Hopeless But Still Hoping

di SOULVATORE
(/viewuser.php?uid=875631)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ghost Of You ***
Capitolo 3: *** Give Your Heart A Break ***
Capitolo 4: *** Rescue Me ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Image and video hosting by TinyPic



Mystic Falls, 27 giugno 2021

Nel distributore automatico erano rimasti solo dei biscottini al burro per accompagnare il suo tè. A dire il vero, Elena non credeva nemmeno che ci sarebbero potute essere delle macchinette in un posto del genere, nello studio di un notaio.
Comunque, inserì una monetina e li fece scendere, pronta alla merenda più triste della storia, accavallando le gambe ed emettendo un sospiro. Non capiva nemmeno che diavolo ci facesse lì, Caroline aveva insistito tanto da convincerla, come di suo solito, ma dopotutto non era neanche potuta entrare, perciò, a che era servito?
Pensò ai piatti da lavare, a tutti i vestiti che le aveva portato Jeremy per fare la lavatrice e agli articoli incompleti sul laptop ancora acceso che la aspettavano nel suo appartamento, e si sentì improvvisamente grata di trovarsi lì.
“Finito! Fatto! Oh mio dio, abbiamo una casa!”
Be’, non era durato poi molto.
“Caroline! Caroline!” accentuò Klaus, col suo accento marcato. “Non gridare, te ne prego. Non qui dentro.”
“Oh, ma io sono così felice!” Sospirò lei. “Abbiamo tutto adesso, capisci? Un matrimonio organizzato nei minimi dettagli, e anche la casa dei nostri sogni. Tu non scoppi di gioia?”
“Certo, amore. Solo, so contenerla.”
“Siete vomitevoli.” Elena si alzò in piedi e buttò i rifiuti nel cestino, poi sorrise ampiamente e gli andò in contro. “Ma sono così felice per voi!”
“Il mio futuro marito e la mia damigella preferita!” Caroline li abbracciò entrambi, e, anche se tutti rischiavano di morire soffocati, nessuno aprì bocca.
Elena, dal canto suo, era davvero felice, ma anche leggermente gelosa. Perché sì, quella stessa sera aveva un tavolo prenotato in un ristorante a Richmond per una cena romantica con Liam, il giornalista che da qualche mese si era unito ad Action News e con il quale stava uscendo da un paio di settimane, ma quella… quella era un’altra cosa.
Elena non vedeva in Liam il suo futuro marito, il padre dei suoi figli, una persona con la quale avrebbe anche solo pensato di poter andare a convivere, ma non perché fosse lui o avesse qualcosa di sbagliato, semplicemente, lei non era come Caroline. E forse, a venticinque anni, quello era un problema. Non era normale che non desiderasse una famiglia, un uomo con cui svegliarsi ed andare a dormire e con il quale condividere tutto, non era normale per il semplice fatto che un tempo era tutto ciò in cui avesse mai sperato, ma adesso… adesso non le andava più di essere legata a niente, a nessun vincolo, nessun per sempre. E lo trovava triste.
“Promises are made to be broken.” recitava il tatuaggio sul suo costato, e lei ci credeva davvero. Forse fin troppo. Era davvero una cosa triste. Ma come le era possibile, in fondo, fidarsi di qualcuno, dopo tutto ciò che la vita le aveva riservato?
Ennesima cosa triste: Elena non provava nulla per Liam.
Non aveva mai più amato nessuno, né credeva di poterne essere capace, perché l’ultima volta che le era capitato di farlo, da avere il cuore diviso a metà, era passata a finire con in mano niente più di un pugno di mosche. Se lo meritava, aveva sbagliato fin troppo. Non lo avrebbe più fatto.
“Elijah ha parlato con Stefan per l’aeroporto? Ricordi che né io né tu possiamo passare a prenderlo domani, siamo impegnati con le prove in chiesa.” Chiese Caroline, rivolta al suo quasi marito, mentre uscivano e apriva la macchina con il telecomando.
Stefan. Elijah. Era ancora così strano accostare quei nomi, dopo anni, il fatto che fossero tutti diventati amici non suonava ancora normale, anzi, a tratti era ridicolo.
Elena aveva stretto con il maggiore dei fratelli Mikaelson una vera e propria amicizia, dopo New York. Si sentivano molto spesso al telefono e lui era stato un’enorme medicina per lei, parlarci per ore l’aveva davvero aiutata in quel periodo, dopo l’ennesimo abbandono. In ogni caso, un bel giorno aveva deciso di venire a trovarla, portandosi dietro il fratellino Klaus. Tra lui e Caroline era scattato qualcosa nell’immediato, dal momento stesso in cui lei si era presentata a quella cena per conoscere il fantomatico tassista diventato uno dei migliori confidenti di Elena, Klaus non le aveva tolto gli occhi di dosso. Mai.
Mikaelson Jr dipingeva. Adorava l’arte in ogni sua forma, aveva ritratto Caroline decine di volte, e i suoi quadri venivano spesso esposti a varie mostre, a New Orleans. Dopo qualche mese, aveva deciso di spostare i suoi affari in Virginia, per stare accanto alla bionda che aveva fatto breccia nel suo cuore. Così si era inserito nella loro vita, nella loro routine, nel loro gruppo, e sembrava piacere a tutti. Anche Elijah con quella scusa aveva iniziato a frequentare Mystic Falls più spesso, e si era legato particolarmente, nonostante tutti i racconti di Elena, proprio a Stefan.
Già, Stefan.
Si erano perdonati, con gli anni, ed ora erano più o meno amici. Dopo che hai condiviso un amore del genere con qualcuno, non può semplicemente svanire nel nulla, non puoi odiarlo davvero. Ma neanche essere la sua migliore amica. Elena gli voleva bene, ma era diverso da Tyler o da Matt.
“Posso andarci io, se non avete ancora parlato con lui, non c’è nessun problema.”
“Sicura, Elena?”
“Sì” annuì lei, avvicinandosi alla sua golf. “È martedì domani, Stefan tiene la libreria aperta tutto il giorno.”
Riguardo questo, non poteva farci niente. Le abitudini di qualcuno con cui hai convissuto per anni, in qualche modo, ti rimangono sempre addosso.


“Non ho capito cosa indosserai.”
“Io e Bonnie vestiremo di lilla. Caroline ha scelto i colori del matrimonio tempo fa, ed essendo una delle damigelle non ho libero arbitrio.”
“Starai benissimo.” Liam allungò la mano sul tavolo per cercare la sua. “Ed io potrei comprarmi una cravatta lilla.”
“Non so.” Elena ritirò il braccio, con la scusa di versarsi dell’altro vino. “I vestiti coordinati fanno molto da quindicenni, non trovi?”
“No, a dire il vero.” Alzò le spalle lui. “Quando non si esagera, è una cosa carina.”
“Be’, ok. Vada per la cravatta.”
“Che entusiasmo, Lena.”
Saltó sulla sedia, facendo istintivamente scattare gli occhi dal piatto a quelli del suo interlocutore. Morsicò il labbro inferiore e poi si schiarì la voce, mentre scuoteva leggermente la testa. “Non-mi piace essere chiamata così.”
“Scusa, non ne avevo idea.” Liam sembrava confuso, ma non chiese niente. Forse era per questo che ad Elena non dispiaceva totalmente la sua compagnia, stava nel suo e non era mai troppo invadente per quanto riguardava le sue stranezze, o almeno, non ancora.
“Già.”


Aeroporto di Richmond, 28 giugno 2021

Il volo era in ritardo, tanto per cambiare.
Elena era appena uscita a fumarsi una sigaretta, visto che per un’altra ora, non avrebbe avuto nulla da fare.
Fumare era un’abitudine che aveva sviluppato negli ultimi anni per gestire lo stress. Non funzionava, e faceva male alle salute, ma una volta preso il vizio sembrava impossibile sbarazzarsene.
Comunque, smise di prestare attenzione alla sua sigaretta e quasi rischiò di bruciarsi quando vide con la coda dell'occhio qualcosa di molto strano.
Era quasi luglio, faceva caldo, aveva la mente annebbiata dai suoi mille impegni e le scappava la pipí, ma non era sicura che tutto questo potesse provocarle delle allucinazioni. Lanciò il mozzicone per terra e si diresse a passo spedito verso una figura che le era capitato di vedere solo mezza volta, ma delle quale inspiegabilmente si ricordava.
Lo seguì fin davanti al bar, dove si fermò, posando la mano sulla spalla di un altro uomo.
“Finalmente, Ric. Credevo fossi annegato nel water.”



Damon.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ghost Of You ***


Image and video hosting by TinyPic



Hey!
Piccola comunicazione di servizio, ho realizzato il trailer anche di questa storia, e sinceramente ne vado particolarmente fiera, mi piace anche più dell'altro.
Ve lo lascio proprio QUI .
Grazie anticipo se darete un'occhiata.
Vi mando un bacio,
Liz






So I drown it out like I always do
Dancing through our house
With the ghost of you
And I chase it down
With a shot of truth
That my feet don't dance
Like they did with you






Mystic Falls, 14 Febbraio 2018

Era strano.
Non passare dal fioraio, non incartare un piccolo pensierino. Non mettersi ai fornelli, non spruzzarsi del profumo e non stappare nessun vino.
Stefan era un tipo romantico, lo era sempre stato, e nessuna occasione era meglio di San Valentino per dare il meglio di sé, nonostante le prese in giro di tutti i suoi amici.
Anche quando era più piccolo, aveva l’abitudine di raccogliere margherite per sua madre, farle dei disegni o scriverle delle poesie, guadagnandosi non pochi sghignazzamenti da parte di Damon. Lui non amava le smancerie, esternare i sentimenti e sentirsi vulnerabile, non gli era mai piaciuto, nemmeno con Katherine. Diceva che i fatti contavano più di cento mazzi di fiori.
Be’, probabilmente aveva ragione, ma era pur vero che qualche carineria ogni tanto non faceva male a nessuno.
Si alzò dal divano, traballando un po’ per via dei muscoli che ancora non si erano totalmente riabituati a reggere il suo peso, e si diresse al piano di sopra, dove doveva aver lasciato il telefono.
Esitò per quelli che gli sembrarono secoli prima di premere il pulsante verde, ma alla fine ce la fece.
“Ei, sono Elena. Numero giusto, ma momento sbagliato. Lascia un messaggio e ti richiamerò al più presto.” Bip.
“Ei, io sono-” Si grattò la nuca, teso ed imbarazzato come se fosse la prima volta. Poi sospirò, rendendosi conto di quanto fosse inappropriato. “Credo tu lo sappia già, chi sono. Puoi passare, quando e se ti va? Ho bisogno di parlarti con calma. Ti prego.”
Come può diventare tutto così strano da un momento all’altro, senza che tu possa farci niente?
Un attimo prima stai tornando a casa, con dei pasticcini sul sedile del passeggero e una canzone pop che suona alla radio, quello dopo ti risvegli e scopri di aver perso quella persona che ti stava accanto da più anni di quanti se ne possano contare. Che non è più innamorata di te. Che prova qualcosa per tuo fratello, del quale non le avevi neanche mai parlato.
Il karma, si diceva, doveva essere tutta colpa del fottuto karma, che gira e gira ancora, ma prima o poi ti colpisce.
“Si può? La porta era aperta, di sotto.”
“Caroline.” Stefan sorrise, andandole in contro. “Certo che puoi, da quando chiedi il permesso per entrare qui?”
“Se la metti in questo modo. Allora, come stai?”
“Così.” Alzò le spalle. “Ascolta, io apprezzo davvero le tue visite, come quelle di Matt, Bonnie e Tyler, ma non dovete farlo per forza. So che ve l’ha chiesto Elena, ma io sto bene, non mi serve un’agenzia di balie solo perché lei ha deciso di non vivere più qui.”
“Credi che se Elena vivesse ancora qui non passerei comunque? Dio, Stefan, ti conosco dalla terza superiore. M’importa della tua salute e di te.” Si infastidì, rotando gli occhi al cielo. “Sei ridicolo.”
“Sì, può darsi.” Commentò lui amaramente. Caroline scosse la testa con convinzione, sentendosi un po’ in colpa, questa volta.
“Non-intendevo questo.”
“So cosa intendevi, ma so anche cosa intendo io.”
“Stefan, te lo chiedo per favore, non mettermi in questa situazione.” Sospirò la bionda. “Non posso né voglio essere il tramite di Elena. Devi parlarne con lei.”
“Oh, lo so. Credi che non abbia tentato? È più di una settimana che ci provo.”
“Senti, è successo tutto molto in fretta, ed è stata una situazione che ha scioccato tutti noi. Saperti in coma e poi vedere un fratello che sbuca dal nulla, era molto da metabolizzare.”
“Già. Damon l’avrà aiutata parecchio.”
“Io non conosco tutta la storia.” Caroline stava davvero provando a non essere invadente, ma diamine, gliele tirava fuori dalla bocca con le tenaglie. “Ma è chiaro che ci sono delle falle nel rapporto con tuo fratello. Nemmeno a me piaceva, all’inizio, ma sul fatto che sia stato accanto ad Elena non ho nulla da ridire, questo non si può negare.”
“Si è fatto giusto un po’ prendere la mano. Tipico di noi.”


Richmond, 28 Giugno 2021

Se ne stava lì, in coda, con un trolley verde lime accanto.
Come se non fosse successo niente, come, se dopo tre anni, avesse il diritto di presentarsi con gli stessi occhi di sempre, la fossetta al centro del labbro e un nuovo giacchetto di pelle nera.
Come se non le avesse già fatto male a sufficienza.
Come se non l'avesse lasciata totalmente senza speranza, e con in mano solamente un fottuto pezzo di carta.
Elena indietreggiò prima che potesse succedere l’irreparabile, e corse via, tirando fuori il cellulare dalla tasca.
“Pronto, Elena? Ci sono problemi con mio fratello?”
“Klaus, chi hai invitato al matrimonio?”
“Come?”
“Chi hai... Voglio dire, a parte Elijah, Rebekah e Marcel e Freya e Keelin che arriveranno domani da New Orleans, c’è qualcos’altro che dovrei sapere?”
“Ti senti bene?”
Sbuffò pesantemente e fece roteare gli occhi al cielo. Non voleva piangere come una ragazzina, ma sapeva di essere sulla soglia di un crollo emotivo. “C’è... Il fratello di Stefan, lui è in aeroporto, Klaus. Qui, tipo a 100 metri da me.”
“Cazzo.” Fu tutto ciò che lui rispose, per alcuni secondi. “No, ei, io non c’entro nulla con tutto questo. Ho frequentato il suo pub un paio di volte quando giravo per New York, ma non so niente. Caroline, inoltre, mi ha sempre vietato di parlarne.”
Meglio. Non c’entrava nulla con il matrimonio. Era a Richmond per affari suoi, e quell’apparizione sarebbe stata l’unica. Chissà che non fosse già passato di lì senza che lei lo sapesse. Andava tutto bene.


“Perché sembra che tu abbia visto un fantasma?”
“Elijah, ti dispiace? Sto cercando di ascoltare il navigatore, altrimenti non arriveremo mai. Cazzo, ma siamo già passati da qui? Dove diavolo si imbocca la 64?”
“Mi sembrava di capire che frequentassi Richmond.”
“Certo, ma non vengo all’aeroporto ogni giorno.”
“Vuoi dirmi che succede?”
No. Lo avrebbe reso ancora più reale, e sinceramente non le andava neanche un po’. Aveva già fatto promettere a Klaus di non farne parola con nessuno, quella discussione era nata e morta mezz’ora prima.
“Niente. Sono solo nervosa. Non ho mai fatto la damigella prima d’ora e poi è il matrimonio di quella che è la mia migliore amica dalle elementari. Tu non sei in agitazione per tuo fratello? Sei anche il testimone.”
“Io? Certamente, ma aspetta di vedere Rebekah e Freya. Loro sì che stanno dando di matto.”
“È normale. Le ragazze sono più sensibili ai matrimoni solitamente.” Rispose, mentre finalmente sembrava aver trovato la strada giusta.
“Tranne te. Ecco perché non me la bevo la storia dell’ansia da damigella, ma va bene. Quando vorrai parlare di cos’hai per davvero io sarò qui.”
“Questo non-” Strinse il volante, sospirando varie volte e cercando di non scaldarsi troppo. “Non è affatto vero. Quando stavo con Stefan noi ci abbiamo pensato centinaia di volte.”
“Peccato che tu e Stefan vi siate lasciati anni fa, e si da il caso che in tutto questo tempo io non ti abbia mai sentito parlare di bouquet e veli con lo strascico. Caroline immaginava il suo vestito dalla prima volta in cui ha avuto un appuntamento con Klaus, sei stata tu stessa a dirmelo.”
“Caroline ha un librone del matrimonio perfetto da quando era solo una bambina, è sempre stata più avanti di tutti noi in questo, inoltre io…non credo di aver conosciuto la persona giusta. Non ancora, almeno, okay? Ora possiamo smetterla?”
“Chissà che cosa penserebbe Liam di questa affermazione.”
“Ho detto basta, Elijah.”




Mystic Falls, 30 Giugno 2021

Aveva ragione, comunque.
Riguardo Freya e Rebekah. Erano esaltate quasi quanto la sposa, ed estremamente contente per loro fratello.
Era strano, parecchio, trovarsi in tutta quella situazione, e forse proprio perché Caroline sognava il matrimonio perfetto dalle elementari, ora che erano arrivate al punto di celebrarlo sul serio, non sembrava vero. Lei era bellissima, Elena e Bonnie l’avevano accompagnata decine di volte alla prova del vestito perciò erano sicure di quanto le stesse bene, ma vederla così, con il trucco, la piega, e una magnifica tiara sulla testa, fece scoppiare tutte e tre a piangere.
“Ci colerà il trucco!” Rise la bionda, mentre le stringeva in un abbraccio collettivo.
“Oh, non fa niente. Non m’importa, sono così felice, Care. Ti meriti questo e molto di più.”
Elena annuì alle parole di Bonnie, tamponandosi poi il viso con un fazzoletto. “Perciò, il tuo matrimonio a giugno è come lo avevi immaginato?”
“No, è molto meglio. Non potrei chiedere di più.”
“Tesoro…” Liz Forbes si unì al loro pianto, varcando la soglia della stanza con il labbra tremolante e la voce spezzata. Caroline le andò in contro, e fu allora che Elena e Bonnie decisero di lasciarle sole e avviarsi verso la chiesa.

“Allora, è tanto male la mia idea della cravatta coordinata?”
“No, devo ammetterlo. Stai bene.” Sorrise Elena, regalando a Liam un bacio prima che lui entrasse e prendesse posto, lasciandola fuori in attesa di percorrere la navata insieme alla sposa.
Lo pensava, era carino per davvero, in realtà, nonostante lei avesse perso gusto per quelle piccolezze, che invece un tempo le scaldavano il cuore.
Vide Stefan in piedi accanto all’altare, e gli accennò un saluto, che lui ricambiò volentieri. Era contenta che tra loro i rapporti fossero tornati così sereni.


Mystic Grill, 15 Febbraio 2018

“Mi dispiace tanto per ieri, avevo molto lavoro da sbrigare.” Elena afferrò una forchettata del suo pollo, tentando di non guardare mai Stefan negli occhi.
“Non fa niente. Finalmente sei qui, anzi, mi dispiace approfittare della tua pausa pranzo, ma io ho… dovevo parlarti.”
Già. Era più che comprensibile, perché dopotutto, non gli aveva dato molte spiegazioni, ma il fatto era che per quanto potesse essere arrabbiata con lui e con Damon, lo era anche con stessa, e si vergognava anche solo a guardarsi allo specchio, di recente.
“Posso immaginarlo.” Disse solamente.
“Elena, perché sei andata via di casa?”
Lasciò cadere la forchetta nel piatto, e finalmente lo guardò.
L’amore della sua vita. Il suo futuro marito, il padre dei suoi figli, colui per il quale sarebbe stata in grado di dare la sua stessa vita, se solo lo avesse chiesto.
Elena e Stefan.
Erano come una leggenda a Mystic Falls.
Ma non era deludere le aspettative degli altri che le faceva male, bensì vedere quella leggenda sgretolarsi davanti ai loro occhi.
“La ragione per la quale sono arrabbiata con te, è il fatto che mi hai mentito. Per anni. Credevo di conoscerti, ma a quanto pare mi mancava una parte gigantesca del tuo passato, e mi sono sentita tagliata fuori, scoprendolo. Una sconosciuta. Una cretina.”
“Non volevo. È solo che-”
“No, Stefan, aspetta.” Lo fermò, perché dopotutto, sapeva di non meritarsi le sue scuse. “Tuttavia, non esiste giustificazione per ciò che ho fatto. Avrei dovuto aspettarti, ascoltare la tua versione dei fatti, confrontarmi con te come una persona adulta e matura, anziché spingermi troppo oltre e agire sempre di pancia. Ho sbagliato, ti ho mancato di rispetto e ti chiedo perdono cento, mille, diecimila volte per questo. Anche per la mia reazione esagerata quando lui se n’è andato, io… io ho detto cose troppo pesanti.”
Vide qualcosa rompersi nelle iridi verdi del ragazzo che le stava seduto di fronte, e si sentì piccola quanto una briciola. Stefan poteva aver sbagliato, ma non si meritava il trattamento che lei gli aveva riservato.
“Mi dispiace…”
“Puoi dirmi che è successo esattamente?” Chiese lui, tirando su col naso.
“Tu già lo sai.” Elena scosse la testa. “Lo sai. Perché vuoi che te lo dica? Mi disprezzo, Stefan. Sono andata ad infilarmi in una situazione di merda, so che per te è come una specie di déjà-vu e ti chiedo scusa di nuovo.”
“Quando te ne sei andata, hai detto una cosa che continua a frullarmi nella testa, perciò io devo chiedertelo. Ti sei innamorata di lui?”
“Io- io…”
“Io ti amo, Elena. Ti amerò sempre. Ma ho bisogno che tu sia sincera con me. Ti sei innamorata di lui?”
“Sì.” Sussurrò, piangendo, senza avere alcun diritto di farlo. “Credo di sì.”



Mystic Falls, 30 Giugno 2021

Dopo la funzione, Elena e Bonnie avevano consumato ben due pacchetti di fazzoletti. Le promesse erano state quanto di più toccante avessero mai ascoltato e al diavolo Elijah che sosteneva che lei non fosse il tipo da emozionarsi per quel genere di cose. Beccati questa.
Caroline era a fare gli ultimi scatti con la sua famiglia, quando lei varcò la villa del ricevimento, che si sarebbe svolto all’aperto. Liam andò a salutare un paio di persone, mentre le due damigelle avevano decisamente bisogno di un drink dopo tutte quelle lacrime.
Tuttavia, avvicinandosi alla zona del bar, Elena iniziò a tossicchiare.
L’odore del bourbon ancora le faceva bruciare lo stomaco, così come sentirsi chiamare Lena, così come notare il maledetto anello che anche Stefan portava.
Era stupido, dopo tutto quel tempo, eppure non riusciva a fare a meno. Per questo notò subito quel forte aroma nell’aria.
“Com’è potuto succedere? Caroline mi ammazzerà ancora prima del taglio della torta. Cristo.”
Riconobbe la voce e il forte accento di Klaus, e si voltò.
“Ma cosa…” Le morirono le parole in gola, e per un instante credette di morire anche lei.
La buona notizia era che non stava impazzendo, c’era davvero qualcuno che stava bevendo bourbon nei paraggi.
Non esattamente qualcuno .
Lui.
Damon era sparito tutto in una volta e senza lasciare tracce, per questo a volte le era capitato di sentirsi come se si fosse immaginata tutto, come se il tempo trascorso con lui fosse stato tutto frutto di una fantasia, di un sogno. Era strano averlo così vicino, in quel momento, così come lo era stato in aeroporto.
Sembrava quasi surreale.
Per la prima volta dopo quelli che sembravano secoli, si concesse il lusso di guardarlo davvero.
Le iridi sempre cristalline, acquose, furbe e intelligenti, i capelli neri come la pece, più lunghi sulla base del collo, la pelle bianchissima, il torace stretto in una camicia troppo formale per lui, e le gambe asciutte fasciate da pantaloni neri da cerimonia. Era Damon, così uguale e al contempo così diverso.
“Elena, ti giuro che non ne avevo idea.” Riprese Klaus. “Io ho sempre trattato con una certa Jo, ho letto su internet che aveva uno dei migliori servizi catering degli Stati Uniti, l’ho contattata e ci ha fatto scegliere tutto quanto il menù, assecondando ogni nostra richiesta. Sono stato a New York per gli assaggi ed era tutto fantastico, così Caroline si è semplicemente fidata del mio gusto, le bastava che fosse tutto esattamente come lo voleva lei. Ma come potevo sapere che-”
“Che Jo è la fidanzata di Alaric Saltzman, il mio socio in affari, e che per avere quattro mani in più ci ha trascinati entrambi a lavorare per questo matrimonio.”
Sentire la sua voce fu come ricevere un calcio in faccia, violento, percepire i denti che si staccano e la mandibola che si rompe. Non aveva idea di come gestirlo, ma non glielo avrebbe dato a vedere.
“Tu però lo sapevi.” Disse, stringendo i pugni, ostentando sicurezza.
“Lo sospettavo, diciamo.” I suoi occhi finalmente la incontrarono, e dovette fare un passo indietro. Come se il suo sguardo l’avesse scottata, punta, graffiata. E forse l’aveva fatto davvero. “E hai avuto la faccia tosta di presentarti ugualmente. Certo, tipico di te.”
“Dio, che casino…”
“Klaus, non preoccuparti. È il tuo giorno e non devi rovinartelo per me, guardami, sto bene. Goditi ogni singolo istante e non pensare a questo. So gestirlo, e cercherò di tenerlo nascosto a Caroline.”
“Come pensi di riuscirci?”
“Non la manderò mai al bancone a prendere da bere? O, non lo so, troverò un modo. Promesso.”
La ascoltò, andandosene seppur non molto convinto.
Elena si sentì totalmente senza forze nel momento in cui restò sola con lui, è quasi le gambe le cedettero. Damon lo notò, afferrandola prontamente per un braccio.
Il bruciore e la scossa che le provocò quel tocco, non credeva di averli mai sentiti in vita sua.
“Non-toccarmi.”
“Ti senti bene?” La ignorò, senza accennare a spostarsi.
“Lasciami, ho detto. Sarà colpa del caldo, e comunque non ti riguarda.” Proseguì, strattonandosi senza però ottenere alcun risultato. Perché non la ascoltava? Perché pensava di avere ancora qualche assurdo diritto su di lei?
“Ti porto dell’acqua?”
“Come? No, io non voglio niente da te, in caso non ti fosse chiaro. Devi sparire. Dopotutto, ti riesce bene, non è vero?”




La infastidiva non potersi godere la festa del giorno più importante della vita di Caroline. Era furiosa, rovinare proprio quell'evento speciale significava non avere un briciolo di coscienza, ma d’altronde di cosa si sorprendeva.
Liam le aveva chiesto di ballare almeno trentacinque volte, ma Elena aveva sempre rifiutato, preferendo acchiappare ogni flûte di champagne che i camerieri portavano direttamente ai tavoli, dato che non poteva nemmeno avvicinarsi al bar. Be’, per lo meno neanche Caroline ci si era ancora avvicinata, grazie al cielo lei poteva divertirsi.
Che poi, ballare, faceva sul serio?
Elena non aveva mai amato farlo, le era capitato solo tre volte, una a scuola, con Stefan, durante una serata a tema, un'altra a casa dei Lockwood per la festa di Natale, tre anni prima, insieme a Damon.
Per quanto riguardava l'ultima, invece, lei era seduta sul divano, Damon le aveva allungato la mano mentre una canzone d'amore suonava alla radio, per poi iniziare a guidarla, facendola roteare nel salotto.
Non avrebbe mai più ballato.
Tanto, non sarebbe mai più stato lo stesso.
“Credo di dover andare al bagno.”
“Ma ti senti bene?” Chiese quello che, fino a prova contraria, doveva essere il suo compagno.
“Certo, devo solo fare pipì. Sai, per espellere tutti questi liquidi.”
Barcollò un po’ verso la toilette, e una volta entrata si richiuse la porta alle spalle.
Guardandosi allo specchio, si chiese come diavolo avessero fatto a non averla ancora sbattuta fuori. Sembrava uno zombie. Elijah, in realtà, circa dieci minuti prima glielo aveva detto, ma lei non ci aveva dato molto peso. Il trucco si era sciolto tra le lacrime e il caldo, e due enormi occhiaie violacee avevano fatto capolino, anche l’effetto della piastra per via dell’umidità era svanito, lasciando il posto ad un chioma crespa e disordinata.
“Che disastro.” Commentò, rinfrescandosi le braccia con dell’acqua.
Toc toc.
“Occupato!” Gridò, sistemandosi il vestito.
“Sono io.”
Cazzo.
Si avvicinò alla porta, facendo con i tacchi un rumore che sapeva lui avrebbe sentito.
“Vai via.”
“Se lo dici venendo verso di me, è difficile crederti.” Già, appunto. Sospirò forte, scuotendo la testa.
“Non sai per quanto tempo ho desiderato anche solo poterti sentire respirare.”
“Damon…” Guaì, trattenendo le lacrime e appoggiando una mano sulla porta. “Ti prego, vattene.”
“Non possiamo parlare?”
“Ah si, ora vuoi parlare?” Lo canzonò, con una risata amara. “Pensi che sia tutto così semplice, non è vero? Sono passati quasi tre anni, si può sapere che vuoi?”
“Io non… non lo so. Mi manchi.”
“Va’ all’inferno.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Give Your Heart A Break ***


Pics-Art-08-23-12-14-13



The day I first met you
You told me you'd never fall in love
But now that I get you
I know fear is what it really was
Now here we are,
So close yet so far,
Haven't I passed the test?
When will you realize
Baby, I'm not like the rest?







Mystic Falls, Gennaio 2019, 12.05 AM

“Ei, auguri! Non riuscivo più a trovarti, anche gli altri di là vorrebbero farteli.”
“Io… mi dispiace.” Elena tolse lo sguardo dalla finestra e fece scontrare il suo bicchiere con quello di Caroline. “Buon anno.”
“Che ci fai chiusa nel mio bagno alla mezzanotte del primo gennaio? Va tutto bene?”
Si passò una mano tra i capelli, rendendosi conto di quanto realmente fosse stupida. Seduta sul water, nel suo vestito blu, a fissare i fuochi di artificio dei vicini di Care.
“È solo che…” Provò, morsicandosi il labbro.
“Che l’anno scorso ti trovavi su un tetto a New York con lui mentre ora sei qui, a fare quello che fai sempre, con le persone di sempre.”
“No! Caroline, il problema non sei tu, o insomma, tutti voi, o il fatto di fare sempre le stesse cose, io sto bene quando mi state attorno, mi piacciono le nostre tradizioni e non cambierei mai nessuno di voi per niente al mondo.”
“Okay, ma ti manca.” Continuò, accarezzandole il viso. “Ei, sono io. Puoi dirmelo.”
“Sì.” Ammise, finalmente, abbassando lo sguardo. “Sì, mi manca. Da impazzire. A volte, a volte penso di essere pazza per davvero. Insomma com’è potuto succedere che in così poco tempo questa cosa abbia mandato all’aria tutta la mia vita?”
“Non si può scegliere. Guarda me, mh? Conosco Klaus da un mese e già sento che potrebbe essere quello giusto, per sempre. Non lo puoi spiegare, succede e basta. Non rimproverarti, non tu.”
“Significa che dovrei rimproverare lui?” Chiese, scuotendo poi la testa. “No, io…l’ho fatto a sufficienza, non riesco più ad arrabbiarmi, sono solo tanto triste in momenti come questo, quando ci penso.”
Qualcosa scattò negli occhi di Caroline, il suo istinto iperprotettivo, il suo sguardo da leonessa e il suo indice alzato, facevano capire che avrebbe fatto fumo dalle orecchie di lì a poco.
“Be’, ti sbagli!” Gridò. Già, infatti. “Lo difendevo all’inizio, quando se ne era appena andato, sai? Quando Stefan alludeva a voi come se lui l’avesse fatto di proposito, io dicevo: non piaceva neanche a me, ma l’ha aiutata. Sul serio.”
“Non lo sapevo.” Rispose Elena, ora decisamente confusa.
“Però poi è passato un mese. Tre. Sei. Otto. E ora guardati, se n’è andato da quasi un anno e ancora non hai smesso di soffrire. Io non posso accettare di vederti star male per un ragazzino del genere, perché questo è, un ragazzino. Non ha avuto il coraggio di restare per affrontare Stefan, per affrontare i suoi sentimenti, per affrontare cose che tu invece hai preso di petto. Mi fa schifo, e gli conviene non tornare mai più, a meno che non voglia finire molto male.”



Mystic Falls, 2021

Ed ecco spiegato perché era fondamentale tenere Caroline il più lontano possibile da Damon.
Non che Bonnie o Matt non condividessero la sua scuola di pensiero, ma era diverso, insomma, si trattava pur sempre del giorno delle sue nozze e rovinarselo con una scenata sarebbe stata la cosa peggiore.
Ovviamente, però, c’era un problema più grande.
Stefan.
“Damon…ti prego, vattene.”
“Non possiamo parlare?”
“Ah si, ora vuoi parlare? Pensi che sia tutto così semplice, non è vero? Sono passati quasi tre anni, si può sapere che vuoi?”
“Io non… non lo so. Mi manchi.”
“Va’ all’inferno.”
“Okay, certo. Me lo merito.”
“Mi hai seguita in bagno?”
“Sì e no. Cioè, ammetto di averti vista entrare, ma in realtà ho anche urgente bisogno del lavandino.”
Elena prese il respiro che le sembrò il più grosso della sua vita, e poi fece scattare la serratura, pensando che si fosse sporcato con qualcosa e dovesse pulirsi, l’avrebbe fatto entrare e poi se ne sarebbe andata a gambe levate. Ma, una volta aperta la porta, la situazione che si trovò davanti fu ben diversa.
“Oddio, ma che hai fatto?”
Damon aveva un taglio sullo zigomo, non sanguinava eccessivamente, ma comunque la zona era gonfia e molto rossa.
“Mio fratello si è dimostrato molto felice di vedermi.” Sollevò un po’ un labbro, e ad Elena venne l’istinto di colpirgli anche l’altra guancia, ma fortunatamente riuscì a reprimerlo.
“Nessuno qui lo è. Comunque, sciacqualo, poi immagino che avrai del ghiaccio alla postazione del bar. Io vado a parlare con Stefan.”
“Okay. A dopo.”
Ma quale dopo? Non gli era chiaro che non era per niente piacevole averlo attorno?
In ogni caso, una volta uscita da lì, individuo subito Elijah, e quasi corse nella sua direzione.
“Ei, ma si può sapere che fai? Ti avevo chiesto per favore di tenere controllato Stefan, non avresti potuto fare più attenzione, anziché pensare ai miei capelli e al mio trucco?”
“Mi dispiace, ma sai, è il matrimonio di mio fratello, ho un mucchio di parenti a cui dare retta e forse non mi sono reso conto che il tuo ex avesse sete.” La zittì, con un tono acido che aveva tutto il diritto di usare. Elena si rese conto istantaneamente di essere stata una stronza, e chiese scusa. Non era con lui che ce l’aveva.
“Hai per caso visto dov’è andato?”
“Credo che sia sul retro.”
“Okay, grazie, e scusami di nuovo.”
Uscì, cercandolo con lo sguardo in tutte le direzioni, di quando finalmente non lo vide, seduto su una scalinata della villa.
“Stefan”
“Mh?” Si voltò, facendo ciondolare una bottiglia di whisky con la mano. Elena corrucciò la fronte. “Oh, questa?” Chiese lui. “L’ho rubata. Dopo aver messo KO il barman.”
“Sì, l’ho saputo. Che bella idea, molto matura.”
“Che c’è, lo stai difendendo, sul serio? Perché non vai a disinfettargli il taglio allora? Credo ti stia bene, l’uniforme da crocerossina. Una volta l’hai indossata ad Halloween.”
“Io non difendo proprio nessuno!” Sbottò, furiosa, con le mani che le tremavano. “Ma ti sembra il luogo e il momento adatto per metterti a picchiare qualcuno ed ubriacarti? È il matrimonio della tua migliore amica!”
“Care avrebbe fatto lo stesso, se lo avesse visto.”
“Già, ecco perché non deve vederlo e non deve saperlo. Non oggi. Ora potresti bere un po’ d’acqua, lavarti il viso e tornare in te? Te lo chiedo per piacere. Aspetta qualche minuto però, c’è lui in bagno.”
“Resterà, sai?” Disse, mentre barcollava per alzarsi. “Lui fa così. Arriva, spazza via tutto, lo rivoluziona, poi se ne va, qualche tempo dopo ritorna, e ricomincia punto e a capo.”

Atlanta, 2011

C’era del caffè, tanto caffè, troppo caffè.
Katherine, quando era nervosa, tendeva a peggiorare la situazione preparandone quantità industriali.
“Damon lo sa. Ti chiamo non appena posso.”
Un messaggio, era bastato uno stupido sms per farle crollare il peso del mondo sulle spalle, di nuovo. Non era pronta.
Stefan aveva riportato il sole dentro di lei, il buonumore, la voglia di vivere e di affrontare ogni giorno con un pizzico di allegria, perché “è meraviglioso sentirti ridere.”
Erano stati l’uno per l’altra un cerotto, una medicina, e per questo, entrambi, avevano cercato in tutti modi di ignorare le loro coscienze che più volte avevano gridato che fosse tutto un errore.
Katherine non avrebbe saputo vivere senza Stefan, non si sarebbe rialzata, questa volta.
Dei colpi alla porta del suo appartamento la fecero sussultare, e la tazza le tremò tra le mani. L’abbadonó sul ripiano della cucina, trascinandosi, già distrutta, ad aprire.
“Me lo sarei dovuto aspettare.”
Non salutò. Non chiese il permesso per entrare lì dentro, seppur fossero passati anni. Non fece nulla che qualsiasi altra persona avrebbe fatto, e lei non ne rimase sorpresa. Decise che gli avrebbe riservato lo stesso trattamento, la stessa freddezza, la stessa nonchalance.
Si strinse nel suo maglione, assorbendo l’immagine di lui che calpestava di nuovo il suolo di casa sua, senza nemmeno capire come questo la facesse sentire. Non lo amava più, di questo era certa. Ma in ogni caso, vedere quello che sarebbe potuto essere il padre di suo figlio, non la rendeva completamente indifferente.
“Ti va del caffè?” Katherine si vergognò di sé stessa. Erano passati anni, e quella era l’unica cosa che le era venuta da dirgli. Patetico.
“Ma non mi hai sentito?”
Lei alzò le spalle, per poi passarsi una mano tra le onde dei suoi capelli. “L’ho fatto. Ma non so risponderti. Okay, dici che avresti dovuto aspettartelo, ma cosa dovrebbe significare, mh? Che sei consapevole di quanto io sia stronza? Che credi io lo abbia fatto apposta? Che lo abbia usato?”
“Già. Tutto questo.” Damon era arrabbiato, poteva dirlo dalla mascella testa, la pupilla rimpicciolita, la camminata nervosa. Lo conosceva bene, forse fin troppo.
“Mi dispiace deluderti.” Gli rispose, senza accennare a cedere. “Ma non è così. Mi sono innamorata di Stefan. Non sarà eticamente corretto, rispettoso nei tuoi confronti, o ben visto dalla tua famiglia, ma è successo. Prima te ne farai una ragione e meglio sarà per tutti.”
“Katherine Pierce, la donna che sussurrava ai Salvatore.” Disse, facendo scontrare uno stivale sul parquet. Lei rise, non potendo davvero farne a meno. Forse era stato quello che all’epoca le aveva fatto perdere la testa, la cosa che lo differenziava da tutto il resto del mondo, anche da Stefan.
Damon possedeva un’intelligenza particolare, sottile, affascinante. Diceva frasi che molti avrebbero classificato come stupidaggini, ma che in realtà erano pregne di un qualcosa di più profondo; quell’ironia, se solo la sapevi cogliere, ti apriva le porte per la sua conoscenza. Era intrigante.
“Scusa.” Disse infine, al termine di quella risata fuori luogo. “So di averti mancato di rispetto, anche se non c’eri, anche se mi hai abbandonata. Non giustifica il mio comportamento. Mi sono innamorata di tuo fratello, e mi sono sentita orribile tante volte, per questo. Ma ora basta. Ho perdonato me stessa, Damon. Spero che possa farlo anche tu.”
“Anche se perdonassi te” La prese alla sprovvista, avvicinandosi e passandole un pollice sulla guancia. Lei non si ritrasse, anzi. Si spinse di più contro la sua mano, desiderosa di quell’addio, consapevole di averne bisogno. “E non è detto che lo farò, perché, a differenza tua, non ho mai smesso di amarti. Neanche per un giorno. Neanche quando rotolavo fuori da lenzuola diverse ogni mattina.”
“Damon…”
“Anche se lo facessi.” Proseguì. “Non potrei mai perdonare lui. È mio fratello, e lo sapeva, che sono innamorato di te. Lui lo sapeva.”
“Non è colpa sua se ho dei sentimenti per lui, adesso! È semplicemente successo.”
“Lo so. Ma non puoi chiedermi di perdonarlo. Non ce la faccio.”


Mystic Falls, 2021

Il matrimonio era ufficialmente finito.
Caroline si era cambiata, e ora stava distribuendo baci e abbracci a tutti quanti prima di salire in macchina e dirigersi all’aeroporto per la luna di miele.
“Allora, a quanto pare ce l’ho fatta!” Esclamò, alzando la mano sinistra per mostrare la fede.
“Ce l’hai fatta, Care.” Sorrise Elena, saltandole al collo. “Ti voglio bene. Tanto.”
“Anche io. Allora, sei pronta ad essere il direttore di Action News per una settimana?”
“Ma sì, certo! Non devi preoccuparti di questo, promettimelo. Goditi questi giorni.”
“Lo farò.” Sorrise la bionda. “Mi fido ciecamente di te. Mi farò sentire non appena atterro! Mi mancherai.” La strinse ancora un pochino, per poi salutare i suoi genitori e schizzare via nell’auto di Klaus. Quando Elena aveva salutato lui, l’aveva ringraziata trecento volte per non averle parlato della questione di Damon.
Non era stato facile, ma la parte più complessa sicuramente restava dover accettare la sua presenza lì. Sapeva che ora era tutto finito, ma le parole di Stefan la tormentavano.
Sarebbe rimasto? Quanto? Che avrebbe fatto?
“Tesoro? Andiamo?”
Guardò Liam, annuendo debolmente. Era esausta. Voleva soltanto farsi una doccia e filare a letto per le successive dodici ore. Evitare il mondo, evitare di pensare.
“Hai lasciato questo nel bagno.”
Non riusciva a sopportare oltre, sentiva che sarebbe esplosa. Ma non poteva. Non davanti a Liam, ma neanche se fossero stati soli, gli avrebbe dato quella soddisfazione, per nulla al mondo. Così si voltò, e allungò una mano.
Damon le porse il suo copri spalle, con il suo solito sorrisetto beffardo. Lo zigomo era diventato verdognolo e il taglio aveva fatto la crosta.
“Ce lo hai messo il ghiaccio?” Non resistette, spinta di chissà quale impulso, ma si pentì all’istante di averlo chiesto.
“Non ne ho avuto il tempo. Troppi clienti. Ma sto bene, non preoccuparti.” Alzò le spalle. “Lui chi è?”
“Non ti riguar-”
“Liam.” La interruppe lui, avanzando. “Il ragazzo di Elena. Con chi ho il piacere di parlare?”
“Wow.” Damon rimase sorpreso, decisamente. Come se non se lo aspettasse per niente, e la cosa la innervosì non poco. Cosa pensava, che lo avrebbe aspettato in eterno? “Damon Salvatore, il piacere è tutto mio.”
“Salvatore? Come Stefan?”
“Sì, loro…” Elena si grattò una tempia, imbarazzata. Non gliene aveva mai parlato prima. “Sono fratelli.”
“Questa sì che è una notizia, non avevo idea che avesse fratelli.”
“A Stefan non piace vantarsi.”
“A Stefan non piace vantarsi.”
Lo dissero insieme, in automatico, senza pensare. La loro prima conversazione, i primi scontri, la prima risata. Elena li rivide, e fu come se qualcuno le aprisse lo stomaco con un coltello. A corto di salivazione, con il cuore che le correva impazzito, prese Liam per un braccio e lo trascinò al parcheggio. “Possiamo andarcene?”
“Ma io…Stavamo parlando. Che c’è che non va?”
“Sono stanca. E Damon non mi sta particolarmente simpatico. Mi porti a casa?”
“Se è questo che vuoi.”


Bonnie insegnava letteratura alla scuola superiore di Mystic Falls, e ogni volta che Elena doveva vedersi con lei direttamente dopo una lezione, le sembrava di tornare la sedicenne ingenua ed inesperta di anni prima. Camminare per quei corridoi da adulta, con un tailleur e i tacchi ai piedi, mentre gli studenti stringevano i libri al petto e la squadravano con quello sguardo che diceva “lei è adulta”, la faceva sentire strana.
“Ei prof”
“Gilbert, interrogata!” Scherzò la sua amica, mentre raccoglieva una pigna di scartoffie.
“Mio dio, non farlo mai più. Solo sentire quelle parole mi fa venire l’ansia.”
Bonnie ridacchiò, prima di avviarsi all’uscita. Avrebbero pranzato insieme, Elena l’aveva praticamente supplicata perché non se la sentiva proprio di restare da sola. Era stato il suo primo giorno da direttrice al lavoro, ne mancavano ancora sei ed era già esausta. Per non parlare di ciò che ovviamente le frullava per la testa grazie al matrimonio del giorno precedente. Si sentiva una bomba ad orologeria e sapeva che se fosse rimasta troppo tempo da sola avrebbe iniziato a singhiozzare senza sosta.
Il Grill era quasi vuoto, Elena ordinò il solito toast, dopodiché Bonnie lasciò che il cameriere se ne andasse, prima di iniziare a guardarla in quel modo che sapeva non avrebbe portato a nulla di buono.
“Allora, mh, ti va di dirmi come ti senti?”
“Confusa e arrabbiata, credo.” Alzò le spalle, sconfitta e per nulla convinta.
“Solo?”
Sbuffò, graffiando con le unghie il legno del tavolo. “Sarei bugiarda se ti dicessi che nel rivederlo non ho sentito qualcosa, la solita scintilla che in qualche modo tra noi c’è sempre stata, ma io non ce la faccio. So che dovrei perdonarlo per lasciarlo andare, Bonnie, ma non ci riesco. Sono patetica.”
La sua amica le prese una mano, a incoraggiarla, e scosse un po’ la testa. “Non lo sei. Hai provato tanto amore, e non puoi semplicemente scacciarlo così.”
“Ma sono passati anni!”
“Sai che i sentimenti non hanno età, Elena.” Bonnie detestava Damon, l’aveva sempre fatto, eppure era lì a supportarla e a darle consiglio. In quel momento si sentì estremamente fortunata di averla nella sua vita, e la perdonò per il suo essere stata asfissiante nel periodo in cui lei stava iniziando a provare qualcosa.
“Vorrei che ce l’avessero, e che i miei fossero scaduti.”
Bonnie sogghignò, quasi strozzandosi con la sua acqua. “Sentimenti scaduti. Questa sì che è nuova.”
“Sarebbe un sogno, veramente. Starei cento volte meglio.”
Non sapeva se era vero, perché in realtà, qualsiasi cosa fosse quella che ancora la teneva inesorabilmente legata a lui con un filo invisibile, la faceva sentire bene. Oltre la rabbia, il rancore, la voglia di prenderlo a schiaffi e di gridare a tutti quanto fosse stato un codardo, c’erano sempre Damon ed Elena. Le pelli brucianti, i sospiri, il modo in cui lui strizzava gli occhi per catturare la sua attenzione, e lei, arrendevole, finiva sempre con l’incantarsi e guardarlo, guardarlo, guardarlo con la paura che si sciupasse per fino, che scomparisse, le scivolasse via dalle mani come sabbia con una folata di vento.
“Fumi ancora?”
Elena sollevò la testa dal suo piatto, sorridendo istintivamente. “Lo facevo due giorni fa, Kai, perciò evidentemente lo faccio ancora. Ti serve l’accendino?”
Mystic Falls era noiosa.
Vivere nella stessa cittadina per anni ti porta a conoscere e interfacciarti sempre con le stesse persone, senza mai davvero farti imparare a stare al mondo. Menomale che ogni tanto qualcuno di nuovo arrivava.
Malachai Parker aveva lavorato al matrimonio di Caroline, l’agenzia di wedding planner della quale faceva parte aveva sede a Portsmouth, ma lui gironzolava per il grill e in generale per la città da mesi, grazie a quelle nozze.
“Sì, per favore. Se alla tua amica non dispiace puoi unirti a me, così non dovrò rubartelo.”
“Non importa, Park. Tienilo pure come ricordo, so che ti mancherò un mondo.”
“Oh, Ellen, non preoccuparti di questo. Mia sorella Jo è arrivata in città da poco, e anche se non mi è molto chiaro il perché, sembra che resterà un po’. Le farò da guida turistica, non che ci sia molto da vedere.”
Elena, normalmente, lo avrebbe corretto sulla pronuncia del suo nome e avrebbe riso alla sua battuta, ma era ferma a “mia sorella Jo”. Poteva essere una coincidenza?
“Tua sorella hai detto?” Chiese, cercando urgentemente Bonnie con lo sguardo, la quale capì, e si allarmò quasi quanto lei.
“Sì, mi sono affidato a Josette per il catering di Caroline e Klaus, non per nepotismo o qualcosa del genere, solo che è davvero brava e sapevo di non poter deludere i Signori Mikaelson, così l’ho pregata di occuparsene nonostante stesse a-”
“New York?”
“Già.” Kai aggrottò la fonte, confuso. “Come lo sapevi?”
“Oh io… Klaus mi ha parlato di questa storia, più o meno.” Poi, deglutì, senza neanche provare ad apparire più tranquilla. “Resterà per un po’, hai detto?”
“Sì! Sembra che il suo fidanzato e il socio abbiano ceduto la gestione del locale che possedevano a qualcun altro e che questo amico di Ric abbia degli affari qui, non so.”
Per l’ennesima volta, si ritrovò col dover dare ragione a Stefan.


“Che significa che hai degli affari qui?”
“Lena?”
Damon sembrava sorpreso da quella telefonata, non che lei non lo fosse. Aveva composto il numero spinta dalla rabbia, con la foga del momento, senza nemmeno sapere se, dopo tutto quel tempo, fosse ancora quello corretto.
Lena.
Lo odiava.
“Sì, sono io. Puoi rispondere ora? Hai ceduto il locale? Che diavolo credi di fare qui? Nessuno ti vuole.”
Lo sentì ridere, e riuscì a figurarselo perfettamente, con quel suo ghigno amareggiato. “Credi che questo mi abbia mai fermato?”
“C’e qualcosa di profondamente sbagliato in te. Quando le persone ti desiderano nella loro vita, scappi. Quando invece la ricostruiscono senza di te, imponi la tua presenza. Perché vuoi ancora farmi del male?”
“Mi manchi.” Era la seconda volta che lo diceva, ma non sarebbe bastato. Anzi, la faceva arrabbiare ancora di più. E in quegli anni in cui la mancanza le aveva logorato l'anima, lui dov'era stato?
“Non mi interessa. Sono fidanzata, sono andata avanti.”
“Sei innamorata?”
“Qualcuno mi ha insegnato che l'amore è doloroso, sopravvalutato e senza senso.”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rescue Me ***


Screenshot-20190917-033024



We don't talk much, not anymore
Broken bottles and slammin' doors
But we still care about each other
Say we care about each other
I know life took us far away
But I still dream 'bout the good old days
When we took care of each other
We were livin' for each other




“Può capitare di amarli entrambi, sai.
Io l’ho fatto.”



Mystic Falls, 2 Aprile 2018

La solita grigliata durante il giorno dopo pasqua, il solito parchetto, le solite birre. Era come se fosse rimasto tutto uguale, tranne… tranne loro.
Elena sedeva sulla sdraio adiacente a quella di Stefan, non più sul suo grembo, non si baciavano, non si abbracciavano, non si sfioravano nemmeno.
Però, non si odiavano. Era passato del tempo, e ora che lui stava meglio avevano ripreso a frequentarsi tramite la compagnia che da anni avevano in comune. Sembrava essere tutto a posto, a parte qualche momento di inevitabile imbarazzo.
“Non vai a giocare a pallavolo con gli altri?”
“No, guardali, si sono già organizzati.” Rispose Elena, sgranocchiando un pop corn. “Tyler e Matt contro Bonnie e Caroline. Battaglia di sessi. Se io mi aggiungessi dalla parte delle ragazze non sarebbe equo, e tu non puoi unirti agli uomini perché devi ancora stare attento agli sforzi.”
“Già, non vedo l’ora che finisca tutto.”
“Come va la fisioterapia?”
“Bene, ora ho un solo incontro alla settimana, per fortuna. Sono passati quasi sei mesi.” Sospirò, ed Elena non sapeva mai se con i ricordi dell’incidente, lui, nella sua mente, riesumasse anche quelli della loro defunta relazione. Perché a lei capitava.
“Stefan, posso…. Chiederti una cosa?”
Sorrise, ma era un sorriso triste, e annuì. “Certo, dimmi. Anche se credo di sapere quale sarà l’argomento. Hai quello sguardo.”
“Non capisco.”
“Quando pensi a lui, hai quello sguardo perso e addolorato, e se solo potessi fare qualcosa per strappartelo via, lo farei. Ma so che non posso. Perciò, spara.”
Decise di non fare caso ai sensi di colpa che le pesavano sul petto, e ignorare quella frase, perché si sentiva ancora male con sé stessa per ciò che aveva fatto e provato.
“Per tutto il tempo, quando non potevo confrontarmi con te, ho desiderato di poter ascoltare la tua versione dei fatti, ma poi non è mai realmente accaduto. Ti va di… di parlarne?”
“Cosa vuoi sapere?”
“Raccontami di Katherine.”


Atlanta, Aprile 2010

“Perché continui a lamentarti? Sei intelligente da morire, so che hai capito quell’esercizio almeno un’ora fa, ma continui a rifarlo. Il risultato non cambierà, Stefan.”
“Tu parli così perché sei all’ultimo anno e queste cose le sai già, lasciami provare di nuovo, che ti costa!”
“No, basta!” Katherine rise, allungandosi fino a chiudere i suoi libri e quaderni, per poi spostare con un gesto distratto tutte le matite dal suo letto. I suoi genitori lavoravano a quell’ora, perciò facevano spesso i compiti a casa sua, quella di Stefan era inaccessibile per ovvi motivi. A dire il vero, non sapevano come avessero iniziato a frequentarsi e a volersi bene nonostante tutto ciò che era successo. Ma in quei mesi avevano compreso che non c’erano vincitori, vinti, colpevoli o carnefici. Erano vittime, entrambi. Abbandonati da una delle persone che amavano di più, entrambi.
“Doveva essere più facile con Damon. Lui odiava studiare.”
“Non smetterai mai di parlarne, non è vero?”
Stefan la cercò con lo sguardo, confuso. “A te non manca più?”
Lei alzò le spalle, poi, tutto andò in frantumi.
Tutte le paure di Lily, tutte le conseguenze, un rovinoso effetto domino, iniziarono a prendere forma in quell’esatto istante.
“Forse a una parte di me mancherà sempre, è stato il mio primo grande amore. Ma non posso passare la vita a rincorrere chi non mi vuole. Chi non è qui. Perché io sono qui, e devo vivere, che lui lo voglia o no.”
Si avvicinò di più, con quel suo fare esperto e capace, che Stefan invece non aveva per niente. Per questo si lasciò guidare e trasportare, totalmente.
C’era una vocina che gli diceva che non era corretto, perché suo fratello era sempre stato il suo migliore amico e fargli quel torto sarebbe stato da vero bastardo, ma non lo era stato anche lasciarlo?
Non solo Damon aveva il diritto di essere egoista, si disse, prima di lasciare che Katherine si fiondasse sulle sue labbra.
Lasciò che lo spogliasse, che gli sporcasse il torace e la pancia di quel rossetto scuro che tanto amava portare, che gli mostrasse come e dove toccarla, che lo aiutasse a slacciarle il reggiseno.
Una strana fitta di dolore le attraversò gli occhi mentre si allungava per recuperare la scatola dei preservativi nel cassetto del suo comodino, ma Stefan non conobbe mai il perché.
Conobbe però la sensazione di pienezza e completezza per la prima volta nella sua vita, quando Katherine si sedette sopra di lui.
E mentre la baciava, le stringeva i capelli e si staccava dal materasso per andarle in contro, capì cosa intendesse con quel “sono qui e devo vivere.”


Mystic Falls, 2021

“Damon.”
“Ciao fratellino.”
“Dove sei?”
Stefan lo sentì ridere dall’altro capo del telefono, quella sua solita maledetta risatina di circostanza.
“Perché vuoi saperlo? Così potrai replicare la tua opera d’arte anche sull’altro zigomo?”
“Non sai nemmeno il motivo per cui l’ho fatto.”
“Creddo c'entri col fatto che ti ho quasi rubato la fidanzata mentre eri in coma.”
“Effettivamente, è da tre anni che sogno di prenderti a cazzotti, ma no, non è questo il motivo. Vuoi dirmi dove diavolo sei?”
“Ho comprato la vecchia casa di Caroline. Credo tu conosca l’indirizzo.”


“È ridicolo che tu stia qui. Ti detesta e non sa nemmeno che sei tornato, come hai fatto?”
“Ho intestato tutto ad Alaric Saltzman, che è il mio socio in affari, ma lei non lo sa. Nome suo, soldi miei et voilà.”
“Astuto. Posso entrare?”
Damon aprì di più la porta e si scostò, così da far passare suo fratello.
“Non ho un divano, Stef. Devi accontentarti di queste sedie in cucina, Miss Forbes traslocando si è portata via la maggior parte dei mobili ed io non ho ancora comprato praticamente nulla se escludiamo il letto e il frigorifero perché beh, non credo se ne possa fare a meno. Vuoi una birra? O un Bourbon?”
“Ehm… okay, una birra andrà bene.” Stefan, accomodandosi su di uno sgabello, rifletté sul fatto che l’ultima volta che si erano visti e avevano avuto una conversazione da persone civili, lui non beveva nemmeno. Era stato nove anni fa. Seppur ne fossero passati solo tre dal loro ultimo incontro effettivo, in quell’inverno del 2018 non erano stati fratelli, né tanto meno conoscenti o amici. Solo due sconosciuti innamorati della stessa ragazza, di nuovo, che si erano visti per poco più di due giorni.
Perciò parlare in quel modo era stano, per entrambi.
Non ci erano più abituati.
“Perché non mi avete mai detto niente?” Sbottò il più piccolo, prima ancora che Damon finisse di strappargli la bottiglia.
“Okay, a cosa e chi ti riferisci?”
“A te e a Katherine. Alla fottuta gravidanza di cui mi ha raccontato Elena qualche mese dopo che te ne sei andato, di papà che le aveva offerto dei soldi... perché io non ne sono mai stato al corrente?”
“Per questo mi hai preso a pugni? Perché quando avevi quattordici o quindici anni scarsi non ti ho raccontato che Giuseppe aveva pagato la mia ragazza per abortire e lei aveva accettato?” Chiese, versandosi il suo scotch in un bicchiere, con il tono della voce che si incrinava leggermente.
“Sì. Potevo essere piccolo allora, ma poi sono cresciuto. E comunque non mi hai mai detto nulla.”
“Cosa sarebbe cambiato? Ascolta, Stef, dicevo una marea di cazzate, fino a qualche tempo fa. Dicevo che Katherine aveva ucciso una vita innocente per colpa di un nostro errore, ed è ciò che ho detto anche ad Elena, ma non lo pensavo veramente. Farebbe di me un misogino pro vita del cazzo, di quelli che se ne stanno fuori dagli ospedali con le bandierine “l’aborto è omicidio” a spaventare le donne, ma non sono così. Semplicemente, intendevo che nonostante all’epoca fossi piccolo, immaturo e totalmente solo, perché sapevo che non avrei potuto contare sull’appoggio di nostro padre, amavo Katherine talmente tanto da credere che un figlio non sarebbe stato una tragedia, che avremmo potuto formare la nostra famiglia e che magari mamma piano piano avrebbe convinto anche Giuseppe a starci vicino. Invece sono venuto a scoprire che proprio lui si era coalizzato con la donna che amavo per prendere una decisione senza di me, senza che io potessi farci niente. Pagandola, per giunta. Ha fatto male, e tu eri un ragazzino. Non avrebbe avuto senso raccontartelo.”
Stefan si stringeva le labbra tra loro come quando era bambino, e Damon capì all’istante che era sul punto di piangere. Avrebbe voluto fare qualcosa per evitarlo, ma si sentiva incapace. Non erano più quelli di una volta.
“Tu… avresti dovuto dirmelo lo stesso. Perché te ne sei andato, mi hai lasciato solo ed io avevo il diritto di conoscere la ragione.”
“Non eri solo. Sapevo di lasciarti con mamma e Giuseppe che ti amavano immensamente, avevi Lexy e…” Si bloccò, e sorrise, capendo al volo che Elena aveva omesso una parte, di proposito, perché voleva che fosse lui a dirglielo. “E Bree che ti faceva da cane da guardia.” Sputò, mettendola sul ridere come faceva sempre quando era terrorizzato dal mostrare i suoi sentimenti.
“Che significa?”
“Le avevo dato il mio nuovo numero, chiedendole di controllarti più che potesse, quando ci fosse stato un problema di avvisarmi e le avrei fornito io i mezzi per aiutarti. Non eri solo, Stefan. Mai. Non lo avrei permesso.”
Ormai il volto del minore era rigato di lacrime, e tutti i rimorsi e i sensi di colpa iniziarono a farsi strada dentro di lui seppur fosse passato un’infinità di tempo. Si sentì sporco, marcio, schifoso. Che razza di fratello era stato?
“Non piangere, fratellino, sai che non mi piace. Ricordati che siamo pari, mi sono innamorato di Elena.”
“No, è diverso. Perché tu sei uscito di scena non appena hai saputo che io stavo meglio, mi hai dato l’occasione di rimediare, hai saputo importi dei paletti. Io non l’ho mai saputo fare, mi sono… mi sono fidanzato con la tua ex dopo due mesi che te ne eri andato e mi viene da vomitare solo a pensarci.”
“Paletti? Quale paletti? Io mi sono dichiarato e l’ho baciata. Ascolta, non sono migliore di te, anzi. Non mi prendo mai le mie responsabilità, scappo, scappo solamente.”
Stefan allora si alzò, avvicinandosi alla figura del fratello maggiore, e lo abbracciò. Era un abbraccio fatto di lacrime, sorrisi, verità, fatto di nove anni di sbagli e pezzi di puzzle sparsi che finalmente si stavano ricongiungendo.
Un abbraccio fatto dell’amore fraterno che malgrado tutto non avevano mai spesso di provare, un abbraccio che conosceva i loro legami di sangue e di cuore nonostante tutto.
“Non farlo più. Resta, Damon. Ti prego.”
“Resterò. Promesso. Però non posso prometterti che riuscirò a starle lontano.”
“Non te lo chiederò.”
Damon rise. “Ecco perché sei tu il migliore, Stef.”


Elena non aveva mai vissuto da sola.
Con lei c’erano stati i suoi genitori, poi zia Jenna, Stefan, che, a dire il vero, era colui che si prendeva più cura della casa, ed infine quel breve periodo con Damon nel quale le cose non erano state diverse.
Ma da quando era andata via dalla pensione dei Salvatore e aveva deciso di prendersi un appartamentino tutto per sé, erano aumentate tutte le difficoltà. Le sembrava di non fermarsi mai tra la redazione e la casa, più difficile ancora era ritagliare lo spazio necessario per i suoi amici o per Liam.
Da un lato non vedeva l’ora che Caroline tornasse, mancavano solo tre giorni e ricoprire il suo ruolo la stava stancando da morire, ma dall’altro sapeva che sarebbe giunto il momento di raccontarle che Damon era in città, e onestamente avrebbe preferito lanciarsi nel sole senza alcun tipo di protezione.
“Ei! Elena, perdonami, c’è qualcuno in linea che insiste per parlare con te, posso passartelo?” chiese ad un certo punto Krystal, una collega, sporgendosi dalla sua scrivania con la cornetta del telefono al petto. Lei annuì, nervosa e con un sospetto ben definito in mente. “Buonasera, Redazione di Action News. Sono Elena, come posso aiutarla?”
“Cazzo finalmente, Ellen! Dove hai lasciato il telefonino?”
“Kai.” Sbuffò sollevata, sprofondando nella sua poltrona. “Ma come ti viene in mente di chiamarmi in ufficio?”
“Te l’ho detto, sei introvabile al cellulare!”
“Be’, non so. Credo sia scarico o qualcosa del genere, non ci faccio molto caso quando sono qui. Ma è successo qualcosa?”
“L’altro giorno ho dimenticato di dirti una cosa. Dopodomani è il mio compleanno, perciò ho organizzato una festa con i fiocchi, non che sia una novità dato il lavoro che faccio. Tesoro, devi esserci o mi offenderò per sempre.”
“Una… festa?” Tentennò, pensando già alle mille scuse che si sarebbe inventata per saltarla. Era appena stata ad un matrimonio, e proprio non aveva voglia di trovarsi di nuovo in mezzo a decine di persone, con troppo alcool, troppo cibo, musica ad alto volume e tanto mal di testa ad aspettarla il giorno seguente. Era fuori discussione, a meno che non stesse cercando di farsi ricoverare per un esaurimento nervoso. “Quando?”
“Domani! Così quando scoccherà il giorno effettivo del compleanno, staremo già festeggiando, che domande.”
“Sul serio? Possibile che non ti sia ricordato di avvisarmi prima?”
“Sono stato sommerso dalle cose da fare per la cerimonia dei Mikaelson, perdonami. Ma non puoi mancare, per favore. Sei la migliore amica che io mi sia fatto a Mystic Falls.”
“Parker, sei un oratore del cazzo.” Roteò gli occhi al cielo. Come faceva a dirgli di no? Era vero, avevano legato davvero molto in quel periodo, poiché Caroline, in preda all’ansia, gli era stata attaccata come una zecca per la maggior parte del suo tempo. “Dove si terrà questa festa?”
“Ho affittato un locale poco fuori Mystic Falls, visto che rientrerò a Portsmouth settimana prossima. Ti mando l’indirizzo.”


La prima volta che si era provata il vestito che aveva indossato per fare la damigella si era detta che voleva ampliare ogni sfumatura di lilla all’interno del suo guardaroba, ecco come si era ritrovata ad indossare un mini dress di quel colore. Ai piedi portava dei tacchi a spillo color carne e si era raccolta i capelli perché il caldo era allucinante.
“Se l’avessi saputo avrei riciclato la famosa cravatta abbinata.” Era stato il commento di Liam, ed Elena aveva sbarrato gli occhi.
“Mio Dio, no. È solo un compleanno, perché avresti dovuto indossare la cravatta?”
“Non lo so, forse per far capire che sono il tuo accompagnatore? Nessuno mi conosce.”
“Neanche io conosco gli amici di Kai che vengono da fuori, se questo può tranquillizzarti, ma non so come è riuscito a farmi accettare. Però credo che ci saranno alcune persone di Mystic Falls, ad esempio Stefan o Elijah. Dai, ora entriamo.”
Una persona, a dire il vero, la conosceva. Non molto, ma almeno non era la prima volta che lo vedeva.
Alaric era un piedi vicino ad un tavolo, con una mano stringeva un bicchiere di prosecco mentre l’altra circondava la vita di una donna che doveva avere più o meno la sua età. Aveva i capelli scuri e gli occhi chiari, e dei tratti terribilmente simili a quelli di Kai.
“Ellen!”
“Ellen?” Chiese sottovoce Liam, e lei rise.
“Lo fa apposta per prendermi in giro. Sa come mi chiamo, ma la prima volta quando ci siamo presentati aveva capito mi chiamassi Ellen e ha continuato a scherzarci.” Rispose, poi fece qualche passo avanti fino ad abbracciare il festeggiato. “Park! Non ti faccio ancora gli auguri, aspetterò la mezzanotte, però questo è per te.” Sfilò un pacchettino dalla borsa e glielo porse.
“Oh, grazie, troppo gentile. Lui è il tuo fidanzato?”
“Sì. Kai, Liam. Liam, Kai.” Li presentò, si strinsero la mano, dopodiché fu il suo turno di presentarsi a quella che ormai aveva compreso essere Jo, sua sorella, e di salutare Alaric in maniera estremamente imbarazzata. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Ei, mi ricordo di te, quando sono venuta a New York per inseguire Damon ti ho visto al pub.
Già, Damon.
Quando si dice parli del diavolo e spuntano le corna.
Entrò in quell'esatto istante, ridendo, col busto mezzo voltato all’indietro, e per un momento Elena trattenne il fiato, credendo che avesse portato una ragazza. Ma la figura che avanzò subito dietro di lui era quella di… Stefan?
“Buonasera festeggiato!” Schiamazzò, facendo voltare tutti. “E buonasera Ric, Jo, Lena, e il nuovo ragazzo… Liam, dico bene?” Lo faceva apposta. Era evidente, fin troppo, o almeno lo era per lei che aveva imparato a riconoscere ogni sfumatura della sua voce.
“Già, che divertente. Sei ubriaco?”
“Ma che dici? No, perché dovrebbe.” Fu Stefan a parlare e okay, quello era decisamente troppo. Elena gli chiese di accompagnarla a prendere un drink, anche se più che una richiesta fu un obbligo, visto che lo stava tirando per la giacca.
“Puoi dirmi che succede? Meno di una settimana fa l’hai preso a pugni.”
“Ci siamo chiariti.” Lo disse con naturalezza, come se fosse una cosa normale. “Direi che ci eravamo tenuti il broncio a sufficienza.”
“Oh, capisco. Perciò ora chi è che lo difende? Vuoi che ti presti il costume da crocerossina?”
Era assurdo che si stesse arrabbiando, perché in realtà sperava che quel momento arrivasse sin da quando aveva scoperto che Damon, in un modo contorto e tutto suo, tenesse davvero tanto a Stefan, nonostante le mille cose che erano successe. Ma, egoisticamente, vederli riappacificarsi adesso le dava i nervi, perché aveva questa sorta di bisogno che tutti detestassero il fatto che lui fosse tornato.
“Ascolta, è ovvio che non dimenticheremo tutto dall’oggi al domani, ma dobbiamo iniziare. E poi, io e te non stiamo più insieme da tempo, la storia con Katherine è morta e sepolta, era ora di finirla.”
“Sono contenta che tu sia riuscito a perdonarlo. Vorrei che mi insegnassi come fare, o forse no. Forse voglio odiarlo per sempre perché è quello che si merita.”
“Tu non lo odi. E anche se fosse così, l’odio è un sentimento estremamente forte, perciò sta attenta quello che dici.”
“Credo che andrò a fumarmi una sigaretta.” Fu tutto ciò che Elena disse prima di girare i tacchi e aprire l’unica porta antipanico che vide. Non sapeva nemmeno se fosse autorizzata a stare lì, ma quel pezzetto di giardino sembrava tranquillo, senza contare che non c’erano edifici attorno a rovinare lo splendore di quel cielo estivo, blu e pieno di stelle. Stelle nelle quali non aveva mai smesso di cercare i suoi genitori.
“Cosa gli racconterai?”
Non si voltò neanche, cosciente della sua presenza dietro di lei già da alcuni secondi.
“A cosa ti riferisci?”
Damon fece qualche passo in avanti, fino a raggiungerla. “Al tuo nuovo ragazzo. Ha l’aria da cane smarrito, non ha idea di dove tu sia finita o del perché ti sia visibilmente cambiato l’umore, credo che per la frustrazione presto si metterà a piangere.”
Sfilò anche lui una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca, e mentre l’accedeva Elena commise l’errore di guardarlo. La fiamma gli illuminò per un tempo quasi impercettibile gli occhi, rendendoli ancora più azzurri, e notò che nonostante i muscoli apparissero tesi al di sotto della sua camicia leggera, sul suo viso aleggiava una serenità diversa, che non aveva mai visto prima. Come se si fosse tolto un masso dal cuore, e sapeva che questo dipendeva da Stefan.
“Non ti riguarda.”
“Oh, certo. Quindi non ti comporti così a causa mia?”
“Mi prendi per il culo?” Iniziò ad innervosirsi, perché lui non poteva sul serio pensare di usare quel tono di sufficienza, non ne aveva il diritto. “Certo che riguarda te, il tuo apparire magicamente come se fossi uscito da un cilindro del cazzo dopo tre anni non mi lascia indifferente, perciò sono nervosa. È questo che volevi sentirti dire, o sbaglio? Il tuo ego è appagato? Sei contento? ”
“No.” Buttò il mozzicone, avanzando ancora. Elena sentì la sua colonia, quella che si era spruzzata sul cuscino quando era partito per New York dopo la loro prima litigata, quella che aveva respirato per la prima volta ad Atlanta quando lui era stato costretto a prenderla in braccio perché era ubriaca, e lei aveva posato la testa sul suo petto. Quell’odore maledetto. “Non sono contento perché stiamo ancora discutendo, perché hai ragione su tutto, perché sono un cretino, perché sei bellissima ma non mi è neanche concesso di sfiorarti, mentre lui invece può averti tutte le volte che vuole. Vi guardo e realizzo cosa ho perso e tu non hai idea di quanto faccia male.”
“Tu mi hai sempre avuta.”
Lo disse, e poi, come la prima volta, aspettò.
E Damon, come la prima volta, le chiese il permesso semplicemente accarezzandola con lo sguardo, terrorizzato dall’idea che potesse spostarsi, e quando il linguaggio del suo corpo gli disse che non l’avrebbe fatto, le posò entrambe le mani sulle guance sussurrando un “non mi sembra neanche vero toccarti”, per poi unire finalmente i loro respiri.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3842189