I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi! di G RAFFA uwetta (/viewuser.php?uid=90941)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - La morte non si annuncia mai ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Richiesta d'aiuto non autorizzata ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Quando meno te lo aspetti, qualcuno bussa alla tua porta ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 Amici serpenti o era parenti serpenti? ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - La verità mi fa male, lo so ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 - Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
1 – Il passato immerso
nel bacile
di un Pensatoio
La
stanza era in ombra, solo in un punto preciso la tenue luce, che
traspariva dai tendaggi pesanti, accarezzava il pavimento. Regnava un
fosco silenzio, caliginoso e impenetrabile come la spessa nebbia
londinese di fine estate. Non era stata una brillante idea quella di
tornare lì, ma lo doveva a se stesso e a tutto
ciò che di buono e
positivo aveva vissuto tra quelle mura.
— Voglio
le pareti tutte bianche, — aveva cinguettato Ginny mentre
faceva
scorrere un dito lungo il bordo tarlato della finestra, —
mobili
essenziali e il pavimento con mattonelle color pesca. — Harry
l’aveva guardata aggirarsi radiosa per la piccola casa,
soffermarsi
in più punti e gesticolare impaziente assieme al giovane
architetto
fresco di laurea; era stata volontà della ragazza abitare
nel mondo
Babbano, e Harry si era adeguato con gioia. — Tu che dici,
Harry? —
Ginny l’aveva guardato con occhi luminosi, trepidante, tra le
mani
un campionario di tessuti dalle mille sfumature. — Mi rimetto
alla
tua volontà, — le aveva sorriso innamorato.
— Non dimenticarlo,
— aveva risposto seria, — mai.
Se
solo si fosse accorto in tempo della bieca luce che sonnecchiava
inquieta tra le ciglia socchiuse degli occhi di Ginny.
Fece
un altro passo e si fermò al centro della pozza chiara,
voltando le
spalle alla finestra. Chiuse gli occhi e, trattenendo il respiro,
cercò di arginare, come gli aveva insegnato lo Psicomago, il
terrore
che ancora oggi lo assaliva quando serrava le palpebre. — Un
lutto,
di per sé, è facile da superare, — gli
aveva ripetuto
pazientemente il dottor Lethargie Taubheit
fin dalla loro prima seduta. — Ciò che la nostra
mente non accetta
è l’idea di colmare nuovamente ‘il
vuoto’ che si crea
perché ‘i ricordi’
cosiddetti ‘perduti’,
nella nostra testa, diventano un
‘per sempre’, poiché riteniamo
che ‘chi non c’è più’
non possa, per ovvie ragioni, aiutarci a rielaborarli. —
Harry
scosse piano la testa, il fiato diligentemente sotto controllo, le
dita serrate intorno alla propria bacchetta.
— Sei
splendida. — Harry l’aveva baciata sulla punta del
naso e stretta
un po’ più forte, allineandola al proprio corpo
solido mentre
ballavano al centro della stanza con il vestito bianco in pizzo
prezioso illuminato dalla luna. L’aveva spogliata con
esagerata
lentezza, studiando ogni anfratto, ogni piega della sua giovane e
profumata pelle, si era inebriato di ogni ansito, di ogni carezza, di
ogni bacio che si erano scambiati; l’aveva amata con
l’ardore
della passione e la tenerezza dell’inesperienza.
Catturato
dall’onda del proprio orgasmo, aveva strizzato le palpebre
cosicché
non si era accorto delle iridi della moglie diventate luminose come i
bagliori dell’inferno.
La
bacchetta tra le dita si illuminò brevemente e, in un nugolo
di
polvere, le tenebre si squarciarono. Harry attese pazientemente che
il cuore rallentasse la sua corsa, fissando ostinatamente il chiarore
che oltrepassava la cortina delle lunghe ciglia nere. Una volta
riaperto gli occhi, non aveva idea di cosa si sarebbe trovato di
fronte, di cosa quella stanza gli avrebbe restituito, nonostante i
suoi ricordi indossassero le vestigia di tetri incubi,
poiché
nessuno dei suoi vecchi amici gli aveva più parlato da
allora. – O
per lo meno nessuno di quelli che per lungo tempo ho ritenuto la mia
famiglia. – Sospirò amareggiato.
— Tu
credi nel futuro? — Ginny, splendidamente fasciata in un
tubino
nero, stava litigando con la clip di un raffinato girocollo davanti
allo specchio; lo stava osservando quieta, in attesa della sua
risposta. Harry, confuso, si era grattato la cicatrice, in un gesto
così abituale da passare inosservato. — Per un
lungo periodo ho
temuto di non averne uno, — le aveva spiegato incerto,
— ma da
quando ho scoperto di amarti sei stata tu al centro di ogni cosa
—
Harry aveva distolto lo sguardo, arrossendo imbarazzato. —
Perfetto, — la voce contenuta di Ginny era sporcata da una
sfumatura bieca, quasi irrisoria, — allora sarà
più facile del
previsto, — aveva esclamato enigmatica uscendo dalla camera.
Harry,
disorientato, era rimasto impalato per parecchi minuti
nell’atto di
infilarsi la giacca scura della divisa di gala.
Aprì
gli occhi di scatto e sbatté le ciglia più volte
per mettere a
fuoco il muro di fronte. Impietrito, piantò le iride di un
verde
cupo negli occhi fiammeggianti della sua Ginny, rinchiusa in una
cornice rosicchiata dal fuoco.
Quel
quadro era stato l’unico vezzo imposto da Harry nella loro
camera
matrimoniale fin troppo minimalista. Ritraeva la ragazza davanti a un
laghetto, china verso le papere, in un giorno qualsiasi della loro
vita insieme. Non c’era stato un vero motivo per scattare la
foto,
ma Harry aveva sentito il desiderio di far sapere a tutti quanto
quella donna lo stesse rendendo felice.
Ora,
era solo una lastra immobile, il fuoco ne aveva prosciugato tutta la
magia, con il volto della moglie deformato dall’odio che
spiccava
ghignante sulla parete sporca di sangue.
Deglutì
a vuoto.
— Suvvia,
Harry, non sei nemmeno un po’ curioso? — Ginny,
rannicchiata sul
lungo divano bianco, stava sfogliando distrattamente una rivista
Babbana dimenticata da Hermione due settimane prima. — Cloe,
quella
signora attempata che alleva formiche e vende profumi per gatti in
fondo alla strada, mi ha confessato che lo fa spesso per vivacizzare
il proprio matrimonio. — Harry, per nulla interessato, si
muoveva
avanti e indietro per la stanza recitando a mezza voce il discorso
che avrebbe tenuto quella sera alle nuove reclute. — Mi ha
detto, —
aveva continuato leggera, mentre con la coda dell’occhio non
perdeva un solo movimento del marito, — che è
normale, all’inizio,
provare un po’ d’imbarazzo. — Aveva
cercato di rassicurarlo con
voce zuccherosa e suadente: — Non c’è
niente di vergognoso
nell’ammetterlo. — La donna si era allungata
languida arcuando la
schiena e spalancando le cosce snelle; sembrava stesse galleggiando
in una pozza lattea.
Harry,
distratto, si era fermato a un passo dalla finestra, i fogli di
pergamena stretti tra le dita. — Ammettere cosa? —
aveva chiesto
soprappensiero; Ginny era uscita dalla stanza impettita e lui, quella
notte e alcune a seguire, era stato costretto a dormire nella stanza
degli ospiti.
Tutto
attorno a lui era desolazione ed era stato lui
l’involontaria causa di tutto quello; gli si strinse
così forte il
cuore che pensò di percepire distintamente il pianto
disperato della
propria anima. Fece un giro su se stesso e gli occhi accolsero
soltanto distruzione.
Dove
un tempo c’era il letto, su cui aveva dormito e amato la sua
Ginny,
rimanevano tre assi in croce e la sagoma indistinta del materasso;
macchie scure, come schizzi di un artista impazzito, imbrattavano le
pareti un tempo bianche come la luna d’inverno, e la cenere
nera e
pesante era disseminata ovunque.
La
sua mente si rifiutava di riconoscere quel luogo, eppure,
l’abitudine
a viverlo gridava a pieni polmoni che sì, quella stanza era
stata
l’alcova di un amore genuino e puro, finché il morbo,
che stava crescendo all’insaputa di tutti nel corpo di sua
moglie,
ne aveva divorato l’anima.
Si
inginocchiò preda della vertigine ed ebbe un conato: quello
su cui
poggiavano le ginocchia era l’esatto punto in cui Ginny o,
meglio,
la sua versione indemoniata, stava eretta un secondo prima che la sua
magia involontaria l’uccidesse; il sole impietoso delineava
ogni
ruga del pavimento.
Sbatté
forte i pugni in terra e urlò.
— Perché?
— chiese all’aria, forse sperando che il bastardo
che un tempo
dimorava nella sua testa gli desse un segno. — Che tu sia
maledetto! — sibilò furioso, — Che la
mia ira ti possa
raggiungere ovunque tu sia!
Gli
rispose solo il fruscio del silenzio che, imperturbabile, lo
avvolgeva come un guscio.
— Ti
fanno male? — aveva chiesto con fare scientifico Ginny mentre
stringeva, con un colpo calibrato della bacchetta, dei nastri neri ai
polsi e alle caviglie di Harry; il moro, a disagio, aveva bofonchiato
tra i denti mezze parole. — Non è stato poi
così difficile, —
aveva aggiunto la ragazza sorridendo soddisfatta al corpo bloccato
del marito, — vedrai che ci divertiremo. Di certo io
sì! — aveva
puntualizzato sfregandosi maliziosa le mani.
Harry
era sdraiato nudo sul letto matrimoniale, le braccia e le gambe
divaricate in modo quasi osceno, gli occhi spalancati fissi al
soffitto. Non si capacitava di come era riuscito a cacciarsi in
quell’assurda situazione, di quando sua moglie era riuscita a
strappargli il consenso per quella follia. Era sempre stato una
persona semplice, lui, dai gusti modesti e dalle esigenze ancora
più
umili. – Non è di certo colpa mia se il Mondo
Magico mi ha eletto
come “suo eroe”. – A quel pensiero aveva
scosso la testa
sprofondando il capo nel cuscino.
Dalla
stanza attigua sua moglie non aveva smesso un attimo di parlare.
—
...c’è una parola di sicurezza da concordare.
— A Harry si erano
rizzati immediatamente tutti peli: belli e fieri come soldatini
davanti a un plotone d’esecuzione. — Sono
così eccitata, è da
sempre che aspetto questo momento! — Rassegnato al suo
destino,
Harry aveva sentito un brivido freddo esplodergli in testa, nel punto
in cui c’era la cicatrice a forma di saetta, quando Ginny era
apparsa nel suo campo visivo a lato del letto. — Ma che?
— aveva
farfugliato sbigottito, il corpo che reagiva entusiasta al vestitino
succinto e provocante indossato dalla moglie.
Giaceva
a terra, forse da ore, raggomitolato su se stesso come una matassa di
lana grezza, le dita artigliate nei capelli scuri. Gli dolevano i
muscoli, troppo tesi nell’inutile sforzo di non cedere ai
ricordi,
e la testa gli sembrava un pallone malamente gonfiato che galleggiava
a mezza strada verso la pazzia. – Sei stato folle a
tornare qui,
– sembravano accusarlo gli occhi rossi e immobili nella foto.
–
se solo Merlino mi desse un’altra occasione, ti
ridurrei a un
grumo spugnoso di carne.
Harry
rabbrividì. C’era sangue ovunque, quel lontano
giorno, che
sgorgava corposo dalle ferite, come mille foci nel deserto rovente.
In
via del tutto precauzionale, il primo colpo gli era stato inferto
sulla spalla con un flogger.
“Per saggiare la resistenza dei lacci,” aveva
motteggiato la
moglie mentre leccava la punta della sua bacchetta con la lingua, gli
occhi socchiusi in modo seducente. Il secondo era esploso alla base
dello scroto, tra le cosce spalancate di Harry, nel punto
più
sensibile di ogni uomo. Il corpo del moro, seppur trattenuto al
materasso dai lacci, era schizzato verso l’alto inarcandosi
fin
quasi a spezzare la spina dorsale; non era riuscito a emettere alcun
suono, sebbene avesse la bocca spalancata come il becco di un pulcino
affamato; gli occhi due pozzanghere bianche.
— Così
non va, — aveva sibilato Ginny, scuotendo piano la testa,
—
troppo facile. — Con un complicato gesto del polso gli aveva
lanciato addosso un incanto sconosciuto che gli aveva immediatamente
‘sciolto la lingua’,
permettendo ai suoni dentro la sua gola di liberarsi nella stanza.
—
Perfetto! — aveva sorriso compiaciuta, incurante dello
sguardo di
terrore che liquefaceva i lineamenti pallidi del marito.
Da
un fodero allacciato sulla coscia sinistra, aveva estratto uno
stiletto d’argento magico dalla lama particolarmente sottile,
l’aveva fatto roteare tra le dita, mentre i suoi occhi
scorrevano
languidi lungo le forme scolpite di lui. Con un guizzo degno di un
cobra, glielo aveva conficcato nella carne del polpaccio,
così
profondamente, da inchiodare la gamba al legno sotto al materasso:
Harry aveva emesso un solo grido, amplificato
dall’incantesimo.
Vomitò
bile e un filo di bava penzolava irrisorio dalla bocca del moro. Come
allora, Harry tremava tutto, come se il tempo si fosse dissolto e lui
fosse ancora là, sul letto sfatto in balia della lucida
crudeltà
della moglie. Nella sua testa era ancora tutto così nitido:
la furia
granitica di Ginny, per nulla smussata, il dolore così
solido,
tangibile lungo ogni terminazione del corpo, fin dentro le cicatrici
che gli decoravano la carne. Teneva gli occhi spalancati,
impossibilitati a richiudersi perché era troppo orrendo
quello che
il buio celava.
Piangeva,
Harry, come un animale agonizzante, inerme davanti al proprio
carnefice.
— Quante
storie, ‘Sopravvissuto’,
per due miseri taglietti. Dimmi, — l’aveva
canzonato la voce
gelida di Ginny, — dove sono finiti la tua arroganza, il tuo
entourage, la tua vigliacca Fortuna sempre pronta a tirarti
d’impaccio? Dimmi, o eroe, chi sacrificherai per la tua
Salvezza? —
aveva riso sprezzante, dispensando Cruciatus come fossero Cioccorane.
Harry,
immobilizzato su quel letto da giorni, aveva ferite infette
disseminate ovunque sul corpo di un pallore cadaverico, respirava a
fatica attraverso la bocca, mentre l’ennesimo rivolo di
sangue si
era già incrostato alla base del naso. Tutta la sua persona
tremava,
scossa da marosi di dolore e terremoti di terrore, fin dentro
l’anima; non aveva più lacrime, non aveva
più voce, solo
finissima polvere al posto del cuore.
Attraverso
l’occhio sano, l’altro era uno scuro coagulo
informe, non perdeva
di vista la sagoma indistinta di sua moglie, troppo annichilito e
sfinito per accettare la cruda realtà.
Quando
era stato ferito la prima volta, aveva urlato a pieni polmoni la
frase concordata “Lord
Voldemort è
il mio Signore e Padrone”,
sperando così di fermare l’insania che sembrava
aver investito sua
moglie, ma Ginny aveva riso deliziata, fino all’isteria,
mentre i
suoi occhi sprezzanti si indurivano. A quel punto, nella mente di
Harry era esploso l’orrore e la raccapricciante sensazione
che il
Passato fosse finalmente giunto fin lì per richiedere il
proprio
tributo. — Non può essere, — aveva
sussurrato sgomento e
incredulo mentre il folle terrore che l’aveva invaso
banchettava
con la sua mente.
Si
sentiva stremato, la testa doleva e i ricordi gli bombardavano la
coscienza minando la sua precaria stabilità mentale.
Cercò di
alzarsi facendo leva sulle braccia ma quelle cedettero, emotivamente
instabile per reggere il suo peso. Rotolò di fianco e
finì sotto il
quadro; da quella prospettiva Ginny sembrava acquistare una luce
nuova, quasi limpida e serena. Sospirò. Lentamente si mise
una mano
sul cuore, premendo piano finché non
l’avvertì galoppare libero.
Era
tornato in quella casa per combattere i suoi demoni, per affrontare
come un nobile Grifondoro le sue miserie e ripartire da zero con
ciò
che rimaneva di se stesso.
— Avere
il cuore infranto non ti impedirà di amare, — gli
aveva suggerito
lo Psicomago il giorno in cui aveva tentato, per l’ennesima
volta,
di farla finita. — Sono i cocci dell’anima che ti
fanno
sanguinare. Quelli sì che sono infidi, — aveva
incalzato davanti
al suo sguardo dubbioso, — piccole scaglie affilate che ti
penetrano il cervello.
Solo
ora comprendeva quanto avesse ragione: davanti a quel ritratto
tarlato dalle fiamme, capì che non gli riusciva proprio di
condannare la moglie, non adesso che sapeva come erano andate le
cose, non ora che si affacciava timidamente una nuova vita.
— Uccidimi!
— Nelle ultime ore, Harry aveva supplicato la moglie
perché
mettesse fine a quell’agonia. — Ma certo che
morirai, — l’aveva
assicurato incredula, come se il marito non la ritenesse una donna
magnanima, — a tempo debito. — Costretto con la
forza a rimanere
inchiodato al letto, il moro aveva perso da giorni la
sensibilità di
ogni terminazione nervosa e il suo cervello era in preda alle
allucinazioni; una peggiore dell’altra.
Tutt’intorno a lui, c’era
odore di morte, di marcio, di bile, e dei miasmi dei suoi stessi
escrementi.
— Come…
—
Harry si era dovuto fermare per racimolare fiato, la gola che cedeva
al passaggio della
saliva mischiata al
sangue, la mente così
scombinata da impedirgli
di articolare in
modo compiuto.
—
Cosa
sei? —
Infine,
con grande sforzo, era riuscito concentrarsi
e
porle l’unica domanda che
persisteva
vivida nel suo cervello ottenebrato dal dolore.
Ginny, per
nulla turbata dalla curiosità del marito, senza
battere ciglio, si
era girata verso il quadro e aveva sorriso complice alla se stessa
che, come riflessa
in un Avversaspecchio,
mostrava la sua vera natura.
C’era
un che di spaventosamente corrotto nello sguardo che si erano
scambiate,
tanto che
qualcosa
di profondamente
insito
dentro Harry
finalmente si era destato annusando
l’aria guardinga.
Quello
sguardo così arrogante, spietato
e sicuro di sé era certo di averlo già visto
indosso
a qualcuno, un
essere
così spaventoso che l’aveva sepolto sotto cumuli
di altri ricordi
meno
importanti.
Inconsapevolmente,
Harry prese ad accarezzarsi il polso facendo
scivolare
lievemente
il polpastrello
sul marchio lasciatogli dai denti del Basilisco. —
Tom
Orvoloson Riddle, sei
riuscito a devastare la mia esistenza in modi davvero pittoreschi.
—
biascicò
ironico,
mentre una lacrima solitaria luccicava tra le ciglia scure.
Note
dell’autrice: questa storia era nata per
partecipare a un
contest ma poi, come sempre, i personaggi hanno fatto di testa loro e
ne è venuta fuori una long.
Nel
mio immaginario, Harry non può assolutamente vivere tutta la
sua
vita accanto a Ginny. Lui ha un bisogno quasi viscerale di prendersi
cura del proprio compagno. Quindi, siete certi di figurarvi la
Weasley come una piccola principessa indifesa? Io no di certo! Indi
per cui, Draco compare sempre e ovunque, come il prezzemolo.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
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Capitolo 2 *** Cap. 2 - La morte non si annuncia mai ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
2
– La
morte non si annuncia mai
Quando
si fu ripreso abbastanza da comprendere e parlare,
era stato il Medimago di turno a metterlo al corrente su
quello
che era successo. —
Vede,
signor Potter, —
il
vecchio luminare era in piedi accanto al letto, austero nel
portamento ma con un fondo di pietà a insudiciare gli occhi.
—
Abbiamo
trovato sul corpo di sua moglie i residui di un antico
anatema
concepito
esclusivamente per i Babbani negli
anni bui dell’Inquisizione.
Deve
sapere che,
—
aveva
continuato senza mai sfiorarlo con lo sguardo, —
all’inizio,
veniva scagliato per vendetta dalle streghe mentre
bruciavano sui
roghi,
poi, vista
l’efficacia, venne
impiegato come ‘diversivo’
per confondere le acque.
Infatti,
la
Poord-hing
è
una maledizione davvero potente che
altera
in modo significativo l’anima del ricevente, mutando
in modo drastico il suo ‘io’ interiore.
L’usanza
di chiamare ‘maledizione’
questa tipologia di incanti, era
nata proprio da qui, poiché
il Babbano colpito veniva definito ‘maledetto’
dai suoi stessi simili.
Harry
l’aveva guardato a lungo, incredulo e arrabbiato. Aveva
tenuto così
tanto gli occhi fissi sul
suo viso
da farli lacrimare, mentre l’altro aveva cominciato ad
agitarsi,
imbarazzato dal prolungarsi del silenzio.
— Signor
Potter, —
aveva
ripreso titubante, —
mi
permetta… —
Ma
il moro l’aveva interrotto con un gesto brusco, chiedendo,
anzi
ringhiando, come era stato
possibile
che nessuno, compreso lui stesso, non si fosse mai accorto di nulla.
A
quel punto, il Medimago si era voltato verso la porta in cerca di
sostegno, incerto su cosa potesse o meno dire.
— Le
parole hanno una loro valenza, signor Potter, così come il
contesto
in cui vengono pronunciate, —
aveva
iniziato cauto, soppesando ogni vocabolo. —
L’incantesimo
è un comando: più specifico è,
più risulta efficace. Quindi,
usato al di fuori del suo ‘utilizzo
canonico’,
per intenderci, cambia valore e molto spesso, questa
‘falla’,
si
ripercuote anche sui tempi e sulle modalità
di
resa.
Per
fare un esempio spiccio. È come
maneggiare in
modo inadeguato gli
ingredienti di una pozione: se si cambia qualcosa
nella procedura, anche infinitesimale, il risultato non sarà
più
quello
previsto.
Harry
si era lasciato cadere all’indietro, la schiena che cozzava
contro
il doppio cuscino e il respiro alterato di chi aveva corso per
raggiungere la cima
della montagna. Aveva chiuso gli occhi, incupito e per nulla
tranquillizzato.
— Nessuno
potrà
farle alcuna colpa,
se è questo che la turba, —
aveva
aggiunto bonario il luminare. Harry quasi si era strozzato a quelle
parole dette con tale superficialità, come se
l’essere stato
costretto a uccidere la moglie fosse stato
un
passatempo qualunque. —
Esca
immediatamente, —
era
scattato urlando, nonostante
le molteplici fasciature intorno al corpo, —
cosa
ne vuol sapere lei dei miei sensi di colpa, del mio dolore, della mia
angoscia. Ginny
è mia moglie, la donna che amo, vogliamo
dei figli!
—
In
preda alla furia, gli aveva lanciato dietro uno dei cuscini. —
Se
ne sta lì, dentro il suo camice lindo, dispensando pena e
finto
buonismo,
ma
non ha nessuna idea di come un uomo si possa sentire a brandelli,
spezzato così in profondità da avere un baratro
al posto del cuore.
—
L’anziano
non aveva proferito verbo; era rimasto immobile ad
aspettare
che il diluvio di parole finisse, probabilmente avvezzo
a quel
genere di
scatti d’ira da parte dei pazienti.
— Mia
moglie è morta tra le mie braccia mentre la nostra casa veniva
divorata
dalle fiamme; all’interno erano rimasti intrappolati i nostri
tre
figli piccoli.
—
Harry aveva guardato orripilato il
Medimago sfaldarsi strato dopo strato mentre, in piedi in mezzo alla
stanza, con una
tranquilla dignità che lui stesso si
poteva
sognare, continuava il suo racconto agghiacciante. —
Nonostante
mia moglie mi avesse più volte avvisato che dal mio
laboratorio
provenivano
strani rumori, quella sera raggiunsi lo stesso il pub a Diagon Alley
con i miei allievi, per festeggiare la fine del corso.
Più
tardi, quando tornai a casa in un quartiere tranquillo della Londra
Babbana, c’era
ad attendermi l’inferno. Da
allora,
non ho più avuto pace, —
aveva
sospirato piano, gli occhi stanchi fissi in quelli sgomenti di Harry.
—
In
nessuno di loro scorreva un briciolo di magia e, nonostante
li amassi più di me stesso,
mi vergognavo
di loro. Che
Merlino abbia pietà
di me,
ma
è
stato questo a
ucciderli, —
si
era lasciato sfuggire tra i denti. —
Quindi
sì, so come ci si sente quando tutto ti sfugge
dalle dita, quando
il peso dei tuoi
stessi
errori
ti inchioda alla Terra senza lasciarti una via di fuga, quando la tua
anima è così immonda che i Dissennatori paiono
acque chete. Ma
è qui che
viene a galla la
tempra di un uomo, —
l’aveva
guardato con durezza, aspettandosi che capisse, —
che
emerge vittoriosa dalle
macerie. Impara
dai tuoi stessi
errori,
signor Potter, non lasciare che i
tuoi
sbagli e le tue
mancanze
abbiano la meglio sul tuo spirito, combatti e vinci perché
la fuori
qualcuno ha sicuramente
bisogno di te.
Non
aveva aggiunto altro, era uscito lentamente dalla stanza e Harry non
l’aveva più rivisto.
— Ginny,
lo so che sei lì, da qualche parte dentro la
tua testa.
Ignora
quel dannato quadro e guardami, puoi
farcela,
combattilo.
Sei
forte tu, più forte di tutto questo.
—
La
finestra era spalancata e il profumo della pioggia aveva portato un
po’ di sollievo a Harry, che cercava di incamerare
più aria possibile.
— Chi
sei tu per dirmi cosa devo
fare?
—
Ginny
non si era nemmeno voltata, la sua voce gli era giunta pacata,
quasi zuccherosa. —
È
stato un ottimo banco di prova, devo dartene
atto, ma è tempo di trovare
qualcosa di più divertente, tanto
più che qualcuno
potrebbe cercarlo e insospettirsi per la sua assenza dal
lavoro.
—
Harry, incredulo, aveva trattenuto il respiro nel tentativo di
concentrarsi e cogliere meglio
lo scambio di parole tra la moglie e il quadro. —
Ha
una forza d’animo fuori dal
comune, —
stava
dicendo il ritratto, —
gli
altri sono durati molto meno.
Il
moro aveva buttato fuori il fiato producendo un sibilo stridente e
aveva preso a tremare in modo convulso, mentre l’orrore si
dilatava
nel
petto fin
quasi a soffocarlo. – Gli
altri? Quali
altri? – La
sua mente stava gridando mentre mille colori gli annebbiavano la
vista.
Sul
volto di Ginny
si
era aperto un sorriso crudele, aveva schiuso le labbra e vi aveva
passato sopra la lingua, quasi si stesse deliziando di qualcosa di
veramente gustoso. —
Hai
ragione, —
aveva
concordato, aggiungendo
subito dopo scaltra, —
ma
non erano maghi.
Harry
non era mai stato bravo a comprendere le persone, in quello si era
sempre
affidato
a Hermione: lui era un uomo d’azione, per Morgana! Eppure,
certi sguardi duri che coglieva in Ginny, quando tornava a
casa stanco
la sera, li aveva sempre archiviati nello scomparto ‘si
annoia’.
Non si era mai curato di ciò che lo
circondava: aveva
una bella moglie che amava, ricambiato, una bella casa, un lavoro
avviato, famiglia e amici, insomma una vita felice. Perché
interessarsi alla sparizione di cani e gatti nella
loro piccola
contea?
Anche quando aveva captato
una conversazione dal panettiere, riguardante una serie di omicidi
irrisolti, non
gli aveva
dato
il giusto peso;
il suo lavoro di Auror lo assorbiva abbastanza da non avere
altri pensieri.
–
Quanto
sono
stato cieco
da uno a dieci Galeoni? Il mio
intero patrimonio! Ecco
la
risposta giusta.
Harry
si stropicciò gli occhi aridi, sussultando per le mille
schegge
appuntite
che gli perforarono i bulbi. Sentiva
di aver perso il cuore altrove, forse mischiato a quel maledetto
‘avada’
che nemmeno si era reso conto di aver pronunciato. Perlomeno non
prima di aver visto Ginny accasciarsi a terra come una bambola
spezzata.
Ansimò,
il petto stretto in una morsa granitica, gli
occhi colmi di orrore per ciò che aveva fatto, per
l’unica cosa che andava
fatta!
— Non
guardarmi come se fossi un mostro, —
l’aveva
redarguito Ginny, gli occhi luminosi di perfidia. —
Andare
in giro a uccidere uomini per un ‘Bene Superiore’
non ti
giustifica affatto. Parli
tanto di moralità ma ho colto più volte la tua
espressione
estasiata quando raccontavi
delle tue missioni andate a buon fine, dell’evidente
elettricità
emanata dalla tua magia per l’incontenibile gioia di aver
assicurato alla giustizia l’ennesimo disgraziato che ha osato
mettersi fra te e la tua gloria. Non credere che non mi sia resa
conto che, tra noi, il sesso migliore è avvenuto dopo che tu
hai
rincorso e ucciso delle persone, manco avessi partecipato a uno
di quei safari Babbani.
—
Harry
l’aveva guardata impietrito, sconvolto da quel fiume di
parole così
acide da sentir la propria pelle sfrigolare.
Sua
moglie se
ne stava
in
centro alla
stanza, la schiena leggermente arcuata in una posa aggressiva,
l’espressione animata dal disprezzo. I
capelli parevano lingue
di fuoco fluttuanti
ai
lati del volto acceso dalla rabbia mentre i pugni chiusi premevano
sui suoi fianchi. Sembrava
una
versione grottesca e inquietante di Molly.
Poi,
come la furia era venuta, era svanita in un battito di ciglia.
— Lascia
perdere quel Molliccio,
—
qualche
attimo prima, la donna nel quadro aveva
cercato di rabbonirla.
—
Abbiamo
altro a cui pensare. —
Il
sorriso che aveva mostrato al moro non prometteva nulla di buono;
Ginny
si era voltata ed era sparita dalla visuale del marito.
Harry
non aveva fatto in tempo a tirare un sospiro, che una stilettata al
ginocchio gli aveva fatto strizzare gli occhi e contrarre
lo stomaco dal dolore. Sua
moglie, brandendo un martello, stava caricando di nuovo per colpire
l’altra gamba. Per
un folle momento, si era augurato che l’urlo
che aveva
preso
vita dal fondo della sua gola, riuscisse a raggiungere
l’anima di
Ginny e riscuoterla dalla carneficina a cui lo stava sottoponendo da
giorni.
Il
moro era
uscito
ulteriormente indebolito da
quell’ennesimo assalto;
non sentiva più il suo corpo, sebbene tremasse
in modo convulso,
eppure,
una
parte di lui
non voleva cedere al buio che stava minacciando di sommergerlo. Aveva
sbattuto le ciglia e, con immane sforzo, aveva cercato di mettere a
fuoco Ginny guardandola attraverso un velo di sangue. Con orrore, nei
suoi occhi aveva letto la propria fine.
Aveva
così tanto agognato quel momento che, quando la
consapevolezza di
stare
per morire
aveva fatto breccia nel dolore, invece di abbracciare la morte con
sollievo, la sua mente si era ribellata facendo ribollire
d’indignazione
la sua
magia.
E
lei non si era smentita, non si era ritirata a piangere in un
cantuccio come
l’anima persa di Harry.
Anzi,
si
era eretta fiera, palpabile
nella sua innata e folgorante elettricità:
— Avada
kedrava!
Tutto
ciò che lo circondava
era diventato quieto come il
fondo verde
di un fitto bosco.
Non
gli era ancora permesso fare magie complesse, ma in quel momento
abbisognava
di un amico, di un compagno che l’accogliesse
nel suo tepore senza giudicarlo. A tentoni cercò la sua
bacchetta,
che era rotolata poco più in là, ed
evocò Ramoso. —
Grazie,
—
si
limitò a dire,
mentre osservava il cervo scivolare leggero attorno a lui in un
movimento lento, quasi ipnotico.
Note
dell’autrice:
buona lettura e i commenti sono graditi.
|
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Capitolo 3 *** Cap. 3 - Richiesta d'aiuto non autorizzata ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
3
– Richiesta
d’aiuto non autorizzata
Chiuse
gli occhi, abbeverandosi della forza vitale emanata dal suo
Patronus,
e
l’ultimo
ricordo
con
Ron, quello
visionato più e
più volte
nel
pensatoio, immerso
nel
buio della
sua stanza al Manor,
lo
avvolse come un venticello aspro che scompiglia fastidiosamente i
capelli nelle sere autunnali.
Ron,
disgustato, aveva
storto
il naso al forte odore di medicinali che gli stava appestando la
gola, mentre percorreva a passo di carica il corridoio
dell’ospedale
dedicato alle vittime di abusi
magici.
Davanti a una
porta uguale
a tante
altre, stavano
stazionando
due cadetti Auror nelle loro scintillanti divise rosse.
— Buon
giorno signor Weasley, —
l’avevano
salutato con rispetto, aggiungendo
professionali:
—
Siamo
spiacenti, ma abbiamo
l’ordine di non fare entrare nessuno. —
In
risposta, il rosso aveva estratto dalla tasca una pergamena con il
sigillo del Primo Ministro che lo autorizzava ad assistere
all’interrogatorio di Potter, che si sarebbe svolto di
lì a pochi
minuti. —
Perfetto,
—
si
erano sbrigati a dire, spostandosi
di lato per farlo passare.
— Ragazzi,
perché non fate una pausa? —
si
era arrischiato a domandare Ron, approfittando
del fatto
che i due giovani non avessero
il
minimo sentore
del vero motivo per cui stavano davanti alla porta di Harry. —
Tanto
qui ci sono io, non c’è nulla da temere, no? —
I
due cadetti avevano assentito grati, erano
lì dalla notte prima, ed
erano spariti lungo il corridoio, mentre
il rosso impugnava
la maniglia della
porta.
— Come
hai potuto farlo? —
Harry,
con grande scorno dell’amico,
non aveva abbassato il capo quando era entrato tutto fiamme e
sproloqui inveendo contro di lui. Anzi, l’aveva fissato con
quei
suoi occhi verdi come un prato baciato dalla prima
brina
stagionale:
sorpreso e al contempo diffidente. —
Dovresti
marcire ad
Azkaban! —
aveva
gesticolato sempre più infervorato, —
ma
tu sei il grande Harry Potter, l’impunito! Quello che ha
posto
fine alla
vita di
sua
moglie
e la passa liscia! Era mia
sorella!
Dove
trovi
il coraggio per guardarmi in faccia!?
—
aveva
gridato ancora più forte, così sconvolto che le
vene del collo
fremevano.
Due
figure, attirate dalle urla che provenivano dalla stanza, vi si erano
precipitate.
—
Sarebbe
opportuno, visto il luogo in cui ci troviamo, che abbassasse i toni,
signor Weasley, —
l’aveva
interrotto una voce femminile, sottilmente derisoria e al contempo
irritata; l’uomo
accanto a lei lo stava scrutando con rimprovero.
Ron si era girato
di scatto scoprendo
che,
nel vano della porta, l’elegante figura della signora Malfoy,
avvolta
in un pesante mantello bordò,
era
intenta a squadralo con freddezza.
—
Cosa
ci fa lei qui? Dovrebbe essere vietato ai Mangiamorte frequentare
questo luogo! —
l’aveva
aggredita sgarbato.
—
Ho
altro da fare che star qui a farmi insultare da lei, —
aveva
risposto altera, raggelando ulteriormente il tono. —
In
ogni caso, come
mi
stava appunto comunicando
poc’anzi l’illustre
Medimago Pollux
Hitchens,
il signor Potter, non solo non è in grado di rispondere, ma
nemmeno
di sentirla. —
Dopo
averlo squadrato con sufficienza,
gli
aveva voltato
le
spalle
rivolgendosi
al dottore: —
Sarebbe
il caso
di
chiamare
qualcuno. È evidente che il signor Potter non può
rimanere da solo
con quest’uomo.
—
Il
Medimago
si
era ritrovato immediatamente d’accordo e, mentre si
apprestava a
uscire, aveva intravvisto arrivare dal corridoio il Capo Auror.
—
Non
è necessario, Narcissa cara, ci sta raggiungendo il signor
Barkey.
Vieni, ti accompagno, così continueremo
la nostra conversazione. —
Aveva
aspettato che l’affiancasse
prima di proseguire verso le scale
in fondo al corridoio.
—
Miseriaccia,
—
aveva
esclamato Ron, soggiogato
dall’aura di potere emanata dalla signora Malfoy, —
quella
donna è inquietante.
In
quell’istante,
dalla porta rimasta aperta, era
entrato
il Capo Auror col
volto affilato e ingrigito
dalla stanchezza. —
Perfetto,
proprio
la
persona che
stavo cercando,
—
Ron si era avvicinato all’uomo gesticolando verso il malato. —
Voglio
che lo accusi formalmente di omicidio, Barkey! Pretendo
che riceva il Bacio! Ha
ucciso mia sorella, per le
mutande di Merlino!
—
Barkey,
una mano a lisciarsi nervosamente i capelli ispidi, aveva superato il
rosso raggiungendo i piedi del letto. —
Ben
svegliato, —
aveva
sillabato
a Harry, sfoderando un piccolo sorriso
incoraggiante, poi, dopo aver litigato
con un voluminoso plico che teneva sotto il braccio,
si era deciso ad affrontare Ron che, oltremodo impaziente, stava
stringendo così forte
i pugni che le braccia tremavano per lo sforzo. —
Non
credo di poterti accontentare, —
gli
aveva detto perentorio, sporcato
da una lieve sfumatura irrisoria, alzando
un braccio per zittirlo. —
Ho
passato l’intera mattinata tra un ufficio e l’altro
di questo
immenso nosocomio
e
sono davvero stanco. Quindi, ti
prego,
stai zitto, per
una volta nella tua vita, e
ascolta
fino
in fondo ciò che ho da dire,
—
l’aveva
apostrofato rudemente. —
Harry
non ha colpa: lui è una
vittima di Ginny. —
Ron,
scioccato, era retrocesso pian piano fino a sbattere contro la parete
azzurra. —
Come
è possibile? —
aveva
balbettato incredulo. —
Non
può essere! Non mia sorella, lei era
una creatura dolce, generosa, speciale… —
la
voce gli
era morta in gola, annegata in un pianto convulso.
Barkey
non si era mosso, aveva
appoggiato una
mano sulla spalla di Harry, quasi a trattenerlo, sebbene non ce ne
fosse bisogno, visto che nel corpo del moro erano rimaste intatte ben
poche ossa.
—
Vorrei
dire che mi dispiace, e in parte dovrei anche farlo, ma tua sorella
ha meritato di morire, Ron.
— Come
osi! —
il
rosso aveva impugnato la bacchetta e, furibondo, l’aveva
diretta
contro il Capo Auror che, rassegnato, lo stava guardando senza
battere ciglio.
— Non
faccia sciocchezze, signor Weasley! Metta
via
quell’arma prima di commettere qualcosa
di cui poi si pentirebbe.
—
Nella
stanza era entrato un mago esile, fasciato in una elegante tunica
grigia.
—
E
lei chi è? —
aveva
chiesto aspramente Ron all’uomo che,
con
decisione,
lo
stava costringendo ad
abbassare
il braccio. —
Chi
sono non ha importanza. Ha
rilevanza il
motivo per cui sono qui,
—
aveva
sorriso affilato, gli occhi scuri immobili come lastre di pietra. —
Barkey,
confermo la mia prima impressione, —
si
era rivolto al Capo Auror,
—
è
morta colpita dall’anatema
e, —
si
era dovuto
interrompere
un attimo
per gelare sul posto il rosso, —
come
supponevo, non presenta nessun altro
segno
di violenza. —
Barkey
aveva scosso
la testa pensieroso, grattandosi distratto il collo taurino. —
Quindi,
c’è
qualcosa che può supportare, se così vogliamo
dire, il
comportamento della signora Potter?
—
aveva
chiesto all’altro mago. —
È stata maledetta, —
aveva
risposto pratico il
nuovo venuto.
—
Abbiamo
isolato i residui dell’incanto ma ci vorrà del
tempo per la
valutazione finale. Sono
venuto sin qui perché devo esplorare la mente del paziente
per
trovare eventuali indizi e, come ben sappiamo, il signor Potter non
può muoversi. Sulla tua scrivania
troverai
le autorizzazioni a procedere già firmate dal Primo Ministro
verso
chiunque conosca la donna. Sarà un’operazione
lunga e tediosa ma
dobbiamo trovare il responsabile: è da considerarsi un
criminale al
pari di Tu-sai-chi.
Nella
piccola stanza era calato il gelo.
— Miseriaccia!
—
aveva
esclamato all’improvviso Ron, guardando Harry con rinnovato
odio. —
Se
è stata maledetta, prima che venisse uccisa si poteva
trovare un
modo per fermare tutto ciò! Hermione è brava in
queste cose, —
aveva
balbettato grondando dagli occhi cerulei dolorosa speranza. —
No,
—
l’aveva
interrotto deciso l’uomo del Ministero, —
la
maledizione che ha malauguratamente colpito sua sorella non
può, in
nessuna maniera, venire sciolta. Per
cui, il processo, una volta avviato, non prevede interruzioni di
nessun tipo fino al suo compimento. Spero che questo le sia chiaro,
signor Weasley.
E
ora, se permette, il signor Barkey e io abbiamo un’indagine
in
corso; saluti il suo amico e si tenga a nostra disposizione, —
l’aveva
liquidato impaziente, spingendolo verso la porta. —
Lui
non è più mio amico, —
aveva
ribattuto immusonito il rosso, poi rivolto a Harry, che se ne stava
placido sul letto con un’espressione interrogativa stampata
sul volto pallido: —
In
quanto a te farò tutto quello che è in mio potere
per farti finire
ad
Azkaban. Che
tu possa marcire all’inferno! —
Dopodiché,
aveva inforcato la porta senza guardare in faccia nessuno.
— Sai,
Ramoso, non posso dare torto a Ron se non mi considera più
suo
amico, anche io per lungo tempo ho fatto fatica a riconoscermi allo
specchio: mi vedevo come un assassino. Cioè, lo sono ancora,
però
ora so che non ho colpa.
— No!
No! No! Ginny! Cosa hai fatto?! Maledetto di un Troll, cosa hai
fatto?! — Il verde dell’anatema non aveva ancora
abbandonato la
stanza che il quadro aveva cominciato a inveire contro Harry. Il
moro, dal canto suo, stava inebetito a fissare il punto lasciato
vuoto dalla moglie. — Oh, Merlino, — aveva
singhiozzato, —
Ginny. — Se avesse potuto, avrebbe portato le mani a
stringersi i
capelli. Invece la sua totale disperazione si era avvinghiata alla
propria magia facendola sfolgorare in scintille gialle e rosse qua e
là.
In
un batter d’occhio la stanza aveva preso fuoco.
L’ultima
cosa che gli era rimasta impressa, prima che l’agognato buio
l’avvolgesse, era stato il pianto inconsolabile della donna
del
quadro: sembrava il lamento di un animale sgozzato. O forse, era
stato solo l’eco delle sue dolorose grida ad accompagnarlo
nell’oblio.
Harry
sospirò piano mentre la sua pelle si increspava fino a
sfiorare il
dolore. Non voleva alzarsi, non voleva lasciare quella casa. Avrebbe
tanto voluto morire lì, in quell’istante, ma
sapeva che fuori, e
in un punto non precisato del cuore, c’era qualcuno che lo
attendeva. Qualcuno che si aspettava che lui ritornasse a casa,
quella sera.
Quel
lontano giorno, era stato un caso fortuito che la giovane recluta
Synclair, approfittando della consueta visita ai parenti nel Kent,
avesse deciso di spingersi un po’ più a nord e
portare
personalmente una serie di documenti da far visionare al suo
superiore, invece che spedirli via gufo, come da prassi. ‘Un
evento
divino’, avrebbero detto in molti; per Harry semplicemente
era
stata la ‘sua condanna’; per quel ragazzo biondo e
schivo invece
aveva rappresentato ‘una benedizione’.
Come
suo solito, era arrivato con un certo anticipo a casa dei Potter,
posta su una collinetta in fondo alla via, illuminata dai colori
arancio del tramonto. Si stava apprestando a bussare
all’uscio
quando un forte odore di legno bruciato, inusuale per quella
stagione, l’aveva investito facendogli battere forte il cuore
e
allertare i sensi. Si era messo in ascolto, girando cauto intorno
alla casa, finché, dalla finestra aperta della cucina, gli
erano
arrivate nitide delle urla strazianti e i primi sibili delle fiamme.
Non si capacitava tuttora di cosa lo avesse spinto a entrare, lui,
dal carattere troppo acido per poter essere un buon Grifondoro.
Eppure, era corso dentro, seguendo fino al piano superiore la voce
dolorosamente spezzata del suo capo. Una volta giunto in cima alle
scale, era stato costretto a spegnere i primi focolai prima di poter
entrare nella camera da cui provenivano forti i lamenti.
Ciò
che aveva trovato su quel letto l’aveva sconvolto a tal punto
che
da allora qualcosa in lui era irrimediabilmente cambiato.
Aveva
agito d’impulso, dimentico di qualsiasi regola accademica,
sollevando il corpo martoriato di Harry. L’aveva portato
fuori,
all’aria, adagiandolo con estrema deferenza su un divano
evocato
dalla casa. Quasi distaccato, con estrema efficienza, aveva arginato
il resto dell’incendio e, con mano ferma, aveva evocato il
suo
Patronus per chiamare i soccorsi. Non si era perso d’animo
nemmeno
quando aveva dovuto lanciare gli Oblivion sui Babbani accorsi. Era
rimasto pazientemente in attesa del Capo Auror seduto sugli scalini
in marmo, il mento appoggiato sulle ginocchia, lo sguardo fisso su
Harry, con il crescente timore che per lui non ci fosse più
nulla da
fare. Solo per un istante, di quella lunghissima giornata, aveva
perso il controllo, quando, esausto, era crollato piangente sul
divano degli Zabini, amici di lunga data.
— Non
mi capacito di essere vivo, di essere sopravvissuto ancora una volta
a un piano di Voldemort, — sussurrò Harry. Quasi
temesse che,
esprimendo a voce troppo alta i propri pensieri, un Mangiamorte si
intrufolasse in casa. — Avevo vinto un viaggio di sola andata
per
l’inferno e mi sono ritrovato a vegetare nella mia miseria,
comunque certo di non meritarmi più niente. — Il
moro grattò
nervosamente i palmi delle mani sopra i pantaloni. — Eppure,
nonostante la mia anima fosse a brandelli, ci teneva a rimanere
ancorata a questa terra. Nonostante ciò, non riuscivo a
rimarginare
le ferite del cuore. Non da solo, perlomeno. — Harry sorrise
a
Ramoso che si era accoccolato accanto a lui, il muso appoggiato sul
suo petto.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Buona
lettura.
|
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Capitolo 4 *** Cap. 4 - Quando meno te lo aspetti, qualcuno bussa alla tua porta ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
4 – Quando meno te lo aspetti, qualcuno
bussa alla tua porta
In
quell’istante, un trillo prolungato disturbò la
nostalgica quiete
facendo balzare il cervo che si dissolse nell’aria con
un’elegante
piroetta.
«Pronto?»
disse frettolosamente Harry, dopo aver estratto dalla tasca del
giubbino un aggeggio lungo e sottile. «Ovvio che sono io! Chi
volevi
che rispondesse? Merlino in persona?» Sbuffando leggermente,
il moro
alzò gli occhi al cielo e il suo volto si distese in buffe
smorfie
mentre mimava la parlata del proprio interlocutore.
«Sì, esatto,
sono a casa mia. Mi spieghi come fai a saperlo? Anzi, no. Lascia
stare, ci conosciamo da così tanto che, ormai, penso di
essere
diventato prevedibile per te.» Annuì un paio di
volte col capo,
benché nessuno potesse vederlo. «Sì,
sto bene… ok, a te non
sfugge proprio nulla se ti basta sentire la mia voce per capire che
ho pianto. Fai paura, sai?» Arrossì imbarazzato.
«No, no, non ti
preoccupare, mamma chioccia, sono illeso e torno tra un po’.
Grazie.» Harry armeggiò velocemente
sull’oggetto e se lo
riaccostò all’orecchio riprendendo la
conversazione con tono
canzonatorio: «Ti ho offeso?» rise ascoltando la
risposta con una
ritrovata luce nello sguardo. «Comunque, per inciso,
l’unica cosa
che sconvolge veramente è sapere che un Purosangue come te
sappia
esattamente come usare un telefono Babbano. Attento! O i tuoi avi
potrebbero rivoltarsi nelle tombe.» Rimase in ascolto ancora
un
attimo poi concluse la conversazione. «Sì, sto
bene, davvero.
Aspetta! Un’ultima cosa, di’ a Scorpius che non mi
sono affatto
dimenticato. Tu dillo e basta, per favore,» lo
pregò.
Nel
buio che si faceva avanti a gomitate, Harry allargò il
sorriso,
inspirando forte i profumi della sera. Gli facevano venire in mente
il giardino d’inverno su cui si affacciava la sua camera,
dove
aveva vissuto negli ultimi anni, nel luogo dove una seconda –
anzi
terza – possibilità di rinascere gli era
stata offerta.
«È
per il tuo bene, Harry!» stava cercando di convincerlo
Barkey, il
Medimago a lato annuiva in sostegno, «ne va della tua salute
mentale,» aveva aggiunto triste. «No, invece, credo
che abbiate
paura… paura di me!» l’aveva interrotto
Harry, la voce ancora
arrochita per i troppi abusi; lo sguardo sfuggente dell’Auror
aveva
confermato la sua supposizione. «Non prenderla su un piano
personale,» aveva cercato di sviare l’uomo,
prontamente interrotto
dal moro infuriato. «Questo è
un fatto personale!»
«Concordo
con il signor Potter.» si era intromessa una voce femminile,
avvezza
a farsi rispettare. «Signora Malfoy,» aveva
balbettato sorpreso
Harry. «Suvvia, non mi guardi come se fosse appena apparso
uno Snaso
nel suo letto. Si renda utile e mi presenti a questi
signori.»
Harry, imbarazzato, si era tirato il lenzuolo fin sotto il naso, nel
vano tentativo di nascondere il pigiama, e, mentre faceva le
presentazioni, la donna, racchiusa in un ricercato abito nero, era
entrata nella stanza. «Sono qui per darle
un’alternativa, signor
Potter, in cambio del prezioso aiuto che ha dato alla mia famiglia in
passato. Non si agiti,» aveva interrotto sul nascere le
proteste,
«ho più di un motivo perché lei prenda
in esame la mia generosa
offerta.»
«Mi
scusi, signora,» si era intromesso il luminare che,
repentinamente,
aveva distolto il volto da quello gelido di lei, «non ha
ancora
esposto i termini, ma credo debba tenere conto della gravità
delle
lesioni subite dal signor Potter, non solo nel corpo, ma soprattutto
nella mente. Potrebbe nuocere a chiunque venga in contatto con
lui.»
Per dar credito a ciò che aveva appena espresso, si era
tirato su la
manica mostrando una serie di lunghi graffi e lividi lungo il
braccio. «E questo è nulla rispetto a chi
è stato colpito dalla
sua magia involontaria,» aveva concluso ritirandosi in un
angolo per
sfuggire allo sguardo ferito di Harry. «Quindi, la vostra
soluzione
scientifica sarebbe Obliarlo?» L’uomo era arrossito
furiosamente.
«Effettivamente,
a primo acchito, detto così, potrebbe sembrare un metodo
drastico.
Non è che poi dobbiamo giustificarci con lei, ma la magia
del signor
Potter è troppo instabile. Insomma, le assicuro che
è per il suo
bene,» aveva farfugliato a disagio il Capo Auror.
«Non ho alcun
dubbio,» aveva asserito la donna, imperscrutabile nel suo
portamento
rigido.
Senza
più degnare di uno sguardo gli altri due uomini, dopo
essersi tolta
con grazia i guanti neri, e frugato nella borsa coordinata, si era
rivolta a un incredulo Harry: «Le offro la mia casa, le mie
risorse
e i migliori specialisti,» gli aveva allungato un paio di
documenti,
«oltre alla possibilità di poter vivere con il suo
figlioccio.» Il
moro aveva sgranato gli occhi, che divennero immediatamente lucidi di
commozione mentre li scorreva sulle pergamene. «È
morta?» si era
limitato a chiedere, prima di chiudersi in un composto silenzio.
«Mia
sorella mi ha fatto giurare, sul letto di morte, che mi sarei presa
cura del nipote congiuntamente a lei. E io onoro sempre la parola
data.» L’aveva guardato con sfida, quasi si
aspettasse che Harry
la smentisse. «In fondo, non ha nessun altro posto dove
andare.» A
Harry era parso di cogliere una nota di perfidia.
«E
Draco? » le aveva chiesto curioso guardandola in volto,
notando solo
ora le piccole rughe intorno alla bocca, la pelle spenta e
affaticata. «Per il Draco bambino sarà come
ricevere i regali di
Natale in anticipo,» gli aveva risposto ambigua.
«Per quello
adulto, la possibilità di tornare a essere quel bambino. In
ogni
caso, il maniero è così vasto che potrebbero
passare giorni prima
che vi incrociate. Anche solo per caso,» l’aveva
guardato con
sufficienza, aspettando la sua reazione. «Davvero?»
aveva
balbettato incredulo il moro; anche gli altri due uomini accanto
erano rimasti impalati con la bocca spalancata.
«No!» aveva
risposto secca, le labbra perfettamente laccate piegate nel suo primo
sorriso, sebbene di circostanza. «Ma i vari impegni di ognuno
di noi
ci terranno abbastanza occupati da rendere difficile qualsiasi
interazione durante le giornate; per la cena, invece, esiste da tempi
immemori l’obbligo di presenziare.» Harry aveva
sorriso con uno di
quelli veri che illuminavano gli occhi di spensieratezza e sollievo,
piegando il capo in segno di accettazione.
«Perfetto,
signori, non mi aspettavo nulla di diverso. Tornerò con il
signor
Zabini, per formalizzare il tutto, e con dei luminari per
approfondire alcuni aspetti clinici sulla sua salute, signor Potter.
In quanto a lei, signor Barkey, se mi vuole precedere nel suo
ufficio, avrei qualche dubbio da esporle sulle restrizioni magiche e
eventuali modifiche da fare alle già consistenti misure di
sicurezza
adottate dalla mia famiglia. Buon proseguimento di giornata.»
Dopo
aver accennato a un saluto con il capo, era uscita in corridoio,
lasciando dietro di sé tre uomini sbigottiti.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Buona
lettura.
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Capitolo 5 *** Cap. 5 - Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
5 – Quando chi ti circonda acquista un
valore aggiunto
Il
suo trasferimento al Manor si era svolto senza particolare emozione,
nel più totale riserbo. Non un gufo, non una parola spesa su
nessun
giornale magico. Gli era stata assegnata una stanza, anzi, quando era
riuscito ad alzarsi da solo dal letto, aveva compreso che in
realtà
era un piccolo appartamento ubicato in fondo a un lungo corridoio
nell’ala più estrema dell’edificio. Per
accedervi, bisognava
attraversare una specie di ‘velo impalpabile’,
– Harry era
più certo che fosse una Passa-porta sotto mentite spoglie
che lo
spedisse dritto dritto dall’altra parte dell’Inghilterra.
– atto, secondo la signora Malfoy, a preservare i suoi beni
dagli
sfoghi della magia involontaria.
«Non
le basterebbe l’eternità per ripagare i
danni,» gli aveva detto
come nota di benvenuto, «si goda il soggiorno.
Verrò a farle visita
ogni mercoledì alle sedici in punto, per accertarmi dei suoi
progressi. Un’ultima cosa, fino a nuovo ordine è
esentato dal
presenziare alle cene,» aveva aggiunto sorridendo sdegnosa.
L’inizio,
non era stato per nulla facile, in quella casa si era sentito un
intruso, un peso da sopportare per obbligo. Nonostante avesse
accettato, non riusciva a comprendere appieno perché la
signora
Malfoy, Narcissa quando entrava nella sua stanza, si fosse presa il
fardello di curarlo; in fondo, se suo marito era morto ad Askaban, un
po’ la colpa era anche sua. Tra quelle mura aveva
sperimentato il
peggio di sé e ciò che di più
pericoloso la sua magia potesse
fare.
I
Medimaghi avevano compreso fin da subito che l’umore del moro
era
intrinsecamente collegato all’instabilità della
sua magia. C’erano
stati giorni in cui il cielo aveva scaricato in terra dosi massicce
d’acqua e fulmini, altri in cui i prati circostanti si erano
imbiancati in pieno agosto. Le fondamenta avevano rischiato
più
volte il tracollo quelle notti in cui, per Harry, era stato difficile
distaccarsi dal crudo sogno e piombare nella disperata
realtà. Alla
fine, con estrema pazienza, si era creata una sorta di ‘monotona
quotidianità’ perché, come
soleva dire il dottor Lethargie
Taubheit: «Sono le abitudini i punti cardini della
solidità
mentale.»
Pian
piano, come la goccia che corrode le pareti della grotta, lo
psicologo aveva dipanato la matassa aggrovigliata del passato di
Harry, costringendolo a venire a patti con il proprio io interiore, a
riappacificarsi con i propri fantasmi. Non aveva lasciato nulla al
caso, rischiando spesso di venir trucidato. Con infinita pazienza,
era riuscito a insediarsi nel cuore del moro, divenendo un punto
fermo, un appoggio su cui contare. «La Vita è una
scala infinita;
se uno dei pioli cede, puoi sempre cambiarlo. Non importa se
avrà un
ruolo importante, o se sarà solo una comparsa, ogni gradino
sostituito ti aiuterà nel tuo cammino.» Gli aveva
sciorinato il
dottore un pomeriggio nebbioso, mentre Harry sedeva imbronciato
perché si rifiutava di riconoscere che si stava affezionando
alla
famiglia che l’ospitava.
La
prima volta, a Teddy, era stato dato il permesso di andare a trovarlo
solo quando non aveva avuto incubi per due notti consecutive. Harry,
dopo aver stretto al petto il bimbo, l’aveva fatto sedere tra
le
coperte stropicciate; in mano teneva un libretto di fiabe Babbane
tutto pasticciato, da cui non si separava mai. Pazientemente, sotto
l’attenta sorveglianza di un’elfa, aveva fatto del
suo meglio per
non far sentire a Teddy la mancanza della nonna.
«Davvero
la nonna è andata via?» aveva pigolato con la sua
vocina acuta.
«Davvero, davvero? È colpa mia? Sono stato
cattivo?» Grossi
goccioloni avevano preso a scendere sulle sue guance rosate.
«Tieni,»
allarmato, gli aveva allungato il libro, «se lo ripulisci,
poi lei
torna?»
Harry
aveva scosso il capo, gli occhi colmi di tristezza, baciandolo tra i
capelli color pece. «No, Teddy, la nonna è partita
per un lungo
viaggio e noi non la rivedremo per molto tempo,» gli aveva
sussurrato, le labbra premute contro la piccola testa.
«Ma
perché io sono qui? Non mi vuole più bene? Ha
trovato un bambino
più buono di me?» aveva biascicato tra i
singhiozzi.
«No!
No! No! Questo non devi pensarlo, mai!» si era affrettato a
smentire
Harry. «Lo sai com’è la nonna, deve
sempre sapere tutto. Le hanno
parlato di questo posto meraviglioso, molto, molto lontano da qui,
ma, prima di poterti portare, è andata lei stessa a
controllare se
effettivamente è bello come dicono. Immagina se tu vai
lì e poi non
ti piace, non puoi certo tornare indietro, no?» Teddy aveva
scosso
la testa dubbioso, tirando su con il naso; Harry, sorridendo triste,
gli aveva pulito il volto ancora sconvolto dal pianto.
«Facciamo
così, intanto che lei non c’è, noi
stiamo qui, in questa grande
casa assieme a tua zia e tuo cugino, in attesa che lei torni. E,
quando lo farà, noi saremo pronti con le braccia spalancate
e tutti
i baci che avremo conservato solo per lei. Che ne dici? Ti pare un
buon piano?» Harry aveva aspettato il suo timido sorriso,
prima di
sospirare e riaccomodarsi contro il cuscino. Non si era accorto che,
nascosti dall’ombra dell’uscio della camera,
stavano fermi i due
Malfoy.
La
mattina dopo, il sonno agitato di Harry era stato interrotto dallo
scalpiccio lungo il corridoio, appena fuori dalla porta.
L’uscio si
era spalancato e Teddy era entrato tenendo stretto al petto un lungo
telo nero, dall’aria pesante. Nella fretta di raggiungere il
letto
a ridosso del camino, era più volte inciampato nello
strascico che
si imbrigliava nelle gambe corte. Harry aveva sorriso davanti
all’esuberanza del piccoletto, mentre si passava veloce una
mano
sul volto stanco, quasi a scacciare i rimorsi che la vista di Teddy
avevano evocato.
«Ma
cosa?» aveva bofonchiato al bambino.
«L’ho
trovato in fondo al letto, è un regalo della nonna,
sai,» gli aveva
risposto Teddy mentre, con gesti reverenziali, gli occhi luminosi di
gioia, stava lisciando il tessuto che aveva steso sulle coperte
sfatte.
«Ma
come?» si era ritrovato a richiedere incredulo a Draco,
sopraggiunto
in quel momento.
«Eloquente
come al solito, Sfregiato.» I due uomini
si era guardati in
cagnesco, sillabando un’infinità di impropri sopra
la testa del
più piccolo, quasi fossero ancora due studenti a Hogwarts.
«Guarda,
Harry,» aveva strillato tutto eccitato il bambino, attirando
l’attenzione del più grande. «Si
è illuminato!» Infatti, sul
tessuto nero era appena apparso un vistoso cuore color ciliegia.
«La
zia mi ha detto che se bacio il cuore si accende,» aveva
iniziato a
spiegare indicando il disegno, dondolandosi sulle gambe, «poi
lui
entra nel sacco in attesa che la nonna lo riprenda.» Aveva
alzato il
viso e il suo sorriso fiducioso aveva stretto in una morsa quello
più
arido di Harry, quasi a voler sgretolare il ghiaccio che lo
circondava.
«Guarda,»
aveva alzato il lembo finale, leggermente gonfio, per mostrarlo al
padrino, «ce ne sono già cento! Due sono della zia
e uno di Draco,
tutti gli altri sono miei,» aveva aggiunto tutto orgoglioso
gonfiando il petto. A lato, il biondo aveva tossito imbarazzato
mentre Harry lo guardava a bocca spalancata, sfregando tra le dita
callose il sacco.
«Allora,
devo rimediare subito!» aveva esclamato, prima di passare
all’azione
e avvicinare alle labbra il disegno stampandoci sopra
un’infinità
di baci; Teddy aveva riso deliziato.
«Mi
dispiace interrompere questo idillio,» si era intromesso
sarcastico
Draco, «ma abbiamo fatto un patto, tu e io.» Mentre
parlava aveva
agitato minaccioso il dito davanti al viso del bambino che,
prontamente, aveva abbassato il capo fintamente contrito. Gli occhi
di Teddy, con un guizzo veloce, avevano sbirciato quelli complici di
Harry che, per non scoppiare a ridere, di fronte
all’espressione
soddisfatta del biondo, si era immediatamente messo una mano davanti
alla bocca per nascondere un sorriso malandrino.
«Scusa
Draco,» stava appunto dicendo mesto il più
piccolo, «ora saluto
Harry e torno di là.» Poi, aggrappandosi al collo
del padrino, gli
aveva stampato sulla guancia un rumoroso bacio. Draco, che stava
tenendo l’uscio spalancato, aveva alzato gli occhi al cielo
stizzito.
«Sbrigati,
non sono il tuo elfo domestico!» aveva cianciato oltraggiato.
Nella
stanza era scoppiata una fragorosa risata.
«Grazie,»
aveva sussurrato Harry, nell’istante in cui Teddy si era
infilato
sotto il braccio del biondo per poi venire inghiottito dal buio del
corridoio, portandosi dietro il suo prezioso tesoro, «lo
apprezzo
molto.» Draco aveva alzato le spalle impassibile.
«Dico sul serio,»
si era schernito il moro. «Dimmi una cosa, chi ha avuto
l’idea di
usare il mantello dei Mangiamorte per fare il sacco?» Le
guance
infiammate del biondo avevano parlato da sole.
«Non
pensavo te ne accorgessi. È un problema per te?»
aveva sbuffato
altezzoso, per poi rasserenarsi al diniego del moro; senza aggiungere
altro, era uscito impettito dalla stanza.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
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Capitolo 6 *** Cap. 6 Amici serpenti o era parenti serpenti? ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
6 – Amici serpenti o era parenti serpenti?
Harry
era rientrato inviperito nella sua stanza, sbattendo la porta per
enfatizzare il suo stato d’animo. «Come si permette
quel burocrate
da quattro Zellini di fare certe insinuazioni!» Fuori, oltre
la
vetrata, grossi chicchi di grandine stavano devastando il grazioso
giardino d’inverno – orgoglio passato
della bis-bis-nonna del
defunto Lucius Malfoy – mentre fulmini accecanti,
accompagnati
da tuoni impetuosi, stavano dando il meglio di sé. Harry,
illuminato
da quel travolgente spettacolo, si era rannicchiato, con le mani
strette tra i capelli scuri, nell’incavo soffice della
poltrona, la
fronte aggrottata e gli occhi furiosi.
«Non
abbiamo ancora finito.» In quel mentre, l’avevano
raggiunto
Barkey, con l’espressione più dura del proprio
repertorio, e il
‘burocrate-incaricato-dal-Ministero-a-ravanare-nella-testa-di-Potter’,
tronfio del suo mandato. «Lo so che è snervante,
Harry, ma è
importante,» aveva sospirato il Capo Auror davanti al palese
rifiuto
del moro di collaborare.
«Non
metto in dubbio l’utilità di sottopormi alla
Legilimanzia, sono
giorni che lo fate, ma il motivo per cui quel
‘tizio’,» aveva
ringhiato Harry all’indirizzo dell’altro uomo,
«pensa che sia
necessario.» Barkey si era passato nervosamente la mano
dietro il
collo, stirando i muscoli indolenziti, senza perdere di vista ogni
mossa del moro, preoccupato che perdesse di nuovo il controllo.
«Signor
Potter, non faccia la vittima,» si era intromesso il
funzionario,
uomo di poche parole ma assai deleterie, «grazie a Merlino,
non mi
guadagno da vivere correndo presso a lei, quindi la smetta di
piagnucolare e riprendiamo da dove si è
interrotto.» Barkey,
prontamente, si era posizionato tra i due uomini, bacchetta alla
mano.
«Esca
immediatamente!» aveva urlato Harry mentre i vetri della
finestra
esplodevano all’unisono; l’impiegato, allarmato,
ebbe la decenza
di retrocedere di un passo.
«Reparo!
Sottile come tuo solito, Potter.» aveva
strascicato Draco,
arrivando in quel momento; accanto a lui Blaise Zabini, era come
sempre impeccabile nel suo abito gessato.
«Scusate,»
gli era andato incontro il burocrate, braccia rigide lungo i fianchi
e sguardo glaciale, «non vi è permesso
assistere.»
«Invece,
devo dissentire,» l’aveva interrotto Zabini.
«Sono il
magi-avvocato del signor Potter, a fronte di un nuovo sviluppo della
causa, che rappresento a nome del mio assistito, mi è
permesso
presenziare. Ecco qui tutto l’incartamento, non manca nulla,
nemmeno la firma in calce del Primo Ministro.»
L’uomo aveva
corrugato pensieroso la fronte mentre faceva scorrere lo sguardo
sulle pergamene, quasi si aspettasse di leggere un rimprovero.
«Perfetto,
le fiale con i ricordi sono custodite in quella cassa,» aveva
indicato una sedia sulla sinistra per poi spiegare in tono pratico,
«siamo riusciti a retrocedere fino ai giorni prima del
matrimonio e
ci apprestavamo a osservare il momento del fidanzamento. Abbiamo
trovato delle incongruenze con altri ricordi già in nostro
possesso
e volevamo essere certi, prima di trarre un profilo
definitivo.»
Harry aveva ricominciato ad agitarsi ringhiando come un cane
bastonato.
«Sfregiato!»
aveva esclamato sprezzante Draco, attirando l’attenzione del
moro
su di sé. «Contieniti; ho dovuto allontanare Teddy
e soprattutto
Astoria, e tu sai bene quali sono le sue condizioni.» Il suo
volto
era rimasto impassibile e, nonostante tutto, i presenti avevano ben
colto l’implicita minaccia. Da sempre, la voce tagliente del
biondo
era stata un deterrente per Harry, un punto focale su cui sfogare la
propria esuberanza. Così, si era ritrovato a serrare i denti
mentre,
pian piano, non distogliendo lo sguardo verde da quello glaciale
dell’altro, era riuscito finalmente a rilassare le spalle,
quasi
fosse sotto incantesimo.
Fuori,
la tempesta era svanita in un lampo, e il sole, apparso nel cielo,
sembrava essere stato evocato direttamente dall’inferno,
tanto si
era surriscaldata l’atmosfera nella stanza.
«Signor
Potter, possiamo procedere?» Il funzionario si era avvicinato
al
letto dove il moro si era sdraiato, il volto al soffitto e le mani
incrociate dietro la nuca. Harry l’aveva guardato con
sufficienza.
«Sono
certo che si sbaglia,» aveva detto lapidario, «si
renda pure
ridicolo.»
«Vedremo,»
aveva risposto prontamente l’uomo.
«Totalis
Sententia!»
aveva esclamato a gran voce il Capo Auror.
Immediatamente,
l’atmosfera era diventata più cupa, quasi gelida,
e tutto il
calore si era condensato in una nuvola densa e grigia. La luce si era
scissa in mille scintille, intrecciate tra loro con fili di fumo
nero, che vorticavano sempre più violentemente
finché il tutto non
era imploso su se stesso. Al centro del nulla, pian piano, nel
più
totale sbigottimento di chi stava vedendo per la prima volta
l’efficacia dell’incanto, un bagliore azzurrino
aveva preso forma
ricreando nell’aria volti, odori, sensazioni.
«Congratulazioni!
Complimenti! Facciamo un brindisi!» Harry e Ginny, circondati
da
amici e parenti, stavano festeggiando il loro fidanzamento nella sala
privata di un noto ristorante di Diagon Alley. Lei era raggiante,
fiera e orgogliosa, come solo una donna che aveva tanto aspettato
poteva essere. Lui, invece, era imbarazzato, quasi soffocato da tutte
quelle attenzioni.
«Forza
Harry, vogliamo il discorso,» aveva gridato qualcuno tra i
commensali, il moro si era limitato a sorridere e scuotere la testa
alzando il calice per un nuovo brindisi.
La
serata stava volgendo al termine quando Harry, uscendo dalla porta
del bagno, si era guardato attorno perplesso, impalato davanti
all’uscio. Grattandosi distratto il collo, aveva fatto un
paio di
passi incerti verso gli amici per poi voltarsi repentino verso le
cucine, quasi che un filo invisibile l’avesse strattonato.
Aveva
avvertito distintamente la sensazione di pericolo gelargli la
schiena.
«Ehi,
amico, cosa ti turba? Qualche ripensamento? Potrei ucciderti per
questo, sai?» Ron si era intromesso tra lui e la visuale del
retro
del ristorante proprio quando una figura era scivolata lungo la
parete per poi venire inghiottita dalle ombre.
«Ho
l’impressione che ci sia qualcuno che non dovrebbe essere
qui,»
aveva risposto all’amico, senza smettere un secondo di
guardarsi in
giro preoccupato.
«Quanto
sei paranoico, Harry! Vabbè che hai vinto il premio come
miglio
Auror dell’anno, ma adesso esageri! Chi vuoi che sia
così pazzo da
pensare di potersi mettere contro di loro,» aveva indicato la
sala
gremita di gente, mentre gli poggiava il braccio intorno al collo in
un goffo abbraccio.«Goditi il momento,» poi
l’aveva trascinato
con sé.
«Imperio!»
aveva sibilato sottovoce qualcuno: gli occhi di Ron erano diventati
vacui mentre con estrema lentezza estraeva la propria bacchetta.
Improvvisamente
la visione idilliaca aveva iniziato a sciogliersi diventando un grumo
nero.
«Non
riesco più a tenere l‘incantesimo
attivo!»
Dal
nulla, era apparsa la figura sfocata di Barkey piegata verso Harry,
ambedue le mani serrate sulla bacchetta, il volto una maschera tesa e
concentrata. Il funzionario, che per tutto il tempo si era tenuto in
disparte, pronto a imbottigliare il ricordo, aveva diretto la propria
bacchetta verso Harry che, seppur ancora legato
all’incantesimo, si
stava agitando furiosamente cercando di liberarsi.
«Stupefi…»
Un
cuscino era mollemente atterrato sul braccio dell’uomo,
giusto il
tempo per distrarlo; dal suo angolo, Blaise Zabini lo stava
trafiggendo con uno sguardo di fuoco.
«Incompetente
‘mezza-bacchetta’,»
Draco aveva sibilando tra i denti con scherno, «ci vuoi tutti
morti?» In due falcate aveva raggiunto il letto e posizionato
ambedue le mani sulle spalle di Harry nel tentativo estremo di
tenerlo fermo. «Potty, stupido Troll,
guardami!» Harry,
apparentemente in trance, fece come gli era stato chiesto piantando
le sue iridi furiose in faccia al biondo.
«Locomotor
Mortis,» aveva sussurrato velocemente. Tra le dita diafane
era
apparsa, evocata non verbalmente, la bacchetta di Crine di Unicorno e
Biancospino. In quell’istante, la magia di Harry aveva avuto
un
brusco arresto, accarezzata e ammaliata da quella di Draco.
«Presto,
Blaise, preleva due gocce di Bevanda della Pace dalla fiala blu sulla
mensola in bagno.» Intanto Harry, aveva smesso di agitarsi ma
il
respiro era rimasto alquanto affannato. Silenzioso come una faina,
Zabini si era affiancato al biondo per passargli ciò che gli
era
stato chiesto. «Con queste dovrebbe rimanere calmo, almeno
fino alla
completa visione del ricordo. Dim Visum,»
aveva farfugliato, arrossendo appena; una bolla opaca aveva preso
forma intorno alla testa del moro.
«“Occhio
non vede, cuor non duole”,»
aveva motteggiato per giustificarsi, imitando perfettamente la voce
della Umbridge, «così dopo avremo tutto il tempo
per spiegargli con
calma cosa è successo.»
«Harry,
vieni qui,» aveva urlato allegramente la signora Weasley
dall’altra
parte del tavolo, «fatti abbracciare. Noi vecchi
andiamo,» l’aveva
stretto così forte che Harry era sicuro di aver percepito
incrinarsi
almeno due costole, «lasciamo spazio ai giovani.»
Dietro di lei il
marito stava assentendo, con gli occhi lucidi di commozione, dando
pacche generose sulle spalle del futuro genero.
Ron,
intanto, si era spostato sul fondo della sala, dando le spalle ai
commensali, la testa piegata in avanti. Era rimasto fermo lì
diversi
istanti, tra le ombre spettrali della notte che stava bussando ai
vetri delle finestre. Poi, sussultando, era indietreggiato appena;
intorno a lui la festa stava continuando tra canti, balli e grasse
risate.
«Ron,
ehi, Ron!» l’aveva chiamato Charlie, sbracciandosi
come la Piovra
Gigante. «Noi mangiamo la torta. Se non vieni subito,
finirà prima
che tu riesca a dire Quidditch!» Il rosso si era girato di
scatto,
aveva raggiunto gli amici e si era fermato accanto a Hermione, la
bacchetta sempre ben salda nella mano.
«Un
ultimo brindisi, forza amici, in onore dei vecchi tempi,»
aveva
gridato con voce un po’ impastata.
«Fallo
ora! Fallo
ora!»
aveva
bisbigliato trasognato, mentre puntava tremante la bacchetta verso la
schiena di Harry. «Poord-hing.»
Proprio
in quell’istante, Neville, un po’ brillo,
inciampando nei suoi
stessi piedi, aveva urtato Harry che, finendo addosso a Ron, aveva
deviato il percorso del raggio. Ginny, inconsapevole vittima, era
stata investita da una lieve luce violetta che, nella confusione, era
passata totalmente inosservata.
Una
figura curva, avvolta in un pastrano blu, ai confini della visuale
del ricordo, aveva imprecato con un forte accento russo:
«Stupido
Nogtail!
Oblivion! Finite Incantatem.» Prima di dissolversi in una
nube nera,
il suo volto era stato illuminato brevemente dalla debole luce di un
lume.
In
un silenzio tombale, la visione si era accartocciata su se stessa
fino a ridursi a un filo azzurro. Un secondo prima che sparisse, il
burocrate l’aveva attirata all’interno di
un’ampolla, che aveva
prontamente sigillato.
«Blaise,
il ricordo è chiuso nella fiala?» aveva chiesto
con urgenza Draco;
Barkey, rinfoderata la bacchetta, era subito andato in soccorso di
Malfoy.
«Sì!
L’ho presa in custodia,» aveva risposto mentre la
poneva insieme
alle altre nell’apposito contenitore. Draco aveva annuito
concentrato, tormentando indeciso il labbro inferiore.
«Bene,
Tempus Dissimulans.»La
magia scaturita dalla sua bacchetta aveva circondato Harry,
sollevandolo appena sopra le lenzuola, colorando il corpo di rosso
acceso.
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.
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Capitolo 7 *** Cap. 7 - Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
7 – Il destino di un uomo è
vergato fin dal
ventre materno
Il
sole aveva raggiunto il suo apice quando Harry uscì dalla
sua stanza
in cerca di Draco. Quella mattina aveva ricevuto, nascosta tra le
pieghe del giornale, una lettera di Hermione. Erano passati poco
più
di due anni dall’ultima volta che aveva visto, o soltanto
sentito,
i membri della sua famiglia. La signora Malfoy gli aveva spiegato che
c’era in corso un processo perché i Weasley non
avevano accettato
la versione del Ministero in cui veniva dichiarata accidentale la
morte di sua moglie. Di certo, Harry non aveva potuto biasimarli. Ma
vi era qualcosa in quella lettera, un dolore che traspariva dalle
parole scritte contro di lui, che l’aveva stupito e, allo
stesso
tempo, lasciato perplesso.
“…Non
credere che non sappia che è solo una sordida macchinazione,
Harry,
un modo subdolo e crudele per scampare al tuo destino…”
«Ma
di quale destino stava parlando?»
“…Sei
una creatura orrenda, come puoi permettere che un onesto padre di
famiglia finisca ad Azkaban al posto tuo? Come puoi anche solo
pensare che io possa ritenermi tua amica? Che possa essere fiera di
aver condiviso una parte della mia vita…”
«
Azkaban?»
“…So
tutto sull’uso
improprio dei ricordi, su come si
possano manipolare. E i tuoi sono solo carta straccia…”
«Ricordi?
I miei ricordi stavano bene, l’ultima volta che ho
controllato.»
Eppure,
nel momento stesso in cui aveva cercato di visualizzare il volto
dell’amico, Harry si era piegato in due dal dolore. Fitte
lancinanti avevano preso vita all’interno della testa,
facendogli
vedere il mondo a pallini neri. Il cuore aveva preso a battere
furioso, corroso dall’ansia di non riuscirci e dal dubbio che
Hermione avesse ragione. Dentro di sé, la magia stava
vagando
inquieta per mantenere una parvenza di equilibrio, indirizzando i
pensieri di Harry altrove. Seccato e impotente, stringendo tra le
dita la lettera, aveva attraversato il corridoio che lo separavano
dal resto della casa, pestando i piedi in terra come un moccioso.
L’atrio,
solitamente luminoso, sembrava un’anonima sala di un
mausoleo, con
tutti quei fregi sporcati dall’ombra; Harry aveva girato su
se
stesso un paio di volte, indeciso se fiondarsi prima nella biblioteca
o raggiungere lo studio privato di Draco salendo l’ampia
scalinata.
Presa una decisione, cautamente, tenendosi ancorato al corrimano, era
andato al piano di sopra. Stava per bussare alla porta in noce quando
tutti i suoi sensi si erano allertati. Si era voltato e, socchiudendo
gli occhi miopi, aveva scrutato tra le pieghe della luce che filtrava
dai tendaggi delle ampie finestre. Nel silenzio più
assoluto, da
qualche parte oltre il buio delle scale, gli era parso di sentire un
fruscio, lieve come un sospiro.
Qualcosa,
forse l’istinto non ancora assopito dell’Auror che
albergava in
lui, lo stava trascinando verso la semi oscurità dove era
ubicato
l’appartamento privato del padrone di casa. Poco
più in là,
investita dalla luce accecante del sole proveniente da un uscio
spalancato, una figura avvolta in un lungo mantello nero era
rannicchiata in terra. Sotto di lei, una pozza vermiglia si stava
schiudendo come una rosa appena baciata dall’aurora. Harry si
era
subito inginocchiato, riconoscendo in lei Astoria, la moglie di
Draco. Con delicatezza, le aveva voltato il capo e scostato i lunghi
capelli chiari dalla fronte di un pallore cadaverico. Stava
respirando a fatica, rantolando parole senza senso, ma la presa che
l’aveva stretto al polso era stata tenace, quasi disperata. I
suoi
occhi erano liquidi di dolore, di una consapevolezza che gli aveva
stretto il petto in una morsa ferrea.
Harry
non aveva la bacchetta, gli era stata portata via dalla signora
Malfoy quando aveva varcato per la prima volta la porta di quella
casa, ma la sua magia fremeva per essere liberata. Non v’era
tempo
per ragionare, pianificare, bisognava agire: il viso della donna era
diventato paonazzo e le dita si erano chiuse a riccio sulla veste da
camera del moro.
In
fretta, aveva strappato le vesti fino all’altezza del ventre
gonfio
e duro di Astoria e, ingoiando la propria vergogna, le aveva
gentilmente spalancato le gambe, intrufolando le mani tra le cosce
umide di sangue. Vagamente isterico – nella testa
scorrevano
immagini di un documentario visto anni addietro a casa degli zii
– aveva cercato di portare conforto alla donna raccontando,
in modo
approssimativo, ciò che si apprestava a fare. Erano stati
momenti
concitati, febbrili finché, dopo quelli che gli erano parsi
secoli,
si era ritrovato tra le braccia un piccolo esserino viscido di
sangue. Con immensa cura, l’aveva avvolto nel mantello della
donna
facendo apparire la culla che apparteneva da generazioni alla
famiglia Malfoy, vi aveva adagiato il corpo e, la sua magia,
l’aveva
rinchiuso in una teca riscaldata, come quelle Babbane viste in quel
lontano giorno.
Una
volta certo che il bambino fosse al sicuro, si era dedicato alla
donna che, ormai stremata, lo stava guardando riconoscente. Era stato
a quel punto che, preso dal panico, aveva urlato il nome del suo elfo
personale. «Wagner!» all’apparizione
dell’esserino, senza
lasciargli il tempo di fare altro, l’aveva spedito a cercare
aiuto.
Pochi istanti dopo, Astoria aveva rilasciato il suo ultimo respiro:
«Prenditi cura di Draco e sii un buon padrino per Scorpius,
come lo
sei per Teddy.» Con ancora l’ombra di un amorevole
sorriso sulle
labbra pallide, la donna l’aveva lasciato da solo a piangere
lacrime amare.
Più
tardi, la stessa sera, mentre svogliatamente stava rigirando la
forchetta nel pasticcio di carne, Draco si era presentato alla sua
porta. «Mi spiace,» si era affrettato a dirgli
mestamente senza
avere il coraggio di guardarlo, «avrei dovuto salvare
entrambi.» Il
biondo era rimasto a lungo fermo sull’uscio, lo sguardo
assente
rivolto alle vetrate irrigate dalla pioggia battente. Poi, a grandi
falcate, si era diretto verso un mobile incastrato nel muro,
l’aveva
spalancato e si era versato una dose generosa di un liquore pastoso,
il cui aroma zuccherino gli aveva fatto storcere il naso.
«Si
era affezionata a te,» Harry aveva sussultato sorpreso quando
Draco
si era finalmente deciso a parlare, «e, contro la mia
volontà, ti
ha nominato padrino di mio figlio,» i suoi occhi erano
diventati
scuri dal disappunto. «Un Grifondoro che si prende cura di un
Malfoy? Giù in galleria, i ritratti dei miei antenati si
staranno
strappando i capelli!» aveva detto oltraggiato.
«Che sarà mai,»
gli aveva risposto a tono Harry, l’ombra di un sorriso a
sporcare
la malinconia, «Teddy è cresciuto bene, no? Un
vero Black,
malandrino al punto giusto.» Draco aveva arricciato il naso,
posando
il bicchiere su un vassoio apparso dal nulla.
«Non
saresti stato in grado di salvarla,» il moro aveva guardato
con
stupore il volto pallido dell’altro, piegato in una amara
espressione, mentre cercava di tenere un tono di conversazione
blando. «Passeggiava per Diagon Alley con sua sorella quando
qualcuno l’ha urtata facendola ruzzolare malamente in
terra,»
Harry aveva trattenuto il fiato, una mano callosa a coprire la bocca
spalancata, sapendo bene la difficoltà di quella gravidanza
e la
fragilità della donna. «Daphne, vedendola sparire
sotto ai propri
occhi, ha pensato che si fosse smaterializzata al San Mungo, invece,
come ben sappiamo, è venuta qui. L’ultima cosa che
ricorda, oltre
al terrore e all’angoscia negli occhi della sorella,
è stato il
tuo nome, bisbigliato da Astoria prima di scomparire. Lei sapeva,
anzi, lei era certa che saresti stato in grado di salvare nostro
figlio.» Draco si era voltato bruscamente, le spalle
incassate e
lievemente tremanti, il capo chino. Eppure era stato con tono fermo
che aveva affermato: «Ti dobbiamo molto ed è per
questo che, tra
una settimana, una cerimonia ufficializzerà la tua entrata
nella
nostra famiglia come padrino di Scorpius. E che Salazar non mi
maledica,» aveva bisbigliato prima di uscire impettito dalla
stanza.
Fuori
dalla finestra, il primo spicchio di luna splendeva quieto nella
notte che avanzava. Harry si girò inquieto e, nel muovere il
braccio, urtò il telefono accanto, che iniziò a
brillare di una
luce sfocata. «Non avrò mai il coraggio di
guardarti in faccia e
confessarti che ho avuto una specie di cotta per Astoria,»
disse il
moro al nulla, le guance arrossate dall’imbarazzo.
«Era così
speciale, diversa da qualsiasi donna abbia mai conosciuto,»
sospirò
passando le dita tra i capelli ricci. «Mi piacque fin da
subito
perché dimostrò di avere molta pazienza nei miei
riguardi, non mi
giudicò mai. Sedeva lì, davanti alla scacchiera,
la fronte
graziosamente aggrottata e la mano delicata a sostenere il viso. Non
ha mai abbassato lo sguardo, davanti a me, nemmeno quando mi ha
confessato candidamente che tu non l’amavi.» La
voce del moro si
fece più sottile.
«Un
pomeriggio se ne era uscita dicendo: “Ho un
rammarico, Harry, a
mio figlio mancherà confrontarsi con un Potter. Dovrò
rimediare.” Io l’avevo guardata
stralunato, come se
all’improvviso le fosse cresciuta un’altra testa.
Credo fu in
quel momento che decise che, volente o nolente, avrei fatto parte
della famiglia.» Harry teneva gli occhi malinconici fissi su
una
macchia scura del soffitto.
«Era
molto intelligente, versatile direi, colta e aperta a ogni
cambiamento. Mi manca, sai? Passavamo ore a discutere su qualsiasi
argomento ci venisse in mente e dalle sue labbra spuntava sempre il
tuo nome. Ti intrufolava in ogni discussione,» Harry rise al
ricordo, sebbene a quei tempi ne fosse un po’ geloso.
«Ora che ci
penso, sembrava quasi che avesse fretta,» ragionò
il moro poco
dopo, «come se parlare continuamente di te, in qualche
maniera,
creasse un legame. Ti ho visto con i suoi occhi e mi sei piaciuto,
Draco. Così diverso dal ragazzino indisponente di Hogwarts,
dal
ragazzo messo all’angolo dalle proprie
responsabilità, dall’uomo
forgiato su stampo Malfoy. Mi ha mostrato quella parte nascosta di te
che ho solo potuto intuire, attraverso le microscopiche attenzioni
con cui ti sei preso cura di me. Per amore di due donne, e per motivi
diversi, siamo stati entrambi fortunati, perché se ora siamo
ciò
che siamo lo dobbiamo principalmente a loro, Draco,» il moro
si
stiracchiò la gamba, grattandosi distratto un orecchio.
«Ti
ha amato più di se stessa, Draco. Era convinta di non essere
all’altezza delle tue aspettative, benché tu
l’avessi sposata,
per questo ha voluto avere un figlio, nonostante la
gracilità del
suo corpo. Era l’unico modo con cui credeva di renderti fiero
di
lei. Voleva essere certa che tu la ricordassi e magari, un giorno,
riuscissi ad amarla un po’ attraverso il vostro
bambino.»
«Le
devo molto, più di quello che sono in grado di
ammettere,» disse
mesto. «È stata lei, complice tua madre, a farmi
prendere atto
dello stato della mia magia e, subdolamente, a fare in modo che
ciò
mi giovasse.»
«Un
giorno, con una scusa, mi avevano trattenuto al tavolo appena finita
la cena e, senza peli sulla lingua, Astoria mi aveva detto che era di
nuovo incinta. Sapevo, perché Narcissa mi aveva accennato
qualcosa,
che aveva avuto dei precedenti aborti, quindi mi supplicò.
Capisci?
Mentre tua madre mi squadrava con occhi glaciali, lei mi
implorò di
porre rimedio ai miei sbalzi d’umore, come se a quel tempo ne
fossi
capace. Mi hanno fatto sentire un verme, un piccolo scarafaggio
sfuggito alla ciabatta. Poi, come se nulla fosse, se ne erano uscite
dicendo che avevano bisogno di un manufatto, un oggetto pregno di
Oscurità al limite della legalità. Immagina la
mia faccia, cioè,
la mia solita faccia ebete ma alla massima potenza,» Harry
rise,
ancora incredulo dell’audacia delle due donne.
«Avevano
preteso che incantassi loro un orologio da taschino, una
preziosissima cipolla appartenuta a Enrico VIII.
Nel frattempo, avrei anche dovuto perfezionare il precario equilibrio
delle lancette. E l’ho fatto, per Salazar, e, mentre mi
tenevo
impegnato nei passaggi più minuziosi della ricostruzione
dell’orologio, la magia si assopiva.
Dopo
quello, che appresi in seguito essere un regalo destinato a te, mi
avevano proposto altri oggetti e sempre più complessi. Ora
ho
avviato una piccola attività: la NarRia
per l’appunto.»
In
quel momento, la casa era immersa nel buio, come unica luce il
bagliore lattiginoso del telefono. Harry sospirò, conscio
che quella
piccola confessione era arrivata anche a Draco, suo personale
tormento.
«Draco,
Astoria mi ha voluto nella vita di Scorpius e io, in nome
dell’affetto che è stata in grado di suscitare in
me, non posso e
non voglio venir meno a questo impegno. È un bambino in
gamba, e un
po’ invidio il tuo status di padre. In un altra vita magari
anch’io
ne avrei avuti un paio, anzi tre. Sì, tre mi sembra il
numero
perfetto. Invece mi ritrovo a mendicare alla tua porta, a elargire
attenzioni a un figlio che non è mio.»
«Sono
patetico, vero?» Harry si asciugò con rabbia una
lacrima solitaria.
«Non
hai idea della bolla di calore che scoppia nel mio cuore quando, con
quella sua vocina pallida, mi chiama ‘tioai’.
Oppure,
quando assonnato mi sussurra ‘tioioene’,
un attimo prima
di infilarlo sotto le coperte. Non immagini neanche l’amore
che
provo quando, tutto impettito, si pavoneggia davanti a te mentre
indossa la mia sciarpa rosso-oro. Devo aggiungere che poi, in gran
segreto, ridiamo delle tue facce buffe.» Harry
borbottò tra i
denti, le labbra piegate in un vago sorriso.
«Non
vado da nessuna parte, Draco, avevo solo bisogno di ritrovare il mio
equilibrio, di dire addio a Ginny, alla donna che ho amato ma,
soprattutto, perdonare il mostro che era diventata, prima di voltare
pagina definitivamente.»
Note
dell’autrice: grazie a chiunque legge e
leggerà, a
chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.
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Capitolo 8 *** Cap. 8 - La verità mi fa male, lo so ***
I
giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo:
vivi!
Cit.
– “Il cuore umano è indistruttibile. Tu
immagini soltanto che si
sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce
il vero colpo. Ma
anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si
può sempre
riprendere” – H. Miller
Cap.
8 – La verità mi fa male, lo so
«Ho
ancora un punto da chiarire, Draco, prima di lasciare definitivamente
questa casa. Stamani, il mio mondo si è di nuovo
sgretolato,» Harry
digrignò i denti. «Ci sono cose che non sono
ancora pronto ad
accettare, è vero, e forse non lo sarò mai, ma
altre che, seppur mi
facciano perdere la calma, sono disposto a perdonare.»
«A
volte mi sembra di aver vissuto la vita di un altro, come se mi fossi
immedesimato in uno di quegli eroi intravvisti in tv da bambino. Se
mi volto indietro, noto tutte queste ‘sospensioni’,
come durante la visione di un film inframmentato dalla
pubblicità.
Già, esattamente così mi sento: interrotto. E,
ogni volta, ho
dovuto ricominciare da capo, come se il prima non mi
appartenesse,»
borbottò Harry.
«Però
c’è una sensazione, un’emozione cruda
che, nonostante tutto, non
potrei mai cambiare, e nemmeno lo vorrei, è la simbiosi che
si è
creata tra la nostra magia, Draco. Non è una sorta di
sottomissione,
il nostro legame, e nemmeno un prevaricare l’altro, ma una
reciproca compensazione.»
«Barkey?
Cosa ci fai qui?» aveva chiesto Harry, più
risentito che sorpreso,
verso l’ampia figura di spalle che stava osservando il
giardino
oltre la vetrata del salone di Villa Malfoy. «Pensavo fossimo
amici,
non ti fai vedere da molto tempo.» Il moro si era diretto
verso un
basso mobiletto, aveva trafficato tra gli stipetti finché
non aveva
trovato quello che stava cercando. Aveva versato una generosa dose di
Whisky Incendiario in un grosso bicchiere e l’aveva porta al
Capo
Auror. Sollo allora si era accorto dell’espressione
entusiasta sul
viso dell’uomo più grande. «Ma che
hai?» aveva domandato
preoccupato all’amico. «Se ti serve il bagno
è oltre quella
porta,» gli aveva indicato con il pollice un punto dietro di
sé,
mentre guardava scettico l’uomo agitarsi sulle gambe tozze.
«Avrei
voluto venire subito, Harry, e darti la bella notizia, ma credo che,
presentandomi nel bel mezzo della notte, avrei ricevuto un paio di
maledizioni.» Il moro aveva studiato interdetto il sorriso
allegro
che persisteva sul viso dell’uomo.
«Finalmente,» le sue grosse
mani l’avevano artigliato per le spalle, «abbiamo
catturato
Mys-Liska!»
Harry l’aveva scrutato confuso.
«Per
i pizzi di Morgana, Potter, un’espressione più da
Troll e ti
abbiamo perso!» aveva esclamato all’improvviso la dolce
voce di Draco, mentre entrava nel locale accompagnato dalla madre e
da Blaise. «Buongiorno, Capo Auror,»
l’aveva salutato formale,
«buone nuove?»
«Magnifiche,
direi,» gli aveva fatto eco il mago, sprizzando entusiasmo
come
Puzzalinfa. «È già stato baciato,
proprio due ore fa, per essere
precisi. Il Primo Ministro non ha fatto sconti.» Si era
strofinato
le mani soddisfatto, tirando un inconscio sospiro di sollievo.
«Quindi,
è finita?» aveva chiesto titubante Narcissa,
aggrappandosi al
braccio muscoloso di Zabini. Barkey aveva scosso la testa allargando
il proprio sorriso. Harry, impalato lì a due passi, stava
facendo
scorrere lo sguardo da una persona all’altra mentre, sempre
più
frastornato, si stava grattando i capelli già fin troppo
incasinati.
«Perfetto,»
era intervenuto spiccio Blaise, «questo pomeriggio devo
incontrare
alcuni membri del Wizengamot, farò in modo che questo
processo ad
oltranza abbia la sua giusta conclusione. Signora, signori,»
dopo
aver fatto un breve inchino, si era congedato mentre gli altri
intavolavano una fitta conversazione per carpire più notizie
sull’accaduto.
«Scusate,»
Harry si era schiarito la gola un paio di volte nel vano tentativo di
attirare l’attenzione, «qualcuno si vuol degnare di
spiegare anche
a me cosa sta succedendo? Chi è questo Mylaj,
Mytaj, o
come caspita si chiama?» il moro aveva deglutito
rumorosamente
quando tre paia di occhi lo avevano fissato simultaneamente.
«Non
lo sa?» Barkey aveva guardato sbalordito i due Malfoy, mentre
impacciato si grattava il mento ispido. La padrona di casa,
aggiustando il colletto del golfino leggero che indossava, si era
dileguata frettolosamente approntando una scusa. Draco,
apparentemente per nulla intimidito, si era versato una doppia dose
di un liquore ambrato e l’aveva bevuta in un solo sorso,
giusto per
darsi un contegno. Nel mentre, Harry, sempre più perplesso,
ma con
la crescente sensazione di star per scoprire qualcosa di sgradevole,
stava rimbalzando lo sguardo da uno all’altro.
«Ecco,»
il Capo Auror si era deciso infine a spezzare il pesante silenzio che
era calato attorno a loro, «tempo fa siamo stati costretti a
sondare
i tuoi ricordi e...» l’uomo era indietreggiato di
un paio di
passi, davanti all’espressione sempre più furente
che stava
leggendo negli occhi del moro. Impacciato prima di continuare, aveva
chiesto silenziosamente aiuto a Draco che, nel frattempo, aveva preso
posto sul divano apparentemente disinteressato. «Avevamo il
tuo
consenso ed era necessario per le indagini, ma quello che avevamo
appreso dalla tua testa, aveva reso così instabile la tua
magia che
siamo stati costretti a correre ai ripari. E, per amor di cronaca,
è
stato Draco a fare il lavoro sporco,» aveva vuotato il sacco
tutto
di un fiato. Harry aveva guardato annichilito il biondo, sentendosi
tradito da colui che rappresentava la sua nuova famiglia.
«Non
essere precipitoso come sempre, Potter,» Draco si era alzato
e gli
stava andando incontro sfoggiando la sua classica aria annoiata,
«non
c’è nulla che non vada nella tua testa, anche se
la faccenda è
opinabile. Comunque, tranquillo, i tuoi ricordi sono
integri,» la
sua voce sciropposa stava ulteriormente irritando il moro.
«Li ho
semplicemente occultati. Non credere che l’abbia fatto per
te,
stupido Troll di montagna,» si era affrettato ad aggiungere
mentre,
a tradimento, le gote si coloravano di un tenue rosa.
Harry
era furioso, aveva accettato l’aiuto dei Malfoy
perché così
nessuno potesse giocare con la sua testa, invece era stato proprio
Draco a venire meno al patto. Con uno scatto fulmineo, si era
avventato sul biondo, la bacchetta infilzata sotto il mento diafano.
L’aveva scrutato in cagnesco, occhi negli occhi, rabbia
contro
compostezza. «Mi sono fidato di te, col cuore a pezzi e
l’anima
dislocata nei vari gironi dell’inferno, ti ho ceduto le
redini. Ho
permesso che diventassi il mio sostegno, la mia linfa, il cardine su
cui la mia stessa esistenza ruotava,» gli stava sibilando in
faccia.
«E ora, vengo a sapere che mi hai pugnalato alle
spalle?» aveva
sputato con disprezzo stringendo il mento dell’altro in una
presa
ferrea perché non distogliesse lo sguardo dal proprio.
«Harry,
ragiona!» Barkey, preoccupato perché i vetri
avevano preso a
tremare, stava strattonando il braccio del moro per allontanare la
bacchetta dall’altro. «Che altro potevamo fare? Hai
rischiato di
far crollare il palazzo, per Morgana!» Il moro, sorpreso nel
sentire
il suo ex capo inveire per la prima volta in vita sua, aveva lasciato
il biondo e si era spostato di lato, barcollando come un ubriaco.
«Credo sia giunto il momento di lasciare questa casa,
Draco,» aveva
sospirato amareggiato; senza voltarsi indietro, era uscito dalla
stanza.
Era
riuscito a raggiungere il fondo del corridoio quando la voce
altezzosa di Draco l’aveva costretto a fermarsi.
«Aspetta,» il
biondo, con un ultimo slancio, l’aveva artigliato per il
braccio e
voltato verso di lui, «non credi di esagerare? Pensa a Teddy,
a mia
madre, a Scorpius e a me,» il tono era andato via via
scemando
mentre le sue guance arrossivano. Harry aveva inarcato un
sopracciglio, rimanendo in attesa, quasi bisognoso di ricevere
finalmente delle risposte.
«È
stato il Signore Oscuro a dare il compito a Mys-Liska di
maledirti,»
aveva cominciato a spiegare il biondo con voce monocorde,
«subito
dopo che sei fuggito dalla Gringott. Ero presente, assieme a mia zia
Bellatrix. Quando Tu-sai-chi se n’è andato, lei mi
aveva obbligato
a cercarti a Hogwarts e riservarti lo stesso trattamento,»
gli occhi
di Draco gli stavano intimando di credergli, nonostante nulla
giovasse a suo favore.
«Per
questo sei venuto a stanarmi nella Stanza delle Necessità,
tu sapevi
che sarei andato lì per via degli Horcrux,» il
moro aveva
strabuzzato gli occhi al gesto di conferma di Draco.
«Durante
la battaglia l’ho perso di vista e, in seguito, qualcuno mi
disse
di averlo visto scappare zoppicando verso la Foresta Proibita, mentre
si teneva stretto un braccio. Ho ingenuamente pensato che fosse
morto. In ogni caso, avrei dovuto accertarmi della sua fine. Mi
spiace.» Harry aveva strattonato il braccio, liberandosi
dalla presa
dell’altro.
«Quando
Synclair si è presentato sconvolto a casa di Blaise,
raccontando
quello che aveva visto, ho avuto come uno strano presagio e mi
è
tornato in mente lo slovacco,» Draco aveva abbassato il capo
e
fissava la sua mano mentre faceva ondeggiare le lunghe dita diafane,
orfane del calore di Harry. «Avrei dovuto prevedere che non
avrebbe
desistito dal suo proposito di vendetta. Quindi, ho subito contattato
il Dipartimento, ma nessuno sembrava voler dare credito a un ex
Mangiamorte. Nemmeno quando portava notizie utili a salvare il loro
piccolo grande eroe,» aveva precisato polemico; Harry aveva
sbuffato. «Comunque, in definitiva, mia madre, dopo aver
assistito
al tuo diverbio con la donnola, ha minacciato il Primo Ministro in
persona, ottenendo poi, con il tuo consenso, il permesso di portarti
qui,» aveva concluso sbrigativo, facendo un vago cenno con il
polso
come a invogliare Harry a sorvolare sulla faccenda.
Tra
di loro era calato un silenzio grave, tanto che riuscirono a sentire,
seppur a parecchi metri di distanza, la voce baritonale di Barkey
ammiccare alla signora Malfoy. Per una frazione di secondo, nella
mente di Harry si era insinuato il dubbio che l’aria fosse
pregna
di qualche surrogato di magia oscura che non permettesse ai suoni
vivi della casa di librarsi liberi. Sgomento dai propri pensieri
inopportuni, aveva scosso la testa e ficcato i vivaci occhi verdi in
quelli composti e grigi dell’altro.
«Dunque,
è per questo che mi hai ospitato in casa tua? Per avere un
giustificabilissimo e inattaccabile alibi, in caso si fosse scoperto
un qualche legame con la tua persona?» aveva chiesto deluso,
con
voce dura. Draco aveva sgranato gli occhi e preso a boccheggiare come
un pesce fuori d’acqua. – Sarebbe sicuramente
esilarante, – stava ammiccando
tra sé, Harry, – se
la situazione non fosse così spinosa.
«Non
ti permetto di parlarmi in questo modo,» era sbottato il
biondo
picchiettando il dito sul torace dell’altro, «non
accetto queste
tue basse insinuazioni! Per i calzini spaiati di Silente, non riesci
a capire? Non l’ho fatto per salvarmi la pelle, come dici
tu.»
Harry si era scostato mantenendo salda l’espressione
contrariata,
mentre incrociava le braccia sul petto. Invece, Draco aveva alzato
gli occhi al cielo, segno del proprio disappunto. «E allora,
quale
sarebbe questo motivo che ti ha spinto a rivedere alcune delle tue
priorità a favore di un Mezzosangue, di un Grifondoro, di un
filo-Babbano, di me?» aveva ribattuto il moro freddamente.
Draco
se ne stava lì, immobile, gli occhi una lama tagliente.
Ormai, per
Harry, era diventato facile scovare i segni che denotavano il
turbamento dell’altro. Per esempio, la piccola ruga che stava
ondeggiando sul lato sinistro delle labbra, quasi stessero tremando
nello sforzo di rimanere rigide. Oppure, l’ipnotico
sfregamento
dell’indice e del medio tra loro, così lieve da
passare
inosservato. Ma non bastava, Harry aveva bisogno di certezze, di
essere sicuro che quello che aveva vissuto in quella casa non fosse
stato solo un abbagliante miraggio.
«Ho
pensato che,» finalmente Draco, seppur titubante, aveva
deciso di
assecondare il desiderio di Harry, «occultando i tuoi
ricordi, tu
non ti saresti cacciato nei guai. Eri ferito, magicamente instabile
ed emotivamente debole: non avresti retto un solo giorno allo stress.
E la tua proverbiale voglia di buttarti a occhi chiusi nella mischia,
ti avrebbe ucciso ancor prima di farti rendere conto di ciò
che
avresti lasciato qui,» Draco si era schiarito la gola un paio
di
volte, senza mai abbandonare lo sguardo perplesso dell’altro.
«Sono
certo che avresti voluto far parte delle ricerche,» aveva
ripreso
spazientito, «in prima linea per scovare quel pazzo che ha
distrutto
la tua esistenza, in cerca di vendetta magari,» quasi stava
ansimando nello sforzo di mantenere una parvenza di calma. «E
io
sentivo che non potevo permetterlo, non davanti al dolore che avresti
causato a chi sarebbe restato qui ad aspettarti,» Draco si
stava
passando nervosamente una mano nei capelli chiari, mentre la sua voce
si era leggermente incrinata.
«Quindi
hai preso una decisione arbitraria impedendomi di fare il mio dovere,
oltre che il mio volere,» gli aveva rinfacciato contro il
moro. «In
parte sì,» aveva bofonchiato Draco,
«più che altro temevo il
momento in cui, venendo a conoscenza dello slovacco, ti avrebbero
convinto che non ero degno della tua fiducia.»
«In
parte?» gli aveva fatto eco Harry mentre aggrottava la fronte
confuso. «Comunque, non ti è venuto in mente, tu
solitamente così
preciso, che le tue azioni ti si potessero ritorcere contro, in
futuro?» aveva chiesto deluso. Draco era arrossito
imbarazzato e si
mordeva insistentemente il labbro inferiore. Con infinita tenerezza,
Harry aveva allungato le dita e, con una lieve carezza, aveva
districato le labbra al biondo. Si erano guardati negli occhi fino a
sfiorare le reciproche anime. Ed era stato allora che la figura
altera del biondo si era sgretolata in finissima polvere, mentre le
dita di Harry avevano continuato il loro percorso fino a giungere sul
suo collo.
«Sono
un egoista, Harry, lo sai, non volevo perderti. Non volevo che
tornassi da loro, che ti portassero via da me,» aveva ripreso
a
parlare concitatamente, quasi incespicando nelle parole.
«Volevo
essere molto più di una comparsa nella tua vita e, come mio
solito,
ho incasinato tutto, con te,» aveva sospirato avvicinandosi
di più
al moro, tanto da venire catturato dal suo profumo maschile, e
piegato il capo fino a far sfiorare i loro nasi. «Harry, il
fato ci
ha dato una nuova occasione, non sprechiamola,» per un
secondo, le
loro bocche avevano condiviso la stessa aria. Poi, con un gesto
fulmineo, Draco aveva sfoderato la propria bacchetta: «Finite
Incantatem.»
Harry
si era smaterializzato.
«Sei
entrato così a fondo dentro di me che non ho più
bisogno
dell’ossigeno per respirare,» bisbigliò
Harry. «Mi terrorizza
questo pensiero, Draco, mi rende così debole. Eppure, allo
stesso
tempo, mi fortifica perché so, o meglio, speravo che fosse
così
anche per te,» scosse la testa, come se volesse allontanare
un Doxxi
troppo molesto.
«Sei
sempre stato un passo avanti a me e hai capito subito il legame che
si era creato tra le nostre bacchette. È per questo che eri
certo
che, puntandomi contro la tua, la mia magia non si sarebbe alterata,
vero? “Solo due anime gemelle
hanno il dono di possedere
entrambe le loro bacchette,”
mi aveva confidato il signor Olivander, e io, stupidamente, avevo
creduto si riferisse a Tom Riddle. Eppure, nonostante il potere che
detenevi, non hai mai abusato di questa mia fragilità, anzi,
hai
lasciato a me il compito di gestire la situazione.» Harry
sbuffò
frustato al ‘bip’ del telefonino che segnalava la
batteria quasi
esaurita.
«Non
posso negare che mi sono sentito tradito. Ho avvertito come uno
strappo al centro del cuore e ha fatto male, Draco. Improvvisamente
casa era diventata un luogo estraneo, un budello
nero come
quando vi risiedeva Voldemort e riversava su di me tutto il suo
marciume, soffocandomi. Sono fuggito, è vero, ma avevo
bisogno di
capire, di sapere fino a che punto la mia magia si era macchiata del
mio dolore, cosa era rimasto integro del mio precedente Io.
E,
in queste ore spese a ritrovare quel passato che mi avevi obliviato,
il pensiero della serenità che con te ho ritrovato mi ha
impedito di
impazzire del tutto,» finalmente il viso di Harry si distese
sereno,
nessuna nube a offuscare gli occhi verdi.
«È
stata una crescita mentale e spirituale, quasi onirica la nostra.
Eppure nulla è cambiato: siamo rimasti il furetto
e lo sfregiato,
due
ragazzini sciocchi pieni di pregiudizi.»
Nell’istante
in
cui il
telefonino smise di funzionare Harry sentì
un bisbigliato ‘torna
a casa, torna da me’;
il
suo sorriso si
allargò.
Sdraiato
sul sudicio pavimento, fece finalmente
pace
con se stesso e
con quella parte oscura che albergava
da sempre in
lui.
Note
dell’autrice: siamo giunti alla fine e un
po’ mi dispiace
perché da ora in poi non verrò spesso sul fandom
di Harry Potter.
Ho ancora un paio di progetti in cantiere e qualche contest futuro da
cui trarre ispirazione. :D
Per
chi trova interessante la mia scrittura mi sto dilettando in storie
originali. Per i più curiosi basta entrare nella mia pagina
autore.
<3
Grazie
a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia
storia e
soprattutto a chi commenta.
Buona
lettura e sono graditi i commenti.
Disclaimer:
l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi
diritto.
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