Bestiario fantastico

di milla4
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'astuzia ***
Capitolo 2: *** La magia ***
Capitolo 3: *** Lungo matrimonio. Le anime del mondo ***
Capitolo 4: *** Segreti ***



Capitolo 1
*** L'astuzia ***





L'astuzia




 
La morte a Thinda arrivava soltanto di notte, era una dea riservata; aveva stretto con gli abitanti della cittadina un patto che vigilava su di loro da più di tre secoli. La Donna in nero avrebbe svolto il suo compito solo dopo il tramonto, lontano dagli occhi, quando sarebbero stati chiusi per il riposo notturno. Qualcuno li avrebbe riaperti, altri no.
Era un male necessario: ogni abitante dal più anziano al più giovane sapeva che quello forse sarebbe stato l’ultima notte e avevano imparato a conviverci. Credevano di aver addomesticato la più temibile delle divinità; non ne parlavamo mai tra di loro per un innato senso di rispetto e di timore, ma innumerevoli bisbigli nelle taverne della città frequentate dagli uomini della città, talvolta eccitati da un goccio del famoso Veleno di rosa, acquistato dai mercanti della vicina Mhiyu unendo i pochi soldi che avevano, rivelavano un’arroganza imperante nella popolazione nata per aver addomesticato un nemico così importante come la Morte.
Quello che nessuno di loro osava immaginare era che era ella stesse giocando con le loro vite dall’inizio di quella folle promessa, quasi trecento anni prima. Poteva sentire la loro paura scorrere nelle vene; quando entrava nelle loro case e si avvicinava furtiva ai letti, si metteva ad ascoltare i loro respiri così regolari e il ritmo dei loro cuori che, sebbene durante il sonno dovesse ssere più lento, talvolta aveva dei picchi, prendeva velocità, forse per la consapevolezza che quei battiti potevano essere gli ultimi. Le sue dita ossute sfioravano con dolcezza le piccole mani dei bambini scegliendo chi tra essi l’avrebbe seguita, quella notte.

Li aveva addestrati come dei topi in una scatola: essi non potevano lasciare il luogo dove erano nati perché solo lì erano sicuri di non incorrere in incidenti mortali, o dolorosi morsi di serpente o lunghe e debilitanti malattie. Potevano anche parlare della loro formidabile astuzia nell'ingabbiare la giovane donna gobbuta, dal corpo privo di carne e dalla pelle che veste le ossa, ma lei ne conosceva i tormenti più nascosti e ne godeva. Era un perverso gioco quello di lasciare alle persone la libertà di sentirsi più furbe della Morte mentre lei, con amore, preparava loro i sudari che da lì a poco, a seconda del suo capriccio, avrebbero usato. È più astuto chi pensa di esserlo o chi lo sa?

 
 

NOTE: Questa storia fa parte di una raccolta che raccoglierà le storie nate grazie al contest "Il contest del Simbolismo" indetto da Arianna.1992 sul forum che ringrazio per le molte idee che mi ha donato. Per il contest bisogna scrivere delle storie ispirate a delle qualità accostate ad un animale, come un simbolo.
Per questa prima storia l'animale è: 72 . Serpente - astuto, poteri soprannaturali, cattivo più precisamente "astuto"
spero vi piaccia
a presto

milla4

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Capitolo 2
*** La magia ***






La magia






C’era qualcosa di atroce nel constatare come la vita andasse avanti, di come le lacrime a poco a poco non trovassero più posto nella vita delle persone che si professavano a lei vicina. Li vedeva allontanarsi sempre più da quella che era stata la casa degli Espi da almeno quattro secoli: tre fratelli si erano sposati a distanza di un anno l’uno dall’altro e con la legittima consorte si erano traferiti in altri luoghi, lontano dalla famiglia, lontano dalla visione della loro sorella maggiore, rinchiusa in una teca di cristallo per suo volere, deperendo sempre più. Il suo corpo stava marcendo, i suoi organi riempiendo di gas, forme di vita cominciavano a crescere in lei, a banchettare con la sua carne putrida.
 
Era morta per il mondo, era viva per sua sorella. L’aveva convinta lei a rinchiudersi nel proprio corpo, per carpire ogni informazioni riguardo suo marito e la governante della casa, notare contatti inopportuni e usarli poi contro di lui. Perché lei non amava quell'uomo, né si era sposata per sentimento: quando suo fratello maggiore, il suo tutore dalla morte dei genitori, le aveva proposto il matrimonio con il ricco erede dei Baroni d’Acqua, lei aveva acconsentito senza ripensamenti. Non aveva importanza l’aspetto fisico del suo futuro sposo, era conscia del proprio, dei propri capelli ramati i cui boccoli toccavano terra e di quella pelle leggermente olivastra che le donava un aspetto vagamente esotico che tanto aveva presa sugli uomini. E quando Nicholas le aveva comunicato che sarebbero rimasti a vivere in casa della famiglia di lei, con il benestare di tutti, la cosa l’aveva infastidita non poco: era una baronessa e voleva il suo regno, la sua casa su cui governare. Lì sarebbe rimasta la prima sorella dei Espi, la Christine degli Espi.
 
Doveva cercare una via d’uscita, un motivo valido per condizionare ogni scelta in quel matrimonio: Rosie, la più timida e incolore delle sorelle Espi, aveva sempre una soluzione per tutto. Sarebbe rimasta nubile per badare al resto dei suoi fratelli, fedele sorella, madre e confidente di tutti. Nessuno si era preoccupato di cercarle un marito, non aveva mai mostrato nessuna obiezione,

La morte può essere anche un’amica, sai?


Nel sangue della loro madre scorrevano ancora residui delle Antiche, ancelle della Luna e sue discepole; tra i fratelli, come Rosie, avevano ancora dentro un alone di magia che le permetteva di comporre incantesimi durante il plenilunio. L’avrebbe fatta morire per finta e risvegliata.
Quel che scoprì fu invece un animo pieno di negatività, un essere puro nella sua malvagità, un essere che si era insidiato nella sua vita già da alcuni mesi e che aveva aspettato quel momento per prendersi tutto ciò che era suo. Il suo Barone era diventato dipendente da quelle piccole gote rosse, i fianchi burrosi ed il sorriso sornione di chi sa molte cose e può dirne solo la metà. Christine avrebbe visto la sua sorellina vivere la vita destinata a lei mentre il proprio corpo si sarebbe consumato senza pietà.
 







 
Note: 66. Corvo imperiale – magia 

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Capitolo 3
*** Lungo matrimonio. Le anime del mondo ***


 






Lungo matrimonio. Le anime del mondo








Si diceva che davanti a quel fiore selvatico si fossero sposate centinaia di coppie e che la maggior parte avessero poi vissuto un lungo e felice matrimonio. Era abbarbicato sopra un piccolo ammasso roccioso posto all’estremo confine della città, sopra lo strapiombo. Era un papavero, più precisamente un Papaverum alpinum, così aveva detto Mary Anne, la fioraia del luogo.

Janice e Oscar erano gli ultimi di Lusse ad essersi sposati davanti quel fiore; ventitré anni lei, ventisette lui,  erano due dipendenti del locale stazione radio, come ogni abitante della città non si erano mai allontanati da essa: nessun college avrebbe mai avuto un abitante di Lusse tra i suoi studenti né di dipendenti o di manager vi sarebbero stati nel resto del mondo. Tutta la città era in commovente frenesia per quell’ evento straordinario, due suoi abitanti avrebbero formato una famiglia. Mary Anne aveva pensato agli addobbi floreali, Kris avrebbe organizzato il ricevimento nel suo magazzino, rimesso a nuovo per l’occasione. Ogni cittadino avrebbe contribuito per la riuscita di quel matrimonio e i due sposi novelli ripagarono l’aiuto vivendo una vita lunga e ricca d’amore. Poi la morte li prese con sé.

Jeremy era un dipendente delle poste locali quando all’età di quarantuno anni si sposò con Mary Anne. Il fiore aveva creato un’altra unione felice, il resto della città li applaudiva, figuranti di un amore ancestrale e unico, che durava da quattro secoli. Jonas e Charlotte furono tra i primi coloni a raggiungere le Americhe, i primi a conoscere i colori, gli odori e l’atrocità che i bianchi europei avevano commesso meno due secoli prima. Avevano soltanto diciotto anni quando decisero di sposarsi e lo fecero proprio con il fiore a fare da testimone al loro amore. Da lì il loro tormento cominciò; morirono a pochi anni distanza l’uno dall’altra e subito si ritrovarono in altri corpi, in altre vite, l’unica cosa certa era che non potevano far altro che amarsi. Subito si riconobbero: erano entrati nei corpi del sindaco del paese e nella cameriera del dottore.
Non riuscirono a capire nulla, erano soltanto attirati l’uno dall’altra, con una forza mai provata prima, quella fu solo la prima di una lunga e tormentata sequela di reincarnazioni. Le loro anime si spostarono di corpo in corpo, ogni abitante fu posseduto da quell’irrefrenabile amore, mentre gli altri assistevano inconsapevoli alla maledizione che imperava su tutti loro. Il mondo andava avanti e così nellla città entravano elettrodomestici e televisioni ma, ad ogni morte un corpo veniva posseduto, senza potersi chiedere il perché di tutto ciò; quel fiore era un varco il dolore di un popolo distrutto dall’avidità a cui rimaneva soltanto un piccolo fiore per vendicarsi.

Avrebbero vissuto mille e più volte in diverse persone, in nuove e vecchie combinazioni sempre con quell’impulso maledetto di amarsi, senza nessun’altro che loro due e un’intera orde di persone che li aveva ospitati in quei secoli e che li avrebbero condotti al loro patibolo d’amore a cui essi stessi desiderano ardentemente andare. Insieme.










 
Note: 21. Gru: lungo matrimonio
 

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Capitolo 4
*** Segreti ***


 



Segreti




Era una Tomba, una prigione all’aperto. La bocca si sarebbe aperta in automatico soltanto davanti al cucchiaio pieno di brodaglia vischiosa, la lingua avrebbe impastato il cibo con la saliva per poi finire in gola, ma non avrebbe pronunciato un fonema mai più, le corde vocali non avrebbero più vibrato; sarebbe stata seduta lì, in quel buco tra gli alberi, ad aspettare che una persona venisse a confidarle i propri segreti. Vi erano varie Tombe disperse nella Foresta Infinita, senza alcuna segnalazione per i vari viandanti che cercavano un libero sfogo alla propria coscienza, erano soltanto anonime fessure sotto tra gli alberi; le guardiane soltanto sapevano dove ognuna di loro stesse, avevano una mappa mentale.
Loa, quel giorno, aveva ascoltato la confessione dimessa e pregna di sensi di colpa di una paffuta donna che contrariamente a ciò che aveva detto alla sua famiglia, aveva mangiato interamente la torta destinata al compleanno del fratello da lei stessa preparata, alle parole concitate di un uomo che aveva tradito la sua sposa per l’ennesima volta, questa volta con la loro vicina di casa. Qualcuno veniva dalla stessa Tomba, altri erano degli occasionali. E poi c’era lui, il motivo per cui la mente di Loa stava cedendo molto rapidamente. Aveva detto di chiamarsi Orehon ma poteva anche un nome di fantasia, inventato, un nome che quella mente malata aveva pensato fosse adatta al suo personaggio. Era venuto un giorno d’estate di cinque anni prima, verso sera quando l’aria aveva incominciato a rinfrescare; Loa era stata condannata una settimana prima ed era solo da due giorni incatenata, con le braccia incrociate a guardare il vuoto. Si era presentato, sembrava gentile, la voce profonda le arrivava alle orecchie con un ritmo particolare, una filastrocca per bambini che si era trasformata in un incubo appena il contenuto aveva incominciato a prender senso.
Ne aveva uccisi quarantasette, esseri umani di ogni età, genere e stato sociale; li aveva drogati, spesso erano clienti della sua stessa taverna e quando si erano risvegliati aveva tagliato loro l’orecchio destro, la mano sinistra e la gamba destra: per creare simmetria, le aveva detto. Poi li lasciava morire dissanguati, di quei corpi nessuno seppe più nulla: li aveva chiusi nella propria anima, dei feticci che lui avrebbe potuto vedere e rivedere. Le aveva confidato che lo avrebbe fatto ancora. Orahon sapeva come lei stesse soffrendo, gli occhi forzatamente inespressivi tradivano, se si stava attenti, panico; questo gli piaceva di lei, il suo sfidare le regole naturali, sfidare la magia che permeava il loro mondo lo faceva sentire in contatto con lei. Ogni volta che vedeva quei guizzi, un’eccitazione lo prendeva e l’unico modo di sfogarla era uccidere ancora, ancora e ancora.
Loa avrebbe voluto urlare il nome dell’uomo, avvertire ogni singola persona della città ma non poteva: era una ladra e quella era la sua punizione, almeno per i prossimi dieci anni; Orehon aveva giurato che le sarebbe stato accanto, che non l’avrebbe lasciata sola, perché Loa era la sua musa.










 
Note: 52. Lince

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