HITOMI

di bennytop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Corda ***
Capitolo 3: *** Nome ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


~~Stavo per prendere l'autobus che mi avrebbe portata a casa. Abito in un piccolo paese fuori città, un paese dimenticato da tutti e affogato in prati, boschi e rivoli d'acqua. L'autobus fa solo poche fermate ma rimane sempre un'ora di tempo a separarmi dalla caotica e festosa città, dal mio liceo.

Dal finestrino vedevo macchie colorate scorrermi davanti agli occhiali. Sì, sono un po' talpa, i miei occhi marroni non sono affidabili. Quando penso agli occhi non posso fare a meno di sospirare per il mio nome. Il nome è un marchio: è essenziale. Senza il tuo, forse rimarresti sempre tu perchè la sostanza non cambia, ma in realtà non ti riconosceresti mai in nessun altro nome.
È così e basta. Nemmeno io posso sottrarmi al mio: Hitomi, un nome che (in teoria) viene dato solo alle bambine dagli occhi bellissimi. Chissà cosa si erano bevuti i miei al momento di darmi il nome.

L'autobus sbandò improvvisamente.
Vedevo le persone riversarsi fuori dall'abitacolo urlando per poi correre via. -Che succede?- Nessun incidente, niente di niente, eppure la gente continuava a scappare. Casa mia non era lontana, potevo arrivarci a piedi: quindi decisi di scendere anch'io, ormai l'unica rimasta a bordo. Tuttavia, la mia incorreggibile curiosità mi trascinò al posto di guida. -Forse l'autista può darmi qualche spiegazione-.
"Mi scusi saprebbe dirm...".
La voce mi si ghiacciò. Lo sguardo che l'uomo mi rivolse mi fece dimenticare tutto, infondendomi una terribile sensazione di pericolo. Mi spinsi fuori dalle portiere. Troppo tardi. Una banda di persone con strani vestiti e armate di coltelli avevano circondato il mezzo.
Una signora con una lunghissima treccia bianca e occhi rossi mi si fece vicina. Analizzai brevemente che scappare sarebbe stata una mossa stupida: non mi rimaneva nemmeno un piccolo spiraglio di fuga. La signora avvicinò decisa la mano al mio viso, come se volesse afferrarlo. Istintivamente mi ritrassi e quel repentino movimento mi fece cadere gli occhiali. Non erano lontani, mi accertai. Non cercai di prenderli. Anzi, l'altezza al momento era l'unico vantaggio che avessi contro quella vecchia. Da dove venivano queste persone? Sembrava di vedere dei personaggi di un'altra epoca. Il silenzio mi stava uccidendo ma ero troppo spaventata per parlare. Cosa avrei potuto dire di utile?

La vecchia fece un passo avanti, io indietreggiai. La vidi mascherare un piccolo ghigno di superiorità mentre si muoveva. Mi fermai e aspettai, tenendomi pronta alla sua reazione (inutile indietreggiare ancora, mi sarei imprigionata contro l'autobus). Tutti stavano fissando lei. Lei, con i suoi occhiacci imbottiti di sangue, fissava me. Notai che gli occhiali stavano proprio ai miei piedi, mi chinai piano a raccoglierli e li misi nella tasca dei jeans.
Improssivamente la donna si voltò verso gli altri e urlò: "Bambina dalla lunga vita! È lei, non ci sono dubbi. Preparatela per il rituale." Cooosa?!
"Fermi! Cosa volete? Ci deve essere un errore grosso invece. Io sono una normale studentessa e devo essere a casa per pranzo".
La vecchia si mise a ridere: "Non preoccuparti ti faremo bella e ti daremo da mangiare, prima del rituale". Due uomini mi presero per i gomiti, la stretta mi faceva male, mi impediva di muovermi. I muscoli si atrofizzarono dalla paura.

Mentre mi portavano via intravidi il tetto della torre del mio paese. Era la mia ultima speranza. Feci finta di inciampare, avvicinando le braccia. Banale ma efficacie: per non scontrarsi o per non cadere, i due allentarono la presa. Con uno strattone mi liberai nella disperata corsa verso la torre. Mancavano solo pochi metri al giardino della casa del fabbro (la prima casetta che riconobbi), quando un ragazzo mi si parò davanti. Me lo ritrovai davanti con le braccia conserte, non era ostile. Quei due secondi di confusione mi furono fatali.
Sembrava un ragazzo normale, ma, sebbene non lo avessi visto prima, quei vestiti lo identificavano come uno di loro. Lo capii quasi immediatamente, ma, ancora una volta, troppo tardi.
Mi afferrarono da dietro.
Un colpo in testa.
La vista iniziò ad annebbiarsi.
Svenni con la consapevolezza di essere perduta e con la fotografia di quel ragazzo che inespressivo rimaneva immobile a guardarmi.



NdA
Grazie popolo per il tempo che mi avete dedicato! Accetto tutte le critiche costruttive, fatemi sapere se vi ho incuriositi.
Per ora la storia è arancione ma potrebbe diventare rossa...chissà.
A presto!

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Capitolo 2
*** Corda ***


Quando ripresi conoscenza mi ritrovai in una casetta di legno. Ero legata alla colonna di un letto a baldacchino. Iniziai a dimenarmi ma, invece di allentarsi, i nodi sembravano stringere ancora di più la mia carne, sino a lacerarla.

Non sapevo più cosa fare.

La porta sbattè all'improvviso ed entrò la vecchia. Si avvicinò e inarrestabile mi strappò, uno ad uno, tutti gli strati di stroffa; mi privò anche della biancheria. In vano tentai di contrastarla, le urlai contro, scalciai da ogni parte, ma alla fine ero troppo stanca per lottare.

La guardai, forse con un'ombra di rassegnazione, e con voce mesta le chiesi: "Cosa volete farmi?"

"Verrai sottoposta al rituale. È da molte lune che nessuno si addentra nella notte".

Onestamente, non capii molto di quelle parole. Quando fui di nuovo sola piansi. Piansi per la mia famiglia, le mie amiche, la mia casa e piansi per la mia nudità. Senza nemmeno un velo a coprirmi. Ho pensato di far cadere a terra le coperte, ma sul letto non c'erano. Presto diventò buio, giusto il cielo si intravedeva da una piccola botola lasciata aperta sul soffitto, così piccola che non avrei giurato di poterci passare dentro. Entrava quello spiffero d'aria che riuscì a illudermi di non essere rinchiusa e a farmi venire la pelle d'oca.

Mi sforzai di farmi venire in mente un piano di fuga, un buon piano...ma quale?

Nuda, legata, anche se mi fossi liberata come ne sarei uscita? Se anche fossi uscita da quella casa dove mi sarei diretta? Non sapevo dove fossi e non avevo più nemmeno i miei occhiali: i miei riflessi erano decisamente diminuiti, così come le mie possibilità di evasione.

L'unica mossa intelligente che feci fu quella di spostarmi dal pavimento al letto. Certo, rimanevo legata alla colonna ma per lo meno le braccia non erano più in tensione nè mi fecero più male.

Cercai di concentrarmi su ogni piccolo rumore: un debole frinire di grilli, un cigolio del legno.

Qualcuno si stava muovendo. Anzi, peggio, qualcuno era dietro la porta, ne ero sicura. Mi alzai in piedi sul letto, pronta al nuovo scontro con la vecchia, ma mi sbagliai. Non era lei. Ecco che lo rividi, quel ragazzo che mi aveva bloccato la fuga. Ero nuda e completamente indifesa.

Mi abbracciai alla colonna: qualsiasi cosa avesse voluto farmi non l'evrebbe fatta senza fatica.

Con un movimento repentino lo vidi estrarre un pugnale e recidermi i lacci.

Cosa si aspettava facessi? Potevo anche tentare di guadagnare la porta ma avrebbe sempre potuto riafferrarmi o uccidermi. Sembrò più saggio rimanere immobile e non provocarlo in alcun modo.

Lo vidi avvicinarsi, mi toccò i lividi lasciati dalla corda, lo lasciai fare; poi mi toccò il bernoccolo sulla nuca, lo lasciai fare. Mi toccò la spalla e lì ne approfittai. Assecondando il suo gesto gli assestai una gomitata in pieno viso, gli presi il pugnale dalle mani e scappai.

Mi fiondai nel corridoio in una direzione qualsiasi e appena vidi una finestra mi lanciai fuori. Un gesto incosciente, decisamente, mi feci male ma non abbastanza da non continuare la mia corsa.

Eravamo in una cascina in mezzo al bosco...

Acqua! Sentivo il rumore dell'acqua, doveva esserci un fiume.

Mentre correvo in direzione di quel rumore sentivo le urla provenire dalla casa.

Un tocco sulla schiena, troppo tardi: mi ero già buttata in acqua.

Riuscivo a stento a non affogare mentre la corrente mi trascinò via, lontano da quell'incubo, ma ero allo stremo delle forze. Iniziai a bere acqua e a sentire il mio corpo sempre più pesante.

Dunque era arrivata davvero la fine.
Almeno sarei morta libera.

Due braccia mi strinsero forte e infine il mio mondo diventò buio.

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Capitolo 3
*** Nome ***


Quando mi svegliai e vidi il sole brillare nel cielo, mi colse immediatamente un lampo di gioia.

-Sono viva, sono libera!-

Provai ad alzarmi ma una mano mi accompagnò di nuovo a terra.

Lui, che mi guardava dall'alto in basso con quel suo sguardo impassibile. Sospirai di sollievo quando notai che non portava armi con sè e tremai di terrore prendendo ancora una volta consapevolezza della mia nudità.

Il ragazzo mi fissava dritto negli occhi, perfettamente composto nonostante il mio corpo gli fosse totalmente esposto.

-Perchè mi ha salvata? Perchè tutto questo sta succedendo a me, qualcuno me lo spieghi!-

Non osavo interrompere il contatto visivo, per rimandare il più possibile il momento della verità. Si alzò il vento e sentii freddo, cercai di mettermi seduta per abbracciaarmi le gambe e ripararmi un po' dall'aria ma le sue mani mi riportarono giù: evidentemente aveva stabilito che dovessi stare sdraiata, rassegnata rimasi in attesa, di cosa non avrei saputo dirlo nemmeno io.

Concentrai tutta la mia forza per trattenere le lacrime, non volevo dargliela vinta, non avrei mai ceduto davanti al mio aguzzino.

"Non provate a rifarlo".

La sua voce mi colpì come uno schiaffo, il suo suono era vellutato, nonostante il tono non tradisse alcuna emozione.

"Invece, finchè vivrò non smetterò mai di riconquistare la mia libertà", risposi con voce bassa ma ferma.

"Non vi farò del male. Siete parte di questo mondo e sarete sottoposta al rituale."

"Cos'è uno scherzo? Mi state tenendo prigioniera, la verità è che mi avete rapita, strappata alla mia famiglia, denudata e sottomessa alle vostre decisioni".

La mia risposta fu impulsiva e imprevedibile e non mi importava se sarei stata punita.

Quando finalmente mi permise di rialzarmi, iniziai a camminare, senza una meta precisa, sperai solo di incontrare qualcuno a cui chiedere aiuto ma ciò non accadde.

Ebbi un'idea: "Devo fare pipì, allonatanati", il che era vero.

Stupendomi, mi diede le spalle, mentre io mi accovacciai.

Sapevo che sarebbe stato inutile ma sienziosamente mi allontani e mi nascosi dietro un cespuglio, non sopportavo l'idea di tornare in quella stanza, di sentire ancora le corde chiudermi i polsi.

La sua mano mi strinse una spalla.

-Come ha fatto ad arrivare così velocemente? Non l'ho nemmeno sentito-

Con un gesto agile e preciso mi sollevò e si mise a correre....

Correva ad una velocità paurosa, impossibile, nessun uomo poteva fare una cosa del genere: non sarei mai riuscita a sfuggirgli, realizzai e il mio cuore si gonfiò di dolore.

Arrivammo in pochissimo tempo, eppure la corrente ci aveva trascinati parecchio lontano dall'abitacolo.

Non mi portò dalla vecchia. Anzi, mi fece entrare in una piccola casetta, quasi di nascosto, mi lasciò cadere sul letto e si diresse verso un baule, da cui tirò fuori un vestito color cipria e me lo mise in mano. Accettai con entusiasmo l'idea di poter finalmente mettere qualcosa addosso, ma....

non ci entrai, il vestito era troppo stretto. L'avrei anche stracciato ma il ragazzo mi precedette sfilandomelo dalle mani e porgendomene un altro identico. Questa volta andò meglio.

Mi stava fissando, poi, come se si fosse reso conto di un particolare importante mi chiese: "Nome?"

Certamente non si poteva dire che fosse un chiacchierone, preferendo non dirgli il mio nome rimasi in silenzio, sperando che la domanda mi fosse risparmiata.

Che senso aveva non dirglielo? In fondo che differenza poteva fare? La domanda mi sfuggì dalle labbra: "Il tuo?".

Per un momento mi guardò senza fiatare, impassibile, anche se mi ero rifiutata di rispondergli.

"Tatsuya".

Non ne conoscevo il significato, non era un nome comune dalle mie parti, ma qualcosa nel tono in cui lo pronunciò mi suggerì che non fosse scelto a caso, come se in un certo senso il suo nome gli conferisse forza e consapevolezza.

Decisi di intraprendere una linea pacifica, dopotutto non avevo niente da perdere.

"Hitomi".

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