I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!

di G RAFFA uwetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - La morte non si annuncia mai ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 - Richiesta d'aiuto non autorizzata ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 - Quando meno te lo aspetti, qualcuno bussa alla tua porta ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 - Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 Amici serpenti o era parenti serpenti? ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 - Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 - La verità mi fa male, lo so ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 1 – Il passato immerso nel bacile di un Pensatoio

La stanza era in ombra, solo in un punto preciso la tenue luce, che traspariva dai tendaggi pesanti, accarezzava il pavimento. Regnava un fosco silenzio, caliginoso e impenetrabile come la spessa nebbia londinese di fine estate. Non era stata una brillante idea quella di tornare lì, ma lo doveva a se stesso e a tutto ciò che di buono e positivo aveva vissuto tra quelle mura.



Voglio le pareti tutte bianche, — aveva cinguettato Ginny mentre faceva scorrere un dito lungo il bordo tarlato della finestra, — mobili essenziali e il pavimento con mattonelle color pesca. — Harry l’aveva guardata aggirarsi radiosa per la piccola casa, soffermarsi in più punti e gesticolare impaziente assieme al giovane architetto fresco di laurea; era stata volontà della ragazza abitare nel mondo Babbano, e Harry si era adeguato con gioia. — Tu che dici, Harry? — Ginny l’aveva guardato con occhi luminosi, trepidante, tra le mani un campionario di tessuti dalle mille sfumature. — Mi rimetto alla tua volontà, — le aveva sorriso innamorato. — Non dimenticarlo, — aveva risposto seria, — mai.

Se solo si fosse accorto in tempo della bieca luce che sonnecchiava inquieta tra le ciglia socchiuse degli occhi di Ginny.



Fece un altro passo e si fermò al centro della pozza chiara, voltando le spalle alla finestra. Chiuse gli occhi e, trattenendo il respiro, cercò di arginare, come gli aveva insegnato lo Psicomago, il terrore che ancora oggi lo assaliva quando serrava le palpebre. — Un lutto, di per sé, è facile da superare, — gli aveva ripetuto pazientemente il dottor Lethargie Taubheit1 fin dalla loro prima seduta. — Ciò che la nostra mente non accetta è l’idea di colmare nuovamente ‘il vuoto’ che si crea perché ‘i ricordi’ cosiddetti perduti’, nella nostra testa, diventano un ‘per sempre’, poiché riteniamo che ‘chi non c’è più’ non possa, per ovvie ragioni, aiutarci a rielaborarli. — Harry scosse piano la testa, il fiato diligentemente sotto controllo, le dita serrate intorno alla propria bacchetta.



Sei splendida. — Harry l’aveva baciata sulla punta del naso e stretta un po’ più forte, allineandola al proprio corpo solido mentre ballavano al centro della stanza con il vestito bianco in pizzo prezioso illuminato dalla luna. L’aveva spogliata con esagerata lentezza, studiando ogni anfratto, ogni piega della sua giovane e profumata pelle, si era inebriato di ogni ansito, di ogni carezza, di ogni bacio che si erano scambiati; l’aveva amata con l’ardore della passione e la tenerezza dell’inesperienza.

Catturato dall’onda del proprio orgasmo, aveva strizzato le palpebre cosicché non si era accorto delle iridi della moglie diventate luminose come i bagliori dell’inferno.



La bacchetta tra le dita si illuminò brevemente e, in un nugolo di polvere, le tenebre si squarciarono. Harry attese pazientemente che il cuore rallentasse la sua corsa, fissando ostinatamente il chiarore che oltrepassava la cortina delle lunghe ciglia nere. Una volta riaperto gli occhi, non aveva idea di cosa si sarebbe trovato di fronte, di cosa quella stanza gli avrebbe restituito, nonostante i suoi ricordi indossassero le vestigia di tetri incubi, poiché nessuno dei suoi vecchi amici gli aveva più parlato da allora. – O per lo meno nessuno di quelli che per lungo tempo ho ritenuto la mia famiglia. – Sospirò amareggiato.



Tu credi nel futuro? — Ginny, splendidamente fasciata in un tubino nero, stava litigando con la clip di un raffinato girocollo davanti allo specchio; lo stava osservando quieta, in attesa della sua risposta. Harry, confuso, si era grattato la cicatrice, in un gesto così abituale da passare inosservato. — Per un lungo periodo ho temuto di non averne uno, — le aveva spiegato incerto, — ma da quando ho scoperto di amarti sei stata tu al centro di ogni cosa — Harry aveva distolto lo sguardo, arrossendo imbarazzato. — Perfetto, — la voce contenuta di Ginny era sporcata da una sfumatura bieca, quasi irrisoria, — allora sarà più facile del previsto, — aveva esclamato enigmatica uscendo dalla camera.

Harry, disorientato, era rimasto impalato per parecchi minuti nell’atto di infilarsi la giacca scura della divisa di gala.



Aprì gli occhi di scatto e sbatté le ciglia più volte per mettere a fuoco il muro di fronte. Impietrito, piantò le iride di un verde cupo negli occhi fiammeggianti della sua Ginny, rinchiusa in una cornice rosicchiata dal fuoco.

Quel quadro era stato l’unico vezzo imposto da Harry nella loro camera matrimoniale fin troppo minimalista. Ritraeva la ragazza davanti a un laghetto, china verso le papere, in un giorno qualsiasi della loro vita insieme. Non c’era stato un vero motivo per scattare la foto, ma Harry aveva sentito il desiderio di far sapere a tutti quanto quella donna lo stesse rendendo felice.

Ora, era solo una lastra immobile, il fuoco ne aveva prosciugato tutta la magia, con il volto della moglie deformato dall’odio che spiccava ghignante sulla parete sporca di sangue.

Deglutì a vuoto.



Suvvia, Harry, non sei nemmeno un po’ curioso? — Ginny, rannicchiata sul lungo divano bianco, stava sfogliando distrattamente una rivista Babbana dimenticata da Hermione due settimane prima. — Cloe, quella signora attempata che alleva formiche e vende profumi per gatti in fondo alla strada, mi ha confessato che lo fa spesso per vivacizzare il proprio matrimonio. — Harry, per nulla interessato, si muoveva avanti e indietro per la stanza recitando a mezza voce il discorso che avrebbe tenuto quella sera alle nuove reclute. — Mi ha detto, — aveva continuato leggera, mentre con la coda dell’occhio non perdeva un solo movimento del marito, — che è normale, all’inizio, provare un po’ d’imbarazzo. — Aveva cercato di rassicurarlo con voce zuccherosa e suadente: — Non c’è niente di vergognoso nell’ammetterlo. — La donna si era allungata languida arcuando la schiena e spalancando le cosce snelle; sembrava stesse galleggiando in una pozza lattea.

Harry, distratto, si era fermato a un passo dalla finestra, i fogli di pergamena stretti tra le dita. — Ammettere cosa? — aveva chiesto soprappensiero; Ginny era uscita dalla stanza impettita e lui, quella notte e alcune a seguire, era stato costretto a dormire nella stanza degli ospiti.



Tutto attorno a lui era desolazione ed era stato lui l’involontaria causa di tutto quello; gli si strinse così forte il cuore che pensò di percepire distintamente il pianto disperato della propria anima. Fece un giro su se stesso e gli occhi accolsero soltanto distruzione.

Dove un tempo c’era il letto, su cui aveva dormito e amato la sua Ginny, rimanevano tre assi in croce e la sagoma indistinta del materasso; macchie scure, come schizzi di un artista impazzito, imbrattavano le pareti un tempo bianche come la luna d’inverno, e la cenere nera e pesante era disseminata ovunque.

La sua mente si rifiutava di riconoscere quel luogo, eppure, l’abitudine a viverlo gridava a pieni polmoni che sì, quella stanza era stata l’alcova di un amore genuino e puro, finché il morbo, che stava crescendo all’insaputa di tutti nel corpo di sua moglie, ne aveva divorato l’anima.

Si inginocchiò preda della vertigine ed ebbe un conato: quello su cui poggiavano le ginocchia era l’esatto punto in cui Ginny o, meglio, la sua versione indemoniata, stava eretta un secondo prima che la sua magia involontaria l’uccidesse; il sole impietoso delineava ogni ruga del pavimento.

Sbatté forte i pugni in terra e urlò.

Perché? — chiese all’aria, forse sperando che il bastardo che un tempo dimorava nella sua testa gli desse un segno. — Che tu sia maledetto! — sibilò furioso, — Che la mia ira ti possa raggiungere ovunque tu sia!

Gli rispose solo il fruscio del silenzio che, imperturbabile, lo avvolgeva come un guscio.



Ti fanno male? — aveva chiesto con fare scientifico Ginny mentre stringeva, con un colpo calibrato della bacchetta, dei nastri neri ai polsi e alle caviglie di Harry; il moro, a disagio, aveva bofonchiato tra i denti mezze parole. — Non è stato poi così difficile, — aveva aggiunto la ragazza sorridendo soddisfatta al corpo bloccato del marito, — vedrai che ci divertiremo. Di certo io sì! — aveva puntualizzato sfregandosi maliziosa le mani.

Harry era sdraiato nudo sul letto matrimoniale, le braccia e le gambe divaricate in modo quasi osceno, gli occhi spalancati fissi al soffitto. Non si capacitava di come era riuscito a cacciarsi in quell’assurda situazione, di quando sua moglie era riuscita a strappargli il consenso per quella follia. Era sempre stato una persona semplice, lui, dai gusti modesti e dalle esigenze ancora più umili. – Non è di certo colpa mia se il Mondo Magico mi ha eletto come “suo eroe”. – A quel pensiero aveva scosso la testa sprofondando il capo nel cuscino.

Dalla stanza attigua sua moglie non aveva smesso un attimo di parlare. — ...c’è una parola di sicurezza da concordare. — A Harry si erano rizzati immediatamente tutti peli: belli e fieri come soldatini davanti a un plotone d’esecuzione. — Sono così eccitata, è da sempre che aspetto questo momento! — Rassegnato al suo destino, Harry aveva sentito un brivido freddo esplodergli in testa, nel punto in cui c’era la cicatrice a forma di saetta, quando Ginny era apparsa nel suo campo visivo a lato del letto. — Ma che? — aveva farfugliato sbigottito, il corpo che reagiva entusiasta al vestitino succinto e provocante indossato dalla moglie.



Giaceva a terra, forse da ore, raggomitolato su se stesso come una matassa di lana grezza, le dita artigliate nei capelli scuri. Gli dolevano i muscoli, troppo tesi nell’inutile sforzo di non cedere ai ricordi, e la testa gli sembrava un pallone malamente gonfiato che galleggiava a mezza strada verso la pazzia. – Sei stato folle a tornare qui, – sembravano accusarlo gli occhi rossi e immobili nella foto. – se solo Merlino mi desse un’altra occasione, ti ridurrei a un grumo spugnoso di carne.

Harry rabbrividì. C’era sangue ovunque, quel lontano giorno, che sgorgava corposo dalle ferite, come mille foci nel deserto rovente.



In via del tutto precauzionale, il primo colpo gli era stato inferto sulla spalla con un flogger2. “Per saggiare la resistenza dei lacci,” aveva motteggiato la moglie mentre leccava la punta della sua bacchetta con la lingua, gli occhi socchiusi in modo seducente. Il secondo era esploso alla base dello scroto, tra le cosce spalancate di Harry, nel punto più sensibile di ogni uomo. Il corpo del moro, seppur trattenuto al materasso dai lacci, era schizzato verso l’alto inarcandosi fin quasi a spezzare la spina dorsale; non era riuscito a emettere alcun suono, sebbene avesse la bocca spalancata come il becco di un pulcino affamato; gli occhi due pozzanghere bianche.

Così non va, — aveva sibilato Ginny, scuotendo piano la testa, — troppo facile. — Con un complicato gesto del polso gli aveva lanciato addosso un incanto sconosciuto che gli aveva immediatamente ‘sciolto la lingua’3, permettendo ai suoni dentro la sua gola di liberarsi nella stanza. — Perfetto! — aveva sorriso compiaciuta, incurante dello sguardo di terrore che liquefaceva i lineamenti pallidi del marito.

Da un fodero allacciato sulla coscia sinistra, aveva estratto uno stiletto d’argento magico dalla lama particolarmente sottile, l’aveva fatto roteare tra le dita, mentre i suoi occhi scorrevano languidi lungo le forme scolpite di lui. Con un guizzo degno di un cobra, glielo aveva conficcato nella carne del polpaccio, così profondamente, da inchiodare la gamba al legno sotto al materasso: Harry aveva emesso un solo grido, amplificato dall’incantesimo.



Vomitò bile e un filo di bava penzolava irrisorio dalla bocca del moro. Come allora, Harry tremava tutto, come se il tempo si fosse dissolto e lui fosse ancora là, sul letto sfatto in balia della lucida crudeltà della moglie. Nella sua testa era ancora tutto così nitido: la furia granitica di Ginny, per nulla smussata, il dolore così solido, tangibile lungo ogni terminazione del corpo, fin dentro le cicatrici che gli decoravano la carne. Teneva gli occhi spalancati, impossibilitati a richiudersi perché era troppo orrendo quello che il buio celava.

Piangeva, Harry, come un animale agonizzante, inerme davanti al proprio carnefice.



Quante storie, ‘Sopravvissuto’, per due miseri taglietti. Dimmi, — l’aveva canzonato la voce gelida di Ginny, — dove sono finiti la tua arroganza, il tuo entourage, la tua vigliacca Fortuna sempre pronta a tirarti d’impaccio? Dimmi, o eroe, chi sacrificherai per la tua Salvezza? — aveva riso sprezzante, dispensando Cruciatus come fossero Cioccorane.

Harry, immobilizzato su quel letto da giorni, aveva ferite infette disseminate ovunque sul corpo di un pallore cadaverico, respirava a fatica attraverso la bocca, mentre l’ennesimo rivolo di sangue si era già incrostato alla base del naso. Tutta la sua persona tremava, scossa da marosi di dolore e terremoti di terrore, fin dentro l’anima; non aveva più lacrime, non aveva più voce, solo finissima polvere al posto del cuore.

Attraverso l’occhio sano, l’altro era uno scuro coagulo informe, non perdeva di vista la sagoma indistinta di sua moglie, troppo annichilito e sfinito per accettare la cruda realtà.

Quando era stato ferito la prima volta, aveva urlato a pieni polmoni la frase concordata “Lord Voldemort è il mio Signore e Padrone4, sperando così di fermare l’insania che sembrava aver investito sua moglie, ma Ginny aveva riso deliziata, fino all’isteria, mentre i suoi occhi sprezzanti si indurivano. A quel punto, nella mente di Harry era esploso l’orrore e la raccapricciante sensazione che il Passato fosse finalmente giunto fin lì per richiedere il proprio tributo. — Non può essere, — aveva sussurrato sgomento e incredulo mentre il folle terrore che l’aveva invaso banchettava con la sua mente.



Si sentiva stremato, la testa doleva e i ricordi gli bombardavano la coscienza minando la sua precaria stabilità mentale. Cercò di alzarsi facendo leva sulle braccia ma quelle cedettero, emotivamente instabile per reggere il suo peso. Rotolò di fianco e finì sotto il quadro; da quella prospettiva Ginny sembrava acquistare una luce nuova, quasi limpida e serena. Sospirò. Lentamente si mise una mano sul cuore, premendo piano finché non l’avvertì galoppare libero.

Era tornato in quella casa per combattere i suoi demoni, per affrontare come un nobile Grifondoro le sue miserie e ripartire da zero con ciò che rimaneva di se stesso.

Avere il cuore infranto non ti impedirà di amare, — gli aveva suggerito lo Psicomago il giorno in cui aveva tentato, per l’ennesima volta, di farla finita. — Sono i cocci dell’anima che ti fanno sanguinare. Quelli sì che sono infidi, — aveva incalzato davanti al suo sguardo dubbioso, — piccole scaglie affilate che ti penetrano il cervello.

Solo ora comprendeva quanto avesse ragione: davanti a quel ritratto tarlato dalle fiamme, capì che non gli riusciva proprio di condannare la moglie, non adesso che sapeva come erano andate le cose, non ora che si affacciava timidamente una nuova vita.



Uccidimi! — Nelle ultime ore, Harry aveva supplicato la moglie perché mettesse fine a quell’agonia. — Ma certo che morirai, — l’aveva assicurato incredula, come se il marito non la ritenesse una donna magnanima, — a tempo debito. — Costretto con la forza a rimanere inchiodato al letto, il moro aveva perso da giorni la sensibilità di ogni terminazione nervosa e il suo cervello era in preda alle allucinazioni; una peggiore dell’altra. Tutt’intorno a lui, c’era odore di morte, di marcio, di bile, e dei miasmi dei suoi stessi escrementi.

Come… Harry si era dovuto fermare per racimolare fiato, la gola che cedeva al passaggio della saliva mischiata al sangue, la mente così scombinata da impedirgli di articolare in modo compiuto. Cosa sei? Infine, con grande sforzo, era riuscito concentrarsi e porle l’unica domanda che persisteva vivida nel suo cervello ottenebrato dal dolore. Ginny, per nulla turbata dalla curiosità del marito, senza battere ciglio, si era girata verso il quadro e aveva sorriso complice alla se stessa che, come riflessa in un Avversaspecchio5, mostrava la sua vera natura.

C’era un che di spaventosamente corrotto nello sguardo che si erano scambiate, tanto che qualcosa di profondamente insito dentro Harry finalmente si era destato annusando l’aria guardinga. Quello sguardo così arrogante, spietato e sicuro di sé era certo di averlo già visto indosso a qualcuno, un essere così spaventoso che l’aveva sepolto sotto cumuli di altri ricordi meno importanti.



Inconsapevolmente, Harry prese ad accarezzarsi il polso facendo scivolare lievemente il polpastrello sul marchio lasciatogli dai denti del Basilisco. Tom Orvoloson Riddle, sei riuscito a devastare la mia esistenza in modi davvero pittoreschi. biascicò ironico, mentre una lacrima solitaria luccicava tra le ciglia scure.



Note dell’autrice: questa storia era nata per partecipare a un contest ma poi, come sempre, i personaggi hanno fatto di testa loro e ne è venuta fuori una long.

Nel mio immaginario, Harry non può assolutamente vivere tutta la sua vita accanto a Ginny. Lui ha un bisogno quasi viscerale di prendersi cura del proprio compagno. Quindi, siete certi di figurarvi la Weasley come una piccola principessa indifesa? Io no di certo! Indi per cui, Draco compare sempre e ovunque, come il prezzemolo.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

1Letteralmente, tradotto dal tedesco, letargo torpore

2Piccolo frustino.

3Non è da intendersi letteralmente, semplicemente qualsiasi vibrazione prodotta si sarebbe amplificata nonostante gli eventuali sforzi di soffocare le urla.

4Chi pratica il bondage ( https://it.wikipedia.org/wiki/Bondage ) concorda preventivamente una parola di sicurezza che serve a fermare il dominante quando il sottomesso avverte disagio, o quant’altro lo disturbi, per interrompere il ‘trattamento’. In questa storia, per ragioni di copione, ho calcato la mano facendo dire a Harry una frase intera.

5Lo specchio mostra i propri nemici. Harry, erroneamente, pensa che sua moglie sia posseduta dal giovane Riddle e che il riflesso sia la sua anima già corrotta da Tom.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 - La morte non si annuncia mai ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 2La morte non si annuncia mai



Quando si fu ripreso abbastanza da comprendere e parlare, era stato il Medimago di turno a metterlo al corrente su quello che era successo. Vede, signor Potter, il vecchio luminare era in piedi accanto al letto, austero nel portamento ma con un fondo di pietà a insudiciare gli occhi. Abbiamo trovato sul corpo di sua moglie i residui di un antico anatema concepito esclusivamente per i Babbani negli anni bui dell’Inquisizione. Deve sapere che, aveva continuato senza mai sfiorarlo con lo sguardo, all’inizio, veniva scagliato per vendetta dalle streghe mentre bruciavano sui roghi, poi, vista l’efficacia, venne impiegato come ‘diversivo’ per confondere le acque. Infatti, la Poord-hing1 è una maledizione davvero potente che altera in modo significativo l’anima del ricevente, mutando in modo drastico il suo ‘io’ interiore. L’usanza di chiamare ‘maledizione’ questa tipologia di incanti, era nata proprio da qui, poiché il Babbano colpito veniva definito ‘maledetto’ dai suoi stessi simili.

Harry l’aveva guardato a lungo, incredulo e arrabbiato. Aveva tenuto così tanto gli occhi fissi sul suo viso da farli lacrimare, mentre l’altro aveva cominciato ad agitarsi, imbarazzato dal prolungarsi del silenzio.

Signor Potter, aveva ripreso titubante, mi permetta… Ma il moro l’aveva interrotto con un gesto brusco, chiedendo, anzi ringhiando, come era stato possibile che nessuno, compreso lui stesso, non si fosse mai accorto di nulla. A quel punto, il Medimago si era voltato verso la porta in cerca di sostegno, incerto su cosa potesse o meno dire.

Le parole hanno una loro valenza, signor Potter, così come il contesto in cui vengono pronunciate, aveva iniziato cauto, soppesando ogni vocabolo. L’incantesimo è un comando: più specifico è, più risulta efficace. Quindi, usato al di fuori del suo ‘utilizzo canonico’, per intenderci, cambia valore e molto spesso, questa ‘falla’, si ripercuote anche sui tempi e sulle modalità di resa. Per fare un esempio spiccio. È come maneggiare in modo inadeguato gli ingredienti di una pozione: se si cambia qualcosa nella procedura, anche infinitesimale, il risultato non sarà più quello previsto.

Harry si era lasciato cadere all’indietro, la schiena che cozzava contro il doppio cuscino e il respiro alterato di chi aveva corso per raggiungere la cima della montagna. Aveva chiuso gli occhi, incupito e per nulla tranquillizzato.

Nessuno potrà farle alcuna colpa, se è questo che la turba, aveva aggiunto bonario il luminare. Harry quasi si era strozzato a quelle parole dette con tale superficialità, come se l’essere stato costretto a uccidere la moglie fosse stato un passatempo qualunque. Esca immediatamente, era scattato urlando, nonostante le molteplici fasciature intorno al corpo, cosa ne vuol sapere lei dei miei sensi di colpa, del mio dolore, della mia angoscia. Ginny è mia moglie, la donna che amo, vogliamo dei figli2! In preda alla furia, gli aveva lanciato dietro uno dei cuscini. Se ne sta lì, dentro il suo camice lindo, dispensando pena e finto buonismo, ma non ha nessuna idea di come un uomo si possa sentire a brandelli, spezzato così in profondità da avere un baratro al posto del cuore. L’anziano non aveva proferito verbo; era rimasto immobile ad aspettare che il diluvio di parole finisse, probabilmente avvezzo a quel genere di scatti d’ira da parte dei pazienti.

Mia moglie è morta tra le mie braccia mentre la nostra casa veniva divorata dalle fiamme; all’interno erano rimasti intrappolati i nostri tre figli piccoli. Harry aveva guardato orripilato il Medimago sfaldarsi strato dopo strato mentre, in piedi in mezzo alla stanza, con una tranquilla dignità che lui stesso si poteva sognare, continuava il suo racconto agghiacciante. Nonostante mia moglie mi avesse più volte avvisato che dal mio laboratorio provenivano strani rumori, quella sera raggiunsi lo stesso il pub a Diagon Alley con i miei allievi, per festeggiare la fine del corso. Più tardi, quando tornai a casa in un quartiere tranquillo della Londra Babbana, c’era ad attendermi l’inferno. Da allora, non ho più avuto pace, aveva sospirato piano, gli occhi stanchi fissi in quelli sgomenti di Harry. In nessuno di loro scorreva un briciolo di magia e, nonostante li amassi più di me stesso, mi vergognavo di loro. Che Merlino abbia pietà di me, ma è stato questo a ucciderli, si era lasciato sfuggire tra i denti. Quindi sì, so come ci si sente quando tutto ti sfugge dalle dita, quando il peso dei tuoi stessi errori ti inchioda alla Terra senza lasciarti una via di fuga, quando la tua anima è così immonda che i Dissennatori paiono acque chete. Ma è qui che viene a galla la tempra di un uomo, l’aveva guardato con durezza, aspettandosi che capisse, che emerge vittoriosa dalle macerie. Impara dai tuoi stessi errori, signor Potter, non lasciare che i tuoi sbagli e le tue mancanze abbiano la meglio sul tuo spirito, combatti e vinci perché la fuori qualcuno ha sicuramente bisogno di te.

Non aveva aggiunto altro, era uscito lentamente dalla stanza e Harry non l’aveva più rivisto.







Ginny, lo so che sei lì, da qualche parte dentro la tua testa. Ignora quel dannato quadro e guardami, puoi farcela, combattilo. Sei forte tu, più forte di tutto questo. La finestra era spalancata e il profumo della pioggia aveva portato un po’ di sollievo a Harry, che cercava di incamerare più aria possibile.

Chi sei tu per dirmi cosa devo fare? Ginny non si era nemmeno voltata, la sua voce gli era giunta pacata, quasi zuccherosa. È stato un ottimo banco di prova, devo dartene atto, ma è tempo di trovare qualcosa di più divertente, tanto più che qualcuno potrebbe cercarlo e insospettirsi per la sua assenza dal lavoro. Harry, incredulo, aveva trattenuto il respiro nel tentativo di concentrarsi e cogliere meglio lo scambio di parole tra la moglie e il quadro. Ha una forza d’animo fuori dal comune, stava dicendo il ritratto, gli altri sono durati molto meno.

Il moro aveva buttato fuori il fiato producendo un sibilo stridente e aveva preso a tremare in modo convulso, mentre l’orrore si dilatava nel petto fin quasi a soffocarlo. – Gli altri? Quali altri? – La sua mente stava gridando mentre mille colori gli annebbiavano la vista.

Sul volto di Ginny si era aperto un sorriso crudele, aveva schiuso le labbra e vi aveva passato sopra la lingua, quasi si stesse deliziando di qualcosa di veramente gustoso. Hai ragione, aveva concordato, aggiungendo subito dopo scaltra, ma non erano maghi.







Harry non era mai stato bravo a comprendere le persone, in quello si era sempre affidato a Hermione: lui era un uomo d’azione, per Morgana! Eppure, certi sguardi duri che coglieva in Ginny, quando tornava a casa stanco la sera, li aveva sempre archiviati nello scomparto ‘si annoia’. Non si era mai curato di ciò che lo circondava: aveva una bella moglie che amava, ricambiato, una bella casa, un lavoro avviato, famiglia e amici, insomma una vita felice. Perché interessarsi alla sparizione di cani e gatti nella loro piccola contea? Anche quando aveva captato una conversazione dal panettiere, riguardante una serie di omicidi irrisolti, non gli aveva dato il giusto peso; il suo lavoro di Auror lo assorbiva abbastanza da non avere altri pensieri. Quanto sono stato cieco da uno a dieci Galeoni? Il mio intero patrimonio! Ecco la risposta giusta.

Harry si stropicciò gli occhi aridi, sussultando per le mille schegge appuntite che gli perforarono i bulbi. Sentiva di aver perso il cuore altrove, forse mischiato a quel maledetto ‘avada’ che nemmeno si era reso conto di aver pronunciato. Perlomeno non prima di aver visto Ginny accasciarsi a terra come una bambola spezzata.

Ansimò, il petto stretto in una morsa granitica, gli occhi colmi di orrore per ciò che aveva fatto, per l’unica cosa che andava fatta!







Non guardarmi come se fossi un mostro, l’aveva redarguito Ginny, gli occhi luminosi di perfidia. Andare in giro a uccidere uomini per un ‘Bene Superiore’ non ti giustifica affatto. Parli tanto di moralità ma ho colto più volte la tua espressione estasiata quando raccontavi delle tue missioni andate a buon fine, dell’evidente elettricità emanata dalla tua magia per l’incontenibile gioia di aver assicurato alla giustizia l’ennesimo disgraziato che ha osato mettersi fra te e la tua gloria. Non credere che non mi sia resa conto che, tra noi, il sesso migliore è avvenuto dopo che tu hai rincorso e ucciso delle persone, manco avessi partecipato a uno di quei safari Babbani. Harry l’aveva guardata impietrito, sconvolto da quel fiume di parole così acide da sentir la propria pelle sfrigolare.

Sua moglie se ne stava in centro alla stanza, la schiena leggermente arcuata in una posa aggressiva, l’espressione animata dal disprezzo. I capelli parevano lingue di fuoco fluttuanti ai lati del volto acceso dalla rabbia mentre i pugni chiusi premevano sui suoi fianchi. Sembrava una versione grottesca e inquietante di Molly. Poi, come la furia era venuta, era svanita in un battito di ciglia.

Lascia perdere quel Molliccio, qualche attimo prima, la donna nel quadro aveva cercato di rabbonirla. Abbiamo altro a cui pensare. Il sorriso che aveva mostrato al moro non prometteva nulla di buono; Ginny si era voltata ed era sparita dalla visuale del marito.

Harry non aveva fatto in tempo a tirare un sospiro, che una stilettata al ginocchio gli aveva fatto strizzare gli occhi e contrarre lo stomaco dal dolore. Sua moglie, brandendo un martello, stava caricando di nuovo per colpire l’altra gamba. Per un folle momento, si era augurato che l’urlo che aveva preso vita dal fondo della sua gola, riuscisse a raggiungere l’anima di Ginny e riscuoterla dalla carneficina a cui lo stava sottoponendo da giorni.

Il moro era uscito ulteriormente indebolito da quell’ennesimo assalto; non sentiva più il suo corpo, sebbene tremasse in modo convulso, eppure, una parte di lui non voleva cedere al buio che stava minacciando di sommergerlo. Aveva sbattuto le ciglia e, con immane sforzo, aveva cercato di mettere a fuoco Ginny guardandola attraverso un velo di sangue. Con orrore, nei suoi occhi aveva letto la propria fine.

Aveva così tanto agognato quel momento che, quando la consapevolezza di stare per morire aveva fatto breccia nel dolore, invece di abbracciare la morte con sollievo, la sua mente si era ribellata facendo ribollire d’indignazione la sua magia. E lei non si era smentita, non si era ritirata a piangere in un cantuccio come l’anima persa di Harry. Anzi, si era eretta fiera, palpabile nella sua innata e folgorante elettricità:

Avada kedrava!

Tutto ciò che lo circondava era diventato quieto come il fondo verde di un fitto bosco.







Non gli era ancora permesso fare magie complesse, ma in quel momento abbisognava di un amico, di un compagno che l’accogliesse nel suo tepore senza giudicarlo. A tentoni cercò la sua bacchetta, che era rotolata poco più in là, ed evocò Ramoso. Grazie, si limitò a dire, mentre osservava il cervo scivolare leggero attorno a lui in un movimento lento, quasi ipnotico.



Note dell’autrice: buona lettura e i commenti sono graditi.

1Anima inversa tradotto letteralmente dal basco

2l’uso dei verbi è voluto. Harry è sconvolto e si è appena svegliato dal coma, seppur cosciente di ciò che è accaduto, inconsapevolmente non lo accetta.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 - Richiesta d'aiuto non autorizzata ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 3 – Richiesta d’aiuto non autorizzata

Chiuse gli occhi, abbeverandosi della forza vitale emanata dal suo Patronus, e l’ultimo ricordo con Ron, quello visionato più e più volte nel pensatoio, immerso nel buio della sua stanza al Manor, lo avvolse come un venticello aspro che scompiglia fastidiosamente i capelli nelle sere autunnali.







Ron, disgustato, aveva storto il naso al forte odore di medicinali che gli stava appestando la gola, mentre percorreva a passo di carica il corridoio dell’ospedale dedicato alle vittime di abusi magici. Davanti a una porta uguale a tante altre, stavano stazionando due cadetti Auror nelle loro scintillanti divise rosse.

Buon giorno signor Weasley, l’avevano salutato con rispetto, aggiungendo professionali: Siamo spiacenti, ma abbiamo l’ordine di non fare entrare nessuno. In risposta, il rosso aveva estratto dalla tasca una pergamena con il sigillo del Primo Ministro che lo autorizzava ad assistere all’interrogatorio di Potter, che si sarebbe svolto di lì a pochi minuti. Perfetto, si erano sbrigati a dire, spostandosi di lato per farlo passare.

Ragazzi, perché non fate una pausa? si era arrischiato a domandare Ron, approfittando del fatto che i due giovani non avessero il minimo sentore del vero motivo per cui stavano davanti alla porta di Harry. Tanto qui ci sono io, non c’è nulla da temere, no? I due cadetti avevano assentito grati, erano lì dalla notte prima, ed erano spariti lungo il corridoio, mentre il rosso impugnava la maniglia della porta.

Come hai potuto farlo? Harry, con grande scorno dell’amico, non aveva abbassato il capo quando era entrato tutto fiamme e sproloqui inveendo contro di lui. Anzi, l’aveva fissato con quei suoi occhi verdi come un prato baciato dalla prima brina stagionale: sorpreso e al contempo diffidente. Dovresti marcire ad Azkaban! aveva gesticolato sempre più infervorato, ma tu sei il grande Harry Potter, l’impunito! Quello che ha posto fine alla vita di sua moglie e la passa liscia! Era mia sorella! Dove trovi il coraggio per guardarmi in faccia!? aveva gridato ancora più forte, così sconvolto che le vene del collo fremevano.

Due figure, attirate dalle urla che provenivano dalla stanza, vi si erano precipitate.

Sarebbe opportuno, visto il luogo in cui ci troviamo, che abbassasse i toni, signor Weasley, l’aveva interrotto una voce femminile, sottilmente derisoria e al contempo irritata; l’uomo accanto a lei lo stava scrutando con rimprovero. Ron si era girato di scatto scoprendo che, nel vano della porta, l’elegante figura della signora Malfoy, avvolta in un pesante mantello bordò, era intenta a squadralo con freddezza. Cosa ci fa lei qui? Dovrebbe essere vietato ai Mangiamorte frequentare questo luogo! l’aveva aggredita sgarbato.

Ho altro da fare che star qui a farmi insultare da lei, aveva risposto altera, raggelando ulteriormente il tono. In ogni caso, come mi stava appunto comunicando poc’anzi l’illustre Medimago Pollux Hitchens1, il signor Potter, non solo non è in grado di rispondere, ma nemmeno di sentirla. Dopo averlo squadrato con sufficienza, gli aveva voltato le spalle rivolgendosi al dottore: Sarebbe il caso di chiamare qualcuno. È evidente che il signor Potter non può rimanere da solo con quest’uomo. Il Medimago si era ritrovato immediatamente d’accordo e, mentre si apprestava a uscire, aveva intravvisto arrivare dal corridoio il Capo Auror.

Non è necessario, Narcissa cara, ci sta raggiungendo il signor Barkey. Vieni, ti accompagno, così continueremo la nostra conversazione. Aveva aspettato che l’affiancasse prima di proseguire verso le scale in fondo al corridoio.

Miseriaccia, aveva esclamato Ron, soggiogato dall’aura di potere emanata dalla signora Malfoy, quella donna è inquietante.

In quell’istante, dalla porta rimasta aperta, era entrato il Capo Auror col volto affilato e ingrigito dalla stanchezza. Perfetto, proprio la persona che stavo cercando, Ron si era avvicinato all’uomo gesticolando verso il malato. Voglio che lo accusi formalmente di omicidio, Barkey! Pretendo che riceva il Bacio! Ha ucciso mia sorella, per le mutande di Merlino! Barkey, una mano a lisciarsi nervosamente i capelli ispidi, aveva superato il rosso raggiungendo i piedi del letto. Ben svegliato, aveva sillabato a Harry, sfoderando un piccolo sorriso incoraggiante, poi, dopo aver litigato con un voluminoso plico che teneva sotto il braccio, si era deciso ad affrontare Ron che, oltremodo impaziente, stava stringendo così forte i pugni che le braccia tremavano per lo sforzo. Non credo di poterti accontentare, gli aveva detto perentorio, sporcato da una lieve sfumatura irrisoria, alzando un braccio per zittirlo. Ho passato l’intera mattinata tra un ufficio e l’altro di questo immenso nosocomio e sono davvero stanco. Quindi, ti prego, stai zitto, per una volta nella tua vita, e ascolta fino in fondo ciò che ho da dire, l’aveva apostrofato rudemente. Harry non ha colpa: lui è una vittima di Ginny. Ron, scioccato, era retrocesso pian piano fino a sbattere contro la parete azzurra. Come è possibile? aveva balbettato incredulo. Non può essere! Non mia sorella, lei era una creatura dolce, generosa, speciale… la voce gli era morta in gola, annegata in un pianto convulso.

Barkey non si era mosso, aveva appoggiato una mano sulla spalla di Harry, quasi a trattenerlo, sebbene non ce ne fosse bisogno, visto che nel corpo del moro erano rimaste intatte ben poche ossa. Vorrei dire che mi dispiace, e in parte dovrei anche farlo, ma tua sorella ha meritato di morire, Ron.

Come osi! il rosso aveva impugnato la bacchetta e, furibondo, l’aveva diretta contro il Capo Auror che, rassegnato, lo stava guardando senza battere ciglio.

Non faccia sciocchezze, signor Weasley! Metta via quell’arma prima di commettere qualcosa di cui poi si pentirebbe. Nella stanza era entrato un mago esile, fasciato in una elegante tunica grigia. E lei chi è? aveva chiesto aspramente Ron all’uomo che, con decisione, lo stava costringendo ad abbassare il braccio. Chi sono non ha importanza. Ha rilevanza il motivo per cui sono qui, aveva sorriso affilato, gli occhi scuri immobili come lastre di pietra. Barkey, confermo la mia prima impressione, si era rivolto al Capo Auror, è morta colpita dall’anatema e, si era dovuto interrompere un attimo per gelare sul posto il rosso, come supponevo, non presenta nessun altro segno di violenza. Barkey aveva scosso la testa pensieroso, grattandosi distratto il collo taurino. Quindi, c’è qualcosa che può supportare, se così vogliamo dire, il comportamento della signora Potter? aveva chiesto all’altro mago. È stata maledetta, aveva risposto pratico il nuovo venuto. Abbiamo isolato i residui dell’incanto ma ci vorrà del tempo per la valutazione finale. Sono venuto sin qui perché devo esplorare la mente del paziente per trovare eventuali indizi e, come ben sappiamo, il signor Potter non può muoversi. Sulla tua scrivania troverai le autorizzazioni a procedere già firmate dal Primo Ministro verso chiunque conosca la donna. Sarà un’operazione lunga e tediosa ma dobbiamo trovare il responsabile: è da considerarsi un criminale al pari di Tu-sai-chi.

Nella piccola stanza era calato il gelo.

Miseriaccia! aveva esclamato all’improvviso Ron, guardando Harry con rinnovato odio. Se è stata maledetta, prima che venisse uccisa si poteva trovare un modo per fermare tutto ciò! Hermione è brava in queste cose, aveva balbettato grondando dagli occhi cerulei dolorosa speranza. No, l’aveva interrotto deciso l’uomo del Ministero, la maledizione che ha malauguratamente colpito sua sorella non può, in nessuna maniera, venire sciolta. Per cui, il processo, una volta avviato, non prevede interruzioni di nessun tipo fino al suo compimento. Spero che questo le sia chiaro, signor Weasley. E ora, se permette, il signor Barkey e io abbiamo un’indagine in corso; saluti il suo amico e si tenga a nostra disposizione, l’aveva liquidato impaziente, spingendolo verso la porta. Lui non è più mio amico, aveva ribattuto immusonito il rosso, poi rivolto a Harry, che se ne stava placido sul letto con un’espressione interrogativa stampata sul volto pallido: In quanto a te farò tutto quello che è in mio potere per farti finire ad Azkaban. Che tu possa marcire all’inferno! Dopodiché, aveva inforcato la porta senza guardare in faccia nessuno.





Sai, Ramoso, non posso dare torto a Ron se non mi considera più suo amico, anche io per lungo tempo ho fatto fatica a riconoscermi allo specchio: mi vedevo come un assassino. Cioè, lo sono ancora, però ora so che non ho colpa.





No! No! No! Ginny! Cosa hai fatto?! Maledetto di un Troll, cosa hai fatto?! — Il verde dell’anatema non aveva ancora abbandonato la stanza che il quadro aveva cominciato a inveire contro Harry. Il moro, dal canto suo, stava inebetito a fissare il punto lasciato vuoto dalla moglie. — Oh, Merlino, — aveva singhiozzato, — Ginny. — Se avesse potuto, avrebbe portato le mani a stringersi i capelli. Invece la sua totale disperazione si era avvinghiata alla propria magia facendola sfolgorare in scintille gialle e rosse qua e là.

In un batter d’occhio la stanza aveva preso fuoco.

L’ultima cosa che gli era rimasta impressa, prima che l’agognato buio l’avvolgesse, era stato il pianto inconsolabile della donna del quadro: sembrava il lamento di un animale sgozzato. O forse, era stato solo l’eco delle sue dolorose grida ad accompagnarlo nell’oblio.





Harry sospirò piano mentre la sua pelle si increspava fino a sfiorare il dolore. Non voleva alzarsi, non voleva lasciare quella casa. Avrebbe tanto voluto morire lì, in quell’istante, ma sapeva che fuori, e in un punto non precisato del cuore, c’era qualcuno che lo attendeva. Qualcuno che si aspettava che lui ritornasse a casa, quella sera.







Quel lontano giorno, era stato un caso fortuito che la giovane recluta Synclair, approfittando della consueta visita ai parenti nel Kent, avesse deciso di spingersi un po’ più a nord e portare personalmente una serie di documenti da far visionare al suo superiore, invece che spedirli via gufo, come da prassi. ‘Un evento divino’, avrebbero detto in molti; per Harry semplicemente era stata la ‘sua condanna’; per quel ragazzo biondo e schivo invece aveva rappresentato ‘una benedizione’.

Come suo solito, era arrivato con un certo anticipo a casa dei Potter, posta su una collinetta in fondo alla via, illuminata dai colori arancio del tramonto. Si stava apprestando a bussare all’uscio quando un forte odore di legno bruciato, inusuale per quella stagione, l’aveva investito facendogli battere forte il cuore e allertare i sensi. Si era messo in ascolto, girando cauto intorno alla casa, finché, dalla finestra aperta della cucina, gli erano arrivate nitide delle urla strazianti e i primi sibili delle fiamme. Non si capacitava tuttora di cosa lo avesse spinto a entrare, lui, dal carattere troppo acido per poter essere un buon Grifondoro. Eppure, era corso dentro, seguendo fino al piano superiore la voce dolorosamente spezzata del suo capo. Una volta giunto in cima alle scale, era stato costretto a spegnere i primi focolai prima di poter entrare nella camera da cui provenivano forti i lamenti.

Ciò che aveva trovato su quel letto l’aveva sconvolto a tal punto che da allora qualcosa in lui era irrimediabilmente cambiato.

Aveva agito d’impulso, dimentico di qualsiasi regola accademica, sollevando il corpo martoriato di Harry. L’aveva portato fuori, all’aria, adagiandolo con estrema deferenza su un divano evocato dalla casa. Quasi distaccato, con estrema efficienza, aveva arginato il resto dell’incendio e, con mano ferma, aveva evocato il suo Patronus per chiamare i soccorsi. Non si era perso d’animo nemmeno quando aveva dovuto lanciare gli Oblivion sui Babbani accorsi. Era rimasto pazientemente in attesa del Capo Auror seduto sugli scalini in marmo, il mento appoggiato sulle ginocchia, lo sguardo fisso su Harry, con il crescente timore che per lui non ci fosse più nulla da fare. Solo per un istante, di quella lunghissima giornata, aveva perso il controllo, quando, esausto, era crollato piangente sul divano degli Zabini, amici di lunga data.





Non mi capacito di essere vivo, di essere sopravvissuto ancora una volta a un piano di Voldemort, — sussurrò Harry. Quasi temesse che, esprimendo a voce troppo alta i propri pensieri, un Mangiamorte si intrufolasse in casa. — Avevo vinto un viaggio di sola andata per l’inferno e mi sono ritrovato a vegetare nella mia miseria, comunque certo di non meritarmi più niente. — Il moro grattò nervosamente i palmi delle mani sopra i pantaloni. — Eppure, nonostante la mia anima fosse a brandelli, ci teneva a rimanere ancorata a questa terra. Nonostante ciò, non riuscivo a rimarginare le ferite del cuore. Non da solo, perlomeno. — Harry sorrise a Ramoso che si era accoccolato accanto a lui, il muso appoggiato sul suo petto.



Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Buona lettura.

1Personaggio inventato. Per il nome ho preso spunto da una ipotetica discendenza del ramo Black

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Capitolo 4
*** Cap. 4 - Quando meno te lo aspetti, qualcuno bussa alla tua porta ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 4 – Quando meno te lo aspetti, qualcuno bussa alla tua porta

In quell’istante, un trillo prolungato disturbò la nostalgica quiete facendo balzare il cervo che si dissolse nell’aria con un’elegante piroetta.

«Pronto?» disse frettolosamente Harry, dopo aver estratto dalla tasca del giubbino un aggeggio lungo e sottile. «Ovvio che sono io! Chi volevi che rispondesse? Merlino in persona?» Sbuffando leggermente, il moro alzò gli occhi al cielo e il suo volto si distese in buffe smorfie mentre mimava la parlata del proprio interlocutore. «Sì, esatto, sono a casa mia. Mi spieghi come fai a saperlo? Anzi, no. Lascia stare, ci conosciamo da così tanto che, ormai, penso di essere diventato prevedibile per te.» Annuì un paio di volte col capo, benché nessuno potesse vederlo. «Sì, sto bene… ok, a te non sfugge proprio nulla se ti basta sentire la mia voce per capire che ho pianto. Fai paura, sai?» Arrossì imbarazzato. «No, no, non ti preoccupare, mamma chioccia, sono illeso e torno tra un po’. Grazie.» Harry armeggiò velocemente sull’oggetto e se lo riaccostò all’orecchio riprendendo la conversazione con tono canzonatorio: «Ti ho offeso?» rise ascoltando la risposta con una ritrovata luce nello sguardo. «Comunque, per inciso, l’unica cosa che sconvolge veramente è sapere che un Purosangue come te sappia esattamente come usare un telefono Babbano. Attento! O i tuoi avi potrebbero rivoltarsi nelle tombe.» Rimase in ascolto ancora un attimo poi concluse la conversazione. «Sì, sto bene, davvero. Aspetta! Un’ultima cosa, di’ a Scorpius che non mi sono affatto dimenticato. Tu dillo e basta, per favore,» lo pregò.

Nel buio che si faceva avanti a gomitate, Harry allargò il sorriso, inspirando forte i profumi della sera. Gli facevano venire in mente il giardino d’inverno su cui si affacciava la sua camera, dove aveva vissuto negli ultimi anni, nel luogo dove una seconda – anzi terza – possibilità di rinascere gli era stata offerta.







«È per il tuo bene, Harry!» stava cercando di convincerlo Barkey, il Medimago a lato annuiva in sostegno, «ne va della tua salute mentale,» aveva aggiunto triste. «No, invece, credo che abbiate paura… paura di me!» l’aveva interrotto Harry, la voce ancora arrochita per i troppi abusi; lo sguardo sfuggente dell’Auror aveva confermato la sua supposizione. «Non prenderla su un piano personale,» aveva cercato di sviare l’uomo, prontamente interrotto dal moro infuriato. «Questo è un fatto personale!»

«Concordo con il signor Potter.» si era intromessa una voce femminile, avvezza a farsi rispettare. «Signora Malfoy,» aveva balbettato sorpreso Harry. «Suvvia, non mi guardi come se fosse appena apparso uno Snaso nel suo letto. Si renda utile e mi presenti a questi signori.» Harry, imbarazzato, si era tirato il lenzuolo fin sotto il naso, nel vano tentativo di nascondere il pigiama, e, mentre faceva le presentazioni, la donna, racchiusa in un ricercato abito nero, era entrata nella stanza. «Sono qui per darle un’alternativa, signor Potter, in cambio del prezioso aiuto che ha dato alla mia famiglia in passato. Non si agiti,» aveva interrotto sul nascere le proteste, «ho più di un motivo perché lei prenda in esame la mia generosa offerta.»

«Mi scusi, signora,» si era intromesso il luminare che, repentinamente, aveva distolto il volto da quello gelido di lei, «non ha ancora esposto i termini, ma credo debba tenere conto della gravità delle lesioni subite dal signor Potter, non solo nel corpo, ma soprattutto nella mente. Potrebbe nuocere a chiunque venga in contatto con lui.» Per dar credito a ciò che aveva appena espresso, si era tirato su la manica mostrando una serie di lunghi graffi e lividi lungo il braccio. «E questo è nulla rispetto a chi è stato colpito dalla sua magia involontaria,» aveva concluso ritirandosi in un angolo per sfuggire allo sguardo ferito di Harry. «Quindi, la vostra soluzione scientifica sarebbe Obliarlo?» L’uomo era arrossito furiosamente.

«Effettivamente, a primo acchito, detto così, potrebbe sembrare un metodo drastico. Non è che poi dobbiamo giustificarci con lei, ma la magia del signor Potter è troppo instabile. Insomma, le assicuro che è per il suo bene,» aveva farfugliato a disagio il Capo Auror. «Non ho alcun dubbio,» aveva asserito la donna, imperscrutabile nel suo portamento rigido.

Senza più degnare di uno sguardo gli altri due uomini, dopo essersi tolta con grazia i guanti neri, e frugato nella borsa coordinata, si era rivolta a un incredulo Harry: «Le offro la mia casa, le mie risorse e i migliori specialisti,» gli aveva allungato un paio di documenti, «oltre alla possibilità di poter vivere con il suo figlioccio.» Il moro aveva sgranato gli occhi, che divennero immediatamente lucidi di commozione mentre li scorreva sulle pergamene. «È morta?» si era limitato a chiedere, prima di chiudersi in un composto silenzio. «Mia sorella mi ha fatto giurare, sul letto di morte, che mi sarei presa cura del nipote congiuntamente a lei. E io onoro sempre la parola data.» L’aveva guardato con sfida, quasi si aspettasse che Harry la smentisse. «In fondo, non ha nessun altro posto dove andare.» A Harry era parso di cogliere una nota di perfidia.

«E Draco? » le aveva chiesto curioso guardandola in volto, notando solo ora le piccole rughe intorno alla bocca, la pelle spenta e affaticata. «Per il Draco bambino sarà come ricevere i regali di Natale in anticipo,» gli aveva risposto ambigua. «Per quello adulto, la possibilità di tornare a essere quel bambino. In ogni caso, il maniero è così vasto che potrebbero passare giorni prima che vi incrociate. Anche solo per caso,» l’aveva guardato con sufficienza, aspettando la sua reazione. «Davvero?» aveva balbettato incredulo il moro; anche gli altri due uomini accanto erano rimasti impalati con la bocca spalancata. «No!» aveva risposto secca, le labbra perfettamente laccate piegate nel suo primo sorriso, sebbene di circostanza. «Ma i vari impegni di ognuno di noi ci terranno abbastanza occupati da rendere difficile qualsiasi interazione durante le giornate; per la cena, invece, esiste da tempi immemori l’obbligo di presenziare.» Harry aveva sorriso con uno di quelli veri che illuminavano gli occhi di spensieratezza e sollievo, piegando il capo in segno di accettazione.

«Perfetto, signori, non mi aspettavo nulla di diverso. Tornerò con il signor Zabini, per formalizzare il tutto, e con dei luminari per approfondire alcuni aspetti clinici sulla sua salute, signor Potter. In quanto a lei, signor Barkey, se mi vuole precedere nel suo ufficio, avrei qualche dubbio da esporle sulle restrizioni magiche e eventuali modifiche da fare alle già consistenti misure di sicurezza adottate dalla mia famiglia. Buon proseguimento di giornata.» Dopo aver accennato a un saluto con il capo, era uscita in corridoio, lasciando dietro di sé tre uomini sbigottiti.





Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Buona lettura.

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Capitolo 5
*** Cap. 5 - Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller





Cap. 5 – Quando chi ti circonda acquista un valore aggiunto



Il suo trasferimento al Manor si era svolto senza particolare emozione, nel più totale riserbo. Non un gufo, non una parola spesa su nessun giornale magico. Gli era stata assegnata una stanza, anzi, quando era riuscito ad alzarsi da solo dal letto, aveva compreso che in realtà era un piccolo appartamento ubicato in fondo a un lungo corridoio nell’ala più estrema dell’edificio. Per accedervi, bisognava attraversare una specie di ‘velo impalpabile’, – Harry era più certo che fosse una Passa-porta sotto mentite spoglie che lo spedisse dritto dritto dall’altra parte dell’Inghilterra. – atto, secondo la signora Malfoy, a preservare i suoi beni dagli sfoghi della magia involontaria.

«Non le basterebbe l’eternità per ripagare i danni,» gli aveva detto come nota di benvenuto, «si goda il soggiorno. Verrò a farle visita ogni mercoledì alle sedici in punto, per accertarmi dei suoi progressi. Un’ultima cosa, fino a nuovo ordine è esentato dal presenziare alle cene,» aveva aggiunto sorridendo sdegnosa.

L’inizio, non era stato per nulla facile, in quella casa si era sentito un intruso, un peso da sopportare per obbligo. Nonostante avesse accettato, non riusciva a comprendere appieno perché la signora Malfoy, Narcissa quando entrava nella sua stanza, si fosse presa il fardello di curarlo; in fondo, se suo marito era morto ad Askaban, un po’ la colpa era anche sua. Tra quelle mura aveva sperimentato il peggio di sé e ciò che di più pericoloso la sua magia potesse fare.



I Medimaghi avevano compreso fin da subito che l’umore del moro era intrinsecamente collegato all’instabilità della sua magia. C’erano stati giorni in cui il cielo aveva scaricato in terra dosi massicce d’acqua e fulmini, altri in cui i prati circostanti si erano imbiancati in pieno agosto. Le fondamenta avevano rischiato più volte il tracollo quelle notti in cui, per Harry, era stato difficile distaccarsi dal crudo sogno e piombare nella disperata realtà. Alla fine, con estrema pazienza, si era creata una sorta di ‘monotona quotidianità’ perché, come soleva dire il dottor Lethargie Taubheit: «Sono le abitudini i punti cardini della solidità mentale.»

Pian piano, come la goccia che corrode le pareti della grotta, lo psicologo aveva dipanato la matassa aggrovigliata del passato di Harry, costringendolo a venire a patti con il proprio io interiore, a riappacificarsi con i propri fantasmi. Non aveva lasciato nulla al caso, rischiando spesso di venir trucidato. Con infinita pazienza, era riuscito a insediarsi nel cuore del moro, divenendo un punto fermo, un appoggio su cui contare. «La Vita è una scala infinita; se uno dei pioli cede, puoi sempre cambiarlo. Non importa se avrà un ruolo importante, o se sarà solo una comparsa, ogni gradino sostituito ti aiuterà nel tuo cammino.» Gli aveva sciorinato il dottore un pomeriggio nebbioso, mentre Harry sedeva imbronciato perché si rifiutava di riconoscere che si stava affezionando alla famiglia che l’ospitava.







La prima volta, a Teddy, era stato dato il permesso di andare a trovarlo solo quando non aveva avuto incubi per due notti consecutive. Harry, dopo aver stretto al petto il bimbo, l’aveva fatto sedere tra le coperte stropicciate; in mano teneva un libretto di fiabe Babbane tutto pasticciato, da cui non si separava mai. Pazientemente, sotto l’attenta sorveglianza di un’elfa, aveva fatto del suo meglio per non far sentire a Teddy la mancanza della nonna.

«Davvero la nonna è andata via?» aveva pigolato con la sua vocina acuta. «Davvero, davvero? È colpa mia? Sono stato cattivo?» Grossi goccioloni avevano preso a scendere sulle sue guance rosate. «Tieni,» allarmato, gli aveva allungato il libro, «se lo ripulisci, poi lei torna?»

Harry aveva scosso il capo, gli occhi colmi di tristezza, baciandolo tra i capelli color pece. «No, Teddy, la nonna è partita per un lungo viaggio e noi non la rivedremo per molto tempo,» gli aveva sussurrato, le labbra premute contro la piccola testa.

«Ma perché io sono qui? Non mi vuole più bene? Ha trovato un bambino più buono di me?» aveva biascicato tra i singhiozzi.

«No! No! No! Questo non devi pensarlo, mai!» si era affrettato a smentire Harry. «Lo sai com’è la nonna, deve sempre sapere tutto. Le hanno parlato di questo posto meraviglioso, molto, molto lontano da qui, ma, prima di poterti portare, è andata lei stessa a controllare se effettivamente è bello come dicono. Immagina se tu vai lì e poi non ti piace, non puoi certo tornare indietro, no?» Teddy aveva scosso la testa dubbioso, tirando su con il naso; Harry, sorridendo triste, gli aveva pulito il volto ancora sconvolto dal pianto.

«Facciamo così, intanto che lei non c’è, noi stiamo qui, in questa grande casa assieme a tua zia e tuo cugino, in attesa che lei torni. E, quando lo farà, noi saremo pronti con le braccia spalancate e tutti i baci che avremo conservato solo per lei. Che ne dici? Ti pare un buon piano?» Harry aveva aspettato il suo timido sorriso, prima di sospirare e riaccomodarsi contro il cuscino. Non si era accorto che, nascosti dall’ombra dell’uscio della camera, stavano fermi i due Malfoy.

La mattina dopo, il sonno agitato di Harry era stato interrotto dallo scalpiccio lungo il corridoio, appena fuori dalla porta. L’uscio si era spalancato e Teddy era entrato tenendo stretto al petto un lungo telo nero, dall’aria pesante. Nella fretta di raggiungere il letto a ridosso del camino, era più volte inciampato nello strascico che si imbrigliava nelle gambe corte. Harry aveva sorriso davanti all’esuberanza del piccoletto, mentre si passava veloce una mano sul volto stanco, quasi a scacciare i rimorsi che la vista di Teddy avevano evocato.

«Ma cosa?» aveva bofonchiato al bambino.

«L’ho trovato in fondo al letto, è un regalo della nonna, sai,» gli aveva risposto Teddy mentre, con gesti reverenziali, gli occhi luminosi di gioia, stava lisciando il tessuto che aveva steso sulle coperte sfatte.

«Ma come?» si era ritrovato a richiedere incredulo a Draco, sopraggiunto in quel momento.

«Eloquente come al solito, Sfregiato.» I due uomini si era guardati in cagnesco, sillabando un’infinità di impropri sopra la testa del più piccolo, quasi fossero ancora due studenti a Hogwarts.

«Guarda, Harry,» aveva strillato tutto eccitato il bambino, attirando l’attenzione del più grande. «Si è illuminato!» Infatti, sul tessuto nero era appena apparso un vistoso cuore color ciliegia. «La zia mi ha detto che se bacio il cuore si accende,» aveva iniziato a spiegare indicando il disegno, dondolandosi sulle gambe, «poi lui entra nel sacco in attesa che la nonna lo riprenda.» Aveva alzato il viso e il suo sorriso fiducioso aveva stretto in una morsa quello più arido di Harry, quasi a voler sgretolare il ghiaccio che lo circondava.

«Guarda,» aveva alzato il lembo finale, leggermente gonfio, per mostrarlo al padrino, «ce ne sono già cento! Due sono della zia e uno di Draco, tutti gli altri sono miei,» aveva aggiunto tutto orgoglioso gonfiando il petto. A lato, il biondo aveva tossito imbarazzato mentre Harry lo guardava a bocca spalancata, sfregando tra le dita callose il sacco.

«Allora, devo rimediare subito!» aveva esclamato, prima di passare all’azione e avvicinare alle labbra il disegno stampandoci sopra un’infinità di baci; Teddy aveva riso deliziato.

«Mi dispiace interrompere questo idillio,» si era intromesso sarcastico Draco, «ma abbiamo fatto un patto, tu e io.» Mentre parlava aveva agitato minaccioso il dito davanti al viso del bambino che, prontamente, aveva abbassato il capo fintamente contrito. Gli occhi di Teddy, con un guizzo veloce, avevano sbirciato quelli complici di Harry che, per non scoppiare a ridere, di fronte all’espressione soddisfatta del biondo, si era immediatamente messo una mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso malandrino.

«Scusa Draco,» stava appunto dicendo mesto il più piccolo, «ora saluto Harry e torno di là.» Poi, aggrappandosi al collo del padrino, gli aveva stampato sulla guancia un rumoroso bacio. Draco, che stava tenendo l’uscio spalancato, aveva alzato gli occhi al cielo stizzito.

«Sbrigati, non sono il tuo elfo domestico!» aveva cianciato oltraggiato. Nella stanza era scoppiata una fragorosa risata.

«Grazie,» aveva sussurrato Harry, nell’istante in cui Teddy si era infilato sotto il braccio del biondo per poi venire inghiottito dal buio del corridoio, portandosi dietro il suo prezioso tesoro, «lo apprezzo molto.» Draco aveva alzato le spalle impassibile. «Dico sul serio,» si era schernito il moro. «Dimmi una cosa, chi ha avuto l’idea di usare il mantello dei Mangiamorte per fare il sacco?» Le guance infiammate del biondo avevano parlato da sole.

«Non pensavo te ne accorgessi. È un problema per te?» aveva sbuffato altezzoso, per poi rasserenarsi al diniego del moro; senza aggiungere altro, era uscito impettito dalla stanza.



Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.



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Capitolo 6
*** Cap. 6 Amici serpenti o era parenti serpenti? ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!



Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller





Cap. 6 – Amici serpenti o era parenti serpenti?



Harry era rientrato inviperito nella sua stanza, sbattendo la porta per enfatizzare il suo stato d’animo. «Come si permette quel burocrate da quattro Zellini di fare certe insinuazioni!» Fuori, oltre la vetrata, grossi chicchi di grandine stavano devastando il grazioso giardino d’inverno – orgoglio passato della bis-bis-nonna del defunto Lucius Malfoy – mentre fulmini accecanti, accompagnati da tuoni impetuosi, stavano dando il meglio di sé. Harry, illuminato da quel travolgente spettacolo, si era rannicchiato, con le mani strette tra i capelli scuri, nell’incavo soffice della poltrona, la fronte aggrottata e gli occhi furiosi.

«Non abbiamo ancora finito.» In quel mentre, l’avevano raggiunto Barkey, con l’espressione più dura del proprio repertorio, e il ‘burocrate-incaricato-dal-Ministero-a-ravanare-nella-testa-di-Potter’, tronfio del suo mandato. «Lo so che è snervante, Harry, ma è importante,» aveva sospirato il Capo Auror davanti al palese rifiuto del moro di collaborare.

«Non metto in dubbio l’utilità di sottopormi alla Legilimanzia, sono giorni che lo fate, ma il motivo per cui quel ‘tizio’,» aveva ringhiato Harry all’indirizzo dell’altro uomo, «pensa che sia necessario.» Barkey si era passato nervosamente la mano dietro il collo, stirando i muscoli indolenziti, senza perdere di vista ogni mossa del moro, preoccupato che perdesse di nuovo il controllo.

«Signor Potter, non faccia la vittima,» si era intromesso il funzionario, uomo di poche parole ma assai deleterie, «grazie a Merlino, non mi guadagno da vivere correndo presso a lei, quindi la smetta di piagnucolare e riprendiamo da dove si è interrotto.» Barkey, prontamente, si era posizionato tra i due uomini, bacchetta alla mano.

«Esca immediatamente!» aveva urlato Harry mentre i vetri della finestra esplodevano all’unisono; l’impiegato, allarmato, ebbe la decenza di retrocedere di un passo.

«Reparo! Sottile come tuo solito, Potter.» aveva strascicato Draco, arrivando in quel momento; accanto a lui Blaise Zabini, era come sempre impeccabile nel suo abito gessato.

«Scusate,» gli era andato incontro il burocrate, braccia rigide lungo i fianchi e sguardo glaciale, «non vi è permesso assistere.»

«Invece, devo dissentire,» l’aveva interrotto Zabini. «Sono il magi-avvocato del signor Potter, a fronte di un nuovo sviluppo della causa, che rappresento a nome del mio assistito, mi è permesso presenziare. Ecco qui tutto l’incartamento, non manca nulla, nemmeno la firma in calce del Primo Ministro.» L’uomo aveva corrugato pensieroso la fronte mentre faceva scorrere lo sguardo sulle pergamene, quasi si aspettasse di leggere un rimprovero.

«Perfetto, le fiale con i ricordi sono custodite in quella cassa,» aveva indicato una sedia sulla sinistra per poi spiegare in tono pratico, «siamo riusciti a retrocedere fino ai giorni prima del matrimonio e ci apprestavamo a osservare il momento del fidanzamento. Abbiamo trovato delle incongruenze con altri ricordi già in nostro possesso e volevamo essere certi, prima di trarre un profilo definitivo.» Harry aveva ricominciato ad agitarsi ringhiando come un cane bastonato.

«Sfregiato!» aveva esclamato sprezzante Draco, attirando l’attenzione del moro su di sé. «Contieniti; ho dovuto allontanare Teddy e soprattutto Astoria, e tu sai bene quali sono le sue condizioni.» Il suo volto era rimasto impassibile e, nonostante tutto, i presenti avevano ben colto l’implicita minaccia. Da sempre, la voce tagliente del biondo era stata un deterrente per Harry, un punto focale su cui sfogare la propria esuberanza. Così, si era ritrovato a serrare i denti mentre, pian piano, non distogliendo lo sguardo verde da quello glaciale dell’altro, era riuscito finalmente a rilassare le spalle, quasi fosse sotto incantesimo.

Fuori, la tempesta era svanita in un lampo, e il sole, apparso nel cielo, sembrava essere stato evocato direttamente dall’inferno, tanto si era surriscaldata l’atmosfera nella stanza.

«Signor Potter, possiamo procedere?» Il funzionario si era avvicinato al letto dove il moro si era sdraiato, il volto al soffitto e le mani incrociate dietro la nuca. Harry l’aveva guardato con sufficienza.

«Sono certo che si sbaglia,» aveva detto lapidario, «si renda pure ridicolo.»

«Vedremo,» aveva risposto prontamente l’uomo.

«Totalis Sententia1!» aveva esclamato a gran voce il Capo Auror.

Immediatamente, l’atmosfera era diventata più cupa, quasi gelida, e tutto il calore si era condensato in una nuvola densa e grigia. La luce si era scissa in mille scintille, intrecciate tra loro con fili di fumo nero, che vorticavano sempre più violentemente finché il tutto non era imploso su se stesso. Al centro del nulla, pian piano, nel più totale sbigottimento di chi stava vedendo per la prima volta l’efficacia dell’incanto, un bagliore azzurrino aveva preso forma ricreando nell’aria volti, odori, sensazioni.





«Congratulazioni! Complimenti! Facciamo un brindisi!» Harry e Ginny, circondati da amici e parenti, stavano festeggiando il loro fidanzamento nella sala privata di un noto ristorante di Diagon Alley. Lei era raggiante, fiera e orgogliosa, come solo una donna che aveva tanto aspettato poteva essere. Lui, invece, era imbarazzato, quasi soffocato da tutte quelle attenzioni.

«Forza Harry, vogliamo il discorso,» aveva gridato qualcuno tra i commensali, il moro si era limitato a sorridere e scuotere la testa alzando il calice per un nuovo brindisi.

La serata stava volgendo al termine quando Harry, uscendo dalla porta del bagno, si era guardato attorno perplesso, impalato davanti all’uscio. Grattandosi distratto il collo, aveva fatto un paio di passi incerti verso gli amici per poi voltarsi repentino verso le cucine, quasi che un filo invisibile l’avesse strattonato. Aveva avvertito distintamente la sensazione di pericolo gelargli la schiena.

«Ehi, amico, cosa ti turba? Qualche ripensamento? Potrei ucciderti per questo, sai?» Ron si era intromesso tra lui e la visuale del retro del ristorante proprio quando una figura era scivolata lungo la parete per poi venire inghiottita dalle ombre.

«Ho l’impressione che ci sia qualcuno che non dovrebbe essere qui,» aveva risposto all’amico, senza smettere un secondo di guardarsi in giro preoccupato.

«Quanto sei paranoico, Harry! Vabbè che hai vinto il premio come miglio Auror dell’anno, ma adesso esageri! Chi vuoi che sia così pazzo da pensare di potersi mettere contro di loro,» aveva indicato la sala gremita di gente, mentre gli poggiava il braccio intorno al collo in un goffo abbraccio.«Goditi il momento,» poi l’aveva trascinato con sé.

«Imperio!» aveva sibilato sottovoce qualcuno: gli occhi di Ron erano diventati vacui mentre con estrema lentezza estraeva la propria bacchetta.





Improvvisamente la visione idilliaca aveva iniziato a sciogliersi diventando un grumo nero.

«Non riesco più a tenere l‘incantesimo attivo!»

Dal nulla, era apparsa la figura sfocata di Barkey piegata verso Harry, ambedue le mani serrate sulla bacchetta, il volto una maschera tesa e concentrata. Il funzionario, che per tutto il tempo si era tenuto in disparte, pronto a imbottigliare il ricordo, aveva diretto la propria bacchetta verso Harry che, seppur ancora legato all’incantesimo, si stava agitando furiosamente cercando di liberarsi. «Stupefi…»

Un cuscino era mollemente atterrato sul braccio dell’uomo, giusto il tempo per distrarlo; dal suo angolo, Blaise Zabini lo stava trafiggendo con uno sguardo di fuoco.

«Incompetente ‘mezza-bacchetta’2,» Draco aveva sibilando tra i denti con scherno, «ci vuoi tutti morti?» In due falcate aveva raggiunto il letto e posizionato ambedue le mani sulle spalle di Harry nel tentativo estremo di tenerlo fermo. «Potty, stupido Troll, guardami!» Harry, apparentemente in trance, fece come gli era stato chiesto piantando le sue iridi furiose in faccia al biondo.

«Locomotor Mortis,» aveva sussurrato velocemente. Tra le dita diafane era apparsa, evocata non verbalmente, la bacchetta di Crine di Unicorno e Biancospino. In quell’istante, la magia di Harry aveva avuto un brusco arresto, accarezzata e ammaliata da quella di Draco.

«Presto, Blaise, preleva due gocce di Bevanda della Pace dalla fiala blu sulla mensola in bagno.» Intanto Harry, aveva smesso di agitarsi ma il respiro era rimasto alquanto affannato. Silenzioso come una faina, Zabini si era affiancato al biondo per passargli ciò che gli era stato chiesto. «Con queste dovrebbe rimanere calmo, almeno fino alla completa visione del ricordo. Dim Visum3,» aveva farfugliato, arrossendo appena; una bolla opaca aveva preso forma intorno alla testa del moro.

«“Occhio non vede, cuor non duole4,» aveva motteggiato per giustificarsi, imitando perfettamente la voce della Umbridge, «così dopo avremo tutto il tempo per spiegargli con calma cosa è successo.»





«Harry, vieni qui,» aveva urlato allegramente la signora Weasley dall’altra parte del tavolo, «fatti abbracciare. Noi vecchi andiamo,» l’aveva stretto così forte che Harry era sicuro di aver percepito incrinarsi almeno due costole, «lasciamo spazio ai giovani.» Dietro di lei il marito stava assentendo, con gli occhi lucidi di commozione, dando pacche generose sulle spalle del futuro genero.

Ron, intanto, si era spostato sul fondo della sala, dando le spalle ai commensali, la testa piegata in avanti. Era rimasto fermo lì diversi istanti, tra le ombre spettrali della notte che stava bussando ai vetri delle finestre. Poi, sussultando, era indietreggiato appena; intorno a lui la festa stava continuando tra canti, balli e grasse risate.

«Ron, ehi, Ron!» l’aveva chiamato Charlie, sbracciandosi come la Piovra Gigante. «Noi mangiamo la torta. Se non vieni subito, finirà prima che tu riesca a dire Quidditch!» Il rosso si era girato di scatto, aveva raggiunto gli amici e si era fermato accanto a Hermione, la bacchetta sempre ben salda nella mano.

«Un ultimo brindisi, forza amici, in onore dei vecchi tempi,» aveva gridato con voce un po’ impastata.

«Fallo ora! Fallo ora!» aveva bisbigliato trasognato, mentre puntava tremante la bacchetta verso la schiena di Harry. «Poord-hing.»

Proprio in quell’istante, Neville, un po’ brillo, inciampando nei suoi stessi piedi, aveva urtato Harry che, finendo addosso a Ron, aveva deviato il percorso del raggio. Ginny, inconsapevole vittima, era stata investita da una lieve luce violetta che, nella confusione, era passata totalmente inosservata.

Una figura curva, avvolta in un pastrano blu, ai confini della visuale del ricordo, aveva imprecato con un forte accento russo:

«Stupido Nogtail5! Oblivion! Finite Incantatem.» Prima di dissolversi in una nube nera, il suo volto era stato illuminato brevemente dalla debole luce di un lume.





In un silenzio tombale, la visione si era accartocciata su se stessa fino a ridursi a un filo azzurro. Un secondo prima che sparisse, il burocrate l’aveva attirata all’interno di un’ampolla, che aveva prontamente sigillato.

«Blaise, il ricordo è chiuso nella fiala?» aveva chiesto con urgenza Draco; Barkey, rinfoderata la bacchetta, era subito andato in soccorso di Malfoy.

«Sì! L’ho presa in custodia,» aveva risposto mentre la poneva insieme alle altre nell’apposito contenitore. Draco aveva annuito concentrato, tormentando indeciso il labbro inferiore.

«Bene, Tempus Dissimulans6.»La magia scaturita dalla sua bacchetta aveva circondato Harry, sollevandolo appena sopra le lenzuola, colorando il corpo di rosso acceso.





Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.

1Visione totale in latino. Ho pensato che fosse più pratico far ‘vedere in diretta’ i ricordi, come al cinema per intenderci, piuttosto che estrapolarli uno a uno e successivamente visionarli nel pensatoio. In un indagine il tempo è prezioso.

2l’equivalente in italiano del nostro ‘mezze-maniche’.

3Oscurare vista – dal latino. Inventata da me. In pratica impedisce a Harry di vedere il ricordo ‘proiettato’ in quel momento, non solo con gli occhi, ma anche di non visualizzarlo nella sua testa.

4È una rivisitazione romantica – se vogliamo – del pensiero della Umbridge espresso nel quinto libro quando, dopo aver catturato Harry e combriccola, nel suo studio decise di voler cruciare Potter per carpire i segreti di Silente. Difatti, nascose la fotografia del Primo Ministro per non far vedere il suo intento. Ovviamente Draco era presente.

6Occultare temporaneo in latino. Incantesimo inventato da me.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 - Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 7 – Il destino di un uomo è vergato fin dal ventre materno



Il sole aveva raggiunto il suo apice quando Harry uscì dalla sua stanza in cerca di Draco. Quella mattina aveva ricevuto, nascosta tra le pieghe del giornale, una lettera di Hermione. Erano passati poco più di due anni dall’ultima volta che aveva visto, o soltanto sentito, i membri della sua famiglia. La signora Malfoy gli aveva spiegato che c’era in corso un processo perché i Weasley non avevano accettato la versione del Ministero in cui veniva dichiarata accidentale la morte di sua moglie. Di certo, Harry non aveva potuto biasimarli. Ma vi era qualcosa in quella lettera, un dolore che traspariva dalle parole scritte contro di lui, che l’aveva stupito e, allo stesso tempo, lasciato perplesso.



“…Non credere che non sappia che è solo una sordida macchinazione, Harry, un modo subdolo e crudele per scampare al tuo destino…

«Ma di quale destino stava parlando?»

“…Sei una creatura orrenda, come puoi permettere che un onesto padre di famiglia finisca ad Azkaban al posto tuo? Come puoi anche solo pensare che io possa ritenermi tua amica? Che possa essere fiera di aver condiviso una parte della mia vita…

« Azkaban?»

“…So tutto sull’uso improprio dei ricordi, su come si possano manipolare. E i tuoi sono solo carta straccia…

«Ricordi? I miei ricordi stavano bene, l’ultima volta che ho controllato.»



Eppure, nel momento stesso in cui aveva cercato di visualizzare il volto dell’amico, Harry si era piegato in due dal dolore. Fitte lancinanti avevano preso vita all’interno della testa, facendogli vedere il mondo a pallini neri. Il cuore aveva preso a battere furioso, corroso dall’ansia di non riuscirci e dal dubbio che Hermione avesse ragione. Dentro di sé, la magia stava vagando inquieta per mantenere una parvenza di equilibrio, indirizzando i pensieri di Harry altrove. Seccato e impotente, stringendo tra le dita la lettera, aveva attraversato il corridoio che lo separavano dal resto della casa, pestando i piedi in terra come un moccioso.

L’atrio, solitamente luminoso, sembrava un’anonima sala di un mausoleo, con tutti quei fregi sporcati dall’ombra; Harry aveva girato su se stesso un paio di volte, indeciso se fiondarsi prima nella biblioteca o raggiungere lo studio privato di Draco salendo l’ampia scalinata. Presa una decisione, cautamente, tenendosi ancorato al corrimano, era andato al piano di sopra. Stava per bussare alla porta in noce quando tutti i suoi sensi si erano allertati. Si era voltato e, socchiudendo gli occhi miopi, aveva scrutato tra le pieghe della luce che filtrava dai tendaggi delle ampie finestre. Nel silenzio più assoluto, da qualche parte oltre il buio delle scale, gli era parso di sentire un fruscio, lieve come un sospiro.

Qualcosa, forse l’istinto non ancora assopito dell’Auror che albergava in lui, lo stava trascinando verso la semi oscurità dove era ubicato l’appartamento privato del padrone di casa. Poco più in là, investita dalla luce accecante del sole proveniente da un uscio spalancato, una figura avvolta in un lungo mantello nero era rannicchiata in terra. Sotto di lei, una pozza vermiglia si stava schiudendo come una rosa appena baciata dall’aurora. Harry si era subito inginocchiato, riconoscendo in lei Astoria, la moglie di Draco. Con delicatezza, le aveva voltato il capo e scostato i lunghi capelli chiari dalla fronte di un pallore cadaverico. Stava respirando a fatica, rantolando parole senza senso, ma la presa che l’aveva stretto al polso era stata tenace, quasi disperata. I suoi occhi erano liquidi di dolore, di una consapevolezza che gli aveva stretto il petto in una morsa ferrea.

Harry non aveva la bacchetta, gli era stata portata via dalla signora Malfoy quando aveva varcato per la prima volta la porta di quella casa, ma la sua magia fremeva per essere liberata. Non v’era tempo per ragionare, pianificare, bisognava agire: il viso della donna era diventato paonazzo e le dita si erano chiuse a riccio sulla veste da camera del moro.

In fretta, aveva strappato le vesti fino all’altezza del ventre gonfio e duro di Astoria e, ingoiando la propria vergogna, le aveva gentilmente spalancato le gambe, intrufolando le mani tra le cosce umide di sangue. Vagamente isterico – nella testa scorrevano immagini di un documentario visto anni addietro a casa degli zii – aveva cercato di portare conforto alla donna raccontando, in modo approssimativo, ciò che si apprestava a fare. Erano stati momenti concitati, febbrili finché, dopo quelli che gli erano parsi secoli, si era ritrovato tra le braccia un piccolo esserino viscido di sangue. Con immensa cura, l’aveva avvolto nel mantello della donna facendo apparire la culla che apparteneva da generazioni alla famiglia Malfoy, vi aveva adagiato il corpo e, la sua magia, l’aveva rinchiuso in una teca riscaldata, come quelle Babbane viste in quel lontano giorno.

Una volta certo che il bambino fosse al sicuro, si era dedicato alla donna che, ormai stremata, lo stava guardando riconoscente. Era stato a quel punto che, preso dal panico, aveva urlato il nome del suo elfo personale. «Wagner!» all’apparizione dell’esserino, senza lasciargli il tempo di fare altro, l’aveva spedito a cercare aiuto. Pochi istanti dopo, Astoria aveva rilasciato il suo ultimo respiro: «Prenditi cura di Draco e sii un buon padrino per Scorpius, come lo sei per Teddy.» Con ancora l’ombra di un amorevole sorriso sulle labbra pallide, la donna l’aveva lasciato da solo a piangere lacrime amare.

Più tardi, la stessa sera, mentre svogliatamente stava rigirando la forchetta nel pasticcio di carne, Draco si era presentato alla sua porta. «Mi spiace,» si era affrettato a dirgli mestamente senza avere il coraggio di guardarlo, «avrei dovuto salvare entrambi.» Il biondo era rimasto a lungo fermo sull’uscio, lo sguardo assente rivolto alle vetrate irrigate dalla pioggia battente. Poi, a grandi falcate, si era diretto verso un mobile incastrato nel muro, l’aveva spalancato e si era versato una dose generosa di un liquore pastoso, il cui aroma zuccherino gli aveva fatto storcere il naso.

«Si era affezionata a te,» Harry aveva sussultato sorpreso quando Draco si era finalmente deciso a parlare, «e, contro la mia volontà, ti ha nominato padrino di mio figlio,» i suoi occhi erano diventati scuri dal disappunto. «Un Grifondoro che si prende cura di un Malfoy? Giù in galleria, i ritratti dei miei antenati si staranno strappando i capelli!» aveva detto oltraggiato. «Che sarà mai,» gli aveva risposto a tono Harry, l’ombra di un sorriso a sporcare la malinconia, «Teddy è cresciuto bene, no? Un vero Black, malandrino al punto giusto.» Draco aveva arricciato il naso, posando il bicchiere su un vassoio apparso dal nulla.

«Non saresti stato in grado di salvarla,» il moro aveva guardato con stupore il volto pallido dell’altro, piegato in una amara espressione, mentre cercava di tenere un tono di conversazione blando. «Passeggiava per Diagon Alley con sua sorella quando qualcuno l’ha urtata facendola ruzzolare malamente in terra,» Harry aveva trattenuto il fiato, una mano callosa a coprire la bocca spalancata, sapendo bene la difficoltà di quella gravidanza e la fragilità della donna. «Daphne, vedendola sparire sotto ai propri occhi, ha pensato che si fosse smaterializzata al San Mungo, invece, come ben sappiamo, è venuta qui. L’ultima cosa che ricorda, oltre al terrore e all’angoscia negli occhi della sorella, è stato il tuo nome, bisbigliato da Astoria prima di scomparire. Lei sapeva, anzi, lei era certa che saresti stato in grado di salvare nostro figlio.» Draco si era voltato bruscamente, le spalle incassate e lievemente tremanti, il capo chino. Eppure era stato con tono fermo che aveva affermato: «Ti dobbiamo molto ed è per questo che, tra una settimana, una cerimonia ufficializzerà la tua entrata nella nostra famiglia come padrino di Scorpius. E che Salazar non mi maledica,» aveva bisbigliato prima di uscire impettito dalla stanza.





Fuori dalla finestra, il primo spicchio di luna splendeva quieto nella notte che avanzava. Harry si girò inquieto e, nel muovere il braccio, urtò il telefono accanto, che iniziò a brillare di una luce sfocata. «Non avrò mai il coraggio di guardarti in faccia e confessarti che ho avuto una specie di cotta per Astoria,» disse il moro al nulla, le guance arrossate dall’imbarazzo. «Era così speciale, diversa da qualsiasi donna abbia mai conosciuto,» sospirò passando le dita tra i capelli ricci. «Mi piacque fin da subito perché dimostrò di avere molta pazienza nei miei riguardi, non mi giudicò mai. Sedeva lì, davanti alla scacchiera, la fronte graziosamente aggrottata e la mano delicata a sostenere il viso. Non ha mai abbassato lo sguardo, davanti a me, nemmeno quando mi ha confessato candidamente che tu non l’amavi.» La voce del moro si fece più sottile.

«Un pomeriggio se ne era uscita dicendo: “Ho un rammarico, Harry, a mio figlio mancherà confrontarsi con un Potter. Dovrò rimediare.” Io l’avevo guardata stralunato, come se all’improvviso le fosse cresciuta un’altra testa. Credo fu in quel momento che decise che, volente o nolente, avrei fatto parte della famiglia.» Harry teneva gli occhi malinconici fissi su una macchia scura del soffitto.

«Era molto intelligente, versatile direi, colta e aperta a ogni cambiamento. Mi manca, sai? Passavamo ore a discutere su qualsiasi argomento ci venisse in mente e dalle sue labbra spuntava sempre il tuo nome. Ti intrufolava in ogni discussione,» Harry rise al ricordo, sebbene a quei tempi ne fosse un po’ geloso. «Ora che ci penso, sembrava quasi che avesse fretta,» ragionò il moro poco dopo, «come se parlare continuamente di te, in qualche maniera, creasse un legame. Ti ho visto con i suoi occhi e mi sei piaciuto, Draco. Così diverso dal ragazzino indisponente di Hogwarts, dal ragazzo messo all’angolo dalle proprie responsabilità, dall’uomo forgiato su stampo Malfoy. Mi ha mostrato quella parte nascosta di te che ho solo potuto intuire, attraverso le microscopiche attenzioni con cui ti sei preso cura di me. Per amore di due donne, e per motivi diversi, siamo stati entrambi fortunati, perché se ora siamo ciò che siamo lo dobbiamo principalmente a loro, Draco,» il moro si stiracchiò la gamba, grattandosi distratto un orecchio.

«Ti ha amato più di se stessa, Draco. Era convinta di non essere all’altezza delle tue aspettative, benché tu l’avessi sposata, per questo ha voluto avere un figlio, nonostante la gracilità del suo corpo. Era l’unico modo con cui credeva di renderti fiero di lei. Voleva essere certa che tu la ricordassi e magari, un giorno, riuscissi ad amarla un po’ attraverso il vostro bambino.»

«Le devo molto, più di quello che sono in grado di ammettere,» disse mesto. «È stata lei, complice tua madre, a farmi prendere atto dello stato della mia magia e, subdolamente, a fare in modo che ciò mi giovasse.»

«Un giorno, con una scusa, mi avevano trattenuto al tavolo appena finita la cena e, senza peli sulla lingua, Astoria mi aveva detto che era di nuovo incinta. Sapevo, perché Narcissa mi aveva accennato qualcosa, che aveva avuto dei precedenti aborti, quindi mi supplicò. Capisci? Mentre tua madre mi squadrava con occhi glaciali, lei mi implorò di porre rimedio ai miei sbalzi d’umore, come se a quel tempo ne fossi capace. Mi hanno fatto sentire un verme, un piccolo scarafaggio sfuggito alla ciabatta. Poi, come se nulla fosse, se ne erano uscite dicendo che avevano bisogno di un manufatto, un oggetto pregno di Oscurità al limite della legalità. Immagina la mia faccia, cioè, la mia solita faccia ebete ma alla massima potenza,» Harry rise, ancora incredulo dell’audacia delle due donne.

«Avevano preteso che incantassi loro un orologio da taschino, una preziosissima cipolla appartenuta a Enrico VIII1. Nel frattempo, avrei anche dovuto perfezionare il precario equilibrio delle lancette. E l’ho fatto, per Salazar, e, mentre mi tenevo impegnato nei passaggi più minuziosi della ricostruzione dell’orologio, la magia si assopiva. Dopo quello, che appresi in seguito essere un regalo destinato a te, mi avevano proposto altri oggetti e sempre più complessi. Ora ho avviato una piccola attività: la NarRia2 per l’appunto.»

In quel momento, la casa era immersa nel buio, come unica luce il bagliore lattiginoso del telefono. Harry sospirò, conscio che quella piccola confessione era arrivata anche a Draco, suo personale tormento.

«Draco, Astoria mi ha voluto nella vita di Scorpius e io, in nome dell’affetto che è stata in grado di suscitare in me, non posso e non voglio venir meno a questo impegno. È un bambino in gamba, e un po’ invidio il tuo status di padre. In un altra vita magari anch’io ne avrei avuti un paio, anzi tre. Sì, tre mi sembra il numero perfetto. Invece mi ritrovo a mendicare alla tua porta, a elargire attenzioni a un figlio che non è mio.»

«Sono patetico, vero?» Harry si asciugò con rabbia una lacrima solitaria.

«Non hai idea della bolla di calore che scoppia nel mio cuore quando, con quella sua vocina pallida, mi chiama ‘tioai’. Oppure, quando assonnato mi sussurra ‘tioioene’, un attimo prima di infilarlo sotto le coperte. Non immagini neanche l’amore che provo quando, tutto impettito, si pavoneggia davanti a te mentre indossa la mia sciarpa rosso-oro. Devo aggiungere che poi, in gran segreto, ridiamo delle tue facce buffe.» Harry borbottò tra i denti, le labbra piegate in un vago sorriso.

«Non vado da nessuna parte, Draco, avevo solo bisogno di ritrovare il mio equilibrio, di dire addio a Ginny, alla donna che ho amato ma, soprattutto, perdonare il mostro che era diventata, prima di voltare pagina definitivamente.»



Note dell’autrice: grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.

2Narcissa-Astoria .

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Capitolo 8
*** Cap. 8 - La verità mi fa male, lo so ***


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I giorni di ieri e quelli di domani sono separati da un imperativo: vivi!


Cit. – “Il cuore umano è indistruttibile. Tu immagini soltanto che si sia spezzato. In realtà è lo spirito che subisce il vero colpo. Ma anche lo spirito è forte, e se lo desideri, si può sempre riprendere” – H. Miller



Cap. 8 – La verità mi fa male, lo so



«Ho ancora un punto da chiarire, Draco, prima di lasciare definitivamente questa casa. Stamani, il mio mondo si è di nuovo sgretolato,» Harry digrignò i denti. «Ci sono cose che non sono ancora pronto ad accettare, è vero, e forse non lo sarò mai, ma altre che, seppur mi facciano perdere la calma, sono disposto a perdonare.»

«A volte mi sembra di aver vissuto la vita di un altro, come se mi fossi immedesimato in uno di quegli eroi intravvisti in tv da bambino. Se mi volto indietro, noto tutte queste ‘sospensioni, come durante la visione di un film inframmentato dalla pubblicità. Già, esattamente così mi sento: interrotto. E, ogni volta, ho dovuto ricominciare da capo, come se il prima non mi appartenesse,» borbottò Harry.

«Però c’è una sensazione, un’emozione cruda che, nonostante tutto, non potrei mai cambiare, e nemmeno lo vorrei, è la simbiosi che si è creata tra la nostra magia, Draco. Non è una sorta di sottomissione, il nostro legame, e nemmeno un prevaricare l’altro, ma una reciproca compensazione.»





«Barkey? Cosa ci fai qui?» aveva chiesto Harry, più risentito che sorpreso, verso l’ampia figura di spalle che stava osservando il giardino oltre la vetrata del salone di Villa Malfoy. «Pensavo fossimo amici, non ti fai vedere da molto tempo.» Il moro si era diretto verso un basso mobiletto, aveva trafficato tra gli stipetti finché non aveva trovato quello che stava cercando. Aveva versato una generosa dose di Whisky Incendiario in un grosso bicchiere e l’aveva porta al Capo Auror. Sollo allora si era accorto dell’espressione entusiasta sul viso dell’uomo più grande. «Ma che hai?» aveva domandato preoccupato all’amico. «Se ti serve il bagno è oltre quella porta,» gli aveva indicato con il pollice un punto dietro di sé, mentre guardava scettico l’uomo agitarsi sulle gambe tozze.

«Avrei voluto venire subito, Harry, e darti la bella notizia, ma credo che, presentandomi nel bel mezzo della notte, avrei ricevuto un paio di maledizioni.» Il moro aveva studiato interdetto il sorriso allegro che persisteva sul viso dell’uomo. «Finalmente,» le sue grosse mani l’avevano artigliato per le spalle, «abbiamo catturato Mys-Liska1!» Harry l’aveva scrutato confuso.

«Per i pizzi di Morgana, Potter, un’espressione più da Troll e ti abbiamo perso!» aveva esclamato all’improvviso la dolce voce di Draco, mentre entrava nel locale accompagnato dalla madre e da Blaise. «Buongiorno, Capo Auror,» l’aveva salutato formale, «buone nuove?»

«Magnifiche, direi,» gli aveva fatto eco il mago, sprizzando entusiasmo come Puzzalinfa. «È già stato baciato, proprio due ore fa, per essere precisi. Il Primo Ministro non ha fatto sconti.» Si era strofinato le mani soddisfatto, tirando un inconscio sospiro di sollievo.

«Quindi, è finita?» aveva chiesto titubante Narcissa, aggrappandosi al braccio muscoloso di Zabini. Barkey aveva scosso la testa allargando il proprio sorriso. Harry, impalato lì a due passi, stava facendo scorrere lo sguardo da una persona all’altra mentre, sempre più frastornato, si stava grattando i capelli già fin troppo incasinati.

«Perfetto,» era intervenuto spiccio Blaise, «questo pomeriggio devo incontrare alcuni membri del Wizengamot, farò in modo che questo processo ad oltranza abbia la sua giusta conclusione. Signora, signori,» dopo aver fatto un breve inchino, si era congedato mentre gli altri intavolavano una fitta conversazione per carpire più notizie sull’accaduto.

«Scusate,» Harry si era schiarito la gola un paio di volte nel vano tentativo di attirare l’attenzione, «qualcuno si vuol degnare di spiegare anche a me cosa sta succedendo? Chi è questo Mylaj, Mytaj, o come caspita si chiama?» il moro aveva deglutito rumorosamente quando tre paia di occhi lo avevano fissato simultaneamente.

«Non lo sa?» Barkey aveva guardato sbalordito i due Malfoy, mentre impacciato si grattava il mento ispido. La padrona di casa, aggiustando il colletto del golfino leggero che indossava, si era dileguata frettolosamente approntando una scusa. Draco, apparentemente per nulla intimidito, si era versato una doppia dose di un liquore ambrato e l’aveva bevuta in un solo sorso, giusto per darsi un contegno. Nel mentre, Harry, sempre più perplesso, ma con la crescente sensazione di star per scoprire qualcosa di sgradevole, stava rimbalzando lo sguardo da uno all’altro.

«Ecco,» il Capo Auror si era deciso infine a spezzare il pesante silenzio che era calato attorno a loro, «tempo fa siamo stati costretti a sondare i tuoi ricordi e...» l’uomo era indietreggiato di un paio di passi, davanti all’espressione sempre più furente che stava leggendo negli occhi del moro. Impacciato prima di continuare, aveva chiesto silenziosamente aiuto a Draco che, nel frattempo, aveva preso posto sul divano apparentemente disinteressato. «Avevamo il tuo consenso ed era necessario per le indagini, ma quello che avevamo appreso dalla tua testa, aveva reso così instabile la tua magia che siamo stati costretti a correre ai ripari. E, per amor di cronaca, è stato Draco a fare il lavoro sporco,» aveva vuotato il sacco tutto di un fiato. Harry aveva guardato annichilito il biondo, sentendosi tradito da colui che rappresentava la sua nuova famiglia.

«Non essere precipitoso come sempre, Potter,» Draco si era alzato e gli stava andando incontro sfoggiando la sua classica aria annoiata, «non c’è nulla che non vada nella tua testa, anche se la faccenda è opinabile. Comunque, tranquillo, i tuoi ricordi sono integri,» la sua voce sciropposa stava ulteriormente irritando il moro. «Li ho semplicemente occultati. Non credere che l’abbia fatto per te, stupido Troll di montagna,» si era affrettato ad aggiungere mentre, a tradimento, le gote si coloravano di un tenue rosa.

Harry era furioso, aveva accettato l’aiuto dei Malfoy perché così nessuno potesse giocare con la sua testa, invece era stato proprio Draco a venire meno al patto. Con uno scatto fulmineo, si era avventato sul biondo, la bacchetta infilzata sotto il mento diafano. L’aveva scrutato in cagnesco, occhi negli occhi, rabbia contro compostezza. «Mi sono fidato di te, col cuore a pezzi e l’anima dislocata nei vari gironi dell’inferno, ti ho ceduto le redini. Ho permesso che diventassi il mio sostegno, la mia linfa, il cardine su cui la mia stessa esistenza ruotava,» gli stava sibilando in faccia. «E ora, vengo a sapere che mi hai pugnalato alle spalle?» aveva sputato con disprezzo stringendo il mento dell’altro in una presa ferrea perché non distogliesse lo sguardo dal proprio.

«Harry, ragiona!» Barkey, preoccupato perché i vetri avevano preso a tremare, stava strattonando il braccio del moro per allontanare la bacchetta dall’altro. «Che altro potevamo fare? Hai rischiato di far crollare il palazzo, per Morgana!» Il moro, sorpreso nel sentire il suo ex capo inveire per la prima volta in vita sua, aveva lasciato il biondo e si era spostato di lato, barcollando come un ubriaco. «Credo sia giunto il momento di lasciare questa casa, Draco,» aveva sospirato amareggiato; senza voltarsi indietro, era uscito dalla stanza.

Era riuscito a raggiungere il fondo del corridoio quando la voce altezzosa di Draco l’aveva costretto a fermarsi. «Aspetta,» il biondo, con un ultimo slancio, l’aveva artigliato per il braccio e voltato verso di lui, «non credi di esagerare? Pensa a Teddy, a mia madre, a Scorpius e a me,» il tono era andato via via scemando mentre le sue guance arrossivano. Harry aveva inarcato un sopracciglio, rimanendo in attesa, quasi bisognoso di ricevere finalmente delle risposte.

«È stato il Signore Oscuro a dare il compito a Mys-Liska di maledirti,» aveva cominciato a spiegare il biondo con voce monocorde, «subito dopo che sei fuggito dalla Gringott. Ero presente, assieme a mia zia Bellatrix. Quando Tu-sai-chi se n’è andato, lei mi aveva obbligato a cercarti a Hogwarts e riservarti lo stesso trattamento,» gli occhi di Draco gli stavano intimando di credergli, nonostante nulla giovasse a suo favore.

«Per questo sei venuto a stanarmi nella Stanza delle Necessità, tu sapevi che sarei andato lì per via degli Horcrux,» il moro aveva strabuzzato gli occhi al gesto di conferma di Draco.

«Durante la battaglia l’ho perso di vista e, in seguito, qualcuno mi disse di averlo visto scappare zoppicando verso la Foresta Proibita, mentre si teneva stretto un braccio. Ho ingenuamente pensato che fosse morto. In ogni caso, avrei dovuto accertarmi della sua fine. Mi spiace.» Harry aveva strattonato il braccio, liberandosi dalla presa dell’altro.

«Quando Synclair si è presentato sconvolto a casa di Blaise, raccontando quello che aveva visto, ho avuto come uno strano presagio e mi è tornato in mente lo slovacco,» Draco aveva abbassato il capo e fissava la sua mano mentre faceva ondeggiare le lunghe dita diafane, orfane del calore di Harry. «Avrei dovuto prevedere che non avrebbe desistito dal suo proposito di vendetta. Quindi, ho subito contattato il Dipartimento, ma nessuno sembrava voler dare credito a un ex Mangiamorte. Nemmeno quando portava notizie utili a salvare il loro piccolo grande eroe,» aveva precisato polemico; Harry aveva sbuffato. «Comunque, in definitiva, mia madre, dopo aver assistito al tuo diverbio con la donnola, ha minacciato il Primo Ministro in persona, ottenendo poi, con il tuo consenso, il permesso di portarti qui,» aveva concluso sbrigativo, facendo un vago cenno con il polso come a invogliare Harry a sorvolare sulla faccenda.

Tra di loro era calato un silenzio grave, tanto che riuscirono a sentire, seppur a parecchi metri di distanza, la voce baritonale di Barkey ammiccare alla signora Malfoy. Per una frazione di secondo, nella mente di Harry si era insinuato il dubbio che l’aria fosse pregna di qualche surrogato di magia oscura che non permettesse ai suoni vivi della casa di librarsi liberi. Sgomento dai propri pensieri inopportuni, aveva scosso la testa e ficcato i vivaci occhi verdi in quelli composti e grigi dell’altro.

«Dunque, è per questo che mi hai ospitato in casa tua? Per avere un giustificabilissimo e inattaccabile alibi, in caso si fosse scoperto un qualche legame con la tua persona?» aveva chiesto deluso, con voce dura. Draco aveva sgranato gli occhi e preso a boccheggiare come un pesce fuori d’acqua. – Sarebbe sicuramente esilarante, – stava ammiccando tra sé, Harry, – se la situazione non fosse così spinosa.

«Non ti permetto di parlarmi in questo modo,» era sbottato il biondo picchiettando il dito sul torace dell’altro, «non accetto queste tue basse insinuazioni! Per i calzini spaiati di Silente, non riesci a capire? Non l’ho fatto per salvarmi la pelle, come dici tu.» Harry si era scostato mantenendo salda l’espressione contrariata, mentre incrociava le braccia sul petto. Invece, Draco aveva alzato gli occhi al cielo, segno del proprio disappunto. «E allora, quale sarebbe questo motivo che ti ha spinto a rivedere alcune delle tue priorità a favore di un Mezzosangue, di un Grifondoro, di un filo-Babbano, di me?» aveva ribattuto il moro freddamente.

Draco se ne stava lì, immobile, gli occhi una lama tagliente. Ormai, per Harry, era diventato facile scovare i segni che denotavano il turbamento dell’altro. Per esempio, la piccola ruga che stava ondeggiando sul lato sinistro delle labbra, quasi stessero tremando nello sforzo di rimanere rigide. Oppure, l’ipnotico sfregamento dell’indice e del medio tra loro, così lieve da passare inosservato. Ma non bastava, Harry aveva bisogno di certezze, di essere sicuro che quello che aveva vissuto in quella casa non fosse stato solo un abbagliante miraggio.

«Ho pensato che,» finalmente Draco, seppur titubante, aveva deciso di assecondare il desiderio di Harry, «occultando i tuoi ricordi, tu non ti saresti cacciato nei guai. Eri ferito, magicamente instabile ed emotivamente debole: non avresti retto un solo giorno allo stress. E la tua proverbiale voglia di buttarti a occhi chiusi nella mischia, ti avrebbe ucciso ancor prima di farti rendere conto di ciò che avresti lasciato qui,» Draco si era schiarito la gola un paio di volte, senza mai abbandonare lo sguardo perplesso dell’altro. «Sono certo che avresti voluto far parte delle ricerche,» aveva ripreso spazientito, «in prima linea per scovare quel pazzo che ha distrutto la tua esistenza, in cerca di vendetta magari,» quasi stava ansimando nello sforzo di mantenere una parvenza di calma. «E io sentivo che non potevo permetterlo, non davanti al dolore che avresti causato a chi sarebbe restato qui ad aspettarti,» Draco si stava passando nervosamente una mano nei capelli chiari, mentre la sua voce si era leggermente incrinata.

«Quindi hai preso una decisione arbitraria impedendomi di fare il mio dovere, oltre che il mio volere,» gli aveva rinfacciato contro il moro. «In parte sì,» aveva bofonchiato Draco, «più che altro temevo il momento in cui, venendo a conoscenza dello slovacco, ti avrebbero convinto che non ero degno della tua fiducia.»

«In parte?» gli aveva fatto eco Harry mentre aggrottava la fronte confuso. «Comunque, non ti è venuto in mente, tu solitamente così preciso, che le tue azioni ti si potessero ritorcere contro, in futuro?» aveva chiesto deluso. Draco era arrossito imbarazzato e si mordeva insistentemente il labbro inferiore. Con infinita tenerezza, Harry aveva allungato le dita e, con una lieve carezza, aveva districato le labbra al biondo. Si erano guardati negli occhi fino a sfiorare le reciproche anime. Ed era stato allora che la figura altera del biondo si era sgretolata in finissima polvere, mentre le dita di Harry avevano continuato il loro percorso fino a giungere sul suo collo.

«Sono un egoista, Harry, lo sai, non volevo perderti. Non volevo che tornassi da loro, che ti portassero via da me,» aveva ripreso a parlare concitatamente, quasi incespicando nelle parole. «Volevo essere molto più di una comparsa nella tua vita e, come mio solito, ho incasinato tutto, con te,» aveva sospirato avvicinandosi di più al moro, tanto da venire catturato dal suo profumo maschile, e piegato il capo fino a far sfiorare i loro nasi. «Harry, il fato ci ha dato una nuova occasione, non sprechiamola,» per un secondo, le loro bocche avevano condiviso la stessa aria. Poi, con un gesto fulmineo, Draco aveva sfoderato la propria bacchetta: «Finite Incantatem.»

Harry si era smaterializzato.







«Sei entrato così a fondo dentro di me che non ho più bisogno dell’ossigeno per respirare,» bisbigliò Harry. «Mi terrorizza questo pensiero, Draco, mi rende così debole. Eppure, allo stesso tempo, mi fortifica perché so, o meglio, speravo che fosse così anche per te,» scosse la testa, come se volesse allontanare un Doxxi troppo molesto.

«Sei sempre stato un passo avanti a me e hai capito subito il legame che si era creato tra le nostre bacchette. È per questo che eri certo che, puntandomi contro la tua, la mia magia non si sarebbe alterata, vero? “Solo due anime gemelle2 hanno il dono di possedere entrambe le loro bacchette,” mi aveva confidato il signor Olivander, e io, stupidamente, avevo creduto si riferisse a Tom Riddle. Eppure, nonostante il potere che detenevi, non hai mai abusato di questa mia fragilità, anzi, hai lasciato a me il compito di gestire la situazione.» Harry sbuffò frustato al ‘bip’ del telefonino che segnalava la batteria quasi esaurita.

«Non posso negare che mi sono sentito tradito. Ho avvertito come uno strappo al centro del cuore e ha fatto male, Draco. Improvvisamente casa era diventata un luogo estraneo, un budello nero come quando vi risiedeva Voldemort e riversava su di me tutto il suo marciume, soffocandomi. Sono fuggito, è vero, ma avevo bisogno di capire, di sapere fino a che punto la mia magia si era macchiata del mio dolore, cosa era rimasto integro del mio precedente Io. E, in queste ore spese a ritrovare quel passato che mi avevi obliviato, il pensiero della serenità che con te ho ritrovato mi ha impedito di impazzire del tutto,» finalmente il viso di Harry si distese sereno, nessuna nube a offuscare gli occhi verdi.

«È stata una crescita mentale e spirituale, quasi onirica la nostra. Eppure nulla è cambiato: siamo rimasti il furetto e lo sfregiato, due ragazzini sciocchi pieni di pregiudizi.» Nell’istante in cui il telefonino smise di funzionare Harry sentì un bisbigliato ‘torna a casa, torna da me’; il suo sorriso si allargò.

Sdraiato sul sudicio pavimento, fece finalmente pace con se stesso e con quella parte oscura che albergava da sempre in lui.





Note dell’autrice: siamo giunti alla fine e un po’ mi dispiace perché da ora in poi non verrò spesso sul fandom di Harry Potter. Ho ancora un paio di progetti in cantiere e qualche contest futuro da cui trarre ispirazione. :D

Per chi trova interessante la mia scrittura mi sto dilettando in storie originali. Per i più curiosi basta entrare nella mia pagina autore. <3

Grazie a chiunque legge e leggerà, a chiunque apprezzi la mia storia e soprattutto a chi commenta.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.





1Topo-volpe in Slovacco.

2Qui Harry l’intende come anime che condividono la stessa radice magica e non in forma romantica, come pare abbia suggerito Olivander.

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