Canto d'Oriente

di _Lakshmi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alba ***
Capitolo 2: *** Mattina ***
Capitolo 3: *** Mezzogiorno ***
Capitolo 4: *** Pomeriggio ***
Capitolo 5: *** Sera ***



Capitolo 1
*** Alba ***


Prologo

Canto d'Oriente.

Prologo:

Alba


    Quando Eros scocca una freccia dal proprio arco, la vittima del suo diletto s'innamora inevitabilmente della prima creatura scorta dai suoi occhi, trasformando l'interesse in un morboso, malsano sentimento. Se sia vero o no, ancora non l'ho ben compreso, visto che simili pulsioni sono lontane dalla mia natura.
Però, da questa storia, ho capito che l'amore può sgrezzare persino l'animo di un guerriero millenario, abituato al massacro e al piacere più volgare, innalzandolo oltre la pura carnalità.
E tutto grazie ad un uomo folle, che è riuscito a vedere il mondo con occhi diversi da quelli di un qualsiasi altro mortale o divino.


[Follia capace di attrarre e di sedurre]


Figlio del Sole, Figlio del Sole,


    Così ti chiamava la tua gente durante i riti propiziatori prima delle grandi battaglie: si prostravano, ti offrivano doni, ti veneravano al pari di una divinità e tu,
empio, ti atteggiavi come tale, seppur la tua natura fosse ben diversa.
Amavi quelle solenni celebrazioni, amavi studiare il comportamento
umano: seduto sul tuo trono lontano dalla masnada osservavi quel mondo adulto di cui facevi anche tu parte, seppur fossi soltanto un bambino; i tuoi occhi smeraldini si posavano ora sui fiumi d'alcol versato nei calici, ora sulle orge, su quei corpi sudati, affaticati dallo sforzo, eppure così appagati.
Ciondolando sul tuo scranno, ti sentivi davvero speciale, visto che tu eri un dono, tu eri
il figlio di Helios: la tua presenza portava non solo prosperità all'interno del villaggio, ma anche la vittoria assicurata sul campo di battaglia. Era irrilevante la giovane età, bastava solamente che aprissi il palmo della mano per generare un sacro fuoco inestinguibile, capace di portare distruzione tra le fila nemiche.
Tutti ti amavano e ti veneravano per questo.
E tu eri felice.


[Perché così è l'amore: Arcano e Folle]


Giovane Figlio del Sole,


    Crescendo, crebbe la tua innata curiosità, il tuo innato bisogno di imparare.
I tuoi poteri ormai non avevano più alcun segreto, così ti concentrasti sulla medicina, sugli studi matematici, sulle discussioni filosofiche. A volte ti assistevo nei vaneggiamenti, mostrandomi a te come una vecchia, come una giovane, a volte come una bambina tua coetanea: ti insegnai parte della mia conoscenza, spronandoti sempre a nuovi pensieri, nuovi ragionamenti, nuove invenzioni.
Tu dopotutto eri il “Mago”, nessuno osava mettere freno al tuo istinto, anche se la tua mente diveniva in tal modo sempre più raffinata, sempre più pericolosa, soprattutto per gli altri dei che ti osservavano dai loro reali scranni.
Ma tu eri solo un ragazzino e riuscivi ancora a vivere con spensieratezza.


[Come quel giovane che
riuscì ad avvelenarti il cuore
]


Presuntuoso Figlio del Sole,


    Crescendo, fiorì anche la tua bellezza, tanto da diventare mito, ed insieme ad essa, maturò anche la tua consapevolezza di essere una creatura speciale, preziosa,
essenziale.
Cominciasti ad agghindarti, a truccarti, a vestirti in modo eccentrico, alle volte persino come una donna, tutto pur di testare le norme morali della comunità, ma, come avevi previsto, nessuno si oppose a questo tuo capriccio: certo, per i primi tempi ci furono per te solo sguardi dubbiosi, poi il tuo essere un elemento di disturbo diventò comune quotidianità.
I tuoi capelli raggiunsero le caviglie, il tuo fisico grazie agli allenamenti giornalieri diventò statuario, i tuoi occhi smeraldini iniziarono a mietere vittime su vittime, umane e divine.


[E a rivoluzionare la tua eterna esistenza]


Superbo Figlio del Sole,


    Raggiunto il pieno della tua giovinezza, iniziasti a sederti sul trono con una postura fiera, celestiale, esternando quello che eri: una creatura dal sangue antico, diversa da uomini e dèi.
Amavi contemplare l'ignoranza di quella stessa gente che ti aveva cresciuto, che ti osannava e ti pregava porgendoti doni per la tua benevolenza, anche se tu, in verità, non ordinavi nulla, non potevi opporti al ciclo delle stagioni, alle piogge torrenziali o alla siccità; per questo motivo, non riuscisti a rimediare alla carestia che per volere divino s'abbatté sul villaggio.
E il Terrore e la Paura ebbero il sopravvento sulle povere menti.
Così, quella stessa ignoranza che tu tanto avevi amato, alla fine ti travolse: il popolo che un tempo ti aveva venerato come un dio aveva deciso di sacrificarti alle divinità più importanti di te.
Ti legarono caviglie e polsi con strette corde, ti costrinsero a chinarti sull'altare, ti puntarono alla gola un sacro pugnale come una qualsiasi altra bestia.
Vidi però nelle tue iridi la totale serenità della morte, l'accettazione di quella condanna: dopotutto, seppur giovane, dalla tua posizione privilegiata eri riuscito a vivere senza alcun rimpianto e ciò ti spinse a non abbandonare la superbia neppure davanti a Thanatos.
Ma fu proprio la tua fortuna a condannarti: la fortuna di essere nato con una bellezza invidiabile, raggiante, così da attirare le attenzioni di Zeus, che ti strappò dal tuo nero destino.


[Senza chiedere il permesso,
lui ti cambiò la vita
]


Schiavo delle Divinità,


    Vivevi incatenato in una gabbia, al centro della grande sala principale sull'Olimpo, privato di quella volontà di vivere che ti aveva sempre contraddistinto: amavi la vita, ma la monotonia delle lunghe giornate sempre uguali, l'assoluta noia ti spinse ad adeguarti alla schiavitù. E per qualche bizzarro scherzo della sorte, grazie alla tua totale sottomissione, diventasti il giocattolo preferito del Re degli Dèi.
Ti ordinava di danzare, tu danzavi.
Ti ordinava di cantare, tu cantavi.
Ti ordinava di amarlo, tu lo amavi.
Ma ad ogni tramontar del Sole, comprendevi sempre meglio che quella vita ti stava solo prosciugando, senza donarti qualcosa di interessante che potesse risvegliarti dal torpore.
Persino l'incontro con tuo padre, Helios, generò dentro di te solamente delusione: era orgoglioso del figlio che, finalmente, aveva compreso il suo posto nel mondo. E dal tuo sguardo perplesso, capii che non condividevi i suoi stessi, nobili principi.

« Non voglio che ti accada la stessa sorte di Phaethon.» allungò una mano oltre le sbarre, quasi a carezzarti il viso, ma non riuscì a raggiungerti visto che indugiasti al centro della voliera « Continua ad onorare gli dèi, figlio mio.»

Sorridesti.


[Ares]


Creatura incatenata,


    « Padre, permettetemi di studiarlo: è un Titano
purosangue, una rarità ai giorni nostri.»

Ti squadrai per un lungo istante, poi volsi lo sguardo a mio padre, Zeus. Ero la sua prediletta, la bambina nata dalla sua stessa mente, per cui speravo di poter mettere le mani su quel suo divertimento tanto prezioso.
Tu infatti fingevi di essere debole, indifeso, malato; ma i tuoi brillanti ed inquietanti occhi smeraldini tradivano la tua falsa fragilità, mostrando stralci di una creatura ben più pericolosa.

« No, Athena. Lui è un semplice servitore degli dèi che ha finalmente capito il suo ruolo.» tuttavia, la risposta autoritaria di Zeus non ammetteva alcuna protesta « Ha già causato molti problemi nel mondo umano: sono dovuti intervenire Phobos e Deimos per riportare la ragione in quella comunità.»

Provai ugualmente a ribattere, a spiegare le mie nobili ragioni, ma un'altra divinità ben più odiosa si era avvicinata a noi, interrompendo la nostra discussione con un'osservazione altrettanto detestabile.

« Non ci credo: nostro padre nega qualcosa alla sua prediletta? Questo mondo ha ripreso a girare nel verso giusto.»

Era rozzo e indecente, eppure, incredibilmente, catturò la tua attenzione non appena alzasti lo sguardo dalla tua coppa di vino, unico tuo conforto in quella vita. Ovviamente notai la tua particolare ed improvvisa assenza di movimento, il tuo interesse per il nuovo arrivato.
Forse sarà che Ares è sempre stato diverso da tutti noi: lui è un dio, certo, ma è un'entità che porta il caos, la distruzione sul campo di battaglia.
E il tuo animo era naturalmente orientato al Chaos.
Questo lo compresi troppo tardi.

« Silenzio.» disse Zeus, sfatando l'inizio di un litigio « La discussione è chiusa, Halaktrya non si muoverà da qui: è un soggetto altamente instabile.»
« È solo una puttana agghindata da puttana. Sul campo di battaglia, uomini simili sono cibo per vermi.» Ares dovette comunque dire la sua dopo averti dato una breve occhiata.

Vidi il tuo sorriso appena accennato e solo per un attimo ebbi un dubbio: forse, neppure le sbarre forgiate col potere divino sarebbero riuscite a fermarti, ora che avevi trovato una nuova ragione di vita.


[Perché... lui era l'esatta metà della tua anima]


Folle Figlio del Sole,


    Quella stessa notte, decidesti di forgiare il tuo destino: le catene si spezzarono, la gabbia si ruppe e tu in poco tempo passeggiavi tranquillamente sul candido marmo dell'Olimpo. Le guardie che attratte dal rumore provarono a fermarti finirono a terra, agonizzanti, imprigionate nelle fiamme create dalle tue stesse mani.
Avanzasti in cerca di una via d'uscita, tra corridoi infiniti di infiniti soldati, tramutando il biancore del palazzo in una sorgente di cremisi; ti fermasti solo quando i tuoi occhi smeraldini mi notarono e ciò che mi sconcertò fu la tua assoluta sanità mentale.
Non eri impazzito: da cosciente avevi deciso di opporti alle divinità, a Zeus, per seguire il tuo istinto.
Strinsi il mio sacro scudo, pronta ad affrontarti.
Ma ti trasformasti improvvisamente in fuoco e fuggisti alla mia vista. Dopo qualche istante, riuscii a notare nella notte un bagliore lontano, che precipitava nell'oscurità delle nubi.
Fui sopraffatta da un dolore al cuore che mi fece cadere in ginocchio, con calde lacrime che iniziarono a rigarmi il volto. Era tutto totalmente irrazionale, ma la consapevolezza che, dopo tanti anni a vegliare sulla tua esistenza, ti avrei perso per quel fratello tanto abominevole, mi rendeva incapace di agire.
Per un primo momento.
Poi provai solo ira. E vendetta.


[Ma io,
illuminata dal sorgere della nuova alba,
mi armai,
intenzionata a porre fine a quell'irrazionale follia
]


Fine Prologo!


Angolo dell'Autrice:



*prende un respiro*

Ho sinceramente ansia.
E non sto scherzando: questa fanfiction mi ha accompagnato per un lungo periodo difficile della mia vita in cui ci sono stati gravi cambiamenti. Vederla completa è quasi... catartico?


Comunque, ai pochi (o tanti, ma non voglio portarmi sfiga da sola) avventori, eccomi qui con questa breve fanfiction. Se vorrete continuare a leggere alcune curiosità sulla nascita di questa idea, sarò ovviamente felice; altrimenti vi ringrazio per aver recensito o per aver soltanto letto quel che ho scritto.

Spero che continuerete a seguire i miei deliri.


Il “progetto” (o parto gemellare, fa lo stesso) è nato da una sfida con me stessa: scrivere qualcosa sulle origini di un personaggio che, durante questi anni, ha fatto breccia nel mio interesse. Inizialmente “Halaktrya” è stato ideato come aiutante di un altro mio personaggio secondario (una sorta di personaggio secondario alla seconda), ma già al tempo cercava di prendersi più spazio del dovuto all'interno della vicenda generale; così alla fine mi sono decisa a buttare giù qualche riga su di lui e...
Niente, ho iniziato ad odiarlo
.
Non sapevo davvero come “
ruolarlo”: avrò riscritto e scartato decine di incipit, perché non mi convincevano fino in fondo (dico solo che in uno di questi, lui si travestiva da ballerina e dazava per gli dèi. Il fatto del travestimento l'ho comunque tenuto, citandolo in una frase in questo capitolo).
L'errore che più detestavo nella rilettura era proprio quello a livello caratteriale, visto che da protagonista perdeva alcune di quelle caratteristiche che lo rendevano particolare. Inoltre non sapevo nemmeno come far iniziare la sua relazione con “
SPOILER” (anche se è abbastanza intuibile): inizialmente doveva essere un rapimento (che comunque in fondo è rimasto, vero Zeus?), poi un colpo di fulmine, poi un'intesa reciproca, poi...
Ho abbandonato il progetto per dedicarmi a qualcosa di più leggero, come quello dell'AU scolastica, potendo così provare diversi stili, tra cui anche la seconda persona singolare.
E mi si è accesa una lampadina.
Diciamo che la stesura del capitolo è stata molto fluida proprio grazie a questa sorta di “dialogo” tra personaggi. Non ho inventato nulla di nuovo, però sono riuscita finalmente a vomitare addosso ad “Halaktrya” tutte quelle caratteristiche che in terza persona non riuscivo a far emergere allo stesso modo (infatti sembrava sempre una dannata Mary Sue... cioè, anche adesso lo è secondo gli standard dei miei protagonisti, però per ogni suo pregio ci sono almeno tre difetti, quindi mi sento più soddisfatta).


E così eccoci qui al primo capitolo. O prologo. O... beh, introduzione.


Comunque, come sempre, di nuovo un ringraziamento speciale a tutti quelli che daranno una speranza a questa storia.


Un bacio da _Lakshmi_!

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Capitolo 2
*** Mattina ***


Primo Capitolo

Primo Capitolo:

Mattina


[Invadesti fin da subito i miei spazi,
con la tua sola presenza odiosa
]


Il mio primo errore;


    Ero cresciuto nella superbia e nell'egoismo, curato appena da ninfe più impegnate con mio padre che con me; ancora adesso, se ricordo quei tempi passati, sento i loro richiami preoccupati al pari lontani echi, proprio come li sentivo al tempo mentre correvo indisturbato nella natura, con quella stessa libertà che tu avevi tanto desiderato.
Quante volte ero caduto. Quante volte volte mi ero rialzato. Quante volte avevo fatto frustare le mie tutrici per negligenza.
In quella vita selvaggia, non ebbi modo di conoscere l'empatia, la pietà o altri buoni sentimenti che accomunavano gli animi deboli.
Per questo, quando ti vidi sulla soglia dell'Accampamento, non provai altro desiderio se non quello di umiliarti: volevo sfregiare quel bel viso e quel bel corpo tanto decantati da Zeus, volevo ridurti ad una semplice macchietta inerme.
Ti trascinai per la lunga chioma castana fino all'arena dei combattimenti e lì ordinai ai miei seguaci di trattarti con le dovute attenzioni. Solo in seguito mi raccontasti tutte le oscenità vissute in quei lunghi, eterni momenti, dal taglio dei capelli, fino al denudamento.
Beh, ti saresti meritato anche di peggio.
Mi sedetti sugli spalti in mezzo agli altri Makhai, attendendo con trepidazione la tua morte.

« Chi è quel ragazzo?» Pόlemos, che aveva preso posto accanto a me, sembrò stupito -e vagamente affascinato- alla vista di un così grazioso ragazzo in un covo di guerrieri temprati e sfregiati dalla guerra.
« Qualcuno che morirà presto.» risposi senza distogliere gli occhi cremisi dal tuo corpo statuario.

Sì, è vero, la tua bellezza aveva fatto breccia nel mio interesse, ma per altri motivi: non avevi i tratti dolci ed effeminati di Ganimede, bensì i tuoi occhi erano sottili, tipici delle tribù barbare, così come il resto del viso affilato, la carnagione baciata dal Sole e la tua bassezza, che non era mai riuscita a toccare neppure la mia spalla.
Possederti, equivaleva possedere interi territori inesplorati, selvaggi, ancora senza un padrone.
Questa era la tua vera bellezza.


[Desiderai ucciderti,
desiderai scagliarti nel Tartaros con le mie stesse mani
]


Il mio secondo errore;


    Una volta, mentre eri concentrato a seguire con lo sguardo il volo circolare di un gabbiano, iniziasti a farneticare qualcosa sul fatto che, secondo te, avevo l'animo di un bambino, tanto feroce e sanguinario quanto estremamente ingenuo e semplice: per questo, in quell'ormai lontano giorno, dopo aver contemplato a lungo la tua armonica danza con cui avevi mietuto vittime su vittime, non ero riuscito a frenare l'istinto.
Ma tra noi due, l'unico che si atteggiava da infante in cerca di attenzioni eri proprio tu.
Piombai improvvisamente nell'arena, richiamando scudo e lancia, pronto più che mai a versar il tuo sangue che tanto mi aveva attirato; calpestai i cadaveri degli sconfitti, balzai davanti ai tuoi occhi, mirai al tuo ventre.
Ma fendetti unicamente grigio fumo.
Riprendesti forma corporea pochi attimi dopo in perfetto equilibrio sulla mia lama, sfoggiando un sorriso sfacciato.

« Lurida puttana.» ringhiai feroce, credendo di incuterti timore, ma ispirai solo il tuo divertimento.
« È Halaktrya, mio Signore.»

In risposta a quell'evidente scherno, grugnii cupo e provai ancora una volta a colpirti, ma saltasti elegantemente alle mie spalle, bruciandomi addirittura il mio lungo mantello cremisi con bianche fiamme generate dal tuo stesso cuore.
A quel punto nulla più frenò la mia ira: iniziai ad attaccare in modo serrato, brutale, bestiale. E tu, prezioso divertimento di Zeus, mi dimostrasti di essere un degno combattente, capace di tener testa persino ad un dio.


[Però,
al primo confronto con la tua pazzia
]


Il mio terzo errore;


    Con le ginocchia ben premute contro i tuoi fianchi, strinsi le mani callose attorno al tuo magro, delicato collo, pregustandomi già la dolce fine dello scontro. Mi chinai per ascoltare i tuoi ultimi, sofferti respiri, socchiusi gli occhi per assaporare la morte scorrermi tra le dita.
Tuttavia, quell'attimo idilliaco fu disturbato da un possente battito di ali che sferzò il mio viso.

« Pa'! Ci sono le tanto guardie di nonno Zeus davanti all'accampamento. Cosa tanto faccio?»

Allentai un poco la presa e fissai con estremo odio il mostruoso Deimos, mio primogenito, giunto a portare notizie. In effetti, mi ero dimenticato che non eri un semplice soldato o un prigioniero di guerra, bensì un traditore che aveva offeso le divinità.

« Alzati.»

Al mio ordine, Deimos si sollevò immediatamente da terra sui suoi zoccoli caprini, mostrandosi in tutta la sua deformità: la nera carnagione si completava in gigantesche ali corvine arcuate, che riuscivano a creare un'ombra terrificante sul resto del corpo ingobbito, risaltando la luminosità inquietante ed innaturale degli occhi cremisi, unico colore oltre la scomposta chioma d'un rosso scuro, mia eredità.
Era deforme e storpio, aveva difficoltà ad esprimersi, ma era anche un combattente eccezionale e un valido soldato.
Quando lo difesi davanti a te la prima volta, i tuoi occhi smeraldini furono colti da una luce insolita, donandoti un'espressione decisamente sorpresa.

Ares, il dio degli aspetti più violenti della guerra, è un padre migliore di molte altre divinità.” avevi pronunciato quelle parole con una leggera nota malinconica, decisamente in disarmonia con quel tuo sorriso naturale che sempre adornava le tue labbra quando eri al mio fianco.

« Chi comanda le guardie?»
« La tanto zia Athena. Mi sembra tanto arrabbiata.»

Allargai un ghigno divertito, addirittura feroce. Mi alzai in piedi, liberando il tuo corpo posseduto nel frattempo da violenti spasmi di tosse dopo interi attimi di apnea.

« Dobbiamo darle un caloroso benvenuto.»


[Mi ritrovai disarmato,
totalmente conquistato dal tuo folle ingegno
]


Il mio quarto errore;


    Fissai mia sorella dalla cima delle mura che delimitavano l'Accampamento militare: anche un occhio disattento avrebbe notato il suo amore nei tuoi confronti, o comunque quella strana importanza che ti riservava; ciò fece scattare in me un sano spirito di competizione e, per dimostrarle che avevi già un padrone, poggiai una mano sulla tua spalla.
Mi compiacqui nel vedere il suo sguardo assottigliarsi in un'espressione di puro odio: lei aveva sempre avuto tutto, aveva sempre vinto tutto; ed ora desiderava anche te.
Sciocca ragazzina.

« Athena. Ritira i tuoi uomini.» strinsi ancor di più la presa, arricciando la stoffa del mantello che ti avevo donato per coprire il tuo nudo corpo.
« Lui appartiene a nostro Padre. Restituiscilo.»

Per te concorrevano addirittura tre divinità: per il nostro egoismo, avevi acquisito un valore paragonabile solo alla sventurata Mela d'Oro.
Il tuo succo, però, era infinitamente più invitante e proibito.

« Alectryon è un mio soldato: ha scelto di convertirsi al mio culto. È una mia proprietà. Solo a me spetta punirlo.»

Stranamente, anche se ti lamentavi per ogni più piccola sciocchezza, non protestasti mai per la grecizzazione del tuo nome: inizialmente affermasti che ti piaceva il suono della mia pronuncia; in seguito, in un momento più intimo, mi confessasti che quel mio errore per te fu significativo quanto un secondo battesimo, una seconda nascita.
Così, per me, quello diventò a tutti gli effetti il tuo nome.

« Non ha prestato alcun giurament-...»
« Ha giurato di servirmi. Lui ormai è mio, neppure nostro padre può spezzare un voto solenne.» la mia voce sovrastò quella della dea della Sapienza: non avevo alcuna intenzione di cederle l'ambito trofeo, tanto che ormai non mi interessava nemmeno più la realtà dei fatti o la pura falsità.

Io dovevo averti.
Dicevi sempre che ero un pessimo sportivo: amavo vincere e, in caso di sconfitta, ti sfidavo e ti sfidavo ancora fino a primeggiare sulla tua stanchezza.
Avevi perfettamente ragione.

« Ritira i tuoi uomini, Athena. È l'ultimo avvertimento.»

Lei cercò comunque qualche traccia di assenso o di menzogna nei tuoi occhi, ma tu eri assolutamente impassibile, assolutamente fedele al padrone di quelle unghie che ormai ti avevano lacerato la carne.

« Tu menti, Ares!» urlò alla fine indignata, avanzando di un passo.
« Vuoi una dimostrazione?»

Al cenno della mia mano, dalle ombre dei soldati scelti di Zeus si materializzarono diversi spiriti della battaglia; Deimos stesso partecipò al massacro, paralizzando nel terrore i nemici con un solo battito d'ali, per poi far rotolare a terra le loro teste grazie ai suoi artigli affilati, degni di una fiera.
Mia sorella ripiegò a dar ordini agli arcieri perfettamente schierati nel bosco, ma in quel frangente scardinasti ogni sua ambizione.
Un gracchiante crepitio giunse alle sue orecchie: si voltò quel tanto che bastava per scorgere le alte, bianche fiamme divine divorare la sterpaglia, gli alberi, i corpi dei guerrieri e persino ogni altra macchina da lei ingegnata per contrastare la mia forza bruta.
In un attimo, tu le avevi distrutto ogni suo piano. In un attimo, riuscisti a conquistarti totalmente la mia stima.

« È tutto vero, divina Athena: la mia vita e la mia morte appartengono solo ed unicamente ad Ares, divinità a cui sono devoto.» la tua voce sicura riuscì a sovrastare le grida di dolore, gratificando il mio animo e il mio ego « Nessun altro può reclamarmi.»

E sull'eco di quell'ultima parola, Athena dovette accettare la propria sconfitta.


[Tanto che non riuscii a compiere quella che chiamano “Giustizia”]


Il tuo primo errore;


    Ero troppo esaltato per pensare alle conseguenze delle mie azioni: ancora, al solo chiudere delle palpebre, ero in grado di scorgere la disfatta sul viso battagliero di Athena; e ciò mi appagava, mi rinvigoriva, mi faceva sentire invincibile.
Quasi mi dimenticai di essere seguito, fino a che non mi ritrovai solo con te nella mia tenda: al momento, sentivo unicamente il bisogno di possedere una schiava qualsiasi, di sfogare nel sesso ogni tensione provata, e la tua presenza era di troppo.
Ormai non mi servivi più.
Schiusi le labbra per annunciare il congedo, ma giunse prima la tua voce.

« Tu non pensi mai due volte prima di agire, vero?» sospirasti affranto, avanzando in quello spazio decisamente povero, rude quasi quanto il proprietario.
« Cosa?» fui sorpreso da quell'improvviso rimprovero, che mi smorzò notevolmente l'entusiasmo.
« Non ho prestato alcun giuramento, niente mi vincola a te, infatti posso ancora fuggire per tornare tra le braccia di Athena. E tu cosa faresti a quel punto?»

Dalla sola osservazione, avevi compreso immediatamente i miei punti deboli. E già al tempo, ti eri piazzato nella lista.

« Ti ucciderei.»
« Già, ovvio. Ma le altre divinità? Ti immagini le grasse risate per la tua ennesima magra, magrissima figura?»
« Tu vuoi morire.»
« L'ennesima vittoria di tua sorella e di tuo padre. Beh, poco male, ormai ci sarai abituato.» la tua voce divenne affilata quasi quanto la lama di una spada.

Ciò fu abbastanza per eccitare il mio animo sanguinario.
Riuscisti a schivare la prima carica, ma non la successiva, fulminea presa al collo che ti scaraventò contro la superficie lignea del tavolo.
Per me era giusto concludere la questione dove l'avevamo interrotta durante il combattimento: ti avrei strangolato per poi sfregiarti, deturparti, così da strapparti quella bellezza tanto fastidiosa.
Dopotutto, eri solo la dannata prostituta di mio padre.
Sul suono tintinnante delle coppe vuote di vino che cozzavano l'una con l'altra cadendo al suolo, tuttavia, le tue dita strinsero con vigore la mia mossa chioma cremisi; non ebbi il tempo di riflettere sul motivo di quel gesto, visto che fui sopraffatto da un gesto ancor più irrazionale.
Un bacio.
Incontrai le tue labbra in un bacio passionale, decisamente impulsivo e travolgente, che seppe annientare ogni mia difesa, ogni mia ostilità. Anzi no, da parte mia non ci fu nemmeno il faticoso tentativo di contrastare una simile, folle pulsione.
Così, senza neppure riflettere su quel che stavo facendo, affossai le unghie nel tuo magro collo per strapparti un gemito strozzato, prima di allentare la presa ed avventarmi con la ferocia di un predatore affamato sulla tua gola arrossata, scoperta. Leccai, assaggiai, morsi quella carnagione calda, pulsante d'eccitazione, trovandola incredibilmente invitante e desiderandone ancora.
Ti sovrastai, impaziente: volevo renderti solo mio.

« Pa'! Ti ho portato le schiave come mi avevi tanto chiesto!»

Ma la voce squillante di Deimos mi riportò violentemente alla realtà.

« ... Ah? Vuoi tanto stare da solo con lui? Lo sai che io non ti tanto giudico, insomma, è normale sentirsi attratti da un altro uomo... penso.»

Perché non mi hai respinto?”, mi domandasti una notte, disturbando, come molte altre volte, il mio sonno con i tuoi sciocchi dubbi.
Non lo so, Alectryon.
Per il mio letto sono passate migliaia di donne. Ma un solo, unico uomo.
Andavi particolarmente fiero di questo tuo primato, tanto che lo difendevi addirittura con velati sprazzi di gelosia quando, ai ricevimenti, Ganimede si avvicinava per parlare: eri divertente, lo devo ammettere, anche se tutte le tue fatiche erano inutili, visto che tu eri come il Sole, centro dei miei interessi.
Il mio Sole.

« Anzi, Pa': io ti tanto supporterò sempre. Ecco, era questo quello che volevo tanto dire.»

Fino a quel momento ero sempre stato avverso alle divinità che si concedevano a qualsiasi creatura vivente, animale o vegetale, di qualsiasi genere. Eppure, per colpa tua, dovetti scardinare in parte questa mia convinzione.
La prima di molte altre.

« Deimos... vattene.» la mia voce roca vibrò nel silenzio, riportando all'ordine l'animo decisamente infantile del Daimon del Terrore « E porta con te quelle puttane. Fanne ciò che vuoi.»

I miei occhi cremisi, attratti da un improvviso movimento, si spostarono allora sul tuo corpo: pensavi, infatti, che ti avrei congedato e ti stavi preparando ad andartene.
Sogghignai divertito.

« Tu, Alectryon, rimarrai qui.» pronunciate con accurata lentezza queste parole, in particolare il tuo nome, mi gustai la totale sorpresa sul tuo viso « È la giusta punizione per ciò che hai fatto.»

Avevi fatto un evidente errore di calcolo: non mi era mai interessato il parere della mia famiglia; agivo unicamente secondo il mio egoismo, secondo le pulsioni del mio animo.
Ma tu questo già lo sapevi.


[E ti lasciai in vita,
preferendo vivere ogni giorno le prime luci del nostro sacro rapporto
]








Fine Primo Capitolo!


Angolo dell'Autrice.



Come sempre, voglio ringraziare chi ha letto il capitolo e anche chi ha recensito, mettendo in luce punti poco chiari che spero siano più comprensibili ora.

In ogni caso, se ci sono sviste, errori o altro, fatemelo pure notare.

Qui a seguito ci sarà una mia piccola tradizione, visto che a voce sono una frana, a scrivere ancora peggio, però perlomeno con il computer riesco ad esprimere meglio i miei sentimenti. Quindi... nulla, spero che continuerete a seguire i miei deliri e ci vediamo al prossimo capitolo!


Un bacio da _Lakshmi_!




E siamo arrivati in quel periodo.
Quel periodo in cui si avvicina il compleanno della mia lettrice silenziosa numero uno.
Ci tengo a perpetuare questa tradizione anche quest'anno come gli altri anni perché, beh... mi sopporti nella vita reale e con il tuo sostego, le tue risate, le tue riflessioni mi sproni non solo a scrivere e modificare parti di capitolo (non assomiglia più ad Edward Cullen, vero? *faccina implorante con occhioni lacrimosi*), ma soprattutto a migliorarmi proprio come persona: può sembrare banale, ma, essendo tremendamente timida ed introversa, sapere che c'è una qualcuno che non mi prende in giro per le mie passioni e che mi è amica per quel che sono realmente, mi da quella sicurezza che a volte -troppo spesso- mi manca.

Ok.
Ho un momento feels da occhi lucidi.
Ora mi riprendo.
Non so perché lo scrivo, ma è l'una di notte, quindi va tutto bene.

Dalle medie fino ad oggi, abbiamo condiviso un sacco di momenti assieme, come ad esempio trascorrere la notte a giocare a Devil May Cry 3 o Alone in the Dark (maledetti mostri nascosti nell'acqua), fare mega maratone di anime, guardare per la millesima volta il film di Alexander, provare tè dai gusti improbabili (quello irlandese... quello me lo sogno ancora di notte) e molti altri. Sono tutti ricordi importanti perché sono veri... sinceri.

E spero che ce ne siano altri, per i prossimi anni, perché davvero... sei un'amica speciale e mi sento fortunata ad averti incontrata: non è semplice sopportarmi, lo so, però non mi hai mai fatto sentire un peso, fuori posto, quindi... davvero, grazie.

Poi, insomma, quale altra persona guarderebbe con me cartoni animati cinesi per apprezzare la bellezza e la mestrualità di zio Cheng? (No, non è vero, Jiang Cheng è un personaggio da amare, poverino). O live action giapponesi? Vogliamo davvero parlarne?
Ok, la pianto.
Forse.
Anche se, riflettendo in questo momento demenziale, devo ammettere che Alone in the Dark, il tè irlandese dal dubbio contenuto e Ares Cullen sono sullo stesso piano per quanto riguarda i miei incubi notturni.
E su questa immagine speciale, bellissima e sbrilluccicosa, ti auguro buon compleanno.


Auguri!!! (ora vado a ibernarmi in attesa di consegnarti anche il regalo che il postino mi ha tirato gentilmente nel giardino sta mattina. Ringrazio che non si sia rovinato).

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Capitolo 3
*** Mezzogiorno ***


Secondo Capitolo

Secondo Capitolo:

Mezzogiorno


[Perché?]


Come ogni altro uomo,


    Ti vergognavi dell'amore: non riuscisti mai a pronunciare le due semplici parole “Sono innamorato”, anche se di notte cercavi la mia carne e alla luce del Sole, inspiegabilmente, cercavi la mia compagnia, intrattenendomi spesso per scambiare opinioni o per raccontarmi alcuni episodi cruenti di battaglie passate, esaltando in modo particolare le tue eroiche gesta.
Per me invece, era tutt'altra faccenda.
Alle tue attenzioni provavo sia compiacimento -visto che erano dopotutto un'ennesima riprova della mia spiccata abilità-, sia un profondo senso di vertigine, che cresceva giorno dopo giorno esponendo la mia inadeguatezza: era infatti un nuovo sentimento per me; tutto ad un tratto, ogni mia esperienza con gli altri uomini era annullata e mi ritrovai disarmato alla mercé del tuo interesse, arrivando addirittura a pregare che quegli attimi trascorressero infiniti, senza mai esaurirsi. Ad ogni tuo tocco, ad ogni tua parola, sentivo la mia sanità mentale venir meno, oppressa da una casta incertezza e dal nocivo veleno dell'Amore.
Già, mi stavo decisamente innamorando.
Te lo confessai un pomeriggio, in cima ad un promontorio. Eravamo entrambi distesi sull'erba, stremati da un lungo combattimento in cui, dopo tanto insistere e tante azioni scorrette, avevi primeggiato; ero esausto e impossibilitato a muovermi -soprattutto per colpa di quel violento calcio nel polpaccio- e forse per questo motivo avevo sentito l'esigenza di farti sapere cosa stava sconvolgendo il mio cuore.
Per qualcuno, magari, potrebbe sembrare sciocca, se non addirittura superflua, una simile dichiarazione dopo tanti momenti trascorsi insieme; tuttavia ero pur sempre un ragazzino che trovava naturale esternare alla persona amata tutto ciò che gli passava per la mia mente.

« Avvicinati, Alectryon.»

Non aggiungesti altro.
Io, spinto dalla curiosità, trascinai le mie membra al tuo fianco e fui sorpreso da una rude carezza sulla guancia, con quell'indice interessato alla mia bocca fin tanto che non fu vinta dalle tue labbra.
Ti avevo odiato in quei momenti. Davvero.


[Una domanda comune,
quando si confessa di amare una divinità tanto sanguinaria
]


Come ogni altro uomo,


    Faticavi ad esprimerti a parole.
Abituato agli elogi di Zeus, che spendeva grandi metafore per paragonarmi all'inestinguibile bellezza del Creato, trovavo insostenibile il silenzio dopo i nostri amplessi, il tuo assoluto mutismo. Per questo finivo sempre a conversare per due persone, in lunghi, tediosi, eterni monologhi.
Ti eri dichiarato ostile alla mia parlantina che t'impediva di conciliare il sonno, eppure ascoltavi i miei ragionamenti, i miei pensieri, le mie riflessioni. Certo, sbuffavi e ringhiavi come un cane alla catena, però quando una notte non ti rivolsi alcuna parola, ti voltasti per accertarti delle mie condizioni di salute.
Grazie a te iniziai a dare maggiore importanza a questi piccoli accorgimenti: è vero, non esprimevi l'affetto a parole, ma c'era tutta una serie di gestualità che sostituivano intere righe di dialogo.
Lo compresi ben presto.

« Alectryon.»

La tua voce mi sorprese: ero abituato a svegliarmi all'alba per avere il tempo di rinfrescare viso e corpo, mentre tu preferivi rimanere disteso nel talamo, dormiente o perfettamente vigile; tuttavia, quel giorno, non ti limitasti ad osservarmi in silenzio.

« Che succede?»

Ti avvicinasti e, prima di rispondermi, pretendesti con un muto sguardo il mio stesso trattamento.
Cambiai quindi l'acqua e con una nuova pezza pulita iniziai a carezzare le tue spalle, i tuoi pettorali, la tua schiena. M'inginocchiai, seguendo poi il corso della tua muscolatura allenata, dei tuoi sodi glutei, della tua rossiccia peluria.
Immersi il panno, strizzai e ricominciai. Palesai un'estrema, accurata lentezza per godere di quegli attimi in cui mi era permesso di esplorare liberamente il tuo fisico, senza l'impazienza della passione.

« Vuoi anche l'olio?» ti domandai e dal tuo silenzio compresi che desideravi proprio il servizio completo, fatto che mi fece sorridere «Ah... la mia musa è proprio capricciosa.»

Mi guardasti accigliato.

« Musa?»

Ti avevano già chiamato “Guerriero”, “Assassino”, “Amante”, ma “Musa”? Mai.

« Beh... tu ispiri il mio coraggio: al tuo fianco, potrei comandare un intero esercito.» a quelle parole mi osservasti con uno sguardo nuovo, decisamente stupito ed attratto forse dalla mia sfacciataggine, forse da quella bizzarra immagine. Scoppiai a ridere subito dopo, scuotendo il capo « E poi ti vedrei bene tra le muse di Apollo. Scommetto che anche lui ne sarebbe onorato.»
«
Smettila di fare l'idiota.» il tuo sbuffo mi suggerì che in realtà ti stavi divertendo: eri stato contagiato dalla mia allegria, anche se cercavi di rimanere serio.

Ti baciai più e più volte, mentre le nostre risate si perdevano negli schiocchi delle nostre labbra.
Seppur fossero trascorsi solo due mesi, avevamo raggiunto una complicità tale da mostrarmi, nei momenti più intimi, lati del tuo carattere decisamente lontani dall'immagine del brutale guerriero: innanzitutto eri estremamente curioso, infatti quando mi vedevi impegnato a scrivere dei resoconti bellici, ti sedevi accanto a me per leggere il mio punto di vista; a volte, confrontando la tua visione con la mia, mi impartivi -inconsciamente- anche importanti lezioni di strategia.
Non eri Athena, certo, però la tua esperienza sul campo di battaglia era altrettanto ampia. Ed io ascoltavo attento le tue parole, interessato ed affascinato.
Ben più particolare era invece il tuo senso estetico: eri attratto dalla bellezza, per cui nell'aspetto fisico pretendevi una certa attenzione anche da te stesso; mi chiedevi di regolarti la barba, i capelli ti piacevano lunghi, ma non oltre le scapole e a volte, con eloquenti sbuffi o grugniti, dettavi legge pure sul vestiario.
Ma odiavi sprecare tempo per la cura del corpo.
Io ad esempio adoravo la tua chioma: era d'un rosso vivo, sangue, naturalmente mossa in morbide onde, tuttavia non potevo dedicarmi troppo a lei, visto che tu, dopo appena due sforbiciate, già minacciavi di andartene.
In altri momenti, però, sapevi essere più paziente.

« Alectryon.» la tua voce roca sfiorò il mio orecchio, facendomi trasalire mentre eravamo ad un passo dal talamo disfatto. Mi guardasti per un breve istante con un ghigno soddisfatto, beandoti di quel viso accaldato e di quell'impellente desiderio che tu stesso mi avevi istigato con le tue dita callose, ma abili « Non vuoi sapere perché mi sono svegliato così presto? Dell'invito di mio padr-...»

No, Ares. Non era il momento, davvero.
Ero conscio che per te alzarti al sorgere del Sole era effettivamente un evento raro ed importante, ma, con il tuo corpo che premeva contro al mio, avevo altre urgenze. Le avevamo entrambi.

« Dopo.» mormorai e, stanco del tuo procrastinare, ti spinsi con forza contro al letto per poi sovrastarti.

Adoravi esasperarmi, vedere fin dove il mio coraggio riusciva ad osare e, una volta appagata questa tua curiosità, decidevi di premiarmi a modo tuo.
Quella mattina non dimostrasti alcuna fretta e domasti la mia impazienza grazie ai tuoi tocchi, alle tue parole, per rendere quegli attimi più duraturi ed intensi. Ed io mi lasciai modellare dalle tue dita, dal tuo respiro, liberando la mente da ogni timore per il futuro.

« E così ti sei innamorato...» osservasti con un affanno nella voce, una volta accolto nella mia carne.

Socchiusi gli occhi.
Annuii piano.

« Il mio Sole.»


[Ma la verità è che,
pur spiegando i miei sentimenti
]


Come un qualsiasi altro uomo,


    Eri terribilmente territoriale.
Alla fine, ti accompagnai sull'Olimpo.
D'altronde non sopportavi i banchetti, o per meglio dire la tua famiglia, per cui mi avevi convinto a partecipare per rendere la giornata più interessante, anche se per me si rivelò una difficile prova per la pazienza: non tanto per quel che avevo fatto, anzi, le mie azioni erano state -stranamente- perdonate dal magnanimo Re degli Dèi, ma per il tuo comportamento.
Giunti nella sala del ricevimento, mi invitasti a sedere alla tua destra, spostando addirittura il trono. Guardai le altre mogli, sedute alla destra dei loro mariti, poi mio padre, che mi fissava austero, come per dirmi: “Ti ho detto di onorare gli dèi, ma non intendevo questo”. Solo a quel punto presi posto al tuo fianco, beandomi della sua espressione sprezzante e delusa.
Quando i servi iniziarono a portare delle pietanze -a me e a pochi altri fortunati umani entrati nelle grazie divine, visto che per gli dèi i prodotti della Madre Terra erano tossici-, avvicinasti un acino d'uva alle mie labbra, cogliendomi di sorpresa ed attirando le attenzioni di alcuni tra i presenti, che attendevano solamente quei momenti per delle chiacchiere facili. Dopo un breve attimo di riorganizzazione mentale, accolsi il chicco in bocca sfiorando appena il tuo indice e il tuo pollice con un bacio delicato, senza distogliere l'attenzione da Hephaestus e dai suoi progetti complessi. Stupito per quella mia risposta sensuale e composta ad un tuo gesto sfacciato, sorridesti compiaciuto.
A tarda serata, quando i vapori dell'alcol mesciuto all'Ambrosia iniziarono a far effetto su voi divinità, tanto che molti ormai avevano abbandonato la sala, mi
invitasti con un gesto della mano a sedermi sulle tue ginocchia. Offerta colta immediatamente da una delle magnifiche figlie di Poseidon, caratterizzata da un viso leggermente allungato, una carnagione argentea, una bizzarra, acuta risata e soprattutto con una gran voglia di “socializzare”.
Ah, i miracoli della natura.
Le motivazioni del tuo comportamento così sfacciatamente esibizionista erano più che ovvie: molti occhi maliziosi avevano iniziato a studiarmi interessati e tu volevi semplicemente comunicare a tutti, a modo tuo, che ero di tua proprietà ed avresti ucciso qualsiasi spasimante senza distinzioni di razza, sesso o parentela.
Dopotutto, eri equo nei massacri.
Non riuscii a trattenere un sorriso divertito a quella tua spiccata gelosia.
Era un sentimento comune tra i divini, generalmente banalizzato con “specchio delle emozioni umane”. In verità, la gelosia divina è al pari della paura della morte per un qualsiasi altro uomo: gli dèi, infatti, non temono il trapasso, grazie all'ambrosia contenuta nel sangue dei Titani che rendeva eterni ed invulnerabili, al contrario però l'essere dimenticati è uno dei primi sintomi di una graduale perdita di potere, di importanza, fino ad arrivare ad una solitudine perpetua, ridotti a flebili spettri di un glorioso passato.
La gelosia, quindi, non è altro che la manifestazione di una paura inconscia e per questo motivo non giocai con i tuoi sentimenti: per me sarebbe stato semplice corteggiare un'altra divinità, però avrei compiuto anche un crudele atto empio, un deicidio nei tuoi confronti.
E il mio amore per te non si traduceva solo in passione, bensì soprattutto in rispetto.
Avrei voluto discutere con Athena su questo argomento. Anzi, avrei voluto semplicemente parlarle, anche di altro, anche di semplici pettegolezzi.
Ma lei era assente.

« Halaktrya? Siete davvero voi quel giovane dalla voce celestiale, capace di incantare i cuori di uomini e dèi?»

A prendere la parola fu la sfuggente figura di un... servo di mia zia Eos, fino a quel momento passato inosservato: il suo fisico era androgino con la carnagione fin troppo chiara, quasi non avesse mai sfiorato la luce del Sole, mentre i capelli liscissimi, lunghi oltre la metà della schiena erano di un caldo, cupo castano, del medesimo colore degli occhi sottili, a mandorla; inoltre indossava una particolare, candida, preziosa veste in seta a maniche ampie, con un'argentea fascia stretta in vita.
Era decisamente elegante e posato, nell'aspetto e soprattutto nei modi, tanto che ad ogni silenzio si ricomponeva a braccia mollemente conserte, celando le mani sotto la preziosa stoffa.
Era così diverso da me. Eppure così dannatamente familiare.

« Sono davvero così famoso?»
« Fidatevi, pagherebbero qualsiasi prezzo pur di ascoltare la vostra voce. Ed anche io sarei disposto.>>

Eos, stranamente, non gli intimò di sedersi, anzi si limitò a far oscillare il calice nella mano, fingendo stanchezza, ma in verità i suoi occhi celesti erano più che vigili.

« Vi prego, Halaktrya: voglio sentire quell'antica nenia.»

Quell'antica nenia.
Rabbrividii: dopotutto, non ero solo il Figlio di Sole.
Era un pensiero sciocco per qualsiasi altra creatura: come dimenticarsi della propria madre?
Ma mia madre era limpida e sfuggente, ancor di più di quel ragazzo: i pochi ricordi di lei aggrappati alla mia memoria erano le lunghe notti che aveva trascorso a cullarmi tra le sue braccia, mostrandomi a volte il suo bianco viso, in altre solo un lembo di pelle, fino a scomparire nell'oscurità della notte, abbandonandomi nelle tenebre rischiarate solo dalla luce del mio tenue fuoco sacro.
Compiuti i sei anni di vita scoprii che, per un torto alle divinità, era stata gettata nel Tartaros poco dopo la mia nascita. Eppure, il suo canto risuonava ancora nella mia mente, inciso nel cuore.
Fui sorpreso da una lacrima, che mi scivolò lungo la gota fino a schiantarsi sulla tavola.

« Che magnifica idea, quella del nostro ospite. La voce di Halaktrya è un vero balsamo per l'anima.» Zeus non distolse lo sguardo aureo da quel giovane, come se in verità lo stesse studiando da tutta la serata, cercando di capire le sue intenzioni.
« Io... non penso di essere così talentuoso: finirei solo per tradire le vostre alte aspettative.» per la prima volta nella mia vita, non desiderai far sfoggio della mia arte. Non comprendevo quel brusco cambio d'atmosfera e non volevo espormi troppo, rischiando di mettere in pericolo anche te.
« I mesi con mio figlio, incredibilmente, ti hanno reso più modesto.» il Padre degli Dèi si carezzò lentamente la barba curata, sospirando poi mesto « Mi dispiacerebbe congedare insoddisfatto un mio ospite.»

Provai a rispondere, ma sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
La tua mano.
Eri... preoccupato? In effetti, non mi ero mai mostrato così insicuro.
Chinai il capo cercando di riflettere, ma il cuore era sconvolto da mille pensieri ed emozioni: non riuscivo a pensare con lucidità, provavo solamente un insolito timore.


Canterai per noi, Halaktrya? Oggi c'è anche la luna piena, proprio come ai vecchi tempi.


Il misterioso ospite, quando alzai lo sguardo stupito per quell'inaspettato dialogo mentale, mostrò solo un sorriso affilato quanto una falce.


[Non si può comprendere la profondità di un rapporto,
finché non lo si vive
]


Come ogni altro uomo,


    Ti eri lasciato sedurre dal mio fascino.
Sul sorgere di un nuovo giorno, i miei polmoni si riempirono d'aria per poi liberarla in suoni armoniosi, decisi, inseguiti da una musica che cercava -pur fallendo- di eguagliare la medesima potenza: nell'assoluto silenzio plateale, molti divini spettatori furono costretti alle lacrime davanti alla forza di quel canto antico, da tempo perduto e volutamente dimenticato.
Non era un inno a Zeus, non era un elogio a nessun'altra divinità.
Era la voce di un popolo piegato alla schiavitù, incatenato nell'oscurità più remota del creato in attesa di rivedere la Luce.
Non parlavo la lingua dei Titani, eppure quell'unica nenia della mia infanzia era ben radicata nel mio animo: ero rimasto affascinato forse da quelle parole tanto melodiose, in un idioma a me ignoto, o forse da quel sentimento di speranza, da quella preghiera rivolta direttamente a Gea, Madre Terra.
Volteggiai libero al centro della sala e in quella confusione di visi, di pianti, di stupore, i miei occhi si soffermarono sui tuoi, che lasciavano trasparire un'emozione a me indecifrabile.
In seguito, mi domandasti spesso il significato di quel canto ed io, divertito dalla tua inusuale curiosità per qualcosa che andava oltre la sfera bellica, ti rispondevo sempre in un modo diverso: ora una canzone d'amore, ora di guerra, ora di morte; tutte risposte vere, ma nessuna esatta, e tu ovviamente ringhiavi innervosito, anche se poi nella quiete della notte mi chiedevi di cantare per te quelle parole.

La musica finì bruscamente ed io, sull'ultima pulsazione dei tamburi, m'inginocchiai in un solenne inchino mentre i musicisti tremavano affaticati da quel folle inseguimento della mia voce. Anche io ero stanco, sentivo il fiato mancare ed alla fine crollai su me stesso in un silenzioso pianto, vinto da quei sentimenti rivelati.
Sopportai interi attimi di assoluta, tediosa, scandalizzata quiete, fino ad un primo applauso da parte di Dioniso, seguito da Hermes ed infine dagli altri, pochi ospiti, ammaliati dal mio canto.

« Selene, dovevo immaginarlo.» con il suo intervento, Zeus soffocò ogni altra dimostrazione di apprezzamento « Non lasciate che quei ribelli abbandonino l'Olimpo!» aggiunse a gran voce, cosicché tutte le guardie riuscissero a sentirlo.

Mi guardai attorno, ma sia Eos, sia quel misterioso ragazzo erano scomparsi, così come molti altri invitati, spaventati dall'improvviso arrivo dei soldati.

« E tu.»

Per un solo istante, vidi riflesso nei suoi occhi l'ardente desiderio di uccidermi, di richiamare una folgore -simbolo del suo potere- e disintegrarmi. Ed io, in quel momento di assoluta quiete, ricambiai lo stesso sguardo ostile.
Perché si ostinava a tenermi in vita?
Dopotutto, ad ogni cambiamento, una reazione
.
Eppure Zeus non aveva mai reagito ai miei cambiamenti: ogni mia pietra scagliata non era mai riuscita a produrre alcuna increspatura sulla sua superficie.
Perché?

« Suppongo che tu non sia dell'umore giusto per dirmi qualcosa su Selene.» scherzai, mentre la mia carnagione si stava già frammentando in bianche, crepitanti fiamme.
« Tu dovevi rimanere rinchiuso in una sudicia gabbia.» continuò il monarca, tendendo il braccio verso di me. Nel suo palmo si materializzò una folgore che splendeva di assoluta onnipotenza, tanto che il solo sguardo prolungato feriva gli occhi al pari della luce del Sole.

Che mossa stupida.
Ma poi mi ricordai di non essere solo
.
Una fiera rossa, proprio in quell'istante di stallo e di studio reciproco, mi spinse bruscamente e violentemente di lato, tanto che rotolai a terra. Un'azione improvvisa che mi provocò, in pochi secondi, solo smarrimento, mentre il fulmine splendeva ancora nel palmo di Zeus.
Idiota. Eri un completo idiota.
Non mi ero mai curato della mia vita, prediligendo scelte bizzarre o mortali, ma per quanto riguarda la tua, era decisamente un discorso diverso; lo compresi quando, nella confusione più totale attorno a noi, mi immaginai il tuo terrificante grido di dolore, il devastante impatto dell'arma sul tuo fisico.
Probabilmente neppure l'ambrosia ti avrebbe salvato dal trapasso.
E questo pensiero spezzò il mio animo.
Tremai, pallido come un cadavere.

« Lui appartiene a me.» ringhiasti, coprendo la mia figura -ancora stesa a terra- dietro alla tua ampia schiena.
« Quindi ti sei davvero affezionato.» a quella sentenza tanto simile ad un disonorevole insulto, lo sguardo del sovrano si soffermò qualche attimo su di me « Hai giurato di difendere la tua famiglia, eppure hai deciso ugualmente di proteggere una creatura così instabile.»
«
I miei soldati sono l'unica famiglia che conta.»

Era più forte di te: non eri capace di riflettere.
Ciò che pronunciasti fu grave quasi quanto una dichiarazione di guerra: i più crudeli, spietati spiriti figli del conflitto ti erano profondamente fedeli ed avrebbero eseguito ogni tuo comando, anche il più folle come attaccare l'Olimpo; vista la tua posizione e la diffidenza con cui gli altri dei ti guardavano, dovevi essere proprio tu il primo a mostrare assoluta fedeltà a Zeus.
Eppure, già al tempo, sentivi quella lealtà fin troppo forzata. Ed era un sentimento pericoloso non tanto per le altre divinità, ma per te.

« Per carità, fermatevi!» Eiléithyia, tua sorella e dea della fertilità, accorse nella sala richiamata dal trambusto.

Sulla soglia, sopraggiunse anche tua madre, Hera, scortata dalle sue ancelle: non ti aveva mai amato, però dallo sguardo letale come il filo di una spada capii che era più che intenzionata a far valere la propria autorità di regina, non potendo mai accettare che il suo sano primogenito venisse sfregiato.
Solo con la sua protezione, Zeus scosse il capo, prima di ridere sommessamente come se tutto quello che era accaduto fosse solo una sciocchezza: era uno scherzo, diceva, una piccola diatriba tra padre e figlio, niente di grave.

« Andiamo, Alectryon.» mi aiutasti ad alzarmi, coprendomi le spalle col tuo mantello cremisi.

Nel silenzio generale, ti seguii fin fuori dal palazzo, in una lunga marcia funebre in cui i miei pensieri erano rivolti al velato ghigno soddisfatto che tuo padre mi serbò alla fine.
Tutto quel che era accaduto... tutto era andato secondo il suo volere.


[Finché non si prova sulla pelle lo stesso dolore]


Come solo tu eri capace,


    Riuscivi a farmi sentire completo.

« Sta sera non torneremo all'accampamento.» la tua sentenza spezzò il silenzio che si era creato tra noi, risvegliandomi dai miei pensieri.
« Ah no?
» corrucciai la fronte « Non fa un po' troppo freddo per dormire sotto le stelle?»
«
Seguimi: il mio tempio non è lontano.»

Mi fermai sui miei passi ancor più stupito.
Tu odiavi quel posto da secoli disabitato e non ti biasimavo, soprattutto dopo aver incontrato la tua amabile famiglia, eppure volevi andare proprio lì.
Perché? Cosa avevi in mente?
Smaterializzai il mio corpo per riapparire al tuo fianco, risparmiandomi attimi preziosi di tediosa discesa. Ti studiai cercando di cogliere un cenno, un qualcosa nella tua espressione, ma eri di pessimo umore, in collera con tuo padre.
Il rancore, covato per troppo tempo nel cuore, creava sanguinose faide e anche se non ero decisamente in buoni rapporti con Zeus, non volevo che agissi mosso da chissà quale desiderio dettato dall'ira.

« Muoviti.» mi ordinasti con tono cupo, precedendomi nel tempio.

Il primo passo nella tua casa.
Passeggiando per l'immenso atrio, svelai pian piano una parte di te che non avrei mai pensato di incontrare: la tua infanzia e la tua giovinezza. Pensando ad un dio, pensando a te, non riuscivo ad immaginarti bambino, eppure anche tu eri stato in fasce, innocente e forse con un po' meno odio verso il mondo.
Osservai attentamente quella muta storia raccontata tra le colonne sfregiate. Lasciai scorrere le dita sul freddo marmo e mi parve quasi di udire il riverbero dei colpi che mulinavi da ragazzino, fingendo di combattere contro i mostruosi Titani.

Muori, muori dannato Titano! Ti rispedisco nel Tartaros da cui provieni!”, potevo quasi sentire la tua stridula voce che inveiva contro i temibili nemici degli dèi.
Evidentemente, qualcuno ti aveva fatto cambiare idea.
E poi volsi uno sguardo alla tua titanica statua, che ti rappresentava come un aitante giovane armato di lancia e scudo, sbarbato e completamente glabro, nudo nella tua fierezza giovanile.
Tossii.
Tossii più volte.

« Non dire niente.»
«
Ah... lo sai bene che le battute facili non mi piacciono.» picchiettai l'indice sulle labbra arcuate in un sorriso giocoso « Anche se... che ci fa una statua di Ganimede qui? Insomma, vuoi farmi ingelosire?»

Forse, più che risollevarti il morale, stavo semplicemente rischiando di morire, ma per un'onesta risata questo e altro.

« Potresti essere tu, per quel che mi riguarda. Ho scopato donne più pelose di te.» e, superando il tuo malumore, rispondesti alla mia ironia infierendo sui miei mancati peli facciali.

Sognavo una curata barba da filosofo, lo sapevi bene, ma il Fato aveva deciso di farmi assomigliare ad un eterno adolescente.
Ma ero più che intenzionato a non lasciarti nessun'altra, seppur piccola, soddisfazione.

« Tipico di voi divinità: disprezzate l'antico, credendovi superiori.» con tono saccente, incrociai le braccia al petto, fissandoti con sguardo di sfida.

Tu, ovviamente, divertito dalla mia insolenza non evitasti il confronto, anzi, con un ghigno sadico eri già pronto a gustarti la vittoria: ti avvicinasti a me e scostasti un paio di ciocche, per poi sussurrarmi qualcosa.
Due parole.
E due sole parole bastarono per sconfiggermi.

« Non parli più?» inclinasti il capo, non smettendo mai, neppure per un istante, di ghignare.
« Sei sleale.»
«
Eppure non rifiuti l'offerta.»

Avevi vinto ancora una volta, vero, però mi accontentai di rivederti di nuovo felice, senza più quel cruccio che ti deturpava il viso.

« Ma prima, voglio che tu faccia dono del tuo fuoco.» camminasti verso un braciere spento, dandomi le spalle « Ogni mio seguace ha lasciato un segno nel mondo: Deimos e Phobos sono venerati come divinità, Pόlemos ha riunito e separato interi popoli, Alalà è sempre presente nel cuore dei soldati...»

Lasciare un segno: tipico degli dèi dopotutto.
I Titani non chiedevano templi, sacrifici o ricorrenze particolari: il dialogo con la Madre Terra e i suoi più antichi figli era intimo e personale, un contatto tra l'uomo e la natura più selvaggia senza mura che limitassero la vastità del creato. Viceversa, voi divini pretendevate opere colossali, titaniche, non solo per affermare la vostra grandezza, ma per essere venerati e quindi ricordati dagli umani, che in quest'ottica religiosa divenivano stolti schia... devoti servitori al vostro servizio.

« Tu sarai il fuoco che arderà nel mio tempio, così come sul campo di battaglia.» ti chinasti per raccogliere la fredda cenere, mentre ancora ti osservavo in silenzio, incredulo. Dopotutto, avevamo iniziato col parlare di velli umani e divini per finire con proposte d'una sacralità che mal si sposava col tuo carattere « Il mio soldato divinizzato.»

Divinizzare un Titano. Solo a te poteva balzare in testa un'idea così singolare.
Con l'atto della divinizzazione, il corpo perde completamente la propria umanità per poter accogliere il potere del dio, che come acqua in un fiume inizia a scorrere propagandosi fino ai più minuti capillari. Questo è quel che è accaduto ad alcuni dei tuoi seguaci, come Homados, un tempo un umano che per pura casualità aveva scoperto un'esplosiva reazione chimica: tu, dall'alto del tuo carro da guerra, eri rimasto affascinato da quella
magia che gli aveva sfregiato gran parte del viso e del fisico, tanto che per diletto lo divinizzasti, tramutandolo in un immortale, isterico sottoposto con un'insana fissazione per gli esplosivi.
Ma io, a differenza di Homados, non ero umano.
Se avessi accettato, il mio fuoco sarebbe fluito nel tuo corpo e il tuo potere nel mio, in un costante moto senza un inizio o una fine: un legame indissolubile, che in eterno avrebbe unito le nostre esistenze fino a quel momento divise.
I tuoi soldati sono la tua famiglia. E per te era giunto il momento che anch'io ne facessi parte.
I miei passi si dispersero nel cupo, solenne rimbombo del tempio.

« Non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni, vero?»

Bianche fiamme crepitavano sul palmo della mia mano, danzando silenziose, in attesa di congiungersi al loro nuovo padrone.
Quella fu la notte in cui mi convertii al tuo culto. Quella fu la notte in cui le nostre anime tornarono ad essere Uno.


[Di una lenta,
sofferta discesa verso gli Inferi
]






Fine Secondo Capitolo!




Due parole: sul dizionario di greco antico ci sono parole talmente lunghe e articolate che ne basta una sola per sostituire un'intera frase. Con due, probabilmente, Ares ha detto ad Alectryon il programma dell'intera settimana.



    Angolo dell'Autrice:


Mea culpa.

Quando ho ampliato la parte del banchetto, ho perso il controllo del mio lato oscuro: inizialmente, nelle prime bozze, Ares doveva “spassarsela” con Aphrodite, lasciando Alectryon nei casini, ma poi, non so bene quando, il mio animo fujoshi ha preso il sopravvento e... niente, ho dovuto mettere la scena in cui Ares imboccava Alectryon.

Scusa Aphrodite, sarà per un'altra volta.

Ok, al di là dei miei svarioni, questo capitolo l'ho ritoccato più e più volte, proprio per la caratterizzazione di Alectryon: sia nello stile più riflessivo rispetto ad Ares (infatti ho voluto mettere delle vere e proprie digressioni mentre la scena continua comunque a scorrere; volevo dare un po' l'idea del ragazzo che si perde a pensare, estraniandosi dalla realtà), sia nella resa delle altre sfaccettature del suo essere, come ad esempio l'insicurezza e, appunto, l'overthinking.
Non so se alla fine sono riuscita a dare l'effetto voluto, però rispetto a com'era originariamente posso dire che mi soddisfa. E per questo verrò punita dal karma, già lo so.


Detto questo, mancherò per qualche giorno per motivi personali. Quindi... nulla, vi lascio con questo capitolo!


Inoltre un grazie speciale a chi ha recensito e a chi ha aggiunto questa storia alle preferite/da ricordare!



Un bacio da _Lakshmi_!

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Capitolo 4
*** Pomeriggio ***


Terzo Capitolo

Terzo Capitolo:

Pomeriggio


[“Lascia ragionare un folle e ti sorprenderà sempre”]


Io ero lì, Halaktrya,


    Su quella collina di Atene chiamata, a seguito di quell'evento straordinario, Areopago.
Tutti, Olimpi e dèi minori, erano lì presenti per assistere alla disfatta di Ares, sotto processo per aver massacrato Alirrhóthios, il figlio maschio di Poseidon, solo per vendicare lo stupro di una ragazzina in un mondo in cui simili atti erano all'ordine del giorno.
Non era importante se fosse o meno imparentata con mio fratello: la morte di un semidio era ben più grave.
Seduta al mio trono come gli altri Olimpi, ascoltai con attenzione le parole del Re dei Mari, ricche di dolore per la prematura ed ingiusta morte della sua adorata prole. Terminò additando Alcippe come vile seduttrice.
Nel silenzio che seguì, la fanciulla non sopportò oltre le crudeli accuse e si sciolse in un pianto sommesso per la misera sorte del padre, rimasto fermo, immobile, con quegli occhi cremisi tanto simili a braci ardenti.
A quel punto sembrava ovvia la sentenza. Hermes propose persino, in tono scherzoso, di votare subito, senza tener conto delle parole di un selvaggio tanto ottuso.

Eppure, proprio in quel momento, la tua voce riecheggiò in difesa del tuo Signore.

Alle mie orecchie non sembrò neppure un'arringa, quanto invece l'armonioso canto di un aedo. Camminavi con la stessa fierezza e lo stesso splendore di un leone, sfoggiando quell'impeccabile sorriso e quegli occhi d'un intenso smeraldo, profondi quanto abissi.
Le risate ben presto si sopirono sui volti degli dèi minori. Le tue parole non solo trapassarono le corazze di noi Olimpi, ma soggiogarono persino l'animo dell'intera platea, tanto che quando terminasti per te non ci fu solo silenzio, bensì un'ovazione, un grandioso scroscio di applausi degno del più magnifico e clemente tra gli eroi.
A quel punto ti voltasti e ti inchinasti anche al pubblico che tanto aveva apprezzato il tuo passionale discorso. Solo Ares ti riprese immediatamente afferrandoti per la nuca, riportandoti all'ordine con un severo, quanto compiaciuto: “smettila di fare l'idiota.
Da esibizionista quale eri amavi fomentare le reazioni della folla, ma quel momento di estasiata acclamazione fu in verità solo un assaggio tuo reale potere: la votazione, infatti, risultò una vittoria schiacciante con nove voti su undici totali a favore di Ares.
Ingiustizia, diranno in molti: mio fratello si meritava una condanna, aveva ucciso e squartato il figlio di Poseidon per vendetta personale; eppure, grazie al tuo discorso, o forse grazie alla tua voce, avevi fatto passare per innocente il tuo Signore e per colpevole l'ormai defunto Alirrhóthios.
E il mare, per mesi interi, fu sconvolto da tempeste
.


[Questo è quel che mi disse un giorno mio Padre,
per giustificare la clemenza nei tuoi confronti
]


Io ero lì, Titano,


    Quando il Chaos soggiogò l'Olimpo.
Le origini della guerra contro Oto e Efialte non erano chiare: alcuni affermavano che fossero stati gli esseri umani a tradire la fiducia di Ares, mossi da un comune risentimento per gli dèi tiranni; altri, più maliziosi, ipotizzavano invece che fosse stato Poseidon a incitare e a aiutare i figli a compiere la rivolta, ferito com'era nell'orgoglio dopo la gravosa sconfitta al processo di Alcippe.
L'unica certezza, in quel clima denso di tensione, era la comune diffidenza nei tuoi riguardi.


Come ha fatto ad avere il consenso degli Olimpi?


Come ha fatto a sedurre Ares?


Manipola le menti a suo piacimento?


Così, quando Pheme con la sua immancabile malizia diffuse e gonfiò innumerevoli dicerie, i sentimenti più spregevoli dell'animo divino prevalsero sulla ragione, animando quell'odio ormai radicato: con Ares imprigionato, diventò ben presto credenza comune che tu stessi radunando sotto al tuo stendardo i Makhai ed altre creature sanguinarie per marciare sull'Olimpo.
Ovunque camminassi, riuscivo solamente a scorgere soldati in armatura, divinità minori pronte allo scontro a detta loro imminente, servi terrorizzati che mi chiedevano disperatamente consiglio. Passai accanto ai carri da guerra guidati da turbolenti aurighi che incitavano i padroni a compiere la prima mossa.
Io, ovviamente, non potevo credere a quelle voci.
Avevi più di un valido motivo per non essere in buoni rapporti con gli dèi, però nella tua follia c'era un'unica certezza: non ambivi al potere; eri una creatura estremamente egoista, attento solo alla tua persona e ai tuoi pochi affetti, per cui non ti interessava guidare un popolo alla rovina o alla gloria.


Halaktrya ha aiutato gli umani ad imprigionare Ares!


È in combutta con Oto ed Efialte!
Vuole liberare i Titani dal Tartaros!


Traditore, Traditore!


Il gracchiante canto di Pheme, tuttavia, continuava a riecheggiare nell'aria, sovrastando ogni altro grido per fomentare quella follia generale.
Raggiunsi il tempio di Ares, sul quale troneggiava la mostruosa figura della dea piumata dalle mille bocche e mille occhi. La fissai e lei mi fissò, distendendo le labbra in sorrisi raccapriccianti.
Senza neppure dar credito alle sue parole, entrai e notai uno spettacolo raccapricciante: i soldati, spinti dal rancore e dalla follia dettata dal terrore, avevano rovesciato i sacri bracieri, non sapendo che il tuo fuoco era realtà inestinguibile. E le tue fiamme, come per punire quell'empio atto, non più limitate dal focolare avevano iniziato a divampare in un incendio indomabile, soffocando in una morsa rovente i corpi di quei figli illegittimi.
Mi sentivo impotente davanti a quell'incandescente, titanico demonio senza una sagoma definita, d'un candore tale da ferire persino la vista. Indietreggiai, imbracciando il mio sacro Oplon, ma quell'entità oltre il divino guadagnò terreno, marciando informe aggrappata alle colonne portanti.
Arretrai di un altro passo.
L'insuperabile muro di fuoco ormai era vicino, eppure non si mosse, anzi, rimase ad ardere in silenzio, come se mi stesse osservando.
Lo fissai a mia volta e, contemplando quell'assoluto biancore, i miei occhi ti videro lottare contro nemici mostruosi, ombre sfocate e terrificanti, nella mia mente riecheggiarono i tuoi pensieri tra lo sconforto e l'ira, sul mio viso iniziò a correre una lacrima.
La tua.
La lasciai cadere lungo la gota, ipnotizzata com'ero da quella danza continua, incessante, che seppe trascinarmi in un circolo di follia. Iniziai a scorgere delle sagome prima confuse, poi lentamente sempre più nitide: riconobbi i tratti di mio padre, la sua folta barba e il suo sguardo severo; distinsi il tuo corpo incatenato, cosparso di cicatrici, consumato dalla debolezza.
Assistetti al lento avanzare di Poseidon nella tua cella.
Nella mia mente iniziarono a riecheggiare con maggiore insistenza le voci della folla, le grida sature di odio, il boato incessante che ripeteva una e una sola parola.


Basileus.


Non sopportai oltre. Ero pronta a squarciare quelle visioni, ma una delicata mano mi si posò sul petto, trattenendomi.
Davanti a me notai la minuta, delicata figura di Eos, eterna fanciulla che sembrava essere addirittura l'incarnazione della purezza con quei suoi grandi, innocenti occhi azzurri. Dopo un sospiro di sollievo, chinò il biondo capo esternando quella genuina preoccupazione che sempre provava nei confronti del prossimo.
Rivolsi lo sguardo alle sue spalle, sui cadaveri bruciati, ma non con mia somma sorpresa notai che non c'era alcuna traccia di loro.
Era stato davvero tutto un sogno a occhi aperti? Un'allucinazione dettata dalla follia?
Indietreggiai incerta di un passo, cercando una qualsiasi prova di quel titanico incendio, ma nulla sembrava essere realmente accaduto.
Dopo un'ultima occhiata, mi voltai, marciando in silenzio verso il mio tempio.


[Ma al di là di tutte le pianificazioni,
la verità è che tu riuscivi a destare interesse e curiosità
]


Io ero lì, Strategòs,


    Sul campo di battaglia, alla tua prima, reale guerra.
Desideravo ardentemente partecipare alla guerra contro Oto e Efialte per comprendere tutto quel che era accaduto. Desideravo interrogarti, svelare quei misteri che aleggiavano attorno alla tua natura.
Ma mio Padre, in consiglio, diede il permesso solo a Artemis e a Hermes di intervenire, tra l'altro unicamente in vostro soccorso.


Così hanno parlato le Moire.


Disse in tono solenne.
E noi tutti sottostammo ai suoi ordini.
Eppure, una volta raggiunto il mio tempio e ponderato sul da farsi, decisi di mia iniziativa di recarmi ugualmente sul campo di battaglia, spinta dal morboso desiderio di rivederti.

Fu un atto di follia il mio, non posso negarlo.
Sotto le sembianze di una civetta, planai quindi su quella piana sconvolta dal conflitto, convinta di stare per ammirare un drappello di soldati allo sbando, senza un comandante capace di guidarli: recisa la testa principale, era infatti più che plausibile che potessero esserne sorte altre nove; i seguaci di Ares, dopotutto, avevano una personalità particolare, forte, capace di riconoscere una ed una sola autorità incarnata nella divinità bellica che servivano.
Sicuramente non avrebbero ascoltato i comandi di un ragazzino che aveva da poco compiuto vent'anni.
Si parlava di soldati del calibro di Pόlemos, gigante di tre metri, rinomato per il carattere estremamente irascibile in cui dominavano due poli opposti, la strage e la famiglia; il suo voto a questi irremovibili fondamenti si traduceva in un amore protettivo nei confronti della figlia e nel desiderio di annientare totalmente il nemico, arrivando addirittura ad usare potenti droghe in grado di inibire i sensi ed accrescere in modo spropositato la forza fisica.
Tuttavia, dovetti ricredermi.
Una volta raggiunto il cuore della battaglia, rimasi a contemplare l'incredibile lavoro di una mente più che raffinata: eri riuscito a dar ordine e disciplina ad una massa disomogenea di spiriti, tanto che ora era quasi tangibile la sinergia che rendeva i numeri una singola unità in grado di compiere manovre perfette.


Per Ares!


Alalà, Personificazione del Grido di Battaglia, sorvolò il campo in groppa al proprio nero pegaso, lenendo le ferite degli alleati grazie ad una bianca, benefica luce.
Migliaia di frecce furono incoccate per abbatterla, ma gli arcieri finirono sgozzati dalle loro stesse ombre, che presero successivamente la forma di mostruosi abomini oscuri. Deimos piombò solo in quel momento in mezzo alle proprie emanazioni, diffondendo il terrore tra i nemici.
Grazie a quella paralisi momentanea, Pόlemos si fece strada con le proprie affilate, gigantesche asce bipenni, sterminando ogni singolo uomo sul suo cammino, mentre i lupi di nero fumo creati dall'essenza stessa di Phobos dilaniavano i corpi dei fuggiaschi, completando lo sterminio.
Ma tu, in quel caos, dov'eri?
Planai, alla ricerca della tua minuta figura, appollaiandomi alla fine sulla spalla di un colosso di pietra nemico, evocato da abili, potenti incantatori.

« Vieni fuori, Mago

Ed infine eccoti lì, a piedi, con indosso un'armatura piuttosto familiare... troppo familiare: le vestigia di un dio non potevano essere indossate da nessun'altra creatura, pena il disfacimento delle carni e dello spirito; eppure tu sfoggiavi comunque la sacra armatura di Ares, che ti vestiva come una seconda pelle, e con questa scelta ti eri addossato sulle tue spalle sia l'insostenibile tormento degli spiriti iracondi, vendicativi che ti turbinavano attorno, sia l'odio, il dolore, la calamità della Guerra in grado di spingere gli uomini a compiere scelte folli.
Eri senza dubbio uno Stratega con del potenziale, ma quanto ancora saresti riuscito a sopportare prima di crollare definitivamente nel baratro della disperazione?
Più che determinata a non lasciarti andare, stavo per raggiungerti, ma all'ultimo fui travolta da una tremenda esplosione ad opera di Homados, la cui risata isterica riusciva a superare addirittura le grida di dolore dei nemici.
La sua voce s'insinuò nella mia mente in un rimbombo assordante, tanto che qualsiasi altro suono esterno mi sembrò ovattato.


Oh! Guarda, guarda! Guarda chi ho colpito.


Il suo occhio d'un azzurro totalmente squilibrato luccicava feroce, mentre mi afferrava per la lunga chioma castana.


Hai sentito l'esplosione? L'hai sentita? HAI SENTITO.


A mia volta, seppur ferita per quell'attacco a sorpresa, lo afferrai per la nuca, avvicinando il suo viso al mio per intimidirlo, anche se dal suo repentino cambio di espressioni facciali compresi che il mio gesto fu mal interpretato.
Maledetto omuncolo arrapato.

« Homados, lasciami immediatamente: è la dea Athena che te lo ordina.» soffiai astiosa, chiarendo subito il mio disgusto.

Lui non smise di sghignazzare.


Oh? Io non vedo nessuna dea qui.


Inspirò a fondo il mio odore, prima di allargare un sorriso totalmente dissennato, che preannunciava ben altre intenzioni.


Carne. Solo carne.


Prima che potesse avvicinarsi oltre, gli puntai alla gola il mio Xiphos. Mi alzai lentamente, tenendolo a distanza senza distogliere neppure per un istante lo sguardo dal suo viso sfregiato.
Perché? Perché tutto ad un tratto erano mutati in una simile minaccia?
I Makhai erano soldati valorosi e soprattutto leali, ma nulla più, non avevano un potere che potesse eguagliare quello di una divinità.
Eppure lui mi aveva ferita.
Solo a quel punto compresi la reale gravità della situazione.
Il tuo fuoco.
Il tuo potere e quello di Ares fluivano in egual misura nei corpi di quegli assassini.
Era assurdo solamente pensarlo, ma era come se tu e il dio della Strage foste diventati un'entità unica, diversa da uomini e dèi, e per questo gli spiriti bellici, che vivevano grazie al potere del loro Signore, ora traevano le forze anche da te.


Mhm... mi piacciono le donne coraggiose.


L'occhio folle del soldato fremette, un fastidio fisico che gli procurò una risata isterica, acuta e gracchiante che mi ferì i timpani.


Tu... TU diventerai la mia prigioniera, il mio bottino di guerra!
AHAHAHAHA!
UNA creatura incatenata... la mia SCHIAVA!


Dopo essersi asciugato la bava con un gesto sbrigativo, annuì compiaciuto più volte per quell'idea malsana, altamente improbabile.
Mai, piuttosto la morte.
Ma a rispondere al mio posto fu una freccia argentata che lacerò l'aria, impiantandosi al suolo in mezzo a noi. Scorsi il luccichio gelido delle ruote argentate del carro della Luna avvicinarsi sempre di più, fino ad apparire davanti a noi in tutta la sua opalescente bellezza.


Artemis.


Homados, non particolarmente sorpreso, raccolse il dardo e lo porse alla dea dalla ribelle chioma corvina.
Con mio estremo orrore, mi accorsi che la voce di mia sorella suonò
muta alle mie orecchie. Avvicinai tremante le mie mani ai lobi e mi lordai, con mio sommo orrore, del mio stesso Icore.


Ah, che rumore fastidioso.
Umana o divina, una testa esplode sempre allo stesso modo.
Io riconosco un solo dio! Voi altri siete solo carne da macello! Sì, sì!
Carne da macello... carne! Esplosione! SCOPPIO!


Barcollai priva di equilibrio.
Le immagini diventarono oscure, confuse. L'unico suono che potevo udire era il boato bestiale degli spiriti bellici, colmi di rancore, che, trovata una breccia nel mio animo, si riversarono all'interno come bestie affamate: Paura, Terrore, Astio, Odio iniziarono a lacerarmi la ragione; il mio cuore pompava il sangue fin nei timpani, annullando ogni altro pensiero al di fuori di quel rumore assordante.
Le mie mani, affette da un tremore incontrollato, lasciarono cadere la spada in un rimbombo cupo, solenne.


Voglio vedere sangue.
SANGUE.
HAI CAPITO? AHAHAHAHAHA!


La mia testa stava scoppiando, il doloroso pulsare mi stava rendendo folle.
Vacillai.
Provai sollievo solamente quando guardai le bianche fiamme del tuo fuoco che ardeva in silenzio consumando i cadaveri dei nemici.


Basileus!


Basileus!


Basileus!


Rividi la folla inneggiare la loro sovrana.
Poi, la totale oscurità.


[E il solo starti accanto,
generava un caotico agglomerato di emozioni
da tempo dimenticate da noi divini
]


Io ero lì, Alectryon;


    Alla fine della lunga guerra.
La ribellione di Oto ed Efialte aveva fomentato persino gli esseri umani, tanto che interi villaggi si erano mossi contro le divinità, rallentando notevolmente la spedizione. Si era diffuso un clima di speranza, di liberazione dal giogo di noi Olimpi, ma il tuo intervento -composto di sagge ed argute mosse e contromosse- era riuscito a riportare l'ordine e la pace, soffocando nel sangue la libertà.
Rafforzando la nostra tirannia.
In quella tua folle avventura, avevo provato un insolito orgoglio per i tuoi evidenti progressi: non eri più quel bambino abbandonato a se stesso, ora eri un uomo che combatteva al fianco dei suoi compagni per una causa comune.
La tua voce melodiosa era come un canto che animava i loro cuori, i nostri cuori. Ti avrebbero seguito fin nelle tenebre più fitte dell'Ade, se solo glielo avessi ordinato.

« Halaktrya.»

Curvo su te stesso in una solitaria preghiera nel tempio del tuo Signore, levasti il capo e lentamente ti voltasti, stanco.
I tuoi capelli, crespi, canuti, a quel lento movimento scivolarono sulla tua spalla, quasi a celare inutilmente quel tuo magro corpo, rivestito di una preziosa veste da cerimonia decisamente troppo ampia. Avvicinandomi di qualche passo, riuscii a scorgere anche quelle cicatrici, quelle occhiaie, quel viso emaciato, consumato... moribondo.
Già, eri un morto vivente, un cadavere ambulante che attendeva solo l'ultima sentenza.

« Halaktrya... tu... stai morendo.>>

Silenzio.
Il tuo animo provò ad esprimersi, riempiendo i polmoni di ossigeno, ma la tua estrema debolezza lo bloccò. Fermo, immobile nella tua posizione, non reagisti neppure quando avanzai, richiamando l'armatura completa: ti puntai al collo la mia lancia, lacerando il fragile tessuto, anche se contro ogni mia aspettativa la lama non si macchiò di Ambrosia.
Eri un corpo vuoto, prosciugato.

« Combatti! Combatti per gli dèi!» esclamai e nella mia voce infusi la stessa frenesia con cui animavo gli animi degli uomini « Non vorrai davvero spegnerti adesso, Figlio del Sole.»

Silenzio.
Avrei potuto trapassarti, sgozzarti come una bestia sacrificale, ma preferii abbassare l'arma e con essa anche il capo in segno di sconfitta.
Perché? Perché non ti eri opposto?
Avanzai di un passo incerto, ma ogni mio intento sfumò all'arrivo Phobos: i suoi occhi cremisi brillavano di puro risentimento da dietro l'elmo chiuso, che celava ogni sua apparenza femminea, mortificata anche dalle bende e dalla corazza in oricalco che le comprimevano il fisico. Ma questo odio non era vincolato al solo aspetto esteriore, bensì era una repulsione a livello psicologico, tanto che non sopportava neppure essere chiamato con alcun nome femminile.
Dietro di lui, avanzò un gigantesco, feroce lupo d'ombra con ancora indosso la corazza da combattimento.

Divina Athena, sono giunto per scortare Alectryon dal nostro Signore, Ares.


La sua voce rimbombò cupa e priva di sentimento per tutto il tempio.
Senza neppure attendere il mio consenso, ti sollevò malamente per sorreggerti tra le sue forti braccia. Mugugnasti qualcosa per il dolore, ma ti fu intimato di far silenzio e di risparmiare le energie.


Alalà riuscirà a guarirlo.
Oppure strapperò le ali a Thanatos.


Non mi sfuggì l'incrinatura della sua voce sull'ultima sillaba, come se fosse realmente giunto al limite.
Ares era ancora troppo debole, probabilmente non si era ancora ripreso dal coma in cui era caduto durante la lunga prigionia; e proprio in questa situazione, i suoi seguaci avevano visto in te un momentaneo capo, un valido condottiero.
Ma la tua luce stava lentamente scivolando nelle tenebre degli Inferi.
Quando vidi un'ultima volta i tuoi occhi vitrei, privi di qualsiasi calore, il mio animo -contro la mia volontà- sussultò.

« Portalo via.» mi voltai, prestando però attenzione ad ogni rumore di quel guerriero scelto.

Infine, il silenzio. Di nuovo.


[Un agglomerato di emozioni chiamato comunemente
Vita”]





Fine Terzo Capitolo!


Basileus: dalle fonti che ho trovato, può essere tradotto anche come “Re dei Re”. E niente, io, conoscendo la saga di Fate, mi sono immaginata un mega-crossover con Gilgamesh, Arturia e Alessandro Magno.



    Angolo dell'Autrice:


Ho compiuto gli anni. Mia madre ha compito gli anni. Mi si è infiammato un nervo. Ho avuto la febbre. Tutto questo nel giro di pochi giorni.
Ora mi sono ripresa, più o meno.
Tranne per il caldo.


Comunque, parlando invece della storia, beh... cosa dire?
Dopo anni a incentrare fanfiction su personaggi positivi, “buoni”, mi sto divertendo molto a scrivere le avventure di Alectryon, proprio perché non è né buono, né un villain, è semplicemente neutrale. E nella sua neutralità compie azioni crudeli, senza mai tendere al “malvagio”.
E... sì, è una soddisfazione personale.
Così come mi soddisfa la sua bellissima, purissima, altissima (?) famiglia allargata: insomma, più aggiungo dettagli ai soldati di Ares, più mi affeziono a loro. Molti sono ripresi da altre mie storie, però per questa fanfiction li ho resi ancora più “particolari”.
Ho calcato la mano, sì.
Ma... insomma, Zio Deimos tutta la vita.



Ok, per chiudere questo angolo demenziale, ringrazio tutti quelli che hanno recensito/letto/aggiunto questa storia alle preferite/seguite.


Un bacio da _Lakshmi_!


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Capitolo 5
*** Sera ***


Quarto Capitolo

Quarto Capitolo:

Sera


[Sai, nipote mio,
l'amore è cura e veleno al contempo,
soprattutto per noi Eterni
]


Non ero solo superbo;


    Il mio corpo era arrivato al limite della sopportazione fisica.
Era diventato un semplice, freddo involucro per la mia anima che cercava disperatamente di rimanere aggrappata alla vita, ai ricordi, al calore.
Il tempo scorreva implacabile. Il Sole tramontava e sorgeva. Ed io, in quell'insieme indefinito, persi il contatto con la realtà circostante, sprofondando in un nero baratro gelido e oscuro.
Era arrivato dunque il mio momento?
Sentii il filo della mia esistenza tendersi, prossimo al taglio finale.
Non avrei dovuto provare alcun rimorso: io ero il padrone della mia vita, ogni decisione presa era mia e un tempo avrei rivissuto quell'esistenza nella sua interezza più e più volte.
Eppure provai dispiacere.
Qualcosa di inaccettabile per il me stesso più giovane, spavaldo ed orgoglioso, che si poneva al di sopra di uomini e dèi, tuttavia quel sentimento si fece ugualmente strada nella mia coscienza, sconvolgendo la mia anima.
Ti avrei perso.
Questa consapevolezza mi privò della mia sicurezza, gettandomi nella malinconia di una morte vuota, priva del tuo
calore, quello stesso calore che la mia anima cercava. Non era devozione o infatuazione, era bensì amore, in senso carnale e spirituale, un tutt'uno che sbaragliava ogni difesa della mia ragione.
Lo compresi proprio in quel momento, quando una parte del mio animo -per punirmi subdolamente- mi ricordò i tuoi racconti bellici decisamente enfatizzati, le tue richieste più intime ed infantili, le tue mute attenzioni che riuscivano ugualmente a farmi sentire amato.
Una lacrima scivolò sulla mia guancia.
All'improvviso, una scossa di potere divino fluì con violenza nel mio cuore, destandomi dal torpore della morte per gettarmi bruscamente nella vita.
Respirai avidamente, più e più volte, come se fossi appena riemerso dall'acqua salmastra del mare.
La fresca aria graffiava la mia gola, mentre il mio sguardo era perso nei tuoi occhi cremisi, primo bagliore che vidi dopo tanta oscurità.
Non riuscii a comprendere se la tua fosse commozione o un crudele gioco di luci, visto che mi ritrovai stretto in un abbraccio vincolante, con il viso completamente sprofondato nella tua chioma rossiccia.

« Idiota.» mormorasti al mio orecchio quel rimprovero quasi liberatorio « Perché ti sei ridotto così? Volevi suicidarti senza il mio consenso?! Perché-...?!»

Perché l'ho fatto?
Beh, lo sapevi già.
Entrambi lo sapevamo.

« Ero in debito con te... mi hai salvato dalla folgore, ricordi?» biascicai stancamente fra i tuoi capelli, come se fosse una risposta più che ovvia.

Ancora non ero in grado di capire esattamente quel che stava accadendo: dopo un attimo di silenzio, mi ritrovai sopraffatto da un tuo rude bacio.
Non era un gesto famelico o passionale, quanto più... vitale.
Come se tu avessi realmente sentito la mancanza di quel contatto
.
Come se avessi avuto paura di perdermi.
Mi carezzasti la guancia con il tuo palmo calloso, soffermandoti poco sotto agli occhi.
Mi beai di quel calore, ora che la fiamma del mio cuore era totalmente assopita.


[Viviamo secoli, millenni,
in uno stato di perenne solitudine interiore,
in attesa di quella misteriosa creatura
]


Non ero solo un tuo seguace;


    Il cocente Sole pomeridiano mi ferì la vista.
Un disonorevole sfregio per un Figlio di Helios, tanto che maledissi i miei occhi secchi senza più alcuna lacrima da versare.
Odiavo mostrarmi debole, io, un tempo luminoso quanto l'astro del cielo diurno.
Sotto il tuo muto sguardo, lottai contro il mio stesso corpo, fin quando non chinai il capo, sconfitto. Cercai allora di fare i miei primi passi dopo chissà quanto tempo trascorso in un limbo tra vita e morte, ma barcollai pericolosamente e rischiai addirittura di cadere se non ci fossi stato tu a sorreggermi.
Cosa stavi pensando? Probabilmente ti sarò sembrato patetico.

« Lasciami.» mormorai, in collera con quel mio fisico estremamente fragile.

Inspirai, cercai l'equilibrio ed infine intrapresi una lenta marcia per l'accampamento stranamente silenzioso: niente urla, nessuna esplosione, solo il chiacchiericcio delle donne dei tuoi sottoposti occupate a tessere o a lavare i panni, con i figli impegnati in leggendari combattimenti con spade fittizie.
Avrei voluto farti delle domande, ma il fiato mi mancò, tanto che mi fermai, sempre più curvo su me stesso, come se l'intero peso della volta celeste gravasse sulle mie spalle.

« Alectryon.»
« N-no... sto bene.»

Passammo sotto a colorati teli e la sola vista della luce del Sole imbrattata con le tinte umane, che variavano dal rosso più brillante al blu più profondo, alleviò momentaneamente il dolore della mia anima. Mi accasciai contro una parete, stanco, e guardai la mia mano illuminata dalle sfumature del cobalto: pur essendone cosciente, provai una profonda desolazione alla vista del totale deperimento della mia carne, della mia pelle flaccida, morta, aggrappata alle ossa e alle vene rinsecchite come radici di una pianta.
Poggiai il palmo sulla mia gabbia toracica, sul cuore pulsante, in vista, freddo come il ghiaccio. Un solo colpo a quel glaciale nucleo vitale e sarei diventato cenere.
Eppure tu restasti fermo, a braccia conserte, con quei tuoi sottili occhi cremisi fissi sul mio cadavere.
Ripresi a camminare, trascinandomi per la salita che portava ad un promontorio.
A quel promontorio, nostro luogo d'allenamento.
Quante volte avevamo percorso quella strada insieme? Forse cento, forse mille, sempre con nuove promesse, sfide, insulti scherzosi tra noi.
E tutte le volte vincevi tu, sempre.
Mentre scalavo provando un estremo affanno ad ogni passo, mi sembravano ricordi davvero lontani, quasi fittizi, frutto della mia più crudele fantasia.
Arrivato in cima, crollai a terra.
Ebbi solo la forza per trascinarmi all'ombra di un albero, sotto le fresche fronde.
Tu, dopo pacati respiri, t'inginocchiasti al mio fianco ed afferrasti il mio cuore, stringendolo in una morsa ferrea. Io, ovviamente, non mi opposi: il mio capo ciondolò sulla spalla, mentre i miei occhi si chiudevano, stanchi.

« Non hai paura?»

Non avevo energie per parlare. Un mio respiro pacato sostituì un lungo, faticoso discorso.

« Io sì

La tua confessione fu invece la tua risposta alle mie intuizioni: non volevi perdermi. E per me valse più di qualsiasi altra dichiarazione d'amore che avessi mai ricevuto in passato.
Liberasti il mio nucleo dalla tua presa, ringhiando per la frustrazione.

« Bevi.»

Come quando si offre l'acqua ad un viandante assetato, così tu mi offristi il tuo icore sgorgante dal palmo della tua mano.
Ed io bevvi avido.
Ad ogni sorso, ad ogni singola goccia, percepivo la lenta rinascita del mio fuoco, un lento risveglio del mio potere: i filamenti muscolari iniziarono a creare una protezione per il cuore, per poi diramarsi per il resto del corpo; i miei occhi persero la loro lattiginosa opacità, riconquistando la forza per fissare il Sole.
L'Icore divino normalmente è tossico per qualsiasi creatura, umana o divina, eppure dopo anni trascorsi a cibarti della mia carne, il tuo era mutato fino a diventare una vera e propria fonte curativa con cui ormai eri solito guarire le ferite dei tuoi seguaci.
Per te non era un fatto così eclatante, anzi ignoravi ogni discussione a riguardo pronunciandoti solo con un secco sospiro, ma per me era più che strabiliante, tanto che, autoproclamandomi tuo portavoce, riuscii persino a convincere i sacerdoti del tuo culto a celebrare questo aspetto.
Certo, non avevano compreso appieno le mie parole e per loro “onorare l'Icore” significava sacrificare sull'altare piccoli cuccioli -a detta loro- dal sangue puro.
Però era pur sempre un'interpretazione valida, no?

« Nella solitudine della mia prigionia, il tuo fuoco non mi ha mai abbandonato, tenendomi in vita.» il tuo respiro sferzò il mio viso posato sul tuo grembo « So di chi è la colpa e non rimarrà impunito ancora per molto.»

Mentre parlavi, percepii un'incredibile stanchezza sulle mie spalle, tanto che faticai persino a comprendere il resto del discorso.
Mi accoccolai contro al tuo corpo e sorrisi.
Ero felice.


[Umano, Dio o Titano...
il Fato è oscuro a riguardo
]



Non ero solo un Titano;


    I piedi leggiadri del servo di Eos danzavano sulla superficie di un lago punteggiata da una costellazione di bianchi petali, tanto numerosi da sembrare il riflesso delle stelle del firmamento notturno.
Scivolava, volteggiava, si librava addirittura in aria in un'armonia costante che rendeva il suo stesso fisico inscindibile dalla lancia acuminata che impugnava con tanta maestria.
Solo in quell'istante, osservando il bagliore gelido della lama che rispecchiava i raggi della luna, mi accorsi di star assistendo ad uno scontro e non ad una magnifica coreografia.
La pura grazia illesa contrapposta al pesante, impacciato corpo di Helios, grondante di Ambrosia ed immerso nell'acqua fino alle ginocchia.
Mio padre stava... morendo? Ero totalmente cosciente che fosse un'allucinazione, un sogno, eppure sembrava fin troppo realistico.

« Quindi è questa... la tua decisione?»

Spoglio di ogni difesa, con una ferita agli occhi che l'aveva probabilmente privato della vista, attendeva la propria fine con una totale serenità in volto.
Inspirai a fondo, a pieni polmoni, e il pungente odore del suo sangue mi destabilizzò. Arretrai, proprio quando anche il servo di Eos indietreggiò di un passo.
Ruppe la fluidità dei movimenti per guardare un'ultima volta il suo avversario. Vidi chiaramente una lacrima correre sul suo viso privo di emozioni.

« Mi hai costretta.» una voce piatta, femminea, vibrò dalle corde vocali del ballerino, l'intera illusione del suo corpo per un attimo mi parve semplice nebbia.

Fece roteare la lancia, pronta ad affondare la lama un'ultima volta.

« Selene... tu-...»

Ma l'assassino non gli permise neppure di pronunciare le ultime parole: l'arma leggendaria ruppe il torace del Titano, gli spezzò in un sol colpo il cuore, nucleo dell'energia vitale, innescando un fuoco eterno che iniziò a consumare il suo corpo.
Era solo un sogno.
Eppure vacillai, incerto.
L'acqua mi bagnò le caviglie, prima di ritirarsi per tornare in un'altra, pacata onda.


« IL SOLE È MORTO!
IL SOLE È MORTO!»


    Al canto gracchiante degli avvoltoi di Palioxis, mi svegliai madido di sudore, col cuore che batteva ad un ritmo serrato sin nelle orecchie.
Era stato tutto un sogno, solo un dannato incubo.
Con ancora il caldo torpore aggrappato al mio stanco fisico provai ad alzarmi per una boccata d'aria, ma qualcosa urtò violentemente la mia testa, costringendomi a stendermi in preda a dolorose fitte alla fronte.
Mi rigirai allora su un fianco e notai che in piedi, accanto al letto, c'era la minuta, sorridente figura di Alalà, figlia di Pόlemos, nella sua fiera giovinezza fittizia: certo, sembrava un'adolescente grazie ai grandi occhi cremisi e al cielo di efelidi che le costellava il viso tondo e gentile, ma in verità era una creatura antica, più antica persino di Zeus.
Da millenni animava i cuori di bellicosi guerrieri, spronandoli al massacro.
Era una riflessione sciocca, eppure solo in quel momento mi accorsi che fin prima del sopravvento degli dèi, esisteva la guerra, lo sterminio, l'odio.
E quando, esattamente, sarebbe nata? Chi, tra i Titani, aveva creato simili spiriti rancorosi? E soprattutto... perché?

« Ares mi ha ordinato di tenerti a letto.» dopo quella dichiarazione di intenti, mi puntò l'indice contro con fare minaccioso « Non provare a scappare, altrimenti la mia ira si abbatterà su di te.»

Scossi il capo, stanco. I miei pensieri stavano andando troppo oltre.

« Mi serve una boccata d'aria fresca.» tentai di mettermi seduto, ma il bastone nodoso che Alalà portava sempre allacciato alla schiena mi percosse ancora il capo « La vuoi piantare?!»
« A letto. Finché sarai sotto la mia protezione, non ti alzerai da lì.» e, a sostegno del proprio celato rimprovero, sopraggiunse anche la terza percossa.
« Lo vuoi capire che fa male?!» sospirai seccato, ma poi notai i suoi occhi divenire lucidi, prossimi alle lacrime.

Alzai le sopracciglia in un'espressione stupita, prima di aggrottarle incerto quando, senza proferir parola, abbandonò improvvisamente la sua dannata arma per poggiare il pugno sinistro sul cuore, con la schiena ritta e i piedi uniti.
Deimos mi spiegò il significato di quel gesto: “noi guerrieri di Ares sorreggiamo tanto lo scudo con il braccio sinistro e questo gesto significa: “Io ti proteggerò a costo della vita”. Cioè, in realtà nessuno di noi porta più tanto lo scudo... è un gesto tanto simbolico, ecco. Solo Pa' lo porta e infatti lui tanto ci protegge.”.
Però io non ero degno di una simile riconoscenza: fino a quel momento, a differenza degli altri Makhai che avevano combattuto centinaia di guerre, io non mi ero mai distinto in azioni belliche degne di nota. O almeno, io non le reputavo tali.
Avevo solo agito d'istinto.

« Grazie per tutto quello che hai fatto, Strategós.» tirò su col nasino, mostrando stoicamente un'espressione quanto più seria possibile, pur col rossore della commozione « A nome di tutti noi, ti volevamo ringraziare per aver salvato il nostro Signore. Senza la tua guida...» s'interruppe bruscamente per colpa di un singhiozzo traditore.

A quella dimostrazione d'affetto sorrisi con dolcezza, poggiandole la mano sulla sua testolina.
Tutti, indistintamente, provavano devozione nei tuoi confronti: non eri solo una divinità da servire, bensì eri una vera e propria fonte di sicurezza e di conforto, grazie alla quale anche gli spiriti da sempre disprezzati dagli altri dèi avevano trovato un proprio posto.
Persino io mi sentivo appartenere a qualcosa... a una famiglia, forse.
In ogni caso, quel sentimento che ci legava in modi diversi a te era genuino, vero e il solo pensiero di una simile, grave perdita, addolorava tutti in egual modo.
Dicevi sempre che per te ero il “tuo Sole”.
In verità ero fermamente convinto del contrario.

« Ma è normale che mi adoriate: sono il figlio del Sole dopotutto.» per sdrammatizzare quella situazione divenuta per me fin troppo soffocante, mi alzai e mi esibii in un'elegante piroetta « Prego, creature inferiori, porgetemi pure i vostri omaggi.»

Eppure lei non rispose, non mostrò neppure un sorriso.
E a quel punto iniziai a comprendere il motivo del turbamento del suo stato d'animo.

« C'è qualcosa d'altro che dovrei sapere?»

Come se stesse combattendo una gravosa battaglia morale, impiegò qualche attimo prima di rispondere alla mia domanda.

« Il nostro Signore... Ares... vuole dichiarare guerra a Poseidon per l'affronto ricevuto.» mentre ero ancora scosso dalla notizia, afferrò le mie mani in un gesto di supplica « Io sono figlia della Guerra e non dovrei avere paura di una simile decisione, eppure io temo, temo per la sua sorte. Ti prego, Alectryon: tu che sei l'essere più vicino a lui, cerca di placare il suo animo.»


Respirai a fatica, fissai il viso della Personificazione in cerca menzogna, ma era tutto tragicamente reale.
E allora sentii il mio cuore divenire di pietra.
So che non dovrei dirlo, essendo un tuo seguace, ma rivivendo la strage della battaglia con gli occhi di un adulto, capii di aberrarla: per un intero anno mi ero addossato la paura, il terrore, la crudeltà e l'odio estremo che animava l'animo umano nella guerra e il mio spirito ne era uscito corroso, se non addirittura corrotto.
Da bambino avevo lottato per difendere il mio popolo e, nella fermezza delle mie convinzioni, non mi ero mai posto alcuna domanda morale; anche nell'ultima guerra avevo combattuto per difenderti, vero, ma non mi ero scontrato solo con Oto e Efialte, bensì anche con la consapevolezza delle mie azioni.
Ed ora che il mio corpo era guarito dalla piaga del deperimento, potevo percepire con assoluta certezza la malattia che attanagliava mio animo gravido di incertezze, sangue e morte.
Avevo agito contro la mia natura.

« Dov'è adesso?» la fissai negli occhi cremisi, pregandola implicitamente di liberarmi da quella prigionia fittizia per il tuo bene.

Silenzio.
Alalà chinò il capo, inspirò e buttò fuori un doloroso sospiro.

« Non ha detto molto, solo che voleva vedere un villaggio.»

Beh, almeno non avevi dichiarato guerra a tuo zio.
O perlomeno, non ancora.
Mi alzai, raccolsi e indossai in fretta una tunica.

« Alectryon.» la Personificazione del Grido di Battaglia, con ancora il pugno premuto sul cuore, mi guardò con gli occhi colmi di quella che io al momento interpretai come fiducia, anche se forse sarebbe stato più corretto chiamarla “nostalgia”.


Gli somigliavo davvero così tanto?


[Ma quando si incontra per la prima volta lo sguardo dell'amato,
quando si stringe tra le braccia il frutto di quell'amore...
mi domando...
davvero è un errore?
]





Fine Quarto Capitolo!



    Angolo dell'Autrice:


Ho riscritto più volte la parte finale perché non mi convinceva totalmente: nella prima stesura sembrava più un dramma spagnolo, con Alectryon che fuggiva dall'accampamento; nella seconda pure, nella terza anche... e... beh, alla fine ho capito che dalla Spagna non mi sono portata a casa solo la tazza di Starbucks e il ricordo di un'eccellente paella.
Forse sono io che sono paranoica e mi faccio troppi problemi, però davvero, quando un pezzo non mi convince non riesco a sentirmi tranquilla con la coscienza.
Adesso sono soddisfatta? Beh... non so, però sono contenta di aver parlato sia della “nostalgia”, sia della “malattia”. Volevo già scriverci qualcosa a riguardo nei capitoli precedenti, ma non riuscivo mai a trovare lo spazio giusto, tanto che l'unico accenno alla fine si riduce a quando Pόlemos vede per la prima volta Alectryon.


Inoltre voglio parlare anche di un'altra cosa successa in questo capitolo, che per me rappresenta un traguardo: la dichiarazione di Ares.
Oltre ai drammi spagnoli, ho anche un problema con gli yaoi. Ne avevo già parlato, per cui non mi ripeterò, però non sapevo come far dichiarare il dio della guerra: un “ti amo” era decisamente... cringe.
L'ho scritto, eh, solo che nella rilettura i miei neuroni si fissavano più su “quanto fosse cringe”, piuttosto che concentrarsi sul momento in sé. Magari ancora adesso è cringe, non so, io sono di parte, ma preferisco che si sia concentrato sul fattore “importanza” che su quello “amore”. Riesco a vederlo più IC.


Voglio ringraziare i lettori/recensori e chiunque altro abbia aggiunto questa storia alle seguite/preferite!


Un bacio da _Lakshmi_!

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