Star Trek Keter Vol. III: Affari di famiglia

di Parmandil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nuove prospettive ***
Capitolo 3: *** Il richiamo dei Cacciatori ***
Capitolo 4: *** Il Clan di Goutric ***
Capitolo 5: *** Uomini d'affari ***
Capitolo 6: *** Il Cristallo dell'Anima ***
Capitolo 7: *** L'ultima caccia ***
Capitolo 8: *** Osiris ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Star Trek Keter Vol. III:

Affari di famiglia

 

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA.

QUESTI SONO I VIAGGI DELLA

NAVE STELLARE KETER.

LA SUA MISSIONE È DIFENDERE

GLI ACCORDI TEMPORALI

E L’UNIONE GALATTICA,

CON OGNI MEZZO NECESSARIO.

QUANDO UNA MINACCIA ELUDE

LE CONTROMISURE TRADIZIONALI,

LA KETER ENTRA IN AZIONE.

 

 

-Prologo:

Data Stellare 2577.115

Luogo: Rio de Janeiro, Terra

 

   Il negozio era piccolo, aperto su una stradina sporca e tortuosa in cui ristagnavano odori poco gradevoli. La targa sull’ingresso non lasciava dubbi: DA UVATH – RINNOVO PATENTI PER OVERBIKE E OVERMOBILI. Ma l’Orioniana sapeva che era solo una copertura per la sua vera attività. La ragazza si guardò furtivamente intorno, accertandosi che la stradina fosse deserta e nessuno la vedesse entrare. Per sicurezza guardò anche in alto, alla ricerca di droni. Non c’erano minacce in vista. Rassicurata su questo punto, la giovane respirò a fondo, strinse a sé la borsa ed entrò frettolosamente. Uno scampanellio elettronico segnalò il suo ingresso al proprietario.

   «Buongiorno, signorina» disse l’Yridiano, uscendo dal retrobottega. Basso com’era, la sua faccia da topo era al livello del decolté dell’Orioniana, cosa che lo mise subito di buonumore. «Come posso esserle utile? Che le servano patenti o bolli, qui siamo attrezzati per una vasta gamma di veicoli...».

   «Niente di tutto questo» rispose l’Orioniana, con voce bassa e un po’ contraffatta. «Sono qui per un altro genere di servizio».

   «Scattiamo anche olografie per i documenti...» propose Uvath, senza staccare gli occhi dal materiale fotogenico davanti a lui.

   «Infatti è proprio un documento, che mi occorre. Ma non la patente» disse l’Orioniana, sulle spine. Si guardò di nuovo attorno, per assicurarsi che fossero soli. «Mi hanno detto che lei può procurarmi una carta d’identità e un permesso di soggiorno nuovi di zecca, senza passare per le solite lungaggini burocratiche».

   «Uhm... chi glielo ha detto?» volle sapere l’Yridiano, sbattendo gli occhietti miopi.

   «Amici di amici» rispose l’Orioniana, evasiva. «Allora, è la verità? E posso contare sulla sua discrezione? Il prezzo non è un problema» garantì, stringendo con forza la borsa.

   Il tozzo alieno la scrutò attentamente, finché le profonde rughe facciali si stemperarono in un sorriso sornione. «Ma certo, mia cara... risolverò i suoi problemi. Mi segua» disse, accennando al retrobottega.

   L’Orioniana dette un’altra controllata al negozio, che non era cambiato nell’ultimo minuto, e lo seguì in fretta. Attraversarono una stanza piena di cianfrusaglie e scesero una scaletta, che li portò in una camera sotterranea. Qui c’erano attrezzature professionali per creare documenti. Erano più adatte a un ufficio governativo che a una semplice agenzia di rinnovo patenti. Una porta blindata si chiuse alle spalle della ragazza, facendola sobbalzare. Le fu chiaro che, se voleva uscire, doveva restare in buoni rapporti con Uvath.

   «Allora, vuoi il pacchetto completo, eh?» gongolò l’Yridiano, fregandosi le mani soddisfatto. «Un permesso di soggiorno... ce ne sono di vari tipi, dovrai essere precisa. E una carta d’identità... su cui scriveremo quello che preferisci. Eccitante, vero? È un po’ come rifarsi la verginità. Dimmi, sei sulla Terra da molto? Per sapere quanto sei tracciabile».

   L’Orioniana avrebbe preferito non rispondere, ma capì che doveva essere collaborativa, per uscire da lì con ciò che voleva. O semplicemente per uscire. «Sono appena arrivata» rispose. «Non ho ancora fatto acquisti. Nessuna tracciabilità».

   «Ottimo! Sì, sì, posso farti avere tutto quel che ti occorre» garantì il falsario, accendendo in successione i suoi attrezzi. «Però devo avvertirti: per una nuova identità, il prezzo è elevato. Quanto hai con te? Niente crediti federali... accetto solo il buon vecchio latinum. Quindici barre per il permesso di soggiorno e altre venti per la carta d’identità».

   Era una richiesta esosa; la giovane ci rifletté un attimo. «E se ti offrissi questo, invece?» chiese, estraendo qualcosa dalla borsa. Era un geode tagliato a metà, che mostrava i cristalli preziosi incrostati all’interno. «È un geode di rubidio, un pezzo da collezione. Non sono esperta in geologia, ma penso che valga parecchio» precisò la ragazza, tenendolo sospeso davanti agli occhi bramosi dell’interlocutore.

   «Uhm... permetti, figliola?» chiese Uvath, traendo un analizzatore di tasca. Esaminò il geode, per accertarsi che fosse effettivamente rubidio. Lo era. Con cristalli di quelle dimensioni, valeva ben più di trentacinque barre. L’Yridiano stimò che ne valesse almeno il doppio. «Beh, non è la valuta che ti avevo chiesto...» disse, fingendo disinteresse, «... ma sei una bella ragazza e voglio venirti incontro. Sì, lo accetto» disse, tendendo le mani tozze verso il tesoro.

   «Bada a te» disse la giovane, tenendolo sospeso oltre la sua portata. «Non sto acquistando solo i tuoi documenti, ma anche il tuo silenzio. Tu non mi conosci, non mi hai mai vista».

   «Fa parte dell’accordo, certo» annuì Uvath, sempre più invaghito del geode. Quando finalmente l’Orioniana glielo cedette, se lo coccolò tra le mani e poi lo ficcò in una delle enormi tasche. «Devi proprio trovarti con l’acqua alla gola, eh?» si lasciò sfuggire.

   «Se sapessi chi sono, e chi mi dà la caccia, faresti meno domande» rispose la ragazza con voce tagliente. «Ora sbrigati a fare il tuo lavoro e poi dimentica d’avermi vista». D’un tratto non sembrava né ingenua, né accomodante. Anzi, c’era qualcosa di minaccioso in lei, tanto che l’Yridiano si sentì rabbrividire.

   «Come vuoi» disse Uvath, sedendo a una scrivania. Attivò l’oloschermo e iniziò a compilare i documenti falsi. «Allora, partiamo dalla carta d’identità. Ora ti chiederò i dati. Fai molta attenzione, perché quando avrai i documenti stampati non potrai più cambiarli. Quindi non devono esserci contraddizioni, né stranezze che spingano le autorità a ficcanasare. Ad esempio cerca di non cambiarti l’età, perché per un medico sarebbe facile accertarla, con un’analisi telomerica» avvertì.

   «È chiaro» annuì l’Orioniana, sedendogli di fronte.

   «Bene, allora cominciamo» disse l’Yridiano, guardandola di sottecchi. «Che nome devo scrivere?».

   «Zafi... ehm... Zafreen» si corresse l’Orioniana, scrutandolo con gli occhi neri, mentre si tormentava una ciocca corvina. «Da oggi sarò Zafreen».

 

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Capitolo 2
*** Nuove prospettive ***


-Capitolo 1: Nuove prospettive

Data Stellare 2587.53

Luogo: Camus II

 

   «Diario del Capitano, data stellare 2587.53. Siamo giunti a Camus II, sede d’importanti resti archeologici, indagati fin dal XXIII secolo. La nostra missione è studiare i reperti del Sito Alfa, valutandone i rischi e gli eventuali legami con la tecnologia dei Proto-Umanoidi.

   Il principale oggetto d’interesse è ovviamente il trasferitore neurale che tre secoli fa provocò un temporaneo scambio di corpo fra James Kirk e Janice Lester. Questa tecnologia non è ancora compresa, ma se riuscissimo a padroneggiarla le conseguenze sarebbero eclatanti per tutta l’Unione. C’è già chi vorrebbe usarla per conseguire l’immortalità, trasferendo i propri schemi mentali in un corpo clonato. Personalmente sono dubbiosa, e non solo perché il trasferimento neurale si è rivelato temporaneo. Un dispositivo come questo, se si diffondesse, creerebbe nuovi problemi etici. Per questo chiederò di trasferirlo in un luogo più sicuro, in attesa che la Flotta decida come gestirlo.

   Mentre la squadra archeologica è al lavoro, ho dato a parte dell’equipaggio licenza di sbarco, sebbene non ci sia molto da vedere. Camus II è un pianeta desertico, senza grosse attrattive. Ma questa è la Keter, la nave delle missioni speciali. In due anni di servizio, l’equipaggio è stato sottoposto a prove durissime, quindi capisco che voglia approfittare della pausa. Forse anch’io scenderò sul pianeta, dopotutto. Fine registrazione».

   Il Capitano Hod lasciò la scrivania e si accostò alla finestra – in realtà una proiezione olografica – del suo ufficio, che mostrava il pianeta sottostante. Camus II era una palla giallastra, dagli oceani quasi completamente essiccati. Pochi arbusti resistevano al clima desertico e ancor meno animaletti zampettavano tra le rocce. L’unica attrattiva naturale del pianeta erano gli anelli, nati dalla frantumazione di un’antica luna. I resti urbani in superficie erano pochi e deludenti, ma nel sottosuolo si potevano ancora fare scoperte eccezionali, come il trasferitore neurale. L’Elaysiana si ripromise di visitarlo, al prossimo cambio di squadra.

 

   «La traccia quantica è confermata» disse Juri Smirnov, capo del reparto archeologico. «Questo dispositivo ha almeno 30.000 anni» riferì, leggendo i dati del tricorder. Lo storico era inginocchiato davanti a una parete coperta di strani simboli, raccolti in due colonne principali: la scrittura della perduta civiltà di Camus. Il trasferitore neurale vero e proprio era incassato all’interno della parete. Se attivato, tramite i comandi, agiva su due persone che vi si posizionassero davanti.

   «E dopo tutto questo tempo funziona ancora?» si stupì Jaylah Chase. Mezza Umana e mezza Andoriana, era la più giovane Agente Temporale in forza all’equipaggio. Magra e scattante, un po’ tetra nell’uniforme nera dalle spalle squadrate, disponeva di forza e velocità superiori, grazie ai potenziamenti genetici ereditati dalla madre. Il suo carattere glaciale e l’estrema efficienza nel lavoro le avevano dato una certa fama, ma pochi sapevano cosa le passava nella mente, e pochissimi cosa le si agitava nel cuore.

   «Funzionava trecento anni fa, all’epoca dell’incidente Kirk-Lester» puntualizzò Juri. Lo storico si rialzò e si spazzolò la polvere dalle ginocchia. «Da allora non si sono registrati altri casi. Certo, sarebbe una bella beffa se si fosse guastato in quest’ultimo lasso di tempo».

   «Tra i nostri doveri c’è proprio quello di appurarlo» ricordò Dib, l’Ingegnere Capo. Nativo del pianeta Penumbra, era costituito da un fluido superfreddo, tenuto in forma umanoide dalla tuta integrale che indossava. Solo la visiera del casco ne mostrava il fluido blu, spesso vorticante.

   «Non sapevo che la Flotta Stellare avesse autorizzato esperimenti con le persone» si accigliò Juri, allontanandosi prudentemente dalla parete fitta di simboli.

   «Non l’ha fatto» assicurò Ladya Mol, il Medico Capo, entrando nella sala sotterranea. La Vidiiana aveva con sé due gabbiette, contenenti dei cani di Alpha 177. Avevano entrambi la criniera leonina, il corno frontale e gli aculei dorsali tipici della loro specie, ma le somiglianze finivano qui. Mentre uno dei cani era docile e remissivo, l’altro abbaiava furiosamente e si accaniva sul reticolato nel tentativo di liberarsi. Le targhette riportavano i loro nomi, Abele e Caino.

   «Li useremo come cavie» spiegò la dottoressa, posando a terra le gabbiette. «La loro differenza caratteriale ci permetterà di capire se lo scambio neurale ha avuto successo. Aspetteremo di vedere se è un fenomeno temporaneo, come quello di Kirk e Lester. In caso contrario, proveremo a usare nuovamente il congegno per invertire l’effetto».

   «Ma poveri animali!» protestò Zafreen, l’addetta a sensori e comunicazioni. La vivace Orioniana lasciò perdere la traduzione dei simboli e si accostò alle gabbiette. Si accoccolò accanto al cane docile, aprendo in parte la gabbia, e lo carezzò sulla collottola. «Dobbiamo proprio usarli come cavie? Non c’è un altro modo?» chiese.

   «O usiamo gli animali, o le persone» le ricordò la dottoressa. «Farlo con le persone è illegale, quindi...».

   «Ma farlo a questi tesorucci è immorale!» tubò Zafreen, carezzando ancora Abele, che uggiolò e la scrutò con grandi occhi commoventi. Incoraggiata, Zafreen fece per carezzare anche Caino, ma dovette ritirare in fretta la mano, per non farsela morsicare. Il cagnaccio abbaiò con rabbia, sbavando, e la fissò con occhi iniettati di sangue.

   «Hai il cuore troppo tenero» la canzonò Jaylah, accostandosi alle gabbie. «Non si accorgeranno neanche dell’esperimento».

   «Tu che ne sai? I cani di Alpha sono molto sensibili... non hanno un pezzo di ghiaccio al posto del cuore, come te!» sbuffò l’Orioniana, tenendosi prudentemente alla larga dal cane cattivo. «Scommetto che non hai mai avuto un animale» aggiunse, rialzandosi.

   «Ti sbagli, da piccola avevo un gatto».

   «Che fine ha fatto?».

   «Quando avevo sette anni, gli alterai il DNA nel tentativo di farlo volare» rivelò Jaylah.

   «E ci sei riuscita?» si stupì Zafreen.

   «No, ma prese a gorgheggiare e il suo pelo divenne più vaporoso. Non visse a lungo... forse fu colpa mia» ammise la mezza Andoriana.

   «Complimenti, proprio la storia che mi aspettavo da te!» s’indignò l’Orioniana. Tornò al tavolo di lavoro e riprese svogliatamente a occuparsi delle traduzioni.

   «Allora, si batte la fiacca?» li richiamò il Comandante Radek, entrando in quel momento nella sala sotterranea. «Che avete scoperto finora?» volle sapere il Rigeliano.

   «Mah, per adesso nulla di nuovo» ammise Juri. «Il trasferitore ha almeno 30.000 anni, ma alcune di queste sale sotterranee furono scavate molto prima. La tecnologia è fantastica, ovviamente, ma per adesso non ci sono indizi di una contaminazione temporale».

   «Potremmo accertarcene, però» propose Jaylah. «La Keter è la prima nave temporale della Flotta, eppure non abbiamo ancora svolto quel tipo di missioni. Potremmo fare un viaggetto nel passato e studiare la civiltà di Camus dal vivo».

   «Ci servirebbe il nulla osta dalla Commissione per l’Integrità Temporale» le ricordò Radek. «Sa quanto siano restii a concederlo, se non ci sono chiare tracce di anacronismo».

   «Ma...».

   «So che per un Agente Temporale come lei è frustrante restare sempre nel presente, ma finché non ci sarà un valido motivo per andare nel passato, la risposta è no» tagliò corto il Comandante. «Altro da riferire?» chiese poi, rivolgendosi agli altri ufficiali.

   «La tecnologia del trasferitore neurale è affascinante» rispose Dib. «In parte somiglia ai dispositivi di mind uploading dei Proto-Umanoidi, ma è prematuro affermare che sia opera loro».

   «La scrittura non è Proto-Umanoide» disse Zafreen con decisione. «L’ho confrontata con altri alfabeti antichi e ogni tanto ho trovato delle somiglianze, ma credo siano casuali. Per ora non posso indicare delle parentele linguistiche. Per fortuna, grazie ai ritrovamenti degli altri siti, il traduttore sta cominciando a elaborare la sintassi». Così dicendo, l’Orioniana indicò lo schermo olografico, su cui scorrevano i caratteri e le possibili traduzioni.

   «Quindi sa leggerli?» chiese Radek, accennando ai geroglifici che coprivano la parete del trasferitore. «Sarebbe un bel passo avanti!».

   «Dice qualcosa come: “Per scambiare le menti, alzate le levette e usate il telecomando”» riferì Zafreen. «Le levette sono queste» precisò, indicandone due a fianco della parete.

   «E il telecomando?» chiese il Comandante.

   «Eccolo qui» disse Juri, estraendolo da una valigetta per campioni. «Pittoresco, vero? Ricorda quelli degli antichi televisori terrestri. Con la differenza che, invece di cambiare il canale, cambia chi lo usa» ridacchiò.

   «Interessante. Quei geroglifici dicono anche quali tasti premere?» domandò Radek.

   «La traduzione non è ancora così precisa» si scusò Zafreen. «Quella che ho detto ora è solo una delle versioni possibili. Un’altra dice: “Per perdere peso, alzate le chiappe e usate il tapis-roulant”. Un’altra ancora fa: “Per cambiare alito, alzate il naso e usate il filo interdentale”».

   «Propendo per la prima» disse il Rigeliano. «Quindi abbiamo il telecomando, ma non sappiamo usarlo».

   «Analizzando i processori interni, credo di aver individuato il tasto di avvio» corresse Dib.

   «E le cavie sono pronte» aggiunse la dottoressa. Le gabbiette dei cani erano piene di strumenti per rilevare le loro condizioni psico-fisiche.

   «Allora direi di procedere» stabilì il Comandante.

   «Bene, signore» disse Ladya, impaziente. La dottoressa posizionò le gabbie davanti alla parete, ciascuna sotto una colonna di geroglifici. Dopo essersi accertata che tutti i sensori fossero attivi, indietreggiò prudentemente. Anche gli altri ufficiali si tirarono indietro, schiacciandosi contro la parete di fondo della sala.

   «L’esperimento numero 1 comincia ora» dichiarò Dib, premendo un tasto. Il trasferitore cominciò a ronzare e luci puntiformi si accesero negli incavi dei geroglifici. I due cani s’immobilizzarono all’istante. Stavano in piedi sulle quattro zampe, con gli occhi chiusi, rigidi come se li avessero impagliati.

   «Stanno soffrendo?» si preoccupò Zafreen.

   «No... somiglia più al coma» rispose Ladya, consultando sul d-pad i dati inviati dai sensori.

   «Ora attivo il trasferimento» fece Dib. Il Penumbrano si accostò alla parete, stando prudentemente di lato. Alzò prima una, poi l’altra levetta.

   Il ronzio del congegno s’intensificò e si fece più acuto, fino a divenire ultrasonico. D’un tratto Abele e Caino crollarono sul pavimento delle gabbie. Le luci si spensero e il trasferitore parve disattivarsi.

   «E adesso?!» si disperò Zafreen, osservando le bestiole inerti.

   «Sono sempre in coma» riferì Ladya, osando accostarsi. «Il loro sistema nervoso ha subito un forte shock. Devo portarli in infermeria per rianimarli. A quel punto sapremo se lo scambio ha funzionato». Prese le gabbie, una per mano, e fece per andarsene. «Finché non avremo i risultati, è meglio non toccare niente» raccomandò agli altri. Dopo di che lasciò l’ipogeo, per tornare in superficie, dove il teletrasporto l’avrebbe riportata sulla Keter.

   «Nel frattempo vorrei proseguire l’analisi delle altre camere» disse Juri, rivolto al Comandante.

   «Verrò con lei» si offrì Dib, riponendo il telecomando sul tavolo. «Ci sono altre tecnologie che meritano attenzione».

   «D’accordo, continuate pure» li autorizzò Radek. «Io torno sulla Keter per fare rapporto al Capitano. Lei invece resti qui, Agente Chase» ordinò a Jaylah. «Sorvegli il congegno e avverta se lo vede tornare in attività. Anche lei può restare, Zafreen. Prosegua con le traduzioni».

 

   Quando gli altri ufficiali se ne furono andati, le due donne restarono sole. Fedele alla consegna, Jaylah intendeva fare la guardia; ma Zafreen sembrava interessata a chiacchierare piuttosto che a lavorare sui geroglifici. «Hai sentito le ultime novità? L’Enterprise è stata varata di nuovo. Certo che ce n’è voluto, per riparare i danni del Melange».

   «La sezione a disco era stata trapassata. Sapevamo che ci avrebbero lavorato a lungo» commentò Jaylah.

   «E c’è un nuovo Capitano... come si chiama, Tiamat?».

   «Talmath» corresse Jaylah. «È un Romulano... non so molto di lui, ma ha prestato servizio con T’Vala per anni, quindi dovrebbe essere a posto. Comunque è il primo Capitano che non fa parte dell’equipaggio originale» aggiunse malinconica.

   «Su col morale! L’importante è essere positivi» disse Zafreen. «Guarda me... sono nello spazio da due anni e vado alla grande. Sai che tra pochi giorni io e Vrel festeggeremo il nostro primo anniversario?».

   «Congratulazioni. Scommetto che non eri mai stata così a lungo con qualcuno» commentò Jaylah, mordace.

   «Come hai indovinato?» fece l’Orioniana, non cogliendo il sarcasmo. «Pensavamo di prenderci una licenza e andarcene da qualche parte... forse Benecia. Il ponte ologrammi è una gran cosa, ma a un certo punto senti nostalgia dei posti veri, mi spiego? Vrel dice che penserà lui a tutto... è un tesoro! E tu dimmi, come vai in amore?» chiese con apparente casualità, ma era una domanda che le faceva spesso.

   «Nulla da segnalare» rispose Jaylah, con voce incolore.

   «Nulla da segnalare!» la scimmiottò Zafreen. «Non sono Radek, non ti sto chiedendo il rapporto missione. È solo una domanda da amica».

   «Una domanda da impicciona» disse fra sé Jaylah. «Non credo che al momento ci sia il tipo adatto a me, sulla Keter» rispose.

   «E fuori dalla Keter?» insisté l’Orioniana.

   «Non credo negli amori a distanza» tagliò corto la mezza Andoriana, infastidita.

   «Uhm... sai, il Federal News parlava del tuo amico Spettro, qualche giorno fa» proseguì Zafreen, decisa a non mollare l’argomento. «Ha assalito un mercantile Breen vicino a Dozaria, razziando tutto il carico. Se fa come le altre volte, ne distribuirà la maggior parte ai poveri. Ha lasciato la sua S incisa sullo scafo del mercantile... non è romantico?» disse con voce sognante.

   «Per niente» rispose Jaylah, glaciale. «Lo Spettro... ma il suo nome è Jack... è un pirata e uno di questi giorni finirà male. E tutti i suoi sforzi non cambieranno di una virgola le politiche dei Breen».

   «Come sei fredda! Non c’era qualcosa tra voi?» insinuò Zafreen, carezzandosi una ciocca corvina.

   «Non so quali malelingue abbiano insinuato questa sciocchezza. Io sono un Agente Temporale, lui un predone!» ringhiò Jaylah, stringendo i pugni così forte da far scricchiolare i guanti. «Se dovessi incontrarlo di nuovo, non esiterò un istante ad arrestarlo».

   «Ma...».

   «Niente ma! Torna al tuo lavoro e smettila d’impicciarti negli affari miei!» sibilò l’Agente Temporale. Che fosse il suo tono minaccioso, o la sua telepatia latente, Zafreen si sentì accapponare la pelle.

   «Come vuoi» disse l’Orioniana, urtata. «Ma credo che ti farebbe bene un po’ d’amore» aggiunse, riattivando l’oloschermo con le traduzioni.

   «Non a costo di mendicarlo da chi non m’interessa» pensò Jaylah. Per distrarsi dai cattivi pensieri, si accostò alla parete del trasferitore e prese a osservarne i geroglifici. Li sfiorò con la mano, chiedendosi chi li aveva tracciati, tanti millenni prima. Avrebbe voluto far valere il suo ruolo di Agente Temporale. Così sarebbe tornata indietro nel tempo, per vederli in faccia e magari fargli qualche domanda, invece di lasciar fare tutto a storici, medici e ingegneri.

   Nel frattempo Zafreen aveva ripreso ad arrovellarsi sulle traduzioni. Lasciando perdere per il momento i geroglifici sulla parete, decise di concentrarsi sui simboli del telecomando. Aggiunto un protocollo linguistico alla matrice di traduzione del computer, si allungò sul tavolo per prendere il reperto. Così facendo, si sbilanciò in avanti. Le sue scarpe scivolarono sullo strato di polvere che copriva il pavimento e l’Orioniana cadde. Per non appiattirsi il naso sul tavolo, buttò istintivamente le mani avanti. Riuscì a proteggersi, ma schiacciò un tasto del telecomando.

   «Oops!» fece Zafreen, rimettendosi in piedi. In quella sentì un preoccupante ronzio, proveniente dal trasferitore. «Oh, no» mormorò, alzando lo sguardo. Il congegno era acceso, le luci puntiformi brillavano entro i geroglifici. Jaylah era lì davanti, rigida come un palo e con gli occhi chiusi.

   «Jaylah?» chiese Zafreen con voce strozzata. La mezza Andoriana non diede segno d’averla udita.

«Eddai, Jaylah... questo non è il momento di tenermi il broncio» disse l’Orioniana, avvicinandosi. «Dico sul serio... rispondimi!» insisté, a voce più alta. Ancora nessuna reazione.

   «Alé, m’è caduta in catalessi» sospirò Zafreen. «Ehi, acidona, dico a te! C’è nessuno in casa?!» esclamò, agitandole il palmo davanti alla faccia. Provò a tirarla per una manica, senza riuscire nemmeno a smuoverla. Le diede dei pizzicotti e le schiaffeggiò piano le guance, senza alcun risultato.

   L’Orioniana sentì crescere il panico, al pensiero d’aver fatto qualcosa d’irreparabile. «Zafreen a infer...» cominciò a dire, premendosi il comunicatore, ma si bloccò prima di terminare le istruzioni. La dottoressa Mol aveva ordinato di non toccare nulla, in sua assenza. E lo stato di servizio di Zafreen non era impeccabile: era già stata richiamata più volte per i suoi eccessi, o per errori dovuti alle distrazioni. Se si fosse saputo di questo nuovo pasticcio, ci sarebbero state gravi conseguenze. «Mi sospenderanno dal servizio! O mi manderanno a spurgare i condotti del plasma! Che ne sarà dell’anniversario con Vrel?!» si chiese, sempre più terrorizzata.

   Il suo sguardo cadde sul telecomando, ancora posato sul tavolo. Certo, quello era la chiave di tutto! Un tasto aveva attivato il congegno e un tasto lo avrebbe spento. Ma quale? Lo stesso di prima o un altro? L’Orioniana prese il telecomando e il d-pad con i suoi appunti. Con quelli tornò davanti a Jaylah, cercando di capirci qualcosa.

   «Allora... se non alzo le levette ai lati, il trasferimento non avrà luogo» si disse, dimenticando che erano ancora sollevate dopo l’esperimento di prima. «Si tratta solo di sospendere il coma indotto... magari basta schiacciare di nuovo lo stesso tasto...». Zafreen lo premette, ma non ci furono cambiamenti visibili. Disperata, lo schiacciò ancora più volte, finché non riuscì più a capire se era in modalità accesa o spenta. In quella il comunicatore si attivò, facendola sobbalzare.

   «Capitano Hod a Squadra 1, il Comandante mi ha informato del vostro esperimento di scambio neurale. Ottimo lavoro, sarò da voi tra pochi minuti».

   «Ricevuto, Capitano» rispose Zafreen con un filo di voce. Davanti a lei, Jaylah era ancora inerte. Immagini di corte marziale passarono nella mente dell’Orioniana. Con il cuore che batteva all’impazzata, la poveretta non trovò di meglio che premere tutti i tasti, sperando di azzeccare quello giusto. Allo stesso tempo, incapace di stare ferma, fece qualche passo, finché si trovò di fianco a Jaylah, proprio davanti all’altra postazione del trasferitore. Provando tutti i tasti, il suo dito premette fatalmente quello d’attivazione.

   Il congegno ronzò più intensamente e Zafreen s’irrigidì come la sua collega. Telecomando e d-pad caddero a terra. L’Orioniana si girò verso l’esterno, nella stessa posizione di Jaylah, e chiuse gli occhi. Intorno a loro l’energia salì al massimo. Sebbene non fossero propriamente coscienti, le due donne ebbero l’impressione di galleggiare al di sopra dei loro corpi. L’attimo dopo crollarono a terra, prive di sensi.

   Un minuto dopo il Capitano Hod entrò nella sala ipogea. Trovò sia Jaylah che Zafreen stramazzate al suolo, davanti al congegno inerte.

   «Beh?».

 

   Con un certo sforzo, Jaylah si trasse fuori dalle nebbie dell’incoscienza. Aprì gli occhi e li sbatté più volte, mentre il soffitto dell’infermeria si precisava davanti a lei. Si sentiva intontita e aveva difficoltà a ricordare gli ultimi eventi. Una figura entrò nel suo campo visivo, mettendosi gradualmente a fuoco. Era Vrel, timoniere della Keter e suo amico d’infanzia.

   «Ehi... bentornata fra noi» le disse il mezzo Xindi. Aveva uno strano atteggiamento, come se fosse sollevato e preoccupato al tempo stesso.

   «Vrel...» mormorò Jaylah, sentendosi tutta intorpidita. «Che mi è successo? Per quanto tempo ho perso i sensi?».

   «Un’ora, più o meno» rispose il timoniere, stranamente cupo. «Senti, devo farti alcune domande. Per prima cosa, dimmi il tuo nome».

   «Mi credi rincretinita?» si accigliò la giovane. «Sono Jaylah. Ricordo che ero in quel sotterraneo, con Zafreen...».

   «Già, Zafreen» fece Vrel, scuro in volto.

   «Che hai? Le è successo qualcosa?».

   «Direi proprio di sì. A lei, e anche a te».

   «Adesso dov’è? Voglio vederla» disse l’Agente Temporale, cercando d’alzarsi dal lettino.

   «Aspetta, non è una buona idea» avvertì Vrel, cercando di farla riadagiare. «Prima devi prepararti».

   «Perché, che le è successo?» si agitò Jaylah. «E cos’è successo alla mia voce? È più stridula del... solito...». La sua voce morì mentre si osservava le mani. Erano verdi, con le unghie tinte di nero. Si tirò i capelli in avanti, constatando che erano più lunghi del solito e di un nero brillante anziché biondo platino. «Oh, no. Oh, no, no, no» disse, sentendosi soffocare. «Presto, dammi uno specchio!».

   «Aspetta, la dottoressa dice che potresti riceverne uno shock...» si preoccupò Vrel.

   «Ce l’ho già, lo shock!» strepitò Jaylah, isterica. «Ora dammi uno specchio, oppure...».

   In quella Jaylah – o per meglio dire il suo corpo – entrò nella sala di degenza. Sconvolta, l’Agente Temporale si guardò da fuori, ricordando l’esperienza extracorporea di prima. Quello davanti a lei era sì il suo corpo... ma era abitato da un’altra coscienza.

   «Jaylah, eccoti qui!» esclamò Zafreen, mentre le sue antenne craniali si contorcevano in strani modi. «Ladya non voleva che c’incontrassimo... oh, povera me...» gemette, accostandosi al bio-letto. «Ero preparata al peggio, ma... questo è troppo...». I suoi occhi erano invasi dall’orrore.

   «Amore, non disperare» disse Vrel. «I dottori stanno cercando di capire l’accaduto e potrebbero invertire il processo».

   «S-sì, manteniamo tutti la calma» disse Jaylah, cercando di controllarsi. «Sappiamo che l’effetto è reversibile...».

   «Io non parlavo di questo» spiegò Zafreen. Le sedette accanto e le sfiorò una ciocca. «I miei capelli sono un disastro! Per fortuna il viso è sempre di una bellezza devastante. Ti spiegherò tutto sul mio fondotinta, mentre i cervelloni trovano come sistemare le cose».

   Jaylah la fissò per qualche attimo, incredula. Poi esplose. «Stupida oca! Che m’importa dei tuoi capelli e del tuo fondotinta?! Sono ingabbiata in questo corpo da pornostar, mentre tu te ne vai in giro con la mia faccia! Perché hai toccato quei tasti... perché devi sempre toccare tutto?! Che rabbia! Ti farei un occhio nero... se non fosse il mio!».

   «Zaf... cioè Jaylah, ti prego, calmati!» disse Vrel, trattenendola a stento contro il lettino. «Zafreen, è meglio se vai, ora. Ti chiamerò quando le cose saranno sotto controllo».

   «Vado, ma dì alla tua amica di calmarsi. È il mio corpo, che state strapazzando» ricordò Zafreen, prima di lasciare la saletta.

   Rimasti soli, Vrel cercò di calmare l’amica. Jaylah voleva ancora lasciare il lettino e nel frattempo inveiva contro Zafreen. «È colpa sua... tutta colpa sua!» strillò.

   «Non stento a crederlo, ma è inutile recriminare» sospirò il timoniere. «Zafreen si è svegliata mezz’ora prima di te. È stato allora che abbiamo accertato lo scambio».

   «Certo, perché diceva fesserie. Come al solito!» ringhiò Jaylah.

   «Il tuo corpo, che ora è il suo, è molto più resistente agli shock, quindi si è svegliata per prima. Ma ero in pensiero per te» spiegò Vrel. «Ora che ti vedo così vispa, mi sento un po’ sollevato... ma il problema resta».

   «Già, bel problema!» fece Jaylah, imbronciata. «Degno di questa nave».

 

   Poco dopo, calmati i bollenti spiriti, Jaylah e Zafreen erano una accanto all’altra nella sala principale dell’infermeria. Le due donne si guardavano di sbieco, come per sorvegliarsi a vicenda. Vrel stava poco più indietro, con la schiena poggiata a una parete e l’aria afflitta. Era pronto a intervenire se gli animi si fossero scaldati di nuovo.

   «Uff, come fai a stare ingabbiata in quest’affare?» chiese Zafreen, insofferente all’uniforme da Agente Temporale. «Non respiro!» ansimò. Si sfilò i guanti, posandoli su un lettino, e si allargò lo scollo.

   «Ma lascia stare... andava bene com’era...» sbuffò Jaylah, per nulla contenta che il suo decolté fosse sotto gli occhi di tutti.

   Vrel temeva già di dover intervenire, quando la dottoressa Mol uscì da uno dei laboratori, dove aveva fatto delle analisi.

   «Allora, ragazze... la buona notizia è che i vostri tracciati neurali sono stabili, quindi non avete danni cerebrali. La notizia cattiva è che i vostri tracciati neurali sono stabili, nei nuovi cervelli» spiegò la Vidiiana, squadrando le pazienti.

   «Torniamo in quel sotterraneo e invertiamo il processo» disse subito Jaylah.

   «Vi ho appena detto perché non possiamo» obiettò Ladya. «Avete subito uno spaventoso stress psico-fisico, frutto di un processo che ancora non comprendiamo. Per adesso i vostri schemi mentali sono stabili, anche se scambiati di cervello. Non rischierò di scombinarli, sottoponendovi di nuovo a quel congegno».

   «Non subito, d’accordo» convenne Jaylah. «Ma prima o poi dovremo farlo. Non possiamo restare scambiate».

   «Non siamo le prime a trovarci in questa situazione. Capitò anche a Kirk e Lester, giusto?» aggiunse Zafreen. «Loro risolsero il problema».

   «In realtà il problema si risolse da solo» spiegò la dottoressa. «Lo scambio durò pochi giorni, dopo di che le coscienze rientrarono spontaneamente nei propri corpi, senza bisogno di usare il congegno. Quindi vi consiglio di aspettare. Restate vicine quanto più possibile e sperate che anche stavolta l’effetto sia temporaneo».

   «Sperate?! Ma... non ci sono alternative?» esalò Jaylah.

   La Vidiiana ci pensò un po’ su. «Beh, potrei eseguire un doppio trapianto di cervello» propose. «Ma sarebbe imbarazzante, se dopo averlo fatto l’effetto del trasferitore si esaurisse e vi scambiaste di nuovo».

   «Quindi dobbiamo aspettare... e basta» fece Jaylah, sconcertata.

   «Come sapremo se l’effetto sta per invertirsi?» chiese Zafreen.

   «Qui in infermeria terremo sotto osservazione i vostri – ehm – compagni d’esperienza» spiegò Ladya, precedendole nel laboratorio. Abele e Caino, i cani di Alpha 177, si erano del tutto ripresi. Erano ancora chiusi nelle gabbiette con i loro nomi. Adesso però Abele ringhiava come un indemoniato, mentre Caino uggiolava mansueto. «Sono stati scambiati poco prima di voi. Supponendo che l’effetto abbia la stessa durata, il loro ritorno alla normalità ci darà qualche minuto d’anticipo per avvertirvi» chiarì la dottoressa.

   «Ma l’effetto potrebbe non durare altrettanto» disse Jaylah. «Sia perché quelli sono cani e noi persone, sia perché quella lì» disse accennando a Zafreen «ha pasticciato coi comandi».

   «È vero» convenne Ladya. «Perciò voglio che indossiate sempre questo» raccomandò, schiaffandole in fronte un sottile congegno circolare, che aderì alla pelle. «È un sensore corticale, per controllare che succede nelle vostre scatole craniche» precisò, appioppandone un altro a Zafreen.

   «E dovremmo portarlo sempre in fronte?!» protestò l’addetta ai sensori.

   «Potete appiccicarlo dove volete, basta che non sia più giù del collo» raccomandò la Vidiiana.

   «La prima buona notizia della giornata» commentò Jaylah, attaccandoselo alla nuca, dov’era nascosto dai capelli. Zafreen fece altrettanto.

   «È tutto, per adesso» concluse Ladya, allargando le braccia. «Vi consiglierei di passare la notte in infermeria, ma con quei sensori potete anche tornare ai vostri alloggi, se volete stare più comode».

   «E nei prossimi giorni come dovremmo regolarci?» chiese Jaylah.

   «Verrete quotidianamente in infermeria, per i controlli» rispose la dottoressa. «Concorderemo col Capitano ciò che potete e che non potete fare. Per quanto riguarda la vostra vita privata... accordatevi su come tirare avanti» aggiunse, un po’ apprensiva. «Naturalmente alcune delle vostre abitudini dovranno cambiare. Ad esempio tu, Jaylah, devi assumere il soppressore di feromoni. E tu, Zafreen, dovresti adottare la dieta più energetica di Jaylah. Se avete altre raccomandazioni da farvi, questo è il momento. Io tolgo il disturbo».

   La dottoressa si ritirò discretamente. Jaylah e Zafreen si scrutarono come avversarie sul ring. I loro sguardi transitarono poi su Vrel, che era ancora nel laboratorio con loro. «Ti spiace?» chiese Jaylah.

   «No, per niente» fece lui, restandosene immobile.

   «Intendevo: ti spiace uscire?» precisò l’Agente.

   «Oh, certo» fece il timoniere, avviandosi alla porta. «Io sono qui fuori. Cercate di non venire alle mani, eh?». Quando fu uscito, le due donne tornarono a squadrarsi.

   «Allora, che altro devo sapere?» chiese Jaylah.

   «Limati spesso le unghie, sennò diventano artigli» raccomandò Zafreen. «E c’è un’altra cosa...».

   «Avanti, spara» fece Jaylah, ormai pronta al peggio.

   «In questi giorni stavo posando nuda per un dipinto di Vrel. Ti spiacerebbe continuare a farlo? Vorrei vederlo finito».

   «Sì, mi spiace» rispose Jaylah con decisione. «Il nostro artista dovrà aspettare che le cose si sistemino».

 

   Quella sera stessa, Jaylah e Zafreen erano fianco a fianco nell’ufficio del Capitano. Si erano scambiate le uniformi, anche se poi avevano dovuto sostituirle con altre, adatte alle nuove taglie. Tenevano lo sguardo basso, aspettandosi la ramanzina.

   «Ne ho avuti di ufficiali combinaguai, ma parola mia, niente che si avvicinasse a voi due!» esordì Hod. «Specialmente a lei, Zafreen: con la sua goffaggine è riuscita a sopraffare un Agente Temporale e a rubarle il corpo. Non proprio una bella pubblicità per l’organizzazione, non trova?».

   «No, Capitano» mormorò l’interessata, con l’aria di voler sprofondare nel pavimento.

   «Avrà una nota di biasimo nella sua scheda personale» l’informò il Capitano. «La manderei a spurgare i condotti del plasma, se non fosse che punirei il corpo di Jaylah. Facciamo così: sarà confinata per tre giorni nel suo alloggio. Ovviamente si può scordare la licenza romantica su Benecia: finché non risolveremo questa situazione, lei non lascerà la Keter. Sarei anche più severa, ma ho bisogno che continui a lavorare su quelle traduzioni, per comprendere meglio lo scambio neurale. E l’avverto: alla prossima che combina, tornerà vice-addetta alla sala ausiliaria dei sensori. Mi sono spiegata?!».

   «Sì, Capitano» mormorò Zafreen, avvilita.

   «Ora si levi di torno» ordinò seccamente l’Elaysiana.

   L’addetta ai sensori fece dietrofront e lasciò l’ufficio.

   Rimaste sole, il Capitano fissò l’Agente, irriconoscibile nel corpo dell’Orioniana, e sospirò. «Jaylah... posso darti del tu? Tu non hai colpa, all’infuori di una certa sbadataggine. Non dovresti mai dare le spalle a Zafreen mentre maneggia tecnologie sconosciute e pericolose. Comunque, a questo punto, non posso farti mantenere l’incarico».

   «Perché no?!» protestò l’Agente. «Ha ammesso che è colpa di Zafreen... e lei non è stata degradata! Perché io sì?».

   «Zafreen si occupa di sensori e comunicazioni. Che lo faccia nel proprio corpo, o nel tuo, non fa differenza» spiegò Hod. «Tu invece lavori nella Sicurezza. Ora ti trovi in un corpo molto più fragile di quello a cui eri abituata. Non hai la forza, la velocità e il fattore rigenerativo di prima. Hai perso anche la telepatia».

   «Ci sono molti altri Agenti che non hanno potenziamenti» obiettò Jaylah.

   «Ma nessuno di loro rischia di scambiarsi di corpo con un’altra persona» sospirò il Capitano. «Pensa: che accadrebbe, se vi scambiaste mentre tu sei in missione? Magari mentre stai pilotando un caccia, o durante uno scontro a fuoco?».

   «Mi ritroverei al sicuro sulla Keter. Ecco che accadrebbe» rispose l’Agente.

   «E Zafreen si troverebbe di colpo in una situazione di pericolo che non è qualificata a gestire» aggiunse Hod.

   «Problema suo» fece Jaylah, implacabile.

   «Anche mio, se ti autorizzassi ad andare in missione in queste condizioni, e come risultato Zafreen ci restasse secca» chiarì il Capitano. «Mi spiace, ma finché durerà lo scambio sono costretta a sospenderti dall’incarico».

   «E se durasse per sempre?!» protestò l’Agente.

   «Spero per voi che non sarà così... ma in quel caso ci saranno conseguenze drastiche per le vostre carriere» ammise Hod. «Però non siamo ancora a quel punto. Aspettiamo, per adesso. Forse il problema si risolverà da solo, come fu per Kirk e Lester».

   «M-ma...».

   «Capisco che ti senti punita per un errore altrui, ma non considerarla una punizione... prendila come una licenza» suggerì il Capitano. «Riposati. Vai sul ponte ologrammi, o sulla superficie del pianeta. Se questa situazione dovesse prolungarsi, ti troveremo un’occupazione qui a bordo».

   «Sì, vice-addetta alla sala ausiliaria dei sensori» mugugnò Jaylah. «Permesso di ritirarmi, Capitano?».

   «Accordato» disse l’Elaysiana, scrutandola preoccupata. Quell’Agente Temporale le sembrava un po’ instabile già in condizioni normali. Ora che si era scambiata di corpo con l’Orioniana, non sapeva come avrebbe reagito; ma le avvisaglie non erano buone.

 

   Il giorno dopo, Jaylah mangiava con Vrel in sala mensa, lamentandosi delle sue disgrazie. Attorno a loro, molti membri dell’equipaggio la occhieggiavano. La notizia dell’incidente si era sparsa alla velocità della luce.

   «Ho perso il lavoro, ti rendi conto?!» si disperò Jaylah. «Il Capitano dice che non può mandarmi in missione, finché c’è il rischio che la mia coscienza se ne vada e qui torni Zafreen» spiegò, picchettandosi la tempia.

   «Beh, direi che ha ragione» commentò il timoniere. «Se Zafreen rientrasse nel suo corpo in un momento pericoloso, sarebbe un disastro. Potrebbe anche morire».

   «Lei però non ha problemi a lavorare col mio corpo. Tanto fa solo la centralinista! Non corre alcun pericolo, in plancia».

   «Ehi, non sminuire l’importanza del suo lavoro» si accigliò Vrel. «Mandare avanti il Reparto Sensori e Comunicazioni non è uno scherzo».

   «Dici così solo perché state insieme» lo rimproverò Jaylah.

   «Lo dico perché è vero... e comunque non so se possiamo considerarci ancora fidanzati» confessò il giovane, afflitto. «Lei ha il tuo corpo, ora, e tu... tu...». Il timoniere tacque e Jaylah pensò che stesse cercando le parole giuste. Ma con suo stupore, Vrel prese ad annusarla. A un certo punto le afferrò persino il polso, accostandoselo al naso.

   «Ehi, che fai?!» protestò Jaylah, sorpresa e infastidita. «Stacca le tue narici dal mio braccio! Cioè, dal braccio di Zafreen».

   «Senti un po’... hai assunto il soppressore di feromoni?» chiese Vrel, lasciandola andare.

   «No, me n’ero completamente scordata!» ammise Jaylah, dandosi una manata sulla fronte.

   «È meglio se lo chiedi a Zafreen. O presto avrai un codazzo di maschi allupati» consigliò Vrel, alludendo ai colleghi che la scrutavano dagli altri tavoli, più o meno imbambolati.

   «Vado subito» disse Jaylah, alzandosi di scatto. «Le metterò in conto anche questa!» si ripromise, attraversando la mensa tra gli sguardi da pesce lesso.

 

   «Avanti».

   Era inquietante sentire la propria voce che l’autorizzava a entrare nell’alloggio di Zafreen, ma Jaylah si fece coraggio e varcò la soglia. Non era mai stata lì prima d’allora. L’alloggio era arredato in stile orioniano... cioè, ai suoi occhi, barbaro e decadente. C’erano pellicce in terra e trofei appesi alle pareti. Un horga’hn risiano, simbolo di disponibilità sessuale, era collocato su un ripiano tra due candele, come un idolo sacrilego. Profumi esotici appesantivano l’aria.

   «Zafreen?» chiese Jaylah, dato che la padrona di casa non era in vista.

   «Eccomi, sono qui» disse Zafreen, uscendo dal bagno. L’Orioniana, sempre nel corpo di Jaylah, si era tinta i capelli di nero. Indossava uno dei suoi abitini provocanti, con colori al neon, e si era truccata pesantemente. «Che te ne pare? Riesco sempre a essere bellissima, anche quando ho poco materiale su cui lavorare» si vantò.

   «Proprio di questo volevo parlarti» mugugnò Jaylah. «Preferirei che non mi stravolgessi il look».

   «Anche tu hai stravolto il mio» obiettò Zafreen. «Guarda i miei poveri capelli... con che li lavi, olio dei motori?» chiese, esaminando una ciocca.

   «E poi mi serve il tuo soppressore di feromoni» aggiunse Jaylah, ignorando il commento.

   «Oh, già». Zafreen prese l’ipospray da un cassetto del comodino. «Ecco, cara... ma forse preferisci l’ebbrezza di girare per la nave, sapendo d’essere irresistibile».

   «Girare per la nave è l’unica cosa che mi resta, dato che il lavoro mi è stato revocato» l’informò Jaylah.

   «Oh, povera cara! È stato a causa mia? Sì, temo proprio di sì. Che posso fare per aiutarti?» chiese Zafreen.

   «Puoi restituirmi il corpo» rispose l’Agente a muso duro.

   «Sai che non dipende da me» le ricordò l’addetta ai sensori. «Però c’è una cosa che potremmo fare, per renderci la vita più tollerabile!» s’illuminò.

   «Ah, sì? E sarebbe?» chiese Jaylah, vagamente speranzosa.

   «Potremmo condividere l’alloggio! Così ci scambieremo i pareri e ci aiuteremo a sistemarci».

   «Vorresti che venissi qui?!».

   «Perché no? Sarà come tornare in Accademia, con la compagna di stanza» suggerì Zafreen.

   «Io non voglio una compagna di stanza!» protestò Jaylah. «Rivoglio solo il mio corpo, brutta ladra! Lo voglio senza feromoni, senza tintura e con abiti decenti! E questi, che cosa sono?!» chiese, notando gli oggettini tintinnanti appesi alle orecchie.

   «Oh, questi?» fece Zafreen, sfiorandoli imbarazzata. «Sono i miei orecchini. Li ho sempre portati...».

   «Non ti sarai mica forata le orecchie per metterteli? Le mie orecchie?!» inorridì Jaylah.

   «I lobi, sì. È questione di un attimo. Quando riavrai il tuo corpo, te li puoi togliere...» minimizzò Zafreen.

   «Ma i buchi restano! Tu... tu...». Fuori di sé dalla stizza, Jaylah la schiaffeggiò. «Non ti azzardare a bucarmi ancora, o te la faccio pagare. Ti odio... ti odio!» strillò, inviperita.

   «Ehi, datti una calmata!» fece Zafreen, intimorita da quello scoppio d’ira. «Forse sei influenzata dal mio organismo... sai, i livelli ormonali sono molto più alti dei tuoi. Potresti essere un po’ fuori di testa».

   «Sono decisamente fuori dalla mia testa» convenne Jaylah. «E anche se non mi guardo allo specchio, ho un sensore corticale appiccicato alla base del cranio che me lo ricorda in ogni momento».

   «Ne stai facendo un dramma!» si lagnò Zafreen. «Fai come me... prendi quest’esperienza col sorriso. Vedrai che tutto si sistemerà».

   «Lo spero proprio» disse Jaylah, dominandosi a stento. «Ma anche se si sistemasse, resta il fatto che sei una principessa viziata, che non merita di stare sulla Keter!» accusò.

   «Tu non sai chi sono e da dove vengo» ribatté Zafreen, improvvisamente ombrosa. «Credi che la mia vita sia sempre stata facile? Mi sono lasciata alle spalle un pessimo contesto... non voglio nemmeno ricordarlo. L’importante è che ora sono qui. E ho tutta l’intenzione di godermi la vita. Ti consiglio di fare altrettanto. Buona giornata».

   Jaylah spalancò gli occhi. Era una Zafreen completamente diversa dal solito, dura e amara, quella che l’aveva appena congedata. Avrebbe voluto saperne di più sul suo passato, ma intuì che le domande sarebbero rimaste inascoltate. Così lasciò l’alloggio, portandosi via il soppressore di feromoni.

 

   Tre giorni dopo, il confinamento di Zafreen terminò e l’addetta ai sensori poté incontrare Vrel in sala mensa. I fidanzati si baciarono, ma il mezzo Xindi era stranamente distante.

   «Ehi, cucciolone... che ti succede?» chiese Zafreen, mentre si accomodavano a un tavolo.

   «Niente, è solo che sono preoccupato» rispose lui.

   «Per me o per Jaylah?».

   «Per tutte e due, ovviamente! Questo scambio di corpo è la cosa più folle che abbia mai visto. Non so se può farvi del male, né se tornerete mai in voi» confessò il timoniere.

   «Hai sentito la dottoressa... tutto si aggiusterà col tempo» cercò di tranquillizzarlo Zafreen. «Intanto devo dire che il corpo di Jaylah non è male... anche se non ha la mia bellezza sconvolgente, è ovvio. Ma spero che ti basti».

   «Bastare... a me?! Che stai dicendo?» s’inquietò Vrel.

   «Come, non ricordi? Stasera è il nostro anniversario» tubò Zafreen. «Non l’avrai scordato!».

   «No, certo che no!» fece Vrel, correndo ai ripari. «È stato un anno favoloso... e ho già prenotato il ponte ologrammi. Ceneremo in un locale pittoresco su Betazed, con la vista sull’Oceano Thaxan».

   «Splendido! E dopo potremmo andare nel mio alloggio...» suggerì Zafreen, maliziosa.

   «Il tuo alloggio, eh? Ehm... meglio di no» fece Vrel, imbarazzato nel vedere quello sguardo negli occhi di Jaylah.

   «Perché, cos’ha che non va?» si stupì Zafreen. «Va beh, non importa... possiamo andare nel tuo».

   «E se non andassimo neanche nel mio?» chiese il timoniere.

   «Beh, c’è il plesso gravitazionale della giunzione 12. Farlo in assenza di gravità è fantastico, anche se per arrivarci dovremo strisciare nei tubi di Jefferies».

   «Non mi sono spiegato... non credo che dovremmo farlo affatto».

   «Perché no?» s’indignò Zafreen. «Che c’è, non mi ami più?».

   «No, cioè sì, certo che ti amo» annaspò Vrel. «Ma vedi, io amo Zafreen nel corpo di Zafreen».

   «Lo sapevo, è tutta colpa di Jaylah. Quella ragazza è piatta come un’asse» commentò l’addetta ai sensori, guardandosi.

   «Non è questo il punto» chiarì Vrel, sempre più rosso. «Senti, in questo momento ti trovi nel corpo di un’altra persona... una mia cara amica, fra l’altro. Non credo che dovresti abusarne».

   «Abusarne?!» fece Zafreen, esterrefatta. «Ma che dici? Siamo adulti e consenzienti!».

   «Sì, e tu sei nel corpo di Jaylah» rimarcò il mezzo Xindi. «Non apprezzerebbe di sapere come lo usi».

   «Quel che non sa, non la farà soffrire».

   «Lo so io, e tanto basta perché non mi senta a posto con la coscienza» sospirò Vrel. «Senti, mi spiace... ma finché questa situazione assurda non si risolve, credo che dovremmo contenerci».

   «Cioè io dovrei contenermi» puntualizzò Zafreen. «Tu puoi stare con chi ti pare... io invece devo andare in crisi d’astinenza per non turbare la tua frigida amica!».

   «Non intendo tradirti, se è questo che temi» promise Vrel. «Ma la situazione è quella che è. Tu finora l’hai presa sottogamba... ora forse ti accorgerai che è una cosa seria».

   «Seria, sì! Non sai che la castità è l’unico peccato capitale nella cultura orioniana? E per quanto tempo dovremmo tirare avanti così?» chiese Zafreen.

   «Sei stata tu a dire che si aggiusterà tutto. Spero proprio che tu abbia ragione... per il bene di tutti e tre. Ma fino ad allora, nisba» disse il mezzo Xindi. Lasciò il tavolo e andò verso l’uscita.

   «Ehi, dove vai? Aspetta!» lo rincorse Zafreen.

   «Scusa, ma proprio non me la sento. Ripensandoci, forse dovremmo annullare l’appuntamento di stasera» disse Vrel, respingendola con una mano, mentre con l’altra si massaggiava la tempia. Dopo aver passato tanto tempo a corteggiare Zafreen, era pazzesco che ora dovesse rifiutarla, rischiando di perderla per sempre.

   «Ma sì, gettati tu nell’Oceano Thaxan!» strillò Zafreen, furiosa. Tornò cocciutamente al tavolo, aspettando che Vrel tornasse strisciando a chiederle scusa. Ma i minuti passavano e Vrel non si vedeva. L’addetta ai sensori era sempre più in ansia. «Computer, localizza il Guardiamarina Shil» ordinò.

   «Il Guardiamarina Shil è in plancia» riferì il computer, affossando le sue speranze. Se Vrel aveva preso servizio, non l’avrebbe rivisto per parecchie ore. Quanto a lei, aveva designato un sostituto per la plancia, visto che il Capitano le aveva ordinato di concentrarsi sui geroglifici. Ma in quello stato d’animo, Zafreen sapeva che non avrebbe combinato un bel niente.

   Umiliata e sconvolta, l’addetta ai sensori si precipitò in infermeria. «Dottoressa, ho un’emergenza medica!» esclamò, irrompendo nella sala principale.

   «Che c’è, il corpo sta rigettando la tua coscienza?» si allarmò Ladya. «Chiamo subito Jaylah».

   «Non è per quello» fece Zafreen, agitatissima. «Il fatto è che Vrel non ci sta, finché sono nel corpo della sua amica d’infanzia. Potrebbe lasciarmi! E io non posso rimpiazzarlo con nessuno, senza sentirmi in colpa nei confronti di Miss “ho dimenticato l’abbronzante”».

   «Sarebbe questo, il problema?» chiese la Vidiiana, incredula.

   «Che fa, non mi prende sul serio? È una questione di vita o di morte!» insisté Zafreen.

   «Sì... per un’Orioniana» fece Ladya, arricciando il naso. «Beh, carina, ho una notizia: sei nel corpo di un’altra persona, quindi devi trattarlo con rispetto. Nel frattempo posso darti un cerotto antistress o una gomma da masticare».

   «E quanto ci vorrà per tornare nel mio stupendo, insostituibile corpo?» frignò Zafreen, sul punto di scoppiare in lacrime.

   «Il tempo che ci vorrà» fu la temuta risposta.

   «Ma sono passati giorni! A Kirk e Lester servì di meno».

   «Lo scambio neurale è un fenomeno che sfida ancora la nostra comprensione» spiegò la dottoressa. «Anche le cavie sono ancora scambiate» aggiunse, indicando i cani di Alpha, chiusi in due grosse gabbie.

   «Potremmo usare di nuovo il trasferitore» suggerì Zafreen.

   «Su di loro, forse» disse Ladya, nutrendo gli animali. «Ma non voglio usarlo su te e Jaylah, se non ne capiremo appieno il funzionamento. Il rischio di menomarvi è troppo grande. Per adesso spero ancora che tutto si risolva da sé. Ma devo dirtelo... se passano le settimane e non cambia nulla, è possibile che la vostra condizione sia definitiva».

   «Che cosa?!» si disperò Zafreen, tastandosi dappertutto. «Resterò per sempre qui dentro? Con una sociopatica – nel mio corpo – che mi tiene il fiato sul collo?!».

   «In quel caso, tu e Jaylah dovrete parlare seriamente di come condurre le vostre vite» disse la Vidiiana, prendendola da parte. «Sarebbe ingiusto che vi sorvegliaste a vicenda in continuazione... forse dovrete accettare che ognuna viva come le pare. Ma non disperarti! Non siete ancora a quel punto».

   «Okay, aspetterò per qualche settimana» sbuffò Zafreen. «Intanto lei ripassi le tecniche di trapianto del cervello!» raccomandò, prima di lasciare l’infermeria.

 

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Capitolo 3
*** Il richiamo dei Cacciatori ***


-Capitolo 2: Il richiamo dei Cacciatori

 

   Sulla plancia della Keter l’attività era scarsa, come da diversi giorni a quella parte. Oltre ad analizzare il pianeta non c’era molto da fare. «La scansione del Sito Gamma è ultimata» riferì Zafreen, sempre nel corpo di Jaylah. «Ci sono due livelli sotterranei che finora non erano stati mappati. E un’altra piccola sala ipogea a cinque chilometri di distanza».

   «Li aggiunga alle mappe» disse il Capitano distrattamente.

   «Pensa di mandare qualcuno a esplorarli?» chiese Radek.

   «No, quello spetterà alla prossima squadra archeologica» rispose Hod. «La nostra missione era studiare il trasferitore neurale... e stiamo facendo proprio un bel lavoro» commentò, squadrando l’addetta ai sensori.

   «Juri e Dib sono ancora laggiù con le squadre» ricordò il Comandante. «Continuo a ripetermi che troveranno una soluzione al problema».

   «Speriamo. Se l’Ammiraglio Chase non riavrà la figlia nel suo corpo, ci degraderà tutti a Guardiamarina» borbottò il Capitano, tamburellando le dita sul bracciolo.

   «Rilevo una nave in avvicinamento» riferì Zafreen. «Dalla traccia di curvatura si direbbe Hirogena» avvertì.

   «La vedo» disse Norrin, l’Ufficiale Tattico, ricevendo le telemetrie sulla sua consolle. «Sì, è una nave di Cacciatori. Un vecchio modello».

   «Allarme Rosso» ordinò il Capitano. «Richiamate subito le squadre». Si rivolse a Norrin: «Spero che la mia reazione non le dispiaccia, ma raramente il suo popolo ha intenti amichevoli».

   L’Hirogeno non rispose, ma annuì. Norrin era l’unico della sua specie a servire nella Flotta Stellare. Finora non aveva mai dovuto affrontare i suoi simili in uno scontro armato, ma era un’eventualità di cui era sempre stato consapevole.

   La nave dei Cacciatori uscì dalla curvatura a poca distanza dalla Keter. Era un vascello piccolo e agile, con lo scafo verde-giallastro. Aveva una sezione conica anteriore e due gondole sporgenti ai lati. Norrin conosceva bene quel modello. «Scafo in monotanio, armi a tetrioni, trenta membri d’equipaggio» riferì. «È uguale alla nave su cui sono cresciuto» aggiunse a mezza voce.

   «Tutte le squadre sono rientrate» verificò Radek, consultando l’oloschermo del bracciolo.

   «Che strano... la nave Hirogena ha armi e scudi disattivati» constatò Norrin. «Per i loro standard, è una dichiarazione di pace».

   «Ci chiamano» disse Zafreen.

   «Sullo schermo» ordinò il Capitano, alzandosi per affrontare l’interlocutore.

   L’Hirogeno Alfa le comparve davanti, minaccioso nell’armatura blu che lo faceva sembrare una creatura marina. Si sganciò il respiratore che copriva naso e bocca, poi si levò anche il resto del casco. Era abbastanza in là con gli anni, cosa rara per un Cacciatore. «Perché avete alzato gli scudi e dato energia alle armi?» esordì. «Noi non abbiamo fatto nessuna delle due cose».

   «Semplice precauzione, anche se spero non sia necessaria» rispose Hod. «Le vostre bande di Cacciatori tendono a essere molto aggressive nei confronti delle potenziali prede. Cioè di tutto ciò che è vivo» precisò.

   «Noi abbiamo regolarizzato la nostra posizione con l’Unione» rivelò l’Hirogeno. «Cacciamo solo animali e se occorre accettiamo lavoretti che voi federali siete troppo lindi per svolgere».

   «Mercenari» riconobbe il Capitano, con un sorriso tutt’altro che simpatico. «Perché siete qui? Devo informarvi che questo pianeta è off-limits».

   «Perché, c’è qualche pericolo?» chiese l’Alfa.

   «No, ma ci sono importanti siti archeologici» rispose Hod, tacendo del trasferitore neurale.

   «Tipico della Flotta... trovate qualche rovina e la usate come scusa per appropriarvi dell’intero pianeta» commentò l’Hirogeno. «Spero che i vostri scavi archeologici non si estendano anche nello spazio» aggiunse beffardo.

   «La vostra nave può restare in orbita, per ora» disse l’Elaysiana. «Ma devo sapere il motivo della visita».

   «Stiamo cercando una persona» rispose l’Alfa.

   «Non per eviscerarla, spero» fece il Capitano.

   «Al contrario... è un nostro congiunto che vogliamo riavere fra noi» rivelò l’Hirogeno, accostandosi alla telecamera fino a riempire quasi tutto lo schermo. «Sei lì, Norrin? Io sono Dorvic, tuo zio. Sono qui per invitarti a tornare a casa».

 

   Scioccati, gli ufficiali di plancia fissarono Norrin. L’Ufficiale Tattico osservava lo schermo con stupore, ma anche con diffidenza. «Ti vedo, Dorvic» disse, lasciando la sua consolle a un sottoposto per entrare nell’inquadratura.

   «Finalmente!» esultò l’anziano Hirogeno nel vederlo. «Abbiamo attraversato l’Unione in lungo e in largo per trovarti. Molte volte siamo stati tentati di abbandonare la ricerca. Ma il richiamo del sangue è troppo forte... e alla fine ci ha condotti da te. Questo è un gran giorno per la famiglia!».

   «Tenente?» fece Hod, con l’aria di chi esige una spiegazione.

   «A quanto pare, il mio clan non fu sterminato a Procyon V come credevo» rispose l’Ufficiale Tattico, con invidiabile calma.

   «Ma la nave fu distrutta!» obiettò il Capitano.

   «Avevamo tre navi» corresse Norrin. «Una fu distrutta dai Na’kuhl. La seconda, dove mi trovavo, fu gravemente danneggiata e divenne un relitto. Un anno fa è stata assorbita nel Melange, venendo annientata con quello. Ma la terza nave scomparve nel nulla. Ho sempre pensato che fosse stata anch’essa distrutta».

   «C’è mancato poco» ammise Dorvic. «Ah, ricordo quella battaglia come fosse ieri. Che gran giorno, fu! Di sangue e di gloria. Ma vorrei parlarne faccia a faccia. Verrai sulla mia nave, nipote?».

   «Preferirei che venisse lei sulla mia» propose il Capitano Hod, che non si fidava per nulla dei nuovi arrivati.

   «Questa femmina è il tuo Alfa?» chiese Dorvic, sempre rivolto a Norrin.

   «È il mio Capitano» precisò l’Ufficiale Tattico, imbarazzato da quell’atteggiamento. «Riguardo all’incontro, preferirei anch’io che avvenisse sulla Keter».

   «Come preferite» fece Dorvic con un’alzata di spalle.

 

   Di lì a poco erano tutti in sala tattica. Dorvic si era presentato con un paio dei suoi Cacciatori, ma invece di sedersi passeggiava animatamente qua e là, spiegando al nipote le ragioni della loro lunga separazione.

   «Non so quanto ricordi le tradizioni del nostro clan» disse l’Alfa. «Fummo tra i primi Hirogeni a entrare in contatto con la Federazione, due secoli fa. Per diverso tempo bazzicammo tra lo spazio romulano e quello federale, cacciando o accettando ingaggi. Durante la Guerra delle Anomalie ci tenemmo in disparte, ma quando tutte le potenze raccolsero le forze per la battaglia di Procyon, ci schierammo con l’Unione.

   Tuo padre Jedrin – mio fratello maggiore – era il capoclan. Avrebbe dovuto guidarci in battaglia. Ma all’ultimo momento si allontanò, per partecipare a un’importante missione col Capitano Chase. Riuscirono a recuperare l’arma che distrusse le Sfere, ma l’impresa costò la vita a tuo padre. Così la responsabilità del comando ricadde su di me.

   Anche senza le Sfere, il Fronte Temporale era terribilmente forte. Quando una nostra nave fu distrutta e un’altra – la tua – fu gravemente danneggiata, dovetti fare una scelta. Restare lì, in mezzo ai Na’kuhl, significava morire tutti. Perciò decisi che avevamo versato abbastanza sangue per la causa. Recuperammo le capsule dalla nave danneggiata, sperando che ci fossi anche tu... purtroppo ci sbagliavamo... e lasciammo la battaglia.

   Anche la nostra ultima nave aveva riportato seri danni. Servì più di un mese per ripararla. A quel punto la flotta vincitrice si era sciolta e le potenze si stavano riunendo per i trattati di pace. Sebbene avessimo combattuto coi vincitori, nessuno c’invitò ai negoziati o ci offrì ricompense. Così tornammo alla nostra vita di prima, anche se non restava molto del clan».

   Il vecchio Hirogeno sospirò, guardando la superficie del tavolo, ma poi tornò a fissare Norrin. «Qualche anno fa, però, le cose cambiarono. Sentimmo parlare di un Hirogeno che era entrato nella Flotta Stellare, primo della nostra specie. All’epoca non sapevo che fossi tu, ma fui incuriosito, così cercai informazioni. Scoprii che ti chiamavi Norrin, proprio come il nipote che avevo perso a Procyon V.

   Il sospetto cominciò a rodermi. Così continuai a raccogliere dati – la tua età, i tuoi spostamenti – per capire se eri davvero tu. Scoprii che avevi prestato servizio sull’USS Horus e incontrai persino un paio di tuoi vecchi colleghi. Ma non riuscivo a capire dove ti avessero trasferito in seguito. Sembravi scomparso e la Flotta non era molto disponibile a passarmi informazioni. Ma dopo la battaglia col Melange, la vostra nave s’è fatta un nome. E noi siamo Cacciatori... siamo abili a seguire le tracce. Così eccoci qui. Siamo venuti a prenderti, anche se in ritardo. Verrai con noi?».

   Il Capitano e gli ufficiali della Keter scrutarono il loro collega, preoccupati. Norrin rimase a lungo in silenzio, rimuginando sulla risposta. «Per tutta la vita ho sognato che foste sopravvissuti» disse infine. «Se vi avessi trovati a diciott’anni, prima di arruolarmi, non avrei esitato a tornare con voi. Ma è passato tanto tempo e le circostanze della mia vita sono cambiate. Sono un ufficiale della Flotta, ora. Ho delle responsabilità nei confronti di questa nave e del suo equipaggio».

   «La prima responsabilità di un Cacciatore è nei confronti del suo clan!» protestò uno degli Hirogeni più giovani.

   «Ma io non sono un Cacciatore» obiettò Norrin, senza scomporsi. «Sono l’Ufficiale Tattico della Keter. Non posso mollare tutto e andarmene con voi. Non fraintendete, sono felice di sapere che ve la siete cavata. Mi ricordo bene di te, zio. Sei stato tu ad accompagnarmi nelle prime battute di caccia. Quelle lezioni mi sono state utili nel mio lavoro. Ma ormai è tardi... troppo tardi per chiedermi di tornare».

   «Temevo che avresti risposto così» sospirò Dorvic, afflitto. «Ma sei un Hirogeno e per giunta il figlio di un Alfa. Hai la caccia nel sangue. Ti chiedo solo di trascorrere un periodo con noi, così che tu possa ricordare cos’hai perso. A quel punto deciderai secondo coscienza».

   «Io... non credo di poter...» fece Norrin, ma era dubbioso.

   «Ci sono dei giovani, nel nostro clan. A loro farebbe piacere rivederti e sentire i tuoi racconti sulla Flotta. Forse aiuterebbero a farci coesistere meglio» suggerì Dorvic.

   Norrin tentennava sempre più. «Vorrei una notte per pensarci» disse infine.

   «Certo, nipote» acconsentì l’Alfa. «Chiamaci domani, o anche dopodomani, quando vuoi. Resteremo in orbita per un paio di giorni. E facci sapere se accetti».

 

   Il vecchio Hirogeno si ritirò, con i suoi accompagnatori. Anche la maggior parte degli ufficiali lasciò la sala tattica. Ma Norrin rimase e con lui il Capitano Hod. Si riaccostarono al tavolo, ma non vi sedettero.

   «Allora, vuole andare?» chiese l’Elaysiana.

   «Mi lascerebbe andare?» ribatté l’Hirogeno.

   «In circostanze normali non vieterei a un membro dell’equipaggio di prendersi una licenza. Di sicuro non a uno che lavora sodo come lei» rispose il Capitano, appoggiandosi allo schienale di una poltroncina. «Ma converrà che farla andare con quei Cacciatori è problematico. Non siamo nemmeno certi che siano la sua vera famiglia...».

   «Lo sono, ho riconosciuto mio zio» affermò Norrin. «E se accediamo al database sulla Battaglia di Procyon V, credo che riconosceremo la loro nave».

   «Va bene, diciamo che sono i suoi parenti» fece il Capitano, cedendo su questo punto. «Lei se ne va con loro... e poi?».

   «Finita la licenza, tornerò qui» rispose Norrin con semplicità.

   «Sempre che non la convincano a rimanere» obiettò Hod. «So quant’è forte il richiamo delle proprie radici... io stessa rimpiango la lontananza dei miei cari» sospirò. «Per lei, che li credeva morti, è molto peggio. Sarà tentato di recuperare il tempo perso... magari di aiutarli con le competenze che ha maturato vivendo fra noi. Non so darle torto. Ma se questo la inducesse a non tornare...».

   «Le ho dato la mia parola che tornerò. Non mi crede?» fece Norrin.

   «Non dico questo!» si corresse Hod, non volendo creare attrito in quel momento così delicato. «Certo che le credo... è della sua famiglia che non mi fido».

   «Perché sono Hirogeni?» chiese l’Ufficiale Tattico.

   «Perché sono Cacciatori!» esclamò il Capitano. «Uccidono le persone per avere trofei. Lo hanno fatto per generazioni. Chissà che c’è, sulla loro nave. Magari resti di cittadini federali».

   «Hanno detto che ora cacciano solo animali» le ricordò Norrin.

   «Anche su questo ho dubbi» rimarcò Hod. «E comunque hanno ammesso d’essere anche mercenari».

   «Se non vuole che vada, deve solo ordinarmelo» tagliò corto Norrin.

   «Ma vede, io non voglio ordinarglielo» chiarì il Capitano. «Non mi sento in diritto di negarle l’incontro con una famiglia a lungo perduta. Ma ho anche validi motivi di preoccupazione. Se i suoi congiunti pretendessero che resti con loro? Se le vietassero di tornare?».

   «Non riusciranno a trattenermi» rispose l’Ufficiale Tattico.

   «Stiamo parlando di Cacciatori provetti. Penso che sappiano trattenere gli ospiti recalcitranti» gli ricordò Hod. «Insomma, mi dica: vuole andare con loro, sì o no?».

   «Sì» ammise Norrin. «Ma non per restare» precisò.

   «E va bene» cedette il Capitano, senza nascondere la preoccupazione. «Ma voglio due promesse da parte sua. La prima è che non sforerà i giorni di licenza che le concedo. La seconda è che, se decidesse di restare con la sua gente...».

   «Non succederà».

   «... se succedesse, tornerà sulla Keter per dirmelo di persona. Niente messaggi a distanza, che potrebbero essere falsificati» precisò Hod. «Se vorrà dimettersi, io lo accetterò. Ma esigo che me lo dica qui. Allora, me lo promette?».

   «Le prometto entrambe le cose» s’impegnò Norrin.

   «Allora buona fortuna» disse il Capitano, un po’ triste. «Le concedo quindici giorni di licenza, a partire da domani. Può andare».

 

   Di solito la palestra era deserta, a quell’ora. Ma stavolta una ginnasta solitaria si era trattenuta più a lungo del solito. L’Orioniana colpiva il punching-ball con una veemenza inedita per lei. Infatti non era un’Orioniana. Sotto la pelle verde si celavano i pensieri di Jaylah, ancora imprigionata in quel corpo non suo. Norrin le si avvicinò da dietro e la osservò mentre tempestava di pugni il bersaglio.

   «Ciao, Jaylah. Come va, oggi?» le chiese dopo un po’.

   «Come al solito» rispose la giovane. «Zafreen si pavoneggia nel mio corpo e io resto qui a fare la Perfida Strega dell’Ovest». Si voltò, sudata e ansimante. «Questo corpo fa schifo. Pochi minuti d’allenamento ed è già stremato. Ma dimmi di quei Cacciatori che ci hanno raggiunto. Cosa vogliono?» s’interessò.

   «Vogliono me» rivelò Norrin. «Sono ciò che resta della mia famiglia, sopravvissuti a Procyon V».

   «La terza nave?» chiese Jaylah, ricordando ciò che l’amico le aveva raccontato mentre erano intrappolati nel Melange.

   Norrin annuì. «Mi hanno cercato per anni, a differenza di me, che avevo gettato la spugna. E ora mi chiedono di tornare con loro».

   «Non avrai accettato!» esclamò Jaylah, sedendo accanto a lui su una panca. «La tua vita è qui...».

   «Sono la mia famiglia, devo loro qualcosa. Il Capitano mi ha dato due settimane di licenza per stare con loro, dopo di che tornerò da voi» assicurò l’Hirogeno.

   «Uhm... sei certo che non ci sia sotto qualcosa? É strano che si siano fatti vivi dopo tutto questo tempo» s’insospettì Jaylah.

   «Mi cercavano da un po’, ma solo di recente hanno saputo della Keter» precisò l’Hirogeno. «Sono i soli parenti che ho e forse questa è l’ultima volta che li vedo. Non potevo perdere l’occasione... ma mi spiace lasciarti proprio adesso che sei nel Periodo Verde» scherzò.

   «Lasciamo stare i miei problemi... ho già Vrel e Ladya a darmi una mano» garantì Jaylah. «Tu piuttosto, te la caverai?».

   «È solo una rimpatriata con la famiglia, non una missione suicida» garantì Norrin. «E poi ho dei validi motivi per tornare. Sono soddisfatto del mio incarico sulla Keter. E aspetto ancora di guidarti in una missione nel tempo, Agente Chase» augurò. Non aggiunse altro, non essendo un tipo espansivo; ma non ce n’era bisogno. Era dalla missione nel Melange che le aveva fatto intendere di tenere a lei come a una figlia.

   «Buona fortuna, allora» gli augurò Jaylah.

 

   Il giorno dopo, come da accordi, Norrin salì sulla nave Hirogena, accolto dai membri del suo clan. Dorvic era palesemente soddisfatto e fece subito le presentazioni. «Questo è Vidrak, tuo cugino di secondo grado. Da qualche anno è diventato il mio Beta».

   «Lieto di conoscerti» disse Norrin. I due Hirogeni si strinsero i polsi, secondo l’usanza – valida anche fra parenti – volta ad accertare che l’altro non nascondesse armi. «E Rorak dov’è?» chiese, guardandosi attorno.

   «Mio figlio non c’è più» rivelò Dorvic, addolorato. «Morì cinque stagioni di caccia fa, durante uno scontro con gli indigeni di Taurus II».

   «Mi spiace, zio» disse Norrin. L’ultima volta che aveva incontrato suo cugino erano bambini. «Aspetta... che genere di scontro? Non li stavate mica cacciando?» si accigliò. «Sono esseri senzienti, anche se vivono nell’Età della Pietra».

   «Seguivamo le nostre usanze. Comunque, dopo la morte di Rorak, facemmo voto di non cacciare più umanoidi» dichiarò l’Alfa. «Ma non rivanghiamo il passato. Vieni in mensa, così ci rifocilleremo e parleremo. Vidrak, rotta verso casa» ordinò al Beta, che partì spedito verso la plancia.

   «Casa?» si stupì Norrin. «Credevo fosse questa, la vostra casa».

   «Questa piccola nave? Oh, no!» fece Dorvic. «Dopo aver perso gli altri due vascelli, capimmo che ci serviva una base stabile. Così sbarcammo alcuni dei nostri su un pianeta nel sistema Amar, dove vivevano già altri clan. Adesso le nostre famiglie vivono là; sulla nave ci sono solo i Cacciatori. È molto meglio così. Lasciamo i rischi a chi è del mestiere. E quando cerchiamo una compagna, torniamo su Amar per sceglierla tra gli altri clan».

   Così parlando, giunsero in sala mensa. Dorvic sedette a capotavola, ma volle che il nipote gli stesse accanto, per proseguire la conversazione. Gli altri Hirogeni si disposero lungo il tavolo, in base al loro prestigio di Cacciatori. Non appena l’Alfa iniziò a mangiare, anche gli altri presero a servirsi. C’erano grossi arrosti, che gli Hirogeni si contendevano vivacemente, innaffiati con bevande forti. Norrin prese la carne, ma bevve con moderazione, non volendo ubriacarsi. Di lì a poco anche Vidrak tornò dalla plancia per unirsi a loro.

   «Visto che parliamo di famiglie, dimmi un po’ di te, nipote» lo esortò Dorvic. «Hai una moglie? Dei figli?».

   «Niente di tutto questo» ammise Norrin con un certo rimpianto.

   «Alla tua età, dovresti» lo rimproverò lo zio. «Che sarà della nostra famiglia, ora che Rorak è morto, se tu non hai eredi?».

   «Nell’Unione non c’erano molte Hirogene» si giustificò Norrin. «Anzi, nessuna. Ho avuto un paio di compagne aliene, nel corso degli anni, ma non è durata».

   «Aliene?» si accigliò Dorvic. «Hai fatto bene a lasciarle. Il nostro DNA non si lega bene con le altre specie. E poi gli alieni non capiscono il nostro spirito».

   A Norrin non piacque questo discorso, ma non volle discutere con lo zio.

   «Se sei ancora in cerca di una compagna, ne troverai su Amar» suggerì Vidrak. «Ci sono molti clan, laggiù. Molte donne affascinanti».

   «Non è per questo che sono venuto...» disse Norrin, dominandosi. Sperò che quel viaggio non diventasse un tentativo, da parte dei parenti, di farlo sposare. Non che fosse prevenuto contro il matrimonio... anzi, in certi momenti gli dispiaceva di non aver mai messo su famiglia. Ma stava accadendo troppo in fretta. Non era ancora in quell’ordine d’idee.

   «Va bene, ragazzi, non asfissiamolo!» ridacchiò Dorvic. «Mio nipote è stato lontano a lungo, deve riabituarsi ai nostri modi».

   «Ci sono tante cose che vorrei sapere di voi» ammise Norrin.

   «E noi vogliamo sapere tutto di te!» fece Vidrak, versandogli da bere. «Sai, questa è solo una festicciola di benvenuto. Quando saremo su Amar faremo un vero banchetto, invitando anche altri clan. E la cosa più importante, in quelle cene, sono le storie dei Cacciatori. Noi ormai, gira e rigira, le conosciamo tutte. Ma con un nuovo ospite diventa tutto più interessante! Un sacco di gente vorrà farti domande sulla tua vita nell’Unione».

   «Sarebbe un racconto noioso, a paragone delle vostre cacce» si schermì Norrin.

   «Sei troppo modesto» lo lodò Dorvic. «Presti servizio nella Flotta Stellare, e non su una nave qualunque. A quanto ho capito, la Keter si occupa di missioni speciali. Avrai senz’altro delle storie interessanti da raccontare».

   «Ho avuto la mia dose d’avventure» convenne Norrin. «Ma temo di non poterle divulgare. Come Ufficiale Tattico, sono vincolato al segreto».

   «Che gusto c’è a combattere, se non puoi nemmeno raccontarlo agli altri?» si crucciò Vidrak. «Senza il racconto, e i trofei che lo attestano, è come se non avessi fatto niente».

   «Il mio lavoro non è esattamente “combattere”».

   «Ma sei l’Ufficiale Tattico!».

   «Sì, il che significa che ho un ruolo, inquadrato fra gli altri. Ma la Keter non si batte per il nostro guadagno» spiegò Norrin. «Noi proteggiamo i cittadini federali da tutta una serie di minacce. Come prevede il regolamento, cerchiamo sempre una soluzione pacifica. Se quella non si trova, allora sì, usiamo le armi. Però cerchiamo di arrestare i fuorilegge, non di ucciderli».

   «Così vi complicate la vita» notò un altro Hirogeno. «Non è più semplice sbarazzarvi degli avversari? Così educhereste anche gli altri, che ci penserebbero due volte, prima di attaccarvi».

   «A volte ho l’impressione che seguire il regolamento sia come combattere con una mano legata dietro la schiena» ammise Norrin. «Però riconosco che queste leggi esistono per dei motivi. L’Unione è molto più vasta e complessa di questo clan. Quindi anche le regole devono essere adeguate alla complessità. Devono tenere insieme specie e culture diversissime, e l’unico modo per farlo è trovare dei valori comuni».

   «Parli proprio come un federale» commentò Vidrak, scuotendo la testa.

   «Perché lo sono» confermò Norrin.

   «Ma sei anche un Hirogeno! Se dovessimo avere problemi con l’Unione, con chi...» cominciò il Beta, ma fu zittito da Dorvic.

   «Basta così» disse l’Alfa, accompagnandosi con un gesto secco. «Questo è un momento d’allegria e voglio che resti tale. Ci sarà tempo per le discussioni più serie».

   «Sì, Alfa» mormorò Vidrak, abbassando lo sguardo. Il pranzo continuò finché tutti gli arrosti furono spolpati e la maggior parte delle bottiglie fu vuotata, ma Norrin ebbe la sensazione che il cameratismo si fosse dissolto. Quelli attorno a lui erano quasi tutti suoi parenti, vicini o lontani, ma li sentiva più distanti di molti alieni con cui aveva avuto a che fare.

 

   Era una serata fiacca in sala ricreativa. Jaylah leggeva in un angolo, un po’ rimpiangendo l’assenza di Norrin e un po’ temendo per lui. A un certo punto notò che Juri e Dib erano entrati in sala e si erano messi a giocare a kadis-kot. Sedevano davanti alla scacchiera esagonale, posta in verticale, e muovevano i cursori verdi, arancioni e rossi. Sapendo che quei due stavano ancora studiando il Sito Alfa, decise di fargli qualche domanda. Si avvicinò a loro, un po’ esitante. «Scusate, posso disturbarvi un attimo?» chiese.

   «Certo» l’accolse lo storico. «Vuoi sapere come va col trasferitore, vero?».

   «Esatto».

   «Quand’è così, lascio la parola all’Ingegnere» fece Juri, invitando Dib a parlare.

   «Una relazione esauriente sulle mie scoperte richiederebbe approssimativamente quattro ore» spiegò il Penumbrano.

   «Se provassi a stringere?» lo invitò Jaylah.

   «Stringere cosa?».

   «Il discorso».

   «Tenterò» promise Dib. Tacque un paio di secondi, raccogliendo le idee. «Il trasferitore presenta interessanti analogie con altri dispositivi realizzati da culture antiche, ma non è ancora possibile dargli un’attribuzione precisa, e comunque non sarebbe rilevante ai nostri scopi. Quello che fa è imprimere gli schemi mentali di un essere nel cervello di un altro, e viceversa. Le vittime non hanno necessariamente un alto grado di consapevolezza, come dimostrano gli esperimenti sugli animali. Possono persino appartenere a specie diverse, come lei e Zafreen. Il trasferimento può essere temporaneo o stabile, ma non sappiamo se in questo caso sia irreversibile...».

   «Non lo sapete?! Quindi non avete scoperto niente di nuovo?» si afflisse Jaylah.

   «È difficile avere certezze, quando si parla dell’anima» commentò Juri.

   «Stiamo parlando di schemi mentali impressi nel cervello» corresse Dib. «Il termine “anima” è impreciso e, se mi permette, desueto».

   «Ma siccome anche tu ammetti di non capirci molto, di quel congegno, può andar bene» lo provocò Juri. Come tutte le provocazioni dirette al Penumbrano, anche quella andò sprecata.

   «Okay, mi sembra di capire che non ci sono novità» si rassegnò Jaylah. Per qualche minuto restò a osservare la partita a kadis-kot. Poi la sua attenzione fu catturata dal Federal News, che scorreva sull’oloschermo in fondo alla stanza.

   «Ultime notizie! Clamoroso furto di uno dei Cristalli di Bajor, detti anche Cristalli dei Profeti o Lacrime dei Profeti» riferì il cronista. «Questi manufatti sono antiche reliquie del popolo bajoriano, che le considera doni dei Profeti, le entità incorporee del Tunnel Spaziale. Il loro scopo sarebbe stimolare la conoscenza interiore e la crescita spirituale. Se ne conoscono dieci in tutto, l’ultimo dei quali – il Cristallo dell’Emissario – fu rinvenuto dal Capitano Sisko nel 2375. Tutti i Cristalli si sono rivelati impermeabili alle analisi scientifiche e hanno dimostrato poteri che violano le leggi fisiche, oltre a costituire un canale di comunicazione con le entità del Tunnel. Sono tuttora le reliquie più venerate di Bajor: ciascuno attira ogni anno milioni di pellegrini e turisti».

   Queste parole furono accompagnate da immagini di repertorio dei Cristalli, racchiusi in teche istoriate, che venivano aperte in rare occasioni. Avevano tutti una forma a clessidra e irradiavano luce brillante. Solo il colore variava dall’uno all’altro: azzurro, verde, giallo, viola...

   «Quello rubato oggi era il Cristallo dell’Anima, il più antico e secondo alcuni il più potente dei Cristalli» proseguì il cronista, mentre l’oloschermo mostrava la reliquia color indaco. «Solitamente custodito nel santuario di B’hala, in questo periodo era in viaggio lungo l’antica Zona Smilitarizzata, per consentire ai fedeli di venerarlo. Malgrado le imponenti misure di sicurezza, il Cristallo è svanito all’interno della sua teca. Sensori e olocamere non hanno fornito indizi sull’identità del ladro. Il Primo Ministro bajoriano ha esortato le forze di sicurezza a non lasciare nulla d’intentato nelle indagini. Anche Kai Nashir, leader spirituale del pianeta, ha invitato i fedeli a pregare per il ritrovamento del Cristallo, da lei definito “cuore pulsante dell’anima bajoriana”. Ha inoltre invitato il ladro, chiunque sia, a convertirsi e pentirsi del suo gesto...».

   «Devo ancora incontrare un ladro che si pente» borbottò Jaylah.

   «Però quella reliquia ti avrebbe fatto comodo» commentò Juri. «Il Cristallo dell’Anima! Forse era proprio ciò che serviva per riportarti nel tuo corpo».

   «Il problema dell’Agente Chase potrà essere risolto solo da un’accurata indagine scientifica, non dalla fede in un miracolo» obiettò Dib.

   «Secondo la Legge di Clarke, qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia» ribatté Juri. «Noi stessi disponiamo di strumenti che ai nostri antenati sarebbero parsi magici. Non potrebbe essere la stessa cosa coi Cristalli di Bajor?».

   «È possibile, ma il clero bajoriano dovrebbe permettere agli scienziati federali di esaminarli» disse Dib.

   «Lo ha fatto in molte occasioni. E prima ancora li hanno studiati i Cardassiani» ricordò lo storico. «Forse non siamo ancora pronti a capirli».

   «Se c’è qualcosa da capire, è solo questione di tempo prima che i Cristalli rivelino i loro segreti» insisté l’Ingegnere.

   «Vi lascio alla vostra discussione filosofica» disse Jaylah, facendo il gesto di ritirarsi.

   «Aspetta!» la richiamò Juri. «Oggi parlavamo con la dottoressa della possibilità di fare un esperimento coi cani. Se riusciamo a riportarli alla normalità, allora c’è speranza anche per te e Zafreen. Speravamo che non fosse necessario, ma visto che i giorni passano e non cambia niente...».

   «Fatelo, vi prego. Domani stesso» implorò la giovane.

   «D’accordo, ne parlerò a Ladya» promise Juri. «Vuoi assistere alla prova?».

   «Sì» rispose Jaylah. Il solo pensiero di tornare in quel sotterraneo la nauseava, ma non voleva perdersi l’esperimento. Se fosse andato bene, si sarebbe sottoposta di nuovo al congegno, a costo di trascinarsi dietro Zafreen.

 

   Raggiungendo Amar, Norrin non sapeva bene cosa aspettarsi dalla colonia Hirogena. Le sue ipotesi andavano dalla fortezza militare al campo profughi. Ma quando la nave dei Cacciatori scese nell’atmosfera e superò la foschia, apparvero dei villaggi piuttosto normali, seppur spartani. Erano disseminati in un paesaggio di aspra bellezza: zone boschive traversate da fiumi, picchi montani incappucciati di bianco.

   «Ogni villaggio appartiene a un clan» spiegò Dorvic. «Le terre circostanti sono di tutti, le sfruttiamo per le risorse e per addestrare i giovani alla caccia».

   «Non avete problemi con gli altri clan?» indagò Norrin.

   «Nulla che non possiamo gestire» rispose l’Alfa. «E poi la caccia assorbe gran parte delle energie. Chi torna qui lo fa per riposarsi, non per bisticciare». Mentre parlava, l’astronave superò una cresta montuosa e un nuovo villaggio entrò nel campo visivo. «Casa nostra» rivelò Dorvic.

   Norrin osservò il villaggio, stimando che ci vivessero un centinaio di persone. Non molte, ma più di quante si aspettava per il suo clan decimato. Ogni clan, lo ricordava, era composto da diversi nuclei familiari, più o meno imparentati. Due clan piccoli potevano fondersi in uno più grande, se si accordavano nel designare l’Alfa. E sebbene in mancanza d’alternative si potesse sposare una donna del clan, appartenente a un altro nucleo familiare, i Cacciatori preferivano trovar moglie al di fuori, per evitare i ristagni genetici.

   «E quella?!» chiese Norrin, indicando lo scheletro di una nave in costruzione. Non era più grande di quella su cui si trovavano, ma torreggiava sulle piccole case del villaggio.

   «La nostra prossima nave» rispose Dorvic con orgoglio. «Questa qui ci ha servito bene, ma ormai è vecchia. Il nostro clan deve cambiar pelle, se vuole sopravvivere».

   «La state costruendo voi? Con le vostre forze?» si meravigliò Norrin. Da bambino non ci aveva mai riflettuto, ma era sorprendente che così poche persone potessero sobbarcarsi un tale sforzo ingegneristico.

   «Abbiamo dovuto procurarci alcuni componenti, ma il grosso del lavoro è opera nostra» confermò Dorvic, lieto di potersene vantare. «La costruzione non è molto rapida, ma credo che sarà pronta in quattro o cinque anni».

   «Straordinario» disse Norrin. «Avevo dimenticato di cosa fosse capace un clan di Cacciatori. Ma se voi siete quasi sempre in viaggio, chi si occupa dei lavori?».

   «I Sedentari, naturalmente» rispose Vidrak. «Le donne e tutti quelli che non sono abbastanza in gamba per cacciare».

   «Uhm...» fece Norrin. Non gli era piaciuta la noncuranza con cui il cugino aveva accennato a una parte così consistente della popolazione.

   La nave degli Hirogeni atterrò accanto allo scafo in costruzione. Un portello si aprì sulla fiancata e una passerella calò per consentire ai Cacciatori di scendere a terra. Dal villaggio avanzava già una piccola folla festosa... i Sedentari, dedusse Norrin. Come immaginava c’erano molte donne, spesso accompagnate da bambini. Erano le famiglie dei Cacciatori, che li accoglievano al ritorno. Ma c’erano anche diversi lavoratori, necessari per mandare avanti la comunità, e ancor più importanti ora che stavano costruendo un nuovo vascello. Vedendo che festa facevano ai Cacciatori, Norrin constatò quanto questi fossero idolatrati. Ma non era solo una questione di prestigio e di trofei. Quasi tutti i Cacciatori portavano con sé provviste e strumenti utili alla comunità. Il Tenente preferì non chiedere da dove veniva tutta quella roba, sapendo che la risposta – sempre che gliela dessero – non gli sarebbe piaciuta.

   Una donna Hirogena corse verso Dorvic, abbracciandolo. Sembrava troppo giovane per essere sua moglie. E infatti...

   «Bentornato a casa, padre» salutò l’Hirogena. «Ti piacerà sapere che abbiamo saldato le corazze ventrali con successo. Stiamo già procedendo con le fiancate».

   «Ottimo lavoro, Vitani» si complimentò l’Alfa. «Sapevo che ce l’avresti fatta. Anch’io ho una splendida notizia: ho ritrovato Norrin!» rivelò, invitando il nipote a farsi avanti.

   «Sul serio?!». L’Hirogena strabuzzò gli occhi, osservando il cugino a lungo perduto. Poi gli venne incontro e abbracciò anche lui. «Erano anni che papà ti cercava... oh, sono così felice di averti qui!».

   «Sono felice anch’io» disse Norrin, ricambiando l’abbraccio. «Devo confessarti che non sapevo nemmeno di avere una cugina».

   «E come potevi? Vitani nacque qualche anno dopo Procyon V» spiegò Dorvic. «All’epoca ci eravamo già stabiliti qui».

   «Voglio sapere tutto di te!» disse l’Hirogena. «Com’è stato crescere nell’Unione... com’è la vita nella Flotta. Perché tu lavori per la Flotta, vero? Le tracce puntavano tutte in quella direzione...».

   «È vero, sto nella Flotta» confermò Norrin. «E anch’io ho molte cose da chiederti».

   «Ne parleremo stasera, a cena» disse Dorvic. «Sarà una festa per tutto il clan!» assicurò, per poi dirigersi al villaggio con gran parte dei Cacciatori.

 

   Dorvic non scherzava. Entro sera gli Hirogeni avevano allestito grandi tavolate all’aperto, visto che nessun edificio era abbastanza grande da accoglierli tutti. C’era infatti l’intero clan – centotrenta persone – assieme a una settantina d’ospiti da quelli circostanti. Tavoli e sedie erano disposti tra il villaggio e le astronavi. In zone prive d’erba furono disposti grandi bracieri su cui cuocere gli arrosti. Il grasso sfrigolava e colava sulle fiamme, facendole crepitare ancora di più. Il profumo eccitò gli Hirogeni, alcuni dei quali avevano già cominciato a brindare. I loro volti parvero più arancioni del solito, mentre il fuoco li illuminava e tutt’intorno calavano le tenebre.

   Dorvic presentò il nipote agli ospiti degli altri clan, man mano che arrivavano, dandogli qualche sintetica informazione sul loro conto. Quando furono tutti arrivati, sedettero ai tavoli. S’iniziò a distribuire la carne, seguendo un ordine ben preciso, che iniziava dagli Alfa e proseguiva in base al prestigio dei Cacciatori. I Sedentari furono serviti per ultimi. Norrin notò che anche le porzioni non erano casuali: ai Cacciatori più importanti andavano i bocconi più pregiati, provenienti da cosce e fianchi degli animali. Essendo l’ospite d’onore della serata, a lui toccarono le parti pregiate. Però gli dispiacque notare Vitani e tanti altri, in fondo ai tavoli, che si servivano degli avanzi.

   Dopo il banchetto vennero i racconti. I Cacciatori riferivano le loro imprese, sia ai parenti rimasti a terra, sia ai colleghi degli altri clan. Questa parte era essenziale, perché solo raccontando le imprese, e mostrando i trofei che le attestavano, i Cacciatori guadagnavano prestigio. Altrimenti, come diceva Vidrak, era come non aver fatto niente. Il racconto era una vera e propria arte e i Cacciatori ne erano maestri. Le loro voci si alzavano e si abbassavano, rallentavano o acceleravano, per sottolineare il pathos dei vari momenti. Alcuni Hirogeni mimarono persino le fasi culminanti degli scontri davanti all’uditorio. I bambini erano in prima fila, attenti e silenziosi; già sognavano il giorno in cui sarebbero stati loro a vantarsi. Dopo i racconti, i Cacciatori esibirono i loro trofei, a garanzia che avevano detto il vero. Solo allora il pubblico si fece udire con applausi e grida entusiaste.

   Come Norrin sospettava, tutti quegli sforzi erano diretti a impressionare soprattutto le giovani donne. Essendo sostanzialmente confinate nel villaggio, dove svolgevano il grosso dei lavori, la loro unica “libertà” stava nello scegliersi il marito, selezionandolo tra i Cacciatori di maggior successo. La competizione era serrata. I Cacciatori migliori avevano uno stuolo di ammiratrici, ma i tecnici trovavano difficoltà ad ammogliarsi. La loro unica speranza risiedeva nelle donne meno attraenti, o che si affezionavano a loro per il carattere; ma questa debolezza era scoraggiata dalla cultura Hirogena.

   Ben presto Norrin fu tempestato di domande. Cercò di rispondere onestamente, ma senza rivelare informazioni riservate sulla Keter e in generale sulla Flotta Stellare. Si sforzò d’illustrare come la vita nell’Unione non fosse poi così male. Ma al pubblico non interessava molto sapere come si viveva in tempo di pace. Volevano conoscere le sue missioni, così Norrin ne raccontò qualcuna, sempre stando attento a non svelare segreti. Ai bambini spiacque sapere che il super-criminale detto lo Spettro gli era sfuggito, ma si consolarono coi racconti seguenti, come quello del Melange. Norrin si astenne però dal rivelare che aveva ritrovato l’antico pugnale di famiglia e lo aveva donato a Jaylah. Sapeva che i suoi parenti non avrebbero compreso né gradito quella scelta.

   La serata si protrasse fino alle ore piccole. A quel punto gli Hirogeni avevano lasciato i tavoli, dividendosi in gruppi più piccoli per chiacchierare. Poco alla volta gli ospiti degli altri clan si accomiatarono, promettendo di rincontrarsi per qualche battuta di caccia. Anche gli abitanti del villaggio iniziarono a tornare alle loro case. Norrin cercò la cugina, per augurarle buonanotte. La trovò che ballava davanti a un falò, assieme a un Hirogeno un po’ meno grosso degli altri.

   «Ti presento Garid, il mio compagno» disse Vitani, emozionata. «È il capo-progetto della nuova nave... il più istruito fra noi».

   «Sono solo un tecnico» disse modestamente Garid, stringendogli il polso.

   «Allora, piaciuta la festa?» chiese Vitani al cugino.

   «Molto» rispose Norrin, tacendo i dettagli che lo lasciavano perplesso. «Ma domani vorrei scambiare qualche parola con te, in privato».

   «Vediamoci vicino al cantiere, a mezzodì».

 

   Su Camus II, la camera del trasferitore era alquanto affollata. Ladya, Dib e Juri erano presenti con personale delle loro sezioni e il Comandante Radek sovrintendeva all’esperimento. Jaylah e Zafreen se ne stavano addossate alla parete opposta, quasi inosservate, sebbene tutti quegli sforzi fossero per loro.

   «I sensori sono operativi» riferì Dib. «Se vuol portare le cavie, dottoressa...».

   «Eccole qui. Buoni, cuccioli» disse Ladya, posando le gabbiette coi cani di Alpha davanti alla parete istoriata. Come al solito uno dei cani era buono, mentre l’altro abbaiava come un forsennato. La Vidiiana affiancò le gabbie e indietreggiò di diversi passi. «I sensori medici stanno registrando» riferì. «Quando vuole, Dib...». Tutti i presenti si schiacciarono contro la parete di fondo.

   «L’esperimento di riconversione comincia ora» disse il Penumbrano, schiacciando un tasto del telecomando. Come le altre volte il trasferitore ronzò, le luci puntiformi si accesero e le cavie s’irrigidirono, paralizzate. L’Ingegnere Capo si accostò alla parete, stando di lato, e alzò le levette.

   Il ronzio salì di tono fino a divenire ultrasonico. Dopo qualche secondo, le luci si spensero e gli animali crollarono a terra.

   «I livelli energetici sono scesi a zero, possiamo avvicinarci» disse Dib.

   «Come stanno?» chiese Jaylah, inginocchiandosi accanto alle gabbiette. I cani non si muovevano, ma questo non la preoccupava. Finora tutti gli scambi avevano provocato svenimenti, lunghi anche ore.

   «Oh, no» fece Ladya, mentre i sensori medici fischiavano in modo allarmante. «Qualcosa è andato storto».

   «Vale a dire?» chiese Zafreen, affiancandosi a Jaylah per osservare gli animali.

   «Vale a dire che sono morti, tutti e due» rivelò la dottoressa, profondamente turbata. «Lo stress psico-fisico è stato troppo grande. Eseguirò le autopsie e controllerò i dati dei sensori, per capire esattamente cos’è successo. Fino ad allora, non posso autorizzare altri esperimenti. Men che meno con le persone» aggiunse, squadrando le sue pazienti.

   «Dovrò fare rapporto al Capitano. Mi dispiace, per entrambe» disse Radek con tristezza, prima di risalire.

   Jaylah e Zafreen si guardarono angosciate. Fino ad allora si erano sempre ripetute che le cose si sarebbero aggiustate, in qualche modo. Ma con le povere bestie morte davanti a loro, dovettero considerare seriamente la possibilità che lo scambio fosse definitivo.

 

   Come da accordo, Norrin e Vitani s’incontrarono a mezzogiorno, accanto alla nave in costruzione. Mentre parlavano se ne discostarono, passeggiando davanti alle propaggini della foresta. «Allora, che volevi dirmi?» chiese l’Hirogena.

   «Quando fui adottato dai federali, ero un ragazzo» spiegò Norrin. «Non capivo ancora tutto, della nostra cultura. Stavo sempre in mezzo ai Cacciatori... era come se gli altri non esistessero. Ma ora ci penso, eccome». Studiò la cugina, cercando di capire se poteva parlarle a cuore aperto. «Tu come vivi, qui? Sei felice?».

   «Ma certo che lo sono. Perché non dovrei?» si stupì Vitani. «E sono ancora più contenta ora che ti abbiamo ritrovato. Papà ne parlava in continuazione... sei davvero importante, per lui. Specialmente da quando abbiamo perso Rorak».

   «Mi spiace per tuo fratello» disse Norrin. «E mi spiace di non essere stato con voi, in questi anni».

   «Non è colpa tua» disse Vitani. «L’importante è che sei qui, ora».

   «Proprio di questo volevo parlarti» disse Norrin, deglutendo. «Lo zio non mi aveva nemmeno detto di te, durante il viaggio».

   «Avrà voluto farti una sorpresa».

   «Probabile, ma insomma... ho la sensazione che chiunque non sia un Cacciatore non conti molto, in questo villaggio».

   «Al contrario» disse Vitani. «Noi lavoratori siamo indispensabili. Chi si occuperebbe di tutto, mentre i Cacciatori sono lontani?».

   «Proprio perché siete indispensabili mi sembra che i vostri sforzi non siano debitamente riconosciuti» precisò Norrin. «Quanto conta un tecnico come Garid, rispetto a un Cacciatore come Vidrak?».

   «Non molto» ammise la cugina, afflitta.

   «E tu perché non sei una Cacciatrice? Dopotutto sei figlia dell’Alfa».

   «Io?! Che assurdità!» rise Vitani. «Scusa, non volevo ridere di te» precisò, mettendosi una mano davanti alla bocca. «È solo che le donne non cacciano».

   «Perché no?».

   «Ma... perché no!» rispose Vitani, trovandosi in difficoltà nel giustificare ciò che aveva sempre dato per scontato. «Abbiamo altre responsabilità. Curarci dei bambini, gestire il villaggio... aiutare i tecnici a costruire la nuova nave...».

   «Non dubito che siate piene di lavoro. Certo più dei Cacciatori» commentò Norrin. «Ma supponiamo che tu avessi voluto fare la Cacciatrice. Tuo padre te l’avrebbe permesso?».

   «Mah, io non credo che gli avrebbe fatto piacere... cioè... no, non direi» ammise Vitani. «Ma ti ho spiegato il perché».

   «Nell’Unione la chiamerebbero discriminazione» si lasciò sfuggire Norrin.

   «Ma no, quale discriminazione!» protestò l’Hirogena. «È solo che... abbiamo ruoli diversi, ecco tutto. Responsabilità diverse, ma complementari».

   «Sarà...» fece Norrin, poco convinto. «E che mi dici dei tecnici e degli altri lavoratori? Chi ha deciso che fossero assegnati a quei ruoli?».

   «Sono quelli che hanno ottenuto i risultati peggiori nelle prove di caccia, da ragazzi» spiegò Vitani. «Non abbiamo caste, se è questo che temi. Il figlio di un Cacciatore può fallire le prove e il figlio di un tecnico può superarle. Certo che, nel caso dell’Alfa, si spera sempre nell’erede diretto, o nel parente più prossimo...».

   «Il parente più prossimo!» esclamò Norrin. Quelle parole gli avevano fatto squillare l’Allarme Rosso nel cervello. «Dorvic aveva due figli. Rorak è morto e tu non puoi diventare Cacciatrice. Il parente più prossimo sono io, non è vero? È per questo che sono così importante, per lo zietto. Già venendo qui mi ha chiesto se ho figli, e si è dispiaciuto che non ne abbia! Vuole assicurarsi la successione».

   «Puoi biasimarlo?» chiese Vitani. «È in là con gli anni... alla sua età, di solito gli Alfa hanno già ceduto il ruolo a un successore. Nel clan ci sono molti, come Vidrak, che scalpitano per il posto. Ma tu sei suo nipote... il figlio di un grande Alfa. È ovvio che guardi a te con speranza».

   «Ma io ho chiarito che posso stare con voi solo per due settimane» disse Norrin. «Poi dovrò tornare sulla Keter. Ho delle responsabilità, su quella nave».

   «Più forti delle responsabilità verso la tua famiglia?» chiese Vitani. Non c’era arroganza, in lei; solo una commovente aspettativa. Questo rendeva le cose ancora più difficili, per Norrin.

   «Vedi, anche sulla Keter c’è qualcuno che considero di famiglia» mormorò, pensando a Jaylah. «Qualche giorno fa le è capitato un incidente e per quanto non sia in pericolo di vita vorrei starle accanto. Ma a parte questo... anche se decidessi di restare, devi capire che non so quasi niente di voi, dei vostri reali bisogni. Non sarei un buon leader. Non sono nemmeno un Cacciatore».

   «Hai detto che i Cacciatori sono sopravvalutati. Se è così, allora sei qualcosa di meglio... puoi offrirci nuove prospettive» insisté Vitani, appassionandosi.

   «Non è così semplice» mormorò Norrin, ma era in difficoltà, davanti a quell’appello accorato. «Anche se tu e lo zio mi appoggiaste, credo che molti Cacciatori se ne avrebbero a male se io, appena piombato qui, reclamassi il comando».

   «Problemi superabili». Lo sguardo di Vitani era sempre più supplicante.

   Norrin la fissò addolorato, conscio che non poteva cedere. «Supponiamo, per amor di conversazione, che io diventi l’Alfa» concesse. «Ci sono parecchie cose che cambierei, in questo villaggio. Ma se stravolgessi le regole che vi hanno guidati per generazioni, indispettirei ancor più i Cacciatori, che reagirebbero male. No... se volete modernizzarvi, il cambiamento deve partire da voi. Da qualcuno che sia nato e cresciuto in questo villaggio e che sappia bene cosa serve alla gente» ripeté, fissandola.

   «Io non sarò mai un’Alfa» mormorò Vitani.

   «Nemmeno io» ribadì Norrin.

 

   Il vento spazzava l’orizzonte giallo di Camus II. Dopo il fallito esperimento, costato la vita ai due cani di Alpha, il grosso della squadra era risalito sulla Keter. Solo Juri e un paio di tecnici erano rimasti nell’ipogeo. Quanto a Jaylah, dopo la cocente delusione aveva bisogno di stare un po’ da sola. Così era salita in superficie per respirare l’aria fresca. Dopo essersi allontanata dalle rovine si arrampicò su un’altura, fino a trovare un punto d’osservazione. Il panorama era desertico, ma pittoresco. Il letto prosciugato di un antico fiume si snodava in lontananza, mentre gli anelli dorati del pianeta tagliavano in due il cielo.

   La giovane indossava abiti civili, essendo in congedo. Su richiesta di Zafreen non si era ancora accorciata i capelli, ma li aveva raccolti in una coda per diminuire l’impiccio. Dopo aver avvisato la dottoressa, si era anche tolta il sensore corticale. Sedette a gambe incrociate su una pietra liscia, chiuse gli occhi e inspirò a fondo, cercando di svuotare la mente dai pensieri cupi. Essendo un tipo improntato all’azione, non aveva mai perso tempo a meditare. Anzi, non era nemmeno sicura di capire cosa intendessero le persone che affermavano di farlo. Ma ora sentiva un gran bisogno di schiarirsi i pensieri e di calmarsi. Il suo respiro rallentò, facendosi al contempo più profondo. Gradualmente la giovane acquistò una parvenza di serenità.

   D’un tratto udì qualcosa alle sue spalle. Rumore di passi. «Sei tu, Juri?» chiese. Avendo perso le sue facoltà telepatiche, non poteva più riconoscere le persone dall’eco dei loro pensieri. «Torno fra un attimo, il tempo di finire questo esercizio...» spiegò. Udì un click alle sue spalle. Distratta com’era, le ci volle qualche secondo per realizzare che era il suono di un phaser al quale si toglie la sicura. Prima che potesse voltarsi, il raggio stordente la colpì alla schiena. Jaylah cadde in avanti, priva di sensi.

 

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Capitolo 4
*** Il Clan di Goutric ***


-Capitolo 3: Il Clan di Goutric

 

   Al risveglio, Jaylah si trovò sprofondata in un enorme letto a baldacchino, con una coperta tigrata. L’aria era impregnata di strani profumi, che le ricordarono quelli dell’alloggio di Zafreen. Ma non poteva trovarsi lì... non c’era spazio per un letto come quello. Lottando contro il torpore della mente e del corpo, la giovane si mise a sedere. Resistette qualche secondo, oscillando, e poi ricadde come uno straccio.

   «Okay, mi hanno dato un sedativo» si disse, ricordando le lezioni d’Accademia su cosa fare in questi casi. Cominciò a tendere i muscoli e poi a rilassarli, per far passare l’intorpidimento. Si massaggiò le gambe per riattivare la circolazione. Al tempo stesso cercò di schiarire la mente. Qual era l’ultima cosa che ricordava? Camus II. Era salita in un punto panoramico e aveva cercato di meditare. Poi quel rumore di passi alle sue spalle. Il suono della sicura che veniva tolta. E il colpo stordente, dritto nella schiena. Una parola si formò nella sua mente, semplice ma terribile: rapimento. Qualcuno l’aveva rapita. Ma chi, e perché?

   Era presto per dirlo. Come agente della Sicurezza, aveva partecipato a molte operazioni di polizia. I nemici non le mancavano. Osservandosi le mani verdi, però, le tornò in mente che era ancora nel corpo di Zafreen. I rapitori lo sapevano? Improbabile... l’incidente le era capitato da pochi giorni e nessuno, fuori dalla Keter, ne era ancora informato. Questo però complicava le cose. Se poteva stilare un elenco dei suoi nemici, non aveva idea di chi fosse interessato a rapire Zafreen. In effetti, Jaylah si rese conto di non conoscere per niente il passato della sua frivola e vanitosa collega. Per quanto fosse una gran chiacchierona, l’Orioniana non parlava mai della sua vita prima dell’Accademia. Il che – Jaylah lo comprese solo ora – era già di per sé sospetto.

   Sentendosi più in forze, la giovane si alzò di nuovo. La testa le girava ancora un po’, ma nel complesso stava meglio. Accortasi d’indossare una sottile vestaglia, se la strinse maggiormente in vita. Non voleva pensare a chi gliela aveva messa, ma era grata d’indossare abiti civili al momento del rapimento, in luogo dell’uniforme da Agente Temporale. Così i sequestratori non potevano sospettare lo scambio di corpo.

   Jaylah scartò immediatamente la possibilità di chiarire l’equivoco. Chiunque l’avesse rapita, era certo gente senza scrupoli. Se avessero scoperto di aver preso la persona sbagliata – sia pur nel giusto corpo – avrebbero perso interesse in lei. Probabilmente l’avrebbero eliminata, per coprire le tracce. O l’avrebbero usata per ricattare suo padre. No, doveva mantenere la finzione, recitando la parte dell’Orioniana. Se solo avesse saputo qualcosa del passato di Zafreen!

   «Ah, Zafreen... in che pasticcio mi hai messa?» si chiese, scostando le pesanti cortine del letto. Si trovò in una stanza enorme, arredata in modo principesco. C’erano mobili di legni pregiati, piante ornamentali esotiche, statuette e altri manufatti di valore. Il pavimento era coperto da tappeti preziosi, fitti di arabeschi. Jaylah riconobbe lo stile dell’arredo: era Orioniano e la cosa non la stupiva. Andò verso l’ampia finestra e scostò le tende violette, affacciandosi su un panorama mozzafiato.

   Si trovava in una villa – grande come una reggia – rivestita di marmo rosa, con cupole azzurre sui blocchi maggiori e lunghe propaggini che si estendevano all’intorno. La villa era arroccata su un promontorio, con un ponte che la collegava a un vicino isolotto. In fondo alla scarpata si frangevano le onde del mare. Jaylah spinse lo sguardo verso l’orizzonte: un cielo violaceo, su cui spiccavano due lune, gravava sul mare verdastro. Era il panorama di Orione.

   Jaylah provò a trarne qualche considerazione. I rapitori si erano presi un bel daffare per portarla fin lì; non lo avrebbero fatto per ragioni futili. Quanto al lusso estremo che la circondava, non ne provò alcun conforto, anzi la sua inquietudine crebbe. Si protese in avanti, chiedendosi se poteva saltare giù dalla finestra, o magari calarsi con una fune di coperte legate. Fu respinta da un campo di forza, che le diede la scossa, facendola cadere all’indietro.

   «Eeek!» strillò, con la voce un po’ stridula di Zafreen. Si rialzò sbuffando; ne aveva abbastanza di essere messa al tappeto.

   «Ben svegliata, signorina» disse una voce androgina.

   «Chi è? Dove sei?!» chiese Jaylah, guardandosi attorno. C’erano altre camere in quell’appartamento e temeva che qualcuno vi fosse appostato.

   «Sono la sua presenza di camera, signorina» rispose la voce incorporea. «Non si ricorda di me? Posso farle un mai-tai risiano, il suo cocktail preferito». Un’alcova nella parete ronzò, rivelandosi un replicatore alimentare. Il cocktail arancione e verde si materializzò, completo di cannuccia e ombrellino.

   «Preferisco uno Slusho» disse Jaylah, cercando ancora di far mente locale. Il cocktail variopinto svanì, sostituito da un bicchierino pieno di un liquido chiaro. La giovane si chiese se poteva fidarsi a bere qualcosa offertole dai rapitori. «Al diavolo. Se volevano drogarmi, potevano già farlo» pensò, e vuotò il bicchiere.

   Con la bevanda energetica che le schiariva la mente, cominciò a notare dettagli che prima le erano sfuggiti. La camera da letto e le stanze adiacenti erano arredate con sfarzo, ma sembravano appartenere a una ragazza. C’erano ninnoli e peluche che una donna adulta avrebbe ficcato in ripostiglio. Un’idea si formò nella sua mente. Se quelle stanze erano appartenute a Zafreen, e non erano state toccate per anni, c’era una sola spiegazione.

   «Signorina Zafira, la prego di prepararsi. Il signor Goutric sarà da lei tra poco» avvertì la presenza di camera.

   «Perché mi chiami...» cominciò Jaylah, ma si tappò la bocca con una mano. Si aspettava che il computer la chiamasse Zafreen, non Zafira. Ma forse quello era il vero nome dell’Orioniana. E lei doveva nascondere la sorpresa.

   «Prego, completare la domanda».

   «No, non era nulla. Ora mi preparo» mormorò Jaylah. Andò verso l’armadio, già figurandosi che genere di vestiti poteva avere la giovane Zafreen, o Zafira. I suoi presentimenti furono confermati in pieno. Quello che c’era là dentro avrebbe fatto la gioia di Dejah Thoris. Jaylah cercò di coprirsi il più possibile, anche se alla fine non era certa di aver indossato un vestito o di averne combinati due. Stava ancora barcollando sui tacchi quando la porta dell’alloggio si aprì e Goutric fece il suo ingresso.

   Era un Orioniano sulla sessantina, dalla corporatura massiccia e le braccia muscolose. La grossa testa calva, piantata su un collo taurino, aveva lineamenti che sembravano sbozzati nel marmo. Piccoli ornamenti metallici erano inseriti nella pelle, secondo l’usanza del suo popolo. Vedendo la prigioniera, l’Orioniano sorrise, facendo scintillare le gemme multicolori incastonate nei suoi denti. «Ciao, Zafira. Quanto tempo è passato» disse con apparente cordialità; ma qualcosa in lui faceva presagire la tempesta.

   «Salve, signor Goutric» rispose Jaylah, tenendosi prudentemente a distanza. Ringraziò che il computer l’avesse almeno informata del suo nome.

   «Che formalità!» si stupì l’Orioniano, e Jaylah capì di aver fatto il primo errore. «C’è stato un tempo in cui mi chiamavi papà».

   «Papà?!». I suoi peggiori timori trovavano conferma. Quelle erano le stanze in cui Zafreen, o Zafira, era cresciuta... prima di scappare di casa. «Quel tempo è lontano come una vita passata» disse, mantenendo la freddezza. «Non ti chiedo scusa per ciò che ho fatto. So che nessuna scusa basterebbe, dopo che ho tradito la tua fiducia. Ma mi sentivo in trappola, ed ero troppo giovane per afferrare tutte le conseguenze» disse, mantenendosi vaga.

   «Però hai afferrato un bel po’ di preziosi dalla mia collezione, prima di scappare» sogghignò l’Orioniano. «Rimpiango ancora quel geode di rubidio... spero che almeno ti sia valso un bel po’ di crediti».

   «Volevo solo andarmene il più lontano possibile. Arricchirmi non era nei piani, e infatti non sono mai stata ricca» disse Jaylah, sperando di azzeccarci.

   «Su questo ti credo; altrimenti non saresti entrata nella Flotta» disse Goutric, con una smorfia. «Sai, nel nostro Clan ci siamo occupati di tutto per conto del Sindacato. Contrabbando, furti, estorsioni, tangenti, appalti truccati, omicidi su commissione. Ma uno sbirro in famiglia ci mancava. E doveva essere proprio mia figlia, la pecora nera».

   Jaylah si sentì raggelare fino al midollo. Lo aveva già capito, in fin dei conti, ma quella era la conferma definitiva. Il Clan di Goutric era affiliato al Sindacato di Orione, la più potente organizzazione criminale che appestava l’Unione. I suoi tentacoli si estendevano su centinaia di mondi, la sua influenza poteva far cadere interi governi planetari. Non c’era sporco affare – dai grandi appalti allo spaccio di strada – in cui il Sindacato non avesse le mani in pasta. Con risorse economiche inesauribili e una flotta di navi per la pirateria e il contrabbando, era a tutti gli effetti uno Stato nello Stato. Nessuno sapeva quanto fossero estese le sue collusioni nella politica e nell’economia: tutti quelli che avevano provato a scoprirlo erano finiti male. E sebbene fosse nato su Orione, per iniziativa degli Orioniani, il Sindacato era cresciuto includendo membri di quasi tutte le specie, in una sinistra imitazione del governo federale.

   «Non sono uno sbirro» mentì Jaylah. «Sulla mia nave mi occupo di sensori e comunicazioni» disse, continuando a recitare la parte di Zafreen.

   «Una centralinista!» sbuffò Goutric. «Per mia figlia speravo qualcosa di meglio».

   «Mi dispiace di non essere stata all’altezza delle tue aspettative» ironizzò Jaylah. «Ma ero felice così come stavo. Almeno non facevo male a nessuno. Non ho mai parlato di voi, né coi superiori, né con gli amici».

   «Lo immaginavo... infatti i nostri affari sono andati piuttosto bene, in questi anni. Se tu avessi spifferato qualcosa, me ne sarei accorto» disse Goutric. «Beh, cosa dovrei dedurne? Che ami ancora il tuo vecchio?».

   Jaylah soppesò le parole. Non sapeva che rapporti avesse Zafreen con lui, alla vigilia della fuga. «Sei mio padre, certo che ti voglio bene» disse. «Ma quello che fai... che fate tutti voi del Clan... io non posso farlo. Non posso» sussurrò, gli occhi lucidi di lacrime. Per una volta apprezzò la fisiologia Orioniana: in questo caso la capacità di piangere a comando.

   «Su, su, bambina mia» fece Goutric, asciugandole una lacrima. «Forse è colpa mia... fui troppo duro con te, quella sera. Ti spaventai, non è vero? Non eri pronta a prendere parte ai nostri affari. Avevo permesso a tua madre di farti vivere nella bambagia, a stento consapevole di quali fossero le fonti del nostro benessere. Sì, ripensandoci ora mi accorgo di condividere la responsabilità dell’accaduto» sospirò l’Orioniano, passeggiando avanti e indietro. «In un certo senso, hai dimostrato spirito d’iniziativa... non mi aspettavo la tua fuga. Né che fossi così brava a nasconderti. Averci messo tanto, a rintracciarti, è imbarazzante. Ma sai che il Sindacato non permette ai suoi affiliati di andarsene. Aspettano ancora che ti assuma le tue responsabilità. Che cosa dovrei dirgli?».

   «Subiremo delle conseguenze da parte del Sindacato, se non faccio la mia parte?» chiese Jaylah.

   «Direi proprio di sì» fece Goutric seccamente. «Oh certo, potrebbe essere una partecipazione simbolica, come quella di tua madre, che non ha mai preso una decisione importante. Ma devi comunque metterci la faccia. Altrimenti getti una cattiva luce su di me. Sai che dicono, sul mio conto? Che se non sono riuscito a farmi rispettare da mia figlia, non merito il rispetto del Sindacato!» esclamò, scaldandosi.

   «Speravo che mi deste per morta» si giustificò Jaylah, intuendo il ragionamento di Zafreen.

   «In mancanza del tuo cadavere, il Sindacato ha presunto che fossi ancora viva, e in fuga» rispose Goutric. «Quelli non sono stupidi, lo vuoi capire? Di certo sono molto più svegli di quei buffoni al governo. E ora che sei di nuovo a casa, dovrai averci a che fare. Devi essere forte, figlia mia. Perché se fai la debole, sembro debole anch’io!» ringhiò, di nuovo arrabbiato.

   «E che ti aspetti da me? Non ho mai avuto... responsabilità di questo tipo» disse Jaylah, non osando criticarlo apertamente.

   «Questo è vero, purtroppo» ammise Goutric, sconfortato. «Ma non mi restano altri figli oltre a te. Non permetterò che il nostro Clan finisca così. Siamo stati una colonna del Sindacato per generazioni. Io porto il nome del nostro capostipite... come lui fondò il Clan, così a me spetta rifondarlo» disse con risolutezza.

   «Che intendi?» chiese Jaylah, presagendo disgrazie.

   «Ne riparleremo» glissò Goutric. «Per adesso, ti darò qualche giorno di tempo per riabituarti all’ambiente. Puoi vivere nelle tue vecchie stanze. Come vedi, non abbiamo cambiato niente, perché aspettavamo il tuo ritorno».

   «Hai conservato addirittura i peluche di quand’ero piccola» mormorò Jaylah, sfiorando un soffice pupazzo alieno. «Se sapessi chi sono, mi taglieresti la gola all’istante».

   «Puoi anche girare nel resto della casa» proseguì l’Orioniano. «Ma sta’ alla larga dal mio studio, dalla rimessa dei veicoli e in generale da tutti gli ambienti di lavoro. E per nessuna ragione dovrai tentare ancora la fuga. Le guardie sono allertate, stavolta. Le ho autorizzate a spararti nella schiena, se cercherai ancora di abbandonarci».

   «Non succederà» deglutì Jaylah.

   «Ah, c’è un’altra cosa» disse Goutric. «Voglio che tu faccia visita a tua madre».

   «C-certo» fece Jaylah, presa in contropiede. Da come l’Orioniano aveva parlato fino a quel momento, la credeva morta. «Come sta, se posso chiedere?».

   «Eh, non bene, piccola mia» sospirò Goutric, afflitto. «È sempre stata un po’ fragile di carattere. Dopo che tuo fratello fu ucciso dai Nausicaani e che tu ci abbandonasti, andò molto giù di corda. Temo di aver sottovalutato la cosa... le permisi di continuare a tagliare le dosi di Rosso».

   «Intendi il ketracel?» chiese Jaylah, alludendo alla droga più diffusa nell’Unione. Era tra le principali fonti d’introiti del Sindacato, quindi non si stupiva che il Clan di Goutric se ne occupasse. Il ketracel rosso, detto comunemente Rosso, dava euforia e aggressività. Permetteva di sopportare fatiche e dolori tremendi, oltre che di stare a lungo senza sonno. Ma creava una rapida assuefazione, che si traduceva in crisi di violenza incontrollabile, anche contro i propri cari. Vedendo Goutric annuire, Jaylah intuì cos’era successo. «Ha cominciato a sniffarlo» mormorò.

   «Prima a sniffarlo, poi a iniettarselo» confermò Goutric. «Quando me ne accorsi, era tardi. Abbiamo cercato di disintossicarla, ma sai com’è col Rosso».

   «Lo so» disse Jaylah. Come parte del suo addestramento nella Sicurezza, aveva fatto un corso sull’argomento. Conosceva bene gli stadi dell’assuefazione e le enormi difficoltà nel disintossicare le vittime. «Potresti... accompagnarmi da lei?» chiese, non conoscendo la strada per le sue stanze.

   «Certo, piccola» annuì Goutric.

 

   La signora Goutric non condivideva le stanze del marito da tempo, cioè da quando era emersa la sua dipendenza dal Rosso. Con crescente inquietudine, Jaylah seguì il capoclan nei sotterranei della villa. C’erano delle segrete degne di un antico castello. Molte di quelle celle erano chiuse e alcune erano persino sorvegliate, segno che c’era qualcuno. Tutte vittime del Clan di Goutric, si disse l’Agente. Avrebbe voluto aiutarle, ma non era in condizioni di farlo. Giunsero così davanti a una cella sorvegliata da un Orioniano. «Come sta, oggi?» chiese il capoclan.

   «Molte parole, poco senso» rispose sinteticamente la guardia, aprendo la porta corazzata.

   «Spero che vedere Zafira le faccia bene» borbottò Goutric. Prese la “figlia” per mano e la precedette nella cella. L’interno era imbottito, per evitare che l’inquilina si facesse male. C’era un grosso e soffice letto, su cui l’Orioniana giaceva scompostamente, il viso nascosto dai lunghi capelli incolti. Parlava di continuo, a bassa voce, ma le parole formavano un flusso incoerente.

   «Ciao, Farzana» disse Goutric, avvicinandosi. «Guarda un po’ chi c’è... Zafira, la nostra bambina! Te l’ho riportata, proprio come avevo promesso». Spinse Jaylah in avanti, per farla accostare al letto.

   Con la morte nel cuore, la giovane si avvicinò. L’Orioniana non era realmente sua madre, ma aveva messo al mondo il corpo che lei abitava in quel momento. Jaylah non sapeva come definire un legame del genere, ma qualcosa doveva pur contare. Al tempo stesso, si sentiva un’intrusa in quel dramma familiare. Se gli Orioniani avessero capito chi era realmente, non avrebbero avuto pietà. «Ciao, mamma» sussurrò. «Sono proprio io, Zafira. Sono tornata» disse, sfiorandole una spalla.

   «Zafira? È la tua voce che sento?» mormorò Farzana con voce incerta. Sollevò le mani, dividendosi i capelli in due ciocche per scoprire il volto. Un tempo doveva essere stata molto bella, tanto da far breccia nel duro cuore di Goutric. Ma anni di debilitazione fisica e mentale avevano richiesto un pesante scotto. Il suo viso era magro e scavato, con gli zigomi sporgenti. Gli occhi febbricitanti erano arrossati e non stavano mai fermi. «Oh, Zafira... quanto mi sei mancata...» disse, rialzandosi a fatica.

   Jaylah l’abbracciò, sentendola magra e fragile tra le braccia. «Mi spiace di averti fatta preoccupare, mamma. Mi spiace per tutto. Se avessi immaginato le conseguenze, non ti avrei lasciata» disse, sentendosi falsa come Giuda.

   D’un tratto Farzana la respinse. «Tu chi sei?» le chiese, con gli occhi stralunati e la voce alterata.

   «Come sarebbe, chi sono? Sono Zafira... chi altra dovrei essere?» chiese Jaylah, augurandosi che l’Orioniana non fosse segretamente una telepate.

   «No, non può essere. Mia figlia è morta» disse Farzana con convinzione. «Me l’hanno detto le voci, che è morta. L’ho vista tante volte, di notte, ed era sempre morta. Tu sei viva... non puoi essere lei».

   «Cosa dici, mamma? Io sono viva... sto bene» insisté Jaylah, cercando di alleviare il suo tormento.

   «No, tu non sei Zafira. Hai la sua faccia, il suo corpo, ma non sei lei» insisté Farzana, tastandola dappertutto. «Io lo so... noi madri le sentiamo, queste cose. Via da me, bugiarda! Non venirmi mai più davanti! Ti odio!» strillò l’Orioniana. Le sue unghie, non debitamente tagliate, si erano fatte artigli. Quando colpì Jaylah, le scavò quattro lunghi tagli sulla guancia. Solo la prontezza di riflessi dell’Agente le permise d’indietreggiare quel tanto che bastava per salvarsi l’occhio. Perdendo sangue verde, la giovane arretrò precipitosamente verso Goutric, che la circondò con un braccio, protettivo.

   «Via da qui, non è giornata» disse il capoclan, facendola uscire dalla cella. «Ne riparleremo, Farzana. Vedrai che è davvero nostra figlia» disse alla moglie.

   «No, no... è un’imbrogliona, ti sta ingannando!» strepitò l’Orioniana, agitandosi sul letto.

   Goutric scosse la testa e uscì sbattendosi dietro la porta.

 

   «Ecco fatto, sei come nuova» disse Goutric qualche minuto dopo. Aveva passato un rigeneratore dermico sulla guancia di Jaylah, fino a cancellare ogni traccia dell’aggressione. «Non avertene a male... quando ha quelle crisi, tua madre non sa quel che fa. Sapessi quanti graffi mi sono buscato io».

   «Sarebbe il caso di tagliarle le unghie» suggerì Jaylah.

   «Hai ragione!» fece Goutric, ridendo per non piangere. «Beh, spero che questa esperienza ti faccia meditare. E ti faccia crescere un po’. Come ho detto, sei libera di aggirarti per la villa, tranne che negli ambienti di lavoro. Ti do qualche giorno... diciamo tre... per ambientarti di nuovo. Poi parleremo seriamente del tuo futuro».

   «D’accordo, papà» annuì Jaylah, tastandosi la guancia risanata. Erano tornati nella stanza in cui si era risvegliata dopo il rapimento. Goutric se ne andò, lasciandola sola a riflettere. Nei primi momenti dopo il risveglio era stata ancora più furiosa nei confronti di Zafreen, che l’aveva cacciata in quella situazione. Ma dopo aver visto da che contesto familiare era scappata, non poteva darle torto. Ora capiva perché, le poche volte che accennava alle sue origini, l’addetta ai sensori s’intristiva. Aveva persino cambiato nome, per eludere la ricerca dei parenti. Ma il Sindacato di Orione aveva occhi e orecchie ovunque. Alla fine l’avevano acciuffata... o così credevano.

   «Questa situazione sarebbe pericolosa già per la vera Zafreen. Per me è un suicidio!». Prima o poi avrebbe detto qualcosa che non doveva, o avrebbe mostrato la sua ignoranza su un argomento noto. E allora l’avrebbero smascherata. Già c’erano andati vicini, nell’incontro con Farzana. Non poteva reggere a lungo la commedia. Ma non poteva neanche scappare da quella villa-fortezza, piena di guardie incaricate di sorvegliarla.

   «La prima cosa da fare è studiare il terreno. Familiarizzare con questo posto e i suoi abitanti. Poi, se le cose si metteranno male, potrò tentare la fuga». Non era solo questione di sopravvivenza. Osservando il lusso che la circondava, le veniva in mente che tutti i soldi e i tesori del Clan venivano dallo spaccio di Rosso e da altre attività illegali. Quante persone erano morte, solo per arredare quella stanza? Quante per l’intera villa? Quante per il conto in banca del Clan? E tra i sopravvissuti, quanti erano nelle condizioni di Farzana? Ma questo non importava a Goutric. Fuori dalla sua ristretta cerchia familiare, c’erano solo numeri.

   «Ti darò quello che meriti, “papà”» si promise Jaylah. «Non avrò pace finché la Sicurezza federale non irromperà in questa villa!». Il Clan di Goutric era una serpe in seno all’Unione. Che lei fosse la serpe dentro il Clan, si disse.

 

   Scortata da due agenti della Sicurezza, Zafreen percorse i corridoi della Keter in silenzio, con le antenne basse. I colleghi che incrociava la scrutavano di sottecchi. Se erano in coppia, bisbigliavano fra loro. Zafreen non aveva bisogno di ricorrere alla telepatia di Jaylah per indovinare i loro discorsi. Sempre in silenzio, l’addetta ai sensori fu scortata nel turboascensore e da lì in sala tattica.

   Gli ufficiali erano già riuniti, con l’eccezione di Norrin, ancora lontano con gli Hirogeni. C’era anche Vrel, aggrondato come non l’aveva mai visto. Quanto al Capitano Hod, aveva il cipiglio delle situazioni più gravi. «Si sieda, Guardiamarina» le ordinò.

   Zafreen obbedì in silenzio, come se fosse davanti a un plotone d’esecuzione.

   «Le riassumo i fatti» disse il Capitano con voce asciutta. «Dodici ore fa, sul pianeta, l’Agente Chase si è allontanata dal resto della squadra. Secondo la testimonianza di Juri, voleva semplicemente prendersi una boccata d’aria. I registri dei sensori confermano che c’era un segno di vita Orioniano – cioè Jaylah nel suo corpo – su un’altura, poco lontano dall’imboccatura dell’ipogeo. A un certo punto sono comparsi altri due segni di vita Orioniani. Le si sono avvicinati, forse dopo averla stordita, visto che lei è rimasta immobile. Subito dopo si sono teletrasportati tutti e tre su una navetta, occultata fino a poco prima. Questa navetta è entrata a curvatura prima che potessimo agganciarla col raggio traente. Abbiamo attivato le scansioni anti-occultamento e stiamo ricostruendo la traccia di curvatura, per seguirla. Ma qualcosa mi dice che lei sa di chi si tratta, e forse anche dove sono diretti».

   «Perché dovrei?» chiese Zafreen, con gli occhi bassi.

   «Erano Orioniani come lei» rispose Radek, diretto come al solito. «E la sua scheda personale contiene pochissime informazioni sul suo passato, prima di quell’anno a Rio de Janeiro. Abbiamo chiesto al Comando di Flotta e non hanno altro da darci. Se dovessi giudicare in base alla mia esperienza, direi che quei pochi dati sono falsi».

   «Lei ha già compromesso la vita dell’Agente Chase con lo scambio di corpo» disse il Capitano. «Adesso è ancora più in pericolo. Perciò, Zafreen... se ha qualcosa da dirci, questo è il momento».

   L’addetta ai sensori cercò lo sguardo di Vrel, per farsi coraggio, ma lo vide duro e distante. Capì di essere sola. «Uhm, sì. Qualcosa da dire ce l’ho» disse espirando a fondo, nel tentativo di calmarsi. «Tanto per cominciare, io non mi chiamo Zafreen».

   La notizia creò un certo sconcerto, soprattutto in Vrel, che la fissò con aria tradita. «E allora come dovremmo chiamarla?» chiese educatamente il Capitano.

   «Zafira». L’Orioniana pronunciò il suo vecchio nome come se fosse una parolaccia. Una sozzura di cui vergognarsi. «Se volete sapere cos’è successo a Jaylah, e il pericolo che corre, devo raccontarvi la mia storia. Quella che non ho mai detto a nessuno, neanche alle persone più care» aggiunse, guardando Vrel con dispiacere.

   «L’ascoltiamo» disse Hod in tono controllato.

   Zafreen fece un altro respiro profondo, tormentandosi una ciocca tinta di nero. Quando parlò, il dolore trasudava da ogni parola. «Nacqui su Orione in una famiglia ricca, che mi diede un’infanzia più serena di quella che tocca solitamente alle mie simili. Crebbi viziata, soprattutto da mia madre, mentre vedevo di rado mio padre. Mamma diceva che era sempre “in giro per affari”, così pensai che fosse un imprenditore. Crescendo, mi resi conto poco a poco che le ricchezze della nostra famiglia provenivano da attività illecite».

   «Aspetti... come si chiama il suo clan?» chiese Radek.

   «È il Clan di Goutric» mormorò Zafreen, fissando la superficie scura del tavolo.

   «Tombola!» esclamò il Comandante. «Uno dei clan più sanguinari del Sindacato di Orione». La costernazione si diffuse tra gli ufficiali. Vrel, in particolare, era annientato.

   «Purtroppo è così» confermò Zafreen, mortificata. «La mia famiglia contrabbanda armi, sostanze stupefacenti e persino schiave... anche della nostra specie. Quando lo scoprii, non so dirvi quanto rimasi delusa, e anche spaventata, dai miei parenti. Per un po’ finsi che nulla fosse cambiato fra noi. Ma la sera del mio diciottesimo compleanno, mio padre mi chiamò nel suo studio e disse chiaramente cosa si aspettava da me. Dovevo contribuire agli “affari di famiglia”, cominciando dal traffico di ketracel rosso. Avrei voluto dirgli che non ne volevo sapere, ma... ebbi troppa paura. Finsi di accettare» sussurrò l’Orioniana.

   «E poi?» la incalzò Radek.

   «Quella notte stessa fuggii dalla villa» rivelò Zafreen. «Sgraffignai un po’ di contante e anche qualche gioiello, corsi allo spazioporto e presi la prima nave in partenza. Ero sola... terrorizzata... ma non intendevo tornare indietro, perché temevo la reazione dei parenti più di tutte le incognite davanti a me».

   Vedendo il suo sguardo disperato, Vrel capì perché Zafreen non si era mai confidata con lui. Continuò ad ascoltarla, anche se ogni frase era un colpo al cuore.

   «Tra mille difficoltà raggiunsi la Terra, sbarcando a Rio de Janeiro» proseguì l’Orioniana. «Lì mi procurai documenti falsi, cambiando il mio nome in Zafreen. Falsificai anche il permesso di soggiorno. Non si trattava solo d’ingannare la legge, ma soprattutto di non farmi rintracciare dal Clan. Ci riuscii, ma a quel punto avevo speso quasi tutto quel che avevo preso da casa. Rischiavo di finire per strada» sospirò la giovane, con le antenne flosce per l’afflizione.

   «La mia istruzione non era eccelsa e non volevo attirare l’attenzione delle autorità, rivolgendomi alle liste di collocamento. Così passai quasi un anno a ballare in un night-club per sbarcare il lunario. Una notte, mentre – ehm – lavoravo, incontrai un aitante cadetto che mi parlò bene della Flotta Stellare. Disse che, se ero stanca di quella vita, potevo fare domanda. Non avevo nulla da perdere, così tentai.

   Inaspettatamente la mia domanda fu accettata. Così mi trasferii ad Atlantide ed entrai in Accademia. Ero sempre una ragazza da discoteca, più che da studio, ma la paura del fallimento era un grosso stimolo a impegnarmi. Sfruttai il mio talento coi linguaggi per specializzarmi in xeno-linguistica. Con molte notti insonni, e anche con qualche voto regalato, riuscii a strappare la sufficienza. Divenni vice-addetta alla sala ausiliaria dei sensori. Un ruolo infimo... ma in quel momento mi sembrava una gran cosa». Zafreen rise di se stessa, una risata amara.

   «Dopo un breve incarico presso il nuovo Hangar Spaziale Terrestre, finii qui sulla Keter. Nel primo viaggio, il Capitano Garm – con quello stile di comando tutto suo – mi mise a capo del Reparto Sensori e Comunicazioni. Era il periodo in cui cercava di piazzare i suoi fedeli nelle posizioni chiave e quindi si aspettava la mia riconoscenza. Come sapete, le cose andarono diversamente. Ma dopo l’ammutinamento e il processo, la Flotta mi permise di mantenere l’incarico. Ero al settimo cielo... avevo fatto carriera più rapidamente che nei miei sogni più selvaggi e mi aspettavano tante nuove avventure.

   L’unico rimpianto era la mia famiglia. Da un lato mi spiaceva di averla abbandonata, dall’altro temevo che i parenti mi trovassero e mi punissero per il mio “tradimento”. Cercai di convincermi che non li avrei più rivisti. Mi dissi che se non mi avevano scovata a Rio, né in Accademia, di certo non mi avrebbero presa qui sulla Keter. Mi sbagliavo... il Sindacato di Orione non smette mai d’inseguire i disertori». Zafreen deglutì e si asciugò una lacrima.

   «Quindi ora mi hanno presa, o così credono. Penso che non sappiano dello scambio neurale, o mi avrebbero rapita in questo nuovo corpo. Se scoprono di aver preso la persona sbagliata, uccideranno Jaylah all’istante. E sarà tutta colpa mia!». Zafreen si nascose il volto fra le mani e prese a singhiozzare. Per qualche secondo, nessuno se la sentì di toccarla o dirle di smettere. Poi Vrel le sfiorò gentilmente una spalla, giusto per farle avvertire la sua presenza.

   «La ringrazio d’averci detto la verità, per quanto sia dolorosa» disse Hod, commossa. «Ma ora dobbiamo escogitare un piano di salvataggio. E come ha detto lei, il tempo è essenziale. Dove potrebbero aver condotto Jaylah?».

   Zafreen rialzò il viso e si asciugò le lacrime. «Difficile a dirsi... forse nella nostra villa di famiglia, su Orione. Sarebbe la scelta più comoda. Ma se temono che la Flotta reclami il suo ufficiale scomparso, la nasconderanno meglio. Il mio Clan ha basi ovunque e navi trasporto sempre in viaggio, in entrambi i Quadranti. Possiede persino alcune navicelle da combattimento. Io però non conosco i dettagli... non ero addentro ai loro affari, quando fuggii di casa. E quel poco che so potrebbe essere cambiato, in questi anni».

   «È disposta a darci piena collaborazione?» chiese ancora il Capitano.

   Zafreen si ricompose. «Sì» disse con fermezza. «Lo devo a Jaylah... e anche a tutti voi. Non saremmo in questa situazione, se avessi detto la verità fin da subito».

   «Bene. Cominci a descriverci la vostra villa di famiglia» ordinò il Capitano.

 

   I giorni trascorsi nella villa di Goutric furono per Jaylah una full immersion nella cultura orioniana. Per recitare al meglio la sua parte e in prospettiva per avere qualche speranza di fuga, doveva conoscere le usanze di quel popolo. Doveva anche capire il ruolo del Clan di Goutric all’interno del Sindacato di Orione. Ma non poteva fare troppe domande, per non creare sospetti. Così non le restò che guardarsi attorno, notando ogni dettaglio della villa e cercando di trarne deduzioni.

   Il nucleo originale della costruzione sembrava piuttosto antico – almeno qualche secolo – e probabilmente non era sempre stato un covo di criminali. Ma da quando il Clan se n’era impadronito, l’aveva considerevolmente ampliata, equipaggiandola con i dispositivi di sicurezza più moderni. C’erano sistemi anti-intrusione per contrastare gli attacchi dei Clan rivali ed eventuali retate della polizia. E c’erano sistemi per impedire ai residenti di uscire, se Goutric non glielo permetteva. Sensori d’allarme, campi di forza, sentinelle armate che pattugliavano la villa e i giardini: Jaylah memorizzò tutto. Cercò di capire dov’erano le centraline dei comandi. Calcolò quanto tempo passava tra una ronda e l’altra. Dopo tre giorni, giunse alla sconfortante conclusione che non aveva molte speranze di fuggire da sola, senza supporto dall’esterno.

   Naturalmente l’Agente sperava che i colleghi della Keter la stessero cercando. Di certo avevano notato la sua sparizione, aprendo un’indagine come da regolamento. Ma avevano capito dov’era finita? E Zafreen avrebbe collaborato oppure no? La sua testimonianza era indispensabile per organizzare un’operazione di salvataggio. Ma Jaylah non sapeva se poteva fidarsi di lei. Forse la paura l’avrebbe indotta a tacere, come aveva fatto per tutti quegli anni, lasciando lei a sbrigarsela con gli Orioniani. A complicare le cose, Norrin non era neanche sulla Keter in quel periodo. Probabilmente non sapeva ancora che l’avevano rapita. Senza il suo fiuto di Cacciatore, gli altri avrebbero avuto più difficoltà a rintracciarla.

   Oltre a studiare le difese della villa, Jaylah prestò attenzione anche agli ornamenti che la decoravano. C’era un’intera collezione di oggetti antichi e/o preziosi, alcuni frutto di rapine, altri acquistati con i soldi sporchi dei traffici. L’Agente cercò di riconoscerne la provenienza, per capire dove il Clan era più attivo. C’erano manufatti di Orione, ma la maggior parte dei trofei proveniva da altri mondi. Jaylah non se ne stupì: gli Orioniani erano famosi per la loro esterofilia. Moltissime usanze, tecnologie, forme d’arte erano importate da altri mondi. Persino le loro astronavi ricevevano spesso nomi alieni, anche se non per omaggio. Bastava che la parola avesse un bel suono alle orecchie dei proprietari.

   Questo valeva un po’ per tutti gli Orioniani ricchi. Ma il Clan di Goutric, oltre che ricco, era anche fondato sul crimine. Di conseguenza l’esibizione dei trofei era ancora più importante. Molte stanze erano ornate con lo sfarzo un po’ kitsch degli arricchiti. Jaylah non era un’esperta d’arte, ma intuì che molti di quegli oggetti erano preziosissimi, posto che non fossero imitazioni. C’erano antichi vasi e statue, dipinti e mosaici, monete e gioielli preziosi. Tutti reperti che sarebbero dovuti stare nei musei, anziché in una collezione privata.

   Esplorando un salotto, Jaylah trovò parecchie antichità allineate sulle mensole. Riconobbe un’arca katrica vulcaniana, un orologio saltah’na bajoriano, un horga’hn risiano, un naiskos curlano quasi completo, un pugnale mek’leth klingon. C’era anche una statuetta di Vishnu danzante che quasi certamente veniva dalla Terra. Vedere quegli oggetti – alcuni dei quali sacri per le loro culture – ridotti a trofei per il Clan la fece soffrire.

   «Belli, vero?» disse una voce alle sue spalle. Goutric era lì e ammirava con orgoglio la sua collezione.

   «Sì, certo» fece Jaylah, cercando di svicolare.

   «Non so se te l’ho mai detto, ma fu mio nonno a cominciare la raccolta» proseguì il capoclan, affiancandosi a lei per osservare i cimeli. «Mio padre e io abbiamo fatto parecchie aggiunte. Alcune cose le ho prese di recente... riconosci le novità?».

   «Certo» fece Jaylah, che non aveva idea di quali fossero. «Ma qual è la tua preferita?».

   «Questa, senza dubbio» sorrise Goutric, sollevando una palla da baseball e la relativa mazza.

   «Fai sul serio?» si stupì Jaylah.

   «Non sono una palla e una mazza qualsiasi» spiegò l’Orioniano. «Con queste, Bokai sconfisse Di Maggio nelle World Series del 2026. È un pezzo di storia terrestre. Guarda, la palla è anche autografata» disse, mostrando la firma di Buck Bokai, così stinta dal tempo da essere appena intuibile.

   «E quella?!» fece Jaylah, indicando un antico dipinto a olio sulla parete adiacente. Mostrava una nobildonna rinascimentale, con le mani raccolte e un sorriso enigmatico che aleggiava sul volto senza sopracciglia. Sullo sfondo, un paesaggio montano sfumava nella foschia.

   «Quella l’hai vista anche da piccola, non ricordi?» fece Goutric.

   «Sì, ma... è autentica? Stando fra gli Umani, ho saputo che è uno dei loro quadri più famosi» si giustificò l’Agente.

   «Tutto quel che c’è nella mia collezione è autentico; anche la Gioconda» dichiarò Goutric, riponendo la palla e la mazza.

   «Uh-uh» fece Jaylah, fingendo di non dar peso alla cosa. «Mi servirebbe un po’ d’aria. Posso uscire in giardino?» chiese, imitando l’atteggiamento fanciullesco di Zafreen.

   «Sì, ma non tentare la fuga» l’ammonì Goutric. «Ci sono guardie sulle mura e sistemi di sorveglianza ovunque».

   «Lo terrò a mente».

 

   Il parco della villa era pieno di aiuole fiorite, curate dai giardinieri. C’erano specie provenienti anche da pianeti lontanissimi. Alcune erano così delicate che Jaylah non sapeva come fosse possibile farle acclimatare su Orione. I profumi riempivano l’aria, miscelandosi in combinazioni mutevoli. Suo malgrado, Jaylah si ritrovò più volte a chinarsi per annusare qualche fiore o arbusto esotico. Al centro del giardino c’era un’enorme fontana marmorea, con statue da cui zampillavano giochi d’acqua, per poi ricadere nella grande vasca. Alcuni uccellini in gabbia cinguettavano melodiosamente. Jaylah sedette sull’orlo della vasca e immerse una mano nell’acqua fresca. Chiuse gli occhi, godendosi il tepore del sole, il profumo delle aiuole e il concerto degli uccelli. Per un attimo si sentì bene.

   Poi l’attimo passò e ripiombò nell’inferno. Era ostaggio di una banda criminale e doveva scappare, prima che la situazione precipitasse. Osservò le mura, imponenti come bastioni di un castello, che cingevano la villa e i giardini. Guardie armate – perlopiù Orioniani – percorrevano i camminamenti e presidiavano le torrette, come le aveva detto Goutric. Il cancello sembrava progettato per resistere a un assedio. Qua e là, un’antenna o una lucina seminascoste tra la vegetazione tradivano la presenza dei sensori.

   Cercando un punto d’osservazione che le permettesse di studiare il terreno dall’alto, Jaylah notò una torretta isolata in mezzo al giardino. Aveva il tetto a cupola, da cui fuoriusciva un telescopio dal design retrò. L’Agente si chiese se contenesse anche un trasmettitore subspaziale. Dopo essersi accertata che non ci fossero giardinieri in vista, si accostò alla torretta, cercando anche di nascondersi alle sentinelle sulle mura. La porta si aprì automaticamente.

   Col cuore in gola, la giovane salì di corsa la scala a chiocciola interna. Giunse ben presto nella sala del telescopio. Si guardò bene attorno, ma non riconobbe sistemi d’allarme. Incoraggiata, sedette ai comandi. Ma il suo entusiasmo si spense in fretta, quando constatò che non c’era alcuno strumento di comunicazione. Era un osservatorio e basta.

   Sconsolata, Jaylah uscì sul camminamento esterno della torretta. Almeno aveva il punto d’osservazione che cercava. Osservò attentamente i giardini bordati da mura e la villa con le sue cupole, cercando di memorizzare i possibili nascondigli e percorsi di fuga. Si chiedeva, però, se quello sforzo sarebbe valso a qualcosa.

   «Almeno mi tiene la mente impegnata» si disse. Conclusa l’osservazione, spinse lo sguardo oltre le mura. Il paesaggio esterno era assai meno gradevole. In mancanza d’irrigazione, il suolo era riarso. La strada che portava al cancello serpeggiava in mezzo ai resti di alcuni edifici diroccati, fino a una città lontana, di cui s’intuivano i grattacieli in mezzo alla nebbia. Jaylah sapeva che molto tempo prima Orione era un pianeta incantevole. Millenni di sfruttamento scriteriato e d’inquinamento lo avevano spogliato della sua bellezza, che resisteva solo in piccole oasi artificiali, come quella villa.

   Aguzzando la vista, Jaylah notò resti di veicoli abbandonati ai lati della strada. Le lamiere arroventate dal sole erano lì da chissà quanto ad arrugginirsi, senza che nessuno si preoccupasse di rimuoverle. Qua e là c’erano anche cumuli d’immondizia. E la foschia che offuscava i grattacieli in lontananza era una cappa di smog. Su Orione c’erano ancora molti poveri, ma nessuno osava avvicinarsi alla villa per chiedere qualcosa. Sapevano come sarebbero stati trattati.

   La giovane percorse il camminamento intorno alla torretta, per osservare il paesaggio anche nell’altra direzione. A ovest, il sole calava sul mare verdastro. Le onde gettavano spazzatura sulla spiaggia, priva di conchiglie. Non si vedeva un solo pesce, né altra creatura marina. Una nave scaricava rifiuti tossici in mare, lasciandosi dietro una scia verde scuro. Ecco perché l’oceano di Orione era verde... non si trattava di un fenomeno naturale. Quel mondo, un tempo fiorente, era stato rovinato dall’avidità dei suoi abitanti. E più il Sindacato di Orione allungava i suoi tentacoli nella Galassia, più altri mondi rischiavano di finire allo stesso modo.

 

   Tornando nell’osservatorio, Jaylah trovò Goutric ad attenderla. «Papà!» esclamò, rientrando subito nella parte. «Non ho fatto nulla di male... guardavo solo il panorama».

   «E magari speravi di trovare un trasmettitore subspaziale?» chiese il capoclan, ironico. «L’ho fatto togliere proprio per questo. Ma capiti qui a fagiolo. Voglio farti vedere una cosa... è appena arrivata».

   L’Orioniano sedette ai comandi del telescopio ed esaminò una zona di spazio, sotto gli occhi incuriositi di Jaylah. Dopo aver borbottato qualche imprecazione e aver corretto il puntamento, la sua espressione si rischiarò. Il suo sorriso incrostato di gemme segnalò che aveva trovato quanto cercava. «Eccola... non è una bellezza?» chiese, attivando l’oloschermo.

   Jaylah sgranò gli occhi. Una mastodontica astronave stava manovrando per entrare in orbita. Aveva lo scafo verde scuro, come la maggior parte dei vascelli orioniani, ma apparteneva a una classe sconosciuta. Le sue linee aggressive incutevano soggezione. Lo scafo corazzato era irto d’armi, specialmente a prua, mentre le gondole erano incassate fra i ponti per meglio proteggerle. Sembrava una nave da guerra, ma la struttura massiccia fece intuire a Jaylah che aveva anche grandi stive.

   «L’abbiamo varata un anno fa, dopo cinque anni di costruzione segreta» disse Goutric, fregandosi le mani soddisfatto. «M’è costata un capitale, ma ne è valsa la pena. Non troverai nulla di simile in tutto il Sindacato di Orione».

   «Perché sobbarcarvi questo sforzo?» chiese Jaylah, cercando di suonare naturale, ma intanto non staccava gli occhi da quel leviatano.

   «C’erano ragioni sia pratiche, sia d’immagine» spiegò l’Orioniano. «Ci serviva un’ammiraglia per la nostra flotta. Una nave capace di affrontare le pattuglie federali, conservando il carico. E volevo far colpo sul Sindacato, per mostrare che la nostra forza è intatta. Ah, se avessi visto le facce degli altri capiclan, quando gli ho presentato la Gemma di Orione!» esclamò, sprizzando orgoglio.

   «Me le immagino» disse Jaylah, con un sorriso fiacco.

   «E non credere che sia stato un gioco a perdere» proseguì Goutric. «In un solo anno ci ha ripagati delle spese. Immagina quanto ci frutterà negli anni a venire!» gongolò, con l’avidità negli occhi. «Questo gioiello può darci la preminenza nel Sindacato... a patto di gestirlo bene. Ecco perché l’ho affidato a Mua’vid».

   «Uno di quei nomi che dovrei conoscere» pensò Jaylah. Considerando la mentalità orioniana, ipotizzò che fosse un altro parente. Difficilmente Goutric avrebbe incaricato un estraneo, per quanto fidato. «È stata una scelta difficile?» chiese, sperando di non compiere un passo falso.

   «Mah, non tanto» rispose Goutric, grattandosi un orecchio. «Tuo cugino è cambiato, in questi anni. Non è più lo scapestrato che ricordi. Ha capito che deve impegnarsi per il Clan. Ed è diventato dannatamente bravo!» disse, ridendo forte. «I guadagni di quest’anno sono merito suo. Ha trasportato più ketracel nelle sue stive di tutte le altre navi messe assieme. E dal momento che ha dimostrato il suo valore, voglio ricompensarlo» disse, lanciando una strana occhiata alla “figlia”.

   «Che intendi?».

   «Lo saprai stasera. Ci sarà una festa, in cui farò una dichiarazione importante» disse il capoclan. «Voglio che tu ci sia. Fatti bella, mi raccomando. Scendi nel salone delle feste alle nove in punto... non tardare per nessun motivo» ordinò. «Tutti i parenti devono vedere che sei di nuovo con noi e non te ne andrai più. Mi sono spiegato?» chiese, con aria minacciosa.

   «Verrò, te lo prometto» disse Jaylah. Non era in condizioni di opporsi e sperava di sfruttare la situazione per raccogliere altre informazioni sui criminali. In un certo senso, si considerava un agente sotto copertura.

 

   Rientrata nelle stanze di Zafreen, Jaylah dovette prepararsi per la serata. Non era una cosa semplice. Per tutta la vita si era concentrata più sui doveri che sulle feste. Anche quando doveva partecipare a qualche evento manteneva un look modesto, all’opposto dell’ostentazione orioniana. Ad esempio non sapeva acconciarsi i capelli in modo elaborato. Ed era così poco pratica di trucco che rischiava di fare un disastro... cosa pericolosa, perché avrebbe insospettito gli Orioniani.

   Per sua fortuna, entrando in camera vi trovò un paio di ancelle che erano lì apposta per prepararla. Dovevano essere domestiche della villa. O forse schiave, pensò con un senso di malessere allo stomaco. Preferì non fare domande. Le avevano già preparato il bagno, riempiendo la vasca con essenze profumate.

   «Il bagno è pronto, padrona» disse una delle due, tenendo lo sguardo basso.

   «Non chiamarmi mai più così» disse Jaylah. «Io non sono la padrona di nessuno».

   «Come devo chiamarvi?».

   «Per nome andrà bene».

   «In questo caso... il bagno è pronto, signorina Zafira».

   Con un sospiro, Jaylah si lasciò scortare fino alla vasca. Insisté per lavarsi da sola, ma lasciò che le acconciassero i capelli, le sistemassero le unghie e la truccassero. Restava da scegliere l’abito. A questo punto Jaylah congedò le aiutanti, assicurandosi che uscissero dai suoi quartieri. Pensando a cosa l’aspettava, si chiese come si sarebbe presentata Zafreen al suo posto. Non era difficile da immaginare. Aprì l’armadio, desiderando sommamente di trovarci qualcos’altro, ma niente: i vestiti alla Dejah Thoris erano sempre lì.

   «Perché? Perché? Perché?!» si chiese, prendendo a testate l’anta. Quando ebbe dato abbastanza testate da ritenersi soddisfatta, indossò il meno indecente degli abiti da sera. Completato il look con qualche gioiello, scese nel salone dei ricevimenti, sforzandosi di respirare normalmente.

 

   Il salone era arredato col gusto sfarzoso e anacronistico tanto caro agli Orioniani. Al posto delle sedie c’erano tappeti e pouf su cui accomodarsi, per poi servirsi da bassi tavolini. Il profumo delle spezie si diffondeva nell’aria, mescolandosi alle boccate dei narghilè. Una banda di suonatori produceva musica dal vivo, cosa rarissima nel XXVI secolo.

   Il Clan di Goutric era riunito quasi al completo. C’erano una ventina di Orioniani, più o meno imparentati con Zafreen. «Venti occasioni per farsi scoprire» pensò Jaylah, facendo il suo debutto. Molti di loro avevano vistose decorazioni corporee: tatuaggi, piercing, persino sfregi rituali. Al suo ingresso smisero di chiacchierare e la fissarono. Anche i musicisti tacquero.

   «Ehilà... quanto tempo!» trillò Jaylah, sforzandosi di comportarsi come Zafreen. «Vi trovo tutti in gran forma!».

   «Sei splendida, figlia mia» l’accolse Goutric, offrendole la mano. «Mia figlia Zafira è tornata... ed è pronta ad assumersi le sue responsabilità!» proclamò, sollevandole il braccio.

   Il resto del Clan applaudì, come richiedeva il galateo. Chi era seduto si alzò, per poi venirle incontro. Facce poco raccomandabili passarono davanti a Jaylah, che si sforzava di memorizzarle, sia per necessità immediata, sia per fare gli identikit una volta uscita da lì. Dovette fare acrobazie linguistiche per salutare tutti senza chiamarli per nome.

   «Ci hai fatti proprio penare, nipotina» commentò un vecchio zio, che aveva gli occhi di colore diverso, forse perché uno era artificiale. «Soprattutto tuo padre. Se una delle mie figlie mi avesse tirato uno scherzaccio del genere, sarei stato meno clemente».

   «Guarda il lato positivo» suggerì una cognata di Goutric. «La sua conoscenza della Flotta Stellare può tornarci utile. A proposito, che facevi laggiù, di preciso?».

   «Ehm... mi occupavo di sensori e comunicazioni» disse l’Agente.

   «Ottimo! Sono certa che conosci qualche trucco per sfuggire ai rilevamenti» disse la cognata.

   «Nulla che già non sappiate, penso» commentò Jaylah a disagio. Per sfuggire alla raffica di domande accettò un drink. A tradimento, il cameriere le servì un forte alcolico, che la fece tossire.

   «Non ti avranno abbeverata col sintalcool!» commentò Goutric, scuotendo la testa. «Che delinquenti!».

   «Ah, Zafira... eri bella da ragazza e lo sei ancor più ora che ti sei fatta donna» disse un giovane Orioniano, facendosi avanti. Come molti maschi del suo popolo faceva a meno dei capelli; il suo viso costellato di piercing e tatuaggi aveva un’aria sbruffona. Già per quell’approccio, a Jaylah venne voglia... non di schiaffeggiarlo, ma di dargli un pugno sul naso. Invece dovette fingersi lusingata. «Adulatore... sono certa che hai visto ben altro» rispose.

   «No, dico davvero, sei incantevole» insisté l’Orioniano. «Quando lo zio mi ha detto che eri di nuovo a casa, ho invertito la rotta e mi sono precipitato da te. Guarda, ho un dono». Le offrì un braccialetto d’oro, tempestato di gemme preziose, che fino a quel momento aveva nascosto dietro la schiena. Insisté per metterglielo lui stesso, cosa che fece con lentezza esasperante. Jaylah si appellò a ogni briciolo di autocontrollo per lasciarlo fare.

   «Un applauso per mio nipote, Capitano della Gemma di Orione!» gridò Goutric, ponendogli una mano sulla spalla. Stavolta gli applausi parvero sinceri. Gli introiti delle sue attività criminali dovevano essere davvero consistenti.

   «Papà mi ha detto di te... congratulazioni, Mua’vid» disse Jaylah, riconoscendolo come il cugino di cui Goutric le aveva parlato.

   «Sì, è in gamba, il nostro ragazzo. Porta alto l’onore del Clan!» esclamò Goutric. «Perciò voglio farvi un importante annuncio». A queste parole, i parenti tacquero. «Al comando della Gemma, Mua’vid ci ha garantito il nostro anno più redditizio di sempre. Abbiamo riguadagnato il rispetto del Sindacato. E ora che mia figlia è tornata, intendo rendere il nostro Clan più saldo e unito che mai. Ecco perché stasera Mua’vid e Zafira si fidanzano ufficialmente!» dichiarò, levando un boccale ricavato dal corno di un animale. L’annuncio suscitò applausi e brindisi.

   Jaylah si sentì fischiare le orecchie. Si era persa un pezzo del discorso. Doveva essere così. Oppure aveva frainteso. Mua’vid e Zafreen erano cugini di primo grado. Non potevano sposarsi. O sì? Non conosceva abbastanza le usanze della malavita orioniana da poterlo escludere. E osservando il comportamento degli altri, capì che non c’era alcun errore. Goutric intendeva davvero farle sposare il cugino. Beh, tecnicamente non erano cugini, visto che lei era Jaylah. Ma aveva pur sempre il corpo di Zafreen... quindi dal punto di vista genetico lo erano. E comunque, Jaylah avrebbe bruciato la casa piuttosto che sposare quel delinquente gonfio di muscoli e coperto di orpelli.

   Placata l’emozione, gli Orioniani sedettero di nuovo e i musicisti ripresero a suonare. Goutric sedette a capotavola e Mua’vid ebbe il posto d’onore alla sua destra. A Jaylah bastò un’occhiata del capoclan per capire quale fosse il suo posto: accanto al fidanzato. Con una forza di sopportazione che non immaginava di avere, gli sedette a fianco e sopportò le sue avances per tutta la durata del banchetto.

   «Sei incantevole... te l’ho già detto?» chiese Mua’vid, allungando le mani.

   «Svariate volte» rispose Jaylah. Quand’era una cadetta, e studiava per entrare nella Flotta Stellare, si era chiesta qual era la cosa peggiore che potesse capitarle. Adesso scoprì che aveva peccato di ottimismo. Scolò il bicchiere: non aveva mai avuto tanta voglia di ubriacarsi in vita sua. Ma si astenne dal fare il bis, rendendosi conto che questo poteva solo peggiorare le cose.

 

   Le pietanze, ad essere onesti, non furono terribili. Jaylah non era abituata a sapori così forti e speziati, ma con le papille gustative orioniane che si ritrovava scoprì di reggerli senza troppe difficoltà. Di alcune cose non immaginava la provenienza, ma dopo l’annuncio di Goutric quello era l’ultimo dei suoi problemi.

   A banchetto ultimato, la musica salì di tono, annunciando l’arrivo delle danzatrici. «Ovviamente non può essere una festa orioniana come si deve, senza quelle» si disse Jaylah. Scoprì che le signorine riuscivano a far sembrare morigerato il suo vestito, impresa non facile. Tra svolazzi e ammiccamenti, la serata si scaldò. Gli ospiti applaudirono l’esibizione e alcuni di loro si unirono addirittura alle danze, a volte portandosi dietro la propria compagna, a volte no.

   «Balliamo, dolcezza?» chiese Mua’vid.

   «Mah... veramente mi fa male un piede...» si scusò Jaylah. A parte il fatto che non lo poteva soffrire, il motivo del diniego era un altro: non sapeva ballare. Non conosceva nemmeno le danze diffuse nell’Unione, men che meno quelle orioniane.

   «Io vado... ma cerca di raggiungermi. Vedrai che ci divertiamo» ammiccò l’Orioniano. Marciò verso le danzatrici, che lo accolsero estasiate. Jaylah arretrò lungo la parete, desiderando scomparirci dentro.

   «Beh, figliola, che fai?» le chiese Goutric, scoccandole un’occhiataccia.

   «I-io? Niente» esalò Jaylah.

   «Questo è il problema. Ti sei appena fidanzata con Mua’vid. Dovresti essere con lui, al centro della festa. Non lasciare che le shutte incantino il tuo uomo!» ammonì Goutric, accennando alle danzatrici che avevano iniziato ad avvolgerlo con i loro nastri di seta.

   «Diciamo che tu mi hai appena fidanzata» puntualizzò Jaylah. «E non credo ti sia dimenticato di avvertirmi».

   «È colpa tua, se non ti ho avvisata. Devi mettere la testa a posto» spiegò il capoclan. «Sposare lui è il modo più semplice. I due rami principali del Clan saranno riuniti, rendendoci più forti».

   «Hai anche progettato la nostra luna di miele?» sibilò lei.

   «Avrete la Gemma di Orione. Potrete andare dove volete» rispose Goutric. «Insomma, di che ti lamenti? Ci sono donne che ucciderebbero per avere la tua fortuna. E tu, invece, non devi muovere un dito, perché ho pensato io a tutto. Una figlia come si deve mi ringrazierebbe. Ora va’ da lui e balla, per lo yotz!» ordinò.

   «La Gemma di Orione...» rimuginò Jaylah. Qualcosa le scattò nella mente. La soluzione ai suoi problemi era in orbita proprio sopra le loro teste. La villa era super sorvegliata, ma su un’astronave c’erano più possibilità di prendere una navetta o una capsula per scappare. Al limite poteva usare il teletrasporto per scendere in una diversa zona del pianeta e far perdere le tracce. Sì, le opportunità erano interessanti. «Hai ragione, papi, vado subito!» trillò, nella più perfetta imitazione di Zafreen che le fosse mai riuscita.

   Proprio allora i suonatori avevano lasciato il posto a una musica elettronica, più moderna e incalzante. Jaylah si rassettò il vestito e si lanciò arditamente nella baraonda. Non sapeva ballare in senso stretto, ma in fondo le bastava dimenarsi per seguire la musica. Era abbastanza sicura che Mua’vid non sarebbe stato a sottilizzare sulla precisione dei passi. Si presentò a lui con un sorriso smagliante. «Ciao, cucciolone!» trillò, ricordando come Zafreen chiamava a volte Vrel.

   «Zafira! Lo sapevo che ti saresti lanciata. Ti è sempre piaciuto ballare. E come si fa a resistere a un ritmo come questo?» fece l’Orioniano, piacevolmente colpito.

   «Non si può!» rise Jaylah, strappando un nastro di seta dalle mani di un’indispettita danzatrice per usarlo lei. Se lo agitò intorno e poi lo usò per avvolgere Mua’vid intorno alla vita, avvicinandoselo. «Ho visto la Gemma al telescopio, quando sei arrivato. È favolosa... mi da’ i brividi sapere che sei tu al comando. Quant’è grande?».

   «È lunga più di un chilometro» rispose l’Orioniano, ringalluzzito. «A pieno carico trasporta 6 milioni di tonnellate di merce».

   «È degna di te. E dimmi, quant’è veloce?».

   «A impulso raggiunge 0,7 c. A cavitazione arriva a 6 QV, anche 7 per qualche ora».

   «Wow, che potenza!» fece Jaylah, strusciandosi contro di lui in un modo che fino a poco prima le era inconcepibile. «Ma non hai paura che i federali ti becchino?».

   «Figurati! Quelli neanche osano attaccarmi» si vantò Mua’vid. «La Gemma è armata con disgregatori e siluri ultimo modello. Ha un’armatura ablativa e scudi auto-rigeneranti. Potrebbe reggere il confronto con l’Enterprise!» arrivò a dire, ma era senz’altro una spacconata.

   «E se ti trovassi di fronte più di una nave?» insisté Jaylah, abbracciandolo da dietro.

   «Una volta m’è capitato. Un’intera flottiglia» ammise l’Orioniano, sempre muovendosi a ritmo. «Ma ho attivato l’occultamento – l’abbiamo preso ai Romulani – e li ho fatti fessi. Tranquilla, dolcezza... niente può fermarmi!».

   «Amore, sei fantastico» disse Jaylah, alzando gli occhi al cielo. Siccome gli stava dietro, Mua’vid non se ne accorse.

 

   Com’era normale per quel genere di festa, le danze si trascinarono fino a notte fonda. Poco alla volta, però, anche gli Orioniani iniziarono ad averne abbastanza e a ritirarsi. Molti si appartarono con la propria compagna, o con una ballerina, o con entrambe. Infine anche Mua’vid chiese di ritirarsi. «Splendida festa, zio!» disse abbracciando Goutric, che dovette sostenerlo, tanto era brillo. «E Zafira è strepitosa... all’inizio faceva la ritrosa, ma poi s’è smollata. Lo so, faccio quest’effetto» aggiunse modestamente. «Grazie di avermela data... ti prometto che non ti deluderò».

   «Lo spero, nipote» disse il capoclan, squadrandolo con serietà. «Comportati bene, nelle prossime settimane, e al fidanzamento seguiranno le nozze. Ma per stasera devo chiederti di ritirarti».

   «Certo, zio» fece il giovane Orioniano. «A domani, bambola!» aggiunse all’indirizzo di Jaylah. Le venne incontro e la baciò sulla bocca. La giovane ricambiò, immaginando di farlo a piccoli pezzi. Finalmente Mua’vid recuperò il suo comunicatore e contattò l’astronave. Svanì in un teletrasporto verde.

   «Bene, piccola... vedo che cominci a imparare il tuo ruolo» disse Goutric, prendendola da parte mentre gli ultimi ospiti si ritiravano e i domestici iniziavano a pulire. «Fa’ la brava e non avremo problemi. Hai visto che Mua’vid è un bravo ragazzo. Ti sei divertita, con lui?».

   «È stata una serata... unica» rispose Jaylah. «Diversa da qualunque cosa potesse capitarmi nella Flotta». Si astenne accortamente dallo specificare se nel bene o nel male.

   «Hai capito che lo faccio per te, vero?» chiese l’Orioniano, quasi sussurrando. «Un giorno voi due sarete a capo del Clan. Avrete un ruolo di prim’ordine nel Sindacato. Tu, figliola, avrai ricchezze che neanche immagini. E il rispetto di tutti. Non è meglio che affannarsi per la Flotta, in cambio di una miseria?».

   «Ti dirò... la Flotta non era poi quella gran cosa che mi aspettavo. Sotto molti aspetti, mi ha delusa» rispose Jaylah. C’era un pizzico di verità in quest’affermazione... ma certo non bastava a farla tradire. In realtà, dopo quella serata odiava gli Orioniani ancora di più.

   «Noi viviamo secondo i nostri principi; loro possono dire altrettanto?» filosofeggiò Goutric. «Visto che ti sei comportata bene, voglio svelarti un segreto. Fra due giorni incontreremo un famoso pirata, proveniente da un remoto settore. Ha preso una cosa per noi e deve consegnarcela, in cambio di armi. È una transazione come tante, ma voglio farti assistere. Così vedrai come sbrighiamo queste cose».

   «Chi è il pirata? E cos’ha rubato per te?» volle sapere Jaylah.

   «Vedrai, figliola; non voglio rovinarti la sorpresa» sogghignò Goutric, scoprendo i denti ingemmati. «Sappi solo che il bottino diverrà la perla della mia collezione».

 

   La brezza rinfrescava quello che altrimenti sarebbe stato un caldo pomeriggio su Neural. I piccoli villaggi locali erano disseminati in mezzo al verde delle foreste e dei pascoli. A quell’ora, pastori e contadini erano all’aperto, ma si prendevano una pausa per mangiare qualche boccone. Nessuno si accorse dei tre Hirogeni appostati su un’altura. Erano stesi a terra, seminascosti dalla vegetazione, e osservavano il panorama tramite i mirini dei fucili tetrionici.

   «Eri mai stato qui?» chiese Dorvic, muovendo di lato il fucile per osservare più spazio.

   «Ci sono passato una volta, ai tempi della Horus, ma non ero mai sceso» rispose Norrin. «Questa civiltà vive ancora nell’Età del Bronzo. La Prima Direttiva ci vieta ogni contatto».

   «Se la vostra Presidente manterrà le promesse, la Prima Direttiva sarà abolita» gli ricordò Dorvic.

   «Non è ancora successo» puntualizzò Norrin.

   «Staremo attenti a non farci scoprire» assicurò lo zio. «Ti ho portato qui perché su questo pianeta vive un animale poderoso. È una preda adatta alla tua prima caccia».

   «Ecco, ne ho trovato uno» disse Vidrak, appostato a lato del cugino. «È un grosso maschio». Gli altri due Hirogeni mossero i fucili, per visualizzarlo nei mirini. Norrin scorse una massiccia creatura scimmiesca, alta più di due metri. Aveva un enorme corno in cima alla testa ed era coperto da una folta pelliccia bianca. L’Ufficiale Tattico riconobbe la Grande Scimmia Neuralana, detta mugato dagli abitanti.

   «A te l’onore, nipote» disse Dorvic.

   «Non credo che dovrei» tentennò Norrin. «Non so nemmeno se sia una specie protetta».

   «Da quale legge, quella federale? Neural non fa parte dell’Unione» gli ricordò lo zio. «E non credo che i Neuralani, che soffrono per le aggressioni dei mugati, si dispiaceranno se ne ucciderai uno. Anzi, col tuo gesto potresti salvare delle vite».

   «Lo farà di sicuro» disse Vidrak. «Guardate quindici metri più avanti».

   Gli altri due corressero prontamente l’inquadratura. In una piccola radura, una donna locale stava raccogliendo delle erbe con un falcetto di bronzo. Aveva lunghi capelli neri e un abito misto di tela grezza e pelliccia, con dei monili appesi al collo.

   «È una kahn-ut-tu» riconobbe Dorvic. «Una sciamana esperta nelle arti curative. Quelle che raccoglie sono erbe medicinali, utili a tutta la tribù. Ma non credo che sopravvivrà, se non la aiutiamo» aggiunse.

   Norrin constatò che il mugato stava andando dritto verso di lei. «Dovrebbe stare all’erta... perché non si accorge del pericolo?» mormorò, preoccupato.

   «Il mugato è un predatore che si avvicina in silenzio» spiegò Vidrak. «Tra l’altro è sottovento. La donna non ha scampo».

   Come a confermare le sue parole, il mugato uscì dalla boscaglia, avventandosi contro la kahn-ut-tu. A questo punto la donna se ne accorse, ma si trovò pressata contro dei cespugli spinosi così fitti che non poteva attraversarli. La sciamana mollò le erbe, indietreggiando per quanto possibile. Con disperato coraggio, rivolse il falcetto contro il mugato, sferrando colpi nell’aria per intimidirlo. Lanciò anche degli urli, sia per spaventare la bestia, sia nella speranza di richiamare aiuto. Norrin ammirò la sua audacia, ma non credeva che si sarebbe salvata.

   «Il morso del mugato contiene una potente neurotossina» gli disse Dorvic all’orecchio. «Basta una piccola ferita e la donna morrà fra i tormenti. Uno sciamano potrebbe salvarla con le giuste erbe... ma è lei la kahn-ut-tu. Se muore, tutto il villaggio resterà indifeso».

   «Ho capito» disse Norrin, prendendo la mira. Il mugato incalzava, sferrando colpi con gli artigli. L’indigena li evitò con scatti repentini e rispose con un allungo, ma il suo misero falcetto intaccò appena la pelle del mostro, protetta da una spessa pelliccia. Irritato, il mugato ruggì, pronto a mordere. La sciamana si accucciò e chiuse gli occhi, aspettando la morte.

   In quel momento Norrin sparò. Il raggio tetrionico ad alta energia colpì il mugato dritto tra le scapole, abbattendolo. Il mostro cadde in avanti, accanto alla donna, che riaprì gli occhi e si rialzò sbalordita. Vide il segno nero tra le spalle della belva, dove il raggio tetrionico aveva colpito, ma non poteva immaginarne l’origine. Per quanto ne sapeva, si era trattato di un fulmine a ciel sereno. La kahn-ut-tu s’inginocchiò accanto al mostro e allargò le braccia, con le palme in alto, ringraziando lo spirito buono che l’aveva salvata. Poi infoderò il falcetto, raccolse le erbe curative e si affrettò verso il suo villaggio. Non voleva incappare nel mugato femmina, che probabilmente si aggirava da quelle parti.

   «Ben fatto» si congratulò Dorvic. «Anche se non c’è stato il corpo a corpo, hai messo a segno un tiro perfetto... è una buona caccia».

   «L’ho fatto per salvare quella donna, non per la caccia» affermò Norrin.

   «Una cosa non esclude l’altra» ribatté l’Alfa. «Ora sbrighiamoci a prendere le spoglie, prima che l’indigena torni qui con tutto il villaggio» aggiunse rialzandosi.

   «È proprio indispensabile?» chiese Norrin, non sapendo che farsene di quel corpaccio.

   «Ricorda che ti ho detto: senza il trofeo, è come se non avessi fatto nulla!» gli ricordò Vidrak, dandogli una pacca sulla spalla. Entrambi i parenti lasciarono il punto d’osservazione, obbligando Norrin a fare altrettanto.

   Mentre li seguiva a valle, l’Ufficiale Tattico si chiese se aveva fatto bene ad accettare quel giro di caccia. Avrebbe preferito restare su Amar, per conoscere meglio il resto del clan e scambiare ancora qualche parola con Vitani. Ma i Cacciatori avevano insistito tanto che non li aveva voluti deludere. E poi, una parte di lui era contenta di quell’esperienza. Poteva avere un assaggio di quella che sarebbe stata la sua vita, in altre circostanze. Era pur sempre un Hirogeno e aveva la caccia nel sangue. In quel caso, poi, aveva salvato un’innocente. Forse i Cacciatori facevano del bene, si disse. Ma un’altra vocina, dentro di lui, gli sussurrò che non sempre era così. «Vediamo come procedono le cose» pensò, apprestandosi a reclamare il suo primo trofeo.

 

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Capitolo 5
*** Uomini d'affari ***


-Capitolo 4: Uomini d’affari

 

   La Gemma di Orione stazionava a pochi anni luce dal pianeta, in attesa dell’incontro col pirata giunto da lontano. L’equipaggio ingannava il tempo controllando i sistemi, per assicurarsi che operassero al meglio. Come in ogni incontro fra criminali, era essenziale presentarsi al massimo della forza.

   «Ed ecco la stiva principale... con questa ho contrabbandato di tutto» disse Mua’vid, mostrando a Jaylah l’enorme salone, pieno di merci illegali. Quella nave aveva un tonnellaggio enorme, come l’Orioniano le aveva detto.

   «Wow, ci si possono fare le gare di corsa!» fischiò Jaylah, che ormai era entrata nella parte di Zafira. «E la plancia, me la mostri?».

   «Uhm... tuo padre non approverebbe» mugugnò il trafficante. «Mi aveva raccomandato di tenerti fuori da certe zone della nave, almeno finché non sarai mia moglie».

   «Ma noi non glielo diremo» ammiccò Jaylah. «Eddai... avevi promesso di farmi vedere la nave, birbante! Se non lo fai, ti terrò il broncio» minacciò, sporgendo le labbra.

   «Sei bella anche così» commentò Mua’vid. «Ma sì, chi se ne frega degli ordini! Questa è la mia nave, ora, e decido io chi sale in plancia. La mia promessa sposa è la benvenuta. Vieni, dolcezza!» disse, dandole una sonora pacca sul fondoschiena.

   Jaylah fece una risatina scema, ma intanto la sua lista dei conti in sospeso non faceva che allungarsi. Non vedeva l’ora di rifarsi delle umiliazioni, restituendole all’Orioniano in forma di tanti pugni sul muso.

   Dopo aver percorso lunghi corridoi, che li portarono nella zona di prua, gli Orioniani presero un turboascensore. Jaylah si aspettava di sbucare direttamente in plancia. Invece percorsero ancora un tratto di corridoio, in fondo al quale c’era una scala. Si avvolgeva come una scala a chiocciola, ma era larga e comoda, tanto che tre persone potevano salirla nello stesso momento.

   «Guarda che lusso!» si vantò Mua’vid. «E ha anche uno scopo pratico, perché in caso di danni non si rischia di precipitare con l’ascensore o di restare bloccati in plancia».

   «Potreste dare lezioni alla Flotta» commentò Jaylah, sincera suo malgrado.

   Salirono la scala, mano nella mano, finché giunsero nel centro di comando. Era una sala vasta, dalle paratie verdi come quasi tutta la nave, equipaggiata con sistemi ultimo modello. Al centro spiccava la poltrona del Capitano: era rialzata di un gradino, con lo schienale alto, tanto da somigliare a un trono. Poco più avanti c’era lo schermo principale, così largo che andava quasi da una parete all’altra. Il numeroso equipaggio era indaffarato ai propri posti, ricavati in nicchie nelle pareti. C’erano Orioniani, naturalmente, ma anche membri di altre specie. Sembrava davvero una nave militare, e Jaylah soffrì nel pensare da dove venivano quella ricchezza e quel potere.

   «Capitano sul ponte!» salutò il Primo Ufficiale, un Orioniano enorme e pieno di tatuaggi.

   «Signori, vi presento la mia promessa sposa!» si gloriò Mua’vid, indicando platealmente Jaylah. Fischi e applausi accompagnarono il suo ingresso in plancia, ma non ci furono battutacce. Evidentemente i criminali temevano la reazione del loro Capitano.

   «Quando sarai mia moglie, farò mettere un’altra poltrona qui per te» suggerì Mua’vid, accennando allo spazio accanto al suo trono.

   «Oh, caro... come sei romantico!» trillò Jaylah, carezzandogli la guancia.

   «Traccia di curvatura in arrivo» avvertì un addetto ai sensori. «Dev’essere lui».

   «Avvertite Goutric; vorrà trattare di persona il suo acquisto» ordinò Mua’vid. Si avvicinò allo schermo, finché l’incursore pirata uscì dalla curvatura. Era un modello vecchio e piuttosto piccolo. L’Orioniano non ne fu per nulla impressionato. «Ma guardalo, il grand’uomo... in confronto a noi, è una zanzara».

   Approfittando della distrazione generale, Jaylah scivolò discretamente accanto alla consolle tattica. Aguzzò lo sguardo, in cerca di un dettaglio cruciale: le frequenze degli scudi. Conoscendole poteva teletrasportarsi attraverso le difese della Gemma, ad esempio per fuggire su un pianeta. Finalmente trovò il dato che le occorreva: se lo impresse nella memoria.

   «Tuo padre sarà qui fra un attimo. Devo chiederti di lasciarci, mia cara» la richiamò Mua’vid.

   «Ma avevate promesso di farmi assistere allo scambio» obiettò Jaylah, volendo essere informata dei traffici del Clan.

   «Credo che accoglieremo il nostro ospite a bordo» spiegò l’Orioniano. «Se sarà così, ti prometto che ci sarai».

   «Va bene, a dopo» salutò Jaylah. Si affrettò giù per le scale, non volendo farsi sorprendere da Goutric in plancia. Il capoclan era più sveglio di Mua’vid e avrebbe sospettato il suo piano.

 

   Dopo una breve attesa nel suo alloggio, Jaylah fu convocata da Goutric in persona. Accertatasi di essere in ordine – un’incombenza a cui cominciava ad abituarsi – si presentò alla camera stagna. Goutric e Mua’vid erano lì, con parecchie guardie del corpo.

   «Ha attraccato, arriverà fra un attimo» disse l’Orioniano più giovane. Malgrado il commento sull’incursore pirata, sembrava teso. Evidentemente il proprietario aveva una certa fama. Jaylah stava per chiedere chi era, ma si trattenne, visto che in quel momento la camera stagna iniziò ad aprirsi. Il portello circolare si aprì a diaframma.

   Un Letheano dagli occhi rossi e un Nausicaano dalla bocca spinosa si fecero avanti, cupi e silenziosi. Erano solo gli araldi, infatti si disposero ai lati, in attesa del loro padrone. E dopo qualche secondo di snervante attesa, questi apparve.

   Jaylah trattenne il fiato. Conosceva quella tuta corazzata nera e quella maschera senza volto, attraversata solo da un visore rosso sangue. O per meglio dire, ne conosceva il modello precedente: questo era ancora più sinistro. Era la tenuta dello Spettro, il ladro gentiluomo che attaccava i Breen per vendicare l’uccisione dei suoi familiari. Per alcuni era un eroe, che aveva salvato un migliaio di prigionieri dalle miniere Breen e che distribuiva gran parte dei bottini ai poveri. Per altri era un pericoloso estremista, che poteva far scoppiare una guerra contro i Breen. Ma per Jaylah... solo per lei... era l’amore della sua vita.

 

   «Ben arrivato... signor Spettro» lo accolse Goutric, con un rispetto che riservava a pochi. «Mio nipote mi ha riferito che ha quanto le avevo chiesto».

   «Certo, come da accordi» rispose lo Spettro, con la voce alterata dal casco per renderla irriconoscibile. «E voi, avete la contropartita?».

   «Ovviamente! Osi metterlo in dubbio?» scattò Mua’vid, ma lo Spettro lo ignorò, restando concentrato su Goutric.

   «Mi mostri il tesoro» disse il capoclan con fermezza.

   «Eccolo» disse lo Spettro, facendo un segno ai suoi uomini. «Non avrà difficoltà a riconoscerlo. I notiziari non parlano d’altro, in questi giorni».

   Altri due complici dello Spettro si fecero avanti, ma non uscirono dalla camera stagna. Uno dei due reggeva una teca reliquiario, simile a quelle usate dai Bajoriani. L’altro ne aprì parzialmente l’anta, rivelando il contenuto. Jaylah sgranò gli occhi. Il Cristallo dell’Anima, la preziosissima reliquia di Bajor, le rifulgeva davanti. Modellato in forma di clessidra, sprigionava un’intensa luce color indaco.

   «Che meraviglia» mormorò Goutric. «Un vero Cristallo di Bajor... tutti m’invidieranno». Il cristallo gli si rifletteva negli occhi.

   «Sempre che sia autentico» commentò Mua’vid, facendosi avanti. «Ci sono molti falsi in circolazione».

   «Le autorità bajoriane ne hanno ammesso il furto. Credete che l’abbia preso qualcun altro?» chiese lo Spettro, ironico.

   «Può essere. È roba che fa gola a molti» insisté il giovane Orioniano.

   «Ma impadronirsene è cosa che solo uno ha fatto» ribatté lo Spettro, indicando se stesso. A un suo gesto, i complici chiusero la teca e riportarono il Cristallo al sicuro sull’incursore. «Scusate, sono confuso. Chi di voi comanda questa nave?» chiese poi il pirata, in tono mellifluo.

   «Io la comando!» rispose Mua’vid, gonfio d’orgoglio.

   «Per mio ordine» precisò Goutric, qualche passo più indietro.

   «Ah, ecco. Prima d’oggi avevo trattato solo con lei» spiegò lo Spettro, accennando al capoclan. «Di te, invece, non avevo sentito parlare» si rivolse al nipote.

   «Io invece ti conosco» rispose questi, digrignando i denti. «Sei una specie di leggenda per chi vive sul confine Breen. Dalla tua fama, pensavo che ti saresti presentato con una nave... più imponente» lo provocò.

   «Come la vostra?».

   «Sì, proprio come la nostra» sogghignò l’Orioniano.

   «Sai che si dice, sulle grosse astronavi... a volte sono tentativi di compensare qualche altra carenza» rispose perfidamente lo Spettro.

   Mua’vid strabuzzò gli occhi, sul punto d’avventarsi contro di lui. Essere offeso era già abbastanza grave... ma che questo avvenisse davanti allo zio e alla fidanzata era intollerabile.

   «Calmi, signori... siamo qui per affari» intervenne Goutric, non volendo che le cose sfuggissero di mano prima di ritirare il Cristallo.

   «Sì, siamo tutti affaristi» convenne lo Spettro.

   «No» obiettò Mua’vid. «Noi siamo affaristi. Tu sei un idealista. E come tutti gli idealisti, combatti per cause perse».

   Il silenzio che seguì fu più inquietante di ogni minaccia. Lo Spettro si avvicinò all’Orioniano, finché il suo visore cremisi fu davanti alla faccia verde e rabbiosa dell’altro. Poi, senza preavviso, gli ficcò una mano nel petto. Quelli del Clan di Goutric sobbalzarono e si fecero indietro, puntandogli contro le armi. Le guardie dello Spettro impugnarono a loro volta i disgregatori. Ci voleva un niente a scatenare la sparatoria.

   Ma il giovane Orioniano era ancora vivo. Jaylah riconobbe la tecnica dello Spettro: grazie allo sfasamento dimensionale della sua tuta poteva attraversare i corpi solidi, toccando solo ciò che voleva. In questo caso il cuore di Mua’vid, attraverso le costole e i tessuti del torace.

   «Dimmi, ragazzo. Ti sembro forse... sconfitto?» chiese lo Spettro, con voce bassa e cavernosa. Dette una strizzatina al cuore, per stimolare la giusta risposta.

   «N-no!» rantolò l’Orioniano, sconvolto e terrorizzato.

   «Risposta esatta» fece lo Spettro, lasciandolo andare. «Ora fa’ il bravo e lascia parlare gli adulti».

   Mua’vid si accasciò a terra, sudato e con le palpitazioni. Il pirata nerovestito gli passò accanto senza più degnarlo di uno sguardo, per conferire con Goutric. Accanto al capoclan, Jaylah si morse il labbro, conquistata da come lo Spettro aveva sottomesso il giovane Orioniano. Lei era tra i pochi a conoscere il suo vero nome – Jacob Wolff – e la sua storia. Due anni prima gli aveva dato la caccia, e dopo averci parlato lo aveva aiutato a salvare gli schiavi dei Breen. Ma pur scagionato dalle false accuse che lo avevano costretto alla macchia, Jack era ancora ricercato per i furti compiuti in seguito. Così avevano dovuto dirsi addio. Da allora, Jaylah aveva fatto di tutto per levarselo dalla mente. Si era detta che una poliziotta e un ladro – gentiluomo o meno – non avevano futuro, e che doveva guardare avanti. Eppure, rivedendolo dopo tutto quel tempo, si sentiva battere forte il cuore. Si chiese se fosse l’effetto degli ormoni Orioniani.

   «Tranquillo, non ha danni permanenti» disse lo Spettro a Goutric, accennando al nipote. «E questa chi è?» chiese ammirato, rivolgendosi a Jaylah.

   «Mia figlia Zafira» la presentò il capoclan.

   «Incantato» disse lo Spettro, inchinandosi leggermente. A Jaylah non sfuggì che era l’unica a cui avesse tributato tanta cortesia. Eppure nemmeno lui poteva riconoscerla, in quel nuovo corpo.

   «È un onore anche per me» disse la giovane, rispondendo a sua volta con un lieve inchino. «Conosco le tue imprese».

   «Non pensavo d’essere famoso, così lontano dall’Ammasso Nero» rispose il pirata.

   «Mia figlia ha molto viaggiato» intervenne Goutric, circondandole le spalle con fare protettivo.

   «Sulle navi crociera?» ridacchiò lo Spettro.

   «Sull’USS Keter» rivelò Jaylah, prendendo il coraggio a due mani. «Ci sono stata per un periodo. Poi sono tornata a casa» affermò, sperando di attirare l’interesse di Jack. Doveva trovare il modo di appartarsi con lui, per farsi riconoscere. Quell’incontro inaspettato era il suo biglietto di fuga dagli Orioniani.

   «La Keter?» si meravigliò lo Spettro. «Ho avuto a che fare con quella nave, nel bene e nel male».

   «Vi siete già incontrati?» chiese Goutric, ancora più stupito.

   «No» risposero entrambi all’unisono.

   «Sono stato a bordo solo il tempo necessario a infilzare il Capitano» spiegò lo Spettro. «Ma c’era una giovane agente della Sicurezza con cui strinsi un’alleanza. Jaylah. La conosci? È ancora lì?» s’interessò.

   Jaylah esitò, sentendosi chiamare direttamente in causa. Avrebbe preferito non parlarne davanti agli Orioniani. Al tempo stesso era lusingata di sapere che Jack pensava ancora a lei. «Sì, Jaylah è ancora a bordo» confermò. «Ha avuto la promozione che sognava».

   «Buon per lei» fece lo Spettro. «Tornando al nostro affare... ti ho mostrato il Cristallo» disse, nuovamente rivolto a Goutric. «Ma non uscirà dalla mia nave finché non avrò visto la contropartita e non l’avrò accettata».

   «Più che giusto» disse il capoclan, conciliante.

 

   Lo Spettro e i suoi due scagnozzi seguirono gli Orioniani nei corridoi della Gemma, scendendo anche di livello. Giunsero così all’hangar principale, che Jaylah non aveva ancora visto, essendo salita col teletrasporto. L’enorme stanzone conteneva una navicella da guerra, lunga una quarantina di metri. Percorrendo una passerella, poterono ammirarla da vicino.

   «È un incursore di classe Dal’Rok» spiegò Goutric, orgoglioso. «È equipaggiato con cannoni bifasici di ultima generazione e tre tubi lanciasiluri per testate quantiche».

   «I siluri ci sono?» volle sapere lo Spettro.

   «Certo, la dotazione standard» assicurò Goutric. «E naturalmente l’incursore è equipaggiato di tutto punto: replicatore, teletrasporto, armadietto medico per le emergenze».

   «Notevole» riconobbe lo Spettro, ammirando le linee aggressive della navicella. «Ma questi sembrano un po’ usurati» notò, allungando una mano per sfiorare gli ugelli dei motori a impulso. «Quanto ha volato questa nave?».

   «Oh, è sotto i cinquemila anni luce» sostenne Goutric.

   «Ne sei certo?» chiese lo Spettro. «Perché lo scafo sembra un po’ vissuto. Questi che sono, resti carboniosi?» chiese, grattando alcune incrostazioni scure.

   «Beh, si capisce che questa nave ha avuto le sue battaglie» ammise Goutric. «Ma è meglio così... te la offro già collaudata».

   «Quanti anni ha? Voglio la verità... tanto la scoprirei comunque, analizzando il nucleo» avvertì lo Spettro.

   «Non arriva neanche a due lustri» rispose Goutric, di malavoglia.

   «Così non va... mi avevi promesso una nave “nuova fiammante”. Sì, furono quelle le tue parole» gli ricordò lo Spettro.

   «Questa nave ha tutto ciò che puoi desiderare. È meglio di quella che hai adesso!» lo redarguì Mua’vid, che si era ripreso dalla strapazzata. «L’offerta di mio zio è generosa, ti conviene accettarla».

   «Il Primo Ministro bajoriano ha offerto ricompense ancora più generose per chi renderà il Cristallo. E Kai Nashir non è stata da meno» avvertì lo Spettro. «Inoltre conosco parecchi altri acquirenti che sarebbero molto generosi. Ma la mia etica professionale m’impone di restar fedele al committente... sempre che riusciamo ad accordarci».

   «Potresti restare per cena» suggerì Jaylah, cogliendo l’occasione per trattenerlo. «Così avremo tempo per discuterne».

   «Taci!» fece Mua’vid, che non vedeva l’ora di togliersi di torno lo Spettro. Ma questi la studiò, meditabondo. La tentazione d’interrogarla sulla Keter, e su Jaylah, era forte per lui.

   «Mia figlia ha avuto un’ottima idea» disse Goutric, un po’ stupito da quell’audacia, ma determinato a far andare in porto l’affare. «Sii nostro ospite sulla Gemma. Anzi, meglio ancora, vieni nella mia villa. Così ne discuteremo con calma. Ti mostrerò la mia collezione, per farti capire le ragioni del mio interesse».

   Lo Spettro rimuginò per qualche secondo. «Accetto il tuo invito; ma non verrò di persona» avvertì. «La mia identità è un’informazione riservata a pochi. Manderò un mio uomo di fiducia per trattare. Sarà i miei occhi, le mie orecchie e la mia voce» dichiarò.

   Jaylah si morse la lingua, delusa. Il suo piano era farsi riconoscere da Jack e ottenere il suo aiuto per scappare. Se al suo posto veniva qualcun altro, andava tutto a monte. Sempre che non riuscisse comunque ad affidargli un messaggio per lo Spettro. E conoscendolo, c’era un’altra possibilità...

   «Benissimo, accoglierò il tuo uomo» acconsentì Goutric. «Facciamo stasera alle 20, alla mia villa?».

   «Accordato» disse lo Spettro, stringendogli la mano.

   «Vi riaccompagno all’incursore».

   «Fa’ riaccompagnare i miei uomini; io conosco la strada» disse lo Spettro, e sparì attraverso la parete. Muovendosi in linea retta, attraversò in rapida successione tutte le paratie che si frapponevano tra lui e la camera stagna. Quando finalmente anche i suoi scagnozzi vi furono ricondotti, l’incursore si sganciò dalla Gemma e si allontanò a curvatura, portandosi via il Cristallo.

 

   «Mi hai sorpreso, Zafira» commentò Goutric dopo la partenza dei pirati. «Non ti facevo così audace».

   «La trattativa non procedeva bene. Mi hai detto che d’ora in poi sarà questa la mia vita... se è così, devo pur partecipare» rispose Jaylah. «Anzi, vorrei il permesso d’intrattenere il nostro ospite, quando verrà da noi. Chissà che non riesca a convincerlo ad accettare quella navicella». Considerando che era ostaggio di una cultura patriarcale, e che le sue nozze erano già state combinate, quella proposta era rischiosa. Ma se aveva capito la mentalità orioniana, c’era la possibilità che la lasciassero fare.

   «Non se ne parla. Tu sei mia!» insorse Mua’vid.

   «È un’ottima idea, invece» disse Goutric a sorpresa. «Mi compiaccio di vedere che finalmente prendi a cuore i nostri affari. E tu non prendertela, ragazzo. Prima il lavoro, poi il piacere» disse a Mua’vid, che si fece di un verde più pallido.

   Jaylah gli fece un sorriso di circostanza e allargò le mani, come a dire: «Che ci vuoi fare!». Ma intuì che di lì a poco ci sarebbero stati problemi, col giovane Orioniano.

 

   Come da accordo, la Gemma tornò a Orione e Goutric rientrò in villa, preparandola per l’incontro di quella sera. Per Jaylah era la seconda festa in pochi giorni, ma stavolta il suo umore era migliore. Per la prima volta dall’inizio di quell’incubo, intravedeva la concreta possibilità di tagliare la corda. Non intendeva farsela scappare. Così si lasciò preparare dalle ancelle e scelse un vestito dei più audaci, anche per gli standard orioniani. Guardandosi allo specchio, pensò che Dejah Thoris avrebbe approvato. Infine fece il suo ingresso nel salone delle feste, con qualche minuto di ritardo per far salire l’aspettativa. Cominciava a padroneggiare certe tecniche... in fondo era l’ABC della manipolazione psicologica.

   L’inviato dello Spettro era già lì. Accostandosi, Jaylah capì di aver indovinato. Non era uno scagnozzo qualunque... no, era Jack in persona, che aveva rinunciato alla corazza per occuparsi personalmente della trattativa. Occhi penetranti, mascella forte, naso un poco storto da un pugno: Jack non era cambiato negli ultimi due anni. Jaylah gli venne incontro con aria seducente, ripetendosi che anche quello faceva parte della recita e che in realtà non desiderava affatto far colpo.

   «Lieto d’incontrarla, signorina Zafira... siete incantevole» la salutò Jack. «Io sono Renard, emissario dello Spettro» disse in tono un po’ untuoso, facendole il baciamano. Jaylah lo conosceva abbastanza da capire che non era il suo carattere. Stava solo recitando un altro ruolo: dopo il gelido Spettro, ora era l’ambasciatore mellifluo. Ma lei contava di arrivare al vero Jack, che aveva conosciuto durante la missione su Breen.

   Si accomodarono sui pouf. Jaylah notò che Mua’vid non c’era: evidentemente non poteva soffrire la vista della sua fidanzata che intratteneva l’ospite. Invece Goutric era lì e resse la conversazione per quasi tutta la serata, parlando delle sue velleità artistiche e offrendo alcuni incentivi per l’accordo. Renard – cioè Jack – disse che avrebbe riferito tutto al suo capo, ma per il momento non si sbilanciò. Il suo sguardo indugiava spesso su Jaylah, come aveva fatto fin da quando aveva saputo che la “signorina Zafira” era stata sulla Keter. Anche quando arrivarono le danzatrici, le guardò appena. Infine disse che aveva bevuto troppo – non era vero – e chiese il permesso di passeggiare in giardino.

   «Posso accompagnarla, Renard» si offrì subito Jaylah. «Così le mostrerò i nostri fiori più rari».

   «Il sole è calato. Non ci sarà molto da vedere» obiettò lui.

   «Al contrario... è solo dopo il tramonto che certe specie danno il meglio di sé» fece lei, ammiccante.

   Jack la scrutò con attenzione, anche se con un certo distacco, e annuì. Lasciarono gli Orioniani a terminare il banchetto e si avventurarono, soli, in giardino. La sera aveva portato una brezza fresca dal mare. Le due lune di Orione inargentavano i contorni delle piante odorose e della fontana zampillante.

   «Sei molto strana, Zafira» disse il pirata. «Stavi in mezzo agli altri Orioniani, eppure in qualche modo sembravi ad anni luce da loro. E c’è qualcosa in te... se non fosse impossibile, direi che ci siamo già incontrati».

   «Tutto è possibile, Jack» rispose la giovane, assaporando il momento.

   «Jack?» si stupì lui. «Ci dev’essere un malinteso. Io sono Renard».

   «Sì, il volpone. Conosco le vecchie fiabe terrestri» rispose Jaylah. «Tu sei lo Spettro... alias Jacob Wolff. Ma i complici ti chiamano Jack».

   «Chi ti ha detto questo?» s’incupì Jack, preoccupato di veder crollare così presto la sua copertura.

   «Sei stato tu, tempo fa» rispose Jaylah con voce carezzevole.

   «Non ti ho mai incontrata prima d’oggi» obiettò lo Spettro, sempre più inquieto. «Altrimenti me lo ricorderei».

   «Oh, davvero? Vuol dire che mi trovi attraente?» civettò lei. Voleva metterlo alla prova come Zafira, prima di rivelarsi come Jaylah.

   «Non sono cieco; riconosco una bella donna» rispose lui. A questo punto avevano smesso di passeggiare e si fronteggiavano davanti alla fontana. «Ma non ho ancora capito da che parte stai, e cosa vuoi realmente» aggiunse Jack.

   «Se fosse solo... stare con te?» lo provocò Jaylah, spingendo al limite il test. Erano giorni che non assumeva il soppressore di feromoni, quindi ne stava spargendo a iosa. Quando gli si accostò, Jack la prese fra le braccia e la baciò a lungo. Jaylah si godette il momento, ma sotto sotto pensava che non ci voleva molto a incantarlo, e ne fu delusa.

   «Ora si saprà la verità, Zafira, se questo è il tuo nome!» sibilò Jack, interrompendo il bacio sul più bello. Se la rigirò bruscamente tra le braccia, bloccandole le mani dietro la schiena, e la schiacciò contro il bordo della fontana, non diversamente da come avrebbe fatto un poliziotto con un malfattore. «Dimmi che ci facevi sulla Keter e che ci fai ora qui! Sei un’infiltrata del Clan nella Flotta, o sei un’Agente federale sotto copertura?».

   «Né l’una né l’altra!» rispose la giovane, sentendosi torcere il braccio. «Sono Jaylah, pezzo d’asino!».

   «Jaylah?!». Lo Spettro se la rigirò di nuovo tra le braccia, per guardarla in faccia. «Non cercare di fregarmi. Conosco Jaylah... ha le antenne e un carattere da maschiaccio. E di certo non è verde».

   «Quello era prima che mi scambiassi di corpo con l’Orioniana di bordo!» berciò Jaylah. Con una mossa fulminea si liberò dalla sua stretta. Stavolta fu Jack a finire sbattuto contro l’orlo di marmo della vasca.

   «Nello spazio ne ho viste di tutte. Ma uno scambio di corpo mai!» ribatté il pirata, annaspando per liberarsi.

   «Era un congegno segreto, lo stavamo studiando» gli bisbigliò Jaylah all’orecchio.

   «Avete fatto proprio un bel lavoro!» ribatté lo Spettro. Con un’altra tecnica di lotta riuscì a liberarsi e a respingere Jaylah, che barcollò all’indietro sui tacchi. «Quindi il corpo che hai ora...».

   «È quello di Zafreen, la nostra volubile addetta ai sensori» spiegò la giovane. «Alias Zafira, unica figlia di Goutric ed erede delle ricchezze del Clan».

   «E Zafira era da voi come infiltrata o...».

   «Niente affatto! Era scappata di casa perché non voleva partecipare agli affari di famiglia. È stata così brava a nascondere le tracce che nemmeno noi sospettavamo niente. Così, dopo lo scambio, non mi aspettavo d’essere rapita dal Clan».

   «Scambi di corpo, ereditiere perse e ritrovate... è una storia difficile da mandar giù» commentò Jack. «Che garanzie ho della tua parola?».

   «Io so cose di te che nessun altro sa, Jack Wolff» disse Jaylah, incalzante. «Ero con te, quando ci calammo nelle miniere Breen per salvare quegli ostaggi. Quando lottammo contro i Vermi Scavaghiaccio e attaccammo i sorveglianti nel loro centro di comando. Ero con te in quella caverna, coi cadaveri appesi al soffitto per estrarne i fluidi vitali».

   «Solo io e Jaylah siamo usciti vivi per raccontarlo» disse Jack, cupo.

   «Ed ero sempre con te nel tubo di Jefferies, vicino all’iniettore di plasma, quando mi salvasti da Garm. È stato allora che ci siamo baciati per la prima volta» proseguì la giovane. «Dicesti che eri un poco di buono, che avevi fatto del male e che perciò dovevo dimenticarti. Non ce l’ho fatta» confessò. «Ti ho avuto in testa per due anni... mi sono informata il più possibile sulle tue attività».

   «Ehi, non sapevo di avere una stalker» ghignò lui.

   «E tu, hai pensato a me? O mi hai considerata una fra le tante? Insomma, chi sei veramente?» chiese Jaylah con passione.

   Jack la scrutò a lungo negli occhi. «Sei davvero Jaylah» disse infine. «Riconosco il tuo spirito. Sì, ho pensato molto a te. Con rimpianto, perché non credevo di rivederti. Di certo non così!» aggiunse, contemplandola ancora incredulo. «A proposito... cos’era quella scenata di poco fa?» chiese in tono maligno.

   «Che scenata?».

   «Hai cercato di sedurmi, recitando la parte di Zafira. Cosa credevi di fare?».

   «Dovevo capire se eri un farfallone che va con la prima che trova, o se hai un po’ di sale in zucca» rispose lei. «T’informo che hai superato la prova».

   «Era molto convincente, per essere una prova. Cos’è, devi fingerti un’altra per lasciarti andare?» la provocò Jack.

   «Neanche per sogno!» insorse Jaylah. L’attimo dopo erano di nuovo avvinghiati. Stavolta si godettero il bacio fino in fondo. Quando si staccarono, Jaylah ansimava. «Scusa se ti sembro fuori di testa» boccheggiò. «Il fatto è che le Orioniane hanno livelli ormonali altissimi. Ce li hanno sempre. E sono giorni che non trovo un cavolo di soppressore!».

   «Mi stai bene anche così» garantì lo Spettro. «In effetti sono tentato di recuperare il tempo perso, ma...».

   «Lo so, è il corpo di Zafreen e non possiamo approfittare di lei» convenne Jaylah. «Anche se, conoscendola, non credo ne farebbe un dramma».

   «Non mi hai ancora detto come conti di tornare in te».

   «Questo è il problema... non so lo ancora» ammise la giovane. «Il congegno non funziona bene all’inverso. Pensa che ha ucciso le cavie. C’è un precedente di persone scambiate che tornarono spontaneamente nei loro corpi, ma nel nostro caso è passato più tempo. E comunque, per sperare nel ritorno automatico, dovremmo stare vicine. Cosa impossibile, finché Zafreen è sulla Keter e io sono bloccata qui».

   «Allora è una fortuna che io passassi da queste parti» sorrise Jack.

   «Fortuna? Non ne sono sicura» disse Jaylah, lanciandogli un’occhiataccia.

   «Che intendi?».

   «Andiamo... so bene perché sei qui» lo accusò, severa. «Ti conoscevo come un ladro gentiluomo e un combattente idealista. Ora che fai? Compri armi dai trafficanti di droga per la tua guerra privata?».

   «Da quando i tuoi colleghi hanno distrutto la mia vecchia nave, mi trovo costretto a ricapitalizzare» si giustificò lo Spettro.

   «E fai affari proprio con questa gente?!» protestò la giovane.

   «Con loro o con altri, la sostanza non cambia» rispose Jack. «Senti, la Galassia è quella che è. Se davvero mi conosci, saprai che non sono solo Robin Hood. A volte sono anche questo» disse, accennando alla villa intorno a loro.

   «Già... ecco perché non posso amarti» ribatté Jaylah con amarezza, discostandosi. «Che povera illusa sono. Dev’essere questo corpo che mi sta facendo diventare scema».

   «Ehi, calmati!» la inseguì lo Spettro. «Se è per farti contenta, rinuncerò alla transazione. Anche se userei quell’incursore per una causa più giusta, rispetto al Clan di Goutric».

   «E in cambio gli lasceresti il Cristallo? È una reliquia sacra!» si scandalizzò la giovane.

   «Non sapevo credessi alla religione bajoriana».

   «Non ci credo... ma non è questo il punto» insisté Jaylah. «Miliardi di persone venerano quell’oggetto. C’è chi si sobbarca lunghi pellegrinaggi pur di arrivare a vederlo da lontano. Poi arrivi tu – con l’occultamento che io ti ho restituito – e lo rubi! Che storia è?!».

   «La storia della mia vita» sospirò Jack. «Io sono un pirata, tu una sbirra. Sappiamo che è un sogno impossibile. Anche ora che ti ho tra le braccia, viviamo in due dimensioni diverse».

   «Era un bel sogno, però» disse Jaylah, malinconica. «E ora come la mettiamo? Mi aiuterai lo stesso a scappare?».

   «Certo, te lo devo» promise lo Spettro, sfiorandole la guancia. «Per quanto riguarda il Cristallo dell’Anima... mi chiedo se potrebbe aiutarti col tuo problemino verde».

   «Sarebbe interessante provare» convenne Jaylah. «Ma dovrei comunque ritrovare Zafreen. Puoi portarmi via subito?».

   «No, purtroppo» si dispiacque Jack. «C’è un segnale di disturbo che blocca il teletrasporto entro il raggio delle mura. Una precauzione della tua famiglia verdolina» ironizzò. «Ma potrei risalire sulla mia nave, indossare la corazza e venire a riprenderti».

   «Tu puoi anche passare attraverso i muri e renderti intangibile alle armi, ma io no» obiettò Jaylah. «E il corpo che ho adesso è meno atletico dell’altro. Non posso combattere come facevo prima».

   «Uhm... potrei accettare la loro offerta e poi attaccare la villa con entrambi gli incursori» rimuginò lo Spettro. «Ma anche così non avrei scampo, finché la Gemma resta in orbita. L’hai vista, è una nave da guerra».

   «Quale che sia il piano, devo chiederti di attuarlo alla svelta» disse Jaylah.

   «Perché?».

   «Lo vedi questo?» fece la giovane, alzando la destra per mettere in mostra il braccialetto tempestato di gemme. «È un dono di Mua’vid. Il mio regalo di fidanzamento».

   «Fidanzamento?!» si scandalizzò Jack. «Sarebbe a dire che state per sposarvi?».

   «Sì, frell!» imprecò Jaylah. Si sfilò il braccialetto e lo scagliò lontano, per la stizza. «A quanto pare nel Clan di Goutric non è un problema sposarsi tra cugini. Ma per me sarebbe un grosso problema finire con quel delinquente. Vedessi com’è tronfio, specialmente quando si trova sulla sua nave! Ma non si è accorto che, mentre ero in plancia, ho sbirciato le frequenze degli scudi. Operano a 9,288» rivelò.

   «Buono a sapersi... se tu salissi di nuovo a bordo, potrei cercare di teletrasportarti attraverso gli scudi» disse lo Spettro. «Sempre che non cambino frequenza. Su certe navi lo fanno quotidianamente».

   «Non so se hanno quest’accortezza» ammise la giovane. «Insomma, non puoi aiutarmi?».

   «Ho rubato i tesori più vigilati e ho liberato prigionieri da carceri di massima sicurezza» le ricordò il pirata. «Vedrai che farò uscire anche te! E in previsione di questo, vorrei concordare un punto di ritrovo per noi due. Nel caso qualcuno – magari i tuoi colleghi della Keter – ci separasse nuovamente» precisò.

   «Ti ho detto che non posso stare con te» obiettò Jaylah, dispiaciuta.

   «Io te lo dico lo stesso» s’incaponì Jack. «Albergo Ardra, nella capitale di Ventax II. Ci vediamo nei primi giorni del mese prossimo».

   «Non so se potrò esserci» rispose Jaylah, combattuta.

   «Se non ti presenterai all’appuntamento, capirò».

 

   Di lì a poco, i due tornarono alla sala delle feste. Si erano accordati per non tentare subito la fuga, visto che gli Orioniani stavano all’erta e la Gemma era in orbita. Jack avrebbe accettato lo scambio, per guadagnare un’altra navicella. Appena gli Orioniani avessero calato la guardia, sarebbe tornato con entrambi gli incursori per recuperare Jaylah. Se la Gemma fosse stata ancora lì, avrebbe seguito un approccio stealth, sfruttando la tuta occultante. Recuperare il Cristallo era più problematico, ma Jaylah intendeva rivelare la sua ubicazione alle autorità, una volta libera. Così come avrebbe rivelato tutti gli sporchi affari del Clan che aveva scoperto in quei giorni. Per il momento, però, doveva proseguire la recita. Si era anche rimessa il braccialetto di Mua’vid, per non creare sospetti. Anche Jack era tornato a recitare la sua parte: quella dell’emissario di se stesso.

   «Bentornato, Renard» lo accolse Goutric. «Ti sei schiarito i pensieri?».

   «Direi di sì» rispose Jack. «Accetto la tua offerta, a patto di avere in aggiunta venti fucili phaser, muniti di visore notturno».

   «Se facessimo dieci?» propose l’Orioniano.

   «Venti. Prendere o lasciare» ribatté l’Umano con fermezza.

   «Va bene, Renard. Mi voglio rovinare!» ridacchiò Goutric, stringendogli la mano. Venti fucili phaser equivalevano ai suoi guadagni di un minuto. «Ti faccio accompagnare al cancello, così potrai risalire sulla tua nave. Domani alle 10 avrà luogo lo scambio. Sempre che lo Spettro rispetti il nostro accordo».

   «Lo rispetterà. È un uomo di parola» rispose Jack. Scambiata un’ultima, breve occhiata con Jaylah, seguì due guardie orioniane fuori dalla sala.

   «Ben fatto, figliola» si congratulò Goutric, posandole una manona sulla spalla. «Cominci a imparare il mestiere. Stasera, finalmente, mi hai reso fiero di te».

   Jaylah simulò un sorriso, ma non rispose. Se tutto andava secondo le sue speranze, entro pochi giorni sarebbe stata libera da quell’incubo.

 

   Nello stesso momento la Keter era in rotta verso Orione. Dopo alcuni giorni d’interrogatori serrati per Zafreen e d’accurata pianificazione, i federali erano pronti a entrare in azione. Nel suo ufficio, il Capitano Hod ripassava il piano della squadra d’attacco assieme al Comandante Radek.

   «È certo di voler guidare personalmente la squadra?» chiese il Capitano. «Anche in mancanza di Norrin, abbiamo ottimi elementi che possono sostituirlo».

   «Lo considero un mio dovere» disse Radek. «E poi ha già permesso a Vrel di partecipare... cosa su cui confesso le mie riserve. Il nostro timoniere è troppo coinvolto emotivamente».

   «È vero» ammise Hod. «Ma il mio istinto mi dice che è la scelta giusta. Quel giovanotto manterrà il controllo».

   «Lo spero» disse Radek, per nulla convinto. In quella si udì il segnale d’ingresso.

   «Uff, avevo detto niente visite» sbuffò il Capitano. «E va bene, avanti!».

   La porta si aprì e Zafreen fece il suo ingresso. Per un attimo, Hod pensò che Jaylah fosse tornata nel suo corpo. La mezza Andoriana aveva di nuovo i capelli chiari e raccolti in una coda. Gli orecchini erano spariti e l’uniforme era in perfetto ordine. «Scusi il disturbo, Capitano, ma ho una richiesta da farle» disse con grande serietà.

   «Siamo occupati, al momento» rispose l’Elaysiana. «Stiamo finalizzando il piano per salvare Jaylah... sempre che non sia già tornata» esitò.

   «Signornò, Capitano. Sono sempre Zafreen» rispose la giovane, tutta rigida. «Volevo chiederle di partecipare alla missione».

   «Questo è fuori discussione» rispose subito Radek. «Lei ha già combinato abbastanza guai. Ora se ne starà qui, in attesa di giudizio, mentre noi recuperiamo l’Agente Chase».

   Zafreen lanciò al Capitano un muto appello. Il suo sguardo era così tragico, così disperato, che l’Elaysiana non se la sentì di congedarla.

   «Venga avanti, Guardiamarina» la invitò Hod, lasciando la scrivania per venirle accanto. «Perché vuol partecipare?».

   «Anche se ho descritto la villa agli ufficiali, al meglio di quanto ricordo, credo che la squadra trarrebbe beneficio dalla mia conoscenza del luogo» rispose Zafreen, stando sull’attenti.

   «Lei stessa ha ammesso che molte cose saranno cambiate, in dieci anni» obiettò il Capitano.

   «C’è anche un altro motivo».

   «E sarebbe?».

   «È colpa mia se Jaylah si trova in pericolo» spiegò Zafreen. «Ho sbagliato a nascondere il mio passato. E ho sbagliato di nuovo a pasticciare con quel congegno. Ora mi sento in obbligo di rimediare».

   «Tecnicamente lei è in stato d’arresto» le ricordò Radek. «Inoltre il regolamento di Flotta vieta di mandare in missione ufficiali così coinvolti dal punto di vista emotivo».

   «Comandante... Capitano... vi prego» disse Zafreen, l’espressione incrinata. «Se non vado, e le succede qualcosa, lo rimpiangerò per tutta la vita».

   «Non si può fare, mi dispiace» disse Radek, gentilmente ma con fermezza.

   «Accordato» disse Hod.

   «Capitano!» insorse il Rigeliano, sbalordito. «Questo va contro il regolamento... e contro ogni buon senso!».

   «Il suo, forse» rispose Hod, sostenendone lo sguardo. «Io, invece, sento che dobbiamo darle quest’opportunità».

   «Non la merita» si rabbuiò il Comandante.

   «Tutti meritano la possibilità di redimersi» insisté il Capitano. «Questa è la sua, Zafreen. Non la sprechi, perché non ce ne saranno altre» ammonì.

   «Non lo farò, Capitano. Grazie» disse Zafreen, con sollievo e riconoscenza. Si girò e lasciò l’ufficio a passo svelto. Tra Capitano e Comandante cadde il silenzio.

   «Avanti, lo dica» disse infine l’Elaysiana. «Tanto lo so cosa pensa: che mi sono bevuta il cervello, a lasciarla andare».

   «Avrà le sue ragioni» disse Radek, più diplomatico. «Così, però, mi mette in difficoltà».

   «Può fare rapporto all’ammiragliato».

   «No, non voglio complicare ulteriormente le cose» sospirò il Rigeliano. «Dico solo che l’inesperienza di Zafreen può compromettere il salvataggio. E se coglie l’occasione per riunirsi alla sua famiglia criminale, finiremo tutti nei guai».

   «Pensa che voglia riunirsi al Clan?» si stupì Hod.

   «È possibile, visto che restando fra noi rischia il carcere» rispose il Comandante.

   «E riunendosi a quei delinquenti, cosa rischia?» ribatté il Capitano. «Sa che coraggio le è servito per venire qui a farci questa richiesta? Quella villa è l’ultimo posto in cui Zafreen vorrebbe tornare. Eppure ci ha supplicati di mandarla laggiù, nella speranza di aiutare Jaylah. Per quanto mi riguarda, questo è un comportamento da ufficiali della Flotta Stellare».

   Radek raccolse i pensieri, prima di rispondere. «Se questo è il suo giudizio, Capitano, lo rispetterò» promise. «Ma vorrei che il mio dissenso fosse annotato nel diario di bordo».

   «Lo sarà» promise il Capitano. «E se le cose andranno storte, mi prenderò tutta la responsabilità» s’impegnò. Ricordava come, due anni prima, fossero iniziati i dissensi fra lei e il Capitano Garm. Il Capitano faceva di testa sua, violando il regolamento, tanto che lei era giunta ad ammutinarsi. Ora che il Capitano era lei, sperò che i contrasti con Radek non si aggravassero tanto.

 

   «Allora, dove siamo stavolta?» chiese Norrin, osservando il pianeta bruno-rossiccio che s’ingrandiva sullo schermo. Si stava abituando all’andazzo degli Hirogeni, che lo informavano della destinazione solo quando la raggiungevano.

   «El-Adrel IV» rispose Dorvic. «Lo conosci?».

   «Ne ho sentito parlare» rispose Norrin, mentre la nave dei Cacciatori entrava in orbita. «È qui che nel 2368 il Capitano Picard svelò il mistero del linguaggio tamariano, tutto fondato su metafore letterarie».

   «Davvero? Non lo sapevo» disse l’Alfa, caricando il fucile tetrionico.

   «Immagino che non siamo qui per i Tamariani» commentò Norrin. «Per superare la barriera linguistica, Picard e il loro Capitano trascorsero due giorni sulla superficie, affrontando insieme una creatura del posto. È quella il nostro obiettivo, giusto?».

   «Noi lo chiamiamo Hiddus» spiegò Vidrak. «È una preda eccellente».

   «Cioè molto difficile da uccidere» puntualizzò Norrin.

   «Riteniamo che gli Hiddus vivano in una dimensione parallela» spiegò Dorvic. «Forse la fantomatica “rete miceliare” di cui si favoleggia. Per qualche motivo, ogni tanto appaiono su questo pianeta per cacciare. E noi cacciamo loro».

   «Non vi siete mai chiesti perché scelgono sempre e solo questo mondo?» domandò Norrin.

   «Che importa? Siamo qui per cacciarli, non per intervistarli» disse Vidrak. «Ha ha! Non preoccuparti, cugino... sono solo bestie» aggiunse, indossando il casco.

   Norrin si chiese se qualcuno aveva mai misurato il loro quoziente intellettivo. Considerando l’aggressività delle creature e la loro capacità di sparire a comando, era molto probabile di no. Ma non volle mettersi a discutere, quindi calzò a sua volta il casco e prese il fucile. Gli altri due si stavano già tracciando i segni rituali sugli elmi: una linea di pittura rossa per l’Alfa, due bianche per il Beta. Norrin, in quanto terzo, se ne fece tre verdi. Mentre gli altri Hirogeni restarono a bordo, i tre Cacciatori designati si teletrasportarono sulla superficie.

   Si trovarono in una savana, con l’erba così alta che in certi punti gli arrivava al petto. Qua e là c’erano macchie di arbusti, o anche di alberi ad alto fusto. Gli steli seccati dall’arsura scricchiolavano sotto i loro piedi.

   «Attenti, ora» raccomandò Dorvic. «Gli Hiddus sono molto pericolosi e questo terreno li avvantaggia. Regolate gli scanner per cercare un campo variabile d’induzione».

   «Fatto» dissero Norrin e Vidrak all’unisono, regolando i sensori inseriti nei bracciali.

   «Ogni Hiddus ha il suo terreno di caccia, esteso per decine di chilometri quadrati. Sono molto territoriali, quindi ben difficilmente ne troveremo più di uno» proseguì l’Alfa, camminando in testa col fucile spianato. «Può anche darsi che non lo troveremo affatto... a volte servono molti giorni per stanarlo. Ma in questo caso abbiamo poco tempo, quindi ci tratterremo due giorni al massimo».

   «Potremmo dividerci, per coprire più terreno» suggerì Vidrak.

   «Come ho detto, l’Hiddus è pericoloso. Preferirei che stessimo insieme» rispose Dorvic. Questa non era la tipica risposta di un Alfa. Norrin capì che diceva così solo per ansia nei suoi riguardi.

   «Non sono un novellino» chiarì l’Ufficiale Tattico. «Ho partecipato a molte missioni rischiose per conto della Flotta e so guardarmi le spalle».

   «Bene, allora» decise lo zio. «Separiamoci, ma teniamo un canale aperto». Si accostò al nipote, per dargli qualche consiglio extra. «L’Hiddus appare e scompare, quindi potresti trovartelo addosso in ogni momento. Ne vedrai solo i contorni, come la distorsione visiva di un occultamento difettoso. Ricorda che solo quando è del tutto nella nostra dimensione può attaccare; ma quello è anche il momento in cui diviene vulnerabile. Uno o due colpi ben piazzati lo uccideranno... ma devi sparare al momento giusto. Se lo trovi, chiamaci!» raccomandò.

   «Intesi» disse Norrin. Lui e i parenti stesero le mani una sull’altra, nel gesto di saluto, e si divisero. Ciascuno andò in una direzione diversa, procedendo con cautela.

   Norrin si diresse a sud. Cercò di evitare l’erba più alta, che offriva all’Hiddus un’ulteriore protezione, e di mantenersi sui terreni spogli. Provava sensazioni ambivalenti. Il Cacciatore che era in lui esultava, ma l’ufficiale federale era sempre più perplesso. Gli Hirogeni non cercavano di conoscere quel pianeta e le sue creature; erano solo interessati ai trofei. Se un giorno gli Hiddus fossero scomparsi, avrebbero smesso di venire lì, senza chiedersi se li avevano cacciati fino all’estinzione. Norrin si disse che poteva giocare al Cacciatore finché durava quella licenza, ma poi sarebbe tornato sulla Keter, astenendosi dal ripetere l’esperienza. Non capiva come fosse possibile trascorrere tutta la vita facendo solo questo. Sì, la caccia era emozionante e dava soddisfazioni... ma il suo impegno nella Flotta era finalizzato a qualcosa di più che accumulare trofei di cui vantarsi.

   Un paio d’ore dopo, Norrin giunse a una pozza. Aveva già avvistato parecchia fauna locale, ma non c’era traccia dell’Hiddus. Lì vicino allo specchio d’acqua, però, c’erano diverse impronte di animali giunti ad abbeverarsi. L’Hirogeno le studiò attentamente. Tutte le tracce erano di animali a quattro zampe, tranne una serie di orme lasciate da un bipede. Erano grandi e profonde, segno che appartenevano a un essere massiccio.

   «Forse ci sono». Norrin seguì la pista, che si allontanava dal laghetto. Coi sensi all’erta, percorse un centinaio di metri. D’un tratto le impronte scomparvero. Non c’erano rocce lì vicino, né alberi su cui arrampicarsi. Sembrava che la creatura fosse svanita nell’aria. O in un’altra dimensione.

   «Qui Norrin, credo di aver trovato le tracce dell’Hiddus. Le orme svaniscono nel nulla... che ne dite di raggiungermi?» chiese.

   «Non ti muovere, arriviamo subito» disse Dorvic.

   «Sì, ti abbiamo sugli scanner» rincarò Vidrak. «Saremo lì tra poco».

   Norrin ne fu incoraggiato, ma si esortò a non abbassare la guardia, ora che forse era vicino al mostro. Si allontanò di poco, per mettersi con le spalle contro una roccia, e attese. Trascorse quasi mezz’ora. Poi udì un rumore di ramoscelli spezzati.

   «Zio, sei tu?» chiese. «Vidrak?». Nessuna risposta. L’Hirogeno tolse la sicura e si avventurò in esplorazione, col fucile spianato. A ogni minimo fruscio si girava repentino, ma per due volte trovò solo animaletti che zampettavano nel sottobosco. Ormai rassicurato, si girò per tornare al punto d’attesa. E allora lo vide.

   Era una sagoma indistinta, vagamente umanoide ma molto più massiccia, con la testa piena di escrescenze. Non aveva lineamenti riconoscibili, il che lo rendeva ancora più inquietante. Era evanescente come un ectoplasma, ma ruggiva come una bestia affamata. Norrin fu certo che lo vedesse, o comunque lo percepisse, quali che fossero i suoi sensi. Con gesto fulmineo lo prese di mira e sparò un colpo. Il raggio tetrionico passò attraverso la sagoma spettrale, che si dissolse.

   Per nulla rassicurato, Norrin si guardò attorno. L’Hiddus non poteva essere morto. Gli Hirogeni non avrebbero mai cacciato una preda che si dissolveva, senza lasciare trofei. No, doveva ancora essere lì, da qualche parte.

   «Norrin a Cacciatori, ho ingaggiato la bestia» mormorò al comunicatore. «Le ho sparato, ma non credo di averla colpita, e ora è svanita».

   «Sta’ in guardia, nipote... sono quasi da te» rispose Dorvic. Dall’affanno nella sua voce, Norrin capì che stava correndo. L’Ufficiale Tattico si vergognò di farlo affaticare tanto: avrebbe dovuto cavarsela da solo.

   In quella la creatura riapparve. Però non era accanto a Norrin: era due metri sopra di lui. Gli cadde sopra, schiacciandolo col suo peso. L’Hirogeno cercò di rigirarsi per sparare, ma le dimensioni del fucile gli rendevano difficile maneggiarlo quando la creatura gli stava così addosso. L’Hiddus allungò le zampe in avanti, bloccandogli l’arma di traverso. La sua sagoma opalescente si precisò, mentre le mascelle si spalancavano. Quando cercò di mordere, Norrin non poté fare altro che frapporre la canna del fucile. Al primo morso, le zanne affondarono nel monotanio. Al secondo staccarono un pezzo dell’arma. Al terzo la tranciarono in due.

   Norrin capì che la sua armatura da Cacciatore non gli avrebbe offerto maggior protezione. Sguainò il pugnale e lo immerse con tutte le sue forze nel ventre dell’Hiddus. Il predatore emise un ruggito terrificante e rispose con una zampata, che lasciò tre profondi graffi nel pettorale della corazza. L’Hirogeno colpì ancora, stavolta alla gola, e poi gli puntò contro i piedi per respingerlo. Ringhiando, l’Hiddus rotolò all’indietro e si dissolse.

   Norrin si rialzò, ansimante. Era illeso, ma aveva perso il fucile e non gli restava altra arma che il pugnale. Non era abbastanza per uccidere quel mostro. Arretrò verso le rocce, per proteggersi le spalle. Aveva fatto pochi passi che l’Hiddus gli apparve di nuovo a fianco. Gli bloccò la mano armata e lo colpì con l’altra zampa, scaraventandolo contro i macigni. Norrin vide le stelle e il pugnale gli sfuggì di mano. Lo cercò tra l’erba e allungò una mano per riprenderlo, ma l’Hiddus lo calpestò, spezzandone la lama. Con la forza della disperazione, Norrin afferrò una grossa pietra e la gettò contro il mostro. Il macigno lo attraversò come se fosse aria.

   Trovandosi pressato contro le rocce, l’Hirogeno tentò di scalarle per mettersi fuori tiro. Fu troppo lento: il predatore lo afferrò per una gamba e lo trascinò a terra. Lo ribaltò con un calcio, per vederlo in faccia, e allungò le fauci bramose contro di lui. Stava per staccargli la testa con un morso. Norrin gli afferrò la gola con entrambe le mani, pur sapendo che non aveva la forza di respingerlo e che per giunta si esponeva agli artigli. In quell’attimo udì l’inconfondibile sparo di un fucile tetrionico. Colpito alla schiena, l’Hiddus emise un lamento straziante e si girò per affrontare la nuova minaccia. Un secondo colpo ad alta energia lo colse in pieno petto, finendolo. Cadendo a terra, il mostro schiacciò parzialmente Norrin.

   «Nipote! Stai bene?!» gridò Dorvic, correndogli incontro preoccupato.

   «Sì, comincio ad abituarmi» rispose Norrin, che aveva difficoltà a respirare con quel bestione sopra. Dorvic usò il lungo fucile come leva, per sollevare il corpaccio e permettergli di strisciare via.

   «Che esemplare enorme! Il più grosso che abbia mai visto» commentò l’Alfa. «E tu l’hai affrontato da solo... sei un vero Cacciatore».

   «Ma ho avuto la peggio» obiettò l’Ufficiale Tattico, tastandosi per accertarsi di non avere ossa rotte.

   «L’importante è aver lottato. Anche se l’ho ucciso io, questa caccia è tua» riconobbe lo zio. «Vidrak ti dirà lo stesso... ma dove s’è cacciato quel benedetto ragazzo?».

   «Eccomi!» disse Vidrak, uscendo in quel momento da una macchia d’alberi. «Sono venuto più in fretta che potevo» ansimò. «Oh, vedo che è tardi. Che preda magnifica!» riconobbe, osservando i resti dell’Hiddus. «Di chi è l’uccisione?».

   «Sua» disse Norrin, indicando lo zio.

   «Ma sei stato tu a combatterlo corpo a corpo!» insisté l’Alfa. «I segni sulla tua corazza lo dimostreranno a tutti».

   «Congratulazioni, cugino» disse Vidrak, osservando i tre vistosi graffi. «Quando torneremo al villaggio, anche tu ne avrai di belle da raccontare».

   «Uhm, sì» disse Norrin, non particolarmente entusiasta. Non gli era sfuggito il fatto che lo zio, pur essendo il più anziano, fosse giunto per primo, mentre il giovane cugino era arrivato solo a cose fatte.

 

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Capitolo 6
*** Il Cristallo dell'Anima ***


-Capitolo 5: Il Cristallo dell’Anima

 

   La navetta federale sfrecciava verso il globo grigio e verdastro di Orione. All’interno, la squadra di Radek era silenziosa. Vrel e Zafreen sedevano uno davanti all’altra sui sedili che correvano lungo i bordi, ma avevano lo sguardo basso.

   «Ho localizzato la villa di Goutric» disse il pilota, rompendo il silenzio. «Come previsto, c’è un segnale di disturbo che ostacola il teletrasporto. Inoltre rilevo un vascello in orbita geostazionaria». Inquadrò la Gemma di Orione sullo schermo.

   «E quella?!» fece Vrel, avvicinandosi per osservarla. «Non ho mai visto una nave orioniana con quella configurazione».

   «È lunga più di un chilometro. Armata e corazzata pesantemente» riferì il pilota.

   «Un predatore» mormorò Radek, osservando le linee aggressive dello scafo.

   «Anche quella è della tua famiglia?» chiese Vrel a Zafreen.

   «Non ho mai visto niente del genere» disse l’interpellata, avvicinandosi a sua volta per osservarla. «Se appartiene al Clan, devono essersela procurata negli ultimi anni».

   «Io credo di riconoscerla» disse inaspettatamente il Comandante. «Nell’ultimo anno ci sono stati rapporti su una grande astronave usata dal Sindacato di Orione per la pirateria e il contrabbando. Le informazioni sono parziali, ma... potrebbe essere quella».

   «Sarà costata una fortuna» commentò Vrel, colpito da quello sfoggio di potenza.

   «Tutti soldi sporchi di sangue» ricordò Radek. «Assicuriamoci che l’occultamento sia perfetto e teniamoci alla larga da quella nave. Scenderemo nell’atmosfera sul lato opposto del pianeta e raggiungeremo la villa volando raso terra».

   «Ho una certa esperienza nel volo radente» si offrì Vrel.

   Radek esitò brevemente, combattuto fra i suoi dubbi e la fiducia del Capitano Hod. «Molto bene, Guardiamarina» decise infine. «Ci porti giù».

 

   «Volevi vedermi, papà?» chiese Jaylah, entrando per la prima volta nello studio di Goutric. Il capoclan le dava le spalle e stava guardando fuori dalla finestra.

   «Certo, piccola, vieni avanti» le disse l’Orioniano. «Fra poco ci sarà lo scambio... il Cristallo per l’incursore e i fucili. Come ti ho detto ieri, sono lieto che tu abbia convinto Renard ad accettare».

   «Non è stato nulla di che» fece Jaylah. «Andiamo anche noi sulla Gemma?».

   «No, si occuperà di tutto Mua’vid» rispose Goutric. «Nel frattempo voglio mostrarti una cosa» disse, girandosi verso di lei.

   «Di che si tratta?».

   «I miei trofei più importanti. Nemmeno tu li hai mai visti... ma è giusto che tu conosca le imprese della nostra famiglia, prima di lasciare questa villa per stare con Mua’vid».

   «Certo» fece Jaylah, un po’ stupita. Si chiese se Goutric voleva accelerare il matrimonio e se questo poteva costituire un problema per la progettata evasione. Ma per il momento si astenne dal fare domande. Seguì il capoclan nei meandri della villa, fino alle temute segrete. A un certo punto Goutric si accostò al muro e premette un comando segreto. Il camuffamento olografico si disattivò, rivelando una porta corazzata. L’Orioniano si accostò a un sensore che lesse il suo DNA, sbloccando l’ingresso.

   «Pochi sono stati qui dentro» disse Goutric, con una strana solennità. Dischiuse la porta e invitò Jaylah a entrare per prima.

   La giovane non dovette neanche fingersi interessata, perché lo era davvero. Visitare il sancta sanctorum del Clan di Goutric le sarebbe stato utilissimo, una volta uscita di lì, per disarticolare l’organizzazione criminale. Jaylah sorrise, passando accanto a Goutric, e varcò la soglia. Si trovò in una sala semibuia, ma piena di teche appese alle parti. Contenevano degli oggetti ovoidali, appena intuibili sullo sfondo di velluto nero. Si avvicinò per capire cosa fossero.

   «Benvenuta a casa, Agente Chase» disse Goutric alle sue spalle, accendendo la luce.

   Jaylah strillò, portandosi le mani alla bocca. Gli oggetti rotondi, ordinatamente chiusi nelle teche, erano teste. Decine di teste, appartenenti a uomini e donne delle specie più disparate. Ripulite dal sangue, erano mantenute in buono stato da un campo di stasi, che ne impediva la putrefazione. Ogni teca riportava il nome della vittima e i suoi gradi. C’erano poliziotti, investigatori e commissari della polizia di svariati pianeti. C’erano procuratori, giudici e avvocati. E naturalmente c’erano ufficiali della Flotta Stellare. Jaylah ne lesse i gradi: Tenenti, Comandanti... c’era anche un Capitano di specie Grazerita, nella teca più grande, collocata al posto d’onore.

   «Il mio trofeo migliore» spiegò Goutric, compiaciuto. «Il Capitano Jaz’Gavad dell’USS Bennu. Grand’uomo, ligio al dovere. Strenuo avversario del Sindacato di Orione. Mi è stato molto utile, perché man mano che sgominava gli altri Clan, io ne approfittavo per scalare la gerarchia del Sindacato. Quando si è rivolto contro di me, ho dovuto ammazzarlo. Dapprima, quando me lo portarono davanti, lui non chiese pietà. Così gli mostrai il filmato dei miei ragazzi che gli bruciavano la casa, con moglie e figli dentro. A quel punto cominciò a singhiozzare come un bambino. Decapitarlo fu solo pietà» spiegò l’Orioniano, sorridendo nel ricordare quei momenti.

   Jaylah lo fissò con orrore. «Sei un pezzo di dren» sibilò, e corse verso la porta. La trovò sbarrata da due grossi Orioniani, con i disgregatori spianati.

   «Attenta, Jaylah» la richiamò Goutric. «Quelli sono disgregatori di tipo Varon-T. Pare che siano i più lenti e dolorosi nell’uccidere, anche se naturalmente mancano le testimonianze dirette».

   «Perché mi chiami Jaylah?» chiese la giovane, con la massima faccia tosta. «Se mi fai l’analisi del DNA, avrai conferma che sono Orioniana. E che sono tua figlia».

   «Ti abbiamo analizzato il DNA già il primo giorno, prima ancora che ti risvegliassi» rispose Goutric. «E siccome hai passato il test, mi sono davvero illuso di aver ritrovato Zafira. Sai, nessuno era mai riuscito a ingannarmi così» aggiunse, facendosi minacciosamente vicino. «Ma ora so tutto dello scambio neurale e del tuo amico Spettro. Alias Jack Wolff. Alias Renard».

   «Come hai...».

   «Con questo» disse Goutric, sollevandole la destra per evidenziare il braccialetto ingemmato donatole da Mua’vid. «Contiene un tracciatore e una microspia. Volevo usarlo per assicurarmi che Zafira non scappasse ancora... non immaginavo che avrei scoperto».

   Jaylah si maledisse per la sua ingenuità: avrebbe dovuto immaginare quel trucco. Ripensò alla sua conversazione con lo Spettro. A un certo punto aveva gettato via il braccialetto, in un gesto di stizza. Probabilmente gli Orioniani non avevano potuto origliare ciò che si erano detti dopo quel momento. Purtroppo l’aveva fatto solo verso la fine della discussione, quando ormai si era smascherata. L’unica cosa importante che gli Orioniani non avevano scoperto era che lei conosceva le frequenze degli scudi della Gemma, e che aveva comunicato questa informazione allo Spettro.

   «Ho fatto qualche ricerca su di te, Jaylah» proseguì Goutric. «So che sei figlia di uno degli Ammiragli più in vista della Flotta Stellare. E sei un Agente Temporale. Non ho ancora fatto il conto di tutti i modi in cui posso usarti, ma beh... sono proprio tanti. A conti fatti sono quasi contento di avere te, al posto di mia figlia».

   «Zafreen è cento volte meglio di te» sibilò Jaylah.

   «Il suo nome è Zafira!» gridò Goutric, facendola tremare.

   «No, non più» insisté la giovane. «L’ha cambiato perché si vergognava d’essere tua figlia. Perché ti disprezzava, sapendo che verme sei».

   «Silenzio!» gridò l’Orioniano, dandole un sonoro ceffone. «Potrai anche indossare il corpo di mia figlia, ma non sai niente di me, del mio Clan, del Sindacato. O della Galassia che c’è la fuori» disse, facendo un gesto teatrale. «Hai idea di quanti miliardi di persone odiano la Flotta con ogni fibra del loro essere? E di quanti guardano a me per avere favori, lavoro, protezione? Non avrei mai potuto arredare questa stanza, se la Galassia non stesse dalla mia parte» proseguì, accostandosi alla teca del Capitano Jaz’Gavad. «Guardalo bene. Non immagini quante persone hanno festeggiato la morte di questo integerrimo difensore della legge. Eliminare uno sbirro è cosa da nulla, ma uccidere un Capitano della Flotta Stellare... ah, questo sì che ti fa guadagnare il rispetto e l’ammirazione di tutti!».

   «Solo delle carogne come te» ribatté Jaylah.

   «Quelli come me sono sempre stati più numerosi di voi» ribatté Goutric. «Voi scoprite nuovi mondi... ma poi chi è che arriva a controllare il territorio? A sfruttare le risorse? Noi!» berciò. «A conti fatti, l’Unione è fatta più da noi che da voi».

   Ciò detto, l’Orioniano oltrepassò Jaylah e si rivolse ai suoi scagnozzi: «Ammanettate la spia e riportatela nel mio studio. C’è altro che devo mostrarle».

 

   Di lì a poco, Jaylah era in manette e legata a una poltrona nello studio di Goutric. Il capoclan sedette alla sua scrivania e attivò l’oloschermo. «Come procede lo scambio, nipote?».

   «È fatta, ho il Cristallo» rispose Mua’vid, apparendogli con la teca sottobraccio. «L’incursore sta decollando in questo momento. Lo Spettro però non c’era, è rimasto sulla sua navicella».

   «Non importa, ora chiuderemo i giochi. Dammi la tua visuale» ordinò Goutric. Interfacciati i computer, l’oloschermo della scrivania mostrò l’incursore appena ceduto che usciva dall’hangar della Gemma di Orione. La navicella si diresse verso quella, assai simile, con cui lo Spettro era arrivato.

   «Guarda, Jaylah. Questo è come il mio Clan risolve i problemi» disse Goutric, traendo di tasca un piccolo telecomando.

   «No!» gridò la giovane, intuendo cosa stava per accadere.

   Spietato, il capoclan premette un tasto. L’attimo dopo l’incursore esplose. Gli Orioniani avevano nascosto delle cariche al suo interno. La fiammata riempì per un attimo l’oloschermo. «Fuori uno» disse Goutric. «Nipote, occupati dell’altro».

   «Con piacere» disse Mua’vid.

   La Gemma di Orione attaccò l’incursore superstite col suo vasto arsenale. Il primo colpo bastò a danneggiargli le gondole curvatura. La navicella dello Spettro rispose con i cannoni a impulso, ma i colpi non oltrepassarono i potenti scudi della Gemma. Jaylah si chiese perché Jack non aveva regolato le armi per oltrepassare gli scudi nemici. Evidentemente gli Orioniani avevano cambiato frequenza. In pochi attimi anche le armi dell’incursore furono messe fuori uso. La navicella pirata sfrecciò contro la Gemma a velocità impulso, come se volesse impattare. Ma una raffica di siluri, lanciati dalla Gemma, la prese in pieno e la disintegrò. Le ultime fiammate si spensero nello spazio.

   Jaylah chinò il capo, piangendo calde lacrime. Veder morire colui che amava era già devastante. Ma sapere che era morto a causa sua – perché lei lo aveva coinvolto – era un inferno.

   «Così finisce il tuo pirata rubacuori: come tutti gli altri sciocchi che mi hanno intralciato» commentò Goutric. «Ora ti farò interrogare, per avere informazioni sulla Flotta. Dopo di che, potrei chiedere un riscatto a tuo padre...» aggiunse fregandosi il mento, «... ma penso che invece ti cospargerò di carburante e ti darò fuoco. Poi posterò il video sull’Olonet, e vedremo se ci saranno più lacrime o più festeggiamenti. Come vedi, signorina Chase, non sono poi così avido. Sono disposto a rinunciare al guadagno, per una questione di principio».

   «Se mi uccidi, non riavrai mai tua figlia!» sibilò Jaylah, rialzando il capo di scatto.

   «Pazienza» rispose il capoclan a muso duro. «Per quanto mi riguarda, Zafira è morta. E tu la raggiungerai presto. Guardie, portatela nella sala degli interrogatori!» ordinò agli scagnozzi.

   «No, fermi!» gridò Mua’vid, entrando in quel momento nello studio. Il giovane Orioniano si era teletrasportato in villa subito dopo aver distrutto la navicella dello Spettro. «Non potete farle del male» disse, meravigliando tutti.

   «Perché no?» chiese il capoclan.

   «Perché questo fiorellino è ancora la mia promessa sposa» disse Mua’vid, afferrandola per il mento. «Reclamo la mia prima notte di nozze. Poi le potrete fare ciò che volete».

   «Ha ha, tu sì che sei del Clan!» rise Goutric. «Ma sì, ti sei guadagnato questo premio. Però sta’ attento... questa shutta potrebbe cercare di svignarsela».

   «La legherò. O la drogherò. O entrambe le cose» rispose prontamente Mua’vid. «Eh, dolcezza? Ti va di provare il Rosso, per una volta nella vita?». Prese un ipospray con la droga e glielo accostò alla gola. «Quando sarai strafatta, non saprai più dirmi di no!» ridacchiò.

   «Vigliacco!» ringhiò Jaylah, scuotendosi come un’ossessa. «Scommetto che droghi sempre le tue donne, perché altrimenti nessuna sopporterebbe di toccare un pezzo di dren come te. Hai mai vinto in un duello leale? Scommetto di no! Ti sei sempre nascosto dietro le sottane di tuo zio, perché sai che senza di lui non vali niente!».

   «Ah, io non valgo niente?!» latrò Mua’vid, gettando via l’ipospray. «Ti farò rimangiare queste parole. È una sfida, la tua?».

   «Sì, ti sfido!» proruppe Jaylah, non avendo nulla da perdere. «Scegli tu il terreno e le armi. Basta che il resto del Clan ci veda, mentre ti prendo a calci in culo».

   «Nipote, non sei obbligato ad accettare...» disse Goutric, vagamente in apprensione.

   «Sì, invece!» ringhiò Mua’vid. «Così tu e gli altri vedrete finalmente quanto valgo. Non mi servono aiuti per regolare i miei conti. Lo farò con le mie mani, davanti al Clan riunito. Sarà uno scontro all’ultimo sangue».

   «Un duello d’onore... erano molti anni che non se ne vedeva uno» rimuginò Goutric. «La maggior parte dei parenti è ancora qui. Li farò radunare nella Sala dei Cimenti. Così vedremo se hai la stoffa per essere mio successore» disse, scrutando il nipote. Ora che aveva rinunciato a trovare sua figlia, Mua’vid era il suo unico erede.

   «Vedrai... lo vedrete tutti» promise il giovane Orioniano, lieto di avere quest’occasione per mettersi in mostra. «Liquiderò la spia davanti ai vostri occhi. E con la Gemma al mio comando, porterò il Clan al vertice del Sindacato».

 

   «Ci siamo, atterra lì» disse Zafreen, indicando un punto della spiaggia. Vrel annuì e posò la navetta proprio sulla battigia. L’aveva diretta in un volo radente l’oceano per migliaia di chilometri, per arrivare fin lì. Appena i motori si spensero, il commando federale sbarcò sulla spiaggia, assicurandosi che la zona fosse sicura. Ricevuto l’okay, scesero anche Radek, Vrel e Zafreen. Tutti quanti indossavano tute occultanti semicorazzate, non molto diverse da quella dello Spettro, salvo il fatto che l’occultamento non era sfasato e quindi non consentiva di attraversare gli oggetti.

   I federali si avventurarono sulla spiaggia. Da un lato avevano le onde verdi e tossiche, dall’altro la scogliera. Qualche centinaio di metri più avanti, la villa di Goutric svettava in cima alle rocce, come un castello imprendibile, con le pareti rosate e le cupole azzurre.

   «Lì dentro» disse Jaylah, indicando l’imboccatura di un condotto che si apriva nella parete rocciosa. «Questo è lo scarico per le sostanze tossiche, come i residui della produzione di ketracel. Naturalmente ci saranno degli allarmi. Non so di preciso quali, ma quando vivevo in villa la maggior parte degli allarmi erano sensori termici e di movimento».

   «Le tute occultanti dovrebbero ingannare entrambi» disse Radek, avvicinandosi. «Controllate tutti che siano operative e che non abbiano perdite». Uno dopo l’altro, i federali confermarono.

   «Altri tipi d’allarme?» chiese Vrel.

   «Ci sono fotocellule a flusso di particelle che potrebbero rilevarci» spiegò Zafreen.

   «Siamo equipaggiati per rilevarle prima noi» disse Radek, entrando nel condotto buio. «Signori... spero che siate buoni contorsionisti».

   «Io sì» rispose prontamente Zafreen. «La lap dance era il mio pane, nell’anno a Rio».

   «Dobbiamo ancora parlare di tutto quel che hai fatto in quell’anno» commentò Vrel, di malumore.

   «Ehi, era un lavoro onesto!» protestò la giovane.

   «Silenzio» li richiamò il Comandante. «Parlate solo di ciò che attiene la missione».

   I due giovani annuirono, immusoniti. Di lì a poco apparve il primo ostacolo, una grata di duranio.

   «Ah, non sapevo di questa» ammise Zafreen.

   «L’avevo messa in conto» la tranquillizzò Radek, estraendo dei congegni discoidali dallo zaino tattico. «Sfasatori Dimensionali. Non sono raffinati come la tuta dello Spettro, ma ci consentiranno di passare». Li posizionò ai quattro angoli di un ipotetico quadrato e li attivò, premendoli al centro. L’area che delimitavano divenne grigia e inconsistente come fumo. I federali l’attraversarono e poi ritirarono i congegni dall’altro lato. Erano dentro.

   «Questo è solo l’inizio» avvertì Zafreen.

   Poco più avanti, i loro visori evidenziarono un reticolo di raggi rossi. Andavano da muro a muro e anche dal pavimento al soffitto, secondo un’infinità di angoli. «Fotocellule a flusso di neutrini e bosoni» rilevò un Agente. «Il nostro occultamento non basterà».

   «È arrivato il momento delle contorsioni» sospirò Radek.

   «Okay, ragazzi. Alzi la mano chi ha già preso lezioni di lap dance» disse Zafreen, alzandola lei per prima.

 

   La Sala dei Cimenti era affacciata sul cortile della villa. Jaylah però non l’aveva mai vista, perché una parete scorrevole la nascondeva, facendola sembrare una sezione del muro. Ora la paratia era risalita verso l’alto, aprendo la stanza.

   Era un vasto ambiente quadrato, col soffitto alto e le pareti affollate di armi. Anche qui l’esterofilia degli Orioniani si era imposta: quasi tutti gli strumenti venivano da altre culture. C’erano lirpa vulcaniane, ushaan-tor andoriani, bat’leth e mek’leth klingon. Ma la parte più appariscente della sala era l’arena al centro. Qui c’erano dei blocchi, di diversa altezza e larghezza, che formavano un suolo accidentato. Pali metallici erano conficcati qua e là, formando una foresta. Alcuni erano anche uniti da segmenti orizzontali. Sembravano strumenti ginnici, se non che, così piazzati, rendevano il duello molto più complesso e imprevedibile. Jaylah riconobbe l’arena: era una variante di quelle usate, un tempo, su Ligon II.

   Attorno all’arena c’erano comodi pouf, su cui erano già spaparanzati i membri del Clan di Goutric. Alcuni fumavano, altri facevano scommesse. Nessuno scommetteva sulla vittoria di Jaylah: argomento di dibattito era solo il tempo che sarebbe occorso a Mua’vid per ucciderla. All’ingresso della federale, gli Orioniani l’accolsero con fischi e insulti. Jaylah indossava una tuta violacea, con motivi a zig-zag che forse l’avrebbero aiutata a confondersi nella selva di pali, se il colore acceso non l’avesse resa ben riconoscibile. Passò fra i malavitosi senza degnarli di uno sguardo e si fermò davanti all’area di scontro, esposta ai lazzi del pubblico. Non dovette attendere molto il concorrente.

   L’ingresso di Mua’vid fu salutato da uno scroscio di applausi. Il giovane Orioniano combatteva a torso nudo, per mostrare i tatuaggi e gli ornamenti metallici che gli costellavano il corpo. Alzò le mani, beandosi delle acclamazioni. Anche Goutric, seduto su un seggio d’onore simile a un trono, applaudì. Jaylah osservò i muscoli rigonfi dell’avversario, preoccupata. Se avesse avuto il proprio corpo, modellato da anni di costante esercizio, avrebbe avuto qualche possibilità. Ma nel corpo di Zafreen le sue speranze erano prossime a zero.

   «Bene, eccoci tutti, Ah, che gioia vedere la famiglia ancora riunita!» disse Goutric con voce stentorea, alzandosi in piedi. «Mi spiace solo che Zafira non sia qui, ma ormai devo accettare di averla persa. Quanto alla spia federale che si è beffata del mio affetto, oggi vedrà come puniamo i traditori! Mio nipote Mua’vid farà giustizia, secondo le antiche usanze. Nulla interromperà il duello, finché il disonore non sarà lavato col sangue! Attivate i laser!» ordinò, battendo le mani.

   Alcuni raggi laser scaturirono dai blocchi che formavano l’arena. Erano spessi come i pali e arrivavano fino al soffitto, dov’erano riassorbiti. Solo la luminosità giallastra permetteva di distinguerli. Jaylah comprese che quei laser erano abbastanza potenti da segarla, se ne avesse urtato uno. «Quali sono le armi?» chiese, augurandosi che non fosse una lotta a mani nude.

   «Eccole» sogghignò Goutric. Due inservienti portarono degli strumenti offensivi simili a piccozze. Potevano essere usati per stordire, se colpivano con il lato piatto. Ma in un duello mortale i combattenti avrebbero usato soprattutto le punte acuminate, capaci di sfondare un cranio. Mua’vid sollevò la sua e gridò forte, suscitando altri applausi. Jaylah saggiò la propria arma, trovandola pesante, ma non pesantissima. Si promise di conservare le forze il più possibile.

   «Le regole sono semplici: vi affrontate con quelle armi, senza uscire dall’arena» spiegò Goutric, a beneficio di Jaylah. «Non ci sono colpi proibiti. Si continua a lottare senza interruzione, finché uno di voi muore. Cioè, finché tu muori» si corresse, suscitando l’ilarità del pubblico. «Ah, un’ultima cosa. Portate qui il Cristallo!» ordinò, battendo ancora le mani.

   Due inservienti recarono la teca contenente la reliquia che era costata la vita allo Spettro. La posarono su un treppiede, già preparato allo scopo. La teca era chiusa, ma un vetrino ovale e smerigliato al centro lasciava trasparire la luce del Cristallo.

   «Ammirate! Io sono l’unico privato a possedere un autentico Cristallo di Bajor!» si gloriò Goutric. «Tutti gli altri sono in mano al clero bajoriano... sapete, quei buffi Vedek. Sono curioso di vedere se, assieme al Cristallo, ho comprato qualche miracolo. Questo è il Cristallo dell’Anima... quindi apriremo la teca, quando la spia esalerà la sua, e vedremo che succede!» annunciò, suscitando applausi e grida eccitate. «Bene, direi che è tutto... che lo spettacolo inizi!» ordinò, e si risedette per goderselo.

   Jaylah balzò su uno dei cubi e Mua’vid fece lo stesso dall’altra parte. Avanzarono sul terreno diseguale, evitando i laser, finché s’incontrarono quasi al centro dell’arena. Il giovane Orioniano sogghignò, certo della vittoria, e mostrò la propria arma a Jaylah. «Questa appartiene al mio Clan da sette generazioni» rivelò. «Non ha mai conosciuto sconfitte!».

   «Peccato... la sconfitta è la miglior maestra» rispose Jaylah, ricordando gli insegnamenti di Norrin. Era fermamente decisa a mantenere il controllo, come le aveva insegnato l’Hirogeno. Ma intendeva anche vendicare Jack, uccidendo Mua’vid. Del resto, le regole dello scontro erano chiare: combattere all’ultimo sangue. Jaylah si chiese se gli Orioniani l’avrebbero risparmiata, nel caso avesse prevalso. No, non l’avrebbero fatto: lo lesse negli occhi malvagi di Goutric. Bene... se doveva morire, almeno avrebbe prima accoppato Mua’vid. E chissà che, togliendo di mezzo il principale erede del Clan, gli altri pretendenti non cominciassero a lottare fra loro, segnando il declino della famiglia.

   Mua’vid sferrò il primo colpo. Jaylah indietreggiò e poi sgusciò tra i pali, evitando i ripetuti attacchi. A un certo punto ne parò uno con la sua arma e poi rispose con un allungo. Mua’vid schivò senza difficoltà, indietreggiò e rivolse un sorriso al pubblico. Si stava ancora scaldando. I parenti applaudirono e lo incoraggiarono, mentre le schiave passavano a offrir loro da bere. Se fino a quel momento Jaylah aveva provato pietà per quelle Orioniane, costrette a servire, ora le disprezzò, vedendole civettare con i malavitosi mentre lei rischiava di farsi accoppare.

   Il duello riprese, con Mua’vid all’attacco e Jaylah costretta sulla difensiva. Colpo dopo colpo, l’Orioniano la costrinse a sgusciare qua e là per l’arena, ora aggrappandosi ai pali metallici, ora evitando i laser. A un certo punto, un colpo di piccozza diretto alle gambe la fece cadere. Non era ferita, salvo un graffio superficiale, ma il colpo successivo le calò dritto sulla testa. Jaylah si rotolò a terra, evitandolo d’un soffio, e cadde da un blocco all’altro. Si rimise subito in piedi, già col fiato corto. Mua’vid incombeva su di lei. Saltò giù, sorridente; non era nemmeno sudato. «Ahi», pensò Jaylah. «Qui si mette male».

 

   Sotto l’effetto degli Sfasatori Dimensionali, il tratto di muro divenne grigio ed evanescente come nebbia. Il commando federale lo attraversò in fretta. Radek riprese i quattro congegni, mentre gli altri si guardavano intorno con i fucili spianati.

   «Bene, siamo dentro» constatò Vrel. «Ora hai idea di dove potrebbero tenere Jaylah?».

   «Chiusa nelle mie vecchie stanze, se si è comportata bene» rispose Zafreen. «Altrimenti sarà di sotto, nelle segrete».

   «Rilevo un assembramento di Orioniani in una sala, sull’altro lato del cortile» riferì uno degli Agenti. «Due segni vitali sono al centro e si muovono molto in fretta, come se danzassero».

   «Se quella è la Sala dei Cimenti, non è un ballo» avvertì Zafreen, inquieta. «È un duello all’ultimo sangue».

   «Jaylah!» gemette Vrel.

   «Andiamo, presto» ordinò Radek. «E cominciamo a sfoltire le guardie, perché tra poco ce le troveremo addosso». Così dicendo sparò a un sorvegliante, colpendolo alle spalle con un raggio stordente. Per far questo dovette rendersi visibile. Il resto della squadra lo imitò.

   I federali uscirono in cortile, allargandosi leggermente. Tutti gli Orioniani che incontravano furono storditi con colpi silenziosi. Anche le sentinelle sulle mura furono messe fuori combattimento con tiri da cecchino. Era questione d’attimi prima che squillassero gli allarmi, ma ormai i federali privilegiavano la rapidità a scapito della segretezza. Vrel era in testa al gruppo e stordiva un Orioniano dopo l’altro. Non era la prima volta che si batteva per salvare Jaylah. Sentiva che niente si sarebbe frapposto fra lui e l’amica d’infanzia.

 

   Nell’arena, Jaylah si vedeva ormai a mal partito. Poteva ricorrere a tutti i trucchi e le tecniche di combattimento che conosceva, ma l’avversario era troppo forte. Se fosse riuscita a piazzare un colpo ben assestato avrebbe potuto ferirlo gravemente, forse persino ucciderlo. Ma tutti i suoi attacchi erano respinti con la piccozza. E i colpi che le giungevano in risposta erano così energici da farla barcollare all’indietro. Un allungo la prese di striscio al fianco, lacerandole la tuta e portandole via un lembo di pelle. Jaylah parò l’attacco successivo, sferrato dall’alto, deviandolo contro un palo. Riuscì a bloccare Mua’vid per un attimo e lo colpì in faccia con un calcio. L’Orioniano indietreggiò e sorrise, leccandosi il labbro insanguinato. «Mi ecciti, così» sogghignò, e tornò all’assalto.

   Jaylah indietreggiò sotto la gragnola di colpi. Cercò di frapporre i pali tra loro, ma l’avversario la incalzava, implacabile. A un certo punto lo vide scoprirsi e contrattaccò. L’Orioniano le afferrò la piccozza poco sotto la lama, bloccandola. In quel momento erano molto vicini a uno dei laser. Quando Mua’vid attaccò, a Jaylah non restò che fare come lui e bloccargli l’arma con la mano, afferrandone il manico. Si ritrovarono avvinghiati, con il laser mortale in mezzo a loro. Dal pubblico salirono «Ooohhh!» eccitati e grida d’incoraggiamento per l’Orioniano.

   «Oh oh!» gongolò Mua’vid. «Attenti, le cose si fanno interessanti! Mi concedi questo ballo, dolcezza?».

   Per tutta risposta, Jaylah gli sputò in faccia. Infuriato, Mua’vid la strattonò in avanti, verso il laser. Ci fu un ronzio e una ciocca di capelli, recisa, cadde a terra, confermando la potenza dei raggi. Cercando di liberarsi Jaylah ruotò il polso, riuscendo a torcere quello di Mua’vid a un angolo strano. Questo lo obbligò a mollarle la piccozza. La giovane lasciò a sua volta l’arma dell’avversario e balzò indietro, allontanandosi dal laser.

   «È ora di finirla!» ringhiò l’Orioniano, attaccandola ancora.

   Sforzandosi di parare, Jaylah inciampò nel dislivello tra un blocco e l’altro e cadde all’indietro, con la schiena parzialmente fuori dal blocco più esterno. Si trovò rovesciata, a contemplare la teca del Cristallo che sembrava appesa al soffitto. La sua schiena, così piegata, protestò dolorosamente. La giovane cercò di rialzarsi con un colpo di reni, ma l’avversario era già sopra di lei. Jaylah parò l’ennesimo colpo, ma si trovò schiacciata a terra. Mua’vid la premeva sempre di più, accostandole la lama alla gola. Ad ogni istante guadagnava qualche millimetro.

   «Il momento che preferisco: la fine del gioco» ghignò l’Orioniano.

   Jaylah respirò a fondo, raccogliendo ogni briciolo di forza, anche se non sapeva come liberarsi. Provava una delusione cocente. Era sicura d’essersi impegnata al massimo, di non aver lasciato nulla d’intentato... eppure aveva perso lo stesso.

   In quella la Sala dei Cimenti risuonò del ronzio dei phaser. Gli Orioniani balzarono in piedi, sbalorditi, mentre le loro guardie cadevano stordite senza il tempo di reagire. Il commando federale fece irruzione, sparando a tutto spiano. Goutric sputò la bevanda che stava sorseggiando e si ribaltò all’indietro con tutto il suo trono. Le schiave strillarono e fuggirono terrorizzate.

   «In nome dell’Unione, siete tutti in arresto!» gridò Radek.

   Mua’vid si guardò intorno confuso, ma non lasciò andare l’avversaria, sperando di farsene scudo. Jaylah piegò di nuovo la schiena all’indietro, per vedere chi erano i suoi salvatori. Malgrado la visuale rovesciata, riconobbe Vrel e Zafreen, quest’ultima nel suo corpo. Avevano ritirato i caschi all’interno delle tute, proprio per farsi riconoscere da lei.

   «Jaylah!» gridò Vrel, riconoscendola nel corpo di Zafreen. Fece per sparare contro Mua’vid, ma temette di colpire l’amica, visto che erano avvinghiati.

   «No, fermo!» gridò Jaylah. «Apri la teca del Cristallo! E tu, Zafreen, vacci davanti!».

   I colleghi intuirono che si trattava del Cristallo dell’Anima, del cui furto avevano parlato i notiziari. Vrel si precipitò dietro alla teca e ne aprì le ante. Una fulgida luce color indaco scaturì dal reliquiario, inondando la stanza, come se una piccola stella si fosse accesa fra loro. Zafreen vi corse davanti, coprendosi gli occhi con una mano per proteggerli dal bagliore troppo intenso.

   «Ah!» fece Jaylah, raddrizzando la schiena. Sopra di lei, Mua’vid aveva incautamente guardato il Cristallo, restandone abbagliato. La sua stretta s’indebolì e Jaylah sfruttò l’occasione. Gli puntò i piedi contro lo stomaco, riuscendo a ribaltarlo all’indietro. L’Orioniano batté la testa contro un palo, restando semi-stordito. Con una capriola, Jaylah scese dall’arena. Corse verso Zafreen e le afferrò una mano. Erano proprio davanti alla teca spalancata e il Cristallo dell’Anima splendeva davanti a loro, simile a una clessidra intagliata in una gemma.

   «Non ho mai creduto nei miracoli, ma... ora ve ne chiedo uno, Profeti» disse Jaylah, osando socchiudere gli occhi per guardare il Cristallo. «Restituiteci i nostri corpi, le nostre vite. Vi supplico!» implorò, con occhi lacrimanti per la luce troppo intensa.

   Il Cristallo sfavillò ancora più forte e le due donne ebbero l’impressione che la sala svanisse attorno a loro.

 

   Jaylah chiuse gli occhi, temendo di restare accecata. Quando osò riaprirli, non era più nella Sala dei Cimenti. Né in alcun altro luogo. Attorno a lei, in tutte le direzioni, si estendeva un biancore latteo. Non capiva nemmeno su cosa poggiassero i suoi piedi. Udì un pulsare ritmico, come un battito cardiaco. Non capì se veniva dalle sue orecchie o dal vuoto attorno a lei. Si accorse però d’indossare l’uniforme federale, anziché la tuta violacea del duello. Si guardò le mani: erano di un rosa pallido. Al settimo cielo, si tastò il capo: le antenne erano di nuovo al loro posto. Ma era realmente tornata nel suo corpo o quella era solo una visione indotta dal Cristallo?

   «C’è nessuno?» chiese, guardandosi attorno. Girò su se stessa per due volte. Al secondo giro vide Zafreen. Di nuovo nel proprio corpo, l’Orioniana era disorientata quanto lei, ma vedendola le corse incontro.

   «Jaylah!» gridò Zafreen, abbracciandola. «Mi dispiace per tutto questo... so che non potrai mai perdonarmi, ma giuro che mi dispiace!». La strinse forte, scossa dai singhiozzi.

   Sorpresa da quello slancio, Jaylah ricambiò l’abbraccio. Sentendo che Zafreen piangeva a dirotto, cercò di consolarla. «Non ce l’ho con te» disse. «Ora che ho visto da cosa sei scappata, non posso biasimarti».

   «Ma lo scambio... è stata tutta colpa mia...» singhiozzò Zafreen.

   «Questo è vero» riconobbe Jaylah. «Ma ti perdono lo stesso... amica mia. Ora usciamo di qui, se è possibile» disse, sciogliendosi dall’abbraccio. Zafreen la guardò incredula. Si aspettava un’esplosione di collera, non certo il perdono.

   «Ah... questi sono i valori della Flotta Stellare!» disse una voce profonda e soddisfatta. Un uomo era accanto a loro, come materializzato dal nulla. Aveva la pelle scura, il cranio calvo e una corta barba sul mento. Indossava un’uniforme della Flotta di almeno due secoli prima, con le spalle viola e il colletto rosso. Jaylah notò i gradi da Capitano. Quel tipo di uniforme era in uso durante la Guerra del Dominio, e l’uomo davanti a lei poteva essere solo...

    «Capitano Sisko» disse la giovane, venendogli incontro con trepidazione. «È un onore incontrarla. Lei è stato uno dei miei eroi d’infanzia».

   «Se in qualche modo ho potuto ispirarti, ne sono felice, Agente Chase» sorrise Sisko, stringendole la mano. «Agente Temporale, eh? Non c’era niente di simile ai miei tempi... anche se un paio di viaggetti nel passato li ho fatti anch’io».

   «Dove siamo? Dentro il Cristallo?» chiese Jaylah, guardandosi attorno.

   «Nel Tempio Celeste» corresse Sisko. «Ma non c’è una gran differenza».

   «Intende il Tunnel Spaziale» disse la mezza Andoriana.

   «Ecco di nuovo la scienziata» sorrise il Capitano. «Eppure poco fa imploravi un miracolo».

   «Mi trovavo alle strette» ammise Jaylah. «A lei non è mai capitato?».

   «Oh sì, molte volte» assicurò Sisko. «La Galassia non è tenera, con noi ufficiali della Flotta».

   «No, affatto» convenne la mezza Andoriana. «Oggi ho perso colui che amavo. Nel nostro ultimo incontro gli avevo detto che non potevamo stare assieme».

   «A volte il destino separa ciò che non dovrebbe essere diviso» convenne il Capitano, triste. «Io stesso persi mia moglie Jennifer, nella Battaglia di Wolf 359. E quando mi risposai con Kasidy, dovetti lasciarla per unirmi ai Profeti, dopo la lotta con Dukat nelle Caverne di Fuoco».

   «Conosco la storia» annuì Jaylah. «Ora vive fuori dal tempo, non è così? Può osservare il dispiegarsi della Storia dall’inizio alla fine. Come Agente Temporale, la invidio».

   «La conoscenza, a volte, provoca dolore» avvertì Sisko. «Tra poco dovremo lasciarci, ma prima voglio dirvi alcune cose». Si avvicinò a Zafreen. «Non dolerti troppo per la tua famiglia. Ti hanno messa al mondo, ma questa è l’unica cosa buona che si può dire di loro. Lasciandoli, hai scelto una via migliore. Non pensare di dover loro qualcosa. Hai già trovato un’altra famiglia, sulla Keter».

   «Grazie, Capitano» mormorò Zafreen, asciugandosi le ultime lacrime.

   «Ora veniamo a te» disse Sisko, rabbuiandosi nell’osservare Jaylah.

   Zafreen svanì e il biancore attorno a loro lasciò il posto alla plancia dell’Enterprise-J. La mezza Andoriana riconobbe i suoi genitori, ma erano molto più giovani. Loro e il resto dell’equipaggio erano come congelati. A terra c’era Gorog, leader dei Distruttori, anche lui immobile. Jaylah riconobbe quel momento. Era il suo primo viaggio nel tempo, quando aveva ucciso Gorog per salvare i suoi genitori, poco prima che lei nascesse. «Perché mi hai portato qui?» chiese la mezza Andoriana, a disagio.

   «Lo sai» rispose Sisko, severo. «Qui è dove hai ucciso una persona a sangue freddo».

   «Un dittatore! Che voleva invadere la Via Lattea!» si giustificò Jaylah. «Ho fatto l’unica cosa possibile».

   «Potevi arrestarlo. Portartelo dietro nel futuro, perché fosse processato».

   «Temevo che riuscisse a scappare. Gli bastava premere il comando innestato nel braccio per teletrasportarsi via, nel qual caso non l’avrei più ripreso».

   «Quindi l’hai ucciso per il timore di ciò che poteva accadere» sottolineò Sisko, sempre severo.

   «Un timore giustificato!» sbottò Jaylah. «Andiamo, Capitano... anche lei ha ucciso delle persone in battaglia. È stato sempre inevitabile?».

   «No» ammise Sisko, chinando il capo. «La guerra tira fuori il peggio di noi. Ma se il mio percorso terreno è finito, il tuo è appena all’inizio. Ciò che hai vissuto finora è niente, in confronto alle prove che ti aspettano. Non lo comprendi pienamente, ma sei di fronte a un bivio. Puoi scegliere i valori della Flotta Stellare o abbandonarti alla vendetta... diventando ciò che hai giurato di combattere» ammonì. «La scelta è solo tua».

   «Mia, sì!» disse Jaylah con amarezza. «Voi Profeti non vi degnate di fermare chi compie il male. Non avete impedito che il mio Jack fosse ucciso, o che i familiari di Jaz’Gavad fossero bruciati vivi dagli Orioniani. Si vede che non siete onniscienti. Oppure non siete onnipotenti. O più semplicemente non siete buoni».

   «Se si violassero costantemente le regole dell’Universo, tanto varrebbe che l’Universo non esistesse affatto» rispose Sisko.

   «Basterebbe che fosse più giusto. Ma a quanto pare, vi riservate di violare le regole solo ogni tanto, quando vi aggrada!» ribatté la mezza Andoriana. Incontrando Sisko non pensava di abbandonarsi a tanta veemenza, ma se non gli faceva quelle domande, quando mai ne avrebbe riavuta l’occasione?

   «Quelle che chiami “regole”, e che altri chiamano fato o destino, non sono che complesse interazioni fra la natura dell’Universo e le scelte individuali» rispose Sisko. «A volte sembra che i nostri sforzi siano inutili... ma non è una scusa per il disimpegno morale. Perciò ti esorto a non seppellire i tuoi valori sotto la brama di vendetta».

   Un lampo bianco trasformò l’ambiente attorno a loro. Adesso erano nella sala macchine della Dreadnought, all’interno del Melange, dove Jaylah aveva affrontato tre soldati Na’kuhl. La mezza Andoriana passò tra i tralicci del nucleo, nella semioscurità, girando intorno a Sisko. «So perché mi ha portata qui» disse, nascondendosi tra le ombre. «È dove ho ucciso tre avversari per salvare un amico. Anche questo non va bene? Voi Profeti siete incontentabili!» sogghignò, agguantando un traliccio. «Ma lei, Capitano, ha detto che questo è niente, in confronto a ciò che mi aspetta. Significa che ci sarà un conflitto... forse la Guerra Civile? A ogni decreto della Presidente Rangda, sento che si avvicina».

   «La Guerra Civile incombe sull’Unione» confermò Sisko. «Comincerà nel modo più inaspettato e minaccerà tutto ciò che i nostri popoli hanno costruito. Sii pronta, Jaylah!» ammonì.

   Un nuovo lampo portò la mezza Andoriana sulla plancia della Keter. Sullo schermo infuriava una colossale battaglia che coinvolgeva la Flotta Stellare, ma le navi guizzavano così veloci che Jaylah non capì chi fossero gli avversari. Quello che riconobbe, però, le spezzò il cuore. L’Enterprise era alla deriva con molteplici falle sullo scafo. D’un tratto fu colpita da un raggio potentissimo, che la tranciò in due per il lungo. I tronconi furono dilaniati dalle esplosioni, mentre anche la Keter tremava paurosamente.

   «Scegli bene la tua rotta, Agente Chase» rimbombò la voce di Sisko, proveniente da chissà dove. «Scegli a cosa dare più valore, perché alla fine non ti resterà nient’altro». Con quelle parole, la visione si dissolse.

 

   Jaylah sbatté gli occhi, trovandosi di nuovo nella Sala dei Cimenti, con la sparatoria che le infuriava attorno. Il Cristallo dell’Anima era sempre davanti a lei, ma emetteva assai meno luce, come se avesse ceduto molta energia. Vrel richiuse le ante della teca, nascondendolo alla vista. «Ha funzionato?» chiese con ansia.

   La giovane intuì che per tutti gli altri era passato solo un istante. Si accorse di tenere ancora Zafreen per mano. Vedendone il viso verde di Orioniana, capì che erano davvero rientrate nei loro corpi. Anche la stanchezza del duello e il dolore delle ferite l’avevano abbandonata.

   «Ahi, che male!» gemette Zafreen, portandosi una mano al ventre, dove il colpo di Mua’vid aveva lacerato la tuta e graffiato la pelle. «Quel porco ti ha mezza massacrata, ma le conseguenze devo soffrirle io!».

   «Dammela, presto» disse Jaylah, strappandole la piccozza di mano. «Ho un conto da sistemare» disse, scrutando torva l’arena, dove Mua’vid si stava già rialzando.

   «Dove vai? Ferma!» la richiamò Vrel, non volendo che si esponesse di nuovo.

   «Tranquillo, non morirò qui» gli disse Jaylah, correndo verso l’arena in mezzo al fuoco incrociato di federali e Orioniani. Se la profezia di Sisko era vera, sarebbe sopravvissuta almeno fino all’inizio della Guerra Civile. Saltò su uno dei blocchi, fronteggiando Mua’vid. «Adesso te la vedrai con la vera me!» ringhiò.

   «Non chiedo di meglio!» ribatté l’Orioniano, leccando la propria lama. Sferrò un colpo poderoso, ma Jaylah lo evitò con uno scatto fulmineo e rispose con un affondo che gli ferì il braccio. Mua’vid attaccò ancora, di lato, e Jaylah si abbassò di scatto, conficcandogli la piccozza in una gamba. Subito si ritirò, saltando agilmente sopra uno dei pali orizzontali. L’Orioniano si portò una mano alla gamba e contemplò il proprio sangue, esterrefatto.

   «Non fai più il gradasso, eh?» lo derise Jaylah, per farlo infuriare ancora di più.

   Con un grido inarticolato, Mua’vid tornò all’attacco, roteando la piccozza. Sferrò una serie di colpi cruenti, che Jaylah parò con la propria arma o semplicemente schivò con rapide torsioni del busto. D’un tratto la giovane tornò all’attacco. Colpì Mua’vid in faccia col lato piatto della piccozza, dopo di che riuscì a incastrare le due armi, portando quella dell’avversario contro un laser. Ci fu uno sfrigolio e la lama cadde, tranciata. L’Orioniano fissò scioccato il manico, ciò che restava dell’arma di famiglia. Prima che potesse reagire, Jaylah lo spinse all’indietro con un calcio, facendolo cadere di schiena. In un lampo gli fu addosso. Gli afferrò il polso e glielo torse, rivolgendogli contro il manico della piccozza, finché l’estremità arroventata dal laser gli perforò la spalla. Mua’vid gridò di dolore, sentendo la sua carne sfrigolare. Infine la mezza Andoriana gli posò un piede sul petto e gli puntò la piccozza alla gola. «Il gioco è finito» ansimò.

   «E allora prenditi la ricompensa, che aspetti?!» berciò Mua’vid, senza nemmeno cercare di estrarsi il paletto dalla spalla. «Uccidimi!».

   «Ne ho una gran voglia» disse Jaylah, premendogli la gola con la piccozza, per mozzargli il respiro. «Ma sono un agente di Flotta e scelgo un’altra rotta. Addio, perdente!» infierì. Conficcò la piccozza nella pavimentazione, accanto alla sua testa, e la lasciò lì. Poi gli volse le spalle e sgusciò tra i pali, fino al bordo dell’arena. La sparatoria era ancora in corso, perché i membri del Clan di Goutric si erano nascosti nelle nicchie delle pareti o avevano abbandonato la sala, mentre al loro posto accorrevano le guardie. La mezza Andoriana saltò giù, correndo verso un riparo.

   «No... sarai mia o di nessuno!» ringhiò Mua’vid, estraendosi il paletto dalla spalla. Ignorando il fiotto di sangue, prese la piccozza abbandonata da Jaylah, impugnandola col braccio sano. Balzò sul blocco più alto, fra quelli che componevano l’arena, e bilanciò l’arma, preparandosi a scagliarla nella schiena dell’Agente. «Mai risparmiare l’avversario!» si disse, pregustando la vendetta.

   Concentrata sul resto della battaglia, Jaylah non si avvide del pericolo. Ma c’era qualcun altro che vegliava su di lei. Notando il gesto dell’Orioniano, Radek lo centrò in pieno petto col fucile phaser, regolato su massimo stordimento. Per un attimo Mua’vid barcollò, incredulo. La piccozza gli cadde di mano, mentre Jaylah si voltava, accorgendosi del rischio appena corso. Poi il giovane Orioniano cadde all’indietro, su uno dei blocchi più bassi. Così facendo, passò attraverso uno dei raggi laser, che lo tagliò in due per il lungo.

 

   Mentre Jaylah terminava lo scontro con Mua’vid, Zafreen era corsa a nascondersi in una nicchia della parete. Vrel le lanciò un phaser manuale, perché potesse difendersi. Ancora dolorante per il duello, l’Orioniana sparò qualche colpo, anche se non centrò nessuno. Si accorse però d’essere a poca distanza da Goutric, rannicchiato dietro il suo scranno.

   «Traditrice!» ringhiò il capoclan. «Farzana deve avermi tradito con uno schiavo, perché tu non puoi essere mia figlia!» inveì, sparandole contro. Schegge di muro colpirono Zafreen, rivelandole che il padre sparava per uccidere.

   «Vorrei tanto non esserlo!» rispose l’Orioniana. «Avervi come parenti è un’insopportabile vergogna. Ma è l’ultima volta che metto piede qui. La mia famiglia ora è la Flotta».

   «E continuerai a servire i nostri nemici?!» sbraitò Goutric.

   «Lo spero» ribatté Zafreen. «Mettiti il cuore in pace, perché non mi riavrai mai. Fa’ conto che sia morta».

   «Ti ucciderò con le mie mani, rinnegata!» gridò il capoclan, continuando a sparare. «Laverò l’onore della famiglia col tuo sangue!». In quella il Comandante Radek colpì Mua’vid, che cadde all’indietro verso la morte. Dal suo angolo, Goutric vide l’erede che veniva tagliato in due dal laser.

   «NO!» gridò il capoclan. Abbandonò il suo rifugio, non per correre dai resti del nipote, ma per mettersi in salvo attraverso la porta interna della sala. «Maledetti, vi ucciderò tutti!» promise, scomparendo nei meandri della villa.

   «È ora di andarcene!» ordinò Radek, conscio che il continuo afflusso di guardie li avrebbe presto sopraffatti. Già prima della sparatoria aveva avvisato la loro navetta. Ora attivò un comando sul bracciale della tuta, inviando la richiesta di soccorso. «Tutti fuori, svelti!». Lui e Vrel fecero fuoco di copertura, permettendo a Jaylah e Zafreen di uscire dai loro nascondigli. La mezza Andoriana agguantò anche la teca col Cristallo, decisa a non lasciarlo agli Orioniani.

   I federali corsero in giardino, dove però la situazione non era migliore. Le guardie accorrevano da tutte le parti e quelle appostate sulle mura avevano una posizione vantaggiosa per sparare. Su una torre, due sorveglianti attivarono un cannoncino al plasma. Era orientato verso l’esterno della villa, ma grazie alla base scorrevole poterono rivolgerlo all’interno, una precauzione voluta da Goutric. Gli Orioniani bersagliarono i federali con quel fuoco pesante. Parecchi alberi furono disintegrati e anche la grande fontana marmorea andò in mille pezzi.

   «Qui si mette male!» esclamò Vrel, vedendosi piovere colpi tutt’intorno. «Dov’è la navetta?» chiese, centrando un Orioniano sulle mura.

   «Eccola» la indicò Radek.

   La navetta federale si era resa visibile e in quel momento sorvolava la villa. Era una classe Gryphon, molto grande e resistente. Sparò con il phaser anteriore, colpendo la torre col cannone al plasma. Un campo di forza protettivo brillò e il bersaglio rimase intatto. Il cannone alzò il tiro; il suo primo colpo mise a dura prova gli scudi della navetta. Questa sparò ancora. Colpita alla base, la torre crollò, trascinandosi dietro il cannone e le guardie che lo manovravano. Si alzò un gran polverone, mentre federali e Orioniani fuggivano per non essere travolti dalle macerie.

   In quella nube di polvere, la Gryphon scese rasoterra, pur senza posarsi del tutto. Il portello posteriore si aprì e i federali corsero all’interno. Avevano rialzato i caschi delle tute per proteggersi dalle polveri. Solo Zafreen ne era sprovvista e prese a tossire, incerta sulla direzione. Vedendola in difficoltà, Vrel la prese a braccetto e l’accompagnò al sicuro sulla navetta. Jaylah li seguì, recando con sé il Cristallo dell’Anima. Quando tutti i federali furono risaliti, la Gryphon decollò, in mezzo a una gragnola di colpi. Puntò verso il cielo, mettendosi fuori tiro.

   «No» disse Vrel, correndo ai comandi. «Ricordate che in orbita c’è la nave del Clan».

   «La Gemma di Orione» disse Jaylah con voce dura. Non poteva scordare che era stata quella nave a uccidere Jack.

   «Faremo come all’andata, volo radente» ordinò Radek. «Vrel, venga ai comandi».

   «Eccomi» disse il timoniere. Sotto la sua guida, la navetta sfrecciò a pelo sull’oceano.

 

   «I federali non mi sfuggiranno» ringhiò Goutric, osservando il disastro del giardino da una finestra. Le polveri erano ancora alte, ma si capiva che la navetta se n’era andata. Mai prima d’ora la sua villa era stata colpita così duramente dalle forze di sicurezza. Già quella era una ragione per vendicarsi. Ma ne aveva di peggiori: il tradimento di sua figlia, la morte del nipote. «Disattivate il segnale di disturbo e inviatemi sulla Gemma» ordinò l’Orioniano ai suoi sottoposti.

   «Fatto, signore». Appena il teletrasporto fu disponibile, il raggio verde prelevò Goutric, trasferendolo dritto in plancia.

   «Signore, abbiamo visto l’attacco alla villa» lo accolse il Primo Ufficiale. «State bene?».

   «Io sì, ma Mua’vid è morto» rispose Goutric. «Doveva essere il mio successore... i federali pagheranno col sangue».

   «La loro navetta si è occultata di nuovo, non possiamo...».

   «Scansione completa, cercate emissioni anti-protoniche» ordinò l’Orioniano, stringendo i pugni sino a farli sbiancare.

   «Abbiamo una debole traccia» riferì l’addetto ai sensori dopo qualche secondo. «Forse la navetta è stata danneggiata nell’attacco».

   «Fuoco a volontà» ordinò Goutric.

   «Sono ancora vicini alla costa...» si azzardò l’artigliere.

   Goutric estrasse il suo disgregatore Varon-T e lo colpì in pieno petto, disintegrandolo dopo alcuni secondi d’indescrivibile agonia. «Fuoco a volontà, ho detto» ripeté, mentre un altro ufficiale si recava alla postazione tattica.

 

   «Abbiamo un problema» disse Vrel. «L’occultamento non è stabile, c’è una perdita di anti-protoni».

   «Forse è stato quel colpo al plasma» comprese Radek, preoccupato. «Si può riparare?».

   «Temo di no, dovremmo uscire dalla navetta» spiegò il timoniere. «Rischiamo... oh, no!». Con riflessi formidabili, il giovane disattivò l’occultamento e rialzò gli scudi. Appena in tempo. Un siluro quantico esplose a poca distanza da loro, travolgendo la navetta con la sua onda d’urto. «Quel pazzo spara contro il pianeta» mormorò Vrel, cercando di stabilizzarla.

   «A che distanza siamo dalla costa?» chiese Radek.

   «Troppo poca... ci sarà un’onda anomala. E la ricaduta radioattiva» rispose il timoniere.

   «Mio padre è fuori di sé» disse Zafreen. «Bombarderà Orione, pur di uccidere noi».

   «Non resta che andare verso l’alto. Allontaniamoci dal pianeta» ordinò il Comandante.

   «In alto c’è la Gemma!» obiettò Vrel, che aveva appena ripreso il controllo della navetta.

   «E in basso ci sono milioni di persone. Non abbiamo scelta» ribatté il Rigeliano.

   Il timoniere obbedì, ma era pallido. «Non so se ce la caveremo, stavolta» mormorò, dirigendo la Gryphon verso lo spazio.

   «Io credo di sì» disse inaspettatamente Jaylah.

   «Come fai a saperlo?» chiese Vrel, tirato.

   «Chiamala... premonizione» rispose la mezza Andoriana, osservando la teca del Cristallo dell’Anima.

 

   Sulla plancia della Gemma, Goutric vide la navetta federale che guadagnava quota. «Mirate alle gondole, non deve sfuggirci» ordinò.

   I disgregatori dell’astronave spararono a ripetizione. La maggior parte dei colpi andarono a vuoto, anche se proseguirono la traiettoria contro il pianeta, infliggendo ulteriori danni. Uno, però, centrò in pieno la gondola di dritta. La Gryphon si allontanò a velocità impulso, perdendo plasma dalla gondola.

   «Ora non possono sfuggirci» dichiarò l’artigliere.

   «Eccellente» disse Goutric, accomodandosi sulla sedia-trono del Capitano. «Che la caccia abbia inizio. Timoniere, stagli alle costole. E tu continua a sparare» ordinò all’artigliere.

   «È strano, signore... invece di dirigersi verso lo spazio aperto, vanno verso il sole» notò l’addetto ai sensori.

   «Il sole?» si meravigliò Goutric. «Beh, i loro trucchi non li salveranno. Stiamogli addosso!» ordinò.

   La Gemma di Orione tallonò la navicella federale, sparando a tutto spiano. Senza la curvatura, quest’ultima non poteva lasciare il sistema orioniano per riunirsi alla Keter. Dando massima energia agli scudi posteriori, la Gryphon sfrecciò verso il sole di Orione, per l’ultimo atto di quell’ardita missione.

 

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Capitolo 7
*** L'ultima caccia ***


-Capitolo 6: L’ultima caccia

 

   Il pianeta errante era appena distinguibile come un disco nero nel firmamento. La nave dei Cacciatori si accostò a impulso, entrando nell’orbita.

   «Questo che pianeta è?» chiese Norrin, entrando in plancia.

   «Lo saprai solo a cose fatte» rispose Dorvic, con un sorriso arguto. «Questa è la tua ultima caccia con noi, voglio che sia speciale. Ti diremo qual è la preda solo una volta sbarcati».

   «Così però non posso scegliere un equipaggiamento specifico» obiettò Norrin.

   «La tenuta standard andrà bene» lo rassicurò l’Alfa. «Assicurati solo che gli scanner siano a posto. Ci serviranno sensori termici ed elettrochimici».

   «Lo credo» disse Norrin, osservando il globo scuro sempre più vicino. «Quello è un pianeta errante, vero? Sfuggito alla sua stella».

   «Ce ne sono un’infinità, nella Galassia» confermò Dorvic, tracciandosi la linea di pittura rossa sull’elmo. «Noi di solito li evitiamo, perché sono delle palle di ghiaccio senza vita. Ma questo è diverso... ha fonti idrotermali che alimentano una vegetazione non fotosintetica. Così c’è un intero ecosistema, evolutosi nelle tenebre».

   «Affascinante» commentò Norrin. «Ci saranno forme di vita bio-luminescenti».

   «Alcune sì... anche se la maggior parte degli animali non ha evoluto nemmeno gli occhi» spiegò lo zio.

   La trasmittente di bordo emise un suono spezzato. Vidrak si affrettò a spegnerla. «Quello cos’era?» volle sapere Norrin.

   «Niente... rumore di fondo» rispose il Beta, tracciandosi le due linee bianche sull’elmo.

   A Norrin non restò che segnarsi le tre linee verdi e prendere le armi. Come consigliato dai parenti, si assicurò che gli scanner fossero perfettamente operativi.

 

   La zona di caccia era una delle foreste cresciute intorno alle fonti termali. Gli Hirogeni scesero col teletrasporto, anche perché la giungla era così fitta che avrebbero avuto difficoltà a far atterrare la nave. Norrin si guardò attorno, incuriosito. Le piante non fotosintetiche erano strane: somigliavano ad alghe, o più ancora a funghi. Più che foglie, avevano ampie superfici carnose. Grossi bruchi fosforescenti strisciavano sui tronchi. Qua e là, nella giungla, si udivano i richiami di animali ignoti.

   Siccome la luce delle stelle era insufficiente per orientarsi, gli Hirogeni attivarono i sensori termici dei caschi. Prima d’iniziare la caccia, però, allestirono un campo base. Norrin notò che non l’avevano mai fatto prima: tutte le altre cacce erano state mordi e fuggi. Ma stavolta i suoi parenti avevano un diverso atteggiamento. Dall’attenzione con cui si guardavano attorno, l’Ufficiale Tattico dedusse che la fauna era molto pericolosa. Si chiese quali creature potessero impensierire dei Cacciatori esperti come loro. Non aveva una gran voglia di scoprirlo... ma quella era l’ultima caccia, prima del suo ritorno sulla Keter, quindi s’impose di tenere duro.

   Allestito il campo, gli Hirogeni cominciarono a disporvi attorno delle trappole. «Sono tagliole?» chiese Norrin, notando i congegni simili a cerchi metallici, sottili ma dall’ampio diametro.

   «Macché, sono inibitori elettrochimici» spiegò Vidrak. «In pratica, se ci metti il piede sopra, il tuo cervello non riesce più a ordinare ai muscoli di muoversi e resti paralizzato. Ne mettiamo solo alcuni qui attorno al campo, per sicurezza».

   «È il momento di dirmi quali sono le prede» affermò Norrin.

   «La fauna è variegata» spiegò Dorvic. «Ci sono Lupi di Fuoco, alti un paio di metri, che emettono una bio-luminescenza rossa. Hanno un morso potente e zanne avvelenate... abbiamo con noi l’antidoto. E ci sono bestie simili a cinghiali, chiamate Drayjin. Non sono molto grandi, ma ti vengono addosso con furia e possono ferirti con le zanne».

   «Okay» fece Norrin, pensando che in fondo non era una caccia così diversa dalle altre. «Ci dividiamo?».

   «Stavolta preferirei venire con te» disse Dorvic, sempre con quella strana apprensione. «Tu invece, se vuoi, va’ pure per tuo conto» disse a Vidrak.

   «Sì, penso che mi farò un giretto» convenne il Beta. «Se trovo una pista, vi chiamo». Il Cacciatore partì di buon passo, scomparendo nel buio sottobosco.

   «Ti preoccupi per me» commentò Norrin, quando fu solo con lo zio. «È per via dell’incidente con l’Hiddus?».

   «Non avertene a male, se ti accompagno» rispose l’Alfa. «Voglio sfruttare questi ultimi giorni per conoscerti meglio, prima che tu riparta».

   Si avventurarono nel folto della giungla. Videro parecchi invertebrati luminescenti e qualche piccolo rettile che sgusciava nel sottobosco, ma nessuna preda degna di questo nome. Allora andarono in cerca delle sorgenti calde. Ne trovarono una, con l’acqua che ribolliva, emettendo una colonna di vapore. Rocce sulfuree gialle la contornavano.

   «Il mio scanner rileva zolfo dappertutto» disse Dorvic, consultando il sensore sul bracciale.

   «Anche il mio naso» ribatté Norrin, sentendo l’odore di uova marce.

   «Qui è dove si abbeverano gli animali, cerchiamo le tracce... ah-ah!» fece lo zio, trovando già quanto cercava. S’inginocchiò a osservare le orme, mentre Norrin le illuminava col faretto del fucile. «Quadrupede, ungulato... non pesantissimo, andava di fretta ma senza correre» dedusse l’Alfa, osservando le orme. «È senz’altro un Drayjin. Vieni, nipote! La pista è fresca».

   Dorvic corse in avanti e Norrin lo seguì. Percorsero un certo tratto, finché la pista divenne poco chiara. «È qui attorno, so che c’è» ripeteva l’Alfa, guardandosi attorno.

   Norrin aguzzò l’udito. Un rumore di frasche e rametti spezzati l’avvertì che la creatura era dietro di lui. Si voltò, col fucile spianato, e vide il Drayjin che caricava a testa bassa. Si spostò di lato e sparò, mancandolo di poco. La bestia scomparve nel sottobosco.

   «L’hai preso?» chiese Dorvic, accorrendo.

   «No» ammise Norrin. «È andato da quella parte».

   «Non lasciamolo scappare» disse l’Alfa, seguendo le nuove tracce.

   Percorsero un altro tratto, finché giunsero a una tana ricavata nel cavo di un vecchio albero secco. Il Drayjin era lì davanti e stronfiava, ma senza lanciarsi all’attacco.

   «Hai un tiro pulito, finiscilo» disse Dorvic.

   «No, aspetta... perché non carica? Che cosa sta proteggendo?» si chiese Norrin. Regolò il visore sulle emissioni termiche e osservò il cavo dell’albero. Allora capì. C’era una sorta di nido, all’interno, con una mezza dozzina di cuccioli. «È una femmina coi piccoli. Non credo che dovremmo ucciderla».

   «Ma dai... ci sono milioni di esemplari come questo, sul pianeta. Uno in più o in meno, che differenza fa?».

   «Preferirei un altro tipo di preda» insisté l’Ufficiale Tattico, avviandosi. Uno sparo alle sue spalle lo fece voltare. Dorvic aveva ucciso la femmina Drayjin.

   «Non era necessario» disse Norrin in tono asciutto.

   «Non si rinuncia mai a una buona preda» ribatté lo zio. La discussione fu interrotta sul nascere da un bagliore rossastro che si avvicinava. I due Hirogeni si zittirono e corsero a nascondersi dietro agli alberi. Pochi attimi dopo un Lupo di Fuoco emerse dalla boscaglia, ringhiando sinistramente. Emettendo luce dai fianchi, il predatore raggiunse la Drayjin morta e cominciò a nutrirsi. I piccoli squittirono; probabilmente avrebbe mangiato anche loro.

   Intuendo che lo zio non avrebbe rinunciato alla nuova creatura, Norrin aumentò la potenza del fucile tetrionico. Il lievissimo scatto dell’arma bastò a far alzare la testa al Lupo. La creatura vide il Cacciatore e si avventò su di lui, ruggendo. Norrin uscì dal riparo e lo attese a piè fermo, mirando accuratamente. All’ultimo istante lo colpì sul groppone e si discostò, mandandolo a schiantarsi contro un tronco. Il Lupo si dimenava, ferito a morte. Un secondo raggio, diretto al ventre, lo finì.

   «Stupendo! Ottima caccia!» si complimentò lo zio. Norrin vide che aveva il fucile spianato, pronto a intervenire, ma gli aveva lasciato l’onore dell’uccisione. «Mi senti, Vidrak? Abbiamo trovato un Lupo di Fuoco» disse al comunicatore.

   «Vengo subito» rispose il Beta.

   «Non serve, Norrin lo ha già stecchito. E la tua caccia come va?».

   «Ho seguito tracce di Drayjin, ma il terreno non è ottimo... sto cercando di recuperare la pista» spiegò Vidrak. «In compenso ho beccato un lucertolone lungo due metri. Non vedo l’ora di mostrarvelo».

   «Ben fatto... siccome le prede sono pesanti, direi di mandarle su subito col teletrasporto, senza trascinarle al campo base. Noi però ci rivedremo lì, entro un paio d’ore».

   «Intesi».

   Di lì a poco la carcassa del Lupo di Fuoco fu teletrasportata sulla nave dai Cacciatori che vi erano rimasti. Norrin sperò di non doverla eviscerare... non gli piaceva quella parte del lavoro.

   «Ho sete» disse Dorvic. «Vado a bere a quella pozza di prima... tu resta qui, se vuoi».

   L’Ufficiale Tattico annuì. Sedette su una roccia, per riposarsi, e intanto osservò la foresta. Con un intero pianeta selvaggio a disposizione, il loro impatto sull’ambiente era minimo. Ogni giorno c’erano animali che morivano, per malattie o predazione... l’Hirogeno si disse che non aveva fatto nulla di male. In quella percepì un movimento con la coda dell’occhio. Temendo l’arrivo di qualche altro predatore si alzò di scatto, col fucile pronto.

   «No, non sparare» disse una figura umanoide, emergendo dalle ombre. Era Vitani.

   «Tu! Che ci fai qui?!» si stupì Norrin. «Non c’eri sulla nave... come ci hai raggiunti?».

   «La nave?» ripeté l’Hirogena, come se non capisse. «Non vi ho raggiunti... io sono sempre stata qui».

   «Ma questo non ha senso» disse Norrin, accostandosi. «Tu vivi su Amar, al villaggio. Ci siamo lasciati lì. Ti ricordi di me, vero?» chiese, dal momento che la cugina lo fissava senza rispondere.

   «Io vivo qui» disse assurdamente Vitani. «Il mio popolo ha sempre vissuto qui, in pace. Ma siamo tormentati dai cacciatori. Oggi sono gli Hirogeni, in passato erano altri».

   «Stai delirando» si preoccupò Norrin. Fece per sfiorarla, ma Vitani si ritrasse, spaventata dal suo fucile.

   «Gli Hirogeni sono malvagi... mi fanno paura» disse la cugina, come se non fosse una di loro.

   «E allora perché ti rivolgi a me?» chiese l’Ufficiale Tattico, sempre più confuso. «Sono Hirogeno anch’io».

   «Ma tu sei diverso... almeno spero. Prima cacciavi controvoglia» fu la risposta.

   «E tu come fai a...» cominciò Norrin, ma si bloccò. «Non sei mia cugina, vero?» chiese, rialzando l’arma.

   «Non sparare, ti prego!».

   «Non lo farò, se non per difendermi» disse l’Ufficiale Tattico. «Ma ti chiedo di rinunciare a questo camuffamento. Mostrami il tuo vero aspetto».

   «Non posso parlarti, con quello».

   «Allora mostramelo solo per un istante e poi torna così» propose Norrin.

   Sotto i suoi occhi, il corpo di Vitani parve sciogliersi e riprendere forma. La pelle color salmone divenne grigia e viscida, le braccia si fusero al corpo, la testa fu come assorbita. Davanti all’Hirogeno c’era ora una creatura simile a una grossa lumaca, con la parte anteriore del corpo sollevata da terra.

   «Wow» fece Norrin, non aspettandosi una trasformazione così radicale. «Un vero mutaforma... ora puoi tornare come prima».

   La lumacona riprese fattezze Hirogene, ma non era più Vitani. Con sconcerto, Norrin si trovò di fronte la copia esatta di se stesso. L’unica differenza era che l’altro non aveva il fucile.

   «Non lasciare che ci uccidano» implorò l’alieno.

   «Come fai a sapere che cacciavo controvoglia? Hai letto i miei pensieri? Rispondi!» ordinò Norrin.

   «Sì» ammise l’altro, alzando le braccia davanti al viso, come per proteggersi.

   Norrin emise un sospiro e lasciò cadere l’arma. «Che idiota sono!» disse, prendendosi la testa fra le mani.

   «Con chi parli, nipote? Ehi!» fece Dorvic, di ritorno in quel momento. Alzò il fucile tetrionico, ma non sapeva contro chi dei due rivolgerlo. I due Norrin erano identici e il fucile stava a terra in mezzo a loro. «Che scherzo è questo? Fatti riconoscere!» intimò, cercando di tenerli entrambi sotto tiro.

   «Qui nessuno sta scherzando, zio» disse il vero Norrin, facendosi avanti. «Però tu e gli altri mi avete ingannato. Questo è il pianeta Dakala, vero? Ne ho sentito parlare. È una riserva naturale dell’Unione... nessuno può cacciare. E neanche sbarcare, senza il permesso delle autorità. Quel “rumore di fondo” che non mi avete fatto ascoltare erano le boe di segnalazione che avvertivano di stare alla larga».

   «Siamo Cacciatori Hirogeni, non chiediamo il permesso a nessuno!» s’inorgoglì lo zio.

   «Ma queste non sono bestie!» gridò Norrin, indicando il suo doppione. «Gli Wraith di Dakala sono esseri senzienti! Scommetto che sono loro, i vostri trofei più ambiti. Una preda che cambia forma... si mimetizza con l’ambiente... ti legge persino nel pensiero! Sì, suona come qualcosa di molto appetibile per voi».

   «Generazioni di Hirogeni hanno atteso di trovare prede così stimolanti. Mi sembravano perfette per...» fece Dorvic, ma s’interruppe.

   «Per cosa, la mia ultima caccia?» chiese Norrin. «Volevate farmene uccidere uno, senza che sapessi chi colpivo. Temevate che altrimenti mi sarei rifiutato. E poi, che vi aspettavate? Uccidendo un essere senziente...». L’Hirogeno tacque, assalito dall’orrore. «Uccidendolo, sarei stato ricercato dall’Unione. Non avrei potuto tornare sulla Keter. E così... così sarei dovuto restare con voi» comprese.

   «Ma che dici... l’Unione non saprà mai cosa facciamo qui» cercò di rassicurarlo lo zio.

   «Lo saprà adesso!» ringhiò Norrin. «Chiederò che il pianeta sia vigilato con più attenzione. Se oserete ancora venire qui, aspettatevi di finire tutti in galera».

   «Faresti questo alla tua famiglia?».

   «Certo, se assassinate la gente».

   «Gente! Ma quale gente!» sbottò l’Alfa, irritato. «Se vedessi il loro vero aspetto...».

   «L’ho visto».

   «Hai visto i lumaconi? E allora converrai che non sono persone come noi» insisté Dorvic. «Abbiamo giurato di non uccidere gli umanoidi e ci atteniamo all’impegno. Ma quelle lumache...».

   «Quelle lumache sono senzienti. Non capisci, zio? Non è la forma umanoide che conta... è il livello d’intelligenza!» esclamò Norrin, battendosi la tempia. «Se parli con loro, capisci che...». Si voltò, ma il Wraith era scomparso. Aveva approfittato del loro litigio per svignarsela. Il fucile tetrionico era ancora a terra.

   «Ecco, ci è sfuggito» disse Dorvic con disappunto.

   «Torniamo al campo base, e chiama anche Vidrak. Questa caccia è finita» disse Norrin, raccogliendo il fucile.

 

   Il ritorno fu silenzioso. Norrin camminava qualche passo indietro, tenendo d’occhio lo zio. Non ci furono minacce, ma divenne sempre più evidente che l’Alfa era in ostaggio. Norrin stava coi sensi all’erta, pronto a colpire se l’altro avesse fatto qualche mossa brusca. Ma giunsero al campo senza incidenti.

   «Vidrak, sei qui?» chiese Dorvic, guardandosi attorno. «Ma dove s’è cacciato? Perché è sempre in ritard... oh!». L’Hirogeno crollò a terra, avvolto da scariche azzurrine. L’energia diminuì dopo i primi secondi, ma non svanì del tutto. Dorvic era immobilizzato, non riusciva a parlare né a muovere un dito.

   «Una delle vostre trappole. Ora sai cosa provano le prede, quando mettono un piede in fallo» commentò Norrin, sardonico. Non si preoccupò troppo per lo zio, sapendo che quel particolare dispositivo si limitava a paralizzare. Fece per liberarlo, ma si bloccò. La trappola era stata spostata, o lo zio non ci sarebbe finito dentro.

   «W... Wraith...» mugolò Dorvic, riuscendo appena a muovere le labbra.

   «Forse» disse Norrin, guardandosi attorno col fucile spianato. «Sono abbastanza furbi da usare le nostre trappole contro di noi. Ma c’è un’altra possibilità». Si tuffò a terra, sfuggendo d’un soffio a un raggio tetrionico che veniva dall’alto. Rotolò al suolo, si rialzò in un lampo e fece fuoco. Ci fu uno schianto e qualcosa cadde giù da un albero. Seguì un’imprecazione soffocata. «Vieni avanti, cugino, con le mani alzate!» ordinò l’Ufficiale Tattico.

   Dorvic strabuzzò gli occhi, mentre Vidrak usciva dalla boscaglia. Il colpo di Norrin gli aveva spezzato il fucile e annerito l’armatura.

   «Ho iniziato a sospettare di te dopo El-Adrel» disse Norrin. «Ma avrei dovuto farlo prima. Sei il Beta di Dorvic e il suo parente maschio più prossimo, dopo di me. Ovviamente ti consideri il suo successore. E invece...».

   «Invece arrivi tu e rovini tutto!» ringhiò Vidrak. «Mi sono sempre impegnato per essere il migliore dei Cacciatori. Ho fatto tutto quel che mi veniva richiesto e anche di più. Quante volte ho salvato la vita a te o agli altri, eh, zio?» si rivolse a Dorvic. «Più di quante posso contare. Ho portato grandi trofei e pezzi di ricambio utili per la nave. Ma tu hai occhi solo per il nipotino ritrovato... quello cresciuto nell’Unione». Fissò di nuovo Norrin, con disprezzo. «Non sei un Cacciatore, non conosci le nostre usanze. Non hai mai lavorato per il clan. Sei più federale che Hirogeno... come puoi essere il nostro Alfa?».

   «Infatti non ho mai voluto esserlo» disse l’Ufficiale Tattico. «Avevo detto chiaramente che, finita la licenza, sarei tornato sulla Keter».

   «E se lo zio ti avesse convinto? Se ti avesse fatto uccidere un Wraith e tu avessi scelto di non tornare indietro? Non potevo rischiare» disse Vidrak.

   «Ma ti è andata male».

   Vidrak si morse un labbro, fissandolo con odio. E scattò contro di lui. Gli afferrò il fucile, piegandolo di lato; il raggio colpì un albero. I due Hirogeni caddero a terra e si rotolarono fra le trappole, avvinghiati. Il fucile era tra loro e ogni tanto sparava un colpo. Dorvic avrebbe voluto aiutare Norrin, ma era ancora immobilizzato dalla trappola. Riusciva appena a muovere gli occhi per seguire lo scontro.

   «Ho ucciso prede molto superiori a te!» ringhiò Vidrak, cercando di rivolgere la bocca da fuoco contro il cugino. «Dopo averti eliminato, farò lo stesso con lo zio. Dirò che gli Wraith vi hanno uccisi mentre ci eravamo divisi. Quelle bestie sono pericolose... non sarebbe la prima volta che uccidono un Cacciatore. Nessuno lo troverà strano. Così sarò finalmente l’Alfa! Ripristinerò le antiche usanze... nessuno stupido voto ci tratterrà dal cercare le prede migliori».

   Così dicendo, Vidrak era riuscito a mettersi sopra Norrin, schiacciandolo a terra. I due Hirogeni si misurarono in una prova di forza. Lento ma inesorabile, il Beta piegò la punta del fucile contro l’Ufficiale Tattico, fino a sfiorargli la gola. I due parenti si fissarono negli occhi e Norrin scosse la testa, in una muta supplica. Per tutta risposta, Vidrak digrignò i denti e premette il grilletto.

 

   Quando Vidrak sparò, Dorvic chiuse gli occhi, per non vedere la morte del nipote. Ma poi li riaprì. Voleva guardare negli occhi il traditore, prima di morire a sua volta. Con stupore, si accorse che Norrin era ancora vivo. In una mano teneva l’alimentatore del fucile, strappato dal suo alloggiamento un attimo prima che Vidrak premesse il grilletto.

   «Maledetto!» gridò il Beta. Lasciò il fucile e balzò in piedi, estraendo il pugnale. «Questo è solo l’ini...».

   Senza neanche alzarsi da terra, Norrin lo falciò usando la canna del fucile. Vidrak cadde all’indietro, proprio fra due trappole. Questo gli impedì di rotolarsi a terra per sfuggire ai colpi successivi. Usando il fucile senza energia come una clava improvvisata, Norrin lo riempì di mazzate. Il Beta cercò di proteggersi con le braccia, ma alcuni colpi andarono a segno. Infine una randellata particolarmente forte lo stordì, oltre a spezzare in due il fucile.

   «Fine dello spettacolo» disse Norrin, gettando via il moncone dell’arma. «Dovreste procurarvi un Consigliere, o almeno parlare un po’ di queste cose, invece di tenervi tutto dentro» suggerì, tornando dallo zio. Premendo un punto della trappola, evidenziato dal colore rosso, la disattivò. Le scariche cessarono e Dorvic poté finalmente muoversi. Norrin gli allungò la mano e l’Alfa, ancora debole, vi si aggrappò per rialzarsi.

   «Ben fatto, figliolo» ansimò il vecchio Cacciatore. «Ora che hai sconfitto il tuo nemico, uccidilo».

   «Non ci penso nemmeno».

   «È nel tuo diritto...».

   «No, non lo è. Quando lo capirai?» ribadì Norrin. «Non sono mai stato un Cacciatore. Sono un ufficiale della Flotta e non uccido gli avversari a terra». Mentre parlava, Vidrak aveva già iniziato a riprendersi.

   «Io però posso farlo» disse Dorvic, imbracciando il suo fucile.

   «F-fermo, ti prego!» gemette Vidrak.

   «Silenzio, nipote degenere!» gridò l’Alfa, ma Norrin gli abbassò l’arma.

   «Basta così. Non voglio che i miei parenti si ammazzino tra loro, a causa mia. Presto tornerò sulla Keter».

   «E Vidrak?».

   «Lui vivrà, anche se è un traditore» disse Norrin con decisione.

   In quella un alberello nelle vicinanze di Vidrak si mosse. Non era una pianta, ma un Wraith mimetizzato. La parte superiore dell’albero si trasformò in una grande bocca zannuta, mentre il tronco s’incurvava sull’Hirogeno. Con un singolo morso, il Wraith staccò la testa a Vidrak. Recuperate le fattezze da lumaca, strisciò via in fretta, masticando quel bocconcino prelibato.

   «No, non vivrà» si corresse Norrin.

 

   Risaliti sulla nave, gli Hirogeni fecero rotta per Amar. Avrebbero seppellito Vidrak assieme ai suoi parenti, inoltre Norrin voleva salutare Vitani prima di tornare sulla Keter. Su richiesta del nipote, Dorvic acconsentì a non rivelare nemmeno agli altri Cacciatori com’erano andate le cose con Vidrak, per non creare ulteriori rancori nel clan. Di conseguenza, Vidrak fu trattato come un eroico Cacciatore, caduto nell’adempimento del suo ruolo. I compagni ne composero il corpo e cantarono antichi inni. A guastare la scena, il caduto non aveva la testa; ma quella era irrecuperabile. Almeno la natura della ferita non fece dubitare agli altri Hirogeni che fosse stato un Wraith a ucciderlo.

   La nave dei Cacciatori scese nell’atmosfera di Amar, sorvolando foreste e montagne. Quando il villaggio apparve nella foschia, Norrin pensò che in fondo era bello avere una casa in cui tornare ogni tanto. Infine la vecchia nave si posò accanto a quella in costruzione. Stranamente il cantiere era fermo. I Cacciatori sbarcarono in processione, portando il corpo di Vidrak. I parenti del villaggio accorsero, addolorati.

   «Beh, è giunto il momento di separarci» disse Dorvic al nipote. «Chiederò ad alcuni Cacciatori di riaccompagnarti alla Keter, mentre io resto qui per il funerale».

   «Certo, zio» acconsentì Norrin.

   «Sei proprio sicuro di non volerti trattenere più a lungo?» chiese Dorvic. C’era ancora una flebile speranza in lui. «Ora che ho perso il mio Beta, ci saresti ancora più utile. E prima o poi dovrò scegliermi un successore... il clan ha bisogno di un Alfa al passo con i tempi».

   «Dovrai cercarlo fra i tuoi collaboratori, perché io torno sulla Keter» disse Norrin in un tono che non dava adito a dubbi.

   «E va bene» sospirò Dorvic. «Se vuoi salutare Vitani...» disse, accennando a sua figlia, che stava arrivando.

   «Oh, Norrin!» disse l’Hirogena, che era già stata accanto al feretro di Vidrak. «Com’è successo?».

   «Colpa di un Wraith, su Dakala. È successo tutto in un lampo, non abbiamo fatto in tempo a reagire» rispose l’Ufficiale Tattico, tacendo il tradimento del parente. «Però non sarebbe successo, se ci fossimo tenuti alla larga da quel pianeta. L’errore è stato quello... Dakala è una riserva naturale in cui è bandita la caccia. Quando ho capito dov’eravamo sbarcati, era troppo tardi».

   «Allora spero che non torniate più su quel pianeta!» esclamò Vitani, guardando duramente suo padre.

   «D’accordo, cancellerò Dakala dalle nostre mappe» cedette Dorvic. «Almeno abbiamo raccolto diversi trofei, nel corso di questo viaggio. Su, ragazzi, scaricate tutto!» ordinò ad alcuni Cacciatori. Tra nave e villaggio cominciò un andirivieni. I trofei erano portati a terra, mentre nuove provviste venivano caricate.

   «Ti piacerà sapere che Norrin è stato un grande Cacciatore» riprese Dorvic, sempre rivolto alla figlia. «Ha ucciso un mugato su Neural, salvando una sciamana locale. Poi ha affrontato l’Hiddus di El-Adrel IV in un corpo a corpo, resistendo finché sono giunto a finirlo. E su Dakala ha abbattuto un Lupo di Fuoco».

   «Complimenti» disse Vitani, mentre le prede enumerate sfilavano davanti a lei, portate dai Cacciatori. «Sapevo che ti saresti fatto onore».

   «Voi invece che avete fatto, in questi giorni?» chiese l’Alfa, osservando lo scafo in costruzione. «Avete terminato le saldature sulle fiancate?».

   «Veramente no» ammise Vitani. Il suo compagno Garid, capo dei tecnici, l’affiancò in quel momento.

   «Perché no?» si stupì Dorvic. «Avete avuto problemi con gli strumenti?».

   «Negativo, gli attrezzi vanno bene» rispose Garid.

   «Gli altri clan non vi avranno mica dato noie?» si rabbuiò l’Alfa.

   «I rapporti sono sereni» assicurò Vitani.

   «E allora qual è il problema?» si stupì Dorvic. Osservò il cantiere, accorgendosi solo in quel momento che nessuno era al lavoro.

   «Vogliamo più diritti, ecco» disse Garid, passando un braccio attorno alle spalle della fidanzata.

   «Diritti?!» trasecolò l’Alfa.

   «E finché non li avremo, staremo in sciopero» aggiunse Vitani, abbracciando a sua volta il compagno.

   «Sciopero? Non conosco nemmeno questa parola!» si adirò l’Alfa.

   «Significa che non avviteremo neanche un bullone, finché voi Cacciatori non tratterete con più rispetto noi tecnici» lo istruì Garid.

   «E noi donne» aggiunse Vitani. «Credi sia facile mandare avanti il villaggio, fare tutti i lavori, mentre voi lazzaroni siete in giro a cacciare?».

   «Come osi!» insorse Dorvic. «La caccia è stato il nostro rituale più sacro negli ultimi centomila anni!».

   «E vorresti che non facessimo altro per i prossimi centomila?» rimbeccò l’Hirogena. «Papà, io ti voglio bene. Ma i tempi stanno cambiando e anche noi dobbiamo evolvere, prima di diventare la barzelletta della Galassia».

   «Non chiediamo molto... solo d’essere trattati con più rispetto e d’avere un giorno di riposo ogni dieci» specificò Garid.

   «Magari ogni sette» suggerì Norrin a bassa voce.

   «Non se ne parla! Quando finiremo la nuova astronave, se disertate il cantiere?» protestò l’Alfa.

   «Se voi Cacciatori ci darete una mano, invece di stare sempre fuori casa ad azzuffarvi con tutti, finiremo anche prima del previsto» rispose tranquillamente Vitani.

   «Ma... ma...» fece Dorvic, smarrito. Guardò Norrin come se si aspettasse ancora che il nipote gli venisse in aiuto.

   «Ti consiglio di accettare le loro richieste, zio» rispose invece l’Ufficiale Tattico. «In fondo non chiedono molto».

   «Per ora! Chissà che s’inventeranno in futuro!» brontolò l’Alfa. «Se io fossi come i miei predecessori, vi darei una sonora lezione, solo per aver pensato una cosa simile» avvertì, rivolto a Garid e Vitani.

   «E lo sei?» chiese la figlia, con sguardo commovente. «Ti accaniresti contro di me... contro la maggior parte dei tuoi parenti?».

   «Groan, no» si arrese Dorvic. «Siamo troppo pochi, non possiamo permetterci divisioni. E va bene... ci riuniremo a discutere le vostre richieste».

   Garid e Vitani si scambiarono uno sguardo trepidante, come se loro stessi non si aspettassero di avere successo. L’Hirogena saltellò di gioia e il compagno si chinò su di lei per baciarla.

   «Se scopro chi vi ha messo in testa queste idee...» cominciò l’Alfa, ma si bloccò subito, girandosi verso il nipote. I suoi lineamenti si contrassero, come se avesse l’emicrania. «Ma certo, il paladino dei diritti federali. Dovevo immaginarlo» sospirò, abbattuto. «Beh, nipote... contento? Anche se torni sulla Keter, le tue idee hanno già messo radici».

   «Mi spiace di averti sconvolto, zio» disse Norrin. «Ma questi cambiamenti vi avrebbero raggiunto in ogni caso, prima o poi. Cercate di affrontarli nel modo migliore, scegliendo cosa preservare della tradizione e cosa invece innovare».

   «E chi sarà il nuovo Alfa, ora che Vidrak è morto e tu te ne vai?!» si disperò Dorvic.

   «Hai molti Cacciatori; scegli il più meritevole» rispose Norrin. «Oppure scegli qualcun altro... uno che conosca bene il villaggio e le sue necessità» disse, scrutando alternativamente Garid e Vitani. «Altrimenti, sbrigatela da solo».

 

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Capitolo 8
*** Osiris ***


-Capitolo 7: Osiris

 

   Il pianeta gigante spiccava contro il disco giallo del sole di Orione. Era così vicino che il vento solare lo rendeva incandescente, gonfiandolo di volume ma diminuendo la sua densità. Grandi tempeste agitavano la sua atmosfera scura, piena di composti in ebollizione. Una chioma gassosa lo circondava e una lunga coda si estendeva in direzione opposta alla stella, facendolo somigliare a un’immane cometa. La navicella Gryphon vi sfrecciò contro, sempre tallonata dalla Gemma di Orione.

   «Vi presento Osiris, un gioviano caldo» disse Vrel. «Orbita ad appena 7 milioni di km dalla stella, circa 0,047 UA. Il suo anno dura 3,5 giorni terrestri e la sua temperatura superficiale è di oltre 1.000 K».

   «Sembra un buon posto per nasconderci» disse Radek. «Può farci arrivare?».

   «Ci provo» promise il timoniere. «Ma gli Orioniani ci stanno addosso». Sotto la sua guida, la navetta eseguì una serie di manovre spericolate, evitando la maggior parte dei colpi nemici. Ma il fuoco era così fitto che alcuni giunsero comunque a segno.

   «Stiamo perdendo gli scudi posteriori» avvertì Jaylah.

   «Cerco di compensare» disse Radek, trasferendo tutta l’energia possibile.

   «Non basta». La navetta si scosse mentre un altro raggio disgregante la colpiva. Una consolle sprizzò scintille, per poi disattivarsi. «Abbiamo perso gli scudi, un altro colpo ed è finita» avvertì Jaylah.

   «Ci siamo, ci siamo...» fece Vrel, spremendo ogni goccia d’energia dai motori a impulso. Evitò altri colpi con una manovra a vite e finalmente s’immerse nella coda gassosa del pianeta. La visibilità si offuscò, ma lui impostò lo schermo perché rendesse un’immagine composita dei sensori. Attorno a loro, i colpi della Gemma si diradarono.

   «Come speravo, il gas ionizzato e le radiazioni offuscano i loro sensori» esalò Vrel, sollevato.

   «Situazione?» volle sapere il Comandante.

   «Siamo in un flusso d’idrogeno altamente ionizzato» riferì Zafreen, che aveva occupato la postazione sensori. «Ci sono anche discrete quantità di carbonio e ossigeno, ma non consiglio di aprire il finestrino» scherzò.

   «Più dentro andiamo, più gli Orioniani faticheranno a trovarci» disse Radek. «Rotta verso l’esosfera. Se necessario ci caleremo nelle profondità del pianeta».

   «E poi?» chiese Zafreen. «Se non saranno il calore e le radiazioni, ci penserà la pressione a farci fuori. Questo pianeta può ridurci così» disse, accostando pollice e indice finché quasi si toccarono.

   «Ha un’idea migliore?» chiese Radek.

   Zafreen tacque e Vrel diresse la navetta verso il pianeta, risalendo la lunga scia gassosa. Gli indicatori di pressione e temperatura erano in costante aumento.

 

   Migliaia di km più indietro, la Gemma di Orione indugiò sul confine della coda gassosa. Continuò a far fuoco finché fu evidente che era inutile.

   «Sono troppo lontani e tutte queste interferenze c’impediscono l’aggancio» disse l’artigliere. «Che facciamo?».

   «Li seguiamo» rispose Goutric. «Questo vascello è una fortezza ben più resistente della loro ridicola navetta. O li colpiremo noi direttamente, o li vedremo stritolati dalla pressione. Avanti tutta!» ordinò.

   La nave orioniana s’immerse nel flusso di gas ionizzati, iniziando la risalita verso il pianeta. L’equipaggio si scambiò qualche occhiata nervosa, tornando poi a controllare i sensori e gli indicatori. Ma Goutric aveva occhi solo per la navetta in fuga.

 

   «Stiamo lasciando l’esosfera» disse Vrel di lì a poco. «Scendiamo nell’atmosfera del pianeta. Temperatura a 2.000 K, venti a 5.000 km/h. Ho difficoltà a mantenere l’assetto». A conferma delle sue parole, la Gryphon si scosse con violenza.

   «La Gemma ci sta sempre dietro... mio padre è troppo cocciuto» disse Zafreen.

   «Tra poco i loro sensori saranno del tutto confusi dalle interferenze» disse Vrel. «Potremo risalire in un’altra zona del pianeta e allontanarci». Per il momento, però, continuò a spingersi in profondità.

   «Com’è l’atmosfera?» volle sapere Radek.

   «Ricca di elementi» rispose Zafreen. «Sodio, ossidi di vanadio e titanio, diossido di carbonio e metano, vapore acqueo».

   «Bene... più roba c’è, meglio ci confondiamo» disse il Comandante.

   Di lì a poco le tenebre sullo schermo furono rischiarate da un bagliore azzurrino. Ne seguirono altri.

   «La Gemma ci ha trovati?» si preoccupò Jaylah.

   «Non direi» disse Vrel, lottando contro i venti impetuosi. «Quelli sono fulmini. Con tutti questi elementi in sospensione, e il calore che viene dalla stella, l’energia deve scaricarsi in qualche modo».

   A quelle parole, il Comandante sobbalzò sulla sedia. «Dobbiamo riattivare subito gli scudi» disse. «Siamo l’unico parafulmine del pianeta».

   «No, ce n’è un altro. Più grosso» disse Zafreen, osservando la Gemma di Orione tramite i sensori.

 

   In quello stesso momento, anche la nave orioniana lottava contro le avverse condizioni del pianeta. I suoi scudi e lo scafo massiccio la difendevano bene da calore, pressione e radiazioni. Ma il vento la faceva sbandare a tratti.

   «Com’è possibile?» si chiese Goutric. «Se noi sbandiamo, loro dovrebbero essere ridotti a brandelli!».

   «La Gemma ha uno scafo molto più grande» spiegò il Primo Ufficiale. «Inoltre non siamo granché aerodinamici, per via delle grandi stive». In quella ci fu un lampo blu e la nave vibrò.

   «Ci ha colpiti un fulmine» riferì l’addetto ai sensori. La nave si scosse ancora. «È successo di nuovo. Facciamo da parafulmine per l’energia statica dell’atmosfera».

   «Questa è una nave da guerra... può reggere altro che fulmini» sostenne Goutric.

   «Signore, questi fulmini hanno la potenza di siluri fotonici» avvertì l’addetto. «E ci colpiscono ogni pochi secondi». I frequenti scossoni gli davano ragione.

   «C’è un altro motivo per cui dovremmo riemergere» disse il Primo Ufficiale. «I fuggitivi potrebbero strisciare sull’altro lato del pianeta e uscire da lì, come hanno cercato di fare su Orione».

   «E va bene, risaliamo» cedette Goutric. «Sensori al massimo. Se i federali osano mettere il naso fuori da qui, li inceneriremo all’istante. E se restano... sarà il pianeta ad annientarli» gongolò soddisfatto.

   La Gemma di Orione rivolse la prua all’insù e sfrecciò in mezzo alla tempesta di fulmini. I suoi scudi furono martellati dalle potentissime scariche, ma resistettero. Infine l’astronave emerse dall’atmosfera scura e turbinosa. Allontanatasi di poco dal pianeta, assunse un’orbita di pattugliamento.

 

   «È come temevo, ci attendono al varco» disse Radek, chino sulla postazione sensori.

   «Che facciamo, signore?» chiese Zafreen.

   «Resistiamo il più a lungo possibile» rispose il Comandante. «Se la navetta dà segni di cedimento, non ci resta che uscire. Vrel, ci porti sul lato opposto del pianeta».

   «Sì, signore» fece il timoniere, preoccupato. Dirigere la navetta era sempre difficile a causa delle violente tempeste. E con gli scudi al minimo dell’energia, un fulmine poteva distruggerli. Ma di lì a poco accadde qualcosa di nuovo e sorprendente. Una pioggia scura rigò lo schermo e il soffitto della navetta tamburellò come per una grandinata.

   «Non può essere grandine, con questa temperatura» mormorò Jaylah.

   «Infatti sono composti silicati» disse Zafreen, consultando i sensori. «Evaporano alle alte temperature, sono trasportati in alto dal vento e qui condensano per ricadere come pioggia».

   «Quindi siamo in mezzo a una pioggia di vetro fuso?» chiese la mezza Andoriana, impressionata. Sapeva che era possibile, ma vederlo dal vivo era tutt’altra cosa.

   «Esatto» confermò l’Orioniana. Sopra di loro, le gocce continuavano a tamburellare lo scafo, come un acquazzone estivo.

   «Ho chiuso i collettori, per evitare che quella roba li intasi» informò Vrel. «Ci mancherebbe solo che i motori si guastassero. Ma con questa pressione lo scafo inizia a deformarsi. Non ci resta molto tempo».

   «Completi il tragitto per allontanarci dalla Gemma, poi usciremo» promise Radek.

   «Sì, signore. Col suo permesso... io e Zafreen potremmo avere un po’ di privacy in cabina? Vorrei scambiare qualche parola, nel caso... sì, insomma, che finisse male» chiese il timoniere.

   «Accordato» disse Radek con gravità. Lui e gli agenti della Sicurezza lasciarono la cabina, andando nel comparto posteriore della navicella.

   «Anch’io vorrei dirvi un paio di cose, prima di lasciarvi soli» disse Jaylah. Quando rimasero soli, si avvicinò. «Dunque... innanzi tutto voglio sperare che voi due siate riusciti a controllarvi, mentre tu» indicò Zafreen «avevi il mio corpo e io ero lontana».

   «Te lo giuro... non l’ho neanche toccata» disse Vrel. «Voglio dire, non ti ho neanche toccata».

   «Voglio credere che sia vero» sospirò Jaylah. «Detto questo... grazie per essere venuti a salvarmi. Grazie a te, Vrel... sei sempre il mio angelo custode. E grazie anche a te, Zafreen».

   «Ti ho messa io in questa situazione» mormorò l’Orioniana.

   «Non l’hai fatto apposta» sospirò Jaylah. «La colpa è del Clan di Goutric. E di tutto il Sindacato di Orione. Sapete, stamattina... prima di costringermi a quel duello... hanno ucciso Jack» rivelò. Non sapeva bene il perché, ma aveva bisogno di dirlo a qualcuno.

   «Chi...? Aspetta, intendi lo Spettro?!» chiese Vrel.

   Jaylah annuì, affranta. «So che per voi era solo un pirata... non l’avete conosciuto com’è capitato a me. Io... so per certo che era molto di più. E credo... io... lo amavo, ecco» confessò, gli occhi lucidi di pianto. «Non ho potuto nemmeno dirgli addio».

   Vrel e Zafreen si scambiarono un’occhiata sconvolta. Il timoniere dovette restare ai comandi, ma l’Orioniana andò da Jaylah e l’abbracciò, lasciandola piangere contro la sua spalla. Non disse nulla, perché non c’erano parole che potessero lenire quel dolore. Quando Jaylah si fu sfogata, lasciò l’abbraccio e le rivolse un’ultima occhiata struggente, prima di lasciare la cabina.

   «Wow» commentò Vrel. «Lo avevo sempre sospettato, ma... una parte di me non ci credeva realmente. Una poliziotta e un ladro... non riesco a immaginare cos’abbia passato in questi due anni. E cosa provi adesso».

   «L’amore nasce tra chi meno se lo aspetta» disse Zafreen, venendogli accanto. «Io credevo di sapere tutto sull’amore, ma... forse non sapevo niente. Prima d’incontrarti» disse, posandogli la mano sulla spalla.

   Vrel non poteva distogliersi dai comandi, ma le coprì la mano con una delle sue e gliela strinse forte. Se la portò alla bocca, dandole un bacio, e poi la lasciò andare, concentrandosi di nuovo sulla rotta.

 

   Tra le perenni tempeste che infuriavano nell’atmosfera di Osiris, una navetta lottava per emergere. Frustata dalla pioggia di vetro fuso, sbattuta qua e là dal vento, colpita da un fulmine che abbatté gli scudi indeboliti, la Gryphon si dibatteva come una creatura viva. Il suo scafo si deformava, iniziando ad accartocciarsi. Era questione di tempo prima che cedesse, uccidendo gli occupanti.

   «Stiamo per uscire dall’atmosfera» avvertì Vrel.

   «La Gemma si avvicina. Ci hanno rilevati» disse Zafreen, lugubre. Gli altri ufficiali, rientrati in cabina, chinarono il capo afflitti. «No, un momento... si sono fermati» avvertì l’addetta ai sensori. «Rilevo un’altra nave».

   In quella la Gryphon emerse dalle nubi roventi di Osiris. Zafreen inquadrò subito la nave del Clan. Stava scambiando colpi terribili con un altro vascello, di forma compatta, che compiva rapidi passaggi. «La Keter!» riconobbe Vrel, riprendendo colore.

   «Allontaniamoci» ordinò Radek. «Ora vedremo quanto vale la Gemma di Orione, messa a confronto con la gemma dell’Unione» aggiunse soddisfatto.

 

   La Gryphon sfrecciò verso lo spazio aperto, allontanandosi da Osiris e dalla stella. Nel frattempo le due navi da guerra continuavano a colpirsi con tutto il loro arsenale. I raggi anti-polaronici e gli impulsi bifasici s’incrociavano con i disgregatori. I siluri si passavano accanto, per poi impattare contro gli scudi.

   «Concentrare il fuoco sui loro motori!» ordinò il Capitano Hod, reggendosi alla poltroncina mentre la plancia vibrava. «Quei tagliagole non devono scapparci».

   «I loro scudi resistono» avvertì l’Ufficiale Tattico che sostituiva Norrin. «Più che una nave pirata, sembra un incrociatore da guerra».

   «La Keter è costruita per schiantare gli incrociatori» ribatté il Capitano. «Fuoco coi siluri cronotonici, quelli dovrebbero penetrare».

   I siluri cronotonici si trovavano in uno stato di costante fluttuazione temporale, che impediva agli scudi regolari di bloccarli. Per quanto sofisticata, la Gemma non aveva scudi cronofasici capaci di proteggerla. I missili andarono a bersaglio, impattando contro le spesse corazze dello scafo. La Gemma sussultò, mentre si aprivano alcune falle. I sistemi di sicurezza si attivarono per impedire un sovraccarico del nucleo e l’energia primaria diminuì. Gli scudi vennero meno, rendendo la nave vulnerabile alle altre armi.

   Sulla Keter, gli ufficiali osservarono la nave danneggiata. «I loro scudi sono disattivati, come anche i motori» riferì l’addetto ai sensori. In quella la Keter si scosse con violenza, colpita da alcuni siluri. Dalla sala macchine giunsero notizie di lievi danni.

   «Mettiamogli fuori uso anche gli armamenti» ordinò il Capitano, impressionata suo malgrado dalla potenza del Sindacato di Orione. Servirono ancora diversi passaggi ravvicinati, ma infine la Gemma fu domata. L’infermeria riferì che c’erano alcuni feriti, ma fortunatamente nessuna vittima.

   «La nave nemica invece è probabile che abbia diversi caduti» disse l’addetto ai sensori.

   «Agganciatela col raggio traente» ordinò Hod.

   «Dove la trainiamo?» chiese l’Ufficiale Tattico.

   «Da nessuna parte» rispose il Capitano. «Invertite la polarità del raggio».

   «Un raggio respingente?» si stupì l’addetto.

   «Esatto. Spingiamo quella nave dritta negli abissi del pianeta» ordinò Hod, fissandola con sguardo tagliente.

   Gli ufficiali erano perplessi, ma obbedirono. Intanto il Capitano andò a confabulare con l’addetto al teletrasporto di plancia. Di lì a poco il raggio azzurro agganciò la Gemma di Orione. Invece di attirarla, la respinse contro il pianeta gassoso. Il vascello cominciò una lenta discesa.

   «Basta così» ordinò il Capitano, tornando alla poltrona. «Tra quanto la Gemma sarà schiacciata?».

   «Sto calcolando» disse un addetto. «Quella nave è molto resistente, ma il suo scafo ha riportato danni. Il gas s’introdurrà nelle falle. Direi che fra un’ora al massimo sarà irrecuperabile».

   «Aprire un canale» disse Hod, concedendosi un sorriso soddisfatto. Finalmente gli ufficiali intuirono il suo piano.

   Goutric apparve sullo schermo e la fissò con odio. Alle sue spalle c’era una perdita di gas che l’equipaggio stava ancora cercando di domare.

   «Sono il Capitano Hod dell’USS Keter e le ordino di arrendersi» esordì l’Elaysiana.

   «E io sono Goutric, un onesto e rispettato imprenditore. Perché ci ha assaliti? Non stavamo facendo nulla di male» rispose l’Orioniano, con la massima faccia tosta.

   «Mi risparmi la recita, Goutric» disse Hod. «Conosco il suo ruolo nel Sindacato di Orione. Lei ha rapito un membro del mio equipaggio e ora cercava di assassinare l’intera squadra di salvataggio. A parte questo, lei è in arresto per... uhm... 947 capi d’accusa» disse, consultando l’oloschermo della sua poltroncina. «Vediamo un po’. Omicidi... rapine... traffico d’armi, droga e persone... tangenti... riciclaggio... ricettazione... perbacco, anche evasione fiscale. E cos’è questo? Atti osceni in luogo pubblico... questa me la deve proprio raccontare».

   «Non sia troppo sicura di sé» l’ammonì Goutric. «Non è il primo Capitano che si mette sulla mia strada».

   «Ma scommetto che sono il primo ad averla scaraventata in un gioviano caldo» ribatté Hod. «Secondo il mio ufficiale le rimaneva un’ora di tempo. Adesso è di meno. Quindi mettiamola così: si arrenda senza condizioni, o starò a guardare mentre viene lessato e spappolato con tutta la nave. Se qualche navetta o capsula tenterà di fuggire, sarà neutralizzata e fatta cadere anch’essa».

   «Non credo al suo bluff, Capitano» rispose Goutric. «Voi federali non avete le palle per fare queste cose». La sua immagine ondeggiò, a causa dei danni alla nave.

   «La vedo male, Goutric» disse Hod. «Perché non si avvicina?» chiese, facendo il segnale concordato al tecnico del teletrasporto. Goutric fu prelevato dalla sua nave e apparve sulla pedana di plancia. Si portò immediatamente la mano in fondina, ma il suo temuto disgregatore Varon-T era rimasto sulla Gemma. Si scagliò in avanti, ma sbatté contro un campo di forza cilindrico e cadde all’indietro. Si rialzò premendosi il naso sanguinante, con una luce assassina negli occhi.

   «Benvenuto sulla Keter» gli disse Hod, avvicinandosi. «Ora le va di trattare?».

   «Spero che casa sua sia assicurata contro gli incendi» ringhiò Goutric. «Perché quando il mio Clan saprà cos’ha fatto...».

   «Il suo Clan in questo momento sta subendo una retata da parte della Flotta Stellare» lo informò il Capitano. «Aspettavamo solo che non avesse più ostaggi. Sono certa che dall’esame della sua villa emergeranno nuovi capi d’accusa, anche se la sua nave dovesse... come dire... finire sotto pressione» infierì. «E con le testimonianze dell’Agente Chase, sommate a quelle del Guardiamarina Zafreen, estirperemo un bel po’ della sua organizzazione».

   «Chi lo sa» disse Goutric, sorridendo beffardo. «Forse sarò a piede libero prima di quanto pensa».

   «Non ci conti» disse Hod, scrutandolo gelida. «Ora levatemelo di torno» ordinò, dandogli le spalle. Goutric svanì, teletrasportato in una cella di massima sicurezza.

   Il Capitano respirò a fondo e tornò davanti allo schermo. «Mi rivolgo al Primo Ufficiale, ora. Il mio ultimatum è ancora valido. Se lei è un po’ più ragionevole di Goutric, mi risponderà subito».

   «Io... sono disposto a consegnare la nave» mormorò l’Orioniano, con un occhio agli indicatori di pressione e temperatura.

   «In tal caso, preparatevi all’abbordaggio» disse Hod, risedendo in poltrona.

 

   Ci vollero alcune ore per assicurarsi il pieno controllo della Gemma. Parte dell’equipaggio fu imprigionato sulla Keter, parte su navi-pattuglia giunte di rinforzo. La Keter trasse la nave orioniana dall’atmosfera di Osiris prima che i danni si aggravassero. Le squadre tecniche salirono a bordo per rimettere in funzione i motori. L’idea era salvare la nave, per riconvertirla a scopi legali, come si faceva con i beni immobili sottratti alla criminalità.

   Nel frattempo la Gryphon rientrò a bordo. Il Capitano andò ad accogliere i suoi ufficiali nell’hangar principale. «Ben fatto, Comandante» disse, venendo incontro a Radek. «Sono ansiosa di leggere il suo rapporto».

   «Una cosa posso dirgliela subito» disse il Rigeliano. «Aveva ragione su Vrel e Zafreen. È stato un bene averli con noi».

   «Congratulazioni a entrambi, allora» disse il Capitano, rivolgendosi a Vrel e Jaylah.

   «Ehm... io sono qui» salutò Zafreen, scendendo solo in quel momento dalla navetta.

   «Ma come, è tornata nel suo corpo?!» si stupì Hod.

   «Sì!» fece l’Orioniana, saltando di gioia. «Il che significa che finalmente la smetteremo di andare in bianco» bisbigliò all’orecchio di Vrel.

   «È tutto merito di questo» spiegò Jaylah, porgendo la teca col Cristallo. «Stia attenta, Capitano... è un vero Cristallo di Bajor. Quello dell’Anima, rubato due settimane fa».

   «Le autorità bajoriane saranno grate per la sua restituzione» disse Hod, prendendo cautamente la teca. «E io aggiungerò furto d’arte e sacrilegio alla lista dei crimini di Goutric».

   «Lui è qui a bordo?» chiese Zafreen, cupa.

   «Sì, ma stia tranquilla. Non lo vedrà più» assicurò il Capitano.

   «Ma io voglio vederlo» obiettò l’Orioniana. «Un’ultima volta».

 

   Goutric era sdraiato sullo scomodo lettino della sua cella. All’avvicinarsi dei federali si tirò su. Aveva già pronto il suo sorriso ingemmato, ma si rabbuiò quando vide la figlia. Zafreen si discostò dai colleghi e venne avanti, finché fu davanti al padre. Solo la parete di trasparacciaio li separava. Per interminabili secondi si fissarono senza dirsi nulla.

   «Sembra che mi terrò il mio sangue, dopotutto» disse infine Zafreen.

   «Quello sei sempre in tempo a versarlo... fai una vita pericolosa» ribatté Goutric. «Ma guardati, Zafira. Io ti ho generata, ti ho allevata con mille cure, senza mai farti mancare nulla. Quando sei scappata ti casa, ti ho cercata per anni, affinché potessi essere ancora mia erede. E tu mi ripaghi col tradimento. Sei un fallimento... il mio fallimento» disse, scuotendo la testa.

   «Signor Goutric, perché mi chiama Zafira?» chiese gelidamente l’Orioniana. «Qui non c’è nessuno con quel nome. Io mi chiamo Zafreen». Ciò detto, gli volse le spalle e lasciò la sala di guardia.

 

   Di lì a poco, Jaylah e Zafreen si presentarono in infermeria, dove la dottoressa Mol le sottopose a una lunga serie di controlli.

   «Mai visto nulla di simile!» disse la Vidiiana, esaminando le scansioni cerebrali. «Siete tornate esattamente come prima. Se non sapessi che le vostre coscienze si sono scambiate per diciotto giorni, non potrei mai immaginarlo da questi dati».

   «Addio, Periodo Verde» sospirò Jaylah, sfiorandosi le antenne. «Però non era così male...» aggiunse con un’ombra di rimpianto. «Potresti consigliarmi i tuoi profumi?».

   «Certo, e tu mi suggeriresti qualche esercizio ginnico?» rispose Zafreen. «Sto cercando di levarmi un paio di chiletti qui...» spiegò, sfiorandosi i fianchi generosi.

   «Ah-ehm» si schiarì Ladya, per riavere la loro attenzione. «Stavo dicendo che siete tornate alla normalità. L’attività corticale, i livelli ormonali... tutto è in perfetto stato» disse, scorrendo le analisi. «Direi che è un miracolo, se i miracoli esistessero. Ditemi, com’è avvenuto il ripristino?».

   «Questa è la cosa buffa, dottoressa» rispose Jaylah. «È stato proprio un miracolo».

 

   «Affascinante!» disse Juri. Dopo avergli portato il Cristallo, Jaylah lo aveva messo al corrente dell’accaduto. Lo storico percorse a grandi passi il suo laboratorio, dando ogni tanto un’occhiata alla teca chiusa. Dalla finestrella smerigliata al centro filtrava un tenue bagliore. «Molti interpellano i Cristalli di Bajor, ma esperienze come la tua sono rare. Mi ricorda i rapporti di Sisko sulle sue esperienze nel Tunnel. E lui era lì, hai detto! Com’era?».

   «Ti ho già detto tutto» rispose Jaylah. «Non era invecchiato, ma aveva qualcosa di... beh, ultraterreno. Sembrava sapere tutto di tutti, anche se in realtà mi ha detto ben poco di nuovo. Mi chiedo persino se non sia stato tutto uno scherzo della mia mente».

   «Però il Cristallo ti ha riportata nel tuo corpo» sottolineò Juri. «Dunque qualcosa è successo. Per caso Sisko ti ha dato qualche consiglio, un ammonimento...?».

   «Abbiamo parlato» disse Jaylah. «Scusa, Juri... ti considero un amico, ma certe cose vorrei tenerle per me».

   «Certo, è giusto così» convenne lo storico. «Non sai quanto t’invidio... se il Cristallo mi desse una visione, so esattamente cosa vorrei rivedere» sospirò. Il suo sguardo indugiò sull’unica olografia della sua scrivania, quella di una bambina ridente che correva in un prato. Jaylah una volta era riuscita a farsi dire che raffigurava sua sorella Svetlana. Ma dalle ricerche risultava che Juri non avesse alcuna sorella in vita.

 

   «Il Capitano Sisko ti ha detto esplicitamente che ci sarà una Guerra Civile?» chiese Hod. Lei e Jaylah stavano parlando a porte chiuse nell’ufficio del Capitano.

   «Mi ha detto che la Guerra Civile incombe» precisò la mezza Andoriana. «Che comincerà in modo inaspettato e minaccerà tutto ciò che i nostri popoli hanno costruito».

   «Ne parlava come di uno tra i futuri possibili, o...».

   «Sembrava piuttosto categorico» ammise Jaylah. «Se supponiamo che conosca realmente il futuro, allora non credo che il conflitto sia evitabile».

   «Capisco» disse l’Elaysiana, sconfortata. Si abbandonò sulla sedia, schiacciata da qualcosa di più che la gravità standard. «Per adesso teniamo quest’informazione per noi. E per l’Ammiraglio Chase» stabilì.

   «C’è anche un’altra cosa» disse Jaylah, in tono che non faceva presagire nulla di buono. «Nell’ultima visione, ero sul ponte della Keter. C’era una battaglia in corso, anche se non ho capito contro quale nemico. Io... ho visto la distruzione dell’Enterprise» rivelò. «Un raggio d’energia l’ha tagliata in due. Non so se fosse solo un’immagine simbolica, o se quello sia davvero il destino dell’ammiraglia».

   «L’hai detto a qualcuno?».

   «A nessuno. Neanche a Juri».

   «Anche questo deve restare fra me, te e tuo padre» ordinò il Capitano. «Sisko ti ha detto altro?».

   «Mi ha esortata a conservare i valori federali... e a scegliere attentamente la mia rotta» rispose la giovane. Delle critiche ricevute da Sisko, però, non fece parola neanche col Capitano. Aveva risparmiato la vita a Mua’vid, anche se poi l’Orioniano era morto ugualmente. Per quanto la riguardava, aveva compiuto la sua buona azione. In futuro si sarebbe sforzata di continuare su quella rotta... ma se la guerra incombeva davvero, non poteva sperare di rimanere immacolata.

   «Un consiglio sempre valido» sospirò il Capitano. «Cercheremo di seguirlo tutti. Puoi andare, Agente».

 

   «Il grosso della squadra tecnica è rientrato» riferì Radek quando il Capitano tornò in plancia. «La Gemma di Orione può andare in curvatura».

   «Bene, vada a bordo con il personale necessario a governarla» disse Hod. «Il Comando di Flotta vuole che sia portata a Rigel V».

   «Sappiamo già a cosa sarà destinata?» chiese il Comandante.

   «Non ne ho idea!» ammise il Capitano. «Con le sue caratteristiche potrebbe diventare una nave pattuglia. O anche una nave trasporto, viste le sue grandi stive... ma la vedo sprecata in quel ruolo».

   «Capitano, il resto della squadra tecnica sta rientrando» disse l’addetto ai sensori.

   «Perché? Non avevo dato quest’ordine» si stupì Hod. «Anzi, il Comandante deve salire con...».

   «Ci segnalano che sono stati trasferiti senza preavviso» avvertì l’ufficiale. «E i livelli energetici della Gemma aumentano. Sta attivando i motori».

   «Ma che diavolo...» fece Radek, osservando la nave verdastra sullo schermo.

   «Oh, no» mormorò il Capitano. «Bloccatela col raggio traente, presto! E mettetele di nuovo fuori uso i motori. C’erano ancora Orioniani a bordo, nascosti da qualche parte» disse, scambiando uno sguardo sconfortato con il Comandante.

   «Impossibile, hanno alzato gli scudi» riferì l’Ufficiale Tattico.

   «Ci stanno anche trasmettendo un messaggio» avvisò l’addetto alle comunicazioni. Pochi attimi dopo, la Gemma partì a curvatura.

   «Inseguiamola!» ordinò il Capitano, scioccata dalla nuova piega degli eventi.

   «Impossibile, si sono occultati e hanno mascherato la traccia di curvatura» disse il timoniere. «Li abbiamo persi».

   «Hanno calcolato i tempi al secondo» commentò Radek, rassegnato. «Adesso che diremo al Comando?».

   «Uhm... per prima cosa, voglio vedere quel messaggio che ci hanno inviato» disse Hod.

 

   «Voleva vedermi di nuovo, Capitano?» chiese Jaylah, sorpresa d’essere stata richiamata in ufficio dopo mezz’ora dall’ultimo incontro.

   «Sì, venga avanti, Agente Chase» disse Hod. C’era una strana severità nella sua voce. Jaylah sedette davanti alla scrivania, senza sapere cosa aspettarsi.

   «Poco fa, la Gemma di Orione ha riportato indietro le nostre squadre» disse il Capitano. «Poi ha riattivato gli scudi, i motori e se l’è svignata. La stiamo cercando, ma finora non abbiamo avuto fortuna. É molto probabile che non la ritroveremo».

   «Che disdetta» commentò Jaylah. «Evidentemente c’erano ancora degli Orioniani nascosti a bordo. Un trucco di Goutric, scommetto». Le dispiaceva sapere che quella nave pericolosa era ancora in circolazione, ma non vedeva come il Capitano potesse incolparla di ciò.

   «È quello che pensavamo tutti, all’inizio» disse Hod, sempre severa. «Poi abbiamo visionato il messaggio che la Gemma ci ha inviato, prima di sparire. È... beh, lo giudichi lei stessa». Ingrandì l’oloschermo della sua scrivania, portandolo alla massima ampiezza, e avviò il messaggio. Jaylah sgranò gli occhi e si curvò in avanti, esterrefatta.

   «Salve, Capitano Hod. E salve a tutti voi, ufficiali della Keter» disse lo Spettro, inconfondibile nella sua tuta corazzata nera, col visore rosso. «Ci tenevo a informarvi che le notizie sulla mia dipartita sono premature. Quando la Gemma di Orione ha distrutto il mio vecchio incursore, io e la mia ciurma ci siamo teletrasportati di nascosto a bordo. A quel punto abbiamo dovuto nasconderci, perché gli Orioniani ci superavano in proporzione di cinquanta a uno. Abbiamo compiuto alcuni sabotaggi mirati, per indebolire le difese della Gemma. Ma quando la nave ha inseguito i federali in quel gioviano caldo, stavo per prendere d’assalto la plancia. Beh, mi rallegro che l’intervento della Keter mi abbia dispensato da quell’azione, che sarebbe costata la vita a molti dei miei uomini.

   Come avrà notato, Capitano Hod, le ho restituito i suoi ufficiali incolumi. Non ho trattenuto nessuno di loro, anche se mi avrebbero fatto comodo. La nave, però, ho dovuto requisirla. La considero un risarcimento per la perdita della mia vecchia Ghost e degli incursori. Non si preoccupi... non farò più il gioco del Sindacato di Orione. Ma intendo continuare le mie azioni contro i Breen, in favore dei coloni federali abbandonati lungo il confine. Se sarete saggi, non cercherete d’ostacolarmi. Alla prossima, Capitano. Mi saluti Jaylah e le ricordi che il mio invito è sempre valido».

   Con queste parole, lo Spettro svanì. Il messaggio era finito. Jaylah sbatté gli occhi, incredula. Il suo Jack era vivo! Ne provò una gioia e un conforto straordinari. Non aveva la sua morte sulla coscienza... anzi, aveva l’opportunità di rivederlo. Se avesse scelto in tal senso. Respirò a fondo, come se un gran peso le fosse stato levato dal petto. Poi però alzò lo sguardo. Il Capitano Hod incombeva su di lei.

   «Cosa intendeva con “il mio invito”?» chiese l’Elaysiana, trafiggendola con lo sguardo.

   «Oh, beh... quando l’ho rincontrato su Orione, e mi sono fatta riconoscere, lui mi ha offerto d’entrare nella sua banda» mentì Jaylah. «Ovviamente ho rifiutato. Sono fiera della mia carriera nella Flotta e non la baratterei con nient’altro. Di certo non con un posto su una nave di pirati».

   «Una nave molto lussuosa» corresse il Capitano. «A proposito, come hanno fatto a teletrasportarsi sulla Gemma? Suppongo che gli scudi fossero alzati, durante l’attacco».

   «Ehm, è colpa mia» ammise Jaylah. «Salendo sulla nave, avevo sbirciato la frequenza degli scudi. L’ho rivelata allo Spettro, sperando che mi avrebbe salvata».

   «Lei e lo Spettro andate molto d’accordo» notò Hod. «È la seconda volta che collaborate, fidandovi l’uno dell’altra. In entrambe le occasioni, lo Spettro ne è uscito vittorioso».

   «Anche noi» ribatté Jaylah. «Sono stati i Breen, e ora gli Orioniani, a rimetterci».

   «E che succederà, quanto non avremo più nemici in comune?».

   «Beh, forse per allora sarà iniziata la Guerra Civile e avremo altre gatte da pelare!» si lasciò sfuggire Jaylah. Ma si pentì subito. Stavolta l’aveva detta grossa.

   «È possibile... purtroppo» disse il Capitano, preoccupata da quella risposta. «Agente Chase, ogni volta che penso di averla capita, lei mi dimostra che sbaglio. A volte penso che da lei avremo i successi più grandi... e anche le peggiori sciagure».

   «Se ritiene se abbia errato in qualcosa, Capitano, può punirmi secondo il regolamento» le ricordò Jaylah.

   «Non credo che servirebbe» sospirò Hod. «Può andare, Agente».

   «Capitano...» si congedò Jaylah, avviandosi verso l’uscita. Era stata sincera sugli scudi, ma aveva mentito sull’invito dello Spettro. Per forza di cose. Se ne avesse parlato, la Flotta avrebbe potuto tendergli un agguato per catturarlo. Cosa che lei non voleva. Si chiese però quante altre volte avrebbe dovuto mentire per amore. E dove l’avrebbe portata quella rotta.

 

   Il giorno dopo Norrin tornò sulla Keter, venendo aggiornato sugli ultimi eventi. Quando uscì dal briefing in sala tattica era sera tardi. Prima di ritirarsi nel suo alloggio, però, passò dalla palestra. Vedendola in uso, malgrado l’ora, non dubitò su chi ci avrebbe trovato. E infatti... Jaylah era lì, a colpire il punching-ball. L’Hirogeno le si avvicinò da dietro, osservandola in silenzio.

   «Ciao, Norrin» gli disse lei a un certo punto, avendo percepito la sua presenza. «Com’è stata la rimpatriata?».

   «Sai come sono queste cose... tante chiacchiere, qualche cena... una noia mortale» rispose l’Hirogeno.

   «Niente cacce?».

   «Nulla che valga la pena di raccontare».

   «Il solito modesto». Finalmente Jaylah si voltò e gli venne incontro, abbracciandolo con affetto.

«Sono felice di rivederti» disse.

   «Anch’io» disse Norrin. «La dottoressa Mol mi ha detto tutto. Non sei più la Perfida Strega dell’Ovest» commentò.

   «Sì, il Periodo Verde è definitivamente archiviato» confermò la mezza Andoriana, sciogliendosi dall’abbraccio.

   «Mi ha detto anche degli Orioniani» aggiunse Norrin. «Te la sei cavata bene, laggiù. Hai giocato le poche carte che avevi... è anche merito tuo se Goutric è stato assicurato alla giustizia. Tra la sua cattura e la retata alla villa, il Clan sta crollando come un castello di carte».

   «Un altro prenderà subito il suo posto. Funziona così» disse Jaylah, tornando a colpire il punching-ball.

   «Quello che avete fatto tu e gli altri è comunque importante» insisté Norrin. «Perciò mi sento in colpa. Avrei dovuto esserci per fare la mia parte. Invece sono andato a fare safari, mentre tu rischiavi la vita» sospirò, sedendo su una panca.

   «Sei partito prima del mio rapimento...».

   «... ma dopo lo scambio di corpo. Pessimo momento per andarmene».

   «La tua famiglia ti chiamava. Era una cosa importante» disse Jaylah, interrompendo l’allenamento. «Se non vuoi dirmi niente, va bene. Spero solo che i tuoi parenti non siano come quelli di Zafreen» aggiunse, sedendogli accanto sulla panca.

   «Non sono così terribili» affermò l’Hirogeno. «Ma hanno le loro fissazioni. E quindi dovranno evolvere, se non vogliono restare indietro».

   «Pensi che ne siano capaci?» chiese la mezza Andoriana, detergendosi il sudore dalla fronte con il suo asciugamano.

   «Forse sì» disse Norrin, pensando a Garid e Vitani. «Ma quest’esperienza mi ha insegnato che non potrei vivere come loro. Il mio posto è qui nella Flotta, dove ci battiamo per qualcosa di più che dei trofei».

   «Qualcosa di più...» rimuginò Jaylah. «Speriamo solo di non smarrire i nostri valori, tentando di proteggerli».

   «Cosa te lo fa temere?».

   «Niente, era solo un pensiero» disse la giovane, rialzandosi. «Hai saputo che ho recuperato il Cristallo dell’Anima? Una nave bajoriana è passata a prenderlo stamattina. Kai Nashir in persona mi ha detto che sono benedetta dai Profeti».

   «Allora sono state due settimane proficue» commentò Norrin. Intuiva che c’era dietro ben altro, ma non volle forzarla a parlare.

   «Ma sì» convenne Jaylah. «Quantomeno abbiamo imparato che le famiglie sono difficili da gestire... ma con un po’ di buona volontà ci si riesce».

   «Ha ha, è vero!» rise Norrin. «Beh, nottambula, ti consiglio di andare a dormire. Domattina si ricomincia con la solita routine».

   «Povera me» scherzò Jaylah, buttandosi l’asciugamano sulla spalla. Seguì il superiore fuori dalla palestra e dopo un ultimo saluto tornò nel suo alloggio, per una meritata notte di sonno.

 

   «Avanti».

   Entrando per la seconda volta nell’alloggio di Zafreen, Jaylah riconobbe le somiglianze stilistiche con la villa di Goutric, anche se l’alloggio era molto meno opulento. Evidentemente, quale che fosse il destino di una persona, le sue memorie più intime non l’abbandonavano mai del tutto. La mezza Andoriana si fece avanti, inspirando l’aria profumata.

   «Tutto bene?» le chiese Zafreen, venendole incontro. L’Orioniana vestiva casual, ma invece dei soliti abitini striminziti e sgargianti era abbigliata con buon gusto.

   «Sì, volevo congratularmi per l’esito del processo» disse Jaylah. «Ho sentito che sei stata assolta... e hai ottenuto la cittadinanza federale. Significa che resterai a bordo, vero?».

   «Sì, resterò» confermò Zafreen. «È la cosa più sicura. Anche se il Clan di Goutric è in ginocchio, ci sono ancora parecchi affiliati che potrebbero cercare di uccidermi per vendetta. E c’è il resto del Sindacato di Orione, che vorrà farmela pagare. Il procuratore mi aveva offerto la possibilità di trasferirmi, adottando un altro nome. Potevo avere persino una scorta, essendo testimone di giustizia. Ma anche così, penso che partecipare alle missioni impossibili della Keter sia meno pericoloso» disse con amaro sarcasmo.

   «Siamo tutti contenti di sapere che resti» disse Jaylah. «La nave non sarebbe la stessa, senza di te».

   «Grazie» sorrise Zafreen. «Sai, quando s’è scoperto che il mio permesso di soggiorno era falsificato, ero certa che la Flotta Stellare mi avrebbe sbattuta fuori. Ma con le nuove leggi di Rangda ho potuto finalmente mettermi in regola, mantenendo l’impiego».

   «Allora non tutto il male viene per nuocere» commentò Jaylah.

   «Posso offrirti qualcosa, finché sei qui?» chiese Zafreen, accennando al replicatore.

   «Grazie, prendo un mai-tai».

   «Il mio cocktail preferito! Che c’è, ti ho contagiata con le mie pessime abitudini?» chiese Zafreen, andando a sintetizzarlo.

   «Temo di sì. E tu, hai preso qualcosa da me?».

   «Un po’ di responsabilità, spero. Infatti mi chiedevo se potresti darmi lezioni di autodifesa» disse l’Orioniana, porgendole il bicchiere alto e sottile. «Così la smetterò d’essere la donzella in pericolo».

   «Un corso come si deve richiederà del tempo» l’avvertì Jaylah. «Ma sì, penso di poterti dare i rudimenti. E visto che siamo in argomento... anch’io vorrei chiederti un favore» disse, sorseggiando il cocktail.

   «Certo, tutto quello che vuoi».

   «Ho preso una licenza per i primi giorni del mese prossimo. Vorrei qualche consiglio di moda» rivelò Jaylah, colorandosi leggermente. «Abbigliamento, capelli... queste cose qui».

   «Volentieri!» trillò Zafreen. «Dove vai, di bello?».

   «Ventax II. C’è già una camera d’albergo, nella capitale, prenotata a mio nome...» disse Jaylah con voce sognante.

 

 

FINE

 

 

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