La sua Joyce

di Esca_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Vento traditore ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Vedo non vedo ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Lozione per capelli ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Orgoglio e Draco ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Joyce ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - Occhi grandi ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - Trasfigurazione ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII - Arrosto per cena ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX - Occhi negli occhi ***
Capitolo 10: *** Capitolo X - Ghiaccio e fuoco ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI - Incubi e deliri ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII - Ricerche al termine ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII - Benedette vene ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV - Baci di Luna ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV - Fogli sparsi ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Vento traditore ***


 CAPITOLO I - VENTO TRADITORE

 

Ron non era mai stato bravo a mantenere i segreti, pensò Hermione.
Quante volte li aveva quasi fatti scoprire, non fosse stato per lei e Harry?
Lo guardò un’ultima volta con il cipiglio più attento ed esasperato di cui era capace e si passò le dita sulle palpebre.
No, non ci sarebbe mai riuscito.
«Ronald, devi ascoltarmi. Non puoi rovinare tutto come l’anno scorso. È il compleanno di Ginny, la festa è importante e lei non deve saperne nulla. Non costringermi a farti una fattura. Non parlare e basta. Fallo per me, per Ginny, per le salsicce a colazione. Fallo per chi vuoi, ma sta’ zitto Ron.»
Il suo ex ragazzo la guardò stancamente senza ascoltarla.
«Ron, questo è un segreto. Se ti scappa qualcosa abbiamo chiuso.»
Ron alzò la testa di scatto, sentendo quella parola che tanto odiava.
«Herm, per favore, lo sai. Non ci riesco, non è colpa mia! Fammi un Oblivion, ti prego. Ginny capisce sempre quando le nascondo qualcosa.»
La Caposcuola lisciò le pieghe della gonna, chiedendosi cosa avesse fatto di male per aver incontrato Ron Weasley sulla sua strada.
«Ron, per favore, lo sai.» Gli disse lei scimmiottando le sue parole. «Non ho tempo da perdere qui.  Devo preparare la sala comune per stasera, ho un mucchio di compiti da fare e non posso più usare la Giratempo. No, non guardarmi così. Non voglio che diventi come Allock, ricoverato al San Mungo perché non hai saputo tenere un segreto. Passa tutta la giornata al campo di Quidditch, fai finta di studiare in biblioteca, fai come vuoi. Non
incontrare Ginny e tutto andrà per il meglio.»

Non gli diede tempo di protestare, girò i tacchi e si diresse a passo veloce verso il suo dormitorio.
Gli addobbi della sala comune erano solo da sistemare, se ne sarebbe occupata più tardi.
Guardò il libro di Trasfigurazione e pensò al test della settimana successiva.
Sì, avrebbe fatto il secondo ripasso appena possibile, non sarebbe morto nessuno.
Finalmente in pace con se stessa, si piegò sotto il letto, estraendo una scatola rettangolare piena di fogli.
Li prese con molta cura, attenta a non cambiarne l’ordine, e finalmente trasse un sospiro.
Il suo piccolo segreto.
La sua passione.
Che poi, tanto segreto non era. Non c’era nulla di cui vergognarsi e lo sapeva benissimo.
Però, portare avanti quel lavoro all’insaputa del resto della scuola era confortante. Quasi eccitante.
«Sì, dovrei decisamente farlo rilegare. Meglio non confondere le pagine.» mormorò sotto voce, cercando le ultime parole scritte.
Mettendosi comoda sul letto, lesse l’ultima pagina, cercando l’ispirazione per continuare.

Michael pianse per la prima volta nella sua vita.
Era questo che faceva di lui un uomo, quindi? Piangere per una donna?
Scosse la testa guardando la foto. No, lei non era una donna qualunque e lui lo ricordava ogni volta che la vedeva accanto a lui.
Lei era quella dei libri, quella dei film, quella di cui le canzoni parlavano sempre. Era Lei. La sua Joyce, che nessuno avrebbe mai rimpiazzato.
Michael, però, se n’era reso conto troppo tardi, preso com’era dai suoi difetti, e ora ne vedeva le conseguenze.
Joyce era libera, serena come un tempo, senza più avere a che fare con i suoi capricci e i loro litigi.
Michael guardò la loro foto e pianse ancora. No, si disse, non sarebbe mai stato abbastanza uomo per lei.

Sorrise soddisfatta, chiedendosi quanto di lei e Ron ci fosse in Joyce e Michael. Michael era uno stronzo e anche Ron non scherzava.
Hermione aggrottò le sopracciglia, riflettendo sul paragone.
In effetti, non erano poi così diversi.
Girò il capo come era solita fare in questi momenti, oltrepassando i letti di Calì e Lavanda con lo sguardo e puntando alla finestra. Il cielo limpido sembrava invitarla a fare piazza pulita e liberarsi delle nuvole. Sembrava urlarle di cambiare qualcosa nella propria vita.
Hermione si perse nell’azzurro del cielo, mordicchiando un’unghia e chiedendosi dove avrebbe portato la sua Joyce. La sua eroina, che aveva distrutto Michael come lei non era mai riuscita a fare con Ron.
Perché?
Questa parola riecheggiò nella sua testa, come tutte le altre volte che aveva portato il suo antagonista alla disperazione e al dolore per puro gusto.
Quella storia la aiutava a sfogarsi o solo a porsi più domande?
Con gli occhi fissi sul pianto di Michael, pensò a Ron. Pensò a loro due, ai loro litigi, ai compromessi mai trovati perché nessuno di loro due aveva mai provato a cercarli.
Ron era mai stato così male? Aveva mai pianto per lei come lei aveva fatto per lui?
Era possibile stesse già flirtando con Lavanda, quando lei sembrava essere diventata allergica ad ogni approccio maschile?
Guardò ancora una volta il cielo, aspettando le lacrime.
Dolcemente, fu come se le fronde degli alberi le suggerissero la risposta.
Michael era migliore di Ron. Ecco la differenza. Michael l’aveva conquistata insieme a Joyce, parola per parola, errore per errore. Michael le aveva dato più di quanto Ronald avrebbe mai fatto, perché Ron non ci pensava.
Ecco il problema.
Lui non l’aveva mai vista come una fidanzata.
Per lui era sempre stata un’amica. Certo, quel tipo di amica con cui parlare di tutto e da abbracciare ogni tanto, ma pur sempre un’amica.
Hermione abbassò lo sguardo sul cumulo di fogli, chiedendosi perché avesse iniziato a scrivere quella storia, che sembrava avere sempre meno senso. Se per se stessa, per Ron, o per nessuno, non lo sapeva.
Ma l’aveva aiutata. Il proprio riscatto e la propria vendetta erano racchiusi in quelle pagine rabbiose. Ogni parola l’aveva confortata, liberata. Ogni domanda posta a Joyce era in realtà posta a se stessa, solo per scoprire gli angoli nascosti di quel rapporto che, in realtà, non era mai nato.
Grata di queste rivelazioni, Hermione prese piuma e calamaio, pronta ad ogni traccia d’ispirazione.
Un secondo dopo, la porta della camera si spalancò in un turbinio di voci e libri buttati in aria.
«Hermione, un giorno ci dirai cosa fai sempre qui tutta sola?» le disse Calì con un’occhiata maliziosa.
«Certo, Calì, studio. Cerca il verbo sul dizionario.» rispose Hermione, raccogliendo in fretta i fogli e uscendo dalla camera.
Era arrivato il momento di mettere ordine a quella massa confusa di parole.
Per la prima volta nella sua vita, però, Hermione si rese conto di non sapere l’incantesimo adatto.
Si diresse pensierosa verso la biblioteca, pensando alla sezione adatta per cercarlo.
Camminò anche un po’ a vuoto, a dire il vero.
Passò i corridoi e i quadri senza una meta, cercando qualcosa di indefinito che la cambiasse, come il cielo aveva predetto.
Persa nei suoi pensieri, si fermò davanti ad una finestra, chiedendo mentalmente al cielo di aiutarla.
Per tutta risposta, il vento spalancò i vetri all’improvviso. Hermione sobbalzò, tornando in sé, e perse la presa sui fogli, che scivolarono tutt’attorno a lei.
Adesso, il suo segreto era sparso per il corridoio del secondo piano e i suoi protagonisti non avevano più un ordine logico.
Hermione si affrettò a chiudere la finestra e si piegò per raccogliere i fogli, attenta a non perderli di nuovo e sperando che non passasse nessuno.
Ebbe un’ondata di esasperazione alla vista delle pergamene ammucchiate. In biblioteca sarebbe rimasta più del previsto.
Controllò ogni angolo del corridoio, perlustrò le scale e si affacciò al bordo della ringhiera, sperando che nessun foglio fosse scappato alla sua vista.
Si avviò in fretta in biblioteca, confortata dall’odore dei libri antichi e dal silenzio.
Una volta trovato l’incantesimo per rilegare la sua storia, scelse un tavolo appartato, disponendo libro e fogli davanti a sé.
Con calma, iniziò a dare un ordine a quella matassa, tornando indietro di giorni e settimane e pensando alla fatica che quella storia le era costata.
Mezz’ora dopo, Hermione era impietrita davanti al cumulo di fogli, chiedendosi perché non avesse bruciato tutto quando era ancora in tempo.
Senza pensarci, scappò per i corridoi con i fogli stretti tra le mani.

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Vedo non vedo ***


CAPITOLO II - VEDO NON VEDO

È vero, che le disgrazie capitano sempre nei momenti sbagliati.
Draco Malfoy si chiese cosa avesse fatto di male nella vita mentre correva al piano terra. Si sforzò di pensare a quella corsa come ad un po’ di esercizio, ma Theodore Nott che lo rincorreva gli fece cambiare idea.
Draco si girò a guardarlo e pensò che, tutto sommato, era divertente vederlo sbuffare così.
Gesù, sembrava avesse la rabbia.
Forse non era stata una buona idea barare a carte con lui. O vincere 90 galeoni. Forse avrebbe potuto stare zitto appena l’amico lo aveva scoperto, piuttosto che rispondere insultando sua madre. Forse avrebbe potuto evitare tutto ciò quando Nott era ubriaco e diventava particolarmente violento.
Okay, era stata una pessima idea.
Draco si complimentò della propria intelligenza mentre svoltava l’ennesimo angolo, in cerca di un posto dove nascondersi.
Invocò persino il Dio babbano perché lo aiutasse, promettendo che non avrebbe più barato a carte. No, era meglio non esagerare. Alzò lo sguardo implorante, promettendo che non avrebbe più insultato la madre di Nott. Così andava meglio.
Sbucò nell’atrio del piano terra e vide le stelle.
Restò a contemplare quei piccoli puntini bianchi e luminosi, prima di rendersi conto di averle viste solo nella sua testa e di essere steso a terra. Si toccò la testa indolenzita e sentì i passi pesanti di Nott che si avvicinavano. 
Draco si rialzò in fretta, nascondendosi dietro una tenda un secondo prima che l’amico passasse a tutta velocità.
Lo guardò divertito. Theodore era così ubriaco che non si era neanche accorto di aver mirato un ragazzino del primo anno, che fuggiva terrorizzato.
Abbassò lo sguardo, ancora frastornato, e vide qualcosa attaccato alla scarpa.
Una pergamena scritta.
La fissò indeciso per un secondo, chiedendosi se potesse sprecare il proprio tempo così.
In effetti, si disse, poteva almeno degnare di un po’ d’attenzione ciò che gli aveva salvato la vita.

Joyce sentì le lacrime pizzicarle gli occhi e si affrettò a raggiungere il bagno, prima che degli occhi indiscreti raggiungessero lei.
Camminando, ripeteva come un mantra “Michael. Ho lasciato Michael.”. Rivide nei suoi occhi la sfuriata che gli aveva fatto, beccandolo per l’ennesima volta a sbirciare le cosce di Nancy. Ripensò alla delusione che aveva provato vedendo Michael senza parole, che la fissava senza controbattere, senza difendersi, come se non gli importasse di nulla. Rivide ancora i suoi occhi che si allargavano appena mentre lei lo lasciava e metteva un punto a loro due, aspettando forse che lui dicesse qualcosa, che le venisse dietro mentre lei andava via, che dimostrasse di essere distrutto e non indifferente.
Invece, era rimasto lì seduto, lasciando che lei facesse tutto il lavoro per entrambi. Come ogni altra volta.
Nuove lacrime le scesero sulle guance, mentre Joyce camminava per la scuola.
Ovviamente, le disgrazie non venivano mai da sole. E la sua disgrazia maggiore le veniva incontro per i corridoi.
«Ti hanno finalmente espulso da questa scuola, perdente?» le disse il ragazzo, ridendo di gusto.
«Sarebbe più giusto espellere te da questo universo, Malfoy  Holden.»

Draco si fermò sull’ultima frase, rileggendo la parola barrata. Cos’era quel foglio?
E perché c’era il suo cognome? Era una coincidenza o qualcuno che lo idolatrava come tutta la scuola?
No, non poteva essere. 
Draco cercò di riflettere, tornando al suo dormitorio, sperando di non incrociare un Nott ancora in carica.
C’erano pochi Malfoy in giro per il mondo, pensò soddisfatto, ecco perché erano così preziosi.
Forse avrebbe potuto chiedere i diritti d’autore. O ricattare lo scrittore per guadagnarci qualcosa.
Perché no.
Si rigirò il foglio tra le mani mentre entrava nella sua stanza e si stendeva sul letto.
L’altra pagina era solo un mucchio di riflessioni su quanto la ragazza si sentisse male per quel tipo.
Una sola parola gli importava davvero.
Malfoy.
Sbarrato, come se avesse voluto fare fuori anche lui.
Guardando ancora quella parola, sentì la porta aprirsi e un mantello buttato a terra.
«Draco, amico, non sai che giornata pesante è…»
«Blaise» lo interruppe lui «i fogli da dove cadono?»
Blaise lo guardò stralunato, forse chiedendosi perché proprio lui dovesse sopportare il peso di quel ragazzo.
«Draco, arrivano da tutte le parti. Come faccio a risponderti? Non mi dire che ne stai facendo una delle tue.» gli disse esasperato. Dopo tutti quegli anni, sapevano entrambi le conseguenze dei piani geniali di Draco. E una di queste stava entrando barcollando in camera.
«Draco dove scei non sai quello che ti posso fare figlio di…»
«Io ho bisogno urgente di una doccia.» disse velocemente Draco, mettendo il foglio sotto al cuscino e scappando in bagno, prima che l’amico provasse ad afferrarlo, cadendo malamente sul letto.

Draco si vide camminare per i corridoi di Hogwarts, strafottente come al solito, lanciando occhiatacce ai più piccoli per il puro gusto di terrorizzarli.
Solo per mantenere alto il suo nome, giustificava lui.
Con tutta la calma del mondo, camminò verso la classe della Cooman incurante del ritardo e godendosi il corridoio vuoto.
Draco si vide assumere una faccia soddisfatta, alla vista di una chioma e due occhi che piangevano.
«Ti hanno finalmente espulso da questa scuola, perdente?» le disse, sentendo una risata sonora che usciva dalla sua bocca.
Qualcosa non quadrava, però.
Era una chioma senza volto.
Gli occhi erano spariti, non c’erano naso o bocca e Draco sentiva di aver dimenticato i suoi capelli ancor prima di averla lasciata.
Il volto informe lo guardò, anche se Draco non ne era poi così sicuro.
«Sarebbe più giusto espellere te da questo universo, Malfoy.»
Il manichino si girò e quasi scappò via, lasciando Draco con una smorfia disgustata sulle labbra e l’odio negli occhi.
Draco pensò che la odiava come poche persone, ma anche che adorava come lei gli teneva testa.
Era anche molto gentile, a farlo sfogare con i suoi insulti.
Pensò quasi che il manichino fosse una brava ragazza.
Poi scoppiò a ridere e andò via, certo di addolorare la Cooman con la sua assenza.

Draco si svegliò all’improvviso, sobbalzando sul letto.
Scalciò via le coperte e si batté una mano sulla fronte, colpito da quell’improvvisa illuminazione.
Ricordava quella scena e sapeva di aver insultato qualcuno con i lacrimoni, ma non ricordava chi.
Era sicuro che gli stesse sfuggendo qualcosa.
Quelle parole, quell’insulto, non gli erano nuovi. Persino quella sensazione assurda di odio affettuoso gli ricordava qualcosa.
Però, dannazione, insultava così tanta gente a caso che non guardava più in faccia nessuno. Questa volta più che mai, a quanto sembrava.
Al sicuro fra le tende del baldacchino, Draco riprese il foglio, dando un nuovo significato a quelle parole.
Forse Joyce era una ragazza vera.
Ma che nome era Joyce, poi?
Il Serpeverde appoggiò la testa sul cuscino, cercando di rivivere quella scena.
Rivide nella sua mente ogni battuta ed ogni movimento, ma la faccia della ragazza continuava a sfuggirgli.
Era davvero come se non l’avesse neanche guardata.
«Quindi,» disse il ragazzo a bassa voce, «in questa storia sono il bullo della scuola, che infierisce sempre nei momenti peggiori. Perfetto, finalmente qualcuno che capisca la mia arte.»

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Lozione per capelli ***


    CAPITOLO III - LOZIONE PER CAPELLI

 

«Guarda, non so tu, ma a me Hermione sembra più strana del solito.»
«Guarda, non so tu, ma a me sembra che tu debba chiudere quella bocca. O strozzarti con la colazione. Basta che tu stia zitto, Ron.» rispose Ginny al fratello, minacciandolo con il barattolo di marmellata.
«E avrebbe comunque delle ottime ragioni per star male, visto che le hai spezzato il cuore.»
«Ma se mi ha lasciato lei!»
«Non importa, glielo hai spezzato comunque. E poi, non prendiamoci in giro, aspettavi solo che ti lasciasse lei perché tu non avevi le palle per farlo.»
Ron la guardò rosso in viso, rimanendo senza parole di fronte a quell’insulto alla sua virilità.
Soddisfatta di aver iniziato bene la giornata, la Grifondoro tornò a concentrarsi sulla sua fetta di pane, lanciando uno sguardo alla sua amica.
«Herm, guarda che la colazione è ovunque, meno che sul pavimento. Che hai da guardarti intorno?»
«Ho perso, Ginny. Una cosa importante. Un foglio. Non funziona nessun incantesimo. Non torna, capisci? È andato per sempre.» disse Hermione con le mani tra i capelli, fissando una torta con uno sguardo disperato.
«Certe volte mi chiedo come tu faccia a dare così importanza ai tuoi compiti. Davvero, sono cose passeggere. Fra due anni andrai via da questo posto e “arrivederci e grazie”, come dice mamma. Dovresti staccare un po’ la testa e fare altro, dimentica lo studio e divertiti un po’, scommetto che ti farà bene! A proposito, vieni alla festa di stasera con me, ho deciso.»
Ginny la guardò con il suo miglior sguardo ottimista e le diede una pacca sulla spalla.
«Devo cercare il mio foglio, Ginny, non posso.»
«Non accetto scuse Herm, nella pausa vieni da me e troviamo qualcosa di carino per stasera. Non avvicinarti all’armadio di Calì e Lavanda, se non vuoi ritrovarti vestita da subrette.»
Detto questo, Ginny prese la sua borsa per andare via, ma si voltò indietro e aggiunse: «Ah, Herm, un’altra cosa: lascia stare quei capelli, fammi questo piacere come
regalo. Sono già un disastro senza che li aiuti tu.»
Forse la pagina è rimasta impigliata nei capelli, pensò Hermione, rassegnata dal suo tentativo di fare dell’humour.
Erano due giorni che cercava la sua pagina perduta per tutta la scuola.
Quando guardava gli altri studenti, vedeva ogni foglio che avevano in mano come quello che cercava e ogni dialogo che origliava sembrava fosse sulla sua storia.
Era arrivata persino a bloccare una ragazzina del terzo anno, convinta che questa lo stesse leggendo avidamente, per scoprire che era solo il giornale della scuola.
Aveva girato la scuola da torre a torre, evitando solo il sotterraneo delle serpi come la peste.
Alla fine, c’era un limite a tutto. Non si sarebbe mai abbassata ad entrare in quel covo di Mangiamorte. Per dire cosa, poi?
Ciao ragazzi, scusate il disturbo, non è che avete visto un foglio? Ci sono imprecazioni su un certo Michael, qualche lacrima qua e là, roba del genere insomma. Ah, per favore, evitate di offrirmi come vittima sacrificale.
Hermione scosse la testa decisa, portando qualche sguardo allibito su di sé. Anche Ron la guardò per un istante, ma non le disse nulla, timoroso di beccarsi qualche incantesimo.
In quei momenti, Hermione si consolava pensando che nessuno sapeva chi fossero Joyce o Michael. Quindi, avrebbero anche potuto trovare tutta la storia, poco importava.
No, si correggeva ogni volta, loro non devono trovare niente. Io sì.
Il problema, poi, era che non sapeva quale pagina avesse perso.
Sfogliando il manoscritto, aveva assegnato la pagina mancante ad una delle prime, nel periodo di passaggio tra la Joyce speranzosa ma distrutta e l’altra piena di felicità ma ancora più distrutta.
Una voce dentro di sé rise per la sua convinzione. E tu ti consideri piena di felicità?, le sussurrò.
Un sospiro profondo rispose per lei.
No, c’era ancora troppa strada da fare.
Aveva anche capito che un’intera facciata era riservata alle sue lamentele su Ron, ma ne aveva scritte così tante d’impulso che, alla fine, metà del suo libro si lamentava del ragazzo.
Sconfitta dalla sua ricerca, vagò per i corridoi e si ritrovò davanti alla finestra che aveva perso il suo segreto.
Guardò ogni piastrella, come tutte le altre volte, sperando di avere un lampo di genio e scorgere qualcosa di nuovo.
Un foglio di pergamena, per esempio.
Continuò a camminare a vuoto, urtando un paio di studenti e sperando che la pagina le piovesse dall’alto all’improvviso.
Si appoggiò al corrimano, dando uno sguardo alle scale in movimento.
Quando arrivò a quella del suo piano, pensò che qualcuno doveva avercela davvero con lei, perché una chioma bionda stava salendo svogliatamente gradino per gradino.
Malfoy è l’ultima cosa che mi serve in questo momento, pensò Hermione.
Quindi, prima che il ragazzo la vedesse, fece dietrofront e si fiondò sul ritratto della Signora Grassa alle sue spalle, sperando di far cambiare idea a Ginny sulla festa.

«Ginny, davvero, le paillettes ed io non andiamo d’accordo. Si incastrano nei capelli.»
«A quelli ci pensiamo dopo, forse diamo una spuntatina.» rispose Ginny con un sorriso malefico.
«Non azzardarti ad avvicinarti ai miei capelli, Ginny Weasley, o porterò la furia di Grattastinchi contro di te.» Hermione la guardò nel modo più minaccioso possibile,avanzando con il gatto in braccio verso di lei.
«Sì, Herm, mi piego alla forza di Grattastinchi, come vuoi tu. Ma capisci anche tu che stasera devi venire, no? Andiamo, Ron deve vedere come stai bene senza di lui, è la regola di ogni relazione.»
«Perché, Ginny, tu non hai nessun motivo per venire?» fece Hermione ammiccando, mentre dava un’occhiata timida ai vestiti succinti nell’armadio.
«Se ti riferisci ad un ragazzo speciale con la cicatrice sulla fronte, tranquilla, vivo benissimo così.»
«Gin, gli parlerò di voi due. Harry ti ama dalla prima volta che ti ha vista alla Tana, lo sai, ma ha paura  di farti del male.»
«Harry? Io parlavo di Seamus. Sai che ha anche lui una cicatrice vicino al sopracciglio destro?» rispose Ginny ridendo, prima di ricevere un cuscino in faccia.
«Tornando a noi, ho preso una lozione per capelli dalle Corvonero, giusto per farti sembrare una ragazza e non un nido d’uccelli ambulante. Adesso scegli un vestito, forza.»
Hermione guardò pensierosa l’armadio, prima di trovarsi un vestito rosso chiaro tra le mani.
Qualche secondo dopo, si guardò allo specchio, diversa come non lo era mai stata.
Doveva ammetterlo. In fondo, non le stava poi così male.
«Herm, stai attenta a Ron stasera, potrebbe voler tornare con te.»
«Ginny, gli stessi errori si fanno solo una volta nella vita. Non potrei ricascarci neanche tra un milione di anni.»
«Allora? Siamo d’accordo?»
«Magari, e dico magari, potrei fare un salto e vedere che aria tira. Solo il tempo di una Burrobirra, però.»
Le due ragazze si guardarono l’un l’altra, soddisfatte e speranzose che tutto andasse per il meglio. In quel momento, insieme alla sua amica del cuore dall’inizio di quell’avventura ad Hogwarts, Hermione si rese conto di quanto fossero cresciute entrambe, di come fossero cambiate dopo essere state pietrificate o possedute e, allo stesso tempo, di come fossero rimaste le stesse persone, perché non sarebbero mai riuscite a dimenticare.
Prima di uscire, la Grifondoro gettò uno sguardo allo specchio e dovette ricredersi: «Lo ammetto, Gin, questa lozione fa miracoli.»
Adesso i suoi capelli cadevano in onde morbide sulla schiena e non erano più una matassa confusa di capelli crespi.
Erano normali, proprio come voleva lei.
Scendendo le scale, si ripromise di staccare la testa e non pensare più a quel foglio che tanto la stava assillando.
Prima o poi, sarà lui a trovarmi, si disse.
Quella sera, si sforzò di dimenticare i suoi doveri di Caposcuola e tutte le regole che stavano infrangendo.
Hermione mise un punto alla ragazza bacchettona osteggiata da tutti.
Io non sono così, pensò, come tutte le altre volte, perché nessuno lo vede?
La ragazza trasse un respiro profondo e scese le scale con Ginny, pronta a mettersi alla prova una volta per tutte.
Dentro di sé, intanto, succedeva qualcosa di più importante.
Era finito il tempo della Caposcuola saccente e antipatica. Ormai, aveva infranto le regole troppe volte perché costringesse gli altri a rispettarle.
In fondo, nessuno conosceva la vera Hermione, eccetto i suoi pochi veri amici, che l’avevano vista spogliarsi della maschera della studentessa modello.
Perché non mostrarsi anche agli altri, quindi?
Varcando la soglia della Stanza delle Necessità, qualcosa in Hermione fece click.
Sarebbe cambiata, sapeva di meritarselo.
Non restava altro che iniziare.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Orgoglio e Draco ***


CAPITOLO IV - ORGOGLIO E DRACO

 

Draco guardò la mole di compiti che aveva da consegnare e sbuffò annoiato.
Pozioni, Divinazione, Cura delle creature magiche.
Guardò i suoi problemi uno per uno.

Buttò da parte i manuali di Divinazione e Pozioni. Avrebbe trovato qualche scusa con la Cooman, se si fosse sentito generoso, e Piton non gli avrebbe dato problemi.
Non aprì nemmeno il libro sudicio che aveva prestato loro Hagrid.
Dio solo sa quanti germi ci sono qui dentro, pensò Draco.
Prese un’altra delle pergamene destinate a bruciare nel camino e la guardò distrattamente prima di strapparla.
Come ogni altra volta.
Malfoy.
Holden.

Il ragazzo toccò leggermente il foglio, osservando l’inchiostro che invadeva con rabbia la filigrana.
Si passò le mani tra i capelli biondi, sperando in un’illuminazione, che aspettava da fin troppo tempo.
Perché dargli un altro nome?
Era così importante da avere un ruolo in quel romanzo rosa?
Probabilmente no, si disse, ma ormai ci era dentro. E non sapeva nemmeno chi ce lo avesse messo, poi.
Doveva ammetterlo, però. Ne era quasi contento.
Era da tanto che aspettava che qualcosa lo svegliasse un po’.
Aveva passato un’estate tremenda all’insegna di Mangiamorte falliti e il suo unico divertimento era stato tormentare il suo elfo domestico, che aveva troppa paura per rispondergli.
Che bestie inutili, pensò tra sé e sé.
Però, se lo sentiva da mesi.
Qualcosa mancava, un pezzo del puzzle che lo componeva doveva ancora essere incastrato.
E qualcosa gli diceva fosse un pezzo bello grande.
Verso il cuore, magari.
Era per questo che si sentiva così vuoto?
Gli avevano rubato il pezzo mancante o nessuno sapeva che Draco lo stesse cercando?
Anche se, in effetti, neanche lui lo sapeva.
Draco osservò la sua camera per la prima volta da mesi, chiedendosi cosa vedessero gli altri di lui.
Il baldacchino costoso? Il posacenere in ceramica o le camicie firmate con le sue iniziali?
Era ovvio che li vedesse anche lui, era pur sempre un Malfoy e sapeva riconoscere la qualità.
Però, c’era dell’altro.
Se lo sentiva.
Lui non era fatto solo di cose costose e cattiveria gratuita.
Certo, quella gli piaceva. Eccome.
Si divertiva parecchio a tormentare gli altri, giusto per ricordare a tutti che esisteva qualcun altro tanto importante quanto San Potter. Qualcuno tipo lui.
Ne aveva fatte piangere di persone, rifletté.
Persino qualche ragazzo, di tanto in tanto.
O una ragazza con degli occhi grandi e tristi, in questo caso.
Per la prima volta da quando quella pergamena era entrata nella sua vita, girò il foglio per leggere l’altra metà che non lo riguardava.

Joyce prese il suo diario e lo guardò, sperando di trovare la forza per andare avanti.
Guardò le pagine, ora piene di lacrime e di tristezza.
Andò all’ultima e vide le parole correrle incontro, come se aspettassero solo lei per essere scritte.
“Forse mi avrebbe lasciata Michael, se non lo avessi fatto io.
È stata questione di orgoglio.
Come se me ne fosse rimasto ancora un po’, poi.
Dio sa dove ho trovato il coraggio di farlo.
E lui, poi, che si preoccupa per me. Mi dice di non volermi parlare per non illudermi. Mi dice di non voler fare nulla per farmi stare male.
Tanto anche per lui era già finita, mi ha detto.
E lui come sta? Continua con la sua vita come se niente fosse, sta bene, studia e gioca sempre a Quidditch.
Lui non mi amava più da chissà quanto tempo e io me ne sono accorta solo quando l’ho lasciato.
Questo mi ha fatta arrabbiare più di quanto credessi.
Gli ho detto tutto ciò che pensavo e gliel’ho sputato come fosse veleno.
Gli ho detto che starò bene senza di lui, sopratutto senza di lui.
Non mi serve Michael per andare avanti.
C’è qualcosa che mi esplode nel petto, quando penso a lui. È rabbia per come sono andate le cose? O è tristezza perché lui non le ha volute cambiare?
Forse sono entrambe le cose.
Devo ricucire i pezzi dentro di me. Ne ho persi più di quanto avrei voluto.
Ma starò bene.
Me lo ripeterò finché non fingerò di crederci anch’io.”

Draco posò il foglio sul letto, sentendo una sensazione strana crescergli dentro.
Non avrebbe dovuto leggerlo.
Aveva letto il cuore di una persona e non sapeva nemmeno di chi.
Finalmente, però, dopo tanti giorni riuscì a far parlare quegli occhi che piangevano e lo allontanavano.
Li rivide nella sua mente.
Adesso, gli parlavano di Michael. Gli raccontavano la scena, lei che lo lasciava ma lei l’unica che piangeva, sicuramente.
Lei che andava via, con il suo orgoglio di ragazza ferito e il cuore a pezzi, e lui che la osservava inerte.
Guardando quelle parole, diede un senso completo alle sue lacrime.
Tuttavia, il colmo della situazione era che lui, Draco Malfoy, spietato Serpeverde che non conosceva altro culto che se stesso, compativa una ragazza che aveva scaricato il fidanzato.
Che senso aveva, poi, piangere e disperarsi se era stato lei a mollarlo?
È stata questione di orgoglio.
Come se me ne fosse rimasto ancora un po’, poi.

L’orgoglio.
Il suo eterno amico e la spina nel fianco di intere generazioni Malfoy.
Lo ripeté in mente e ne sentì il gusto agrodolce, che scivolava sulla lingua.
Non era forse per orgoglio, che era entrato nella squadra di Quidditch, per quanto gli piacesse correre?
E non era sempre per lo stesso motivo, che Ginny Weasley si era ritrovata posseduta e chissà quanta gente pietrificata, inclusa la Mezzosangue?
Tutto questo solo perché suo padre non accettava che il Signore Oscuro lo mettesse da parte.
Era sempre stata questione di orgoglio.
Si spiegava da solo e Draco lo sapeva benissimo, con i suoi genitori che gli inculcavano sin da piccolo l’importanza del suo nome.
L’orgoglio era insito in lui, nelle sue mani, nei suoi occhi e, sopratutto, nella sua bocca.
I primi anni, era per orgoglio che si vendicava delle offese degli altri, solo perché lui era un Malfoy.
Poi, semplicemente, le offese non erano più arrivate, perché l’orgoglio aveva dato i suoi frutti.
Draco si accese una sigaretta, pensando di non voler più lasciar andare quel foglio, ora che lo sentiva davvero suo.
Da quanto si portava dentro quei pensieri?
Da quanti anni covava rancore e amarezza?
Aspirò un po’ di fumo fissando il vuoto.
Era quasi un sollievo, sapere di non essere la persona vuota e crudele che tutti vedevano.
Guardò i letti di Tiger e Goyle, umili e semplici, chiedendosi se sarebbe mai stato capace di cambiare vita.
La morsa che gli prese il cuore gli rispose senza parlare.
.
Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e prese di nuovo in mano la pergamena, rendendosi conto di non ricordare nemmeno l’ultima volta
che aveva pianto.

In quel momento si aprì la porta e Blaise entrò canticchiando.
«Draco, amico, non dovresti isolarti sempre così. Fa male alla pelle, l’ho letto su una rivista. Sei pronto per la festa? È già da una settimana che non beviamo, ci farà bene.»
Draco lo guardò e sospirò brevemente.
«Una sbronza è ciò che mi serve, per oggi ho pensato anche abbastanza.»
Si cacciò la pergamena in tasca e diede un ultimo sguardo alla camera prima di uscire.
Io non sono così, pensò, perché nessuno lo vede?
Semplice, si rispose subito, perché non lo vedi neanche tu.

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Joyce ***


 CAPITOLO V - JOYCE

 

Hermione si sentiva fuori posto.
Non era mai stata alle feste clandestine della scuola, men che meno da quando era Caposcuola.
Non sapeva come comportarsi, in quelle occasioni.
Semplicemente non era nella sua natura, rilassarsi e infrangere le regole.
L’ultimo punto forse non era del tutto vero. In effetti, lei, Harry e Ron avevano dato parecchio filo da torcere alla McGranitt e a Silente, con le loro
continue fughe per fermare Voldemort.

Lì, almeno, erano giustificati.
In ogni caso, Hermione si sentiva fuori posto.
Continuò a ripeterselo mentre seguiva Ginny, cercando di soffocare l’ansia di essere scoperte.
«Ginny, io non mi sento molto bene. Vorrei tornare in camera e dormire un po’.» Disse Hermione allontanandosi.
«Herm, non azzardarti. Stasera sei uno schianto e devono vederti tutti così. Ti conosco, ti senti a disagio e va bene così, ma fidati di me, ti prego.» Ginny la guardò speranzosa, osservando quanto l’amica fosse combattuta.
«Va bene, ma sarà il tempo di salutare gli altri e andrò via, sai che non mi piacciono queste feste clandestine.»
«Hai fatto di nascosto la pozione Polisucco non so quante volte, hai cambiato aspetto per ingannare gli altri e hai paura di una festa clandestina?»
Hermione alzò le mani, sconfitta, seguendola per il corridoio vuoto.
Dal muro comparve una porta che Hermione conosceva fin troppo bene.
Si ricordò delle volte in cui lei e gli altri si erano rifugiati nella Stanza delle Necessità e, ogni volta, tiravano un sospiro di sollievo con gli occhi che brillavano.
Dopo essersi guardate intorno, le ragazze entrarono nella stanza.
Doveva ammetterlo, era una bella atmosfera.
Con le luci soffuse e la musica nell’aria, i ragazzi parlavano e bevevano in compagnia.
Qualche Grifondoro si occupava dei drink e Hermione riconobbe un Tassorosso a scegliere la musica.
«Non può essere lei.»
Appena sentì queste parole, una mano le toccò il braccio e lei si ritrovò un Harry stupito, con la cravatta allentata e un drink alla mano.
«Harry, che stai bevendo?»
«Sto parlando con la mia amica, che ha infranto tutte le regole della scuola con me per aiutarmi a salvare il mondo magico, o con una stupefacente
caposcuola in borghese?»

«Questa storia di salvare il mondo magico mi si ritorcerà contro, prima o poi.» disse lei a bassa voce. «Stasera faccio finta di non essere me, sono una ragazza qualunque che vuole rilassarsi un po’.» Spiegò Hermione guardando Ginny, che alzò il pollice in conferma.
«Herm, davvero, io non so come spiegartelo, ma sei…»
«Miseriaccia!»
Hermione sentì un sorriso nascere sulle labbra, a quella parola.
«Ciao, Ronald.»
Le guance del ragazzo avevano ormai raggiunto il rosso del suo vestito, mentre lui la guardava come se non la riconoscesse.
«Hermione. Tu. Rosso. I capelli. Sei diversa.» articolò lui, sbigottito.
«Sì, lo so. Grazie tante.» rispose velocemente lei, prima di trascinare Ginny su un divanetto vuoto.
«Ginny, io sono una brava ragazza. Non sono fatta per queste cose, farmi tutta carina mentre lui resta a bocca aperta. Mi sento a disagio, lo sai. Però…»
«Herm, però?»
«Però, forse, potremmo prendere qualcosa da bere e poi andare via.»
«Questa è la mia ragazza. Benissimo, vieni con me e ubriachiamoci.» le disse Ginny trascinandola via, senza darle tempo di rispondere.
Qualche minuto dopo, Hermione si ritrovò in mano un bicchiere con un liquido rosso scuro.
Lo assaggiò lentamente, facendo una smorfia.
«Ginny, ma cosa mi hai dato? È dolcissimo!» 
«Buono, vero?» le disse Ginny ridendo.
Hermione la guardò sorridendo, sentendo il liquido che si diffondeva nel corpo.
Era bello sentirsi normale, per una volta. Senza le ansie da Caposcuola, senza la preoccupazione che i piccoli del primo anno potessero perdersi per i corridoi.
Solo lei e i suoi amici.
Una ragazza normale in una serata normale.
Camminò un po’ per la sala, osservando le decorazioni.
Ferma in un angolo, guardò Harry e Ginny, a ridacchiare in un angolo per chissà cosa. 
Sospirò brevemente, ripromettendosi di fare un bel discorso a Harry, prima o poi.
Ginny si girò a guardarla, facendo segno di raggiungerla.
Hermione mosse un passo verso di lei. Un secondo dopo, si ritrovò stesa a terra.


Draco si strofinò la fronte, finendo un bicchiere dopo l’altro, sperando che arrivassero a bruciargli il cuore.
Purtroppo per lui, Draco reggeva bene l’alcol.
Dopo il terzo drink, si rese conto che non avrebbe risolto nulla e ci rinunciò.
Accasciato su una sedia, ascoltò distrattamente gli altri parlare, concentrato a giocherellare con le punte della pergamena nella sua tasca.
Sentiva quel foglio come fosse una patata bollente nella sua tasca, qualcosa che gli bruciava sulla coscia e che aspettava solo di tornare dalla sua
proprietaria.

Da Joyce.
Draco aveva paura che, rileggendolo, si rendesse conto di essersi inventato tutto.
Realizzò quella paura prendendo il quarto drink.
Cosa sarebbe successo, se si fosse trovato da solo con tutti quei sentimenti che aveva scoperto di avere, senza il conforto di quel singolo foglio?
Fece vagare lo sguardo per il resto della stanza, sperando di trovare all’improvviso Joyce, che era sempre più curioso di conoscere.
A dirla tutta, si conoscevano già.
O almeno, così diceva il foglio sacro.
Non era riuscito a ricordare chi fosse la ragazza insultata, il suo volto era rimasto una forma indefinita e due occhi che piangevano.
Però, sapeva di avere qualcosa in comune con lei.
Lo aveva capito lui e lo avrebbe fatto anche lei. Ne era sicuro.
Stanco di sentire gli altri che blateravano, andò alla finestra per rileggere ancora una volta quelle parole.
Devo ricucire i pezzi dentro di me. 
Ne ho persi più di quanto avrei voluto.
Anche lui aveva perso qualche pezzo, leggendo quella pergamena.
Ora gli mancavano più tasselli del puzzle. Non più solo vicino al cuore, ma anche sulle gambe, sulla testa, sul torace.
Gli era mancata la sua sicurezza. Adesso, l’orgoglio dei Malfoy di cui era tanto fiero gli sembrava vano, inutile, persino dannoso per gli altri.
Fu sconcertato all’idea di quante persone erano state rovinate dalla sua famiglia, da suo padre, solo per tenere alto il nome dei Malfoy.
O per il Signore Oscuro?
Che poi, vuole dominare tutti e non ha nemmeno il naso, pensò ridendo tra sé.
Tutto solo, lì alla finestra, pensò alla sua decisione di cambiare vita.
Non era sicuro lo avrebbe fatto per davvero, ma voleva mettersi almeno dalla parte del destino e aiutarlo a fare il suo corso.
E poi, da dove iniziare?
Forse sarebbe successo qualcosa, prima o poi.
Sarebbe stato felice, chissà. 
Esisteva la felicità abbinata ad un Malfoy? Abbinata a lui?
Forse sì, si disse, quando troverò tutti i tasselli del puzzle.
Accarezzò la pergamena, immaginando un libro intero di Joyce, di Michael e, perché no, anche di Holden, almeno in una pagina.
Joyce portava tutti i tasselli in una mano, ne era sicuro.
Trovata lei, tutto sarebbe andato al suo posto.
Lui sarebbe stato felice.
Lo avrebbe urlato a tutti. Io sono Draco Malfoy e sono felice.
Le parole non stonavano tra loro. Anzi, erano piene di speranza.
Per la prima volta da mesi, Draco si sentì bene con se stesso. Cos’era, ottimismo?
E cos’era quello che si sentiva sulle labbra, un sorriso?
Poteva essere, ma questo gli bastava per il momento.
Fino a quando non avesse conosciuto Joyce.
Joyce, Joyce, Joyce.
Joyce.
Ripeteva quel nome nella sua testa da giorni senza sapere a chi associarlo, amando sempre di più quel suono.
Joyce.
Perso nei suoi pensieri, con un sorriso sognante stampato sulle labbra, Draco si lasciò cullare dalla brezza leggera che entrava dalla finestra.
Un secondo dopo, il foglio non era più nelle sue mani.
Alzò lo sguardo, spaventato di aver perso il suo oggetto rivelatore, e iniziò ad inseguirlo per tutta la sala, spostando chiunque per non perderlo di vista.
Poco dopo, lo trovò a terra.
Si chinò a raccoglierlo e, in quel momento, incontrò una mano sottile che faceva lo stesso.
Allora, lo seppe.
Joyce.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - Occhi grandi ***


                                                             CAPITOLO VI - OCCHI GRANDI

 

La prima cosa che Draco vide furono gli occhi grandi che tanto lo avevano tormentato. Adesso, però, erano un po’ meno tristi di prima.
Qualche secondo dopo, ci unì un bel naso fine, delle labbra carnose e un fiume di riccioli marroni.
Oddio, no.
Fu in quel momento che la sua salvatrice parlò.
«Malfoy, molla quel foglio. È mio.» disse Hermione in tono protettivo.
«Joyce? Sei tu?» Draco la guardò stralunato, osservandola da capo a piedi.
«Che hai da guardare? Davvero, lascia la pergamena. Mi serve per un tema. E non esiste nessuna Joyce.»
Draco continuò a guardarla, con il foglio stretto in mano.
Fece vagare lo sguardo dalla sua mano al foglio, dal foglio alla mano di Hermione e alla sua faccia.
Poi, più incredulo di prima, ricominciò da capo.
«Non ci credo. Io cerco di essere felice, ripongo tutte le mie speranze nella donna della mia vita e questa è la Mezzosangue.» sospirò il ragazzo, scuotendo la testa, ancora seduto a terra.
«La donna di che? Io non sono la donna di nessuno. Non te lo ripeto più. Dammi la pergamena.»
«Tu non puoi essere Joyce. Lei è sensibile, amareggiata, lei mi capisce! E poi tu non hai lasciato proprio nessu…» Draco alzò lo sguardo e vide Ron, che guardava i due nella confusione più totale.
«Ah, Weasley. Ora capisco tutto. Lo scimmione indifferente è il tuo caro rosso. Bella descrizione, complimenti.»
«Ti ringrazio.» borbottò Hermione turbata, piegando la testa. «Mi sono fatta prendere, tutto qui. Adesso scusami, ma devo andare. Tu puoi restare qui a terra, se ci tieni.»
Draco le prese il braccio in fretta. «Granger, ho bisogno di parlarti. Non puoi dirmi di no.»
«Sì che posso: no. Addio, Malfoy, e non parlare di ciò che hai letto con nessuno.» Hermione gli sorrise con finta gentilezza e raggiunse la porta della Stanza, pronta a portare l’ultimo pezzo della storia al suo posto.
Draco sbuffò, seguendola fuori. «Granger, davvero. Non so cosa hai scritto, ma ne ho bisogno. Io devo leggere il resto.»
«Non c’è niente da leggere, quindi vai via, prima che ti lanci una fattura.» Hermione lo guardò in modo minaccioso e lo superò, imboccando il corridoio.
«Quindi, presumo che domani mattina ognuno leggerà il tuo bel romanzetto rosa dalla copia che ho nella mia stanza. Immagino già la faccia dello scimmione, con la bocca aperta e le guance rosse. Secondo te quanto ci vorrà, prima che capisca che parli di lui?» disse Draco, appoggiandosi ad una colonna con aria soddisfatta.
Hermione chiuse gli occhi indispettita, fermandosi di scatto.
«Voi Serpeverde dovreste estinguervi. Nulla di personale.»
Draco fece spallucce, indifferente a quel commento. 
«E voi Grifondoro siete tanto coraggiosi quanto stupidi. Nulla di personale. Andiamo, Mezzosangue, ne va della mia felicità. Non vuoi che io sia felice?»
«No, Malfoy, nel caso in cui non lo avessi ancora capito. Non me ne importa nulla di te. E non mi piacciono le minacce a vuoto.»
«Granger, mi sono mai abbassato a tanto? Di me puoi dire tutto, ma non che non mantengo le promesse. Devo sapere come essere felice e il tuo libro me lo dirà, ma non posso leggerlo se non me lo dai tu. Credimi o no, non è stato bello leggere quella pagina senza sapere chi stesse scrivendo. Dammi il tuo scritto, lo disinfetterò, lo leggerò e poi vedremo il da farsi.»
«Non c’è proprio un bel niente da disinfettare! Il mio libro non è sporco e non lo sono nemmeno io, per quanto ti ostini a pensarlo. E poi, non sono stupida. Più pagine ti farò leggere, più potrai minacciarmi.»
«Granger, sei più ostinata della McGranitt. Fammi leggere ciò che hai scritto e non succederà nulla. Te lo prometto, parola di Malfoy.»
«Stai solo peggiorando la situazione, Malfoy, credimi. Ti farò leggere una pagina e basta, nulla di più. Così, magari, mi lascerai in pace.»
Hermione lo guardò rassegnata e si sentì all’improvviso smascherata, nuda di fronte all’unica persona che aveva letto i suoi sentimenti.
L’ultima che avrebbe dovuto leggerli, pensò.
«Sono un uomo semplice, mi accontento. Domani mi porterai una pagina e il segreto della felicità. Poi si vedrà.»
Hermione fece una smorfia disgustata, alla visione di Draco che sorrideva entusiasta.
«Malfoy, tu lo sai che leggere il mio libro non ti renderà felice, vero?»
«Può darsi, ma devo tentare. Domani sarò la tua ombra, Mezzosangue.»
Detto questo, Draco scivolò via e scomparve, lasciando Hermione da sola nel corridoio.
Quale maledizione aveva avuto, perché lei e Malfoy condividessero il suo segreto?
Hermione si batté una mano sulla testa, pensando alla sua sfortuna perenne.
D’altro canto, però, era anche una nuova avventura per Joyce.
In fondo era contenta di aver scoperto quel lato di sé, per quanto questo la portasse ad avere a che fare con gente poco raccomandabile come Malfoy.
Si affrettò a tornare al dormitorio, con le idee per la sua storia che le ronzavano in testa.
Avrebbe dato a Draco la prima pagina della sua storia. Magari si sarebbe ricreduto e avrebbe lasciato perdere tutto.
Sperava fosse così. Più o meno.
Allo stesso tempo, però, lo conosceva. Testardo e perfido come ogni Serpeverde.
Non avrebbe mai rinunciato, non prima di leggere tutto.

Poco dopo essere tornata, Hermione riprese il blocco di fogli e inspirò profondamente, rendendosi conto solo adesso di quanto fosse andata oltre in quella situazione assurda.
All’improvviso le tornarono in mente tutte le serate passate furiosamente a scrivere, protetta dalle mura del suo baldacchino.
Si ricordò, come in un flash, delle lacrime versate sulla pergamena, con l’inchiostro che scivolava via. Sentì un sussulto al cuore, alla vista delle parole rabbiose che sembravano voler scappare dal foglio.
Non era forse anche quella, un tipo di magia?
Intrappolare la propria rabbia e lasciarla a marcire lì dentro, aspettando che scorresse via da sola, senza farsi più sentire?
Hermione scosse la testa stancamente.
Prima o poi la farò finita con questa roba, si disse.
Poi, però, la sua mente iniziò a viaggiare.
Hermione vide Joyce, se stessa, e un nuovo risvolto della sua vita, positivo o negativo che fosse.
Holden.
Era pericoloso, lo sapeva, ma avrebbe potuto aiutarla ad andare avanti.
Andare oltre Ron e Michael, oltre tutto ciò che aveva scritto e che si portava dentro. Oltre tutto ciò che nemmeno lei sapeva di avere dentro di sé.
Nonostante tutto, però, era pur sempre Malfoy, serpe o furetto che fosse. 
E lei, poi, era una Grifondoro come mai lo era stata prima. Fiera e testarda come sempre, mai disposta ad abbassare la testa.
Forse, però, questa volta sarebbe stata costretta a farlo.
O era solo un compromesso? le suggerì la voce dentro di sé.
Sotto sotto, non era stato costretto anche Malfoy a venire a patti con se stesso, per parlare con lei? O per dipendere da lei, come lui diceva di fare?
Forse, aiutandolo avrebbe aiutato se stessa.
Per un attimo, le si parò davanti agli occhi uno scenario assurdo.
Se avesse aiutato Draco Malfoy ad essere felice, anche lei lo sarebbe stata.
Hermione sospirò, sperando che quella tortura finisse presto.
Tornò all’inizio del suo manoscritto sfogliando con cura le pagine.
Le sembrava così lontano il giorno in cui era nato il primo capitolo, piangendo e sbuffando di rabbia. Lo ricordava ancora. In realtà, non credeva lo avrebbe mai dimenticato.
Era entrata in camera così furiosa da cacciare fuori Calì e Lavanda senza farle nemmeno protestare. Si era guardata intorno arrabbiata, probabilmente cercando qualcosa da spaccare, ma aveva trovato solo il calamaio e una pergamena vuota, come se la stessero aspettando.
Alla fine, le invettive contro Ron erano diventate qualcosa di più.
E adesso, eccola a garantire la felicità di quella serpe.
Fece una copia della prima pagina, senza sapere in cosa sperare.
Cosa avrebbe preferito, che Malfoy si innamorasse delle sue parole, o che ne fosse deluso e disgustato?
Non lo sapeva, ecco tutto. Restava a lei decidere se scoprirlo o no.
In quel momento, la porta della camera si spalancò.
«Hermione, mi spieghi perché mezza scuola parla di te e Malfoy che scappate via insieme su una scopa?» le chiese Ginny stupefatta, stendendosi sul letto.
«Abbiamo solo parlato per un po’ fuori dalla Stanza della Necessità. Nessuna scopa e nessuna fuga romantica, non preoccuparti.»
«Ne sono un po’ delusa, lo ammetto. Però sono curiosa, voglio sapere qual è il miracolo che ha fatto parlare Hermione Granger e Draco Malfoy in pace per più di 5 minuti.»
«È una storia lunga, credimi. E non abbiamo parlato in pace. Ci siamo azzannati, piuttosto.»
«Herm, sono la tua migliore amica e abbiamo tutta la notte. Devi dirmelo, non si discute.»
Hermione sospirò, passandosi le dita sulle palpebre.
Lanciò uno sguardo all’amica, aprì la scatola e ne uscì i fogli, pronta a tornare ancora una volta all’inizio della sua storia.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII - Trasfigurazione ***


  CAPITOLO VII - TRASFIGURAZIONE

 

Per qualche secondo, il risveglio di Hermione fu pacifico.
Con la mente vuota, lasciò vagare lo sguardo sul tessuto del baldacchino sopra di sé, pensando che quella gradazione di rosso fosse davvero piacevole.
Somigliava quasi a quella del vestito della festa.
La festa.
Hermione si alzò di scatto, mettendosi una mano nei capelli, sentendoli morbidi come la sera precedente
Si ricordò di Malfoy, della sua minaccia e della sua disperazione.
Scese dal letto lentamente, vedendo la copia del suo scritto sulla scrivania, pronta per essere consegnata.
Sospirò profondamente, strizzandosi gli occhi con le dita.
Perché tutte a me?, si chiese esasperata.
Continuò a farsi la stessa domanda poco dopo, mentre scendeva per la colazione, con la pergamena che sembrava fremere nella sua borsa di pelle.
Si affrettò verso i suoi amici, dando le spalle al tavolo dei Serpeverde senza pensarci due volte.
Magari era ubriaco e se n’è dimenticato, pensò speranzosa.
Fissò la sua tazza di caffè, cercando di ignorare la delusione velata a quell’eventualità.
Ma alla fine, cosa aveva da essere delusa? Se se fosse dimenticato, avrebbe ripreso la propria vita come prima, in santa pace.
Oppure era proprio quello il problema?
Riprendere la vita di prima.
Passare i pomeriggi in sala studio con i suoi soliti amici, rimproverandoli perché copiavano di nascosto i compiti. Preoccuparsi solo di aver ripassato abbastanza ogni materia e, forse, nulla di più.
Hermione lo sapeva, per dimenticarsi di Ron avrebbe dovuto cambiare qualcosa. Non le bastava più ripetersi che stava bene e che non le importava di cosa facesse lui.
Non le importava davvero, ma aveva bisogno di altro.
E, allora, per la prima volta nella sua vita, si ritrovò a sperare che Malfoy non avesse dimenticato di averla minacciata. 
Passò la sua colazione così, sgranocchiando qualche biscotto e analizzandosi in silenzio, cercando di capire cosa stesse cercando dalla sua vita.
Alzandosi dalla panca, in effetti, era così pensierosa che fu lei a dimenticarsi delle parole del ragazzo.
Camminando in silenzio per i corridoi semivuoti, fece passare lentamente le dita per il corrimano, facendole scontrare con i rilievi in marmo.
Pochi secondi dopo, fu trascinata nell’aula di Trasfigurazione da Malfoy.
«Allora?» le chiese impaziente.
«Malfoy, per l’ultima volta, non so cosa tu abbia visto in quella pagina, ma ti sei sbagliato. Non c’è nessuna ancora di salvezza per te, sono solo
parole di una persona molto arrabbiata. Stiamo entrambi sprecando il nostro tempo.»

Hermione fece un inutile tentativo di lasciare l’aula, combattendo con quella parte di sé che sperava lui la trattenesse. Voleva che qualcuno la
leggesse, la capisse, voleva parlare e urlare e perdere il suo solito controllo, una volta per tutte.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Malfoy le prese un braccio, fulminandola con lo sguardo, ma tremando di paura dentro di sé.
«Granger, ieri sera dicevo sul serio. Sì, mi servono quelle parole, e sì, farò sapere a tutti del tuo piccolo segreto se non me le dai.»
Hermione sospirò per l’ennesima volta dall’inizio della giornata, arrendendosi finalmente a quella situazione. Aprì lentamente la borsa, sfilando la pergamena dagli altri libri e guardandola un attimo, prima di passarla a Draco.
«Questa è la prima pagina- gli spiegò -non ho idea di cosa potresti ricavarci. Buona fortuna.»
Lasciò l’aula con una strana sensazione in corpo, senza sapere bene cosa provasse.
Lei, Hermione Granger, aveva rivelato la parte più intima di sé all’ultima persona che avrebbe dovuto mai scoprirla.
Avrebbe voluto dimenticare tutto, non fosse stato per una piccola parte di lei, quella esaltata per questo cambiamento improvviso.

All’ora di pranzo, Hermione si era già data della stupida almeno 10 volte.
Ad ogni angolo che svoltava era convinta di trovare una folla di persone a ridere di lei e dei suoi pensieri, oltre che un Ronald particolarmente rosso per la rabbia.
Invece, l’unica persona che trovò fu Ginny, che scattò in piedi all’improvviso.
«Allora, glielo hai dato?» Esclamò con gli occhi che luccicavano.
«Seriamente, Ginny, devi calmarti. Gli ho dato la prima pagina e basta, così la smetterà di assillarmi.»
«Hermione, scherzi? Non gli farai leggere anche il resto del libro?»
«Certo che no! Non sono così stupida da farmi ricattare così. Se continuerà lo pietrificherò fino alla fine dei suoi giorni e basta. Farò un favore al
mondo magico.»

«Se non vuoi fargli leggere tutto, allora, perché hai scelto la prima pagina? E non la decima? O la trentesima?»
Hermione la guardò indispettita, senza sapere cosa rispondere.
«Tu fai troppe domande, ho scelto la pagina a caso! Mi fai quasi pentire di avertelo detto, smettila di assillarmi.»
Ginny rise di gusto, sputando un po’ di caffè.
«A caso, come no. Tu non fai nulla a caso. Ti aspetto stasera in sala comune.» disse alzandosi, lasciandole un bacio sulla guancia.
Hermione scosse la testa, arrendendosi alle parole dell’amica.
Alla fine, che senso aveva dargli una pagina a caso? Tanto valeva che leggesse la storia per bene.
Sì, era solo quello il motivo. Non c’era nient’altro.
Non la speranza che lui trovasse davvero la felicità in quel modo assurdo, o che la trovasse lei.
Nemmeno la convinzione sottile che così avrebbe stravolto un po’ la sua vita.
Si spostò furiosamente i capelli sulle spalle, avvampando all’improvviso.
Era stata una stupida, a lasciarsi beffeggiare così facilmente.
Aveva passato sei anni a combattere Voldemort e la sua cricca di pazzi per essere imprigionata lì, con le sue stesse mani.
Forse stava esagerando. O forse no.
Non riusciva più a pensare, tanto si sentiva sopraffatta da quella situazione.
C’era un solo modo per scoprirlo.
Un sorriso comparve sulle labbra della Grifondoro.
Veritaserum.
Finalmente, la soluzione le arrivava all’improvviso come le altre volte.
Una piccola goccia e avrebbe saputo la verità.
Doveva solo capire quando fregarlo.
«Hermione, non sapevo fossi così contenta per me! Ho fatto solo un po’ di progressi a Quidditch, niente di più. Che hai da sorridere tanto?» Harry le passò una mano davanti agli occhi, iniziando a preoccuparsi davvero per lei.
«La verità, Harry. Verrà tutto fuori il prima possibile.» 
«Herm, te lo giuro, sono migliorato davvero. Perché dovrei mentirti?»
«Aspetta, di che parli?»
«Dei miei progressi a Quidditch. Vuoi dirmi che ti passa per la testa in questo periodo? Non ti ho mai vista così strana.»
«Niente, Harry, non preoccuparti. Tu pensa al Quidditch, io penso alla verità. A proposito, non avresti mica una boccetta in più di Veritaserum?»
«Herm, guardami bene negli occhi. Ti sta succedendo qualcosa e lo vedo. Sì, ne ho un paio da parte. Se te le do, dovrai spiegarmi tutto, non sopporto di vederti così. E non mi dire che è per qualcuno in particolare.» Harry inclinò la testa goffamente, indicano Ron che mangiava indisturbato.
«Stasera parleremo, promesso. Sei un angelo.»
Con la testa per aria, Hermione si alzò dalla panca e sembrò quasi volare verso il corridoio, felice di sapere finalmente cosa stava architettando quel
maledetto di Malfoy.

Avrebbe aggiustato tutto, se lo sentiva.
Intanto, il centro di tutti i suoi piani le veniva incontro in quel momento.
Hermione lo osservò appoggiata ad una colonna, approfittando di quel momento in cui Draco non sapeva di essere guardato.
Aveva lo sguardo perso, doveva ammetterlo.
Lo vide unirsi ad un gruppo di Serpeverde tenendosi in disparte, senza nemmeno ascoltare la loro conversazione.
La ragazza sentì le sue labbra curvarsi in un piccolo broncio.
Era palesemente solo, a parte per la compagnia di quel santo di Blaise.
Aveva ancora la stessa espressione quando il gruppo le passò accanto, ignorandola come le altre volte.
Pansy Parkinson le diede una lieve spallata, guardandola di traverso. Lei non sembrò quasi farci caso, tanto aveva la testa rivolta alla solitudine di Draco.
Fu a quel punto che lui alzò lo sguardo. Si guardarono per qualche secondo, ricordandosi del loro patto.
Del loro segreto, piuttosto.
Che fosse davvero capace di aiutarlo ad essere felice?
Lui la salutò con un cenno del capo, passandole accanto, sfiorandola appena.
Per qualche minuto, Hermione rimase a guardare il vuoto che lui aveva lasciato.
Sospirò esasperata.
La situazione stava degenerando.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII - Arrosto per cena ***


CAPITOLO VIII - ARROSTO PER CENA

 

Anche Draco stava pensando ad Hermione, al momento del loro incontro.
Si era reso conto solo allora di quanto lei si fosse fidata di lui, lasciandogli quei pensieri così intimi.
Loro non erano due persone normali, lo sapevano bene entrambi.
Lei era la Mezzosangue. La Mezzosangue che gli aveva anche dato un pugno, in particolare.
E lui, beh, lui era Draco Malfoy. Si spiegava da sé.
Lei, la Mezzosangue, aveva affidato quella parte così delicata di sé a lui, Draco Malfoy.
Pensava esattamente a questo quando si guardarono e lui annuì, come a ringraziarla di quella fiducia.
Io sono tutto, ma non un traditore. Fidati di me, Mezzosangue, fallo per una volta.
Si rese conto quasi con orrore di essere ormai totalmente preso da quella storia.
Bastava così poco per farlo ossessionare?
Era davvero così infelice?
I suoi sarebbero diventati delle belve, se solo avessero saputo che dipendeva per così poco da una ragazza. Da quella ragazza, poi.
Sua madre, forse, lo avrebbe anche capito. Lei era sempre stata la più umana della famiglia, in fondo.
Ma suo padre, lui proprio no. Anzi, lo avrebbe costretto subito in uno di quei matrimoni combinati dai quali era finalmente riuscito a fuggire.
Come se fosse normale, poi, sposare sua cugina.
Si ritrovò a sperare che la sera arrivasse il prima possibile.
Non voleva saperne di sigarette, feste e alcol. Voleva solo stare da solo con la Mezzosangue.
Si bloccò di scatto a quel pensiero.
No, non con la Mezzosangue.
No, no, no.
«No, hai capito?» disse guardando Blaise, per ribadire meglio il concetto.
«Draco, se vorrò fare yoga stasera sono affari miei e basta. Non impicciarti.»
Anche Blaise aveva notato la stranezza del suo amico, ma si divertiva a prenderlo in giro fino a quando non avesse vuotato il sacco. Lo conosceva bene, prima o poi lo avrebbe fatto.
Intanto, divertirsi un po’ non faceva male a nessuno.
Draco scosse la testa confuso, tornando al proprio esame di coscienza.
Per una volta nella vita, non aveva cattive intenzioni.
Sapeva di non voler far soffrire la Mezzosangue, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta.
Si era persino dato dello stupido, per essersi inventato quel ricatto idiota. Non aveva mai pensato di ricattarla. E poi, all'inizio non sapeva nemmeno chi ricattare.
Anche la Granger lo avrebbe capito, prima o poi.
Si alzò dal tavolo senza aver quasi toccato cibo.
Sentiva la pergamena nella sua borsa, pesante come non mai. Sembrava aspettare con lui il volgere della sera, quel momento idilliaco in cui sarebbero stati solo lui, il suo baldacchino ben protetto da sguardi indiscreti e la sua pergamena.
Non osava leggerla prima. Anche questa era stata una dura verità da ammettere, ma aveva paura di come avrebbe reagito, anche se non si aspettava
nulla dalla prima pagina di un libro.

Era davvero arrivato a questo punto?
A quanto pare, vecchio mio, sì, pensò la sua coscienza per lui.

La cena, finalmente, arrivò senza troppi indugi.
Al sicuro dal suo tavolo, Draco spiò la Mezzosangue, osservando per la prima volta i suoi lineamenti.
In realtà, si rese conto di conoscerla già. Dopo tutti quegli anni, aveva imparato le sue abitudini senza nemmeno rendersene conto.
Non si stupì di vederla spostarsi i capelli sulla schiena, o di mordersi un labbro con fare stanco.
Lo fa quando è nervosa, registrò la sua mente.
Era colpa sua, lo sapeva.
Però, si rese anche conto che, dentro di sé, lei era rimasta la bambina boriosa del primo anno.
Nella sua testa, lei non era mai cresciuta, perché non gli era mai importato nulla di lei.
Adesso, il ghigno saccente da undicenne era diventato un paio di labbra carnose e sorridenti, le gambe piccole e sottili si erano trasformate, chissà quando, in gambe lunghe e slanciate.
Solo i capelli erano rimasti uguali, notò sorridendo.
Sembrava quasi fargli tenerezza, così tranquilla e indifesa, protetta dai suoi amici Grifondoro.
Peccato che fosse una mezzosangue, altrimenti sarebbe andata diversamente tra di loro, forse.
Draco sospirò per l’ennesima volta in quella giornata.
Sì, era davvero disperato se era arrivato a considerare la Mezzosangue come una persona.
Peggio, come una ragazza carina.
Poggiò le mani sugli occhi, sperando che quella lotta interiore avesse finalmente fine.
C’era solo una soluzione.
Blaise.
Si girò deciso verso il suo amico.
«Blaise, senti qua. Tu stai morendo di fame e davanti a te c’è un arrosto che hai assaggiato appena e che ti sembra buonissimo. Però, lo ha fatto il tuo nemico giurato. Quindi, da una parte vorresti che quell’arrosto non finisse mai, perché è buono e ti farebbe passare la fame. D’altra parte, è del tuo nemico, quindi vorresti finirlo subito per non averci più a che fare. Ma è buono. Credimi, davvero buono. Ma è del tuo nemico. Tipo, l’ultima persona al mondo dalla quale vorresti un arrosto. Che fai?»
Blaise lo guardò per qualche secondo, cercando di decifrare il messaggio in codice del suo amico.
«Ha a che fare con il modo con cui guardavi Hermione prima?»
«Io. Guardare la Mezzosangue. Guardare la Mezzosangue come se mi piacesse. Non prendiamoci in giro. Rispondimi, che fai? Mangi l’arrosto con calma o lo divori e scappi via?»
Blaise gli si avvicinò con fare sornione.
«Amico, non ho mai detto che la guardavi come se ti piacesse. Se vogliamo dirla tutta, io mi gusto l’arrosto boccone per boccone. Se mi fa stare bene l’arrosto, mi fa stare bene il nemico. C’è poco da fare.»
No, non era la risposta che stava cercando.
Decisamente no.
Continuò ad arrovellarsi andando in camera sua.
Finalmente, si trovò in quello che aveva battezzato il suo nuovo Paradiso personale.
Lui, il suo letto e i fogli della Granger.
Mancava ancora qualcosa, ma avrebbe trovato una soluzione, prima o poi.
Stendendosi comodo, iniziò a leggere.

Chi aveva dato il permesso ai fiori di essere gialli? E agli alberi di essere verdi?
Chi, in tutto questo universo assurdo e catastrofico, aveva permesso al mondo di essere colorato, quando lei vedeva tutto nero?
Come si permettevano gli altri di ridere, quando lei piangeva?
E poi, soprattutto, come diavolo si permetteva Michael a stare lì ad ingozzarsi di cibo, mentre lei gli  chiedeva di parlare?
Ma insomma, era l’unica a voler fare qualcosa per salvare il loro rapporto?
Come aveva fatto a non notare la sua tristezza, la sua malinconia, qualunque cosa fosse?
Cazzo, aveva passato giorni a rispondere alle domande preoccupate dei suoi amici.
Aveva risposto a tutti, meno che all’unica persona che avrebbe dovuto chiederle qualunque cosa.
O preoccuparsi. Interessarsi, almeno.
E invece, quello sembrava il suo destino.
Lei a chiedergli di parlare e lui ad ingozzarsi di patate e salsiccia.
Ormai non faceva più caso a quelle poche smancerie che lui le aveva riservato tanto tempo prima.
Non le importava più, ormai. Non contavano più nulla.
Che differenza faceva, allora, continuare a stare insieme?
Sarebbe stato così per tutta la vita, se fossero diventati entrambi Auror?
Poteva davvero farsi questo?
Per la prima volta, Joyce pensò ad una vita senza tutta quella rabbia verso Michael. Senza tutto quel rancore per le sue fisime irrisolte.
Non ne poteva davvero più di addormentarsi piangendo, ossessionata dal pensiero che lui non avesse solo guardato le gambe di Nancy, ma fosse andato oltre.
Che aveva lei, che non andava?
Cosa avevano di più le altre ragazze?
Lei aveva persino provato ad essere sensuale ai suoi occhi. Si era vestita attillata per un po’, aveva accorciato l’orlo della gonna e aveva fatto la carina con lui.
Come sempre, però, se n’erano accorti tutti, ma non Michael.
«Stai bene così, Jo.» erano state le sue uniche parole.
Niente di più, niente di meno.
Anche James sembrava essersi ammutolito per qualche secondo.
Aveva avuto l’impressione che persino la cricca di quell’idiota di Holden stesse bisbigliando qualcosa su di lei.
Allora, per la prima volta nella sua vita, Joyce si era sentita stupida.
Stupida perché si era abbassata a quell’umiliazione di fronte all’unico ragazzo che non la stava guardando e, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto per davvero.
Stupida perché aveva pensato che fosse un buon modo per far tornare le cose come prima.
Stupida perché, quella, non era lei.
Stupida e basta.
Si ricordò con amarezza che la notte in cui se n’era accorta aveva pianto più del solito.
Era stato un colpo basso. Troppo basso, forse.
Ricordando tutto quel dolore, iniziò a farsi strada un’idea nella sua mente.
Era davvero possibile, che non fossero destinati a stare insieme, come tutti avevano predetto?
E se ci fosse stato qualcun altro, lì fuori, ad aspettarla?
Guardò per l’ultima volta Michael e scosse la testa.
James le strinse una mano sotto il tavolo, sorridendole triste.
Lui la capiva anche senza parole.
Michael alzò la testa confuso.
«Jo, scusa, stavi dicendo qualcosa?»
«No, Michael, non dicevo niente. Niente di niente.»
Joyce si allontanò dai suoi amici, sentendo dentro di sé che qualcosa stava cambiando.

Draco lesse l’ultima frase a ripetizione.
Dove si era nascosta la Granger, per tutto questo tempo?

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX - Occhi negli occhi ***


CAPITOLO IX - OCCHI NEGLI OCCHI

 

Come tutte le altre volte da quando era iniziato quel folle rapporto con Malfoy, Hermione non sapeva cosa aspettarsi dalla sua giornata.
Non sapeva se qualcuno l’avrebbe trascinata in un’aula all’improvviso, o se avrebbe trovato la sua storia appesa per tutti i muri della
scuola.

Ogni mattina che passava, però, si sentiva stranamente più tranquilla.
Malfoy non avrebbe fatto nulla, Veritaserum o no.
Ginny la prese a braccetto nel corridoio, portandola verso la Sala Comune.
«Allora, ne hai parlato con Harry?»
«Lo conosci, Gin. Si è fidato come al solito, mi ha dato la boccetta e si è accontentato di qualche parola qua e là. Gli ho detto solo che sto cercando di capire se Malfoy mi sta ingannando o meno. Ho tutto sotto controllo, però.»
«Non cambia mai, quel ragazzo. Prossimo passo, capiamo come fregare il furetto?»
«Sai una cosa? Non sono sicura che la userò, per il momento credo mi fiderò e basta. Assurdo, ma vero. C’è troppo in ballo per lui.»
Ginny si bloccò, mettendole una mano sulla fronte.
«Tu, fidarti di Malfoy. Hermione, hai la febbre?»
«Non ho la febbre, mamma Weasley! Sembra diverso rispetto alle altre volte, tutto qui. Il mio istinto mi dice di fidarmi, almeno per il
momento.»

Poco dopo, Ginny sogghignò.
«Sì, il tuo istinto ti dice bene. Il furetto è distrutto.»
Hermione alzò lo sguardo e lo trovò vicino alle scale dei Grifondoro a fumare una sigaretta con fare nervoso.
Gli si avvicinò titubante.
«Malfoy non puoi fum…che ci fai qui?»
Niente più bacchettona, solo te stessa, si ripeté a denti stretti.
Lui alzò la testa di scatto, colpito da quell’approccio improvviso.
«Joyce, cioè, Granger, dobbiamo parlare. E tu che hai da guardare?» si voltò verso Ginny, che se la rideva senza problemi.
«Io? Ah, Malfoy, niente. Mi diverto solo a guardare voi due. Vi lascio, piccioncini.»
Scappò per le scale prima che uno dei due potesse protestare per quel nomignolo assurdo.
Draco la trascinò nell’aula di Trasfigurazione.
«Eccome se mi sente, dopo. Malfoy, non ho tempo da perdere. Insultami, così ti rispondo a dovere e la facciamo finita.»
«Insultarti? Macché, voglio parlarti del libro. Granger, mi serve un’altra pagina.»
«No, Malfoy, non erano questi i patti.» Hermione lo guardò decisa, sentendo però qualcosa dentro di sé che iniziava già a vacillare.
Forse, continuare quello scambio avrebbe fatto bene ad entrambi. Sotto sotto, non le dispiaceva come voleva far credere. Ci stava provando persino un po’ di gusto.
«Mezzosangue, non vedi dove siamo? Nell’aula dove è iniziato tutto! È destino, non credi? Parola di Malfoy, se non fossi così disperato non mi abbasserei ad implorare una come te. Leggere quelle parole è stato come trovare una parte di me. Mi serve l’altra pagina.»
Hermione lo guardò intensamente, colpita da quel cambiamento improvviso.
«Ti ricordavi dell’aula.» sussurrò.Draco stesso parve rendersene conto in quel momento e alzò lo sguardo sorpreso.
«Sì, diciamo di sì. Granger, lo so che non vuoi, ma ti sto pregando in nome del karma o di come vuoi chiamarlo tu. Ti prego, Granger, permettimi di leggere il resto.»
Nel pregarla si era avvicinato più del dovuto, mettendole le mani sulle spalle.
Si studiarono in silenzio per un po’.
Se non fosse stato lui, Hermione avrebbe quasi detto che aveva una presa dolce, senza dubbio diversa da quella impacciata di Ron.
O che aveva degli occhi di un grigio stupendo, che sembravano rispecchiare il suo animo così tormentato.
O che non erano mai stati così vicini.
Allo stesso modo, Draco notò per la prima volta le pagliuzze scure nei suoi occhi dorati. Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Percepì le ossa delle spalle sotto il suo tocco e si ritrovò di nuovo a pensare a quanto fosse cambiato il suo fisico, dall’ultima volta che lui ci aveva davvero fatto caso.
Era quasi diventata una donna.
E, a dirla tutta, non si vergognò di pensare che era bella.
Senza metafore romantiche, senza paragoni iperbolici. Era bella e basta.
E lui non lo pensava mai di nessuna.
Le si avvicinò ancora di un passo.
«Granger. Hermione, ti prego, lasciami entrare.»
Hermione staccò finalmente lo sguardo dal suo, sentendo dentro una tempesta grigia come i suoi occhi.
Si allontanò quasi di scatto, conscia all’improvviso di quella vicinanza ai limiti dell’inverosimile.
«Stasera, dopo cena. Nel bagno dei Prefetti.»
Scappò via prima di sentire una risposta, lasciandolo solo, ancora più confuso di lei.

«Ginny Ginny Ginny avevi ragione ho fatto un macello e adesso lui vuole le altre pagine e io non so che fare insomma da una parte mi va ma dall’altra ci siamo guardati in modo così strano che non so e poi lui è Malfoy e io…»
Ginny rimase a guardarla sbigottita per qualche secondo, dimenticandosi di essere in accappatoio.
«Non so se ridere perché avevo ragione o prenderti a bastonate perché non sei sicura di volerglielo dare. E poi scusa, che significa “ci siamo guardati in modo così strano”? Herm, ci stavate provando?»
«Provando chi, lui con me? Draco Malfoy con una misera Mezzosangue? Ma sei pazza? Mi ha solo guardata, ho esagerato prima. Però
non avevo mai notato i suoi occhi, dovresti proprio vederli.»

«Sì, come no. Non ci tengo, grazie. Ti prego, dimmi che continuerai a dargli le pagine.»
«Stasera metterò un punto. Sarò ferma e decisa e la chiuderò qui, una volta per tutte. Mi sono esposta troppo.»
Ginny scosse la testa e sbuffò spazientita.
«Herm, credimi, dormici su.»
Le chiuse la porta in faccia senza aspettare una risposta.
Hermione alzò le braccia all’aria indispettita. Possibile che nessuno la ascoltasse?
Scese in Sala Comune, convinta di voler studiare un po’, ma si bloccò alla base delle scale.
Ron stava allungando una mano sulla gamba di Lavanda, mentre le sussurrava qualcosa all’orecchio.
Quindi era quello il suo standard.
Lavanda Brown.
La stessa che lo chiamava Ronron e che aveva come obiettivo massimo nella vita riuscire a capire l’arte della Cooman.
Un magone le salì lento in gola.
Ormai era andata, non c’era più nulla da fare.
Dall’altra rampa delle scale spuntò Harry, che si bloccò con lei a quella vista.
«Herm, ascoltami.»
«No, Harry. Avrei voluto ascoltare prima, ma non adesso. Non me ne frega più nulla.»
Lasciò di nuovo la sala, rifugiandosi nella sua camera, mentre Ron alzava lo sguardo impallidendo un po’.
«Harry, amico, credi abbia visto qualcosa?»
«Ron, amico, io credo solo che tu sia un idiota fatto e finito. Davvero Ron, complimenti, continui a farla soffrire e non te ne accorgi mai.»
Detto questo, anche lui lo lasciò, con Lavanda a richiamare di nuovo l’attenzione su di sé.
Cercando di salire nel dormitorio femminile per parlare con Hermione, Harry trovò Ginny in pigiama.
«Ti serve una mano, Harry?»
«Io…vorrei parlare con Hermione. Puoi farmi salire?»
Ginny lo raggiunse, dando un’occhiata a suo fratello.
«Ce ne vuole di coraggio, per passare da Hermione a quell’oca della Brown.»
«È un idiota, ormai glielo ripeto da anni. Un po’ come me alla fine, non faccio mai ciò che dovrei in questi casi.» La guardò brevemente e Ginny immaginò come si fosse sentita Hermione poco prima, aggiungendoci anni di amore ricambiato e silenzioso.
«Già, Harry. Dovresti muoverti, potresti arrivare troppo tardi.»
Harry le strinse la mano, cercando di dirle con gli occhi tutto il dolore che provava per lei, la tortura a cui si sottoponeva da anni solo per lei, unicamente per lei.
«Non può succederti nulla, Ginny. Non me lo perdonerei mai.»
Si girò per andarsene e la guardò un’ultima volta.
«Ah, comunque, stai meglio senza trucco.»
Così, la lasciò in mezzo al corridoio, a portarsi allibita una mano verso il viso.
Prima o poi sarebbe stato davvero troppo tardi.
Per ora, però, si sentiva ancora sulle nuvole.

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Capitolo 10
*** Capitolo X - Ghiaccio e fuoco ***


CAPITOLO X - GHIACCIO E FUOCO

 

Draco non ricordava l’ultima volta che era stato così nervoso in vita sua.
Tra le altre cose, Hermione gli stava facendo finalmente conoscere l’ansia, e nel peggiore dei modi.
Il Serpeverde, infatti, camminava da un’ora su e giù per il dormitorio, cercando di tenere a freno il nervosismo. Il posacenere si era riempito dopo i primi due giri per la stanza e sembrava che persino le sigarette martoriate implorassero pietà.
Blaise sbuffò dalla sua poltrona, stufo di vederlo in questo stato, ma divertito dal suo cambiamento.
Era diventato un’altra persona, su questo non c’erano dubbi.
«Draco, non è la prima volta che vi incontrate. Mi spieghi che c’è di diverso questa volta?»
«Questo incontro è decisivo, Blaise. Me lo sento. Non posso pregarla ogni volta che vorrò una pagina, devo convincerla una volta per tutte.»
«Vuoi la mia? Hermione è già decisa, ma non si fida di te perché, insomma, sei pur sempre Draco Malfoy. E poi, non prendiamoci in giro, è una situazione assurda persino per voi due.»
Draco aspirò un ultimo tiro dalla sigaretta distrutta e lo guardò di traverso.
Aveva ragione, lo sapeva, ma doveva convincerla comunque.
«Blaise, non capisci. Non posso più rinunciare, ormai.»
«Amico, ti basta ammetterlo. Sai bene di cosa parlo.»
«Come vuoi, Blaise. Non si tratta più solo del libro, va bene? Si tratta di lei. Devo capire fino a che punto siamo simili come sembra. Devo capirla e basta.»
Detto questo, Draco si rifugiò nella sua camera, innervosito da quella confessione, lasciando Blaise con un leggero sorriso sulle labbra.
Era cambiato totalmente, ormai ne era sicuro.
Fu la cena più lenta della sua vita, togliendo i banchetti infiniti a Malfoy Manor.
Draco non staccò gli occhi da Hermione, ostinatamente seduta di spalle al suo tavolo.
Percepiva il suo nervosismo, però. Ormai la conosceva bene.
I suoi capelli sembravano vittima di una tempesta furiosa, tante volte li aveva spostati da una spalla all’altra o sulla schiena. 
In effetti, non sapeva se essere sollevato che anche lei stesse così male, o darsi dell’idiota perché era tutto per causa sua.
Per un attimo si distrasse, colpito dai suoi stessi pensieri.
Se era arrivato a darsi la colpa per cose del genere, stava davvero passando il limite.
O lo aveva passato già molto tempo fa, quando aveva iniziato quello scambio assurdo?
Con la stessa ostinazione che Draco aveva imparato ad odiare da sempre -e amare, nell’ultimo periodo, la Grifondoro lasciò il tavolo, attenta a non voltarsi minimamente.
Si tradì solo alla fine, accanto alla porta, quando lo guardò quasi di nascosto.
Fece un salto, colta in flagrante dai suoi occhi grigi.
Rimase lì a fissarlo, con il cuore che le batteva a mille.
Per un secondo, la Sala Grande sembrò sparire. Tutte le voci divennero mute, tutti i loro amici non c’erano più, ma non importava. Per un solo secondo, c’erano semplicemente loro due, gli ultimi due che avrebbero dovuto trovarsi lì, insieme.
Lei, ferma alla porta, e lui, immobile al tavolo.
Subito dopo, così come erano spariti, i loro amici riapparvero ed Hermione scivolò via nell’ombra, forse per nascondersi da lui, forse per nascondersi anche da se stessa.

Draco contò i minuti che mancavano per raggiungerla nel bagno dei Prefetti.
Sapeva benissimo che, ormai, il libro era diventata solo una scusa per vederla.
Non aveva mentito, quando le aveva ribadito che quei fogli lo rendevano felice, aveva solo omesso un dettaglio. Che a renderlo felice non erano esattamente i fogli, ma chi li riempiva.
Draco si avviò pensieroso verso il luogo del loro appuntamento, sperando di non sembrare un idiota ad essere lì in anticipo, anche se, a dire il vero, non gli importava nemmeno più di tanto.
In realtà, lei era già lì.
Dopo essere entrato, il Serpeverde si appoggiò alla porta chiusa, godendosi quei pochi attimi di tranquillità. La osservò con calma, consapevole di star guardando una Hermione diversa da tutti gli altri, una versione di lei riservata a lui e a nessun altro.
Lei gli dava le spalle, i capelli disordinati che ricadevano sulle spalle e gli occhi persi a trovare qualcosa nell’acqua della vasca. Fece finta di non averlo sentito, ma sapeva che lui era lì con lei.
Senza fare rumore, Draco si tolse le scarpe e affondò i piedi nell’acqua, seduto accanto a lei.
Pur non sfiorandola di un millimetro, entrambi sapevano che una cosa del genere, due mesi prima, non sarebbe mai successa.
Sapevano di aver passato tutti i loro limiti e che, prima o poi, avrebbero dovuto renderne conto a qualcuno, oltre che a loro stessi.
Hermione alzò la testa senza guardarlo, lo sguardo sempre fisso sull’acqua.
«Malfoy, non possiamo continuare così. Tu sei tu ed io sono io. Questa specie di rapporto non potrà mai funzionare.»
In realtà, era meno convinta di quanto sperasse.
Non voleva abbandonare quell’avventura, o qualunque cosa fosse.
È che nella sua testa continuava a ripetere i loro nomi come se fossero una maledizione.
Hermione e Draco.
Joyce e Holden.
Erano il ghiaccio e il fuoco, l’orgoglio e la fierezza impossibili da unire.
Dentro di sé, Draco tremava come una foglia all’idea di doversi allontanare da lei, proprio adesso che avevano costruito qualcosa e che stava portando a galla tutti i suoi fantasmi.
All’esterno, però, mantenne la freddezza per cui era conosciuto, rotta appena da un’incertezza nello sguardo.
Si limitò a guardarla, sorridendo appena alla sua ostinazione di fissare l’acqua.
«A vedere i tuoi capelli, devo averti fatto innervosire parecchio negli ultimi giorni, Mezzosangue.»
Senza che nessuno dei due se ne fosse accorto, con il passare del tempo avevano imparato lentamente a conoscersi l’un l’altro, a ricordare non solo i gesti di nervosismo di Hermione, ma anche quelli della rabbia di Draco e della sua gioia.
Hermione si rese conto con sgomento che, ormai, uno sguardo le era sufficiente a capirlo: poteva finalmente andare oltre la maschera da duro che tutti conoscevano e vedere la sua anima, svelare una volta per tutte cosa davvero provasse quel ragazzo che nessuno aveva mai capito del tutto.
Quanti altri ci erano riusciti, oltre lei? Due, tre, quattro persone in 18 anni di vita?
In quei brevi attimi, riflettendo sul bordo della vasca con lui in silenzio accanto a sé, Hermione si sentì onorata di tutto ciò, che Draco le avesse
permesso di esplorarlo e persino che l’avesse ricattata.

Quando si decise a guardarlo, quindi, il Malfoy di Serpeverde duro, freddo e spocchioso era sparito senza dire nulla, lasciando posto solo a Draco.
Vide un ragazzo con i capelli biondi e gli occhi grigi che la scrutava con la stessa intensità con cui lei leggeva nell’anima di lui. Accanto a lei non c’era il ricco ereditiero, ma una persona che chiedeva solo di essere felice, e che lo stava chiedendo a lei, Hermione Granger.
In quegli attimi, Draco annegò negli occhi di lei, si tuffò totalmente nelle sue iridi dorate e ne riemerse distrutto, sventrato fino al midollo. Con un solo sguardo, Hermione lo fece sentire puro come mai era stato nella vita, per colpa sua e dei suoi genitori.
Lo fece sentire sicuro, sano e salvo per la prima volta dopo tanto tempo. Gli fece dimenticare le minacce dei Mangiamorte che lo attendevano fuori dalla scuola, gli amici che aveva e i nemici che lo terrorizzavano in silenzio.
Le prese la mano, come a chiederle conferma di tutti quei sentimenti confusi.
Dimmi che li provi anche tu, sembrava dirle con lo sguardo. Dimmi che non sono solo, dimmi che sei qui con me.
I loro corpi si erano mossi appena, ma erano ancora attaccati l’uno all’altro.
Draco le si avvicinò lentamente, forse ancora più spaventato di lei.
«Hermione, ti prego.» soffiò appena, sapendo che lei lo avrebbe sentito anche a chilometri di distanza.
Lei spostò lo sguardo dalle sue labbra agli occhi, sempre mano nella mano.
Il loro orgoglio di Grifondoro e Serpeverde si fuse e crollò quando le loro labbra si avvicinarono  con calma, senza foga, come se si stessero scrutando da lontano.
Il ghiaccio e il fuoco si spensero a vicenda con loro due, naso contro naso, a baciare quanto di più proibito poteva esserci per entrambi.
Draco sentì la sua corazza cadere quando si sporse verso di lei, anelando altri baci, altre carezze, altro tempo.Hermione mise definitivamente da parte la ragazza di una volta quando sperò che quel momento non finisse mai, che lei e Draco rimanessero per se
mpre lì, da soli, persi nel nulla.

Le loro mani erano sempre intrecciate come due innamorati, come a sostenerli in quella prova del fuoco.
Draco si staccò da Hermione con la stessa lentezza di prima, ammirando i suoi lineamenti.
Le guance rosse e gli occhi lucidi non l’avevano mai resa così bella, nemmeno quella volta che lei gli aveva tirato un pugno e lui, steso a terra
dolorante, si era ritrovato a pensare che era bellissima.

Per ironia, Hermione lo guardò convinta di vedere un angelo, bellissimo, puro e dannato come solo Draco poteva esserlo. Passò le dita tra i suoi capelli biondissimi e sorrise, quando lui reclinò la testa per assecondare la sua mano.
Draco si sporse nuovamente verso di lei, baciandola con più passione.
Le sue mani la esploravano in lungo e in largo, passando dalle gambe alle spalle al viso.
Voleva sapere tutto di lei, ogni pregio e ogni difetto, ogni fossetta e ogni neo.
Stesa sul bordo della vasca e baciandole il collo, notò una voglia a forma di fragola, che gli ricordava quelle che lei mangiava sempre a colazione
prima degli esami.

Scoprì di conoscere già la fossetta che ora stava baciando, sorridendo alle fusa che lei faceva sotto di lui.
Quante cose aveva imparato di lei, nel corso degli anni?
Ancora una volta, sentì di non essere solo, ora che il suo orgoglio lo aveva finalmente abbandonato.
Come se lo avesse sentito, Hermione lo guardò dolcemente, piena di paura e di eccitazione.
«Mi sembra di conoscerti da sempre.» gli sussurrò.
Anche a me, Mezzosangue, pensò. Anche a me.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI - Incubi e deliri ***


CAPITOLO XI - INCUBI E DELIRI

 

Draco camminava mano nella mano con lei, incurante di tutto e di tutti.
Loro due, insieme, andavano verso l’ingresso di Hogwarts.
Lei sorrideva, gli occhi che brillavano.
Incredibilmente, sorrideva anche lui.
Non pensava lo avrebbe mai detto, ma era felice. In ogni cellula del suo corpo sembrava esplodere qualcosa di unico e raro, che gli faceva venir voglia di correre per i corridoi e urlarlo a tutti.
Sempre con le mani intrecciate, varcarono la soglia del castello.
Draco continuava a guardarla, sperando di poterla ammirare per sempre.
Come se qualcuno lo avesse sentito, il sorriso di Hermione morì all’improvviso, quando fu sbalzata all’indietro. Draco sentì il rumore della sua testa che sbatteva al muro e la vide accasciarsi a terra inerme, mentre una pozza di sangue si allargava lentamente sul pavimento.
Una risata da lontano gli fece gelare il sangue nelle vene.
Bellatrix rideva e lo indicava, mentre lui era troppo sconvolto per reagire.
«Draco, davvero, dovresti vedere la tua faccia. Vedi cosa succede, quando ti metti in situazioni del genere? Lei ha già pagato, adesso tocca a te.»
Draco si voltò nuovamente verso Hermione. Pensò che, nonostante tutto, morire gli andava bene, se poteva farlo guardandola.
Una scarica di energia lo avvolse e Draco urlò.
Era finita.

Draco si svegliò di soprassalto, stringendo le lenzuola convulsamente.
No, non era successo nulla.
Non ancora, almeno.
Lui era ancora lì, al sicuro fra le mura della sua camera ad Hogwarts.
Ma lei? Hermione dov’era?
Qualche minuto dopo, Draco correva già per i corridoi con il cuore a mille, incurante del suo aspetto stravolto. Flash della notte precedente gli
balenarono in mente. Il ricordo di lei accanto a lui gli sembrava lontano chilometri.

Correndo e incespicando, si rimproverò per quell’ultimo bacio che non le aveva dato prima di lasciarla davanti alla torre, o per quel complimento che aveva pensato e tenuto per sé, semplicemente perché lui aveva una reputazione da Serpeverde da difendere.
Sapeva che era stato solo un incubo, ma sapeva anche che non sarebbe riuscito a tranquillizzarsi, non finché non l’avesse vista con i suoi occhi.
Doveva vederla, stringerla a sé, sussurarle ancora una volta che lei era diventata sua e di nessun altro, che lo era sempre stata e che lo sarebbe stata per sempre, anche se non si sarebbero più rivisti dopo la scuola.
Il panico di dover rinunciare a lei ancor prima di averla avuta per davvero lo attanagliava come una morsa al petto.
Ancora una volta, Hermione lo sorprese.
Mentre raggiungeva il ritratto della Signora Grassa, la vide uscire dal dormitorio, in tutta la grazia che solo lei sembrava avere, come se lo avesse sentito arrivare.
Senza fermare la sua marcia, la raggiunse di fretta e le prese un braccio, trascinandola con sé, senza farle nemmeno rendere conto di cosa stesse
succedendo.

Mai come in quel momento gli fregava degli occhi indiscreti degli altri. Gli interessava solo di quelli di Hermione, dorati e fissi nei suoi.
Al riparo da tutti, soli in un corridoio deserto, si fermarono l’uno di fronte all’altro, guardandosi negli occhi.
Draco la osservò intensamente, sperando di scovare la sua anima in quelle iridi, sperando di convincersi che stesse bene e che non l’avesse ancora messa in pericolo.
«Draco, ma che…»
Draco si sbloccò al suono della sua voce. Si slanciò verso di lei e le afferrò il viso, baciandola con foga.
Le sue mani vagavano su e giù per il suo corpo, stringendola il più possibile.
Lei era ancora lì con lui, stretta fra le sue braccia e stringendolo a sua volta.
Tutto il resto era sparito.
«Stai bene, Granger. È questo che conta.»
Senza aggiungere altro, si girò e andò via, lasciandola sola a chiedersi tutto e niente.

Camminando solo senza sapere dove andare, Draco pensava un po’ a tutto. Un po’ a sé, un po’ alla Mezzosangue e un po’ a loro due insieme.
Quanto ci sarebbe voluto, prima che la mettesse in pericolo nella realtà e non solo nei suoi sogni?
Ma soprattutto, quanto tempo mancava perché Bellatrix riuscisse a prenderlo?
Quasi per caso, si ritrovò sulla Torre di Astronomia.
Con la spalla appoggiata alla finestra, volse lo sguardo verso la Foresta Proibita, forse aspettandosi che tutti i Mangiamorte sopravvissuti tornassero alla carica in quel momento.
Infilando le mani in tasca, sentì le sue dita scontrasi contro un foglio e si ricordò della notte precedente.
«Mezzosangue, il mio libro. Sei quasi riuscita a farmelo dimenticare.»
«Chiariamo due cose: è il mio libro e devi seriamente smetterla di chiamarmi Mezzosangue.»
«Che c’è? È la verità. E poi, non sei solo una Mezzosangue, ma sei la mia Mezzosangue.»
Sorridendo al ricordo, rilesse le ultime righe, pensando a quante altre ne avrebbe lette in futuro.

Joyce aveva perso un’altra giornata a fantasticare su un ritorno di fiamma impossibile, qualcosa che li riportasse alla vita e che evitasse quella
separazione così drastica, che non avrebbe rovinato solo loro due, ma anche James.

Con il tempo, aveva scoperto di essersi convinta di meritare di più dell’amicizia mascherata da amore che Michael le stava dando. Si era ritrovata a pensare ad altri, persino ad Holden, che non le aveva mai rivolto altro che sguardi di odio e di rabbia.
E lui, aveva mai pensato a lei?

«Sì, Joyce -sussurrò Draco- eccome se ci ho pensato.»
Il problema, in fondo, non era proprio quello?
Il guaio era che, dentro di sé e senza saperlo, ci aveva pensato quasi ininterrottamente.
Aveva cominciato per scherzo, tanto tempo prima, con lo stesso odio di sempre ad avvolgere tutto. Ormai ci era così abituato da essersi convinto di
avere davvero tutto quella rabbia dentro di sé.

Quando si era reso finalmente conto che non era così, qualcosa dentro di lui si era aperto ed era ricomparsa lei, con i capelli scompigliati e lo sguardo di sfida.
Dopo quel momento era venuto naturale notarla nei corridoi, deridere a mente -e a voce alta- la sua combriccola, che sembrava non rendersi conto dell’immensità che aveva davanti ogni giorno, e riservava una particolare dose di insulti per quello scimmione del suo ragazzo, come lo aveva chiamato lei.
Draco si era reso conto all’improvviso della possibilità che Hermione facesse già parte di lui, ancora prima che iniziasse quella strana avventura.
Ancora una volta, grazie a quelle pagine.
Leggendole, si era accorto di ricordare del suo incontro con lei, o di quando si era vestita più scollata per Weasley.
Leggendo lei, poi, aveva scoperto di conoscerla già.
Per un secondo, senza un perché, l’immagine di sua madre gli fece capolino in mente.
Fermo in mezzo ad un corridoio, Draco la immaginò con la solita espressione di superiorità e fierezza a dirgli che aveva preso da lei solo i lati migliori. Tipo l’intuito.
Un senso di stranezza iniziò a farsi strada dentro di lui. L’intuito di sua madre gli suggerì che qualcosa non andava.
Un urlo lo richiamò da fuori.
Corse alla finestra, sentendo il panico montargli dentro. Aveva paura a dirlo, ma conosceva quella voce.
No, si accorse dopo, non era un urlo, ma una risata.
Una risata da pazza.
Sua zia si avvicinava lentamente alla scuola in una danza macabra. Camminava senza fretta, come se fosse una bambina ad un saggio di danza.
«Draco, non può essere davvero lei.»
Draco si voltò giusto il tempo di vedere lo sguardo smarrito di Hermione diventare quello determinato da paladina che conoscevano tutti.
Un attimo dopo, la rincorreva per le scale cercando di fermarla.
«Granger! Mezzosangue, dannazione, fermati! Non avvicinarti a lei, devo spiegarti delle cose prima!»
Nonostante tutto, Hermione continuava a correre imperterrita verso Bellatrix.
Nel cortile della scuola, tutti guardavano impauriti quella mezza fuga amorosa, senza avere il coraggio di muovere un muscolo.
Draco, che non era mai stato tanto un Black come in quel momento, immaginava già cosa stesse per fare sua zia e aveva paura.
Tremava all’idea di incontrare suo padre.
Ormai avevano raggiunto il cortile ed erano ad una decina di metri da Bellatrix, che sorrideva estasiata alla loro vista.
Mentre afferrava finalmente la mano di Hermione, Draco vide sua zia estrarre la bacchetta.
In un ultimo gesto di protezione, la tirò indietro, abbracciandola e offrendo la sua schiena come scudo.
Un dolore lancinante lo colpì e lui strinse più forte Hermione.
All’improvviso, si sentì sparire nel vuoto, diventando leggero come una piuma, la Mezzosangue sempre stretta a lui.
Intanto, Harry e Ron raggiunsero il cortile, appena in tempo per vederli cadere a terra l’uno nelle braccia dell’altro, mentre la risata di Bellatrix spariva nel bosco.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII - Ricerche al termine ***


CAPITOLO XII - RICERCHE AL TERMINE

 

Per la seconda volta nella loro lunga avventura in quella scuola, l’eterno trio delle meraviglie aveva perso il suo anello centrale.
Come durante il primo anno, il bambino sopravvissuto e il suo braccio destro si erano sentiti improvvisamente scoperti, nudi di fronte a quel mondo magico così bello e pericoloso.
Questa volta, però, non avevano nemmeno una statua di pietra da fissare.
Infatti, guardavano il vuoto che Hermione e Draco avevano lasciato come se si aspettassero di farli comparire con la forza del loro sguardo. Harry fissava lo stesso punto senza capire cosa fosse successo, analizzando solo l’erba schiacciata dal peso dei due.
Ron si riscosse lentamente, indicando quel vuoto spaventoso.
«Hermione. È sparita. Harry, è sparita con Malfoy. Lo hai visto anche tu vero? Hermione è sparita con Malfoy
«Sì, Ron, eravamo l’uno accanto all’altro e anche io ho visto Malfoy, soprattutto Malfoy.»
Si chinò a tastare l’erba calpestata, mentre la McGranitt li raggiungeva in fretta, accompagnata da Gazza.
«Potter, Weasley, prima o poi mi convincerò che siete voi a portare le disgrazie in questa scuola. Raccontatemi in fretta ciò che avete visto, non abbiamo tempo da perdere.»
Nel giro di pochi minuti, si era trovata ad ascoltare trenta voci accavallate le une sulle altre, che aggiungevano dettagli, facevano baciare appassionatamente i due dispersi o li facevano morire dissanguati. Tutti, però, avevano riconosciuto Bellatrix.
Nella baraonda generale, la McGranitt sbuffò e lasciò soli gli studenti alle loro speculazioni, trascinando Harry e Ron nell’ufficio di Silente.
Come sempre, lo trovarono assorto a guardare la Foresta Proibita, con le mani dietro la schiena e Fanny in spalla. Guardandosi intorno, Harry non si stupì nemmeno di vedere Piton, seduto davanti alla scrivania e pronto a sbranarlo.
Questa volta, però, il suo tono era preoccupato.
«Potter, siete proprio sicuri di aver visto Bellatrix?»
«Sì, professore. Lo abbiamo già detto alla McGranitt. Bellatrix è arrivata, Hermione le è corsa incontro, Malfoy l’ha fermata e poi sono spariti.»
«Malfoy ha urlato di dolore -aggiunse Ron a denti stretti, crediamo che Bellatrix gli abbia lanciato un incantesimo ed Hermione sia stata coinvolta per sbaglio.»
Silente si girò finalmente a guardarli, con lo sguardo grave e pensieroso.
«Harry, Ron, adesso sarebbe meglio andare a calmare i vostri compagni. Non correte più alcun pericolo, riferitelo a tutti. Adesso, con il vostro permesso, parlerei da solo con i vostri professori.»
«Chiederemo in giro se qualcuno ha visto altro, professore.» disse Harry con fare deciso.
I due amici scesero lentamente le scale, l’uno accanto all’altro e senza parlare, totalmente persi nei loro pensieri.
Nei corridoi riecheggiavano i loro passi, facendoli sentire ancora più soli rispetto a prima.
Tutte le altre volte che il male sembrava colpirli, c’era sempre stata lei a proteggerli.
Ad ogni vicolo cieco che avevano incontrato, lei li aveva guidati, mostrano loro vie d’uscita impossibili e geniali.
E ora, chi li avrebbe protetti?
Ma soprattutto, chi avrebbe protetto lei? Malfoy?
Fermi davanti al ritratto della Signora Grassa, i due amici si guardarono, lo stesso brutto presentimento negli occhi.
«Harry, Malfoy era con lei. Io non…Cosa sta succedendo fra quei due? Perché non si parlano per anni e poi spariscono insieme?»
«Non lo so, Ron. Sta succedendo qualcosa, però, e so con chi parlarne.» sussurrò Harry fra sé e sé, scorgendo Ginny attraverso il buco del ritratto.
Mentre Ron chiedeva informazioni in giro, lui rimase solo all’entrata del suo dormitorio a guardarla.
Ironicamente, la paura e l’ansia le donavano un aspetto forte e particolare, che solo lei poteva avere. Harry sapeva bene quanto fosse unica, e quei momenti non facevano che confermarglielo.
Lei era lì, seduta composta su una poltrona del colore dei suoi capelli e una sigaretta fra le dita, e non un momento di debolezza sembrava averla attraversata.
Come sentendo lo sguardo di Harry su di sé, Ginny alzò il suo, sapendo già dove cercarlo.
I loro occhi si fissarono per qualche secondo, le stesse facce inespressive e pensierose a fare da contorno.
Mi sono sbagliato, pensò Harry, guardando i suoi occhi lucidi.
Insieme, mossero un passo l’uno verso l’altro.
In realtà, Ginny correva. Lasciando cadere la sigaretta sul tappeto, lo raggiunse in poche falcate e affondò la testa nell’abbraccio che già la aspettava. Non le importava più delle lacrime che aveva nascosto agli altri, non quando c’era lui a proteggerla in quel modo.
Voleva solo maledire la sua migliore amica per essere stata la solita Grifondoro di sempre, quella delle ricerche nel reparto proibito della biblioteca e della vita messa a rischio come se niente fosse.
Si sentì trascinare da qualche parte dalle braccia rassicuranti di Harry, trovandosi ben presto seduta sul suo letto, con lui che la stringeva ancora.
Lentamente i singhiozzi cessarono, mentre lui allentava la presa e le baciava la fronte.
«Gin, la troveremo, te lo prometto. Fidati di me.»
I loro sguardi si incrociarono di nuovo, allo stesso modo di prima.
Seduta accanto a lui, Ginny lo osservava attraverso un velo di lacrime e non pensava a nulla.
Sentiva solo le loro mani, quelle di Harry che le accarezzavano i capelli e le sue, aggrappate alla sua camicia.
Come sempre, Harry l’aveva capita. I suoi occhi verdi sembravano trasmetterle tutto l’amore che non riusciva a dirle a parole.
Sentendosi più fragile che mai, Ginny sussurrò: «Voglio solo avere indietro la mia Hermione. A costo di riprenderci anche Malfoy.»
Sfiorò il suo naso con quello di Harry, sentendo le sue mani muoversi sul suo viso.
«Harry…»
Un unico sussurro era bastato per riaccendere quell’amore proibito da nessuno, se non da lui.
Un solo gioco di sguardi per farli tornare come prima, mossi sempre dallo stesso desiderio.
«Ginny, non è il momento giusto. Sei in pericolo, qui con me. Non posso permettere che ti succeda qualcosa, non me lo perdonerei.»
«Quando sarà il momento giusto, allora?»
Harry non rispose, non c’erano parole sufficienti per lei.
Ginny si scostò bruscamente da lui, ferita da quell’ennesimo rifiuto.
Lui la guardò impotente alzarsi dal letto, come ogni altra volta.
Intanto, nella sua testa rispondeva alla sua domanda.
Mai, il momento giusto non arriverà mai.
Stava andando tutto a rotoli e lui era ancora lì, ferendola a morte pur di proteggerla.
Proteggerla da cosa, poi?
Era davvero più al sicuro senza di lui?
In quel breve lasso di tempo si rese conto che, in realtà, quella protezione non aveva mai avuto senso. Avevano preso Hermione, nonostante tutto.
Ginny sarebbe sempre stata a rischio, a prescindere da lui.
Dentro di sé sentiva che, quella, era la volta definitiva. Se Ginny fosse andata via, non sarebbe più tornata e lui non poteva permetterlo.
Con un salto la raggiunse alla porta, bloccandola mentre la apriva.
Ginny saltò per lo spavento e si girò per guardarlo, trovandosi nuovamente faccia a faccia con lui, bloccata contro la porta chiusa.
«Mai, Ginny. Sarà così per sempre e io non posso farci nulla, ma neanche tu. Non posso lasciarti andare.»
I loro occhi si incrociarono per un’ultima volta, prima che le loro labbra si unissero, dopo tanti anni passati a cercarsi.
Nulla esisteva più, oltre lei e lui.
Nulla importava, quando erano insieme.
Adesso, con le loro labbra unite e le loro mani intrecciate, tutto tornava al suo posto.
Sembrava che Harry non avesse mai fatto altro nella vita che accarezzare il viso di Ginny e che lei fosse destinata ad essere lì con lui, l’uno insieme all’altro.
Si guardarono di nuovo negli occhi, scorgendo ora un’emozione tutta nuova.
«L’ho fatto davvero?» balbettò Harry. «E adesso chi lo dice a Ron?»
«Al diavolo Ron, non m’importa.» gli rispose Ginny, prima di tuffarsi di nuovo su di lui.
Finalmente, per la prima volta, si capivano per davvero.
Nei loro gesti c’era tutto l’amore represso di baci non dati e abbracci affettuosi. C’erano le loro strette di mano e i baci sulla guancia, i giochi scherzosi e i fidanzati per ingelosire, le volte in cui si erano cercati e quelle in cui si erano evitati.
Nelle sue carezze, Harry cercava di dirle quanto l’avesse cercata per tutto quel tempo.
Nei suoi baci, Ginny gli ripeteva che non aveva mai smesso di aspettarlo.
Anche dopo dieci, cento o mille anni, loro due sarebbero stati lì, l’uno alla ricerca degli occhi dell’altro.
Ora, finalmente, potevano smettere di cercare e guardarsi davvero, senza maschere o preoccupazioni.
Senza saperlo, erano come Hermione e Draco.
Come loro, Ginny ed Harry si erano trovati e presto lo avrebbero fatto anche Joyce e Holden, in un mondo uguale e separato.
Adesso, finalmente, ogni cosa tornava al suo posto.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII - Benedette vene ***


CAPITOLO XIII - BENEDETTE VENE

 

Un corvo nero e lucido lo guardava.
Seduto su una sedia, Draco ricambiava il suo sguardo e pensava fosse inquietante, per essere un corvo. Come era entrato in quella stanza?
Ma soprattutto, come ci era entrato lui?
Il corvo si avvicinò zampettando e gli si posò sulla gamba.
Stranamente, Draco non aveva paura.
Il corvo lo fissò e aprì la bocca.
«Draco.»
La voce di Hermione lo richiamava da qualche parte, dolce e decisa come lui la ricordava.
«Draco, ti prego.»
Il corvo continuava a chiamarlo e Draco lo fissava confuso.
«Cosa vuoi da me? Tu non sei Hermione, lasciami stare.»
«Draco, Draco, Draco, Draco!»

Draco spalancò gli occhi e boccheggiò.
Un attimo dopo, urlava a pieni polmoni.
Il dolore aveva invaso ogni cellula del suo corpo e la sua schiena sembrava pronta a spezzarsi.
Persino urlare gli faceva male, ma non riusciva a smettere.
La testa gli esplodeva e il cuore batteva all’impazzata ma, non sapeva come, era ancora vivo.
Lentamente, sfinito dopo pochi secondi di panico, Draco riprese contatto con la realtà.
Una voce lo chiamava per davvero e una mano stringeva la sua.
Riaprendo gli occhi, sentì il suo cuore perdere qualche battito. Hermione era lì accanto a lui, con la faccia preoccupata e la camicia sporca di sangue, troppo sangue per una persona sola.
Sbattendo furiosamente gli occhi, cercò di ignorare il dolore lancinante e si concentrò su di lei.
In realtà non sembrava davvero ferita, solo spaventata a morte.
«Draco, guardami. Sono io, Hermione.»
Con la fronte corrugata e le mani tese a stringere la sua camicia, non gli era mai sembrata così vera e così lontana dalla Caposcuola rigida e composta. In quel momento di dolore era grato di avere davanti a sé, per la prima vera volta, Hermione Granger. Ancora più del bacio in piscina, ancora più vera delle parole che lei gli
aveva regalato. L’unica cosa a confortarlo era quello sguardo, così puro e preoccupato, che gli diceva una volta per tutte che lui era solo Draco, non più Draco Malfoy.
Draco e basta.
Gli suonava così bene, poi. Poter dire alla gente di essere solo un ragazzo, niente di più. Non il bullo spaventato della scuola, né il figlio del Mangiamorte.
Ed Hermione era lì ad aiutarlo, in qualunque situazione si fossero cacciati per colpa di Bellatrix.
Al pensiero di sua zia, gli tornò in mente tutto, dritto come uno schiaffo.
Ormai abituato a quel dolore sordo in tutto il corpo, Draco si mosse, appoggiandosi lentamente ad Hermione. Un bosco fitto li circondava, con alberi così alti da bloccare
la luce. Il giorno stava finendo e loro si trovavano in mezzo al nulla, appoggiati al tronco di un albero, a chiedersi in che guaio fossero mai finiti.
Cercando di pensare lucidamente nonostante il dolore e il panico che aumentava sempre più, Draco spostò l’attenzione su loro due, sperando di trovare qualche indizio. Socchiudendo gli occhi, notò che i loro vestiti erano puliti, eccetto per il sangue su Hermione, e sembravano caduti dall’alto, poggiati in mezzo al verde come con delicatezza, senza sporcarsi di un minimo.
«Di chi è quel sangue?» le chiese con voce roca, sentendo la gola che bruciava.
«Tuo, Draco. Avevi un brutto taglio sulla spalla, ma credo guarirà presto.»
«Okay, adesso mi dici che ci facciamo in una foresta a quest’ora del giorno?»
«Prova a chiederlo a tua zia, magari lei saprà aiutarti.»
«Ah, bene, adesso è colpa mia se ho una zia fuori di testa che prova ad uccidermi da almeno due anni. Io ho provato a fermarti, idiota, ma qualcuno qui si sentiva troppo Grifondoro per ascoltarmi.»
Stizzito e dolorante, Draco cercò di alzarsi, dandosi dello stupido per quei pensieri su di lei e lasciando che il Serpeverde prendesse il sopravvento.
Hermione non era bella, non era nulla. Era solo una Grifondoro uguale agli altri.
Cadde pesantemente per terra dopo un goffo tentativo, madido di sudore e con la spalla che pulsava.
«Non ti sto incolpando di nulla, Malfoy. E non ti muovere, devo capire che incantesimo ti ha lanciato Bellatrix.»
Guardando ovunque ma non lei, Draco lasciò che Hermione gli aprisse la camicia per tastargli il petto. Con un sorrisetto sulle labbra, la osservò giocare all’infermiera, inconscia di quanto fosse fraintendibile quella situazione. Concentrata nel salvargli la vita, continuava a massaggiargli ogni punto scoperto e ad osservarlo, forse sperando che sentisse dolore.
«Mezzosangue, andiamo, non dirmi che facevi così anche con lo scimmione. Mi chiedo perché non ti abbia lasciata prima, se eri così pudica a letto.»
«L’ho lasciato io, lo sai benissimo. E poi non siamo mai arrivati a quel punto, non che sia affar tuo.»
Draco scoppiò a ridere, anche se il suo corpo gli urlava di smetterla per sopravvivere, mentre lei lo guardava stupefatta.
«Adesso si spiega tutto, Granger. Bene, abbiamo una verginella. E San Potter è stato santo per davvero, a quanto pare.»
«Sì, lo è stato.» sussurrò Hermione, premendo sul petto e strappandogli una smorfia di dolore.
«Quindi, adesso, ecco cosa succederà. Possiamo decidere di continuare a parlare qui della mia vita sessuale o della tua, così magari intanto continuo a schiacciarti le ferite finché non supplichi per il dolore, o possiamo capire in che punto ci troviamo e sperare che i Centauri ci vogliano bene.»
Come a rincarare la minaccia, tastò un punto dolorosamente vicino alla spalla ferita, strappandogli un urlo sommesso.
«Granger, dammi un’altra botta e ti strozzo. E poi i Centauri si trovano solo nella Foresta Proibita, ormai.»
Questa volta fu il turno di Hermione di sorridere con amarezza.
«Malfoy, tesoro, indovina un po’ dove ci troviamo.»
In quel momento, Draco si sentì gelare. La penombra imminente assunse un nuovo significato più tenebroso e oscuro. Ora, gli alberi altissimi gli toglievano il fiato ed Hermione, per colpa sua e di sua zia, era di nuovo in pericolo.
Fermi in quella situazione di stallo e con Draco troppo debole per camminare, i due rimasero a guardarsi attorno, studiando la radura in cui si trovavano.
Nonostante tutto, non riuscivano a pensare che a loro due.
Appoggiata al tronco di un albero e con lo sguardo rivolto ad un bruco che mangiava indisturbato, Hermione cercò di scendere a patti con la freddezza con cui lui l’aveva accolta dopo essersi svegliato.
Dal canto suo, Draco sapeva bene che entrambi erano tornati nelle loro vecchie vesti di nemici senza pensarci due volte, divisi fra il rosso e il verde delle loro casate. In tutti i loro tentativi di evitarsi, Hermione e Draco si guardarono per sbaglio, solo per distogliere in fretta lo sguardo, bruciati da quel contatto inaspettato.
A modo loro, entrambi si erano scoperti ad aver fatto dei passi indietro in quel rapporto così strano. La sera della piscina sembrava lontana anni luce da quella
situazione, così combattive e familiare da essere quasi dolorosa.
Hermione si sedette a terra, sospirando rumorosamente. Non aveva voglia di affrontare quell’ennesimo pericolo, non ora che con lei non c’era più Draco, ma solo Malfoy.
Non aveva voglia di parlargli né di controllargli la ferita.
Questa volta avrebbe lasciato a lui il primo passo. Era lui quello nel torto, dopotutto.
Quasi a malincuore, Draco si accorse di avvertire una fitta alla base dello stomaco, vedendo la sua ragazza così stanca per colpa sua.
La sua ragazza? No, la Mezzosangue.
Sbuffando a sua volta, si sistemò meglio sull’erba e digrignò i denti. Nuove scariche di dolore gli attraversavano il corpo e la ferita sanguinava di nuovo. Draco cercò di sbirciare sotto la fasciatura di fortuna con il braccio buono, tirandola con i denti pur di non chiedere l’aiuto della Mezzosangue.
Lo spirito Grifondoro non dormiva mai, però.
Ancora prima che entrambi se ne rendessero conto, Hermione era già lì a scostargli le mani e a slacciare il nodo stretto della fascia, impallidendo leggermente alla vista della ferita.
«Granger, togliti di dosso. Posso cavarmela benissimo da solo.»
«Sta’ fermo, idiota. Lascia fare a me.»
«Ma insomma, ti vuoi togliere? Non ho bisogno di nessuna infermiera Grifon…». Draco si interruppe bruscamente davanti alle venature viola che gli avevano invaso la spalla sinistra. Piccole e sottili, partivano dalla ferita e si andavano espandendo a vista d’occhio.
«E questo che diavolo è?» sussurrò quasi più a se stesso che a lei.
«Quella matta di tua zia ti ha lanciato una maledizione e ci ha bloccati nella Foresta Proibita, nel caso in cui lo avessi dimenticato. Adesso sta’ fermo e lasciami fare il mio lavoro, o domani ti ritroverai senza un braccio.»
Draco rimase in silenzio ad osservare i suoi movimenti. Deglutendo faticosamente, vide Hermione calma e concentrata togliergli con delicatezza la fasciatura e sorreggergli il braccio per non fargli male. La vide aggrottare le sopracciglia ed osservare i rivoletti viola sulla carne, affascinata e spaventata al tempo stesso.
Per l’ennesima volta da quando si era risvegliato, si ritrovò a pensare che era bellissima.
La vide sbuffare e spostare i capelli dagli occhi e lui alzò d’istinto la mano per bloccarglieli dietro le orecchie. La alzò quasi in trance, perso in qualche punto fra i suoi occhi e il suo naso, e la bloccò a metà strada per fingere di grattarsi la testa.
Sapeva che non le fosse sfuggito, ma per ora doveva mantenere le apparenze, almeno finché non avessero aggiustato le cose fra loro. Le abitudini erano dure a morire, però.
«Mi spieghi che hai da guardare?»
Hermione si interruppe per guardarlo brevemente negli occhi, non troppo, ma abbastanza per provocarle un brivido sulla schiena.
«Niente, Granger, controllo che non mi ammazzi.»
Draco spostò lo sguardo sulla ferita, osservando affascinato la delicatezza di quelle mani da infermiera. Mentre la vedeva provare unguenti nati dal nulla ed incantesimi silenziosi, avrebbe quasi detto che Hermione stesse sostenendo un esame.
Quando tornò sui suoi capelli, però, dovette ricredersi.
Durante gli esami era calma e concentrata perché sapeva cosa stava affrontando. In tutti quegli anni, i suoi capelli non erano mai diventati tanto selvaggi e aggrovigliati
come in quel momento, mentre faceva un tentativo dopo l’altro per salvarlo da quel veleno sconosciuto.
La guardò ancora una volta, ma con occhi diversi, con quelli che lei gli aveva tacitamente concesso e che adesso lo aiutavano a capirla. Adesso non vedeva più la studentessa alla prova, ma un’Hermione stanca e spossata, sopraffatta dall’aiuto che non riusciva a dare.
Per la seconda volta da quando la conosceva, mise di nuovo da parte quell’orgoglio duro come una roccia. Le prese una mano con la stessa delicatezza che lei aveva usato con lui e la guardò.
Lui aveva fatto il primo passo, adesso toccava a lei.
Hermione alzò lo sguardo, mostrandogli ancora una volta quegli occhi rivelatori e guardandolo per la prima volta.
Era di nuovo lì, Draco.
Poi, Hermione crollò.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV - Baci di Luna ***


CAPITOLO XIV - BACI DI LUNA

Con il corpo scosso da singhiozzi silenziosi, Hermione si lasciò attrarre da Draco sulla spalla buona, accasciandosi su di lui. La paura per Bellatrix, per la Foresta Proibita e per la ferita che peggiorava emersero all’improvviso e le tolsero il respiro, schiacciandola in tutta la loro gravità.
Stretta fra le braccia di Draco, Hermione strinse gli occhi e si aggrappò alla camicia spiegazzata che l’accoglieva. Ascoltò il suo respiro e si concentrò sulle sue mani sottili, che adesso le accarezzavano i capelli con dolcezza.
Era davvero Draco a stringerla?
E lei, come faceva a stare lì docile fra le stesse braccia che l’avevano respinta poco prima?
Non lo sapeva e non le importava, ecco tutto.
In quel momento niente le sembrava importante, se c’era lui a respirare contro di lei.
Dal canto suo, Draco sembrava perso nei suoi stessi pensieri mentre si appoggiava ad Hermione.
Le diede un bacio leggero fra i capelli e continuò a stringerla, grato nonostante tutto di conoscere quella nuova parte di lei. Non gli era mai sembrata tanto fragile come in quel momento, con il buio che incombeva su di loro e le sue sole braccia a proteggerla.
Si sentì invadere da una nuvola di vaniglia ed erba fresca, la Mezzosangue che si rannicchiava sempre più e lui che si sarebbe scavato il petto pur di averla più vicino.
Dopo un tempo infinito, sentì lentamente le lacrime scemare e i loro respiri sincronizzarsi. Quando aprì gli occhi per guardarla, avvertì un colpo sordo al cuore. Per un secondo pensò che, non fosse stato per lui, lei sarebbe già sparita via.
O era il contrario?
Quando lei alzò la testa per guardarlo, a Draco sembrò che il Serpeverde non fosse mai esistito.
Come poteva risponderle male, se lei lo guardava con quegli occhi enormi?
I due si fissarono per pochi secondi, cercando l’uno la forza per staccarsi da quell’abbraccio, l’altra per tenerlo lì per sempre.
Draco le sfiorò il naso, facendola sorridere lievemente.
«Usciremo di qui e impiccheremo quella matta di mia zia, te lo prometto.»
«Non serve la corda, lo farò con le mie stesse mani.»
Rimasero per qualche altro minuto lì a ridacchiare stancamente, seduti sull’erba.
Draco lanciò un’occhiata al cielo. La poca luce del giorno che li aveva accolti ormai era sparita del tutto e sapevano bene entrambi che cosa significava.
Avrebbero dovuto trascorrere la notte lì, con niente di più delle loro bacchette.
Stendendosi sull’erba, Hermione prese coraggio e parlò, tornando nei panni della Grifondoro.
«Draco, appena farà giorno dovremo capire dove siamo. E devo trovare una cura per la tua spalla.»
Il ragazzo sospirò, stringendo i denti per il dolore che non lo abbandonava.
«Lo so, Mezzosangue. Fammi un favore, però. Non farmici pensare. L’idea di doverti proteggere con un braccio solo dai Centauri mi preoccupa già abbastanza.»
Rimasero in silenzio così, l’uno accanto all’altro. Non parlarono per dei minuti o delle ore, fingendo di dormire in attesa che parlasse l’altro. Ora che il buio li proteggeva, non c’erano più loro due. Erano finiti in uno spazio sicuro che non conosceva Hogwarts, le sue casate e i Mangiamorte. Hermione sfiorò le dita di Draco con le sue in modo quasi impercettibile, chiedendosi se stesse dormendo.
In una muta risposta, si voltò verso di lei e rimasero a guardarsi.
Nessuno dei due osava parlare. Le parole avevano già rovinato troppo, tra di loro.
La luce chiara della Luna li illuminava quel tanto che bastava per sapere dove cercarsi in quella radura. Draco ripensò velocemente a una settimana prima, quando lui non conosceva ancora Joyce  o la sua proprietaria e non sapeva cosa mancasse nella sua vita. Le sfiorò una guancia, perso fra la paura sorda che li circondava e quel sentimento nuovo che gli aveva stravolto la vita.
La guardò un’ultima volta negli occhi e una parte di lui si spaventò al pensiero che non gli sarebbe mai bastato. Le sussurrò una sola parola, quasi in una richiesta dolorosa, sperando che lei la ascoltasse.
«Joyce.»
Chiuse brevemente gli occhi quando Hermione ricambiò la carezza, ma li spalancò al sentire la sua voce, rimanendo col respiro mozzato.
«Holden.»
Grato di quella muta accettazione nella sua vita, Draco la baciò lievemente, sapendo quanto fosse importante quel secondo primo bacio.
Labbra contro labbra, entrambi misero finalmente da parte quell’orgoglio pesante come un macigno che li schiacciava ad ogni sguardo, pronto a ricordare quanto fosse sbagliato quel nuovo amore nato fra le pagine.
Quella sera, però, non importava. C’erano solo loro due.
Hermione e Draco.
Joyce e Holden.

Draco camminava per i corridoi vuoti di Hogwarts. Dirigendosi in Sala Grande, si chiedeva quando avrebbe visto di nuovo la Mezzosangue, o quando avrebbero avuto un’altra occasione da soli. In sala, però, lo aspettava solo un corvo nero che zampettava fra i tavoli imbanditi.
«Ancora tu, maledetto uccellaccio?»
«Draco, sei tu?»
Ironicamente, Draco sobbalzò al sentire Hermione parlare non più dal corvo, ma da qualche punto dietro di lui. I due si guardarono confusi per qualche secondo, senza
sapere bene chi stesse sognando l’altro.

Draco aprì la bocca per risponderle, solo per rendersi conto che non ci riusciva. Portandosi una mano alla gola, guardò confusamente Hermione e ripeté il suo nome, ma non un suono usciva dalle sue labbra. Hermione mosse un passo verso di lui, ma si bloccò nella sua stessa posizione. Come in un film muto, entrambi si osservarono muovere le labbra e gridare, ma la sala rimaneva silenziosa, eccetto per i loro passi che si avvicinavano.
Ormai l’uno di fronte all’altro, si scambiarono carezze preoccupate sul viso e sulle spalle, un po’ per sapere se fossero veri, un po’ per paura di rimanere soli.
Draco si accorse che il corvo era sparito, dimenticando un’unica piuma nera sul tavolo. Lasciando brevemente la mano di Hermione, si allungò per raccoglierla. Sottili venature viola si diramavano dalla radice alla punta e risplendevano alla luce del pomeriggio. Voltandosi per farle vedere ad Hermione, Draco ebbe giusto il tempo di notare il suo urlo muto che cadde a terra con un tonfo.
Il suo corpo aveva preso fuoco ed era accecato dal dolore. Contratto a terra dai crampi, Draco urlò più forte che poteva, ma il dolore era troppo. Si portò le mani sul viso per proteggersi da quel panico sconosciuto, solo per vedere che le striature viola gli avevano invaso ogni centimetro di pelle. Draco urlò ancora più forte.
Poi, non vide più nulla.

Draco si alzò di scatto sul busto emettendo un lamento basso e soffocato. Affondando le mani nell’erba, registrò a poco a poco il sole alto nel cielo, gli alberi, la radura ed Hermione stesa accanto a lui. Una fitta alla spalla gli ricordò un altro dettaglio. Le sottili striature viola erano arrivate al gomito e si stavano facendo strada verso la mano sinistra.
Si voltò verso Hermione e la vide ancora ferma nel sogno. Un urlo muto rivolto al corpo di Draco, gli occhi serrati e le braccia raccolte attorno alla giacca. Draco la scosse violentemente, rendendosi conto con sollievo che riusciva finalmente a parlare.
«Mezzosangue, svegliati. Era solo un incubo.»
Ancora con gli occhi chiusi, Hermione si mosse lentamente. Si aggrappò alla mano di Draco e la strinse con forza, tremando e trascinandolo con sé al suolo. Bloccato a terra, il Serpeverde alzò faticosamente la mano sinistra per scuoterla, digrignando i denti ad ogni scarica di dolore.
Continuò ad accarezzarle lentamente i capelli e a sussurrare il suo nome nella speranza di calmarla. 
Dopo qualche minuto, Hermione spalancò gli occhi e lo cercò con lo sguardo, abbracciandolo prima che lui potesse dire qualcosa. Affondò la testa nella sua spalla, soffocata dai singhiozzi e dalla paura.
«Draco ho fatto un sogno orribile, non puoi immaginare. Non riuscivamo a parlare ed eri pieno di cose viola sul corpo e poi morivi davanti ai miei occhi ed io rimanevo lì
a guardarti e non potevo fare nulla!»

«Lo so, Granger. C’ero anch’io.»
Hermione si staccò dall’abbraccio per chiedergli spiegazioni, ma impallidì quando lo guardò finalmente in faccia. Gli spostò delicatamente il volto e osservo il pomo d’Adamo, deglutendo faticosamente.
«Draco, le cose viola. Sono su tutto il collo.»
Lui impallidì a sua volta, al pensiero di chissà quale maledizione lo stava infestando.
Prese un respiro profondo e si guardò intorno. La paura per Bellatrix, per Hermione e per quella malattia sconosciuta lo stavano soffocando, ma non le avrebbe mai permesso di morire in quella foresta per colpa sua.
Stringendo la mano di Hermione, si fece forza e si alzò in piedi, sperando che lei non si rendesse conto della sua debolezza.
«Mezzosangue, ascoltami. Io sto bene, quindi adesso inizieremo a camminare e non ci fermeremo finché non saremo tornati ad Hogwarts, capito?»
Con un moto d’orgoglio nell’animo, vide Hermione trasformarsi in un batter d’occhio, mettendo da parte la ragazzina spaventata e trasformandosi subito nella Grifondoro spericolata, la stessa che aveva salvato il mondo magico almeno tre volte.
«Va bene, ma se inizierai a star male ci fermeremo e mi farai dare un’occhiata a quel maleficio.»
Draco annuì in silenzio, sentendo spuntare un sorrisetto malizioso, il primo dopo molti giorni.
I due si guardarono un’ultima volta negli occhi.

Mano nella mano, poi, si inoltrarono nella Foresta Proibita.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV - Fogli sparsi ***


CAPITOLO XV - FOGLI SPARSI

Steso nel buio di una domenica mattina, Harry fissava la pergamena sparsa sul suo letto.
La storia di Joyce, ancora senza un titolo, giaceva silenziosa attorno a lui. Per la terza volta in poco tempo, il segreto di Hermione era venuto di nuovo alla luce e le sue parole erano state lette e rilette.
Adesso, in quel momento speciale in bilico fra la notte e l’alba, Harry ebbe quasi l’impressione che le pagine lo stessero osservando. Attraverso le parole scritte in fretta e le lettere accavallate le une sulle altre, gli sembrava che lei stesse lì a guardarlo e che aspettasse solo di essere capita.
Una parte di sé sentiva di aver violato quel lato così intimo che gli era stata nascosto fin’ora. Quando Ginny gli aveva mostrato il cofanetto ricolmo di fogli, Harry aveva arretrato istintivamente di un passo, quasi inorridito al pensiero di invadere una parte così profonda della sua migliore amica senza che lei lo sapesse. Il suo spirito leale era divampato all’improvviso e lo aveva combattuto per ore, ripetendogli che quelle parole erano di Hermione e basta e che lui non avrebbe dovuto leggerle.
A riscuoterlo era stata, sì, la paura per quella sparizione improvvisa, ma soprattutto, anche se non lo avrebbe mai ammesso a voce alta, la profonda gelosia che lo aveva infiammato. L’idea che Malfoy avesse conosciuto quel lato di Hermione prima di lui era insopportabile, per quanto Ginny gli ripetesse che non era poi così malvagio.
«Ginny, è Malfoy. Per favore, Malfoy.» le aveva ripetuto esasperato, fino a quando non era rimasto solo con la scatola e quella storia nascosta. E anche dopo, in realtà, aveva continuato a ripeterlo per un po’ prima alla porta e poi a se stesso.
Ora che si guardava attorno, con la bocca secca e gli occhi gonfi di sonno, Harry cercò di scendere a patti con quelle sensazioni così diverse fra loro e nate poco a poco, parola dopo parola. Il sollievo per aver capito finalmente cosa avesse vissuto Hermione in tutto quel tempo si mischiava al senso di colpa per non averla aiutata e alla rabbia per i sentimenti che provava per Malfoy, per quanto a parlare fosse solo Joyce.
Alla luce della sua bacchetta, tornò a guardare quel miscuglio di fogli e pensò che, tutto sommato, anche lei doveva aver combattuto. Se con se stessa o con Malfoy, non avrebbe saputo dirlo.
Sfogliando le innumerevoli pagine sulla rottura con Ron, passò delicatamente le dita sulle tracce delle lacrime asciutte sull’inchiostro sbavato, come a voler accarezzare la ragazza fragile e disillusa che le scriveva.
Pagina dopo pagina, aveva finalmente collegato tutti gli strani atteggiamenti di quel periodo e ogni volta il suo cuore si era stretto un po’ di più. Hermione con la gonna più corta, con gli occhi gonfi o persi nel vuoto e con la divisa che le stava sempre un po’ più larga. Tutte queste versioni di lei avevano preso senso una dopo l’altra, accusandolo in silenzio di non essersi accorto di nulla.
Persino quella nuova elettricità degli ultimi giorni non era più un mistero.
Alla fine, erano sempre Harry ed Hermione, gli stessi che si aiutavano con una sola mano e parlavano senza bisogno di parole. Adesso che sapeva di Malfoy e del libro, Harry diede un senso all’eccitazione nascosta dietro ai libri, al suo perentorio sedersi di spalle ai Serpeverde e alle sparizioni in mezzo ai corridoi. Un’ulteriore fitta al cuore gli fece rendere conto del perché stesse scoprendo solo adesso quelle nuove sfaccettature della sua migliore amica.
Lui e Draco erano nord e sud e sempre lo sarebbero stati, lei lo sapeva benissimo.
Eppure, una parte di sé gli fece promettere di ringraziare Draco, subito prima di minacciarlo, magari. E se li avesse mai rivisti vivi.
Cercando di riflettere sul da farsi, Harry tornò all’ultima pagina della storia, un po’ sperando in qualche nuovo indizio, un po’ per capire cosa diavolo ci trovasse in uno come il Furetto.

Quel mattino, mangiando la marmellata, Joyce aveva capito che Michael non esisteva più.
Con la stessa semplicità con cui stava imburrando il suo toast, si era resa conto che aveva smesso di pensarlo, di cercarlo per i corridoi e persino di sognarlo.
Si era liberata di Michael chissà quanto tempo prima e se ne accorgeva solo ora.
Aveva alzato la testa soddisfatta e guardato Ginny, pronta a riferirle questa nuova scoperta, ma il sorriso le era morto sulle labbra. Da qualche tavolo più in là, Holden la stava fissando.
Persino da quella distanza Joyce vide i suoi occhi grigi e limpidi e si sentì stringere il cuore.
Holden la guardava come un animale braccato che pregava il suo cacciatore per un po’ di cibo.
Se tutto questo era difficile per lei, quanto doveva esserlo per lui?
Continuando a guardarlo, poteva quasi vedere la battaglia sanguinosa che andava avanti dentro di lui da giorni. Vedeva l’orgoglio combattersi con il suo amor proprio e il Serpeverde strisciare contro il Grifondoro, forse per ucciderlo, forse per stringerlo più forte.
Occhi negli occhi, Joyce si alzò dal tavolo e lui la imitò istintivamente. Il suo cuore scalpitava ed era quasi sicura che, senza tutte quelle persone lì attorno, avrebbe sentito anche quello di Holden.
Si trovarono all’ingresso della Sala Grande, quasi fianco a fianco ma senza parlarsi.
Lui le andò contro la spalla.
«Attenta, Collins, o potresti farti male.»
«L’unico a farsi male potresti essere proprio tu, Murray.»Due mani strette sotto il mantello e una promessa velata per quella notte, si allontanarono in direzioni opposte. Quando Joyce si affacciò dal terzo piano, Holden aveva già lo sguardo rivolto in alto a cercarla. Argento e oro, una promessa silenziosa.

Harry sospirò un’ultima volta.
Appena trovata, Hermione avrebbe dovuto spiegargli parecchie cose.

Quel mattino, la Sala Grande era in fermento.
I posti vuoti di Hermione e Draco spiccavano come non mai, persino in quel sabato mattina.
Scambiandosi degli sguardi silenziosi e consapevoli con Ginny, Harry comprese ulteriormente cosa avesse vissuto la sua migliore amica. Sapendo di non poter ancora parlare davanti a Ron, i due si limitavano a guardarsi e a rimandare la conversazione ad un altro momento.
Harry sorseggiò il suo caffè in silenzio, indeciso sul da farsi, fin quando Ginny non gli sferzò un calcio sotto il tavolo con un cenno d’urgenza con la testa.
Per l’ennesima volta in quella mattinata già infinita, Harry sospirò.
«Ron, amico, io e Ginny andiamo a studiare. Devo aiutarla con Pozioni.»
Ron lo guardò stralunato fermando a metà strada la forchetta. Dopo un secondo di indecisione, poi, scrollò le spalle.
«Contento tu. Attento, quando si tratta di Pozioni diventa una vipera.»
Harry alzò lo sguardo verso Ginny, che già gli sorrideva alle spalle del fratello, e strinse le labbra per non sorriderle a sua volta.
«Beh, immagino starò attento. A dopo.»
Gli lanciò un ultimo sguardo lasciando la sala, confortato dal vederlo così impegnato nella colazione. Salendo per le scale, lui e Ginny non parlarono, aspettando di arrivare in camera.
Harry si sentì più leggero quando vide la Sala Comune silenziosa e si chiese per quanto tempo ancora sarebbero riusciti a mantenere il segreto.
Prendendo la mano di Ginny, la trascinò nella sua camera e chiuse la porta a chiave, stringendola subito a sé. Il suo corpo non gli era parso mai così bello come in quegli ultimi due giorni segreti. Sentendola sorridere fra le sue labbra, Harry si allontanò e la ammirò alla luce del sole.
«Ad ogni bacio che ti do, mi sento stupido per quelli che non ti ho dato prima.»
«Allora continua a baciarmi, così saprai che avevo ragione io.»
Stesi lì vicini, al sicuro da occhi e orecchie indiscrete, i due ripresero finalmente il discorso in sospeso. Ginny raccolse con cura le pagine della sua amica e le depose nella scatola di legno.
«Alla fine non hai retto, eh?»
«Già. Lo avrò letto almeno tre volte e ancora non ci capisco nulla. Tu sei davvero sicura che Holden sia Malfoy?»
«Harry, me lo ha detto lei stessa. E poi, avessi visto quando il Furetto è venuto per chiederle altre pagine. Era disperato, te lo dico io.»
«Malfoy disperato per Hermione. Gin, è inutile. Non ci crederò finché non lo avrò visto con i miei stessi occhi.»
Ginny ridacchiò, dandogli un colpetto sulla spalla.
«Piuttosto, dobbiamo tirarli fuori dai guai.»
«Lo so, Ginny, lo so. Credo che Bellatrix abbia lanciato qualche maleficio a Draco. E anche abbastanza doloroso, per farlo urlare in quel modo.»
«Quindi che si fa? Una gita nel reparto proibito della biblioteca stanotte?»
«Immagino di sì. Io farò una gita, tu non andrai da nessuna parte. Se Gazza dovesse beccarci sarebbero guai seri stavolta.»
«Ah ah. Non fosse stato per me saresti ancora a zero. Io vengo con te, non si discute.»
Harry guardò la sua nuova ragazza scoraggiato.
Sarebbe stata una ricerca molto lunga.

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