After the Winter has gone

di anna_mi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo morte può pagare vita ***
Capitolo 2: *** Ricostruire ***
Capitolo 3: *** Consapevolezza ***
Capitolo 4: *** Mancanze ***
Capitolo 5: *** Incubi? ***
Capitolo 6: *** Proteste ***



Capitolo 1
*** Solo morte può pagare vita ***


Tirava uno strano vento gelido a Meereen.
Se mai fosse arrivata, la Lunga Notte sembrava non essere finita: l'eterno caldo bruciava solo al sole, ma appena l'ombra cresceva, il freddo correva di corpo in corpo, anche quando tutti erano ammucchiati in un unico luogo.
Negli ultimi tempi, in effetti, c'era spesso folla, a parecchi metri di distanza dalla grande Piramide: un andirivieni di gente, curiosi, interessati, spaventati anche; migliaia di sentimenti per quante erano le persone si sovrapponevano di fronte ad uno dei più grandi e tristi spettacoli ai quali agli abitanti fosse mai capitato di assistere. Da alcuni giorni, una creatura enorme e selvaggia era appostata sulla punta della piramide, da poco ricostruita quando i draghi l'avevano distrutta per ricongiungersi alla loro madre;e proprio di un drago si trattava, enorme, che proiettava la sua ombra spiegando di tanto in tanto le ali come nei suoi migliori voli, tanto bastava a tener lontani i più temerari, e, se non fosse bastato, i gridi che lanciava erano più che convincenti. Era un drago sofferente, in agonia: non perché fosse ferito, mai una creatura a memoria dei meereensi era stata così mastodontica e fiera, ma soffriva, si sentiva nelle urla, si vedeva nei movimenti, era attanagliato dal dolore. Proteggeva qualcosa, qualcosa a cui nessuno poteva avvicinarsi, nessuno riusciva a distinguere cosa ci fosse sotto quel telo riverso in terra ai piedi della piramide sotto il perenne cono d'ombra. Se quello non fosse stato un drago, si sarebbe potuto pensare che avesse coperto il corpo di un bambino e lo stesse vegliando.
I bambini si raccontavano la sera le storie di una regina che un tempo era stata nella loro città, con tre draghi, e che se ne era lasciato indietro uno, forse malandato, forse debole, che adesso la aspettava sulla cima della piramide. Gli adulti spiegavano loro che ormai la regina non si vedeva da anni, ma aveva lasciato un suo fedele servitore a mantenere il dominio e la pace, e quel servitore regnava in modo giusto e rispettoso delle usanze. I bambini amavano passare e fantasticare sul drago, ogni tanto ne sentivano il richiamo, spesso avrebbero voluto avvicinarsi, ma un'altra terribile storia parlava di quando uno dei tre draghi della regina aveva bruciato un ragazzino per riuscire a sfamarsi del suo gregge; allora, i bambini tornavano ad immaginare di come questo irrequieto drago potesse essere il figlio di uno dei tre partiti alla conquista del mondo, e di come un giorno qualcuno avrebbe potuto cavalcarlo. La verità, la sapevano anche loro, era che quel drago non si sarebbe mai fatto cavalcare da nessuno, e che forse sarebbe morto a breve, affamato. Ma lui non cacciava, non si era mai spostato da lì, qualcuno giurava che non avesse mai chiuso gli occhi, e sapere se era vero sarebbe stato impossibile.
L'immagine del drago sulla piramide ormai faceva parte del quotidiano: tutti si fermavano ad ammirarla, ma diventava giorno dopo giorno come un monumento che appena costruito dava luce nuova, per poi entrare nello scenario comune; sembrava un tutt'uno con la città, destinato a morire lì. Si parlava di gente che era partita dalle città vicine per avere uno scorcio di quel panorama esclusivo ed insolito, di cacciatori che non sapevano a cosa andavano incontro. Le storie sulle dimensioni del drago erano discordanti e non tornavano mai come erano partite: qualcuno diceva che coprisse tutta la città, qualcuno che era poco più grande di quelli partiti con la Regina, per qualcun altro era addirittura più piccolo. Non sapevano cosa volesse, e quella presenza era inquietante al punto che a Meereen non si dormivano più sonni tranquilli.
Qualcuno raccontava che di tanto in tanto un uomo si avvicinasse, per quanto la bestia permetteva, alla piramide, restando fermo per qualche ora, per poi andare via e ricominciare qualche giorno dopo. Coloro i quali avevano conosciuto la Regina dei Draghi giuravano si trattasse di Daario Naharis, il luogotenente di fiducia, qualcuno mormorava che fosse irrequieto a causa di notizie dell'occidente. I più coraggiosi avevano ipotizzato che la regina non fosse più, ma avevano trovato la morte poco topo per mano di Daario e del suo esercito di mercenari.
Un giorno, era arrivata una donna vestita di un lungo abito di seta rossa, una collana con uno sfavillante rubino al centro, capelli rossi; si era affiancata all'uomo, e se qualcuno avesse potuto avvicinarsi abbastanza da ascoltare quello che si dicevano, non avrebbe più avuto dubbi. "La Madre dei Draghi è morta". L'uomo non si era neanche voltato. "Ho ucciso chiunque affermasse tali nefandezze" "Nient'altro che la verità. Anche lui morirà". Avevano guardato il drago ormai scolpito sulla cima della piramide nella sua lunga veglia. "Morirà, se lei non torna. Quando i dothtraki l'avevano fatta prigioniera, Jorah Mormont mi parlò di sacerdoti e sacerdotesse, seguaci di un dio della luce..." "Il Signore della Luce. Il mio Signore" "Per me i signori sono tutti uguali. Ho sempre servito quello che mi avrebbe pagato di più, quando mi pagava di più della mia sete di guerra e scoperta" "R'hllor non ti pagherà mai. Lui pretende" "Non voglio essere pagato. Voglio sapere se c'è qualcuno che può riportarla indietro. So che è stato fatto, so che da qualche parte nel mondo qualcuno ha riportato indietro uomini morti. Voglio che tu lo faccia con lei" "Io non ho nessun potere che il Signore non mi conceda" "Trovalo, allora. Trova qualcuno che possa farlo. Ser Jorah mi aveva parlato di una strana donna che avevano incontrato a Qarth, voglio anche lei. Niente deve restare intentato" "Hai perso in Partenza, Daario Naharis. Vorrei vedere il mondo quando lei lo avrà conquistato". L'uomo aveva guardato la donna senza spostarsi, ma se qualcuno fosse stato abbastanza vicino avrebbe notato la luce di sorpresa che aveva balenato nei suoi occhi stanchi. La donna rossa gli aveva sorriso ancora, gli aveva sfilato il pugnale dall"elsa d'oro che ritraeva una donna, aveva accarezzato la lama con l'indice e il pollice, infuocandola, e lo aveva lasciato solo. Ma l'uomo non se ne era andato, non l'aveva seguita: anzi, aveva cercato di oltrepassare il perimetro immaginario disegnato dal drago oltre il quale nessuno si era mai spinto. Il drago aveva ruggito, aveva fatto tremare l'aria dei chilometri circostanti, le scaglie rosse sulla sua pelle nera si erano rizzate tutte contemporaneamente, lui aveva soffiato. Daario si era fermato, sembrava essersene appena accorto, ed era tornato indietro.
I bambini raccontavano che quella donna gli avesse portato notizie che non gli erano piaciute, e lui era impazzito di dolore. Ma Daario non era impazzito: uccideva chiunque dicesse cose che non gli piacevano o che lui ritenesse false. Imponeva la pace della regina.
Per giorni la guardia del drago continuava senza abbassarsi, estenuante, senza riposo, senza nutrimento, ma più n
essuno era venuto ad avvicinarsi, tranne gli ormai pochi curiosi che venivano in pellegrinaggio da altre città. Qualcuno era finito bruciato, nel tentativo di avvicinarsi alla cosa a terra.
Erano passati altri giorni quando Daario era tornato. Si era
 fermato alla distanza consentita dal drago, aveva aspettato. E poi erano arrivate due donne: la donna vestita di rosso, e un'altra col volto celato da una maschera di legno. Si erano portate vicino a lui, ma senza superarlo né affiancarlo. Se qualcuno fosse stato accanto a loro, avrebbe notato che la voce proveniva dalla donna dal volto nascosto. "Il destino si è compiuto, quindi. La Madre dei Draghi ha visto tutti i tradimenti". Daario teneva lo sguardo fisso negli occhi della creatura che lo osservava guardinga. "La Madre dei Draghi ha visto una pugnalata di un codardo. L'unico tradimento è stato quello. Chi di voi può fare qualcosa per svegliarla?“. L'aria si era fatta inspiegabilmente più fredda, nonostante la bestia di fuoco che sovrastava la città, nel momento in cui il sole si arrendeva per un altro giorno alla luna che portava con sé la notte. La donna rossa aveva sospirato. "Nessuno di noi. Gli dei sono misericordiosi, Daario Naharis; il Dio dei Mille Volte è vendicativo, il Dio Abissale è freddo, il Signore della Luce è giusto. Daenerys Targaryen tornerà a vivere solamente sotto il fuoco del suo drago, e il prezzo da pagare per una vita è un'altra vita, come fu al principio. Rinascerà dalle fiamme come nelle fiamme erano nati i suoi draghi, ma in quelle fiamme dovrà rimanere qualcuno che prenderà il suo posto. Qualcuno, come fu al principio, che la ami sopra ogni altra cosa". Daario aveva sorriso. "Ho saputo che Jorah Mormont è morto. Lui sarebbe stato un sacrificio sicuramente più sincero e meno grosso. Chissà quanto avrebbe avuto da vivere, ancora" "Ser Jorah è morto proteggendo la sua regina. C'è qualcuno che la ama al di sopra di se stesso. È lui che la risveglierà". Nel silenzio che era calato, la donna dal volto celato aveva finalmente affiancato Daario. "Hai visto il mondo dopo che lei lo ha conquistato. Forse era questo il tuo destino". Nessuna parola aveva più riempito l'aria fredda e solitaria. Daario aveva sospirato ancora una volta. "Lei ricorderà?" "Non sarà mai morta. Ti sarà grata, ma non sarà questo che la terra in vita" "Mi basta. Sarebbe un peccato che l'ultimo drago morisse di fame.". Aveva fatto un passo in avanti, poi due, poi cinque. Poi avanzava spedito verso i piedi della piramide. Il drago aveva sibilato, poi aveva urlato, poi aveva spiegato le ali ed aperto la bocca, qualche barlume rosso si intravedeva nella sua gola. Se qualcuno avesse potuto leggere nella mente di Daario, avrebbe giurato che stava pensando a come sarebbe stato morire bruciato, o se l'avrebbe rivista. Il drago iniziava ad agitarsi. Le donne lentamente avevano seguito l'uomo. Lui si era abbassato e aveva scostato il telo, abbastanza da prendere in mano un ciuffo di capelli argentei.
Quella notte, Meereen si era svegliata vittima del tremore della terra e dell'aria, delle urla bestiali di una creatura rabbiosa, del rogo immane che devastava il centro della città. Coloro che avevano avuto il coraggio di uscire per vedere si erano trovati davanti fuoco a perdita d'occhio. Chi avesse resistito fino all'alba, avrebbe visto un corpo carbonizzato e un altro perfettamente intatto, con qualche filo di capelli argento, nudo; e il drago finalmente a terra, accasciato, qualcuno avrebbe potuto giurare di averlo visto stramazzare e schiantarsi al suolo. E lei aveva aperto gli occhi.
La prima cosa che aveva sentito era stata un forte dolore al cuore, e non era riuscita a capire se si trattasse del muscolo o di tutt'altro. Il suo cuore, comunque, era stato colpito. E adesso ricominciava lentamente a battere. Le fitte la attanagliavano, ma gli occhi vedevano il cielo blu e il paesaggio circostante, diverso da qualsiasi cosa si aspettasse di trovare, diverso da ciò che avrebbe dovuto trovare. Un occhio enorme anche da socchiuso la fissava con qualcosa che, se i draghi avessero avuto dei sentimenti, sarebbe potuta sembrare speranza. E lei aveva capito, e aveva ricominciato a piangere. Anche le lacrime le davano dolore, ma non erano quelle a preoccuparla. Aveva provato ad alzarsi, forse avrebbe dovuto di nuovo imparare a farlo. Era in ginocchio, adesso. Tutto intorno a lei, troppo lontane, figure indistinte, forse persone. Dal nulla, veniva una donna vestita di rosso,che le aveva sorriso. "Maestà. Sei rinata dal fuoco per intercessione del Signore della Luce, che ha guidato questa impresa per compiere il destino del mondo in modo che il fuoco e il ghiaccio continuassero sempre ad esistere e scontrarsi." "Io... No, non c'è... Chi... Drogon, lui..." "Tuo figlio è stanco, Maestà. Ti ha dato la vita come tu l'hai data a lui. E come allora, un'altra persona è stata sacrificata perché tu potessi nascere". Daenerys si era girata verso il corpo carbonizzato accanto a lei. Per un attimo il male al cuore si era infittito: lo aveva riconosciuto dal pugnale semidisciolto che aveva accanto. Se le donne avessero potuto sapere il motivo di quel dolore, non lo avevano dato a vedere; lei, invece, era certa di non volerlo sapere: se fosse per Daario, che aveva dato la vita per lei eliminando dal mondo l'ultima persona che le sarebbe stata sinceramente accanto, o perché quello non era colui che l'aveva uccisa, ravvedutosi del suo amore per lei. Aveva accarezzato Daario poi si era voltata verso Drogon, quel suo figlio fedele, gli aveva avvolto neanche la metà del gigantesco muso in un abbraccio, aveva chiuso gli occhi. "Tu non morirai". Poi aveva fatto sgorgare le lacrime. "Mi hanno uccisa. Mi hanno tradita. Hanno approfittato del mio amore. Sono sola al mondo, con mio figlio. Gli altri due sono morti, uno per due volte, uno senza poter reagire. Tutto quello in cui credevo si è dissolto. Daario è morto,e Jorah, e Missandei, e Viserys, e Drogo, e Rhaegar. E mio padre. E Jon Snow, anche lui è morto? Siede sul mio trono? Perché mi avete riportata indietro? Io non lo volevo.". La donna in rosso l'aveva accarezzata gentilmente.  "Quello che vuoi tu, Maestà, è quasi irrilevante. Non hai più un Trono, nessuno ha un Trono: quel sedile causa dei mali del mondo è stato sciolto dal fuoco del tuo drago, quello stesso che ti ha riportata indietro. Sei sola al mondo e questa è la tua punizione: per i bambini che urlavano, per le madri che fuggivano, per i neonati che sono morti nell'ultimo abbraccio, per le case crollate e per la vita interrotta, per il suono delle campane a cui tu sei stata sorda. Ma l'amore non ci spiega nulla, Maestà, e se lui ha voluto riportarti indietro, tu adesso puoi rimediare. Se ci fosse ancora un posto dove sedersi, quello è occupato da un nuovo re, e l'uomo che ti ha uccisa non è morto, ma non è neanche vivo. Tu hai sacrificato un tuo figlio per la battaglia del Dio della Luce,degli uomini, forse per questo ha ascoltato le mie preghiere e sei tornata. Il tuo fedele servitore, invece, è andato, perché questo era il suo ed il tuo destino. Hai la possibilità di redimerti, mia regina. Devi fare ancora qualcosa in questo mondo. Spero che tu sappia cos'è.". Daenerys guardava la mano bianca della donna sul suo braccio. " Tu lo sapevi?". Un'altra voce, venuta dallo stesso nulla. " Io te lo avevo detto. Adesso tu lo hai visto, e sei tornata alla vita perché il tuo drago ti ha riportata qui. Tu sai cosa devi fare. Il ghiaccio e il fuoco sono eterni, e nemici più terribili degli uomini e dei mostri sono in noi. Creature eterne ed immortali minacciano il mondo, albergano in chi le accoglie. Sta a te decidere per cosa sei tornata. Ma stai attenta, Daenerys Nata dalla Tempesta. Non tutti hanno dimenticato te ed i tuoi draghi". Daenerys, con la forza che iniziava lentamente ad insinuarsi in lei, che le ridava colore, si era staccata da Drogon. Aveva guardato le donne allontanarsi. "Lo ucciderò". Non si erano fermate. "Perché?". Ma nessuno aveva risposto. Una era sparita, l'altra si era dissolta. Adesso era sola, ancora una volta. Adesso doveva ricominciare. Guardandosi intorno aveva visto ancora una volta la gente prostrarsi all'inizio della vita dal fuoco; il suo Drogon era lì, mai più vivo, ma ancora debole. Tutto sarebbe ricominciato. Il pensiero la riempiva di sconforto, si era lasciata cadere in ginocchio, il muso di Drogon che tentava di accarezzarla. E lei lo aveva guardato speranzosa. "Ci riprenderemo tutto. Avrò i traditori. Li brucerò tutti.".

La cometa di fuoco che attraversava il cielo preoccupava Brandon lo Spezzato e gli portava una strana ansia.
Nonostante fosse passato del tempo, non era riuscito a trovare Drogon. Che fosse morto? Ma quella cometa non diceva nulla di buono. L'ultima volta che era apparsa erano nati tre draghi, e da quel che ricordava, era meno visibile. Che qualche uovo si fosse schiuso? Avrebbe avuto molto da vedere, da adesso in poi.
Anche oltre la Barriera, chi avesse alzato la testa avrebbe visto la cometa. Jon Snow non ci aveva ancora fatto caso: aveva un popolo intorno, lui che non voleva essere re, lui che non aveva più un nome. Lui che aveva ucciso la donna che amava e che provava ogni giorno a dirsi di aver fatto bene. Una strana inquietudine lo pervadeva, una leggera e impercettibile agitazione di fondo, qualcosa che somigliava alla preoccupazione. Ci aveva fatto poco caso, del resto erano giorni, forse settimane, forse anni, forse una vita, che si sentiva su un ponte sospeso in aria come quelli che Theon Greyjoy qualche volta aveva aveva descritto durante gli allenamenti a Grande Inverno. Un giorno, poi, aveva alzato la testa e l'aveva vista. E Spettro aveva guaito. E nessuno era riuscito a capire come fosse possibile che fosse nato un altro drago.

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Capitolo 2
*** Ricostruire ***


C'era stato un tempo in cui Grande Inverno era stata la più inespugnabile delle fortezze e delle carceri, ancora di più per chi avesse avuto piedi per andarsene in qualsiasi momento volesse. E c'era stato un tempo in cui lei non avrebbe voluto altro che fare un passo, dieci, mille, di corsa, oltrepassare quei cancelli e volare verso il sud, nel mondo che poteva offrire altro che non fosse ghiaccio, freddo, neve, lupi o vecchi alberi intagliati con volti devastati. C'era stato un tempo in cui aveva preso quasi a detestare quelle mura e quelle torri, quelle strade e quelle cripte, tutto quello che adesso lentamente ricostruiva. Nel tempo in cui tutto era stato una sbarra che la separava dalla vita, aveva fantasticato di quando sarebbe andata finalmente via, per tornare forse con i suoi figli a far conoscere loro il Nord, con la sua gente fredda e sospettosa, con il suo clima difficile, con le sue terre piene di insidie per chi non le conosceva. Aveva mille volte pensato a come sarebbe stato lasciare il suo piccolo principe e futuro re a giocare tra i cancelli di Grande Inverno, a cavalcare insieme al nonno, troppo piccolo per impugnare Ghiaccio ma già affascinato dalle armi; e il nonno gli avrebbe detto che erano una responsabilità ed andavano usate con cautela e consapevolezza, mai per divertimento o sollazzo. Suo padre lo sapeva bene. Aveva immaginato la sua piccola principessa insieme alla nonna ad imparare l'arte del lavoro a maglia, delle sete, del lino, forse sarebbe stata una ribelle come la zia; allora, questo pensiero la faceva rabbrividire. Adesso la riempiva di tenerezza, e anche di orgoglio, da qualche parte nel suo cuore. O in quello che ne rimaneva. Guardandosi intorno, nei ponti in restauro, nel cortile in ricostruzione, poteva vederli tutti: suo padre e sua madre, mai troppi vicini da stare uno addosso all'altra ma nemmeno abbastanza lontani da non toccarsi, suo padre che aveva nelle vene più Nord che sangue; Arya, intenta a correre di qua e di là fuggendo da qualsiasi cosa la potesse rendere meno sporca o selvaggia, meno libera; Bran, in piedi, appeso ai muri, sempre in bilico dove non doveva essere; Rickon, piccolo e delicato, dai capelli rossi e il carattere difficile; Theon, con l'arco in mano e l'immancabile risata che tanto irritava lord Stark; Robb, un altro uomo del nord, impaziente di imparare l'arte della guerra, fiero e orgoglioso; e Jon. Jon lo vedeva insieme a Robb oppure in disparte, una velata malinconia gli percorreva spesso il volto, a casa sua ma fuori posto. Anche adesso, pensava spesso a Jon: cosa stesse facendo, se avesse trovato pace. Se per lui ci fosse stata pace. Nonostante avesse passato gran parte dell'infanzia senza badare troppo a quel fratello che avrebbe potuto fare a meno di essere lì, adesso riconosceva che senza di lui sarebbe potuta morire in balia di sadici e assassini. Lo aveva tradito, ma sapeva che era quanto di più prossimo al mondo ci fosse alla sua famiglia: nonostante le sue origini, nonostante il suo cognome, nonostante il mondo girando fosse cambiato, Jon era rimasto sempre lo stesso, incapace di fare del male per divertimento, incapace di pensare al potere, impossibilitato ad agire per interesse personale. In quel frammento di cuore che le era rimasto, Jon avrebbe avuto sempre un posto. Era riuscita ad evitargli la morte, e l'esilio era un duro compromesso, ma vantaggioso per tutti. Qualche volta, affacciata alle mura guardando verso il Nord più nord, aspettava di vederlo arrivare, mantello nero e capelli raccolti, preceduto dalla cosa bianca che mischiata alla neve si distingueva soltanto se alzava gli occhi iniettati di rosso. Anche Lady era stata bianca, una vita fa. Si scopriva a sorridere, pensando a quanto adesso questo carcere fosse importante per lei. Scostava delicatamente la bambina che era stata, indossava la corona e andava a fare la Regina del Nord, finalmente indipendente. Non erano arrivati più corvi da Approdo del Re, dopo la devastazione. Dopo che Bran lo Spezzato era diventato re e aveva concesso l'indipendenza, il Nord si era chiuso in una ricostruzione totale. Daenerys Targaryen era morta. Nelle storie della vecchia Nan, la cometa simboleggiava i draghi. Forse Drogon era morto da qualche parte, e la parentesi Targaryen svaniva come la follia della Madre dei Draghi. I Targaryen erano finiti, l'unico rimasto sarebbe sempre stato uno Stark. Cersei Lannister era morta, insieme a suo fratello Jaime e al loro figlio, così aveva sentito. Avrebbe dovuto dispiacersi per la creatura senza colpe, invece provava uno strano senso di liberazione, spesso si scopriva ad immaginare un'altra morte, più lenta e più dolorosa, per quella donna che tanto l'aveva vessata e sottovalutata. Theon era morto, preoccupato di non riuscire a sdebitarsi. Petyr Baelish era morto, lui che le aveva insegnato così tanto. Arya era andata via, chissà dove, chissà se ancora viva. Bran era il re, sapeva e vedeva tutto, ormai non era più nessuno che lei conoscesse. Brienne era diventata la lady comandante della guardia reale di suo fratello. Sorrideva pensando a quanto si sarebbe irriggidita nel sentirsi chiamare lady. Aveva preso il posto dell'uomo che tanto aveva amato, anche se non glielo aveva mai detto. E lei era sola, ora. Sansa Stark di Grande Inverno, la Regina del Nord, la corona con i meta-lupi Stark, si occupava della ricostruzione del castello e della coscienza del Nord. Di tanto in tanto usciva, rigorosamente a cavallo e mai in carrozza, con il suo seguito, a dare un'occhiata e una mano ai lord e alle ladies dei luoghi circostanti. Forte Terrore era stato abbattuto su suo ordine, e al suo posto cresceva di giorno in giorno una fortezza che sarebbe stata assegnata prima o poi a persone più degne. Lentamente si stavano rialzando, lentamente ricostruivano ogni cosa. Nei momenti passati a cavallo nei boschi circostanti, sentendo il canto degli uccellini, Sansa pensava inevitabilmente a Sandor Clegane, e allora smontava di sella e si sedeva di fronte ad un albero-diga, quando non si ritirava nel parco degli dei di Grande Inverno sotto l'albero del cuore. Il Mastino era morto uccidendo suo fratello, ser Gregor, buttandosi insieme a lui nel fuoco. O almeno così le avevano detto. Provava una strana nostalgia nei momenti in cui pensava a lui: poche volte erano stati a contatto, altrettante poche volte avevano conversato, aveva cantato per lui, eppure si sentiva al sicuro nel mondo, lei un tempo uccelletto, sapendo che ci sarebbe stato un Mastino a proteggere il suo canto. Sandor non c'era più, e questo la riempiva di un'inspiegabile vuoto, microscopico ma percettibile. Aveva addirittura pensato, ricordando i racconti di Arya, che forse sarebbe potuto tornare indietro, come l'uomo con un occhio solo che aveva combattuto ed era morto nella Lunga Notte; ma il Mastino era bruciato, e poi perché farlo tornare? Sansa era sicura della risposta: chiunque in lei, da adesso in poi, avrebbe visto la Regina del Nord, colei che avrebbe reso Re del Nord chi l'avesse sposata, che avrebbe perso importanza nei suoi titoli per il suo essere donna, chiunque avrebbe visto il meta-lupo in corsa, fiero, ignaro del fatto che un tempo era stata un uccelletto; mentre lui, Sandor Clegane, il potere lo odiava, ma l'aveva sempre difesa, aveva usato con lei una delicatezza che non si capiva da dove venisse; forse l'avrebbe servita per devozione. Se c'era una cosa che Sansa aveva imparato, nei suoi giorni da uccelletto in gabbia, era che difficilmente il passato si sarebbe potuto cambiare, e che bisognava pensare solo e soltanto al presente, per non rischiare di sganciarsi da terra nell'immaginare un futuro roseo in un mondo dove non esisteva giustizia, a meno che ognuno non se la fosse fatta da sé. Durante le sue uscite si imbatteva nel popolo, talvolta si fermava ad ascoltare, raramente accettava l'invito ad entrare in qualche fortino di passaggio o in qualche casa; ricordava sempre le storie della vecchia Nan, della regina che di tanto in tanto faceva visita alla gente, ci parlava, e quanto era stata apprezzata; il suo pensiero correva inevitabilmente a Margaery Tyrell, di cui mille anni prima aveva invidiato il carattere e la forza, ma che aveva fatto una fine terribile; ricordava di aver avuto una strana fitta, quando aveva saputo della morte di Margaery. Sansa, memore dei giorni della rivolta del pane ad Approdo del Re, voleva assicurarsi che nessuno avrebbe mai bussato ai cancelli di Grande Inverno invocando la morte piuttosto che la rovina. Aveva incontrato una madre con una bambina, un giorno: la bambina prestava poca attenzione a quello che la madre cercava di insegnarle, era distratta al punto da non aver nemmeno fatto l'inchino, cosa che aveva pagato con una bottarella tra collo e spalla. Ma Sansa aveva sorriso, aveva alzato la mano, si era avvicinata alla bambina. <> <>. La madre era arrossita di vergogna. <> <>. Sansa si era chinata per arrivare viso a viso con la bambina. <<È importante essere una lady. Ma forse tu preferisci fare altro. Forse vorresti cavalcare? Danzare? Diversi anni fa, ho sentito parlare di una bellissima danza dell'acqua. Ci voleva un bel poco per impararla, ma alla fine si imparava ad usare un'arma>>. Se nel volto della bambina era apparso un barlume di curiosità, sua madre era diventata cianotica. <> <>. La bambina era entusiasta. <>. Sansa aveva sorriso. <> <> <>. Si era alzata, sistemandosi l'abito. <>. Aveva dato uno sguardo alla madre, aveva accettato l'inchino, aveva aspettato che tornasse a guardarla in faccia. <>. La donna aveva annuito e Sansa aveva proseguito. C'era stato molto da fare, lassù. Piano piano, stavano rinascendo. Un giorno, mentre organizzava le scorte, il nuovo maestro di Grande Inverno era arrivato con le braccia incrociate e le mani nascoste nelle enormi maniche a sbuffo. Sansa aveva pensato che certe cose non sarebbero mai cambiate, ma questo le piaceva, aveva un profumo di innocenza, le ricordava maestro Luwin. <> <> <>. Sansa aveva sospirato. <>. Si era fatta lasciare in mano i due bigliettini arrotolati, li aveva aperti lentamente. Quello dalla Barriera era breve: "Jon Snow non fa ritorno da giorni". Quello da Approdo del Re era naturalmente vergato da Samwell Tarly, annunciava che re Brandon Stark aveva bisogno di parlare con la Regina del Nord. Sansa non era ancora molto pratica di burocrazia, ma ricordava che in genere era il Primo Cavaliere del Re ad occuparsi di trattative o incontri. Perché Bran avrebbe voluto vederla? <> <> <>. Non si capacitava in che modo, ma era sicura che quei due messaggi fossero collegati e correlati tra loro. Era sicura che si trattasse di Jon, una cosa che somigliava all'apprensione iniziava a pervaderla. Arya non c'era, chi avrebbe potuto capirla? Avrebbe voluto saper essere 'calma come acqua stagnante', come Arya ripeteva nei giorni di Approdo del Re.

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Capitolo 3
*** Consapevolezza ***


<>. Quella domanda gli aveva gelato il sangue. Pensava di essere finalmente immune alle parole "pena" e "diserzione", come del resto a "guardiani", e "decapitazione". Sembrava passata una vita da quando rimbombavano minacciose nelle orecchie insieme al cozzare delle lame, alle urla di incoraggiamento o di scherno, e forse una vita era davvero passata. La metà o forse più degli uomini che gli sembrava di rivedere erano morti, la Barriera era diventata una prigione più che un valico, lui stesso era diventato altro da quello che era stato. Quando avevano bruciato il corpo di ser Jorah Mormont, non se l'era sentita di lasciare nella pira Veleno del Cuore; così l'aveva presa e l'aveva discretamente infilata in un sacco con altri indumenti e oggetti che presto sarebbero partiti, e che forse non sarebbero mai tornati indietro. Talvolta si chiedeva se non avesse dovuto riportarla alla Collina del Corno, dove il piccolo Sam giocava insieme alla nonna e alla zia, dove Gilly aspettava ansiosa la nuova creatura che li avrebbe resi effettivamente una famiglia; ogni tanto venivano a fargli visita ad Approdo del Re, ed erano i momenti in cui intravedeva il ponte con il passato che pensava distrutto. Forse quel ponte non era mai andato distrutto, invece; aveva la solida base della codardia che sempre lo aveva contraddistinto e che gli avrebbe impedito di fare qualsiasi scelta che prevedesse del coraggio. Samwell sapeva le intenzioni di Bran, come sapeva che, una volta partito Verme Grigio, nessuno si sarebbe più chiesto come mai il bastardo di Ned Stark vivesse ancora a Grande Inverno sotto la protezione della Regina del Nord. Ma Bran sapeva che Jon sarebbe dovuto andare lontano, per il bene di tutti. E lui non lo aveva contraddetto, non aveva speso una parola. Si sentiva male, quando la consapevolezza si faceva viva in lui: non gli aveva mai perdonato fino in fondo di essere rimasto fedele alla regina Targaryen; e, come una sorta di redenzione, sperava con tutte le sue forze che il figlio che Gilly portava in grembo sarebbe stato un maschio, per chiamarlo Jon, in onore di colui che di scelte sbagliate ne aveva fatte, e ci aveva sempre messo la faccia, come lui non aveva né avrebbe mai saputo fare. Ma niente, il passato non voleva abbandonarlo. Quella mattina il re lo aveva voluto nelle sue stanze prima del solito. Era nel solarium, intento ad osservare il sole stagliarsi su Approdo del Re. O forse, chissà dov'era. A Sam qualche volta inquietava trovare il corpo del re senza sapere dove lui fosse realmente, né quando sarebbe tornato. Non aveva mai capito bene se mentre era lontano lo potesse vedere. Ma re Brandon lo aveva sentito arrivare. <> <> <>. Sam era rimasto spiazzato, poi era arrossito ed aveva iniziato a balbettare come ogni volta che qualcosa lo metteva a disagio. <> <> <>. Brandon, ruotando la carrozzella su se stessa, lo aveva guardato. <>. Sam non capiva il perché di quelle domande; o meglio, preferiva fingere di non capirlo. Per quel che ne sapeva, il re sapeva guardare la storia della gente, ma non aveva potere di leggere nel pensiero. Sperava disperatamente che fosse così. <> <> <> <> <> <> <> <> <>. Re Brandon aveva sorriso. <>. Samwell adesso non capiva davvero. <> <> <> <>. Samwell aveva sospirato. <> <> <> <>. Così, anche Samwell aveva fatto partire un corvo. Il sinistro sospetto che il re sapesse cosa stava facendo, anche adesso, non lo abbandonava. Era consapevole che lui aveva visto quel corvo partire, probabilmente sapeva pure quali parole stesse portando, ma il fatto che non lo avesse fermato gli lasciava ben sperare. Si era guardato bene dall'informare chiunque altro: lady Brienne comandante della guardia reale, ser Podrick che glielo avrebbe subito detto, il Maestro del Conio e soprattutto il Primo Cavaliere del Re. Tyrion Lannister, nei momenti di pausa, spesso veniva visto sotto le rovine della Fortezza Rossa, là dove si usciva sulla spiaggia; andava a stare con la sua famiglia, là dove aveva cessato di esistere per sempre, soprattutto da suo fratello per cui si sentiva responsabile. Il fuoco aveva tolto qualcosa o qualcuno ad ognuno, in quella città, in modi e momenti diversi fra loro. Non aveva risparmiato lui, Samwell Tarly, a cui aveva portato via un padre che lo odiava ed un fratello che non poteva amarlo,come Jaime aveva amato apertamente Tyrion. Ci era mancato poco che gli prendesse un colpo, quando si era trovato davanti una sagoma ormai familiare, il viso dai tratti ordinari ma decisi. <> <> <> <> <> <> <> <> <> Davos adesso aveva distolto lo sguardo <>. Samwell aveva notato la sofferenza nel volto di Davos. <> <>. Samwell era sollevato: il discorso era caduto, si era fermato in tempo. Cosa sarebbe cambiato, poi? <>. Davos era scivolato in un discorso doloroso che riapriva vecchie ferite tutt'altro che rimarginate. Sanguinavano ancora molto, in realtà. Samwell capiva come non mai lo stato d'animo dell'ex cavaliere delle Cipolle, che aveva avuto un re, poi aveva seguito l'ideale di un'altra persona e aveva perso anche quella. Se c'era qualcuno che si trovava nella sua stessa situazione, quello era lui. Si chiedeva fino a che punto potesse fidarsi di un uomo per il quale la lealtà era fondamentale. Chiacchierando non aveva fatto caso al corvo che continuava a fissarlo con insistenza, con occhi bianchi.

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Capitolo 4
*** Mancanze ***


Non era passato molto tempo da quando l'unica cosa che doveva tenere a mente erano le misure di una lama o il grado del calore; non era passato molto tempo da quando giorno o sera, dentro o fuori, l'abito non faceva nessuna differenza; non era passato molto tempo da quando non aveva idea di come fosse una casa. Gli ultimi anni erano stati rocamboleschi, se uno avesse voluto trovare aggettivi diversi da "assurdi" o "incredibili". Aveva un lavoro, non bello ma dignitoso, riusciva ad esprimersi in quello che meglio riusciva a fare e che aveva fatto per una vita; niente a cui badare, nessuno a cui tornare. Da un giorno all'altro, molto tempo prima, era stato imbarcato per la Barriera senza neanche sapere realmente quale crimine avesse commesso; si era unito ad una banda di fuorilegge che dicevano di difendere la gente vessata in nome di re Robert; poi, per quello stesso crimine, essere figlio di re, era stato preso da una sacerdotessa rossa che gli avrebbe tirato via tutto il sangue per aiutare il suo re a salire sul Trono di Spade; forse non ne aveva viste abbastanza, perché erano tornati a pescarlo alla periferia del mondo, dove ser Davos lo aveva messo in salvo, per portarlo oltre la Barriera senza alcuna garanzia di ritorno; poi lo avevano portato a Grande Inverno, a forgiare armi per i vivi contro i morti, sotto le direttive del Re del Nord e della Regina dei Draghi; quella stessa regina lo aveva legittimato col cognome del suo defunto padre, e gli aveva assegnato Capo Tempesta, sua ormai di diritto; poi, la regina era stata assassinata, ma nessuno aveva pensato a lui: se quella non fosse stata una legittimazione valida, non era stato un problema. Si era seduto al concilio tra i signori di Westeros per scegliere il nuovo sovrano, aveva detto la sua, aveva avuto un peso che per la prima volta non fosse sopra di lui. Gendry era diventato un lord in poco tempo, e non aveva ancora imparato come si facesse. D'altronde, non gli avevano dato indicazioni. Sapeva solo che sarebbe stato un buon lord, e che la lady che avrebbe scelto sarebbe stata fortunata, perché glielo aveva detto la lady che lui avrebbe scelto. Sembravano passati anni, da quella notte, e invece erano giorni, giorni interminabili. Arya aveva voluto regalargli quanto di più prezioso una ragazza potesse avere, ma non solo non aveva preteso nulla in cambio, non aveva voluto essere ringraziata. "Non voglio essere una lady". Lo aveva spiazzato, sulle prime non aveva capito: quella notte non sapevano se ci sarebbe stato per entrambi un domani, e passare insieme le ultime ore sembrava il più nobile modo per confessarsi un amore probabilmente eterno. Ma quando il sole era nato, quando da semplice armaiolo era diventato lord Gendry Baratheon di Capo Tempesta, Arya Stark di Grande Inverno aveva deciso che la sua libertà pesava molto di più. L'aveva vista al concilio, ma non si era sentito di rubarle del tempo prezioso con suo fratello che con ogni probabilità non avrebbe rivisto. Qualche giorno dopo il ritorno della normalità, aveva deciso di andare a Grande Inverno. La Regina Sansa lo aveva accolto con la cortesia glaciale che la caratterizzava, quei garbi intrisi di una diffidenza che non si preoccupava minimamente di nascondere. Gendry aveva pensato che le sorelle Stark, fuse in una sola persona, avrebbero potuto dar vita alla donna perfetta: la straordinaria bellezza di Sansa, e il temperamento di Arya; i modi di Sansa, la leggerezza di Arya; il dovere di Sansa, il sentire di Arya; quanto a forza, unite insieme potevano essere letali quanto lo era stata la mazza di Robert Baratheon sul Tridente. Al pranzo non aveva mangiato molto: un poco l'ansia, un poco l'attesa, aveva riso con altri lord e goduto delle ottime portate di Grande Inverno, ma non aveva avuto modo di vedere Arya. La Regina, invece, non gli aveva negato l'udienza. Un uomo che sembrava imbalsamato era vicino al trono del Nord: probabilmente era il capo della guardia personale della regina; altri uomini erano fuori dalla porta della sala del Trono, che altro non era che la sala grande di Grande Inverno, e l'abituale seduta di lord Eddard Stark, con i metalupi lanciati col muso verso il cielo. Sansa risplendeva nel freddo del Nord, un rosso Tully con occhi azzurri che avrebbero scavato anche il cemento. Gendry aveva avuto una leggera fitta allo stomaco, ma si era anche detto che adesso era un lord, e avrebbe dovuto comportarsi da tale. Solo che nessuno gli aveva detto se un lord potesse dimostrare i suoi sentimenti. Nel dubbio, lui non lo aveva fatto. <> <>. Se non altro, era diretta. <> <>. Ed era anche tagliente. <>. Sansa era rimasta impassibile come il protocollo imponeva, non che dentro di lei non sentisse quanto strideva quella affermazione. Di recente, aveva avuto modo di capire quanto si potesse soffrire a non essere carne e neanche pesce. <> <> <>. Gendry aveva sospirato. Ostinazione tipicamente Stark. <> <> <<...più di vent'anni fa, tuo padre era il lord e mio padre il re. Oggi, a ruoli invertiti, io, il lord di Capo Tempesta, desidero giurare fedeltà alla Regina del Nord>>. Sansa era rimasta in silenzio. Gendry aveva tirato fuori dal fodero una spada, Sansa aveva notato che lo aveva fatto in modo insolitamente elegante, e l'aveva messa con la punta a terra. Poi si era inginocchiato. Sansa si era alzata in piedi. <> <>. Sansa aveva annuito. Se qualcuno avesse potuto leggerle la mente, avrebbe visto che si chiedeva quando le avrebbe domandato di Arya. Gendry lo aveva fatto, in modo più vago possibile. <> <> <>. Gendry era rimasto visibilmente deluso. Aveva camminato fino alla sera, aveva visto gente di cui un attimo dopo non ricordava il viso. Il giorno dopo aveva deciso di fare ritorno a Capo Tempesta. Sansa lo aveva congedato, e lui era partito subito. Sarebbe tornato a a casa, avrebbe sposato una ragazza e avrebbe avuto una lady e degli eredi. Questo si ripeteva, mentre dava l'ordine di preparare delle navi e trovare dei marinai, e di riunire i cartografi, e un bel poco di uomini. Di questo era convinto, mentre metteva qualcosa in un sacco di tela, lasciava Capo Tempesta alle provvisorie cure del castellano e del maestro e salpava. Se lei era andata, lui l'avrebbe raggiunta. Se lei non voleva stare ferma, lui le avrebbe mostrato di sapersi muovere. Era convinto che tanti piccoli Baratheon sarebbero nati da una donna qualsiasi, mentre partiva verso il nulla per cercare Arya Stark.

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Capitolo 5
*** Incubi? ***


Nelle lande desolate l'aria era perfettamente fredda. Era stato sempre quello il clima ideale, non quello di Grande Inverno, né tantomeno quello del Tridente. Si erano spinti fino alla Barriera, nei giorni in cui era disciolta, prima che qualcuno iniziasse a cercare soluzioni che per il momento non esistevano. Gli uomini avevano alla fine risolto di chiudere il passo con fortificazioni in legno e mattoni, e la Barriera, là dove era stata violata, iniziava lentamente a ricrescere; senza magia dei Figli della Foresta, né abilità di Brandon il Costruttore, ma d'altronde non doveva più proteggere i domini degli uomini da alcun nemico che non fossero gli uomini stessi, e finché un uomo malvagio non avrebbe avuto potere di trasformarne altri con il tocco, ogni cosa sarebbe stata affrontabile. Era strano dormire tutti insieme e svegliarsi esattamente nello stesso numero, senza pezzi mancanti o peggio. Strano potersi nutrire e girovagare senza paura. Eppure quell'aria selvaggia non sembrava mai completamente sicura. Durante il giorno c'era un susseguirsi di verde e qualche lago dove abbeverarsi, di notte i migliori posti erano quegli incavi delle rocce o delle collinette. C'era stato un tempo brevissimo in cui "casa" era un luogo solo, e non il primo che capitasse. Tempi lontani, ambienti ristretti. Casa adesso era dovunque ci fosse il proprio sangue. Qualche volta, come oggi, si sentiva il lontano vociare di persone in cammino, forse ferme, forse lontane da casa, forse in esplorazione, e allora si doveva stare cauti; non perché potessero dare fastidio, ma per non turbare la tranquillità di luoghi remoti. Questa volta, le voci erano più fini, più leggere, e gli uomini più piccoli, più scattanti. Da dietro i pini secolari erano chiaramente visibili, in campo aperto relativamente lontani dalla grande vegetazione. Avevano l'aria di essersi persi. Un tempo, c'erano stati uomini simili tutto intorno a loro. Un tempo, ancora, durato troppo poco. Quando ci pensava aveva bisogno di solitudine, per riuscire a riportare alla mente ma soprattutto al cuore voci e profumi, ma erano vaghi, lontani. E adesso, osservando quelle piccole persone muoversi, avvertendo il gelo più fitto nonostante il sole, una folata improvvisa, il mondo circostante si riempiva di un odore eterno, riconoscibile e sempre sgradevole: la paura. Non aveva neanche saputo dire di cosa, e da quanto fosse lì. Aveva solamente avvertito freddo, poi niente. Poi rabbia. E si era svegliata di soprassalto; se fosse stata in un luogo completamente asciutto e immune alla salsedine e all'umidità, avrebbe giurato che quelle gocce erano lacrime miste a sudore freddo. Ma era in mare, e l'acqua poteva anche essere entrata sottoforma di umidità. Aveva sospirato, si era riavuta ed era salita. Erano ancora in viaggio, non sapeva da quanto e non sapeva per quanto, ed era la prima volta che si svegliava con un tale senso di angoscia. Tempo fa, mille anni addietro, avrebbe svegliato la vecchia Nan per chiederle che cosa fosse quell'amaro in bocca. Ma la vecchia Nan era morta da un pezzo e lei aveva spezzato troppe vite per avere paura del buio. Arya si era sciacquata il viso e aveva cercato di scambiare qualche chiacchiera con un marinaio, ma era distratta, poco attenta, poco interessata. Aveva toccato Ago, come spesso faceva per chiamare Jon, o semplicemente per sentirsi più sicura sapendolo nel mondo. Lui le avrebbe detto qualcosa, sicuramente giusto, e la paura sarebbe passata. Non capiva se era esattamente paura, ma poche cose le erano risultate tanto sgradevoli, specie di prima mattina. Le era successo quando avevano ucciso suo padre. Le era successo quando avevano ucciso sua madre e Robb. Le succedeva adesso e avrebbe voluto non avere memoria. Sansa? Jon? Non voleva pensarci. Sansa e Jon no. Il Re? Le era affiorato un sorriso spontaneo: una delle tre persone più coraggiose che aveva conosciuto nella sua ancora breve vita, avrebbe detto due parole. Fanculo il re.

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Capitolo 6
*** Proteste ***


Yara Greyjoy non era esattamente quello che una septa avrebbe sperato di creare: non aveva modi né portamento da lady, pur essendo una bella donna; sicuramente non aveva mai imparato a ricamare, né avrebbe voluto farlo; a paragone con un uomo, non c'era dubbio su chi dei due non avrebbe portato la gonna. Indossava pantaloni neri le cui estremità entravano negli stivali scuri, e un farsetto nero sul quale era ricamato un kraken dorato bordato di vero oro, certamente preso col ferro, ancor più certamente opera di chiunque ma non sua. Al cinto portava una daga, il fodero ancora nero e oro recava i tentacoli stilizzati del kraken. Aspettava impaziente che qualcuno la ricevesse. <> <> <> <> <> <> <> <>. Tyrion Lannister aveva fatto un sorriso di condiscendenza e aveva preceduto la donna verso la sala in cui avrebbero parlato in modo ufficiale. Non aveva neanche finito di fare il giro, perché le sue gambette corte e deformate non glielo permettevano, per accomodarsi di fronte a lei, che Yara era partita all'attacco. <> <> <> <> "e dei Lannister", pensava <>. Yara non aveva potuto ribattere. Erano già oltre la sua pazienza. <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> <> <>. Yara Greyjoy era ufficialmente irritata. Tyrion lo Aveva capito. L'aveva guardata quanto più dritto in faccia potesse fare. <> <> <> <> <>. Era più di quanto potesse sopportare. Yara si era alzata. <> <> <>. Tyrion l'aveva seguita, superando a malapena la daga. <>. Yara aveva fatto per andarsene, ma sapeva di non poter evitare di rispondere. <>. Concluso il colloquio, Tyrion si era accorto della sudorazione aumentata e dei battiti accelerati. Gli capitava spesso nel ricordare gli eventi recenti 'I Lannister mentono', aveva sentito dire. Il che era vero; e lui, il Folletto, Sapeva mentire meglio di tutti. Non che fossero poi rimasti molti Lannister, al mondo. Divertito dal pensiero dei Sette Re, aveva imboccato le scale che portavano giù, al luogo dove poteva trovare qualcuno simile a lui, o così amava illudersi. Non aveva voluto liberare l'uscita alla spiaggia, in modo che Cersei e Jaime fossero in qualche modo sempre lì, ad aspettarlo a fine giornata. Lei sarebbe impazzita, avrebbe voluto vederlo morto due ore dopo la sua nascita, ed era l'unico vivo, l'unico che avrebbe potuto dire la sua ed era nell'esatta posizione e nel dovere di farlo. Aveva fatto un poco di pressione psicologica a Jon Snow, non aveva antipatia per il ragazzo, anzi, forse era troppo degno di stare seduto su quel trono, non avrebbe forse avuto necessità di consigli, e se li avesse voluti sicuramente non sarebbero stati i suoi. Solo, gli era sembrato il male minore: aveva perso così tante cose nella vita, che un nome ed un castello sarebbero stati il coronamento del disegno sadico di un qualche dio in mezzo a sette stanco di fare del bene. Era pienamente consapevole che Jon non avrebbe mai voluto quella corona, ma per l'ennesima volta aveva perso quello che amava, aveva ucciso la donna che in un altro mondo o forse in un'altra vita avrebbe sposato; ma d'altronde, se lui era sopravvissuto a Tysha, che lo aveva amato da nano, perché un Jon Snow, Stark o Targaryen, avrebbe dovuto avere difficoltà a trovare una donna che lo amasse? Tutti sapevano che i guardiani della notte frequentavano i bordelli. Avrebbe avuto un bastardo come lui aveva accettato di essere, forse. Avrebbe fatto quello che era giusto e che doveva essere fatto. Quello che lui aveva deciso. Gli pareva di vederli, suo fratello e sua sorella nell'eterno abbraccio, e lord Tywin loro padre. Tutti e tre gli facevano segno di no col dito. No, non aveva deciso lui. C'era sempre qualcun altro che decideva per tutti, e che fino ad ora aveva deciso. Qualcosa di simile all'oppressione gli riempiva la mente, e si chiedeva se un uomo che sa tutto possa dimenticare qualche strategia militare, in modo da perdere contro una ribelle vecchia di secoli.

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