuna era Derrick. L’aiutò a scendere e lei, vedendo che seduto sul tavolo girato verso la pista gli disse: “Dai un’occhiata a Camille e Astoria, per favore”. Lui annuì mentre l’aiutava. “Grazie mille!”
Si girò e si trovò faccia a faccia con Potter e Finnigan. “Ehi, che fate qui?” disse aprendo le braccia e bloccando loro il passaggio.
Cercò anche di tenere lontano i curiosi che erano arrivati e che erano dietro di lei.

 

Ron aveva visto il tipo della festa aiutare Pansy a scendere dal tavolo.
Era stato gentile o voleva provarci? Oh, santo Merlino! Non erano fatti suoi. Se anche la Serpeverde si fosse fatta rimorchiare, non avrebbe potuto dire niente.
Quando se la ritrovarono davanti mentre chiedeva loro cosa facessero lì, si arrabbiò. Non era una cazzo di festa aperta a tutti?
“No, non lo è, Weasley” disse lei guardandolo male.
Ron rimase di sasso. Santo Godric, aveva parlato senza accorgersene? Si sentiva girare, insieme alla sala comune delle serpi.
“Siete ubriachi?” la sentì chedere stupita, ma lei non si era rivolta a lui, guardava… chi guardava? Neville? Dean? Non capiva.

 

Merlino, erano ubriachi tutti e cinque? Li guardò: sì, erano tutti alticci.
“Non potete entrare in questo stato. Su, tornatevene nella vostra torre.”
Cercò di fare un passo avanti per farli indietreggiare, ma loro non si mossero. Merlino, era in minoranza numerica.
Vide Mike affiancarla e chiederle se avesse bisogno. Sorrise nonostante tutto. “Mike, sono cinque ragazzi ubriachi e ben piazzati. Se soffio ti faccio cadere, come pensi di aiutarmi?”
“So ancora usare la bacchetta.”
“È il caso che loro non la tirino fuori, la bacchetta. Tienila in tasca anche tu, va.”
Poi si voltò verso di loro. Guardò Potter. Era davanti. Aveva guidato lui quel convoglio? “Potter, puzzi di Firewhisky, sicuro che vuoi che Ginny ti veda in questo stato?” chiese, alzando un sopracciglio. Vide Potter vacillare. Fisicamente e mentalmente.
“Io…”
“Ti giuro che non sei un bello spettacolo” rincarò un po’ la dose. Poi guardò alla destra di Potter. “Paciock, sono abbastanza sicura che tu non abbia intenzione di entrare, o sbaglio? La Abbott non c’è e non sarebbe carino se venisse a sapere che hai bevuto e hai fatto casino a una festa, no? A una festa dove lei non c’è. Potrebbe pensare che tu sia venuto a rimorchiare. Fossi in te tornerei subito indietro” disse sottovoce, sventolando una mano verso la porta scorrevole.

 

Quando la Serpeverde aveva nominato Ginny, Harry si era un po’ preoccupato. Non gli sembrava più una bella idea essere venuto nei sotterrane.
Si girò verso Neville che guardava per terra. “Forse dovremmo andare…”
Vide Neville dirigersi subito verso la porta scorrevole che si aprì per farlo uscire. Magari Ginny avrebbe pensato che volesse controllarla… Che idea stupida! Di chi era stata? Non riusciva a ricordarselo. “Dean? Seamus?” Alla sua destra c’erano loro. Notò Dean guardare con ammirazione la Serpeverde, che però controllava con lo sguardo l’uscita di Neville.
Merlino, Ron lo avrebbe ucciso se lo avesse visto. Tirò Dean verso la porta e disse alla Parkinson: “Non è stata una buona idea. Ce ne andiamo, buonanotte”.

 

Pansy vide Paciock uscire e Potter tirarsi dietro il moro e l’altro compagno mentre usciva. Si girò appena verso Mike, dicendogli che poteva andare. Lui alzò un sopracciglio e guardò il rosso che era l’unico rimasto dei Grifondoro.
“Qui ci penso io, vai” disse ancora, per convincerlo.

 

Ron guardò il tipo delle burrobirre andare via ma continuare a osservarlo per capire se fosse veramente innocuo. Dietro a Pansy iniziavano a spingere alcuni studenti, curiosi di sapere cosa stesse succedendo. La Serpeverde si girò per controllare la situazione e poi, velocemente, fece un passo avanti e gli appoggiò una mano sul petto. Come l’altra volta, pensò il rosso.
“Vieni fuori”. Lo spinse oltre la porta scorrevole e si ritrovarono in corridoio.

 

Pansy vide arrivare Ginny insieme alla calca. Non voleva che vedesse il fratello così. Lo spinse e lo fece uscire. Gli altri erano già in fondo al corridoio. “Sta arrivando tua sorella. Torna nella torre insieme a loro” disse, indicando la direzione presa dai Grifondoro.
“Perché?”
La Serpeverde sbuffò. “Forse, perché sei ubriaco?”
“Ginny mi ha già visto ubriaco.”
Oh. “Ok, allora aspetta che la vado a chiamare, sarà felicissima di occuparsi di te!”

 

Nonostante l’alcool, Ron notò il tono sarcastico della sua voce. Vide la porta scorrevole aprirsi e un po’ si spaventò. Ma non fu Ginny a uscire. Sospirò sollevato e tornò a guardare la Serpeverde. Anche lei si era girata.
“Perfetto. Granger, accompagni tu Weasley alla torre?”
Ron si innervosì. “Perché mi chiami ‘Weasley’?” Era già la seconda volta che lo faceva.
“Perché quando fai il troll, diventi Weasley” disse lei, arrabbiata.
“Perché sei arrabbiata?”
“Forse perché siete venuti qui ubriachi?” disse alzando un sopracciglio.

 

Hermione si era avvicinata: accompagnare Ron le scombinava i piani, ma avrebbe potuto farlo. Sospirò. Ma Ron continuava a guardare la Parkinson. Quei due non avevano ancora chiuso. Si capiva benissimo.
“Dai, Ron, andiamo”, lo prese per un braccio e lo trascinò via mentre borbottava.

 

Pansy guardò i due Grifondoro andarsene.
Rimase a guardare il corridoio per qualche minuto prima di tornare in sala comune. Non era più uscito nessuno. Chissà cosa stava succedendo, dentro. Sospirò e rientrò.

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*** Grazie a tutti quelli che continuano a leggere!!! �👋😊😉

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Capitolo 39
*** Visita ad Azkaban ***


La visita ad Azkaban

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Draco sbuffò entrando nella stanza dei prefetti. Gli toccava la ronda e Hermione non c’era. E non l’avrebbe vista neanche dopo. Quella settimana iniziava proprio male.
Vide Pansy, Macmillan, tre ragazzi di cui non si ricordava il nome, la Abbott, Burrow, la piccola Tassorosso che aveva paura di Pansy (Simmons, forse?) e Weasley. Avrebbe fatto il giro con Pansy. Avrebbero anche fatto presto. Si mise a scrivere la pergamena. Prima avessero iniziato, prima avrebbero finito.

 

Ron vide troppa gente nella stanza dei prefetti. Troppa gente e lei. Si grattò una guancia. Non si era fatto la barba. Merlino. La vide avvicinarsi a Malfoy appena varcò la soglia della stanza.
Quando lui salutò tutti e prese la pergamena con i nomi, lei si chinò sul biondo per dirgli qualcosa. Non guardarla. Non guardarla. Merlino! Ascoltati Weasley!
Si passò una mano sui capelli quando si rese conto di essersi chiamato da solo per cognome. Stava diventando matto.
La Simmons gli si avvicinò sorridendo.

 

Lei si era avvicinata a Draco mentre iniziava a scrivere la pergamena.
“Torniamo insieme nei sotterranei?” Lui annuì, intuendo dalla sua faccia che volesse chiedergli qualcosa di importante.
“Non facciamo la ronda insieme?” Lei alzò tutte e due le sopracciglia.
“Volevi far la ronda con me? Me l’ha chiesto Macmillan e gli ho detto di sì. Scusa non…” rispose, indicando con il pollice il ragazzo dietro di lei.
Draco scosse la testa. Andava bene così. Ma… Alzò un sopracciglio anche lui e chiese: “Macmillan?”
Lei alzò le spalle. “Non pensare male”. No, no. Non pensava male. Lanciò un’occhiata al Tassorosso. Ma lui non ci fece caso. Bo. Fatti loro.
“Ho solo i nomi, avvicinatevi che scrivo le coppie e i piani.”
Tutti si avvicinarono a lui. Burrow disse: “Io vado con Pansy al sesto piano”. E ammiccò nella sua direzione. Lei corrugò la fronte. Il Tassorosso stava per parlare, ma Draco voleva finire al più presto.
“Pansy va con Macmillan. Controllate questo piano” disse. Lei si voltò verso il biondo e annuì.
“Io vado con Weasley”. La Simmons aveva ridacchiato fastidiosamente, vicino al rosso.
Draco lanciò un’occhiata di sbieco alla Serpeverde, ma Pansy li aveva guardati per un attimo e aveva detto ghignando: “Sì, Simmons andate voi al sesto piano. Mi sembra che ci sia un bagno in disuso, chissà che non ci siano sorprese…” La ragazza abbassò gli occhi. Per fortuna il Tassorosso spinse la Serpeverde fuori dalla stanza.
“Simmons, vai con Burrow al settimo piano. Io e Weasley controlliamo il quarto piano” ordinò, continuando a scrivere anche le altre coppie.
Draco non voleva fare la ronda con nessuno. Weasley gli sembrò il male minore e visto che stava scrivendo lui la pergamena ed era uno dei prefetti del settimo anno, decise per tutti. Ok, forse era una cosa più da Serpeverde che da prefetto più vecchio. O da snob purosangue. Fatto sta che non voleva fare la ronda con nessuno di quei ragazzini e alla Abbott non avrebbe saputo cosa dire…
Quindi ok per il Grifondoro. Quando ebbe scritto tutti i nomi, uscì dalla stanza con il rosso.

 

Pansy continuava a pensare al Grifondoro e alla Simmons che facevano la ronda insieme. Per Salazar! Non doveva pensarci. Controllò le aule un po’ stizzita e non parlò per quasi tutto il tempo.
“Sai perché ti ho chiesto di fare la ronda insieme?” disse a un tratto Macmillan. La Serpeverde si fermò e realizzò il suo comportamento.
“Oh, Macmillan, ora ti stai pentendo di avermelo chiesto, eh?”
Ma lui sorrise. “No. Ora so cosa rispondere”.
“A che?”
“A Millicent”. E strizzò un occhio mentre riprendeva il corridoio. Merlino! Che intendeva?
“Aspettami!” Gli corse dietro. “Che vuol dire?”
“Oh, niente” la prese in giro lui, continuando a camminare.
“Ehi! Se stai facendo qualcosa alle spalle di Millie, ti schianto!” disse tirando fuori la bacchetta.

 

Draco vide Pansy con la bacchetta puntata contro il Tassorosso e alzò un sopracciglio. Il Grifondoro accanto a lui non li aveva ancora visti.
“Tutto bene, lì?” chiese ad alta voce. Voleva fare presto. Un duello nel corridoio non ci voleva.

 

Ron allungò il passo quando Malfoy parlò. Cosa stavano facendo quei due?
“Che succede?” Vide Ernie sorridere e girarsi verso di loro con le mani alzate.
“Niente, ragazzi. Tutto bene.”

 

Pansy si voltò verso i due ragazzi e chiese: “Dove state andando?”
“Prendiamo le scale per il quarto piano” rispose Draco, un po’ stranito. Come se fosse una cosa normale. Il rosso non disse niente. Ma non doveva fare la ronda con quella sciacquetta della Simmons?
Lei tornò a guardare il Tassorosso, che continuava a sorridere. Lentamente mise via la bacchetta.
Draco richiese: “Quindi, tutto bene?” Pansy annuì e si voltò per continuare a camminare lungo il corridoio. Sentì Macmillan seguirla.

 

“Secondo te, è tutto a posto?” gli chiese Weasley.
Draco si incamminò verso le scale. “Secondo me, no” disse scrollando le spalle.
“In che senso?” Il rosso fu accanto a lui. Ma era davvero un troll!
“Secondo te, Pansy sta bene?” Lui scosse la testa. “E quindi? Cosa potresti fare per farla stare meglio?”
“Chi, io?” Draco sbuffò. Che idiota!

 

Ron capì che Malfoy lo stava trattando con sufficienza. Ma lui cosa poteva fare?
“Mi ha lasciato lei!” Lui alzò le spalle.
“Allora non fare niente” Ma… Si girò a guardarli: erano lontani e stavano parlando.
“Muoviti, Weasley! Non voglio fare notte fonda!”
Ron accellerò il passo mentre lo raggiungeva. Poteva veramente fare qualcosa? E cosa?

 

“Cosa intendevi dire prima?” Pansy cercò di calmarsi e non sorridere come un’ebete. Lui non stava facendo la ronda con la sciacquetta. Sorrise lo stesso.
“Millicent mi ha chiesto di fare la ronda con te per capire perché ultimamente sei così arrabbiata…”
“Non sono arrabbiata!” Il suo tono era un po’ più alto del normale
“… e nervosa” continuò lui sorridendo. Lei lo guardò male.
“E quindi ti sei già risposto?” Lui si fermò, alzò un sopracciglio e indicò con la testa dove prima c’erano Draco e il rosso . “È così evidente, dici?” Pansy si morse il labbro: non voleva che fosse evidente. Per Salazar, non voleva che ci fosse niente che potesse essere evidente!
Lui alzò una spalla. “No, ok, se non mi avesse indirizzato lei, non ci avrei fatto caso” Lei non disse niente e continuò a camminare. “Non preoccuparti, non dirò niente a nessuno”.
Pansy annuì. “Quindi tu e Millie…”
“Io e Millicent facciamo i compiti insieme” disse lui un po’ risoluto. Pansy sorrise. Non lo aveva detto con tono disgustato per mantenere le distanze, come di solito facevano i ragazzi quando parlavano di Millie. Lo aveva detto per riservatezza. Era una cosa bella.
“Stai attento a quello che fai, ok?”
Finirono la ronda e tornarono alla stanza dei prefetti.

 

Quando Ron e Malfoy tornarono, trovarono Ernie a compilare la pergamena. Gli altri avevano finito e piano piano se ne erano andati quasi tutti. Ernie finì di scrivere velocemente e arrotolò la pergamena.
“Scusa Malfoy, mi era sembrato che volessi fare presto…” Lui gli fece un cenno con il capo e si girò verso Pansy.
“Andiamo?” Lei annuì e prima di uscire dalla stanza augurò la buonanotte a quelli rimasti, sorridendo.
“Stai attento che ti tengo d’occhio, Macmillan” disse proprio mentre usciva.
Non lo aveva degnato di uno sguardo, Merlino.
Ron sbuffò e salutò Macmillan, uscendo. “Ha sorriso, prima”, lo sentì dire. Il rosso si fermò e si voltò.
“Come, Ernie?”
“Lei. Ha sorriso quando ti ha visto con Malfoy e non con la Simmons.”
Poi il Tassorosso uscì. Che aveva voluto dire?

 

“Devi chiedermi qualcosa, giusto?”
Draco aveva capito che la sua richiesta di tornare insieme non era disinteressata. Lei si voltò indietro e si imbronciò.
“Shhhh… non qui!” E lo trascinò un po’ più velocemente.
Quando furono tre piani più giù lei si sbottonò: “Hai ancora la pozione? Ho perso la mia oggi e non la trovo più”.
 Draco corrugò la fronte. “Come hai fatto a perderla?”
“Non lo so!”
“Ok, calmati. Ti do la mia.”
“Grazie, tanto domani sera te la restituisco.”
Draco si fermò. “Perché?” Pansy si fermò anche lei e inclinò la testa.
“Perché, cosa?”
“Perché domani me la ridai?”
Lei alzò le spalle un po’ confusa. “Non so neanche se mi serve. Anzi spero proprio di non averne bisogno. Ma mi piace sapere che ce l’ho, così se quando vengo via da Azkaban ho dei problemi…”
“Vai ad Azkaban?” Draco era sorpreso. Lei non glielo aveva detto.
Lei spalancò gli occhi. “Non te lo avevo detto?” Lui scosse la testa. “Oh. Pensavo di sì…” Riprese a camminare. “Comunque magari non la uso”.
Draco la guardò allontanarsi e poi le corse dietro. “Ma… con chi ci vai?” le chiese.
“Con chi ci dovrei andare? Vuoi venire con me?” lo provocò. Ma poi qualcosa dovette passarle per la testa, perché iniziò a straparlare. “Potremmo raccontare a mia madre che ci siamo sposati. Sposati davvero! Santo Salazar! Sarebbe divertentissimo. Avrei dovuto comprare un anello al banco dei pegni, per queste occasioni.”
Ok, la stava perdendo. Lei ridacchiava aprendo le braccia e facendo passi di danza per il corridoio. Sentì che chiacchierava da sola e quando disse: “Potrei raccontarle anche di essere incinta! Sai che…” Improvvisamente divenne seria. Probabilmente pensava a Camille. Il ragazzo la raggiunse e le prese una mano.
“Ci vai davvero da sola?”
Pansy inclinò la testa di lato. “Certo”. Si divincolò da lui e continuò a camminare stancamente.
“Stai bene?” La ragazza si fermò e lo guardò con uno sguardo serio, prima di rispondere: “Beh, spero di stare meglio domani, quando tornerò”.
Lui annuì. Avrebbe dovuto accompagnarla? “Vuoi che venga con te?”
“A fare che?” Draco scosse le spalle: non lo sapeva. “Ecco, appunto!”
Pansy tornò a guardare verso il corridoio e poi camminarono per un po’ in silenzio.

 

“Tu con chi ci andrai?” gli chiese Pansy.
Forse era il momento buono. Lo vide scuotere le spalle. “Non lo so”.
Oh. Si aspettava una risposta diversa. Forse sarebbe stato più facile così. “Non hai ancora deciso?” i suoi occhi erano grigissimi, riusciva a vederli alla luce delle lanterne. “Mmm, sì, diciamo così…”
“Sai con chi dovresti andarci?” Pansy sapeva che era la cosa migliore. Quando Draco non rispose, continuò: “Mi sa che lo sai già, vero, con chi dovresti andarci”.
Il ragazzo sbuffò e mise le mani in tasca.
“Non voglio chiederglielo” ammise.
“Ma lo farai comunque” disse la ragazza. Ormai iniziava a capirli, quei due. Avevano solo bisogno di una spintarella. “Perché sai che è la cosa giusta”.
Quando lui annuì il mondo le sembrò più leggero, anche rivedere sua madre.

 

***

 

Hermione era in piedi in biblioteca e guardava in direzione di un tavolo ben preciso. Non le piaceva tanto, ma sospirò e si avvicinò al ragazzo seduto.
Non sarebbe mai stata brava in quelle cose. Doveva saperlo. Oppure… poteva allenarsi.
Si avvicinò al ragazzo seduto e disse con il suo tono più normale: “Ciao Nott, hai un libro che mi serve per un tema di storia della magia, posso rubartelo?”
Come aveva previsto, il ragazzo si fece pregare un po’, così si sedette sulla sedia di fronte alla sua e gli propose di dividerlo per fare i compiti.
Sorrise. Stava andando tutto bene.

 

***

 

“Ciao, Ginny, hai visto Pansy?”
Ginny si voltò verso la ragazza che le stava parlando. Erano in sala grande tutti insieme a finire dei compiti.
“Ciao, Camille. Siediti.”
La piccola Serpeverde aveva una gran brutta faccia. Sembrava preoccupata. Si lasciò cadere sulla panca vicino a lei.
“Che succede?” le chiese Harry. La ragazzina lo guardò con occhi spaesati.
“Non riesco a trovare Pansy. Secondo voi c’è da preoccuparsi?”
Hermione si sedette vicino a lei e le mise un braccio sulle spalle. “Non devi preoccuparti. Non ce n’è motivo”. Camille annuì meccanicamente mentre la guardava.
Ginny notò che aveva gli occhi lucidi. “Harry… magari potresti andare in camera tua a…” Lasciò cadere la frase per non nominare la mappa del malandrino. Almeno che servisse a qualcosa di buono, quella mappa!

 

Harry aveva capito, ma prima chiese alla ragazzina: “Hai provato nella stanza dei trofei?”
Tutti si voltarono verso di lui e Harry si sentì un po’ in imbarazzo. Ma la Serpeverde scosse la testa. “Non c’è. Ho cercato in tutta la scuola. Daphne non l’ha vista. Blaise non l’ha vista…” Il suo tono si strozzò.
Ginny le fece una carezza sulla testa. “Non preoccuparti. Adesso la troviamo, non preoccuparti”. E lo guardò. Ok, sarebbe andato a prendere la mappa.
“Vieni con me?” chiese a Ron. Lui lo guardò di sfuggita e scosse la testa. Ma non voleva andarci da solo, così proprose: “Andiamo tutti in sala comune. Così prendo la mappa”.
Gli altri si alzarono con lui e si incamminarono verso la torre.

 

“Oggi non era a lezione” iniziò Ron.
Ginny si voltò verso di lui. “No?” Lui scosse la testa.
“Hai chiesto a Malfoy?” chiese la rossa alla Serpeverde.
“Non so dove sia…” Tutti si voltarono verso Hermione. Che divenne rossa.
“Quidditch” disse semplicemente. “Sapete? Serpeverde-Tassorosso…”
Gli altri annuirono, tranne la piccola Serpeverde.
Ron sospirò. Lo spettro di Malfoy ancora non voleva andarsene. Hermione o non Hermione, la sera prima erano andati via insieme. Ma Malfoy era a lezione, quel giorno. E lei no.
Doveva ancora decidere se era una cosa buona o no.

 

Camille si sentiva svuotata. Seguiva i Grifondoro senza sapere bene perché, ma sembrava che loro potessero trovare Pansy, così non protestò.
“Perché non era a lezione?” chiese. Tutti si voltarono verso di lei. Come se pensassero che lei lo avesse dovuto sapere. Ma lei non lo sapeva. Pansy non glielo aveva detto. Non glielo aveva detto nessuno. Neanche Daphne. Neanche Blaise. Scosse le spalle.
“Non mi dicono mai niente…” Sentì gli occhi inumidirsi.

 

Ginny l’abbracciò di slancio. “Lo so, lo fanno anche con me. Ma non devi preoccuparti. Ci sarà un buon motivo, questa volta”.
Sperò di non sbagliarsi. Appena avessero trovato Pansy le avrebbe detto qualcosa. Sapeva cosa voleva dire essere considerata la più piccola. Cercò di rimanere calma.
Incontrarono Blaise mentre salivano le scale. Lui li vide e cercò di tornare indietro, ma le scale cambiarono direzione e lui si trovò intrappolato. Riuscirono a raggiungerlo.
“Zabini!” lo chiamarono Ginny e suo fratello insieme.
Lui si voltò e sorrise. “Fratelli Weasley! Che bello vedervi!” Il suo tono era un po’ forzato. Anche il suo sorriso, notò Ginny.

 

Harry non fu particolarmente felice di vedere Zabini. Ma neanche lui lo era, si vedeva bene. Appena le scale si fermarono, lui cercò di deviarli per andarsene.
“Zabini, dov’è Pansy?” chiese Ginny.
Il Serpeverde tentennò: aprì la bocca e la richiuse. Non aveva mai visto il moro così in difficoltà. Poi guardò in basso. “Io non lo so…”

 

Perché lui non lo sapeva? Non erano amici? Ron sbuffò nervosamente.
Harry si chinò su di lui. “Vado a prendere la mappa. Tienilo lontano da tua sorella” gli disse indicando con il capo il Serpeverde.
Annuì, mentre Harry allungava il passo.
“Draco sa dov’è?” Sentì chiedere Hermione. Lui scosse le spalle. “La Greengrass?” Lui scosse la testa. Ron si spazientì.
“Ma è possibile che voi non sappiate dov’è?”
Vide Zabini lanciare un’occhiata a Camille e poi sospirare. “Non è tornata. Stamattina è andata a Londra, ma non è ancora tornata”. Londra? Cos’era andata a fare a Londra? Lui sapeva, per vie traverse, che il giovedì successivo avrebbe avuto l’appuntamento per la consegna della casa dei Lemaire, ma non sapeva niente di quel giorno.
Che l’avessero spostato? Non gli sembrava…

 

“Cos’è andata a fare a Londra?” chiese Ginny. Quell’idiota non parlava. Ci sarebbe voluto un veritaserum. Lui borbottò qualcosa ma non si capì bene. “Come?”

 

Blaise si sentiva in trappola. Non voleva dire dove era andata Pansy, non davanti a Camille. La ragazzina aveva una faccina terrorizzata già così. Ma anche lui era preoccupato. E anche la Weasley, effettivamente. Guardò la Granger: lei ricambiò il suo sguardo con uno incuriosito. Ok.
“Zabini?” Il Grifondoro (l’unico maschio rimasto, constatò) fece un passo verso di lui. Si stava arrabbiando.
“È andata al Ministero” disse, sperando che bastasse. Ma quella ciurma di Grifoni non aveva nient’altro da fare?
“Blaise!” Sentì Daphne chiamarlo. Sorrise guardando la bionda avvicinarsi correndo. Magari l’avevano trovata. Sospirò.

 

Daphne non aveva notato gli altri. Per Salazar, avrebbe dovuto. Erano vicini a Blaise. Ma lei era così preoccupata. Quando si avvicinò di più al moro notò i Grifondoro. Notò anche Camille. Santo Merlino. Si bloccò.
Quando lui chiese: “Novità?” Lei sconsolata scosse la testa. Dietro a Blaise vide qualcuno. Potter. Stava arrivando Potter.
Quando lui disse: “La Parkinson non è a scuola”, tutti si girarono verso di lui.

 

“Come non è scuola?” Ginny ora iniziava a preoccuparsi davvero.
“Sulla mappa non c’è” rispose Harry. E quindi?
“La stanza delle necessità? Non compare sulla mappa” propose Ginny.
“Cos’è la stanza delle necessità?” chiesero in coro Daphne e Camille.
“È una stanza segreta. Voi non la conoscete”. Hermione aveva risposto velocemente alle ragazze Serpeverde.
“Ma Pansy la conosce e sa come si apre” disse Ron mentre le sue orecchie arrossivano. Oh, stupendo.
Harry scosse la testa. “Non c’è. La stanza delle necessità si apre, ma è vuota. Ho controllato prima di venire giù”.

 

Hermione guardò il Serpeverde. Lui però guardava Harry. “Che mappa?” chiese incuriosito. Harry scosse le spalle.
“Cos’è andata a fare al Ministero?” Ron sembrava spaesato. Quanto Camille.
“Draco non vuole che…” Ron si avvicinò a Zabini con uno sguardo cattivissimo.
“Non me ne frega niente di Malfoy!” Gli prese il colletto della divisa e lo strattonò. “Dimmi dov’è andata!”
Hermione gli appoggiò una mano sul braccio e cercò di staccarlo dal Serpeverde. “Io forse lo so” disse Harry. Ron si girò verso di lui. Gli lanciò uno sguardo indefinito e Hermione per un attimo ebbe paura che avrebbe messo le mani addosso anche a lui. Harry chiese sottovoce al Serpeverde: “È andata ad Azkaban?” Lui annuì.
“Ad Azkaban? E… tu come lo sapevi?” Ora Ron era spaesato come prima.

 

Harry si sentì male. Odiava avere segreti. Odiava avere segreti con Ron. E ora lui lo guardava in quella maniera... Tradito. Si sentiva tradito. E sapeva benissimo quanto Ron stava male quando si sentiva tradito. E lui odiava esserne la causa.

 

Ron non riusciva a credere alle sue orecchie. Cioè, Pansy era andata ad Azkaban, Harry lo sapeva e non gli aveva detto niente? Ci avrebbe pensato in un momento più lucido, decise.
“Con chi è andata?” Zabini gli lanciò un’occhiata veloce e poi guardò da un’altra parte.
“È andata da sola”. COSA? Era andata da sola? Da sola da sua madre?
Sentì la voce di Ginny, incredula, dire: “L’avete lasciata andare da sola? Da sua madre?”
Zabini annuì con uno sguardo atterrito. “Non l’ha detto a nessuno. A noi l’ha detto Draco oggi pomeriggio. E lui l’ha scoperto ieri sera”.
La Greengrass annuì “Non lo sapevo neanch’io…”
“Ma Malfoy lo sapeva!” esclamò Ron, arrabbiato.
Merlino! Quello stronzo di Malfoy la sera prima aveva fatto tutti quei giochetti ‘fai qualcosa’, ‘allora non fare niente’ e poi, l’unico che poteva fare qualcosa e non aveva fatto niente era proprio lui.
Avrebbe voluto averlo sotto la bacchetta, in quel momento. Sbuffò forte.

 

Nessuno si preoccupava di lei.
Camille non riusciva a credere alle sue orecchie: Pansy era andata a trovare maman. Senza di lei. Senza dirglielo. L’aveva ingannata. C’era andata da sola.
Era lei che ci voleva andare, non Pansy! Perché aveva fatto una cosa del genere? Perché?

 

Un ragazzino arrivò in quel momento correndo. Aveva la divisa dei Grifondoro, ma Harry non sapeva chi fosse. Doveva essere del secondo o primo anno.
“Ehm… prefetto Granger…” Si rivolse a Hermione, imbarazzato dal dover parlare davanti a tutta quella gente. Hermione si girò verso di lui e gli sorrise.
“Sì?” Lui guardò ancora tutti e poi tornò a prestare attenzione solo alla riccia.
“La preside McGranitt ha detto di andare subito nel suo ufficio!” disse, prima di scappare via.
“Ok, grazie” rispose alla sua schiena.

 

Non poteva capitare in un momento peggiore. Ma non poteva ignorare la preside. Guardò gli altri. Ron stava discutendo ancora con Zabini. Ginny parlava con la Greengrass, mentre stringeva ancora la piccola Camille che sembrava veramente in un altro posto; aveva gli occhi sbarrati e guardava lungo il corridoio. Harry continuava a osservare Ron con espressione colpevole. Perfetto. Tutto stupendo.
Fece un cenno agli altri, anche se non seppe dire con precisione se l’avessero vista o meno e si incamminò verso l’ufficio della preside.

 

Quando bussò alla porta, questa si aprì da sola, automaticamente. La McGranitt era seduta alla scrivania con un cipiglio preoccupato in viso.
“Buonasera, preside. Mi ha fatto chiamare?” La preside alzò lo sguardo su di lei e la sua bocca si distese in una linea. Un sorriso nervoso. Hermione aveva imparato a riconoscere le sue espressioni.
“Sì, Signorina Granger, entri pure e chiuda la porta”. Aspettò che lei eseguisse l’ordine e poi continuò: “Ho ricevuto poco fa questa richiesta di lasciarla andare immediatamente al Ministero della magia per un incontro urgente”.
Le passò una pergamena. Era successo qualcosa? Kingsley voleva aggiornamenti prima del tempo? Merlino lei non poteva dargli niente, ancora. Ma cos’era tutta quell’urgenza? Lesse la pergamena. Diceva che doveva presentarsi al livello otto. Non era mai stata al livello otto. Alzò la testa verso la preside.
“Vado subito, allora. Uso il camino?”
“Certo. E mi faccia sapere al più presto!” Lei annuì meccanicamente, ma poi si chiese cosa avrebbe dovuto farle sapere.
Usò la metropolvere per arrivare alla reception del ministero e percorse il corridoio per prendere l’ascensore. Incontrò poche persone. Beh, data l’ora erano pochi gli addetti ancora lì. Molti erano già andati a casa.
Si infilò in un ascensore e premette il tasto otto con un po’ di nervosismo: cosa c’era all’ottavo livello?

 

Quando le porte si aprirono lesse il cartello che galleggiava in alto nel corridoio. Azkaban. Per un attimo si spaventò. Come se potesse veramente essere la prigione, invece del livello otto. Vide una testa rossa conosciuta andarle incontro e fece un mezzo sorriso: Percy. Cosa ci faceva lì? Non doveva essere al livello sei, ai trasporti?
“Ciao, Hermione” la salutò, un pochino trafelato, lui. “Grazie di essere venuta subito”.
“Mi hai fatto chiamare tu?” Era strano. Non aveva riconosciuto la firma sulla pergamena, ma era abbastanza sicura che non fosse ‘Weasley’.
“No, signorina Granger, l’ho chiamata io”. Una ragazza bionda apparve dietro a Percy.
Le sorrise un po’ rigidamente e le porse la mano. “Sono Adams, dell’ufficio per il controllo di Azkaban. Prego mi segua”. Hermione le strinse la mano e guardò la ragazza un po’ incuriosita. E la seguì.
Si voltò a guardare il rosso che disse: “Quando hai finito ti aspetto al livello sei”.
Ma parlava con lei? O con la ragazza del ministero? La bionda si girò e gli fece un cenno con il capo. Ah, parlava con lei. Dovevano conoscersi molto bene, visto la confidenza.
La Adams aprì la porta di un ufficio e la fece entrare. “Posso chiedere perché sono qui?” chiese Hermione mentre entrava.
“Per Salazar, Granger, pensavo non venissi più!”
Hermione si girò verso quella voce familiare: la Parkinson stava fumando mentre era sdraiata su una poltrona: aveva tutte e due le gambe su uno dei braccioli ed era coricata sull’altro. Si sollevò per mettersi seduta quando la vide entrare e, con una mossa poco elegante si alzò per tirarsi in piedi. Con un gesto di stizza spense la sigaretta sotto una scarpa.
Oh, per Godric, che era successo?

 

Per fortuna la Granger era arrivata. Non ne poteva più di quel posto insulso.
Quella mattina aveva fatto una fatica immane a convincersi a venire al Ministero, dove poi l’avevano obbligata a lasciare giù la bacchetta (che non le avevano ancora ridato) e aveva preso la navetta smaterializzante per andare ad Azkaban. Quella era l’unica maniera per andarci, le avevano detto. Già aveva lo stomaco attorcigliato per la nausea, non era riuscita a mangiare niente a colazione e quando si era ritrovata sulla navetta, insieme a tutte quelle altre persone (e molte avevano delle facce veramente impressionanti) si era sentita una stretta allo stomaco stritolante.
Pensava che rivedere la madre le avrebbe creato dei disagi e invece no. Sua madre, che fondamentalmente stava bene, almeno fisicamente, l’aveva guardata con un’occhiata critica e aveva detto qualcosa sul suo abbigliamento. Quindi tutto come al solito. Non stava male e la trattavano con la decenza dovuta al suo rango (disse lei). Quella cosa che i dissennatori avevano perso il posto era stata una gran bella cosa (e sua madre aveva ridacchiato quando l’aveva raccontato) e i nuovi addetti sembravano un po’ inesperti.
Pansy aveva fatto finta di niente quando aveva visto sua madre buttare un occhio alla sua mano sinistra e sospirare sollevata. Aveva fatto fatica a capire perché, poi sua madre aveva iniziato una delle sue tiritere e aveva capito cosa avesse guardato: Abigail era contenta che non si fosse fidanzata. Beh, diciamo che con tutti i problemi che aveva avuto, quello era proprio l’ultimo pensiero di Pansy, ma sempre il primo di sua madre. E lei era preoccupata. Aveva intavolato una filippica sul fatto di non sposarsi per amore perché l’amore in un matrimonio portava solo guai.
La giovane Serpeverde all’inizio aveva annuito meccanicamente senza capire bene il discorso, come faceva tutte le volte. Poi, quando la madre aveva nominato suo padre, aveva ascoltato senza più muoversi o aprire bocca.
Sembrava che sua madre lo avesse sposato per amore. Ah, mamma, non perché era un purosangue da generazioni? Pensò malignamente. Quando aveva finito il discorso sull’amore, sua madre l’aveva messa al corrente del fatto che sarebbe uscita nel giro di breve tempo. Lei, che finalmente aveva iniziato ad ascoltarla le aveva chiesto cosa intendesse e sua madre aveva abbassato la voce e le aveva spiegato tutto: voleva evadere. Per Salazar. Davvero?
Non si vedevano da quasi un anno e invece di farle domande materne tipo come stesse o come stesse Camille, lei aveva pensato di raccontarle il suo piano di evasione? Iniziò a capire come mai le sue idee non avessero mai funzionato in passato: Abigail era fuori di testa. Più l’ascoltava e più si concretizzava in lei questa cosa.
Quando le chiese di tornare da lei a trovarla la prossima volta, portandole una bacchetta usata presa al mercato nero, capì che quel posto aveva peggiorato tutto. Le disse di avere contatti con due persone fuori da Azkaban che l’avrebbero potuta aiutare e avrebbero accolto anche lei, Pansy, e insieme avrebbero iniziato una nuova vita lontano, senza preoccuparsi di niente, in un paese estero su un’isola che aveva un nome indicibile (ed era abbastanza sicura che sua madre lo avesse detto sbagliato, comunque).
Dava per scontato che a lei stesse bene. Ma lei non era più la Pansy di prima. Se c’era una cosa che aveva imparato era questo: non doveva più sottostare a sua madre. Abigail rinchiusa ad Azkaban, per lei era una grande libertà. Ma non voleva dirglielo.
Non voleva, finché sua madre non disse la solita frase: “Alla fine, basta che tu sia un po’ carina con…”
Ma Pansy, questa volta, non la lasciò finire. “No mamma, io non farò più niente del genere”.
Il viso della strega divenne incredulo e bonariamente sorridente “Come, tesoro?”
“Non chiamarmi tesoro. Non farò niente per te. Tantomeno questo. Non mi prostituirò più per te, mi hai capito?”
Il volto di sua madre impallidì. “Ma cosa dici, Pansy, io non ti ho…”
“E scusami, ma Camille, in tutto questo organizzatissimo piano, dove dovrebbe stare?”
“Come dove? A Beauxbatons. Dov’è adesso, no?”
“Camille è a Hogwarts con me”. Sua madre aveva strabuzzato gli occhi e chiesto spiegazioni. “Ci sono state delle incomprensioni con Pascal… Ho preferito portarla qui…” Non aveva voluto dirle di tutto il resto. Non c’era bisogno.
“No! Camille doveva rimanere in Francia. Doveva sposare Dumont la prossima estate!”
Pansy sentì rizzarsi i capelli. “Ma… tu sapevi di Dumont?”
Cioè, sua madre sapeva che Pascal voleva far sposare Camille, che aveva solo quindici anni, con un uomo che aveva il doppio dei suoi anni? Ma… non doveva gestire il patrimonio di famiglia? Oh, forse con il fatto che non c’era più un solo galeone, avevano scelto di mandare al macello anche lei. Stupendo.
“Sì, avevamo organizzato tutto. Lui avrebbe pagato bene. Forse non l’ha più voluta dopo questo piccolo scandalo del signore oscuro?” disse infatti la madre.
Piccolo scandalo? La guerra che aveva scatenato il suo signore oscuro era un piccolo scandalo? E un Ungaro Spinato era un animaletto da compagnia, allora? Pansy non volle sentire altro.
Si alzò. “Mamma è stato bello vederti. Ma non so se tornerò. Avrei accettato quasi tutto, davvero. Un bel ‘mi dispiace di essere stato uno schifo di genitore’ sarebbe stato carino, ma anche un solo ‘mi fa piacere vederti’, mi avrebbe fatto contenta. Ora, però, basta. Buona giornata”. Si girò senza dire nient’altro né dare l’opportunità alla strega di ribattere o di scusarsi. (Scusarsi? Che utopia, non l’avrebbe mai fatto!)
Si era incamminata verso l’uscita e aveva atteso per l’ora seguente la navetta di ritorno. Aveva avuto tempo per pensarci. Sua madre non sarebbe mai stata capace di mettere in atto quello che aveva detto. Non da sola. Le due persone che volevano aiutarla potevano essere un pericolo. Così, dopo aver cambiato idea almeno trecento volte e con la morte nel cuore, al ritorno al Ministero, invece di tornare a Hogwarts aveva bussato all’ufficio della Adams (ma non sapeva ancora che fosse lei la responsabile di quell’ufficio) e aveva raccontato quello che sapeva.
E ora si ritrovava rinchiusa lì da così tanto tempo che aveva perso il conto delle ore. Per fortuna che le era venuta in mente l’idea di far chiamare la Granger.
O Santa Granger!

 

Hermione si avvicinò e, lanciando un’occhiata alla strega bionda, disse alla Parkinson: “Ti stanno cercando tutti. Perché sei qui?”
“Bella domanda!” Il suo sguardo la oltrepassò e si fermò sulla bionda. “Perché sono ancora qui, Adams?” La riccia si voltò verso l’addetta del Ministero, che era un po’ rigida e si toccava continuamente una mano.
“Perché dobbiamo ancora valutare la tua storia, Parkinson. E trovare qualcuno che garantisca per te” rispose, un po’ esasperata.
“Pensavo doveste darmi del lei. Va beh. Dicevamo? Già, giusto, qualcuno che garantisca per me. Ed ecco che arrivi tu, Granger” rispose quindi la Parkinson con un tono che a Hermione ricordava Draco quando veniva fuori il suo lato ‘purosangue’.
“Io?”
“Sì, ho detto che eravamo amiche, scusami, ma non avrei potuto chiamare nessun altro. Giuro che mi sdebiterò!” La Parkinson aveva sussurrato. Hermione sbatté le palpebre. Ok, cosa stava succedendo ancora?
“Ci sediamo a parlarne?” propose la bionda. Adams, giusto? Hermione annuì e la strega, con la bacchetta avvicinò due sedie alla sua scrivania. “Prego sedetevi”
“Come sei carina, adesso…” La Parkinson sbuffò mentre si sedeva. “Ci offrirai anche il tè? Perché non ho intenzione di bere più niente…”
Ma… perché la Serpeverde aveva quel tono? Si conoscevano?

 

Pansy vide la Grifondoro guardarla con curiosità. Poi capì. Non l’aveva riconosciuta. Ghignò un po’. “Oh, Granger, non hai idea di chi sia lei, vero?” disse, indicando la bionda.

 

Hermione guardò la strega e lei divenne un po’ rossa sulle guance e si toccò ancora la mano. Notò che si toccava un dito. Forse aveva un tic. Sapeva che i lavori un po’ stressanti causavano cose di questo genere e sicuramente avere a che fare con Azkaban era un lavoro stressante.
“Io… ho frequentato Hogwarts…” continuò la Adams. Hermione la guardò bene. Quanti anni poteva avere? Ventidue? Ventitrè? Cercò di ricordarsi il cognome, se lo avesse già sentito. Niente.
“Mi spiace non ricordo. In che casa eri?”
“Corvonero” rispose la bionda. La riccia scosse la testa.
“Era dello stesso anno della Light. Dai, che lei te la ricordi, la Light” disse la Parkinson malignamente. La Adams divenne ancora rossa. Light.
“Penelope Light?” Hermione si ricordava di Penelope. Aveva usato il suo nome quando era stata catturata dai mangiamorte. E si ricordava di Penelope perché… perché era un prefetto… faceva la ronda con Percy… e Ginny li aveva beccati a baciarsi in un’aula vuota “Penelope la ragazza di Percy?” chiese quindi, improvvisamente. Ma Percy non si era fidanzato? E non con Penelope… Con chi? La Adams si gonfiò un po’.
“Beh, mi sa che non lo è più, giusto, Adams?” La Parkinson aveva un tono e una faccia da Serpeverde.
“E tu, come lo sai?” La bionda aveva perso un po’ di compostezza.
“Oh, dai, ti tocchi continuamente quel dito! Hai un anello di fidanzamento nel cassetto? Che ti togli quando arrivi e che ti metti quando esci di qui, magari? E da come ti parla quel Weasley, direi proprio che te l’ha regalato lui. Mi meraviglio soltanto che vi diano degli incarichi così importanti, siete maledettamente prevedibili!” Hermione spalancò la bocca
“Ma… Sei Audrey? Audrey la fidanzata di Percy?” Lei sorrise e annuì.
“Bene. Congratulazioni. Ora che ci siamo presentate, possiamo andare avanti? Io non mangio niente da non so quanto tempo, sono in astinenza da bacchetta e non vedo l’ora di riabbracciare mia sorella, quindi… Ci diamo una mossa?” La Parkinson era spazientita. E cattiva. E nervosa. L’aveva sentito dire che si era un po’ incattivita, ma non aveva ancora testato il suo nervosismo. Ok.
“Quindi? Di cosa dobbiamo parlare?” chiese Hermione. Aveva paura che fosse una cosa lunga.
E fu proprio così.

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Capitolo 40
*** La casa di Pansy e Camille ***


La casa di Pansy e Camille

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Hermione sospirò quando uscì dal camino.
L’ufficio della McGranitt era illuminato solo da una piccola lanterna accesa sulla scrivania. Pensò che non ci fosse nessuno, quando sentì la voce della preside esclamare: “Signorina Granger!”, così si spaventò e sobbalzò.
“Preside McGranitt”, la strega le andò vicino.
“E la signorina Parkinson?” Hermione si girò verso il camino.
“Sta arrivando” disse indicando le fiamme. Così lei sapeva che al Ministero ci sarebbe stata la Serpeverde? Avrebbe potuto avvertirla.
“Per Salazar! Granger, potevi aspettarmi!” La Serpeverde arrivò subito dopo, sul tappeto davanti al camino. “Buonasera preside. La Granger qui, può testimoniare che stavolta non è stata colpa mia. Sono stata trattenuta contro la mia volontà. Dal Ministero!”

 

Pansy calcò un po’ sull’ultima frase per far capire alla preside quanto fosse seria la questione e sperare di non beccarsi un’altra punizione. Vide la McGranitt annuire distrattamente e prese la palla al balzo.
“Perfetto. Allora andiamo. Buonanotte!” Trascinò fuori dall’ufficio anche una sorpresa Granger e uscirono nel corridoio. Lì si bloccò: non pensava di trovare qualcuno lì fuori. “Oh. Buona… sera” balbettò.
Una manciata di Grifondoro e una manciata di Serpeverde stavano giocando a carte seduti per terra nel corridoio. Camille si alzò appena la vide e le corse incontro abbracciandola e piangendo.
“Pansy! Pensavo non tornassi più!” La stritolò forte e singhiozzò. Pansy sentì una stretta allo stomaco. Le accarezzò i capelli.
“Camille, non dovevi preoccuparti. Lo sai che non ti libererai facilmente di me” disse ironicamente, ma non doveva esserle riuscito bene forse perché era così stanca.

 

Camille aveva alzato lo sguardo appena la porta si era aperta.
Quando aveva visto la sorella uscire, si era alzata dal pavimento e le era corsa incontro. Non era mai stata così felice di vederla. Aveva avuto paura.
Non riusciva a trattenere le lacrime. Si era davvero spaventata. All’inizio era incattivita perché Pansy era andata da sola, ma poi Potter le aveva spiegato che per i minorenni c’erano giorni prestabiliti e non avrebbe potuto prenderla su neanche se avesse voluto.
Pansy era andata a vedere se Azkaban fosse un posto terrificante e se lei avesse potuto andarci senza problemi. Anche questo glielo aveva spiegato Potter. Era stato così gentile.
E Ginny l’aveva tranquillizzata ogni volta che, spaventata, pensava che Pansy non sarebbe tornata più.

 

Ginny si alzò anche lei e le andò vicino. “Perché non ci hai detto che andavi ad Azkaban? E perché ci hai messo così tanto? Cos’è successo?”
Pansy la guardò teneramente. “Perché volevo evitare tutte queste domande”.
“Ci hai fatto preoccupare!” La rossa si avvicinò e l’abbracciò forte.
“Non era mia intenzione. Io volevo solo… Andare e tornare senza far sapere niente a nessuno.”
“Perché non volevi dire niente a nessuno?” Daphne si era avvicinata e l’aveva abbracciata anche lei.

 

Pansy si leccò le labbra. Tentò di stare zitta, ma perse contro se stessa.
“Non sono abituata a persone che si preoccupano per me. Mi piace fare le cose da sola”. Draco si avvicinò e vide avvicinarsi anche gli altri. No, no. Ginny le chiese dove fosse stata tutto il pomeriggio. Si girò verso di lei, forse avrebbe potuto parlare con lei e basta. Se non avesse fatto domande dirette.
“Al Ministero e non voglio parlarne. Adesso ho fame e sono stanca. Voglio andare in camera” rispose.
“Perché non vuoi parlarne?” Daphne aveva una curiosa ruga sulla fronte, mentre faceva quella faccia.
“Perché è stato umiliante e lei mi ha detto di non dirlo a nessuno”. Non riuscì a frenare la frase. Si maledisse. E maledisse il Ministero. Sbuffò. “Non c’era bisogno che aspettaste tutti qui. Ma grazie. Ora vado nei sotterranei”.
Lanciò uno sguardo a tutti e si fermò un po’ di più su il rosso Grifondoro. Come le mancava. Si leccò le labbra per non parlare.

 

Draco si avvicinò a Hermione e le chiese: “Con chi ha parlato al Ministero?”
“Con Audrey Adams.”
“E chi è?” chiese il biondo ad alta voce.
Pansy si voltò verso di lui e si leccò di nuovo le labbra. “Non ti ricordi della Adams, Draco? È quella stronza che al terzo anno ci ha detto che non potevamo stare nell’aula del secondo piano a organizzare gli scherzi per i primini”, lei fece saettare ancora la lingua. “Sembra ancora che abbia una Firebolt infilata…”
“Ok, ok”. Vide Hermione tapparle la bocca con la mano, con sguardo colpevole.
Poi un dubbio si insinuò nella testa del Serpeverde. “Parli troppo. Ti hanno dato qualcosa al Ministero?” Ma, sebbene la domanda fosse rivolta alla mora lui si girò con sguardo severo verso Hermione.
Hermione annuì un po’ distrattamente mentre la Serpeverde parlava, dopo essersi leccata ancora le labbra.

 

“Certo. Non mi credevano mica. Mi hanno fatto bere il veritaserum. Due volte. Ma la prima volta me l’ha data di nascosto. Sai com’è… sono una Serpeverde…” Pansy lanciò uno sguardo di sfuggita al rosso che la guardava senza dire niente.
Ginny fece un passo avanti. “Ok. Si va via, adesso”.
Le mise una mano sulla spalla per spingerla verso il corridoio.
“Cosa pensi veramente di me?”
La Serpeverde guardò verso la voce familiare che le aveva parlato e sorrise un po’ malignamente. “Mi aspettavo uno scherzo del genere da te, Blaise. Sei un caro amico, ma nascondi la tua insicurezza sotto un atteggiamento veramente stronzo. Ti voglio bene e mi hai aiutato. Io non lo scorderò mai”, sorrise, “Ma mi hai sorpreso quando mi hai detto di essere innamorato di Daphne, ero convinta fossi gay”. Si leccò le labbra e si girò verso Daphne. “Sappi che se non lo rimetti in riga, farò saltare il vostro matrimonio”. La bionda sorrise mestamente, annuendo e lanciando al moro una brutta occhiata.

 

Ginny tirò fuori la bacchetta. “Se un altro di voi chiede qualcosa lo schianto” disse mettendosi davanti alla Serpeverde. Sentì la mano della ragazza posarsi sulla sua spalla.
“Sei molto carina, Ginny. Avrei dovuto fare amicizia con te anni fa. Ma non c’è bisogno, vado a letto. Buonanotte a tutti.”
La rossa si girò verso di lei e la guardò mentre camminava lungo il corridoio, insieme a Camille. “Zabini sei proprio uno stronzo. E anch’io pensavo fossi gay”.
E così dicendo si avviò verso le scale.

 

Ron vide Harry seguire sua sorella e la Greengrass seguire l’amica. Si girò verso Malfoy e Hermione che parlottavano a bassa voce. Poi guardò anche il moro. Aveva una faccia strana. Sembrava serio. Ma poi si riprese e tornò il solito buffone.
“Ah, ah, io gay?” Per un attimo lo invidiò. Avrebbe voluto anche lui chiedere alla Serpeverde cosa pensasse di lui. Ma non lo avrebbe mai fatto. O sì? Oh, se fossero stati soli, probabilmente sì. Si pentì di averlo pensato. Almeno lei stava bene. Per il momento l’importante era questo.
Raggiunse velocemente sua sorella e Harry e andò con loro in sala comune.

 

***

 

“Che orario stupido per un allenamento!”
Ron sbuffò quando sentì uno dei ragazzi lamentarsi. Avevano cambiato l’orario per colpa sua. Avrebbero dovuto allenarsi il giorno dopo ma lui aveva chiesto a Harry di spostare l’allenamento di un giorno e siccome Tassorosso e Serpeverde erano quelli con la partita più imminente, avevano la precedenza con la scelta degli orari.
Era tardissimo e c’era freddo. Forse non era stata proprio una bella idea. Ma ormai…
“Scusate ragazzi, è stata colpa mia” disse allo spogliatoio.
Non voleva che Harry beccasse su. Ma lui lo guardò e alzò le spalle, come se non gli importasse. Si infilò i suoi guanti nuovi, prese la scopa e uscì diretto al campo.

 

Ginny vide suo fratello uscire e prepararsi a decollare. Quando fu a qualche piede da terra notò che aveva indosso i guanti arancioni dei Chudley Cannons. Sorrise. Se Pansy era riuscita (finalmente!) a darglieli voleva dire che si era smosso qualcosa.
“Bei guanti Ron!” gridò al fratello. Lui alzò il pollice in segno affermativo e fece qualche giro del campo volando.
Quel giorno la tribuna era vuota. Le grupies del fratello, come le piaceva chiamarle, non c’erano. Loro avevano saputo dell’allenamento solo nel pomeriggio e probabilmente le ragazzine non lo avevano saputo.
Non sapeva se essere contenta o meno. Spesso erano invadenti e le loro scritte erano un po’ noiose e stucchevoli (soprattutto quelle su Ron), ma a Ginny piaceva passare davanti alla tribuna salutando mentre loro facevano esplodere i fuochi d’artificio anche per lei.

 

Ron raggiunse Ginny che svolazzava in tondo in maniera scomposta e distratta.
“Tutto bene?” le chiese quando le fu vicino. Erano ancora gli unici in campo.
Ginny annuì e con il capo indicò le sue mani. “Molto meglio degli altri, vero?” disse ammiccando.
“Sì. Gli altri si erano usurati troppo per poterli usare ancora. E poi, dai: Chudley Cannons!” Lui sorrise alzando una mano in aria e guardandola. Poi divenne serio. “Harry dice di usarli comunque, visto che i miei sono impraticabili…”
Erano nuovi. Non aveva mai avuto dei guanti da portiere nuovi. E della sua squadra preferita, poi. Ma indossarli lo metteva a disagio. Aveva trovato il pacchetto con i guanti sul letto, dieci giorni prima. Ma non sapeva chi glieli avesse regalati. Non c’era neanche un biglietto. Aveva il terrore che potesse essere stata una di quelle ragazzine della tribuna e non voleva che ridacchiassero alle sue spalle. O peggio, che pensassero che fosse un idiota perché non aveva capito chi era stato e non aveva ringraziato. Ma Harry, che aveva accettato ben due scope in regalo senza sapere chi gliele avesse regalate, gli aveva detto di usarli e fregarsene. Che lasciarli a marcire nel pacchetto non sarebbe servito a niente.
Così si era convinto. Erano morbidissimi. E odoravano di buono. Guardò la tribuna. Per fortuna era vuota.
Non notò Ginny, accanto a lui, che lo guardava stranita.

 

Cosa voleva dire ‘usarli comunque’? Ginny osservò il fratello che si guardava pensieroso i guanti.
Arrivò anche Harry e mentre faceva tre giri di campo, uscirono anche gli altri. Svolazzarono di qua e di là e qualcuno liberò le palle. Quando Harry si accostò a lei, appoggiò una mano sul manico della sua scopa, appena dietro al suo sedere e si avvicinò.
“Ciao piccola”, le diede un bacio leggero sulle labbra. Sentì le guance prendere fuoco. Ma doveva farlo davanti a Ron?
“Hai visto i guanti di Ron?” gli chiese per sviare l’attenzione. Ma suo fratello non li aveva neanche in nota.
“Già. Ci ha messo più di una settimana a convincersi a usarli. Di questo passo avremmo fatto l’ultima partita e lui non li avrebbe mai usati!” Harry rise e svolazzò intorno a loro.
“E perché?”
“Perché glieli ha regalati un’ammiratrice segreta!” Harry alzò la voce perché volava intorno a lunga distanza e anche gli altri lo sentirono.
“Un’ammiratrice segreta?” chiese Dean ridacchiando. Ron sbuffò e volò via verso i pali. Ginny raggiunse Harry e gli fece la stessa domanda di Dean.
Harry alzò le spalle. “Li ha trovati sul letto, dieci giorni fa. Ma non c’era neanche un biglietto. Era preoccupato di quello che potessero pensare gli altri. Sono riuscito a convincerlo a metterli solo dopo aver chiesto a Hermione di fare un incantesimo di invecchiamento agli altri, altrimenti li avrebbe ancora addosso. È un po’ cocciuto…”
Spiegò il moro. Ma Ginny sorrise. Sapeva com’era fatto il fratello. L’unico problema era che lei sapeva benissimo chi gli aveva regalato i guanti. Sospirò.
“Hai fatto bene!” E gli strizzò un occhio.
Volò verso il baule con le pluffe e ne raccolse una. Ne aspirò l’odore e si fece forza. Il cuoio era uno dei profumi più buoni del mondo. Girò intorno al campo e prese una gran rincorsa. Quando lanciò la pluffa suo fratello non riuscì a pararla in tempo perché stava già parando due pluffe che gli avevano lanciato Lydia e Dean, e lei ridacchiò.
“Harry, la prossima volta spera che regalino a te un portiere più attento, invece che un paio di guanti da fighetto a lui!” Ron rise con lei e le fece un gestaccio molto molto affettuoso. Gli lanciò altre pluffe ma non riuscì più a fare gol.
Ron aveva deciso di parare solo le sue. Fu un allenamento estenuante, ma divertentissimo.

 

***

 

Hermione era in biblioteca a fare i compiti.
Vedeva Nott flirtare con una ragazzina che avrà avuto al massimo quattordici anni e la cosa la innervosiva parecchio. Dopo aver scoperto tutte quelle cose su quel ragazzo, non riusciva a non controllare in continuazione quello che faceva. Qualcuno si sedette vicino a lei. Si voltò e vide Draco sorriderle. Quando guardò nella direzione in cui stava guardando lei, il suo viso si rabbuiò.
“Che succede?” le chiese.
“Come?”
“Perché guardi Nott?”
“Non guardo Nott” disse lei piccata.
“No?”
“No! Io ero qui da prima che arrivassero loro.”
“Quindi non ti interessa quello che fa Nott?” chiese lui. Lei si voltò di scatto verso il biondo, ma Draco aveva appoggiato la borsa con i libri sul tavolo ed era impegnato a tirar fuori una pergamena pulita, la penna e l’inchiostro.
“Io…” A dir la verità quel giorno aveva deciso di non avvicinare Nott, ma il fatto che lui stesse facendo quello che stava facendo con una ragazzina così piccola, la infastidiva e tanto. Tantissimo.
Ma non voleva che Draco pensasse male di lei.

 

Draco guardò la ragazza.
“Ti si legge tutto in faccia” sussurrò.
Lei strabuzzò gli occhi e disse: “Come?”
“Ti da fastidio qualcosa che sta facendo” disse, voltandosi verso il moro e la ragazzina “Cosa sta facendo che ti dà così fastidio?”
“Sta flirtando con una ragazzina.”
Lui si voltò verso di lei. “E ti da fastidio perché…”
“Perché è una ragazzina!” Hermione riuscì a urlare sottovoce.
Draco dovette soffocare una risata. “Sicura che non dovrei essere geloso?”
Lei si arrabbiò. “Guarda che io sono seria!” Draco le prese la mano e le baciò le dita. “Ok”, le accarezzò una guancia. “Mi hanno detto che ti hanno visto fare i compiti con lui…” ora era serissimo, non scherzava più. “Ora, io non so bene… Ma immagino che la Weasley ti abbia detto quello che abbiamo scoperto su quello che Nott fa alle ragazze…” Hermione annuì. “E ho saputo anche di una festa che aveva organizzato…” Lei annuì ancora. “Quindi, mi chiedevo perché tu abbia scelto di sederti vicino a lui in biblioteca, nonostante tutto”.
La ragazza sospirò e si guardò intorno.

 

Mentre roteava lo sguardo vide che Nott si era avvicinato troppo alla ragazzina e stava per baciarla. Lei era persa nei suoi occhi. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Si alzò di scatto per fermarli, ma Draco la guardò stranito. “Dove vai?” Le prese un polso e lei si bloccò dopo un passo.
Ci fu il rumore di un tonfo molto forte e grave e tutti e due si voltarono verso i ragazzi, da dove era venuto il rumore.
Tutta la biblioteca si girò verso di loro: la Parkinson era in piedi dietro le spalle di Nott e aveva una faccia cattivissima. Non stava ghignando, ma aveva uno sguardo di fuoco. Si sarebbe spaventato anche il basilisco. Hermione non riuscì a capire cosa disse, ma si girò verso la Pince e alzò una mano per scusarsi.
Appena la bibliotecaria riportò l’attenzione alle pergamene che stava leggendo, si rigirò verso i ragazzi e disse qualcosa alla ragazza. La ragazzina, che aveva la divisa Tassorosso, si alzò, annuì e si accovacciò per terra. Non la videro più per qualche minuto. Poi si rialzò e Hermione notò che aveva in mano tre tomi alti almeno quattro pollici. Sembravano anche pesanti.
La Serpeverde indicò alla ragazzina uno scaffale e lei si incamminò. La Parkinson guardò Nott, ma lui ghignò, per nulla infastidito. Poi la Serpeverde si girò e seguì la Tassorosso.
Nott cambiò espressione e si passò una mano fra i capelli. Sembrava teso o forse nervoso.
Hermione si sedette di nuovo vicino a Draco. Il moro si guardò intorno e tutti quelli che avevano assistito alla scena si cercarono un’occupazione che li tenesse impegnati. Nott si voltò verso di loro e con un cenno li salutò.
Draco ricambiò il gesto e Hermione, stranita, lo salutò con un sorriso sbilenco. Poi lui si alzò e se ne andò verso l’uscita della biblioteca, dalla parte opposta alle due ragazze.

 

“Ma così l’ha fatto arrabbiare!” Draco alzò le spalle. Pansy sapeva quello che faceva. Il più delle volte. Sperò che lo sapesse anche quella volta lì.
“Non preoccuparti.”
Lei lo guardò con uno sguardo un po’ strano, ma non disse niente. Guardò verso la Serpeverde e lo fece anche lui. Probabilmente stava dando ordini alla ragazzina, che ora aveva uno sguardo un po’ impaurito. Poi lei si voltò verso di loro e li salutò con la mano, con un sorriso stanco. Anche loro la salutarono.
“Tu sai perché lei e Ron si sono lasciati?” gli chiese.
Draco si voltò verso la riccia che aveva preso un libro di pozioni e lo aveva aperto alla pagina giusta.
“Perché lui è un troll?”
“Draco…” Il suo tono era stanco. Alzò le spalle. “O forse lo è lei”. Hermione lo guardò di nuovo. E a lui non fregava più niente. Di Pansy, di Weasley, neanche di Nott.
Si chinò sulla ragazza e la baciò. Lei rise e mormorò sulle sue labbra: “La Pince ci sta guardando”.
“Allora andiamo!” Si alzò in piedi, con un gesto veloce raccolse le sue cose, prese la borsa e la mano della ragazza e la trascinò fuori dalla biblioteca.
“Dove andiamo?”

 

“Dove andiamo?”
Hermione sapeva che la sua domanda non sarebbe servita a niente. Non le interessava dove stessero andando, anche se, quando arrivarono al bagno dei prefetti sorrise e annuì mentre sentiva le guance colorarsi.

 

***

 

Pansy si materializzò sulla strada.
Sapeva che non c’erano problemi, l’aveva fatto miliardi di volte, fino all’anno prima. Al suo braccio, Camille aveva la faccia nauseata. “Non vedo l’ora di farlo da sola”.
Pansy sbuffò. “Ringrazia di poter venire con me”. Si avviarono insieme e davanti al cancello dell’abitazione due addetti del Ministero, che guardavano verso la casa, le stavano aspettando.
Si avvicinò cautamente. Le faceva un po’ effetto rivedere casa sua. Camille saltellava contenta al suo fianco. Per un attimo desiderò avere ancora quindici anni. Ritornare bambina. Non avere tutte quelle cose da pensare. Sospirò sorridendo alla sorella e si avvicinarono al cancello.
Quando i due addetti si girarono verso di lei, riconobbe Ron. Weasley, doveva ricordarsi di chiamarlo Weasley. Aiutava a tenerlo lontano.
“Weasley, sei venuto anche tu?” Camille saltellava vicino a lui, aggrappandosi al cancello.
“Signorina Parkinson, sono Smith, buongiorno”. L’addetto che non conosceva si presentò e le strinse la mano. Lei riuscì a borbottare qualcosa in risposta. E guardò di sottecchi il rosso. Era venuto come addetto del Ministero?
“Apriamo il cancello ed entriamo?” La Serpeverde annuì a Smith.
Tirò fuori la bacchetta e aprì il cancello. Il giardino era un caos totale. L’erbaccia era altissima e il viale sporco. Appena avesse ripreso possesso della casa, avrebbe messo all’opera gli elfi. Ma poi ci ripensò. In fin dei conti perché sistemare quella casa? A lei piaceva molto di più quella dove si era trasferita. Si girò verso la sorella: forse interessava a Camille. Avanzò decisa verso il portone. Le sue scarpe non erano adatte ad attraversare quel lerciume nel cortile e si sporcarono in maniera indecorosa.
Davanti al portone le osservò e le pulì con la bacchetta. Si rese conto di non aver nessuna fretta di entrare.

 

Smith aprì la porta d’ingresso e disse: “Perfetto. Può firmare qui, signorina Parkinson?” Le porse una cartelletta su cui era fissata una pergamena. Lei guardava curiosa verso l’ingresso e poi si girò verso l’addetto e si avvicinò.
“Cos’è?” Lui tossicchiò.
“La ricevuta di aver riscosso l’immobile nello stato in cui era stato sequestrato.”
La ragazza alzò un sopracciglio. Ron pensò che il suo atteggiamento snob venisse fuori solo quando aveva a che fare con il ministero.
Si sentì la voce di Camille, che era entrata in casa senza che nessuno se ne accorgesse, “Quel gâchis ici!”.
Pansy si voltò verso l’entrata e poi di nuovo verso Smith. “Vorrà dire che prima di firmare mi assicurerò che tutto sia nelle condizioni in cui l’avete preso”. Ridiede la cartelletta a uno stupefatto Smith e si avviò verso la casa.
L’addetto si voltò verso Ron con sguardo incredulo e lui alzò le spalle seguendo la Serpeverde.
Si fermò appena oltrepassata la porta d’ingresso: Pansy era in mezzo all’atrio e si guardava intorno. Era tutto un disastro: i quadri erano caduti e signore di mezza età e anziani bisbigliavano fra loro spostandosi fra le varie cornici, mentre lei accarezzava il corrimano della scala. Vasi rotti erano sul pavimento e qualche mobile era rovesciato. Per terra c’erano strisce di fango e erba.
Quando si voltò e li vide entrare chiese con una voce sottilissima: “E gli elfi? Cosa gli avete fatto?” Smith fece scorrere un po’ di pergamene.
“Gli elfi saranno disponibili appena ci sarà la sua firma sulla pergamena” disse con uno sguardo arrogante. Lei annuì senza dire niente e si diresse verso quello che Ron immaginò fosse il salotto.
O una sala da ballo, pensò entrando nell’enorme salone. In quella casa faceva freddissimo. Forse perché era così grande. Deglutì.
Camille non si vedeva. Chissà dov’era finita. Un pianoforte grigio era hinato su una gamba rotta. Un completo disastro.

 

“Tutto nello stato in cui era?” disse ironica Pansy a Smith.
Si avvicinò al pianoforte e accarezzò il coperchio dei tasti. Fu contenta di vederlo arrossire e borbottare delle scuse.
Il piano lo avrebbe sistemato. Dopo. Tutte le cornici che erano appoggiate sul pianoforte erano state messe a faccia in giù. O forse erano cadute. Ne alzò una. Non si ricordava cosa ci fosse lì. Era la stanza preferita di sua madre, dove incontrava le amiche, dove si faceva invidiare dalle finte amiche. Le apparenze prima di tutto.
Vide una foto di lei e Camille da piccole, con abiti natalizi. Che falsità. Però Camille era molto carina. L’appoggiò dritta e scoprì che rimaneva in piedi.
Si allontanò dal pianoforte e decise di controllare tutto senza soffermarsi sui ricordi, altrimenti loro due non se ne sarebbero più andati.

 

Ron si avvicinò al pianoforte e prese un’altra cornice.
Guardò di sottecchi la Serpeverde ma lei non guardava nella sua direzione, borbottava con l’idiota del Ministero e insieme uscirono dalla stanza per andare a vedere qualcos’altro. Guardò la foto della cornice che aveva in mano: Malfoy lo guardava sorridendo accanto a una Pansy vestita di rosa. Ricordò vagamente il ballo del ceppo al quarto anno. Lui teneva la mano sul suo fianco tirandola verso di sé e lei si avvicinava a lui per fare la foto. Ma i loro sorrisi non erano un granché. Beh, non aveva mai visto sorridere Malfoy, quindi non avrebbe saputo dire bene cosa volesse dire, ma aveva visto Pansy ridere e sorridere più volte e il suo non era un sorriso sincero.
Riappoggiò la cornice a faccia in giù sul pianoforte e lanciò un’occhiata a quella delle due bambine vestite di rosso che salutavano sorridendo. Le altre non le toccò. Non voleva correre il rischio di vedere ancora Malfoy.
Mise le mani in tasca e seguì il percorso degli altri. Sentiva la Serpeverde lamentarsi con Smith e lui che borbottava qualche scusa.
Involontariamente sorrise.

 

Pansy aveva controllato tutto il piano inferiore, così salirono al piano superiore. Quando furono in corridoio, sentì Camille che parlava da sola nella sua stanza. Controllò le camere da letto, quella della madre, quella degli ospiti, lo studio di Julien, i bagni, tutto.
Lasciò per ultima la sua stanza: quella era un’emozione grossa. Un anno che non ci entrava. Vide il Grifondoro salire la scala. Oh, bene, pensò ironica. Ma lui doveva esserci per forza? Sospirò. Era già abbastanza dura così.
Quando fu davanti alla sua stanza scoprì che la serratura della porta era stata fatta esplodere. Esplodere? E sì, la serratura non c’era più e la porta era tutta annerita.
Imprecò. Ok il resto: il pianoforte, i quadri, i piatti, i vasi cinesi e tutti gli altri danni che aveva visto, per non parlare del fango, dei tappeti rovinati e i muri spaccati in più punti (ma cosa avevano cercato, poi?), ma la sua stanza? Cosa pensavano di trovare nella sua stanza?

 

Ron era appena salito al piano superiore quando la mora imprecò. In maniera molto colorita.
Sorrise. Lei gli faceva sempre quell’effetto. Ma quando vide la sua faccia il suo sorriso sparì.
“Oh, Oh. La ragazza ha quell’espressione!” Ron si girò: alla sua destra qualcuno aveva parlato. Si trovò a fissare un quadro: una donna robusta vestita di rosso con un rossetto dello stesso colore apriva e chiudeva un ventaglio e lo teneva davanti alla bocca quando parlava a un’altra strega vestita di blu. Sembravano due matrone dell’ottocento.
“È la stessa di quando ha gridato ‘Se proprio ci tieni allora sposatelo te’ alla madre”.
“Già, Già”. Annuirono tutte e due.
“Mi ricordo anche il rumore dello schiaffo che ha preso dalla signora.”
L’altra annuì ancora. “I figli non dovrebbero rivolgersi così ai propri genitori!”
“Però sua madre ha pianto tanto quando per una settimana non è tornata a casa…” Ora annuiva quella vestita di rosso.
Pansy aveva litigato con la madre ed era scappata di casa per una settimana? Ron non faceva fatica a immaginarselo. Lui si voltò di nuovo verso la mora e la vide avvicinarsi a lui. Sempre di più. Sempre con quella faccia. Un po’ faceva paura. Ma quando gli fu vicina lo degnò velocemente di un’occhiata e lo oltrepassò.
Si girò e vide che dietro di lui c’era Smith. Oh, non l’aveva visto.

 

“Perché c’è un buco al posto della serratura della mia stanza?” chiese molto nervosa al damerino del Ministero.
Lui scartabellò le pergamene, come aveva fatto per ogni danno che lei gli aveva fatto notare, e disse: “Non avevano funzionato le solite magie per poter aprire la porta”.
La ragazza sbuffò. “Il Ministero non riesce ad aprire una porta incantata da un’adolescente? Mi meraviglio che siate ancora in piedi!” Era troppo. “Senta, mi dia quella cosa da firmare. Così potrete andarvene”.
Lui tirò fuori la prima pergamena che aveva guardato, prese una piuma e iniziò a leggere. “Lei è la signorina Pansy Lenore Parkinson, nata il 12 febbraio 1980…” Pansy lo guardò esasperata. Doveva elencare tutto?
Lo interruppe. “Sì, sì, sì. Su, facciamola finita”. Prese la piuma e cercò l’inchiostro per poter firmare. Ma non lo vide. “Dov’è l’inchiostro?”
Lui la guardò divertito e con una smorfia leggermente strafottente. “È una piuma autoinchiostrante”. Oh. Ci rimase male.
“È una delle nostre.”
Si girò verso il rosso. Era la prima volta che apriva bocca. Annuì senza dire niente.

 

 

Che cosa stupida aveva detto! Avrebbe potuto dire qualcosa di diverso. Qualsiasi cosa! Ron si diede del troll da solo.
La Serpeverde firmò nervosamente e quando Smith si chinò per cercare un’altra pergamena da firmare lei si avvicinò la penna al naso e chiuse gli occhi. Che cosa strana. Quando lui le porse l’altra pergamena la firmò velocemente e gli ridiede la piuma.
“Arrivederci, allora. E buon compleanno”. Il damerino strizzò un occhio. Che idiota. Strinse i pugni nelle tasche.
“Troll, il dodici è domani” Camille era uscita da dove si nascondeva ed era di fianco a lui. Buon compleanno? Domani? Il dodici febbraio, aveva detto. Cioè, il giorno dopo era il compleanno di Pansy?
“Devo ancora capire perché il tuo secondo nome è così bello mentre il mio fa così schifo”. Camille sospirò come se avesse dieci anni, mentre Smith scendeva la scala e se ne andava dalla porta principale.
“Non sarà brutto quanto il mio” le disse lui.
La piccola lo guardò alzando un sopracciglio e Ron notò la somiglianza con la sorella. “Segolene” disse.
Lui sorrise. “Bilius”.
Lei lo guardò trattenendo una risata. “Sono ancora convinta che sia più brutto il mio!”

 

Pansy li guardò mentre ridacchiavano e si lamentavano dei loro nomi. Quando sentì Smith uscire dal portone chiese al rosso, indicando la scala: “Ma tu… Non sei venuto con lui?”
Il ragazzo si voltò verso la Serpeverde e il suo sorriso svanì.
“No.” E allora cosa faceva lì?
“E cosa ci fai qui?” Pansy avrebbe baciato Camille per averglielo chiesto al posto suo.
Il Grifondoro si mise le mani in tasca e alzò le spalle. “Avevo una commissione da sbrigare. E dopo sono venuto qui”.
Pansy era sorpresa. “E come lo sapevi?” Oh, che domanda stupida! Non era riuscita a controllarsi. Probabilmente loro sapevano tutto quello che succedeva al Ministero. Non aspettò risposta e si girò verso il corridoio. In fondo c’era la sua stanza.
“Va beh, non fa niente. Vado a vedere com’è ridotta la mia camera.”
E si avvicinò alla porta.

 

Ron ringraziò il cielo che lei non avesse voluto una risposta. Era stata sua madre a dirglielo. E lui era stato contento che lo avesse fatto. Era contento di averlo saputo perché così aveva chiesto alla McGranitt il permesso per andare alla Gringott proprio lo stesso giorno, ma era imbarazzante perché sua madre infilava il naso dappertutto. Oh, era utile, ma non voleva che lo sapessero gli altri.
Pansy aprì la porta ed entrò nella stanza. Camille saltellò dietro di lei. Ron non riuscì a trattenere la curiosità. Fece velocemente i passi che lo separavano dalla porta e quando fu lì davanti si fermò. Poteva entrare?
Lei era in piedi in mezzo alla stanza e si guardava intorno con uno sguardo strano. Si avvicinò alla scrivania e prese in mano qualcosa che lui non riusciva a vedere. L’avvicinò al naso e sospirò, riappoggiandola.
Entrò. La stanza era grande, più grande della sua, ma non grande quanto la camera padronale dove aveva dormito anche lui. “Posso portare a Hogwarts un po’ di cose mie?” chiese Camille sulla soglia. La Serpeverde si girò appena e senza vederla annuì.
Lui fece un giro su se stesso. La stanza era tutta nei toni del viola. Tutti i viola. Non conosceva i nomi dei colori ma era abbastanza sicuro che ci fossero tutti. Le tende, i tappeti, le pareti, le lanterne, la trapunta; tutto viola. Ma la stanza era tutta sottosopra: i tappeti erano ammucchiati di lato, alcuni listoni del parquet erano sollevati e le porte della cabina armadio erano aperte e si vedeva al suo interno i vestiti gettati tutti alla rinfusa. Una delle lanterne era rotta e il letto sembrava spostato dalla sua posizione originale. Sulla scrivania una trentina di boccetti di inchiostro di diversi colori erano coricati, aperti o rovesciati e qualcuno anche rotto.
Le piaceva l’inchiostro. Ecco cosa aveva fatto: aveva annusato l’inchiostro. Lo aveva fatto anche con la piuma. Sorrise. Più scopriva cose più sorrideva.
Vicino alla scrivania c’era un poster delle Sorelle Stravagarie in concerto. Sul poster, attaccate con il Magiscotch qua e là c’erano delle foto. Si avvicinò per guardarle meglio. Si preparò a un incontro ravvicinato con Malfoy, ma non si verificò. Foto di Pansy con la Greengrass a un concerto. Almeno cinque o sei: loro che cantavano, che saltavano, che si abbracciavano. E altre foto non al concerto, quando erano più piccole e qualcuna in costume vicino a quello che sembrava un lago. Forse Malfoy aveva fatto le foto. O forse Zabini. Ma di loro, nessuna foto. Sorrise ancora.
Toccò un’immagine e da dietro il poster cadde sul pavimento un’altra foto. Si chinò a raccoglierla. Pansy baciava un ragazzo. E sorrideva. Mica il sorriso della foto con Malfoy. Un sorriso vero. Baciava il ragazzo e quando si accorgevano del flash della foto sorridevano e lei allungava una mano a coprire l’obbiettivo. Una foto fatta a tradimento. E nascosta.
Ron non riusciva a riconoscere lui. O forse non lo conosceva proprio. Gli sembrò di spiare e appoggiò la foto sulla scrivania. Lei non lo aveva visto. Guardò i boccetti di inchiostro e tirò su quelli caduti.
Sbattè la testa contro la mensola quando si avvicinò troppo alla scrivania e alzò lo sguardo: la foto di una ragazzina a cavallo che saltava un ostacolo era incorniciata vicino a un’altra in cui una piccola Pansy entusiasta alzava una coppa mostrandola a chi reggeva la macchina. Altre foto in cornice. Si guardò ancora intorno e si avvicinò al letto. Era grande. Più grande del suo. Da sotto la trapunta, ammucchiata su se stessa, si vedeva il manico di una scopa. Una scopa? Si avvicinò: una Firebolt!
Fischiò mentre spostava la trapunta e la prendeva in mano.

 

Pansy sentì il fischio e si girò sorpresa. Si era lasciata andare con i ricordi e non si ricordava di non essere sola. Vide il rosso prendere la scopa. Sorrise: il Ministero aveva trovato la scopa.
“La Firebolt! L’hanno trovata, loro!” Camille entrò nella stanza carica di roba, appoggiando tutto sulla scrivania. “Devi incantare tu per portar via tutto”. Pansy annuì distrattamente, mentre Ron continuava a osservare meravigliato la scopa.
“Hai una Firebolt!” esclamò, sorpreso.
“Oh sì. Avresti dovuto sentire le urla di maman quando Pansy l’ha portata a casa!”
“Camille…” iniziò Pansy. Non voleva che raccontasse le sue cose.
“Oh?” Il Grifondoro aveva alzato un sopracciglio.
“Già. Quando hanno litigato lei è stata via una settimana e quando è tornata aveva in mano la scopa. Maman urlava così tanto e agitava la bacchetta in maniera spaventosa, così io e papà siamo usciti. Poi Pansy ha nascosto la scopa e incantato l’entrata della stanza e…”
“Camille, la ferme.

 

Ron sentì il tono della Serpeverde senza sapere cosa avesse detto, anche se immaginò che le avesse detto di tacere visto che la ragazzina si zittì, e tutti e due si voltarono verso di lei. Aveva una faccia seria.
Il rosso appoggiò la scopa sul letto, dov’era prima e disse: “Scusa. Non dovevo”. Lei alzò le spalle. “Non sapevo che volassi. Non pensavo ti piacesse” disse ancora, guardando la scopa.
“Maman non vuole che voliamo.”
“E perché?” Sentì Pansy sospirare e la vide avvicinarsi a loro. “Perché il padre di Pansy è morto cadendo dalla scopa” continuò Camille come se ignorasse tutti.
“COSA?”
Ron si voltò di colpo verso la mora, che aveva quasi urlato. Lei non lo sapeva? “E chi te l’ha detto?” chiese alla sorella in un sussurro.
Camille alzò le spalle, ma lentamente il suo gesto si fermò. “Non lo sapevi? Ho sentito maman che lo diceva alla nonna, l’anno scorso”.

 

Pansy rimase di sasso. Aveva comprato la scopa quando aveva litigato con sua madre più per farle un dispetto che per piacere personale. Ora si sentiva in colpa. Maledettamente in colpa. Aveva riso quando sua madre si era messa a urlare e aveva ghignato quando lei non era riuscita a trovarla dopo che l’aveva nascosta.
Si era guadagnata un sacco di rimproveri, punizioni e anche una maledizione dolorosissima. Ora riusciva a capire perché. Si morse il labbro e guardò la scopa. Se glielo avesse detto… Non sapeva cosa sarebbe successo. Forse non avrebbe preso la scopa, forse sì. O forse avrebbe rispettato di più il suo divieto. O forse no. Guardò la scopa. Poi guardò il rosso. “La vuoi? Se vuoi, prendila”.
E si incamminò verso la porta.

-

Ron spalancò gli occhi. Cosa aveva detto? Guardò la scopa. Era una Firebolt! La scopa più bella, veloce e robusta di sempre. No. Merlino era una sensazione favolosa solo averla tenuta in mano. No. Non poteva. Ma quel giorno aveva preso la provvigione per la vendita al ministero. Magari… “Te la pago” disse, per una volta fiero di poterlo fare.
Lei si voltò sulla porta. “Non voglio soldi per quella scopa”. Doveva essere per quello che aveva appena saputo. Sospirò.
“Non puoi regalare una Firebolt!”
Pansy alzò le spalle. “Allora lasciala lì”.
Ron sbuffò. Sembrava Malfoy: ‘Fai qualcosa’ e ‘allora non fare niente’.
“Te la vendo io.”
Camille aveva preso la scopa. La sorella ora la guardava.

 

Che intenzioni aveva Camille?
Pansy era abbastanza sicura che non sapesse quanto valesse quella scopa. Per Salazar, non ne era sicura neanche lei. Ma se l’avesse avuta quando si era trovata senza soldi, sarebbe servita. Tanto. Ma ormai non ne aveva più bisogno. Benedetta Aritmanzia.
“Quanto vuoi?” chiese il rosso. Pansy si preoccupò. Sua sorella avrebbe sparato una cifra da metterlo in imbarazzo? Non voleva.
Ma perché non l’aveva presa su e basta? Perché era un Grifondoro. Ecco perché. Stupido orgoglio Grifondoro. Si rispose da sola.
Vide la sorella scuotere la testa. “Portaci a mangiare la pizza!”

 

Ron sgranò gli occhi. “Come?”
“Voglio mangiare la pizza. La nominano tutti. E Ginny dice che ci è andata anche insieme a te. Voglio andarci anch’io. Oggi. Adesso”. La ragazzina aveva proprio l’atteggiamento purosangue.
Ci pensò un attimo: non voleva prendere la scopa senza dare niente e poteva portarle in pizzeria. Però non era abbastanza. Ma Camille fece una cosa da sorella minore: il suo faccino divenne triste e i suoi occhi si inumidirono. Era convinto che l’avesse fatto apposta. Aveva visto mille volte Ginny farlo con Charlie e con Bill. Sospirò.
“Per favore” mormorò la ragazzina. Oh, Merlino! Poteva farlo. E lo avrebbe fatto volentieri. Poteva portarle fuori e portarsi a casa la scopa. Sarebbe stato fantastico.
Lanciò uno sguardo a Pansy, ancora ferma sulla porta. Lei alzò una spalla. Tese la mano destra alla piccola Serpeverde e disse: “Andata”. Lei sorrise e gliela strinse.

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*** Buona domenica a tutti. Questo capitolo è un po' lunghetto, spero riusciate a leggerlo comunque... Grazie a tutti!!!

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Capitolo 41
*** In pizzeria ***


In pizzeria

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Ginny camminava velocemente per il corridoio dei sotterranei fuori da una noiosissima lezione di pozioni. Passò davanti a due ragazzi in un angolo buio del corridoio e, notando una testa bionda, si girò a guardarli. Le loro teste erano molto vicine mentre chiacchieravano e Ginny pensò che presto si sarebbero baciati.
Vedeva solo la nuca del ragazzo, e non la ragazza, ma immaginò che fosse Derrick e fece un passo nella loro direzione per controllare chi fosse lei. Ghignò pensando di trovare Astoria a fare qualcosa di sconveniente. Più tardi lei e Camille l’avrebbero presa in giro (e parecchio!) ma una voce la gelò sul posto: “Weasley fatti un giro”. Ginny spalancò la bocca: la Bulstrode?
Spostò lo sguardo sul ragazzo e vide Ernie MacMillan di Tassorosso. Merlino! La Bulstrode e MacMillan? Non seppe cosa rispondere e rimase imbambolata a guardarli. Poi si riprese e salutò Ernie con un cenno del capo mentre la Bulstrode guardava da un’altra parte e ritornò sui suoi passi. Incrociò i ragazzi che uscivano dalle lezioni di erbologia insieme ai Serpeverde e si avvicinò a Harry per dargli un bacio.
“Tutto bene, Ginny?” Hermione la guardò stranita mentre camminava a fianco di Malfoy. Ginny annuì senza pensarci troppo.
“Dov’è Pansy?” chiese alla Greengrass.
“Oggi le consegnavano la casa” disse la bionda. Oh, Giusto. Sì sì. Si era scordata. Annuì ancora distrattamente.

 

“Sicura di sentirti bene?” Harry osservava la ragazza un po’ preoccupato.
“Sì, si, non preoccuparti. Ho solo fame. E tu?” disse prendendo a braccetto il moro.
Hermione salutò Draco che andò a sedersi al tavolo dei Serpeverde e loro tre si incamminarono verso il tavolo rosso e oro.
“Cosa pensiamo? È strano o no che anche Ron non ci sia?” chiese sorridendo Harry mentre si sedeva sulla panca.
“Io non penso che sia strano…” iniziò Hermione ma venne interrotta da Ginny che sorrise sorniona.
“Io invece penso che la mamma glielo abbia detto e ci sia andato anche lui.”
“E che scusa avrebbe usato con la McGranitt? Non è che si può uscire così…” continuò la riccia schioccando le dita.
Ginny rise. “Certo, come se voi non andaste avanti e indietro a vostro piacimento ogni volta che volete…”
“Non è vero!” Ma Hermione divenne rossa sulle guance. La rossa le rise in faccia.
“So che Ron doveva andare alla Gringott” disse Harry, mentre iniziava a mangiare “Alla Gringott? A fare che? Un giro sui carrelli?” chiese ironica Ginny.
“Ron ha ricevuto la sua parte di provvigione per la vendita delle orecchie oblunghe al ministero. Non te l’ha detto?” la inform Harry fra un boccone e l’altro.
Hermione la guardava curiosa. Ginny scosse la testa. Oh. Aveva sentito dire qualcosa a riguardo. Continuò a mangiare in silenzio.

 

Ginny stava ancora pensando al fatto se Ron le avesse detto o meno di aver preso dei soldi dal Ministero, quando Astoria si avvicinò al tavolo dei Grifondoro, cercando di attirare la sua attenzione.

 

“Ginny!” La rossa alzò lo sguardo e vide la piccola Greengrass che gesticolava davanti a lei. “Astoria! Ciao”.
La Serpeverde sorrise. “Ciao, cosa fai domani sera?” Ginny spalancò gli occhi.
“Oh, non so, perché?” Lanciò un’occhiata a Harry che alzò le spalle.
“Domani è il compleanno di Pansy e volevamo fare una sorpresa e preparare una serata fra ragazze… Sei dei nostri? E tu, Granger?” Si girò verso Hermione e lei sbatté gli occhi.
“Io?” Astoria alzò le spalle e disse: “Sei una ragazza, no? Ma se non ti va, non fa niente”. Il suo sguardo vagò verso Harry. “Mi spiace, Potter, solo ragazze”. Lui sorrise.
Harry aveva il sorriso più bello di tutti, ma avrebbe dovuto farlo solo a lei, pensò la rossa un po’ infastidita.

 

Hermione si riscosse un attimo. Ma… Avevano invitato anche lei? Davvero? Sorrise senza rendersene conto. “Oh, sì mi piacerebbe venire. Devo portare qualcosa?”

 

Astoria scosse il capo. “No no, Daphne ha organizzato tutto. Saremo in poche, ci sarà anche Millicent, però… Ha promesso che non creerà casini…”
Ginny alzò un sopracciglio. “La Bulstrode?”
Astoria annuì. “Daphne mi ha detto che ultimamente non sono andate molto d’accordo, ma la Bulstrode dice che Pansy l’ha aiutata in un momento particolare e che adesso sono amiche… Non lo so. La terremo d’occhio. E ha promesso di farci conoscere dei Cocktail babbani con dei nomi assurdi!” La Serpeverde aveva gli occhi spalancati.
“Cocktail babbani? Allora ci sono anch’io. Facci sapere dove e a che ora e veniamo” Astoria annuì sorridendo e se ne andò. “Non ti dispiace, vero Harry?”

 

Harry scosse la testa, un po’ impensierito da cosa fare il venerdì sera senza le ragazze, ma continuò a mangiare.
“Sabato sera stai con me?” le chiese.
“Se ti sarà passata la sbronza che ti prenderai domani senza di me e non ti perderai in giro per Hogwarts, sì”. Ginny ammiccò e gli sorrise. Harry sentì il viso colorarsi. Aveva saputo del sabato in cui si erano tutti ubriacati ed erano andati nei sotterranei a (cercare di) fare casino. Ma lei rideva. Si sporse verso di lui e lo baciò.
“Se la serata non finisce troppo tardi potrei venire da te anche domani sera. Qualcosa mi dice che saremo brilli in due” gli disse all’orecchio.

 

“Tu lo sapevi che era il compleanno della Parkinson?” Hermione sbucciò una mela mentre poneva la domanda a Ginny. Lei scosse la testa.
“No. Non lo sapevo. Chissà se lo sa Ron…” E mangiò una tartina di frutta. Hermione la guardò.
“Potremmo dirglielo.”
Lei annuì, ma non era sicura di volerglielo dire. Lui non le aveva mica detto della provvigione del Ministero. Ci avrebbe pensato su.

 

***

 

Erano entrati in quel locale così carino che Pansy aveva passato almeno un quarto d’ora a guardarsi intorno. E si sentiva la musica. Sembrava che la musica fosse dentro a delle scatole nere bucate e sapeva di non conoscere quelle canzoni, ma era bello lo stesso.
Un cameriere era venuto a prenderli sull’uscio del locale quando erano arrivati. Non c’era nessuno. Forse perché era un po’ tardi, pensò guardando l’orologio. Il cameriere aveva chiamato Weasley per nome e gli chiese di Ginny, Potter e la Granger. Dovevano essere stati lì quella volta che Ginny era scappata via prima di mangiare.
Si sedettero a un tavolo e ordinarono. Non aveva la più pallida idea di cosa fosse una pizza. Camille continuava ad allungare il collo dappertutto. La ragazza che portò le birre e una bibita scura per sua sorella, sorrise a lei e a Camille.
“Siete streghe, vero?” Camille annuì e lei sospirò estasiata.
Pansy si voltò verso il rosso e chiese sottovoce: “Loro lo sanno?” Lui le spiegò che il padrone del locale aveva un cugino che aveva sposato una strega, così conoscevano il loro mondo. Lei annuì senza sapere cosa dire e prese un sorso di birra.

 

Ron vide gli occhi della mora illuminarsi.
“Buona.”
Lui tamburellò con le dita sul sottobicchiere “Sì, ma stai attenta che è più forte della nostra”. Camille non faceva altro che guardarsi intorno. “Perché non vai a vedere come fanno la pizza?”
“Posso?”
“Sì, sì, guarda là”. E le indicò dove andare. Lei si alzò subito e li lasciò soli.
Rimasero in silenzio. Non sapeva come rompere il ghiaccio. Così si allungò a prendere la sua birra.
“Non eri obbligato a portarci qui” disse lei, ma non lo guardò.
Lui riappoggiò il bicchiere. “Qui fanno la pizza”.
“Intendevo…”
“Ho capito cosa intendevi. L’ho fatto volentieri”. Lei non disse niente. “Tu invece non sei obbligata a darmi la scopa”.
La ragazza alzò una spalla. “Potevi prenderla su comunque”.
“Non sarebbe stato giusto”. Lui non si sentiva nel giusto. Mai successo prima.
La Serpeverde ghignò. “Vorrà dire che se la pizza non mi piace non te la darò”.
Lui sorrise.

 

 

Pansy guardò Camille che faceva un sacco di domande al signore che faceva la pizza e sospirò. “Mi toccherà pulire ancora la stanza dei trofei”.
Lui alzò un sopracciglio. “Pulire?”
“Quando siamo andate al San Mungo siamo tornate tardi e la McGranitt mi ha messo in punizione. Ho spolverato, senza magia, tutti i trofei, le foto e quello che c’è in quella stanza. Tu sai quanti ce ne sono?”
Lui scosse la testa, ma ghignò. “Dai, per una volta. Io e Harry abbiamo subito punizioni per sette anni!”

 

Lei sospirò, ma Ron sorrise.
“Ho scoperto che mio padre giocava a Quidditch nella squadra dei Serpeverde. Non lo avrei mai saputo, se non fossi stata in punizione. Non avevo mai guardato bene quella stanza…”
“Davvero? Quidditch? In che ruolo giocava?” Lei afferrò la birra e ne prese un lungo sorso.
Quando la mise giù mormorò: “Faceva il portiere”. Portiere? Come lui? Buffo.
“Oh!” Lei sorrise ma non lo guardò.
“Già.”
“Doveva essere molto bello” disse, spavaldo. Ma riuscì nel suo intento: lei si voltò a guardarlo. Ron Sorrise.
“Come?” chiese Pansy divertita.
“Noi portieri siamo tutti molto belli.”
“Ah, davvero?” adesso sorrideva sorniona “E modesti?”
“Oh, un Serpeverde modesto non si è mai visto!” Lui sventolò una mano in aria. Lei continuava a sorridere. Poi però cambiò espressione. Velocemente.
“No, non siete tutti belli.”
Oh. Si riferiva a lui? Per quanto sapesse di non essere un granché, non pensava che lei glielo avrebbe detto così. Così seriamente. Ci rimase male.

 

Pansy pensò a Bletchley, il portiere della squadra dei Serpeverde quando frequentava i festini del Quidditch con Nott. Non era per niente bello. Né gentile. Né simpatico. Lei gli aveva lanciato una fattura quando l’aveva palpeggiata a tradimento. Sospirò. Non era il caso di rivangare brutti ricordi. Tornò a guardarlo e lo vide pensieroso. Oh. Aveva capito male.
“Non intendevo te”. E gli mise la mano sulla sua. Lui si rasserenò, ma ghignò un pochino.
“Quindi ti piaccio?” Lei sentì le guance andare a fuoco e non riuscì a spiaccicare parola. Ron le strinse la mano, che era ancora sulla sua.

 

Camille scelse quel momento per tornare indietro e lei ritirò la mano sotto al tavolo. Ron la guardò un po’ triste e poi guardò Camille, che si stava sedendo.
La ragazzina pensò che fosse il momento giusto per chiedere quello che aveva in testa.
L’altra volta aveva funzionato. Se fosse stata da sola con Pansy, lei avrebbe detto di no, invece, se c’era qualcun altro….
“Astoria mi ha invitato alla casa al lago con i suoi, per le vacanze di primavera” disse giocando con la forchetta. Vide la sorella allargare lo sguardo e la bocca e guardarla con insistenza.
“No, no e no.”
Camille cercò di non far sparire il suo sorriso. “Astoria ha detto anche che avresti riposto così”.
Pansy si sgonfiò per un attimo e ritornò rigida alla carica. “Oh, bene. Sapevate già che avrei detto di no”.
Il sorriso di Camille sparì. “Ma ci saranno anche i suoi genitori…”

 

Ron seguì il discorso delle sorelle girandosi prima verso una e poi verso l’altra. Perché non poteva andare al lago? Lui non andava mai da nessuna parte, avere un posto dove andare, sarebbe stato fantastico.
“Perché no?” Camille gli fece un sorrisone, mentre Pansy lo fulminò con lo sguardo. Oh Oh. Brutta cosa.
“Già, perché?” chiese la piccola Serpeverde. Il suo sguardo era così innocentino… falsamente innocentino. Pansy aveva un bel daffare, molto più di lui con sua sorella.
“Perché…” La mora cercò le parole, ma non le vennero. Camille si voltò verso di lui ghignando un po’.
“Io lo so perché. Quando Pansy andava con la sorella di Astoria alla casa al lago, tutte le sere uscivano e tornavano tardissimo e ubriache.”
“Non è vero!” Ma il rossore di Pansy tradiva la sua voce.
“No? Astoria ha parlato di falò sulla spiaggia, gara di scope e bagni nel lago a mezzanotte!”

 

Oh sì, Pansy si ricordava bene quelle cose. Erano favolose. Erano le vacanze più belle di tutte. Lontano da sua madre, lontano da Draco (senza nulla togliere a Draco). Ripensò a quei momenti. Anche Daphne diventava audace in quella vacanza. Anche se lei non aveva mai esagerato. Ma Pansy qualche pazzia l’aveva fatta. Si lasciò trasportare dai ricordi, quando la voce della sorella la riportò alla realtà.
“Guarda che occhi che ha. Sembra stia vivendo un sogno a occhi aperti, quelli che vendi tu al negozio!” Ora Camille stava parlando con il rosso.

 

Ron l’osservava. Era vero: i suoi occhi brillavano e lei era lontanissima dalla pizzeria con il pensiero.
Ma poi perse quell’espressione. Rimase a fissare la sorella senza dire niente per un po’.
“Non è il caso che tu ci vada.”

 

Camille sapeva cosa intendesse Pansy. Aveva fatto un errore. Ok, un errore grave. Ma aveva imparato. Non era una sciocca. La guardò male. Lanciò un’occhiata di sottecchi al rosso. Voleva sgridarla davanti a lui?
“Perché? Perché pensi che possa rimanere ancora incinta?” chiese con cattiveria.
Non si fidava di lei? Sentì il rosso dire che sarebbe andato in bagno e lo vide alzarsi. Anche lo sguardo di Pansy era rigido, adesso.

 

Pansy non sapeva cosa dire. Doveva dirle che era proprio per quello? O doveva dirle una bugia? Sospirò.
“Ho detto di no e basta”. Camille la guardò malissimo. Si sentiva male. Ma cosa poteva fare?
“Sembri maman”. Sentì una fitta al petto. Quella piccola vipera sapeva dove colpire. A tradimento. Adesso sapeva perché fosse finita nella sua stessa casa. Involontariamente sorrise. Era orgogliosa della streghetta. Se solo non lo avesse usato contro di lei. Stette zitta e guardò Camille che la osservava con un ghigno. Vide Ron tornare. Camminava lento per permettere a loro di finire la conversazione.
“È così e basta.”
“Dovrei scappare di casa e tornare con una Firebolt” la prese in giro.
“Sì, potresti provarci. E io potrei anche lasciarti a Hogwarts per le vacanze” Merlino, era una Serpeverde anche lei!
Camille spalancò gli occhi. “Non saresti così… così…” Sua sorella balbettava.
“Così stronza?” finì per lei la frase ghignando.

 

Ron non era stato via abbastanza. Poteva tornare in bagno? Oh, Merlino. Scappava sempre. Doveva smettere di scappare nelle situazioni difficili.
Si sedette mentre la cameriera di prima portava le pizze. Le ragazze rimasero in silenzio mentre lei sistemava i piatti. Pansy la ringraziò con un sorriso triste.
“Ma dai! Avresti casa tutta per te!” Tornò alla carica Camille.
“Per far che?”
Camille si girò verso di lui e gli sorrise. “Tu che fai per le vacanze?”.
Pansy spalancò la bocca per poi richiuderla e guardare la pizza.
Ron iniziò a tagliare le fette quando capì che loro non sapevano come mangiarla.

 

Pansy guardò il rosso che tagliava la pizza. Che cosa strana. Ma seguì il suo esempio. E la prese anche con le mani per portarsela alla bocca. Era deliziosa. Davvero. Calda, profumata, croccante e morbida allo stesso tempo. Ecco perché Ginny la decantava così tanto. Oh, al diavolo Camille e la casa al lago. Vide Camille mangiare anche lei la sua pizza. Aveva ripreso il buon umore. Che bello avere quindici anni.
Magari avrebbe potuto parlare con i genitori di Daphne. Magari non sarebbe successo niente. Magari poteva lasciarla andare a divertirsi.
Sospirò quando appoggiò la birra sul sottobicchiere. “Fammici pensare, ok?”

 

Camille sorrise vittoriosa. Anche l’altra volta aveva detto così e poi aveva ceduto. Addentò la pizza. Avevano ragione tutti: era buonissima.

 

Quando Camille finì la pizza si alzò e andò a curiosare in tutto il locale.
“Ti sei guadagnato la scopa, Wealsey. Era squisita.”
Pansy si pulì la bocca con il tovagliolo di stoffa e sorrise, ma lui la guardò serio.
“Mi piace molto di più quando mi chiami Ron”, si avvicinò a lei e posò le labbra vicino al suo orecchio. “Soprattutto se quando lo fai sei nuda, abbracciata a me e lo sussurri con voce roca fra un gemito e l’altro”.
La ragazza sentì il suo corpo andare a fuoco, non solo le guance, non solo il viso. Rimase a bocca aperta. Poi riuscì a controllarsi e sorrise sorniona.
“Sei audace. E volevi farmi credere di essere un imbranato.”
Lui sorrise. “Sai com’è, a forza di frequentare i Serpeverde...”

 

Lei spalancò gli occhi divertita. Merlino com’era bella. Prese il bicchiere per darsi un po’ di contegno. Sarebbe caduto ai suoi piedi, altrimenti. E quello non era il momento. La guardò di sottecchi mentre sorrideva cercando Camille con lo sguardo. Quando la vide tornò a voltarsi verso di lui.
“Però, ora dobbiamo proprio andare…”
“Oh, niente dessert?” le disse posando una mano sul suo ginocchio e facendo scorrere le nocche lungo la sua coscia, su e giù, avanti e indietro. Quando la sentì tremare tolse la mano. A fatica, ma lo fece.

 

Pansy fu scossa da un brivido quando lui l’accarezzò e aveva sentito freddo quando aveva tolto la mano. Cosa stava facendo? Voleva farla morire in una pizzeria babbana?
“No, niente dessert. Non mangio dolci”. Sperò che la sua voce non tremasse come la sentiva tremare lei. Era lei la Serpeverde, Merlino! Lui doveva comportarsi bene!
Ron si avvicinò a lei, tanto che pensò che volesse baciarla e pregustava già il suo sapore, ma lui si spostò sorridendo e le mormorò all’orecchio: “Facciamo così: la prossima volta che vorrai il dessert, dovrai chiedermelo tu”.
Lei rimase sbalordita. Oh. Ma dove aveva imparato a comportarsi così? Lo guardò alzarsi e andare in fondo al locale. Lo vide chiacchierare con Camille e il signore dietro al bancone. Ne approfittò per andare in bagno. Aveva bisogno di sciacquarsi il viso. Subito. Con l’acqua fredda. Lo fece tre o quattro volte e si sistemò il trucco. Le sembrava ancora di andare a fuoco. Per Salazar! Quando uscì dal bagno loro la stavano aspettando per uscire dal locale.
“Come torniamo a scuola?” chiese Pansy al rosso, ma non lo guardò.
“Ci smaterializziamo in Diagon Alley e prendiamo il camino del Tiri Vispi, che dici?” Lei annuì. Andava bene tutto.
“Oggi non andiamo dal mago odioso a chiedergli se ci ridà l’anello di tua nonna?”

 

***

 

Hermione e Draco erano in biblioteca e discutevano sottovoce. Avevano davanti il libro di aritmanzia ma non avevano ancora iniziato i compiti.
“Dimmi cosa devi fare che ti aiuto.”
“No. Riesco a farlo da sola.”
Lui sbuffò. “Tu non hai capito con chi hai a che fare. Tu non conosci Nott come lo conosco io”.
Hermione non lo sopportava più. “Adesso facciamo i compiti”.
Ma Draco era scontroso e serissimo. “No, devi ascoltarmi”.
“Guarda che ti ho ascoltato.”
“Non hai ascoltato bene. Ho detto che non mi piace quello che stai facendo!”
“Ho capito benissimo. Il fatto che non ti piaccia non vuol dire che non lo farò lo stesso”.
Lui si innervosì e la sua piuma si ruppe. “Ok. Non voglio che tu lo faccia. È pericoloso”.
“Ho già fatto cose pericolose.”
Lui sbuffò ancora.

 

Lei non capiva. Doveva stare lontano da Nott. Lui era imprevedibile. Non si sapeva quello che pensava e cosa avrebbe fatto. Draco faceva fatica anche con la legilimanzia. Lei non sarebbe mai riuscita a fare, solo Salazar sapeva cosa, con lui.
Draco era preoccupato, perché teneva a lei. Non voleva che le succedesse qualcosa di brutto e con Nott non si poteva sapere cosa sarebbe successo. Aveva capito che il Ministero gli aveva chiesto di indagare su di lui, ma Merlino! Come c’era arrivato lui ci sarebbe potuto arrivare anche Nott e a quel punto cosa sarebbe successo?
Si sentiva esattamente come si era sentito quando Greyback aveva detto che avrebbe voluto Hermione dopo l’interrogatorio con Bellatrix.
Un brivido gli percorse ancora la schiena. E se lui, anche questa volta, non fosse riuscito a fare niente? Se Hermione fosse sopravvissuta alla sua famiglia solo per cadere nella brace di Nott?
“Promettimi almeno che mi dirai tutto quello che farai, ogni volta che lo incontrerai o che gli parlerai.”
Sperò che il suo tono non fosse troppo accomodante, non come le sue parole, perlomeno.

 

Hermione lo guardò. Capiva che era preoccupato. Ma lei era in grado di farlo. Ne era sicura.
Beh, sicura mica tanto. Diciamo che le sarebbe piaciuto essere in grado di gestire uno come Nott. D’altronde se non ci avesse mai provato, non lo avrebbe mai saputo, no? Non sapeva bene come riuscire a sapere da Nott se avesse contatti con il padre. Ma Kingsley le aveva promesso un posto all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche e lei sapeva di dover partire da lì, per il C.R.E.P.A., se fosse riuscita a creare il gruppo formalmente, avrebbe avuto qualche possibilità.
Beh, doveva provarci anche se alla fine non ci sarebbero state possibilità. Lo doveva agli elfi. E a se stessa. Sospirò.
“Non ho intenzione di dirti niente! Non dovresti neanche saperlo!” E iniziò a fare i compiti. Ma non riusciva a concentrarsi e non riuscì a fare nessuna delle espressioni che c’erano sulla pergamena.
Guardò Draco: lui non aveva neanche provato a iniziare.

 

***

 

“Oggi non andiamo dal mago odioso a chiedergli se ci ridà l’anello di tua nonna?”
Ron guardò Camille mentre faceva quella strana domanda e vide Pansy irrigidirsi prima di dire: “No, oggi no”.
Chi era il mago odioso? “Chi?” chiese a Camille.
“Il tizio a cui Pansy ha dato i gioielli in cambio dei soldi. Non vuole ridarci l’anello.”
Ron non capiva. Si girò verso Pansy che scosse la mano in aria. “Niente di importante…”
“Beh, mi sembrava che ci tenessi all’anello con l’ametista!” Camille guardò la sorella con uno sguardo di sufficienza. La mora guardò la strada e le auto babbane. Era a disagio.
“Un banco dei pegni?” chiese. Lei annuì.

 

Oh, per Salazar, perché riusciva sempre a finire così? Perché Camille non stava mai zitta? La guardò e la piccola ricambiò il suo stesso sguardo.
“Se ci tieni a quella vacanza, vedi di stare un po’ zitta, Camille.”

 

Un banco dei pegni. Non dovevano essercene tanti.
“Quello a Notturn Alley?” Ma la mora non lo guardò. Si girò verso Camille che annuì con il capo, senza dire niente. “Siete andate a Notturn Alley da sole?” Si scoprì a chiedere.
Pansy lo gelò con un’occhiata.

 

Certo che era andata a Notturn Alley da sola. Con chi pensava che fosse quando sua madre e il suo patrigno erano stati arrestati e lei aveva bisogno di soldi? Sbuffò.
“Andiamo?” Prese la sorella per un braccio ma lei lo scrollò.
“Preferisco andare con lui” disse, indicando il rosso. Lui corrugò la fronte. Ma annuì alzando le spalle. Camille lo prese sottobraccio e si smaterializzarono.
Pansy sbuffò ancora. Forte. Si smaterializzò anche lei.
Però, davanti al tiri vispi si materializzò solo Pansy. Se erano andati a Notturn Alley avrebbe cruciato tutti e due. Doveva andare a cercarli? Si girò verso la porta del negozio e fece per aprirla quando vide, attraverso il vetro, due persone all’interno che si baciavano: il fratello di Ron, George, e la Johnson. Non ebbe il coraggio di aprire la porta e rivelare la sua presenza. La ragazza fece una carezza dolcissima sul viso del ragazzo. Pansy pensò di riuscire a sentire la tenerezza di quel gesto.
Si girò verso la strada. Cosa doveva fare? Dov’era il Grifondoro con sua sorella? Chiuse gli occhi e contò fino a dieci.
“Eccoci!” Non era arrivata neanche a otto e aprì gli occhi. Camille e Ron erano davanti a lei. E lui aveva la Firebolt in mano. La scopa! Si era scordata della scopa. L’avevano lasciata a casa dicendo che sarebbero passati a prenderla prima di tornare a Hogwarts. Si sentì stupida per aver pensato che lui fosse andato a Notturn Alley.
“Mi ero scordata della scopa…”
Camille sorrise. “Lui no”. E no, lui era felice come un bambino.
Sorrise anche lei.

 

Ron entrò nel negozio salutando George e Angelina ad alta voce, che si staccarono colti sul fatto di essere stati interrotti mentre pomiciavano. Ron ridacchiò.
“Ma sei ancora qui?” chiese George un po’ arrabbiato.
“Sì, caro fratello, ho portato due fanciulle a pranzo e ora ci tocca tornare a scuola. Pensavamo di usare il tuo camino” rispose indicando le due ragazze dietro di lui con il pollice e un gran sorriso.
George guardò dietro il fratello e allargò gli occhi con fare allusorio. Lui corrugò la fronte. Non aveva raccontato a George di Pansy. Chissà cosa stava pensando. Poi George notò la Firebolt. La portò dietro al bancone per fargliela vedere, intanto che Camille portava in giro Pansy per il negozio. Mentre George e Angelina studiavano la scopa, lui studiava la Serpeverde. Prima era stato difficilissimo. Avvicinarsi a lei senza baciarla e spostarsi tutte le volte, sussurrarle all’orecchio quelle cose… Aveva seguito il consiglio di Harry e Hermione e l’aveva fatta un po’ penare, ed era convinto di esserci riuscito bene, ma chi lo sa, magari si stava sbagliando. Lui non era bravo in quelle cose. Merlino, non era bravo in niente.
Quando la mora si chinò ad accarezzare una puffola, sospirò. I pantaloni che indossava erano attillati in maniera esagerata. Merlino, aveva un gran bel…
“Smetti di sbavare, fratellino”. George era apparso accanto a lui. Si riscosse dai suoi pensieri e si girò verso di lui.
“Dov’è la borsa che ho lasciato qui stamattina?”
“Il regalo di Ginny? Lì!” E indicò uno scaffale sotto il bancone. Ron prese la borsa, già piccola di suo, disse: “Reducio”, sottovoce e questa si rimpicciolì e lui la mise nella tasca dei jeans.
“Torno subito”. Il fratello lo aveva osservato senza dire niente e annuì.
“Vado un attimo al negozio di Quidditch. Prendo una cosa per mia sorella” disse alle Serpeverde.
Pansy annuì e Camille gli chiese di accompagnarlo. Lui sbarrò gli occhi. Aveva intenzione di fare un giro a Notturn Alley, non voleva portaci Camille, anche se sarebbe stata utile per riconoscere l’anello, ma doveva farsi bastare il disegno. Scosse la testa.

 

“No, tu resti qui.”
Pansy non aveva nessunissima intenzione di lasciare andare Camille la chiacchierona al negozio di Quidditch con lui. Gli avrebbe di sicuro raccontato dei guanti che lei aveva comprato e il rosso avrebbe capito subito chi glieli avesse regalati. Quel giorno aveva fatto già abbastanza danni, la cara sorellina. Camille mise il broncio e il rosso uscì dal negozio.
Pansy si guardò intorno. Aveva ragione Ginny, il posto era bello, pieno di scherzi e oggetti vari. E un sacco di dolci. Riconobbe il torrone sanguinolento. Tantissimi ragazzini lo usavano per saltare le lezioni. Sorrise.
“Qualcosa di tuo gradimento?” Il Weasley più grande si era avvicinato dopo aver aiutato una strega a scegliere qualcosa dal reparto denominato ‘Trucchi magici babbani’. Lei si voltò verso di lui.
“È un gran bel negozio. I ragazzini che punisco si riforniscono qui.”
Lui sorrise. Somigliava un po’ a Ron, ma non tanto. “Immagino di sì”.
“Io ne sono certa. Ho sequestrato tantissime di queste cose.”

 

George la guardò: se la ricordava cattiva. Ma in quel momento non lo avrebbe mai detto. Non sembrava cattiva. Non lo sembrava neanche quando aveva le mani nella pasta dei biscotti, però.
“E cosa ci fai, dopo averle sequestrate?”
Lei ghignò. “Le vendo ai Tassorosso?” Lui rise. Si voltò verso Camille, che accarezzava le puffole nella gabbia.
“È lei tua sorella?” La Parkinson annuì.
“Era per lei la puffola.”
Lui si voltò di scatto. “Sei tu quella della puffola rosa?” E com’era andata? Ron le aveva poi chiesto più soldi o si era divertito con lei? (come gli aveva suggerito).

 

Lui non lo sapeva!
Pansy si diede della stupida da sola. Era convinta che il rosso avesse raccontato a tutti di come l’avesse scoperta. Si morse un labbro mentre si sentiva arrossire. Quella giornata era particolarmente stancante per le emozioni. Guardò la porta, sperando che lui tornasse presto.
“So che avete le piume autoinchiostranti… Ma inchiostro ne avete?” Lui alzò un sopracciglio.
“L’inchiostro-inchiostro o i filtri d’amore che mandiamo a Hogwarts spacciandoli per inchiostro?” Anche lei alzò un sopracciglio. Merlino, sembrava una che avesse bisogno di un filtro d’amore?
“Secondo te?”
Lui sorrise ed elencò: “Inchiostro sempiterno, cambiacolore, trasparente, diluente, coprente, bucante, movente…” Lei sgranò gli occhi. Quanti inchiostri!
“E dove sono?” chiese, guardandosi intorno. Weasley l’accompagnò allo scaffale dell’inchiostro. Pansy questa volta strabuzzò gli occhi: decine e decine di boccette di inchiostro. Il rosso le spiegò quelli che vendevano come scherzi. Se si usava un tipo di inchiostro (quello coprente), la pergamena si spalmava di inchiostro e copriva tutte le scritte così che la persona che aveva scritto la pergamena si sarebbe ritrovata con un foglio colorato (e una pergamena da riscrivere). “Molto Serpeverde, devo dire” commentò lei.
“Già. Molto venduto anche questo.”
Poi c’era l’inchiostro bucante: quando iniziavi a scrivere la pergamena si riempiva di buchi e sembrava una fetta di quel formaggio che piaceva tanto al suo patrigno. Un altro invece faceva incendiare la pergamena. Se si usava quello movente invece, una volta scritte, le parole si agitavano e iniziavano a correre per la pergamena, scambiandosi di posto. Doveva essere divertente.
Prese tre boccetti di inchiostro e andò al bancone dalla ragazza bionda che stava dietro la cassa. La Johnson non c’era più. Lui la seguì.
“E quanto hai pagato la puffola?” le chiese.

 

George era curioso. Lo sarebbe stato anche Fred, pensò sorridendo.
Fred, scommetti dieci galeoni che c’è andato a letto? La mora si voltò verso di lui.
“Ho pagato cinque galeoni in più, se è quello che vuoi sapere.”
No! Aveva appena perso dieci galeoni.

 

Pansy vide la delusione sul viso di Weasley. Non voleva che pensasse male del fratello.
“Però me li ha ridati”. Sperò di risolvere la cosa così. Non voleva spiegargli tutta la storia delle sigarette.

 

George sorrise ancora. Glieli aveva ridati prima o dopo esserci andato a letto? Era così sicuro che avessero fatto sesso…
Fred tu cosa dici? Con una scusa mandò via Verity e la servì lui alla cassa.
“Così te li ha ridati…” Lei lo guardò stranita. La studiò un po’ anche lui. Poteva essere lei la ragazza delle fragole? Non credeva a quello che diceva Ginny sul fatto che il fratello avesse una schiera di ragazzine. Non era da lui.
“E dimmi, ti piacciono le fragole?”

 

Che razza di domanda era? Le fragole? L’ultima volta che aveva mangiato le fragole era stata una vita prima. Ah, no. Si ricordò dello sciroppo di fragole. Quircky lo metteva sul gelato. E lei aveva mangiato il gelato insieme al rosso durante le vacanze di Natale. Sentì le guance scaldarsi quando si ricordò di come avevano usato lo sciroppo invece di metterlo sul gelato.
Guardò verso la sorella, non riusciva a guardare il gemello.
“Camille vuoi comprare qualcosa?”

 

 

Per Godric! La Serpeverde aveva spalancato gli occhi per un attimo. Ed era arrossita. Tantissimo. E quando aveva parlato con la sorella la sua voce aveva tremato. George ghignò. La porta si aprì e Ron tornò con la busta del negozio di Quidditch in bella vista. Chissà dov’era andato.
Sabato si sarebbe divertito. Vero, Fred? Lo facciamo impazzire. E gli avrebbe strappato ogni segreto. Sorrise alla piccola Serpeverde quando litigò con la sorella per un sogno brevettato a occhi aperti che la Parkinson non voleva comprarle. “Allora me lo pago da sola. Anzi, ne prendo due!”

 

Pansy sbuffò e fece finta di non vedere quando Weasley allungò a Camille delle caramelle per far venire la faccia verde. Guardò il gemello di nascosto. Le aveva fatto quella domanda perché sapeva o per cosa? Oh, Merlino non le importava.
Anche se pensava che la cosa non sarebbe uscita da Hogwarts. Neanche a Hogwarts lo sapevano in tanti. Hogwarts! Fino a quel momento solo a scuola sapevano di loro! Spalancò gli occhi. Un pensiero le trafisse il cervello. Merlino, merlino, merlino! Allora come faceva a saperlo lei… Perché non ci aveva pensato prima? Andò velocemente verso Ron e lo tirò per il mantello.
“Qualcuno fuori da Hogwarts, sa di noi?”
“Sapere cosa?”
Pansy si innervosì e sbuffò ancora. “Lo hai detto a qualcuno, sì o no?”

 

Ron scosse la testa e guardò verso George che serviva Camille. Quell’idiota di suo fratello aveva detto qualcosa a Pansy?
“Qualcuno ti ha detto qualcosa?” Ma lei non lo ascoltò.
“Dobbiamo tornare subito a Hogwarts. Camille! Datti una mossa. Torniamo a scuola” Lei si stava agitando. La prese per un braccio.
“Tutto ok?” Lei annuì distrattamente. Andò dalla sorella e l’aiutò a mettere via le cose che aveva preso. Non pensò neanche a sgridarla per le stupidate che aveva comprato. Salutò George e gli disse di salutare Angelina, poi si voltò verso di lui e gli chiese dov’era il camino, pregandolo di fare presto. Lui annuì e la portò nel retro. Fece un cenno a George che li guardava stranito, mentre prendeva la Firebolt. Con lui avrebbe parlato sabato.

 

Sbucarono tutti e tre nel camino della McGranitt, ma per fortuna lei non c’era. “Camille, vieni con me.”
“Aspetta, voglio vedere cosa ha preso per Ginny!” La piccola mora cercò di deviare la stretta della sorella, ma non ci riuscì.
“Te lo farai dire dopo. Adesso devo parlarti.”

 

 

Ma cosa stava succedendo? Ron cercò di stare dietro alle ragazze ma non ci riuscì.
“Ehi, ma che succede?” Le due Serpeverde si girarono verso di lui.
“Scusa, ho una cosa urgente da fare. Grazie mille, per tutto.”
Pansy si avvicinò a lui e gli diede un bacio sulla guancia. Merlino, non se lo aspettava. Aveva ancora la scopa in mano e non era riuscito a stringerla per impedirle di andare via. E mentre realizzava la cosa, vide Camille salutarlo e farsi trascinare via dalla sorella.
Va beh. Avrebbe cercato Harry, pensò, guardando la scopa. La sua bellissima scopa.

Doveva trovare Ginny e doveva sistemare anche la cosa per il giorno dopo.

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Capitolo 42
*** L'anello ***


 L’anello

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Ron era appena tornato dal bagno, dopo aver fatto la doccia, e si era appena infilato i vestiti per scendere a cena, quando la porta della stanza si spalancò e una piccola tempesta rossa fece il suo ingresso nella camera del settimo anno.
Si girò verso la sorella che esclamò: “È vero che hai comprato una Firebolt?” Oh, le voci giravano in fretta.
“Ciao Ginny, non dovresti bussare? Avrei potuto essere nudo.”
Lei scosse una mano in aria per liquidare la cosa. “Ti ho già visto nudo. Allora, la Firebolt?” Beh, forse a sei anni, mica adesso! E poi…
“Ci sarebbero potuti essere Harry o Dean o…”

 

“Ho già…” Ginny si fermò quando incrociò lo sguardo del fratello. Ok, aveva visto nudo anche Harry e, se Ron fosse stato abbastanza furbo, avrebbe dovuto immaginarlo da solo. Sbuffò. “La prossima volta busserò. Me la fai vedere?”
Il rosso sorrise. No, gongolò. Da sotto il letto tirò fuori il manico della scopa più veloce che esistesse. Ginny si avvicinò. Era proprio come quella che aveva avuto Harry. Forse lo stampo del marchio era un pochino diverso. Era stupenda.
L’accarezzò. Aveva il manico lucidissimo e le fascette per i ramoscelli erano incise. Il poggiapiedi era finemente lavorato e stabilissimo. E sembrava anche nuova.
“È stupenda. Harry l’ha già vista?” Ron scosse la testa.
“Secondo te, si offende?” Ginny corrugò la fronte.
“Per cosa?”
“Perché lui ha perso la sua…” Ron guardò per terra.
La sorella sorrise e gli andò vicino. “Harry sarà contento per te, non preoccuparti”.
Ginny sapeva che Harry aveva già ordinato una Firebolt nuova. L’aveva dovuta ordinare perché i folletti non avevano ancora ripreso la produzione dopo la battaglia di maggio e al momento le Firebolt erano praticamente introvabili.
Chi la voleva doveva ordinarla e aspettare pazientemente.

 

Ron non disse niente. Sperò che fosse così.
Ginny gliela ridiede e chiese: “Dove l’hai presa? Al negozio dell’usato? Ci ho guardato un sacco di volte, ma non l’ho mai trovata”.
Ron sentì le orecchie andare a fuoco. Avrebbe voluto dire che l’aveva presa lì. In quel momento si vergognò un po’. L’aveva portata via a una ragazza che aveva appena scoperto che suo padre era morto cadendo da una scopa. Si era approfittato della situazione?
“Ron? Perché le tue orecchie sono rosse? Che cosa hai fatto?” Ginny lo guardava stranita e leggermente severa. Certo, mica poteva immaginare, lei.
“Mmm… Camille me l’ha data in cambio di una pizza.”

 

Come? Che cosa? Cosa aveva fatto Camille? Ginny guardò la scopa, che lui teneva ancora in mano e sempre più curiosa chiese: “Che vuol dire? È di Camille?”

 

Beh, era diventata sua.
“Era di Pansy. Camille ha detto che se le portavo a mangiare la pizza, me l’avrebbe regalata”. Pensò che fosse meglio essere conciso. Non c’era bisogno di raccontare tutto, tutto. Ginny allargò la bocca.
“Che fortuna! Avrei potuto portarla io a mangiare la pizza. Oh, Merlino…” Sbuffò. “Me la farai provare al prossimo allenamento?”
Lui quasi ghignò. “Vedremo. Se sarai gentile...”
Ginny gli diede uno spintone sulla spalla. “Io sono sempre gentile!” Ron ridacchiò. Mise via la scopa e si allungò sul letto a prendere il sacchetto de ‘Accessori da Quidditch di Qualità’ e glielo allungò.
“Tieni” disse un po’ imbarazzato.

 

Ginny guardò il sacchetto che le porgeva il fratello: il marchio del suo negozio preferito a Diagon Alley era sulla busta.
“Cos’è?” chiese curiosa mentre lo prendeva.
“Un regalo”. Ginny sorrise estasiata. Un regalo? Per lei? Cioè, Ron le aveva fatto un regalo?
“Perché?” Lui alzò le spalle. Le sue orecchie erano diventate ancora rosse. Era in imbarazzo. Che carino.
“Ho preso i soldi dal Ministero. Ho pensato…” Ginny gli saltò addosso e l’abbracciò.
“Grazie!”
“Non l’hai ancora visto. Magari non ti piace.”
“Grazie per avermi fatto un regalo. Qualsiasi cosa sia!” Ron annuì e si voltò a far qualcosa nel baule. Doveva essere ancora in imbarazzo.
Aprì il sacchetto e tirò fuori due bellissimi polsini verde scuro con ricamato un artiglio d’oro. I polsini delle Holyhead Harpies che aveva visto durante le vacanze di Natale!

 

Ron guardò con la coda dell’occhio la sorella. I suoi occhi si spalancarono gioiosi quando tirò fuori i polsini. Sorrise compiaciuto mentre li infilava.
“Ron…” aveva gli occhi lucidi. “Grazie. Sono bellissimi! Non vedo l’ora di metterli alla prossima partita”. Gli diede un bacio sulla guancia continuando a guardare i polsini.
Uscendo dalla stanza si scontrò con Dean e Seamus che stavano entrando.
“Oh, scusate ragazzi” disse senza neanche guardarli. Il rosso vide Dean guardare il sedere alla sorella e sorridere in un modo che non gli piaceva per niente. Si avvicinò e gli diede una spallata mentre usciva.
“Oh, amico, guarda dove vai!”
Sorrise quando Dean abbassò lo sguardo, dopo la sua occhiataccia.

 

***

 

Pansy arrivò in biblioteca dopo aver lasciato Camille alla porta della sala comune nei sotterranei. Sperò che non le avesse detto bugie. Era una cosa troppo importante.
Vide Draco e la Granger a uno dei tavoli a fare i compiti e bisbigliare fra di loro. Sperò di non interrompere una chiacchierata amorosa. Erano stucchevoli quando ci si mettevano. Ma avvicinandosi capì che non era una chiacchierata amorosa, ma una scaramuccia. Merlino, ancora peggio.
Arrivò davanti al loro tavolo e disse: “Granger, posso parlarti in privato?”

 

Quando Pansy era arrivata senza salutare nessuno, chiedendo a Hermione di parlare, Draco capì che doveva essere una cosa seria. La guardò bene. Era agitata, ma cercava di controllarsi. Lo capì da come spostava il peso da una gamba all’altra. Voleva portare altre preoccupazioni a Hermione? Assolutamente no.
Quando sentì la riccia risponderle: “Certo”, si alterò.
“Possiamo parlare tutti e tre” sostenne lui. “So tutto”.
Pansy si voltò verso la Grifondoro e chiese: “Lui sa di martedì?”
Quando la sua ragazza, o quella che si spacciava per la sua ragazza, scosse la testa si arrabbiò ancor di più. Cos’era che lui non sapeva? E poi, perché non lo sapeva? Digrignò i denti ed emise un suono spaventoso.
“Io non vado da nessuna parte.”

 

Pansy sospirò. “Dra, per favore…”
Lui si protese verso di lei e il suo sguardo si fece cattivo “Non chiamarmi Dra, Parkinson. Se vuoi parlare con tutti e due, puoi sederti. Altrimenti, puoi farti un giro”. Oh, si era arrabbiato. Che peccato.
“D’accordo” rispose. Lui ghignò ma il suo ghigno scomparve quando lei gli disse freddamente: “Malfoy, sparisci per un po’, io e Hermione dobbiamo parlare di questioni private”. Sperò di avere il tono giusto mentre dondolava la mano in aria. Non lo aveva mai usato con il biondo. Non era brava come lui. Una giornata stressante sotto molti punti di vista. Lui spalancò gli occhi. Non se lo aspettava.
“Hanno ragione gli altri. Sei diventata proprio una stronza. Anche con i tuoi amici. Frequenti gente sbagliata. Dovresti stare attenta, potresti finire da sola” continuò il biondo, senza alzarsi. Pansy si sentì male. Detto da chiunque altro, sarebbe stato diverso.
Gli rispose ancora qualcosa, ma fece molta fatica. Non aveva mai discusso con Draco così. Ci mancava poco e avrebbe vomitato quella favolosa pizza.

 

“Andiamo via.”
Hermione non voleva assistere a quello straziante e inutile battibecco.
La Parkinson aveva una faccia da funerale. E Draco continuava a dirle cose cattive con un tono veramente cattivo. Le dispiacque per lei. Vide la faccia di Draco trasformarsi in uno sguardo ferito quando prese le parti della ragazza. Le pianse il cuore. Si sentiva tradito.
Ma se la Parkinson voleva parlarle della presunta evasione di sua madre, doveva ascoltarla. E subito. Vide la Serpeverde lanciare uno sguardo dispiaciuto a Draco, ma lui non lo ricambiò.
“Te ne vai?” le chiese. Hermione annuì. Anche perché rimanere lì a farsi dire cosa poteva o non poteva fare non era la sua idea di ‘piacevole conversazione’.
Si alzò e fece cenno alla Parkinson di seguirla. Lei non la seguì subito, guardava ancora Draco. Ma poi le toccò un braccio e la ragazza si riscosse, seguendola.
Uscirono dalla biblioteca. Si guardò intorno. Dove sarebbero potute andare?

 

Pansy sentì un attacco di nausea salirle lo stomaco.
Prese una mano della riccia e disse solamente: “Il bagno di Mirtilla”. Lei annuì e si diressero al secondo piano. Quando entrarono nel bagno, lei si fiondò velocemente verso uno dei gabinetti e vomitò. Merlino, la pizza… Quando uscì si diresse a uno dei lavandini e si sciacquò la bocca e il viso. Vide le lacrime scivolarle sulle guance da sole.
“Tutto ok?” La Grifondoro comparve nello specchio. Le appoggiò una mano sulla spalla e Pansy annuì allo specchio.
“È stata una giornata impegnativa, Granger.”
“Ho appena litigato con il mio ragazzo e…”
Pansy la interruppe: “Mi sembrava che foste già a buon punto quando sono arrivata io, non è stata colpa mia”.
Ma lei continuò come se non fosse stata interrotta: “… e tu hai avuto una giornata impegnativa. Possiamo chiamarci per nome, che dici?” Oh. Per Salazar. Va bene. Certo, potevano farlo. Alzò una spalla.
“Se ci tieni tanto, va bene.”

 

Hermione quasi rise. Lo aveva detto come se volesse farle un favore.
“Vuoi dirmi cos’è successo oggi?”
Ma la Serpeverde scosse la testa. “Prima le cose più importanti. Penso che chi voglia aiutare mia mamma sia qui a Hogwarts” disse tutto di un fiato.
Come? A Hogwarts? E perché lo pensava? E perché non lo aveva detto prima?
“Come è possibile? Perché dici così?” Lei si morse il labbro e si girò verso il lavandino.
“Quando l’ho vista martedì… Lei mi ha parlato di…” Si fermò e si guardò intorno. La Parkinson, pardon, Pansy tirò fuori la bacchetta e spalancò tutti i cubicoli per assicurarsi che fossero da sole. Hermione aspettò. Merlino, aveva raccontato quello che aveva detto sua madre, quella storia di dover ‘essere carina con…’ e la frase che le aveva risposto lei, al ministero. Audrey l’aveva interrogata e glielo aveva fatto ripetere tantissime volte, tanto che alla fine era Hermione a essere nauseata.
“Ci hai detto quello che ha detto tua madre. Mi ricordo”. Lei alzò lo sguardo sulla riccia. Aveva un brutto sguardo. Più di quello in biblioteca.
“Non ho raccontato tutto.”
Ma come era possibile? Aveva preso il veritaserum.

 

“È impossibile! Ti aveva dato il Veritaserum. Non puoi mentire con quella pozione!”
No. Non si poteva mentire. Ma si poteva stare zitti. Se le domande venivano fatte da un’incapace, non era difficile.
“Non si può mentire e infatti non l’ho fatto. Se ti vengono fatte domande dirette, non puoi non rispondere, ma puoi non dire le altre cose, se sei ben allenato…” Vide la riccia corrugare la fronte. Sospirò. “Ok, diciamo che ho una certa esperienza con il veritaserum, mia madre me lo faceva prendere...”
La Granger spalancò gli occhi. “Ma è illegale!”

 

La Serpeverde fece un sorriso tirato. “Sarà anche illegale, ma la Adams l’ha usato con me, martedì scorso”. Annuì. Effettivamente non faceva una piega.
“Ok. Allora spiegami tutto da capo”. Si sedette sul ripiano del lavandino. Sembrava una cosa lunga.
“Quando mi ha visto, la prima cosa che ha fatto mia madre è stato guardare il mio dito” disse, alzando la mano sinistra e mostrando l’anulare. “Non avevo capito perché finché non ha iniziato a parlare di matrimonio”. Hermione annuì poco convinta. Cosa c’entrava? Ma la madre di Pansy era particolare, quindi aspettò che continuasse. “Aveva paura che mi fossi fidanzata. Come se essere da sola, senza un soldo e un posto dove andare, non fossero già un problema di suo…
Mi ha raccontato del matrimonio fra lei e mio padre, di come si fossero sposati per amore, di come si amavano e di come il mondo l’è finito addosso quando lui è morto.
Del fatto che sposarsi e amare qualcuno non dovevano per nessun motivo andare di pari passo”. Fece un sospiro e una lunga pausa. Ora Hermione era incuriosita. “Ora, tutte queste cose io le sapevo già. Avevamo fatto questo discorso un sacco di volte. Ti dispiace se fumo?”
Hermione scosse la testa, stupita dal cambiamento di argomento.

 

Pansy tirò una lunga boccata. Sua madre le aveva fatto quel discorso un sacco di volte, sì, ma non le aveva mai detto di aver sposato suo padre per amore. Pensò a Julien. Quindi lui l’aveva sposato per convenienza. E a lei sarebbe successa la stessa cosa. Per fortuna ne era fuori. Molto meglio da soli. Tirò un’altra boccata e riprese a parlare.
“Alla fine ha fatto il suo nome. Lei sapeva di lui.”
“Lui chi?” La mora sbuffò. Ma non era quella sveglia, lei? La strega più brillante...  eccetera eccetera?
“Del tuo amico”. La Grifondoro corrugò la fronte. Oh, Merlino!
“Di Weasley! Oh, Granger, ci sei?” Lei spalancò gli occhi. Oh, finalmente aveva capito. Santo Salazar!
“E come faceva a saperlo?” Pansy sorrise. Appunto.

 

“E come faceva a saperlo?”
Oh, che domanda idiota, Hermione! Lei glielo stava dicendo. “Lo può avere saputo solo da qui?” La mora alzò un sopracciglio. “Ok, ho capito, ho capito” ripensò a tutto un attimo, ma l’unica cosa che le veniva in mente era… matrimonio d’amore? Lei amava Ron? O era una paranoia di sua madre? Sospirò. Non voleva chiederlo. Così chiese: “Chi è che lo sa?” Lei la guardò con sufficienza.
“Non lo so. Tu, Draco, Ginny, Blaise, Daphne, Camille…” alzò una spalla probabilmente si fidava di tutti.
“Fuori di qui, nessuno?” Lei scosse la testa.
“Che io sappia, no. E lui dice di non averlo detto a nessuno. Neanche Camille.”
“Camille?” Pansy alzò le spalle.
“Gliel’ho chiesto. Non volevo lasciare niente al caso.”
“Qualcuno della scuola, quindi.”
“Immagino di sì. Io ti ho detto quello che sapevo. Ora puoi dirlo tu a quella simpaticona della Adams?” E fece per andarsene.
“Aspetta!” La mora si voltò che era quasi sulla porta. “Non mi hai detto quello che è successo oggi”.

 

La Grifondoro aveva quasi un ghigno.
“No, non te l’ho detto.”
“Ma non avevamo detto che…”
Pansy la interruppe: “Non avevamo detto niente. Tu hai detto cose tipo ‘chiamiamoci per nome’ eccetera, ma io non ti ho detto che ti avrei raccontato i fatti miei”.
“Quindi oggi ti hanno ridato la casa?” La riccia l’aveva ignorata. Faceva molto Serpeverde. Sorrise, stupita.
“Già.”
“Ed eri da sola?” La Granger sorrise sorniona. No, Hermione.
Non sarebbe mai riuscita a chiamarla per nome. “Con Camille, forse?”
“E basta? Nessun altro?”
“Forse anche un idiota di nome Smith”. La Grifondoro corrugò la fronte. “Sai, l’addetto del ministero?”

 
Oh, giusto, l’impiegato del ministero. Ma quindi Ron non c’era? Era andato veramente solo alla Gringott? Lo faceva più furbo.
“Solo voi?” La mora sbuffò, aveva spento la sigaretta e lei non se n’era neanche accorta.
“Ok, c’era anche Weasley. Contenta?”

 

Ora che glielo aveva detto poteva andarsene? La vide sorridere.
“Come mai non lo chiami più per nome?” Lei ripensò alla discussione avuta con lui in pizzeria. Sentì il calore salirle alle guance.
“Granger…”
“Non dovevamo chiamarci per nome, almeno noi?” Sbuffò.
“Ok, Hermione, cosa vuoi sapere? Sono un po’ stanca.”
“Cos’è successo?” La guardò di sottecchi ed esclamò: “Ti hanno chiesto di indagare anche su di me?”
Finalmente lei perse la sua compostezza. “NO!” Scosse la testa e spalancò gli occhi, sorpresa. Pansy rise.
“Io… hai detto di avere avuto una giornata impegnativa… Hai litigato con Draco per parlare con me… chiedevo così” disse Hermione.
“Vuoi sapere cos’è successo oggi? Eccoti accontentata: ho scoperto che il ministero non è in grado di perquisire un’abitazione senza fare danni, che la porta della mia stanza è stata fatta esplodere perché l’Alohomora non aveva funzionato, che hanno frugato fra tutte le mie cose e il tuo amico…” Fece una pausa. “Il tuo amico ha avuto un comportamento...  Merlino, non so neanche come definirlo!” Anche adesso che ci pensava, si sentiva ancora andare a fuoco. La riccia sorrise. No, ghignò. Oh. Per Salazar! Un sospetto. “Glielo hai detto tu di farlo?”
L’avrebbe uccisa. Una cosa pulita. Un Avada Kedavra lì, nel bagno di Mirtilla e l’avrebbe fatta sparire con un Evanesco. Insieme alle sigarette. Quella ragazza era più Serpeverde di quanto chiunque potesse immaginare! Non aspettò la sua risposta, anche perché era abbastanza sicura che non volesse dargliela. Sospirò e si appoggiò al muro. La riccia inclinò la testa.
“Draco ha scoperto che mi sto interessando a Nott. Non l’ha presa bene”. Pansy la guardò. Certo che era strana. Oh, forse era quella tattica strana dei Grifondoro.
“Certo che non l’ha presa bene, sarà in ansia per te. Conosce anche lui Nott. Ha scoperto lui la pozione.”

 

Era stato Draco a scoprire della pozione? E cosa voleva dire che era in ansia per lei?
“Tu lo sapevi che Nott era il padre del bambino di mia sorella?” Hermione spalancò gli occhi. No, non lo sapeva. Pansy annuì. “Già. Ma non dirglielo, perché lui non lo sa”. Hermione la guardò senza dire niente. “Ascolta. Dovrai stare attenta, a qualsiasi cosa farai. E Draco sarà sempre in pensiero per te. Lui si preoccupa un sacco, per le persone a cui tiene. E a te ci tiene…” La Serpeverde si era riavvicinata a lei e la guardava con la fronte corrucciata. “Gra... Hermione, ti hanno mai detto che hai dei capelli allucinanti?”
Come? Cosa c’entrava adesso? Ridacchiò nervosamente passandosi una mano sulla coda malfatta che le legava i capelli. I suoi capelli indomabili. “Avevo sentito dire che eri diventata cattiva, ma non pensavo arrivassi a offendere i miei capelli”.
Il suo sguardo cambiò e divenne freddo. “Dovrei avere una lozione per i capelli come i tuoi” disse come se non l’avesse sentita, ma prima di uscire dal bagno si voltò e continuò: “A quanto pare, non sono cattiva, sono stronza”. E si rabbuiò come in biblioteca.
“Draco non intendeva…” cercò di difendere il biondo, ma la mora alzò le spalle e la interruppe: “Non mi interessa quello che intende Draco”.
Fece un cenno con la testa e se ne andò, lasciandola sola nel bagno.

 

***

 

Hermione era a tavola con Harry mentre aspettavano che Ginny e Ron li raggiungessero. “Sai che sabato accompagnerò Doge in uno dei suoi giri? Finalmente Kingsley mi permette di uscire dal Ministero!” le comunicò il ragazzo.
La riccia sorrise. “Mi fa piacere per te”. Sapeva che a Harry non piaceva stare in quello stanzone dove c’erano i cubicoli degli Auror in mezzo a pergamene ammuffite a ordinare vecchi verbali. Doge era un mago veramente in gamba, sicuramente gli avrebbe insegnato un sacco di cose. Forse, per lui, sarebbe stato come stare ancora vicino a Silente. Invece lei sarebbe andata nell’ufficio per la regolazione e il controllo delle creature magiche. E avrebbe incontrato Kingsley per aggiornarlo sui suoi progressi. E purtroppo non ne aveva fatti. Avrebbe fatto un giro all’ottavo livello, comunque. Avrebbe parlato con Audrey.
Sperò che non richiamasse indietro Pansy per interrogarla ancora. Pansy. Si passò una mano sui capelli, memore di quello che le aveva detto nel bagno.
“Harry, ma secondo te i miei capelli sono… allucinanti?”

 

Harry alzò lo sguardo verso di lei. Era una domanda trabocchetto? Cosa voleva sapere? “Eh… in che senso?”
“Tu pensi che siano strani?” Harry guardò speranzoso verso la porta d’entrata: magari sarebbero arrivati Ginny e Ron e non avrebbe dovuto rispondere. Ma non arrivò nessuno.
“Ma… guarda… io non so… forse sono un po’ disordinati…” Il viso della ragazza si fece corrucciato e lei si sporse verso di lui.
“Disordinati? Che intendi?” Oh. Bo. Dove si era cacciato Ron?
“Sembra che tu non li pettini. Ma… ti stanno bene. Davvero. Sono disordinatamente…” Harry cercò disperatamente una parola positiva per descrivere i capelli di Hermione ma non gli venne in mente niente.
I capelli della ragazza erano una massa di riccioli intrecciati fra di loro che sembravano un nido di ippogrifo, nei giorni migliori. Negli altri… Vide la chioma di Ginny (i suoi capelli erano favolosi, in compenso, ma lei aveva la fortuna di non avere i ricci, ma dei capelli mossi molto molto morbidi e vaporosi) avvicinarsi a loro. Le sorrise.
Si sedette vicino a Hermione e lei le disse: “Harry dice che non mi pettino i capelli”.
Ginny si voltò verso Harry con la faccia un po’ scura. “Cosa le hai detto?” No, no, no. Lui non aveva detto così.
“Io non intendevo…” Alzò le mani con i palmi avanti e balbettò. Poi Hermione rise. E ridacchiò anche Ginny. Lui le guardava stranito mentre loro lo prendevano in giro. Sbuffò e cercò Ron con lo sguardo.

 

Ginny guardò Hermione mentre ridacchiava.
Poi lei divenne seria e si passò una mano sui capelli. “Secondo te dovrei tagliarli?” le chiese.
“NO! Non devi farlo. I tuoi capelli non hanno niente che non va, vanno solo un po’ disciplinati. Potremmo fare delle prove con gli incantesimi o provare qualche crema. Ma non tagliarli assolutamente!”

 

Hermione sorrise all’amica. “Va bene, va bene”. Ginny teneva ai suoi capelli più di lei.

 

***

 

Ron prima di cena scese nei sotterranei. Era uscito di corsa dalla camera e non aveva pensato a controllare la mappa. Ora non sapeva come trovare la piccola Serpeverde. Si fermò nel corridoio che portava alla sala grande, si appoggiò a una delle colonne, nascondendosi alla vista di chi passava, e aspettò.
Vide passare Pansy insieme alla Greengrass e alla Bulstrode. Poi passarono Zabini e Malfoy. Vide anche l’idiota che giocava a Quidditch. E passò anche Rowie, l’altro idiota, quello che lo voleva schiantare alle spalle. Quando vide la più piccola delle Greengrass, riconobbe Camille nel gruppetto di ragazzine che la seguiva. Merlino. Non aveva pensato che non fosse da sola. Ok, coraggio.

È stato più difficile con l’Horcrux, ricordatelo, Ron. Uscì dal suo nascondiglio e sorrise alle ragazze. “Camille, posso parlarti?” La moretta fece una faccia curiosa e chiese: “Io?”
Oh, c’erano altre ‘Camille’? Non ci aveva pensato. Lui annuì e lei sorrise.
“Certo. Ragazze, arrivo subito”. Le altre ridacchiarono, ma la Greengrass lo guardò curiosa, senza sorridere. Ma poi annuì e la sua bocca divenne un ghigno.
Merlino, queste Serpeverde erano micidiali! Tirò la ragazzina dietro la colonna, ma non riusciva a nasconderli tutti e due, così cercò di fare presto.

 

Camille osservò Weasley tirar fuori dalla tasca un pezzo di stoffa. Lo aprì e le fece vedere l’anello della nonna di Pansy. Era un cerchietto di oro bianco che si intrecciava intorno al castone, dove un’ametista dell’Uruguay era circondata da otto piccoli petali d’oro lavorato che proteggevano la pietra come un fiore, tutti e otto coperti da brillanti. Fondamentalmente era un anello molto banale, nella sua semplicità, ma Camille sapeva che era molto prezioso e che Pansy ci teneva tantissimo. Non aveva capito subito quando lei lo aveva consegnato al banco dei pegni, ma ora sapeva che l’aveva fatto quando l’aveva portata in Inghilterra. Pansy le aveva raccontato tutto, dopo il San Mungo, perché Camille aveva insistito e preteso di sapere tutto.
“È questo?” Lei annuì soddisfatta. C’era riuscito! Era stato bravo. Quando erano tornati a casa a prendere la scopa, lui l’aveva fatta sedere velocemente alla scrivania di Pansy, le aveva dato una piuma e le aveva detto di disegnare l’anello con l’ametista. Beh, lui non si ricordava il nome della pietra e lei aveva anche dovuto specificare di che colore fosse l’ametista dell’Uruguay perché lui non lo sapeva, però alla fine lei l’aveva disegnato.
Avevano dovuto incantare l’inchiostro perché si asciugasse in fretta e lui aveva piegato la pergamena velocemente e l’aveva infilata in tasca. Quando al Tiri Vispi aveva detto che sarebbe andato al negozio del Quidditch, lei aveva chiesto di andare con lui, perché aveva capito che sarebbe andato dal mago odioso, ma né lui né Pansy l’avevano lasciata andare.
Quando poi era tornato con la busta del Quidditch, aveva avuto qualche dubbio. Ma ora l’anello era lì, nella sua mano. Camille lo guardava sorridendo: Pansy era fortunata ad avere Weasley che faceva così tante cose per lei. Che si prendeva cura di lei. E Camille sapeva quanto Pansy ne avesse bisogno.
Nessuno si era mai preso cura di sua sorella.

 

Ron esultò mentalmente quando vide la piccola Serpeverde annuire. C’era riuscito!
Era entrato nel banco dei pegni e aveva scoperto che dietro al bancone c’era nientemeno che Mundungus Fletcher (ecco perché Camille l’aveva chiamato ‘mago odioso’!) Quanti conti in sospeso avevano con lui? Aveva visto l’anello quasi subito, alle spalle del mago, ma era riuscito a girarci intorno per vedere se effettivamente era l’anello della famiglia Parkinson. Sembrava di sì. Era riuscito a farselo prendere dalla vetrina, con la scusa di vederlo, con tre scappellotti alla testa di Fletcher e lui aveva confessato di non aver restituito l’anello alla ragazza che era venuta a prenderlo quando aveva ripagato il prezzo. Un prezzo più alto, logicamente. Gli era sembrato un buon affare riuscire a spillarle un altro po’ di soldi prima di ridarglielo, ma lei non c’era cascata e non aveva tirato fuori nient’altro.
“Una strega con una faccia così cattiva, Ron, avresti dovuto vederla!”
Aveva raccontato un altro po’ di cose, ma quando alla fine lui gli chiese: “Ma quindi lei te lo ha già ripagato?” Quel mago da strapazzo si era reso conto di quello che aveva confessato e aveva strabuzzato gli occhi. Ron aveva dovuto tirar fuori la bacchetta, ma non era stato necessario nient’altro, per farsi consegnare l’anello. Perfetto.
Lo richiuse dentro alla stoffa e le disse: “Perfetto. Tieni. Restituisciglielo”.
Ma lei aveva scosso la testa. “No. Devi farlo tu!”
“Io?”
“Tu sei andato a prenderlo”. Lui scosse le spalle.
“Non è importante. L’importante è che lei lo riabbia”. Le prese la mano e le mise il fagottino sul palmo.
“Ma… Tanto immaginerà che l’hai fatto tu!”
Lui ammiccò. “Allora inventa qualcosa”.
Si girò e prese il corridoio per andare in sala grande sorridendo. Aveva una gran fame.

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Eccoci!!!! Nuovo capitolo!!! Grazie a tutti voi che leggete 😘

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Capitolo 43
*** Regali ***


43. Regali

 Regali

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Hermione dopo cena era salita in camera e aveva trovato un gufo bianco sulla spalliera del letto. Quando la vide tornare, il gufo volò verso la finestra e aspettò paziente che lei l’aprisse prima di volare via. Chissà chi l’aveva fatto entrare.
La riccia guardò il letto e vide un piccolo pacchetto sul cuscino. Si avvicinò cauta. Non conosceva il gufo. Prese il pacchetto e scartò la pergamena che lo ricopriva. Un vasetto a collo largo con un tappo di vetro colorato era dentro una scatolina. Vicino, una piccola pergamena.

 

Lozione ravviva ricci.

Usane poca alla volta se non vuoi sembrare un enorme cavatappi!

P.P.

Ps: Ti avevo detto che mi sarei sdebitata.

 

Pansy le aveva mandato una lozione di bellezza? Non l’aveva mai vista. L’annusò. Era profumata. Poteva fidarsi? E se le avesse fatto uno scherzo? Un brutto scherzo? E si fosse trovata con i capelli verdi o peggio, se le fossero caduti? Sperò di non pentirsene. Si sedette alla toilette, aprì il vasetto e ne prese un po’ con le dita. Poco. Perché aveva scritto poco. Si passò la mano su tutta la testa e sentì una sensazione di calore attraversarle il cervello. Per Godric, sarebbe andata a fuoco? Ma passò subito. Sentì i capelli alleggerirsi e li vide più gonfi. Merlino, merlino. Poi ritornarono normali. Oh. Bo.
Lavanda mise la testa dentro la stanza. “Hermione, Ron dice che ti aspetta giù in sala comune per andare a fare la ronda”.
“Ok, grazie Lavanda.”
Lei era già uscita, ma poi rimise la testa dentro. “Oh, hai visto il gufo? Quello bianco grosso?”
“Sì sì. Grazie ancora.”
Hermione si era nascosta dietro la toilette per non farsi vedere. Si lanciò uno sguardo attraverso lo specchio mentre usciva dalla stanza. Sembrava tutto a posto. Nessun cambiamento. I suoi capelli sembravano solo un po’ più lucidi. Scosse le spalle e si avviò verso la sala comune. Incrociò in corridoio Ginny che andava verso la sua stanza e la guardò stranita.
“Hermione, che hai fatto ai capelli?” Ecco, lo sapeva. Non avrebbe dovuto. Merlino. Cosa era successo ai suoi capelli?
“Niente, perché?” Cercò di essere disinvolta. Ginny sorrise.
“Sembrano diversi. Sono così… belli” disse, senza fermarsi.
Oh. Sembravano belli? Sorrise. Quando scese la scala a chiocciola, vide Ron chiacchierare con Harry a uno dei tavoli. Ron le dava le spalle e Harry era seduto.
Harry alzò lo sguardo verso di lei e la guardò corrugando la fronte.

 

Hermione era diversa.
Harry non sapeva cosa avesse di diverso, ma lo era. O lo sembrava. La guardò ancora prima di capire cosa gli desse quell’idea: i capelli! Aveva fatto qualcosa ai capelli.
“Hermione… i tuoi capelli…” Lei sorrise e si toccò la testa.
“Sì, hai visto? Così non dirai più che non mi pettino!” Harry sentì le guance colorarsi. “Io non…” Ma lei ridacchiò, come a cena.
“Di cosa parlate?” chiese Ron.

 

Hermione era diversa. Lo aveva notato anche Ron. Cosa aveva detto Harry sui suoi capelli?
“Ma niente. Prendevo in giro Harry.”
Chi? Hermione? “Tu? Tu che prendi in giro qualcuno?” Lei si fece seria. No. Merlino. Aveva detto la cosa sbagliata. Non sapeva come cavarsela e propose: “Andiamo alla ronda?” La ragazza annuì senza dire niente. “Ti sei offesa?”
Hermione lo guardò e disse, passandosi una mano fra i capelli (non l’aveva mai vista farlo): “Come ti sembrano i miei capelli?”
Eh? Ma che domanda era? Se rispondeva nella maniera giusta non si sarebbe offesa? Per Godric, doveva stare attento a quello che avrebbe detto. Più facile a dirsi che a farsi. Guardò i suoi capelli. Sembravano così… in ordine. Erano lucidi (beh, sbrilluccicavano come il manico della scopa quando lui ci passava la pozione), ma erano… belli. Non sembravano più la barba di Charlie quella volta che per scommessa con Fred e George non se la rasò per cinque mesi.
“Sono diversi… li hai lavati?” Non sapeva cosa dire.
“Perché, ti sembra che di solito non lo faccia?” La strega strabuzzò gli occhi e Ron si rese conto di aver detto la cosa sbagliata. Di nuovo. Merlino che serata lunga.
“Scusa, io non intendevo… mi rendo conto che ci hai fatto qualcosa, ma…”

 

Hermione sorrise del suo sguardo triste. “Hai ragione, ho esagerato. È che ho provato questa nuova lozione e non so se ho fatto bene o male…” Si avvicinò a lui.
“Ah. Secondo me hai fatto bene. Sembrano più capelli ricci e meno la coda di una scopa!” Come? I suoi capelli prima sembravano la coda di una scopa? Oh, Merlino… Arrivarono al quinto piano e dentro la stanza dei prefetti c’era già qualcuno. Hannah si voltò verso di lei e le andò vicino.
“Hermione, che bei capelli. Che hai fatto?” Hermione sorrise. Se qualcun altro le avesse detto qualcosa di positivo sui suoi capelli avrebbe messo la lozione anche il giorno dopo. E quello dopo ancora. Chiacchierò un po’ con Hannah, mentre aspettavano tutti i prefetti. Anche la ragazza riccia di Serpeverde la guardò.
“Lozione ravviva ricci, vero?” Hermione annuì sorridendo e la ragazza si toccò i capelli. “La uso anch’io” ammise sottovoce. E i suoi ricci sembravano stupendi. Doveva guardarsi meglio allo specchio prima di uscire, adesso era curiosissima.
Si sentirono dei rumori fuori dalla stanza e dei passi pesanti che si avvicinavano. Lei e la ragazza si affacciarono oltre la porta e videro arrivare una ragazzina bionda. Subito Hermione non capì chi fosse, ma poi lei si avvicinò ancora: la Simmons. Aveva dei tacchi vertiginosi, ma faceva fatica a camminarci, ed era truccata pesantemente. A Hermione venne in mente una cantate babbana degli anni ottanta. Quando si avvicinò di più vide che la gonna della divisa era arrotolata in vita per mostrare le gambe (le divise non potevano essere modificate con la magia, quindi le ragazze dovevano inventarsi dei trucchetti senza bacchetta, lo aveva spiegato Lavanda a Hermione già al secondo anno) e la camicetta (niente maglione) era un po’ troppo sbottonata.
Sua nonna l’avrebbe definita un fenomeno da baraccone. Perché era proprio quello che sembrava.

 

Ron sapeva che quella sera non ci sarebbe stata Pansy. Non aveva letto il suo nome sulla pergamena di prenotazione, ma ci sperò lo stesso. Magari qualcuno era stato male, oppure lei aveva cambiato idea dopo quella giornata. Sapeva di aver fatto tutto giusto, ma si pentì di non averla baciata. Cosa sarebbe cambiato se le avesse dato solo un bacio? Un piccolissimo bacio?
Hermione e Harry dicevano, beh più Hermione Harry annuiva e basta, che doveva smetterla di cercarla con insistenza. Perché lei non avrebbe mai sentito la sua mancanza, se lui avesse continuato. E lei doveva accorgersi che lui le mancava. Aveva detto così, la riccia. Sbuffò mentre guardava la porta, dove Hermione e una ragazza amica della giovane Greengrass guardavano verso il corridoio. Forse… Forse…
Le sue preghiere erano state esaudite? Pensò mentre sentiva dei rumori di tacchi venire dal corridoio. Erano poche le ragazze che mettevano i tacchi per far la ronda. E una di queste era Pansy. Continuò a guardare verso la porta, nonostante il rumore fosse un po’ diverso dal solito.
Si avvicinò alla porta, ma quando la ragazza con i tacchi entrò salutando a gran voce gli altri, ci rimase malissimo.

 

Hermione vide la faccia di Ron dipingersi di delusione quando la Simmons entrò nella stanza. Aveva pensato che fosse qualcun altro? Probabile. La Simmons era l’ultimo prefetto che aspettavano. Lei salutò Ron con molto calore, ma lui le fece un cenno del capo senza degnarla di molta attenzione.
Anthony iniziò a scrivere la pergamena, chiese ad alta voce chi volesse andare al settimo piano e scrisse i nomi dei due prefetti. Poi chiese ancora per altri corridoi. Quando Anthony nominò il quinto piano, la Tassorosso si avvicinò a Ron, prendendolo sottobraccio, appoggiandogli il seno sul braccio e chiedendogli se volesse fare la ronda con lei. Lui annuì distrattamente e fece un passo avanti, staccandosi da lei, che ricoprì subito la distanza con un saltello e si riagganciò al ragazzo.
Hermione si sentì arrabbiata con Ron. Perché aveva annuito? Non capiva che quella ragazzina voleva provarci con lui? La stessa che voleva farlo schiantare dal suo ragazzo? Sbuffò e disse alla ragazzina: “Vengo io con te”. Lei sorrise melliflua.
“No, l’ho già chiesto a lui”. Hermione guardò Ron con quello che sperò sembrasse uno sguardo omicida e lui scosse il capo.

 

Ron non capì bene l’occhiata di Hermione, ma decise di stare dalla sua parte.
“Oh, andate pure”. Si scrollò di dosso la Simmons e la spinse verso la riccia. Si girò verso gli altri. Con chi avrebbe fatto la ronda?

 

Hermione sorrise freddamente alla ragazzina che la guardò un po’ arrabbiata. Oh, piccola guastafeste, se ci fosse stata Pansy non la guarderesti così. Tremeresti di paura. Sorrise malignamente all’idea.
Disse ad Anthony che avrebbero fatto il terzo e il quarto piano.
“Come? Aveva detto il quinto piano” disse la Simmons.
“Oh, sei sicura? Anthony possiamo fare il terzo e il quarto?” Lui annuì alzando una spalla e scrisse sulla pergamena.
Hermione si diresse fuori dalla porta un po’ infastidita. Stupida ragazzina, con chi pensava di avere a che fare? Con quelle ridicole scarpe che aveva, e con cui faceva fatica a camminare, avrebbe avuto un mal di piedi allucinante, quella sera. Così avrebbe imparato a mettersi delle scarpe di quel genere. Che poi, non stanno bene a tutte. Devi avere delle gambe adatte per poterle sfoggiare e la Tassorosso sembrava più una bambina con le scarpe della madre piuttosto che una ragazza elegante. Tesoro, l’eleganza se non ce l’hai mica puoi fingere di averla.
Allungò un po’ il passo verso le scale. La biondina dovette rendersi conto di non riuscire a starle dietro e incominciò a camminare in maniera veramente spaventosa. Hermione ebbe pietà.
Rallentò un pochino e le consigliò: “Non piegare così le ginocchia quando cammini”.
La Simmons sbuffò. “Ma che ne sai te? Non ti ho mai visto vestita bene!”
Come? Si girò a guardarla ma la Tassorosso continuava a guardare fisso avanti a sé. “Cosa hai detto?”
“Sì, non ti ho mai visto vestita decentemente. Hai mai messo un paio di scarpe con il tacco?” Certo che aveva messo delle scarpe con il tacco! Non proprio spesso, ma era successo. “Probabilmente l’ultima volta che hai indossato un bel vestito è stato al ballo del Ceppo, quattro anni fa” continuò lei. Che piccola carogna!
“Dici il ballo dove ho aperto le danze con il campione di Durmstrang? Non mi ricordo di averti vista a quel ballo. Eri troppo piccola per farne parte, forse? Ho indossato altri vestiti, comunque. Bisogna farsi ricordare, non farsi notare”. E riprese un passo normale. Ok, non proprio normale. Sentì la ragazza dietro di lei gemere di dolore. Sorrise.

 

Ron fece la ronda insieme ad Anthony Goldstein. Ma anche lui notò che non era in forma. Aspettò il ritorno di Hermione nella sala dei prefetti. Piano piano erano tornati tutti e tutti se n’erano andati. Hermione e la Simmons erano le uniche che mancavano. Anthony stava aspettando il loro ritorno per finire la pergamena e lui per tornare con Hermione in sala comune.
“Penso si sia vestita così per te”. Ron si accorse che il Corvonero lo fissava intensamente.
“Scusa, non ti ascoltavo.”
Lui rise. “Dicevo che la Simmons si è vestita così per te”.
Per lui? “Così come?”
Anthony lo sguardò divertito. “Non l’hai vista?”
Oh. Non ci aveva fatto caso. Lui scosse le spalle “Non ho fatto caso a niente, io...  pensavo ad altro”.
Il Corvonero inarcò un sopracciglio. “Del tipo?”
“Regali di compleanno.”
Anthony sorrise “Un’altra ragazza, allora. Spero più carina della Simmons. E meno stupida, magari”. Ron non disse niente, ma sentì colorarsi le orecchie. Pansy era bellissima. E non c’era paragone, per lui. Con nessuna.
Si sentì un tonfo nel corridoio e loro uscirono a vedere. Hermione stava aiutando la Simmons a rialzarsi. Era caduta per terra. Anthony fece qualche passo avanti e chiese se avessero bisogno, ma Hermione scosse la testa.
Quando la ragazzina si tirò in piedi Ron guardò com’era vestita. Si era vestita per lui, aveva detto Goldstein. Ma la caduta doveva averla stropicciata un po’. Aveva la gonna arricciata in vita e la camicia della divisa le usciva dalla gonna, i bottoni della camicetta dovevano essere saltati via perché era quasi tutta aperta. Doveva essersi fatta male, perché camminava in maniera strana.
“Ti sei fatta male?” le chiese infatti.
Ma Hermione rispose per lei: “Camminava così anche prima”. Oh. Cosa voleva dire?
Vide le ragazze scambiarsi uno sguardo cattivo, più cattivo di come fanno i ragazzi. Tossicchiò, imbarazzato. “Hermione torniamo alla torre?”
Ma la biondina gli si avvicinò e gli sorrise “Potresti accompagnarmi fino alla mia sala comune…”

 

Hermione sospirò. Fino a che punto si sarebbe spinta quella stupida ragazzina?
“Non possiamo accompagnarti fino alle cucine. Abbiamo delle cose da fare, io e Ron.”
Il volto della biondina si rabbuiò. “Ti andrebbe di venire con me?” chiese, direttamente al ragazzo.
Merlino! Quella piccola…. La stava ignorando? “Oh, non penso che alla sua ragazza farebbe piacere”.
Finalmente il viso di quella ragazzina si fece terreo. Bene. Avrebbe preferito non dover nominare la Serpeverde, ma se doveva darle una lezione… In quel momento Anthony disse di aver finito e si incamminarono insieme verso le scale. Quando si resero conto di doversi dividere si accorsero che la Tassorosso era l’unica che sarebbe scesa, mentre loro avrebbero dovuto salire. Tirò Ron verso la scala. “Andiamo!”
“Ma non possiamo lasciarla andare da sola” disse sottovoce lui. Certo che potevano! Era un prefetto! Sarebbe stata in grado di arrivare al corridoio delle cucine da sola. Hannah ci andava sempre da sola.
“L’accompagno io”. Anthony si mise in mezzo fra i due. Ron annuì e lo ringraziò. Hermione sbuffò e gli fece una smorfia.

 

“Avrei accompagnato anche te” le disse Ron quando furono soli.
“Io non ho mai avuto bisogno di essere accompagnata. Non l’avrei mai chiesto, neanche se ne avessi avuto bisogno. E poi… da quand’è che sei diventato così cavaliere?” Ron sentì le orecchie arrossarsi. Lei lo guardò sorridendo sorniona.
“Mi sembrava una cosa giusta. Mi sono sempre comportato come uno stupido, pensavo di iniziare…” Lei si avvicinò e lo prese sottobraccio.
“Ti prendevo in giro. Lo so che sei un bravo ragazzo.”
E ridacchiò divertita mentre si allungava per dargli un bacio sulla guancia. Oh, sì. Proprio un bravo ragazzo. “Vai a prendere in giro Malfoy, va” disse scherzando anche lui.
Un’altra rampa e sarebbero arrivati al piano della torre.

 

Hermione si rattristò. Quel pomeriggio aveva discusso con Draco, poi non l’aveva più visto. A cena lui l’aveva guardata con insistenza, ma lei non si era mai voltata nella sua direzione. Doveva parlargli, lo sapeva. Sospirò.
“Tutto bene? Hai litigato con Malfoy? Di nuovo?”
Lei sospirò ancora “A dir la verità non ho litigato con lui. Non ancora. Per ora abbiamo avuto un leggero scambio di opinioni. Ma la prossima volta non so cosa succederà”. Lui corrugò la fronte. Effettivamente era una cosa difficile. Alzò le spalle. Era meglio parlare di cose più semplici. “Ma tu lo sai che Pansy compie gli anni domani?” Ron annuì. Ah. Lo sapeva?
“L’ho saputo oggi.”
Oh. Quindi non aveva avuto tempo per prenderle un regalo?

 

“Dovrai scriverle un biglietto” gli disse.
Ma non diceva che doveva ignorarla? “Io ho un regalo per lei, se mi dai una mano” Lei sorrise annuendo.
“Certo. Ma come fai ad avere un regalo, se lo hai saputo oggi?”
“Sei d’accordo? Mi avete fatto una testa così sul fatto che non devo cercarla, non devo toccarla, non devo baciarla…”
Lei fece un sorriso strano. “Non ti ho detto che non puoi toccarla”.
“Meno male. Perché oggi l’ho fatto.”
“Oggi pomeriggio lei era molto stressata. È stato pesante l’incontro per la consegna della casa?” Beh, quello e anche tutto il resto.
“Un po’. Beh, forse un bel po’, soprattutto quando Camille ha detto quella cosa sul fatto che suo padre è morto cadendo dalla scopa. Pansy non lo sapeva e sembrava sconvolta”. Ron si ricordava la sua faccia, l’aveva osservata bene. Per non parlare del fatto che volesse regalare una Firebolt!
“Questo non me l’ha detto, quando l’ho vista” disse la riccia. Aveva una faccia stranita anche lei.
“L’hai vista? Ti ha parlato?”

 

 

Oh. Hermione aveva parlato senza riflettere.
“Sì, ci siamo viste. Ho cercato di farmi dire com’era andata la giornata, ma lei era un po’ restia. Adesso capisco. Se lei non sapeva di suo padre…” Doveva essere stato brutto. Tutto in una volta. Poi cercò di portare l’argomento su altre cose.
“Anche su di te non ha parlato molto. Hai fatto quello che ti avevamo detto?” Ron annuì.
“Sì…” Ma non sembrava convinto.
“Non l’hai baciata, vero?” Hermione quasi gridò.
“Non gridare!” Il ragazzo si guardò intorno. “E no, non l’ho baciata. Ma è che ho fatto una fatica allucinante a non baciarla e non so neanche se ha funzionato!”

 

Ron sospirò. E pensò all’anello, alla scopa, alla foto del bacio fra Pansy e il ragazzo. Quante cose erano successe quel giorno. Per forza lei era un po’ stressata. Lo era anche lui. Avrebbero dovuto rilassarsi insieme, per Godric!
“Allora, spiegami la storia del regalo. Pansy ha litigato con Draco, oggi, e domani potrebbe aver bisogno di qualcosa che le risollevi il morale.”
Pansy aveva litigato con Draco? E perché?
“Perché hanno litigato?”
“Perché quando ci si mette lui è un troll!” Ron sorrise. Ma poi il suo sorriso sparì. Non voleva che Pansy si ritrovasse da sola il giorno del suo compleanno. “Quindi domani sarà da sola?”
“Domani hanno organizzato una festa a sorpresa. Ci andiamo anche io e Ginny.”
Oh. Una festa. Sembrava una cosa carina. “Solo voi?”
“E le altre ragazze Serpeverde. Serata fra ragazze, tu non puoi venire” disse ancora lei ammiccando. Ron annuì. Erano arrivati in sala comune.
“Mi aspetti che vado a prendere la cosa e ti spiego quello che voglio fare?” Hermione annuì.

 

Dopo dieci minuti stavano già discutendo.
“Guarda che anche queste sono...” disse Hermione.
“Ti ho detto di no. Li voglio tutti come quelli o quelli lì.”
Hermione sbuffò. Ma che differenza faceva? Alla fine un fiore era un fiore, no? No, invece no. Ron si era intestardito e aveva anche voluto scegliere i colori. Questo sì, questo no. Forse avrebbe fatto prima ad accontentarlo. Però era difficile. Anche con il libro che aveva preso in biblioteca. Sì, perché Ron aveva preso un libro in biblioteca. Si era informato, l’aveva cercato e aveva compilato il modulo per portarlo fuori dalla biblioteca.
Hermione non era sicura, forse quello era il primo libro che Ron prendeva in biblioteca per portarselo in camera. E non era ‘Il Quidditch attraverso i secoli’! Aveva preso un libro di fiori. Un libro pieno di immagini di fiori. Perché pensava che lei non sapesse bene come fossero fatti i fiori. Sorrise. Era comunque una cosa carina. Anche se lui era così testardo.
“Va bene. Facciamo come dici tu. Ma poi andiamo a letto!” Lui annuì e sorrise.

***

 

Draco si era reso conto di aver fatto una stupidaggine.
A cena Pansy si era seduta lontano da lui. Hermione invece non si era mai girata verso il loro tavolo. Iniziava a dargli fastidio, la cosa. Ignorato da tutte e due. Aveva pensato di chiedere aiuto alla mora, ma non poteva farlo, visto che lei non lo degnava di uno sguardo. Sbuffò. Blaise, disteso sul letto a leggere una rivista, l’aveva guardato ridacchiando.
“Basta che le chiedi scusa. Lo sai.”
“Non sono sicuro che questa volta basti.”
Il moro sollevò un sopracciglio. “Se dovrai fare qualcosa di umiliante per farti perdonare, voglio essere presente, ricordatelo”. Draco annuì distrattamente. Merlino, pensava che non sarebbe bastato neanche quello. Cosa gli era saltato in mente in biblioteca? Perché aveva risposto male a Pansy? Perché era arrabbiato con Hermione. Lei non voleva fare come lui le consigliava e non gli piaceva non avere il controllo della situazione.
Si allungò a prendere la borsa dei libri, tirò fuori una piuma e una pergamena e si avvicinò alla scrivania. Le avrebbe scritto un biglietto. Si sarebbe scusato. E avrebbero risolto tutto.
Incantò la pergamena e questa si piegò a formare un gufo e volò via.
Dopo un quarto d’ora lei non aveva ancora risposto. Prese un’altra pergamena e scrisse ancora. Dovette scrivere anche una terza volta prima che lei rispondesse e una pergamena piegata si presentasse al suo cospetto.
“Che dice?” chiese Blaise.
Draco appallottolò la pergamena e la lanciò per la stanza prima di prendere la bacchetta.
“Evanesco!” Fece sparire la pergamena e poi si girò verso Blaise. “Niente”.
Merlino. Blaise ridacchiò ancora.

 

Pansy era sdraiata a letto con Diamond, la gatta di Millicent, accoccolata accanto a lei. Almeno qualcuno per le coccole ce l’aveva ancora. Daphne scriveva qualcosa alla scrivania e Millicent era seduta in fondo al letto di Pansy. Aveva raccontato loro della casa, di come avessero trovato tutto in disordine e del giardino impraticabile.
“E la piscina?” chiese Daphne. Alzò una spalla.
“Non sono neanche andata a vederla.”
Era tutto così triste. Raccontò anche di aver mangiato la pizza. Non disse che il Grifondoro lo avesse fatto per la scopa. Era così umiliante…
Un ticchettio alla porta le distrasse dal discorso. Pansy alzò la bacchetta per aprire la porta e un piccolo gufo volò verso di lei.
“È Weasley?” chiese Millicent. Pansy scosse il capo. Sapeva chi piegava il gufo di pergamena così.
“Incendio” disse, il gufetto si incendiò e la cenere cadde sul pavimento.
“Pansy!” gridò Millicent, ma poi ridacchiò. “Di chi era?”
“Nessuno.”
Pansy non aveva detto loro quello che era successo con Draco. Anche se Daphne l’avrebbe scoperto presto, se lo sapeva Blaise. Chiese a Millicent di Macmillan. Lei divenne tutta rossa e raccontò che si erano trovati in biblioteca e avevano iniziato a fare i compiti insieme. Poi avevano iniziato a chiacchierare e ora si vedevano anche fuori dalla biblioteca. Ma fra loro non c’era niente. E lo disse con le mani alzate, come se qualcuno le puntasse la bacchetta contro. Lanciò uno sguardo a Daphne e lei ricambiò la sua stessa occhiata.
“Qualcuno qui è innamorata” canticchiò la bionda, piegando la pergamena che aveva di fronte.
“Non è vero!” Millie si agitò un pochino troppo e Pansy rise.
“Dai, non devi mica offenderti. È una bella cosa” continuò Daphne. Ma Millicent arrossì ancora e non disse niente. Dalla porta socchiusa entrò un altro gufo di pergamena.
Pansy alzò ancora la bacchetta ma Daphne fu più veloce. “Protego”. La mora sbuffò quando il raggio scaturito dalla bacchetta si divise in due parti schivando il gufo e si disintegrò. “Dovresti leggerlo, prima di distruggerlo”.
“No.”
“Perché? Di chi è?” Lei scosse le spalle. Daphne si alzò e prese il gufo. La pergamena si distese, ma lei non fece in tempo a leggerlo perché Pansy glielo strappò di mano. L’occhio le cadde sulle parole scritte:

 

Sarei anche disposto a scusarmi.

 

Pansy imprecò e rise nervosamente. E non a bassa voce. Daphne e Millicent ridacchiarono quando si avvicinarono.
“Però, che presuntuoso!” disse la castana, leggendo il biglietto.
Daphne ghignò. “Deve essere Draco”. Pansy annuì e lei continuò: “Che è successo?”
“Niente.”

 

Daphne conosceva Pansy abbastanza da non lasciarsi fregare.
“Lascia che si scusi” suggerì alla mora. Pansy la guardò e il suo sguardo era un po’ triste.
Se aveva capito bene, non si vedeva più con Weasley. Non poteva litigare anche con Draco. Anche se a volte, Draco era veramente fastidioso. Ma loro erano amici, quindi…

 

Pansy continuava a pensare se fosse il caso di rispondere a Draco o meno, quando arrivò un altro gufo. Lo prese direttamente e lo lesse.

 

Ci vediamo fra dieci minuti in sala comune?

 

Sbuffò: Draco pensava che gli fosse tutto dovuto. Ma non questa volta.
La mora si avvicinò alla scrivania di Daphne e le rubò la piuma. Per fortuna non era una di quelle autoinchiostranti. La intinse nell’inchiostro e scrisse velocemente la sua risposta e la spedì con la bacchetta. Che aspettasse domani per scusarsi. Sicuramente voleva qualcosa. E la sua giornata era stata già abbastanza brutta così.
Beh, a parte il Grifondoro. Ripensò alle parole che le aveva detto, a come l’aveva toccata. Sospirò. Chissà se… Ma arrivò un altro gufo.

 

“Mandale un primino” suggerì il moro a Draco.
Lui alzò un sopracciglio. “Dici? O si arrabbia ancora di più?” Blaise alzò le spalle girando una pagina della rivista. Scrisse un’altra pergamena. Minacciò di mandare un primino nel corridoio femminile. La sua risposta arrivò dopo poco.

 

Devi solo provarci.

 

Draco sorrise. Scrisse ancora. E lei rispose.

 

Non ne saresti capace.

 

 

Adesso ghignò. La piuma scorreva veloce. Incantò la pergamena e poi si alzò.
“Dove vai?” gli chiese Blaise con noncuranza.
“In sala comune.”
“Non ti ha ancora detto che verrà”.
 Lui ghignò “Lo farà”.

 

Pansy si diresse, nello stato in cui era, ossia vestita ma scalza, nella sala comune.
Quel troglodita! Osava minaccciarla! Ma lui non sapeva con chi avesse a che fare. Sbuffò nervosa per tutto il corridoio. Quando arrivò alla sala comune, lui era seduto su una delle poltrone con lo schienale alto. Ghignava. Sbruffone.
“Cosa vuoi, Malfoy?”
“Te l’ho scritto: potrei scusarmi per primo.”
“Non stai iniziando bene.”
“Dai, Parkinson…” Calcò sul suo cognome e strizzò un occhio.
“Sai com’è… sono stronza” gli rispose. La sua espressione vacillò per qualche secondo.
“Scusa, allora”. Pansy sbuffò e andò a sedersi sul divano vicino a lui. Il pavimento era freddo così appoggiò la pianta dei piedi sul bordo del tavolino. “Quindi?”
“Quindi cosa?”
“Tu non ti scusi?” Pansy spalancò gli occhi.
“Per cosa?”
“Per avermi fatto discutere con Hermione?” Lei tirò fuori una sigaretta e l’accese. “Oh, mi sembra che ci siate riusciti benissimo anche senza di me”.
Lui sbuffò
“E cosa è successo martedì?”
“Sembra che io non possa dirtelo”. Lei sorrise furba e ammiccò.
“Cosa deve scoprire Hermione su Nott?” Ora Draco aveva abbassato la voce e si era avvicinato con il busto. Lei scosse le spalle.
“Non lo so.”
“Non puoi scoprirlo tu?”
“Chiediglielo, no?” Lei tirò ancora dalla sigaretta e sbuffò il fumo in alto.
“No… intendevo: non puoi farlo tu al posto suo?”
Pansy si bloccò. Lei? Cosa doveva fare lei?

 

Lei si era bloccata. La cenere della sigaretta era caduta sul pavimento.
Draco aspettava con ansia una sua risposta. La porta scorrevole si aprì, due ragazzine del sesto anno si avviarono ridacchiando verso i dormitori. E anche la ragazza prefetto del sesto anno. Scambiò qualche parola con Pansy, ma quando guardò nella sua direzione, lui dovette guardarla veramente male, perché lei scappò via subito.
Pansy lo guardò. “Dovresti smetterla di guardare le persone così. Alla Granger non farebbe piacere”.
“Tu dovresti smetterla di frequentare i Grifondoro, invece: stai diventando noiosa.”
Vide Pansy incassare il colpo. Ghignò.

 

Noiosa. Non era la prima persona che glielo diceva. Noiosa no. Era molto meglio stronza. Sbuffò quando vide il ghigno di Draco.
“Ti odio.”
“Naaaaa… lo dici a tutti”.
Lei rise e spense la sigaretta. “Divento noiosa solo io? E tu?”
Lui ghignò ancora. “Sono troppo bello per essere considerato noioso. Nessuno se ne accorgerà”. Pansy sentì il suo sorriso arrivare spontaneamente alle labbra.
Spaccone. Snob. Sbruffone.

 

Draco ridacchiò quando vide il suo sorriso divertito. E sapeva cosa stava pensando.
“Quanti? Cinque?” le chiese.
Lei scosse, confusa, la testa.
“Quanti cosa?”
“Insulti. Quanti insulti hai pensato?” Il suo viso si distese.
“Ti è andata bene: solo tre” Lui sollevò un sopracciglio.
“Solo tre? Ti stai arrugginendo. Domani vedremo la tua divisa cambiare colore? Chissà come stai con il rosso…” Lei sbuffò bonariamente e scosse la testa.
“La tua Hermione è sempre più Serpeverde, lo sai?” Draco, senza accorgersene sorrise. La sua Hermione. Che frase. Sentì il petto aprirsi e una sensazione di calore invaderlo.

 

Pansy ridacchiò. Ma era felice. Draco stava bene. Aveva la Granger che lo faceva sentire bene, lo vedeva. Stavano bene anche quando discutevano. Loro. Loro stavano veramente bene insieme. E anche lui aveva un certo effetto su di lei, per forza. Non aveva detto a caso la frase.
L’aveva pensata nel pomeriggio, nel bagno di Mirtilla. Ed era vero: ora la Grifondoro era molto più simpatica degli altri anni. Doveva essere merito di Draco. Si alzò.
“Io non so se sono in grado di fare quello che mi chiedi” ammise. Si alzò anche lui. “Sono sicuro di sì.”
“Leccaculo.”
Lui sorrise “Visto? Stanno tornando gli insulti. È un bene”.

 

La strega sorrise ma tornò subito seria.
Draco sapeva che le stava chiedendo un favore enorme. Ma aveva paura per Hermione, perché lei non era capace di fingere, e non voleva che si trovasse ad affrontare Nott. Perché, anche se lei gli aveva spiegato di aver fatto cose molto più pericolose, e aveva anche specificato di aver rischiato molto di più l’ultima volta che si era trovata al Manor, lui aveva paura. Paura che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa.
“Possiamo pianificare le cose insieme. Non ti lascerò sola con lui, se è questo il problema. Ti prego.”
Lei alzò uno sguardo perso verso di lui.

 

Il biondo doveva tenere tantissimo alla riccia. Pansy sospirò. Sapeva che se ne sarebbe pentita. Lo sapeva, lo sapeva.
“Farò tutto quello che vuoi. Ti farò i compiti di Pozioni fino alla fine dell’anno” provò ancora lui.
“Lo fai già. Tu passi Pozioni a me, io passo Aritmanzia a te, ricordi?” Draco la guardò un po’ spaesato. Sospirò ancora. “Facciamo che mi devi un grosso favore, ok?”
Draco sorrise. Era un bel sorriso. Non un ghigno, non un sorriso affettato, non un sorriso di circostanza, un sorriso vero. Come quelli che Narcissa gli lanciava di nascosto. Qualcosa le fece male dentro.
Aveva voglia di Ron. Anche lui le sorrideva così. Lui aveva dei sorrisi sinceri. Merlino. Non doveva pensarci. Draco l’abbracciò senza preavviso.
“Grazie. Grazie, davvero.”
Si sentì un orologio battere la mezzanotte. La porta scorrevole si aprì ed entrarono due ragazzi del quinto anno. Si staccarono subito, sentendosi in imbarazzo.
“Ragazzi è tardi cosa fate in giro? Ci avete fatto perdere dei punti?” Uno dei due, un po’ spaventato scosse la testa. Lei annuì e fece loro cenno di andare. “Buonanotte, Draco”.
Ma lui guardava ancora la porta.

 

Draco aveva visto entrare un gufo appena dietro ai ragazzi. Un piccolo gufo grigio che sembrava aver conosciuto momenti migliori. Portava… una scatola? Cos’era quella cosa?
Indicò a Pansy il gufo e lei si voltò. Dovette riconoscerlo. Il gufo volò fino a lei e si posò sul tavolino. Lei tirò fuori la bacchetta e appellò un sacchetto di biscotti per gufi. Gliene diede due e lo guardò volare via. Quando prese la scatola, Draco capì che era un regalo. Merlino! Era il compleanno di Pansy! Se l’era scordato.
“Ehm… Buon compleanno?” La mora si voltò verso di lui.
“Grazie.”
Poi lei si incamminò verso il corridoio. Ehi, dove andava? E cosa c’era nella scatola? Voleva vedere.
“Aspetta! Cos’è?” Lei ghignò
“Nah. Non voglio fartelo sapere.”
Oh. Doveva tornare Serpeverde tutto di un colpo? Lui fece finta di non essere interessato, ma lei non voleva farglielo sapere davvero, infatti riuscì a salutarlo e fuggire via. Merlino. Va beh. Non gli interessava veramente. Davvero.
Continuò a guardare il corridoio, ma lei non tornò.

 

Pansy arrivò in camera di corsa, tirò le cortine del letto e si nascose dentro. Le tremavano le mani. Con la bacchetta insonorizzò le tende e scartò il pacchetto. Il carillon. Era il carrilon babbano dei Weasley.
Lo aprì e dentro, oltre alla ballerina, nella parte dove si mettevano i gioielli, era pieno di fiori. Di viole del pensiero. Di Pansy. Ed erano solo nelle tinte del viola. Il suo colore preferito. Sorrise.
Aveva raccontato al Grifondoro che da bambina raccoglieva solo quelli viola. Non quelli gialli, bianchi o rossi. Solo quelli viola. Aveva pensato a Ron ed era arrivato il carillon.

No. No non pensare una cosa così. Ti fa male. Non pensare.
Girò lo strano pezzo di metallo, fino alla fine. Lo fece partire come aveva fatto lui nel capanno e guardò il carrilon. La ballerina girava su se stessa in mezzo ai fiori. Era bellissima. E non si inceppò. Non fece quel rumore strano, solamente finì di suonare e si fermò. Sorrise per tutto il tempo.
Un regalo. Le aveva fatto un regalo. Per il suo compleanno? L’idiota del ministero aveva detto quando era nata. Che lui avesse ascoltato? Notò un biglietto fra i fiori. Lo prese mentre faceva ripartire la musica e lo aprì.

 

Sono riuscito ad aggiustare quest’arnese e

vorrei che lo tenessi tu, se vuoi.

Fra i fiori ci sono diciannove viole del pensiero che, nei prossimi diciannove giorni torneranno a essere dolci di mielandia, uno per ogni giorno, uno per ogni anno. E se ti verrà voglia di dessert… sai dove trovarmi.

(vorrei poter scrivere di aver fatto tutto da solo la parte dei fiori, ma non è vero… purtroppo sono ancora un imbranato)

Buon compleanno principessa delle stelle

R.W.

 

La ballerina finì di nuovo il suo giro. Pansy guardò incantata il biglietto. Non avrebbe dovuto essere così. Non così gentile. Non così carino.
Uscì dal letto e prese pergamena, piuma e inchiostro. Scrisse appena una parola, incantò la pergamena che si piegò e volò via. Si mise la camicia da notte, si infilò sotto le coperte sorridendo e fece ripartire il carrilon.

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Capitolo 44
*** Hermione ha un'altra crisi ***


44. Hermione ha un'altra crisi

Hermione ha un’altra crisi

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Le ragazze stavano aspettando Daphne e Pansy da più di mezz’ora.
Camille si avvicinò a Ginny che chiacchierava con Millicent vicino al tavolo adibito ai beveraggi.
“Ginny, secondo te c’è da preoccuparsi?” Ginny, che aveva appena assaggiato un liquore babbano, si girò verso di lei.
“Io non mi preoccuperei, Camille, quando si fanno le feste a sorpresa, può succedere qualche imprevisto. Non preoccuparti”. Poi si girò verso la Serpeverde castana e le allungò il bicchiere. “Bulstrode, fammi sentire anche quello lì, quello celeste. Come hai detto che si chiama?” Millicent sorrise e versò.
Camille non l’aveva mai vista sorridere. E non l’aveva mai vista essere gentile con qualcuno. Qualcuno di loro.
Guardò verso la porta, ma ancora niente. Da quando Pansy era rimasta al Ministero, Camille si preoccupava spesso. Per la prima volta, sentiva quanto fosse importante avere vicino sua sorella per non sentirsi sola.
“Però mangiaci dietro qualcosa, Weasley, l’ultima cosa che vogliamo è tuo fratello in preda al panico nei sotterranei.”
Camille si girò alla voce di Millicent e sorrise. Oh, Weasley. Forse Pansy era con lui. Forse…
Un piccolo gufo di pergamena arrivò e svolazzò davanti a Camille. Lo prese e si distese. Forse Daphne aveva bisogno d’aiuto. Lesse velocemente il biglietto.
“Arrivano!” Alzò un po’ la voce. Tutte le ragazze si alzarono da dov’erano e aspettarono di vedere la porta aprirsi.

 

Pansy seguiva Daphne che stava andando da Millicent. Quando era tornata in camera, le aveva chiesto aiuto e lei aveva accettato di seguirla. Cosa poteva essere successo? Quando girarono in uno dei corridoi dei sotterranei, trovandosi davanti a una porta strana, non fece domande. Quando aprì la porta, dentro era tutto buio, ma non chiese niente. Quando entrò, seguendo l’amica, venne investita da un: ‘Sorpresa’ gridato da una manciata di ragazze e la stanza venne illuminata da centinaia di fuochi d’artificio in miniatura.
Una festa a sorpresa? C’era cascata. Sorrise, guardando le ragazze, tutte le ragazze. Oh, c’era anche Millicent. E anche la Granger. E tutte e due avevano ancora i capelli in testa. Santo Salazar.

 

Hermione si stava divertendo. Non lo avrebbe mai detto. Era una bella festa. Le ragazze erano rilassate e la musica si godeva. Ginny chiacchierava con Astoria, la Bulstrode e Daphne e tutte e quattro ridevano. Si guardò intorno e individuò Pansy seduta su una poltrona che fumava.
Si avvicinò e le disse: “Allora buon compleanno”. Lei alzò lo sguardo sulla riccia e sorrise.
“Grazie, Hermione. Merlino, faccio fatica a chiamarti per nome.”
Hermione si sedette su una delle poltrone vicine a lei e sorrise.
“Grazie per la lozione”. Lei annuì e le guardò i capelli.
“Sono molto meglio, adesso”. Aspirò dalla sigaretta. “Immagino di doverti ringraziare per le viole del pensiero”.
Lei arrossì. “Io non…”

 

Pansy rise. Non voleva prendersi il merito? Molto Grifondoro.
“Me l’ha scritto lui di non aver fatto tutto da solo.”
La riccia spalancò gli occhi. “Oh, ma perché l’ha fatto?”
“Perché siete dei Grifondoro tremendamente orgogliosi della verità.”
“Quindi… hai mangiato la cioccorana, stasera?”
Lei tirò una boccata e quando buttò fuori il fumo, sorrise.
“Ne ho mangiata metà.”

 

Perché metà? Mentre pensava a cosa volesse dire, lei parlò ancora.
“Così, glielo hai detto tu, cosa dirmi ieri?” Hermione corrugò la fronte. Cosa le aveva detto Ron?
“In che senso?”
“Oh, tutte quelle cose… sul fatto del nome o sul… dessert…” La riccia non capiva di cosa stesse parlando.
“Ron ci ha detto di esserci rimasto male quando tu hai riniziato a chiamarlo per cognome e gli ho detto di dirti che gli fa piacere quando lo chiami per nome. Perché? Che ti ha detto?”
Pansy sgranò gli occhi e poi liquidò la sua domanda dondolando la mano con cui reggeva la sigaretta. Cocco. Il fumo arrivò fino alle sue narici. “E invece cosa intendi con ‘dessert’?” Pansy scrollò ancora le spalle per liquidare la questione
“Perché diciannove dolci?” Hermione sorrise.
“Lui diceva che se tu avessi mangiato un dolcetto al giorno, forse ti sarebbe passata la tua fobia per i dolci e avresti iniziato a pensare a lui invece che a tua madre quando li mangiavi.”
Pansy sgranò gli occhi. “Oh… È un pensiero molto…”
“…dolce” finì per lei la Grifondoro, ridacchiando.
“A proposito di mia madre: la Adams mi ha scritto.”
Spense la sigaretta.

 

“Lo so. Ha scritto anche a me.”
Oh. Quella megera. “E cosa ti ha scritto?” chiese Pansy.
“Voleva dirmi che tu non le rispondevi”
“E tu le hai risposto?” La Grifondoro annuì.
“Le ho scritto che avrai avuto sicuramente degli ottimi motivi.”
La mora si trovò a sorridere senza volere. “Le ho risposto oggi. Ci ho pensato. Se invece di venire via subito, avessi lasciato che mia madre finisse il suo discorso, ora saprei da chi mi devo guardare. È così snervante, oggi mi sono guardata intorno dubitando di tutti”.
“Nessun sospetto?” Pansy scosse la testa.
“Non saprei veramente di chi sospettare. Non siete tanti a sapere di… Weasley” Hermione si fece più vicina e sussurrò: “Hai pensato che potrebbe essere stata… Camille? Magari le ha scritto di nascosto perché le mancava… e magari si è lasciata sfuggire un po’ di cose… Magari non c’entra con chi la vuole aiutare”. La mora scosse ancora la testa.
“Ci ho pensato anch’io. Vuoi che alla Adams fosse sfuggita non una, ma due corrispondenze? Sarebbe strano. E poi, a parte il fatto che Camille dice di non averlo fatto e io le credo, mia madre pensava che Camille fosse in Francia, a Beauxbatons. Le ho detto io che era a Hogwarts.”

 

Hermione si mise più dritta e si fece attenta. “Quindi chi comunica con lei non sa che Camille è sua figlia?” Pansy si bloccò e la guardò con la bocca aperta.

 

Merlino. Non ci aveva pensato. Chi era che sapeva di lei ma non di Camille? Quasi tutta la scuola. E chi era che non sapeva di Camille ma sapeva di Ron? Pansy si girò quando vide Camille avanzare verso di loro e decise di non dire niente. Non doveva farla preoccupare.
Sua sorella sorrideva in maniera ebete e le porgeva un pacchetto. “Spero di farti piangere, adesso!”
La mora più grande alzò un sopracciglio. “Se è un sogno brevettato a occhi aperti…”
Camille scoppiò in una risata, mentre lei prendeva il pacchetto. “Noooo! È meglio. Molto meglio. Però ti ho preso un regalo anche al Tiri Vispi!” E strizzò un occhio. Pansy guardò il pacchetto incuriosita e si fece altre mille domande sulla sorella. Camille si avvicinò a Ginny e si sedette vicino a lei. La rossa si voltò verso la piccola Serpeverde e le sorrise.
“Dai, aprilo. Non sei curiosa?” Hermione si sedette sul bracciolo della sua poltrona. “Oh. Beh, un po’ sì.”
Lanciò uno sguardo alla sorella che la guardava con un sorriso affettuoso. Guardò il pacchetto. Era stoffa. Seta. Seta lilla. E il fiocco invece di un bel prugna. Erano belli insieme. Lo aveva fatto lei. Sciolse il fiocco e aprì i lembi della stoffa: l’anello di nonna Parkinson le cadde sul grembo. L’unico gioiello della famiglia di suo padre che aveva. L’unico che sua madre le avesse dato. Pansy spalancò la bocca.
“Ma come…” Alzò lo sguardo sulla sorella, che le sorrideva ancora.

 

Camille era contenta. Pansy era rimasta di stucco. Si era voltata verso di lei, con la bocca aperta e i suoi occhi avevano brillato.
Quando aveva riportato lo sguardo sull’anello, gli occhi le si erano riempiti di lacrime davvero. L’aveva preso, l’aveva guardato da tutte le parti, rigirandolo e alla fine aveva sospirato.
Si alzò per andarle vicino.

 

Hermione non capiva molto. Sua sorella le aveva regalato un anello? Era un anello favoloso, a dir la verità, ma non riusciva a vederci il nesso. La pietra centrale era viola, come era viola anche il pacchetto in cui era avvolto (come erano viola i fiori che le aveva fatto trasfiguarare Ron). Lei arrivava fino a lì.
Poi Camille si alzò e si sedette sull’altro bracciolo. Si rivolse alla sorella e disse: “Sei sorpresa, vero?”
“Pensavo di non rivederlo più.”
Guardandola bene, la Serpeverde aveva le lacrime agli occhi. “Perché?” le chiese.
La Serpeverde sospirò, rigirando l’anello davanti agli occhi. “Ho impegnato l’anello dopo il processo. Ma quando sono andata a riprendermelo il mago dietro al bancone non ha rispettato il patto. L’ho pagato quanto voleva e ti assicuro di averlo pagato molto di più di quanto mi aveva dato lui. Ma non me l’ha restituito. Le ultime volte che ci sono andata mi sono rifiutata di dargli altri soldi e lui non mi ha ridato l’anello”.
Il suo tono si era affievolito. Era inaudito! “Ma non si può fare!” esclamò infatti. Le altre ragazze si girarono verso di loro, ascoltando la conversazione. Pansy alzò le spalle.
“L’ultima volta che ci sono andata, quando siamo andate al San Mungo, ricordi?” disse, rivolta verso la sorella, che annuì tristemente e si rivoltò verso la Grifondoro. “Ho minacciato di denunciarlo e lui disse che faceva parte di una cosa chiamata ‘Ordine della Fenice’, che era un’intoccabile al ministero e che non avrei ottenuto niente”. Alzò le spalle.
“Quel figlio di buona strega di Mundungus!” Ginny si era alzata in piedi. “È l’unico che
sbandiererebbe in quella maniera l’Ordine della Fenice!” Anche Hermione annuì.
La Greengrass disse: “L’anello di tua nonna, Pansy? Strano che tu non abbia fatto saltare il banco dei pegni!”
“Ci ho pensato. Ma non potevo farlo, stavolta.”
Camille chiese: “Perché?”
La serpeverede alzò lo sguardo su di lei. “Avevo la tua tutela sulla parola. Siamo figlie di Mangiamorte. Avevo paura che facendo una cazzata ti avrebbero rispedito in Francia”.

 

A sposare Dumont. Quello non lo disse, ma Camille lo capì bene. Le strinse la mano e vennero anche a lei le lacrime agli occhi. Annuì senza dire niente.

 

Ginny si avvicinò e chiese di vedere l’anello. Pansy glielo allungò. Lei lo guardò: era bello. Era sbrilluccicoso. Non ne capiva molto di più. C’era una pietra viola in mezzo a dei petali di metallo con brillantini. La Greengrass si avvicinò e le spiegò: “È un’ametista dell’Uruguay. Il suo colore viola scuro le è stato donato da Bacco che si era innamorato di una ninfa che non lo contraccambiava e lei si fece trasformare in cristallo per non giacere con lui. Così lui, arrabbiato, le versò addosso il vino rosso. E ora la pietra è di questo colore qui”.
Ginny la guardò incuriosita e sorpresa. “Il vino?”
“Sì, Bacco il dio del vino, le ha dato il colore e il potere di non far ubriacare chi portasse questa pietra.”
“Oh!” Che leggenda intrigante.
“Beh, quella parte non funziona, comunque”. Pansy sorrise. Anche la bionda.
“Giusto. Ho visto Pansy ubriaca anche con quell’anello al dito”. Tutte e due ridacchiarono.
“Camille, come hai fatto a fartelo ridare?” La rossa la guardò, mentre glielo chiedeva, continuando ad accarezzare l’anello.
Lei scrollò le spalle. “Non l’ho fatto io. C’è andato tuo fratello”.
Ginny si voltò verso Hermione, che alzò le spalle scuotendo la testa.

 

Pansy aveva capito che c’era andato lui. Anche se ancora non aveva capito quando. Il tempo che lei aveva passato davanti alla porta del Tiri Vispi, non era sufficiente, e poi se Camille non c’era andata… Allora quando era successo? Non chiese niente.
“E perché non glielo ha dato lui?” Millicent aveva allungato il collo.
“Non ha voluto”. Camille alzò ancora le spalle. Poi si voltò verso Hermione e chiese: “Granger, che vuol dire quando un ragazzo babbano ti dice ‘mi dai il tuo numero’?”
Ginny si alzò e rispose: “Lo so anch’io! Lo so anch’io! È quando ci prova con te!” E ridacchiò, allungando l’anello a Pansy.
Camille spalancò gli occhi e si voltò verso la sorella. “Ci stava provando con me! Ecco perché mi hai portato via!”
Pansy sorrise, infilando l’anello al dito della mano destra, dove l’aveva sempre portato.

 

Hermione vide la Serpeverde sorridere. “Sì”.
“E perché l’hai fatto?” Pansy scrollò le spalle.
“Era un idiota.”
“Beh, era un idiota molto carino!”
Lei alzò le spalle. “Un idiota resta sempre un idiota. Carino o meno”. La piccola sbuffò rumorosamente. A Hermione ricordava molto Ginny qualche anno prima.
Poi Camille continuò, raccontando ad Astoria: “Aveva i capelli cortissimi e gli occhi blu, dei jeans che sembravano consumati e degli stivali rigidi, una maglietta bianca e una camicia a scacchi legata in vita… oh aveva un gran bel sedere, Astoria! E poi delle braccia…”
Camille mimava tutto quello che raccontava e la giovane Greengrass ridacchiò. “La prossima volta vengo anch’io. Anzi le hai chiesto…” Si avvicinò alla piccola Serpeverde e sussurrò qualcosa, ma le ragazze abbassarono il tono e Hermione non capì più nulla.
“Comunque era molto più carino quello che ci ha provato con Pansy!” Camille alzò la voce e Daphne si voltò verso l’amica. “Non me lo hai detto!”
“Era un altro idiota”. La mora alzò le spalle.
“Oh, Pansy è molto riservata. Qui bisogna farsi raccontare tutto da Camille, giusto?” Ginny si era avvicinata alla moretta e aveva ghignato verso Pansy.

 

Camille annuì e continuò: “Beh, a dir la verità non c’è altro. Pansy mi ha trascinato via. Ha detto loro che eravamo impegnate”. Guardò la sorella sorridendo mentre lei sbuffava.
“Pansy! Una volta dicevi impegnative!” Daphne ridacchiò. Lei scosse le spalle.
“Ti assicuro che non avrebbero capito e l’avrebbero presa come un invito.”

 

Ginny vide la Bulstrode guardare le altre ragazze con uno sguardo strano. Pansy e la Greengrass erano amiche da tanto, ma probabilmente non avevano condiviso con lei tutte quelle esperienze.
“Bulstrode, mi fai assaggiare ancora qualcosa di babbano?” chiese, alzandosi in piedi. L’altra la guardò sorpresa e annuì, avvicinandosi al tavolo con le bottiglie. La Bulstrode fece comparire del ghiaccio e poi le chiese cosa volesse.
“Quello lì, che cos’è?” chiese, indicando una bottiglia a caso. La Serpeverde fu gentile, mentre spiegava. E la vide lanciare qualche sguardo alla mora ancora seduta in poltrona che rideva di qualcosa che raccontava la bionda.
“Tuo fratello è stato gentile. Pansy ci tiene, a quell’anello”. Ginny la guardò e alzò le spalle.
“Io non sapevo niente.”
La Serpeverde sorrise. “Brutto essere fratelli piccoli, vero?”
La rossa alzò un sopracciglio. “Hai fratelli?”
Lei annuì. “Due: una sorella più grande di me, e purtroppo molto più bella, e un fratello più piccolo”. Alzò le spalle. Non sembrava propriamente felice.
Ginny bevve un sorso dal bicchiere “È buono. Sei brava”. La Serpeverde sorrise sorpresa.
“Oh, grazie.”
Poi si riavvicinarono insieme al gruppetto e la Serpeverde disse: “Pansy qual era il Weasley di cui girava voce in sala comune al quarto anno?” La rossa strabuzzò gli occhi e si girò verso le altre.
“Me lo ricordo! Ridacchiavano tutte quelle dell’ultimo anno! E sono girate un sacco di lozioni e di filtri d’amore, in quel periodo. Chi era?” chiese anche Daphne.
Uno dei suoi fratelli famoso nella casa più libertina? Era curiosissima. Pansy scosse le spalle e, mentre beveva, guardò Ginny.
“Quello dei draghi. È venuto per la coppa Tremaghi. Come si chiama, Ginny? Charlie?” Charlie? Suo fratello Charlie? Il suo fratellone?
“Charlie?” disse un po’ spaesata guardando Hermione che rideva divertita, con una mano davanti alla bocca.
“Charlie! Sì, è lui! Ti ricordi, cosa raccontavano? Oh, Millicent, me l’ero scordato! Ginny, è quello sposato?” Daphne ridacchiava diventando rossa.
O per Godric! Scosse la testa. “No, Charlie è in Romania, non è sposato. Non pensavo neanche che fosse così interessato alle ragazze…”
Pansy sorrise. “Oh, erano le ragazze interessate a lui. Giravano un sacco di voci su quanto fosse bravo”. E ammiccò. Merlino!
Ginny spalancò la bocca. Non doveva sapere queste cose! Non voleva. Non sarebbe più riuscita a guardare suo fratello. Nascose la faccia fra le mani e disse: “Ho bisogno di bere ancora”. Tutte le ragazze risero. Oh, che cattive.

 

La festa finì relativamente presto, in fin dei conti era un venerdì e il giorno dopo non c’era scuola.
Le Serpeverde si incamminarono verso la loro sala comune e salutarono le Grifondoro che avrebbero dovuto attraversare tutto il castello per raggiungere la torre.
Hermione aveva portato il mantello di Harry. Lei pensava sempre a tutto. “Niente Malfoy, stasera?” le chiese Ginny e la riccia scosse il capo quel tanto che il mantello glielo permetteva.
“C’è la partita di quidditch, domani.”
“E quindi?”
“Prima di una partita importante non è il caso di…” Ginny rise forte.
“Oh, per Godric! Te l’ha detto lui?”

 

Hermione diede uno scrollone a Ginny. Cosa aveva portato il mantello a fare se si faceva beccare comunque? La sua risata risuonò per tutto il corridoio del terzo piano. Ma lei continuò a ridere.
“Ma te l’ha detto lui?”
“Cosa?”
“Di non fare sesso prima di una partita!” Hermione spalancò gli occhi.
“Shh…. Abbassa la voce!”
“Non ci credo. Pensavo fosse un tipo a posto e invece… una mezzacalzetta!” Ginny non smetteva di sghignazzare.
“Smettila!” sussurrò Hermione. Doveva aver bevuto troppo. “Comunque no. Ho insistito io”. E sentì le guance andare a fuoco. Non le piaceva parlare di cose intime. Erano fatti suoi.
E poi lei e Draco non avevano ancora finito la discussione su Nott. Ne avevano parlato ma non avevano concluso. E nel pomeriggio era successa quella cosa… Ginny dovette capire che lei era in imbarazzo perché smise di ridere e le sorrise.
“Scusa, Hermione. Ma avreste potuto. Io e Harry…”
“Non voglio sapere cosa fate tu e Harry!” La rossa rise ancora.
“No? Perché?”
“Perché poi mi chiederesti di raccontarti di me e di Draco!”
Ginny fece una faccia inorridita. “Non lo farei mai. Sarebbe come chiedere a Pansy di lei e Ron”. Scosse le spalle rabbrividendo, pensando a Charlie. Hermione ridacchiò.
“Bene. Allora siamo d’accordo.”

 

Ginny ghignò. “Però forse… Potresti dirmi…”
“Assolutamente no!” Ginny ridacchiò ancora.
Com’era divertente prendere in giro Hermione. Entrarono dal quadro della signora grassa e si tolsero il mantello.

 

Hermione si incamminò verso la scala a chiocciola del dormitorio femminile e si voltò quando vide che Ginny non la seguiva.
“Ginny, andiamo a letto.”
 Ma Ginny non aveva intenzione di seguirla. “No. Io non ho una partita domani”.
E le strizzò un occhio, salendo le scale del dormitorio maschile. Hermione si bloccò. A volte avrebbe voluto avere la sua sfrontatezza.
Si avvicinò alla scala e Ginny le disse: “Non mi farai cambiare idea”.

 

Hermione si era avvicinata alla scala. Ginny lo sapeva che lei pensava fosse sbagliato. Ma insomma! Invece la riccia sorrise e le allungò il mantello
“Almeno non fatevi beccare.”
Oh. Non se lo aspettava. “Grazie…” E la guardò salire la scala. Sentì una voce dal corridoio delle camere maschili e indossò il mantello.
Poco dopo entrava silenziosamente nella camera del settimo anno.

 

***

 

Draco stava da Dio.
Come non lo era mai stato. La partita di Quidditch era durata appena due ore e mezzo, quell’anno i Tassorosso non erano particolarmente forti, rispetto agli altri anni.
Aveva passato il pomeriggio alla festa nei sotterranei con Hermione, non avevano più parlato di Nott dal giorno prima e ora erano nell’aula di divinazione. Quella sera aveva visto la Cooman abbastanza alticcia e quindi sapeva che non sarebbe mai riuscita a tornare nella torre. Potevano rimanere lì fino al mattino.
Era sdraiato sulla pancia, sul morbido tappeto davanti al camino con solo i boxer addosso. Hemione era a cavalcioni su di lui e gli massaggiava la schiena.
“Potrei abituarmi a tutto questo.”

 

La riccia sorrise. Si chinò a baciargli il collo.
“Anch’io”. Le sue mani correvano sulla sua pelle bianca come dotate di volontà propria. Avevano fatto l’amore. Sospirò. Ne aveva bisogno. Il giorno prima si era seduta vicino a Nott in biblioteca e, con la scusa di un altro libro, aveva cercato di chiacchierare con lui. Era stato difficilissimo. Sapeva di essere brava in un sacco di cose, ma sapeva bene di non essere in grado di fingere. Non bene.
Aveva una paura enorme di farsi beccare. Non sapeva bene cosa dire, o come dirlo, o come comportarsi. Forse aveva sbagliato ad accettare l’incarico di Kingsley ma ormai non poteva più tirarsi indietro. Aveva pensato a tutte le strategie che avrebbe potuto usare. Pozioni, incantesimi, ma non era riuscita a intavolare un piano degno di questo nome. E sì che gli anni indietro, c’era sempre riuscita. Aveva perso il suo smalto? Di solito riusciva a fare tutto quello che si prefiggeva. Ma stavolta… Sospirò ancora.
“A cosa pensi?” le chiese Draco.
“Oh, niente di che” rispose.
E invece pensava alla conversazione che aveva avuto con il moro Serpeverde. Non aveva raccontato a Draco di essere andata in biblioteca e di aver passato il pomeriggio con lui. Ed era abbastanza sicura che nessuno li avesse visti, erano a un tavolo riparato dagli alti scaffali, vicino alla finestra che dava sulle serre. Non ci andava mai nessuno. Anche lei era stata sorpresa di aver trovato Nott proprio lì. Lui aveva raccontato un po’ di cose, mentre faceva i compiti. Ok, un sacco di cose. Era stato un po’ spocchioso (un bel po’) nel raccontare di ragazze e aneddoti accaduti in passato e lei, che sapeva come stavano veramente le cose, aveva dovuto fingere interesse e ammirazione. Ed era stato difficile.
Poi lui aveva accennato a Draco. Aveva usato parole tipo famiglia facoltosa, purosangue, nobile casata. Aveva anche detto che lei era molto fortuna a stare con il biondo. Aveva elogiato Draco e la sua famiglia in una maniera stucchevole ed egregiamente fastidiosa. Alla fine, lei si era sentita quasi male. Lui doveva aver pensato che non si sentisse bene per qualcos’altro, perché le aveva appoggiato una mano sul braccio e chiesto se stesse bene con sguardo preoccupato.
Quando era uscita dalla biblioteca (e non aveva neanche fatto i compiti!) aveva la testa indolenzita e il braccio, dove lui aveva appoggiato la mano, le formicolava come non aveva mai fatto. Aveva dovuto combattere contro se stessa e contro la crisi che avrebbe avuto sicuramente se non avesse incontrato Ginny in sala comune. Lei l’aveva aiutata ma era riuscita a farla passare senza che Ginny capisse quanto fosse grave. Non aveva neanche preso la pozione. E la sera aveva partecipato con le Serpeverde al compleanno nei sotterranei. Era tutto passato.
Ma la preoccupava la prossima volta che lo avrebbe visto. Doveva trovare la maniera per condurre lei la conversazione. E magari per farsi dire quello che voleva sapere e non doverlo vedere più. Passò le mani sul collo del ragazzo biondo sotto le sue gambe e sospirò.

 

Draco velocemente si girò, tenendola ferma perché non cadesse, per poterla guardare. Lei era stupenda. Indossava la sua camicia. Le stava larga sulle spalle e lunga sulle gambe. Le accarezzò una coscia. Aveva voglia di fare ancora l’amore. Sorrise. La sua Hermione. Si tirò su per sedersi e lei ridacchiò mentre cadeva indietro stretta nel suo braccio. La baciò. Ma lei aveva la testa altrove.
“Tutto ok?” le chiese.
“Certo. Perché?” Lei aveva alzato un sopracciglio.
“Bo… mi sembrava… niente”. La ribaciò. Ma lei era ancora via con i pensieri. Poi la riccia sorrise e lui si tranquillizzò: era tornata.
“Cosa facciamo per le vacanze di primavera?”
Lei si immobilizzò. “Come?”
“Le vacanze di primavera… verrai da me?”

 

Hermione sgranò gli occhi. Andare da lui? Da Narcissa? Ebbe un brivido. Pensò al Manor, ma poi si ricordò che lui aveva detto che sua madre abitava da un’altra parte e probabilmente anche lui. Ma continuò a pensare al Manor. A Lucius. A Narcissa. A Bellatrix. La sua mente iniziò a vagare da sola.
Le tornò in mente quello che aveva detto Nott sulla famiglia di Draco. I pensieri si mischiarono ai ricordi del Manor ed Hermione iniziò a sentire le fitte alla testa che preannunciavano le crisi. Cercò di sorridere e di rispondere qualcosa a Draco per allontanare le brutte cose ma le parole di Nott le tornarono in mente.
Draco dovette capire che qualcosa non andava, perché le chiese per altre due volte se andasse tutto bene. E dovette essere sincera quando capì di non riuscire a dominare la crisi da sola.
Quando iniziò a farle male anche il petto, non riuscì a impedire che le lacrime iniziassero a scorrerle sulle guance.

 

Draco aveva intuito della crisi. Quello che non aveva capito era perché fosse successo. Lui le aveva chiesto di passare le vacanze insieme e lei era crollata. Come mai? Lui le portava brutti pensieri?
“Hermione… ma cosa… perché?” Lei aveva gli occhi vacui e disse qualcosa ma talmente sottovoce che lui non capì. “Come?” Non sapeva cosa fare. Non era più successo.
L’abbracciò stretta. Avrebbe dovuto aiutarla. Le accarezzò la testa e si inginocchiò accanto a lei per abbracciarla meglio. Lei mormorò alcune parole ma lui non le capì tutte. “Narcissa… Manor…” Draco non capiva ancora perché avesse avuto una crisi così forte.
“Hai la pozione?” Lei scosse la testa.
“Non l’ho più fatta. Io… non ne avevo bisogno.”
“Perché hai la crisi? Lo sai?” Se lei fosse riuscita a rendersi conto di cosa l’avesse fatta star male sarebbe stato più facile. Perché neanche lui aveva la pozione. L’aveva data a Pansy per andare ad Azkaban e poi si era scordato di farsela ridare.
Hermione scosse la testa. Ma disse ancora qualche parola. L’unica che lui capì, questa volta fu: “Nott”. Si irrigidì. Aveva visto Nott? Gli aveva parlato? Cosa era successo? Non aveva preso qualcosa che le aveva dato lui, giusto? Lei sapeva, giusto? Ci stava attenta? Ci era riuscita? Si sentì spaesato, ma cercò di mantenere la calma.
“Nott?”
“L’ho visto in biblioteca, ieri. Mi ha raccontato di te… della tua famiglia…”
Pianse ancora. Le accarezzò i capelli.
“Non preoccuparti di Nott, ok? Non ce n’è più bisogno.”

 

Hermione faceva fatica a seguirlo. Le fitte alla testa erano potentissime, il braccio le faceva un male infernale e quando lo spasmo al petto la pietrificava non riusciva a non piangere.
Perché non doveva preoccuparsi di Nott? Draco continuò ad accarezzarle i capelli e a tenerla stretta.
“Ho chiesto a Pansy di occuparsi lei di Nott. Scoprirà lei quello che devi sapere, non preoccuparti.”
CHE COSA? Hermione si staccò velocemente da lui, cercando di guardarlo in faccia. “Cosa hai fatto? Perché?”
Draco sorrise. “Perché per lei non è un problema. Conosce Nott da tanto e sa come prenderlo. Farà prima. Così tu non devi stare con lui”.
Hermione spalancò gli occhi: Draco pensava che lei non ci sarebbe riuscita! Che avrebbe avuto bisogno di Pansy. Forse era vero. Lei non ci sarebbe mai riuscita.
Una fitta fortissima al petto e non riuscì più a respirare. Dovette gridare perché vide lo sguardo del ragazzo farsi preoccupato. Poi non si ricordò più niente.

 

Draco non voleva lasciarla da sola e quando perse conoscenza e poi si risvegliò per svenire ancora, si preoccupò. Aveva paura di fare una cazzata, ma scrisse all’unica persona che poteva aiutarlo.

 

***

 

“Non vorrei lamentarmi…” iniziò Ron mettendo in bocca la sua metà del rospo alla menta. Pansy si avvicinò di più a lui.
“Allora non farlo.”
Lei gli baciò il petto. Ok. Non avrebbe detto niente. Erano in una stanza rotonda piena di roba di scuola. Lei era riuscita a spostare tutto per far comparire il materasso e Ron era sdraiato sulla schiena, tenendosi stretto la Serpeverde.
Pansy era andata da lui il giorno prima, con la cioccorana in mano e uno strano sorriso in faccia. Aveva parlato di dessert, esattamente come ne aveva parlato lui il giorno prima. Gli aveva detto che avrebbero dovuto dividere tutti i dolci che avrebbe trovato nel carillon. Merlino, se lo avesse saputo, avrebbe chiesto a Hermione di incantarne molti di più. E quella sera, lei si era presentata con il rospo alla menta e l’aveva chiamato per nome. Più volte.
Un piccolo gufo di pergamena si infilò sotto la porta e volò verso di loro. Pansy lo guardò arrivare.
“Merlino!”

 

“Cosa c’è?” Pansy aveva riconosciuto il gufo: era Draco.
Si allungò ad afferrarlo tenendosi il lenzuolo al petto. Non si era ancora rivestita. Avrebbe dovuto andarsene subito dopo, ma non c’era riuscita. Era rimasta vicino a lui. Quando il gufo si distese lo lesse e si alzò in piedi, portando via il lenzuolo anche al rosso.
“Ehi. Tutto a posto?”
“È Draco” disse e iniziò a rivestirsi.

 

Come, come, come? Malfoy scriveva un biglietto e lei correva da lui? Che stava succedendo? Ron si girò in cerca dei boxer e si rivestì anche lui.
“Quindi? Devi correre da lui?” Lei gli lanciò una brutta occhiata mentre si infilava il maglioncino. Gli allungò il biglietto.

 

Siamo nell’aula di divinazione.

Lei sta male. Riesci a portami la pozione?

 

Non era firmato.
“Come fai a sapere che è Malfoy?”
Lei scosse le spalle. “Da come era piegata la pergamena. E comunque quella è la sua scrittura. Penso che Hermione abbia una crisi”.
Si voltò alla ricerca della gonna e se la infilò quando riuscì a trovarla. Lo stesso fece con le calze. Lui capì che doveva fare presto se…
“Vengo anch’io.” Lei annuì distrattamente. “Non metterti le scarpe”.
Pansy si voltò verso di lui e, finalmente, gli prestò la giusta attenzione. “Perché?”
“Fanno troppo rumore. Usiamo il mantello” disse indicandolo.

 

“Beh, nei sotterranei le scarpe non fanno rumore” disse Pansy, stizzita.
“Quando facciamo la ronda, soprattutto ai piani alti, si sente eccome. E poi non riusciresti a fare presto.”
Ehi, ma con chi pensava di avere a che fare? Aveva sempre corso, con qualsiasi tipo di scarpe. Era anche saltata sui tavoli, la settimana prima! Lo ignorò e se le infilò lo stesso. Quando uscirono dalla stanza stavano ancora bisticciando.
Erano sotto il mantello. Lei aveva la borsa dei libri perché aveva raccontato che sarebbe andata in biblioteca dopo la festa e per fortuna che l’aveva, visto che dentro aveva la pozione che serviva a Draco. Ma la borsa continuava a sbattere contro le gambe del Grifondoro che brontolava ogni volta.
“Puoi spostarla dall’altra parte?”
“Puoi spostarti tu dall’altra parte.”
Era ancora nervosa per quello che lui le aveva detto prima. E un po’ era preoccupata per Draco e Hermione.

 

Ron la guardò stranito. Quand’è che lei aveva iniziato a essere così scorbutica e aveva smesso di essere carina? Sbuffò. Non sarebbe riuscito a spostarsi senza alzare il mantello.
Le prese la borsa, se la infilò a tracolla e le appoggiò una mano sul fianco.
“Così va meglio.”
Lei sorrise vittoriosa. Lui lo notò. Sospirò. Ma la strinse verso di sé.
Arrivarono alla torre nord e lui tolse il mantello mentre lei apriva la botola.

 

“Draco? Sono io.”
Appena oltrepassò la botola, Pansy si guardò intorno. Si ricordava a malapena di quel posto. Aveva fatto divinazione al terzo e al quarto anno, ma poi l’aveva abbandonata al quinto. “Sembra un vecchio bordello, qui dentro”.
“Già. Potevamo venire qui. Non ci ho mai pensato. Non ci vengo da più di tre anni”. Il Grifondoro dietro di lei chiuse la botola.
Si girò e gli chiese: “Non fai divinazione?”
Lui spalancò gli occhi inorridito mentre scuoteva la testa. “Non ho passato i G.U.F.O., ma non mi è dispiaciuto, la Cooman predisse un milione di morti diverse per Harry. Era inquietante”.
Pansy annuì. A lei aveva detto per due anni che vedeva nella sua vita un matrimonio d’amore lungo e felice. Avrebbe dovuto piantarla subito. E invece si era illusa, per due anni. Sospirò. Vide Draco vicino a una poltrona. Era stata spostata vicino al camino. Hermione era raggomitolata sulla poltrona, dannatamente pallida e con gli occhi chiusi.
Si avvicinò. Lei indossava solo la camicia di Draco. Sapeva che era la sua perché le iniziali DLM erano ricamate sul taschino.
E anche perché Draco non aveva la camicia. Lo notava in quel momento.

 

Ron vide Malfoy a petto nudo ed Hermione sulla poltrona. Almeno lui aveva i pantaloni. Pansy si avvicinò alla poltrona e chiese alla riccia se stesse bene.
Le ragazze si scambiarono qualche frase sottovoce poi Pansy gli chiese la pozione che era nella borsa. Lui l’appoggiò a uno dei tavoli e frugò dentro. Aveva notato quanto fosse pesante. Dovette tirare fuori tutto per trovare il boccetto.
Quando glielo allungò rimise via quello che aveva tirato fuori: tre boccetti d’inchiostro, due piume, quattro pergamene, tre libri. Uno non era un libro di scuola. E uno dei boccetti di inchiostro era di quelli che vendevano al Tiri Vispi: era viola.

 

Pansy prese il boccetto di pozione e lo allungò alla Grifondoro.
“Prima mi aiuti a vestirmi?” le chiese Hermione, spostò la coperta e le mostrò le gambe nude.
“Spero che tu abbia la biancheria addosso, però”. Hermione sorrise e annuì, ma strizzò gli occhi.
“Ok, facciamo presto.”
Girò la poltrona in maniera che i ragazzi non la vedessero. Draco brontolò. Lei lo guardò malissimo e lui stette zitto.

 

Draco si offese quando lei girò la poltrona. Per Salazar, aveva visto Hermione nuda un sacco di volte! Ma effettivamente c’era anche il Grifondoro vicino a lui, quindi si calmò. Ma quando gli lanciò un’occhiata di nascosto, notò che lui si era girato verso la parete.
Nobili Grifondoro, pensò sprezzante.

 

Ron si sentiva in imbarazzo: loro erano svestiti. Poteva immaginare quello che avevano fatto, l’aveva appena fatto anche lui, ma non sapeva come comportarsi. Quando Hermione aveva spostato la coperta, si era girato senza rendersene conto. Come se fosse stata sua sorella.

 

Pansy aveva aiutato la ragazza a vestirsi e le aveva fatto bere la pozione.
“Cos’è successo?”
“Troppe cose. Ho parlato con Nott ieri…” La Serpeverde si ritrovò ad annuire.
“Ti ha detto qualcosa che ti ha fatto dubitare di te?”

 

Hermione spalancò gli occhi. “Io… sì. Ma non è stata sua intenzione. Lui ha parlato tanto di Draco. Ha parlato di quanto la sua famiglia sia nobile, del fatto che lui sia l’unione di due famiglie di purosangue… Io ho pensato…”
Ma Pansy la fermò. “Ogni cosa che ti dice, è sua intenzione. L’ha fatto apposta. Ti inganna, ti fa credere di non avere altro, ti circuisce. Ha capito qual è il tuo punto debole”. Pansy sospirò lanciando un’occhiata a Draco. “Merlino, ti avevo detto di stare attenta. Sa della cicatrice? Delle crisi?”
Hermione spalancò gli occhi. “Spero di no!”
Pansy annuì. “Vedi di non dirglielo. E non fargli vedere il braccio. Ok?”

 

Pansy aveva visto la cicatrice quando l’aveva aiutata a togliersi la camicia di Draco e a indossare i suoi vestiti. Non ci sarebbe riuscita, qualunque cosa dovesse fare con Nott, quella ragazza aveva troppa fiducia nel genere umano.
“Cosa devi scoprire su Nott? Qualcosa su suo padre?”
Lei si irrigidì. “So che Draco ti ha chiesto di farlo al posto mio, ma non voglio”.
Pansy si innervosì come quando parlava con la sorella. “Non puoi farlo. Nott ti fa dubitare di te anche senza cicatrici. Non puoi reggere questo. Ti distrugge. Io… lo so bene“ si lasciò sfuggire, così, per evitare spiegazioni, disse ancora: “Tu sei fatta per altre cose”.
“Io?”
“Certo. Ti ho visto con i ragazzini. Potresti essere facilmente un’insegnante. Sai spiegare bene le cose e sai organizzare tutto. Hai una memoria eccezionale (e molto fastidiosa) e sai fare incantesimi che qui ci sogniamo e basta. E in più sei troppo buona” le spiegò. Si scoprì a pensare veramente quello che disse. Lei era veramente brava.
“Ho affrontato anche maghi malvagi. Non è la prima volta che faccio…” Pansy sbuffò non riusciva a capire perché Shacklebolt le avesse dato un compito simile. Sarebbe stata più utile in altre cose.
“Non sto dicendo che non sei capace. Ma Nott è subdolo. Ti gira intorno finché non cadi.”
“E tu lo sai, perché…”
“Io lo conosco. E molto bene”. Fin troppo bene. Così tanto bene da stargli alla larga.
“E dici che tu lo puoi fare meglio…”
“Dico che io non avrei nessuna difficoltà a spingermi oltre per ottenere quello che serve. Se serve a fare presto” mentì. Il suo sguardo spaziò in giro perché non riusciva più a guardarla. Ma aveva promesso a Draco che ci avrebbe almeno provato.

 

Hermione spalancò la bocca. Oh. A questo non aveva pensato.
Lei non voleva fare niente con Nott. Non voleva neanche che la toccasse. Ma sicuramente Kingsley non voleva che lei si spingesse fino a quel punto. O sì?
Le fitte alla testa ripresero. Però non voleva che lo facesse neanche Pansy. Davvero non aveva problemi a fare quello che aveva detto? Ma non aveva paura di Nott? E poi, Ron? Erano entrati insieme dalla botola. Stavano insieme?
Pansy si alzò velocemente e sparì alla sua vista.

 

Ron vide Pansy parlare con Hermione ma loro parlavano troppo piano per capire quello che si dicevano. Dalla sua faccia, capì che neanche il biondo sentiva.
Poi Pansy fece quell’espressione. Lui la conosceva bene. Troppo bene. E si spaventò.

No. Non farlo. Non con Hermione. No.
Si avvicinò mentre lei si alzava in piedi e li raggiungeva. Lo oltrepassò e Ron si girò a vedere dove andasse: Pansy allungò la camicia a Malfoy e gli disse qualcosa a bassa voce.
Lui non riusciva a vederla bene. Si avvicinò a Hermione e le chiese: “Cosa vi siete dette?” Lei scosse le spalle. “Ti ha mentito”.

 

Hermione strizzò gli occhi. La Serpeverde le aveva mentito? Quando? Su che cosa? Sulle belle cose che aveva detto di lei? E come faceva a saperlo Ron? Maledizione, non era lucida. Hermione cercò di concentrarsi.
“Se non sai cosa ci siamo dette, perché dici che ha mentito?”
“Ho visto la sua faccia. La conosco. L’ultima cosa che ti ha detto, era una bugia.”
Oh. “E le altre?” Lui alzò le spalle.
“Sono sicuro solo dell’ultima. Non vi osservavo da tanto”. Involontariamente, Hermione, sorrise. L’ultima cosa che Pansy le aveva detto era una bugia: quella su Nott. Iniziava anche a capire perché lo avesse detto.
“Non pensavo che potesse mentirti… mi spiace…” Ron abbassò lo sguardo. Hermione si alzò e si girò verso i Serpeverde. Forse…
“Ok. Hai ragione” disse, ad alta voce.
Draco si stava allacciando i bottoni della camicia. Alzò lo sguardo su di lei quando parlò. Anche Pansy si girò.
Certo che potevano stare un po’ più lontani…

 

Ron guardò Hermione stranito. Si era ammattita? Cosa diceva?
“Ho ragione?” vide Pansy guardare Hermione con il suo stesso sguardo.
“Sì, hai ragione.”
Ma… Forse non aveva capito. “Ma ti ho appena detto che ti ha mentito!”
“Mentito?” Malfoy si girò verso la compagna di casa e ora era il suo turno di essere sorpreso.
“Sì. Perché hai mentito a Hermione?” Ron guardava la Serpeverde. Si sentiva tradito. Aveva mentito alla sua migliore amica! Perché? Voleva ingannarla?

 

Pansy non riuscì a reggere il suo sguardo. Era deluso. Come nell’aula di pozioni. Dannazione.
“Hai origliato la nostra conversazione?” gli chiese. Lui lo sapeva, quello che pensava di Nott.
“No” rispose il rosso.
Draco si voltò verso di lei. “Da qui non si sentiva”.
Lei sospirò. Non aveva sentito. Però lui sembrava arrabbiatissimo lo stesso. Chissà allora come faceva a saperlo. Perché lei aveva mentito. Mentito spudoratamente. Non sarebbe neanche riuscita a rimanere vicino a Nott a una breve distanza, figurarsi farci qualcosa di più. Ma lui aveva solo parlato con Hermione e lei aveva avuto una crisi. Cosa sarebbe successo se avesse capito le sue intenzioni?
Aveva una voglia matta di farla pagare a Nott. Per Camille e ora anche per Hermione. Forse avrebbe vendicato anche se stessa.
“Non ho mentito”
“Bugiarda! Lo stai facendo anche adesso! Pensi che non sappia leggerti in faccia?” Lui aveva alzato le braccia e aveva imprecato forte. Tanto che la Grifondoro lo aveva ripreso.
“Ronald!”

 

Hermione non voleva che litigassero. Tantomeno per lei.
“Sì, Ron. Lei mi ha mentito. Per fortuna”. I ragazzi si voltarono nella sua direzione. Così la riccia prese la mano alla Serpeverde, che aveva iniziato a tremare.
“Digli cosa mi hai detto, così capirà.”
La mora scosse la testa. Alzò la testa e guardò Ron.
“Mi basta quello che ha detto lui.”

 

Ron sentì lo sguardo della mora trapassargli il cervello, i polmoni e raggiungere il cuore. Gli bloccò il respiro.
“Lui pensa che voglio ingannarti.”
Panzy si era voltata verso Hermione, adesso.
“Lo volevi fare” disse, poi Hermione si voltò verso Ron e prese anche la sua mano. “Voleva farmi credere una cosa brutta. Grazie per avermi detto che era una bugia.”
Come? Ora non capiva più niente.
“Io vado”. La Serpeverde si staccò da Hermione e si diresse verso la botola.
Poi la riccia disse ad alta voce: “Devo scoprire dov’è il padre di Nott e se loro sono in contatto”.
“Avevo immaginato qualcosa di simile”. Si voltò verso Draco, alzò le spalle e disse: “Mi spiace”.
A Ron lanciò uno sguardo carico di tristezza. E si chinò per aprire la botola.

 

Hermione si agitò. Non pensava sarebbe andata così. No, no, no. Perché le cose non seguivano i suoi piani?
“Aspetta!” Pansy si voltò. “Dicevo: hai ragione. Sicuramente sei più brava di me”.
“Io non ho detto…”
“In questo caso. Solo in questo caso” ci tenne a precisare. La Serpeverde sorrise divertita. Ma almeno si fermò.
“Lo possiamo fare insieme” propose allora.
“Possiamo farlo tutti” disse Draco.
Hermione annuì.
Draco si voltò verso l’amica. “Che dici?” Anche Pansy annuì.
“Si può fare. Guarda cosa non ti sei inventato per non essere in debito con me, Draco!” La mora sorrise sorniona.
“Sarò in debito con te lo stesso.”

 

 

Ron guardava i ragazzi senza capire.
“Sarò in debito con te anch’io” disse Hermione. Ma Pansy scosse la testa.
“Oh no. Se riusciamo in questa cosa, saremo pari. Sei venuta a tirarmi fuori dalle grinfie di sua cognata” disse, indicandolo con la testa.
Com’è che tutti pensavano che lui non contasse niente? Era come se non fosse lì davvero. E cos’era successo con… sua cognata? Fleur? Sentì Hermione dire: “Andata”, e avvicinarsi alla Serpeverde mentre si davano la mano.
Ok, che cazzo stava succedendo?
“Mia cognata chi?” Oh per Godric che domanda stupida!

 

Pansy lo guardò alzando un sopracciglio. Hermione si girò verso di lui. “La fidanzata di Percy ha interrogato Pansy quando è andata ad Azkaban. L’ha fatto… non proprio legalmente”.
Ron spalancò gli occhi. “Il veritaserum?” Tutte e due le ragazze annuirono. “E su cosa hai mentito adesso?” Ron la guardò con occhi severi. Oh, Merlino. Alzò le spalle.
“Voleva farmi credere di non aver problemi ad andare a letto con Nott.”
Pansy guardò la riccia con sguardo tradito. “Ehi!”
“Su, dai. Non c’è niente di male. Ci hai provato, grazie mille. Ma lui se n’è accorto. Sei fortunata. Era peggio se lui ci avesse creduto come stavo per fare io.”
La mora voltò lo sguardo verso il rosso, che la guardava preoccupato e le si avvicinò. “Perché hai detto una cosa del genere?” Aveva parlato sottovoce.
“Nott ha parlato con lei e ha avuto una crisi. Volevo convincerla a lasciar perdere”. Il rosso si avvicinò ancora e l’abbracciò.
“Scusa se ho dubitato di te”. Lei si sciolse dall’abbraccio.
“Lo farai ancora.”
“No.”
“Sì. Sono una Serpeverde, ricordi? Tutti dubiteranno di me. Non sono neanche riuscita a venir via dal Ministero perché dubitavano di me…”
“Io non lo farò.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere, Weasley.”
“Mettimi alla prova, Parkinson”. Lei sbuffò e si staccò da lui.
“Quindi? Che facciamo?” disse rivolta verso gli altri.
"Potreste iniziare a spiegare da ciò che successo martedì" propose Draco.
Oh, va bene.

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***Ecco il nuovo capitolo! Buona lettura! 😘

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Capitolo 45
*** Operazione 'Nott' ***


Operazione ‘Nott’

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Il tavolo della colazione era pieno di roba ma Ron, stranamente, non aveva molta fame. Prese delle uova dal vassoio e un pancake. Ma non li toccò: era preoccupato.
Sarebbe andato tutto bene? Ginny arrivò di corsa, si sedette vicino a lui e si riempì il piatto. Ridacchiava contenta. Non le avevano ancora raccontato niente.
“Ti ha detto Hermione di Charlie?”
Oh per Godric, cosa aveva Charlie adesso? “Che cosa? Si è fidanzato anche lui?”
Ginny lo guardò stranita. “Fidanzato?” I suoi occhi si strinsero. “Sai qualcosa che non so?”
Lui scosse le spalle. Cosa voleva Ginny? “Cosa doveva dirmi Hermione di Charlie?” Cercò di essere più accomodante. La sorella se ne accorse, ma fraintese il gesto.
“Oh, probabilmente tu lo sapevi già. Magari Pansy a te l’aveva detto!” E iniziò a mangiare. Come? Cosa? Che intendeva?
“Pansy?” chiese sottovoce.
“Sì, probabilmente tu sai già tutto e come al solito non mi hai detto niente.”
Ron era confuso. “Ma cosa dici?”
“Tu sapevi che Charlie nei sotterranei era molto famoso per quello che combinava sotto le lenzuola?”
COSA? La sorella dovette leggergli in faccia il suo stupore. “Oh, noto che sei sorpreso quanto me. Bene”.

E come diavolo faceva a saperlo Pansy? Ginny gli rise in faccia quando capì quello che stava pensando.
“Che stupido che sei. Charlie aveva già finito la scuola quando voi avete iniziato.”
Oh. Giusto, giusto. Quindi? “Sai quando è venuto per la prova dei draghi della coppa tremaghi?” Lui annuì. Oh, Charlie era passato dai sotterranei? Oh, ma Pansy c’era! Ginny rise ancora. Merlino. Doveva sembrare veramente uno stupido.
“Le ragazze dell’ultimo anno hanno raccontato un sacco di cose alle altre, quella volta. E sembra che Charlie fosse veramente un dio del sesso, o cose così. Non hanno voluto scendere in dettagli con me, però!” Alzò una spalla e riprese a mangiare.
Merlino. Ron avrebbe preferito non saperlo. Ringraziò il cielo quando arrivò Harry, finché non si sedette vicino a Ginny e lei lo baciò. Cercò con lo sguardo Hermione e, quando la vide entrare in sala grande, le fece un cenno con la mano e lei si avvicinò.

 

In quel momento dall’altra parte della sala grande si sentirono delle voci e un gran fracasso.
“Ehi, idiota, guarda dove vai!”
La borsa dei libri della Parkinson era aperta, per terra. Il suo contenuto era sul pavimento e lei era in piedi, con le braccia incrociate sotto al petto e sbatteva un piede per terra.
“Sei stata tu a venirmi addosso”. Malfoy si era girato e la guardava con un sorrisino strafottente.
“L’hai fatto apposta, Malfoy!” Il suo piede era sempre più nervoso. E anche lei.
“No. Ti sopravvaluti”. Il biondo ghignò.
Ma cosa stava succedendo? Harry aveva osservato la scena stranito: gli sembrava di essere tornato indietro di qualche anno.
Si guardò intorno per verificare che fosse tutto a posto, ma notò che anche gli altri erano stupefatti quanto lui. Sentì Ginny balbettare: “Ma che cosa…”
La seguì quando si alzò, non notando che Ron aveva tentato di fermarla.

 

Ginny non si accorse di essersi alzata finché non si avvicinò al tavolo verdeargento.
Pansy era davanti a Malfoy e sembrava molto infastidita. Gli disse ancora qualcosa che Ginny non capì e lui le rispose qualcosa di sfacciato, perché sentì la Serpeverde esclamare: “Questa me la paghi, Malfoy!”
Lui ghignò ancora e andò a sedersi. La McGranitt arrivò quasi di corsa e disse: “Signorina Parkinson, raccolga le sue cose e vada a fare colazione. Fra poco iniziano le lezioni”. Ma lei rimase in piedi guardandola con sufficienza, senza dire niente.
Sentì la Greengrass dire, non proprio sottovoce: “Hanno litigato la settimana scorsa in biblioteca...”
“Secondo me, questa volta non fanno pace” le rispose qualcun altro. Ma… Ma… Cosa era successo? La McGranitt era ancora in piedi davanti alla Serpeverde.
“Non ho fame” disse la mora. Ma cosa faceva? Perché aveva risposto alla preside? Ginny spalancò gli occhi.
“Le conviene sedersi comunque, signorina Parkinson, altrimenti potrei darle una punizione.”
“Di che tipo?” chiese lei alzando un sopracciglio. Ma voleva contrattare? Con la McGranitt? Vide il volto della preside farsi pallido mentre la linea della bocca diventava rigida.
Ginny cercò di fare un passo verso di loro, ma Harry la fermò. Non si era accorta di lui. La portò indietro verso il loro tavolo. “Lasciami, Harry, io…”
“No, vieni con me.”
La ragazza non disse niente e si lasciò trascinare via.

 

Pansy vide Potter tirare indietro Ginny.
Per fortuna. Avrebbe dovuto rispondere male anche a lei e avrebbe preferito non doverlo fare. Guardò la preside con uno dei suoi migliori sorrisi e aspettò la sua punizione.
“Cinquanta punti in meno a Serpeverde” dichiarò la McGranitt e, subito dopo, si allontanò.
Tutto il tavolo la guardò male. Ok. C’era abituata. Sentì qualcuno avvicinarsi. Sperò che l’idiota fosse cascato in quella messinscena. Non le sembrava poi così credibile. Ma Nott era un idiota, appunto. Doveva pensare che fosse da sola, che avesse litigato con tutti.
Forse…

 

Nott si avvicinò alla ragazza, che aveva ancora le braccia conserte e guardava furiosa dove Malfoy si era seduto. Tutto il tavolo la stava guardando. Non proprio bene. Ghignò. Non sapeva cosa fosse successo fra quei due, ma forse avrebbe potuto approfittare della situazione.
“Ti serve una mano?” le chiese, spostando con un piede uno dei libri. Lei si voltò verso di lui, ma non gli sorrise.
“E vorresti darmela tu? Ti vuoi chinare a raccogliere i miei libri come hai fatto con la puttana di Malfoy?” Nott si sentì un attimo spaesato: non se lo aspettava. Poi ghignò, nonostante tutto.
“Certo che no!” Fermò un ragazzino dei primi anni che stava per andare a lezione e lo obbligò a raccogliere tutto.
Quando lui si tirò su, porse la borsa alla Parkinson e le disse: “Prefetto Parkinson…” Lei si chinò a dargli un bacio sulla guancia. Il piccoletto divenne tutto rosso e scappò via.
“Oh, non mi ricordavo che fosse così divertente!” La ragazza gli lanciò un’occhiata divertita e andò a sedersi. Due ragazzi vicino a lei si alzarono quando lei disse qualcosa. Oh. Si avvicinò e le si sedette vicino. Ma la mora si alzò subito dopo colazione e sparì.
Sparì davvero. Perché quando arrivò nell’aula di pozioni, lei non c’era. Oh. Chissà dov’era. Forse non sarebbe venuta. Forse piangeva in bagno. Sentì la Granger, la puttana di Malfoy, come l’aveva chiamata la Parkinson, chiedere a Lumacorno se avessero potuto lavorare a coppie quel giorno. Quando l’aveva guardata, aveva visto che si era girata verso Malfoy e aveva ridacchiato. Lui aveva annuito in risposta.
Oh, per Salazar! Malfoy si stava rincoglionendo. Non lo avrebbe mai detto. Ridacchiò mentalmente. Aveva visto che succedeva quando ci si metteva con una ragazza. Aveva visto parecchi rincretinirsi così. Anche i migliori. Per questo lui non aveva una ragazza fissa. La monogamia era per i perdenti. Anche suo padre a volte sembrava rincretinito. Da quando diceva di essersi innamorato…
Non pensava però che sarebbe successo anche al biondo. Perdere smalto così, per una sanguesporco. Sarebbe stato divertente portarsela a letto. Ma sarebbe stato anche difficile soprattutto affrontare Malfoy dopo. A lui non piacevano le cose difficili.
Notò le persone spostarsi. Oh, Lumacorno doveva aver accettato la proposta. La Granger e Malfoy si misero vicini. Beh, effettivamente, lei lo aveva proposto per quello.
Si guardò intorno: era rimasto da solo. Come al solito. Erano in dispari, senza la Parkinson. Ma non era un problema. Lui era formidabile in pozioni. Non aveva bisogno di nessuno. Era anche più bravo di Malfoy.
Quando la porta si aprì, sentì Lumacorno dire: “Signorina Parkinson, grazie di averci raggiunto”, si girò e la sentì rispondere: “Non c’è di che, professore”.
Nott sorrise. Lei invece era abbastanza facile. Da quando poi che non stava più dietro a Malfoy, né a Weasley, sarebbe stato come al terzo anno. Avrebbe solo dovuto essere un po’ più cauto.
Notò che quando realizzò la situazione alzò un sopraciglio e sbuffò quando capì che l’unico da solo era proprio il moro.

 

“Daphne, fai cambio posto, sto io con Blaise.”
Vide la bionda girarsi verso di lei e alzare le sopracciglia. “Ma Pansy…”
“Signorina Parkinson, prenda posto con il signor Nott e non perda altro tempo, per favore” si intromise il professore.
Pansy guardò il moro con un’occhiata sprezzante, non dovette neanche fingere nel farlo, e annuì. Si avvicinò e appoggiò la borsa sotto il banco. Quando Lumacorno spiegò cosa fare, non prestò molta attenzione.
L’unica cosa buona di Nott era che fosse bravissimo in pozioni: avrebbe lasciato fare tutto a lui. Anche perché, a parte ricordarsi a memoria gli ingredienti delle pozioni, lei non sapeva fare niente. Era riuscita a superare i G.U.F.O. solo perché era vicino a Draco, che le aveva passato tutto l’esame. Tanto, mica doveva fare la pozionista o il medimago, no?
“Guarda che non so fare niente” gli confidò.
“Oh, lo so” disse lui ammiccando. “Ma non preoccuparti, mi ringrazierai più tardi”.
Lei alzò un sopracciglio. Sarebbe stato facile fare la sdolcinata e promettergli quello che voleva, ma sarebbe stato sospetto. Magari anche un idiota come lui avrebbe capito.
“Nott, lo fai anche per te, mica solo per me. Non devo ringraziarti di niente.”
Lui corrugò la fronte e poi ghignò. “Posso aiutarti in pozioni”, Pansy esultò internamente, ma non disse niente e aspettò che continuasse. “Io e te… da soli, qui, con un calderone… subito dopo cena…”
“Potresti passarmi i compiti e non fare tutte queste scene.”
“Sì, ma come potresti poi ringraziar mia dovere? Se invece venissimo qui…”
“Mi farò fare i compiti da qualcun altro”. E si voltò a guardare la classe.
“E da chi?” chiese lui, mentre faceva cadere nel calderone qualcosa e prese il mestolo. Lei gli strappò di mano il mestolo e mescolò.
“Mi inventerò qualcosa.”
“Qui dentro l’unico alla mia altezza è Draco. E sembra che non andiate così d’accordo”, spocchioso, mediocre e arrogante. Lei ghignò. “Anzi, sembra che tu non vada più d’accordo con nessuno!”
“Potrei sempre lanciargli un Imperius e farglielo fare comunque. O farlo fare a te. Sono ancora brava in incantesimi, ricordi?” Lui la guardò.
“Si finisce ad Azkaban, con un Imperius, le maledizioni senza perdono sono controllate dal ministero.”
Lei sorrise sdolcinata, dopo quella dichiarazione. Forse perché aveva visto che lui si era preoccupato. “Sì, ma sembra che ad Azkaban non si stia così male. E che si possa uscire facilmente”.
La faccia di lui si fece seria. “Sei andata ad Azkaban da tua madre? Tu sai che noi…” Lei, che si era chinata sul libro per verificare gli ingredienti, si voltò verso di lui, stranita, ma si riprese subito e registrò tutto. Aveva imparato a farlo da tantissimo tempo. Linguaggio del corpo. La sua faccia, le sue espressioni, l’irrigidimento del corpo. Merlino. Merlino. Merlino. Ma cosa… Perché aveva nominato sua madre? Che fosse lui il contatto?
“Può darsi” disse vaga.
Lui le prese il braccio. Le fece male. Le sue dita l’artigliarono. Riuscì a non lamentarsi. “Non dovresti parlarne così. Qualcuno potrebbe…”
Lei sorrise ancora. Lungi da provare la sicurezza che mostrava fuori, lo interruppe. “Calmati, Nott. Guarda che non ho detto niente. IO!” Ci tenne a sottolineare. Lui sospirò silenziosamente. E lentamente la lasciò. “Metto questo?” chiese, prendendo un liquido che lui aveva preparato nel frattempo. Annuì, ma era distratto. “Oh, stai attento. Quanto ne metto?”
“Abbassa il fuoco, prima.”
Lei fece quello che lui disse. “Ma quindi tu sai…”
Lo interruppe: “Non dovresti parlarne. Siamo sicuri che ci si possa fidare di te?”
Lui si innervosì e si irrigidì in tutta la sua altezza.
“Tu non sai cosa ho fatto! Io ho…”
“Facciamo che parliamo un’altra volta, Nott?” disse allargando gli occhi e indicando la classe con la testa.

 

Oh, Merlino. Si stava facendo beccare. Maledizione!
Nott annuì e si passò una mano fra i capelli: lei sembrava molto più in gamba di lui. No. No. Non è vero. Lui aveva fatto tutto quello che suo padre gli aveva detto. Aveva raccolto i soldi. E ne aveva raccolto a palate. Aveva rubato spiccioli a quelli dei primi anni, aveva inventato una pozione veramente potente e aveva iniziato il suo commercio, aveva organizzato le festicciole per i ragazzi dei primi anni.
Suo padre era stato contento, l’ultima volta che lo aveva visto. E gli aveva dato una pacca sulla spalla. Lui aveva fatto tutto da solo. Certo che ci si poteva fidare di lui!
Quella piccola stronzetta cosa pensava di…
Però aveva ragione: si stava tradendo da solo. Avrebbe spifferato tutto, se lei non l’avesse fermato. Annuì ancora. Si passò, ancora una volta, una mano fra i capelli.
Merlino, se era difficile fare tutto da solo. Senza qualcuno con cui parlare.
La guardò: lei sembrava calmissima. Ma non aveva paura? Non aveva paura che potessero scoprirli? Di poter finire ad Azkaban? Di…
Lei gli appoggiò una mano sul braccio. “Va tutto bene. Dimmi cosa devo fare adesso con la pozione”. Giusto, la pozione.
Completarono la pozione e le due ore finirono.

 

Lumacorno si complimentò con loro per la riuscita della pozione. Disse che era la migliore fra tutte.
Pansy guardò Nott, strizzò un occhio e disse sottovoce: “Mi sa che è stato anche merito mio. Ora datti una calmata e quando sarai pronto parleremo”.
Ma lui doveva essere abbastanza calmo, perché le rispose: “Stasera, qui alle 18.00. E parliamo”.
“No. Stasera ho…” Lui si voltò verso di lei. Sì, si era calmato e aveva ripreso la solita aria strafottente.
“Ho detto stasera. Vieni dopo cena”. Lei sbuffò vistosamente. Nott fece un passo avanti e Pansy indietreggiò meccanicamente per non farsi toccare. “Vedi di esserci”. La indicò con l’indice.

 

Comandava lui. Doveva farglielo capire.
“Vedi di esserci.”
Lei abbassò lo sguardo e Nott ghignò: aveva ancora un certo potere su di lei. Ma doveva ricordarsi di tenerle lontano la bacchetta, perché non finisse tutto come l’ultima volta. Poi la ragazza annuì senza guardarlo.
Nott uscì dall’aula senza guardarsi intorno. Sorrise: avrebbe avuto un’ora buca, dopo.

 

***

 

Pansy entrò nel bagno dei prefetti.
La vasca era piena e l’acqua ondeggiava in tante piccole onde, ma non c’era vapore. Avanzò verso lo specchio e il lavandino. Appoggiò la borsa e si guardò allo specchio. Si sistemò il rossetto e il resto del trucco. Doveva solo aspettare. E intanto pensare.
Merlino. Il padre di Nott c’entrava con l’evasione di sua madre. E lei si sentì stupida. Stupidissima. Degna di ogni troll in circolazione. Ci sarebbe dovuta arrivare prima. Nott sospettava di lei e Weasley dalla serata in infermeria. Se era stato lui a far giungere la voce a sua madre, probabilmente lei lo aveva saputo prima ancora che succedesse qualcosa. Per un attimo pensò a cosa sarebbe successo se quel giorno non fosse andata alla Tana a fare i biscotti…
La porta si aprì ma non entrò nessuno.
Sorrise.

 

Harry e Ginny erano sotto al mantello dell’invisibilità ed entrarono nel bagno dei prefetti. Pansy li guardava. Va beh, guardava verso la porta.
Ginny uscì da sotto il mantello e si avvicinò a lei.
“Dovrei ucciderti per lo spavento che mi hai fatto prendere!” E si gettò fra le sue braccia. Lei dovette essere sorpresa, perché per poco non la fece cadere.
“Oh, mi spiace, io…”
“Sei stata maledettamente brava!” Ginny vide la sua faccia imbarazzata e ridacchiò. Poi si girò verso Harry. “Harry, se non ci fossi stato tu, avrei fatto un guaio!”

 

Harry salutò la Parkinson con un cenno del capo. Aveva capito che stava succedendo qualcosa, a colazione, ma non aveva afferrato cosa. Finché non era tornato al tavolo dei Grifondoro e aveva visto con che occhi guardavano la scena Hermione e Ron.
Come se li avesse chiamati, la porta del bagno si aprì ancora e loro entrarono.
Annuì; mancava solo Malfoy.

 

Draco entrò nel bagno dei prefetti con la Greengrass.
Gli altri erano tutti seduti per terra. “Malfoy, non si era detto di passare inosservati? Lei non è un prefetto!” Weasley lo guardava torvo. Sapeva come si sentiva, così non gli disse niente.
“Abbiamo aspettato che non ci fosse in giro nessuno”. Vide Potter annuire.
“Daphne, cosa fai qui?” Pansy guardava l’amica con gli occhi sbarrati.
“Cosa vuol dire cosa faccio qui? Sono venuta ad aiutare la mia migliore amica!”

 

Pansy guardò la bionda con espressione sorpresa. Era fantastico. Ma erano troppi. Avrebbero dato nell’occhio.
Si sedettero e tutti si voltarono verso di lei. “Quindi?”
Pansy si sentì in imbarazzo, ma poi Ron le sfiorò il ginocchio con il suo. Ok, probabilmente non l’aveva fatto apposta, ma a lei bastava.
“Deve aver creduto che abbiamo litigato” iniziò, guardando Draco, che annuì. “E penso che gli abbia fatto piacere quando la McGranitt mi ha sgridato. Poi, a Pozioni, quando ho nominato Azkaban, lui è diventato strano. Quando ho detto che era facile uscire da lì, Nott ha nominato mia madre”.
Guardò Hermione, che si coprì la bocca con la mano per la sorpresa.
La riccia spiegò agli altri quello che aveva raccontato sabato sera nell’aula di divinazione, di sua madre e della presunta evasione. Poi si girò di nuovo verso Pansy e le chiese: “Potrebbe essere lui? Il contatto di tua madre?”
La mora scrollò le spalle. “Potrebbe. Si è agitato molto”.
“Gli hai detto di essere stata da tua madre?” Annuì.
“Lui sa qualcosa, mi sa. Ma gli ho detto che c’era troppa gente e che doveva stare zitto. Non ero sicura di quello che dovevo dire. Non avevamo parlato di questo. Pensavo di dover parlare solo di suo padre. Io… non sono brava a improvvisare”.
Hermione sorrise. “Però sei riuscita a farti dire che lui sapeva dell’evasione!”
Oh, bella consolazione. Aveva fatto tutto da solo. Alzò una spalla.
“Ci vediamo dopo cena nell’aula di pozioni, magari vedrò di farmi dire qualcosa.”
“Glielo hai proposto tu?” chiese Ginny. La Serpeverde scosse la testa. “E come hai fatto? Oh, quella cosa per cui per far fare qualcosa a un ragazzo deve pensare che sia un’idea sua?” Pansy spalancò gli occhi. Ma poi sorrise, scuotendo la testa. Lo aveva detto lei, alla rossa.
Continuò, girandosi verso Hermione: “Provo a fargli cosa sa e scoprire di questo posto dove dovrebbero fuggire. Magari suo padre è lì. Mia madre ha parlato di ‘isola’. Magari tu…” Guardò verso Draco.
Lui annuì e guardò Potter, che gli rivolse uno sguardo strano.

 

“Ci sarò anch’io” disse infatti Draco.
Se fosse stato anche lui nella stanza e Nott non si fosse messo sulla difensiva, avrebbe potuto leggergli la mente. Doveva chiedere a Potter il mantello, sperò che non si facesse pregare, ma aveva promesso a Pansy che non l’avrebbe comunque lasciata sola con Nott.
“Abbiamo anche le orecchie oblunghe, nel caso” disse la piccola Weasley. Tutti annuirono.
Draco non aveva capito, ma decise di lasciare perdere e di chiedere spiegazioni a Pansy poi in privata sede.
Poi la mora si rivolse alla Greengrass: “Ho bisogno che tieni Camille lontana da me per un po’. Non voglio che lui sappia che è mia sorella”. La bionda annuì. “Ok, allora abbiamo finito. Forse non c’era bisogno che veniste tutti”.

 

Ron non aveva detto niente. Ma un po’ era preoccupato.
Guardò Pansy parlare con Malfoy sottovoce. Lui annuiva. Poi si avvicinò a loro anche Hermione e Pansy iniziò a parlare solo con lei.
Si avvicinò a Malfoy, ma lui si stava dirigendo verso Harry, così li raggiunse. “Il mantello? Certo. Non c’è problema”, sentì dire al moro.
“Il mantello?” chiese lui guardando Malfoy.
“Ho promesso a Pansy di non lasciarla sola con Nott. Vedo di entrare anch’io nell’aula di pozioni”. Oh. Perché Pansy non lo aveva chiesto a lui e lo aveva chiesto a Malfoy? Si voltò verso la mora che ora parlottava anche con le altre ragazze.
“Per lei sarebbe più difficile sapere che sotto al mantello ci sei tu. Potrebbe fare del casino.”
Il Serpeverde lo guardò serio e Ron annuì poco convinto. Perché avrebbe dovuto essere difficile? Harry si girò verso di lui.
“Penso che abbia ragione, Ron”, abbassò la voce “immagina di dover passare del tempo con la ragazzina che ti chiede sempre di far la ronda e di dover far finta che ti interessa. Non ti sentiresti ancora più a disagio sapendo che la Parkinson è lì con te?”
Lentamente Ron annuì. Aveva capito. Poi Malfoy disse un’altra cosa: “Cercherò di usare la legilimanzia. Ci ho provato un po’ di volte, ma lui è sempre nervoso e sulle sue. Faccio fatica. Se lui si rilassasse e pensasse direttamente a ciò che vogliamo sapere, sarebbe più semplice”.
Ron lo guardò quasi con ammirazione: lui non era capace di usare la legilimanzia. Guardò Harry che annuì convinto. Ma poi un dubbio gli attorcigliò il cervello. Rilassarsi… “Dici che dovrà baciarlo?” Se non peggio!
“No!” Malfoy, accanto a lui aveva usato un tono risoluto. “Ho promesso di evitare che succeda”.
Oh. Bene. Annuì ancora.

 

Pansy, poco prima, si era avvicinata a Draco e gli aveva detto: “Se sarai con me, voglio che tu mi prometta una cosa”, lui aveva annuito e lei aveva continuato, dopo aver lanciato uno sguardo al rosso di nascosto. “Probabilmente mi farà mettere giù la bacchetta: l’ultima volta l’ho schiantato. Ora starà attento. Poi... non so cosa succederà, ma io non voglio nemmeno baciarlo, ok? Oggi gli ho toccato un braccio e ho quasi vomitato, quindi immagino cosa potrebbe succedere se… Hai capito? In questo non riuscirei a fingere interesse…” Draco aveva annuito, ancora serio. “Se diventa violento e mi mette le mani addosso, ci penso io. Ma se si avvicina per baciarmi… tu schiantalo prima che succeda, ok?”
“Sì, sì.”
“Promettimelo.”
“Te lo prometto.”
Era il caso di fare un voto infrangibile? Merlino, quasi quasi… “Te lo giuro su quello che vuoi”.
Alla fine lei annuì. “Grazie”.
“Ma se lui ti dovesse chiedere di…”
Lei scosse le spalle. “Mi inventerò qualcosa. Tu fermalo prima”.
Vide Hermione avvicinarsi e le fece un cenno: lei le avrebbe detto come fare. Le avrebbe consigliato cosa dire. L’altra volta era stata utile. Utilissima.

 

Ron aspettò che Hermione e Pansy finissero di parlare. Gli altri se ne erano andati. Quando Hermione si accorse di lui, liquidò la Serpeverde e si affrettò a uscire. Le lanciò un ringraziamento muto con il capo. Si avvicinò alla mora e le prese la mano. “Ciao, penso di avere un’idea e di averla pensata io.”
Lei rise, capendo che intendeva le parole di Ginny. “Ciao. Che tipo di idea?” Si avvicinò e la baciò. Quando si staccarono lei gli disse: “Che dessert ci sarà stasera? Ho paura che lo mangerò da sola…”
Ron ci pensò: non si ricordava. Merlino, era il quarto giorno. Forse… “Lumache gelatinose? Non sono sicuro…” Pansy gli accarezzava il collo. Poi si avvicinò a baciarlo sulla clavicola. Chiuse gli occhi. Sperava vivamente che quella storia finisse presto, e…
Quando lei gli sbottonò i primi bottoni della camicia aveva già perso interesse per tutto il resto, anche le lumache gelatinose.

 

***

 

“Non mi piacerebbe che tu facessi quello che fa lei” disse Ginny a Harry.
“Come?”
“Non vorrei mai che tu dovessi avere a che fare con una ragazza e che dovessi fingere di…” Le mancarono le parole. Harry le prese il mento e la girò verso di lui.
“Non devi preoccuparti. Ok?” Erano seduti lungo un davanzale al corridoio del piano terra, fra i sotterranei e la sala grande. Aspettavano di vedere passare Nott. Harry aveva lasciato la mappa a Hermione. Lei si sarebbe nascosta nell’armadio dell’aula di pozioni e Malfoy sarebbe stato in cattedra protetto dal mantello.
Ginny non si ricordò dove doveva essere Ron. Sperò che se lo ricordasse lui.
“Ti ho raccontato cosa ho fatto sabato con Doge?”

 

Harry dovette raccontarle di Doge per non raccontarle l’altra cosa che aveva in mente. Aspettarono chiacchierando e quando videro passare Nott, che non li notò, il ragazzo incantò una pergamena che si piegò e volò via velocemente.
Si alzarono e tornarono in sala grande.

 

Quando Harry aveva portato il mantello a Hermione c’era anche Ron.
Lui, che non aveva ancora lasciato perdere il fatto di non essere benvoluto nell’aula di pozioni, aveva accompagnato Hermione e poi, invece di tornare in sala grande, aveva bisticciato con Malfoy per rimanere con lui.
Alla fine, quando la fenice di pergamena di Harry era scivolata sotto la porta, aveva gridato e si era incendiata, lasciando cadere la cenere sul pavimento, avevano capito ch Nott stava avvivando si erano lanciati sopra il mantello. Si erano seduti vicini su un banco, così che il mantello potesse coprirli senza difficoltà.

 

Draco era arrabbiatissimo con Weasley.
Non solo avevano rischiato di farsi beccare, ma ora non poteva più muoversi liberamente. E se Nott avesse scelto un banco troppo lontano da loro? O peggio, se avesse scelto proprio quello dove si erano seduti? Sospirò quando lui si sedette su una sedia al banco che aveva occupato quella mattina. Alla fine, andava bene. Era abbastanza lontano da loro, ma non troppo, e abbastanza vicino all’armadio per permettere a Hermione, che si era nascosta lì dentro, di sentire tutto.
Aspettarono tutti insieme, in silenzio, per almeno dieci minuti. Quando Pansy entrò dalla porta, lui si sentiva un fascio di nervi. Come al sesto anno. Vide il Grifondoro sistemarsi la bacchetta vicino alla coscia. Pronta per l’uso. Giusto. Era una buona mossa. Perché non ci aveva pensato prima lui?

 

Pansy entrò nell’aula di pozioni con leggerezza.
Sentiva che sarebbe andato tutto bene. Che sensazione assurda. Capitava quando andava tutto storto. Vide Nott seduto che guardava la porta ghignando.
Oh, si era ripreso bene. Glielo disse.
“Hai controllato la stanza?” continuò lei.
Lui sbarrò gli occhi. “Cosa?” Lei lo guardò con una faccia severa.
“Che Lumacorno non sia qui?” disse a bassa voce.
Il moro si riprese subito. “Oh. Sì, sì. L’ho incontrato nel corridoio che andava verso la sua camera”.
Lei alzò un sopracciglio. “Di già? Va già a letto?”
Lui alzò le spalle “Non è mica Piton”.
“E no…”
Aveva deciso di non intavolare l’argomento di suo padre e di parlare di altro. Cioè, glielo aveva consigliato Hermione. Così stette zitta e si avvicinò a lui. Lui non aveva preparato il calderone, quindi immaginò non volesse neanche far finta di essere lì per aiutarla. Chissà chi si credeva di essere, ormai, Nott. Provò a stare al gioco.
“Sei capace di fare una Felix Felicis?” gli chiese. Il ragazzo scosse la testa.
“Ci ho provato: ci sono molto vicino”. Lei annuì, ma non ci credette.
“Sei sempre stato bravo con le pozioni” lo adulò, però dovette ammettere che era vero.
“Lo dice anche mio padre.”
“Davvero? Mia madre non mi dice mai niente di bello…”
Lui alzò una spalla. “Il mio lo fa quando vuole qualcosa”.

 

La ragazza sorrise tristemente.
Nott lo notò. “La mia neanche”.
Per un attimo, il Serpeverde ebbe pietà. “Magari questa volta sarà più gentile…” Non che gli interessasse particolarmente. A lui, della madre di Pansy non gliene importava un pluffola fritta. Ma suo padre diceva che lei serviva per contattare gli altri tre ad Azkaban. Nott pensò che un po’ suo padre ne fosse innamorato. O forse voleva farne la sua concubina. Poteva essere.
 “Oh, dubito. E poi non è che io serva a molto, in questo piano, no? Avete già fatto tutto voi” disse ancora.
Però su questo aveva ragione: lei non serviva. Ma sua madre era stata categorica: la figlia doveva essere dei loro.
Guardò meglio la Parkinson: non era male neanche lei. Avrebbe potuto servire: gli avrebbe scaldato il letto nei giorni in cui avrebbero dovuto fare più attenzione e rimanere nascosti. Sì, sarebbe stata una piacevole compagnia.

 

 

Pansy tirò fuori la bacchetta e fece apparire una sedia vicino a quella del ragazzo. Si sedette e appoggiò la bacchetta sul banco. Sperò che in quella maniera, lui non le chiedesse di dargliela.
La appoggiò a una distanza adeguata, calcolò. Né troppo vicino, né troppo lontano.
“Mia madre non è proprio molto sveglia in queste cose. Non si ricorda neanche dove andremo, dopo”. Alzò una mano quando lui tentò di parlare. “Non dirlo. Per favore. Non dire niente: non difenderla”. Non voleva sembrare interessata al posto, così fece finta di pensare che lui volesse dire qualcosa sulla madre. Sapeva che non era così: Nott non aveva una gran considerazione dell’universo femminile.
Trascinò la sedia dietro di lui e disse: “Dimmi solo se dove andremo ci sarà il mare o no. Voglio pensare a cose belle”. E gli mise, con notevole sforzo, le mani sulle spalle.
Iniziò a massaggiargli i muscoli del collo. Lui era tesissimo. Sperò che pensasse al posto che diceva sua madre, quello che secondo lei aveva il nome sbagliato, che doveva essere un’isola, e sperò che Draco riuscisse a usare la legimanzia se lei fosse riuscita a farlo rilassare abbastanza.

 

“Mi piace, questa cosa” disse Nott.
“Quale cosa?”
“Questa che stai facendo”. Lui glielo aveva visto fare anche con Draco, quando stavano insieme, al sesto anno. Ma non glielo disse. Ma voleva sapere un’altra cosa.
“Lo facevi anche a Weasley?” Lei si fermò. Ma poi riprese. La sentì ghignare mentre gli chiedeva: “Che c’è, sei geloso?”
Chi lui? Geloso di quel pezzente? Ma se lui poteva avere tutte le ragazze che voleva! “Ma sei matta?”
“Ma…” il suo tono era di scherno. Doveva rimetterla al suo posto, subito. Non doveva pensare di prenderlo in giro. Come quella volta….
“Cos’è successo, fra voi? È andata come dicevo io?” La ragazza si fermò ancora. Sorrise nell’aver capito il suo punto debole. Ricordò il terzo anno, lei così ingenua…
“Sì” sussurrò.
“Ti ha mollato quando ha saputo quello che hai fatto?”
“Già…” La sua voce tremò. Che meravigliosa sensazione. Lei doveva ricordarsi chi era: una stupida puttanella.
 “Te lo avevo detto che sarebbe successo. Ti eri illusa. Lui stava con te solo per portarti a letto.”
“Eh, sì. Me lo avevi detto”. Lui ridacchiò, contento.
Ma gli piaceva stuzzicarla. “Dai, comunque non preoccuparti. Mica ti eri innamorata, no?”
La Parkinson si avvicinò al suo orecchio e disse con voce roca: “Non mi hai detto se il mare c’è o no. Cosa faccio, lo porto il mio costume nuovo?”
Oh, Merlino. Lei gli faceva ancora quell’effetto. Si immaginò la ragazza in costume che correva sulla spiaggia, nell’isola dove sarebbero andati a vivere una volta tirato fuori da Azkaban la madre di Pansy, Nicholas Higgs, Russel Baddock e Vance Warrington. Riportò il pensiero su di lei. Lei che correva sulla riva e si girava verso di lui, chiamandolo con la mano.
“Di che colore è il tuo costume?”

 

Quando le chiese il colore del costume, lei sorrise vittoriosa, tanto Nott le dava le spalle e non poteva vederla.
La sua voce si era abbassata. Stava funzionando. Sperò che Draco fosse riuscito a entrare nella sua mente.
“Rosso. È rosso” sussurrò ancora. Si passò la lingua sulle labbra e capì che lui l’aveva notato.
Dopo poco, lei rallentò la presa su di lui e lui si tirò su dalla sedia di colpo.
“Tutto ok?” gli chiese. Merlino, Merlino. Cosa cazzo era successo? Stava andando così bene. Lui annuì. Spostò un po’ la sedia e si sedette davanti a lei.
“Che ne dici di festeggiare questa nuova alleanza fra me e te?” disse, avvicinandosi a lei. Come? Cosa? Si sforzò di sorridere.
“Stavolta non ti tengo ferma.”
Dovette fare una fatica immane per non cambiare espressione quando capì cosa intendesse e disse: “Profumi di basilico”.
Lui la guardò corrugando la fronte “Come?”
Pansy dovette sforzarsi di sorridere ancora. “Ho detto che profumi di basilico”. Ma non successe niente.
Per Salazar! Draco ho detto ‘basilico’! È la nostra parola!
Nott sorrise e si avvicinò ancora. Troppo. Lo vedeva avvicinarsi sempre di più.
Merlino, merlino. Se Draco non faceva la sua parte, sarebbe stato un guaio. La sua bacchetta era troppo lontana. Non ci sarebbe arrivata senza che lui se ne accorgesse. Quando il panico la prese lui era vicinissimo. Alla fine chiuse gli occhi e strinse i pugni. Non voleva che lui potesse accorgersi di cosa stava provando.
Avrebbe potuto dargli un pugno appena avesse sentito la sua bocca sulla sua.
Ma non successe: sentì un tonfo e, aprendo gli occhi, vide Nott schiantato per terra.
“Maledizione, Draco, che cazzo stavi aspettando?” urlò, alzandosi dalla sedia e recuperando la bacchetta, che tenne stretta per un tempo infinito. Sentì l’armadio aprirsi.

 

Ron stava seguendo il discorso fra Pansy e il Serpeverde, quando notò che Malfoy era in trance. In piena catalessi. Aveva lo sguardo fisso e sembrava ancora più pallido, alla poca luce delle lanterne.
Quando vide Nott avvicinarsi a Pansy iniziò ad agitarsi. Il biondo gli aveva detto che lui era lì per impedire a Pansy anche solo di baciare il moro e gli aveva fatto promettere di non mettersi in mezzo, ma quando lui si era avvicinato troppo non aveva resistito e Malfoy non aveva neanche puntato la bacchetta.
Aveva schiantato lui Nott, aveva aperto appena il mantello e aveva sussurrato l’incantesimo.
Aveva una paura fottuta di colpire Pansy ma ci aveva provato lo stesso. E ci era riuscito. Era stato grande. Un re.
Poi Pansy si era alzata e aveva urlato. Aveva visto Hermione uscire dall’armadio e si era rigirato verso Malfoy.

 

Hermione guardò verso il banco dove aveva visto i ragazzi sedersi. Ma ancora non li vedeva.
Poi Ron tirò giù il mantello: Draco aveva una gran brutta faccia.
“Draco! Ci sei? Draco!” Lui riuscì a risvegliarsi. Si guardò intorno spaesato. La Serpeverde disse qualcosa ma lei non la sentì: era preoccupata per Draco.
Si avvicinò a lui e gli toccò una guancia. “Tutto bene?”
Lui annuì “È una cosa faticosa. Nessuno mi crede quando lo dico”.
E sorrise. Un sorriso strano.
Hermione sospirò.

 

Pansy si era voltata verso di loro. Loro. Merlino! C’era anche Ron. Non lo sapeva.
“Ma perché ci sei anche tu?” gli chiese. Oh santo Salazar! Se avesse saputo che lui era lì… Oh, sarebbe stato disastroso.
“Per fortuna che c’ero io!” esclamò il rosso. Si girò verso Draco e disse: “Non dovevo mettermi in mezzo, eh? Se non l’avessi schiantato io, adesso sarebbero nudi”.
“Ti assicuro di no”. La Serpeverde sentì di dover dare di stomaco. Si avvicinò barcollando a un angolo dell’aula e vomitò. Puntò la bacchetta e disse: “Evanesco”. Si rivoltò verso l’aula: Draco ancora imbambolato. Si avvicinò al lavandino vicino al muro e si sciacquò la bocca.
“Quindi, Draco, ci sei riuscito?” gli chiese e il ragazzo annuì.
“Ho visto l’isola. Il cartello era galleggiante, come quello di Hogsmeade. C’era scritto ‘Whiltoy”. E tua madre non è l’unica che devono far fuggire da Azkaban. Ho visto altri tre mangiamorte. Due li ho riconosciuti, sono venuti al Manor, l’altro non lo conosco.”

 

Hermione strinse il braccio a Draco.
“Scrivo al Ministero stasera stessa. Ma riusciamo a tenerci buono Nott? Nel caso suo padre non sia alle Hawaii ma in qualche altro posto?” Parlò direttamente a Pansy.
Lei annuì, guardando il Serpeverde svenuto. “Facciamo comparire un materasso, lo spogliate e gli lascio un biglietto. Penserà che ci siamo divertiti. Si sveglierà stanotte e tornerà in camera”. Poi si voltò verso Hermione e chiese: “Cos’è… ‘Hawaii’?”
Hermione sorrise. “Whiltoy, il posto che ha visto Draco, si trova fra le isole Hawaii, nell’oceano. Sono isole babbane, ma Whiltoy è un’isola sconosciuta ai babbani, abitata da forse cinque o sei maghi”.

“E tu come lo sai?” Ron la guardava con la sua solita espressione incredula.
“Ronald, se qualche volta ti fossi interessato anche ad altre cose, oltre al Quidditch, lo sapresti. Mi ero informata sui posti dove avrebbe potuto nascondersi Sirius, quando era ricercato”.
Tutti e tre la guardavano come se fosse un fantasma reincarnato. Sbuffò.

 

Ron annuì. Con Hermione non c’era altro da fare. Guardò Nott. Fra quanto si sarebbe risvegliato? “Fai comparire il materasso, Hermione, e appuntati tutto quello che devi scrivere. Pansy scrivigli il biglietto. Io e Malfoy lo spogliamo”. Tutti lo guardavano. Perché lo guardavano?
“Da quando in qua ci dici cosa fare?” Il biondo lo guardava con un sopracciglio alzato.
“Da quando ti sei perso nei pensieri di un altro. Muoviamoci.”
Stranamente furono tutti d’accordo con lui. Fecero quanto detto e si prepararono per uscire dalla stanza.
“Cosa gli ha scritto?” chiese a Pansy quando uscirono.
“Non lo vuoi sapere”. È vero. Sarebbe stato meglio.
“Cosa ti aveva detto che avrei fatto?” chiese ancora, ripensando alla loro conversazione.
“Lasciamo stare. Io...  non voglio parlarne.”
Ron le appoggiò un braccio sulle spalle e le baciò una tempia. Ok. Avrebbe accettato quello che voleva lei. Annuì. Lei sospirò e sussurrò: “Grazie”.

 

Quando si dividettero, i Grifondoro per le scale con il mantello e loro nel corridoio che portava alla sala comune, Draco si avvicinò a Pansy.
“Non me l’avevi detto.”
Lei si girò verso di lui. “Cosa?”
“Quello che ti ha fatto”.
Lei si fermò e i suoi occhi si spalancarono. “L’hai… visto?”
“Lui ci ha pensato. Tanto, come se gli servisse… per caricarsi.”
Lei annuì. “Immagino che sia proprio per quello. Ha bisogno di gettare fango sulla gente. Quello… Gli è piaciuto… particolarmente”.
Draco annuì. Ora capiva perché lei non volesse toccarlo o averci a che fare. E capiva la frase che aveva detto, sul fatto di tenerla ferma. Questo era peggio della pozione.
“Hai sentito quello che ha detto su Ron? È un insicuro. Dovresti sentire quello che dice su di te. Tu gli fai paura, ma non può ammetterlo”.
Draco alzò un sopracciglio. “Hermione dice che le ha detto cose belle su di me”.
Ma lei scosse la testa. “L’ha fatto per far sentire lei inferiore. Ha puntato sullo stato di sangue e sulla nobiltà del casato”. Si ritrovò ad annuire: era proprio quello che aveva fatto.
Per fortuna che c’era stato Weasley. Non era riuscito a staccarsi dalla sua mente. Aveva visto anche quando aveva spiato di nascosto lui e Pansy al sesto anno. Sospirò.
“Dobbiamo trovare la maniera per scoprire dove si trova suo padre e chiudere questa storia al più presto.”
Pansy non disse niente, ma si staccò da lui e si incamminò da sola quando si accorse che non erano più soli.

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***Buona lettura gente!!! Grazie a chi recensisce e a chi legge. ***

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Capitolo 46
*** Appuntamenti, anelli e dichiarazioni ***


Appuntamenti, anelli e dichiarazioni

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“Sabato andiamo a Hogsmeade.”
Nott si era seduto vicino alla Parkinson in biblioteca. Lei alzò la testa dalla pergamena e lo guardò. “Spero non per un appuntamento romantico!”
Dopo lunedì, quando lui si era svegliato nell’aula di pozioni in piena notte, l’aveva avvicinata più volte, ma lei non era molto propensa a farsi vedere con lui.
Il giorno dopo era stata ricoverata in infermeria (gli aveva detto di essersi sentita male dopo il liquore bevuto con lui lunedì sera) e poi aveva avuto le sue cose. Ma quanto durava alle ragazze? Sbuffò. Non aveva il coraggio di dirle che non si ricordava niente di quella sera (che quel famoso liquore avesse fatto danni anche a lui?), nonostante lei gli avesse lasciato un biglietto smielenso ma in cui diceva anche che preferiva che non si facessero vedere troppo in giro per non creare sospetti sui loro genitori. Lui non ci aveva neanche pensato.
Così si era avvicinato e quella proposta assurda gli era uscita da sola. Lei stava succhiando un bastoncino di liquirizia. Non aveva capito più niente. Perché non riusciva a togliersela dalla testa? Merlino.
“No, non per un appuntamento romantico. Vieni a parlare con mio padre.”
Lo decise sul momento. Forse poteva essergli utile.
“Cosa?”

 

Quando Nott aveva nominato suo padre, aveva dovuto fare uno sforzo per non esultare. Aveva continuato a succhiare quello stupido bastoncino e gli aveva chiesto che intenzioni avesse. Lui aveva alzato le spalle e si era guardato intorno.
“Vieni, andiamo via”. L’aveva presa per mano e trascinata a forza fuori dalla biblioteca. Non sapeva dove stessero andando. E non aveva idea di cosa fare.
Nel corridoio incontrarono Ron che parlava con una ragazzina di Corvonero. Ma lui era girato e non li avrebbe visti passare. Non sapeva chi fosse la ragazzina, ma ringraziò che fossero proprio lì, in quel corridoio.
“Aspetta, Nott.”
Rallentarono quando passarono dietro il rosso e la ragazzina e lei alzò la voce: “Ehi, Weasley, le rimorchi sempre più piccole? Cos’è la prossima volta passi direttamente dall’asilo?”
Lui si voltò sgranando gli occhi. Lei sperò che capisse.

 

Quando quella ragazzina si era avvicinata mentre passava dal corridoio, Ron non aveva capito che lei lo stesse aspettando, ma poi lo confessò.
“Mio fratello… mi ha chiesto di darti questo”, gli allungò una pergamena arrotolata e mentre l’apriva vide un disegno fatto con i pastelli.
C’era lui disegnato con un ciospo di capelli arancioni e il nome sulla maglietta che volava con la bacchetta spianata, lanciando maledizioni su una folla di omini dai tratti indicibili, tutti neri (immaginò che fossero i mangiamorte).
La ragazzina era molto imbarazzata, così lui cercò di metterla a suo agio sorridendo. “Grazie mille, sei la sorella di Jake?” Lei annuì.
Com’è che si chiamava? Cercò di ricordarsi quello che la signora mora aveva raccontato al tiri vispi durante le vacanze natalizie. Ma proprio non si ricordava… All’improvviso sentì una voce alle sue spalle che lo denigrava.
“Ehi, Weasley, le rimorchi sempre più piccole? Cos’è la prossima volta passi direttamente dall’asilo?”
Ron riconobbe la voce di Pansy e si voltò. Lei e Nott stavano andando da qualche parte. Notò che lui la stava trascinando per un polso. Oh. Aveva voluto attirare la sua attenzione.
“Sì, Parkinson, preferisco le cose usate poco.”
Merlino. Cosa aveva detto. Però doveva essere stata la cosa giusta da dire, perché Nott si mise a ridere e la guardò ghignando. Lei aveva abbassato lo sguardo, ma quando il Serpeverde aveva ripreso a guardare avanti a sé, gli aveva lanciato un sorriso. “Scusami, devo andare via. Ringrazia tuo fratello da parte mia, ok?” La ragazzina lo aveva guardato con uno sguardo strano e lui era corso dietro ai due Serpeverde.

 

Il ragazzo la portò al sesto piano, nel bagno in disuso. “Cosa facciamo qui?”
Pansy, un po’, era spaventata. Che intenzioni aveva Nott? E quanto poteva reggere la scusa del ciclo per non farsi toccare?
“Qui non c’è nessuno” disse lui. E già. Lo aveva notato.
“Giusto. Andiamo a Hogsmeade, allora?” Lui annuì e si portò la mano fra i capelli. Doveva essere un po’ agitato. Di’ qualcosa di stupido si ordinò. “Ma non voglio andare alla sala da te. Sembreremmo una coppietta e non mi piace. Andiamo da Mielandia?”
Di sicuro lui non sapeva che lei non entrava da Mielandia da anni.

 

Lui la guardò stranito. Ma quale Mielandia! Dovevano andare da suo padre!
“No. Andiamo da mio padre.”
“Oh. E perché? Finché mia madre…”
Lui sbuffò. “Io riesco a parlare con mio padre solo una volta al mese, quando si va a Hogsmeade. Qui i gufi sono controllati”. Certo che era veramente stupida a volte. Aveva delle idee geniali e poi si perdeva in cose così… semplici.

 

Santo Salazar! E ora avrebbe fatto a fargli dire tutto? Pansy pensò a qualcosa di stupido da dire, ancora. Continuava a essere difficile.
“Oh, quindi vai da lui quando possiamo uscire da scuola? E da dove ci si smaterializza? Non ci ho mai provato. Basta essere fuori da scuola? Tipo al cartello di Hogwarts o più in là?” Nott sbuffò. Doveva trovarla noiosa o stupida. Sperò tutte e due le cose.
Pansy succhiò ancora il bastoncino, tirandolo fuori dalla bocca. Lo sguardo di lui era incatenato alle sue labbra. Doveva stare attenta. Non doveva osare troppo o se lo sarebbe trovato addosso.
“Non c’è bisogno di smaterializzarsi. Mio padre, Prichard e Vaisey sono alla stamberga strillante. Io una volta al mese porto loro soldi e altre cose. Questa volta verrai con me, così vedremo cosa vuole fare con te.”
Oh. Ok. Era giovedì. Avevano due giorni per organizzare la cosa. Lei alzò le spalle e disse: “Va bene. Facciamo come vuoi tu”.

 

Certo che avrebbero fatto come voleva lui!
Nott si avvicinò a lei che succhiava ancora quel bastoncino. Oh, Merlino. Avanzò di un passo e lei ne fece uno indietro. Bene: gli piaceva così. A volte lei aveva quell’atteggiamento strafottente ma a lui piaceva rimetterla in riga. Doveva portarla da suo padre. Era lui che decideva le cose. Aveva deciso tutto lui, per la fuga da Azkaban e per il trasferimento sull’isola. Non sapeva bene cosa doveva fare con la ragazza. Avrebbe lasciato scegliere al padre e agli altri.
Fece un altro passo e lei si ritrovò con le spalle al muro. Ghignò. Adesso basta: l’avrebbe presa.
Un forte frastuono arrivò dall’alto: il fantasma di Nick-quasi-senza-testa irruppe nel bagno urlando e tirandosi dietro una Mirtilla Malcontenta molto agitata. Fecero un gran fracasso e la Parkinson urlò quando il fantasma le passò attraverso. Mirtilla ridacchiò e volò fra i due.

 

Pansy capì che non doveva lasciarsi sfuggire l’occasione. Quando sentì il gelo mentre il fantasma le passava il petto, urlò (ma non dovette sforzarsi tanto) e quando arrivò anche il fantasma di Mirtilla riuscì a scappare dal bagno.
Corse a perdifiato per le scale e si intrufolò nella stanza dei trofei. Raggiunse la colonna con la coppa Tremaghi, ci girò intorno e si sedette per terra per riprendere fiato.
Quando dopo mezz’ora entrò il Grifondoro, non si era ancora alzata.

 

***

 

Ginny stava andando verso la sala comune nella torre prima di cena, quando venne trascinata a forza dentro una stanza. Si guardò intorno prima di urlare. Ma riconobbe la stanza delle necessità di quando la frequentava con Hermione e Malfoy. Infatti fu Malfoy a parlarle.
“Piccola Weasley”. Lui l’aveva trascinata dentro di corsa e lei aveva faticato a capire cosa stesse succedendo.
“Malfoy” disse incuriosita, ma senza dargli soddisfazione.
Lui si portò una mano fra i capelli. “Non posso chiedere a Pansy, in questa situazione, così…” Si avvicinò al tavolo rotondo e prese una scatolina, poi si rigirò verso di lei e si avvicinò. Quando capì cosa contenesse la scatola, Ginny sorrise. Poi ghignò.
“Oh, Malfoy, non penso che tu sia il mio tipo…” Lui le gettò un’occhiataccia mentre lei ridacchiava. Ma poi la sua risata si fermò, quando lui aprì la scatola. “Per la barba di Merlino!” E si portò una mano alla bocca.

 

Draco sorrise: la reazione della teppistella gli fece capire di averci beccato. A casa avevano tantissimi gioielli appartenuti alla nonna della nonna della nonna (e così via), ma niente gli sembrava adatto a Hermione. Gli anelli erano tutti vistosi, con diamanti e pietre preziose troppo grosse, gli erano sembrati quasi pacchiani, in confronto a lei.
Così aveva cercato e sguinzagliato gli elfi, che gli avevano portato cataloghi e fotografie, aveva scritto a orafi e gioiellerie, finché non aveva trovato quell’anello.

 

Ginny guardò Malfoy e disse, prima di toccare la scatola: “Quindi hai intenzioni serie?”
Annuì. “Non ho intenzione di perderla, non adesso che so cosa vuol dire stare con lei. Lei è la mia scelta giusta”. Oh, che carino.
Annuì. “Posso?”
“Sì. Ma non infilartelo: costa troppo per il tuo dito.”
Lei gli fece una boccaccia. Lo tirò fuori e lo guardò alla luce della lanterna. Brillava ancora di più. Era un cerchietto d’oro bianco, immaginò, perché non era giallo e Malfoy non era certo un tipo da argento. Era sottile, con dieci piccoli brillantini (diamanti? Non osò chiedere, ma immaginò che lo fossero) in fila, lungo la circonferenza. Solo uno smeraldo, leggermente più grande dei diamanti, dal taglio originale, troneggiava in mezzo, sporgeva e faceva capire di essere il protagonista dell’anello. Era bellissimo. Dannazione, Malfoy aveva buon gusto! E l’anello era come Hermione: semplice, prezioso e brillante.
Lo infilò per fargli un dispetto e quando cercò di sfilarlo fece una brutta smorfia. “Per Godric, Malfoy si è incastrato. È troppo stretto!”
Il ragazzo spalancò gli occhi spaventato. “Cosa?” Ma Ginny non riuscì ad andare avanti e si mise a ridere.
“Dai, stavo scherzando. Ma la tua faccia è spassosissima, a volte.”
Gli porse l’anello e lui sorrise. “Complimenti, è perfetto per Hermione. Quando glielo darai?”
Lui perse il sorriso e strabuzzò gli occhi.

 

Darglielo? Oh. Giusto doveva darglielo. Aveva passato così tanto tempo a cercare l’anello che gli era sfuggito quel piccolo particolare. Però prima le volle chiedere la cosa più importante.
“Dici... che va bene? Il fatto che la pietra sia verde e non… rossa? Ho visto i rubini, ma non mi ha colpito niente…”
“Andrà benissimo, non preoccuparti. A lei piacerà perché l’hai scelto tu.”
“Quindi non è troppo… piccolo?” La piccola Weasley scosse il capo.
“Mi sembra adatto. Hai pensato a lei mentre lo sceglievi. Si vede.”
Lui annuì. Era quello che voleva. “Allora devo solo trovare la maniera giusta per darglielo. Secondo te, va bene se aspetto che la storia di Nott sia finita?” Lei annuì.
“Immagino che sia meglio, sì.”
“Mi aiuterai?” Aveva dovuto prendere tutto il coraggio che aveva in corpo per fare quella domanda, ma per fortuna lei non fece battutine.
“Certo”, andò verso la porta ma prima di uscire, si voltò. “Logicamente, sappi che se la farai soffrire, io farò soffrire te, ok?”
Lui annuì: si aspettava una cosa del genere. Era stupito che lei non glielo avesse detto prima. “Non ho intenzione di farla soffrire”.
Annuì anche lei e uscì. Bene. La prima parte era riuscito a svolgerla: trovare l’anello giusto. Ora doveva solo pensare a come darglielo. Sospirò. Lo preoccupavano meno i M.A.G.O.

 

***

 

Hermione e Harry erano al Ministero quel sabato. Erano ancora su di giri: era la prima volta che partecipavano a un’operazione degli Auror. Ed era andata magnificamente. Avevano catturato tre mangiamorte ricercati, arrestato Nott e sventato un tentativo di fuga da Azkaban, anche se ufficialmente non era venuta fuori, la storia dell’evasione.
Hermione aveva portato Draco dalla Adams il giorno dopo aver visto i pensieri di Nott ed erano rimasti tutto il pomeriggio a guardare le foto segnaletiche. Draco aveva trovato il terzo mangiamorte che non conosceva e la Adams era riuscita a fare un controllo incrociato su tutti e quattro i detenuti. Era venuto fuori che una delle guardie era sotto un Imperius di magia avanzata e faceva entrare le pergamene ad Azkaban senza controllo.
Dopo aver scoperto che il padre di Nott fosse a Hogsmeade, alla Stamberga Strillante, lei e Harry avevano suggerito a Kingsley di sistemare il passaggio segreto sotto al platano picchiatore ed erano riusciti, il sabato dell’uscita, a stanarli passando da lì.
Pansy aveva insistito per accompagnare Nott, voleva a tutti i costi che facessero irruzione quel sabato, perché fosse arrestato anche lui. Hermione aveva elaborato un piano veramente geniale (aveva detto Harry) e insieme lo avevano spiegato agli Auror che li avrebbero seguiti nell’operazione.
Harry aveva guidato gli Auror per il passaggio segreto, mentre Hermione si era unita al gruppo che era entrato dal villaggio. Era stato un successo.

 

Hermione sorrise quando ripensò a Pansy che gridava isterica, quando si erano trovate faccia a faccia: “Nott, per Salazar, l’hai detto alla puttana di Malfoy? Ma ti sei rincretinito? Volevi portartela a letto?”
Nott aveva fatto una faccia sorpresa e stranita e aveva scosso la testa. Ma la Serpeverde era stata brava: gli altri avevano creduto a lei. Uno aveva anche tentato di colpire Nott, ma un Auror glielo aveva impedito. Avevano portato via senza bacchetta anche lei, per non destare sospetti.
Hermione aveva osservato la mora per tutto il tempo, dal suo nascondiglio. Era stata brava, aveva portato del cibo per i rifugiati e loro avevano apprezzato tantissimo e così se li era comprati. Più tardi Pansy le avrebbe detto che Ron una volta aveva nominato le leggi di Gamp sulla trasfigurazione e sul fatto di non poter far apparire dal nulla il cibo. Una cosa che Ron aveva imparato da Hermione.
Così la Serpeverde aveva pensato che delle persone che si nascondono avrebbero fatto fatica a cibarsi e che sarebbero stati affamati e il cibo sarebbe stato più apprezzato dei soldi, nell’immediato (cosa a cui non aveva pensato Nott). E aveva voluto gettare la colpa su di lui, così che non ci fossero problemi in futuro. Ora erano in attesa che si finissero di scrivere le pergamene e che Pansy uscisse dall’ufficio di Kingsley.

 

Ron arrivò insieme ad Arthur. Harry gli fece un cenno con il capo, ma lui non lo notò. Quella mattina il rosso gli aveva confessato che sarebbe stato difficile per lui starsene lì ad aspettare, mentre loro facevano il resto. Ma a lui non interessava essere un Auror. Forse ora stava cambiando idea? Guardò Arthur due o tre volte, prima che lui si girasse verso Harry.
Gli sorrise nervosamente. Doveva farlo. Poteva farlo. L’avrebbe fatto. Si alzò. Lo stava facendo.
“Arthur, posso parlarle?” Tutti si voltarono verso di lui.
“Certo, ragazzo”, si guardò a destra e a sinistra e si alzò. “Andiamo nel mio ufficio?”
Harry annuì e lo seguì quando fece strada.

 

Ron guardò Hermione incuriosito e lei ricambiò lo stesso sguardo. Alzò le spalle e scosse la testa. Tutti e due seguirono con lo sguardo Harry e suo padre che si allontanavo per il corridoio.
Quando la porta dell’ufficio di Kingsley si aprì uscirono due Auror, la fidanzata di Percy, Pansy e Kingsley. Ron si alzò e abbracciò Pansy prima di rendersene conto. Lei ricambiò il suo abbraccio e si rilassò.
Kinsley fu il primo a parlare: “È andato tutto bene, ragazzi. Siete stati magnifici. Tutti”. E si voltò verso Pansy. Lei annuì.

 

Pansy era imbarazzata. Era andato tutto bene, no? Non c’era bisogno di fare tante smancerie. Era il caso di tornare a scuola, da Camille.
Quella mattina l’aveva trattata malissimo per non andare a Hogsmeade insieme e ora doveva scusarsi. Ma prima… “Posso parlarti?” Si era rivolta alla riccia. Lei aveva sollevato un sopracciglio, ma aveva annuito.

Quando si erano infilate in uno degli uffici, Hermione l’aveva guardata stranita e aveva aspettato che parlasse. Sospirò. “Perché glielo hai detto?”
“Cosa? A chi?” Pansy sbuffò. Estrasse la bacchetta e insonorizzò la stanza.
“Alla Adams. Le hai detto… di lui”. Con la testa indicò la porta. Intendeva Ron?
Hermione non capiva. Lei le aveva detto di dirle di Ron .
“Ma… Tu mi hai detto di dirglielo. Di dire che tua madre sapeva…”
La Serpeverde la interruppe: “Sì, ma mica dovevi spifferarle tutto! Era già tanto dover dire che frequentavo qualcuno, perché le hai detto che era lui? Bastava che spiegassi i fatti, non che specificassi chi fosse il ragazzo in questione!”
Hermione ancora non comprendeva. “Ma scusa… perché non avrei dovuto…”
“Perché non volevo che lo sapesse nessuno! Tantomeno lei!”

 

Pansy non si rese conto di aver urlato.
Quella stronza bionda aveva ridacchiato quando le aveva detto che lo sapeva. E sempre ridacchiando le aveva chiesto se sarebbero diventate parenti. Era stato difficile non risponderle. E stare zitta non era proprio da lei. La Adams aveva chiacchierato ancora da sola, ridacchiando mentre sistemava le cose e scriveva la pergamena. Era andata da lei perché il ministro le aveva dato un permesso speciale per portare Camille ad Azkaban e quando erano rimaste sole, la Adams si era divertita. Era il suo turno, effettivamente, ma era stato imbarazzante. E deprimente. Ma lei era stata brava. Non aveva detto niente.
Poi Hermione alzò le spalle. “Allora dovevi essere più precisa. Io non ci ho visto niente di male!”
Niente di male? “Niente di male? Granger! La Adams! Quella stronza ha fatto battutine per venti minuti, mentre prendevo gli accordi per la visita di Camille!” Neanche si accorse di averla chiamata per cognome, nella foga del momento.
Hermione inclinò la testa. “Anche tu non sei stata carinissima con lei”.
“Mi aveva dato il veritaserum!” Pansy sbuffò ancora.
“Sì, ma ancora non ti aveva chiesto niente. L’hai detto tu che potevi stare zitta.”
Sorrise innocentemente falsa. Oh, sempre più Serpeverde. Complimenti, Hermione!. Sbuffò.
“Ok. Mi sono divertita” ammise Pansy.
“Allora si è divertita anche lei, ora siete pari.”
“E se non lo fossimo?”

 

Come? Hermione non aveva capito la domanda. “In che senso?”
“Se la Adams… dicesse qualcosa a lui?” La riccia alzò le spalle.
A Ron? E cosa poteva dirgli? “Cosa dovrebbe dirgli?”

 

Pansy rise nervosamente. La stava prendendo in giro?
“Guardami. Ti ricordi di me? E adesso, pensa a lui. Che figura ci fa a farsi vedere con me? “ Hermione aveva la fronte corrugata. Non capiva. “Secondo te cosa pensano le persone che ci vedono insieme?” Lei alzò le spalle, ma la sua espressione non cambiò.
“Non lo so.”
Ok. Doveva spiegarlo meglio. “Te lo dico io, cosa pensano. Vedono me, che l’unica cosa che avevo prima della battaglia era il mio nome e una cattiva reputazione, e vedono lui, che ha salvato il mondo magico”.
“Si potrebbe dire la stessa cosa di me e Draco.”
Battè un piede per terra per il nervosismo. “Nessuno pensa che Draco ti stia ingannando. Che si stia approfittando di te. È vero, suo padre è ad Azkaban, ma lui non ha perso tutto quello che aveva, ha ancora un buon nome e una famiglia. Nessuno penserà mai che non ti ami o che si stia attaccando a te per venire fuori dal fango”, fece un lungo sospiro per riprendere fiato ma poi la voce le tremò comunqe quando continuò: “Ma potrebbero pensarlo di noi”.

 

Hermione non riusciva a crederci. Non aveva mai pensato che qualcuno la potesse vedere così, effettivamente. Ma…
“Pensavo che non ti importasse di quello che pensa la gente.”
“Quello che pensano di me, non mi interessa. Ma lui… nessuno deve pensar male di Ron. Specialmente la Adams. O quelli del ministero o Shacklebolt o la sua famiglia. Lui è un bravo ragazzo. Nessuno deve cambiare idea su di lui. Non è… giusto”
“Tante cose non sono giuste. E non puoi controllare quello che pensa la gente”. Pansy alzò le spalle.
“Posso fare in maniera di non essere io la causa, però.”

 

“Quindi mi vuoi lasciare?”
Tutte e due le ragazze si girarono verso Ron, che aveva aperto la porta quando non aveva più sentito rumori al suo interno. Non l’avevano chiusa, così era entrato e si era chiuso la porta alle spalle. Loro erano così impegnate che non si erano accorte di lui. Beh, effettivamente nessuno si accorgeva mai di lui.
Pansy aveva uno sguardo strano. Aveva gli occhi lucidi. Sembrava inconsolabile. “Ron…” Lei si morse il labbro.
“Mi vuoi lasciare per non far parlare la gente? Mi sembra una cosa stupida!”
“Non voglio che…”
“E quello che voglio io?” Lei spalancò gli occhi. Ron vide con la coda dell’occhio Hermione che girava intorno a loro e usciva dalla porta. “Parliamo anche di quello che voglio io?” Non si era mai sentito così. Tutti che gli dicevano cosa fare e tutti che decidevano per lui. E lui che non aveva mai ostacolato la cosa.
Lei si mise dritta. “Ah, sì? Sentiamo, cos’è che vuoi tu?” Lui per un attimo non seppe cosa rispondere, non si era preparato in anticipo. Lui voleva… Oh, Merlino, voleva tutto.
“Voglio… Voglio…” balbettò. Vide un’ombra strana passare nel suo sguardo e lei rise nervosamente.
“Non lo sai neanche te, quello che vuoi…” No, per Godric!
“Io lo so cosa voglio: voglio te. Tutti i giorni, tutti le notti. Del resto non mi importa.”
“Non è così che funziona.”
“No?”
“No. Non basta voler qualcosa perché vada tutto come si vuole.”
“E invece sì.”
“NO!” Lei sbatté il piede per terra, come prima. “Non basta. Pensi che non piacerebbe anche a me? Averti sempre? Sussurrare il tuo nome fra un gemito e l’altro quando ti abbraccio mentre facciamo l’amore?”
Ron sorrise, contento che lei si fosse ricordata le sue parole.
“Oh, ti amo anch’io.”
Lei spalancò gli occhi. “Non ho detto che ti amo!”
“Dovresti. Mi piacerebbe”. Continuò a sorridere.

 

Ma… cosa….
Pansy si appoggiò stancamente alla scrivania e sospirò. Com’era difficile. E lui aveva detto che l’amava. Ma perché glielo aveva detto mentre discutevano? Ron si avvicinò e le appoggiò le mani sui fianchi.
“Non volevo spaventarti” si scusò.
“Non mi hai spaventato” mentì. Lui ridacchiò. Merlino. Diventava Serpeverde più di lei. Ridacchiò anche lei quando lo pensò. Ma poi smise e le lacrime uscirono da sole.
“Dovresti stare con un’altra.”
Lui stette zitto per un po’ e poi le chiese: “E con chi? Con la Simmons?”
“No, la Simmons no. Magari… La Patil? È carina e gentile. Non sarebbe male. Stareste bene.”
“Quale delle due? E poi non saprei distinguerle. Non mi sembra una buona idea. Seamus si è preso una cinquina perché non le ha riconosciute”. Pansy rise e lui si avvicinò un altro po’.
“Oppure?” Come? Voleva altri suggerimenti? Ma lui rideva. La prendeva in giro! Lentamente scivolò per terra e si sedette a gambe incrociate.

 

Ron si sedette davanti a lei e le accarezzò i capelli.
“Voglio stare con te. Non mi interessa nessun’altra.”
“Non mi piace che chi ci guarda pensi che tu stia con me perché ti ho dato di nascosto un filtro d’amore. E che mi stia approfittando di te.”
“Li vendo io, i filtri. Magari pensano che te l’abbia dato io.”
“Non lo faresti mai, sei un Grifondoro”. Lei fece una smorfia.
“Magari l’ho già fatto”. E ammiccò. Lei rise. Anche perché la gente al massimo, avrebbe potuto pensare ‘cosa ci fa una ragazza così bella con quel troll?’
“Hai ragione.”
Per un attimo, Ron, pensò di aver parlato ad alta voce. O che lei fosse riuscita a leggergli i pensieri.
“Ho ragione?” chiese spaesato. Pansy si alzò sulle ginocchia e si avvicinò al suo viso. “Dovrei dirtelo, che ti amo. Perché è vero”. E lo baciò. Esultò e ricambiò il suo bacio.
Quando si staccò, Pansy guardò la porta. “Ma non lo diciamo ancora a nessuno, ok?”

 

Pansy lo vide annuire. “La Adams lo sa” gli disse.
Ron annuì ancora. “A lei penso io”. Lei si sorprese.
“In che senso?” Il ragazzo scosse la testa per liquidare la questione, si alzò e le porse la mano per aiutarla. Quando fu in piedi, le passò le mani dietro la schiena e la tirò verso il suo petto.
“Mi piace, che tu abbia detto che mi ami.”
“Non ci credere, Weasley, devo essere ancora sotto quel filtro d’amore”. Lui sorrise: era veramente bello.
Abbassò gli occhi, come se potesse leggerle dentro. “Ti amo anch’io” disse solamente prima di baciarla.
Poi uscirono dalla stanza.

 

***

 

“Certo che fa ancora freddo!” Ginny si era messa a cavalcioni sulla scopa e cercava di sistemarsi una scarpa prima di prendere il volo. Lidya, vicino a lei, disse che amava il freddo. Ma lei veniva dall’Irlanda del nord, quindi non faceva testo.
“Oh, io no. Non vedo l’ora che arrivi la primavera”. Si sistemò i polsini e partì per svolazzare intorno al campo. Quando uscirono anche i ragazzi, si era un po’ scaldata, ma mica tanto.

 

Harry volò vicino a Ginny, prima di iniziare i giri di campo. Lei aveva le guance rosse per il freddo e, come al solito, era bellissima.
“Hai pensato alle vacanze di primavera?” le chiese. Lei si fermò e lo guardò alzando un sopracciglio.
“Pensato?”
Lui si stranì. “Cioè… io… pensavo…”

 

Ehi, cosa stava succedendo? Ginny volò vicino a Harry e gli chiese: “Cosa c’è? A cosa dovevo pensare?”
Lui spalancò gli occhi. Ma… “No, lascia stare”.
E si fiondò a gran voce verso gli altri. Ginny continuò a girare in tondo, guardando i ragazzi.

 

Ron vide Harry venire verso di lui, vicino ai pali.
“Oh, Harry… Tutto ok?” Il suo tonò cambiò mentre lui si avvicinava. Harry annuì. Ron meccanicamente guardò Ginny. Svolazzava con gli altri cacciatori ma lanciava delle strane occhiate verso di loro.
“Glielo hai chiesto?” Harry scosse il capo. O santo Godric! Il salvatore del mondo magico non riusciva a parlare con la sua ragazza!
“E perché?” Harry girò intorno a lui e formò più volte la traiettoria dell’otto.
“E se mi dice di no? E se non fosse una buona idea?”
Ron sbuffò. “Dai, Harry!” “Davvero. E se a lei non piacesse?” Sbuffò ancora più forte.
“Fai quello che vuoi.”
Alzò le spalle e girò intorno ai pali, gridando a Dean di darsi una mossa.

 

Harry guardò Ron. Sapeva che aveva ragione. Era una buona idea ed era abbastanza convinto che sarebbe piaciuta anche a Ginny, ma… Bo. Si armò di tutto il coraggio che gli era rimasto e volò verso Ginny.
“Ehi, Ginny, fai un giro di campo con me?”
Lei annuì, sempre più incuriosita. Volarono in alto, in maniera di essere lontani dal campo, e da soli.

 

Cosa doveva dirle, Harry? Iniziava ad agitarsi. Aveva capito solo che c’entravano le vacanze di primavera… Un po’ misero come indizio.
Lo guardò mentre lui prestava attenzione davanti a sé. Oh Merlino. Volò dritta verso di lui e si fermò sulla sua traiettoria.
Harry si spaventò: doveva essere sovrappensiero.
“Ginny!” urlò come una tredicenne isterica. La rossa sbuffò.
“Ok, Harry. Dimmi quello che mi devi dire.”
Il ragazzo spalancò gli occhi. “Come fai a sapere…”
“Se mi devi lasciare…”
“NO!” urlò ancora lui. Urlò forte, perché dal campo Lidya e uno dei battitori si girarono verso di loro. Si avvicinò a lei e le prese un braccio.
“Scusa, non volevo essere così… È che devo chiederti una cosa e ho paura che tu pensi sia una brutta idea”. Oh. Quanto brutta?
“Che tipo di cosa?”
“Ti… piacerebbe passare le vacanze con me? Io e te, da soli?” Ginny sentì un sorriso salirle alle labbra. Una vacanza insieme? Lei e Harry? E perché doveva sembrare una brutta idea?
“Sì, sì, mi piacerebbe!” esclamò, invece. Lui sorrise.
“Sicura? Perché sarebbero dieci giorni e noi saremmo… “ Dieci giorni?
“Perché dieci giorni? Le vacanze durano due settimane.”
“Oh, tua madre ha detto che ti vuole a casa qualche giorno, prima di partire e dopo ci sarà la cena dell’ordine.”
La mamma? “E cosa c’entra mia mamma adesso?”
“Ho chiesto prima ai tuoi” disse Harry. No, cioè, lui aveva chiesto ai suoi genitori il permesso di portarla in vacanza? Ma cos’era, il medioevo? Sbuffò, voltandogli le spalle
“Forse è il caso che ne parliamo dopo” urlò verso di lui.
Aveva una gran voglia di buttarlo giù dalla scopa e aveva paura di realizzare la cosa, così si allontanò. Volò fino ai pali e recuperò al volo una pluffa che Ron aveva parato e scartato via. Svolazzò intorno ai pali. Harry faceva ancora i giri di campo. Quando passò più volte vicino a Ron, facendogli voltare la testa più volte, lui si innervosì e le urlò contro qualcosa.
“Mi devo allenare. Il portiere dei Serpeverde è bravo. E tu devi imparare che il pericolo può arrivare da tutte le parti!”

 

Di cosa blaterava sua sorella? E poi, la partita contro i Serpeverde ci sarebbe stata dopo più di un mese. Doveva esserci qualcos’altro. Ron avanzò fuori dalla zona dei pali e riuscì a sfilarle la pluffa prima ancora che riuscisse a lanciarla.
“Cos’hai?” le chiese.
“Niente” gridò lei, andando a recuperarne un’altra.
“E meno male. Pensa se fosse successo qualcosa!” Lei sbuffò. “Hai parlato con Harry?”
“Sì” rispose con un ringhio mentre lanciava la pluffa. Ron fu così sorpreso che non parò il gol.
“E quindi?” Per Godric, a lei non era piaciuta l’idea? E lui che aveva insistito con Harry dicendo che le sarebbe piaciuto… Guardò Harry, ma stava ancora volando per i fatti suoi.
“Tu sei d’accordo con lui? Sul fatto… di mamma e papà?” Oh… cosa doveva rispondere? Sì, gli sembrava una buona idea. Merlino, dovevano prima chiedere a Hermione se fosse una buona idea no! Ma loro erano così sicuri che avrebbe trovato qualcosa che non andasse che non glielo avevano neanche chiesto.
Ora… Ginny fece un altro gol. “Ron, datti una mossa, ti sei rincretinito?” Era arrabbiata. E Ginny arrabbiata era dannatamente competitiva.

 

Stupendo. Anche Ron pensava fosse una buona idea. Chiedere il permesso ai suoi!
Ginny si innervosì così tanto che per poco, durante l’allenamento, non rischiò di far cadere Dean dalla scopa. Quando l’allenamento finì, si fiondò negli spogliatoi femminili. Chiacchierò pochissimo e le altre ragazze la lasciarono cuocere nel suo brodo.
Quando loro uscirono, sentì qualcuno bussare alla porta. Si era già cambiata, così disse: “Avanti”.

 

Harry bussò allo spogliatoio femminile quando vide le due ragazze uscire. Doveva chiarire subito con Ginny, e capire perché fosse così arrabbiata. Quando entrò, lei lo guardò male. E non gli andò incontro.
“Ginny… non ho capito perché tu ti sia arrabbiata…”
“Non hai capito...  tu sei andato dai miei a chiedere per portarmi in vacanza?”
“Sì, perché?”
“Perché non era a loro che dovevi chiedere!”
No? Ma un attimo… “Sì, che dovevo chiederlo a loro! Dovevo prima assicurarmi che la moto fosse a posto e la stava aggiustando tuo padre!”

 

Ginny lo guardò stranita. Oh, la moto? Non aveva chiesto il loro permesso. Aveva chiesto della moto. Che stupida. Scosse la testa sorridendo.
“Non hai chiesto il loro permesso?” Lui aveva un’espressione bellissima mentre scuoteva la testa un po’ confuso. Ridacchiò.
“Scusa, pensavo che tu avessi chiesto il permesso. Mi sono sentita… un oggetto. Cosa vuoi fare con la moto?”
Lui tentennò. “Io pensavo che sarebbe stato carino partire in moto io e te. Sai, la moto di Sirius… come lui e mio padre…” abbassò un attimo lo sguardo e poi la guardò ancora. “Potevamo prendere una strada, magari una strada non troppo trafficata visto che non ho la patente. E farci un giro e vedere le cose che ci sono. Dovrebbero esserci laghi e castelli, sparsi qua e là. So che non si usa tanto fra i maghi, ma i babbani lo fanno…”
“Mi sembra un’idea carina.”
Il suo sorriso si illuminò. “Davvero?” Annuì e lui sospirò. “Pensavo fosse stupido o brutto o scomodo… o non adatto a una ragazza o a una coppia come noi. Sai, pensavo che potremmo volare quando la strada diventerà noiosa e portarci una di quelle tende da campeggiatori magici e…”
Harry era raggiante mentre continuava a raccontare. Beh, alcune idee andavano un po’ limate sui bordi, ma la cosa di per sé era favolosa. Dieci giorni solo per loro. Dieci giorni da soli. Quando alla fine disse: “Così potremmo vedere se riusciamo a sopportarci abbastanza da vivere insieme, che dici?” Ginny urlò e si buttò addosso a lui.
“Possiamo far comparire anche la vasca da bagno, qualche sera?” Lui rise mentre lei gli gettava le braccia al collo.
“Si potrebbe fare.”
Vivere insieme per dieci giorni sarebbe stato bellissimo. O disastroso. In ogni caso era meglio saperlo subito, no?

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Capitolo 47
*** Vacanze ***


47.Vacanze

Vacanze

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Le vacanze erano una figata pazzesca. Per la prima volta da tanto tempo, Pansy non si svegliava in piena notte con gli incubi o la mattina presto con gli occhi sbarrati, incapace di riaddormentarsi. E qualche volta, quando si svegliava, lo faceva accanto a Ron. Forse era quello il bello delle vacanze.
Aveva lasciato che Camille andasse alla casa al lago dei Greengrass. Era stata una buona idea. Aveva ricevuto una lettera da parte sua dove le raccontava quello che avevano fatto in quei giorni. I genitori di Daphne erano più severi con Astoria che con la sorella e lei era contenta di come riuscivano a gestire le due ragazze.
Lei e Ron si materializzarono davanti al cancello dei Greengrass; Daphne era rimasta a casa e li aveva invitati a pranzo. La casa di Daphne era come se la ricordava. Suonarono il campanello e il cancello si aprì lasciandoli entrare. Pansy fece strada e si girò a sorridere al rosso, mentre gli teneva la mano. Quando entrarono nella porta d’ingresso, un’elfa li accolse.
“Signorina Parkinson, prego entri. Potete darmi i mantelli, lei e il signor…”
“Ciao, Tiffy. Lui è il signor Weasley” disse indicando il Grifondoro e dandole i mantelli.
“Daphne è in giardino?” le chiese poi.
“La signorina Daphne l’aspetta in cucina” In cucina? Oh. Annuì e si incamminò verso la cucina.

 

Ron si guardava intorno da quando avevano attraversato il cancello.
Era una casa grandissima. Quasi quanto quella di Pansy. Il solito giardino enorme che circondava la casa era curatissimo e alcune aiuole fiorite sarebbero state molto apprezzate da sua madre.
Quando entrarono, l’elfo li salutò e li scortò verso la cucina. Passarono per un grande salone da cui si vedeva il giardino sul retro. Le porte finestra erano aperte perché la giornata era soleggiata. Vide Malfoy e Zabini in giardino. Sospirò. Sperò che andasse tutto bene. Pansy non aveva visto i ragazzi, e camminava verso quella che Ron pensava fosse la cucina. La seguì.
Poco dopo sentì la voce di Malfoy che lo chiamava dalla portafinestra. “Weasley, vieni fuori. Ci serve un’opinione disinteressata. Ciao, Pansy”. Lui lo guardò mentre il biondo gli faceva cenno con la mano.
“Oh, no, non deve essere disinteressata. Ho ragione io. E io ho la burrobirra” disse Zabini affacciandosi nel locale e salutando. Oh. C’era la burrobirra. Sarebbe andato tutto bene.
Si era già incamminato verso di loro quando si fermò e si girò verso Pansy. “Ti…”
“Vai pure”, lei sorrideva.

 

Draco era venuto a chiamare Ron per farlo uscire con loro in giardino. Pansy l’avrebbe baciato. Sorrise.
Silenziosamente si avvicinò alla portafinestra mentre guardava i ragazzi. Erano tutti e tre davanti a un affare di metallo e lo guardavano (beh, immaginava che lo guardassero, loro le davano le spalle). Poi Blaise passò una burrobirra a Ron e lui la prese, stappandola con la bacchetta. Prima di berla disse qualcosa e indicò quell’ammasso di lamiera con la bottiglia. Forse sarebbe andato tutto bene.
Si rigirò per andare in cucina e aprì la porta. Daphne versava il contenuto di una bottiglia in bicchieri eleganti con il piede di cristallo. Chiacchierava con Hermione, ma sembrava che la conversazione stentasse a decollare. Entrò con un gran sorriso.
“Ciao, belle donne” Daphne si girò verso di lei, sorrise e la salutò. Lo stesso fece la Grifondoro.
“Cos’hai portato?” le chiese Daphne, guardando un fagotto che svolazzava dietro di lei, dopo averla baciata sulle guance.
“La mamma di Ron manda una torta.”
“Perfetto! Così se i ragazzi bruciano la carne abbiamo qualcosa da mangiare lo stesso.”
Con la bacchetta fece volteggiare la torta sul piano, vicino al vassoio con il vino, e sbirciò dentro il fagotto. “In che senso?” chiese la mora.
“Hanno deciso di cucinare loro”. Come? Pansy guardò Hermione mentre si avvicinava a salutarla.
“A dir la verità è solamente un barbecue. Dovrebbero farcela” disse la riccia.
Lei annuì distrattamente. Non aveva la più pallida idea di quello che stava dicendo.
Daphne le porse un bicchiere e uno lo porse a Hermione.
“Dobbiamo brindare alle vacanze!”
Pansy guardò Hermione ghignando e disse: “Daphne vuole brindare al fatto di avere casa libera per due settimane, più che alle vacanze, giusto? Scommetto che Blaise non è ancora tornato a casa. Da quanto tempo è qui a giocare alla coppia felice?”
“Pansy!” strillò Daphne mentre Hermione sorrideva.
“Dai! Ho solo detto la verità. O No?” La bionda divenne tutta rossa e balbettò qualcosa. “Dai, su, godetevela” disse, ridacchiando e facendo tintinnare il bicchiere con il suo. “A te non chiederò se Draco ti ha portato da Narcissa, perché dopo mi odiereste tutte e due”. Fece tintinnare il bicchiere anche con la riccia e ammiccò prima di bere. Si sentiva veramente bene.

 

Ron si avvicinò alla portafinestra della cucina e mise dentro la testa. C’era anche Hermione. Ma le ragazze erano girate.
“Ehm…” disse entrando.
“Ciao Weasley. Tutto bene? Grazie per la torta”. La Greengrass lo salutò per prima e le altre si girarono verso di lui mentre ricambiava il saluto. Hermione gli fece un cenno con capo e Pansy gli rivolse uno dei suoi sorrisi.
“Malfoy e Zabini dicono di dare ordine agli elfi per fare il rub sulla carne, pulire il pesce e preparare pane a fette e insalata di patate.”
Pansy lo guardò stranita. “E perché sei venuto tu?”
“Oh, sembra che loro non abbiano mai fatto un barbecue, non sapevano di cosa stessi parlando quando ho nominato il ‘rub’…” Ron alzò le spalle. Non gli dispiaceva la cosa. L’avevano guardato in maniera strana quando aveva spiegato come suo padre preparasse la griglia e la carne e si erano eccitati all’idea del fuoco per la brace. “E poi è finita la burrobirra”.
Daphne annuì mentre chiamava uno degli elfi.
“Porto io fuori la burrobirra” disse Hermione tirando fuori la bacchetta.
“Intanto tu vieni qui”. Pansy si rivolse sottovoce a Ron, facendogli cenno con la mano. Prima che Hermione uscisse, la Grenngrass disse, prima di sparire oltre l’uscio della cucina: “Sì, Pansy, intanto tu spiega a Weasley di quel tipo tanto carino che ci ha provato con te quando sei andata a Londra!” E, ridacchiando, uscì dietro all’elfo.
Il rosso guardò la mora che lanciò un’occhiataccia all’amica e poi si voltò verso di lui. “Quale tipo ‘tanto carino’?” Lei era seduta su uno sgabello alto e gli fece ancora segno di avvicinarsi. Ron si avvicinò e lei lo accolse fra le gambe.
“Non ci credere. È una bugia”. Lo baciò sulle labbra.
“Una bugia?” Non doveva lasciarsi incantare, quando lei non voleva spiegargli qualcosa era maledettamente brava e lui ci cascava sempre.
“Sì. Non era per niente carino.”
Lo baciò ancora: fregato.

 

Hermione era uscita dai ragazzi. Si fermò a guardarli. Stavano cercando di incendiare il barbecue, probabilmente. Sorrise. Si avvicinò e spiegò loro come si faceva la brace.
Poi, con un incantesimo, il primo che fosse veramente piaciuto a suo padre, mostrò come far prendere fuoco al carbone e farlo bruciare velocemente, in maniera da avere pronta la brace in meno tempo.
Draco le appoggiò un braccio sulle spalle, stringendola a sé. “Ti adoro, te l’ho mai detto?”
Lei sorrise. “Non di recente”.
“Devo essere molto sbadato.”
“Allora rimedia.” disse, alzandosi in punta di piedi e baciandolo. Zabini tossicchiò e Draco gli disse di andare a controllare il fuoco da vicino. Lui fece una smorfia ma poi si avvicinò effettivamente al barbecue. Dopo cinque minuti iniziò a sventolarsi con una mano e si aprì un bottone della camicia.
“Forse bisognerebbe dirgli di…”
“No, non c’è bisogno” disse Draco baciandola ancora. Dopo altri cinque minuti, Zabini si slacciò un altro bottone.
“Blaise, se ti togli la camicia io vado a casa!” Dalla porta finestra uscirono Pansy, Ron e la Greengrass.

 

Blaise si voltò verso l’amica e ghignò. “Ma se sono bello da togliere il fiato!”
Anche la mora ghignò. “Magari il respiro mi si mozza davvero. Ma preferisco non provare”. Lui le lanciò un’occhiataccia, ma ritrovò il sorriso quando Daphne gli lanciò un bacio volante dicendogli: “Per me sei bellissimo”. Ma non osò togliersi la camicia.
“Comunque non stare così vicino al fuoco.”
Fece un passo indietro. La Granger si avvicinò al barbecue e propose: “Possiamo mettere su la carne. Giusto Ron?” E si girò verso il rosso. Lui annuì.

 

Gli elfi apparecchiarono fuori, in giardino, e i ragazzi stettero davanti alla griglia a controllare il cibo, chiacchierando di Quidditch. Le ragazze si sedettero al tavolo con altri bicchieri di vino.
“Sei andata da tua madre, Pansy?” le chiese Daphne.
Pansy annuì. “Sì, quando ci sono andata con Camille mi ha chiesto di tornare una volta da sola, perché doveva parlarmi” disse a beneficio di Hermione che aveva la fronte corrugata. “È stato… strano. Mamma si è messa a piangere. Aveva capito che era saltata l’evasione quando il padre di Nott aveva smesso di scriverle, così aveva intuito che era stato catturato. Lei…” Abbassò la voce: “penso… sia innamorata di lui”. Sospirò.
Nessuna delle ragazze disse niente. Lei alzò le spalle: “Non sapevo cosa dirle. Così non ho detto niente. Penso che lo ami davvero. E da un bel po’…” Le dispiacque tantissimo per Julien. Si sentiva così in colpa nei suoi confronti. Nessuno disse niente. Hermione annuì distrattamente mentre beveva il vino.
Poi Daphne se ne uscì con una frase delle sue: “Beh, però il padre di Nott effettivamente era molto bello”. A Pansy scivolò il bicchiere di mano. Cercò di prenderlo al volo mentre esclamava: “DAPHNE!”, ma le cadde.
Dovette tirar fuori la bacchetta e risistemare i cocci. Ma la bionda ridacchiò. Aveva bevuto troppo?
“Su, non ho detto che fosse una brava persona o cose così. Ho solo detto che era bello. Perché, era bello”. E ridacchiò ancora. Pansy guardò la Grifondoro che non riusciva a trattenere la risata che aveva in gola.
“L’ultima volta che l’ho visto non era per niente bello”. Alla fine lasciò perdere e rise anche lei. Ma era una situazione disastrosa.

 

“Sono andata a casa di Draco a conoscere Narcissa” disse Hermione tutto d’un fiato.
Pansy fece tintinnare il bicchiere con il suo. “A proposito di disastri. E com’è andata?”
“Non lo so.”
La mora alzò ancora il bicchiere. “Allora è andata bene. Se fosse andata male te ne saresti accorta”.
Poi Hermione abbassò la voce: “Lei… mi ha detto di chiamarla ‘Cissy’. Non ho capito se era una trappola o no”. “Secondo me è una buona cosa” disse la Greengrass. Pansy annuì. Ma lei non ne era convinta.
“Se tratterai bene Draco, non dovrai preoccuparti di lei.”
Rimasero in silenzio per un po’. Poi Hermione non ce la fece più e le chiese: “Anche a te, l’aveva detto? Di chiamarla così?”
Pansy la guardò scuotendo il capo. “No, non me l’ha mai proposto. Forse vede molto più in là di noi”. Poi alzò lo sguardo dietro a Hermione e sorrise. “Tesoro. Hai sete?”
La riccia si girò e vide Ron in piedi dietro di lei, che guardava la Serpeverde come non aveva mai guardato nessuna.
Draco la chiamò e Hermione lo raggiunse.

 

Ron girò intorno al tavolo, si sedette vicino a Pansy e prese il bicchiere della mora, bevendolo tutto.
“Sei stata carina.”
“Io?”
“Sì. Le hai mentito.”
Lei si agitò “Io…” Le mise una mano sulla sua e disse: “Sì, ho capito perché l’hai fatto. Sei stata carina, dicevo”. Lei si rilassò.
“Una bugia a fin di bene, vale più di mille verità!” Daphne guardava verso i ragazzi vicino alla griglia.
La mora prese il suo bicchiere e disse: “Forse è il caso che aspettiamo il cibo, prima di continuare a bere”. La bionda ridacchiò.
“È quasi pronto. Manca poco” ci tenne a precisare lui.
Le ragazze annuirono.

 

Il pranzo era andato bene. Non avrebbe mai potuto sperare di più. Tutti si erano divertiti e l’atmosfera si era rilassata tantissimo. La carne, il pesce e le verdure grigliate avevano fatto scalpore e i ragazzi si erano meritati un sacco di complimenti. Pansy vide Blaise vicino al barbecue che fumava, contemplando la brace che finiva di bruciare.
Si avvicinò, accese una sigaretta e disse: “È andata bene”.
Lui si voltò sorridendo. “È stata una gran soddisfazione, sai?” Sorrise, Blaise che si lasciava andare a un commento del genere… Annuì mentre tirava dalla sigaretta. Poi lui tornò alla solita espressione e le chiese, serio: “Perché non me l’hai detto? Lo sapevano tutti”.
“Cosa?” disse mentre sbuffò il fumo.
“Di Nott, di suo padre, dell’evasione, della sceneggiata con Draco…” Lei alzò le spalle. Non pensava che per lui fosse importante.
“Io non sapevo bene cosa fare. Non sapevo con chi potessi parlarne e con chi no.”
Blaise annuì e disse una cosa strana: “Nott era pericoloso. La storia della pozione, le ragazze…”
“Già.”
“È stato lui, al quarto anno.”
Lei lo osservò curiosa. “A far che?”
“Il tipo di Durmstrang che ti aveva invitato al ballo, ricordi?” Eccome se se lo ricordava!
“Cosa ha fatto Nott?” Ebbe quasi paura a chiedere.
“L’ha fatto pestare. E l’ha obbligato a tirarsi indietro. Aveva amici dell’ultimo anno, all’epoca”. Lei annuì senza dire niente. “Io e Draco l’abbiamo sentito mentre se ne vantava con Tiger. Disse che così saresti andata con lui al ballo. Che bastava chiedertelo al momento giusto. E gli saresti stata riconoscente”.
Lei aspirò dalla sigaretta senza dire niente. Così Draco l’aveva invitata prima che lo facesse Nott. Oh. “Grazie per avermelo detto”.
Lui sorrise. “Mi hanno detto che sei stata brava. Che c’è cascato”.
Già. Brava. Bravissima. E ora le scrivevano dal Ministero ogni svolazzata di mantello. Alzò ancora le spalle. “Ho fatto quello che mi hanno chiesto”.
“La prossima volta mi avviserai prima? Siamo ancora amici, no? Anche se ti ho fatto quella domanda…” Lui la guardò un po’ preoccupato.
“Saremo sempre amici, Blaise. Ho risposto alla tua domanda. Mi hai aiutato quando ne avevo bisogno. Se non ci foste stati tu e tua madre non avrei avuto neanche un posto dove dormire”.
Allungò una mano e gli strinse un braccio affettuosamente. Lui annuì, forse un po’ imbarazzato, e tornò a guardare la cenere.
Quando Pansy tornò al tavolo gli altri stavano parlando di una cena. No. ‘della cena’. “Aspettiamo che Harry e Ginny tornino e poi si farà. Dovrebbe essere un giorno della prossima settimana”.

 

Hermione vide la mora che tentava di allontanarsi dal tavolo, non vista da Ron che le dava le spalle. “Pansy, tu ci vai?” Lei si irrigidì, mentre Ron si voltava per guardarla. Per fortuna aveva espresso Draco quello che voleva chiederle lei.
“Oh, non so… non penso.”
Ron, sorpreso, spalancò gli occhi. Hermione capì quello che provava la ragazza. La cena era alla Tana. Ci sarebbero stati anche loro. Ma non le sarebbe mai passato? Non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente.
“Che cena è?” chiese Daphne.
“Una cena dell’Ordine della Fenice, quelli che hanno sconfitto Voldermort” disse la riccia sbrigativa.
“Ecco, appunto” disse Pansy guardando Ron con uno sguardo allusivo.
“Ci vado anche io. Ho ricevuto un invito direttamente da Shacklebolt”, Draco aveva parlato mentre giocava con le briciole della torta sulla tovaglia.
Ron alzò un sopracciglio. “Un invito?”
Draco alzò le spalle. “Per aver aiutato con la storia della cattura degli ultimi mangiamorte in circolazione”.
Ron annuì pensoso. “E te non l’hai ricevuto l’invito?” chiese, rivolto alla mora.
Lei annaspò. Letteralmente. Hermione capì che il suo respiro si era bloccato. Le fece tenerezza. Non voleva venire ma non voleva offendere Ron. Così Pansy non disse niente e si guardò intorno.
“L’hai ricevuto o no, l’invito?”

 

Ron si voltò verso Pansy. Lei non aveva ricevuto l’invito? Per quello non voleva venire?
“Sì, l’ho ricevuto” disse sottovoce. E allora?
“E perché non vuoi venire?” Poi capì. “È perché si fa a casa mia? Perché ci sarà la mia famiglia?”

 

Pansy annuì. L’ultima cosa che voleva era illudersi. Andare a cena da loro; chiacchierare con loro, ridere, scherzare. Illudersi su loro due, illudersi di essere come loro, illudersi di essere accettata per quello che era, illudersi che sarebbe stato per sempre.
Ron spalancò gli occhi. Si alzò in piedi e la guardò. La Serpeverde non capiva cosa gli passasse per la testa. Sicuramente non qualcosa di buono. Lui si girò verso il tavolo. “Grazie per il pranzo, Greengrass. Malfoy, Hermione, ci vediamo la settimana prossima. Salutate Zabini”. Si voltò verso di lei, ma non le disse niente. Le fece un freddo cenno con il capo e si smaterializzò.
Pansy si risedette al posto che aveva occupato prima. Non ebbe il coraggio di guardare in faccia nessuno.
Blaise tornò in quel momento e chiese: “C’è ancora un po’ di torta? Ehi, dov’è Weasley?”
“Se n’è andato” disse Daphne.
“Oh, e perché? Doveva farmi vedere come…” Ma Daphne lo zittì e la indicò con la testa.
“Se n’è andato per colpa mia, Blaise”. Lui cambiò espressione.
“Oh. Devo spaccargli la faccia?”
“Dovresti spaccarla a me. Scusate. Vado a prendere il mantello e torno a casa.”
Si alzò e andò in soggiorno a recuperare le sue cose.

 

***

 

“Potremmo fermarci qui e aspettare di vedere il tramonto.”
Ginny guardò verso l’oceano. Era bellissimo: l’acqua aveva un colore stupendo, a metà fra il cielo della Scozia e il prato di Hogwarts, e le onde si agitavano sugli scogli in una marea di schiuma. Il sole era caldo e lei lo sentiva sul viso. Aveva arrotolato i jeans sui polpacci e tolto le scarpe. Sulla spiaggia non c’era nessuno. Camminava scalza sulla riva e l’acqua era calda tanto da illuderla che potesse essere già estate, ma il vento le scompigliava i capelli e le ricordava che la primavera era appena iniziata.
“Si potrebbe fare.”
Harry le sorrideva mentre si toglieva le scarpe e le calze. Si arrotolò i jeans come aveva fatto lei e la raggiunse nell’acqua. Lui aveva le guance cotte dal sole. Era dannatamente affascinante così abbronzato. Si avvicinò e la schizzò con il piede.
“No!” gridò ridacchiando.
Scappò all’indietro per qualche passo e poi si girò per correre dove l’acqua le arrivava alle caviglie.

 

Harry rise guardandola. Erano giorni fantastici. Finalmente da soli. La Tana era un posto meraviglioso ma c’era troppa gente. Senza nulla togliere alla famiglia Weasley. Li adorava tutti, ma stare da solo con Ginny non aveva paragoni.
Corse verso di lei, schizzandola ancora. Avrebbero guardato il tramonto dalla spiaggia e avrebbero montato la tenda proprio lì, con qualche incantesimo ad hoc. Magari avrebbero anche trasfigurato la vasca. L’ultima volta era andata bene. Molto bene. Sorrise da solo.
“A che pensi?” gli chiese Ginny tornando verso di lui.
“A te.”
“A me?” chiese stranita
“Sì, penso spesso a te.”
“Per forza. Siamo solo io e te.”
Lui divenne serio. “Ti sei stancata? Del fatto che siamo solo io e te?”
Giny sorrise. “No. Ancora no”.
Harry sorrise vedendo la sua espressione divertita e si avvicinò un po’. “Ancora no?” ripetè, quasi ghignando, le sue parole.
“Già. Potrei stancarmi, Potter!” Adesso lei rideva e il suo sguardo era fantastico. Non gli sarebbe servito nient’altro per vivere.
“Ah sì? E più o meno, quando pensi che succederà?”
La ragazza lo schizzò lanciandogli l’acqua con il piede e Harry spalancò gli occhi, allegro. “Fra quaranta o cinquant’anni. O forse settanta. Sì, settanta, Sono abbastanza sicura”. Ridacchiò.
“Adesso vediamo se riesco a togliere dalla tua faccia quella smorfietta” disse lui iniziando a correre verso di lei. Ginny gridò divertita e si voltò per scappare, ma lui, che era più veloce, riuscì a raggiungerla. Quando le fu vicinissimo, pensò di averla presa ma all’ultimo la rossa si spostò e lui cadde perdendo l’equilibrio. Si girò mettendosi seduto sul bagnasciuga mentre si godeva la situazione.
“Oh, oh, oh!” Ginny rideva tantissimo avvicinandosi a lui. Era così bella. “Guardati, Potter. Sei ai miei piedi!” E ridacchiò ancora. Quando fu abbastanza vicino, Harry le prese una gamba e la fece cadere su di sé.
“Sai cosa vorrei?” le disse a pochi millimetri dalle sue labbra.
“Dimmi, Potter, cosa vorresti?”
Harry le accarezzò una guancia e le disse: “Vorrei avere un anello per te. Qui. Adesso”.

 

Ginny si irrigidì. Un anello? Ma cosa…
Nervosamente si tirò in piedi e passò le mani sulle cosce per togliere inesistenti granelli di sabbia. Lui dovette accorgersi della cosa, perché silenziosamente si alzò.
“Ho detto una cosa brutta?” Harry la guardava con un’espressione colpevole.
“No. Mi hai solo… preso alla sprovvista. Noi… non abbiamo mai parlato di…” Non riusciva a guardarlo. Harry le prese la mano e la obbligò a girarsi.
“Non volevo spaventarti o rovinare questo momento. Ho solo detto quello che pensavo. Io mi rendo conto che è presto. So che hai solo diciasette anni… Ma io so già quello che voglio. Non ho detto che voglio sposarti domani e fare dei figli il mese prossimo.”
La rossa annuì. Dei figli? L’immagine del bambino con gli occhi di Harry le si affacciò nei pensieri. Sorrise.
L’idea le piaceva.

 

“Però mi piace pensare che lo faremo. Mi piace pensare che un giorno ti guarderò camminare insieme a tuo padre mentre vieni verso di me che ti aspetto in fondo alla navata, emozionato e balbettante accanto a Ron.”
Lei spalancò gli occhi, stupita e adorante.
Harry sorrise: lo stava facendo bene.

 

Oooohhhh. Che cosa carina. “Sai cosa vorrei? Cosa sogno per noi?” continuò Harry e lei riuscì solo a scuotere il capo. “Una bambina. Una bambina con le trecce, i tuoi occhi e il nome di mia madre”.
Ancora ooohhh. Sentì che stava per commuoversi. Così, con uno sforzo immane, cercò di riprendersi. Si avvicinò di nuovo a lui.

 

“In questo caso rimarrai deluso, Potter.”
Harry si irrigidì. Si spaventò, preoccupato di quello che lei avrebbe detto, ma poi Ginny sorrise. “Perché io, a divinazione, ho visto chiaramente un bambino, un maschio, e gli occhi erano i tuoi”.
Harry sorrise e quando lei si avvicinò la prese fra le braccia e la strinse forte.
“È un , giusto?” Lei ridacchiò e ricambiò il suo abbraccio.
“Sì.”

 

***

 

Dopo due ore da quel ‘saluto’ a casa di Daphne, Pansy si fece coraggio e bussò alla porta che aveva davanti. Si trattenne le mani perché tremavano troppo e le nascose fra le pieghe del mantello che aveva fra le braccia. Aspettò con pazienza.
La signora Weasley le aprì la porta, le sorrise calorosa e la salutò: “Pansy, tesoro! Entra!” La invitò a entrare in casa e la baciò sulle guance mentre l’abbracciava. Oh che bello.
“Com’è andato il pranzo a casa della tua amica?” Pansy si sforzò di sorridere.
“Benissimo. La sua torta era buonissima. Grazie ancora.”
La strega liquidò il suo commento con la mano. “Ron ha scordato il mantello”disse quando vide la curiosità negli occhi della signora Weasley.
Lei scosse la testa. “Oh, quel ragazzo! Perderebbe tutto, anche la Ricordella! Te lo chiamo subito, intanto vieni di là” disse prendendo il mantello dalle sue mani e facendo strada.
Pansy la seguì e notò che in soggiorno c’era molta gente. Beh, effettivamente loro erano in tanti, doveva essere normale. Salutò tutti: Bill e Fleur, con un bel pancione; il fratello noioso del ministero, Percy, se non si ricordava male, ma senza la Adams, per fortuna; Andromeda con Teddy, il bimbo con i capelli colorati; altre due persone che le furono presentate al momento; il padre di Ron e George che ghignò, vedendola. La signora Weasley le prese il mantello ma si dimenticò di chiamare Ron. Cosa doveva fare?
Dopo aver scambiato qualche convenevole con Fleur e Andromeda, si avvicinò a George e sussurrò: “Cercavo Ron…”
Lui la guardò alzando un sopracciglio, ma poi dovette aver pietà perché disse a bassa voce: “È in camera. Vieni con me”. Seguì il gemello su per le scale, finché lui non si fermò su un pianerottolo. “La camera di Ron è all’ultimo piano”.
“Ok, grazie”. E si incamminò su per l’ultima rampa. C’era solo una porta, non poteva sbagliare. Bussò.
“Non voglio niente, mamma!” Oh. Merlino. Ron pensava che fosse sua madre. E ora? Bussò ancora. “Vai via!” Per un attimo pensò di andarsene davvero. Non avrebbe gridato attraverso la porta. Ma sotto, George era ancora sul pianerottolo e non voleva farsi vedere a tornare giù. Cosa doveva fare? Meccanicamente bussò ancora, quando sentì un rumore e un’imprecazione venire da dentro la stanza.
Quando la porta si aprì velocemente e Ron quasi gridò: “Ti ho detto… Oh”, Pansy per poco non fece un passo indietro. Poi Ron la riconobbe e si bloccò sul posto.
Lei propose un timido: “Ciao…”

 

Ron era nervoso e collerico. Era sdraiato sul letto da non sapeva quanto tempo, quando sua madre tornò a bussare alla porta per convincerlo a unirsi agli altri o a mangiare qualcosa. La mandò via. Ma poi bussò ancora. Ora non aveva neanche più voglia di essere gentile. Quando bussò per la terza volta si arrabbiò e decise di aprire la porta per dirglielo in faccia, ma inciampò nel tappeto e imprecò quando cadde disteso sul pavimento.
Quando arrivò alla porta era giù di testa. L’aprì con l’intenzione di dirle quello che le andava detto, ma… non era sua madre: era Pansy. Cosa ci faceva lì?
“Ciao…” gli disse.
“Cosa fai qui?”
Lei incassò il colpo che lui non si rese conto di infierire e disse: “Avevi lasciato il mantello da Daphne…”
Oh. Giusto. “ E dov’è?” La mora indicò con il pollice la scala dietro di lei.
“L’ho dato a tua mamma.”
Ma una domanda intelligente, no? Non gli veniva fuori? Lei si guardò intorno sul pianerottolo. Sembrava un po’ in imbarazzo.
Quando sentì la risata di suo padre venire dai piani bassi, le prese la mano e la tirò dentro la stanza, come se volesse nasconderla. Tanto che lei disse: “Mi hanno già visto, sai?”
Oh. Giusto, giusto. Ok cerca di dire qualcosa di intelligente adesso. “Quindi adesso non hai vergogna di me?” Lei spalancò gli occhi e la bocca. Lui chiuse la porta.
“Vergogna? Ma cosa dici?”

 

Pansy non riusciva a crederci. Lui pensava che lei avesse vergogna di lui? Ma che cosa assurda!
Si guardò intorno: quella stanza era particolarmente luminosa. Forse perché era tutta arancione. Arancione il piumino, le pareti, il soffitto inclinato. I poster alle pareti erano della squadra di Quidditch, immaginò. Quella dei guanti. Sorrise.
“È bella, camera tua.”
Ron la guardò alzando un sopracciglio. “Mi prendi in giro?”
Lei spalancò di nuovo gli occhi. “No. Perché dovrei? E perché pensi in continuazione che abbia una brutta opinione di te?” Ron alzò le spalle. Si avvicinò a lui quando si sedette sul letto. Si accucciò davanti alle sue gambe per essere alla sua altezza e poterlo guardare.
“Mi dispiace, per prima. Non volevo offenderti. O offendere i tuoi. O…”
“Ok”, il ragazzo sbuffò e guardò il soffitto.
“Non ho vergogna di te” disse dopo un po’, quando lui non smise di guardare in aria. Ron tornò a guardarla.
“E perché non vuoi venire? È solo una cena. Una piccola cena…”

 

Ron vide Pansy alzarsi e sedersi sul letto accanto a lui. “Non è solo una cena! E non sarà certo piccola! Ci saranno tutti… tutti voi… voi… siete… eroi. Salvatori del mondo magico. Io… cosa c’entro con voi? Io volevo che Potter finisse sotto Voldemort, ricordi? Con che coraggio dovrei venire a festeggiare con voi?”
“Hai aiutato il mese scorso…” Ma lei scosse la testa.
Ron si appoggiò indietro, sui palmi delle mani. “Io sono scappato. Ho lasciato Harry e Hermione da soli nel bosco, a vedersela con i mangiamorte. Non dovrei partecipare neanch’io, allora!”
“Ma non sei andato via perché il medaglione che portavi al collo, quello con l’anima malvagia di Voldemort, ti aveva distrutto il cuore? E non sei ritornato da loro, dopo averlo tolto?” Ron si girò verso di lei, stranito. Come faceva a saperlo?
“E tu… come lo sai?”
Pansy alzò le spalle. “A Hogwarts lo sanno tutti: Ginny. Lei raccontava la storia ai ragazzini dei primi anni. Lei racconta che il tuo cuore è stato stritolato, ma tu sei riuscito a capirlo e a combatterlo. Sei un eroe. Lo siete tutti”.
Oh. Tornò a guardare il soffitto. Lui aveva ascoltato la storia raccontata da sua sorella solo una volta. Non si ricordava che lei avesse raccontato quella parte. Forse aveva sentito dopo quel punto lì.
E Pansy aveva ascoltato la parte su di lui?

 

Pansy lo guardò. Aveva le orecchie rosse. Poi si rigirò verso di lei. “Pensavo che la raccontasse solo in sala comune. Da noi”.
“Oh no. All’inizio dell’anno in sala grande e quando c’era bel tempo l’ho vista anche in giardino. Ma poi, quando si sono lasciati, non l’ha più fatto.”
“E quando l’hai sentita la storia, tu? Avete fatto amicizia dopo che Harry l’ha lasciata.”
La ragazza guardò per terra.

 

Ron era curioso, adesso. E lei era imbarazzata.
Non alzò lo sguardo quando rispose: “Il tre di ottobre”. Merlino! Sapeva la data? Lui pensava una risposta tipo ‘oh, prima della partita di Quiddich di Corvonero ma dopo quella di Tassorosso’, e invece lei gli disse una data. La data. Che giorno era? Era maleducato chiederlo?
“E come fai a essere così sicura?”
“È stato il giorno che mi hai rubato la sigaretta.”
Oh. Ron sentì le orecchie andare a fuoco. Di nuovo. Che vergogna! Forse era giusto che lei si vergognasse di lui.
“È stato prima… dell’aula di pozioni” disse solamente.

 

Pansy sorrise. “Sì”.
“E così hai ascoltato la storia?” Lui sembrava aver bisogno di rassicurazioni. E lei poteva dargliene. Anzi, era lì per quello.
“Mi sono fermata ad ascoltare quando Ginny ha iniziato a parlare di te.”
Il rosso sorrise. Ginny lo faceva sembrare un eroe romantico. Ma Pansy non gli raccontò di come le ragazzine sospiravano estasiate ad ascoltare la parte su di lui (probabilmente era per quello che avevano iniziato a girargli intorno in quella maniera, ma Pansy era convinta che lui non lo sapesse).
“Quindi dovrei ringraziare mia sorella, se ti sei interessata a me?”
Pansy gli prese una mano. Lei non era proprio una ragazzina che sospirava.
“No. Dovresti ringraziare quel bambino alla stazione. Quello con i capelli rossi. Tu gli hai sorriso e hai detto una frase bellissima, quando ti ha detto che veniva preso in giro.”
Ron si allungò verso il comodino,chinandosi verso di lei, a prendere una pergamena. Pansy sentì il suo profumo invaderle i sensi.
“Jake? Mi ha fatto un disegno.”
Lei lo prese. Che cosa carina. Anche Camille, quando era piccola, le faceva dei disegni. “Gli ho detto…”
“Che quello che si fa è più importante di quello che si è” concluse la mora mentre osservava il disegno.
“Lo disse Silente a Harry” Lei annuì come se lo avesse sempre saputo.
“E come si fa a rimediare quando si fanno cose brutte?”
“Se ne fa una bella.”
Aveva detto anche questo, Silente?

 

“Verrai alla cena, allora?”
Ron la vide vacillare, ma solo per pochissimo. “Verrò, se vuoi tu. Per nessun altro motivo”.
Lui si sentì importante. Si immaginò una delle scritte rosse sulla tribuna dello stadio. “Kingsley ti ha invitato personalmente!” disse però, un po’ piccato.
“Non mi interessa di Shacklebolt.”
“Quindi se non te lo chiedessi io, non verresti?” Era più importante del Ministro? Si rallegrò.
“Si chiederebbero cosa ci faccio…”
“Ma hai un invito!”
“… con te” continuò lei come se Ron non l’avesse interrotta. “O perché tu vuoi stare con me”.
Il ragazzo alzò le spalle. “Non mi interessa!”
“Forse adesso… ma poi potrebbe interessarti. E dopo sarebbe tardi”. Lui alzò un sopracciglio.
“Troppo tardi per cosa?”
“Per non farsi coinvolgere…” Ma non ne avevano già parlato?
“Per quel che mi riguarda, sono già coinvolto”.
Mentre lo diceva si sentì… grande, un adulto.
“Oh, anch’io. Per questo ti chiedo se ne sei proprio sicuro.”
Lei sospirò, mentre lo guardava un po’ persa. “Io non sono mai stato così sicuro. E ora basta parlarne. Vieni alla cena. Sarai la mia ragazza. Sarai coinvolta. Ma ora…”
“Ora cosa?” chiese lei sorridendo. Doveva aver già capito.
“Ora sarai mia.”
Si alzò appena per girarsi verso di lei e le posò la mano sulla nuca, prima di baciarla.

 

Le sue mani erano calde e Pansy non riusciva a pensare lucidamente. Il suo profumo era inebriante e il suo sapore dolcissimo. Quando le sfilò il vestito perse completamente la ragione.
Si stese vicino a lei e disse sottovoce: “Ho paura che il mio letto sia un po’ piccolo rispetto a quelli a cui sei abituata…”
Lei lo baciò teneramente e rispose: “Sarà un motivo in più per stare più vicini”.

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***Eccomi con il nuovo capitolo!! Siamo in fondo, ormai, quasi mi dispiace 😭... Grazie a tutti voi che leggete e se vi va, lasciatemi un parere. Buona lettura!😉

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Capitolo 48
*** La cena alla tana ***


La cena alla Tana
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Hermione bussò alla porta della Tana e Ginny le venne ad aprire.
“Hermione, perché bussi? Siamo tutti fuori, in giardino. Potevate fare il giro. Io passavo di qui per caso” disse prendendo i mantelli e sistemandoli nel guardaroba.
“Ciao anche a te, Ginny” disse la riccia sorridendo. “Com’è andata la tua vacanza?”
La piccola rossa sorrise estasiata. “Oh, è stata bellissima!”
Guardò dietro di lei e salutò Pansy e Draco. Guardò Draco con uno sguardo strano, ma fu così veloce che Hermione pensò di esserselo solo immaginata.
Quando attraversarono l’atrio e uscirono nel giardino sul retro, rimase a bocca aperta: sembrava il matrimonio di Bill e Fleur. C’era un enorme buffet sotto un gigantesco gazebo.
Ron arrivò verso di loro “Ginny, mamma sta impazzendo. Tu sai cosa sono i ventagli volanti? Mi ha detto di andarli a prendere in cucina…” Ron era un po’ spaesato.
Pansy gli andò vicino e disse: “Forse… Vol-au-vent?” lui la guardò confuso. “Dai, ti aiuto io”. Lo prese per un braccio e si diressero in casa. Sentì il rosso dirle quanto fosse bella. Sorrise.
Prese sottobraccio Draco e, mentre Ginny spariva fra le persone, si incamminarono verso il gazebo. Effettivamente c’era un po’ di gente.
Non era proprio una piccola cena, come aveva detto Ron al pranzo. Si ricordò che Draco non era mai stato alla Tana e lo strinse un po’ mentre si guardava intorno con uno sguardo strano. Provava le stesse cose di Pansy? Anceh per lui era difficile essere lì?
Il biondo la guardò e le sorrise. “Tutto ok?” gli chiese e lui annuì.
Lei non ne era del tutto sicura, ma sapeva che Draco ce la stava mettendo tutta, e apprezzò lo sforzo.
“Andiamo a salutare, così vedono che siamo arrivati.”
Lui annuì ancora.

 

Harry parlava con Kingsley e Doge su altre operazioni degli Auror.
Era felice, era appena tornato dalla sua vacanza con Ginny e Kingsley iniziava a lasciargli più spazio al Ministero. La vita non poteva essere migliore di così. Lasciò i due uomini a parlare quando si avvicinò a Hagrid per salutarlo. Vivevano insieme nello stesso castello e non riusciva a vederlo quanto avrebbe voluto.
Scambiò quattro chiacchiere con lui e salutò anche la McGranitt, che sembrava una professoressa anche lì, severa e composta, a casa di Ginny. Ridacchiò.

 

Pansy aveva aiutato Ron a portare fuori quello che c’era ancora in cucina.
Aveva salutato tutti quelli che conosceva e aveva stretto la mano ad altre persone e tutti, erano stati gentili e simpatici. Qualcuno, che conosceva la storia della cattura del signor Nott, le fece anche dei complimenti. Era ancora nervosissima, ma non stava andando male per niente. Nessuno le aveva detto che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Nessuno aveva fatto riferimenti ai suoi genitori. Tutti erano cordiali. E lei iniziò a rilassarsi.
Ron stette a fianco a lei tutto il tempo. “Non sei obbligato a stare vicino a me in ogni istante. Giuro che non scapperò”.
Lui alzò le spalle. “Mi fa piacere. E se avessi voglia di scappare, smaterializzati in camera mia, così ti raggiungo”. Ammiccò e Pansy rise.
“Vado a fumare, vieni con me?” gli chiese.
“Oh, pensavo di fare un giro al tavolo a prendere altri spiedini di gamberi…”
La Serpeverde annuì.
“Va bene, ci vediamo dopo.”
Lui fu velocissimo: prima che lei potesse girarsi per andare fuori dal gazebo, Ron si avvicinò e le scoccò un bacio sulle labbra. Pansy rimase imbambolata a guardarlo dirigersi gongolante verso il buffet.
Si riprese e si incamminò verso una delle panchine nel giardino illuminato.

 

Ginny vide Pansy da sola che si sedette su una delle panchine. Prima che tirasse fuori il portasigarette, corse da lei.
“Ohi!” Lei si spaventò.
“Ohi, Ginny!” Si sedette vicino alla Serpeverde.
“Perché Draco non ha ancora dato l’anello a Hermione?” La mora alzò le spalle.
“Lo farà. Al momento giusto. Vuole che tutto sia perfetto.”
Già. In quello sembrava proprio Hermione. “Non vedo l’ora di vedere la sua faccia. Dici che organizzerà qualcosa di ‘solo loro due’? O potremo guardare anche noi?”
“Non saprei. Cambia idea a ogni svolazzo di mantello. Ormai non ci provo neanche più a starci dietro. Quando sarà, lo vedremo. O vedremo l’anello sul suo dito.”
“Giusto. Che poi, mica ci vuole poi molto, no?”
La Serpeverde si girò verso di lei con un sorriso sornione. “No?”
“Ma no, in fin dei conti non serve neanche l’anello. Noi eravamo sulla spiaggia e mica l’avevamo. È venuto tutto così, da solo.”

 

Pansy spalancò gli occhi.
“Potter ti ha chiesto di sposarlo?” La rossa sorrise come quando aveva aperto la porta. Ecco perché la vacanza era andata così bene.
“Sì, ma non dirlo a nessuno. Non è una cosa ufficiale. Abbiamo solo parlato di cosa vogliamo fare in futuro. E abbiamo parlato dei nomi dei bambini. Cose così…” Oh, per Salazar! Ancora più stranita, tirò fuori il portasigarette e lo rigirò fra le mani.
Ma erano tutti impazziti? Nessuno di loro aveva vent’anni. Sposarsi…
“Sì, mamma! Ho capito, dai…” Un ragazzone robusto con i capelli rossi e arruffati uscì da un lato del gazebo e camminò nella loro direzione.
“Charlie! Vieni qui che ti presento una persona!” gridò Ginny al fratello.
Pansy non fece in tempo a dirle di stare zitta che lui si girò e si incamminò verso di loro. Cercò di rimanere impegnata a trafficare con il portasigarette e mantenne lo sguardo basso. Ma non poteva reggere a lungo, lo sapeva. E poi... magari lui non si ricordava e non l’avrebbe riconosciuta. Sospirò imbarazzata.
Charlie arrivò e disse alla sorella: “Mamma è impazzita! Ce l’ha ancora con i miei capelli! Vuole obbligarmi di nuovo a tagliarli…”

 

Charlie vide la ragazza vicino a Ginny che giocava con un portasigarette. Oh, che voglia che aveva di fumare, adesso!
“Oh, ti prego, potrei uccidere per una sigaretta. Non è che me ne dai una?” Ginny spalancò gli occhi.
“Ma fumi?” Anche la sua amica spalancò gli occhi e alzò la testa a guardarlo: aveva un viso familiare. L’aveva già vista. Si voltò verso Ginny e le disse: “Sì. Ma qui a casa non lo faccio. Mamma rompe per i miei capelli, figuriamoci se sapesse che fumo!”
La ragazza mora gli allungò il portasigarette. Lui fece per prenderlo ma si fermò. “Mi sembra di averti già vista. Ma non ricordo dove…”
Sua sorella venne in suo aiuto. “Lei è Pansy. Viene a scuola con noi. È dell’anno di Harry e Ron”. Niente. Ancora niente.
Poi lei sorrise in maniera strana, allungò la mano e disse: “Pansy Parkinson. Sono Serpeverde”. Oh, Merlino! Parkinson! Si sarebbe ricordato quel nome a vita. Ecco dove l’aveva vista! Nei sotterranei.
Si pietrificò mentre le stringeva la mano. Anche se doveva essere più piccola quando l’aveva vista. Da come lo guardava, anche lei lo aveva riconosciuto. Oh, che vergogna!

 

Ginny non capì subito perché suo fratello avesse sbarrato gli occhi e aperto la bocca. Ma poi si ricordò quello che avevano detto le ragazze al compleanno di Pansy.
“Così Charlie, hai frequentato spesso i sotterranei? Sembra che le ragazze abbiano parlato di te. Molte ragazze…” Ghignò.
Charlie si girò appena verso di lei e Ginny notò il collo del fratello diventare rosso. Era il suo modo di essere in imbarazzo. Le orecchie di Ron, il collo di Charlie. Ma lui guardava la mora. Il ghigno di Ginny sparì e si preoccupò. C’era stato qualcosa fra loro? Qualcosa che non sapeva? Sarebbe stato divertente, se Pansy non fosse stata la ragazza dell’altro suo fratello. L’aria era tesissima.
“Ma… siete stati a letto a insieme?” chiese guardando prima uno e poi l’altra. A Ron non sarebbe piaciuto. Per niente.
“NO!” quasi gridò Pansy, con voce scandalizzata, seguita subito da un: “No”, molto più contenuto di Charlie. Li guardò ancora.
Il ragazzo esclamò un po’ imbarazzato: “Beh, non c’è bisogno di usare quel tono…”.
Pansy alzò le spalle. “Non intendevo offenderti”.
Ginny si sentì fuori luogo. Ma ora era più rilassata.
“E quindi? Come vi conoscete? Non avete frequentato la scuola insieme” chiese al fratello.

 

Pansy si accese una sigaretta e ne allungò una anche al ragazzo. Lui si guardò intorno e l’accese. Aspettò.
“Ricordi quando sono venuto a Hogwarts per il torneo Tremaghi, per la prova dei draghi?” Ginny annuì. “Ho fatto un giro nei sotterranei. L’ho vista lì”.
Il rosso si girò verso di lei. “In sala comune? Ho girato nei sotterranei anch’io” chiese ancora Ginny.
Lui scosse la testa. “Nell’aula vicino alla statua dell’Avvincino. Io ero con Sally Higgs… lei…” disse, indicando la mora. “Ci ha beccati mentre…”. Charlie balbettò un po’. Oh, alto grosso e imbarazzato. Le venne in mente Ron e sorrise.
Ginny ridacchiò forte quando capì quello che era successo. “Che troll! Non avete incantato la porta?”
“Lei aveva detto di sì” disse, alzando le spalle.
“Però lei era Susan Higgs, non Sally”, ci tenne a precisare Pansy.
Si ricordava benissimo di Susan: era odiosa e stupida, ma molto molto carina e popolare. E l’aveva fatto apposta a farsi beccare. Era andata avanti tre giorni con le sue compagne di stanza, dicendo che l’avrebbe fatto con lui, quando era girata la voce che sarebbe venuto per la prova dei draghi. E Susan aveva detto a Pansy di andare in quella determinata stanza e a che ora: aveva bisogno di testimoni, voleva farlo sapere a tutti. La notorietà prima di qualsiasi altra cosa. E Pansy ci era cascata.
Per fortuna che non era entrata insieme alle altre. Era riuscita a richiudere la porta dopo che Susan aveva strillato, fingendosi isterica, il suo nome. La mora aveva capito troppo tardi di essere stata usata. Chissà cosa sarebbe successo se li avesse beccati Piton.
Lui corrugò la fronte. “Sicura che non si chiamasse Sally?”
Pansy rise insieme a Ginny, mentre il rosso si passava una mano fra i capelli. Ginny si alzò. “Dai, Charlie, andiamo a vedere cosa c’è rimasto da mangiare”.
Prese a braccetto il fratello e lo portò via.
Pansy li salutò con la mano.

 

Quando furono fuori dalla vista di Pansy, Ginny diede uno scappellotto a Charlie. Forte.
“Ehi!”
“Charlie, ma non potevi darti un po’ di contegno?”
“Ginny, sembri la mamma!”
Lei sbuffò. “Non c’è bisogno di usare quel tono” lo scimmiottò. “Perché io sono il gran figo dei sotterranei, è un onore scopare con me!
“Non ho detto così!” La ragazza lo guardò malissimo.
“L’hai pensato.”
“Beh, di solito non reagiscono così. Non le Serpeverde” disse lui alzando le spalle. “Magari i tempi sono cambiati, da quando andavi a scuola tu.”
Ok, era una stronzata, se ne rese conto da sola. Ma ormai l’aveva detto. Infatti lui la guardò alzando un sopracciglio. “Ti preferivo quando eri più piccola”.
“E io prima di scoprire delle tue incursioni nei sotterranei!”
“La tua amica poteva stare zitta e non dirtelo. O forse è diventata tua amica sperando di conoscermi” disse indicando con il capo la panchina dove era seduta Pansy. Ginny spalancò gli occhi alle parole del fratello: che troll! Ma lo era sempre stato?
“Sei un’idiota. Primo, non me l’ha detto lei. Secondo, sta già con uno di noi.”
Lui si fermò e si voltò a guardarla. “No! È la fidanzata di Percy? Che figura…”
Lei sorrise e lo strattonò.
“No. Lei sta con Ron.”

 

Ron? Hai capito il fratellino? Con una Serpeverde?
Charlie era convinto che Ron sarebbe finito con Hermione. E invece… Non l’avrebbe mai detto. Sorrise.
“Ron?” Si girò verso la ragazza e vide che stava parlando con qualcuno.
Si girò anche Ginny. “Quella che parla con Pansy è la fidanzata di Percy”.
“È una Serpeverde anche lei?” Due su due? Possibile che anche Percy…?
Ginny ridacchiò. “No. E se proprio lo vuoi sapere, Pansy dice che sembra che abbia una Firebolt infilata nel didietro”.
Charlie rise. La Serpeverde sembrava simpatica. “Adatta a Percy, allora!” Anche Ginny rise.
Entrarono sotto al gazebo e si diressero verso il tavolo degli antipasti.

 

Ron si era appena seduto con un altro spiedino di gamberi.
Quanti ne poteva mangiare prima di stare male? Ne aveva già mangiati cinque, avrebbe potuto sperimentare.
Charlie si sedette di colpo sulla sedia vuota vicino a lui, con due bicchieri di vino e gliene porse uno. Ron lo prese e il fratello lo fece tintinnare con il suo. Embè? Il fratello rideva sornione mentre beveva.
“Sono contento anch’io di vederti, Charlie” disse bevendo un sorso e appoggiandolo sul tavolo di fianco a lui.
“Ho appena conosciuto la tua ragazza…” Pansy? Ron si fece più attento senza dire niente. “Anzi, a dir la verità l’avevo già conosciuta. Penso che mi abbia visto nudo”.
Charlie continuò a sorseggiare il vino, ghignando mentre guardava da un’altra parte. O Merlino. Pansy non glielo aveva mica detto. Non volle dare soddisfazione al fratello, ma dentro fremeva. Però cercò di darsi una calmata. Si fidava di lei.
“Davvero? Mi spiace per lei” disse, addentando un gambero, con una finta sicurezza. Il fratello si girò verso di lui con un sopracciglio alzato.
“Oh. Volevo farti arrabbiare e vederti scattare furioso. Non ha funzionato.”
Ron sorrise. Ci era andato molto vicino, effettivamente. “Preferirei che non la prendessi in giro. Lei…”
“Veramente volevo prendere in giro te. Lei mi sembra a posto.”

Oh, spiritoso, Charlie, davvero. Fece una smorfia e suo fratello ridacchiò. “Devi avere qualità che tutti noi non sospettiamo”.
Ron sorrise. “Già”.
“Dai, come l’hai convinta?”
“A far che?”
“A stare con te.”
“Ah. Non lo so. Me lo chiedo anch’io”. Charlie rise forte. “A dir la verità ha un brutto difetto” ammise Ron.
“Ossia?”
“Non le piace il Quidditch.”
Vide Charlie inorridire: lui era il più grande cercatore dei Grifondoro, ai suoi tempi. Rise. “Quindi non viene a vederti alle partite?”
“Sì che viene.”
“Allora dev’essere proprio amore” disse, alzando le spalle.
Ron lo guardò. Lo stava prendendo in giro? Ma sembrava serio. Mangiò un altro gambero.

 

Pansy guardava la Adams che chiacchierava con lei del tempo. Del tempo! Poi, di punto in bianco, si sedette sulla panchina vicino a lei.
“Ok. Scusami” disse.
Pansy scrollò le spalle. Cosa aveva detto? “Come?”
“Ho detto ‘scusami’. Per il veritaserum…” Oh. Cosa doveva rispondere? Quello che pensava non era sicura si potesse dire ad alta voce. Annuì. “Non dovevo dartelo. Lo so. È che… ero nel pallone. Un’eventuale fuga da Azkaban sarebbe stato un casino, visto che gestisco io la struttura, adesso. Avevo paura. Già c’è un sacco di gente che pensa che sia riuscita a ottenere quel posto perché la famiglia di Percy conosce Shacklebolt e tutti i giorni devo farmi un sedere così per dimostrare il contrario… Quando sei arrivata tu, pensavo che ti prendessi gioco di me. Che volessi farmela pagare per quello che è successo a scuola”.
“Se dovessi vendicarmi di tutti quelli che mi hanno messo i bastoni fra le ruote, non farei nient’altro, Adams. Allora era un tic veramente, quello al dito?” Abbassò lo sguardo e vide sulla sua mano l’anello.
“Oh. Ci hai preso su tutto. Sei stata brava. C’è stata gente che ha capito dell’anello dopo mesi… dovresti diventare Auror e…”
“Fammelo vedere” la interruppe, allungando la mano e ignorando le sue parole.
Lei avvicinò la mano: l’anello era carino. Niente di che e probabilmente neanche troppo costoso. Il diamante era piccolo, non era sicura che arrivasse neanche a un carato, ma alla fine, era meglio una cosa piccola donata con il cuore, che una cosa molto vistosa o costosa, data senza importanza. L’aveva capito vedendo l’anello che Draco aveva comprato a Hermione.
“Non è molto prez…”
“È bello” la interruppe ancora, prima che lei si giustificasse. Non doveva giustificarsi. Neanche lei.
“Anche il tuo è molto bello. C’è un motivo per cui non è al dito giusto?” Eh? Cosa diceva? Abbassò lo sguardo sulla sua mano. L’unico anello che aveva era quello con l’ametista. L’unico per cui valesse la pena tornare indietro a bisticciare con quel tragattino. Forse pensava che… “Oh. Questo è l’anello di mia nonna. Noi… non… non siamo fidanzati” disse senza guardarla. L’avrebbe presa in giro, adesso? Avrebbe ridacchiato e ridetto quella frase sulla parentela?
“Oh, per il diadema di Priscilla! Scusa, avevo capito… pensavo…”
La mora scosse le spalle mentre rideva per l’espressione. In fin dei conti non voleva fidanzarsi. Davvero non voleva? O era come la storia di stare con Ron? Quando continuava a ripetersi che non voleva stare con lui? Era diventata come l’Avvincino della favola per bambini? Quello che diceva che non gli piaceva più il pesce perché non riusciva più a prenderlo?
No, si stava soltanto facendo contagiare da Draco e da Ginny. Sospirò silenziosamente. Non era quello il momento…
“Beh e chi l’ha detto? Magari più in là… mi farebbe veramente piacere averti come parente, mi sento sempre diversa quando sono qui alla Tana, è così strano per me…” disse la bionda seriamente. Ma era impazzita? Ma forse allora non la stava denigrando, quella volta al ministero…
“Signorine… scusate… una di voi ha una sigaretta?”
Lei e la Adams alzarono lo sguardo e si ritrovarono davanti nientemeno che Shacklebolt in persona. Il Ministro. La Adams scosse il capo. “Mi spiace, non fumo”. Si alzò e se ne andò.
Forse era il caso che si alzasse anche lei dalla panchina. Da quanto tempo era lì? Tirò fuori il portasigarette e glielo porse. Lui prese una sigaretta, chiuse la scatolina e la tenne in mano. Passò il dito sullo stemma dei Parkinson in rilievo sul coperchio d’argento. L’aveva trovato in soffitta.
“La figlia di Hugo, giusto? Hugo Parkinson.”
Pansy annuì. Non c’era nessun altro, lei era l’ultima. Suo padre non aveva fratelli, né cugini.
“Ho conosciuto tuo padre. Siamo andati a Hogwarts insieme”. Lei annuì ancora. Cosa avrebbe potuto dire? “Abbiamo fatto un duello. Per andare a Hogsmeade con una ragazza”. O Merlino! Per sua madre? “Imogen. Si chiamava Imogen. Ma non ricordo il cognome”. Ridacchiò come un adolescente. La cosa la fece sorridere.
“E chi ha vinto?” Non sapeva bene cosa dire, a parte la storia di Nott e di Azkaban, non aveva mai parlato con il ministro.
“Oh, ha vinto Mattew Brown, di Corvonero. Maledetto Brown!” Ridacchiò ancora. Guardò la sigaretta. Non è che gli aveva passato una canna senza accorgersene? “Lei andò a Hogsmeade con lui, quando scoprì il nostro duello. Beh, a dir la verità l’ha anche sposato e ci ha fatto dei figli…” Oh.
 “Scommetto che Imogen non ha più perso i chili presi in gravidanza, allora” disse a mo’ di consolazione. Shacklebolt rise.
“Forse”. Finì la sigaretta e la fece sparire. “Scusami, se parlo a vanvera. È che si aspettano un gran discorso da me e io sono una frana nei discorsi. Sono un po’ nervoso…”
“Non penso debba fare un gran discorso, alla fin fine. Ringrazi tutti, dica di essere contento di come sono andate le cose ed esprima un bel pensiero per le persone che sono decedute. Tutto qui.”
“Sembra difficile, però…”
“Allora vada da Hermione. Lei saprà buttare giù un bel discorso in poche righe e lei sarà salvo.”
L’uomo annuì e la guardò. “Perché non hai accettato il lavoro al ministero?”
PAnsy si guardò intorno: per fortuna non c’era nessuno. Non aveva detto ad anima viva della proposta del ministro.
“Farò dell’altro nella vita. Non penso che sia il mio posto, quello.”
Lui annuì. “La signorina che prima era seduta vicino a te, ci rimarrà male. Eri stata raccomandata da lei”.
Si inchinò con fare galante e si incamminò verso Hermione. La Adams? Era stata la Adams a farle proporre il lavoro al ministero? Oh Santo Salazar. Ci voleva un bicchiere di vino.
No, ci voleva una bottiglia.

 

Draco si avvicinò a Hermione appena il ministro si allontanò.
“Tutto ok?” Si sedette su una delle sedie vuote a quel tavolo.
“Sì, sì. Kingsley aveva bisogno di aiuto per il discorso” Lui annuì. Poi allungò una mano e prese una delle sue.
“Ti offendi se ti dico una cosa?” Lei sollevò le sopracciglia e si fece più attenta.
“Non lo so.”
“Quella cosa del C.R.E.P.A…. noo penso che sia una grande idea…” buttò lì. Voleva dirle quello che pensava ma allo stesso tempo non voleva offenderla.
“Abbiamo raggiunto un accordo, io e Kingsley. Il gruppo sarà costituito e qualunque elfo che lo chiederà potrà farne parte, anche se il ministro non ha accettato di fornire la bacchetta agli elfi…” Il suo tono era un po’ triste.
“Effettivamente…” iniziò lui, ma lei gli lanciò un’occhiataccia.
“Continuerò a curare l’organizzazione per migliorare la condizione degli elfi. Ma ho scoperto che voglio lavorare all’ufficio per l’Applicazione della legge sulla magia. Vorrei diventare un Auror. E magari qualcosa di più. Le leggi mi affascinano parecchio.”
Lui sorrise. Ripensò alle parole della Weasley. ‘Futuro Ministro della magia’ Annuì. “Ma non voglio abbandonare il C.R.E.P.A., ok?” Lui annuì.
“Potresti iniziare con gli elfi dei Malfoy. Se riesci a convincere loro, magari la strada sarebbe un po’ più spianata”

 

Hermione lo guardò sorpresa. Gli elfi dei Malfoy? E come ci poteva riuscire? Neanche li conosceva!
“E come dovrei fare?”
“Beh, dovresti venire da noi, ogni giorno magari, e passare un po’ di tempo a casa mia…”
Lei sorrise. “Ah, è una proposta con un secondo fine!”
Lui sorrise sghembo. “Beh, intanto che…”
“Ci penserò.”
“Quindi non ci vedremo in questi giorni, prima di ritornare a scuola?”
“Vedremo.”
Hermione sorrise: aveva accompagnato Draco da suo padre, il mese prima, e aveva conosciuto Narcissa ‘ufficialmente’. Poi le propone di andare a casa sua. E dopo la storia degli Elfi. Non pensava più che lui volesse tenerla nascosta alla sua famiglia.
Sorrise ancora mentre lo guardava di nascosto.

 

“Non mi hai detto di aver visto mio fratello nudo.”
Ron si avvicinò a Pansy quando la vide entrare sotto al gazebo. La ragazza si voltò verso di lui alzando un sopracciglio. “Hai parlato con Charlie?”
“Già”. Avrebbe dovuto preoccuparsi? Lei aveva una faccia strana…

 

Pansy ridacchiò internamente. Charlie era dispettoso come Ginny.
Guardò di nuovo Ron che si sforzava di non dire niente. L’avrebbe baciato. Si stava trattenendo e vedeva che stava facendo uno sforzo. Per lei. Sorrise.
“Non ti ho detto di aver visto nuda neanche Susan Higgs.”
Lui ora era confuso. “Chi?”
Lo prese a braccetto e si avvicinò a uno dei tavoli. “La tipa con cui stava facendo sesso. Come sono i gamberi?”

 

Ron la guardò stranito. I gamberi? Poi ripensò a quello che aveva appena detto.
“Li hai sorpresi a… a…” lei sorrise.
“Sì, Ron, è quello che ho detto. Mi consigli i gamberi, allora? O prendo i calamari?”
Come? Guardò il tavolo. “I Gamberi sono buonissimi. Ma lo è anche il fritto misto. Prova anche i calamari. Cos’è che hai visto allora?”
Le passò un piattino pieno e si allungò a prenderle un bicchiere di vino.

 

Pansy sorrise.
“Davvero lo vuoi sapere? È stato molto imbarazzante. Ci ho messo un sacco di tempo per riprendermi” scherzò.
“Allora ti prego dimmi che anche mio fratello era imbarazzato.”
Si erano incamminati verso alcune sedie in fondo al gazebo. Non c’era nessuno da quelle parti. Quasi tutti avevano finito di mangiare e giravano sotto il gazebo per chiacchierare.
Si avvicinò al suo orecchio. “Tuo fratello era imbarazzato anche quando mi ha visto poco fa, ed era vestito”. Se lo fosse stato anche quattro anni prima, lo ignorava. Ma immaginava di sì. Lui annuì quasi ghignando.
“Mi ha preso in giro.”
“Siete affettuosamente dispettosi. È bello” disse, alzando una spalla.

 
Beh, che fosse bello… Però lei sembrava triste. Pensava a Camille?
“E Camille? Tutto bene al lago?” Lei sorrise
“Sembra di sì. Si diverte.”
Pensò a quello che aveva raccontato Camille in pizzeria. Di quando al lago ci andavano Pansy e la Greengrass. “Giusto. Com’era? Gare di scopa e falò sulla spiaggia?”
Il suo tono doveva sembrare un po’ misero perché lei gli strinse un braccio e disse: “Ti porterò a un falò sulla spiaggia, una volta. Promesso”.
Sentì arrossarsi le orecchie. “Oh, ma io non intendevo…”
“No? Quindi intendevi le gare con la scopa? Non hai mai partecipato a una gara di volo con la scopa?” Lei aveva sbarrato gli occhi. Certo che aveva fatto delle gare con la scopa. Beh, con i suoi fratelli. E con gli altri di Grifondoro. Ok, non erano proprio delle gran ‘gare’. Lei sorrideva sorniona. “Potremmo fare una gara, e vedere chi vince”.
“Io e te?” Lei fu stranita dal suo tono ironico.
“Perché sei stupito? Pensi che non sia in grado di stare sulla scopa? Potrei offendermi!”
Ron ridacchiò. “No, no, non intendevo offenderti. Ma non ti ho mai visto sulla scopa” Cercò di ricordarsi il primo anno e le lezioni di volo, ma non gli venne in mente niente. Lei si offese, secondo lui, ma non riuscì a smettere di ridacchiare.
“Chissà, potremmo anche farlo. Potrei anche lasciarti usare la Firebolt…”
La ragazza si offese davvero. “Ah, no. Così vinco io e tu dai la colpa alla tua scopa. Non avete delle scope da qualche parte? Due scope uguali?”
Ron non riuscì a smettere di ridere. “Adesso? Hai la gonna. Non puoi volare”.
“E quindi? Posso volare anche con un vestito. O hai paura di perdere?” Ora lui ghignava beffardamente. Si alzò e le prese la mano. Lei sorrideva mentre la portava oltre il gazebo.
Guardarono nello stanzino delle scope e Ron ne scelse due, due uguali, come voleva lei. Passando da dentro casa e si allontanarono dagli altri.
Merlino, era più eccitato di quando l’aveva portata nel capanno per vedere i gattini.

 

“Ginny, dov’è Ron?”
Harry sussurrò mentre Kingsley richiamava l’attenzione per fare il discorso.
“Non lo so. Non vedo neanche Pansy.”
“Ma deve essere qui!” Adesso era Hermione che andava in panico. “Non può perdersi il discorso di Kinsley. Non si fa!”
“Il discorso che hai scritto tu mezz’ora fa?” Draco applaudiva mentre guardava Hermione alzando un sopracciglio. “Puoi sempre fargliene avere una copia”.
La riccia lo guardò malissimo. Ma lui c’era abituato e continuò a sorridere davanti a sé.

 

 

Kingsley, dopo un incantesimo sonorus, si schiarì la voce. Due volte. Non gli piacevano i discorsi.
Guardò tutti e, sospirando, si preparò a iniziare. Per fortuna Hermione aveva scritto poco, l’essenziale, ma a lui sembrava comunque troppo lungo. Sperò che finisse presto. Guardò la ragazza che gli fece un cenno con il capo, per spronarlo.
Avrebbe dovuto farlo fare a lei, il discorso. Oh, era sicuro che lei ci sarebbe riuscita. E meglio di lui.
Dal fondo del gazebo si sentirono dei rumori e da una delle aperture in fondo si riconobbero chiaramente delle voci e tutti si girarono verso quella direzione. Il più giovane dei fratelli Weasley, Ronald, e la figlia di Hugo Parkinson, entrarono di soppiatto finché non si resero conto di essere sotto gli occhi di tutti.
Quella ragazza gli ricordava Hugo in maniera impressionante. Kingsley rise. E ridere lo aiutò a scacciare il nervosismo.
Partì ringraziando tutte le persone che erano lì, tutti i membri dell’Ordine della Fenice, i vari addetti del ministero e tutti gli altri. Il discorso che aveva scritto Hermione era particolarmente sentito e il ministro vide parecchie streghe asciugarsi gli occhi.
Quando concluse, sorrise. E guardò la giovane strega che, raggiante, batteva le mani.

 

Quando Kingsley finì il discorso venne verso di lei mentre la folla si rimescolava.
“Grazie Hermione, sei stata bravissima. Penso che ti farò scrivere un altro discorso per la celebrazione del due di maggio a Hogwarts. Ti piacerebbe?”
La riccia sbarrò gli occhi eccitata. Avrebbe scritto anche il prossimo discorso? Che bello, non vedeva l’ora. Con più tempo a disposizione, avrebbe sicuramente fatto un lavoro migliore. Annuì estasiata.
Poi Kingsley si voltò verso Draco e gli disse: “Io non me la farei scappare una ragazza così”. E ammiccò.

 

Draco fu stupito dalla frase del Ministro. Soprattutto quando lui si avvicinò e gli disse sottovoce: “Penso che questo, sia un bel momento per fare quella cosa”.
Oh. Per Salazar, gli stava consigliando di fare quello che immaginava? Il ministro lo aveva visto mentre guardava l’anello in un momento in cui era rimasto solo…
Si guardò intorno: gli amici di Hermione, il suo mondo, poteva essere il suo momento. Ma… alla Tana? Voleva darle veramente l’anello alla Tana? Oh, Merlino.
Erano mesi che ci pensava e non aveva ancora trovato la maniera giusta. Non c’era la maniera giusta. Avrebbe aspettato ancora e non avrebbe concluso niente. Così improvvisò e sperò che andasse tutto bene.
Si girò verso Hermione, che era ancora girata verso il ministro, e le prese la mano.
Quando lei si voltò verso di lui, lentamente si abbassò appoggiandosi su un ginocchio e fece scivolare la mano libera alla scatolina che teneva in tasca da più di due mesi. Sentì qualcuno intimare il silenzio e sentì il brusio calare intorno a lui. Per una attimo, il panico lo avvolse, poi si scordò di tutti gli altri.
“Hermione” cominciò, ma sentì la sua voce tremare. Merlino. Gli occhi della sua ragazza si spalancarono stupiti e sorrise. Bastava quello. “Quando mi sorridi, mi sento il più fortunato del mondo. Amo guardare il tuo sorriso e potrei passare ore a guardarti. Ho bisogno di te, non potrei vivere senza averti vicino. Ti voglio accanto per il resto della mia vita. Vorresti… sposarmi?” Le lasciò la mano per aprire la scatolina.

 

Hermione sentì le lacrime scenderle sulle guance.
Stava piangendo? Non doveva! Era un momento bellissimo. Draco era in ginocchio, lì davanti a lei, con quel bellissimo anello e lei stava piangendo? Merlino non riusciva a smettere. Non disse niente, mentre continuava a sorridere.
Poi guardò ancora Draco (l’anello aveva catturato la sua attenzione per tantissimo tempo) e vide il suo sguardo un po’ preoccupato. Merlino, non gli aveva risposto!
“Sì, sì, certo che voglio sposarti!” riuscì a dire.
Il suo viso si distese e prese l’anello dal suo sostegno. Fece per alzarsi quando una voce vicino a lei gli disse sottovoce: “Malfoy, devi rimanere in ginocchio per infilarle l’anello”. E una mano lo spinse di nuovo giù.
Draco rimase in ginocchio e le infilò al dito l’anello più bello che lei avesse mai visto. Poi si alzò e la guardò. Intorno a loro c’era silenzio. Un silenzio assordante, finché qualcuno dal fondo del gazebo gridò qualcosa tipo: ‘YAHOO!’ e fece partire un applauso scrosciante.

 

Draco si avvicinò a lei, le prese il viso fra le mani e la baciò. Davanti a tutti.
C’era riuscito. Glielo aveva chiesto e lei aveva risposto di sì. Anche se aveva detto quella frase così stupida. Mesi che si preparava il discorso, mesi di belle parole e poi...
Lei aveva detto di sì, questo era l’importante. Come si lasciarono, furono circondati da persone che facevano loro i complimenti. Il ministro, il primo, gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla. Poi gli altri uomini, Potter, i Weasley e quelli del ministero.
A un certo punto si ritrovò davanti la piccola teppistella rossa. “Ce l’hai fatta, Malfoy!”
“Non sono sicuro che dovessi rimanere in ginocchio anche dopo il suo sì, però” le disse.
“Davvero? Io pensavo di sì. Mi spiace essermi sbagliata”. E ghignò per smentire quello che aveva appena detto.
Draco rise mentre lei lo abbracciava e gli spiegava tutte le maledizioni che gli avrebbe lanciato se avesse fatto qualcosa di sbagliato.

 

Hermione fu circondata da tutte le streghe presenti e baciata, abbracciata e strattonata per vedere l’anello. Ginny le si era avvicinata per prima e le aveva detto “Oh, tesoro, sono così contenta!”
Girarono ancora dei bicchieri e vennero aperte altre bottiglie di vino. Hermione era un po’ su di giri e le girava la testa. Draco stava ancora ricevendo pacche sulle spalle. Riuscì a sottrarsi a tutti e andò a sedersi su una delle panchine fuori dal gazebo. Poco dopo vide arrivare Pansy che le disse con un sorriso: “Posso congratularmi anch’io?”
Hermione annuì e si alzò. La mora l’abbracciò. Era la prima volta che succedeva, pensò stupita la riccia.
“Tu lo sapevi?”
Lei sorrise. “Io e Ginny lo sappiamo da un po’, sì”. Oh, anche Ginny? Sorrise guardando ancora l’anello. Rientrarono insieme e si avvicinò a Draco.
Sembrava imbarazzato, ma le sorrise caloroso e la baciò ancora.

 

Ron si avvicinò a Harry.
“Ma tu lo sapevi?” Il moro scosse la testa. Meno male. Almeno non era l’unico.
Anche Ginny si unì a loro, tirandosi dietro Charlie e George. “Io lo sapevo” disse, gongolando.
“E perché non ce l’hai detto?” Ron la guardò un po’ incupito. Non gli piaceva non sapere le cose.
“Non erano fatti tuoi” disse la sorella con un brutto sguardo. “E poi, dov’eri, prima?” Lui alzò le spalle.
Charlie sorrise sornione mentre sussurrava: “Serpeverde… Serpeverde…”
Ron gli lanciò quella che sperò fosse una brutta occhiata. “Non sono fatti tuoi” disse a beneficio della sorella.
“Oh, allora lo chiederò a Pansy.”
Ron sorrise. Come se fosse stato facile farsi dire qualcosa da quella ragazza.
“Guarda, sta arrivando, chiediamoglielo!” Ron sbarrò gli occhi. Charlie voleva farlo davvero?
La mora si avvicinò a loro.

 

“Ron ci stava giusto spiegando dove eravate finiti prima del discorso. Ma vi sembra una cosa da fare?”
Pansy guardò Ginny con un misto di stupore e di curiosità. “Davvero te l’ha detto?” E guardò Ron che scosse la testa.
George cercò di attirare l’attenzione di Pansy e Charlie si mise davanti a Ron: Non riusciva più a vederlo. Ma cosa stava succedendo?
“Era solo una gara di volo. Niente di che”. Alzò una spalla. Loro avevano sicuramente pensato male. Sorrise.
“Una gara di notte?” esclamò Ginny. “E poi, tu voli?” Oh, com’è che tutti le facevano quella domanda?
“Certo che volo!”
“Chi ha vinto?” chiese George
“Io” rispose Pansy.
“Io” disse Ron spostandosi da dietro il fratello. Tutti e due si guardarono stupiti.
Beh, aveva vinto lei, anche se il rosso continuava a sostenere che non valesse. Avrebbero dovuto rifare la gara di giorno e con degli abiti più adatti, pensò al ricordo di lui che finiva contro l’albero perché a lei si era alzata la gonna in volo.
“Sicuri di aver fatto la gara insieme?” Ridacchiò Charlie. Ginny tolse alla mora qualcosa dai capelli.
“O magari vi siete rotolati da qualche parte?” Ecco dove volevano arrivare. Ma lei non era Serpeverde per niente.
Prima che potesse rispondere però, Ron esclamò ad alta voce: “No! Stavolta non abbiamo fatto niente!” Oh, Merlino.
“STAVOLTA?” esclamarono insieme gli altri Weasley. E si misero a discutere tutti e quattro mentre le orecchie di Ron diventavano sempre più rosse e gli altri ridevano. Non la calcolarono più.
Pansy si avvicinò a Potter che seguiva il battibecco sorridendo e gli chiese sottovoce: “Ma fanno sempre così?”
Il moro si girò verso di lei, ancora sorridendo. “Sempre”.
Oh. Perfetto.

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***Buona lettura gente, ecco il nuovo capitolo. Spero vi piaccia.

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Capitolo 49
*** 2 maggio 1999 ***


2 maggio 1999

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Pansy era particolarmente nervosa: quella domenica era diversa dalle altre.
Ci sarebbe stata la cerimonia per l’inaugurazione del monumento per i caduti nella battaglia dell’anno prima. Sarebbero stati presenti tutti i membri dell’Ordine della Fenice, le famiglie degli studenti, gli addetti del ministero e chiunque altro avesse voluto presentarsi. Era stata organizzata come una cerimonia in grande. Molto in grande. E sicuramente lo sarebbe stata.
Si mise il rossetto e sospirò. Poteva farcela.
“Pansy, la porta scorrevole è bloccata. Non si apre…”
Millie si era affacciata alla porta della camera. Aveva un vestito giallo con delle decorazioni nere. Sorrise, guardandola. Stava bene. Macmillan si sarebbe vestito di verde e argento?
“Sì, lo so.”
“Oh, lo sai?”
“Sono stata io.”
Millie era confusa. Giustamente. Prese la bacchetta, la infilò nello stivale e si incamminò con lei verso la sala comune. “Le ragazze sono tutte fuori dalle stanze?” Lei annuì.
Il brusio l’accolse in sala comune. Andò verso la porta scorrevole e zittì tutti quelli che volevano informarla del fatto che fosse bloccata. Guardò verso il corridoio dei ragazzi e Draco, che arrivava da lì, le fece un cenno positivo e si incamminò verso di lei. Sospirò. Sperò non ci fosse bisogno del Sonorus.
“Silenzio” ordinò e il brusio si fermò. “Siamo la casa più bella di Hogwarts” iniziò. Si levarono urla scalmanate dal fondo. “Siamo i più ambiziosi, astuti e furbi…”
“E i migliori in pozioni!” gridò ancora qualcuno. Sorrise annuendo e guardando Draco.
“Ma siamo anche rispettosi”. Ci fu silenzio. “Là fuori oggi ci sarà la cerimonia per l’anniversario della più brutta battaglia che possiate ricordare. Qualcuno di voi l’ha vissuta…” Guardò Millicent, che annuì e guardò verso Draco che rivolse lo sguardo a tutti gli studenti, senza abbassarlo. “Chi, come me, ha avuto la fortuna di non assistere a l’orrore che la guerra porta, può solo ringraziare di essere scampato a una simile esperienza. Ci saranno tantissime persone, oggi. Persone che hanno combattuto perché Hogwarts potesse tornare a essere la scuola che ci ricordavamo, persone che ci hanno reso liberi dalla violenza e dal terrore, e chi è stato qui l’anno scorso, se lo ricorda bene”.
“A me piaceva, l’anno scorso” gridò un ragazzo. Intorno a lui poche voci lo assecondarono.
Pansy si voltò verso di lui, fermò Draco che si stava dirigendo verso il ragazzo e lo riconobbe: Rowie.
Aveva parlato con tutti i ragazzi figli di mangiamorte arrestati in quelle due settimane. Tutti. Tutti tranne Rowie. Non sapeva qual era la sua opinione, sulla guerra, sulla cerimonia. Non voleva che potesse dare il via a qualcosa di stupido, folle o pericoloso.
“Rowie, racconta allora quanto ti è piaciuto l’anno scorso essere cruciato da Goyle. Tutte le volte che è successo. E come sia piaciuto anche a lui. Scommetto che tutti sarebbero curiosi di saperlo. Perché”, e si rivolse di nuovo verso tutti “Quando quelli delle altre case erano troppo deboli o erano nascosti, quando i Carrow non avevano più nessuno contro cui sfogarsi, se la sono presa anche con noi. O mi sbaglio?”
La sala rimase in silenzio, qualcuno del sesto o del quinto anno annuì. Qualcuno dei piccoli tremava. Maledetti Carrow.
“Chi si comporta male con gli altri, quando gli altri non ci sono più, si comporta male anche con te. Rowie, ricordatelo. Non si stava bene, l’anno scorso.”
Sperò che il suo sguardo valesse per tutti. Il ragazzo annuì silenziosamente e abbassò gli occhi. “Se becco uno di voi, o anche tutti voi, non mi interessa, a fare qualcosa di stupido, di sbagliato o di irrispettoso verso le persone che oggi sono venute a ricordare i loro cari, ve la vedrete direttamente con me. Ci siamo capiti?”
Le teste annuirono e qualcuno disse qualche labile ‘sì’.
“Ci siamo capiti?” chiese ancora, a voce più alta. Daphne e Blaise gridarono il loro Sì. Anche Millie e Draco lo dissero ad alta voce. Sentì anche Camille e Astoria. Le amiche di Astoria, Mike e qualcun altro e via via tutta la sala comune. Quando tutti ebbero gridato, riportò il silenzio.
“Perfetto. Perché siamo Serpeverde e siamo la casa più bella di Hogwarts. Giusto?” Il questa volta fu immediato e sostenuto.
“Chi siamo noi?” gridò Draco.
“Serpeverde!” risposero gli studenti.
“Allora andiamo fuori, a dimostrare a questa scuola come sono fatti i Serpeverde!”
Aprì la porta scorrevole con la bacchetta, per far uscire tutti. Davanti aveva posizionato tre prefetti. I due del settimo anno e il ragazzo del sesto. Fece cenno di avviarsi.
“Chi sono i più bravi in pozioni?” gridò Blaise “Serpeverde!” Qualcun altro gridò ancora qualcosa e la risposta di tutti fu sempre quella.
Pansy sperò che bastasse. Che nessuno si facesse compatire, che non succedesse niente. Draco le venne vicino e le mise una mano sulla spalla.
“Andrà tutto bene.”
“Speriamo” disse, controllando Rowie.

 

 

***

 

Hermione aspettò Draco fuori dal portone d’ingresso. Vide passare tutti i Serpeverde uno dietro l’altro. Erano molto carichi e sorridenti. Mah…
Quando alla fine uscirono Pansy e Draco sorrise al ragazzo.
“Ciao. Mi aspettavi?” Lei annuì. Le prese la mano e si avviarono verso il cortile, dove un grosso telo copriva il monumento che si sarebbe inaugurato quel giorno. Migliaia di sedie erano allineate davanti a un piccolo pulpito.
“Pansy dove vai?” Draco si era girato verso l’amica e Hermione si era fermata. “Vado a fumare. Vi raggiungo subito”.
“Ti siedi con noi?” le chiese la riccia.
“Penso che mi siederò vicino a qualcuno dei ragazzi più scalmanati. Così da essere sicura…”
“Sicura di cosa?”chiese ancora Hermione.
La mora scosse le spalle e si allontanò.

 

Pansy andò sulla montagnola con la panchina, da dove si vedeva il parco e il lago. Tirò fuori una sigaretta, l’accese e sospirò.
“Ci hai venduto. Per scoparti Weasley.”
Si girò, ma sapeva già chi fosse. “Rowie”. Ignorò la sua provocazione. Il giorno prima il ragazzo li aveva visti insieme. Ma lei aveva smesso di nascondersi. Lui si avvicinò.
“Hai parlato con tutti, tutti quelli che hanno i genitori ad Azkaban.”
“Tutti tranne te: mi hai evitato” Lui annuì.
“Se Potter non avesse vinto, ora avremmo tutti i nostri genitori a casa e non saremmo lo zimbello della scuola.”
Anche lui si accese una sigaretta. “Pensi che saresti stato libero? È un illusione, te ne rendi conto, vero?” Il ragazzo annuì e lei si sorprese della risposta.
“Ma è più facile pensare che sarebbe stato meglio. Meglio di così. Loro… mi mancano…” Oh. Era un ragazzino. Un ragazzino che contava sui propri genitori. Come loro due anni prima.
“Anche i miei sono ad Azkaban.”
“E non ti fa arrabbiare?” Pansy soppesò la domanda prima di rispondere.
“Sì. Tantissimo. All’inizio ero arrabbiata con il ministero, poi con Potter, poi con mia madre, poi sono stata arrabbiata anche con me stessa. Ma tantissimo con mia madre. Per essersi cacciata in quella situazione, per avermi abbandonato, per aver fatto la scelta sbagliata. E avermi lasciato qui, da sola ad affrontare tutti.”
Rowie annuì ancora. “E adesso?”
Lei alzò le spalle. “È stato difficile. Adesso… non lo so, a volte cerco di non pensarci, a volte mi sembra di essermelo lasciato alle spalle. Io non avevo nessuno, è stato difficile. Tu… hai qualcuno che si occupa di te?”
“Ho i nonni…” Pansy annuì. “Ho anche una sorella” continuò il ragazzo, tirando dalla sigaretta.
“Una sorella? Non mi ricordo di…”
“È più piccola, inizierà la scuola a settembre.”
Lei sorrise. “Ti darà da fare”. Lui alzò le spalle.
“Fidati, so come sono le sorelle piccole. E se le sei rimasto solo tu…” Il ragazzo si girò di colpo verso di lei.
“Solo io?”
“Immagino che sia stato difficile anche per lei, no? Vedersi portar via i genitori, di punto in bianco. Probabilmente non ha neanche capito cos’è successo. Dovrai starle vicino.”
Rowie non disse niente e continuò a guardarla pensieroso. Lei spense la sigaretta e la fece sparire.
“Adesso andiamo. Te la senti di assistere alla cerimonia?” Lui annuì, ma senza troppa convinzione.

 

Ginny osservò Pansy andarsi a sedere vicino ai ragazzi Serpeverde.
“Perché Pansy non viene a sedersi con noi?” chiese a Hermione e Draco.
“Vuole controllare le teste calde da vicino. Ha paura che qualcuno possa fare qualche scherzo o qualcosa di peggio.”
Oh. “E perché invece tu sei qui e non lì ad aiutarla?” Il biondo la guardò stranito e lei sbuffò. Si guardò intorno, dov’era Ron? “E Ron dov’è?”
“Sta arrivando insieme a Harry. Guarda, sono lì”. Hermione indicò i due ragazzi che stavano arrivando. Loro erano seduti tutti davanti, insieme all’Ordine della Fenice, al resto dei Weasley, ai principali esponenti del ministero e ai professori che avevano protetto Hogwarts. Dietro di loro gli studenti che avevano combattuto. E poi tutti gli altri.

 

Draco pensò ancora alle parole della Weasley. Merlino, aveva ragione! Perché lui era lì? Aveva anche combattuto la guerra dalla parte sbagliata! Era vivo per miracolo.
Guardò verso i Serpeverde, la sua casa, i suoi compagni. Blaise disse qualcosa all’orecchio di Daphne che rise e annuì. E poi gli altri, i ragazzini, le ragazze. Guardò Pansy, vicino a un Rowie a capo chino. Non aveva bisogno di aiuto. Però…

 

Ron e Harry arrivarono di corsa e si sedettero. Ron si guardò intorno.
“Dov’è Pansy?” chiese agli altri.
“Là”. Indicò Ginny. Il rosso spalancò gli occhi.
“Perché non è qui?” Ginny alzò le spalle e guardò ancora Malfoy. No. Così non andava bene. Non avevano parlato dei posti dove si sarebbero seduti, ma lui aveva dato per scontato che lei si sarebbe seduta vicino a loro. Se c’era Malfoy… Probabilmente lei lo aveva fatto apposta.
Un applauso particolarmente sentito diede il via alla cerimonia. Il Ministro iniziò a parlare.
Ron, però, non lo ascoltava.

 

“Vado a sedermi là, vicino a lei.”
Il rosso si alzò. “Ma aspetta, cosa…” iniziò Hermione.
“Forse dovrei andarci io” disse Draco.
“Se vuoi andarci, vengo con te” propose la riccia. Lui la guardò con amore. Annuì.
Ginny si alzò e disse a Harry: “Andiamo anche noi”.
Lui la guardò stranito ma quando si rese conto che sarebbe rimasto da solo, si alzò e seguì gli altri.
Quando quel gruppetto si mosse per il cortile per spostarsi, ci fu un girarsi di teste e qualche mormorio di sottofondo.
Nessuno si accorse che il ministro si era fermato. Quando le sedie sparirono e poi ricomparvero vicino ai Serpeverde, tutti erano girati verso loro che si sedevano.

 

“Cosa fai?” chiese Pansy a Ron.
“Sono venuto vicino a te” Ron le prese la mano e la baciò. La mora guardò anche gli altri. Tutti fecero un cenno del capo e sorrisero. Sentì, di fianco a lei, Rowie mormorare un: “Weasley”, molto contenuto ma senza ironia.
“Rowie” ripose il rosso.

 

Il Ministro non aveva ancora ripreso a parlare e li guardava sorridendo. E improvvisò. Hermione fu l’unica a saperlo, perché il discorso lo aveva scritto lei, e per quanto sapeva di aver scritto dei pensieri molto belli sulla scuola, quello che disse Kingsley, li superò tutti.
Perché parlò di quando a scuola c’era stato anche lui. Di come la scuola fosse stata importante, di come lo fosse ancora, della sua importanza.
Prese bonariamente in giro la McGranitt e raccontò di Silente, il grande preside che aveva sempre una parola saggia per tutti, di Piton che con coraggio e astuzia era riuscito a ingannare tutti, perfino loro, e aveva sempre lottato vicino a Silente. Raccontò due o tre aneddoti veramente simpatici, tanto che anche i ragazzi più piccoli riuscirono a non annoiarsi e a seguire il discorso.
I Serpeverde furono contenti, quando raccontò di aver avuto un grande amico fra di loro, e pendevano dalle sue labbra, quando raccontò di come un duello si fosse trasformato in una splendida amicizia.
Guardò verso i ragazzi e guardò Pansy. Hermione non capì bene il perché, ma la mora dovette capirlo, visto che spalancò gli occhi e sorrise.
“E ora, preparatevi, perché vi leggerò i nomi delle persone più coraggiose, eroiche e audaci, che ci hanno permesso di festeggiare oggi la nostra libertà. A tutti loro, dedichiamo questo!” Puntò la bacchetta sull’enorme monumento e slegò il fiocco che stringeva la stoffa. Il tessuto cadde e sparì, e una enorme struttura di marmo fece la sua apparizione.
Agli occhi di un bambino poteva sembrare un grande gazebo: cinque colonne di marmo bianche reggevano una cupola decorata anch’essa di marmo bianco e su ogni colonna, i nomi dei caduti erano scritti con caratteri dorati ed eleganti. I nomi delle persone vorticavano in cerchio, si intrecciavano fra loro, si spostavano da una colonna all’altra e viaggiavano su e giù. Quando venivano toccati, come una foto, compariva il viso della persona a cui apparteneva il nome. Dopo che vennero letti tutti i nomi, Kingsley fece cenno di avvicinarsi.
I ragazzi entrarono dentro quella meraviglia con occhi spalancati.
Molte streghe piangevano e si asciugavano gli occhi.

 

Ginny toccò il nome di Fred quando le apparve, e questo, dispettoso e burlone come era stato, scappò ridendo. Sentì le lacrime bagnarle gli occhi e le guance.

 

Harry vide il nome di Sirius, e dei suoi genitori. Appoggiò la mano alla colonna, improvvisamente debolissimo. Loro sorridevano, come se fossero lì con lui. Gli mancavano terribilmente. Quando passò il nome di Piton, allungò il passo per poterlo toccare prima che scappasse: lui lo degnò di quello sguardo che aveva tanto odiato e che gli aveva sempre rivolto. Sorrise: non sarebbe mai riuscito a riconoscere un Piton sorridente. Ginny si avvicinò a lui e gli passò un braccio dietro alla schiena, stringendolo.

 

Ron si avvicinò alle colonne. Vide Tonks e il naso della ragazza trasformarsi, quando toccò il suo nome. E Lupin, che sorrideva come quando aveva insegnato a Neville a difendersi dal molliccio.

 

Hermione si avvicinò e studiò ogni cosa. Gli altri non avevano riconosciuto lo stile delle colonne, ma a lei non era sfuggito. E anche la cupola in cima, era piena di simboli dai significati nascosti. Era una meraviglia unica. Girò intorno per vedere tutte le decorazioni che erano alla base e al capitello di ogni colonna. Numeri e simboli. Era stupendo. I ragazzi delle future generazioni avrebbero potuto passare lì il tempo, a studiare e imparare a non dimenticare.

 

Pansy si avvicinò. Rowie, dietro di lei, non ebbe il coraggio di seguirla. Lei gli fece un cenno.
“Vieni a vedere.”
Il ragazzo si avvicinò. Lei vide il nome di Silente e poggiò la mano sul suo nome e il viso barbuto del preside sorrise ai due ragazzi. Sentì Rowie emettere un’esclamazione di stupore.
“Ma… i nomi sono tantissimi…”
“Le guerre sono state due. La prima sembrava finita con la cicatrice di Potter” disse. Indicandolo. “E la seconda è finita un anno fa”.
“E ora è finita davvero?”
“Sì. Ora bisogna ricostruire e andare avanti.”
Si allontanò da lui quando vide una bambina corrergli incontro: doveva essere la sorella.

 

Neville si avvicinò con Hannah alle colonne. Sapeva che loro c’erano. Non erano morti, ma non stavano neanche vivendo. La McGranitt gli aveva chiesto cosa preferisse e lui aveva scelto di far mettere i suoi genitori lì, insieme agli altri, perché potessero stare in mezzo agli eroi, visto che lo erano. Sua nonna aveva annuito compiaciuta quando glielo aveva detto.
Quando vide passare la scritta, toccò il nome e pianse a vedere la madre che gli sorrideva.
Hannah gli strinse forte un braccio.

 

I Weasley al completo avevano già fatto il giro sotto il monumento. Molly piangeva copiosamente e Arthur la consolava tenendole un braccio sulle spalle.

 

Quando tutti, studenti, famiglie e visitatori ebbero avuto il tempo di ammirare il monumento, si spostarono in sala grande. I tavoli delle case erano stati spostati e un enorme buffet era apparso al posto del tavolo dei professori.

 

Pansy si avviò verso la sala grande. Lui doveva essere lì. Passando per l’ingresso vide due ragazzi in un angolo che si baciavano. Gettò l’occhio, quando la ragazza si staccò da lui riconobbe Astoria. Si fermò per curiosità. Chi era il ragazzo?
Quando capì chi fosse, rimase sorpresa. Mike Derrick? Scosse le spalle. Era un bravo ragazzo. Aveva una cosa importante da fare e voleva farla subito. Individuò Ron vicino al tavolo con il buffet (ancora gamberi?) e gli andò vicino.
“Ho una cosa per te.”
Lui mollò il piatto con velocità e sorrise. “Andiamo!”
La mora lo guardò stranita. “Dove?”
Ron alzò le spalle. “Stanza delle necessità?”
“Non intendevo quello!” esclamò un po’ piccata, ma sorrise.
“Oh. Ok. Quindi?”
“Vieni.”
Lo prese per una mano e lo portò fuori dalla sala grande. Attraversarono il portone e si inoltrarono nel cortile.
Era piuttosto affollato, così lei lo portò verso la panchina sulla montagnola. In fin dei conti era come se tutto fosse iniziato lì.
Sfilò la bacchetta dallo stivale, e fece apparire la sua borsetta. Ci frugò dentro per un po’ e poi tirò fuori una piccola cosa colorata.

 

Ron guardò meglio: era curioso e lei era misteriosa.
Rise mentre gli allungava quella piccola cosa. Come la prese in mano, sbarrò gli occhi stupito. E incantato. E contento. Per Godric! Era una figurina delle cioccorane. Era la SUA figurina delle cioccorane. La sua faccia lo guardava sorridendo. Ma lui sorrideva così? Era estasiato. E la guardò sorridendo.
“Sembra che ti piaccia” gli disse.
“Dove l’hai trovata?”
“Oh, ho sequestrato una cioccorana a un ragazzino. Era aperta e l’ho vista...  Io non lo sapevo!” Sorrise.
“Non lo sapevo neanch’io.”
La guardò ancora e accarezzò la figurina. ‘Nr. 106’. Lui, Ronald Bilius Weasley era la figurina numero 106 delle cioccorane. Sorrise ancora come un ebete.
“Grazie. Grazie mille. Sono felicissimo.”

 

Pansy rise. Lo vedeva, quanto fosse felice.
Ron si avvicinò e le posò le mani sui fianchi, chinò la testa verso di lei e appoggiò le labbra sulle sue. Era un permesso. Le stava chiedendo il permesso.
Non oppose resistenza e lo lasciò fare. Lo sentì sorridere sulla sua bocca quando gli prese il viso fra le mani. Socchiuse le labbra e lasciò che lui l’accarezzasse.
Quando riaprì gli occhi, Ron stava ancora sorridendo. Fece un passo indietro e sentì un fischio. Si voltò e vide George che sorrideva ammiccando nella direzione del fratello. Non guardò gli altri. Non le interessava molto degli altri in quel momento.
Finché una voce non esclamò: “Che schifo!”
“Zitto, non si dice così!”
Pansy e Ron si voltarono verso quelle voci, mentre gli altri si disperdevano. Un bambino con i capelli rossi e la ragazzina che aveva visto con Ron nel corridoio della biblioteca, erano lì, davanti a loro, mano nella mano.
Corrugò la fronte e guardò il Grifondoro.

 

Ron sorrise. “Jake!”
Si avvicinò al ragazzino e gli porse il pugno. Il ragazzino ricambiò subito.
“Grazie per il disegno, L’ho appeso sopra il letto, in camera mia.”
Il piccolo sorrise estasiato. Pansy si avvicinò.
“Conoscete Pansy, ragazzi?” chiese loro, passando una mano dietro la schiena della ragazza. La sorella di Jake (proprio non riusciva a ricordarsi come si chiamava!) annuì e arrossì.

 

Pansy sapeva che la ragazzina era in imbarazzo per quello che aveva detto a Ron quando era scappata con Nott, così si avvicinò e le disse: “Tu non puoi saperlo, ma mi hai salvato la vita”.
La ragazzina sgranò gli occhi. “IO?”
La mora annuì. “Sì. Grazie mille”.
“Sei la signora Ron?” La sorella diede uno strattone a Jake, sgridandolo per quello che aveva appena detto. Ma lui non capì e la guardò male. Era carino.
“No…” Pansy cercò le parole adatte ma venne interrotta dal Grifondoro.
“Non ancora.”
Si voltò verso di lui con gli occhi sbarrati. “Ma cosa…”
“Shh… non è il momento, su, ne parliamo dopo” la liquidò lui.

 

Parlarono altri dieci minuti con i ragazzini e quando loro se ne andarono, un uomo si avvicinò.
Ron non lo conosceva. Ma Pansy sì, perché lo chiamò: “Signor White! Anche lei qui?” E lo abbracciò. Lui era vecchio, o forse aveva l’età di suo padre.
“Ron, lui è William White, il nostro consulente finanziario.
Signor White, lui è…”
“Ronald Weasley.
Come se potesse passare inosservato uno dei salvatori del mondo magico. Piacere” disse l’uomo. Gli allungò la mano e Ron la strinse mentre sentiva le orecchie andare a fuoco.
“Piacere.”
Così quello era William. Il famoso William. Sua sorella gli doveva ancora un sacchetto di dolci per colpa sua. Sorrise. Poi lui si voltò verso Pansy.
“Mi ha fatto piacere ricevere la tua lettera. E le tue dettagliate istruzioni”. Rise e Pansy si imbarazzò. Si fece più attento. “Ho fatto come hai detto e ho venduto le azioni di quella società babbana… Quella… IBM, forse?”
Lei sbarrò gli occhi. “Avevo scritto luglio! Non doveva venderle prima di luglio! Anche se sembrava un buon affare!” Si agitò un po’ la mora.
Il mago rise ancora e le prese una mano. Si girò verso Ron e ammiccò. “Non è divertente farla agitare così?”
Poi si rivolse di nuovo alla mora. “Non l’ho fatto. Seguo scrupolosamente i tuoi ordini, cara. Poi un giorno dovrai spiegarmi meglio come ci riesci”.
“Forse…” Pansy sorrise.
Il signor White si rivolse di nuovo a Ron. “Questa signorina glielo ha detto, signor Weasley, di aver rifiutato un lavoro al ministero, per lavorare con me?”
Per Godric, cosa? “Mmm, non ne abbiamo ancora parlato…” disse la mora imbarazzata. Lui dovette capire la situazione, perché li salutò e si dileguò in fretta.
“Vado a salutare Narcissa. Ci vediamo dopo.”
Quando furono soli, Ron si voltò verso di lei. “Di che cos’è che dobbiamo ancora parlare?”
“E cos’è che non è ancora successo?”

 

Ginny si avvicinò a Fleur, che, stremata si era seduta su una sedia in un angolo della sala grande, abbandonando le scarpe e sollevando le gambe su uno sgabello.
“Ciao, come va?”
“Sono gonfissima. E stanchissima...” Ginny sorrise. Sua madre le aveva chiesto di essere comprensiva con lei. Diceva che le gravidanze erano pesanti e l’ultimo periodo più di tutti. Così non fece battutine. Si mise dietro di lei e le appoggiò le mani sulle spalle. Le massaggiò un po’ il collo. Fleur le chiese se avesse pensato a cosa fare dopo la scuola e lei le raccontò delle Holyhead Harpies, di essere stata presa ufficialmente in squadra. Lo aveva saputo il giorno prima, ma non lo aveva ancora raccontato a nessuno. Va beh, solo a Harry.
Fluer si complimentò con lei, rimanendo zitta per qualche minuto e Ginny pensò che si stesse godendo il suo massaggio. “Oh, potrei rimanere qui tutta la vita…” ma si bloccò bruscamente ed esclamò: “Mon Dieu!”, e anche Ginny, che il francese non lo capiva, intuì che fosse successo qualcosa. Guardò in basso e vide, sotto la sedia, gocciolare del liquido chiaro.
Merlino! Merlino! Cosa dovevano fare adesso? La guardò allibita e Fleur sorrise dicendo: “Puoi andare a chiamare Bill che mi faccio accompagnare al San Mungo?”
Lei annuì e corse via.

 

Hermione e Draco avevano mangiato qualcosa e poi si erano incamminati di nuovo verso il cortile. Quando vide Narcissa, la riccia non seppe bene cosa fare. Quella donna le incuteva ancora un po’ di timore. Infondato, ma lo faceva. Draco l’aveva rassicurata. E sapeva che la donna si sentiva ancora in colpa per le cose successe al Manor, però… Le abitudini erano dure a morire. Ma l’unica maniera per superare un ostacolo, era affrontarlo. Così le fece un cenno con la mano e si avvicinarono a lei.
“Sicura?” le chiese Draco.
“Certo.”
Lui sorrise e le prese la mano. “Draco, tesoro!” Narcissa si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. “Cara” Salutò anche la ragazza e, con sorpresa di Hermione, baciò sulla guancia anche lei.
La strega si guardò intorno. “È tutto molto bello” disse guardando il monumento. Hermione sorrise. Aveva pensato che avrebbe fatto finta, e invece, era particolarmente colpita davvero. Videro arrivare un signore distinto.
“Narcissa, mia cara!” La strega sorrise all’uomo.
“William! Anche tu qui?” L’uomo le baciò il dorso della mano e a Hermione piacque tanto quel gesto. “Ti ricordi di mio figlio Draco?” disse, indicando il biondo.
I due maghi si salutarono con una stretta di mano. “Lei invece è la mia futura nuora. Hermione Granger, ma sicuramente sai già chi è, come tutti. Hermione, lui è il nostro consulente finanziario, William White.”
Oh. Narcissa aveva appena detto ‘futura nuora’? Hermione si sentì colpita ed emozionata, mentre stringeva la mano al signor White. Per un attimo assaporò con la mente il nome signora Malfoy. Oh, no. Lei avrebbe mantenuto il suo cognome di sicuro. Però… guardò Draco che le sorrideva. Ci avrebbe pensato poi.
Poco dopo il signor White li salutò e andò a salutare qualcun altro. Mentre camminava lanciò cenni del capo a tante persone: conosceva un sacco di gente.

 

Ginny correva a perdifiato: non trovava Bill da nessuna parte. Ma dove si era cacciato?
Vide Hermione parlare con Malfoy e sua madre. Chissà cosa… ma adesso non poteva. Doveva assolutamente trovare Bill. O sua mamma. Andava bene anche sua mamma. L’aveva fatto sei volte, sua mamma, quindi sicuramente avrebbe saputo cosa fare.
Cercò ancora intorno. Niente. Vide Percy con Audrey. Ma quando fece un cenno in quella direzione, loro non la videro e si diressero da un’altra parte. Merlino.
Hermione però era ancora lì. Poteva chiederle aiuto per trovare Bill.
“Hermione!”
Si diresse a passo svelto verso di lei. La riccia si girò. Vide arrivare anche Andromeda che teneva la mano di un Teddy molto barcollante.
“Che succede Ginny?”
“Hai visto Bill? Fleur… Fleur… l’acqua sul pavimento…” Tutti la guardavano e lei non riusciva a spiegarsi. Andromeda venne in suo aiuto
“A Fleur si sono rotte le acque?” Ginny annuì. “Dov’è?”
“In sala grande.”
“Cissy, vieni con me, andiamo da Fleur. Voi ragazze, andate a cercare Molly, Bill e gli altri.”
Dopo cinque minuti Ginny si trovò con Teddy in braccio, mentre seguiva a passi svelti Hermione e Draco che cercavano Bill e sua madre.

 

Harry vide passare Ginny e Hermione e le rincorse.
“Ragazze, tutto ok?”
“Harry, sai dov’è Bill? Fluer sta per avere il bambino” disse Hermione.
“È al campo di Quidditch.”
“Stanno giocando a Quidditch?” Hermione era sbalordita.
“Beh, abbiamo volato un po’ per…” iniziò Harry.
“Avete giocato a Quidditch nel giorno della cerimonia? Anche tu?” Oh oh. Harry si zittì al tono autoritario e severo di Hermione.
“Non… dovevamo?” provò a chiedere.
“Perché non mi avete chiamato?” chiese invece Ginny, stizzita quanto Hermione fosse incredula.
Malfoy rise e gli fece un cenno con il capo, prima di dire: “Ok. È urgente, da quel che ho capito. Andiamo allo stadio”. E si incamminò verso lo stadio.
Hermione lo seguì, ma non prima di aver lanciato un brutto sguardo a Harry. Il moro decise di non guardare neanche Ginny.
Qualcosa gli diceva che anche lei non fosse contenta della cosa, seppure in maniera diversa.

 

Quando arrivarono allo stadio, scoprirono che erano un bel po’ i ragazzi che avevano deciso per un bel volo sulla scopa. C’erano addirittura delle gare.
Dei ragazzi di tutte le case oltre alla famiglia Weasley e tutti si stavano divertendo. Anche i Serpeverde.

 

“Via!”
Pansy aveva fatto esplodere dalla bacchetta il segnale per far partire la gara. Quattro scope decollarono e partirono. Altri quattro si prepararono. Tutti avevano il naso all’aria, aspettando di vedere il vincitore tornare.
“Fermi tutti! Non si possono fare gare di scopa all’interno della scuola!”
Tutti si girarono verso la voce, ma Pansy sapeva già chi fosse. Quando i ragazzi della scuola videro Hermione così arrabbiata, si dileguarono tutti. Tutti davvero. Rimasero solo loro della famiglia Weasley. Sorrise all’idea di essersi inclusa fra di loro.
“Era un incantesimo senza bacchetta, Hermione? Li hai fatti sparire tutti” scherzò Pansy.
La riccia la guardò stranita. “Ma Pansy…”
Tornarono i quattro a cavallo della scopa. La Johnson batté il piede per terra per prima e la mora si girò verso di lei.
“Grande!” Batté il palmo della mano contro quello della ragazza.
Atterrarono anche gli altri. Qualcuno brontolava. Ron era uno di quelli. Vide il gruppetto arrivato con Hermione avvicinarsi. Anche gli altri si avvicinarono.

 

“Pansy, ma sei un prefetto! Mi meraviglio di te!” esclamò Hermione.
Come aveva potuto acconsentire a una cosa del genere? Una gara! Ma volevano essere tutti espulsi? Poi si guardò intorno e notò come fossero tutti contenti. E della scuola erano rimasti solo Ron e Pansy. Che erano prefetti dell’ultimo anno. Forse…
“Ti giuro, Hermione, che io non ho volato! Non ho assolutamente dato il cattivo esempio. Vero ragazzi?” Tutti intorno a loro annuirono e ridacchiarono.
“Ma hai dato il via!” Hermione si rese conto da sola che il suo tono era petulante.
“Beh, qualcosa dovevo pur fare. E sembra che io non possa più volare quando indosso un vestito…” disse lanciando uno sguardo strano a Ron.
“Oh, va beh, arrangiatevi!” Lasciò perdere la riccia.
Pansy si girò. “Perfetto. Ragazzi, altri quattro!” Ma poi la riccia si ricordò perché fossero lì. “Fleur sta per avere il bambino!” gridò. Tutti si fermarono. Bill volò verso di loro.
“Cosa? Adesso?” Ginny annuì. “Ma ha la scadenza fra una settimana!” Ginny alzò le spalle.
“Voi Weasley fate sempre di testa vostra. Sarà così anche stavolta” disse Pansy, schietta.
La cosa dovette convincere Bill. “Dov’è?”
“L’abbiamo lasciata in sala grande. Con lei ci sono Andromeda e Narcissa. Dobbiamo cercare anche la mamma”. Bill annuì e volò verso il castello senza degnare più nessuno.
Gli altri si divisero le scope. Qualcuno ne lanciò una a Draco e lui le disse, montando sul manico: “Sali, ti porto io”.
Oh, Oh. Lei che saliva su una scopa? Assolutamente no. Draco la guardò ancora, incoraggiante.
“Dai” insistette, ma sorrideva. Hermione non era convinta. Il ragazzo allungò una mano. “Fidati di me. Ti tengo io”.
Sorrise anche lei. Poteva farcela. Annuì, gli prese la mano, salì dietro di lui e lo strinse forte. Lui partì.

 

 

Quando Ginny guardò Potter, aveva ancora in braccio il bambino.
Pansy si avvicinò e tese le mani. “Vai, torno io a piedi con Teddy”.
“Sicura?” Annuì.
“Certo. Correte, voi, dai!”
Ginny salì sulla scopa con il moro e la ringraziò prima che partissero.
Pansy si incamminò a piedi, convinta che non fosse rimasto nessuno. Quando Ron le si affiancò, prese un colpo.
“Ron!” il bambino sobbalzò e i suoi capelli divennero viola. Lui rise. Camminò di fianco a lei, reggendo la scopa.
“Vai. Torno da sola.”
“No.”
“Sono andati tutti.”
“Tu sei qui. Resto con te”. Lei spostò il bambino su un fianco e con la mano libera prese la sua.
“Grazie. Anche per prima.”
Intanto che camminavano Teddy si addormentò sulla sua spalla.
“Così andrai a lavorare dal signor White?” Pansy annuì.
“Mi piace. Non avevo mai usato l’Aritmanzia così. La Vector mi aveva spiegato che si poteva fare, mi aveva detto come incastrare le lettere con i giorni per prevedere il futuro, ma non avevo mai pensato di abbinarlo alla borsa babbana. Mi ha permesso di sopravvivere, l’anno scorso. E ora mi piacerebbe provare a farlo per lavoro, nello studio di William.”

 

Ron annuì. Era così bello avere le idee chiare. Lui ancora non sapeva cosa avrebbe fatto: ancora un mese e sarebbe finita la scuola, e lui ancora non sapeva cosa fare della sua vita.
“E tu? Sei pensieroso. Hai pensato cosa fare dopo?”
Lui alzò le spalle. “Non sono sicuro. Mi piace lavorare al Tiri vispi. Inventare nuovi scherzi e anche gli oggetti per il ministero. Sai, tipo le orecchie oblunghe?” Pansy annuì. “Stiamo lavorando a un’altra cosa… però non mi dispiacerebbe neanche diventare un Auror…” Alzò di nuovo le spalle.
“Potresti iscriverti all’accademia. E continuare con il Tiri Vispi. Oppure potresti giocare a Quidditch.”
Lui la guardò. Lo stava prendendo in giro? “Quidditch?”
“No? Non ti piacerebbe? Avevo capito…” Oh, sarebbe stato bello.
“Sì che mi piacerebbe. Ma non penso di…” La mora lo fermò e si girò verso il ragazzo.
“Potrai fare tutto quello che vorrai. Devi solo volerlo. Si può fare tutto. Me l’hai insegnato tu.”
Oh, davvero? Aveva detto così? Lei dovette leggergli dentro perché disse ancora: “Io credo tantissimo in te”.
Gli accarezzò la guancia e lui sorrise. “Non saresti gelosa se diventassi il portiere dei Chudley Cannons? Magari potrei avere tante ragazze intorno…” gongolò, un po’ spavaldo.
“Non devi pensare a quello che farei io, devi pensare a te. Alla cosa migliore per te.”
“Così non saresti gelosa?” disse, quasi deluso.
“Oh, sarei gelosissima. Ma sono forte. E ho fatto buona pratica quest’anno, con tutte le ragazzine che ti giravano intorno.”
Il sorriso che le arrivò alle labbra, secondo Ron, era bellissimo.
“La cosa migliore per me sei tu” le disse, stringendole la mano.

 

Quando arrivarono al castello, cercarono la McGranitt che aveva già lasciato andare gli altri Weasley al San Mungo. Quando passarono il camino, si ritrovarono nella stessa sala d’attesa di quando a gennaio era stata ricoverata Camille. La sala era affollatissima.
Ginny e Andromeda le vennero incontro. “Grazie, cara” le disse la strega più anziana togliendole dalle braccia Teddy. Oh, se pesava. Sorrise.
“Quindi?” Ginny scosse la testa.
“Ci sono dentro Bill e la mamma, ancora non sappiamo niente.”

 

Rimasero ad aspettare due ore. Due lunghissime ore interminabili. Ogni tanto qualche infermiera veniva a chiamare qualcuno, ma di Fleur non si sapeva più niente. Poi, dopo due ore, dieci sigarette (in totale e tutte fumate sulla terrazza), due partite a spara schioppo e altre tre a gobbiglie, Bill arrivò nella sala d’attesa con un gran sorriso.
“È nata. È una femmina. E stanno bene.”
“Una femmina!” gridò Ginny. Tutti si abbracciarono contenti, poi Bill si avvicinò a Ginny e le disse: “Fleur ha chiesto di te”.
“Di me?” esclamò sorpresa. Lui annuì. E con la mano le fece strada.

 

Entrarono nella stanza di Fluer. Le luci erano basse e lei era molto pallida e sudata. Si avvicinò al letto, mentre Bill rimase sulla porta. Vide sua madre che sistemava quella che sembrava una culla. Le fece un cenno. La bambina era in braccio alla madre, seduta sul letto.
“Dorme?” chiese, vedendo che aveva gli occhi chiusi.
“L’ho già allattata” rispose Fleur annuendo. Le fece cenno di sedersi vicino a lei. “Sai quando l’estate scorsa avete fatto l’incantesimo su di me ed era negativo?”
Ginny annuì senza dire niente: l’incantesimo per sapere se fosse incinta. Era stato tristissimo. “Mi hai detto che non era il momento giusto, ricordi?” No, non se lo ricordava. Ma annuì. “Avevi ragione. Dovevo avere questa bambina dopo, non in quel momento. Doveva nascere oggi. Perché oggi è un giorno importante”. Ginny annuì ancora e lanciò un’occhiata alla madre, che le fece cenno di ascoltare senza dire niente. Riportò l’attenzione verso Fleur.
“Quindi penso che debba avere un nome importante, no? Che ricordi oggi, che ricordi questo giorno…” La giovane strega annuì molto più convinta, sorridendo.
Sorrise anche Fleur. Un sorriso stanchissimo, ma molto bello.
Le mostrò la bambina e disse: “Ti presento May Weasley!
Il sorriso di Ginny sparì. Com’è che voleva chiamarla?

 

***

 

“Io non farò mai figli.”
Ginny tornò in sala d’attesa e tutti si voltarono verso di lei. La ragazza guardò Harry e disse: “So quello che abbiamo detto, ma se ti riducono in pappa il cervello, non ne voglio, ok?”

 

Harry annuì corrugando la fronte. Guardò gli altri ma qualcuno sorrise e qualcuno scosse la testa senza capire.
“Voi non avete idea di che nome voleva darle!”
“E quindi? Come si chiamerà?” chiese suo padre.

 

Ginny fece un cenno con la mano e si avviò lungo un corridoio. “Venite, ce la fanno vedere dal vetro”.
Quando arrivarono tutti davanti al vetro, indicò la bambina, che sbadigliò.
“Ecco a voi, Victoire Weasley. In onore di una vittoria che verrà ricordata per sempre.”
Tutti guardarono la bambina. Che per fortuna non si sarebbe chiamata May… Ma va là, se glielo avesse lasciato fare, quella povera bambina avrebbe odiato sua madre per sempre.

-
-

***Eccoci praticamente alla fine! Domani ci sarà un breve epilogo e la storia sarà conclusa (non è vero!! Ho scritto anche qualche os collegate a questa Long, se vi va, cercatele nel mio profilo :-) )
***ps. La data di nascita di Victoire è solo uno dei tre grossi errori che ho commesso nello stendere questa trama (oddio, se ne trovate di più, fatemelo sapere perché ne io ne ho trovati solo tre...)

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Capitolo 50
*** Epilogo ***


Epilogo

Il matrimonio

Camille si guardava allo specchio: il vestito era bellissimo e lei stava così bene.
Pansy, chinata ai suoi piedi con la bacchetta in mano, le stava sistemando l’orlo. La osservò attraverso lo specchio. Sembrava così strana…
Camille sapeva di essere stata intrattabile e nervosa, ma… era concesso a tutte le spose, no? Guardò dalla finestra il giardino, decorato e sistemato per ospitare cerimonia e banchetto. Sorrise.
“Grazie, Pansy. Non mi sarebbe piaciuto farlo a casa, senza maman…”

 

Pansy annuì e le sorrise.
La porta si aprì ed entrò Hugo barcollante sulle gambette. Aveva in mano una cioccorana. Le due donne sgranarono gli occhi e Pansy si mise davanti al bambino con le braccia spalancate, per impedirgli di raggiungere l’abito immacolato della zia. Dietro di lui entrò correndo anche una bambina con i capelli rossi.
“Scusa, mamma…” Anche lei aveva la bocca sporca.
“Dove avete preso le cioccorane?” Hugo sorrise.
Aana. Papapa.
“Violet, dov’è il papà?” chiese alla bambina.
“Sta fumando con lo zio Draco in giardino.”
Oh, era arrivata Hermione? Si affacciò sulle scale con il bambino in braccio. “Ron!”

 

Quando sentì il suo nome gridato in quella maniera, Ron si rese conto di non aver più vicino i bambini. Oh, Oh. Entrò in salotto e guardò in alto. “Sì, cara?”
“Non chiamarmi cara!”
Lui sorrise. “Ok”. L’ultimo periodo era stato piuttosto stressante per Pansy.
Ginny comparve al suo fianco. “Fammi indovinare, hai dato della cioccolata ai bambini? L’hai fatto anche al mio matrimonio con Teddy e Victoire…”
Arrivò anche Hermione. “L’aveva data a Teddy anche al mio, di matrimonio”.
“E non è successo niente!” Ron sorrise ancora avviandosi su per le scale. Per fortuna nessuno si ricordava del matrimonio di George. Prese il bambino dalle braccia della madre e lei sembrò già un po’ meno nervosa. Le accarezzò una guancia. “Andrà tutto bene”.
Sua moglie annuì distrattamente. Era strana. Ma non poteva essere tutta colpa della cioccolata. Le prese una mano e le baciò le dita. “Tutto bene? Cioccorane a parte…” Pansy sospirò.
“Dopo dobbiamo parlare.”
Prese per mano Violet e guardò Pansy richiudersi in camera con Camille. Poi la porta si riaprì e mise fuori la testa. “Fai salire le ragazze, per piacere”.
Ron tornò giù e disse Ginny e Hermione di salire.

 

“Che succede, Ron?” chiese Harry con uno sguardo preoccupato quando lo vide uscire in giardino.
Violet scappò via insieme ad Albus, James e Scorpius.
“Pansy dice che dobbiamo parlare…” Ron aveva uno sguardo strano.
“Cosa hai fatto?” Lui scosse le spalle e mise Hugo sul prato. La cioccorana scappò via dalla sua mano e il bambino si sedette per terra, guardandola.
Harry aveva in braccio Lily, che aveva la stessa età di Hugo, e l’appoggiò per terra vicino al cugino, per poter parlare con l’amico. Doveva essere successo qualcosa.
Si sedette per terra anche Lily e indicò la cioccorana con il dito: il dolce si immobilizzò e venne calamitato fino alla mano della bambina. Lily rise contenta e strinse la povera rana che si sciolse. I tre uomini la guardarono.
“Harry… Lily ha avuto un attacco di magia…”
“Sì, Ron, lo so. Ha iniziato ieri. Ti prego, fingiti sorpreso quando lo farà ancora. Magari la prossima volta ci sarà anche Ginny e faremo finta che sia la prima volta, ok?” Harry sospirò rumorosamente.
“Oh, San Potter, sono cose da fare? Imbrogliare così?” Draco rise mentre prendeva un bicchiere da un vassoio che uno degli elfi stava servendo.
“Quando nascerà il tuo terzo figlio, fidati, farai così anche tu. Ginny si è sentita in colpa quando non ha assistito alla prima magia involontaria di Albus e ora dice che lui pensa che lei gli voglia meno bene che a James. E Albus non può nemmeno ricordarsi di quando è successo!”

 

La faccia di Harry diceva tutto.
Non si era neanche accorto di come lo aveva chiamato Draco. Ma effettivamente a volte sua sorella era strana. Ron guardò verso le finestre della camera padronale. Chissà di cosa voleva parlargli Pansy.

 

Draco sorrise. Sapeva di cosa parlava Harry. Hermione era incinta all’ottavo mese e aveva parecchie paranoie. Avevano discusso anche per il nome della bambina. A proposito di bambini…
Si guardò intorno: Maia, sua figlia, correva intorno ai tavoli con Darlene, la bambina di Blaise: quindi erano arrivati anche loro. Si guardò di nuovo intorno, ma non riuscì a scorgere Scorpius. Fece un cenno a Blaise e lui, vedendolo, allungò il passo nella loro direzione.
“Sei da solo? Dov’è Daphne?” gli chiese dopo i saluti.
“Sta tirando fuori Scorpius dalla piscina” disse, indicando dietro di lui con il pollice. CHE COSA? Suo figlio era caduto in piscina? Draco spalancò gli occhi, in procinto di agitarsi.
“Dai, Dra! Sto scherzando! Daphne è andata direttamente su dalle ragazze. C’è anche Astoria. E, conoscendola, Pansy avrà fatto un incantesimo alla piscina”. Il moro rise.
“Che troll che sei!” Il biondo sbuffò e si incamminò nel giardino per cercare il bambino.

 

Hermione si sedette pesantemente su una poltrona in fondo al letto di Pansy. “Scusate, le scale mi uccidono. Non vedo l’ora che nasca” disse, accarezzandosi la pancia.
La mora le lanciò un’occhiata comprensiva. Astoria si avvicinò a lei e le accarezzò il pancione. “Avete scelto il nome?”
Ginny ridacchiò, versandosi da bere. “Sì, Hermione, Malfoy ha accettato il nome che hai proposto tu?”
Hermione sorrise: Ginny chiamava Draco per cognome quando voleva stuzzicarlo, o stuzzicare lei. “No”. Ginny rise forte. Pansy si girò verso di lei e poi si alzò per ammirare il lavoro che aveva fatto all’orlo del vestito di Camille.
“Perché? Come la vorresti chiamare?”
Hermione sospirò. “Narcissa Ginevra”. e guardò Ginny che alzava il bicchiere nella sua direzione.
“Te lo avevo detto che non avrebbe accettato.”
“Veramente ha detto che quella cosa dei nomi delle stelle è ormai vecchia. E mi ha detto di chiamarla direttamente Ginevra.”

 

Ginny fece cadere il bicchiere. O Santo Godric!
“Grande!” Probabilmente il furetto glielo avrebbe rinfacciato a vita.
“Io dovevo chiamarmi Siria…” Pansy si sedette sul letto e accarezzò sorridendo il pancino di Astoria, che era appena al quarto mese.
“Siria?” chiese Camille, mentre si infilava gli orecchini.
“Sì, a mio padre piacevano le stelle. Ma mamma scelse diversamente” continuò alzando una spalla. Poi scoppiò a piangere.
Ginny si alzò subito e anche Daphne si avvicinò. Camille alzò il vestito, fece qualche passo e si inginocchiò ai suoi piedi.
“Che succede, Pansy? E comunque maman ha tanti difetti, ma ti ha dato due bellissimi nomi, lo sai.”
Ginny osservò le sorelle scambiarsi sguardi indecifrabili, per loro. Pansy annuì.
“Facciamo che Astoria e Daphne aiutano Camille, e io e te ci facciamo un giro?” propose alla mora.
“No, no, spetta a me…”
“Vai Pansy, hai fatto un ottimo lavoro. Forse ti ho stancato un po’. Astoria mi aiuterà volentieri, giusto?” La piccola Greengrass annuì e Ginny prese a braccetto la mora e uscirono dalla stanza.

 

La piccola rossa si infilò nel bagno sul pianerottolo, la fece sedere sul water, le allungò un fazzoletto e le chiese: “Allora, che succede?”
Pansy alzò lo sguardo su di lei, appoggiata al lavandino. Ok, come spiegarlo? Si soffiò il naso e guardò fuori dalla finestra.
“Ron ha fatto qualcosa…” iniziò a chiedere Ginny.
“No, no, lui non c’entra. Beh, in effetti sì, qualcosa…” Ma non era colpa sua. Questa volta aveva combinato qualcosa lei. Si sentì graffiare alla porta. “Apri la porta, Ginny per favore? È Candy…”
Ginny aprì la porta e un gatto bianco con gli occhi verdi entrò e saltò in braccio alla sua padrona, facendo le fusa. La mora la coccolò…
“Se il gatto è venuto a farti compagnia, dev’essere qualcosa che ti fa stare male.” “Forse è solo stata importunata da Puppy.”

 

Ginny si inginocchiò davanti a lei. Non le interessava sapere cosa il cane avesse fatto al gatto.
Così chiese direttamente: “Qual è il problema?”
“Sono incinta.”
Oh. E perché non andava bene? Non era un’adolescente.
“E perché non sei contenta?”
“Perché Ron mi aveva detto basta dopo Hugo. Aveva detto che due erano sufficienti. Si arrabbierà.”
“E lo sono?”
Ginny aveva voluto tre figli perché voleva una bambina. Quella bambina che Harry aveva tanto sognato di chiamare come sua madre. E ora era contenta di averla, aveva invidiato tutte le altre, con le loro bambine da spupazzarsi. E Ginny se le era spupazzata tutte, nipoti e nipoti acquisite. Dopo quei due monellacci pestiferi dei suoi bambini (ma tanto adorabili), era stata contenta di avere avuto Lily. Ma Pansy? Il suo lavoro era molto impegnativo, forse lei non…
“Sono sufficienti? Non ne vorresti altri?” La mora aprì la bocca e la richiuse. Ginny sorrise: la conosceva e aveva già capito. “Ok, facciamo così: pensa per un attimo che Ron non ti abbia detto così. Tu… saresti contenta?”
“Un altro bambino con i capelli rossi? Sarebbe bellissimo. O una bambina. Anche un’altra bambina sarebbe bellissimo. Potrebbe stare in camera con Violet. Si farebbero compagnia, si scambierebbero vestiti e lozioni. O forse si odierebbero? Forse maschio sarebbe meglio. Sai che affiatamento a Quidditch?”
Pansy era partita. Ginny sorrise: la mora era contenta, su questo non c’erano dubbi. “Potresti chiamarla Siria, se fosse una bambina” buttò lì.

 

Pansy tornò alla realtà.
“Oh, Merlino, Ron penserà che l’ho imbrogliato! E se non volesse più avere a che fare con me?”
“Ma cosa dici? Non penserà mai una cosa del genere! I tuoi ormoni fanno già danni. Da quanto lo sai?”
“Stamattina ho rimesso. Mi è venuto il dubbio perché era la terza mattina. Ho fatto l’incantesimo e…” Sospirò. E se lui avesse veramente pensato che l’avesse fatto apposta? Aveva smesso la pozione antigravidanza quasi due mesi prima. L’aveva finita e non ne aveva preparata altra. Si era completamente scordata. C’erano state troppe cose: il matrimonio da preparare, la promozione in ufficio, i bambini… Era una persona orribile.
“Però non dirlo a nessuno, ok? È il giorno di Camille, non voglio…” La rossa annuì.
“Va bene, va bene. Solo io e te, come ai vecchi tempi.”
Ammiccò, le asciugò le lacrime e le prese il viso fra le mani. “Ma stasera devi dirglielo. E vedrai che non si arrabbierà e non penserà mai che tu l’abbia imbrogliato, Ok?” Pansy annuì.

 

***

 

Quando Lionel le infilò l’anello al dito, Camille sentì un groppo in gola e gli occhi inumidirsi. Lo guardò e gli sorrise radiosa. Quando venne il momento del bacio si scoprì imbarazzata e timida, come se non l’avesse mai fatto. Lui le sorrise e la baciò teneramente.
Quando riaprì gli occhi, e ritornò alla realtà, scoprì che tutti gli invitati stavano applaudendo. Guardò verso la sorella che ricambiò il suo sguardo con un’occhiata di affetto così commovente che temette di scoppiare a piangere.
Sorrise a tutti.

 

Quando Camille percorse, vicino al suo sposo, il tragitto sulla corsia rossa, al termine della cerimonia, Hermione fu contentissima di poter andare a sedersi.
Si era allontanata dal gruppo che festeggiava gli sposi perché aveva in braccio Scorpius che non ne voleva sapere di stare fermo, e alla fine cedette e lo mise giù sperando che non combinasse troppi guai. Lui scappò via, con l’irruenza dei suoi tre anni e raggiunse gli altri bambini. Per fortuna la casa di Pansy era sicura.
Si avvicinò a una delle panchine del giardino e si sedette, esausta. Maia le venne vicino.
“Stai bene, mamma?” Sorrise. La sua signorina. A cinque anni, aveva la maturità di una bambina di otto.
“Sì, tesoro, la mamma è solo un po’ stanca.”
“Vuoi che vada a chiamare il papà?”
“Potresti prima darmi un bacio? Mi farebbe stare veramente meglio.”
La bambina la guardò stranita. “Davvero?”
“Certo”. Maia si avvicinò poco convinta e lei l’abbracciò. Che sensazione meravigliosa. La bambina la baciò.
“Vado a chiamarti il papà, adesso?”
“Sono qui, tesoro.”

 

Le sue donne si girarono verso di lui.
Draco le aveva viste da lontano e si era avvicinato quando aveva visto Hermione sedersi sulla panchina.
“Resti tu con la mamma?” gli chiese la bambina. Una piccola Hermione. Intelligente e sveglia. Annuì.
Lei corse e raggiunse Violet e Darlene dall’altro lato del prato. Sorrise. Gli piaceva che i suoi figli crescessero con altri bambini, che avessero tanti amici. Si sedette vicino alla moglie e lei si accoccolò di fianco a lui. Le appoggiò un braccio sulle spalle.
“Va tutto bene?”
“Sì. E tu?” Draco sorrise, accarezzandole il ventre. Non avrebbe mai immaginato di poter stare così bene. Che loro potessero essere così felici. Lei appoggiò la testa al suo petto. “Sicuro per il nome della bambina?”
“La teppistella non smetterà mai di farmelo notare. E così si spupazzerà la bambina anche se ne ha già una tutta sua.”
Hermione rise. Il suono più bello del mondo. Certe mattine aveva paura di aver sognato quella vita con Hermione e di svegliarsi in una casa fredda e grigia, ma di solito Scorpius entrava in camera urlando e saltando sul letto e lui si rendeva conto che era tutto vero. Sorrise ancora. Niente valeva tutto questo.
Si girò verso la moglie e la baciò. Lei rise. “Perché mi hai baciato?”
“Ci vuole un motivo per baciare la strega più bella del mondo?”
Gli occhi della strega brillarono: era davvero la più bella.

 

Ron si avvicinò a Pansy nell’unico momento che la vide da sola, in cucina.
Tutti quei francesi la facevano diventare nervosa, lo vedeva.
L’abbracciò da dietro mentre era in cucina e le appoggiò il mento sulla spalla. “Va tutto bene?”
Pansy si girò nel suo abbraccio e gli cinse le braccia intorno al busto, nascondendo la faccia sul suo petto. Oh. Ron portò le mani sulla sua schiena e la sentì scuotersi. Stava piangendo. Cos’era successo?
“Pansy…” Lei si staccò da lui.
“Mi dispiace davvero. Non dovevo, ma non l’ho fatto apposta. È che è stato un periodo incasinato. Il matrimonio da organizzare, Camille, gli invitati, gli elfi del catering… E poi il lavoro, prendere il posto di William nella società… Ero sotto stress. Non arrabbiarti. So che non è una scusante, ma non l’ho fatto apposta. Te lo giuro.”
Ma… lei parlava velocemente e lui faceva fatica a starle dietro. Cos’è che aveva fatto? Non lo aveva capito. Per cosa si sarebbe dovuto arrabbiare?
Vecchie paure tornarono a galla. E se lei, sempre circondata da quei maledetti manichini tutti eleganti e con sorrisi da dentifricio si fosse fatta prendere…
“Sei stata con un altro?” sussurrò.
La faccia di Pansy si trasformò da triste a fortemente arrabbiata. “Ma cosa dici? Non ti ho mai tradito. Dopo dieci anni non ti fidi…” Scoppiò a piangere e si nascose il viso fra le mani.
Ok. Ron capì di aver detto una cazzata. E l’aveva fatta piangere. Di nuovo. Sospirò. Però sorrise: lei non l’aveva mai tradito. Ma piangeva ancora. Le prese le mani e disse: “Vieni, sediamoci”.
Lei non oppose resistenza. La fece sedere al tavolo e si sedette su una sedia di fronte a lei.
“Sono un troll. Certo che ho fiducia in te. Ma dicevi che mi sarei arrabbiato. Ed è l’unico motivo che mi viene in mente. E poi sei sempre circondata da quei bei ragazzi vestiti bene in ufficio…”
Lei corrugò la fronte. “Ma chi?” Poi scosse la testa. “Dobbiamo parlare. Di cose serie.”
Ron annuì. “Sono pronto”.
“Sono incinta.”
Oh, per Godric. Ma era una bella notizia. O no? Doveva arrabbiarsi per quello? Se lei non l’aveva tradito, il bambino era suo. Merlino, perché non andava bene? C’era un buon motivo? Ci pensò ma non lo trovò.
“Per questo dovevo arrabbiarmi? Non capisco.”
Lei aprì la bocca, sorpresa. “Ma… tu hai detto che non avremmo fatto più figli dopo Hugo. Me lo hai detto quando ne abbiamo parlato quando sono tornata al lavoro.”
Lui corrugò la fronte. “No, lo hai detto tu!”

 

Cosa? Lo aveva detto lei? Ma cosa diceva?
“Io?”
Ron annuì. “Sì, prima che nascesse Hugo, al San Mungo, hai detto qualcosa tipo ‘Santo Salazar! Ricordati che non ho intenzione di farlo un’altra volta!’ o una cosa simile”.
Cos’è che aveva detto? Lei? Ma era sicuro? “Ma… parli del travaglio?”
Lui alzò le spalle. “Poco prima che nascesse il bambino, hai detto un sacco di cose. E anche quello…”
“Ma in travaglio si dicono un sacco di cose! Non tutte sono da prendere come oro colato. E buona parte del travaglio le donne se lo scordano. Non te l’ha raccontato Molly?” Lui alzò ancora le spalle e scosse la testa un po’ spaesato.
“Io pensavo… Che non ne volessi più e non volevo che ti sentissi obbligata. Magari pensavi che perché la mia famiglia è numerosa io pretendessi…”
Pansy gli strinse la mano quando la sua voce si fece sottile, ma poi sospirò per la situazione. Di tutte le cose che gli diceva, doveva ricordarsi così bene di una cosa detta in procinto di partorire più di un anno prima?
“Quindi?”
“Quindi cosa?”
“Non sei arrabbiato… Sei… contento?” Lui sorrise. E lei si tranquillizzò.
“Sì, sì, certo che sono contento. Mi piacciono i nostri bambini. Ci riescono particolarmente bene. E mi piaci quando sei incinta. Diventi bellissima e hai sempre voglia di me!” Davvero?
“Voglia di te?” Lui sorrise sornione.
“Oh sì.”
Si alzò e la tirò in piedi. L’abbracciò. Mentre aveva la faccia nascosta nella sua camicia (e lui stava così bene vestito così) disse: “Spero che tu ti ricordi anche altre cose che ti ho detto, non solo quelle che non mi ricordo io”.
“Mi ricordo benissimo quando hai detto al nostro matrimonio. Quando mi hai detto che avevi provato a fare le lasagne e quando hai detto la prima volta che mi amavi al ministero, dieci anni fa. Mi ricordo anche di quando mi hai detto che Camille si sarebbe trasferita da un’altra parte. Devo ancora decidere qual è stata la volta più bella” scherzò. Lei rise e si staccò da lui.
“Ti amo ancora.”
Ron la baciò. “Anch’io”.

 

Ginny si sedette vicino a Harry, che controllava Hugo e Lily, in un piccolo recinto incantato sul prato.
“Ciao, signor Potter.”
Lui si girò verso di lei. “Signora Potter” E la baciò.
“Harry!” Lui rise.
“Ginny!” Rise anche la rossa. “Dove sono Albus e James?”
“Sono con la ragazza che intrattiene i bambini. Ha una pazienza infinita. Non so proprio come faccia. Dovremmo portarla casa con noi.”
“Intendi rapirla?” le chiese lui. Ginny rise.
“Ci sto facendo un pensierino. Ma è troppo carina. Non vorrei che abitasse con noi”.
Harry sorrise sornione, mentre le passava un braccio dietro la schiena. “La mia Ginny è ancora gelosa?”

“La tua Ginny, non solo è gelosa, ma ti ucciderebbe se ti beccasse con un’altra!”
“Non troverei un’altra Ginny da nessuna parte. E non ne varrebbe la pena, con un’altra”. Ginny si strinse a lui. Vide passare Camille con Lionel mentre si avvicinavano a una panchina dove erano seduti Astoria e Mike. Per fortuna Lionel era diventato più alto di Camille. Ogni tanto Ginny le rinfacciava ancora quella frase.
Guardò i bambini sorridendo. Ma…
“Harry! Guarda!” Harry si voltò. Lily stava giocando con una pluffa sgonfia. La faceva saltare da terra e ricadere. Solo che la pluffa era lontana da lei. La bambina rideva e muoveva la manina aperta su e giù, e la pluffa seguiva esattamente il suo movimento. Harry sorrise. “Hai visto, Harry?” Per fortuna era successo in quel momento.
“Sì.”
“Hugo ha avuto il suo primo attacco di magia!” Ginny sorrideva. Harry no.
Hugo? Guardò i bambini. Tutti e due facevano lo stesso movimento. Chi poteva dirlo chi era dei due? E lui sapeva che Lily l’aveva già fatto. E ora?
“Dici che è Hugo?”
“Sì. Tutte le volte che è capitato a Lily aveva la mano in posizione diversa. La tiene così quando fa le magie”. E gli mostrò la mano esattamente come l’aveva vista lui quella mattina e il giorno prima durante le magie dalla piccola. Rise.
“Quindi tu sapevi dei suoi attacchi di magia involontaria?” Ginny divenne rossa sulle guance come quando aveva sedici anni. Era sempre bella, la sua Ginny.
“Scusa se non te l’ho detto, ma quando la vedevo, tu non c’eri mai e avevo paura che ci rimanessi male…” Ma poi si mise dritta con la schiena e assottigliò gli occhi. “Aspetta, e TU come lo sapevi?”
Harry rise ancora più forte. “L’ho vista ieri. Ma tu non eri con noi e non te l’ho detto, per lo stesso motivo”.
La faccia di Ginny era impagabile. Si avvicinò e le prese il viso fra le mani.
“Harry, i bambini…”
“Shsh… stanno giocando.”
E la baciò.

FINE

***È finita. 


Quando ho iniziato non pensavo di arrivare così lontano. Ma come dicevo, sono successe un sacco di cose mentre scrivevo e la storia ha preso questa piega (e spero di non aver lasciato inconclusioni!).


Grazie a tutti voi che avete letto la mia storia e a chi apriva il capitolo subito quando pubblicavo..


Spero che a voi sia piaciuto leggere quanto a me scrivere.


 E scusate gli errori! Quando me ne accorgevo cercavo di correggerli, ma me ne saranno scappati un sacco!!! 



Un bacione a tutti.


***per chi fosse interessato ho scritto qualche oneshot, un po' per nostalgia e un po'... no ok solo per nostalgia!! 😊

Qualcuna è ambientata dopo il mio epilogo e qualcuna è un 'missing moment' della long. 

Se vi è piaciuta la storia, le trovate nel mio profilo.


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