Erlkönig

di nisa95_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 17 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 18 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 19 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 20 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 21 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 22 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 23 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 24 ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 25 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


Selvaggia, cade. Continua a precipitare come un masso nell’acqua gelida. Prova ad urlare. Chiama aiuto, ma inutilmente. Non riesce a parlare, non può farlo senza voce. Apre e chiude la bocca spasmodicamente senza emettere alcun suono. Nonostante capitomboli nel vuoto, non vede e non sente nulla eppure, i suoi occhi sono spalancati dal terrore. Il battito frenetico del suo cuore preme contro il suo esile torace come fosse un piccolo colibrì impazzito, catturato e poi rinchiuso in un’angusta gabbietta per uccelli. I suoi lunghi capelli neri, le frustano il viso latteo ed il suo stomaco, non le sembra al suo posto. Forse è rivoltato quanto lei, pensa avvilita. Prova ad aggrapparsi ad un appiglio qualsiasi, cerca qualcosa – qualsiasi cosa – che la possa aiutare a salvarsi da quel perenne precipitare nell’oscurità più totale. La paura le mozza il respiro in gola. Non riesce a pensare a nient’altro se non a quando arriverà al suolo… Finché non si sveglia sul pavimento della sua stanza.

Vi era solo quiete e silenzio attorno a lei e tutto era al proprio posto, rischiarato da una  luce tenue alla finestra... Tutto, eccetto le lenzuola e le coperte attorcigliate alle sue gambe come se volessero inghiottirla. Selvaggia si tirò su ancora nauseata e dolorante da quell’incubo orrendo, lisciandosi la canotta sudaticcia addosso, cercando di tranquillizzare il respiro, ancora affannato.
Assurdo, non avevo mai fatto un sogno così vivido. Doveva essermi rimasta la cena sullo stomaco…
Stordita ancora dal sonno agitato di quella notte, si diresse in bagno, in fondo al corridoio del piano di sopra, superando la camera dei suoi genitori ed infine, quella del suo fratellino. Non aveva neanche guardato che ore fossero, ma sapeva bene che era insolitamente presto per lei perché sua madre, ancora dormiva e l’aroma di caffè, non aveva ancora abbracciato le mura silenziose della casa. Si chiuse la porta alle spalle e girò la chiave nella toppa, cercando di lasciare fuori anche i ricordi di quel dannato sogno quando all’improvviso, udì un sussurro, appena accennato del suo nome.
Selvaggia…
L’eco di una voce armoniosa, la chiamava a sé. Osservò cosa la circondava alquanto confusa, ma non vide altro se non il solito gabinetto, doccia e lavandino bianco perla; fino a quando, non incrociò lo sguardo della sua immagine nello specchio. Il suo riflesso le parve diverso. E rimase impietrita nel notare che i suoi occhi, non erano davvero i suoi. Il suo solito colore azzurro, era sparito ed al suo posto, uno sguardo bicromo si beffeggiava di lei. Un occhio era nocciola, increspato di verde, l’altro color smeraldo, era increspato d’argento. Non aveva mai visto nulla del genere. Erano incredibili e spaventosi. La “sua” immagine, le ghignò malefica. C’era qualcosa di profondamente strano e perfido in quel riflesso che non le apparteneva davvero. Lei riusciva a percepirlo. Impietrita dallo shock, non riuscì neanche ad emettere un grido. Le sembrava di rivivere di nuovo quell’incubo, solo che stavolta era sveglia.
<< Selvaggia, ci sei tu in bagno?! >> disse la voce ovattata di sua madre, interrompendo quello strano sortilegio nel bagno. Cercò di forza la maniglia, ma era chiusa a chiave. La sua immagine era magicamente tornato normale, come se fosse davvero sempre stato quello il suo aspetto naturale. Selvaggia si tastò il volto ancora più cereo di prima, notando l’imitazione identica sulla superficie lucente. Mi sono solo immaginata tutto allora La carenza di sonno le aveva giocato solo un brutto tiro, pensò storcendo il naso.
<< Cosa stai facendo lì dentro? Muoviti che fra poco tuo padre si alza… >> Lei deglutì, imponendosi di respirare regolarmente. Aveva solo fatto un sogno… un incubo orribile certo, ma non poteva farle del male. I sogni non avevano mai ucciso nessuno, pensò…
Non esserne così sicura…
Bisbigliò di nuovo quella voce.
Selvaggia si rifugiò dal bagno alla sua stanza, spaventata a morte. Stava forse impazzendo? Si chiese sconcertata da quella situazione così impossibile… Che cosa mi prende?! Stava mettendo a dura prova il suo povero cuore già di prima mattina. Ansiosa come poche volte, si volse verso lo specchio ovale, esplorando nuovamente la sua immagine. Si ravvivò i capelli corvini e ribelli, così in contrasto con la sua carnagione esangue; i suoi occhi blu cielo, erano incorniciati da folte ciglia lunghe ed un delizioso neo sopra il labbro superiore, a destra, le risaltava la bocca rosea. Poteva sembrare un viso angelico a forma di cuore e dalle sopracciglia fini, se non fosse stato per la piccola voglia violacea appena sotto l’occhio sinistro, che suo fratello aveva gioiosamente chiamato “una mini mezza luna” calante. Avrebbe voluto somigliare più ad una ragazza alta e tutte curve, invece d’esser esile come un giunco, ma dal fondoschiena spropositato. Lei era ancora davanti a quella superficie lucente. Il suo riflesso contraccambiava ogni sua espressione e movimento; non vi era nulla di anomalo… Non più almeno.
Forse ho solo bisogno di una bella dormita. Possibilmente senza sogni…
Meditò sbadigliando e stropicciandosi la faccia con le dita per ravvivare un po’ di colorito sulle guance. Cercò nel suo armadio qualcosa di sobrio – che non indossava quasi mai – un maglione caldo ed un paio di jeans da mettersi addosso, si legò i capelli – sperando di non rompere l’ultimo codino sano che possedesse – e indossò i suoi soliti anfibi consumati. Non amava particolarmente truccarsi, preferiva farlo per le occasioni speciali e di certo, andare a scuola non lo era. Finalmente era quasi alla fine dell’ultimo anno in quel dannato liceo, il che significava solo una cosa… Gita Europea per una settimana ed Esame di Stato. Un momento che qualunque studente di un istituto superiore italiano, attendeva e temeva allo stesso tempo, lei compresa. La ragazza stava già pensando ad altro, non rendendosi conto che quando passò davanti allo specchio in camera, esso stavolta, non proiettò l’immagine di nessuno.
Selvaggia stava giusto scendendo dalle scale quando Elia – il suo fratellino di otto anni – per poco non la travolse, correndo di sotto come se avesse il sedere in fiamme. << Guarda dove vai moccioso, oppure te le suono di santa ragione! >> Sbraitò sua sorella, inchiodata al corrimano come fosse un gatto nero col pelo irto per lo spavento. << Tu non suoni proprio nessuno, Tesoro. Vieni a fare colazione con noi piuttosto o farai tardi per andare a prendere l’autobus… >> Disse suo padre - ormai bello sveglio - seduto al tavolo della cucina, intento a leggere il quotidiano locale. Elia le rispose con un sorrisetto beffardo, mostrandole quelle adorabili fossette gemelle che aveva anche lei quando sorrideva. Per tutta risposta, Selvaggia gli fece la lingua, ma non gli sfuggì lo sguardo severo di sua madre. Anche se aveva superato da qualche anno quarant’anni, la signora Malaspina, aveva ancora il fascino di una ragazzina. I suoi capelli, Rosso Tiziano naturale, erano il suo unico e le incorniciavano il viso bianco quanto quello dei figli. In più aveva gli occhi quasi neri, così diversi da quelli della figlia; Selvaggia infatti, era l’unica dei quattro membri della famiglia ad avere gli occhi chiari. Occhi estranei. Sua madre le consegnò amorevolmente un bicchiere di spremuta d’arancia e diede una bacio al capo di Elia e di suo padre.

Disgustoso.
Udì flebilmente la ragazza, rimanendo di sale; ma sembrò accorgersene solo lei, perché la sua famiglia era già intenta a consumare il pasto di quella mattina, uova e pancetta all’americana.

È da quando mi sono svegliata da quel terribile incubo che mi succedono cose strane…
Rifletté Selvaggia. Camminava verso la fermata del solito bus numero Nove, uno dei pochi che passava anche in provincia della città, dove abitava. Attorno a lei infatti, non vi erano edifici e strade, ma prati di varie tonalità di verde e sentieri ghiaiosi, quasi in aperta campagna. Con la primavera alle porte, il sole sorgeva prima, ma doveva essere nuvoloso il cielo perché attorno a lei, era ancora tutto buio. E ciò la inquietava non poco. Rabbrividì nel suo cappotto rosso sangue, il suo preferito e si mise le mani in tasca dopo aver tirato su il cappuccio per tenersi al caldo il più possibile. Fu allora che accadde. Selvaggia nello alzare lo sguardo, vide proprio davanti a lei un ragazzo. Un giovane bellissimo dagli occhi di due colori diversi; gli stessi che aveva fissato sul suo riflesso.

*Angolino dell' Autrice*
Grazie mille per avel letto questo capitolo, spero vivamente di aver attirato la tua attenzione <3

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


Fu come l’ultimo chiodo nella bara. Quello sguardo bicolore, la fissava con un tale odio negli occhi che era difficile non notarlo. Sembrava quasi che volesse ucciderla…

Se gli sguardi potessero uccidere….

Selvaggia si chiese se non fosse così visto che si sentiva morire in sua presenza, anche se non lo aveva mai visto in vita sua.
Invece noi ci conosciamo da molto tempo meine liebe.

Sussurrò la voce direttamente nella sua testa, come se appartenesse ai suoi pensieri; eppure aveva assunto un tono maschile e di certo, non le apparteneva.
Selvaggia sgranò gli occhi impaurita, indietreggiando sui suoi passi al punto di correre di nuovo a casa.
Che fosse stato proprio lui a parlarle?!

Non ha mosso neanche le labbra, come diamine avrà fatto?!

Il razzo si passò una mano bianca fra i capelli biondo miele e distolse finalmente lo sguardo da lei che chissà perché, Selvaggia sapeva bene in cuor suo, che quella chioma indomita che gli ricadeva sulla fronte in modo irregolare, diventava dorata sotto ai raggi del sole come la sua corona.
La ragazza scosse il capo più confusa di prima dalla natura di quelle riflessioni improbabili e così facendo, qualche ciocca d’ebano le finì davanti alla faccia, forse per proteggerla in qualche moda da quel giovane misterioso.
Cosa le stava succedendo?!
Riprese lentamente fiato nei polmoni. L’aria gelida di Marzo, la fece rabbrividire, ma la riscosse anche da quei pensieri così estranei per lei.
Si fece finalmente coraggio per potersi avvicinare di nuovo a lui. Non l’aveva mai visto dalle sue parti e neanche altrove; ragazzi così belli erano difficili da scordare, anche se per lei, aveva un’aria vagamente familiare, come se lo conoscesse da sempre… Possedeva un fascino quasi crudele. Avrebbe potuto tranquillamente fare il modello in qualche rivista famosa, non si sarebbe sorpresa ad aver visto qualche sua foto sulle riviste di moda di Cecilia – la sua inseparabile compagna di banco – Il tempo sembrò fermarsi fra loro. Selvaggia rimase ad osservare il suo profilo da dio greco per un tempo che le parve troppo poco. Era difficile non guardarlo, le faceva quasi male distogliere lo sguardo da lui, ma in qualche modo, alla fine ci riuscì. Fece vagare la vista sul suo fisico asciutto e tonico, percependo dentro di lei una certa fame, che solo quel tipo riusciva a scatenarle. Quando tornò su quel volto magnifico, il suo cuore mancò un battito e trattenne di nuovo il respiro. Ora, anche lui la guardava, ma diversamente da prima, non la fissava più con odio; sul suo viso infatti aleggiava solo frustrazione e tormento.

Perché sei andata via? Perché mi hai abbandonato…?
 
Risuonò la voce malinconica.
Lei era oltremodo ancora più smarrita di prima.

Io non capisco… Che vuoi dire?

Si chiese, ma non parlava a sé stessa… Almeno, così aveva iniziato a credere.
Lui distese le sopracciglia in un’espressione sorpresa, come se avesse sentito ciò che pensava. Ciò che sentiva…

Assurdo, non può essere vero.

Pensò, ma a differenza di prima stavolta, non ci credeva davvero.
<< Tesoro, ti sei dimenticata la borsa a casa! Ho provato a chiamarti ma hai lasciato il cellulare fra i libri delle lezioni di oggi qui dentro e così ho fatto una corsa! Oh Cielo, non ho più voce… >> Urlò sua madre, correndo da lei ancora in vestaglia e pantofole. Era una visione rosa porcello alquanto esilarante si disse. Aveva avuto la testa così affollata di pensieri – non suoi – che si era dimenticata l’occorrente all’ingresso d’entrata.
La figlia si voltò verso la mamma che ormai era senza fiato e le sorrise grata: << Grazie mille, stavo per andare a scuola senza nulla >>
Scacciò via l’emozioni provate poco prima dal suo arrivo e prese la cartella dalle mani di sua madre, mettendosela a tracolla per sicurezza. Era così sbadata quel giorno, che rischiava di dimenticarsela in giro una seconda volta. Quando tornò a voltarsi verso la fermata dell’autobus, il ragazzo era già sparito. In un attimo, come se non fosse mai stato davvero lì.

Ancora scossa per gli avvenimenti che avevano preceduto la giornata, Selvaggia si era ritrovata così immersa nelle sue inquietudini, da non accorgersi di ciò che la circondava. Si ritrovò a vagare come un’anima in pena per i corridoi della scuola senza una vera meta. L’edificio usurato dal tempo, era ghermito di studenti chiassosi, ma lei non riusciva comunque a prestarvi attenzione.
Dopo aver salutato sua madre, aveva preso il bus senza neanche rendersene davvero conto; perché mentalmente era ancora alla fermata nel numero Nove a parlare telepaticamente con quel giovane sconosciuto…

Telepaticamente… Ma cosa vado a pensare?! Sto impazzendo davvero…

Si rimproverò e per punirsi di quei pensieri, si morse l’interno della guancia. Almeno il dolore la riportava – anche se per poco – alla realtà.
<< Selvy, ti senti bene? >> Le domandò la sua amica Cecilia alquanto preoccupata. Le era difronte, con il libro di Storia dell’Arte in braccio, stretto al petto come fosse uno scudo protettivo contro il mondo, attendendo una risposta. Cecilia era più bassa di lei – in che era tutto dire – dalla capigliatura mossa, castano chiaro, simile al colore dei suoi occhi e dal viso pieno di lentiggini scure. Un fisico minuto e le spalle sempre un po’ incurvate come gli angoli della sua bocca in quel momento. << Sei anche più pallida del solito. Sembra che tu abbia visto un fantasma… >> Aggiunse incitandola a risponderle visto che, non lo faceva.
Selvaggia sospirò rumorosamente, meditando che quella, era la parola giusta per descrivere un tipo che scompare all’improvviso appena ti giri e si incamminò con lei verso l’aula dove vi si sarebbe svolta la prima lezione: << Perdonami Cecille, ho la testa altrove ed oggi non ho riposato bene a letto… >> Mugugnò massaggiandosi le tempie, frustrata da quelle stesse rivelazioni assurde che le vorticavano nella mente. Stava viaggiando troppo di fantasia.
Dopo aver appeso i loro cappotti agli attaccapanni, si sedettero nelle file di banchi centrali mentre i loro compagni, cercavano d’accaparrarsi i posti “migliori” in fondo alla classe.
Lavinia, la “reginetta della scuola” si fiondò in classe esaltata più che mai: << Ehi brutta gente, non ci crederete mai, ma abbiamo un nuovo studente che frequenterà le nostre lezioni ed è uno schianto… >> Squittì entusiasta.
Lavinia era quella che Selvaggia chiamava oca giuliva che non fa altro che starnazzare tutto il tempo. Una finta bionda con le meche ancora più bionde, un’abbronzatura artificiale, mascherone di trucco in faccia sempre e comunque e come sua religione personale, assomigliare in tutto e per tutto a Barbie.
Mentre entrava il loro professore di Storia dell’Arte, Selvaggia rimase di sale nel vedere da chi era seguito.

No, non è possibile.

Un brivido le percorse la spina dorsale nel rivedere il misterioso fantasma entrare in aula.
Camminava sicuro di sé, come se l’intero liceo fosse suo ed aveva un’aria d’indifferenza tale, da farle venire l’orticaria. Quel ragazzo le scatenava sentimenti così forti che a stento, riusciva a controllare il respiro. Percepiva il suo stomaco in subbuglio; altro che farfalle nello stomaco, le ricordavano di più api assine.
Il Prof. Gentileschi, si sistemò gli occhiali sul naso e si schiarì la voce: << Classe, come vi avrà già sicuramente accennato Lavinia, lui è un ragazzo tedesco qui in visita visto che la gita di quinta, si farà proprio in Germania, vicino ad Hannover a fine Aprile. Il vostro nuovo compagno di corso, capisce benissimo la nostra lingua, perciò niente battutine stupide sul suo conto. Il suo nome è… Come hai detto che ti chiami? >>
Lui puntò quello sguardo spaiato e che mozzava sempre il fiato a Selvaggia, su di lei con un’intensità tale, da oscurare qualsiasi cosa attorno a loro. << Mi chiamo Jareth Täuschungen ed è solo l’inizio… >> Per Selvaggia, sembrava quasi una minaccia…

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


…Jareth…

Selvaggia accarezzò quel nome con la mente, ma non sembrava appartenergli davvero. Aveva la strana sensazione che si stesse burlando di lei…
Chissà come, ebbe la forza di guardarsi attorno. Rimase allibita da come Jareth fosse riuscito a catturare l’attenzione di tutti in classe, semplicemente presentandosi.
Inesorabilmente, voltò il capo verso di lui nuovamente.
Era più forte di lei, come se fosse una calamita e quel ragazzo, il suo magnete. Jareth era in piedi davanti alla a tutti loro.
Un lieve raggio di sole fece capolino da una nube livida di pioggia, illuminando la sua parte destra. E proprio come immaginava, una parte dei suoi capelli color miele, luccicò come l’oro, mentre l’occhio verde scuro, assumeva un tono più vivido e chiaro.
La parte sinistra invece, era rimasta ombrata e scura e per un attimo, Selvaggia vide con orrore il viso del ragazzo trasmutarsi in quello di un mostro.
L’iride nera dell’occhio nocciola, inghiottì tutto il colore, ingrandendosi all’inverosimile. La pelle pallida, sembrò creparsi come terreno arido, assumendo una tonalità verdognola e malaticcia. Il resto dei suoi capelli, si drizzarono come aculei, irti sulla testa, mentre quelli che sembravano rami d’albero, gli screscevano sul lato oscurato dalla luce.
Il lato sinistro di Jareth, le ghignò malefico, mostrando delle zanne aguzze al posto dei denti.
Selvaggia faticò a soffocare un urlo e si alzò così velocemente dalla sedia, che questa cadde a terra, sbattendo violentemente sul pavimento e tutti… Tutti si voltarono verso di lei.
Aveva il respiro affannato, come se si fosse ridestata da un altro incubo; anche se questo era assurdo visto che, era sveglia. Ne era sicura… Quasi.
Il professore inarcò un sopracciglio: << Vuole aggiungere qualcosa Signorina Malaspina? >> Chiese con una certa dose di sarcasmo. Nessuno aveva visto ciò che lei invece, aveva osservato. Così com’era apparso, quell’immagine mostruosa sparì, lasciando posto di nuovo al bel ragazzo, immobile come una statua.
Selvaggia fissò di nuovo Jareth che le sorrise sinistro, facendola tremare da capo a piedi come una foglia: << Io… Ecco… Devo andare un attimo al bagno… >> Biascicò.
Anche se fu quasi un sussurro, sembrò rimbombare nella stanza perché in aula, non volava una mosca. Era ridicola, questo già lo sapeva, ma non le era venuto in mente nient’altro da dire in quel momento.
Jareth ed il Prof. Gentileschi assunsero la stessa espressione di sconforto, come se fossero dei vecchi alle prese con dei bambini. << Bene, visto che deve uscire, ne approfitti per mostrare anche allo studente di interscambio culturale dove può trovare pure lui i servizi. Sono sicuro che ne avrà bisogno in futuro; Così ne approfitterà per prendere un po’ d’aria fresca… La vedo più pallida del solito oggi… >> Sentenziò il professore. Selvaggia deglutì a fatica la saliva che le era rimasta in bocca.

Oh no…
Oh sì…

Era nei guai fino al collo.

*Mi dispiace se il capitolo è corto, ma nel prossimo succederanno cose O.O*

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


Selvaggia corse in bagno, manifestando quello che le sembrava a tutti gli effetti un attacco di panico. Non che ne avesse mai avuto uno prima d’allora, ma ne aveva visti alcuni dal vivo, negli anni passati.
Si aggrappò saldamente con le mani umidicce al lavabo dei servizi femminili e strinse così forte la porcellana candida, da farsi venire le nocche cianotiche.
Respirare le recava quasi dolore. L’ossigeno infatti, entrava dal naso con troppa forza nei suoi polmoni, facendole poi girare la testa; ma questo probabilmente, era dovuto più alla presenza di Jareth che a quello che aveva intravisto in aula, si disse.
Aprì il rubinetto del lavandino sciacquandosi il volto con l’acqua fresca per cercare di calmarsi e si fissò allo specchio.
Con orrore, constatò per la seconda volta in quella maledetta giornata, che il suo riflesso non c’era.
Sulla superficie lucente non vi era nessuno se non l’immagine di una foresta rigogliosa ed incolta, dalle foglie verdi baciate dal sole e dai cespugli colmi di succose bacche selvatiche. Una visione celestiale che sembrava proprio vera, come fosse stata veramente lì; solo riflessa nel posto sbagliato…
Era troppo.
Selvaggia cercò di fuggire dal bagno il più velocemente possibile, ma nel farlo, andò a scontrarsi contro qualcosa… O per meglio dire, qualcuno.
Entrambi finirono al suolo una sopra l’altro. E quando lei alzò il viso – stravolto da tutto ciò che le stava accadendo – verso il suo, vi trovò quello di Jareth, con un’espressione furente, come un animale feroce che fissa la sua preda pregustando già la sua cerne nelle fauci. L’eterocromia del suo sguardo, si era accentuata. Selvaggia rammentava bene – anche se non sapeva spiegarsi come – che le sue emozioni trasparivano sempre dai suoi occhi; mostrando i suoi stati d’animo.
E solo allora si rese conto che era abbastanza vicina alla sua faccia, da riuscire a scorgere tutti quei piccoli dettagli che prima non era riuscita a prestarvi attenzione. Infatti, si accorse di una piccola cicatrice verticale, che intaccava di poco, il lato sinistro del labbro superiore, così fino rispetto a quello inferiore, più carnoso.
Una bocca peccaminosa.

Labbra da baciare

Quasi involontariamente, sfiorò con le dita quel punto, sentendosi fin nelle viscere il diritto di farlo.
Jareth s’irrigidì a quel tocco tanto leggero; sembrava quasi che gli causasse sofferenza.
La respinse da sopra di lui, ritraendosi dalla sua mano, quasi ne avesse paura. Timore di lei e di ciò che gli provocava.
E cosa esattamente gli scatenava dentro?
Cercarono d’alzarsi dal pavimento piastrellato del corridoio principale e si guardarono attorno. Non vi era nessuno nei paraggi.
<< Scusami, oggi non è una bella giornata per me… >> Disse Selvaggia alquanto imbarazzata per l’accaduto, ma Jareth la fulminò di nuovo, con quel suo sguardo bicolore, sibilando come una serpe:
<< Questo è solo un gioco per te Selvaggia? Non hai idea di cosa io abbia passato in tutti questi anni… Cosa io abbia provato. Sono tornato per la resa dei conti. Ti farò soffrire come tu hai fatto soffrire me meine liebe… >>
Pure alla fermata del bus l’aveva chiamata cosi, rifletté. Chissà cosa voleva dire…?
Spuntò le ultime due parole come fossero veleno mentre si allontanava da lei, lasciandola lì, inerme e piena di domande.

Che significavano le sue parole? E perché mi odia così tanto? Cosa mai gli avrò fatto?

La giornata non faceva che migliorare, meditò ironica.

Selvaggia, non si era mai sentita cosi sconfortata in un solo giorno.
Aveva cercato di evitare qualsiasi specchio – grande e piccolo – perché vi trovava sempre l’immagine di quel bosco selvaggio e non aveva più visto Jareth dal loro ultimo incontro per chiedergli maggiori spiegazioni di ciò che gli aveva riferito o cosa gli fosse preso. Quando era rientrata in classe difatti, lui non c’era. Era andato via…
Era così presa dalle sue preoccupazioni, che solo sull’autobus si rammentò di un fatto importante.

Come faceva a sapere il mio nome?

Il professore di Storia dell’Arte aveva pronunciato solo il suo cognome mentre sua madre, amava nominarla sempre Tesoro e quella mattina, non era stata da meno.
Volse il viso verso il finestrino con un mal di testa formato famiglia, scrutando il panorama che le scorreva davanti, a tratti indistinto in una macchia di grigi, verdi ed azzurro.
Doveva saperne di più su lui. Era risoluta più che mai a scoprire chi fosse davvero Jareth Täuschungen.
Di una cosa era certa, non era quello che sembrava…
Era tardi quando rientrò esausta ed amareggiata a casa, ma si rifugiò subito nella sua stanza. Accese il suo Portatile per fare le dovuto ricerche.
Chiunque aveva un passato, persino i fantasmi ne possedevano uno…
Digitò sul motore di ricerca il suo nome e cognome insieme e schiacciò Invio.
La pagina le apparve bianca.


Selvaggia, dorme. Od almeno è quello che stava facendo fino ad un attimo prima che fosse di nuovo circondata dal buio più totale.
Anche se stavolta era diverso.
La ragazza era stesa su una superficie ruvida, che le graffiava il tocco incerto e curioso, dei suoi polpastrelli.
La superfice frastagliata e fredda, le ricordava gli scogli alla riva del mare di notte; quando i raggi solari non li riscaldavano più col loro caldo abbraccio. Ed era strano per lei pensarlo perché Jareth, era proprio come il sole e senza di lui, Selvaggia si sentiva esattamente così… Fredda.
Con cautela, si sollevò dal suolo. Era scalza come quando dormiva nel suo letto, ma percepiva addosso il suo corpo, un abito lungo e morbido, che non era di certo il suo umile pigiama. Si tastò il suo esile fisico, accarezzandosi lungo i fianchi. Il tessuto era liscio e leggero come seta – e forse lo era – con dei lievi ricami in rilievo su quello che le sembrava un bustino. Era smanicato e con una profonda scollatura. Quando passò a tastarsi anche le cosce, trovò uno spacco vertiginoso che le lasciava scoperta tutta la gamba destra; ma c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel particolare. Ovviamente Selvaggia non aveva mai indossato un vestito del genere, ma non ci voleva di certo un esperto nel settore per sentire che in quel punto preciso, la gonna era stata strappata involontariamente da qualcosa.
Come se lei fosse fuggita da qualcuno… Il punto era, da chi?
Quel sogno era sempre più strano e cominciava ad inquietarla sempre di più… Doveva svegliarsi subito, pensò timorosa.
Si guardava attorno sempre più agitata, immersa nella completa oscurità di quel luogo, senza trovarvi nessuna via d’uscita e ciò non l’aiutava di certo ad acquietarsi… Ed infine, alle sue spalle, in lontananza, intravide quello che le parve uno spiraglio di luce bianca.
Vi corse contro.
Non le importava del dolore spinoso alla pianta dei piedi, voleva solo uscire da quel posto buio e freddo. Quando quel bagliore accecante la investì, facendole strizzare lo sguardo per il forte lampo, si risvegliò daccapo in camera sua.


Riaprì gli occhi all’improvviso, fissando il soffitto della sua stanza senza vederlo davvero.
Che diavolo le stava succedendo?!

Forse ho sulserio qualcosa che non va

Meditò rattristata da quella sua situazione inspiegabile.
A chi avrebbe potuto mai confessare ciò che le stava succedendo? Nemmeno lei sapeva cosa avesse esattamente.
Si passò una mano fra i capelli per districare i nodi che si erano creati dalla sera precedente e si portò davanti allo specchio con una certa urgenza.
La sua figura non c’era. Ormai era quasi diventata un abitudine costatarlo nelle ultime ventiquattr’ore; ma era una novità vedere ogni volta cosa esso mostrava.
La foresta floreale e paradisiaca, immersa nella pace dei sensi del giorno. Selvaggia fece un bel respiro ed avvicinò la mano alla superficie riflettente, con circospezione.
Era quasi sul punto di toccarla…
<< Sveglia sorellona, o non arriverai a scuola in tempo! >> Gridò Elia dall’altra parte della porta mentre correva lungo il corridoio.
Selvaggia buttò fuori l’aria dai polmoni tutta d’un colpo solo ed alzò gli occhi al cielo, facendo cadere il braccio lungo il fianco.
Prima che potesse uscire da camera sua, diede un’ultima occhiata alle sue spalle.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ***


Il giorno seguente, Jareth non si presentò in classe né alla fermata del numero Nove. Eppure, Selvaggia in qualche modo riusciva a percepire la sua presenza. Sentiva d’esser costantemente spiata e la cosa non le piaceva affatto.
Non aveva mai avuto manie di persecuzione e di certo, non voleva iniziare adesso. E poi oltre al mistero di Jareth, c’erano anche gli incubi…
Cosa aveva il suo subconscio che non andava?!
Aveva bisogno di risposte che non poteva trovare su Internet.
Dopo scuola infatti, si recò nell’unica biblioteca comunale della sua piccola città di provincia per cercare qualche libro che trattasse di argomenti onirici e… Di disturbi mentali già che c’era.
Selvaggia non era mai stata una volpe d’astuzia, ma non era così sciocca – o sicura – da pensare che fossero solo tutte delle stupide coincidenze.
Qualche goccia d’acqua piovana, le rigarono il volto come lacrime gelide. Alzò il capo verso il cielo sempre più cupo. Le nubi di varie tonalità di grigio, si ammassavano sopra di lei sempre più minacciose. Si univano, scontrandosi con tuoni di luce, oscurando il cielo. Selvaggia si sentiva così piccola ed indifesa difronte a tanta violenza che affrettò il passo.
Aveva l’inquietante sensazione che il maltempo fosse il riflesso dell’umore di Jareth che la osservava...

Assurdo… Questo è impossibile…
 
…Niente è impossibile per me

Selvaggia si bloccò in mezzo alla strada, mentre i lampi di luce diventavano sempre più lunghi ed il vento, le graffiava la pelle. La voce maschile era ritornata.
Non riusciva ancora a distinguere se appartenesse alla sua fervida immaginazione oppure alla sua nuova follia.

Fai silenzio stupida voce! Sei solo frutto della mia fantasia…
 
Ti sei costruita un castello di bugie e menzogne per viverci ed ora, io te lo smonterò mattone dopo mattone… La sappiamo entrambi la verità, devi solo ritrovarla Selvaggia

La ragazza si portò le mani alle orecchie, serrando gli occhi e le labbra, sofferente da ciò, ma quelle parole cominciarono a rimbombarle nella testa, echeggiando per diversi minuti prima di zittirsi del tutto.


L’edificio della biblioteca, era una delle strutture più vecchie e storiche d’ Italia. Le sue fondamenta erano Greco\ Romane, il corpo a mattoni medievali ed il tetto dalle decorazioni scultoree barocche. Un miscuglio d’epoche singolari. Ed era anche uno dei pochi posti dove la gente non vi si recava più. Per la maggior parte del tempo, quel luogo era frequentato solo dalla bibliotecaria centenaria, Lena Sciarpe – la E finale è muta – ex professoressa di lettere in pensione da più di vent’anni.
Selvaggia, arrivò all’entrata principale bagnata fradicia. Fuori, la pioggia scosciava contro i vetri delle finestre, facendole tremare pericolosamente. Il temporale alla fine era arrivato.
Le luci della struttura, tremolarono come le fiamme delle candele. Servivano a poco visto che l’arredo era tetro quanto l’esterno. L’aria avvizzita, sapeva di vintage e di persone anziane mentre alle pareti, il vecchio parato in vellutino rosso, era rovinato e strappato in diversi punti. Selvaggia fece qualche passo, scorgendo poco più avanti il bancone della bibliotecaria con i diversi scaffali, colmi di libri polverosi e di ogni secolo, tranne che del ventunesimo.
<< Ehilà…! C’è nessuno? Signora Sciarpe è qui? >> Chiamò Selvaggia alquanto intimidita.
Più avanzava nella stanza, meno pozzanghere d’acqua lasciava sul parquet laminato, ad ogni sosta che faceva per guardarsi attorno. Passeggiava incerta fra la sfilza di libri della biblioteca quando udì un tomo cadere per terra, con un tonfo secco proprio alle sue spalle. Si voltò incuriosita, chinandosi per raccoglierlo.
Era un libro vecchio – come la maggior parte dei tomi ammuffiti di quel posto – con le pagine ingiallite dal tempo. Lo raccolse leggendo il titolo sulla copertina: “Miti e Leggende sulle creature fatate in Europa
<< Scelta alquanto singolare la tua, giovincella >> La ragazza, alzò il viso dalla copertina del libro per incontrare la signora anziana che cercava. Lena Sciarpe, era una donnetta molto minuta, con una nuvola di capelli bianchi come la neve sulla testa e degli occhiali da vista più grossi della sua faccia. Aveva un delizioso capellino esotico, intonato col vestito marrone che sembrava vecchio quanto lei. L’anziana si avvicinò a Selvaggia a passetti piccoli e veloci mentre la ragazza, ritornava in posizione eretta.
<< Intende dire questo? >> Domandò lei, mostrandole il tomo. << Oh no, non l’ho scelto. È solamente caduto dal suo scaffale ed io lo stavo giusto per rimettere appos…>>
Selvaggia venne interrotta dalla Signora Lena Sciarpe che le era difronte: << Sei entrata qui dentro con una domanda che attende una risposta, giusto? >> La ragazza, guardò prima il libro e poi lei, annuendo pensierosa. << E per le mani ti è capitato questo grosso volume…>> proseguì e Selvaggia, non poté fare altro che annuire di nuovo. << Spesso non riusciamo a risolvere il nostro problema attuale perché lo viviamo in prima persona e per questo, la risposta che ci è davanti è spesso invisibile ai nostri occhi… Prendi il libro Cara, magari vi troverai qualcosa che saprà darti la risposta che tanto cerchi>> Concluse la vecchietta.
Selvaggia diede un altro sguardo a quel tomo antiquato. Sperava tanto che la Signora Lena Sciarpe avesse ragione.


<< Sono a casa! >> Disse a gran voce, rientrando nel tardo pomeriggio.
Selvaggia annusò l’aria, percependo l’invitante profumo dei funghi porcini. Sua madre stava cucinando il suo favoloso risotto; aveva già l’acquolina in bocca.
<< Bentornata Sorellona! Vuoi guardare un film con me? >> L’accolse suo fratello, seduto sul divano color glicine. La TV a schermo piatto da quaranta pollici, era accesa e trasmetteva in onda un vecchio film.
“Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte quanto la tua ed il mio regno, altrettanto grande…”
Quella battuta della giovane Jennifer Connelly, attirò l’attenzione della ragazza. La scena era con David Bowie, morto qualche giorno prima.
“…Tu non hai alcun potere su di me” Concluse l’attrice.
<< Eli… Che film è questo?>> Domandò la sorella sempre più incuriosita dalla storia che non riusciva a non guardare. La Signora Malaspina – che aveva sentito tutta la conversazione dalla cucina – fece capolino nel soggiorno con un paio di bicchieri di limonata fresca: << Tesoro, non ti ricordi? The Labyrinth, Era il tuo film preferito quando avevi due anni e non parlavi ancora bene…>> Selvaggia stentava a credere al commento della madre. Sul suo viso si dipinse infatti un’espressione alquanto dubbiosa perché lei proseguì, andando a ritroso con i ricordi. << Andavi in giro per casa con le tue gambette mal ferme, dicendo a gran voce “Sono la regina dei Goblin, inchinatevi tutti. Jareth mi aspetta!” Una roba del genere… Dovrei avere ancora da qualche parte, un tuo filmino in giro per casa…>> Terminò la frase ridendo, non rendendosi conto dell’espressione di puro terrore sul volto della figlia.

…Jareth... Il re dei Goblin interpretato da David Bowie nel film The Labyrinth


*Messaggio dell'Autrice*
The Labyrinth è stata una delle storie principali da cui ho preso ispirazione per questa storia^^
Più aventi ci saranno altre citazioni e leggende varie ;)

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 ***


Selvaggia non riusciva a stare ferma; andava avanti ed indietro, in giro per la sua stanza quasi ossessivamente e per il nervoso, aveva iniziato a mordicchiarsi le unghie delle dita.
Dopo cena, si era fatta una doccia veloce e si era messa una vestaglia leggera, viola pastello di Tezenis, senza asciugarsi nemmeno i lunghi capelli.
La sua mente era un vespaio d’idee confuse e che sfioravano l’inconcepibile per pensare ad altre cose più sensate, come i compiti da fare o quanti soldi mettere da parte per la gita.
Era quasi certa infatti, che Jareth, non fosse il vero nome di quel ragazzo che iniziava ad ossessionarla. E che lui fosse veramente il re dei Goblin. A riprova di questa sua assurda tesi, vi era il libro che le era capitato per le mani per puro caso.
Aveva senso, no?
Selvaggia, lanciò un grido di frustrazione per poi gettarsi a peso morto, sul letto. Premendo la faccia contro al suo cuscino cicciotto. Cominciò a toccarsi la piccola voglia che aveva sul viso, come quando era piccola. Lo faceva per rassicurarsi.
Aveva sempre amato definirsi una ragazza seria, dal sangue freddo e con la testa sulle spalle. Fra un mese avrebbe compiuto diciott’anni e lei pensava a Re e Goblin.
<< Assurdo… I Goblin non esistono...>> Mormorò, sdraiandosi a fissare il soffitto.
Ad un tratto, percepì qualcuno bussare da dietro il legno della porta ed il tono calmo di suo padre che le chiedeva di entrare per mostrarle una cosa. Selvaggia acconsentì, sedendosi sul materasso mentre il signor Malaspina entrava, per porgerle dei suoi vecchi disegni. Forse addirittura i suoi primi veri scarabocchi sensati.
<< La mamma li ha trovati dopo tanto cercare in soffitta. Ci teneva che li vedessi…>> Disse, accennando un sorriso nostalgico.
Erano quattro grandi fogli. Il primo era pieno di varie sfumature di verde tra pastelli e pennarelli vari, come la foresta che le appariva nello specchio; con due omini. Una femminuccia dai capelli neri e due puntini azzurri come occhi, l’altro era invece un maschietto. Con i capelli biondi e… Selvaggia stentava a credere a ciò che vedeva. Gli occhi di quel maschietto erano un puntino marrone ed uno verde. Trattenne il respiro e sfogliò il secondo disegno.
Stavolta i personaggi che riuscì a distinguere erano tre. Il maschietto in questa foto portava una specie di corona sulla testa ed anche la femminuccia ne aveva una, ma quasi a bordo del foglio, come fosse stato un personaggio sgradevole, vi era una piccola figura indistinta tutta nera e bianca; sembrava priva di colore in confronto al resto. E ciò la inquietava parecchio…
Il terzo foglio era ricoperto di macchie verdognole e marroncine di varie grandezze e tutte con occhi neri e gialli. Selvaggia deglutì rumorosamente e si fece coraggio per osservare l’ultimo suo disegno.
Quest’ultimo era il più enigmatico. Vi era segnato un grosso cuore rosso e sotto, a caratteri grossi e tremolanti, ma sorprendentemente leggibili, del medesimo colore, vi era scritto: “Il cuore dell’Erlkönig

Ed ora chi era esattamente questo Erlkönig?


Alle dieci di sera, Selvaggia era seduta alla sua scrivania con quel dannato libro chiuso davanti a lei. Orami era passato quasi un quarto d’ora da quando aveva deciso di volerlo leggere; ma non aveva neanche il coraggio di decidersi ad aprirlo.
Stava quasi per gettare la spugna, quando udii la suoneria del suo cellulare da qualche parte in camera sua. Si fiondò a cercarlo in ogni angolo, fino a quando riuscì a beccarlo nella cesta dei panni sporchi. Non le serviva neanche leggere il nome sul display; solo una persona al mondo la chiamava alle ventidue, di Venerdì.
<< Pronto Cecille? Dimmi tutto… >> Cecilia non amava parlare, a meno che non fosse dietro al piccolo schermo del suo telefonino. In quel caso, si trasformava in una chiacchierona che Lavinia in confronto era nessuno.
<< Pronto Selvy, ero solo un po’ preoccupata per te. Oggi eri molto strana, sembravi assente in aula. E ieri avevi una pessima cera… Forse ti sei presa l’influenza. Domani ci sei comunque a scuola? >> Le chiese la sua amica intimorita per la sua salute.
Cosa avrebbe potuto dirle Selvaggia? Che ultimamente le stavano succedendo delle cose troppo strane da raccontare e che n’era spaventata da morire…?
Scartò subito l’ipotesi scuotendo la testa e le diede una risposta simile a quella che le aveva detto il giorno prima.
La sua amica, sospirò rassegnata dall’altra parte della cornetta: << Mi raccomando, cerca di riposare stanotte. Ti ho chiamato perché… Posso dirlo solo a te. Sei l’unica mia amica che capirebbe… >> Quando Cecilia iniziava così, significava che aveva un nuovo scoop che nemmeno “La reginetta delle Oche Giulive” sapeva. << Hai presente il ragazzo nuovo e bellissimo che era assente oggi, no? Ecco, lo sai che di solito il Venerdì pomeriggio dopo la scuola, faccio da Baby Sitter al figlio della mia vicina di casa e che lei è mezza tedesca e per cui parla un po’ quella lingua e la capisce…>> Un difetto di Cecilia, era che straparlava più del dovuto.
Selvaggia la interruppe solo per dirle di andare al nocciolo della questione. Si alzò dalla sua scrivania, lasciando il libro ed i disegni sul tavolo per poi sdraiarsi di nuovo a letto.
<< Va bene, va bene, va… Bene. Ci stavo giusto arrivando. Ero curiosa di sapere da che città tedesca provenisse Jareth con precisione e così, ho provato a cercarlo su Facebook e Instagram, ma non ho trovato nessuno che corrispondesse a lui. >> Anch’io avevo fatto delle ricerche senza arrivare a niente. Poi Cecille, disse qualcosa che attirò la mia attenzione. << Così per pura curiosità – visto che parla bene la nostra lingua – ho pensato che avesse modificato il suo cognome da tedesco, ad italiano e coincidenza pazzesca, il suo cognome se lo traduci nel nostro vocabolo, significa Inganni… Non è tipo super cool?>> Squittì estasiata.

Jareth, Inganni…

Senza neanche che lo facesse apposta, Cecilia le aveva dato una conferma che non era così assurda come la sua.
Jareth non era affatto quello che sembrava.
Ora n’era più che certa.

Esausta, chiuse la chiamata con quella svitata della sua amica per coricarsi. Precedentemente, aveva nascosto dietro le ante del suo armadio il suo specchio. Per un po’ ne avrebbe fatto a meno. Si portò una mano alla bocca, sbadigliando assonnata. Si sentiva distrutta e stanca, ma quando adocchiò la sua scrivania, ebbe un sussulto d’ansia.
Il vecchio libro della biblioteca ed i suoi disegni di quando era solo una bambina, erano scomparsi di punto in bianco. Rimase immobile contro la parete della sua stanza, sbattendo solo più volte le palpebre, attonita.
E poi, come se una forza invisibile le avesse voltato la testa, vide letteralmente l’anta destra del suo mobile da socchiusa, chiudersi del tutto da sola.
L’ultima cosa che udì prima di svenire sul pavimento, furono delle risatine maligne che d’umano, non avevano nulla.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 ***


Selvaggia stava sognando di nuovo.
Schiuse gli occhi, ritrovandosi in quella che le sembrava una Reggia floreale.
Le pareti di quest’ultima, erano ricoperte d’edera. Ogni spiraglio, ogni piccola crepa, era tamponata con ciuffetti d’erba e muschio profumato.
Le ampie finestre ad arco che davano all’esterno, erano prive di vetri ed illuminavano il lungo corridoio su cui lei, si era trovata nel mezzo.
Alle sue spalle, vi erano diverse porte di legno massiccio, allineate lungo la parete opposta dei varchi. La ragazza sentiva il capo pesante, adornato di qualcosa che le raccoglieva i capelli in una acconciatura elaborata. Si portò una mano sula nuca, tastando diverse forcine a forma di farfalle e libellule. Infine si toccò la fronte, percependo una preziosa tiara frontale.
Notò poi il suo abito, di un magnifico colore blu notte. In perfette condizioni, con delle ballerine fatte solo con petali di Violette – il suo fiore preferito –
Oltre che ai piedi, le Viole erano anche attorno alle sue braccia.
Selvaggia, era oltremodo più confusa di quanto non fosse mai stata prima; titubante, si guardò attorno, stentando a credere ai suoi occhi. Udì una porta aprirsi alle sue spalle ed una voce che conosceva fin troppo bene, chiamarla a sé in un tono… Che non aveva mai udito da lui.
<< Ah… Sei qui meine liebe. Ti ho cercata ovunque, non è il momento questo di giocare a nascondino… >> Disse Jareth in modo quasi divertito, come se stesse scherzando con lei.
Selvaggia si voltò verso la direzione del ragazzo; doveva essersi ormai abituata alla sua bellezza, invece le recava sempre il medesimo effetto da capogiro. Bello come il sole, Jareth era difronte a lei in tutta la sua magnificenza.
Portava una corona lucente sulla testa, brillava al sole come il suo sorriso smagliante. Una camicia antiquata di lino blu, aperta sul petto, intonata a dei pantaloni con stivali da uomo di pelle. Un vestiario che poteva risalire al 1700 d. C presuppose la ragazza.
Lei si meravigliò nel rispondergli in tono giocoso, come se fosse abituata a parlargli in modo così amorevole: << Ogni momento è buono per giocare con te, Erlkönig…>>
Era un allusione sessuale quella che aveva appena fatto?! Si chiese piena d’imbarazzo, avvampando come la verginella che era.
Sul viso di Jareth, nacque un sorriso pigro, di quelli che Lavinia definiva “Strappa mutande” perché sapevano far venire una donna senza toccarla.
Si avvicinò a lei, annullando quella breve distanza che c’era prima. Era davvero alto rispetto a lei, quasi due metri e la guardava come se fosse stata lei la donna più imponente e bella del mondo. Si chinò fino al metro e sessanta di Selvaggia, prendendola possessivamente per i fianchi e sussurrandole all’orecchio sinistro, facendole venire brividi di piacere, parole d’amore: << Appena questa stupida incoronazione formale sarà finita, sarò il tuo giocattolo con cui potrai dilettarti per molto, molto tempo meine liebe>>


La sveglia sul comodino riportò Selvaggia alla sua brusca realtà.
Si risveglio dolorante, stesa su un fianco lungo il pavimento, vicino all’entrata.
Doveva aver perso i sensi la sera precedente, ma non ricordava bene perché; era ancora intontita da quel bizzarro risveglio.
I suoi pensieri, erano rimasti ancorati al sogno di quella notte.

Ed ora, questo che significa?

Si chiese, scostandosi i lunghi capelli neri dal viso ed alzandosi a fatica da terra.
Troppe domande e nessuna risposta… Non voleva darsi tempo di riflettere su quelle strane fantasie notturne. Perché quello erano… Solo fantasie.
Selvaggia, sospirò esausta e si diresse verso l’armadio per recuperare la sua divisa da cameriera del Lux; il bar vicino alla suo istituto, dove lavorava ogni week end dall’anno scorso.
Arrivata davanti alle ante però, si bloccò, impietrita dall’inquietudine di quello che ci aveva nascosto dentro.
Lo specchio.
Percepiva il suo cuore, battere all’impazzata ed il fiato, sempre più corto; come se stesse per svenire una seconda volta. Deglutì rumorosamente e con mani tremanti, afferrò le maniglie dell’armadio. Quando le aprì, trattenne il respiro. Pure il suo cuore sembrò incespicare nei suoi battiti forsennati.
Ed eccolo lì, velato dalla penombra e nascosto in parte d’alcune vesti appese. Il suo comunissimo e banale specchio.

Comune e banale…

Un brivido le attraversò la spina dorsale. S’inumidì le labbra secche come se volesse parlare e con estrema cautela, afferrò la camicetta nera con il logo in rosso del bar ed una gonna corta, in tessuto leggero. Solo quando richiuse le porticine del mobile riprese fiato.

Il Bar Lux, era un grazioso locale elegante. La proprietaria Gemma Livai, era un’energica signora di quarantacinque anni – ma ne dimostrava la metà – con una passione per il colore nero. Somigliava vagamente a Morticia Addams de La Famiglia Addams, con quei suoi lunghi capelli scuri, la pelle diafana ed i suoi lunghi abiti neri. Selvaggia, lavorava per lei solo il fine settimana; di solito, le cameriere stabili del Lux, erano le sue bellissime figlie: Sofia ed Aurora, di cui era molto amica.
Era ancora molto presto per lei quando arrivò nella piazzetta alberata, iniziava il turno all’ora di pranzo, ma erano solo le dieci di Sabato mattina e non vi era anima viva in strada. Persino l’edificio pittoresco dove vi era il grazioso bar, sembrava dormire ancora. Situato alla fine di quello spiazzo silente e Selvaggia aveva ancora una strana sensazione addosso, che le faceva formicolare la pelle.
Ad un tratto, udì il gracchiare di una cornacchia che volteggiava su di lei, in maniera quasi insolita. Selvaggia, l’osservò intimorita mentre l’eco di un tuono, risuonò nell’aria. Segno che presto, avrebbe iniziato a piovere – ultimamente il meteo era pessimo – Il cielo era diventato già grigio come piombo in poco tempo.
L’uccellaccio nero sembrava volere attirare la sua attenzione, continuando ad emettere quel suo verso sgraziato. Volava attorno a lei sempre più veloce, rimando però a debita distanza. Nel continuare a voltarsi e girarsi per inseguirlo con lo sguardo, Selvaggia aveva già il mal di testa; finché esso si posò sul ramo di un albero rigoglioso.
La sagoma di quel grosso arbusto era strana, pensò la ragazza; ma nel guardare con più attenzione, Selvaggia rimase impietrita dalla paura.
Quell’albero non era affatto rigoglioso come lei credeva, era ricoperto da decine e decine di corvi appollaiati su dei rami spogli. E tutti… Tutti quegli uccellaci neri, la fissavano intensamente coi loro occhietti di tenebra. Immobili come statue.
Era una visione raccapricciante. Sentiva la gola stringersi in una morsa d’ansia e le gambe molli.
Sperava solo che fosse soltanto un altro incubo…
<< Selvaggia, cosa ci fai qui a quest’ora? >> Domandò Gemma, poggiando una mano cortese sulla sua spalla destra visto che la ragazza, le dava le spalle.
Selvaggia sobbalzò spaventata, trattenendo a stento un urlo. Pallida come un lenzuolo si voltò verso il suo superiore, ma non riuscendo ad emettere alcun suono. << Va tutto bene? Selvaggia, sei più pallida del solito… >> Chiese un’altra volta la donna difronte a lei, vagamente preoccupata.
Lei voltò di nuovo il viso verso l’albero, indicandolo, ma esso era diventato solo un grosso arbusto come tutti glia altri, pieno di foglie verdi e nessun corvo nei paraggi.

*Angolino dell'autrice*
Ringrazio vivamente, le lettrici che stanno leggendo la mia storia^^ e in particolar modo Hicetnunc95, commentando sempre ogni capitolo <3

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 ***


Selvaggia, ancora scossa dalla strana visione che l’aveva perseguitata quella mattina, sedeva su uno dei pochi tavolini del bar con un bicchiere intoccata d’acqua fresca davanti a lei.
La pioggia aveva iniziato a scrosciare così forte, d’aver reso inutile quella giornata d’apertura…
Assorta nei meandri della sua mente, non si rese conto di chi si era seduto difronte a lei, finché non le rivolse una domanda:
 
Sembri terrorizzata, Selvaggia… Stai cominciando a ricordare?

Selvaggia, serrò gli occhi e si portò le mani sulle orecchie: << Stupida voce, vattene! >> Disse pino, ma in modo deciso più a se stessa che al vuoto.
<< Non puoi scappare da me… >> Disse pacatamente Jareth.
Solo allora lei si rese conto che gli era davanti e che non era sola come lei credeva. Era sconcertata dalla sua presenza.
Come aveva fatto ad entrare se la porta principale era ancora chiusa a chiave? Inoltre il suo superiore, si era recata nel magazzino in fondo al locale e dubitava fortemente che sapesse della sua intrusione.
Selvaggia, prima che potesse riflettere, la sua bocca fu più veloce dei suoi pensieri: << Stanotte ti ho sognato… >>
Il ragazzo biondo dall’espressione impassibile e seria, alzò solo un sopracciglio, invitandola silenziosamente a continuare ciò che aveva iniziato a dire. Lei cercò di rallentare il respiro e raddrizzare le spalle mentre cercava di proseguire, senza incespicare nelle sue frasi: << …Eravamo da soli e portavamo delle corone in testa. Eri gentile con me, dolce e…>> Fece una pausa. Aveva la gola secca e lo sguardo spaiato di lui stava diventando sempre più cupo e irato.
<< E cosa… Cosa, meine liebe?! >> Si accanì Jareth, chiudendo le mani a pugno sul piccolo tavolo rotondo.
<< E sembravamo innamorati! >> Finì tutto d’un fiato.
Lui si alzò così velocemente dalla sedia, che questa cadde all’indietro come era successo a Selvaggia tre giorni prima e si sporse in avanti, afferrando il suo colletto della camicia e sollevandola dal suo posto con una forza disumana. << Sembravamo?! Noi lo eravamo… Almeno io lo ero, ma tu hai rovinato tutto rubando il cuore e portandolo qui, nel mondo dei mortali. >>
La sua voce echeggiava anche nei suoi pensieri, assumendo toni inumani e grotteschi. Lei voleva urlare, ma per l’ennesima volta, la sua voce non voleva uscire dalle sue labbra. Si aggrappò al braccio di Jareth che la sollevava da terra nonostante ci fosse un oggetto che li separasse.
Aveva una presa così debole rispetto alla sua, pensò. << Lasciami…>> Piagnucolò la ragazza, ma lui non le diede retta. Il primo pensiero sensato che fece Selvaggia, era che Jareth fosse completamente pazzo… Il secondo – un po’ meno concreto – e che lo era anche lei; quindi erano una coppia perfetta, si disse ironicamente. << Che… Stai dicendo? >> Mugolò appena, conficcando le unghie nella sua pelle, da lasciargli il segno.
Lui la lasciò andare, spingendola via e lasciando che lei cadesse come una bambola sgraziata, sulla sedia di prima. Jareth le diede le spalle, pronto ad andare via. Era quasi sulla soglia quando Selvaggia gli rivolse di nuovo la parola. Fu solo un flebile mormorio, ma lui riusciva ad ascoltarla anche quando era in silenzio.
<< Ho ancora tante domande da porti… Erlkönig >> Il ragazzo, sembrò irrigidirsi al suono di quel nome con la sua voce. Selvaggia, si erse in piedi ancora tremante e scioccata da ciò che era successo; non era una stupida. Jareth le aveva dimostrato che avrebbe potuto benissimo ucciderla – o renderla del tutto fuori di testa – con uno schiocco di dita; ma non poteva lasciarlo andare così, non senza delle risposte.
 
Non oggi…

E se ne andò via, scomparendo dalla sua vista così com’era apparso.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 ***


Di una cosa Selvaggia era assolutamente certa.
Doveva sapere chi o cosa, fosse esattamente Erlkönig e soprattutto, cosa centrasse lei in tutto questo. Ed in cuor suo, sapeva che parte delle risposte, le poteva trovare solo in quel maledetto libro, sparito misteriosamente assieme ai suoi primi disegni, la sera prima.

Come se qualcosa o qualcuno, non volesse farmi scoprire la verità…

Concluse.
Visto il maltempo di quel giorno pessimo, Gemma Livai congedò Selvaggia dal suo turno di Sabato. Era inutile essere in due, se non c’era nessuno o quasi, da servire. E così, la ragazza meditò bene di recarsi di nuovo in biblioteca.
L’unica nota positiva di quell’acquazzone primaverile, era che non vi erano pennuti di alcun genere nelle immediate vicinanze.
E Selvaggia, fu ben grata di questo.

La biblioteca comunale era esattamente come l’aveva lasciata l’ultima volta. Deserta e poco illuminata dai lumi a parete dall’aria antiquata.
Selvaggia, posò l’ombrello in un angolo buio dell’entrata; non era servito molto a proteggerla dall’acqua piovana. Era un’altra volta bagnata fradicia e sembrava un pulcino spelacchiato, ma poco le importava.
Si diresse direttamente fra le scaffalature dei vari libri sulla mitologia e letteratura prettamente tedesca.
Vi erano così tanti tomi – rovinati e non – dai titoli impronunciabili, ch’era alquanto arduo trovare ciò che lei cercava. Il suo sguardo vagava fra i dorsi di quelle copertine, alla ricerca forse di un qualche segno.
Contrasse il suo viso in una un’espressione sconfortata, non riuscendo a trovare… Neanche lei sapeva cosa esattamente.
Stava quasi per gettare la spugna, quando osservando con più attenzione, proprio sull’ultimo scaffale, in alto e nell’angolo più buio, Selvaggia intravide un libro dall’aria davvero vecchia, ma in ottime condizioni e sul bordo di quest’ultimo, notò il segno che non si aspettava davvero di notare.
Una piccola piuma di corvo. Quante possibilità c’erano?
La ragazza riuscì a raggiungere quel tomo, solo dopo aver vagato per l’intera struttura in cerca di una scala di legno massiccio, con le ruote.
Pensava di chiederla alla Signora Lena Sciarpe, ma stranamente l’anziana bibliotecaria non si era vista nei paraggi. Selvaggia comunque non ci fece troppo caso.
Quando ebbe il libro fra le mani, una leggera scossa l’attraversò sottopelle, facendole battere il cuore all’impazzata; come quando si risvegliava da uno dei suoi incubi.
Con cautela, lo portò al chiarore delle fioche lampade antiquate e lesse il titolo: “La creatura malvagia Erlkönig, Re degli elfi” Un brivido le attraversò la spina dorsale. Si sedette ad uno dei lunghi tavoli della biblioteca e cominciò a sfogliare il libro. Aveva poche immagini, ma erano raccapriccianti. Disegni di un mostro fra i boschi e circondato dall’oscurità… Selvaggia chiuse il libro in uno scatto violento, liberando una nuvoletta di polvere nell’aria; nel respirarla involontariamente, tossì, diventando rossa in faccia. Cercò di darsi un contegno e scacciando i granuli bianchi, riaprì il tomo iniziando a leggere la parte tradotta dal tedesco all’italiano.

“Erlkönig, in tedesco: Re degli Elfi. Personaggio della letteratura e leggende tedesche, che compone molte ballate e poesie come creatura malvagia e demoniaca. Infesta le foreste e conduce i viandanti verso la morte…”
 
No, non è vero…

Selvaggia smise di leggere. Stando immobile e completamente in silenzio, fissando un punto nell’oscurità di quell’ampia stanza polverosa e stantia. Non osava neanche respirare dopo quello ch’era successo poche ore prima con lui, ma la voce di Jareth si era già ammutolita nella sua testa.

Ritornò a casa solo nel tardo pomeriggio.
Aveva ricevuto un messaggio sul cellulare da sua madre che la informava era andata con suo padre a fare la spesa e si erano portati il suo fratellino rompiscatole appresso. Quindi nell’appartamento non c’era nessuno.
Era sola, di nuovo.
Aspettando che arrivassero gli altri membri della sua famiglia, si fece una doccia calda – evitando sempre quel maledetto specchio nel bagno – e si rinchiuse in camera sua.
Si era appena asciugata i capelli col phon, lasciandoli sciolti sulle spalle ed era ancora in accappatoio quando ascoltò un bisbiglio appena accennato, provenire dall’interno del suo armadio. Fu solo per un secondo, l’ombra di un sussurro, ma bastò questo a terrorizzare Selvaggia.
Se era da sola come pensava, chi diavolo c’era lì dentro?!
Selvaggia deglutii rumorosamente e per un attimo, pensò di fingere di non aver sentito niente, ma subito dopo ci fu un colpo, come di qualcosa che cade e la chiara voce di qualcuno che chiaramente diceva: << Ferma cretina o ci sentirà! >>
Lei si tappò la bocca con le mani per non urlare.
Allora c’è davvero qualcuno lì dentro! << Qui la cretina sei tu che non parli a bassa voce! >> Rispose una seconda voce.
La ragazza fece un passo indietro, spaventata a morte mentre la conversazione tra quelle che sembravano due figure femminili, continuava ad accendersi: << Cretina, io?! Adesso le prendi…>> Un paio di colpi e le ante si aprirono davanti a Selvaggia, vedendo chiaramente due personaggi – che non avevano nulla d’umano – ruzzolare fuori.
Poco più grossi di due comuni ratti, si ritrovò difronte due piccole figure cicciotte femminee e verdognole; un incrocio tra una donna ed un grasso rospo. Lunghe e grandi orecchie a punta, piccoli occhietti neri e due forellini al centro di quella che doveva essere la loro faccia come naso. Un mento spropositato da cui uscivano delle zanne aguzze e delle braccia lunghe fino a terra con delle mani troppo grandi per le loro proporzioni, con artigli giallognoli al posto delle unghie. Il loro corpo poi era ricoperto da bozzi e pustole nere da far venire l’orticaria. Erano due figure davvero grottesche.
Se Selvaggia avesse avuto lo stomaco pieno, avrebbe sicuramento rimesso sul pavimento alla vista di quelle due.
Quei due mostriciattoli, nel fissare sbigottite la ragazza che li stava propriamente guardando, urlarono all’unisono, facendo gridare anche lei. Si nascosero di nuovo da dove erano uscite, richiudendo subito le porte del mobile.
<< Ci ha viste! Chi ha viste Gal Gla, che facciamo? Lui ci ammazzerà quando lo scoprirà! Moriremo, moriremo…! Io lo sapevo che morivamooo >> si lamentò una.
<< Zitta Trock! Non è detto che lo sappia, magari non si è neanche accorta di noi la… Come dobbiamo chiamarla ora? >> Rispose – stupidamente – l’altra.
Selvaggia calò piano le braccia lungo i fianchi, ritrovandosi quasi a sorridere per quello scambio di battute così comico e assurdo. Tutto quello che le stava capitando in effetti, lo era. Si avvicinò lentamente all’armadio e lo schiuse di poco per far entrare la luce, interrompendo la discussione fra loro due.
<< Vi spiacerebbe uscire dal mio armadio? >> Domandò lei, alquanto divertita. Le due figure, illuminate solo in parte, si scambiarono un paio d’occhiate guardinghe per poi tornare a posare quei loro occhietti scuri e scintillanti su di lei.
<< Sì, ci dispiace >> E richiusero le ante per l’ultima volta. Selvaggia sbuffò, aspettando che le due finissero di confabulare fra loro.
<< Te l’avevo detto che ci aveva beccate! >> Disse nuovamente una.
<< Ti ho detto di stare zitta Trock. Lo so anch’io che ci ha beccate! >> Rispose quella che doveva essere Gal Gal o Gal Gla, una roba del genere.
<< Ed ora che facciamo?! Dovremmo uscire come ci ha chiesto? >> Chiese Trock, preoccupata.
<< Assolutamente no! Sei pazza?! Se sua maestà l’Erlkönig sapesse che prendiamo ancora ordini dalla Regina, ci frusterà a morte… >>

Cosa ha detto?! Regina?!

Selvaggia ricordandosi il sogno della notte trascorsa, spalancò le porte del suo mobile. Loro sapevano la verità.
<< Chi siete e che cosa ci fate nel mio armadio, parlate! >> Quasi gridò, ma poco le importava. Ormai era stufa di essere sull’orlo della follia; tanto valeva assecondarla.
Invece che risponderle, Gal Gla si mise le mani sui fianchi, dando una gomitata involontaria alla sua amica e borbottando per deviare argomento: << Non si bussa da queste parti? >>
Selvaggia continuò a fissarle senza lasciarsi abbindolare, finché Trock cedette: << Noi proveniamo dall’altra parte attraverso lo specchio e siamo le tue Goblin. Tu eri la nostra Regina e siamo qui per spiarti da parte dell’Erlkönig. >>
Il povero cervello della ragazza non arrivò nemmeno a processare Erlkönig, figuriamoci la parola Goblin. Si fermò ad “altra parte attraverso lo specchio”.

Selvaggia, dovette sedersi sul pavimento della sua stanza per non svenire.
Aveva le mani nei capelli e teneva la fronte poggiata sulle ginocchia mentre le due Goblin, continuavano a spintonarsi per chi dovesse parlare ancora.
L’asciugamano che avvolgeva il suo corpo con una cita del medesimo tessuto, ormai era umidiccio ed appesantito dall’acqua della doccia, facendole solo venire brividi di freddo. La ragazza infatti, continuava a tremare con le spalle contro al muro, imponendosi di non vedere nulla e nessuno.
Non riusciva ancora a crederci. << Questa storia è assurda… >> Disse più a se stessa che alle altre due.
<< Non dirlo a noi. Non credevamo che foste ancora viva Nostra Signora e Padrona >> Rispose Trock in tono apprensivo e servizievole mentre Gal Gla alzava gli occhi al cielo.
Selvaggia voleva piangere. Farsi uno di quei pianti liberatori, ma questo non avrebbe risolto il suo problema, mentale o meno che fosse. Fece un bel respiro e alzò il viso verso i due Goblin, fissandoli dritti negli occhi e ponendo loro ciò che si chiedeva da tutta la mattinata: << Siete state voi a prendere ieri sera ciò che era sopra la mia scrivania? >>
Le due scossero il capo all’unisono.

Se non erano state loro, allora chi poteva essere stato?! Mentivano per forza.

Non poteva fidarsi di loro. Eppure perché raccontarle una bugia?
Per il momento l’unica soluzione che trovava, era assecondarle.
Sperava solo di non sbagliarsi.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 ***


Selvaggia prese lo specchio fra le mani, sollevandolo fino ad averlo davanti e poggiandolo delicatamente di nuovo al suo posto.
Fece un bel respiro e sotto gli sguardi vigili delle due Goblin, provò a toccare la superficie dell’oggetto.

L'ho evitato fino ad ora…

Nello sfiorare il punto centrale dello specchio, la ragazza non percepì nessuna pressione fisica, come se non ci fosse davvero nessuna superficie lucente da toccare.

Assurdo…

Ritirò la mano di scatto per lo stupore, facendo sobbalzare Trock e Gal Gla.
Selvaggia cercò di controllare il respiro, si scostò alcuni ciuffi neri dalla guancia sinistra, portandoseli dietro l’orecchio e cercò di parlare: << A-Avete detto che siete venute da qui dentro, giusto? >> Il tono tremante di lei, suggeriva una forte emozione, che riusciva a scuoterla nel profondo. Fissò i due mostriciattoli ancora sotto shock.
Le due Goblin, annuirono all’unisono come fossero state un solo essere e poco dopo, la ragazza trattenne il fiato.
Dopo un tempo che parve infinito, la ragazza prese la sua decisione.
<< Bene, allora è dall’altra parte dello specchio che andremo. Mi condurrete dall’Erlkönig >> Disse nel tono più deciso possibile, ma dentro stava tremando di paura e di qualcos’altro che non riusciva a descrivere… Trepidazione, forse.
I due mostriciattoli, ebbero un singulto contemporaneamente ed una smorfia di puro terrore si dipinse sulle loro brutte facce, rendendole ancora più raccapriccianti.
<< No, è una follia! Non potete andare da lui, vi metterà alla gogna e vi ucciderà... E noi con voi! >> Sbraitò Gal Gla, irrequieta. << Per non parlare poi del fatto che la nuova aspirante Regina è una Ninfa della foresta che nelle vostre attuali condizioni, potrebbe uccidervi all’istante! >> Proseguì sempre più agitata.
Selvaggia, si sentì il cuore stretto in una morsa di gelosia ingiustificata oltre che di paura al suono di quelle frasi.
Trock, cercò di rassicurare l’amica, richiamandola e posandole una mano sul lungo braccio ossuto e verdastro: << Questo è vero, La Signora Rossa è una ninfa potente, ma è pur sempre una Ninfa. Non può competere di cero con La Strega Dei Corvi. >> Sorrise, indicando Selvaggia, sempre più pallida e atterrita.

Cosa?! Una strega… Io?

La ragazza cominciava già a sudare freddo.
Forse era stata una pessima idea quella di alzarsi in piedi dal suo cantuccio a terra di poco prima. O forse era solo una pessima vita, la sua. Ad ogni modo, ormai c’era dentro fino al collo come si suor dire e doveva vedersela lei coi suoi demoni, veri o falsi che potessero essere.
<< Trock, ma l’hai guardata bene?! Non ha un briciolo di potere, il sigillo che porta in faccia ne è la prova… >> Urlava sempre più forte Gal Gla, sull’orlo dell’isteria.
Selvaggia non riusciva a comprenderla.
Esitante, si toccò la voglia sotto l’occhio. Quella strana piccola macchia dalla forma così particolare…
<< E ti sei forse dimenticata che ha tradito tutto il nostro popolo, scappando col cuore?! E noi la stiamo addirittura aiutando! E se l’Erlkönig venisse a saperlo e lo verrà a sapere, ci ucciderà assieme a lei come traditrici!>> Finì esasperata, sedendosi per terra a riprendere fiato. << Sono troppo vecchia per queste cose… >> Borbottò, scuotendo il capo.
La situazione era tesa come una corda di violino.
La ragazza allora, si accovacciò vicino a loro, rivolgendosi ad entrambe: << Per favore ascoltatemi. Non so cosa stia succedendo. Non riesco neanche a capire la metà di ciò che dite, ma questo poco m’importa… >> Disse.
Doveva cominciare a fare chiarezza. La situazione ormai le era sfuggita di mano, questo era più che evidente…
<< L’unica cosa che conta per me è tornare alla normalità; ma per farlo devo affrontare di petto il problema e quindi attraversare lo specchio. Voi siete le uniche che possono aiutarmi… >> Implorò le due. E per convincerle, aggiunse con un lieve sorriso: << Così potrò riportare ciò che ho preso… Il cuore, giusto? Cos’è esattamente? >> Domandò infine.
Trock prese fiato, pronta spiegare tutto e vuotare il sacco, ma Gal Gla fu più veloce: << È la fonte di potere ed energia dell’altro mondo; ciò che dà vita al nostro ecosistema ed alla magia… >> rispose al quesito in modo brusco, come se Selvaggia fosse una bimba troppo curiosa e ponesse domande troppo banali.
L’altra Goblin – che era rimasta in silenzio per poco in realtà – prese parola, cercando di calmare la sua amica:
<< Forse ha comunque ragione la Regina. Dovrebbe tornare… E magari, La Dama delle Fate l’aiuterà a ricordare ciò che lei ha dimenticato… >> Propose cercando di sorridere, ma le venne solo una smorfia strana in faccia. Selvaggia non poté fare altro se non aspettare il consenso dell’altra Goblin.
Sperava solo di stare facendo la cosa giusta.
<< E sia… Mi auguro solo di non morire… >> Si rassegnò Gal Gla.

*Angolo dell'autrice*
Buon pomeriggio a tutte, Scusate se il capitolo è un po' corto, ma ho dovuto spezzarlo per avvisarvi che da questo punto, la storia sarà più centrata sul Dark Fantasy,
ispirandomi a fiabe come Le avventure di Alice nel paese delle Meraviglie, Il mago di Oz e Peter Pan^^
Un saluto a tutte ed in particolar modo a Hicetnunc95 <3

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 11 ***


Entrare attraverso lo specchio, procurò a Selvaggia una sensazione di freddo e malessere; eppure la sua pelle scottava sotto l’asciugamano ancora umidiccio.
Si ritrovò a precipitare nel vuoto.
Di nuovo.
Solo che stavolta, non era affatto un incubo.
Era reale.

Selvaggia cadeva nella più totale oscurità, dimenandosi come un uccellino che non sa volare.
Non riusciva ad urlare, non poteva. Il panico le aveva strappato la voce. La paura le aveva congelato i pensieri.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere altrove.
Il suo cuore sembrava voler uscire fuori dal petto ed il suo stomaco, se lo sentiva in gola. Percepiva chiaramente il retrogusto acidognolo della bile in bocca.
Ad un tratto, precipitò assieme alle due Goblin in una pozza d’acqua profonda e gelida, che fortunatamente, riuscì a riscuoterla da quel terrore che l’aveva assalita poco prima.
Risalì con fatica in superficie, nuotando verso l’alto e respirando a pieni polmoni lunghe boccate d’aria fresca appena fu col viso fuori dallo stagno, aggrappandosi a delle sporgenze rocciose, per non andare di nuovo sott’acqua. L’asciugamano ormai fradicio e pesante, era diventato solo una zavorra inutile per lei e dovette toglierselo per non affogare in quello specchio d’acqua dolce.
Nuda e tutta tremante, uscì dalla fonte gelida, ritrovandosi nuovamente, su quel manto di roccia ruvida dell’incubo passato.

Allora quegli strani ed ambigui sogni, erano tutti collegati fra loro!

<< Trock… Gal Gla, ci siete?! >> Chiamò a gran voce i due mostriciattoli per paura di rimanere sola con le sue ansie.
Ascoltò nell’oscurità, il suono nitido delle increspature delle piccole onde di quel lago alle sue spalle, fin quando non udì chiaramente due figure uscire anch’esse da dove era uscita lei e tossicchiare spasmodicamente.
<< Questa è l’ultima volta che attraverso lo specchio! >> Si lamentò Gal Gla, continuando a tossire come fosse stata una fumatrice accanita.
La ragazza, si strinse le braccia al seno nudo, tremante come una foglia, ma lieta che le due Goblin fossero ancora con lei.
Trock, prese per il gomito Selvaggia, che percepì la sua mano molto più grande di quanto ricordava di aver visto in camera sua. << Seguitemi…>> Disse sicura la Goblin, dirigendosi in un punto che all’umana sembrava scelto dal caso, essendo buio pesto.
Poco dopo, aprì una porta di legno che affacciava su un corridoio che Selvaggia faticò a riconoscere tanto era cambiato dalla sera prima in cui l’aveva sognato.
Alla fine, quella che le sembrava dal tatto una superficie frastagliata, non era altro che una grotta dietro un portone, come se fosse stata una stanza qualsiasi.
Una grotta!
Ritrovandosi poi, nell’immenso castello che aveva sognato la notte precedente.
Selvaggia stentava a crederci...
Era ben cosciente di non stare dormendo stavolta…
Possibile che i sogni che aveva fatto in quei giorni, fossero stati davvero ricordi…?

Assurdo

Continuava a ripeterselo ormai ogni volta che le accadeva qualcosa d’inspiegabile.

La prima cosa che doveva fare era asciugarsi – per la seconda volta – e trovare dei vestiti puliti da mettere.
Non poteva di certo andarsene a zonzo completamente svestita… Non era di certo così audace e senza pudore come i Goblin!
Nel guardarsi attorno però, si rese subito conto di quanto quella reggia fosse cambiata da come l’aveva sognata. L’edera era sparita. Solo rami secchi adornavano le mura crepate ed usurate dal tempo e dall’incuria. Tutt’attorno a lei, sembrava abbandonato e morto, come se qualcuno avesse volutamente lasciato la vegetazione a marcire sotto il sole cocente degli anni.
<< Che cosa è successo qui? >> Sussurrò Selvaggia, disorientata da tutto quello screzio cupo. T
rock e Gal Gla, nel vedere la loro Regina passeggiare nuda nei corridoi reali ove avrebbe potuto trovarsi l’Erlkönig; ebbero quasi un infarto dallo spavento. La presero quasi di forza, trascinandola di nuovo nell’oscurità della caverna di quella camera buia. Ora erano alte quanto lei, se non poco più…
<< Sei tutta matta?! Non puoi andare a zonzo per il castello. Se qualcuno dovesse vederti… >>
Trock, interuppe Gal Gla: << Silenzio! Arriva qualcuno… Sento dei passi. >>
Non ci fu tempo per le spiegazioni. Dalla fessura del portone socchiuso, Selvaggia udì delle falcate rapide e sicure, di chi sa dove deve andare – a differenza sua – e subito dopo, scorse il viso Jareth passarle davanti.
Nell’osservarlo, il suo cuore perse un battito – come sempre accadeva quando lo incontrava –
Fu solo per un secondo, ma lei riuscì a notare le profonde occhiaie su quel volto perfetto e lo sguardo spaiato, simile a quello d’una belva feroce.
Le sue orecchie a punta adornate di orecchini che tintinnavano sempre più debolmente mentre si allontanava dal loro nascondiglio.
Odiava vederlo così.
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di fissare ancora quel suo sorriso armonioso…

Jareth…

L’Erlkönig, richiamato dal suono di quella voce nella sua mente, si bloccò, guardandosi attorno con circospezione e sgomento.
La sua perfida mente si prendeva gioco di lui fin troppo spesso ormai.
Le due Goblin si tapparono la bocca a vicenda, tremando di paura… Tranne Selvaggia.
Lei sperava quasi che la trovasse circondata da tutto quel buio. E che la stringesse a sé, per non lasciarla mai più.
Guardò rattristata, quanto dovesse essere stanco il suo amato Jareth. Forse era proprio lei che doveva correre da lui ed abbracciarlo per confortarlo.
I suoi abiti, dalle tonalità brune dei tronchi d’albero, rispecchiavano il suo tetro umore e la corona che adornava la sua testa, non luccicava ai raggi del sole, coperti da una coltre di nebbia che avvolgeva tutta la struttura, gettando ombre grigiastre.
Il Re degli Elfi, alla fine scrollò il capo, come per riscuotersi da quel richiamo per lui immaginario e riprese a percorrere il lungo corridoio, senza guardarsi indietro.
<< È accaduto che voi siete andata via… e Il Re, non è stato più lo stesso… Tantomeno il vostro castello come potete ben vedere >>
Selvaggia alle parole bisbigliate da Gal Gla, sgranò gli occhi…

Tutto questo è colpa mia…?

Dopo qualche minuto e sicure che non ci fosse più nessuno nelle presunte vicinanze, le tre figure circondate dal manto nero della grotta, uscirono dall’oscurità, dirigendosi nella direzione opposta a dove si era diretto l’Erlkönig.
La ragazza cominciò a provare senso di colpa.
Se era stata la Regina, come aveva potuto tradire Jareth ed il suo regno, se sentiva un amore così profondo e smanioso per lui?
Che cosa era accaduto davvero? Si chiese, fremendo ancora per il freddo.
Cercò di riscaldarsi, sfregandosi i palmi sulle sue braccia nude mentre Gal Gla, conduceva Selvaggia nella stanza dei domestici ove fortunatamente non vi era nessuno.
Sottrasse una tunica logora e senza pretese per lei, un mantello color fango per nasconderla da occhi indiscreti come meglio potesse ed un paio di sandali femminili. Non era molto, ma era il meglio che potesse rubare. Erano degli abiti indecenti per una del suo rango e non erano neanche della sua taglia, ma poco importava.
Appena la ragazza fu pronta, divenne del tutto irriconoscibile con quegli stracci addosso; da farla apparire povera come fosse stata una mendicante vagabonda. Così nessuno si sarebbe soffermato per più di un secondo nel fissarla.
Il passo successivo era uscire dal castello. Possibilmente senza essere scoperti dalle varie sentinelle…
Selvaggia, si fece il segno della croce. Non era cattolica, ma si ritrovò comunque a pregare che andasse tutto per il meglio. Se non per lei, almeno per chi la stava aiutando…

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 12 ***


Le temute sentinelle, non erano altro che Troll, simili a mastodontiche testuggini muscolose e senza guscio; alte almeno due metri e larghe la metà, con armature che le ricordavano vagamente, i cavalieri medievali descritti nei testi dell’Amor Cortese. Sorvegliavano diligentemente, le uscite di ogni porta e portone, senza prendersi neanche una pausa.
Quindi uscire furi da lì, era pressoché fuori questione.
Man mano che procedevano all’esplorazioni della reggia, Selvaggia rimaneva senza parole per lo stupore…
Ogni ala e stanza, di quel corridoio principale, era differente e con particolari unici.
Passarono davanti ad un ampio salotto dall’aria settecentesca – come la biblioteca comunale della sua piccola città – dai toni bordeaux e vermiglio, con rifiniture e particolari in foglie d’oro sul parato, ove il mobilio che abbelliva quella stanza era tutto sottosopra.
Il soffitto era il pavimento ed il pavimento, il soffitto. Poteva scorgere come il candelabro dorato dalle numerose braccia, fosse illuminato a festa con le vivide fiamme delle candele, andare verso il basso, invece che spinte dalla gravità verso l’alto. Ed un enorme armadio sfidare la legge di gravitazione di Newton assieme al tavolo in mogano – che dovevano essere molto pesanti entrambi – posati su quello che per la ragazza era il soffitto, senza essere attratti da quello che per lei era il pavimento.

Assurdo…

Nella sua mente non vi era nient’altro.
Le Goblin – che ora non erano più tanto piccine – le coprirono il capo col cappuccio del pessimo mantello che avevano sgraffignato e osservandosi attorno circospette, la condussero a forza oltre, mentre la ragazza, ancora stentava a credere ai suoi occhi.
In una sorta di trans, Selvaggia rimase scioccata nell’entrare in un’altra porta porta fatta solo di cristallo e vetro soffiato, dove l’interno, era ricoperto da quello che le sembrava comune ghiaccio nonostante l’ombra facesse da padrona lì dentro. Solo che nel toccarlo, non percepì le dita ghiacciarsi come avrebbe dovuto sentire.
Gal Gla, diede uno schiaffetto alla mano esangue della ragazza: << Non toccare. O la magia finirà! >> Strillò e Trock prontamente, le intimò di tacere subito, facendole segno col suo dito sinistro – che ricordava più un ramo secco che un indice – di fare silenzio visto che erano lì, alla disperata ricerca d’una via di fuga dal castello. Selvaggia, si massaggiò la mano come una bambina imbronciata che viene sgridata dalla maestra severa, ricambiando con un buffetto il dorso della mano della Goblin.
<< Come facciamo ad uscire da qui? >> Chiese poi, tornando seria.
I due “mostriciattoli”, si scambiarono un’occhiata eloquente ed infine, fu Trock a spiegarle che per fuggire da lì, bastava semplicemente volerlo lasciando come pegno, il suo sangue Inutile dire che l’umana fu scioccata da questa rivelazione.
<< Devo dissanguarmi per non morire qui?! Ma questo è ridicolo! >> Urlò Selvaggia, sull’orlo di una crisi nervosa.
Gal Gla, le tappò subito la bocca con entrambe le mani: << Trock non ha detto questo, stupida testolina bacata! Devi fare un comando a quella grossa bolla laggiù, in fondo alla camera. Pungerti un dito con uno spillo che troverai posato su un cuscinetto, per terra e far gocciolare tre gocce di sangue. Ti è chiaro ora? >> Bisbigliò con la sua voce rauca che aveva degli acuti atroci.
Ricordava il brusio dei toni degli anziani burberi nelle case di riposo. Solo in quell’istante, si accorse della presenza di quello strano oggetto.
Lei assentì con ancora la bocca tappata dalle mani dalla Goblin.
Gal Gla, esitò un secondo in più prima di liberarla e Selvaggia, fu di nuovo libera di espirare dalle labbra; tirando un sospiro di sollievo.
L’altra Goblin, si era posiziona al fianco di quella che sembrava un’enorme sfera di sapone, che al solo toccarla, poteva scoppiare e tramutarsi in niente.
Al suo interno era vuota e la poca luce nella stanza, vi filtrava poco al suo interno. Nel fissarla, la ragazza esitava a credere che quella cosa, potesse effettivamente aiutarle.
<< Che devo dire? >> Domandò però con cautela alle altre due. Fidandosi ineluttabilmente.
Trock prese di nuovo la parola, avvicinandosi a lei: << Si chiara e concisa, come se volessi dare un ordine ad un infante e pronuncia questa frase: Mostrami la strada che conduce alla Dama bianca. Poi fa dono del sangue. Mi raccomando però, devono essere solo tre gocce. Non una di più od una di meno>> Concluse, fissandola dritta negli occhi e porgendole un ago lungo, fatto anch’egli di cristallo.
Gal Gla che era rimasta di vedetta a sbirciare dallo spioncino di quel portone di vetro soffiato, corse verso le altre due, atterrita: << Sbrigati Altezza, oppure ci scopriranno…>> Disse frettolosamente, mettendo ansia alla povera Selvaggia.
Successe forse troppo in fretta.
Lei fece come le aveva minuziosamente spiegato la Goblin, solo che le lacrime di quel liquido scarlatto non furono tre, ma due quando si punse, lasciandole cadere al suolo.
La bolla di sapone – che in realtà era un portale – prese vita, irradiando una luce sempre più forte al suo interno senza emettere alcun suono, fino a mostrare l’immagine d’una vecchia quercia, molto più grossa ed alta di qualsiasi albero che Selvaggia avesse mai notato in tutta la sua vita.
<< Forza, entriamo prima che ci becchi l’Erlkönig! >> Quasi strillò dal timore la Goblin burbera, spingendo l’umana e la sua amica, verso quella visione ormai nitida.
La sfera s’increspò come uno specchio d’acqua quando vi entrarono tutte e nell’esatto momento, la porta della stanza si aprì, mostrando Jareth che quando incrociò gli occhi blu di Selvaggia voltatasi a guardarlo, rimase pietrificato per lo shock; ma fu solo per un momento.
Lei e le due Goblin erano già sparite.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 13 ***


Selvaggia si ritrovò assieme alle due Goblin, a calpestare un morbido strato di terreno fangoso.
L’odore acre e stantio del liquame paludoso, impregnava l’aria di quella strana foresta. Nonostante fosse ancora giorno, gli alberi dalle fronde alte e spaziose, godevano di una chioma così fitta e florida, da oscurare tutto ciò che era sotto di esse.
Solo qualche rara lama di luce riusciva a tagliare tutto quel buio, schiarendo i dintorni e mostrando ciò che si celava nelle più nere delle ombre. Tonalità bluette, che non appartenevano alla vegetazione consueta.
Il leggero sciabordio dell’acqua era costante come l’umidità di quel posto, che ti si appiccicava alla pelle come una patina fastidiosa di sudore.
Ovunque fossero finite, non era il regno delle Fate.
<< Dove siamo capitate? >> Chiese lieve l’umana, incantata da ciò che vedeva.
Gal Gla, tossicchiò: << Nel territorio dei folletti…>> poi si volse verso di lei, sgridandola: << Ti avevamo avvertita che servivano tre dannate gocce di sangue! Ora che l’Erlkönig sa che sei qui, ci metterà poco a trovarti >>
Trock cominciò a tremare come una foglia.
La ragazza, incurante della reazione della Goblin, chiese allora ingenuamente a Gal Gla – che non si era accorta di nulla – con una certa urgenza: << Quanto poco? >>
La risposta non arrivò dalle due Goblin.
<< Molto meno di quanto pensi >> sentenziò pacatamente Jareth dietro di lei, raggelando tutte e tre le interlocutrici.
Il ragazzo biondo, uscì dall’oscurità ponendosi davanti a Selvaggia – essendo stato alle sue spalle – non prima d’aver rifilato un’occhiata assassina alle due creature che l’avevano accompagnata fino a quel punto.
Trock e Gal Gla, sussultarono, terrorizzate dalla punizione che avrebbero ricevuto da Lui.
Selvaggia al contrario, ad ogni movimento del Re, non aveva paura. Lo fissava solo con attenzione e prudenza.
<< Jareth… >> Provò a sussurrare, ma lui accennò con un movimento pigro del braccio, un ordine all’albero al suo fianco che iniziò a muoversi come se avesse volontà propria, imprigionando la ragazza con i suoi rami al suo tronco; legandola saldamente ed imbavagliandola con delle liane che pendevano dall’alto. Costringendola al silenzio ed all’immobilità.
Le due Goblin si abbracciarono, sempre più impaurite.
<< Non chiamarmi così. Non è il mio vero nome quello >> Rispose cupamente, fissandola con un tale odio negli occhi, che solo una persona che ha amato alla follia, poteva comprenderlo.
Selvaggia non mosse un muscolo. E se anche avesse voluto farlo, non avrebbe potuto comunque.
Lui si avvicinò a lei, con un’espressione fredda che glaciava tutto e tutti, abbassando il suo volto fino a quello dell’umana e bisbigliandole: << Ora sei mia prigioniera >>
La ragazza allora provò a contorcersi per liberarsi, ma più provava a farlo, più i rami stringevano, facendole male. Un lamento di dolore sfuggì dalle sue labbra, che venne di fatto, attutito dal bavaglio di quell’albero.
<< Inutile. Più ti agiti, più proverai dolore >> Le spiegò Jareth, indifferente ai suoi gemiti di sofferenza e schioccando le dita, teletrasportò la sua detenuta nelle segrete di quello che era stato il loro castello.
Le due Goblin rimaste sole. E dopo un infinito attimo di silenzio attorno a loro, si guardarono a vicenda, colte da un senso di panico tale, da correre subito dalla Dama Bianca.
Solo lei poteva salvare Selvaggia.

Non era affatto un luogo diverso dalla palude dei folletti, pensò fuori luogo l’umana, osservandosi in giro e chiedendosi anche, perché tutti quei posti fossero sempre e comunque avvolti dalle ombre.
Le segrete, si presentarono come l’interno di un mausoleo monumentale.
Metteva i brividi; Selvaggia però, s’impose di non fremere dall’orrore; qualsiasi cosa potesse mostrarle.
Non era più ingabbiata, ma ne portava i segni. Lividi violacei sulle braccia e sul costato coperto di stracci con piccoli graffi e rivoletti di sangue, che colavano sulla sua carnagione lattea, in contrasto come ad accentuare quanto lei fosse fragile rispetto a lui. E lei non aveva ancora paura.
Senza nessun preavviso, il Re degli Elfi la prese per il collo, spingendola con violenza contro al muro mentre la ragazza si aggrappava debolmente al suo braccio teso.
Fu come la morsa di un Cobra Reale, con una velocità tale che neanche gli orecchini del Re avevano tintinnato nel momento in cui l’aveva afferrata con un movimento ferreo, che aveva applicato su di lei, aggredendola.
La roccia grezza su cui premeva il suo corpo, era aspra e dentellata da ferirle pure la schiena, ma non le importava. Faticava a respirare e cercava invano, di non piangere; ma non le importava nemmeno questo.
<< Smettila… Per favore >> Singhiozzò. Il cuore di Selvaggia stava andando in pezzi.
Jareth strinse un po’ di più quel suo collo così delizioso e delicato. Bastava poco con la forza che possedeva e lo avrebbe spezzato, in un attimo.
Il viso di Selvaggia era di varie tonalità di rosso e solo dopo minuti interminabili, lui la lasciò andare. La povera ragazza cadde a terra a carponi, cercando disperatamente l’ossigeno da respirare come un assetato cerca l’acqua, ma per l’Erlkönig non fu sufficiente. Mentre con la mano destra, si massaggiava la gola tumefatta, lui le diede un calcio nello stomaco, sbattendola brutalmente contro al muro, ma non voleva ucciderla. Non così in fretta.
Doveva soffrire. Disperarsi quanto si era disperato lui stesso. Tentata dal suicidio com’era stato tentato lui per decenni. E spinto solo dall’oidio nei suoi confronti ad andare aventi.
La vendetta era diventato il suo unico scopo. Lo sapeva bene.
Di lei ormai, non gli importa più nulla, si disse.
<< Fermati… Ti prego >> Implorò a quel punto, facendo infuriare ancora di più Jareth che la prese per i capelli, alzandola da terra come fosse stata un banale oggetto.
Selvaggia urlò di dolore, aggrappandosi alla sua chioma corvina. Il suo cuoio capelluto era straziato dalla sofferenza.
<< Fermarmi?! Io ho appena cominciato…>>  Rispose alquanto irato all’orecchio della ragazza e lei, non riuscendosi più a trattenere, gli rifilò uno schiaffo in pieno viso, facendoglielo voltare verso sinistra.
Adesso sì che tremava. Fremevano tutti e due di disperazione e rabbia.
Jareth le lasciò i capelli neri, solo per afferrale i polsi esili come il suo corpo e piegarli con forza dietro la sua schiena.
Selvaggia soffocò un altro grido, serrando gli occhi.

Basta!

L’Erlkönig però non si fermò.
Le spinse di nuovo, le sue spalle contro la parete ruvida ed appuntita e lei non poté fare a meno di guardarlo in quegli occhi così unici e particolari mentre le faceva del male. Con un’eterocromia netta e magnetica di quanto già non fosse.
E fu allora che lo notò.
Lui stava piangendo.
Sulle sue guance scorse i solchi delle lacrime che anche lei possedeva e percepì dentro di sé, la sua angoscia, molto più profonda e straziante della sua.
Soffriva. E molto anche.
A quel punto le fu inevitabile trattenersi e con estrema delicatezza, gli baciò l’angolo delle labbra…

Non piangere anche tu

Al suono di quei pensieri, Jareth sussultò, trattenedo il respiro o forse, fu solo per quel bacio carico d’emozione.
La morsa ai suoi polsi allentò al punto tale, da potersi liberare, eppure lei non lo fece.
I loro battiti cardiaci si fusero in un unico ritmico suono.
E quando Selvaggia staccò la bocca da lui, lo baciò nuovamente sulla bocca, premendo appena le sue labbra, senza essere invadente.
L’Erlkönig fu colto dal panico.
Si staccò da lei con violenza,da farla cadere al suolo come una marionetta senza fili. Urlò dal dolore e mettendosi le mani nei capelli, indietreggiando come se andasse a fuoco.
L’ultima cosa che Selvaggia udì prima di perdere i sensi in quella cella, furono le grida strazzianti del suo amato.
Avrebbe voluto consolarlo, ma non ne aveva più la forza.

*Angolino dell'autrice*
Potrei osare dire che siamo quasi a metà della storia ^^' ...Forse.
Ad ogni modo volevo avvisare che purtoppo, non riuscirò a pubblicare prima di Lunedì prossimo perchè sarò impossibilitata a farlo ^^'
Ma sarà solo per questa settimana ;)
Nel mentre potreste leggere anche l'altra mia storia PERVERSO <3
un saluto a tutti, in particolar modo a Hicetnunc95 <3

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 14 ***


Il vento solleticava la chioma mora della fanciulla, inginocchiata sul manto d’erba della pianura oltre il bosco dei folletti. Finalmente aveva compiuto quattordici anni e sua madre le aveva dato il permesso che tanto agognava. Giocare e passeggiare, dove più l’aggradava purché ci fossero sempre i suoi fedeli compagni ad osservarla ed a stare con lei.
Una manciata di corvi, volteggiava su Selvaggia – questo era il nome della ragazza – vigili come fossero stati gli occhi di sua madre – ed in un certo senso, così era – Il sole stava tramontando, infiammando ogni figura all’orizzonte.
Selvaggia però, era troppo concentrata a fare una ghirlanda di violette, intonate al suo vestito nuovo, lungo e morbido, da lasciarle le braccia libere. Il gracchiare dei suoi amici, era rassicurante per lei.
Si portò un ciuffo ribelle, dietro l’orecchio sinistro e solo allora, scorse un ragazzo dai capelli dorati che la stava spiando di nascosto, avvolto nell’ombra della foresta alle sue spalle. Voltasi verso quella figura, egli, si rese conto d’esser stato scoperto e si nascose dietro al corpo dell’albero, col cuore che gli batteva all’impazzata. Anche i corvi si erano accorti di lui e del potere che possedeva ed erano andati alla carica, scovandolo dal quel suo luogo sicuro e beccandolo per farlo uscire alla luce del sole.  Lui cerco di scacciarli via, ma era solo un ragazzino e non aveva ancora il pieno controllo dei suoi poteri. Alla fine, fu costretto a scappare da loro, finendo per inciampare e cadde ai piedi della fanciulla, che ora lo fissava assai curiosa.
Selvaggia si disse che poteva avere la sua età, forse d’un paio d’anni più grande lei, al massimo. Non era tanto alto, ma aveva gli occhi di due colori diversi e questo l’affascinava molto. Lui, nell’incrociare il suo sguardo, divenne tutto rosso in faccia ed indietreggiò fino a premere la schiena contro al legno del tronco, mentre gli uccellacci neri, si adagiavano inquieti sui rami degli alberi a lato, per assistere alla scena di quell’incontro. Sembrava quasi che non avesse mai visto una femmina che non fosse sua madre.
<< Ciao… >> Gli disse Selvaggia.
Era tranquilla. Sentiva che quel suo coetaneo, non era una minaccia.
Il ragazzino per tutta risposta, deglutì rumorosamente, cercando di placare il battito frenetico del suo cuore.
Cuore che non smetteva di scalpitare per lei.
<< C-Cia… Ciao…>> Biascicò e balbettando intimorito.
A Selvaggia parve un animaletto spaventato e così, gli sorrise. Non voleva fargli paura.
<< Non temere. Non ti farò alcun male >> Gli disse per rassicurarlo, ma non si avvicinò. Era convinta che se lo avesse fatto, lui sarebbe scappato via.
Il ragazzino sembrò rincuorarsi un poco da quel suo sorriso. La trovava… Bella. Chiunque fosse quella creatura, era davvero molto simile a lui – orecchie a punta apparte – e gli piaceva molto. N’era attratto come fosse stato il suo piatto preferito e non mangiasse da giorni.
Con cautela, si alzò dalle possenti radici e fece un passo avanti, ancora accaldato sulle guance. Era sempre stato un tipo timido.
<< I-Io non ho paura di te… E solo che… Non ti ho mai vista da queste parti >>
La bella fanciulla, scosse la testa da un lato e gli sorrise nuovamente: << È la prima volta in vero, che vengo da queste parti. Di solito mamma non vuole che io vada oltre il territorio di casa >> Gli spiegò, indicando una montagna non tanto alta, innevata nonostante il caldo e che sembrava lontanissima, ma che in realtà era solo all’aldilà della pianura erbosa.
Lui seguì con quel suo sguardo spaiato, le indicazioni del suo meraviglioso dito affusolato, vivamente sorpreso di ciò che stava indicando: << Sei la strega dei corvi?>> Sussurrò quel quesito, piano. Come a voler accarezzare quelle parole.
Selvaggia assentì, chiedendo invece a quel misterioso ragazzino chi fosse a domandarglielo. << Io? Io sono Erlkönig. Colui che regna su tutto e tutti >> Terminò, acquistando un po’ di coraggio.
Lei fece una faccia stupita: << Davvero? >> Il suo tono di voce era entusiasta.
L’Erlkönig però, aggiunse imbarazzato: << Beh, sì… Quando mi sposerò e regnerò per sempre con la mia Regina al seguito>> Sorrise.
La bella fanciulla, era ancora troppo giovane per sapere il significato di quelle parole, ma una cosa in cuor suo era certa quanto quella nel cuore del giovane.
Quell’incontro avrebbe segnato le loro vite.
Per l’eternità.

Presto, i due fecero amicizia e divennero così inseparabili, che Selvaggia conobbe pure la sorellina del giovane Re degli Elfi, Edelweissfee.
La futura Dama Bianca delle fate.
Una creatura letale quanto suo fratello ed inseparabile amica della giovane strega.
Tutti e tre condivisero gioie e dolori, avventure e giochi finché, un brutto giorno, il padre dei due ragazzini morì per mano di un traditore.
Il suo consigliere.
Egli, fu scoperto proprio dall’acerba Selvaggia, mentre si dilettava a giocare a nascondino con gli altri due ed immediatamente, fu giustiziato dal giovane ragazzo biondo. Colui che avrebbe regnato.
Quell’uomo, prima di morire, giurò vendetta, ma nessuno ci diede troppo peso.
Un morto restava morto anche nel mondo fatato.
I giorni, i mesi e gli anni alfine passarono come attimi di pura gioia e ben presto, i due giovani amici, s’innamorarono perdutamente l’uno dell’altra.
E fu così che l’Erlkönig trovò la sua regina.


*Capitolo Bonus*

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Capitolo 15
*** CAPITOLO 15 ***


La corona cadde dalla sua testa al pavimento, con un unico suono metallico fra le grida di dolore di Jareth.
Incredibile come il potere latente di un bacio, posa essere davvero sottovalutato.
In quel tocco così delicato infatti, l’Erlkönig aveva visto uno scorcio dei ricordi dimenticati della sua Sposa.
Di lei. E di ciò che accadde davvero molte lune passate.

Selvaggia, correva.
Fuggiva via da qualcosa… O qualcuno.
Cercava disperatamente di mettere più distanza possibile fra lei e ciò che la inseguiva, come una povera lepre che fugge dalle grinfie del falco.
La sua esile figura, nascosta dalle scure e lunghe ombre del fitto bosco, era una pennellata di bianco in tutto quel nero proprio come la luna pallida ed esangue, quanto la pelle diafana della giovane fuggiasca nel cielo oscuro.
La brezza notturna era gelida quella sera.
La Regina dell’Erlkönig, nonostante avesse perso la sua tiara preziosa per strada, durante l’inseguimento a Palazzo, teneva ben saldamente fra le mani, l’oggetto che il suo inseguitore tanto agognava.
Il cuore dell’Erlkönig. Una gemma arcobaleno d’inestimabile valore per lo sconfinato potere che possedeva e da cui attingeva il regno fatato per mantenere l’equilibrio naturale nel mondo. Tale nome, derivava dal fatto che somigliasse vagamente, ad un cuore e che solo l’Erlkönig – e la sua consorte – avessero il sacro obbligo di custodirlo all’interno del castello.
Se mai fosse caduto in mani sbagliate, sarebbe stata la fine di tutto.
Selvaggia ormai, non si sentiva neanche più le gambe da quanto scappava, veloce come una gazzella braccata dai cacciatori.
I corvi – suoi fedeli – gracchiavano minacciosi in volo, all’ombra sinistra che la stava pedinando incessantemente.
Egli, voleva il cuore più di qualsiasi cosa ed avrebbe fatto di tutto per ottenerlo… Di tutto. Persino strapparlo dalle braccia cadaveriche della sua Regina, la Strega che lo aveva condannato ad una misera esistenza. Creduto morto, l’ex consigliere dell’Erlkönig e sua figlia, inseguivano a ruota la giovane fanciulla per la foresta nera e spettrale. Nessuno li avrebbe fermati finché l’Erlkönig, riposava placidamente in un sonno profondo nel suo letto.
Ingenuo del pericolo che invece aveva scorso la sua consorte, era stato vittima di un banale sonnifero nel suo boccale di vino; ma Selvaggia, era stata astuta ed aveva giocato d’anticipo, non bevendo niente. Appena un’ora dopo, aveva colto in fragranza i labri, rubando a sua volta la tanto agognata gemma, dalle loro grinfie, correndo poi via.
Era stanca. Non poteva fuggire per sempre ed usare la magia nel centro del bosco, avrebbe alterato la flora di quel posto magnifico.
Lei aveva sempre avuto un debole per la natura che il suo re sapeva creare.
I due inseguitori, erano sempre più vicini e lei invece, più affaticata. Respirava pesantemente e le piante dei piedi, erano feriti da vari sassolini e bastoncini che trovava durante il suo percorso accidentato sul terreno fresco.
La lunga gonna del suo sontuoso abito, si era strappata durante la fuga, lasciandole scoperta una gamba da uno spacco vertiginoso. Arrancava sempre più. Presto l’avrebbero presa se non avesse architettato qualcosa alla svelta. E così, prima che potessero entrambi agguantarla, Selvaggia aprì un varco fra gli alberi silenziosi, catapultandosi nell’unico posto che non conosceva della sua Reggia.
La stanza dietro alla porta al centro del corridoio.
Selvaggia, si ritrovò stesa s’una superficie ruvida e circondata di nuovo dalla più totale oscurità; solo che stavolta, non c’era nessun bagliore lunare a farle da guida. Solo la fluorescenza del cuore fra le sue braccia le dava uno stupido sollievo, schiarendo la roccia grezza attorno a lei da varie sfumature di colore.
La ragazza cercò d’alzarsi. Percepiva chiaramente il dolore dello sforzo fisico – e mentale – compiuto con fatica per essere riuscita a scamparla per un soffio.
Anche se non era comunque al sicuro.
Doveva trovare una soluzione ed alla svelta, ma l’unica cosa che le veniva in mente, era un incantesimo proibito che pretendeva un alto prezzo.
La Regina cadde in ginocchio, esausta.
Respirava avide boccate d’aria e pregava in silenzio le ave della sua famiglia - che l’avevano preceduta - a darle forza per proseguire quell’impresa.
Pensò al suo amato, chiedendosi se stesse bene e sperando con tutte sue forze - cercando di non piangere - che non gli facessero alcun male mentre era indifeso nel loro letto; ma d’altro canto, come potevano torcergli un solo capello se nel mentre stavano braccando solamente lei?
La sua corsa infernale infatti, era servita a tenerli anche lontani da lui.
Purtroppo, non ebbe neanche il tempo di reagire, che una saetta alle sue spalle, le diede una scossa così violenta ed inaspettata, da farla cadere nuovamente a terra, gemendo di sofferenza.
La gemma scivolò via, lontano dalla giovane, a metà strada tra lei e quell’ombra tetra.
Non avendo scelta, Selvaggia iniziò a pronunciare senza voce e muovendo solo le labbra, la formula magica innominabile, sigillando dentro di se quell’essere malvagio in una notte di Luna Nuova.
Il prezzo da pagare, sarebbero stati tutti i suoi ricordi felici.
L’incantesimo si compì prima che l’ombra sinistra potesse afferrare di nuovo il cuore dell’Erlkönig, assorbito in una piccola voglia violacea sul volto di Selvaggia.
Sfinita e facendosi luce con la gemma arcobaleno, la ragazza salì faticosamente delle scale infinite e con l’ultimo incantesimo, diede in cambio i suoi poteri magici per nascondere quell’oggetto prezioso – di cui aveva dimenticato il nome – da una potenziale minaccia di cui non riusciva a ricordare.
Il cuore dell’Erlkönig, per autodifendersi, creò una dimensione di pace e tranquillità per la sua custode, donandole la visione d’una minuscola città ed una famiglia amorevole con cui vivere quella bugia.

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Capitolo 16
*** CAPITOLO 16 ***


Il dolore, lo colpì come uno schiaffo in pieno viso. Violento ed inaspettato.
Non che non ci fosse abituato; sua padre l’aveva allevato a colpi di cinghiate per resistere ad attacchi come quello che aveva appena subito. Solo che era stato colto di sorpresa…
Aveva gli occhi così serrati, da farli male.
Jareth, era a dir poco scioccato da quello strano ricordo non suo che aveva invaso la sua mente.
Anche se ora, era di nuovo immerso nella più totale oscurità. Ad un tratto, percepii delle dita gentili e familiari sulle sue guance.
Schiuse un occhio con fatica, notando solo la sagoma sfocata e lucente di sua sorella che cercava di richiamarlo alla sua realtà.
La vista l’avrebbe abbandonato per un po’, si disse.
<< Fratello?! Fratello, calmati! Cosa ti succede?! >> Disse lei, allarmata, ma lui non riuscì ad udirla. I suoni erano attutiti da un perenne fischio nelle orecchie, come se fosse esplosa una granata vicino al suo corpo.
La Dama Bianca, era sempre più preoccupata per lui e per la sua pessima cera. Era bianco cadaverico ed la sua chioma dorata, aveva perso ogni tonalità vivida di biondo, assumendo più toni argentei, quasi bianchi. La sua carnagione già esangue, aveva assunto un pallore ancora più iridescente e scottava come quando tocchi il ghiaccio d’estate.
Con fatica e zoppicando, si diressero fuori dalle segrete, fino ad arrivare ove la luce dell’alba, schiariva la parte superiore a quella sotterranea della Reggia – ove era sempre notte –
Edelweissfee, depose con cura il Re degli Elfi, adagiandolo con la schiena contro al muro. Egli, seduto per terra, cercava di placcare – inutilmente – il suo terribile mal di testa, massaggiandosi le meningi, con la poca forza rimastagli. Teneva ancora celato lo sguardo dietro le palpebre velate da profonde occhiaie scure.
Sua sorella rimase scioccata da quanto l’Erlkönig fosse così tanto cambiato in così poco tempo.
Era così debole in quel momento, che chiunque avrebbe potuto ucciderlo…
La pelle alla base del collo di suo fratello, esattamente verso destra, aveva iniziato a creparsi come la corteccia degli alberi, svelando quanto il suo corpo fosse affaticato.
Anche se non era mortale, persino lui aveva dei limiti che non doveva oltrepassare – come tutti gli esseri viventi –
Qualsiasi cosa fosse successa, doveva aver rotto un sortilegio molto potente, si disse Edelweissfee sempre più intimorita per la sua salute.
Che avesse sciolto un vincolo che lui stesso aveva compito tempo prima?
Sua sorella era oltremodo confusa, rischiare così la vita, non era da lui.
Jareth faticava a parlare tanto era esausto. Gli tremavano le braccia toniche e per quanto fosse magro, aveva ancora i nervi dei muscoli in tensione.
Lei, si accucciò al suo fianco mentre Trock e Gal Gla – le due Goblin – osservavano la scena alquanto timorose di una possibile punizione per alto tradimento; se ne stavano per l’appunto in disparte, con le grandi orecchie a punta irte, attendendo cosa fare e quali ordini eseguire. Entrambe infatti, si erano precipitate per salvare Selvaggia – correndo alla svelta, quasi tutta la notte – dalla sorella dell’Erlkönig.
Edelweissfee, la Dama Bianca.
Una giovane donna che emanava luce propria, dai lunghi capelli candidi e dai profondi occhi di giada; così diversi – ed allo stesso tempo così simili – a quelli di suo fratello minore.
L’Erlkönig.
Indossava una veste inamidata e lucente, che brillava quanto la sua carnagione.
La sua presenza, trasmetteva pura gioia e sollievo; sollievo che non provava però Jareth, che nel mentre, stava iniziando anche a lacrimare sangue tanto lo sforzo compiuto, era stato immane. Spezzare un incantesimo di quella portata, era stato pericoloso per lui; occorrevano addirittura intere stagioni per esser preparati ed allenati – come minimo – e persino l’Erlkönig stesso avrebbe dovuto fare pratica prima.
Cominciò poi, fortunatamente, a respirare regolarmente, cercando di riprendere fiato senza tossire ogni volta che provava a fare un respiro profondo.
Quando fu pronto, riaprì entrambi gli occhi con massima cautela, per non accentuare il malore alle tempie. Sistemandosi meglio, seduto sul pavimento.
La Dama Bianca, cercò di sorridergli, asciugandogli quelle gocce scarlatte che sgorgavano dai suoi occhi spaiati.
<< Edelweissfee… >> Biascicò Jareth nel guardarla.
Lei accentuò il suo sorriso nel sentire il suo nome: << Sono qui. Per un attimo ho creduto che non avrei più rivisto il tuo brutto muso… >> Scherzò per alleggerire la tensione della sua stessa preoccupazione.
Jareth, soffocò una risata. Se avesse riso, avrebbe percepito il dolore fin dentro alle ossa e sua sorella era già in panicata di suo: << Ma sta zitta… >> Sussurrò in tono giocoso, come quando erano bambini.
La giovane donna tirò un sospiro di sollievo, ma nella sua voce vi era ancora una vena di preoccupazione che non passò inosservata: << Cosa ti è successo?! >>
Sarebbe stato difficile da spiegare la successione di quegli eventi pensò il Re degli Elfi e si limitò a dirle semplicemente, che era una storia troppo lunga da raccontarle in quel momento ma che sapeva finalmente dov’era finito “Il cuore dell’Erlkönig” Per riprenderselo difatti, aveva bisogno del suo aiuto.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 17 ***


Un paio d’ore dopo, Jareth stava riacquistando almeno, un po’ di colorito. Segno che stava recuperando le forze perdute. Persino la sua chioma selvaggia, possedeva toni più vividi. Si sentiva infatti molto meglio rispetto a prima.
Entrambi, si erano rifugiati nella dispensa della cucina, a mangiucchiare biscotti artigianali e bere latte fresco, per rifocillarsi vista la golosità degli esseri fatati – il Re degli Elfi compreso –
Un posto impregnato di spezie e legno di noce. Ove fiori appassiti dai raggi solari, emanavano un delicato profumo di primavera passata e diversi barattoli di miele ambrato e sciroppo d’acero donavano a quell’ambiente, un aspetto alquanto confortevole. Era un luogo vecchio quanto l’Erlkönig stesso. Infatti la dispensa, era il suo posto preferito subito dopo il bosco.
Si era tolto la tunica di lino, sfoggiando se ben mal ridotto, un fisico statuario mentre Edelweissfee, aspettava impaziente il suo racconto e cosa avrebbe dovuto fare per aiutarlo a recuperare la gemma arcobaleno. Ormai scomparsa da decenni…
Seduta sopra al tavolo, accanto ad un sacco di patate, guardava suo fratello sempre più curiosa.
<< Ho trovato Selvaggia >> Disse lui, di punto in bianco.
Stava cercando un modo calmo e dolce per dirlo a sua sorella. La fuga della sua Regina aveva toccato anche lei; ma non c’era un modo dolce e gentile per dire una cosa simile.
Aprire vecchie ferite, faceva sempre male, a prescindere da come ne parlavi, concluse infine. E come volevasi dimostrare, la Dama Bianca trattenne il respiro, mentre un miscuglio di emozioni, le rivoltavano lo stomaco sotto-sopra.
Prima di continuare, prese un’altra pausa. Voleva essere certo che sua sorella stesse bene e poi, iniziò a raccontarle anche di quel “nuovo” ricordo, scaturito dalla rottura del sortilegio con un loro bacio appena accennato; ma la sua interlocutrice, lo interruppe subito: << Aspetta?! Cosa?! Chi aveva rinchiuso dentro di sé con quel dannato sortilegio che ti ha quasi ucciso? Quell’assassino? Ho capito bene…?! >> Quasi gridava.
L’Erlkönig annuì silenzioso. Forse preoccupato nel chiedersi come avesse fatto a sopravvivere al suo attacco.
Lei invece, stentava a crederci finché, un tetro pensiero non sfiorò la mente della giovane donna – ma che Jareth non aveva minimamente calcolato – Iniziò a tremare come una foglia e faticava a parlare: << Se… Se avete spezzato insieme il sigillo… Lui è libero allora… >> Balbettò a fatica.
A quel punto, persino Jareth rimase impietrito, consapevole d’aver lasciato la sua amata – ferita e priva di sensi – con quel maledetto mostro.
Gal Gla e Trock, si abbracciarono sempre più spaventate. Non si erano mai scollate dal sovrano.
Il Re degli Elfi, si precipitò fuori dalla cucina senza rifletterci neanche per un secondo, correndo a ritroso tutto il percorso che avevano compito con immane fatica. Dandosi dello stupido un’infinità di volte.
Perché non ci aveva pensato? Perché l’aveva lasciata di nuovo da sola?!
Corse più veloce che poteva nei sotterranei come una furia, scendendo in un balzo tutti i gradini di pietra, ma della sua Regina non vi era alcuna traccia.
Nonostante il buio perenne però, col bagliore iridescente della Dama Bianca – scesa lì sotto subito dopo di lui – notò solo una scritta, una frase segnata col sangue. Imbrattava il muro di pietra ed accolse Jareth, terrorizzandolo al solo pensiero che quel liquido scarlatto, fosse della sua Selvaggia.
Sulla parete, vi era incisa la frase: “Lei ora è mia e presto, lo sarà anche il cuore dell’Erlkönig” Ebbe quasi un mancamento, un altro. E tutto quel dolore fisico che aveva invaso il suo corpo, gli sembrò molto più accettabile di quello che al contrario, stava provando ora. Sentiva il suo cuore stretto in una morsa di ghiaccio e collera così violenta, che ogni respiro era lacerante per i suoi poveri polmoni, straziati dalla sofferenza. Sudava freddo e se gli fosse capitato fra le mani quel dannato assassino, l’avrebbe sicuramente ucciso fra atroci sofferenze, se solo avesse osato torcere un solo capello alla sua amata…
Se lui era ridotto male, chissà lei come stava…
Il pensiero di Selvaggia e di come l’avesse ridotta, fu come ricevere un pugno nello stomaco.
Come aveva potuto perdere il controllo in quel modo?
Tutti quegli anni di disprezzo nei confronti della giovane, improvvisamente si dissolsero come neve al sole; al loro posto, cominciò ad annidarsi il senso di colpa. Aveva sprecato decenni ad odiare l’amore della sua vita, per una bugia.
Una menzogna che non era ciò che sembrava. Lei sì, se n’era andata, l’aveva fatto di sua spontanea volontà, ma era altrettanto vero, che non aveva avuto altra scelta.
E l’aveva fatto solo per salvargli la vita…
Strinse le mani a pugno lungo i fianchi, fissando con uno sguardo pieno d’odio, la scritta sul muro.
Avrebbe recuperato il Cuore dell’Erlkönig e ripreso Selvaggia al suo fianco. Ed infine, avrebbe ammazzato una volta per tutte, l’ex consigliere.
<< Tock tock, disturbo? >> Disse smielatamente, una voce femminile.
Dallo spiraglio dell’unica entrata – e d’uscita – sbucò la figura della Signora Rossa.
L’aspirante Regina.
Era una donna poco più grande di Edelweissfee e possedeva quasi sempre, un ghigno sinistro sulla faccia. I suoi lunghi capelli, rosso vermiglio, le cadevano lungo le spalle come un groviglio indomabile, ma si perdevano nel suo vestito, del medesimo colore. << Che facce cupe che avete… Cosa mai sarà successo? >> Continuò a chiedere, visto che nessuno rispondeva alle sue domande.
C’era qualcosa di strano nella sua voce. Qualcosa di palesemente finto.
<< Walpurgis, presto aiuta… >> Edelweissfee perse l’uso della parola quando intravide le mani della donna imbrattate di sangue.
Anche Jareth le notò, folgorato da quella scioccante rivelazione.
<< Tu… Sei stata tu… >> Cominciò a dire il Re degli Elfi, ma era troppo tardi.
La Signora Rossa, si chiuse la porta alle spalle, ridendo come un ossesso.
Una risata folle e tetra.
Lasciando i due fratelli, nel buio perenne della loro angoscia.
Chi avrebbe salvato Selvaggia e ripreso il Cuore, ora che loro due erano in trappola?

Intanto nella dispensa Reale:
<< Insomma Trock, hai finito o no di divorare tutto quello che trovi?! >> Sbraitò Gal Gla, sgridando la sua amica che nel mentre, trangugiava deliziata, un barattolo di miele.
<< Invece d’essere così burbera ed austera, dovresti assaggiare questa squisitezza! Sono certa che ti addolcirebbe quel tuo caratteraccio >> Le rispose piccata, Trock.
Le due Goblin, ancora affaticate dalla corsa serale per avvisare la Dama Bianca, avevano preferito restare nei dintorni della cucina per trovare un po’ di ristoro e vigore – come avevano fatto precedentemente i due membri della famiglia Reale –
Ad un tratto, udirono una risata maligna, riecheggiare lontana, come se provenisse dall’altra parte del castello…
Nei pressi delle Segrete.
Trock e Gal Gla rabbrividirono, nascondendosi dietro la porta della dispensa ad ascoltare – grazie al loro udito amplificato – quella voce femminile, che conoscevano molto bene: << Finalmente quella stupida è tornata, portandosi dietro mio padre. Lo sapevo che avrebbe baciato il suo amato, rompendo l’incantesimo che lei stessa aveva compiuto. D’altronde lo scrivono anche nelle fiabe che un bacio – il bacio del vero amore – spezza qualsiasi sortilegio >> Finì la frase, sghignazzando sadicamente. << Ed ora che ho rinchiuso quella lucciola d’Edelweissfee e l’Erlkönig, con questa mia chiave magica, nessuno potrà liberarli. Potrò recuperare la gemma arcobaleno con tutta tranquillità ed ammazzare quella stupida, con le mie mani! >>
Trock e Gal Gla, sussultarono nel sentire quelle parole. Dovevano subito fare qualcosa!
Cercarono di parlarsi a gesti, per non emettere un fiato ma inutile dire, che erano pessime a mimare ciò che avrebbero voluto dirsi, finendo inesorabilmente, per schiaffeggiarsi le braccia ossute a vicenda.
Alla fine fu Gal Gla a parlare, bisbigliando spazientita: << Finiscila! Volevo dire che io inseguirò quella pazza, tu va ad aiutare il nostro Sovrano. Solo lui ora come ora, può aiutare la Sovrana. Muoviti! >>
Trock per dispetto, spintonò la sua amica per uscire: << Ma dove sono finiti tutti quando c’è bisogno d’aiuto?! >> Domandò guardandosi attorno e non trovando anima viva in giro.
La sua amica scrollò le spalle, non era il momento adatto per porgersi quesiti inutili: << Boh, saranno in vacanza… >> Scherzò sarcasticamente, zampettando fuori allo scoperto.
L’altra Goblin, non ne capì l’ironia evidente e proseguì la conversazione: << Dovremmo andarci pure noi Gal Gla. Magari in pianura a prendere sole… >> Cominciò a chiacchierare.
<< Così da prendere la tintarella, eh? Ma cosa diavolo stai pensando testa bacata?! Forza, va a destra. Io andrò a sinistra, smettila di tergiversare! >> Le strillò nelle orecchie Gal Gla, all’altra.
Si scontrarono un paio di volte, non distinguendo mai quale fosse davvero la loro sinistra o destra; finché in conclusione, non partirono alla carica.
Non erano c’erto dei valorosi paladini, ma A mali estremi, estremi rimedi.

*Angolino dell'autrice*
Cosa ne pensate di questo capitolo? ^^
Nel prossimo, si scoprirà di più su Selvaggia e vi prometto, che proverò a recuperare quelle tinte di fantasy dark ^^'
Ringrazio con tutto il cuore chi segue questa storia, ma soprattutto Hicetnunc95 che mi lascia sempre un suo dolce commento <3
Ci sentiamo presto! <3

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 18 ***


Selvaggia, riprese i sensi nonostante possedesse un mal di testa formato famiglia.
Stesa su un letto a baldacchino, solo il bagliore d’una misera candela sul comodino affianco, scorgeva solamente il buio perenne di quella camera. I toni e le stoffe di quella stanza, erano cupi e freddi.
Gli stracci che coprivano il suo corpo però, erano stati sostituiti da un magnifico abito gotico color porpora e le sue ferite, erano sparite...

Come per magia…

La sua.
Selvaggia si studiò minuziosamente le mani, non trovando nessun ematoma o macchia di sangue e quando si ispezionò il viso, toccandolo – non avendo nessuno specchio nelle vicinanze – percepì la sua pelle perfettamente intatta, senza provare dolore. Cosa diavolo è successo?!
Ricordò all’improvviso, il lieve bacio che aveva dato a Jareth, avvampando al solo pensiero.
Ora lei ricordava tutto.
Sapeva davvero chi lei fosse e quali fossero i suoi obblighi.
Era davvero la Regina dell’Erlkönig. La Strega dei corvi che lo aveva sposato per amore.
La sua infanzia, passata a giocare col Re e sua sorella per ore interminabili e poi crescendo, il legame con lui, era diventato sempre più forte, fino a diventare amore puro e solido…
Od almeno, così credeva.
Sapeva che la vita che aveva vissuto fino a quel momento, era stata solo una copertura per proteggere il Cuore e che per farlo, doveva stare lontano dal suo amore… Dal suo Re.

Re che non ha minimamente esitato nel colpirmi e giudicarmi come traditrice.

Corrugò le sopracciglia. Domandandosi con angoscia come avesse potuto anche solo pensare l’Erlkönig stesso, che lei lo stesse tradendo.
No, che l’avesse tradito e abbandonato!
Una lacrima corse lungo la guancia diafana della Strega.
Jareth – ormai aveva iniziato a chiamarlo così – era il suo amato. Avrebbe dovuto fidarsi di lei, della sua Regina che millantava d’amare alla follia.

Amore significa anche fiducia.

Un’altra lacrima sgorgò dagli occhi, per finire sulle pieghe della lunga gonna del vestito. Faticava a respirare tanto quelle sue riflessioni erano soffocanti. Ogni battito del suo cuore era una sofferenza. Il dolore fisico era sparito, ma quello emotivo, l’aveva investita come un treno. Un dolore indescrivibile, che non avrebbe voluto augurare a nessuno.
Come poteva amare “un uomo” che non si fidava di lei? Come poteva amare “un uomo” che non avrebbe esitato un solo secondo nel giustiziarla per alto tradimento?!
Semplice, non poteva… O per meglio dire, non doveva.
Eppure era così; lei lo amava ancora.

Se l’amore è una cosa così bella, perché fa tanto male?!

<< Vorrei non provare niente… >> Singhiozzò nell’oscurità della camera da letto. Ove l’unico testimone era un teschio accanto alla candela, che la fissava con quelle sue orbite vuote, inespressive.
Selvaggia cominciò a piangere in silenzio; rendendosi conto che in quella battaglia, purtroppo era da sola e che nessuno, l’avrebbe salvata.
Nemmeno il suo Erlkönig.
Cercò di farsi forza, asciugandosi le lacrime col dorso della mano, sul viso bagnato e si guardò attorno in cerca d’una via di fuga.
Una cosa era certa, non avrebbe atteso la morte. Le sarebbe andata incontro, perché i problemi andavano affrontati di petto. In qualsiasi situazione ci si potesse trovare, pensava per darsi coraggio.
Ripetendosi quelle frasi come una litania nella sua mente, con cautela, afferrò la bugia in ottone della candela di cera sul comodino, e si fece l’argo con quella, fra le ombre sinistre della stanza dai tetri colori angoscianti.
Prima sarebbe uscita da lì e meglio sarebbe stato.


Jareth, si sentiva esausto come mai prima d’ora.
Ormai aveva perso il conto delle numerose volte in cui aveva provato a buttare giù la porta a spallate e poi a calci, in vano.
Edelweissfee stava cercando – inutilmente – invece, di scassinare la serratura con delle forcine incantate da diverso tempo, e più i minuti passavano, più lui sentiva l’ansia montargli addosso, prendendo possesso dei suoi pensieri. Incupendosi sempre più. Se non fosse uscito da quelle prigioni a breve, avrebbe dato di matto, poco ma sicuro. Aveva addirittura provato a mettersi in contatto telepaticamente con Selvaggia, ma quella dannata porta stregata, bloccava anche la sua comunicazione di pensiero con lei, isolandolo ancora di più.
Sperava con tutto il cuore che lei stesse bene. Che fosse ancora viva…
Era colpa sua in fondo se ora era in pericolo.
 
È solo colpa mia…

Si passò una mano fra i capelli per distrarsi da quella sua frustrazione quando la voce vellutata di sua sorella, lo colse del tutto alla sprovvista: << Non torturarti così. Non potevi saperlo… >>
Jareth cercò di farle un sorriso, ma gli venne solo una smorfia malinconica: << No, ma avrei potuto continuare a fidarmi di lei invece che soffrire inutilmente… >> Gli disse con una profonda tristezza.
Il peso della colpa lo schiacciava a terra come un macigno.
<< Non sei l’unico a non esserti fidato… >> Confessò in fine la Dama Bianca, facendo calare una quiete colpevole fra loro due.
Quiete che venne bruscamente interrotta da una voce aldilà della porta: << Ohi, Vostre Altezze, siete ancore vive? >> Chiese Trock, provando a forzare la maniglia dell’entrata.
Forse non era tutto perduto.

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Capitolo 19
*** CAPITOLO 19 ***


Gal Gla sapeva bene che il Cuore dell’Erlkönig era ancora nella dimensione opposta alla sua, in quella dannata stanza e che inevitabilmente, la Signora Rossa solo lì poteva recersi; così la precedette.
Fu molto diverso tornare da quelle parti, dall’altra parte dello specchio. Non vi era più niente. Ne case, alberi o strade. Nulla. Era tornata elle sue origini, diventando solo un’immensa area sconfinata di bianco lucente e sospesa nel vuoto, vi era la gemma arcobaleno a brillare intensa e non il sole.
Se non vi era la custode, l’illusione era inutile.
Tornata formato tascabile, la piccola Goblin burbera, non aveva proprio idea di come recuperare quel dannato Cuore, ma effettivamente, neanche se fosse stata delle sue dimensioni normali, sarebbe riuscita ad agguantarlo.
Gal Gla, si grattò la fronte perplessa.
Aveva una bella gatta da pelare e poco tempo per trovare una buona soluzione.

Edelweissfee nell’ascoltare il richiamo di Trock, le si illuminò il viso dal sollievo, correndo fino alla porta: << Sì, siamo qui dentro! La porta è serrata con un incantesimo infrangibile >> Provò a spiegarle.
Jareth le andò dietro, fermandosi alla base dei gradini di pietra: << Trock, devi recuperare la chiave! È l’unica soluzione per farci uscire! >> Le urlò per farsi sentire.
La Goblin fissò la serratura dubbiosa: << Okay. Dove si trova? >> Chiese ingenuamente.
La Dama Bianca le rispose. << L’ha presa la Signora Rossa. Trock, devi recuperarla alla svelta e liberarci fuori di qui! >> Nella sua voce vi era una certa urgenza.
La Goblin iniziò a tremare, sbiancando in volto: << Cosa?! >>
A quel punto, l’Erlkönig prese di nuovo parola: << Tu e Gal Gla, preoccupatevi solo di recuperare assieme quella maledetta chiave, al resto ci pensiamo noi >>
Trock cercò di replicare, ma i due fratelli non vollero sentire ragioni.
Il tempo scorreva veloce e dovevano sbrigarsi.
La vita di Selvaggia dipendeva solo dalla loro evasione tempestiva.

La Strega dei Corvi si ritrovò a vagare per un lungo corridoio che sembrava interminabile e perennemente avvolto dall’oscurità.
Era così buio, da far credere che i raggi solari, non avessero mai baciato quelle mura. Non vi era neanche una finestra infatti.
La povera candela, consumata dal fuoco, era ormai arrivata alla fine e presto, Selvaggia sarebbe rimasta completamente senza alcuna luce.
L’oscurità non le faceva paura, era ciò che celava a terrorizzarla… O per meglio dire Chi.
Quando un sortilegio veniva spezzato, non era più possibile rifarlo su quella stessa persona.
E l’ex Consigliere dell’Erlkönig, era davvero un abile mago delle tenebre.
La sua attenzione, cadde poi sulle nere pareti, consunte quanto la cera smorta sulla bugia in ottone. Non c’era nessun mobilio attorno a lei, solo cornici. Vi erano per l’appunto, appesi quadri con raffigurati esseri abominevoli. In bianco e nero, schizzi dettagliati di ritratti mostruosi e dalle sembianze umane.
Mettevano i brividi al solo fissarli.
Esseri ambigui con zanne aguzze al posto dei denti ed occhi vuoti, numerosi quanti quelli dei ragni. Artigli affilati al posto delle unghie e zoccoli e corna animaleschi, al posto delle gambe.
Non aveva mai visto nulla di simile; neanche a corte.
Stava ancora guardando – alquanto sconvolta – quello scempio quando la candela che sorreggeva davanti al viso, si spense senza dare alcun preavviso e fare alcun rumore.
Come se fosse stato qualcuno a spegnerla.

Walpurgis, percorreva le numerose stanze della Reggia come fosse casa sua. Era sicura e spavalda nell’osservarsi attorno; sapeva bene che nessuno avrebbe potuto fermarla. Anche se aveva cercato in precedenza di fermare il ritorno della Regina – per diventarlo lei stessa – rubandole i disegni e quel dannato libro, era andato tutto secondo i piani di suo padre.
L’ex Consigliere.
Di una cosa però, non era soddisfatta; non era riuscita a spegnere l’amore che l’Erlkönig provava per la sua amata e questo, la infastidiva più della non riuscita del piano perfetto del suo genitore, il mago delle tenebre.
Perché in fondo, lei non era altro che una fanciulla a cui non era stato concesso il lusso d’amare qualcuno od essere amata a sua volta.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO 20 ***


Trock, doveva fare in fretta. Coi suoi piedi palmati, percorreva in lungo e in largo, le stanze della Reggia. Avendo le gambe corte – tipiche della sua razza – poteva al massimo saltellare come i conigli e vista da un occhio esterno, doveva essere proprio comica una Goblin che balzava per le vie del castello come un animaletto selvatico.
Senza nessun indugio – proprio come un nobile cavaliere – era riuscita a scovare il nemico, la Signora Rossa. Metteva i brividi, pensò Trock.
Cercava di tenere a freno il fremito delle sue ginocchia mentre la spiava da dietro un angolo del lungo corridoio. Era di spalle e sembrava sinceramente, non essersi accorta della sua presenza.
E poi la vide.
Una lunga chiave nera e dall’aspetto antico, che penzolava dalla cintola rossa – che fantasia di colori – allacciata ai suoi fianchi.
La Goblin la fissò in modo deciso mentre quell’oggetto tanto agognato da lei, sembrava oscillare indietro ed in avanti, come per incitarla ad avvicinarsi alla donna ed ad esso.
Trock, deglutì rumorosamente.
Se Walpurgis, l’avesse scoperta, l’avrebbe sicuramente trasformata in un cumuletto di cenere fumante, meditò intimorita.
All’improvviso, ella si fermò davanti alla porta da cui vi era sbucata Selvaggia il giorno prima e la Goblin capì che quello, era il momento esatto per intervenire. Non ci sarebbero state seconde occasioni. Con questo pensiero in testa, la Goblin si avvicinò con passo felpato e svelto – per quanto possibile – alla figura femminile, a pochi metri da lei. E con cautela, cercò di prendere quella chiave mentre la Signora Rossa, apriva la porta apparentemente ignara di tutto.
Trock, allungò il braccio ossuto verso la scintillante chiave nera, sfiorandola appena con le sue dita lunghe e nodose – come quelle delle vecchie signore umane – cercando d’afferrarla senza essere scoperta dal nemico a derubarla.
C’era quasi riuscita.
La stava quasi per sottrarre appesa al suo fianco desto, quando la mano artigliata de la Signora Rossa, le afferrò il fragile polso verdognolo, con una mossa fulminea del suo braccio.
La Goblin trattenne a stento uno squittio di terrore e quando Walpurgis voltò mezzo busto per fissarla, cominciò a tremare come una foglia.
La donna infatti, aveva un ghigno sadico e uno sguardo folle, in volto e con tono canzonatorio, si rivolse direttamente a Trock: << Bene, Bene, bene... Cosa abbiamo qui? Una ladra! >>

Gal Gal, non se la stava cavando meglio della sua compagna.
Cercava testardamente, di fare un balzo di quasi tre metri d’altezza, per acciuffare quella dannata pietra lievitante, con il solo patetico risultato, di riuscire a saltare da terra di al massimo venti centimetri.
La Goblin, sbuffò esausta. Ci stava provando d’almeno un quarto d’ora abbondante e non aveva ancora concluso niente. Doveva sbrigarsi. Si guardò per l’ennesima volta attorno, in cerca di qualcosa, qualsiasi cosa per poter raggiungere il Cuore, ma come tutte le altre volte, non vi era assolutamente nulla attorno a lei, se non la distesa infinita di bianco per sopra e per sotto.
Gal Gla, sospirò rassegnata, borbottando imprecazioni nella sua lingua natia. E come si era fermata, così riprese vigorosamente a saltellare di nuovo, sperando – invano – di raggiungere con un balzo, i tre metri d’altezza. Anche se stava cominciando a perdere la pazienza; una cosa le era certa, non poteva continuare così.
Non era mica un canguro lei!
Guardò in cagnesco quella dannata pietra arcobaleno e con un moto di rabbia, sbraitò: << Va al diavolo sassolino! >> E dicendo questo, si sedette a terra a braccia conserte, offesa.
Fu allora che successe qualcosa d’inaspettato.
Il Cuore scese verso di lei, come se fosse in qualche modo vivo, adagiandosi ai suoi piedi. Gal Gla rimase a squadrarlo per un tempo infinito prima di poterlo prendere tra le mani.
C’era riuscita e stentava a crederci; ma neanche il tempo d’esultare che ad un tratto, la superficie dello specchio baluginò, mostrando due figure entrare in quella dimensione.
La Signora Rossa che teneva prigioniera Trock, bloccandola per un gomito. Non poteva fuggire da nessuna parte.
E nemmeno Gal Gla.
Peggio di così, non poteva andare.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO 21 ***


Gal Gla, strinse a sé la gemma arcobaleno con tutta la forza che possedeva, spaventata a morte dall’arrivo de la Signora Rossa, ma ancora di più, notando chi aveva in ostaggio.
In quel momento, il tempo le sembrò scorrere così a rilento, che immaginò il ticchettio d’un orologio a pendolo, smettere di battere le lancette dei minuti e quella dei secondi.
Trock dal canto suo, possedeva un atteggiamento afflitto, le orecchie basse e fissava un punto impreciso del suolo inamidato in mezzo a tutto quel niente. Sentiva d’aver fallito la missione e soprattutto, deluso chi aveva contato sulla sua riuscita.
La situazione s’era fatta critica per entrambe in meno d’un secondo.
<< Dammi il Cuore mostriciattolo, oppure la tua piccola coetanea, morirà davanti ai tuoi occhi >> Cinguettò perfida Walpurgis; un sorriso maligno le affiorò sul volto, deturpandolo di cattiveria, facendo rabbrividire entrambe le Goblin. Per ribadire il concetto, conficcò le sue unghie lunghe e laccate di rosso fuoco, nella carne dalla povera Goblin che custodiva, facendole fare un rantolo di dolore.
Gal Gal, sembrava non avere scelta, preoccupata cercò di fermarla: << No, aspetta! Non farle del male. Ti darò quello che vuoi! >> Urlò per farsi ascoltare dal suo nemico.
Per quanto non l’ammettesse mai – neanche fosse stata sotto tortura – voleva davvero bene alla sua amica, svampita e bonacciona che fosse.
Erano state sempre insieme ed il loro legame, era il più genuino che ci potesse essere fra due vecchie amiche, inseparabili. E non avrebbe rischiato la vita di Trock per tutti i tesori ed i sovrani del mondo magico o non magico…
Con cautela e circospezione, iniziò ad avvicinarsi alle due figure, accanto al portale-specchio, mostrando in bella vista la gemma arcobaleno e scandendo bene le parole, iniziò a contrattare: << È questo quello che desideri, giusto? Lasciala andare e te lo consegnerò >>
Trock alzò lo guardo, allarmata da ciò che voleva fare la sua amica e cercando di dimenarsi dalla presa ferrea di quella mano, le gridò di non farlo, ma la Signora Rossa l’ammutolì con uno schiaffo.
Gal Gla riprese il suo discorso, abbassando le orecchie anche lei, mentre continuava ad avvicinarsi: << Guardaci, siamo tornate mignon e non possediamo poteri magici a differenza tua. Non potremmo farti del male neanche se vorremmo, non credi? >> Walpurgis inarcò un sopracciglio, riflettendo sulle parole della Goblin.
In effetti, lei avrebbe potuto ucciderle ed andarsene.
Chi avrebbe potuto fermarla?
A quel punto, fu Trock a prendere l’iniziativa. Guardò Gal Gla con uno sguardo d’intesa e con un ottimo gioco di squadra, spinsero con tutte le loro forze, la Signora Rossa attraverso la superficie dello specchio, finendo per cadere tutte e tre in acqua. Entrambe le Goblin però, riuscirono – con un po’ di fortuna – tempestivamente a nuotare verso la riva, prima che le manacce di quella arpia, potessero afferrarle per i piedi e condurle sul fondo del lago.
Corsero come mai prima d’ora verso l’unica uscita, schiarita solo dalla fioca luce de il Cuore che Gal Gla, continuava a tenere fra le mani: << Trock, presto muoviti! >> Le ordinò.
Appena furono fuori dal portone tutte e due, lo chiusero alle loro spalle, inseguite dalle urla spaventose di quella donna.
Usarono tutto il loro peso per non far uscire Walpurgis e Trock, sigillò la serratura con la chiave stregata, rubata poco prima che spingesse l’arpia al di sotto, nell’oscurità del portale-specchio, sotto gli occhi stupiti della sua compagna d’avventure.
Gal Gla, non riusciva nemmeno a capacitarsi che possedevano sia la chiave che la gemma e quando Trock, le fece l’occhiolino, una gioia ottusa, pervase entrambe, dandosi poi il cinque, soddisfatte di loro stesse e facendo il balletto della vittoria goblignano mentre la Signora Rossa, colpiva il legno del portone, urlando e sbraitando oscenità contro di loro.

*Angolino dell'autrice*
Scusate se il capitolo è corto, ma il prossimo sarà bello lunghetto e
ho preferito chiudere i due piccoli capitoli "comici" delle due Goblin, qui.
Ne approfitto per salutare tutte affettuosamente ed in particolar modo Hicetnunc95 <3

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Capitolo 22
*** CAPITOLO 22 ***


Selvaggia, si ritrovò nell’ennesima camera di quell’antro buio ed oscuro, con solo qualche lumino acceso. Dalle fattezze rischiarate, vi erano pochi oggetti che la circondavano. Era adagiata davanti ad una bellissima specchiera in legno, con vari trucchi sul tavolo difronte ad esso. Seduta su uno sgabellino foderato di velluto rosso, si sentiva una Principessa delle tenebre.
Percepiva il tocco di mani e dita gelide, e risatine sinistre che le sfioravano le orecchie. Versi che aveva già udito nella sua stanza, giorni prima.
Spalancò gli occhi spaventata, quando scorse i loro riflessi su quella superficie lucente, accanto al suo, ma senza che loro possedessero corpo ne ombra. Avevano aspetto umano e femmineo, eppure erano pallide in maniera traslucida – come fantasmi – ed i loro occhi, erano dei bulbi completamente bianchi e sproporzionati.
La cosa più inquietante però, erano i loro ghigni.
Possedevano denti aguzzi imbrattati di quello che le ricordava sangue umano. Erano almeno in cinque e nonostante scorgesse solo le loro figure allo specchio, non riusciva in alcun modo a muoversi. Nonostante fossero invisibili, la tenevano prigioniera, bloccata davanti a quella specchiera spettrale.
Selvaggia cercò – invano – di liberarsi da quelle figure demoniache, ma più si agitava, più loro la soffocavano con cipria, rossetto e mascara. Le tenevano fermo il viso, bocca e palpebre – nemmeno lei riusciva a spiegarsi come – Provò a gridare, ma la voce – proprio come in quel suo primo incubo precedente – sembrava essersi dissolta dalle sue corde vocali. Era muta come un pesce e nessuno avrebbe ascolto le sue suppliche. La paura e l’ansia, iniziarono a serpeggiare nel suo animo; doveva liberarsi da quelle creature inumane e fuggire da lì.
Doveva mettere al sicuro Jareth ed il regno, si rimproverò per riuscire a scuotersi un poco, ma senza alcun successo.
Le tirarono i capelli, acconciandoli in una coda di cavallo alta e liscia mentre altre, le stappavano il vestito porpora per farle indossare un abito ben diverso. Era nero come la sua chioma e molto scollato, le lasciava completamente nude le scapole. Il corsetto nero, fatto interamente di piume di corvo, aderiva ai suoi fianchi, facendo intravedere pezzi del suo incarnato mentre la lunga gonna nera e liscia, era semi trasparente come la tela d’un ragno.
Le donnette maligne, la lasciarono andare, ridendo ancora di gusto e bisbigliando fra loro più che con lei: << Giusto in tempo per la Gogna… >> Riecheggiò la voce di una.
<< Ci divertiremo un sacco >> Echeggiò un’altra.
La Strega dei corvi, venne pervasa dai brividi.

La gogna di chi?!

Si chiese, terrorizzata da ciò che stava per accadere.
Senza che le venisse domandato nulla; venne scortata all’uscita di quella camera e condotta in un corridoio rosso scuro – tinta sangue – mentre una melodia macabra e sempre più forte, s’insinuava nelle sue orecchie.
Cercò di controllare il fremito del suo respiro ed il battito del suo cuore. Era terrorizzata, ed anche se aveva riacquistato memoria e poteri magici, era pur sempre rimasta lei.
Una giovane ragazza in preda ad un incubo orribile.
I suoi passi, attutiti solo dalle sue graziose ballerine fatte di petali di violette – le sue preferite – erano sempre più incerti. Voleva scappare da quella musica così elegica, sempre più nitida e forte, ma era ancora prigioniera di quelle dannate figure invisibile ai suoi occhi; forse frutto d’un incantesimo maligno.
Un portone laccato nero lucido, si spalancò al suo passaggio, aprendosi ad un’immensa sala da ballo – apparentemente – vuota ed anch’essa, della stessa tonalità cupa.

Pessimo tappezziere

Si disse Selvaggia per allentare la tensione che l’aveva aggredita alle spalle.
Il pavimento di legno laccato, luccicava come uno specchio d’acqua e guardandosi attorno, avrebbe davvero voluto invocare l’aiuto di qualcuno.
Ad un tratto, sentì un dolore lancinante allo stomaco ed al viso, che la fece cadere in ginocchio, al centro della vasta stanza. Il silenzio tombale fra quelle mura, interrotto solo dai suoi gemiti soffocati di dolore. I lividi ch’erano magicamente spariti sulla sua pelle, ricomparvero in tutto il loro orrore. Doveva avere un paio di costole lesionate e forse una caviglia slogata. Un rivoletto di sangue le colò sul mento mentre la sua bocca, impastata da quel liquido ferroso, le formicolava dal dolore, così come l’occhio sinistro.
Probabilmente aveva anche un occhio nero, meditò tra un malore ed un altro.
In quel posto, i suoi poteri non avevano alcun effetto e quindi, anche i suoi ultimi incantesimi s’erano annullati. Era come se fosse tornata una comune umana.
Tutti i muscoli del suo povero corpo martoriato, le dolevano in un modo tale, da impedirle di restare in piedi e mentre lei, strisciava – od almeno ci provava miseramente – per uscirne, le gigantesche porte come si erano aperte, così si chiusero, in un unico movimento fluido.
Ingabbiandola in quella sua sofferenza infinita.

Jareth aveva la fronte premuta contro la superficie legnosa di quell’uscita sbarrata, da tempo immemore ormai.
I palmi delle mani, appoggiati alla porta, per percepire le vibrazioni fuori dalle Segrete in cui era rinchiuso assieme a sua sorella.
Ad un tratto sentì qualcosa dentro di sé, come un filo che si spezza se tirato troppo da entrambe l’estremità.
Selvaggia stava male, si disse angosciato.
Era solo una sensazione; forse dovuta alla sua ansia d’uscire da lì. Eppure, un dolore lancinante al petto lo colse del tutto alla sprovvista. Come se il suo cuore, lo stesse avvertendo di seguire quell’istinto, che in realtà, non si stava sbagliando e che la sua Regina era davvero in grave pericolo.
Iniziò a massaggiarsi il torace nudo, curvandosi in aventi e respirando a fatica. C’era davvero qualcosa che non andava…
E la sua preoccupazione, divenne pressante.
<< Edelweissfee… Non mi sento molto bene… >> Mugolò appena.
La Dama Bianca però lo zittì, udendo dei passi di due piccoli individui, sempre più vicini: << Ascolta! >>
Il rumore del chiavistello che s’apriva, fu un sollievo immane per tutti… O quasi.
Appena l’Erlkönig colse lo spiraglio di luce e aria fresca sul volto, si precipitò fuori, cercando di comunicare con la sua amata.
 
Selvaggia? Meine liebe mi senti?!

Quella sensazione sgradevole – che il sollievo d’esser libero non aveva minimamente scalfito – aumentò, quando non udì alcuna voce né alcun pensiero; ma qualcosa percepì…
Era un battito cardiaco molto lieve ed irregolare, come i movimenti pigri delle ali d’un pulcino che non sa volare.
Jareth, venne scosso da un’ondata di terrore che lo prese alla bocca dello stomaco, mentre le due Goblin aiutavano sua sorella, ad uscire da quella prigione sotterranea.
Si volse alle sue spalle, urlando alle presenti: << Non c’è più tempo. Voi occupatevi di Walpurgis e di mettere al suo posto la gemma arcobaleno… >> Disse in modo deciso e risoluto.
Edelweissfee, gli rivolse occhiate preoccupate, chiedendogli disperata: << E tu che farai invece?! >>
Il Re degli Elfi, rivolse uno sguardo infuriato al vuoto, immaginando l’ex consigliere che gli aveva rovinato la vita: << A riprendermi la mia Regina >> Specificò calmo, ma con un tono di voce che avrebbe fatto tremare di paura, chiunque.

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Capitolo 23
*** CAPITOLO 23 ***


L’Erlkönig invocò la sua arma, la Spada Sacra del Sovrano e corse verso il portale che avrebbe potuto condurlo ove era la sua Selvaggia.
Veloce come il vento freddo d’inverno, arrivò ove aveva scoperto la sua amata nel loro regno.
Era passato a malapena un giorno e ciononostante, era sembrata invece, trascorsa un’eternità da quel singolo momento.
Si precipitò nella stanza col portale a forma di bolla di sapone gigante, col petto squassato dai respiri affannosi, a pieni polmoni; ma quando vi entrò alla carica, ciò che si presentò davanti ai suoi occhi spaiati, lo destabilizzò, aumentando la sua angoscia e la sua ansia. La sfera giaceva in fondo al muro più lontano, in mille pezzi. Distrutta. Jareth, crollò in ginocchio, percependo il suo corpo, dolorante per la folle corsa fatta tutta d’un fiato e la stanchezza, accumulata nei giorni prima.
Lacrime calde, caddero dal suo sguardo al pavimento, a cui lui diede un pugno, rompendo un asse di legno. Impotente. Si sentiva solo inutile. Strizzò gli occhi e serrò i denti in una smorfia di dolore, contraendo la mascella fino a darsi male.
<< Selvaggia… Dove sei? Dimmelo… >> Sussurrò al buio della camera, ma nessuno gli rispose; fino a quando, non udì il gracchiare di un corvo che richiamava la sua attenzione.
Il Re degli Elfi, spalancò le palpebre in espressione a dir poco meravigliata e come fosse stata la scena di un film, a rallentatore, si volse verso quell’uccello nero, che lo fissava dal parapetto della finestra aperta a pochi metri dal suo corpo.
Il corvo, piegò la testa di lato, fissandolo curioso della sua reazione. Jareth, si asciugò il viso col dorso della mano per poi riprendere ad osservare la sua unica possibilità di trovare la sua amata.
<< Tu… Tu sai dov’è la tua padrona? >> Domandò esitante e speranzoso, con un filo di voce appena accennato. Non voleva spaventare l’uccellaccio nero.
Egli, per tutta risposta volò via, inseguito a ruota dall’Erlkönig, che però, fu costretto a fermarsi, appena si affacciò da quell’apertura angusta. Scorse il corvo, volare contro l’alba ancora acerba ed infine, li vide chiaramente.
Una nube nera che gracchiava forte, volteggiare oltre la palude, in un punto impreciso fra il bosco e la montagna.
Selvaggia doveva essere lì.

*Angolino dell'autrice*
Scusate se sono stata assente in questa storia, ma stavo provando a cimentarmi
in una nuova storia, per sperimentare generi diversi^^
Prometto che domani il capitolo sarà mooolto più lungo <3
Ringrazio che di voli leggerà anche questo capitolo, ma soprattutto Hicetnunc95, che commenta sempre ogni capitolo <3

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Capitolo 24
*** CAPITOLO 24 ***





Selvaggia, si disse che peggio di così non le potesse andare… Quanto si sbagliava…
L’abito era una zavorra ed il corsetto che le stringeva i fianchi, la faceva soffrire come una povera anima in pena. Cercò di riprendere fiato, ma le costole lesionate lelo impedirono.
Ogni respiro che faceva, le procurava solo dolore. Strinse i denti e provò ad alzarsi dal pavimento, ma una forza invisibile e sconosciuta, la bloccava con la faccia a terra, contro il pavimento di quella magnifica e macabra sala da ballo.
Intanto, l’inquietante melodia continuava ad inquietere la Regina.
Le piastrelle lisce e lucide, riflettevano quel tenue chiarore che di solito aleggiava in un bosco notturno, illuminato solo dalla luna piena; come uno specchio d’acqua di notte.
Un malore, più forte degli altri, l’aggredì come il morso improvviso di un Cobra Reale alla caviglia, facendola urlare di dolore. Voltò il capo di scatto, dietro di sé e per un attimo, scorse quella maledetta nube nera, sottoforma di grossa e lunga serpe, che sembrava averla scambiata per un topolino. Ed effettivamente, seguendo le proporzioni di quella bestia viscida ed immonda, lei era davvero piccola come un roditore. Il mostro – che aveva preso consistenza – l’avvolse fra le sue spire, iniziando a stritolarla. Le grida disperate della sovrana, rimbombarono contro i muri, senza i suoi poteri magici, era una comune fanciulla in grave pericolo.
La serpe non vedeva l’ora d’ingoiarla in un sol boccone e ci sarebbe anche riuscita, se non fosse stato per uno strano rumore alla porta, che per un attimo, coprì il suono tetro dell’organo che infine, smise di suonare. All’improvviso.
Il mostro, tornò ad essere inconsistente come una nube scura, lasciando andare Selvaggia a terra, priva di sensi e mettendosi poi alla ricerca del possibile intruso che aveva interrotto il suo pasto, simulando una fitta nebbia in una stanza.
Fu allora che apparve.
Le porte si spalancarono grazie alla forza di un vortice esterno, distruggendole e sulla soglia, apparve una figura maschile, alta e slanciata, completamente vestita di nero e la pelle bianca come la neve. Parte del volto superiore, era coperto da una maschera di corvo, lasciando intravedere: collo, mento e bocca esangui. I suoi capelli erano penne e piume scure e le sue mani, erano nascoste da guanti di cuoio del medesimo colore. Impugnava una lunga e grossa spada color piombo e la puntava proprio contro al suo nemico, sfidandolo a battersi con lui.
La nube, nel vedere quell’arma antica ed impregnata d’un potere creduto estinto, si dissolse, arrendendosi e lasciando ancora viva, la sua preda; ma era solo questione di tempo prima che tornasse a reclamare la sua vendetta. Ed il cavaliere, lo sapeva bene.

Selvaggia si ritrovò in mezzo alla radura che delimitava la sua amata foresta.
Il vento le sferzava i capelli corvini ed il tessuto di velluto pregiato, della lunga gonna del vestito bordeaux che indossava, mentre il suo diadema invece, rimaneva fermo al suo posto, sulla sua fronte. Possedeva di nuovo i suoi preziosi gioielli. Le punte argentee che coprivano la curva delle sue orecchie “umane”, dono fattogli dall’Erlkönig stesso, per non farla sentire fuori posto al suo fianco, a corte. E le sue amate ballerine di petali di Violette.
Si guardò attorno alquanto spaesata e confusa.
Era sola ed il cielo sopra la sua testa era cupo e scuro, livido di pioggia. Il rumore dei tuoni, era così forte e potente, d’assordarla mentre rimbombavano nell’aria. Un presagio funesto nel linguaggio d’una Strega. Scorse poi, lampi di luce in lontananza. Segno che la tempesta presto l’avrebbe travolta; a meno che, il vento stesso non la portasse via prima… Le sferzate d’aria gelida, erano schiaffi che pizzicavano la pelle.
Finché ad un tratto, nel voltarsi alle sue spalle – verso il bosco – vide la figura di quello che le sembrava un giovane uomo, stagliarsi difronte a lei, rigido come una statua. Completamente vestito di nero, metteva in risaldo il pallore innaturale del suo incarnato; ma la cosa che più la inquietava, era quella sua maschera a forma di teschio di corvo che portava, impedendole di guardarlo dritto negli occhi. Impugnava l’elsa d’una lunga e grossa spada – che non aveva mai visto – mentre l’altra, gliela tendeva, in segno di fiducia.
Eppure, lei non si fidava per niente di lui.
<< Chi sei?! >> Gli urlò, per sovrastare il rumore del vento e dei tuoni, ma lui non rispose. Al contrario, le si avvicinò ulteriormente.
O forse era lei che gli andava incontro. Non sapeva affatto spiegarselo.
Ad un certo punto, era così vicina allo sconosciuto, che quasi percepiva l’aroma del bosco, mischiato a quello di biscotti appena sfornati del giovane.
Che strano odore per un ragazzo, pensò sovrapensiero.
Era alto, quasi quanto Jareth, ma non le donava lo stesso effetto rassicurante. La sua presenza infatti, le incuteva solo disagio. Come se non avesse dovuto essere lì assieme a lui.
Lo sconosciuto le accarezzò una guancia con la mano destra, fino ad arrivare a toccarle la mascella e quando Selvaggia, schiuse le labbra per parlare di nuovo, lela afferrò in un impeto di passione violenta, premendo la bocca sulla sua. In un bacio violento ed appassionato.


*Foto della masche allegata

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Capitolo 25
*** CAPITOLO 25 ***


La ragazza dai lunghi capelli corvini, spalancò gli occhi per la sorpresa dall’impeto di quel gesto; risvegliatasi da un sonno che la stava portando alla morte. Anche il suo corpo – che si era assopito fino a quel momento – si rianimò e con esso, anche il dolore.
Selvaggia, nel provare a sollevare il busto, sussultò dalla sofferenza straziante che la colse del tutto alla sprovvista. Quanto avrebbe voluto imprecare fino a restare senza fiato. Doveva andare via subito da quell’immensa sala da ballo. E già che c’era, anche da quello che le sembrava un castello. L’ex consigliere avrebbe potuto tornare in qualsiasi momento e lei, non era affatto in grado d’affrontarlo.
Si accorse della presenza dello sconosciuto del suo sogno solo in seguito, immobilizzandosi quando i suoi occhi blu oltremare, incrociarono la maschera che portava al viso. La metteva a disagio e quella situazione catastrofica, non aiutava per niente. Era proprio com’era apparso nella sua visione, quasi come se non fosse stato soltanto un incubo e questo, le fece dubitare che non se lo fosse affatto sognato, ma ch’era entrato lui nella sua mente. Corrugò le sopracciglia al solo pensiero.
Chi era quel ragazzo e soprattutto, cosa voleva da lei?
Per un attimo, il pensiero che fosse il suo Jareth, la colse di gioia, ma il suo amato, non avrebbe mai indossato una maschera e tantomeno, si sarebbe mai agghindato di nero. Lui amava solo i colori naturali.
La Regina, si puntellò sui gomiti, facendo forza sulle braccia e sollevando finalmente il busto, senza provare un forte malore che le mozzasse il fiato. Avrebbe chiacchierato in seguito con il ragazzo-corvo. Non era il momento adatto quello.
Fece una smorfia di dolore, ma riuscì a soffocare un lamento.
Il ragazzo sembrò prodigarsi ad aiutarla, in un atteggiamento preoccupato, ma lei lo costrinse con un semplice gesto della mano, a tenerlo lontano. Solo perché l’aveva salvata ed aiutata, non significava che potesse fidarsi di lui. Fece un bel respiro, ma fu peggio. << Devo… Devo uscire da questa stanza… >> Sussurrò allo sconosciuto.
Egli - ancora chinato su di lei - gli offrì di uovo il braccio, suggerendole probabilmente, di non fare la testarda ed accettare il suo aiuto.
Selvaggia represse l’orgoglio e vi si aggrappò per riuscire a sollevarsi, nonostante avesse una caviglia ferita, zoppicò grazie al suo soccorso, fuori di lì e mettersi entrambi in salvo. Appena varcò l’uscita di quella dannata sala da ballo, il suo fisico si riprese. Le ferite guarirono all’istante ed il corpo assunse nuovo vigore. Tutti i suoi malori ed acciacchi, sparirono, lasciando posto al sollievo di quella guarigione miracolosa, dovuta solo alla sua magia.
All’improvviso, i muri decorati, iniziarono a tremare ed il soffitto, a sgretolarsi sopra le loro teste. Pezzi di marmo e granito, cascavano sul pavimento come foglie secche dalle fronde di un albero.
I due corsero fuori, passando per quel lungo corridoio che sembrava infinito mentre il terrore, attanagliava i loro animi ed il castello, s’accartocciava su se stesso come vecchia carta da buttare. Quando la luce dell’alba, bagnò le loro figure coi suoi raggi solari, quel luogo andò in pezzi, diventando solo un cumulo di macerie e rovine.
I corvi, appollaiati sui rami degli alberi attorno a loro, gracchiarono e svolazzarono le lunghe ali nere in segno di gioia, accogliendo i due sopravvissuti.
Edelweissfee giunta in quel momento e seguita da Gal Gla e Trock, correva a perdifiato verso di loro, agitando le braccia bianche, sollevata che la sua amica stesse bene: << Selvaggia! Che bello, stai bene! >> Gridò entusiasta, sorridendo raggiante quanto il sole. La Strega dei corvi venne travolta da quel bagliore ambulante, finendo entrambe sull’erba che profumava di notti stellate. Si strinsero forte quasi a farsi male a vicenda. << Credevo che non ti avrei più rivista! >> Bisbiglio infine, con le lacrime agli occhi.
La Goblin più burbera fissando quella scena commovente, borbottò alla sua inseparabile compagna che a stento tratteneva le lacrime dalla commozione: << Se non fosse stato per noi, il Re non sarebbe mai arrivato in tempo a salvarla. Questo poteva dirlelo >> Fece con fare stizzito, mentre Trock – per tutta risposta – faceva spallucce, tirando su col naro.
Selvaggia si staccò dalla Dama Bianca. Perplessa, l’aiutò a tornare eretta e ponendole così, un quesito dubbioso: << L’Erlkönig è venuto a salvarmi? >> Chiese a tutti ed a nessuno in particolare, ma fissava con sguardo confuso, la sorella del Re.
Gal Gla nell’udire quella domanda così sciocca, sbottò: << Certo! È partito alla carica senza nemmeno ringraziare e… >> Venne bruscamente interrotta dalla sua amica.
<< E lui, chi sarebbe?! >> Indicò lo sconosciuto col suo lungo dito ossuto. Sembrava che nessuno si fosse reso conto della sua presenza fino a quel momento.
Selvaggia era sempre più frastornata: << Lui mi ha salvata! >> Specificò.

E non Jareth…

Aggiunse mentalmente, rammaricata, ma questo, non osò proferirlo ad alta voce. L’avrebbe ferita ancora di più… E per quel giorno, aveva già patito anche troppa sofferenza.
Edelweissfee, si guardava in giro, improvvisamente agitata: << Allora dov’è mio fratello, dunque? >> La sovrana, iniziò a percepire l’angoscia nel suo animo.
Aveva ragione.
Dov’era il suo Re?
Si rivolse al ragazzo-corvo che l’aveva salvata: << Tu per caso, hai visto l’Erlkönig? >> In presenza d’altri, non l’avrebbe mai chiamato Jareth. Quello era un loro segreto e voleva che rimanesse tale.
Lo sconosciuto dopo un lungo momento d’esitazione, indicò la collina di macerie, muto come una tomba. La ragazza, lo fissò spaesata, adocchiando poi sia il suo dito guantato, che le rovine di quello ch’era stato il covo del nemico.
<< Che sta cercando di dire? >> Domandò intimorita la Dama Bianca.
Selvaggia si fece prendere dal panico: << Il Re degli Elfi è lì sotto?! Stai cercando di dirmi questo?! >>
Lo sconosciuto assentì e tutto quello che la Regina aveva sempre temuto, la fece raggelare di paura; se l’Erlkönig era davvero lì sotto, non c’era un minuto da perdere.
Si gettò verso le macerie con l’unico pensiero irrazionale di poterlo salvare, ma il ragazzo-corvo, la bloccò per i fianchi, stringendola a sé per non lasciarla andare via.
Le urla di dolore della ragazza, spaventarono i corvi a tal punto che volarono via, tingendo per un istante, il cielo di nero.

*Angolino dell'Autrice*
COLPO DI SCENA Tadan <3
Dove sarà finito Jareth? Sarà ancora vivo? Ma soprettutto, chi è ora questo nuovo personaggio? :D
Tutto questo e molto altro nel prossimo capitolo^^
Ringrazio come sempre Hicetnunc95 che commenta sempre <3
P.S
Lei conosce il seguito xD <3

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