Filofobia

di shira21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01. Bianca ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02. Dalila ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03. Bianca ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04. Dalila ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05. Dalila ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06. Bianca ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07. Dalila ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08. Dalila ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09. Bianca ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01. Bianca ***


«Un altro?» La voce gentile del barman mi riscuote dai miei pensieri. Il mio bicchiere di vino è già finito ed io celo male un sospiro di delusione. Eppure annuisco avvicinandogli il bicchiere che presto è di nuovo pieno di costoso vino rosso.
Gli rivolgo un sorriso perché in fondo non è colpa sua se la mia serata si sta rivelando un fiasco totale.
Sorseggio sovrappensiero ma non posso fare a meno di pensare che mi ero anche messa carina. Il mio riflesso nello specchio dietro al bancone pare darmi ragione: non sono più così giovane ma i capelli biondi non hanno neanche un accenno di grigio e gli occhi chiari risaltano sulla pelle chiara senza imperfezioni, tranne forse qualche rughetta di espressione. Insomma, non sono vanitosa ma sono ancora una bella donna.
Ciò nonostante quando ricontrollo per l'ennesima volta il telefono vedo che non ho ricevuto nessuna chiamata o un misero messaggio.
«Ti hanno dato buca?»
Sorpresa sposto lo sguardo sul tizio seduto a un paio di posti di distanza da me.
«Come, scusi?»
Lui ride come se avesse fatto chissà quale battuta e, nonostante il completo di sartoria e l'orologio costoso, si capisce lontano un miglio che non ha un briciolo di classe o di eleganza. Inoltre con quei capelli tutti ingellati all'indietro come un ragazzino pur avendo minimo cinquant'anni mi sembra più viscido di un serpente.
«Beh, dolcezza, io sarei felice di farti compagnia» e dall'occhiata che mi rivolge preferisco non chiedere ulteriori spiegazione sul tipo di compagnia.
Più per educazione che per vero divertimento, accenno un sorriso «Grazie dell'offerta ma no». Lui si avvicina di un posto «Ma come no, dolcezza? Anzi cosa ne dici se ti ordino un altro bicchiere di quel bel vino?»
«In realtà stavo per andare a casa!» Spero che capisca il concetto ma da come gli si allarga il sorriso credo che non abbia capito proprio nulla. «In effetti qui c'è un po' troppo caldo» si passa la lingua sulle labbra, facendomi accapponare la pelle.
Incapace di sopportare ulteriormente lo sguardo compassionevole del barista e la conversazione con quest'uomo, decido che è decisamente ora di tornare a casa. Prima però che possa alzarmi dallo sgabello sento due braccia magre circondarmi da dietro e delle labbra morbide schioccarmi un bacio sulla guancia.
«Scusa piccola se ti ho fatto aspettare».
La voce dolce e musicale di una ragazza mi coglie di sorpresa. Una voce che mi è familiare, anche se non la sento da un paio di anni.
Giro di scatto la testa e mi ritrovo a sfiorare con la punta del naso quello di Dalila De Luca, una mia ex-studentessa, una delle migliori. E decisamente non la persona che stavo aspettando.
Siamo così vicine che noto per la prima volta che ha delle punte castano chiaro, simili al colore del brandy, in quei suoi enormi occhi verdi da bambola.
«Ma...?»
M'interrompe con un sorriso «Lo so tesoro. Sono in tremendo ritardo ma giuro che è per un buon motivo».
Nonostante io sia la più grande tra le due, e quella con più esperienza, mi ritrovo a corto di parole davanti alla sua sfacciata sicurezza. Solo quando mi rivolge un fugace occhiolino, talmente veloce che non l'avrei neanche visto se non fossimo state così vicine, capisco che sta cercando di salvarmi la faccia. Nel frattempo lei si è girata a guardare il tipo che a sua volta ci fissa con gli occhi sgrananti e un'espressione a metà tra la sorpresa e il desiderio.
Dalila gli porge la mano «Piacere di conoscerla, signor...?»
Lui fissa la piccola mano per alcuni secondi prima di stringerla «Rinaldi. Francesco Rinaldi».
Il sorrisetto sul volto della mia salvatrice diventa più ampio mentre per qualche motivo lui sgrana gli occhi «Beh, signor Rinaldi, Francesco Rinaldi... la ringrazio per aver tenuto compagnia alla mia fidanzata» si sporge leggermente in avanti e nel gesto mi rendo conto che gli sta ficcando le unghie nella carne della mano che tiene ancora stretta. «Ma per il futuro, dolcezza, no vuole dire no».
A me viene da ridere quando il tipo annuisce e se ne va con la coda tra le gambe, come se questa ragazzina dalle dimensioni di una bambola di porcellana fosse la creatura più spaventosa del mondo.
Dalila ridacchia piano e si siede sul posto lasciato dal viscido.
«Beh, è stato divertente» con perfetta tranquillità accavalla le gambe e appoggia i gomiti sul bancone, concentrandosi completamente su di me. Devo ammettere che è strano essere studiata così attentamente da una ragazza con la metà dei miei anni. Sento la vocina della mia coscienza pungolarmi ma la metto a tacere perché non sto facendo nulla di male e decido di ringraziarla; ancora una volta però, prima che possa dire qualcosa, m'interrompe.
«Mi dispiace essere intervenuta ma ero seduta al tavolo qui dietro e non ho potuto non sentire: il tipo parlava a voce abbastanza alta. Probabilmente avrei dovuto evitare ma...» e di colpo non ha più quell'espressione sicura di sé; si mordicchia il labbro inferiore e abbassa lo sguardo sulle sue dita. Ero abituata a vederla sempre così timida in giro per il liceo eppure ora mi chiedo quale delle due versioni sia quella reale. O forse lo sono entrambe.
La mia mano agisce di sua spontanea volontà quando si appoggia sulle sue e lei riporta quei suoi enormi occhi su di me «Grazie».
Una semplice parola che però basta a farla sorridere di nuovo ed io mi sento piuttosto orgogliosa di me.
«Come mai sei qui?»
M'indica un punto alle mie spalle e quando mi giro vedo un ragazzo a qualche tavolo di distanza fissarci. Oh, un appuntamento probabilmente.
«Beh, signorina De Luca, grazie ancora per il salvataggio ma credo che quel ragazzo vorrebbe tornasse al tavolo».
Anche lei lo guarda qualche istante e poi mi chiede a bruciapelo «Davvero ti hanno dato buca?» A quanto pare dopo la scenetta di prima abbiamo abolito le formalità. Sento le guance diventarmi rosse come se fossi un adolescente ma annuisco; quanto è patetico ammetterlo?
Dalila mi stringe le dita, oddio ma le sto ancora tenendo la mano?, e inclina la testa di lato, in quel modo tutto suo che mi ha sempre ricordato un pettirosso curioso. «Beh, lasciami dire che chiunque sia stato è un idiota».
Stavolta il rossore di diffonde anche sulla punta delle orecchie e sul collo.
«Vuoi unirti a noi?»
Mi rigiro verso il ragazzo che l'aspetta con un'infinita pazienza e anche a questa distanza vedo il modo in cui la guarda; ricordo quando anche il mio ex marito mi guardava con quella stessa espressione: un misto di devozione, felicità, desiderio. In una parola: amore, puro e semplice amore.
E fare da terzo incomodo è triste quando farsi dare buca, forse giusto un filo meglio. Per cui scuoto la testa e finalmente mi decido a ritrarre la mano anche se devo ammettere che era una sensazione piacevole. Strana ma piacevole.
«Tranquilla. Come cercavo di far capire a quel tipo, preferirei tornare a casa».
«Sicura?»
«Certamente» e vorrei sapere cosa le passa per la testa.
Wow... mi sa che ho bevuto decisamente troppo vino!
Decisa a non fare altre pessime figure mi alzo in piedi e le porgo la mano, cercando di ristabilire un po' le distanze. Lei guarda prima me poi la mano e poi di nuovo me e quel sorrisetto impertinente di prima torna a piegarle le labbra.
Si alza a sua volta e non posso fare a meno di constatare quanto sia piccola: fisicamente, non solo di età. E nel notarlo mi accorgo anche del suo abbigliamento molto diverso da quello che portava al liceo: pantaloncini di jeans strappati, calze a rete, anfibi e un top che le sta attaccato come una seconda pelle.
Ecco, farle una radiografia è decisamente una di quelle cose che non dovevo fare. Ma quanto diamine era forte quel vino?
Ma non posso rispondermi perché mi ritrovo di nuovo circondata dalle sue braccia e dal suo profumo mentre mi abbraccia calorosamente. «È stato bello rivederti prof» e mi dà un secondo bacio sulla guancia. Sono tanto sconvolta che rimango ferma sul posto anche quando si allontana con un sorriso e quando torna dal suo appuntamento.
Mi giro verso il barista che mi fissa con una strana espressione in viso e gli chiedo il conto. Sono fermamente decisa ad ignorare qualsiasi cosa sia successa questa sera, a partire dal fatto che il cuore mi stia battendo così veloce per un abbraccio e un bacio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 02. Dalila ***


«Eccoti... pensavo che volessi abbandonarmi qui come un idiota!»
Gli sorrido distratta ma non riesco a smettere di guardare la professoressa Poli, anzi, Bianca; non è più una mia professoressa. Anche una volta che se n'è andata rimango sovrappensiero: il bisogno di mettermi in mezzo e proteggerla, anche se tra virgolette, mi ha sorpreso.
Giocherello con la punta della treccia mentre Adam continua a raccontarmi di una gara di cui non m'importa nulla.
Mi chiedo piuttosto chi fosse il tipo che l'ha lasciata da sola ad aspettare a un bar senza neanche avvisare; uno stronzo sicuramente ma anche un perfetto idiota. Bianca è il tipo di donna che ognuna di noi vorrebbe essere, il tipo di donna che dovrebbe trovarsi nel paginone centrale di una rivista per soli uomini: alta e con un fisico da pin up. Folta chioma bionda, occhi grigi da gatta, lunghe e snelle gambe e curve degne di una modella brasiliana: non c'è da stupirsi se era, e probabilmente è ancora, il sogno erotico di ogni ragazzo del liceo. Ogni ragazzo e ogni uomo perché più di un professore le faceva la corte. Eppure lei stava sempre sulle sue, irraggiungibile per chiunque.
Ecco perché non posso fare a meno di chiedermi il genere di uomo che era riuscito a strapparle un appuntamento, chi è riuscito ad avvicinarsi all'irraggiungibile.
Poi ripenso alla sensazione di stringerla tra le braccia e il cuore perde un altro battito.
«Terra chiama Dalila» sobbalzo e torno alla realtà dove un Adam piuttosto scocciato mi fissa dall'altra parte del tavolo.
Non ha tutti i torti visto che lo stavo palesemente ignorando e mi dispiace perché un tempo eravamo davvero legati. Prendo il bicchiere e butto giù quel poco che resta del mio Long Island.
«Scusa se sono un po' distratta ma sai... il lavoro... casa...» tu che fai lo stronzo e mi parli di gare a cui non posso più partecipare; no, quest'ultima cosa me la tengo per me.
«Ma certo, capisco» e a me viene da ridere perché cosa vuole capire lui che non ha mai dovuto lavorare un solo giorno della sua vita e con i suoi genitori che accontentano ogni suo capriccio?
Sento l'alcool annebbiarmi dolcemente il cervello e mi chiedo se usciti da qui proverà a baciarmi. Forse glielo lascerò anche fare.
Sorrido di nuovo anche se non ho nessuna voglia di sorridere e mi sposto la treccia dietro la schiena. «Però sai... non ho più fame», guardiamo entrambi il mio piatto quasi completamente pieno e so che nella sua testa sta calcolando anche quanto ho bevuto: prima all'aperitivo, dopo al bar mentre aspettavamo il tavolo e poi durante la cena: in pratica ho le parole "Scopata facile" tatuate in fronte. So anche che da ragazzi aveva una cotta per me anche se all'epoca non ricambiavo.
In ogni caso fa subito cenno al cameriere perché ci porti il conto.
Indosso la giacca di pelle ed usciamo. E, come previsto, mi ritrovo la sua bocca incollata alla mia dopo circa tre passi.
Ricambio il bacio ma non sento nulla. Non sento mai nulla, di solito mi costringo a provare una parvenza di eccitazione, ma quando le sue mani planano sul mio culo decido che in fondo non ne vale la pena. Voglio solo tornare a casa e mettermi a letto.
Sento la sua bava sul mio mento e non riesco più a trattenere una smorfia di disgusto. Dio, ne ho incontrati di ragazzi che baciavano male ma lui ce la sta mettendo tutta per essere quello che bacia peggio.
Gli metto le mani sul petto e faccio pressione; non riesco a spingerlo via ma se non altro recepisce il messaggio.
«Scusa ma mi sta venendo un mal di testa atroce. Ci vediamo un'altra sera?»
È deluso, glielo leggo chiaramente negli occhi, ma non insiste. Fa un passo indietro e mi accompagna alla macchina, da perfetto gentiluomo.
Apro la portiera e mi giro a salutarlo, stavolta mi limito solo ad un abbraccio.
«Beh, è stata una bella serata», non ha tutti i torti solo che mi sono resa conto che non potremo mai più essere amici come prima.
Non riesco a trattenermi e gli faccio una carezza sul volto «Sono stata bene, sì.» Lascio cadere la mano e mi allontano e gli dico qualcosa a cui non credo neanche mentre lo dico «Essendo che sono molto impegnata, facciamo che ti chiamo io per la prossima uscita?»
«Certo!»
Salgo in macchina e so già che non lo richiamerò mai.
Sento una specie di vuoto dentro mentre apro la porta di casa ma sparisce quando mi ritrovo una palla di pelo bianca tra le gambe; ogni volta che torno a casa la mia cagnolina, Trilli, inizia a saltellare e a tremare per la gioia e non riesco a trattenere le risate.
Chiudo la porta e butto la borsa a terra prima di prenderla tra le braccia e affondare il naso nel suo morbido pelo.
«Ma ciao, ma ciao bella palla di pelo» so di sembrare un idiota quando parlo con la mia cagnolina ma è più forte di me come quei genitori che fanno tutte quelle vocine ai figli per strappargli una risata e che se avessero il dono della parola chiederebbero di non essere trattati come scemi.
Sempre tenendomela in braccio, accendo le luci in casa -non che ci voglia molto abitando in un bilocale- e la deposito sul letto.
Sento il bisogno viscerale di farmi una doccia e lavare via ogni traccia del tocco di Adam. Eppure anche dopo essermi tolta tutti i vestiti provocanti, il trucco da troietta ed essermi lavata con l'acqua bollente mi sento sporca, come se il tocco di Adam fosse una macchia indelebile. Forse è solo l'ennesima macchia del tocco di un uomo che si aggiunge alla mia anima.
Indosso solo degli slip di cotone e una maglietta lunga prima di saltare sul letto vicino alla mia cagnetta; come ogni sera, sciolgo i capelli, lunghi fino alle reni e neri come l'ala di un corvo, prima di iniziare a spazzolarli. Trilli abbia un paio di volte e si accovaccia sulle mie gambe da dove mi osserva con quei suoi occhietti vispi.
«Sai, piccola, chi ho incontrato stasera? La professoressa Bianca Maria Poli» rido quando rizza le orecchie «No palla di pelo, non la conosci. Però mi ha fatto piacere vederla». Mi mordo il labbro e interrompo una spazzolata a metà chioma. Perché mi ha fatto davvero piacere vederla e parlarle; per una volta non come alunna e professoressa ma come due semplici donne che s'incontrano per caso.
Non parlo più perché ora sono totalmente persa nei miei pensieri e vado avanti a spazzolarmi fino a quando i capelli non ricadono in morbide onde.
Chissà se ha qualche social?
Prima che possa cambiare idea recupero il portatile dal fondo del letto e sposto la mia piccola accanto a me che nel frattempo si è anche addormentata.
Entro su Facebook e cerco il suo nome. Scorro alcuni profili di donne che non sono palesemente lei e poi... Bingo!
Ha il profilo privato ma è lei, la riconosco anche se è girata di spalle. Lo so a pelle e nello stomaco che è lei.
Sento sulla punta della lingua una goccia di sangue e mi rendo conto che sto mordendo troppo forte il labbro inferiore.
Okay, non sto facendo nulla di male no?
Sposto il mouse più volte e alla fine le mando una richiesta di amicizia.
Mi tremano le mani e so che se mi metto a pensarci poi alla fine cambierei idea e annullerei la richiesta; quindi chiudo velocemente tutto e mi rannicchio sotto le coperte. L'ultima cosa a cui riesco a pensare è a come mi sembravano giuste le mie braccia intorno alla sua vita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 03. Bianca ***


Cammino per i corridoi semi deserti della scuola con una pila di libri e fogli tra le braccia diretta verso l'aula insegnanti quando sento qualcuno darmi una spallata abbastanza forte da farmi fine a terra insieme a tutto quello che stavo portando. Sgrano gli occhi quando incrocio il volto fintamente innocente di Melania, un altra professoressa che nonostante quest'anno abbia fatto i trent'anni è immatura quanto un quindicenne.
«Oh, scusa mia cara... non ti avevo vista!»
Le rispondo con un sorriso finto quanto il suo ma mi rifiuto di mettermi a litigare. Per amor del cielo, siamo donne adulte e dovremmo dare il buon esempio!
«Tranquilla, so che non l'hai fatto apposta» mi rialzo e pulisco i pantaloni beige.
Lei mi fissa un attimo prima di gettarsi i capelli dietro la schiena e andarsene per la sua strada. E davanti a quell'atteggiamento mi viene da ridere: chi crede di essere, la cattiva di qualche film per adolescenti?
Scuoto la testa e mi chino a prendere le mie cose dal pavimento.
«Professoressa, tutto bene?»
Alzo lo sguardo su uno dei miei studenti, Domenico Riva, che nel frattempo si è chinato per aiutarmi a recuperare le ultime cose. «Sì, diciamo che va tutto bene.» Però mi scappa un sospiro.
Lui non pare accorgersene e mi rivolge un sorriso smagliante; ci rialziamo nello stesso momento e ancora una volta mi chiedo cosa mangino i ragazzi di oggi che a diciassette anni sembrano già degli uomini fatti e finiti. Non che abbia mai messo gli occhi su un mio studente, ovvio... certo una certa richiesta di amicizia che sto ignorando da tre giorni e che ancora lampeggia sul mio desktop mi ricorda che non è un discorso che vale proprio per tutti. Perché, anche se odio ammetterlo e potrei finire in grossi guai anche solo per averlo pensato... beh, io Dalila l'avevo già notata quando studiava qui e di lei ricordo ogni cosa. Era quel tipo di studentessa che mi ricorda perché amo il mio lavoro e perché ho scelto una scuola pubblica anche se avrei potuto lavorare in qualche università o persino all'estero.
«Professoressa?»
Mi rendo conto che Domenico mi ha detto qualcos'altro e spero che un sorriso basti mentre prendo i fogli che mi porge.
Lo guardo arrossire e balbettare un «A dopo» -che avrebbe potuto benissimo essere "un topo" per come l'ha detto- prima di scappare via.
Dopo averi finalmente raggiunto la sala insegnanti senza altri incidenti o altri strani incontri ed aver depositato tutto nel mio armadietto, finalmente esco nel parcheggio, libera dopo una giornata pesanti come poche.
Stanca, mi siedo sul cofano della mia macchina e mi accendo la prima sigaretta della giornata; chiudo gli occhi e aspiro con un certo gusto, sento il sapore della nicotina pizzicarmi la gola mentre sento una parte di tensione venire rilasciata insieme alla nuvoletta di fumo. Non sono una di quelle persone così dipendenti dal fumo da non poterne farne a meno, ho visto più di un insegnate e più di uno studente dare di matto per il fatto di non poter fumare, ma è un piccolo vizio su cui mi piace indugiare nelle giornate particolarmente stressanti. Come quella di oggi per l'appunto.
Fumo con calma mentre ripenso alla scorsa sera. Alla fine -la mattina dopo- Daniele mi ha richiamato scusandosi per avermi dato buca e mi ha chiesto un secondo appuntamento. Stavolta sono stata un po' sulle mie perché, dannazione, non esco spesso da quando ho divorziato e quando lo faccio poi mi ritrovo a bere vino da sola; non è stata una cosa piacevole e di certo non farò la parte del cagnolino pronto a tornare ogni volta che il padrone batte le mani.
Però non so quanto dovrei farlo aspettare.
Con questo dubbio in testa, spengo il mozzicone di sigaretta e lo butto nel cestino.
Se avessi un amica, una migliore amica, chiederei a lei ma non sono mai stata troppo brava a coltivare le amicizie femminili e quasi tutti quelli che un tempo consideravo amici alla fine si sono rivelati essere più amici di Giorgio, il mio ex, che miei.
Stupida io ad aver fatto di lui tutto il mio mondo, a credere che saremmo rimasti insieme per sempre e che quel rapporto mi sarebbe bastato. Stupida io perché ora non ho nessuno a cui chiedere quanto tempo bisogna far aspettare un uomo prima di decidere se dargli una seconda possibilità.
Sto per entrare in macchina quando una vocina mi ricorda la richiesta di amicizia, una richiesta che non centra nulla con Giorgio o con le mie attività di volontariato.
Dalila potrebbe diventare un amica?
Ci penso per tutto il tragitto fino a casa mia; in realtà ci penso per tutto il tempo anche mentre mi riscaldo un piatto pronto, mentre lo mangio e mentre guardo la televisione.
Bisogna ammettere che quella ragazza negli ultimi giorni ha occupato una porzione molto ampia dei miei pensieri.
E forse sono un po' disperata se vado a cercare l'amicizia di una ragazza così giovane, simile a uno di quegli uomini che vanno in giro con ragazzine che hanno la stessa età delle loro figlie, ma alla fine mi decido a salire nello studio e far partire il computer.
Eccola lì, quella piccola malefica notifica. Non ho avuto neanche la forza di chiudere la pagina, avrei dovuto capirlo che avrei ceduto.
Infatti clicco su "Accetta richiesta di amicizia" e, non contenta, le mando anche un messaggio:

    >>Buonasera Dalila, mi ha sorpreso che tu mi abbia cercata...

Stavo quasi per scriverle che mi ha fatto anche piacere ma mi trattengo. Mando il messaggio e sento qualcosa al centro del mio petto svolazzare.
Resto seduta qualche minuto a guardare lo schermo mentre un piccola parte di me, e neanche così piccola, spera di ricevere subito una risposta.
Anche se è illogico.
Anche se non è neanche online.
Per distrarmi, controllo la posta ma quando ho finito mi ritrovo di nuovo a fissare il profilo della ragazza. Come una stalker, sussurra la vocina nella mia testa.
Però è stata lei a chiedermi l'amicizia per prima e poi nessuno mette online cose che non vuole far vedere.
Il mio ragionamento mi sembra perfettamente sensato quindi è con la coscienza pulita che apro le foto.
Non ne ha tantissime, molte sono di lei insieme a un altra ragazza -una certa Maddalena-, ma due attirano il mio sguardo: due citazioni dello stesso libro e due uguali colpi allo stomaco.
La prima frase è stata scritta su un muro azzurro “La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele”.
La seconda è stata trascritta con un pennarello nero su una polaroid, una donna che assomiglia tantissimo a Dalila e che tiene in braccio un piccolo fagotto, e recita “Essere mamma non è un mestiere; non è nemmeno un dovere: è solo un diritto tra tanti diritti”.
Entrambe le frasi provengono da "Lettera a un bambino mai nato" della Fallaci; in tutta onestà non credo che ci siano molti ragazzi dell'età di Dalila che conoscono quel libro a meno che l'abbiano letto a scuola eppure capisco che per questa ragazza è un libro in qualche modo molto significativo.
La prima volta che l'ho letto ho pianto e anche la seconda; le parole dell'autrice sono andate a toccare una particolare corda della mia sensibilità, da donna che non è mai diventata madre per scelta di qualcun altro.
Quando mi rendo conto di star tremando spengo lo schermo e mi rifugio in camera mia.
M'infilo direttamente nel letto, senza neanche togliermi i leggings e il top leggero che ho indossato dopo aver fatto la doccia e che di solito uso per fare yoga. Ho trentanove anni, qualcuno direbbe che sono ancora in tempo per avere un figlio ma a conti fatti ormai, da quel punto di vista, il mio tempo è praticamente finito. A questo pensiero una vampata di odio per Giorgio m'infiamma il sangue e mi scalda la pelle più delle coperte. Razionalmente so che non è del tutto colpa sua ma buona parte? Quello sì.
Sono in uno stato di dormiveglia quando sento un bing provenire dallo studio e spalanco di nuovo gli occhi.
Lancio uno sguardo alla sveglia appoggiata sul comodino e mi rendo conto che sono quasi le quattro del mattino. Strofino stancamente gli occhi camminando verso lo studio e, mentre sto entrando, un secondo bing esce dal mio computer. Devo davvero iniziare a spegnerlo del tutto e non solo il desktop. Oppure togliere il volume dopo averlo usato.
Accendo una sigaretta mentre lo schermo s'illumina velocemente ma quasi mi strozzo con il fumo quando mi rendo conto che Dalila non solo ha appena risposto al mio messaggio ma ne ha inviati ben due.

    >>Dopo tre giorni avevo iniziato a dubitare che avresti accettato la mia richiesta ma sono felice che tu l'abbia fatto :)

Ecco, lei non si è vergognata a scrivere che le ha fatto piacere. Ha decisamente più coraggio di me la ragazza!

    >>Ti rispondo solo ora perché al locale dove lavoro faccio degli orari assurdi. Immagino quindi che leggerai questi messaggi solo domani mattina

Quindi lavora in un locale; il mio cervello immagazzina immediatamente l'informazione. Ho la sensazione di voler sapere tutto sulla sua vita ma per ora ordino alla mia mente di darsi una calmata.
A questo punto potrei anche tornare a letto ma il pallino verde accanto alla sua foto indica che è ancora online ed è una tentazione irresistibile. Anche se non so il perché.
Spengo nel posacenere la sigaretta che non ho fumato e poso le dita sulla tastiera.
In ogni caso mi giustifico con la mia coscienza pensando che sono già sveglia e difficilmente riuscirei a riprendere sonno.
L'importante è non indagare su quella parte che mi sta dicendo che sto solo mentendo a me stessa!

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Capitolo 4
*** Capitolo 04. Dalila ***


Dire che sono furiosa è dir poco. Stasera sono stata a un passo da rovesciare tutto e licenziarmi!
Anche dopo aver fatto una lunga doccia calda e aver coccolato Trilli sento una sorta di elettricità statica vibrarmi sotto pelle. Cosa che deve aver percepito anche la mia cagnolina visto che dieci minuti fa è andata a nascondersi sotto le coperte del letto, dopo l'ennesima mia sequela di imprecazioni; se non fosse che sono affezionata a tutto quello che ho in casa, e che non posso permettermi di ricomprare nulla, avrei già spaccato qualcosa.
Provo a fare un respiro profondo ma non funziona quindi passo alle armi più forti e tiro fuori una bottiglia di whisky. La guardo per qualche momento come si farebbe con un vecchio amico che non vedi da un po' e verso cui provi sentimenti di amicizia e risentimento. Una parte di me è tentata di mandare a fanculo tutto e bere direttamente dalla bottiglia ma, prima che possa farlo, mi pare quasi di vedere Michele scuotere la testa con disapprovazione quindi tiro fuori un bicchiere quadrato. Dovrei fermarmi alle classiche due dita ma sono talmente nervosa che finisce che me lo riempio fino all'orlo. Meglio che bersi mezza bottiglia!
Mi siedo sul divano con la schiena appoggiata al bracciolo e appoggio per un attimo la testa contro lo schienale, stanca, mentre la mano che tiene il bicchiere trema leggermente. Senza neanche guardare accendo la televisione e abbasso il volume fino al minimo: non sono interessata a qualsiasi cosa stia andando in onda -mi sembra una televendita dal tono sovreccitato delle voci- ma odio il silenzio in casa, soprattutto quando i pensieri in testa fanno troppo rumore.
Chiudo gli occhi e quando avvicino il bicchiere al volto l'odore familiare inizia già a calmarmi i nervi; dovrei assaporarlo, berlo a piccoli sorsi come mi ha insegnato mio padre, invece lo bevo alla goccia: è proprio vero che le brutte abitudini sono dure a morire!
L'alcool mi brucia l'esofago quando scende e sento le terminazioni nervose accendersi come lampadine; mi si appanna la vista per un attimo mentre il battito cardiaco già inizia a rallentare. Ruoto dolcemente le spalle e tutti i problemi della serata già iniziano ad allontanarsi. Vorrei prendere la bottiglia e bermi un altro bicchiere, prolungare questa sensazione, ma mi conosco e so che devo fermarmi; già l'altra sera con Adam ho esagerato, ho superato il limite che mi ero imposta, anche se le circostanze lo richiedevano.
Ripensare a quella serata però mi fa tornare in mente Bianca e la richiesta d'amicizia che non ha ancora accettato. Apro gli occhi e vado a recuperare il computer; stavolta mi siedo a terra sul tappeto, con le gambe incrociate e la schiena contro il divano.
La notifica che mi avverte che Bianca ora è mia amica e il messaggio che mi ha inviato mi procurano un secondo brivido di piacere, solo che stavolta non centra nulla l'alcool.
Nonostante l'ora tarda decido di mandarle comunque un messaggio e sorrido quando vedo la lucina verde accendersi vicino all'icona del suo profilo.
Butto indietro la testa, i capelli che si aprono a ventaglio sulla stoffa del divano e aspetto che risponda.
Non devo aspettare a lungo.

    >>Immagino che dopo aver lavorato quasi tutta la notte avrai voglia di andare a dormire piuttosto che messaggiare con me. Io invece penso di aver esaurito le mie ore di sonno per oggi!
    >>Dovrei dormire è vero ma ci sono due problemi: sono troppo nervosa per mettermi a letto e, anche se non lo fossi, soffro di insonnia
    >>Sono indiscreta se ti chiedo come mai sei così nervosa?
    Ah, e anche io sono anni che non mi faccio una dormita decente!

Sorrido quando leggo il suo ultimo messaggio. A quanto pare qualcosa in comune ce l'abbiamo. Giocherello con una ciocca di capelli indecisa su quanto poter essere sincera ma alla fine decido di non nascondermi dietro la maschera di quella che non sono, non avrebbe senso. Non con Bianca.

    >>Un cliente, parecchio ubriaco, ci ha provato pesantemente con me. Ho provato a far finta di nulla visto che era chiaro che fosse completamente fuori: biascicava le parole e, ogni volta che si alzava in piedi, barcollava come se dovesse cadere faccia a terra da un momento all'altro. Quando però mi ha messo la mano sul culo, sono scoppiata: gli ho tolto la mano a forza e gli ho detto che se lo rifaceva gli avrei spaccato le dita una a una.
    >>Oddio, mi dispiace. Capisco perché sei nervosa ma direi che quel tipo se l'è ampiamente meritato.
    Anzi, si sarebbe meritato uno schiaffo!

Prima di rendermene conto mi ritrovo a ridacchiare.

    >>La gentile professoressa Bianca Maria Poli è incline alla violenza fisica? Non l'avrei mai detto...

Me la immagino mentre legge questo messaggio e la pelle chiara le diventa di un bel rosso accesso e mi viene da ridere di nuovo.

    >>Non sono incline alla violenza ma questo non significa dover accettare passivamente le attenzioni indesiderate di un uomo
    >>Beh, io concordo pienamente con te ma a quanto pare il mio capo no... mi ha detto che se minaccio un altra volta un cliente sono licenziata

Vedo che sta scrivendo ma passa un intero minuto prima che mi arrivi una faccina con gli occhi sbarrati, chiaramente sconvolta. Stavolta rido di gusto perché non credevo che fosse una donna che usa le emoji.

    >>Bianca, questa conversazione mi sta rivelando lati inaspettati del tuo carattere!

Ancora una volta passa un po' prima di ricevere una sua risposta e nel frattempo Trilli è scesa dal letto per venire a dormire sul divano accanto alla mia testa. Aspetto paziente perché Bianca è una donna che s'imbarazza facilmente, un po' come Maddy, e accarezzo il pelo candido della mia adorata cagnolina.

    >>Non so cosa rispondere... non so neanche se sia corretto messaggiare con te...
    >>Perché ero una tua studentessa?
    >>Sì
    >>Beh, ma non sta tutto lì la questione, nel verbo al passato? Ma se te lo devo dire esplicitamente va bene: Bianca, io non sono più una tua studentessa; non stiamo facendo nulla di male

Ora vorrei avercela davanti per poter vedere la sua espressione davanti alle mie parole, non mi basta immaginarla. Voglio essere sicura che questa cosa le sia chiara e che non abbia dubbi o sensi di colpa.

    >>Quindi siamo due sconosciute con una parte di passato in comune e che si sono incontrate per caso in un bar?
    >>Due sconosciute? Mi piace di più la definizione di Mark Zuckerberg: amiche
    >>Davvero? Basta così poco?
    >>Perché ti sorprende così tanto?

Aspetto, sto iniziando a capire che, al contrario mio, Bianca non risponde di getto ma si prende il suo tempo per pensarci e ripensarci.

    >>È patetico se ti dico che non ho molte amiche? Cioè, non sono una asociale o altro, vado d'accordo con le mie colleghe (quasi con tutte) e con le altre ragazze del volontariato... e a volte esco a bere qualcosa o a cena con loro... ma la maggior parte delle mie amicizie sono sparite quando mi sono separata
    >>Mi sa allora che non erano veri amici. Gli amici non se ne vanno così facilmente! Ma no, non è patetico. Anche io non ho tante amiche: preferisco poche ma di cui mi posso fidare davvero!
    >>ahahah siamo una bella coppia

Non posso non sorridere perché con quest'ultima frase che ha scritto mi sembra di aver raggiunto già un gran traguardo ma decido di spingere ancora un po':

    >>Alla fine hai più sentito l'idiota che ti ha dato buca?

Mi rendo conto che mi sto mordendo il labbro e cerco di fare un respiro profondo: non so perché mi sento così nervosa di leggere la risposta.
E quando risponde trattengo a stento una smorfia.

    >>Sì, mi ha scritto la mattina dopo.
    A quanto pare, la sua ex moglie si è presentata all'improvviso e gli ha lasciato il bambino.
    Mi ha chiesto una seconda uscita per poter rimediare...

La spiegazione mi lascia l'amaro in bocca.
Digito ed invio la risposta prima ancora di aver pensato cosa dirle. Decisamente io non sto a pensare molto prima di parlare!

    >>Sei sicura di volergli dare una seconda occasione? A me continua a sembrare un idiota... anche perché sarà stato anche trattenuto ma non credo che l'ex moglie gli abbia anche requisito il telefono!

Lo so, troppo acida per essere una persona che quasi non conosco. Ma come era già successo al bar, mi sento in qualche modo protettiva nei suoi confronti!

    >>Hai ragione ovvio ma... beh, credo che una seconda occasione non si nega a nessuno. Ma la verità è che sono stata fuori dal giro dei primi appuntamenti tanto a lungo che non so come comportarmi...
    >>Facciamo così: sei libera a pranzo?

Fisso sorpresa lo schermo, non era quello che avevo pensato di scriverle. Trilli apre un occhietto nero ed io le faccio il broncio «Cosa? Non posso più cancellarlo ormai»; lei mi da una leccata sulla punta del naso e torna a dormire.
Ho il cuore che batte veloce e il fiato corto come dopo un allenamento intensivo.

    >>In realtà sì... cosa avevi in mente?
    >>Beh, credo che sia meglio affrontare questo tipo di discorsi di persona.
    Ti va bene vederci al Caffè Berlino, in centro, diciamo per le 13 e trenta?
    >>Mi piacerebbe

Sento un largo sorriso piegarmi le labbra e mi viene quasi voglia di agitare il pugno al cielo ma visto che non sono in un film anni ottanta mi limito a mandarle un pollice alzato e lasciarle il mio numero -perché non si sa mai-.

    >>Mi sono appena segnata il tuo numero... quindi è deciso, ci vediamo domani?
    >>Direi di sì... quindi forse è il caso che dorma almeno qualche ora o non sarò un amica molto sveglia!
    >>ahahah beh, allora buona notte
    >>Direi più buongiorno

Digito quelle parole ma so che se fosse per me sarei capace di portare avanti i saluti fino all'ora che ci dobbiamo vedere quindi faccio la drastica e chiudo la pagina e spengo addirittura il computer.
Abbiamo messaggiato tanto a lungo che dalla finestra entrano le prime luci dell'alba; si vede che l'estate si sta avvicinando.
Lascio Trilli a dormire sul divano e mi butto sul letto con un sorriso alla joker sul volto. Non sono mai stata tanto impaziente che arrivi l'ora di pranzo!

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Capitolo 5
*** Capitolo 05. Dalila ***


«È tanto che aspetti?» Mi viene da ridere quando la vedo sobbalzare e portarsi una mano al petto.
Un gran petto sottolineato da una stupenda camicetta rosa pallido, se qualcuno me lo chiedesse!
«Non ti avevo sentita arrivare», la guardo chiudere brevemente gli occhi e ne approfitto per sedermi sulla sedia di fronte a lei.
«No, sono praticamente appena arrivata anche io».
Sono talmente presa ad osservare il suo volto, e in particolare quei suoi occhi ammalianti, che ci metto qualche secondo a capire che mi ha risposto.
«Non avrei mai pensato di trovarmi a pranzare con te», provo a smorzare la mia incredulità con un sorriso e sono orgogliosa di me stessa quando la vedo sorridermi a sua volta.
«Onestamente neanche io ma mi ha fatto piacere rivederti... e comunque come hai detto tu non stiamo facendo nulla di male?»
«Era una domanda o un affermazione, professoressa Poli?» Non riesco a resistere dallo stuzzicarla, è carina come una ragazzina quando s'imbarazza. Ed ora che ce l'ho di nuovo così vicino non mi stupisco di sentire le ceneri della mia vecchia cotta per lei ridestarsi.
Bianca ridacchia «Un affermazione, signorina».
«Bene, ora che abbiamo sistemato la questione direi che dobbiamo ordinare da mangiare altrimenti ti avverto che rischi che ti morda per la fame!»
Ride ancora e fa cenno al cameriere; forse forse un morsetto glielo vorrei dare comunque.
No, pensieri sconci a cuccia!
«Cosa prendi?» Mi devo mordere il labbro per non lasciarmi sfuggire una battuta a doppio senso e invece rivolgo un sorriso al cameriere che a sua volta sta ancora fissando incantato Bianca; prima che possa trattenermi schiocco forte le dita attirando l'attenzione di tutto il locale e finalmente anche quella del ragazzo che avvampa all'istante. «Perfetto, ora che ho la tua attenzione: vorrei un panino al salmone con crema di formaggio e dell'acqua naturale fredda» Sento Bianca ridacchiare prima di aggiungere «Fai due, prendo la stessa cosa». Quando se ne va, con le orecchie ormai in fiamme, Bianca si mette definitivamente a ridere anche se anche lei è diventata di un bel rosso sulle guance. «Sei proprio un bel tipetto... è dire che pensavo fossi timida».
Giocherello un momento con il bracciale di pelle che tengo al polso «Diciamo che mi sono resa conto che a far vedere agli altri la mia timidezza non sarei andata da nessuna parte.»
La sue dita sfiorarono le mie mandandomi scariche elettriche in tutto il braccio e giù lungo la spina dorsale. E io, sciocca, che credevo di aver superato l'infatuazione. Invece sto scoprendo che più che essersi ridotta in cenere si era semplicemente nascosta in un angolino della mia mente. E lo so con certezza quando parla e il mio cuore perde un battito «Eri carina anche quando eri timida...». Ansimo, incapace di trovare una risposta, so che non sta flirtando ma tutto il suo atteggiamento sembra far pensare il contrario. A salvarmi è il ragazzetto di prima, con le nostre ordinazioni.
Scosto la mano, anche se l'avrei voluta lasciare lì più o meno per l'eternità, e la vedo arrossire. Vorrei poterle dire che è una cosa tenera e che dona al suo incarnato un colorito color pesca che fa venir voglia di baciarla a lungo; invece prendo in mano il panino e gli do un grosso morso. Questo dovrebbe scongiurare il rischio di fare pessime figure.
Solo che esagero un po' troppo e il boccone mi va di traverso, facendomi tossire. Bianca accorre subito dalla mia parte, versandomi un bicchiere d'acqua fredda e dandomi leggeri colpetti sulla schiena. Finalmente riesco a ingoiare e con profondo imbarazzo bevo un altro sorso d'acqua; alla faccia di voler evitare figuracce. La sua mano continua ad accarezzarmi su e giù la schiena come se volesse essere certa che non ricomincerò a tossire da un momento all'altro ma sarebbe meglio che la smettesse o non riuscirò mai più a respirare in modo normale. «Tutto okay?» Annuisco e finalmente si stacca per tornare al suo posto. Prende in mano il suo di panino e mi rivolge un sorriso dolcissimo «Mangia più piano: non te lo ruba nessuno». Annuisco di nuovo, troppo imbarazzata per dire qualcos'altro e lancio un occhiataccia al vero colpevole di questa storia: il panino. Bianca ridacchia, portandosi una mano davanti alle labbra «E non lo guardare così che non è colpa sua!» Pare talmente di buon umore che alla fine anche a me scappa un sorriso.
«Che ti devo dire: sono come un gatto, vado matta per il salmone affumicato» la butto sul ridere, le faccio addirittura l'occhiolino prima di fare un altro morso, stavolta decisamente più moderato.
Bianca sorride e scuote la testa prima di imitarmi. Che è una bella donna è evidente dal primo secondo in cui la guardi ma non pensavo che potesse essere così facile parlarci e scherzarci; mi sento come se la conoscessi da tutta la vita.
«Alla fine sei riuscita a dormire un po'?»
«In realtà no» ero troppo emozionata per questo pranzo ma evito di dirlo «Sono uscita a fare una corsa e poi ne ho approfittato per pulire un po' casa».
Non perché mi aspetto che lei la veda.
No, sarebbe troppo strano.
Uhm, questa cosa di mentire a se stessi non funziona un granché...
«Sai, io mi dico sempre che inizierò a fare palestra o andrò a correre ma alla fine o smetto dopo pochi giorni o non comincio neanche». Stavolta sono io a ridere prima di scrollare le spalle «Credo che sia una questione di abitudini: io non riesco a pensare di non andare a correre tutti i giorni ma dopotutto quando facevo pattinaggio mi allenavo fino a trenta ore settimanali e, d'estate che avevo tutto il giorno libero, anche di più; ero capace di stare anche cinque ore di fila sul ghiaccio tutti i giorni e poi trova le forze per fare anche palestra.»
Bianca sgrana gli occhi e fa un fischio basso «Wow, non sono un esperta ma mi sembrano tantissime ore.»
Le rivolgo un sorriso mentre una fitta di rimpianto mi chiude lo stomaco «Lo sono. Ho fatto tanti sacrifici all'epoca per riuscire ad arrivare a quei livelli.»
«Ma quando ti sei trasferita qui non gareggiavi più, giusto?»
«Già» non so perché ho tirato fuori l'argomento pur sapendo che avrebbe fatto altre domande e pur sapendo di non avere la forza di risponderle. In compenso la fame mi è completamente passata e mi è venuta voglia di farmi un bicchierino o due.
Bianca però deve essere molto empatica perché sorride un attimo prima di cambiare argomento «Quindi, amica, volevi aiutarmi con la mia situazione con Daniele?»
Appoggio i gomiti sul bordo del tavolino e mi sporgo verso di lei, grata che non abbia insistito. «Esatto. Parlami di questo tipo» anche se ne sono enormemente gelosa e lo trovo già un idiota totale. Lei invece curva le labbra in un espressione da adolescente alle prese con la prima cotta «Si chiama Daniele Caruso ed è un nuovo professore del liceo».
Nonostante odio doverlo fare, muovo la mano spronandola a parlare. Siamo amiche solo da poche ore e già so che questa cosa mi ucciderà.
«Non c'è molto da dire in realtà. Ha quarantatré anni, quindi non è molto più grande di me, e un figlio di dieci.»
Aspetto ma quando vedo che non aggiunge altro alzo gli occhi al cielo «Okay che non c'è molto da dire ma almeno com'è fisicamente o cosa insegna... qualsiasi cosa». Più parlo e più mi viene da ridere, cosa che non riesco più a trattenere quando la vedo coprirsi il volto con le mani. «Non sono brava in queste cose, vero?»
«Tesoro, vai avanti e basta».
«Insegna fisica e per quanto riguarda l'aspetto... è alto e magro, con i capelli biondi e gli occhi blu...» Mi guarda come se si aspettasse una conferma «Come mai mi sembri titubante sul suo aspetto?»
Nulla, non resisto alla tentazione di stuzzicala un pochino.
Bianca arrossisce ancora di più «Non sono titubante. È che non sono del tutto sicura che abbia gli occhi blu e non grigi. Non mi guardare in quel modo, abbiamo parlato poche volte!» Va subito sulla difensiva, probabilmente la mia espressione al momento rispecchia alla perfezione i miei pensieri. Come fa a non sapere di che colore ha gli occhi la persona che le piace? Io saprei disegnare ogni suo singolo lineamento, comprese le leggere lentiggini sul dorso del naso.
«Va bene, scusa. Vai avanti, dimmi qual è il problema», lei mi fissa qualche secondo indecisa prima di distogliere lo sguardo «Il problema... il problema è che mi ha chiesto lui di uscire, non il contrario, quindi significa che è interessato a me».
Annuisco anche se mi pare superfluo, persino i sassi potrebbero essere interessati a lei!
«E poi mi ha dato buca così, senza neanche degnarsi di mandarmi un messaggio. Capisco che aveva il figlio ma trenta secondi per dirmi che non poteva più venire non li ha proprio trovati?»
Le sono diventati gli occhi lucidi e la voce roca e provo la lacerante sensazione di consolarla e di andare a picchiarlo.
«Eppure stai pensando comunque di dargli una seconda possibilità».
«Beh, una seconda occasione non si nega a nessuno credo...» però la voce le si fa bassa e tremula.
Prima di potermelo impedire le prendo la mano e la stringo forte. Bianca sgrana gli occhi e vorrei avere una macchina fotografica per immortalarla perché probabilmente non si rende conto di quanto bella e innocente appaia.
«La mia opinione su di lui onestamente non è molto alta e non sono neanche brava a dare seconde possibilità alle persone. Ma se quello che senti è questo, allora non ti devi sentire in colpa; semplicemente, questa volta cerca di proteggerti un po' meglio».
Lei fissa le mie dita intrecciate con le sue e si umetta il labbro inferiore con la punta della lingua. Ma non ritrae la mano e per questo faccio i salti di gioia internamente.
«E come dovrei fare?»
La fisso sorpresa «Avrai avuto degli altri appuntamenti, no? Basta che pensi a com-» mi blocco perché Bianca sta facendo di tutto per evitare il mio sguardo «Bianca, sei stata ad altri appuntamenti?»
Il suo rossore s'intensifica e va a coprirle il collo e la punta delle orecchie. «Mi sono fidanzata con Giorgio che avevo quindici anni e prima non ero stata con nessun altro. E abbiamo divorziato solo qualche anno fa, non per mia decisione. Quindi non sono uscita spesso. Anzi, quasi mai!»
Sbatto le ciglia incredula perché pensavo che dal divorzio avesse avuto un numero imprecisato di appuntamenti, non mi ero resa conto che nascondeva una donna piuttosto fragile e timida.
«Questo Daniele ti piace davvero?»
«Credo di sì» fa per aggiungere altro quando il suo sguardo si porta alle nostre spalle. La vedo sbiancare tutta d'un colpo e ritrarre in fretta la mano. Mi giro a cercare la causa di questo comportamento e mi rendo conto che delle signore ci stanno fissando con riprovazione. Vorrei dir loro di farsi una manciata di fatti propri ma lascio perdere. Anche se un po' mi brucia. Anche se un po' mi manca il suo tocco. Sorridere questa volta è più difficile, non vado in giro con indosso una bandiera arcobaleno ma sono perfettamente a mio agio con la mia sessualità e le mie preferenze. Per dissimulare finisco di mangiare il panino, cercando di calmarmi.
«Allora devi fare pratica».
Bianca alza lo sguardo di colpo dopo il mio silenzio prolungato. «Non sono sicura che si possa fare pratica di appuntamenti».
«Sciocchezze, si può fare pratica di tutto.» Mi alzo e tiro fuori il portafoglio mentre lascio che assimili l'idea. Paghiamo e usciamo dal bar in silenzio, se la guardo potrei giurare di vedere le rotelline del suo cervello girare a mille.
Camminiamo nel parco di fronte e quando individuo la fontana mi siedo sul bordo, fissandola dal basso verso l'alto.
«Nell'ultimo quarto d'ora non hai detto una sola parola. Quindi o sei sconvolta o non sai come fare».
Bianca si siede affianco a me e quando accavalla le gambe, la nostra pelle nuda si sfiora. Guardo il pezzo di pelle incriminata ma non ci posso fare nulla, lei indossa una gonna a tubino e io dei pantaloncini corti e a questa distanza è impossibile non toccarsi.
«Credo la seconda» a quella ammissione riposto gli occhi sul suo viso e mio malgrado sorrido. «Fammi fare un ipotesi: l'idea ti piace ma non sapresti con chi uscire perché non vuoi illudere nessuno e perché l'unico che non illuderesti è proprio quello per cui hai bisogno di fare pratica?»
«Sono così trasparente?»
«No, sei solo onesta. E dolce» distoglie di nuovo lo sguardo ma questa volta la blocco con un dito, costringendola a guardarmi negli occhi e costringendomi ad affogare in quel mare argentato. Con l'indice seguo il percorso morbido della sua mascella e sorrido quando vedo le sue pupille dilatarsi. «Esci con me».
«Cos- cosa?» Balbetta leggermente ma registro il fatto che non abbia rifiutato all'istante.
«Esci con me; fai pratica senza che ci siano illusioni».
«Io... Dalila, io non...» prima che possa dire altro, e soprattutto prima che possa ferirmi in modi che neanche si rende conto, sposto il dito sulle sue labbra, zittendola. «È solo per prenderci familiarità. Nessuna illusione da parte mia, lo giuro.» Tolgo il dito ma non riesco a rinunciare subito al suo calore e ne approfitto per sistemarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio e forse anche per sfiorarle un altra volta la pelle.
«Solo per finta?»
«Beh, l'appuntamento sarà vero o altrimenti non avrebbe senso. Ma tutto il resto? Sì, è solo per finta». Purtroppo.
So di avere insistito un po' ma quando cede e mi dice «Va bene, facciamolo» mi dimentico come si respira. E come si battono le palpebre. E come si fa ogni singola cosa.
Meno male che le ho detto che era solo una finzione, iniziamo bene.
«Bene. Ora tesoro, scusa ma devo portare fuori la mia cagnolina prima che faccia i suoi bisogni in tutta casa e inoltre devo organizzare un appuntamento» le faccio l'occhiolino e, senza darle altro tempo per riflettere, mi alzo e le do un bacio sulla guancia.
In pratica scappo via ma devo farlo perché la sua pelle profuma di cose buone e promesse.
Sarà difficile essere solo sua amica.

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Capitolo 6
*** Capitolo 06. Bianca ***


Sento vibrare il telefono e devo trattenermi dal lanciarmi sulla borsa per vedere la risposta di Dalila. Dal pranzo ci siamo sentite tutti i giorni, per ore, e dopo solo cinque giorni per me è diventata una cosa naturale, se non indispensabile. Era una cosa che non avevo provato prima, neanche con il mio ex marito; ogni notte Dalila mi scrive prima di andare a dormire e io leggo il messaggio appena sveglia: se devo essere sincera non ricordavo l'ultima volta che mi ero alzata con il sorriso. Lei invece mi fa sorridere sempre.
E anche arrossire quando ripenso alla sensazione delle sue labbra calde contro la mia pelle, alla sorpresa di voler allungare quel contatto e scoprire che sensazione avrebbe dato un bacio vero.
Guardo l'orologio con la stessa impazienza dei miei alluni «Avete ancora cinque minuti. Vi consiglio di rileggere le risposte»; dalle teste chinate sui fogli arrivano vari mormorii e anche una o due imprecazioni che lascio correre. Spero che questa simulazione d'esame vada meglio della scorsa o metà di loro me li ritroverò qui anche l'anno prossimo. Il suono del timer appoggiato sulla mia scrivania fa sussultare ben più di una schiena ma se non altro appoggiano tutti le biro sul foglio; un leggero chiacchiericcio si alza tra i banchi mentre la rappresentante di classe ritira tutti i compiti. Loredana mi rivolge un sorriso mentre mi porge i fogli, è un ottima studentessa ed è consapevole di esserlo, ma anche mentre ricambio mi rendo conto che metà del mio cervello sta pensando solo a Dalila.
Batto due volte le mani e quasi per miracolo ecco che scende il silenzio: capita una volta su cinque ma quando capita è sempre una gran bella soddisfazione.
«Fate dieci minuti di pausa: uscite a sgranchirvi le gambe e a mangiare qualcosa» dal rumore che fanno sembrano in trecento e non in venti eppure mi viene da sorridere a vederli precipitarsi fuori dall'aula. E quando anche l’ultimpo è uscito, finalmente prendo il telefono dalla borsa.
    Dalila: Sei libera questo sabato sera?
Mi mordo il labbro cercando di reprimere la sensazione di eccitazione che all'improvviso è esplosa nello stomaco.
    Bianca: Devo controllare la mia agenda ;)
    Dalila: Ti prego ti prego ti prego dimmi di sì

Leggo l'ultimo messaggio e rilascio di colpo tutto il respiro. Se chiudo gli occhi riesco quasi ad immaginarmela mentre fa gli occhi dolci per ottenere quello che vuole. Ho la sensazione però che non riuscirei a negarle mai nulla, occhi da gattina o meno.
    Bianca: Sì, sono libera... sei riuscita ad organizzare quello che volevi?
    Dalila: Anche di meglio ma non ti dirò di più: è una sorpresa

Le dita indugiano sulla tastiera, non voglio smettere di parlarle ma un nuovo messaggio mi fa ridere.
    Dalila: Torna dai tuoi studenti... noi possiamo parlare anche dopo :)
Dire che mi conosce è riduttivo, pare quasi che possa leggermi dentro.

    Bianca: Okay, almeno un indizio me lo devi dare o non so come vestirmi!
Mi siedo sul letto con il telefono in mano mentre osservo l'assoluto disastro che regna intorno a me: ho riversato l'intero contenuto del mio armadio su ogni superficie della stanza, ho provato ogni tipo possibile di outfit ma senza sapere dove dobbiamo andare mi è difficile, se non impossibile, fare una scelta.
Mi lascio cadere all'indietro, i capelli appena lavati e che profumano di cocco mi si spargono come un areola tutt'intorno, mentre stringo il telefono contro l'accappatoio bianco che ancora indosso. Chiudo gli occhi e mi costringo a fare di respiri profondi: mi devo calmare!
Cosa che però non riuscirò a fare a breve visto che appena mi arriva la notifica di risposta il mio cuore inizia a correre. Non capisco e sono confusa, non ho mai provato questo misto di ansia e pura gioia neanche ai primi appuntamenti con Giorgio. Felice sì ma con una sorta di placida calma e serenità. Un po' come confrontare lo stagno sotto casa con un oceano in tempesta!
Sblocco il cellulare con le dita che mi tremano.
    Dalila: Niente di troppo chic o pretenzioso. Elegante, se vuoi, ma comoda
Non mi ha detto molto ma alla fine decido per dei pantaloni neri a sigaretta anche se devo saltare un po' per riuscire a metterli e un top senza maniche rosso a pois bianco, tanto morbido che lo sento frusciare sulla pelle ogni volta che mi muovo. Infilo gli stivaletti con il tacco e decido di lasciare i capelli sciolti. Quando mi guardo allo specchio resto sorpresa che un semplice cambio di stile possa aver cambiato tutta la mia immagine: non sembrerò di certo una ragazzina come Dalila ma non dimostro neanche trentanove anni.
Sorrido perché era parecchio che non mi sentivo così spensierata.
    Bianca: Dove?
Anche perché abbiamo deciso di incontrarci direttamente sul luogo, una sua regola per gli appuntamenti in modo tale che nessuno risulti dipendente dall'altro; non è una pessima idea perché se l'appuntamento dovesse essere disastroso almeno non c'è bisogno di affrontare anche un intero tragitto in macchina.
    Dalila: il parco con il labirinto
Mi mordo il labbro ma non riesco a mettere di sorridere.
    Bianca: Perfetto, parto ora allora
Risponde con un pollice alzato e mi ritrovo a scendere le scale a due a due, il cuore pieno in modo scandaloso di aspettativa e gioia; forse dovrei smettere di analizzare mille volte quello che sento e semplicemente viverlo.

Il tragitto da casa mia al parco diventa un ricordo nebuloso, come avessi guidato con il pilota automatico, ma la mia mentre torna lucida appena la vedo: è stupenda. Non ha nulla addosso  i particolare o sgargiante, dei semplici leggings neri e una lunga maglia grigio chiaro, eppure ciò che attira l'attenzione è quella sua vivacità, un energia che le scorre sotto pelle come se dovesse mettersi a saltellare da un momento all'altro o a fare le giravolte. E quando anche lei mi vede s'illumina letteralmente dall'interno: si alza in punta di piedi e mi saluta con un sorriso tutto fossette.
«Wow, stai benissimo» sento il suo sguardo scivolarmi addosso e... ed piacevole! «Beh, non mi avevi dato molte indicazioni», Dalila scoppia a ridere e mi prende sottobraccio, come se l'avesse già fatto un centinaio di volte, e dopo l'irrigidimento iniziale mi lascio trascinare.
«Bianca, devi iniziare ad accettare i complimenti. Regola numero... a che numero siamo arrivate?»
«Sei o sette, credo».
«Credi?» Lo dice con un tono talmente esagerato che mi scappa una risatina «Male male, deve studiare di più!» Fa l'espressione severa che però si scioglie subito in un altro sorriso. «Va bene, quindi regola otto: accetta sempre i complimenti».
«Sai che hai un sacco di regole?» Ma stavolta mi becco davvero un occhiataccia da sotto a sopra e subito faccio marcia indietro «Allora, grazie».
Il suo sorriso ora è, se possibile, ancora più ampio e mi chiedo come si faccia a sorridere in questo modo: non solo con le labbra ma con ogni singolo muscolo del volto, forse persino con le orecchie.
In breve riusciamo a trovare un perfetto equilibrio: parliamo e camminiamo in perfetta sincronia, e se mai avessi avuto paura che la nostra intesa fosse solo telefonica mi sarei dovuta ricrede; è talmente facile parlare e scherzare con Dalila che non faccio neanche caso alla strada che stiamo facendo, dimentico persino che mi sta tenendo a braccetto, una mano sulla mia pelle e l'altra che svolazza mentre racconta -è una ragazza che gesticola parecchio-, e del fatto che qualcuno ci possa vedere. In questo momento non me ne potrebbe importare di meno di quello che pensano gli altri, vedo solo Dalila con gli occhi brillanti di emozione, le guance arrossate e la risata cristallina.
«Eccoci arrivate» Mi guarda attraverso le lunghe ciglia scure, improvvisamente timida, studiando la mia reazione. Guardo l'edificio, sembra una piccola arena, e la guardo perplessa. Dalila però deve fraintendere la mia espressione perché si spegne di colpo, come una candela esposta al vento, «Non ti piace».
Non penso neanche a quello che sto facendo, le prendo il viso tra le mani e lo alzo verso di me «Mi hai sentito dire che non mi piace? No. Anche perché non ho idea neanche di che cosa sia» e proprio come speravo sarebbe successo la vedo rianimarsi anche solo solo un pochino.
«Ti ricordi che ti avevo detto che facevo pattinaggio» Aspetta che io annuisca prima di continuare «Io facevo pattinaggio artistico sul ghiaccio, questo invece è una pista di pattinaggio a rotelle».
Mi guarda speranzosa ed io non riesco a trattenere un sorriso «È un idea magnifica!» Tanto basta per riaccendersi del tutto e solo a questo punto mi rendo conto che la sto ancora tenendo il volto e che sostanzialmente siamo vicinissime. Mi schiarisco la gola e faccio un passo indietro, lasciandola andare. «Non vado sui pattini da quando ero una ragazzina» poi mi cade l'occhio sul foglio degli orari e sento un sussulto: non voglio rovinarle la sorpresa ma «È chiuso».
Dalila ride e scuote la testa «Non che non lo è».
«Sì, invece. Chiude alle cinque e mezza» e le indico il foglio. Ma invece di rattristarsi mi fa l'occhiolino «Donna, abbi un po' di fiducia» e con una mossa di prestigiatrice mi fa dondolare davanti un mazzo di chiavi.
«Potevi anche dirmelo subito, ora mi sento un idiota» faccio il broncio mentre fa scattare la serratura. Mi apre la porta con un gesto plateale, ridendo, «Ma non avrebbe avuto lo stesso effetto». Ed ha ragione.
Man mano che entriamo dentro accende le luci e da come si muove capisco che il posto le è abbastanza familiare da muovercisi anche al buio. «Vieni qui spesso» la mia è un affermazione ma lei annuisce comunque «Quando ho dovuto smettere di pattinare pensavo che quella parte della mia vita fosse conclusa ed in un certo senso è anche vero ma in un altro» si scrolla le spalle e mi fa entrare nella sala principale «come dire? Non sarà mai la stessa cosa ma è ciò che si avvicina di più».
È la seconda volta che mi parla del suo passato da pattinatrice ed entrambe le volte l'ha fatto con tanta passione da farmi venire voglia di provare anche a me.
«Perché hai smesso?»
Il suo sguardo si adombra subito e cerco di correggere il tiro, anche se in ritardo «Non sei obbligata a dirmelo» ma lei mi rivolge un altro sorriso anche se più triste «Tranquilla, non è niente che non potresti trovare anche su internet: mentre facevo un salto la caviglia mi ha ceduto e addio carriera agonistica». Lo dice come se nulla fosse ma riesco a vedere quanto dolore ci sia dietro e, anche se vorrei farle altre domande, decido di non insistere. Invece indico la pista «Allora, come funziona?»
Sento letteralmente la tensione abbandonarla mentre mi guida verso le panche «Ora ti trovo dei pattini della misura giusta e poi vediamo come te la cavi in pista. Numero?»
Mi siedo sulla panca che mi ha indicato «38. E non aspettarti grandi cose». Dalila ridacchia, un suono che sta diventando uno dei mie preferiti, prima di andare in un altra saletta. Mi guardo intorno e devo dire che il posto non è niente male; come ho fatto a passarci davanti per anni senza mai vederlo?
Osservo la grande pista con il parquet lucidato da poco di forma ovale e con una ringhiera rossa tutt'intorno e mi sembra quasi di vedere una di quelle sfida di corsa sui pattini che ogni tanto mostrano in qualche trasmissione TV. A distogliermi dalle mie riflessioni è la musica che di colpo inizia a diffondersi dagli altoparlanti, i Pink Floyd se non vado errata.
Dalila torna tutta allegra e mi porge i miei roller, i classici a 4 ruote disposte a due a due, e si siede vicino a me per mettersi i suoi. Ed è decisamente più veloce di me visto che nel tempo in cui io ho a malapena capito come chiuderli lei ha già finito e si è messa ad osservarmi.
«Non sono pratica» ma lei si limita a scrollare le spalle «Non ci corre mica dietro nessuno. Però...» mi guarda intensamente, tanto che inizio a sentire il volto prendere fuoco, sensazione che aumenta quando allunga una mano e mi prende una ciocca tra le dita. Mi blocco mentre la vedo sfregarla tra i polpastrelli, con un espressione sovrappensiero, e delle piccole scosse elettrice mi partono dalla nuca fino alla spina dorsale.
«Dalila?» La voce mi esce leggermente roca e mi rendo conto di avere il respiro accelerato. Ha detto niente baci e non so come reagirei ad un bacio da parte di un altra donna però in questo momento sarei quasi tentata di scoprirlo. Lei invece pare risvegliarsi perché lascia andare i miei capelli di colpo come scottassero e addirittura si alza per allontanarsi di alcuni passi. «I capelli sciolti ti stanno molto bene ma forse saresti più comoda se te li legassi» e mi passa un elastico, senza avvicinarsi, tanto che mi devo alzare a metà per arrivarci. Metto l'altro pattino e inizio a farmi una coda alta.
«Grazie», Dalila pare ancora pensierosa ma è una cosa che dura pochi secondi e poi torna la solita allegra e pimpante. «E ora ci scateniamo» mi precede in pista e pare più a suo agio sui pattini che in qualsiasi altra situazione; anche un idiota capirebbe che è fatta per stare lì sopra.
Fa una mezza piroetta e si gira a guardarmi «Forza pigrona!»
Mi faccio forza e la raggiungo, anche se in un modo decisamente più traballante, tanto che dopo pochi passi devo aggrapparmi alla ringhiera per non cadere.
Alle mie spalle Dalila inizia a ridere.
«Non è divertente» ma mentre lo borbotto anche a me viene da ridere.
«Lo è, Bambi, lo è!» mi raggiunge in pochi e fluidi passi e, come fosse la cosa più naturale al mondo, mi prende la mano libera. Mi guarda per un secondo ed ora la sua espressione è molto più dolce «Forza, fidati di me». Sono solo i suoi occhi, solo quei due smeraldi luccicanti, dolci e affidabili, che mi danno la spinta per lasciare andare la sbarra di ferro. Dalila annuisce e inizia a camminare all'indietro, trascinandomi con sé. «Piega un po' le gambe, non stare rigida o cadremo in meno di due minuti» seguo le sue istruzioni man mano che ci muoviamo. Nulla di trascendentale, solo una serie di passi, eppure come da previsione poco dopo finiamo a terra. Mi rialzo subito, per non pesarle addosso, ma quando provo a scusarmi scuote la testa «Avrei dovuto darti delle protezioni. È che io non sono più abituata a metterle». Guardo le mani che si stanno già arrossando «No, va bene così. Hai attutito la parte peggiore». Ridiamo entrambe e ricominciamo daccapo. Inutile dire che cadiamo altre tre volte eppure non si lamenta mai, anzi ogni volta m'incoraggia e mi corregge man mano che sbaglio.
«Sposta i piedi più a V ma non buttare tutto il peso su un lato» correggo immediatamente la postura e, qualche canzone dopo, mi rendo conto che non mi sta più trascinando, anzi mi sta a malapena tenendo. «Ce l'ho fatta» lo dico con la stessa gioia di una bambina e Dalila scoppia a ridere, allontanandosi di qualche altro passo. Sento immediatamente la mancanza del suo tocco ed è un qualcosa che mi spinge a raggiungerla. Continua a pattinare all'indietro, rallentando e accelerando, ma restando sempre fuori portata.
«Migliori in fretta» e, al contrario mio, non ha neanche un accenno di fiatone. «Ora capisco perché mi hai scritto di mettermi vestiti comodi anche se non devo essere un granché sexy, scarmigliata e sudata» cerco di buttarla sull'autoironia visto che lei, invece, ha solo alcuni ciuffetti che sono sfuggiti dalla treccia ad incorniciarle il volto e le guance rosse, ma quando parla quasi finisco di nuovo a terra. «Non ti definirei sexy ma erotica».
«Co-cosa?» Incespico e lei accorcia automaticamente le distanze per allontanarsi nuovamente dopo essersi accerta che non sto per volare giù.
«Ho detto che sembri una visione erotica: pare che tu abbia appena finito di fare sesso» mi fa l'occhiolino mentre io credo di essere arrostita persino sul collo e sulla punta delle orecchie. È difficile sentirsi più vecchia di lei quando mi sento una tale imbranata al confronto!
Decido di non ribattere e invece mi impegno a pattinare nel modo più fluido, o decente almeno, possibile fino a quando non inizio a sentirmi affaticata. Mi ha mostrato qualche altra mossa, un po' più complessa, ma per ora da sola non sono ancora riuscita a farle. Non mi lamento, mi piace la sensazione delle sue dita fresche sulla mie pelle accaldata.
«Sono esausta» mi avvicino alla ringhiera e mi rendo conto che ho tanta, tanta sete. Dalila alza lo sguardo sull'orologio e sgrana gli occhi «E ci credo anche: stiamo pattinando da quasi due ore». Alzo anche io lo sguardo e rimango basita, non pensavo fossimo lì neanche da un una.
«Vola il tempo quando ci si diverte» e lei annuisce.
«Vuoi fermarti?»
«Voglio bere qualcosa come un intera bottiglia d'acqua tutta d'un fiato ma vorrei anche...» mi fermo prima di finire la frase. Dalila si avvicina e mi scosta da davanti una ciocca dispettosa «Sono qui per esaudire ogni vostro desiderio, milady» esegue anche un perfetto inchino, ammiccando con una risata negli occhi.
«Sentiti libera di dirmi di no ma vorrei vederti andare davvero sui roller. Cioè, senza io che ti faccio da zavorra».
«Punto primo, non sei stata per nulla una zavorra. Punto secondo, non vedo perché no» indietreggia fino al centro della pista, con una sicurezza che non ho mai visto in nessuno, derivata dall'assoluta fiducia nelle sue capacità, mentre io invece mi sposto dall'altro della ringhiera. La canzone attuale sfuma e quando la successiva inizia, High Hopes, Dalila si trasforma: non è solo brava, ha passione e talento: due cose difficili da trovare nella stessa persona.
Si muove fluida, fa delle piroette impeccabili e alla curva incrocia la gambe dandosi ancora più spinta; canticchia allegra ed è impossibile staccarle gli occhi di dosso. Mi rendo vagamente conto che l'unica cosa che non fa sono i salti, forse per la storia che mi ha raccontato prima, ma tra il ritmo incalzante e lei che pattina come se fosse nata solo per quello me ne dimentico in fretta.
La canzone finisce, anche se mi pare troppo presto, e lei viene da me; ora anche lei è sudata e tutta scombinata e capisco il suo commento di prima: definirla sexy sarebbe riduttivo.
«Ti è piaciuto?»
«Non ho mai visto niente del genere!» Quasi ci manca che mi metta a saltellare e battere le mani ma sono appena diventata una sua fan. «Sei bravissima... incredibile!»
Mi accorgo che le guance le sono diventate ancora più rosse e ha un sorriso soddisfatto.
«Forza che ti porto a mangiare» e con naturalezza mi sfreccia accanto verso le panche. Quando la raggiungo noto la bottiglietta d'acqua e la apro avidamente «Bevila tutta», ed io non me lo faccio ripetere due volte.
Una volta che abbiamo di nuovo sistemato, spento e chiuso tutto accogliamo con gioia il venticello fresco che soffia fuori mentre ormai sta tramontando.
«Ti volevo portare in un ristorante ma...» mi metto a ridere «Siamo un po' troppo sudate per un ristorante».
Se dovessi definire il suo umore attuale direi che è imbarazzata «Non pensavo di rimanere così tanto».
Stavolta sono io a prenderla per mano, non so perché ma dopo le ultime due ore mi sembra naturale farlo, e le indico un chiosco. «Un panino?»
Ed è così che finiamo l'appuntamento: sedute spalla a spalla, vicino a un laghetto artificiale, a mangiare due panini al tonno e pomodoro, continuando a chiacchierare di tutto e di niente mentre la sera scende su di noi.
Mi si stringe contro mentre mi riaccompagna alla macchina, l'aria ora è molto più fredda e posso sentire la sua pelle d'oca. «Avresti dovuto portarti una giacchetta», Dalila però alza lo sguardo su di me e sorride «Una giacchetta? Non ho mica ottant'anni» e subito dopo fa un piccolo starnuto che pare uno squittio e non posso fare a meno di mettermi a ridere.
Mi appoggio con la schiena alla mia macchina «Hai bisogno di un passaggio?»
Voglio che mi dica di sì, che questa serata continui anche se solo per altri dieci o venti minuti. Invece Dalila scuote la testa e abbassa il capo guardandomi solo a tratti da sotto le ciglia. «Mi piacerebbe ma poi come recupero la mia di auto?»
«Giusto» e cerco di mascherare la delusione, anche se a giudicare dal modo in cui le si allarga il sorriso direi che non ho fatto un buon lavoro.
Non mi ero resa conto che le stavo ancora tenendo la mano nella mia finché non inizia a giocherellare con le mie dita, provocandomi una sensazione di calore e piacere.
«Posso presumere che l'appuntamento sia andato bene?»
Non resisto alla vocina dolce che mi sta facendo di colpo e l'abbraccio; respiro l'odore dei suoi capelli e sfrego la punta del naso sulla pelle vicina all'orecchio, in un punto in cui odora di vaniglia, zucchero e semplicemente Dalila.
«È stato fantastico... tu sei fantastica!»
Non so se è perché ci ho pensato per giorni, se è per il calore del suo corpo quando mentre intorno a noi fa freddo o se è  perché la gioia mi ha bloccato il cervello ma fatto sta che, senza rendermene conto, chino il viso verso il suo, le labbra che sfiorano le sue. Ma, prima che questo non-bacio possa diventarne uno vero, Dalila mi appoggia le dita sulle labbra.
«Mi piacerebbe da morire baciarti, Bianca, ma non sei tipo da baciare al primo appuntamento di solito e poi» mi guarda con una strana luce negli occhi e finisce la frase con la voce bassa «io sono solo il giro di prova, ricordi? È Daniele quello che vuoi». Il suo sorriso non mi è mai parso tanto finto ma m'impedisce di parlare. La guardo sospirare e ritrarsi; come l'altro giorno si alza sulle punte e mi da un bacio sulla guancia ma esita un istante di più prima di mormorare «È un uomo fortunato».
Di nuovo, faccio per parlare ma scuote ancora la testa, indietreggia e praticamente scappa via.
Stordita, apro la macchia e scivolo sul sedile. È stato il miglior appuntamento della mia vita e di colpo tutto ciò che sapevo su me stessa mi pare fasullo e sento le fondamenta stesse della mia vita scuotersi fino a far crollare ogni singola certezza. Perché la verità è che al momento di Daniele, o di chiunque altro, non m'importa nulla e l'unica che vorrei baciare è lei, solo lei.

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Capitolo 7
*** Capitolo 07. Dalila ***


Sento un groppo in gola mentre spengo la macchina sotto casa mia; piombo nel buio e sento che alla fine, allo spegnersi dell'ultima luce, anche le mie barriere crollano: alcune lacrime mi scivolano sul volto e il respiro mi si spezza in un singhiozzo. Incapace di fermare i tremiti, nascondo il viso tra le mani, appoggiata contro il volante, rannicchiata in qualche modo su me stessa e alla ricerca di un po' di conforto. Mentre programmavo l'appuntamento pensavo di sapere quello che stavo facendo; ero certa, e in torto a quanto pare, di riuscire ad essere quell'aiuto di cui Bianca aveva bisogno senza farmi male. Stronzate perché stare con lei, toccarla e ridere con lei mi avevano fatto dimenticare chi ero io: un giro di prova. E quando me l'ero ricordata era stato doloroso, un pungo nello stomaco. Quindi eccomi qui, nascosta nella mia macchina a piangere perché ancora una volta non sono riuscita a proteggermi; eppure con tutta la merda che la vita mi ha gettato addosso ormai dovrei sapere come si fa.
Alla fine grazie al cielo le lacrime si esauriscono, lasciandomi spossata e solo un passo indietro rispetto al punto di rottura.
Tiro su il naso, cosa molto poco elegante, e mi asciugo con le dita le ultime lacrime ritardatarie.
Okay, va meglio.
No, non è vero ma facciamo finta che sia così.
Esco dalla macchina e salgo fino al mio appartamento, lenta come un condannato a morte. E rischio di scoppiare di nuovo a piangere quando Trilli mi si lancia letteralmente addosso; invece scivolo sul pavimento e l'abbraccio, la coccolo e lascio che il suo affetto sincero e puro si porti via tutto il dolore.
«Sono una stupida, piccola mia» lei mi guarda con quei suoi occhietti scuri e dopo un attimo mi da una leccata sulla guancia, strappandomi mio malgrado una risatina. La prendo in braccio e con delicatezza la poso sul letto e, mentre mi spoglio, le racconto l'appuntamento con Bianca. Chissà poi se è giusto chiamarlo così...
Trilli mi guarda con la testolina piegata di lato e questo suo atteggiamento, che sembra quasi mi stia davvero ascoltando e capendo, mi fa sentire un po' meno pazza. E un po' meno sola. Certo, potrei sempre chiamare Maddie: nonostante l'ora mi risponderebbe, anzi probabilmente verrebbe qui di corsa se si accorgesse che ho pianto, ma la verità è che in questo momento faccio fatica anche solo a spiegare le cose a Trilli, figuriamoci rispondere a delle domande.
Quasi avessi il pilota automatico, invece di mettermi la maglia che uso per dormire indosso una canottiera e dei pantaloncini e mi lascio cadere sul bordo del letto, di fronte allo specchio: non ho neanche bisogno di guardare per disfare la treccia e rifarne un altra, più stretta; è una cosa che ho fatto centinaia di volte in questi anni e che Trilli ormai associa all'uscire. Non ricordo neanche l'ultima volta che sono uscita di casa con i capelli sciolti.
Nonostante il pianto di prima, man mano che passano i minuti mi sento sempre più ansiosa ed agitata.
Cosa avrebbe fatto se l'avessi baciata?
Che sensazione avrebbe avuto la sua bocca contro la mia, il suo corpo contro il mio?
«Chissà ora cosa starà facendo...» mi mordo il labbro e Trilli si lascia sfuggire un abbaio tanto acuto da sembrare il verso di un topolino più che di un cane ma che io adoro comunque. «Va bene, va bene. La smetto» recupero la pettorina e gliela mostro «Corsetta?» E nonostante tutto, quando inizia a saltellare e abbaiare, mi metto a ridere. Le metto la pettorina e la bacio sul muso.
Scendiamo le scale con passo felpato, non è esattamente la prima volta che andiamo a correre nel pieno della notte, e mi aggiusto la cintura portaoggetti con dentro telefono, mini-torcia e un coltellino svizzero, mai usato ma che porto sempre con me da quando me l'ha regalato mio padre. Una volta fuori io e Trilli adottiamo la solita routine: lei mi guarda mentre riscaldo i muscoli e poi c'incamminiamo al parco qui vicino. Probabilmente è un comportamento irresponsabile il mio e da ragazza avrei sfogato tutto sulla pista da pattinaggio, possibilmente quella di ghiaccio, ma non posso più; inoltre chissà quando potrò rimettere i roller senza vedere Bianca muoversi con la stessa sicurezza di un cerbiatto appena nato o senza sentire nelle orecchie l'eco delle sue risate, a volte felici e a volte imbarazzate. No, per ora è meglio correre e sperare che la vita non mi riservi altre brutte sorprese.
Una volta giunte al parco le tolgo la pettorina e iniziamo a correre sul nostro percorso abituale, quasi 8 km e con quattro fontanelle nel caso una delle due debba re-idratatasi. Trilli inizia a correre davanti a me, ha le gambette corte ma corriamo insieme da quando era solo un cucciolo ed è abituata. Ed è anche abbastanza veloce e resistente ormai. Un po' come me.
Man mano che l'asfalto mi scivola sotto le suole, con i muscoli che si allungano e distendono, inizio a respirare per davvero; più corro e più sento i pensieri rimanere indietro, la mente che si svuota. Okay, ho una cotta quasi dolorosa per Bianca, lo accetto. E accetto anche il fatto che non potrò mai averla. Continuo a correre fino a quando non riesco più a neanche a ricordarmi perché ho pianto. Corro fino a quando Trilli non inizia a rallentare e trotterellare indietro verso di me.
«Brava bambina» le do una pacca sulla testolina e le apro da bere, una più ansimante dell'altra. Ecco perché adoro correre: è come fare sesso ma senza quella sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Solo le parti positive!
A distrarmi dalla mia scarica di endorfine è la vibrazione del telefono, alquanto insistente anche.
Lascio Trilli a riprendersi e mi siedo su una delle panchine; ho tre messaggi non letti, tutti e tre di Bianca.
    Bianca: Sei arrivata a casa sana e salva?
    Bianca: Grazie per la meravigliosa serata, non stavo così bene con qualcuno da molto tempo!
    Bianca: Dalila, mi sto iniziando a preoccupare... tutto ok?
I primi due messaggi sono di quasi un ora fa e mi scappa uno sbuffo: non li avevo proprio sentiti. Una parte di me, un po' cattiva forse, vorrebbe ignorarli e risponderle domani mattina ma tutto il resto del mio cervello, e del mio cuore, me lo impedisce: non riesco neanche a immaginare di farle del male.
    Dalila: Scusa se non ti ho risposto subito. Comunque sì, tutto okay
Medito se aggiungere una faccina e alla fine gliene mando una sorridente. Non le dico che sono andata fuori a correre o che sto tutto tranne che okay. La sua risposta arriva praticamente subito, neanche avesse aspettato tutto questo tempo con il telefono in mano.
    Bianca: E tra di noi è tutto ok?
Mi si mozza il respiro ed ecco di nuovo quella sensazione dolorosa al centro del petto eppure mi sforzo di comporre il messaggio.
    Dalila: Sì
Le lacrime che mi si bloccano di nuovo in gola ma stavolta le ricaccio giù, al loro posto. Metto due dita tra le labbra e fischio, dopo pochi secondi Trilli è di  nuovo al mio fianco. Abbiamo percorso quasi l'intero circuito ma stavolta le rimetto la pettorina e cammino piano. Non è che a casa ci stia aspettando qualcuno.

È già passata una settimana, giorno più o giorno meno se qualcuno contasse i giorni, da quando io e Bianca siamo uscite insieme ma, anche se massaggiamo ancora, non ci siamo più viste. Le volte che siamo state insieme si possono contare sulle dita di una sola mano, e senza usarla neanche tutta, eppure mi manca il suono della sua voce, il modo delizioso con cui gioca con la punta di quei suoi capelli biondi da angelo tentatore o anche solo il calore della sua pelle che mi attrae come una fiamma attrae una povera stupida falena. Quindi, per cercare di essere un po' più intelligente di quel povero insetto, ho ridotto le nostre conversazione all'osso e ogni volta che mi chiedeva di vederci le ho sempre risposto che dovevo lavorare o altre scuse simili. Non che non dovessi davvero andare al lavoro, l'affitto e le bollette non si pagano certo ad abbracci e sorrisi, ma diciamo che nella realtà avevo molto più tempo libero di quello che lasciavo intendere. La parte peggiore è mentirle, dirle che tra noi va tutto bene e che siamo amiche, quando quello che provo per lei non è amicizia. C'è anche quello ovvio solo che è mischiato a passione e l'istinto di proteggerla, persino da me.
Ma ora, mentre leggo per la milionesima volta il suo ultimo messaggio vorrei solo andare verso il muro e sbatterci contro la testa. Ripetutamente.
Sapevo che questo momento sarebbe giunto prima o poi; l'appuntamento di dieci giorni fa, perché sì li ho contati i giorni, serviva proprio a questo ma vederlo scritto nero su bianco fa male, persino più di quello che mi aspettavo.
    Bianca: Daniele mi ha chiesto di nuovo di uscire. Ho detto di sì...
Potrei recitarlo a memoria. Al contrario. Persino a testa in giù. Mi sono soffermata su ogni singola parola comprese le congiunzioni e la punteggiatura e nulla: questo messaggio mi fa venire voglia di andare a vomitare esattamente come quando l'ho ricevuto stamattina!
Visto quindi che non riesco a mettere da parte i miei sentimenti ed essere una buona amica, alla fine mi sono decisa e ho chiamato i rinforzi: ovvero una procace rossa tutta ricci e gentilezza ovvero la mia migliore amica. Al momento l'amica in questione sta leggendo tutti i messaggi, senza commentare se non qualche sorriso o qualche sbuffo.
«Hai finito?»
«Non è che se continui a chiedermelo leggo più velocemente» ma quando alza lo sguardo e mi guarda in volto la sua espressione si addolcisce, segno che devo essere messa davvero male. «Dammi un attimo, ho quasi finito.»
Annuisco e mi lascio di nuovo ricadere sul letto accanto a lei, con la schiena sul materasso e i piedi appoggiati al muro, vicino ad alcune citazioni, e i capelli rinchiusi in due chignon bassi che fanno un po' bambina.
La guardo con la coda dell'occhio, conosco le sue espressione persino meglio delle mie, cosa abbastanza normale visto che ci conosciamo da tutta la vita, ma è la prima volta che le vedo quest'espressione; sembra emozionata, commossa, felice e dispiaciuta tutto allo stesso tempo.
Quando appoggia il telefono sul materasso vorrei quasi schizzare in piedi, scrollarla o fare qualsiasi cosa che possa buttare fuori tutta l'energia che sto reprimendo dentro di me. Invece, mi limito ad aspettare e quasi cado dal letto quando mi prende la mano e, con ancora quella strana espressione, mi chiede «Ti sei innamorata?»
Stavolta balzo in piedi sul serio, beh più in ginocchio sopra il materasso ma l'idea è la stessa, e la fisso come se le fosse cresciuta una seconda testa «Fermafermaferma» lo dico talmente velocemente che praticamente invece che tre parole ne risulta una sola «nessuno ha mai parlato di» mi blocco e la parola successiva pare più sputata che detta «amore». Anche Maddie si tira su e scuote la testa, creando per qualche secondo una macchia color tiziano, «Lo sai che non è un insulto? Perché a sentire te lo sembra». La vedo che si trattiene dal ridere, so che lei è un inguaribile romantica ma lei sa che non esiste parola che mi faccia scappare più velocemente. «Perché... perché...» lei inarca un sopracciglio divertita ed io esplodo «mi piace, ho una cotta per lei e probabilmente sono più incastrata di quanto vorrei o dovrei. Ma non sono innamorata!» Non c'è nulla da fare: quella parola mi fa venire i brividi.
«Didi, fermati un secondo e prova a fare un respiro profondo». La guardo diffidente ma alla fine cedo e faccio come mi dice, cosa che in effetti rallenta un po' il battito terrorizzato del mio cuore.
«Okay, ora dimmi solo una cosa: se anche fosse che ti sei innamorata di lei, che sia il cosiddetto colpo di fulmine o che sia una cotta adolescenziale non dimenticata ma cresciuta... se anche fosse, sarebbe davvero così grave?»
Mi guarda con quei suoi occhi dolci e aspetta però io scuoto la testa «Non ci sarebbe nulla di male ma te l'ho detto: io non sono innamorata. E non solo perché non credo nei colpi di fulmine ma anche semplicemente perché non la conosco così bene da poter dire che la amo.»
Maddie fa per ribattere, la vedo pronta a dare battaglia per farmi capire il suo punto di vista e invece alla fine annuisce e sorride «Okay. Allora facciamo finta che non ho detto niente. Tu cosa ti senti di fare?»
La guardo un altro po' dubbiosa, la conosco quanto lei conosce me e sappiamo entrambe che nessuna delle due dimenticherà quello che ha detto; dall'altro canto sono brava a far finta di non vedere quello che non voglio vedere.
«Vorrei fare la buona amica, fare quello che potrebbe aiutarla di più» il sorriso di Maddie si allarga e mi passa il telefono. «Allora rispondile, informati e se serve offriti come spalla».
Afferro il mio cellulare come se fosse un mostro pericoloso e sposto lo sguardo da lui alla mia amica. «Sei sicura?» Maddie annuisce talmente tanto che per un attimo mi ricorda quei cagnolini da mettere sul cruscotto e mi sale una risatina.
«Va bene... in fondo, cosa ho da perdere?» Guardo la mia amica e alzo una mano «Era una domanda retorica, non voglio saperlo davvero».
Ci guardiamo e alla fine faccio un respiro profondo. Una piccola bugia bianca in fondo non è proprio una bugia.
    Dalila: Wow, sono felice per te... alla fine si è deciso. Se ti serve un consiglio, una spalla o anche solo un amica con cui parlare io sono qui
Prima di mandarlo lo faccio leggere a Maddie che da la sua approvazione. «Okay, allora non ci resta che aspettare la risposta...»
Maddalena si stende di nuovo e io mi sdraio con la testa sulla sua pancia e con la mano libera accarezzo il pelo di Trilli. «Sai, stavo pensando di prendere un cane anche io» giro leggermente la testa e credo che più che un sorriso mi sia uscito un piccolo ghigno «Mattia non era contrario?»
Maddie mette su il broncio, una cosa adorabile che mi fa venire voglia di stringerle le guanciotte, e borbotta «Ha dovuto scegliere... e ha scelto che in fondo un cane gli va bene!»
«Scegliere tra cosa?»
«Avere un cane o avere un figlio». Lei lo dice con la massima tranquillità ma io praticamente scatto in piedi, l'espressione che in un altro momento sarebbe parsa comica «Un figlio? Sei...?»
Ci mette un attimo a capire ma quando lo fa vedo un lampo di dolore passarle negli occhi «Oddio no. Ne stavamo solo parlando» fa per prendermi la mano ma mi ritraggo «Davvero?»
«Dalila! Sei la mia migliore amica, mia sorella: se fossi incinta te l'avrei già detto.» Alla fine riesce ad agguantarmi e mi ritira sul letto «Anzi, Mattia sa che probabilmente lo direi prima a te che a lui».
La guardo negli occhi ancora qualche secondo prima di abbracciarla forte «Saresti un ottima madre».
La sento deglutire a vuoto e un "anche tu" che normalmente verrebbe spontaneo aleggia nell'aria.
A spezzare il momento, che si stava facendo sempre più tragico dal mio punto di vista, è la suoneria dei messaggi.
«Leggilo tu per prima» Maddie mi guarda come fossi pazza ma lo fa. Quando ha finito me lo passa senza dire nulla.
    Bianca: Grazie. Mamma mia, sono agitata e avere la mia amica accanto mi farebbe piacere!
«Non ho intenzione di fare il terzo incomodo con la donna per cui ho una cotta e un tipo che non conosco ma già detesto!»
Maddie scoppia a ridere e mi strappa il telefono dalle mani, digitando in tutta fretta, prima di ripassarmelo.
    Dalila: Certo che sono al tuo fianco: le amiche servono a questo! Ma mica posso fare da terzo incomodo ;D
Prima di ripensarci lo invio così come l'ha scritto e la risposta di Bianca è praticamente istantanea.
    Bianca: ahahah giuro, niente terzo incomodo. Ma mi ha invitata nel ristorante di un albergo in città, un posto abbastanza costoso, ma quando ho accettato non lo sapevo... non vorrei pensasse che andrei a letto con lui...
«Quel bastardo!» Maddie, che sta leggendo da sopra la mia spalla, annuisce aggiunge «Subdolo!» Nel frattempo Bianca mi ha mandato il nome dell'albergo, un posto che conosco abbastanza bene dal mio passato. E infatti Maddie fa un fischio «È entrato nel tuo territorio di caccia». Le do un colpetto sulla gamba «Non lo è più da parecchio, ti ricordo».
Maddie mi da un bacio sulla guancia «Hai ragione, scusa. Cosa le rispondi?» Ma io sto già scrivendo.
    Dalila: Beh, posso farti da cuscinetto di salvataggio. Io me ne sto al bar e, se te ne vuoi andare, basta che vieni da me.
«Stai rischiando» la voce di Maddie rispecchia i miei pensieri ma ormai è fatta, visto che Bianca mi risponde con un "Grazie mille" e un sacco di faccine felici.
«Cosa ci posso fare: mi piace il rischio» provo a dirlo con voce spavalda ma nessuna delle due ci crede. Per cui la scaccio dal letto «Su dai... torna dal tuo maritino, io mi devo preparare per il lavoro!»
Come ho detto io e Maddie ci conosciamo meglio di chiunque altro per questo non dice altro ma si rimette le scarpe e mi da solo un bacio sulla fronte: sa che ho bisogno di stare da sola e pensare a che enorme sbaglio ho fatto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 08. Dalila ***


È giunta la sera che tanto temevo e non riesco a decidermi ad uscire dalla vasca, figuriamoci lasciare casa mia. Cosa mi aveva spinto a dirle che sarei stata al piano bar dell'albergo? La speranza che possa lasciare il suo accompagnatore per venire con me o puro e semplice masochismo?
Decido di uscire dall'acqua perlomeno ma rimango qualche istante davanti allo specchio a figura intera: ho un bel volto, simile a quello di una bambola o di un gattino, con gli zigomi alti e il collo flessuoso; le clavicole invece sono leggermente sporgenti, a causa della mia magrezza. Prendo in mano il mio seno minuscolo, una prima, compatto e sodo. Si vedono le linee delle costole subito sotto, il ventre piatto, il punto vita minuscolo. Sono più spigoli che curve ma, a parte il seno, non ho problemi con il mio corpo; nonostante tutto ogni muscolo è ancora tonico per i duri allenamenti a cui mi sono sottoposta per la maggior parte della mia vita. Eppure mi ritrovo a pensare alle curve morbide di Bianca e, quando alzo lo sguardo, noto che i miei occhi verdi sono diventati più scuri, un colore cupo simile a un bosco di notte.
Forse è solo troppo tempo che non sto con qualcuno e, forse, il destino mi ha riproposto l'albergo in cui andavo a rimorchiare per una ragione. Altro che innamorata, avevo solo bisogno di scaricare la tensione!
Sotto gli occhietti vispi di Trilli apro i cassetti e tiro fuori quel tipo di abbigliamento che avevo abbandonato negli ultimi anni, insieme al sesso occasionale e all'alcool. Anche se a ben pensarci anche quando sono uscita con Adam ho rispolverato dei vestiti succinti ma questi, beh questi sono quelli che Maddalena chiama da sgualdrina.
Prendo l'intimo nero ma, dopo aver visto l'imbottitura del top, scarto il reggiseno; indosso le parigine nere velate, la mini di pelle nera che inizia al punto vita e finisce appena sotto la curva delle natiche e infine un top di pizzo color perla che pare quasi scintillare in contrasto con la mia pelle candida.
Elegante ma provocante allo stesso tempo.
Raccolgo i capelli in uno chignon spettinato e passo un rossetto rosso fuoco sulle labbra. Matita nera per ingrandire gli occhi e mascara per accentuare lo sguardo e sono quasi perfetta. I tacchi 12cm che mi sopraelevano dal mio misero metro e sessanta e una spruzzata di Chanel numero 19.
Controllo che sia tutto a posto nello specchio e girandomi mi rendo conto che il top lascia intravedere i due tatuaggi sulla schiena, per cui prendo un coprispalle di velo nero nel caso qualcuno facesse storie.
Do un bacio vicino a Trilli, non la voglio sporcare con il rossetto, ed esco di casa pronta a conquistare il mondo... o almeno il bar!

Bianca mi ha scritto che stanno cenando, il suo accompagnatore si era assentato per andare in bagno, e le rispondo che mi trovo al bancone del bar se ha bisogno di me. L'avevo vista di sfuggita, bellissima con i capelli che parevano una colata di oro fuso e un abito color carne, di un eleganza che ben poche donne si sarebbero potute permettere. Ovviamente questa parte me l'ero tenuta per me, le avevo semplicemente scritto che pareva luminosa.
La verità è che se avessi dovuto scegliere un ruolo per lei sarebbe stato di certo quello di Madre Natura o di Era, la regina degli dei.
Vedo alcuni uomini abbastanza su di età in giacca e cravatta fissarmi ma con un sospiro li ignoro. Accanto a me c'è un tipo carino con dei begli occhioni azzurri e i capelli biondi spettinato, come se ci avesse passato la mano troppe volte. Anche lui indossa un completo ma ha slacciato i primi bottoni e arrotolato le maniche fino ai gomiti. Dall'occhiata che mi lancia deduco che mi sta studiando bene anche lui e quindi accavallo le gambe, aumentando la pelle scoperta sulle gambe. «Ciao tesoro, sei qui da sola?»
Un gioco pericoloso ma mi annoio e non riesco a smettere di pensare a Bianca e al suo appuntamento con Daniele, che ho visto e non è nulla di speciale.
Mi mordo il labbro inferiore e lo guardo attraverso le ciglia «In realtà sì... e dire che mi fermo in città solo stanotte».
La bugia mi esce in modo fluido dalle labbra esattamente come l'atteggiamento seduttivo, ho giocato a questo gioco un numero sufficiente di volte da saper essere credibile anche quando non ne ho molta voglia. In ogni caso ci casca subito, le mie parole gli fanno subito drizzare le antenne e mi fa un sorriso a tremila watt. «Allora permettimi di offrirti da bere» e con un gesto imperioso richiama l'attenzione del barman. «Un whisky liscio per me e per la signorina...»
«Un white russian» termino per lui tranquillamente: se devo sbagliare tanto vale farlo fino in fondo.
Un paio d'ore dopo e, qualche drink di troppo, io e il biondino stiamo ancora flirtando alla grande, anche se la mia attenzione è più per gli sporadici messaggi di Bianca che per lui. A un certo punto si alza e mi dice che se stanotte mi fossi sentita sola lui era un ottimo "amico" e mi lascia un biglietto da visita con il numero della sua camera scritto a biro. Io ridacchio come fossi lusingata ma non prometto nulla. Sono più eccitata dalla conquista che da lui e sono più emozionata dal fatto che Bianca mi abbia scritto che sta venendo qui che da qualsiasi cosa lui possa offrirmi.
La vedo prima ancora che lei possa vedere me e da vicino è ancora più bella. Per me, Bianca è assolutamente perfetta.
«Grazie per essere qui» mi osserva attraverso le ciglia, un gesto che ricorda quello che avevo fatto io al mio compagno di bevute, ma lei sembra davvero intimidita. Le prendo la mano, non c'è nulla da fare: non posso non toccarla, e la faccio accomodare di fianco a me. «Dove altro potrei essere?»
Bianca diventata scarlatta sotto il trucco delicato e poi mi lancia una breve occhiata ma che mi dà sulla pelle la stessa sensazione di una carezza. «Wow, Dalila, sei stupenda!»
Posso dirle che pensavo di essermi vestita così per rimorchiare uno sconosciuto ma invece mi sono appena resa conto che l'ho fatto sperando di rimorchiare lei e solo lei?
Decisamente no.
«Anche tu. Si vede che ci tenevi a questo appuntamento» per qualche ragione però non mi risponde, anzi distoglie proprio lo sguardo. Decido di farmi ancora più male e, con finta allegria, le chiedo «Allora com'è andata?»
Bianca giocherella con un tovagliolo «Bene. Abbiamo parlato tutto il tempo ed è andata bene.» Si gira a guardarmi e ripete «È andata bene». Eppure lo dice con un tono quasi triste «Ti rendi conto che hai ripetuto tre volte la parola bene?» Provo a buttarla sullo scherzo ma vedo qualcosa nei suoi occhi che mi fa venire voglia di lasciar perdere. «Cosa ne dici se ti offro da bere?»
«Non so... forse dovrei andare a casa» ed ecco di nuovo quella confusione, quell'incertezza, ed io vorrei solo abbracciarla e baciarla e non lasciarla andare più via.
«Un bicchierino non ha mai ucciso nessuno... e poi il mio nuovo amico ha lasciato precisi ordini di addebitare qualsiasi mia consumazione alla sua stanza» siamo una bella coppia: lei che pare spaesata ed io che fingo più allegria della realtà. Bianca mi guarda e sgrana gli occhi «Il tuo nuovo amico?» Se non sapessi la verità sembrerebbe gelosa. Purtroppo io la verità la conosco quindi mi chino verso di lei, cercando di ignorare il suo profumo avvolgente, e le sussurro «Sospetto che volesse farmi ubriacare» le faccio l'occhiolino e aggiungo «Mi dispiaceva infrangere le sue illusioni». A queste ultime parole mi pare quasi sentirla buttare fuori tutta l'aria, neanche si fosse dimenticata di respirare. Il barman mi lancia un sorriso ed ordino per entrambe «Due tequila». Bianca sembra sorpresa ma non dice nulla.
Un solo bicchierino ne diventano due che poi ne diventano tre e infine quattro. «Sei ufficialmente ubriaca» le dico ridacchiando a mia volta abbastanza su di giri.
«Io? Ma se ho bevuto meno di te!» Però strascica le parole e da come si muove direi che la stanza le gira tutto intorno. Io sto giocando con le sue dita, con i suoi capelli, con la sua pelle da quasi dieci minuti ormai e adoro il fatto che non mi abbia fermato. Adoro anche il modo in cui la voce le sia diventata roca e spensierata e quella luce sbarazzina che ha negli occhi. «Vero ma io sono più resistente all'alcool»
«Come può essere? Hai solo ventun anni, dovrei essere io quella più resistente!» S'imbroncia ma con la tequila che le scorre nelle vene riesce a resistere solo pochi secondi prima di ricominciare a ridacchiare. «Ho passato un paio di anni più sbronza che sobria e ormai mi ci vuole una valanga di alcool per farmi uscire di testa completamente». È quello il mio problema: anche con quello che ho bevuto stasera, esattamente come quando ero uscita con Adam, sono solo brilla ma non ubriaca.
«Forza, ti riporto a casa».
Mi alzo e mi ritrovo a fissarla mentre scuote la testa «Non dovresti guidare in queste condizioni». Le prendo anche l'altra mano e l'aiuto a scendere dallo sgabello: lei barcolla leggermente e mi si appoggia contro. «Ecco perché stiamo per prendere un taxi. Sai esistono anche nella realtà, non solo nei film!» Bianca ride come avessi fatto chissà quale battuta e quando alza il volto i nostri nasi si sfiorano. Prima di cedere alla tentazione però mi stacco e me la strascino dietro, sempre tenendola per mano mentre con l'altra chiamo un taxi, un altra cosa che so fare anche ad occhi chiusi. Diciamo che la mia adolescenza, in particolare l'ultima parte, non è stata molto normale. O sana.
L'aria fresca ci fa bene ad entrambe, a me un po' troppo avendo dimenticato il coprispalle al bar, e Bianca ride di nuovo prima di abbracciarmi «Dovresti coprirti di più o rischi di ammalarti». Vorrei fare una battuta ma mi piace troppo stare rintanata nel suo abbraccio.
Il taxi arriva dopo pochi minuti e il calore dell'abitacolo è nulla rispetto a quello che emana Bianca: questa è la scusa quando mi accoccolo di nuovo contro di lei una volta che ci siamo sedute. Lei mi guarda un secondo e quello dopo mi ha già circondato con un braccio. Prima però che possa darmi l'indirizzo di casa sua cade in una sorta di dormiveglia.
«Quindi ragazze dove vi devo portare?»
L'autista mi guarda metà scocciato e metà annoiato ed io rinuncio a provare a svegliarla e gli do solo il mio indirizzo.
«Bianca... angelo, sveglia.» La scrollo il più gentilmente possibile e mi viene da ridere quando lei borbotta «Dove siamo?»
«A casa mia. Forza, dobbiamo scendere».
In qualche modo riesco a convincerla ad affrontare il mondo freddo e cattivo ma soprattutto le scale per arrivare al mio appartamento. Tutto mi aspettavo da questa serata tranne che avrei portato Bianca qui.
Quando entriamo Trilli mi fa le feste ma guarda Bianca con una certa diffidenza. La donna in questione mi guarda con un sorriso mentre la indica «Ma che carino».
Allunga un po' troppo la o finale ed io devo essere messa male per trovarla la cosa più adorabile del mondo!
«Carina, è una femmina. E non le piacciono molto gli estranei», quasi a voler confermare le mie parole Trilli mi guarda, si gira e se ne va sotto il letto, dove recentemente a trascinato la sua copertina preferita. Bianca ride ancora ma è assonata per cui la trascino sul divano e le tolgo le scarpe. «Angelo, dovresti toglierti anche il vestito».
«È la seconda volta» lo dice ma sembra quasi stia parlando con se stessa ed io perdo la concentrazione quando porta le mani dietro la schiena e si abbassa la cerniera. Il vestito cade a terra in un morbido fruscio, lasciandola davanti a me con indosso solo un intimo color carne che mi fa fare pensieri decisamente indecenti.
Dovrebbero darmi un premio per il mio autocontrollo quando per l'ennesima volta mi allontano. In camera mia apro l'armadio e mi costringo a fare dei respiri profondi; quando mi sento di nuovo padrona di me stessa, prendo la coperta e torno da Bianca. Dal divano mi fissa con l'aria di chi non sa cosa sta facendo o dove sia ed io mi siedo di fianco a lei, avvolgendola con delicatezza nella coperta.
«Grazie, Dalila. Di tutto» ora nei suoi occhi c'è una franchezza diretta che quasi brucia ma stavolta non mi allontano, stavolta mi permetto di accarezzarle il volto «Non mi devi ringraziare: farei qualsiasi cosa per te». E mi rendo conto che è vero: la conosco ancora poco ma se mi chiedesse di andare e tornare dall'Inferno per lei, lo farei!
Quello che fa dopo mi coglie completamente di sorpresa: mi bacia. Non è un tocco delicato ma deciso, quasi affamato. Rimango immobile per alcuni secondi, incapace di reagire e più ubriaca di lei che di qualsiasi cosa abbia mai bevuto. È solo quando si sta tirando indietro che le metto le mani intorno al volto e la bacio una, due, dieci volte con gentilezza e passione, tenerezza e fame.
Ogni cosa che mi ero immaginata era solo una pallida imitazione della realtà: baciare Bianca è in assoluto la cosa migliore del mondo. Ma una vocina nella mia testa mi costringe a staccarmi «No angelo mio. Sei ubriaca, non sai cosa stai facendo» butto fuori l'aria e aggiungo «non sono io che vuoi». Faccio per alzarmi ma Bianca mi trattiene per il polso e mi guarda dolce «Non sono così ubriaca e...». Dovrei andarmene ma ho troppo bisogno di sapere «E?»
«E voglio baciarti da giorni, da settimane.»
Le sua parole sono sconvolgenti, mi fanno barcollare ma allo stesso tempo mi scaldano dentro tanto quanto prima mi ha scaldato con le braccia. Le sfioro i lineamenti con le dita e faccio un passo indietro «Ne parliamo domani, ora dormi».
Bianca annuisce e si sdraia sul mio divano, infagottata nella coperta, e dopo pochi secondi già dorme. Altro che il sonno dei giusti: il sonno degli ubriachi è molto più potente. Resto a fissarla per qualche altro minuto e poi vado in camera.
Mi tolgo i vestiti piano ma non ho le forze per struccarmi: l'unica cosa che posso fare è infilarmi sotto le lenzuola e ripensare in loop a quello che ha detto. Una piccola fiammella, troppo simile alla speranza, mi si accende dentro mentre sfioro con l'indice le labbra. Un può essere che forse mi farà male ma che voglio sperare esista. Perché ora che l'ho baciata so per certo che non potrò mai più essere solo sua amica.

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Capitolo 9
*** Capitolo 09. Bianca ***


A svegliarmi è il suono di un grido femminile ma quando apro gli occhi la stanza, una stanza che non riconosco, inizia a girarmi intorno mentre un fiotto di nausea mi brucia dallo stomaco alla gola. Chiudo gli occhi e cerco di muovermi lentamente fino a mettermi seduta. Non so dove sono, gli ultimi eventi della serata mi risultano alquanto sfumati nella mia memoria, ma mi rendo conto di essere su un divano e di essere quasi nuda sotto la coperta.
Dove sono? E, soprattutto, cosa ho fatto?
Non ho il tempo di trovare nella mia memoria le risposte a queste domande perché un altro urlo fende l'aria facendomi spalancare gli occhi di scatto; ignoro la nausea e d'istinto vado verso il punto da dove proveniva l'urlo. Sbatto il ginocchio contro un mobile ma il suono di un pianto mi spinge a muovermi e alla fine mi ritrovo nella camera di qualcuno. Di Dalila, precisamente. La osservo sconvolta per un attimo mentre combatte contro un incubo, le unghie conficcate nel materasso e il volto rigato di lacrime e trucco sciolto. Parla nel sonno, chiama sua madre, ed è una visione che mi strazia, mi spezza il cuore e mi fa passare qualsiasi residuo dell'ubriacatura di questa notte.
«Dalila» la chiamo esitante ma non mi sente. Al diavolo tutto, non posso vederla in questo stato e non fare nulla. Mi siedo sul bordo del letto e la scuoto leggermente «Dalila! Svegliati!»
Finalmente apre gli occhi e mi ritrovo persa in un mare verde di puro dolore; ha le pupille dilatate, la pelle cadaverica, i capelli tutti arruffati e il respiro affannato come se avesse corso una maratona.
Non penso a quello che sto facendo quando me la tiro contro e l'abbraccio, stretta. Sotto le dita percepisco i suoi muscoli irrigiditi rilassarsi gradualmente fino a quando non appoggia la testa contro il mio collo e mi abbraccia a sua volta. Sento le lacrime bagnarmi la spalla ma non la lascio andare, al contrario le deposito una serie di piccoli baci sulla tempia e tra i capelli mormorandole che va tutto bene.
Non so quanto tempo passa prima che si calmi del tutto, abbastanza da farmi tornare sprazzi di memoria di quello che è successo prima che praticamente collassasi sul suo divano.
Il bacio, anzi, i baci.
Il suo sguardo dolce.
La sensazione che fosse la cosa più giusta del mondo.
«Ti ho sporcata di mascara» la sua voce è più bassa del solito, graffiata dai singhiozzi e dall'imbarazzo. Mi allontano leggermente, senza lasciarla andare, solo quello che basta per guardarla in volto.
«Non m'importa, si lava via» sposto una mano sul suo volto, circondandole le guancia con le dita «Vuoi parlarne?»
Dalila distoglie lo sguardo, si allontana anche restando tra le mie braccia e mormora un «No» a bassa voce.
«Vuoi che me ne vada?»
«No» stavolta lo dice a voce più alta, fissandomi dritta negli occhi e strappandomi mio malgrado un sorriso. La vedo arrossire leggermente e alla fine aggiunge con un filo di voce «Cioè a meno che tu voglia andare... non sei costretta a rimanere... capisco che...» non la lascio finire e la bacio. Cede immediatamente, stringendosi ancora più forte contro di me mentre un gemito di piacere le muore in gola. Non era un illusione dei troppi drink: baciarla mi pare giusto e naturale quanto respirare.
Quando si stacca, probabilmente per riprendere aria, tiene la fronte appoggiata alla mia e finalmente sul suo volto è tornato del colore e sulle sue labbra arrossate fa di nuovo capolino quel suo sorriso dolce e malizioso allo stesso tempo.
«Speravo che non fosse solo un sogno» mormora ancora ma siamo talmente vicine che mi pare quasi di sentire la consistenza delle sue parole contro le labbra.
Le sfioro i lineamenti con la punta delle dita mentre sento di sorridere e di non riuscire a farne a meno. «C'è qualcosa in te, non so neanche io cosa, che mi fa venire voglia di starti vicino. Di abbracciarti e di proteggerti. E baciarti.» Le sfioro le labbra con un altro velocissimo bacio «Mi fai mettere in discussione tutto quello che credevo di sapere e di volere».
Dalila si allontana di qualche altro centimetro, mordendosi le labbra, «Ed è una cosa buona o cattiva?»
«Non lo so. Sarò onesta: queste sensazioni sono meravigliose ma mi terrorizzano anche. Eppure, per qualche ragione, non riesco ad immaginare che tu possa uscire dalla mia vita.» L'accarezzo piano il volto «Non so se te l'ha mai detto nessuno ma sei un piccolo esuberante raggio di sole».
Dalila spalanca ancora di più i suoi occhioni mentre il sorriso le si allarga. Dopo un solo secondo, mi butta le braccia al collo e mi bacia con passione. Il movimento è talmente repentino che mi sbilancio, finendo di schiena sul materasso, con lei sopra. Ci scappa da ridere tra un bacio e l'altro mentre la passione sale. Il momento delle parole per ora è finito ma non abbiamo davvero smesso di parlare, semplicemente ora lo stiamo facendo con le labbra, le dita e i nostri corpi.

Quando l'alba sorge ci trova ancora abbracciate nel letto di Dalila; fa un sospiro e appoggia la testa sulla mia spalla e mi circonda la vita con un braccio. Abbasso lo sguardo su di lei e noto una punta di dolore, o forse di paura, nel suo sguardo mentre guarda fuori dalla finestra.
«Tutto bene?»
Con la punta delle dita inizia a disegnare sul mio stomaco, intorno all'ombelico e vicino al bordo delle mutandine. «Dovrei essere io a farti questa domanda».
«Io sto bene» ed è stranamente vero, più sto tra le sue braccia e più mi sento bene. Non mi ero mai sentita così, neanche con Giorgio. Ma quando glielo dico, invece di sorridere, si rabbuia ulteriormente.
«Dalila?»
Le sue dita si bloccano mentre alla fine butta fuori quello che la preoccupa «Fino a ieri sera volevi Daniele... come faccio a sapere di non essere solo un ripiego, una distrazione?»
Le sue parole mi fanno irrigidire e mi metto seduta, guardandola dall'alto. «Come puoi anche solo pensarlo?»
Un pizzicore sulla pelle, nelle vene, e un emozione che non provo spesso: irritazione. Pensavo che nelle ultime settimane fossimo arrivate a conoscerci, conoscerci per davvero, ma se fosse così non mi accuserebbe di starla usando. Poi, però, gira il volto verso di me e per la prima volta vedo oltre la facciata, vedo tutte le ferite e il dolore che si porta dentro. Ripenso alle urla che mi hanno svegliata, alla malinconia che le aleggiava sempre intorno quando si era trasferita nella mia scuola e mi rendo conto che non è di me che sta dubitando ma di se stessa. Sembra sempre così sicura di sé, sempre padrona della situazione ma in questo momento vedo solo una ragazza che pensa di non valere abbastanza. E la mia irritazione ssfuma come neve al sole.
«No, piccola, sarò anche confusa o spaventata ma ti giuro che non ti sto usando». Come faccio a spiegarle che mi piace da quando era solo una ragazzina o che rivederla, cresciuta, mi ha dato una stretta allo stomaco? Come faccio a spiegarle che ero più emozionata del finto appuntamento con lei che di quello vero con Daniele? O che per tutta la cena di ieri sera avevo pensato a lei? Era un ristorante di lusso, raffinato, eppure avrei voluto essere di nuovo su una panchina con lei a ridere di nulla e mangiare un panino.
Non riesco ad esprimere tutto questo a parole, forse ad avere paura siamo tutte e due, per cui la bacio, sperando di riuscire a farglielo capire. Dalila infila le dita tra i mie capelli, rendendo più profondo il contatto. Credo di non aver mai passato così tanto tempo solo a baciare qualcuno, anche all'inizio della nostra relazione Giorgio aveva l'abitudine di allungare la mani dopo pochi minuti.
Poi all'improvviso mi bacia sulla linea della mascella, sul naso, sul collo e vicino all'orecchio e prima di rendermene conto mi ritrovo di nuovo stesa di schiena e lei sopra di me, a cavalcioni.  Stavolta è lei a guardarmi dall'alto e ha perso l'espressione fragile di un attimo fa; invece, con lo sguardo ardente e i capelli neri che le circondano il volto sembra una piccola dea. Artemide, forse.
Continua a baciarmi, piccoli sfioramenti di labbra su ogni centimetro che riesce a raggiungere e, visto il mio scarso abbigliamento, sono molti. Prima di riuscire a trattenermi, inarco la schiena e mi sfugge un gemito.
Dalila ridacchia e sussurra, quasi tra sé e sé, «Sensibile sul lato del collo» e subito dopo mi mordicchia leggermente e stavolta più che un gemito quello che mi esce sembra un lamento ma invece di continuare con quella deliziosa tortura si allontana.
«Guardami Bianca» alzo le palpebre lentamente, non mi ero neanche resa conto di aver chiuso gli occhi, e Dalila sorride. «Mi piaci Bianca e anche tanto quindi ci andremo piano, con calma, e se in qualsiasi momento dovessi sentirti a disagio basta una parola e giuro di fermarmi o rallentare. Okay?»
«Dalila, non c'è bisogno...»
Mi appoggia un dito sulle labbra e ripete, con sguardo più serio stavolta «Okay?»
Ed io riesco solo ad annuire. «Bene, allora ora che abbiamo chiare le regole direi» fa un sorrisino, si china verso di me ma prima di baciarmi salta giù dal letto. «Direi di andare a lavarci e andare a fare una bella corsa».
«Stai scherzando vero?» Stavolta il lamento che mi esce non è decisamente di piacere.
Quasi avesse sentito le parole della sua padrona una cagnolina bianca arriva quasi saltellando e inizia ad abbaiare «Vedi, lei ne è felice».
Metto il broncio ma Dalila si mette a ridere e si avvia verso il bagno; prima di entrare, si volta e mi guarda dalla soglia «Forza, angioletto, prima iniziamo e prima finiamo. E prima finiamo e prima torniamo qui».
Mi rianimo di colpo e Dalila scoppia a ridere prima di chiudersi in bagno.
Ed io mi ritrovo a pensare che anche anche con il trucco sul volto, gli occhi arrossati dal pianto o i capelli annodati e incasinati... beh, anche in queste condizioni non ho mai visto nulla di più bello.
Mi lascio ricadere all'indietro, sotto lo sguardo vigile della cagnolina, e mi ritrovo a ridacchiare come una ragazzina del liceo. Perché dire che a me Dalila piace sarebbe riduttivo... ho paura invece di starmi innamorando di lei.

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