Fireside

di LazyBonesz_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Death ***
Capitolo 3: *** Ultracheese ***
Capitolo 4: *** Drunk ***
Capitolo 5: *** Starbucks and help ***
Capitolo 6: *** First kisses and worries ***
Capitolo 7: *** ''I don't need you'' ***
Capitolo 8: *** Real friendships never die ***
Capitolo 9: *** Sweet breakfast ***
Capitolo 10: *** Mikasa ***
Capitolo 11: *** Crush ***
Capitolo 12: *** Birthday ***
Capitolo 13: *** Flirty boy ***
Capitolo 14: *** Provocation ***
Capitolo 15: *** Wet kisses and hickeys ***
Capitolo 16: *** Fireside ***
Capitolo 17: *** ''Wanna be my bf?'' ***
Capitolo 18: *** First date ***
Capitolo 19: *** “It was my fault” ***
Capitolo 20: *** Breaking up ***
Capitolo 21: *** Strange situation ***
Capitolo 22: *** Parties ***
Capitolo 23: *** ''There's something wrong'' ***
Capitolo 24: *** White lies ***
Capitolo 25: *** ''I don't want to stay with you'' ***
Capitolo 26: *** Bad days ***
Capitolo 27: *** One more time ***
Capitolo 28: *** Cry baby ***
Capitolo 29: *** Making love ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

Settembre 2015- Los Angeles

 

Mancavano pochi giorni all’inizio della scuola, del primo anno di liceo di Eren e Levi, e i due amici stavano trascorrendo la giornata assieme, godendosi gli ultimi momenti di libertà. 

Si dondolavano sulle altalene presenti nel giardino di Levi, sfidandosi a chi riusciva ad andare più in alto per poi saltare in avanti, sul prato appena tagliato. Eren fece un balzo e rotolò per terra, sporcandosi la vecchia maglietta di suo padre quando era ragazzino, e si alzò in piedi, sistemandosi la zazzera di capelli castani. 

Kuchel, la madre di Levi, uscì dalla porta sul retro portando un vassoio fra le mani, con sopra una caraffa di limonata e quattro bicchieri. I due ragazzi la raggiunsero e si versarono la bevanda, trovandola piuttosto dissetante dopo aver giocato per tutta la mattinata. 

‘’Siete pronti per il primo giorno di liceo?’’, domandò Kuchel, catturando l’attenzione di suo fratello Kenny, che stava arrostendo degli hamburger per pranzo. 

Levi alzò le spalle mentre Eren annuì, iniziando a parlare del suo desiderio di trovare un gruppo di ragazzi con cui giocare alla play, ai giochi di ruolo e ad altre cose che il migliore amico considerava da ‘’nerd’’. Levi, invece, non aveva nessun desiderio particolare se non quello di non trovarsi in difficoltà con gli esami. Avere Eren come unico amico andava bene, non c’era il bisogno di trovare un gruppo di persone con cui occupare un tavolo a pranzo. Era sempre stato solitario e questo aspetto compensava con l’iperattività del migliore amico. 

‘’Io spero che vi divertiate e che ricorderete questi anni come i migliori della vostra vita’’, mormorò la donna, prendendo le mani dei due amici che stavano crescendo troppo velocemente ai suoi occhi, ‘’ma la cosa più importante è mantenere la vostra amicizia.’’

A quelle parole Eren arrossì e distolse lo sguardo che fino a poco prima aveva posato su Levi. Quest’ultimo, essendo un ottimo osservatore, lo notò e si chiese cosa stesse succedendo al suo migliore amico quell’estate. Si conoscevano da quando erano dei bambini che neanche camminavano, non c’era mai stato imbarazzo fra di loro ma in quei mesi c’erano stati momenti strani. Levi decise di lasciar perdere per il momento, ne avrebbero parlato dopo pranzo. 

Kenny portò sul tavolo in giardino gli hamburger caldi e fumanti che sembravano deliziosi. Poggiò il grande piatto e si sedette vicino alla sorella, dividendo le porzioni per loro quattro. Era una giornata estiva come le altre. La temperatura era calda ma dall’oceano proveniva una brezza piacevole che permise loro di mangiare in giardino. Fu un pranzo piacevole al momento ma anni più tardi divenne un ricordo malinconico per i due ragazzi. 

Quando la tavola fu sparecchiata, Eren e Levi rimasero da soli all’esterno e capirono che era arrivato il momento di parlare. 

‘’Credo di doverti dire una cosa da un po’’’, sospirò Eren, parlando con una serietà che non faceva parte del suo carattere, solitamente. L’altro aspettò in silenzio, fissandolo con il suo sguardo illeggibile che aveva fin da quando era piccolo. Sua madre credeva che al liceo lo avrebbe fatto diventare irresistibile e forse non aveva tutti i torti. 

‘’E credo che rovinerà per sempre la nostra amicizia.’’

 

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Capitolo 2
*** Death ***


Los Angeles- 25 novembre 2019 

Eren

Quando la madre del ragazzo più popolare di tutta la scuola muore, è impossibile non saperlo. Era stato improvviso, il giorno prima mi aveva salutato dal suo portico, il giorno dopo era dentro una bara deprimente, pronta per prendere posto al cimitero. 

Non sapevo se fosse un incidente o una malattia o chissà cosa. Sapevo solo che avrei dovuto essere più triste, come i miei genitori che avevano versato qualche lacrima alla notizia. Se fosse successo quattro anni prima avrei pianto, forse, e avrei sentito quell’evento molto di più, mi avrebbe segnato molto di più. Non che non fossi dispiaciuto, lo ero, Kuchel era sempre stata carina, anche dopo che il figlio era diventato un completo stronzo. E aveva rovinato la nostra amicizia. 

Anche a scuola qualcuno stava piangendo, probabilmente per farsi notare, ma la maggior parte spettegolava, cercando di nascondersi   fra gli armadietti quando Levi Ackerman passò per il corridoio, seguito dal gruppo di teatro. O dai suoi schiavi, dipende dal punto di vista. 

Io lo fissai, cercando qualche traccia di disperazione nel suo sguardo ma mi sembrò solo più scocciato del solito. La sua espressione fredda e indifferente era una buona maschera per nascondere le sue emozioni, lo era sempre stata. 

‘’Che hai da guardare, nerd?’’, mi apostrofò Jean o Jan, non ricordavo bene il suo nome. Non risposi, non volevo un pugno di lunedì mattina, se fosse stato venerdì avrei anche potuto continuare la discussione. Gli lanciai uno sguardo veloce e voltai le spalle, percorrendo il corridoio dall’altra parte rispetto al gruppo di teatro. 

Forse avrei dovuto fare le condoglianze a quello che era stato il mio migliore amico per la maggior parte della mia vita, ma non sembrava stare così male. O forse era solo un bravo attore, cosa che dicevano tutti a scuola, anche perché era popolare per quello e per il suo aspetto da stronzo. In ogni caso avevo ancora delle ore per pensarci su.

Entrai in classe, cercando con lo sguardo Armin, trovandolo già seduto in uno dei banchi in mezzo. Mi avvicinai e lasciai cadere il mio vecchio zaino marrone sulle mattonelle consumate dell’aula. 

‘’Ciao’’, borbottai, sedendomi al suo fianco, preparandomi psicologicamente alla lezione di chimica che stavamo per affrontare. Odiavo le materie scientifiche. Invece Armin era un genio ed anche il mio nuovo migliore amico. Meglio di quello vecchio.

‘’Hai sentito della madre di Levi?’’, mi domandò, scrutandomi con una strana occhiata per capire come mi sentissi. Poi aggrottò la fronte, non notando tristezza e struggimento nel mio sguardo. 

‘’Ovvio, ci vivo a fianco.’’

‘’E…?’’

Alzai gli occhi al cielo, controllando l’orario per capire se potessi evitare quella conversazione o meno. Maledetto me che mi ero svegliato troppo presto. 

‘’E niente, Armin. Non andrò a fargli le condoglianze, se è questo che desideri’’, sbuffai, cercando il mio libro di chimica per occupare del tempo e per non dover guardare l’espressione di disapprovazione del mio amico. Anche solo immaginarla mi faceva venire la nausea. 

‘’Eravate praticamente come fratelli, me lo hai detto tu stesso.’’

‘’Eravamo, appunto.’’ 

Lo sentii sospirare e a quel punto lo guardai. Lui era buono e gentile, io no. Ero troppo emotivo, troppo precipitoso, troppo chiassoso, troppo tutto. A volte non capiva le mie decisioni ma andava bene così, non potevamo comprendere ogni cosa. Io lo accettavo mentre lui cercava di capirmi fino a diventare irritante ma era fatto così, era troppo gentile e buono per me. 

‘’Armin, facciamo una cosa. Puoi dirgli che ti dispiace per Kuchel e puoi farlo anche da parte mia. Sarà come se lo facessi io, no?’’, proposi speranzoso di chiudere l’argomento Levi. Negli ultimi due anni era uscito così poche volte che avevo anche creduto di non averlo mai conosciuto. Ma il fato non era così benevolo, purtroppo. 

‘’Non proprio. Comunque gli parlerò’’, disse infine il mio amico e la campanella suonò, segnando l’inizio delle lezioni. 

 

**********


Dopo chimica non avevo avuto altre lezioni con Armin e così non c’era stata l’occasione per poter parlare di Kuchel. In compenso l’ora prima del pranzo, quella di ginnastica, non era andata molto bene. 

Facevo lezione con Levi e Jean. Il primo non si era presentato mentre il secondo aveva cercando di stuzzicarmi più volte mentre correvamo per il campo. Lui si che era irritante, il lunedì più degli altri giorni. 

Dopo l’ennesima battuta su come lanciavo male la palla da baseball, decisi di rispondergli per le rime, mettendo in mezzo anche Levi.

‘’Non dovresti essere da qualche parte a consolare il tuo padrone? Non vorrai mica farti cacciare dal gruppo di teatro’’, dissi tagliente, facendo girare varie persone dalla nostra parte. Mi guardarono come se fossi pazzo, un pazzo molto stronzo. Jean era paonazzo e fece due passi verso di me, sollevando una mano. Ecco, stavo per ricevere un pugno in faccia ma me lo sarei meritato.

Jean bloccò la mano e mi fissò duramente prima di parlare, ‘’potevi dire qualsiasi cosa contro di me ma non mi aspettavo che fossi così cattivo’’, sibilò vicino al mio viso. Mi sentii male ma durò per qualche secondo, le mie parole erano dovute alla rabbia, ecco cosa intendevo quando ero troppo di qualsiasi cosa.

Shadis, l’insegnante di educazione fisica, stava venendo verso di noi ma Jean riprese ad eseguire i suoi lanci, ignorandomi per il resto della lezione. Anche io lo ignorai finché la campanella non suonò. 

Entrai nello spogliatoio e mi misi quasi in un angolo, sentendo su di me degli sguardi accusatori per via del mio piccolo spettacolo. Mi cambiai e andai in bagno, trovando Jean che si lavava il viso. Fantastico, pensai tra me e me.

‘’Non vuole essere consolato’’, disse a un certo punto, spezzando il silenzio imbarazzante fra di noi. Guardai il mio riflesso allo specchio e mi passai una mano fra i capelli che stavano diventando troppo lunghi. Non dissi nulla, non sapevo veramente che dire. Levi era sempre stato silenzioso, soprattutto nei momenti difficili. 

‘’E’ incazzato quindi evita di parlargli con quel tuo modo arrogante. Se lo fai stare peggio giuro su Dio che un pugno non te lo leva nessuno’’, mi disse con freddezza e questo mi fece capire quanto fosse serio. Sentivo il suo sguardo su di me e mi limitai ad annuire, chiedendomi quando fosse successo che qualcun altro tenesse in questo modo a Levi, prendendo il mio posto.

Jean uscì dal bagno, lasciandomi solo con i miei pensieri. A volte pensavo fin troppo e altre non lo facevo affatto, come quando avevo detto quella cattiveria. Poi cercavo di difendere il mio atteggiamento, inventandomi scuse che chiunque avrebbe potuto smontare facilmente. 

Mi lavai il viso e tornai nello spogliatoio, prendendo le mie cose per poi uscire, dirigendomi verso il refettorio nonostante il mio stomaco fosse ben chiuso. Evidentemente il mio corpo aveva un diverso modo di farmi capire che in realtà fossi dispiaciuto per la morte di Kuchel. Era l’unica persona accettabile in quella famiglia. 

Entrai nella grande mensa e cercai Armin fra le varie persone, lo vidi dirigersi verso il gruppo di teatro. I ragazzi più popolari della scuola occupavano uno dei tavoli migliori e solitamente ridevano e facevano un gran baccano. Altre volte ripassavano delle parti per uno spettacolo. Stavolta erano silenziosi e guardavano il re della scuola, Levi Ackerman, che sembrava più scocciato del solito. La sua ragazza, una certa Petra cercò di toccargli il braccio ma lui lo allontanò, facendomi ricordare tutte le volte in cui mi diceva di odiare quando le persone provavano pena per lui. 

A quel punto pensai che Armin avesse avuto una pessima idea perché aveva un tono troppo gentile, anche per Levi. Feci qualche passo nella sua stessa direzione e lo vidi catturare l’attenzione del gruppo di teatro. Non sentivo bene cosa stesse dicendo, c’era troppo chiasso in quel dannato posto. Però vidi l’espressione irata di Levi. Poi lo vidi alzarsi, raggiungendo quasi l’altezza di Armin che sembrava terrorizzato da quell’ammasso di rabbia repressa. 

Allora mi avvicinai ancora di più, beccandomi un’occhiataccia di Jean. Mi stavo cacciando in troppi guai oggi, non vedevo l’ora che le lezioni finissero. Da quel punto riuscì a sentire qualcosa. 

“Non volevo darti fastidio, volevo solo farti le mie condoglianze”, sentii la voce di Armin e vidi le sue mani muoversi mentre si spiegava. 

“Non me ne frega un cazzo delle tue intenzioni, io neanche ti conosco.” La voce di Levi era furente come se fosse arrabbiato con tutto e tutti, anche la sua espressione era irata, non fredda come al solito. La morte di sua madre doveva essere stata un brutto colpo per lui. 

“Va bene, scusami, vado via.”

“Tu che cazzo hai da guardare, Jaeger?”

Sgranai gli occhi, non capendo perché si stesse riferendo a me. Puntai lo sguardo su di lui e alzai le spalle, senza dire nulla. Pessima mossa perché lo fece arrabbiare ancora di più. 

Fece pochi passi e mi raggiunse, guardandomi dal basso con un’espressione che mi fece rabbrividire. Non avevo mai visto così tanta sofferenza nei suoi occhi e volevo girarmi e allontanarmi il più velocemente possibile ma le mie gambe non obbedirono e rimasi bloccato come un idiota. 

“Impara a farti gli affari tuoi.”

“Come hai fatto tu all’inizio del liceo?”

Ecco, il mio tempismo era fottutamente perfetto. Mi stavo buttando nell’ennesimo guaio e, come aveva detto Jean, un pugno non me lo avrebbe tolto nessuno. 

“Tu non sai un cazzo.”

“Hai ragione, non avevo capito quanto fossi uno stronzo.” Esattamente un secondo dopo sentii un forte dolore sul mio zigomo destro. Barcollai sorpreso e mi portai una mano sulla parte colpita, imprecando a voce bassa. 

Levi aveva ancora la mano sollevata, stretta a pugno, e mi fissava senza pentimento. Due professori ci raggiunsero, iniziando a chiedere cosa fosse successo. Quello di letteratura, Erwin, prese da parte Levi per andare a parlare fuori da quel baccano. Io rimasi con la professoressa Hanji, senza sapere che dire. 

“Me lo sono meritato”, mormorai più a me stesso che alla donna. Lei sospirò e mi portò in infermeria. Molti sguardi si posarono su di me mentre camminavamo verso le grandi porte che portavano nei corridoio. Ero il nuovo stronzo della scuola e non me ne fregava nulla, qualcuno doveva pur dire a Levi la verità. 

“Che cosa è successo esattamente?”, mi chiede la donna, entrando con me nell’infermeria della scuola. 

“Gli ho detto che è uno stronzo. Ed è la verità ma a nessuno piace sentirsela dire”, dichiarai. Mi sedetti sul lettino e l’infermiera della scuola mi posò del ghiaccio sulla guancia, dicendo di tenerlo per una ventina di minuti. 

“Sopratutto dopo il trauma che ha avuto.”

“In effetti.”, affermai in accordo con la professoressa Hanji. Rimasi in silenzio a tenermi il ghiaccio sulla guancia, pensando al livido che avrei avuto domani. Non che mi interessasse. 

“Scriverò un avviso ai tuoi così la prossima volta ti ricorderai di essere un po’ più sensibile. Anche se l’altra persona è uno stronzo.”

Hanji mi sorrise e anche io ricambiai. Un avviso era meglio di una punizione. Un po’ speravo che Erwin la desse a Levi per tutte le volte in cui ero stato male al primo anno e lui mi aveva ignorato. 

Venti minuti dopo uscii dall’infermeria, sentendo la mia guancia ancora dolorante però avevo evitato che si gonfiasse più del dovuto. 

Trovai Armin in corridoio e mi avvicinai, poggiandomi al muro rovinato della nostra scuola. L’ora dedicata al pranzo doveva star finendo e a breve avremmo dovuto dirigerci verso le aule. Però, per il momento avevano un po’ di tempo da soli. 

“Ti fa male?”, mi domandò il mio amico, dedicando un’occhiata preoccupata e colpevole allo stesso tempo. Scrollai le spalle e gli risposi di stare tranquillo e sopratutto, che non era colpa sua. 

“Forse non avrei dovuto insultarlo davanti a tutti.”

“È il tuo talento fare cose che non dovresti fare.”

Ridacchiai annuendo, aveva proprio ragione. Rimanemmo in silenzio, poggiati a quel vecchio muro che doveva aver avuto momenti migliori. Se ci facevi caso potevi sentire anche la puzza che esso emanava. Odiavo quella scuola e fortunatamente era il mio ultimo anno. Poi sarei partito lontano da qui, lontano da Los Angeles, dal suo caldo, dalla  sua gente e dai falsi amici. 

La campanella suonò, bloccando i miei pensieri e assieme Armin andai verso le aule. 

 

**********


Il professore Erwin aveva voluto parlarmi dopo la mia ultima lezione e così mi trovavo nel suo studio, pieno di libri e carte. Però era ordinato. 

Ero seduto in una poltroncina marrone, in pelle, che faceva un gran chiasso ogni volta che cambiavo posizione. Quindi cercavo di rimanere immobile, non che fosse difficile davanti allo sguardo serio di Erwin. 

“La professoressa Hanji mi ha detto di averti messo un avviso per il tuo comportamento. Sei consapevole delle possibili conseguenze di quel litigio?” 

“Si, e mi dispiace. So che non avrei dovuto ma sa, erano anni di rancore repressi e anche la voglia di dirgli la verità”, risposi ironicamente, guardando la sua espressione che da tranquilla mutava in una più seria. 

“In ogni caso è stato scorretto, dopo ciò che è successo.”

“E ho detto che mi dispiace, cosa posso fare più di questo?”

La verità è che mi sentivo esausto e volevo solo tornarmene a casa invece di parlare di Levi. Il destino, Dio, o qualsiasi altra cosa che ci sia in cielo, non mi voleva bene. 

“Eren, non parlarmi in questo modo, non credo che vorresti subire conseguenze più serie”, mi minacciò l’uomo e io annuii. 

“D’accordo, so che ti rendi conto della situazione. Non pretendo che ti scusi con Levi però cerca di trattenerti le prossime volte.”

Si alzò dalla sedia e lo imitai, prendendo il mio zaino su una spalla per poi uscire da quell’ufficio. 

“In questo momento Levi è molto fragile, ricordarlo.”

Annuii e me ne andai dopo un breve saluto, oltrepassando l’uscita della scuola per ritrovarmi finalmente fuori. Levi fragile? Non ci avrei mai creduto. Era solo incazzato per la morte della madre, gli sarebbe passata prima o poi. O forse ero solo io quello ad essere incazzato perché Levi non si confidava più con me da quattro anni e non lo avrebbe fatto neanche in questa occasione. 

Lo vidi parlare con una giovane donna dall’aria stanca, vicino a un auto bianca e piccola. Aggrottai la fronte, non avendola mai vista. Non sembravano amici o qualcosa del genere. Lei era vestita bene e sembrava che stesse lavorando, anche perché portava una targhetta sulla camicia. 

Levi parlava poco in confronto a lei e brevemente, rivolgendole uno sguardo scocciato. Scossi la testa e mi allontanai, non volevo di nuovo litigare e prendermi un altro pugno. 

Raggiunsi la mia vecchia auto, anzi la vecchia auto di mio padre, e salii, mollando lo zaino al mio fianco prima di mettere in moto. Una serata di videogiochi mi aspettava con me, me stesso ed io. 
 

**********


Avevo finito per la seconda Uncharted 4 e decisi di fare una piccola pausa, magari per mangiare qualcosa e per fumare. Non fumavo quasi mai, se non il venerdì sera e rigorosamente erba, queste erano le mie due regole. Però era stato un giorno orribile e mi serviva. 

Bloccai la PlayStation e mi alzai dal vecchio divano di mio zio che avevo deciso di far portare in camera. Occupava un po’ troppo spazio nella mia stanza  ma era comodo quindi era un buon compromesso. 

Afferrai lo zaino che non usavo per uscire e frugai all’interno, tirando fuori dei dadi da gioco e fogli scritti da tutte e due le parti. Più in fondo trovai il mio grinder e sperai di trovarci qualcosa al suo interno così aprii il secondo scompartimento in cui conservavo l’erba tritata in più. Non ce n’era molta ma poteva bastarmi e, dopo aver preso il tabacco, iniziai a mischiare le due cose. Cartine lunghe e filtri ne avevo a sufficienza, ben nascosti dentro un cassetto, e li tirai fuori per girare la mia canna. Presi un accendino e decisi di andare in giardino, abbastanza lontano dalla camera dei miei genitori. Avrei mangiato più tardi nel caso l’erba mi avesse fatto venire fame. Una cosa certa è che avrei dormito profondamente. 

Uscii dalla porta principale, sentendo l’aria fresca scompigliare i miei capelli in modo piacevole dopo le ore che avevo passato davanti ai videogiochi. Mi sedetti sui gradini davanti alla porta e mi accesi la canna, portandola alle labbra per fare il primo tiro. Il forte sapore sulla lingua mi fece rabbrividire e il fumo rese i miei occhi leggermente lucidi. 

Pochi tiri più tardi ero già rilassato e mezzo addormentato, infatti non mi accorsi subito della figura davanti al mio vialetto. Quasi sussultai notando il volto di Levi poco illuminato dai lampioni tenui della nostra via. 

“Che cazzo ci fai qui?”, sbottai con voce impastata. Avrei voluto essere più deciso ma l’erba più il fatto che non avessi parlato con nessuno dalla scuola avevo reso la mia frase impacciata. 

“È erba quella?”, domandò il ragazzo, storcendo il naso alla visione della mia canna che ancora era a mezz’aria, sorretta dalle mie dita. 

“No, origano.”

“Fottiti, Jaeger.”

Era strano parlare con Levi per più di due secondi dato che negli ultimi anni ci eravamo evitati il più possibile. “Senti, dimmi cosa sei venuto a fare? Mi stavo godendo il mio fottuto origano in pace e serenità”, borbottai prima di fare un altro tiro e lasciai uscire il fumo nella sua direzione per dargli fastidio. Lui tossì e fece un passo indietro, andando a finire sotto la luce del lampione. Non potevo vedere molto ma notai il suo volto esausto e gli occhi arrossati come se avesse pianto o si fosse fatto tre canne senza tabacco. Doveva essere la prima tra le due. 

“Scusa per il pugno di prima.”

“Eh?”

“Non lo ripeterò una seconda volta.”

Mi toccai la guancia che mi aveva colpito e sospirai, sentendo del dolore quando premetti le dita. Mi alzai dai gradini e feci un passo verso di lui, notando il suo sguardo confuso. “E io non mi rimangerò quello che ti ho detto.”

“Lo so, ti conosco.”

Sollevai un sopracciglio ma non dissi nulla, quella conversazione stava andando verso una direzione che non volevo prendere. Strinsi il filtro della canna fra le dita e poi la porsi a Levi. 

“Serve più a te che a me”, afferrai e lui la prese, guardandola schifato. E io che pensavo fosse diventato un cattivo ragazzo in questi quattro anni. Non era il prerequisito per diventare popolari? 

Gli voltai le spalle e tornai dentro, nel calore della mia casa, chiudendo la porta dietro di me. Avevo un gran bisogno di dormire. 

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Capitolo 3
*** Ultracheese ***


Los Angeles- 27 novembre 2019

Eren

Quando uscii dalla mia casa vidi Kenny sul marciapiede con lo sguardo puntato sull’abitazione della sua defunta sorella. Non vedevo quell’uomo da un po' e gli feci un breve cenno con la testa quando si voltò verso di me. Dal suo viso notai che stava male, veramente male. Lo ricordavo come un uomo che parlava spesso, inserendo parolacce nei tre quarti del discorso. Aveva una voce squillante e litigava quasi sempre con il nipote perché adorava prenderlo in giro o sfidarlo a stupidi giochi. Quattro anni fa mi avrebbe salutato con una battuta sul mio ematoma mentre ora non schiuse neanche le labbra e la sua espressione rimase tesa e sofferente. 

Cercai le chiavi della mia auto nella tasca esterna del mio zaino e quando le trovai vidi Levi raggiungere quella di suo zio. Lo guardai di sottecchi, notando come i suoi capelli neri si muovessero leggermente mentre camminava. La sua espressione era illeggibile e distaccata. Capivo perché più di mezza scuola lo adorasse, sembrava quasi una bambola di porcellana con quei lineamenti e la pelle candida. 

Mi riscossi ed entrai in auto, sbrigandomi a mettere in moto per sfuggire da quei due il prima possibile. Ne avevo già abbastanza di Levi. 

Percorsi le strade con una velocità sbagliata, fregandomene delle regole e dei divieti, e arrivai a scuola in anticipo. Vidi l’auto di Armin e mi affiancai, parcheggiandomi nel posto vicino. Scesi con il mio zaino consumato e mi avviai verso l’entrata della scuola, pensando a cosa prendere dalle macchinette per fare merenda. 

Raggiunsi il primo distributore e quasi sbuffai quando notai Erwin vicino ad esso con in mano un bicchierino scadente di caffè. Tra le dita dell’altra mano teneva la bacchetta per mischiare la bevanda e mi guardava come se non aspettasse altro che me. 

‘’Come mai non eri a lezione ieri?’’, mi domandò con un finto tono curioso. Non dissi nulla e infilai le monete nel distributore, scegliendo una merendina tra le meno costose.

‘’Eren, sono preoccupato.’’

Strinsi la mano a pugno contro la plastica trasparente, ‘’lo è solo perché sono mancato il giorno dopo che mi sono preso un pugno. Non è una buona motivazione per starsene a casa?’’

‘’Temi altri eventi del genere?’’

Aggrottai la fronte, sentendo un moto di rabbia rimontare dentro di me. Ora non potevo neanche saltare la scuola senza subirmi un interrogatorio. 

‘’No, volevo solo starmene per conto mio. E’ un reato?’’, domandai con tono canzonatorio, facendo innervosire il professore. Per quattro anni nessuno di loro si era preoccupato di chi veniva maltratto o cose del genere, e poi lo facevano con me, che non ne avevo bisogno.

‘’Sono sicuro che Levi avrebbe bisogno della sua consulenza molto più di me.’’

‘’Levi ha già chi si occupa di lui.’’

Mi chiesi chi potesse essere ma poi pensai alla donna di lunedì e a suo zio. Dovevano esserci in mezzo anche i servizi sociali, dopotutto lui non aveva nessun padre e neanche altri parenti oltre a Kenny. 

‘’Allora è tutto risolto, posso andare ora?’’, presi la mia merendina e la strinsi fin troppo fra le dita quando Erwin mi bloccò una spalla per non farmi andare via. 

‘’Sembra che ci sia del rancore fra voi due e potremmo parlarne. Vorrei evitare situazioni peggiori.’’

A quel punto scoppiai, sentendo di non poterne più di parlare delle solite cose. Era morta sua madre, il trauma era suo eppure sembrava il mio. Allontanai la mano di Erwin con un gesto violento. ‘’Parlare un cazzo, voglio solo essere lasciato in pace’’, esclamai con troppa forza e vidi degli sguardi su di me. Stavo diventando lo zimbello della scuola in meno di una settimana, che record.

‘’Eren, le parole’’, mi rimproverò Erwin ma ormai ero andato, non riuscivo più a bloccare la mia bocca. ‘’Mi lasci fottutamente in pace, okay? Non ho bisogno di aiuto ne di parlare, ne di chiarire qualunque cosa ci sia da chiarire con Levi!’’

Durante il mio discorso da pazzo avevo afferrato un braccio dell’uomo senza neanche accorgermene e poi avevo iniziato a sentire dei mormorii. Sapevo cosa si stessero chiedendo perché ero sempre stato in disparte e, invece, negli ultimi tre giorni mi ero sempre più invischiato nella faccenda Levi. La gente si chiedeva che cosa c’entrassi io con il ragazzo più popolare della scuola. E, diamine, anche io me lo sarei chiesto al loro posto. 

‘’Hai due ore di detenzione dopo le lezioni’’, disse Erwin, prendendo la mia mano per allontanarla da se. Poi mi diede il foglio della punizione, prendendolo da un blocchetto che teneva in tasca, che accartocciai nella mano una volta solo. ‘’Fanculo’’, mormorai e iniziai a dirigermi verso la mia prima aula, cercando di ignorare gli sguardi degli impiccioni.
Incontrai quello di Armin e gli rivolsi un breve sorriso forzato. 

‘’Guarda cosa ho vinto’’, dissi con ironia, mostrando il foglio stropicciato al mio amico. Lui scosse la testa e pressò le sue labbra fra di loro, per niente divertito dalla mia battuta.

‘’E non è neanche cominciata la scuola. Che hai fatto?’’

‘’Discussione con Erwin, credo di averlo tipo mandato a quel paese’’, gli raccontai mentre camminavamo lungo il corridoio, verso le nostre aule che erano vicine il mercoledì.

‘’Chissà quando imparerai a trattenerti.’’

Scrollai le spalle e raggiunsi la mia aula così mi fermai davanti alla porta. Armin guardò il mio viso e mi sfiorò la guancia colpita con due dita, facendomi rabbrividire. ‘’E’ stato bello ieri, senza andare a scuola?’’

‘’Si, ho fatto tipo un party con me stesso.’’

Il mio amico mi guardò scocciato e abbassò la mano lentamente, riportandola al suo fianco, ‘’potresti anche rispondermi sinceramente invece di farlo con ironia ogni volta.’’

Rispondevo così quando ero arrabbiato, forse per mostrare come mi sentissi senza doverlo spiegare. L’unico risultato che ottenevo era quello di irritare gli altri. 

‘’Non ho pensato a Levi, almeno. Per un giorno ho fatto finta di non averlo mai conosciuto, quindi si, è stato bello’’, borbottai con lo sguardo basso. La campanella mi salvò dal nostro piccolo scambio di sentimenti e così salutai Armin prima di entrare in classe, prendendo posto sul fondo di essa.
 

**********


L’ultima campanella della giornata era suonata ma per me non era ancora finita. Mi alzai dal mio banco e uscii dopo tutti gli altri, per niente pronto per due ore di punizione. Mi avviai verso l’aula che veniva usata per questo ma qualcuno mi toccò un braccio e mi dovetti voltare, incontrando degli occhi azzurri su un viso piuttosto carino. 

‘’Si?’’, chiesi alla ragazza alla mia destra, sapendo bene chi fosse. Avevamo fatto le elementari assieme e qualche volta avevamo parlato. Si chiamava Historia ed era nota per essere una delle ragazze più carine della scuola.

‘’Hey, volevo chiederti come stai’’, mi disse con la sua dolce voce.

‘’Alla grande, sto per farmi due ore di detenzione.’’

‘’Mi spiace. E il livido?’’ La sua voce mi impediva di rispondere male. Inoltre, oltre ad Armin, era l’unica che si stava preoccupando per me senza mettere in mezzo Levi. Neanche i miei genitori lo avevano fatto dopo che mi ero inventato la scusa di aver sbattuto e dopotutto non potevo neanche biasimarli, non avrebbero mai creduto che il loro piccolo figlio nerd facesse delle risse.

‘’Sta guarendo. Come mai me lo stai chiedendo?’’

‘’Tutti non fanno altro che parlare di te dicendo che sei stavo cattivo per quello che hai detto e fatto, ma volevo sapere come ti sentissi tu. Posso capire perché Levi faccia così ma anche tu avrai i tuoi motivi e non è giusto quello che dicono di te.’’

Alzai le spalle, sapevo già cosa la gente poteva pensare dopo che io avevo insultato il re della scuola, addirittura dopo il trauma che aveva avuto. Historia aveva le migliori intenzioni ma forse ero davvero una persona cattiva perché avevo scelto il momento peggiore per prendermela con Levi. 

‘’Grazie, suppongo’’, dissi a bassa voce, sentendo un po’ di sensi colpa dentro di me quindi cercai di essere gentile per non farli aumentare. 

‘’Se vuoi parlare io ci sono’’, mi rispose la ragazza per poi salutarmi con la mano e andare verso l’uscita. Guardai i suoi capelli biondi che ondeggiavano ad ogni passo che faceva e mi chiesi perché persone così gentili dovessero perdere tempo con gente come me. 

Ripresi a camminare verso l’aula dove avrei scontato la mia pena. Quando entrai guardai subito i banchi per capire chi ci fosse. L’unica persona di mia conoscenza era un ragazzo dai capelli neri e dai lineamenti affilati: Levi. Era in uno degli ultimi posti e non sembrava molto interessato al libro che aveva davanti. 

Mi sistemai nel banco vicino al suo, non volendo andare nei posti davanti, e lasciai cadere lo zaino proprio quando Erwin entrò in classe. Che fortuna, proprio oggi toccava a lui. 

Presi posto e tirai fuori un libro a caso per far finta di fare i compiti, e iniziai a leggere nel perfetto silenzio di quella classe. Stavo quasi per addormentarmi contro il banco quando sentii la voce di Erwin mentre rimproverava Levi. Sollevai lo sguardo sull’uomo e poi lo posai sul ragazzo non troppo lontano da me. 

‘’Non hai compiti da fare?’’, stava chiedendo il professore, guardando dubbioso il libro aperto di Levi. Il ragazzo scrollò le spalle e gli rivolse uno sguardo strafottente, senza dire nulla. 

‘’In tal caso ti darò qualcosa da fare, sei pur sempre in punizione.’’

‘’Ora come ora non mi interessa dello studio’’, rispose Levi, sollevando un sopracciglio sottile per qualche istante. Sembrava che davvero non gli importasse nulla eppure aveva sempre avuto ottimi voti. Mi chiedevo anche perché fosse in punizione. 

‘’Non costringermi a farti venire anche domani.’’

Mi chiedevo anche perché Erwin non lo stesse trattando con riguardo dopo averlo difeso almeno dieci volte in tre giorni. 

Levi fece un piccolo verso di irritazione, facendo schioccare la lingua, ma per fortuna il professore non lo sentì. Quando Erwin uscì dall’aula per cercare qualcosa da far fare al ragazzo al mio fianco, mi girai verso di lui. 

‘’Che vuoi, Jaeger?’’, domandò scocciato e mi morsi la lingua per non dover rispondere male.

‘’Ti conviene lasciar stare Erwin, ultimamente è diventato una rottura di palle più del solito’’, gli dissi, cercando di mostrarmi comprensivo. Levi sembrò notarlo e annuì. La considerai una piccola vittoria su i miei sensi di colpa.

Erwin tornò poco dopo e diede al ragazzo un libro di letteratura americana assieme a un test da compilare. Levi iniziò a leggere qualche capitolo, facendo di nuovo calare il silenzio in quella stanza.


Los Angeles- 29 novembre 2019


Ymir viveva in un minuscolo monolocale non troppo distante dal mio quartiere. Sapevo che pagasse poco l’affitto poiché quel posto era pieno di macchie dovute all’umidità e spesso non c’era neanche l’acqua calda. Per non parlare dell’aria condizionata, era praticamente inesistente. Ma a lei andava bene stare lì, non doveva preoccuparsi di rovinare le cose se lo erano già. E poi pagava davvero poco, così non aveva bisogno di trovarsi un altro lavoro oltre a quello che aveva in un famoso fast food americano. 

Ogni volta che entravo il mio naso si arricciava per il forte odore di erba che ormai si era impregnato nelle pareti macchiate. Ymir fumava abbastanza, sopratutto il venerdì sera quando io e gli altri andavamo da lei. Gli altri erano Connie e Sasha, avevano la mia età ma frequentavano un altro liceo. Ci eravamo conosciuti a un festival di videogiochi, due anni fa, e avevamo trascorso il pomeriggio a giocare a Dungeons and Dragons assieme ad Ymir che a quel tempo frequentava ancora la scuola. Si era diplomata quell’anno.

Poi avevamo deciso di vederci nella sua nuova casa per continuare a giocare, ogni venerdì sera. Era il mio momento preferito della settimana, potevo fingere di essere qualcun altro, qualcuno di molto figo, e creargli una vita migliore della mia in un mondo più bello. 

Stavo compilando la scheda del mio personaggio, seduto sul vecchio divano di Ymir mentre lei stappava una birra scadente e molto poco costosa, quando Sasha iniziò a parlare.

‘’Ma veramente hai sbattuto la faccia contro un palo?’’, mi chiese, continuando a fissare il mio viso in modo inquietante. Il mio livido stava scomparendo ma era ancora abbastanza visibile e loro tre lo avevano notato e non avevano creduto alla mia bugia. La stessa che avevo detto ai miei.

‘’Esatto’’, risposi senza sollevare lo sguardo dal mio foglio, indeciso se essere un paladino o uno stregone. 

‘’Non puoi essere davvero così idiota’’, rise Connie mentre girava la prima canna della serata, facendolo con una notevole abilità. Allora anche lui aveva un qualche talento. Anche Sasha rise. Invece Ymir rimase seria. Certe volte mi ricordava Levi con quella sua espressione fredda ma per il resto erano abbastanza diversi. 

‘’Secondo me ti hanno picchiato’’, continuò Sasha, allungando una mano verso il mio viso e poi premette l’indice sul mio livido come per appurarsi che fosse vero. 

‘’Che cazzo…’’, sussultai, allontanandomi da lei.

‘’Controllavo che fosse vero.’’

‘’Perché diavolo non dovrebbe?’’, sbottai scocciato, rinunciando a compilare la mia scheda, per il momento. Sasha alzò le spalle e rimase qualche secondo in silenzio per pensare a una risposta. 

‘’Magari volevi sembrare tipo un delinquente per flirtare con una ragazza.’’

Connie rise per la strana teoria e anche Ymir fece un sorrisetto divertito. ‘’Neanche così ci riuscirebbe, sembra comunque un nerd’’, disse il ragazzo.

Alzai gli occhi al cielo ma poi sorrisi, in realtà mi andava bene sembrarlo. E non volevo rinunciare a cose che mi piacevano per poter stare con qualcuno. 

‘’Voi non siete meglio, sfigati’’, li presi in giro e tornai a concentrarmi sul mio personaggio. Alla fine optai per il paladino, almeno in questa vita potevo fare del bene.

Connie accese la canna e la portò alle labbra mentre pensava al suo personaggio. Ymir e Sasha avevano già scelto. 

Amavo davvero quelle serate dove ero completamente me stesso o quasi. Loro non sapevano di Levi e l’argomento non saltava mai fuori per questo. Era un grande lato positivo e me lo ripetevo ogni volta per convincermene. Però sentivo anche che Levi era stato una persona importante e , in parte, era grazie alla nostra amicizia se io ero così e non in un altro modo. Anche se avevo pensato poco a lui negli ultimi anni, quando lo facevo sentivo ancora una morsa al cuore come se tra di noi non fosse tutto concluso. Chissà se provava la stessa cosa o lui aveva già messo la parola ‘’fine’’ sul nostro vecchio rapporto. 

‘’Tutto bene?’’, mormorò Ymir, cercando di non farsi notare dagli altri due che ridevano di chissà cosa. La guardai aggrottando la fronte e annuii. ‘’Mi sembri un po’ su un altro pianeta stasera’’, si spiegò.

‘’Colpa del mio diploma imminente, a scuola mettono troppa pressione.’’

‘’Quindi non c’è nessuna ragazza in mezzo? O… ragazzo?’’, chiese con una strana espressione di chi sapeva più di quello che diceva. Scossi la testa e le rivolsi un sorriso per rassicurarla, ‘’è tutto okay.’’

Iniziammo a giocare, bevendo della birra e fumando dell’erba, almeno fino a mezzanotte. In quelle ore dimenticai Levi, Erwin, la preoccupazione di Armin, la gentilezza di Historia. Tutte quelle cose che mi mettevano l’ansia di dover far qualcosa, di dover essere diverso, migliore, più comprensivo, più disponibile. Invece in questo minuscolo monolocale potevo rispondere come volevo e fare quello che volevo.

Bloccai il gioco quando sentì la suoneria del mio telefono. Lo presi e ritornai alla realtà, sentendo la voce preoccupata di mia madre dall’altra parte. In effetti tornavo sempre per le undici o undici e mezza. Le risposi che ero per la strada e chiusi la chiamata. 

‘’Continuiamo la prossima volta’’, dissi pigramente, accorgendomi del mio strano tono di voce rilassato, fin troppo. Doveva essere l’erba. Mi alzai senza aspettare risposta, e andai in bagno. Anche quello era piccolo e puzzava ancor di più del salone. Quell’olezzo di marijuana era letteralmente ovunque. 

Guardai il mio riflesso cercando di non svenire alla vista del mio viso. Il mio zigomo era ancora viola e i miei occhi arrossati. Mi lavai la faccia con acqua fredda per cercare di riprendermi inutilmente. Sentivo un gran bisogno di dormire per sempre. Anche i miei capelli erano un disastro e andavano da tutte le parti così li bagnai con dell’acqua. 

Uscii dal bagno e vidi Connie ridere di me, ‘’ti sei fatto una doccia vestito?’’, disse. Presi la mia felpa nera e la infilai, sollevando il cappuccio sulla mia testa.

‘’Vaffanculo, nerd’’, dissi ironicamente e dopo aver preso lo zaino mi avviai verso l’uscita. I miei amici mi fecero un cenno di saluto e io oltrepassi la porta, trovandomi fuori. 

In California non faceva mai troppo freddo però, quando il sole calava, le temperature si abbassavano notevolmente grazie al deserto attorno alla mia città. Non amavo particolarmente l’inverno però era piacevole il vento fresco della notte quando dovevo schiarirmi le idee. Aveva anche un buon profumo se andavi verso i dintorni di Los Angeles. 

Camminai per la strada, incontrando poche macchine, e raggiunsi la mia via in un quarto d’ora. Mentre percorrevo il marciapiede abbastanza largo, calciai una lattina di coca cola per terra e non mi accorsi, almeno non subito, di Petra. Quella ragazza risultava attraente anche quando indossava una tuta che copriva la maggior parte del suo corpo. Dalla felpa sbucavano i suoi capelli biondi, tendenti al rosso. Mi guardò e mi sorrise prima di andare a suonare il campanello degli Ackerman. 

Io suonai il mio, trovandomi davanti mia madre con un’espressione furente. Entrai, iniziando a scusarmi, dicendo che non avevo visto l’ora e alla fine mi perdonò, anche se mi costrinse a tornare prima delle undici la prossima volta. Accettai solo perché volevo andare a dormire e salii al piano di sopra, grato che non avesse notato i miei occhi rossi. 

Entrai in camera e mi spogliai, infilandomi una vecchia maglietta dei Beatles e dei pantaloncini. Decisi di mettere della musica per addormentarmi e optai per il nuovo album degli Arctic Monkeys. 

Le dolci note di Ultracheese invasero la mia camera mentre ero sdraiato sul letto, fissando il soffitto in legno. Quella canzone mi ricordò Levi e sentii gli occhi pizzicare. ‘’Fanculo’’, mormorai, portando le mani sul mio viso, dando la colpa all’alcol, all’erba, alla voce di Alex Turner e alle parole della canzone per la mia emotività. Avrei voluto smettere di pensare perché, ormai, in quella settimana lo stavo facendo troppo. E troppo spesso il soggetto principale era Levi Ackerman. 

Abbassai le mani dal mio viso e guardai fuori dalla finestra, notando che quella del mio vicino fosse priva di tende. Vidi Petra con il reggiseno ma ancora i pantaloni della tuta. Stavo per distogliere lo sguardo ma poi notai che non fosse felice, anzi stava probabilmente piangendo. 

Cambiai posizione per poter guardare meglio e notai Levi seduto sul suo letto. Lui non era agitato come lei e non fece niente quando Petra si rivestì in fretta e uscì dalla camera. 

Mi alzai in piedi e mi avvicinai alla mia finestra, troppo curioso per bloccarmi. Anche se non potevo sentire, sussultai comunque quando Levi diede un pugno contro la porta. Avevo una mano poggiata sulla mia scrivania e ne strinsi il bordo, desiderando, non so per quale motivo, di essere nella casa di fronte alla mia. 

Levi si accorse di me e mi guardò negli occhi per secondi che mi parvero ore, tanto che riuscii a leggere nei suoi qualcosa che non fosse indifferenza o freddezza. Poi chiuse la tenda così velocemente che mi domandai se la scena di poco prima fosse stato solo un sogno. 

Sentii qualcosa di caldo scorrere sulle mie guance e capii che fossero lacrime. Era arrivato il momento di andare a dormire.

 

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Capitolo 4
*** Drunk ***


Los Angeles- 2 dicembre 2019

Eren 


Il mio fine settimana era stato fantastico: avevo giocato ai videogiochi per la maggior parte del mio tempo. Avevo anche studiacchiato per i test prima delle vacanze invernali anche se l’inverno non esisteva nella mia città. 

Ogni cosa bella doveva pur finire e, infatti, una nuova settimana era cominciata. Percorsi il corridoio della scuola per andare verso il refettorio, dove mi aspettava Armin. Mi aveva mandato un messaggio dicendo che aveva preso il pranzo anche per me dato che ero in notevole ritardo. Il professor Erwin mi aveva parlato ancora una volta, cercando di capire che problema ci fosse tra me e Levi. Non avevo reagito male per evitare un’altra punizione e mi ero limitato ad annuire senza ascoltare veramente. Dopo aver assisto al litigio con Petra e aver reagito così emotivamente, volevo allontanarmi dalla questione il più possibile. 

Entrai nella mensa e cercai con lo sguardo una massa di capelli biondi che formavano un’improbabile acconciatura. Prima di trovare Armin vidi Historia che mi sorrise. Le mie labbra ricambiarono. 

In fondo alla sala vidi il mio amico e lo raggiunsi, facendomi spazio fra gli studenti chiassosi che, a quanto pare, preferivano mangiare in piedi invece che comodamente seduti sulle panche. 

Armin mi fece un cenno con la mano e mi sedetti al suo fianco, guardando cosa avesse preso per me. Allungai una mano e mangiai delle patatine che si trovavano sul suo vassoio. 

“Com’è andato il tuo fine settimana?”, mi chiese per aprire una conversazione. Avevamo avuto l’ora di chimica assieme però ero arrivato in ritardo e non c’era stata la possibilità di chiacchierare. 

“Ho giocato alla play.”

“E lo studio?”, mi chiese, guardandomi in modo strano. Scrollai le spalle e decisi di iniziare a mangiare il panino che mi aveva preso. 

“Ho fatto anche quello, per un’oretta”, dissi prima di addentare il mio panino. Feci anche un piccolo verso di piacere perché stavo letteralmente morendo di fame. 

“Ti sei sprecato.”

“Dai, Arm, me la cavo, stai sereno”, borbottai prendendolo in giro e ripresi a mangiare. Il mio amico mi guardò dubbioso e forse anche un po’ schifato per il mio modo di mangiare. Il suo sguardo si spostò dalla mia bocca al mio zigomo. 

“Stai migliorando.”

“Si, non ne posso più di essere guardato per colpa di questo coso”, sbuffai, toccandomi una guancia per constatare che non facesse più tanto male. Quando quel livido sarebbe andato via, sarei tornato ad essere uno studente qualunque. Anche le voci sulla morte di Kuchel si stavano attenuando, fortunatamente. Doveva essere dura per Levi avere attorno gente che continuava a ricordargli che ora era da solo. Mi morsi il labbro inferiore con forza, punendomi per aver di nuovo pensato a lui. 

“Stai sanguinando!”, esclamò Armin, porgendomi subito un fazzoletto con cui mi pulii il labbro. Me l’ero morso altre volte, per lo stesso motivo, durante il fine settimana. 

Accartocciai il fazzoletto con la mia mano e lo lasciai sul vassoio, con le altre cose da buttare. 

“Ma stai bene?”, mi chiese Armin, ricordandomi lo stesso tono di voce di Ymir. Annuii e ripresi a mangiare il mio panino che stava quasi per finire. “Tu hai studiato?”

“Ovvio, ci sono i test fra poco”, disse il mio amico, tornando ad essere normale. 

“Dovresti divertirti di più. Sabato prossimo possiamo andare a qualche festa, sicuro qualcuno del gruppo di teatro ne organizzerà una.”

“Non credo, non dopo quello che è successo a Levi.”

“A gente come loro non frega un cazzo di cose del genere. Gli importa di essere popolari, avere il tavolo nella mensa, fare feste e riuscire a fare sesso con chi vogliono.”

Forse dissi quella frase con troppo veleno, ripensando alle parole di Jean su Levi. Il tono con cui le aveva pronunciate mi aveva fatto sentire male, e anche quasi geloso di lui. Armin non sapeva che dire e mi guardò sorpreso per poi scuotere la testa. 

“Io penso che a loro importi di Levi. Lo dimostrano con arroganza, ma ci tengono”, disse ed entrambi guardammo verso il gruppo di teatro.

Levi aveva la testa bassa e stava girando la pasta nel suo piatto con una forchetta. Al suo fianco c’era Jean che lo guardava con un’espressione preoccupata. Gli altri erano silenziosi e sorridevano a malapena. Tra di loro avevo scambiato qualche frase amichevole solo con Marco, un ragazzo dal viso gentile e pieno di lentiggini. Lui si salvava tra tutti quanti.

Al momento aveva appoggiato una mano su una spalla di Levi e cercava di parlargli ma l’altro lo allontanò bruscamente. 

Aggrottai la fronte cercando di capire cosa stesse succedendo, Marco continuava a cercare di parlargli e riuscii a sentire qualcosa come ‘’mi dispiace’’ e ‘’voglio aiutarti.’’ Levi aveva sbattuto le mani sul tavolo, facendosi sentire da quelli vicini, e si era alzato in piedi. Non era molto alto ma incuteva comunque timore con quello sguardo. ‘’Dovete lasciarmi in pace, non voglio aiuto’’, aveva detto a voce alta, facendo tremare le parole per la rabbia. 

Un tipo che doveva chiamarsi Reiner gli si avvicinò per provare a parlargli. ‘’Siamo tuoi amici, non possiamo lasciarti in pace se stai così’’, disse con una voce calma. Quel tono fece impazzire Levi che gli diede uno spintone mentre rispondeva, ‘’fanculo gli amici, non ho bisogno di nessuno.’’

Io e Armin, ma anche tutta la scuola, eravamo davvero presi dal litigio. 

‘’Levi, per favore, parliamone più tardi’’, riprese Marco. 

‘’Non c’è nulla da dire.’’ Levi prese il suo vassoio e iniziò ad allontanarsi dal tavolo, seguito dagli sguardi di mezza scuola, anche da quello di Petra che era rimasta in disparte con le sue amiche. 

Marco gli prese un braccio, costringendolo a girarsi, ‘’volevo solo dirti che noi ci siamo se hai bisogno di parlare. Lo capisco che è una situazione brutta e so anche che non possiamo fare molto ma non devi tenere tutto dentro.’’

Non so se gli altri lo notarono ma io lo feci, vidi il lampo di furia negli occhi di Levi dopo aver sentito quella frase. Fu abbastanza veloce quando diede un colpo al petto di Marco, facendolo barcollare all’indietro. ‘’No, voi non capite un cazzo’’, sussurrò il ragazzo mentre Jean accorreva dall’altro per difenderlo. Alla mia destra vidi dei professori avvicinarsi. 

‘’Puoi chiuderti quanto vuoi ed evitarci, ma smettila di fare lo stronzo’’, sibilò Jean al suo amico. Levi fece un passo verso di lui, alzò la mano ma fu bloccato da un braccio di Reiner che lo tenne stretto per farlo allontanare. Ormai i professori erano già li e decisi di distogliere lo sguardo per portarlo su Armin. ‘’Anche quando eravate piccoli faceva così?’’, mi domandò curiosamente.

‘’Si chiudeva in se stesso ma non è mai successo nulla di così grave. Sua madre era molto importante per lui’’, mormorai prima che la campanella suonasse. 


Los Angeles- 3 dicembre 2019


Mi avviai verso l’uscita della scuola, seguendo la fiumana di persone che facevano la stessa cosa. Mi sentivo piuttosto stanco nonostante fosse solo martedì. Oltrepassai le porta in vetro e cercai di ricordarmi dove avevo lasciato la macchina. Vicino ad essa vidi la giovane donna che aveva parlato con Levi la settimana prima. 

Mi avvicinai all’auto e quindi anche a lei, rivolgendole uno sguardo troppo intenso dato che iniziò a parlarmi.

‘’Sei un compagno di Levi Ackerman?’’

Mi limitai ad annuire, prendendo dalla tasca le chiavi dell’auto, iniziando a sentire odore di guai. ‘’Siete amici?’’

‘’Non proprio.’’

‘’Credo di averti già visto, non so dove.’’

Scrollai le spalle e guardai la targhetta che aveva sulla giacca. C’era scritto il suo nome, Isabelle, e poi la professione, assistente sociale. Lei notò il mio sguardo in quel punto.

‘’Dopo una tragedia come quella che è successa a Levi, servono gli assistenti sociali per mettere in ordine le cose’’, mi spiegò come se fossi un bambino.

‘’Dovreste fare un lavoro migliore, lui non sta per niente bene’’, dissi senza pensarci e mi morsi poi la lingua. 

‘’Ci stiamo lavorando, non possiamo costringerlo ad andare in terapia. Per ora ci occupiamo di ciò che riguarda la sua custodia.’’

Annuii e vidi Levi venire verso di noi. Non sembrava per niente felice di vedermi. Salutai Isabelle e salii in auto, misi in moto e mi allontanai il più velocemente possibile da lì.

L’assistente di Levi doveva star svolgendo il suo primo incarico perché non credevo che potesse dirmi tutte quelle cose. Forse neanche lei lo sapeva o forse voleva che io venissi a conoscenza della situazione. Strinsi le mani sul volante, sentendo la mia testa pesare per i troppi pensieri che la occupavano.


Los Angeles-  6 dicembre 2019


Era l’ultima ora di venerdì e nessuno sembrava ascoltare quello che il professore di storia stesse dicendo. Ero seduto vicino ad Historia, mi aveva fatto cenno di mettermi al suo fianco, e osservavo la nuca di Levi davanti a me. Neanche lui sembrava molto interessato alla prima guerra mondiale. In compenso avevo scoperto che Historia fosse piuttosto brava in questa materia quindi avrei potuto chiedere lei gli appunti o cose del genere. Tra una nozione e l’altra sentii delle voci parlare di una certa festa per questa sera. Sembrava un argomento molto più interessante rispetto alla lezione. Capii che si sarebbe svolta a casa di questa Hitch che non avevo mai sentito nominare, ma non riuscii a sapere l’indirizzo poiché il professore zittì i bisbigli. Poco dopo suonò la campanella e mi affrettai a prendere le mie cose, tenendole fra le braccia. Levi fu il primo ad uscire, muovendosi con velocità per evitare la ressa. Io camminai al fianco di Historia, decidendo di andare con lei verso gli armadietti. In realtà era la seconda volta che avevamo una conversazione però non mi dispiaceva la sua compagnia. 

‘’Come stai?’’, mi chiese mentre apriva il suo armadietto e infilava i libri che non le servivano durante il finesettimana. Mi appoggiai a quello di fianco prima di rispondere, ‘’va tutto bene, finalmente il mio livido non si vede quasi più.’’

‘’Ti donava’’, rise lei dolcemente e chiuse l’armadietto. Andammo verso il mio dove lasciai il libro di storia e ne presi un altro, infilandolo nel mio vecchio zaino marrone. ‘’Dici che avrei potuto conquistare qualcuno?’’

Historia mi guardò confusa. ‘’E perché mai?’’

‘’I miei amici hanno detto che avrei potuto’’, spiegai e lei scosse la testa. ‘’A me piacciono i ragazzi che non fanno risse.’’

‘’Allora sono il tuo uomo’’, risposi ironicamente e iniziai a camminare verso l’uscita della scuola. Historia arrossì e finsi di non notarlo per non rendere strane le cose. Ci salutammo all’uscita e andai verso casa mia, dopo esser salito nella mia auto.

A casa trovai mia sorella Mikasa che stava per uscire e la salutai con un cenno della testa dato che stava anche parlando al telefono. Mia sorella era molto impegnata con il suo lavoro da psichiatra e non la vedevo molto spesso. 

Decidi di prepararmi un toast con il burro d’arachidi prima di uscire per andare da Ymir. Avevo detto ai miei amici che dovevo tornare molto prima cosi avevamo anticipato il nostro appuntamento. 

Dopo aver mangiato il mio panino andai al piano di sopra per cambiarmi, infilando dei jeans puliti e una maglia slabbrata di una band indie che non conosceva nessuno probabilmente. Mentre mi mettevo una felpa rossa della vans, guardai fuori dalla finestra e notai Kenny che usciva da casa. Al suo fianco c’era Isabelle e parlarono per un po’ prima che lei andasse via. Aspettai che Kenny rientrasse e poi scesi le scale e uscii da casa mia, raggiungendo la mia auto per poter andare da Ymir. Aspettavo questa sera da tutta la settimana e già immaginavo come avremmo continuato il gioco. 

Quando entrai in casa sua trovai Connie e Sasha che mangiavano qualcosa, seduti sul divano. Salutai i miei amici e presi posto sulla poltrona li vicino, sospirando. 

‘’Sembri piuttosto stanco, ultimamente’’, commentò Ymir, guardandomi dubbiosa. In effetti non facevo altro che pensare e ripensare a certe cose e quasi tutte riguardavano Levi. Pensavo che la morte di sua madre non mi avrebbe cambiato così tanto la vita ma mi sbagliavo. Avrei dovuto aspettarmelo. 

‘’Lo studio.’’

‘’Ma se fai pena a scuola’’, si intromise Connie. 

‘’Tu cosa ne sai?’’

‘’Lo dici tu stesso che non studi mai’’, rispose Sasha, stavolta. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, ‘’perché non ne ho bisogno’’, dissi ironicamente, facendo ridere tutti quanti. Poi iniziammo a giocare e non ci furono altre domande per cui dovetti inventarmi una scusa. 

Alle dieci e mezza uscii dalla casa di Ymir e mi avviai verso la mia, usando la mia auto. Mentre spegnevo il motore vidi Levi uscire di casa. Aveva la testa coperta dal cappuccio della sua felpa e stava raggiungendo un auto accesa poco distante dalla mia. Per essere uno piuttosto sveglio trovai strano che non si accorse di me. 

Cercai di capire chi ci fosse in macchina ma non riconobbi il ragazzo dai capelli scuri e con un taglio improbabile da frate. Non so cosa mi successe ma decisi di seguire l’auto, stando a una giusta distanza per non essere scoperto. 

Il tragitto non fu lungo e arrivammo in un bel quartiere residenziale, formato da villette carine, munite di piscina. L’auto si fermò davanti a una casa bianca dove stava entrando parecchia gente e infatti dovetti allontanarmi per cercare un posto. Spensi il motore e scesi dalla vettura, portando con me solo le chiavi e il telefono, evitando di guardarlo, sapendo bene di trovarci le chiamate di mia madre. Seguii altre persone che stavano andando alla stessa festa e iniziai a pensare che fosse quella di Hitch, la ragazza di cui avevo sentito parlare a scuola. 

Entrai nella casa, sentendo la musica pulsare nelle mie orecchie e notando i litri di alcol presenti nella cucina. La canzone che stavano ascoltando era terribile eppure tutti sembravano divertirsi, ballando e bevendo. Mi guardai attorno per cercare Levi ma non lo trovai e non avevo intenzione di guardare stanza per stanza. Era già stato da stupidi seguirlo fino a qui. 

Andai verso la cucina e afferrai una bottiglia di vodka, versandone un po’ in un bicchiere in carta assieme a della limonata per non berla liscia. Mentre bevevo vidi Petra in un angolo, piangendo e parlando con una sua amica. Distolsi lo sguardo per non farmi notare e continuai a bere, sentendo il telefono vibrare nella mia tasca. Lo ignorai e decisi di uscire in giardino per prendere aria, sentendo fin troppo caldo là dentro. 

Anche quella casa aveva la piscina e al suo interno notai delle persone vestite che sembravano nel pieno del divertimento. Mi sedetti su una sdraio e dopo un po’ mi distesi completamente su di essa, sentendo l’effetto dell’erba fumata da Ymir crearmi sonnolenza. Chiusi gli occhi e forse rimasi così per venti minuti o giù di li, ignorando il chiasso attorno a me. 

Li riaprii quando sentii delle voci un po’ troppo forti vicino a me. Mi misi seduto e vidi la gente che entrava in casa per vedere qualcosa. Li seguii e mi ritrovai davanti Levi che stava litigando con il ragazzo della macchina. Non sembrava per niente in se e ogni cosa che diceva non aveva del tutto senso ne era corretta grammaticalmente. 

L’altro continuava a dirgli che era il caso di tornare a casa, non avendo tutti i torti, e cercava di prendergli un braccio per trascinarlo via. A quel punto Levi gli diede un pugno contro una spalla, facendolo allontanare da se. Stava per ripetere l’azione ma misi in mezzo, oltrepassando le altre persone. 

Gli afferrai i fianchi da dietro e cercai di trascinarlo via da quella situazione ma, nonostante l’altezza, era piuttosto forte e più volte rischiò di sfuggirmi. 

Riuscii ad entrare in una stanza a caso e chiusi la porta a chiave, ignorando gli sguardi straniti delle persone. Levi riprese a muoversi, dandomi un spintone, ma riuscii comunque a bloccarlo, spingendolo contro un divano. Doveva essere abbastanza ubriaco, a giudicare da come cadde sui cuscini in pelle. 

‘’Jaeger, sempre in mezzo, lasciami stare’’, biascicò, mettendosi seduto sul divano. I suoi capelli era scomposti sulla fronte e anche il resto del suo viso non era messo meglio. Sembrava sconvolto e davvero arrabbiato. 

‘’E tu devi smetterla di incazzarti con tutti’’, sbottai, rimanendo vicino alla porta per impedirgli di provare ad uscire. Non mi rispose e capii che non poteva negarlo, neanche da ubriaco. Rinunciò a cercare di alzarsi e lo raggiunsi, sedendomi al suo fianco. 

‘’Quanto hai bevuto?’’, domandai.

‘’Fatti gli affari tuoi.’’

‘’Dio, smettila. Domani non ricorderai nulla quindi possiamo fingere di andare d’accordo per un po’. Credimi, non fa piacere neanche a me parlarti.’’

‘’Mi scoppia la testa’’, sussurrò dopo alcuni secondi di silenzio mentre cercava di stendersi. Gli afferrai un polso e lo costrinsi a rimanere seduto, ‘’se ti sdrai è peggio’’, gli dissi con tono saccente. 

‘’Giusto, tu sei esperto’’, borbottò con ironia, tenendo lo sguardo fisso sulle proprie ginocchia. Lo guardai cercando di non farmi notare e vidi che la sua rabbia era sparita, lasciando posto a un espressione malinconica. 

‘’C’era bisogno di ubriacarsi? Hai dato un pugno al tuo amico.’’

‘’Non è mio amico e… si, c’era bisogno, cioè non lo so, io… sto fottutamente male’’, strascicò qualche parola e ci impiegò più tempo del dovuto a finire la frase. Mi limitai ad annuire e poi sospirai. 

‘’Mi dispiace per Kuchel, mi stava simpatica’’, ammisi senza sapere che altro dire. Mi aveva appena confessato di stare male, anche se già lo sapevo, ed era da troppo tempo che non lo faceva. 

Rimanemmo in silenzio per svariati istanti che mi parvero ore. Alla fine sollevai lo sguardo su Levi e notai la sua espressione vacua. Capii che fosse arrivato il momento di tornare a casa. 

Mi alzai in piedi e gli porsi una mano che lui prese senza protestare. Strinse la presa e, non so perché, ma mi sentii felice di quel gesto. Uscimmo dallo studio e poi dalla casa, portandoci dietro altri sguardi straniti e alcune domande. Sperai che pensassero fosse perché era ubriaco e in effetti barcollava abbastanza. Ancora presi per mano arrivammo alla mia auto e aiutai Levi a sedersi prima di entrare a mia volta. 

Durante il tragitto si addormentò contro il sedile e più volte osservai il suo viso che anche in questo momento non era del tutto rilassato. Sospirai, immaginando che non dovesse avere neanche un secondo di pace. Avrei voluto darglielo nonostante il dolore che avevo provato quando la nostra amicizia era finita. 

‘’Levi’’, mormorai per non farlo svegliare all’improvviso. Lui si mosse leggermente, aggrottando ancora di più la fronte, facendo anche qualche strano verso. ‘’Siamo a casa’’, riprovai, toccandogli anche una mano. Lui la prese e la strinse con la sua, senza svegliarsi. Iniziai ad infastidirmi perché avrei tanto voluto andare a dormire. Scesi dall’auto, feci il giro e aprii la sua portiera per poi riprovare a svegliarlo. 

La sua testa si poggiò contro un mio braccio e la sua espressione si rilassò leggermente. Iniziai a ricordare tutte le volte che avevamo dormito assieme e apprezzai il fatto che stesse avendo un sonno più sereno. Alzai una mano e la passai fra i suoi capelli, sentendolo sospirare appena e di sollievo. Qualche secondo dopo aprì gli occhi e mi affrettai a spostare la mano. 

Mi guardò, gli occhi pieni di stanchezza e dolore, e arrossì, segno che si fosse ben accorto della mia carezza. 

‘’Levati, Eren’’, borbottò alzandosi e barcollò fino alla porta. Decisi di non aiutarlo e mi diressi verso casa mia. Prima di entrare mi assicurai che Kenny aprisse a Levi, poi suonai al campanello, preparandomi alla sfuriata di mia madre.

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Capitolo 5
*** Starbucks and help ***


Los Angeles- 9 dicembre 2019

Eren


Per tutto il fine settimana non incontrai Levi nemmeno volendolo. Non era uscito di casa e le tende della sua finestra erano ben tirate, impedendomi di poter sbirciare. Avevo beccato Kenny mentre parlava con mia madre, sicuramente di Kuchel, a giudicare dai visi tristi. Non riconoscevo più quell’uomo, sembrava invecchiato di anni in sole due settimane. 

Mentre facevo colazione, pronto per andare a scuola, mia madre mi aveva chiesto di cosa avessi parlato con Levi venerdì notte. Le avevo detto la verità sulla mia piccola fuga e lei aveva alleggerito la punizione per la mia buona azione. 

‘’Non dirlo a suo zio ma era completamente ubriaco’’, raccontai, sbocconcellando una brioche. Lei annuì pensierosa, mostrandosi dispiaciuta per quella situazione. 

‘’Non se lo meritava’’, sussurrò tristemente. Aveva ragione ma nessuno lo meritava, solitamente. Anche se lo avevo odiato quando mi aveva messo da parte, non avrei mai desiderato un dolore così profondo per lui. E io sapevo quanto odiasse affezionarsi alle persone per paura di soffrire. Iniziavo a chiedermi quale fosse il vero motivo per cui la nostra amicizia fosse finita. Aveva paura di essersi legato troppo a me? Aveva paura dei propri sentimenti?

‘’Eren, si sta facendo tardi’’, mi risvegliò mia madre. Afferrai il mio zaino e uscii di casa per raggiungere la scuola, allontanando strani pensieri dalla mia testa.

Riuscii ad arrivare in anticipo e notai che anche qualche membro del gruppo di teatro mi aveva imitato. Tirai fuori dall’armadietto i libri che mi servivano, e decisi di origliare la conversazione tra Petra, Jean e Marco al mio fianco. La ragazza piagnucolava, raccontando come Levi avesse deciso di chiudere le cose fra di loro. 

‘’Prima o poi gli passerà, dobbiamo solo avere pazienza’’, sospirò Marco con tono grave. 

‘’Non può trattarci così, siamo i suoi unici amici!’’, esclamò Jean. Mi allontanai di qualche passo per non essere notato e continuai ad ascoltare, iniziando a capire, anzi a realizzare, che a loro importava di Levi. Sentii una fugace stretta al cuore per quel pensiero. 

‘’Non possiamo sapere tutto quello che prova, Jean. E’ qualcosa che capisci solo vivendola e poi sappiamo che ora ha solo suo zio come unico parente.’’

Petra se ne stava in silenzio mentre gli altri due discutevano. 

‘’Probabilmente hai ragione ma non è neanche colpa nostra. E ora ha anche deciso di mollare il gruppo di teatro all’improvviso e per messaggio. Ho provato a chiamarlo ma non ha risposto neanche una volta.’’

Petra iniziò a piangere con più forza e si lasciò abbracciare da Marco prima di calmarsi leggermente, mormorando qualcosa che non riuscii a cogliere.

‘’Si allontanerà sempre di più da noi e non so come possano andare a finire le cose. Non bene’’, riprese Jean poco prima che la campanella suonasse. 

Mi allontanai per andare verso la mia aula, sentendomi frastornato dopo quella discussione. Levi non voleva più nessuno attorno a se e non c’era nulla di positivo in questo. Iniziavo a preoccuparmi, dopotutto avevo condiviso buona parte della mia vita con lui e non potevo cancellare i bei momenti. E forse lo conoscevo ancora. 

Le prime ore trascorsero tranquille e cercai anche di concentrarmi a lezione, sapendo che presto avremmo affrontato alcuni test prima delle vacanze. 

Quando suonò la campanella camminai con gli altri miei compagni fuori dalla palestra, andando verso gli spogliatoi. Notai con la coda dell’occhio Jean che cercava di parlare a Levi, senza nessun buon risultato. Il ragazzo teneva lo sguardo fisso davanti a se, ignorando ogni parola dell’amico. 

Mi lasciai sfuggire un sospiro, ricordando quanto fosse difficile farlo confidare. Ben poche volte ero riuscito in quell’intento. 

Mi sfilai i vestiti sudati e li infilai nello zaino così li avrei portati a casa. Presi quelli puliti ed entrai in bagno, indossando solo i boxer come la maggior parte dei ragazzi la dentro. Quel giorno l’aria non era particolarmente fredda e la temperatura era più alta del solito. A Los Angeles non esisteva un vero e proprio inverno e a me andava bene così, mi piaceva il sole e andare al mare. Odiavo vestirmi con troppi abiti e odiavo la neve che in alcune parti della California era presente. 

Mi rinfrescai e infilai i vestiti, osservando poi il mio viso allo specchio. Il livido era sparito, fortunatamente, ed ero tornato ad essere il solito nerd. 

Con lo zaino poggiato su una spalla, mi diressi al mio armadietto prima di andare a pranzo, per poter prendere i soldi che avevo dimenticato al suo interno. C’erano poche persone nel corridoio e fu facile notare Marco che veniva verso di me. Cercai di sbrigarmi a prendere i soldi ma il mio armadietto si incastrò e persi vario tempo nel chiuderlo. 

Quando ci riuscii Marco mi aveva già raggiunto e aveva schiuso le labbra per iniziare una conversazione. 

“Hey, volevo parlarti di Levi.”

Strinsi una mano a pugno, chiedendomi per chi mi avessero preso con tutte queste domande su di lui. Probabilmente tutti a scuola pensavano che io e Levi non avessimo mai parlato prima degli ultimi giorni. 

“Ho saputo cosa è successo venerdì. Ti ringrazio per averlo riportato a casa”, disse con tono preoccupato. 

Posai il mio sguardo su di lui, attendendo che arrivasse al suo obbiettivo. 

“So che eravate amici, ce lo ha detto un po’ di tempo fa. Io credo che tu possa dargli una mano, magari parlarci un po’ di più”, propose, gesticolando per spiegarsi meglio. Ridacchiai senza divertimento e scossi la testa, “sono passati i tempi in cui parlavamo come amici”, risposi. 

“Non dovete essere per forza amici però, beh, sono preoccupato... puoi almeno provarci?”, mi chiese speranzoso e quel suo tono mi fece alzare gli occhi al cielo. Mi ero promesso mille volte di non cedere dopo la sofferenza che avevo provato anni fa e invece, stavo mandando a quel paese ogni mio proposito. 

“Non ti prometto nulla, però. È troppo difficile quel ragazzo,” sbottai scocciato e iniziai ad allontanarmi ma Marco poggiò una mano su una mia spalla, sorridendomi sinceramente. “Grazie mille, Eren, è importante per me”, mormorò quasi commosso. Non mi aspettavo una reazione così accorata da parte sua e sentii un moto di gelosia per l’amicizia sincera che legava tutti quei ragazzi a Levi. 

“Si, va bene”, lo liquidai, nascondendo ogni sensazione nella zona più nascosta del mio cuore. Iniziavo a scocciarmi di tutti questi cambiamenti dopo che avevo messo una pietra sopra la mia amicizia con Levi. 

Mi divincolai dalla presa ed entrai nel refettorio, sentendo il mio stomaco chiudersi per l’ennesima volta in quelle tre settimane. 
 

**********


L’ultima ora di scuola era di storia e trovai, già presenti in aula, sia Levi che Historia. La ragazza mi aveva fatto cenno di sedermi al suo fianco ma scossi la testa, andando verso un’altra zona della classe. Passai vicino al suo banco e le mormorai che le avrei spiegato più tardi il motivo, poi mi sedetti di fianco a Levi. Lui mi scoccò un’occhiataccia ma poi si voltò per guardare il professore che entrava in aula. 

“Perché ti sei seduto qui?”, mi domandò scocciato, a bassa voce per non farsi scoprire mentre la lezione iniziava. 

“Era per caso, tranquillo”, mentii e lui non credette a una singola parola ma non disse nulla. Per tutta la lezione guardò il professore e io alternai lo sguardo dalla lavagna a lui, notando la sua espressione corrucciata, più del solito. 

“Smettila di fare lo stalker”, disse a un certo punto, in un momento in cui altre persone chiacchieravano a bassa voce. 

“I tuoi amici sono preoccupati per te”, decisi di andare subito al nocciolo della questione, cercando di fare ciò che Marco mi aveva chiesto. 

“E a te interessa perché...”, lasciò la frase in sospeso e voltò il viso verso il mio. Incrociai il suo sguardo e rimasi a fissare i suoi occhi chiari e dal taglio elegante. Avevo sempre invidiato i suoi lineamenti affilati che rendevano il suo viso attraente. 

“Senti, mi ha chiesto Marco di provare a parlarti. Il succo della questione è: smettila di fare il deficiente e parla con i tuoi amici. Non pretendono nulla da te, sono solo preoccupati, okay?”, dissi a voce un po’ troppo alta e mi beccai un rimprovero. Levi strinse le labbra fra di loro, ponderando le mie parole. Vidi una strana scintilla nel suo sguardo e sperai che si fosse reso conto della realtà. Aveva persone che tenevano a lui e potevano prendersi cura di lui al mio posto. Il pensiero mi fece sentire male e mi morsi il labbro inferiore davanti a quella realizzazione. Non mi piaceva sentirmi di nuovo così, dopo quattro anni. 

“Non voglio nessuno”, mormorò il ragazzo al mio fianco, zittendo il turbine di pensieri nella mia testa. “Tu lo sai”, continuò a voce ancora più bassa. Disse quelle ultime parole con uno strano tono che mi fece rabbrividire. Era uno di quei rari casi in cui mostrava di essere una persona qualunque a sua volta. Poteva essere forte, orgoglioso e piuttosto freddo ma soffriva come tutti noi, anche se non voleva mostrarlo. 

Annuii perché avevo capito cosa intendesse, sapevo come era fatto e quanto tendeva a chiudersi in se stesso. “Si ma non ti fa bene”, ammisi, beccandomi un’altra occhiataccia dal professore. 

Rimanemmo in silenzio fino alla fine della lezione quando il professore annunciò che avremmo dovuto fare una presentazione con il nostro compagno di banco. 

Sentii Levi sbuffare leggermente e anche io lo feci mentalmente, odiando i lavori in coppia. Quando la campanella suonò mi trattenni, volendo parlare con Historia. 

Invece, il mio compagno prese i libri in braccio e si alzò dalla sedia, guardandomi per un po’ prima di parlare. “Domani possiamo vederci in qualche bar per parlarne, prima lo facciamo meglio è per entrambi. Ho sempre lo stesso numero di telefono”, disse velocemente per poi dirigersi verso l’uscita dell’aula. Schiusi le labbra sorpreso, era da anni che non uscivamo assieme per fare qualcosa da soli. Solo io e lui, avremmo potuto parlare un po’ di più. Non so perché ma il pensiero mi scaldò il cuore. 

Mi voltai verso il banco di Historia e trovai la ragazza che stava sistemando le sue cose nella sua borsa scura. Feci qualche passo verso di lei e mi appoggiai alla superficie in legno. 

“Ero sicura che non foste grandi amici”, mi disse ironicamente e mi lasciai sfuggire un sorriso, grattandomi la nuca. 

“Lo so, un suo amico, Marco, mi ha chiesto di parlarci”, iniziai a raccontare, deciso a spiegarle il mio strano rapporto con Levi. 

“Perché proprio tu?”

“Eravamo molto amici e tempo fa. Pensa che io possa aiutarlo ma se è sempre lo stesso di quattro anni fa, la vedo difficile”, spiegai, uscendo con lei dall’aula ormai vuota. 

Fuori da essa gli studenti raggiungevano i loro armadietti e accompagnai Historia al suo per poter parlare ancora un po’. 

“Comunque avevo notato che ci fosse qualcosa fra voi. Non mi sembravate degli sconosciuti”, affermò mentre scambiava i libri che aveva con alcuni nel suo armadietto. Mi appoggiai con una spalla a quello li vicino, sospirando. 

“E ora sono costretto a studiare con un tipo che mi prenderà a parolacce tutto il tempo”, borbottai scherzosamente, facendo ridere Historia che ormai aveva chiuso la sua borsa. Ci avviammo verso l’uscita, assieme ad altri studenti. 

“Secondo me non sarà così male e se eravate davvero molto amici, io credo tu possa aiutarlo.”

Sollevai le spalle, non credendole totalmente. Un pochino ci avrei provato, poiché era difficile mandare via l’affetto che avevo nutrito per lui. 

Los Angeles- 10 dicembre 2019 


Faceva freddo per i miei standard, e non aveva smesso di piovere neanche per cinque minuti dalla mattina. 

Mi trovavo immerso nel traffico, sotto a un temporale invernale, diretto allo Starbucks che Armin mi aveva proposto per studiare con Levi. 

Avevo inviato un messaggio al ragazzo la sera prima e gli avevo anche proposto, con grande sforzo, di andare assieme con la mia auto. Ora si trovava nel posto al mio fianco e non aveva spiccicato parola. Neanche una piccola lamentela o uno sbuffo. Guardava fuori dal finestrino con un’espressione assente. 

Strinsi il volante fra le dita, sospirando a voce alta, quasi dimenticandomi della persona seduta vicino. Quando me ne ricordai arrossii imbarazzato. 

“Vuoi parlarne?”, domandai, non sapendo come passare il tempo con quel dannato traffico. E pensare che il giorno prima ci fosse il sole. 

“Levi, mi fai preoccupare”, ammisi dopo altri minuti di pesante silenzio. Non sapevo perché lo stessi dicendo ma ormai non riuscivo più a nasconderlo. Mi importava ancora un po’ di come stesse. 

“Sto bene”, disse tagliente, continuando a guardare le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro del finestrino. Alzai gli occhi al cielo e percorsi qualche metro prima di bloccarmi nuovamente, maledicendo il brutto tempo. 

“Forse sei meteoropatico”, provai a scherzare ma lui mi lanciò un’occhiataccia che mi fece rabbrividire. 

“O forse è morta mia madre”, disse con freddezza e mi zittii, sentendomi un idiota. Doveva essere uno di quei giorni in cui sentiva maggiormente la mancanza e dovevo immaginare che gli scherzi non gli avrebbero fatto piacere. 

“Scusa, sono un coglione”, mormorai sinceramente dispiaciuto, guardando le mie dita strette attorno al volante. Lo sentii sospirare e quando mi parlò il tuo tono era più tranquillo. 

“Non importa”, mi disse a bassa voce, guardando davanti a se stavolta. 

“Invece sì, io ti conosco e faccio ancora questi errori del cazzo.”

“Eren, smettila, non importa, lo so che non volevi ferirmi. Anche se i tuoi tentativi nel farlo sono davvero pessimi”, mi provocò con un tono più leggero. 

“Ah, a proposito... forse non dovevo darti dello stronzo”, sussurrai, mordendomi poi il labbro inferiore. Alla fine mi stavo rimangiando quello che gli avevo detto. 

“Lo sono”, mi rispose e io scrollai le spalle, accennando un piccolo sorriso. 

“Un po’”.

 

**********


Riuscimmo a raggiungere lo Starbucks in una decina di minuti e mi parcheggiai nei posti per i clienti. Ecco perché Armin me lo aveva consigliato. 

Fuori continuava a piovere e presi il mio ombrello, uscendo velocemente dall’auto con Levi, che si riparò assieme a me. 

Camminammo velocemente verso la caffetteria ed entrammo dentro, sospirando per il calore presente nel luogo. Lasciai l’ombrello all’entrata e mi avviai verso il bancone, seguito dal ragazzo. 

Avevo davvero bisogno di un po’ di caffè e ordinai un cappuccino al caramello mentre Levi prese un the caldo e senza zucchero. Non sia mai che si addolcisca un po’. 

Prendemmo posto in un tavolo in un angolo per stare tranquilli e poggiamo le bevande davanti a noi prima di tirare fuori i libri. 

“Quindi dobbiamo fare una ricerca su un argomento specifico legato alla prima guerra mondiale”, dissi facendo il riassunto del nostro compito. Presi il mio computer e lo accesi, per poi connettermi al Wi-Fi gratuito del bar. 

Levi, al mio fianco, studiava ogni mio movimento, leggendo i vari siti che cercavo mentre beveva il suo the caldo. 

“Potremmo parlare delle malattie mentali dovute allo stress della guerra”, proposi dopo aver trovato un articolo in merito. Lui scrollò le spalle e annuì. 

“Mi va bene ogni cosa”, mormorò con tono piatto. Pensai che non gli importasse molto dei voti, ultimamente. Eppure lui era uno dei più bravi a scuola. Quel pensiero mi intristì leggermente. 

“Mi impegnerò per farci prendere un bel voto”, dissi per cercare di tirare su il suo morale ma la sua espressione non cambiò. 

“Non fa nulla, fosse per me non farei nessuna ricerca.”

“Però ci stiamo diplomando e ci tocca farlo. Per una volta che mi impegno”, scherzai con tono fintamente leggero. Il sentimento di malumore che provavo stava aumentando, facendomi sentire a disagio. 

“Non mi importa neanche del diploma.”

“Levi...”, iniziai senza sapere come continuare. Voltai il viso verso il suo e, con molto coraggio, gli toccai un braccio, “lo so che è un periodo di merda e so che non posso capire come ti senti però non voglio che butti tutti gli anni del liceo così.”

Lui corrugò la fronte e si accigliò. 

“Non riesco neanche a pensare di mettermi a studiare. Non riesco a concentrarmi, non riesco a non fare nulla che non sia pensare a mia madre”, sibilò sofferente. Mi morsi il labbro inferiore e strinsi la presa sul suo braccio, notando che non si fosse allontanato come con Petra. 

“Forse, forse hai bisogno di aiuto...”

“Non provare a dirmelo anche tu. Non ne posso più di sentire quanto cazzo vi faccia pena”, sbottò all’improvviso, sollevando il tono della sua voce. 

“Non ci fai pena, ci importa di te. Lo vuoi capire? Fa male anche a noi vederti così! Anche a me, cazzo, dopo che mi ero promesso di non immischiarmi nella tua vita. Dopo che mi hai mollato per altre persone!”, esclamai, facendomi notare dalle altre persone nella caffetteria. Dopo anni avevo dato voce al rancore nascosto, mostrando che il nostro rapporto non era ancora chiarito. Levi sgranò gli occhi, non aspettandosi le mie parole e strinse le labbra fra di loro, cercando di calmarsi. Lo sapevo che era arrabbiato, lo era continuamente da quando Kuchel era morta. Era il suo modo di soffrire. 

“Non mi interessa del diploma, voglio solo che questo dolore passi”, disse con voce davvero bassa e per pochi secondi pensai di essermi immaginato le sue parole. Doveva star così male da non riuscire più a far finta di nulla e sentii il mio cuore spezzarsi leggermente. 

Mossi le dita sul suo braccio e le feci scivolare verso una sua mano che strinsi, senza vergogna. 

“Se potessi lo manderei via in questo momento. Ma non posso, solo il tempo può. E tu puoi provare a fare qualcosa. In ogni caso i tuoi amici sono pronti a starti vicino”, dissi cercando di usare un tono dolce e pacato, come quando eravamo amici e provavo in mille modi diversi ad aiutarlo. 

Mi guardò negli occhi e vidi tutta la sofferenza che stava provando. Tutte le emozioni contrastanti. 

“È dannatamente difficile farsi aiutare”, ammise, abbassando lo sguardo sulle nostre mani. 

“Beh, per ora posso aiutarti a farti andare bene in storia”, gli dissi e lui annuì non troppo convinto. Allontanammo le nostre mani e riprendemmo a cercare qualcosa su internet. La situazione era tremendamente difficile ma ero anche felice di essere riuscito a parlare un po’ meglio con Levi, cercando di far breccia nelle sue maledette difese. 

Dopo una mezz’ora notai che non fosse per niente interessato al progetto e decisi di fermarmi. 

“Non ti va neanche un po’?” 

Lui scosse la testa e distolse lo sguardo dal computer che ormai stava fissando solitamente per inerzia. 

“Possiamo continuare domani”, proposi e iniziai a spegnere il computer e a mettere le cose in ordine nel mio zaino. Lui fece la stessa cosa e poi ci alzammo, andando verso l’uscita in completo silenzio. 

Non parlammo più per tutto il tragitto e iniziai a preoccuparmi sempre di più davanti al suo viso inespressivo. 

Parcheggiai davanti alla mia abitazione e scendemmo dalla mia auto. Prima di entrare in casa gli presi un braccio e lo bloccai. 

“Per qualsiasi cosa chiamami”, gli dissi e lui annuì semplicemente prima di voltarmi le spalle.

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Capitolo 6
*** First kisses and worries ***


Los Angeles- 11 dicembre 2019

Eren


Ero entrato a scuola con l’obbiettivo di parlare con Levi di persona. La sera prima, mentre andavo a dormire, gli avevo inviato un messaggio, chiedendogli di vederci questo pomeriggio per poter portare avanti la ricerca. Il messaggio non era neanche stato inviato. Avevo lasciato perdere, pensando che avesse spento il telefono ma neanche questa mattina era arrivato a destinazione. Iniziavo a preoccuparmi. 

Incontrai Armin sulle scale del liceo e mi affiancai a lui, salutandolo brevemente prima di sorpassarlo ed entrare nell’edificio. Il mio amico mi seguì, quasi correndo dato il mio passo veloce.

“Dove  stai andando?”, mi chiese curioso, riuscendo a raggiungermi e a camminare secondo la mia andatura. 

Percorrevo il corridoio principale, guardando da ogni parte senza notare nessun ragazzo basso dai capelli neri. Avevo sentito l’auto di suo zio partire mentre facevo colazione e l’avevo anche vista, dalla finestra, quindi Levi doveva per forza essere qui. 

“Sto cercando lo stronzo”, dissi ad Armin che mi guardò confuso per qualche istante prima di capire. 

“Dai, non chiamarlo così.”

“Non sono gentile come te.”

Mi bloccai davanti ai bagni ed entrai, trovandoli completamente vuoti. Quando uscii vidi che il mio amico si era poggiato al muro, riposandosi. 

“Sei troppo veloce. Che cavolo è successo?”

Mi misi al suo fianco, poggiando una mano contro la parete macchiata e piena di incisioni e crepe. Il nostro liceo non era certo il migliore di Los Angeles. 

“Stiamo facendo una ricerca di storia e ieri ci siamo visti al bar. Abbiamo parlato un po’ e quello che mi ha detto mi ha fatto preoccupare.”

“Da quando tu e Levi parlate?”, domandò il biondino. In effetti lui non sapeva come fossimo arrivati a farlo. Non sapeva di Marco ne della mia intenzione di prendermi cura di lui, sotto forzata richiesta. Gli raccontai brevemente questi fatti e lui annuì, comprendendo la situazione. 

“Lo sapevo che prima o poi ti saresti preoccupato per lui”, mi disse con un sorriso e io aggrottai la fronte, non capendo cosa intendesse. 

“E perché mai? Lo faccio solo perché me lo ha chiesto Marco”, mentii spudoratamente. 

“Carine le bugie che ti rifili. Sei veramente testardo”, ridacchiò lui brevemente per poi ritornare serio, “comunque, cosa ti ha detto di tanto brutto da farti arrivare a correre a scuola per parlarci?”

Gli raccontai della conversazione in caffetteria, del suo sguardo strano e della macchina dello zio che, a quanto pare, non era diretta a scuola. 

“Forse sono andati da qualche parte per farlo distrarre”, fece Armin, ragionando su cosa ci fosse sotto. Alzai le spalle, non molto convinto. 

“Per ora pensiamo alle lezioni, magari vai a casa sua dopo la scuola”, propose poco dopo e annuii, pensando che fosse la cosa più sensata da fare. Non dovevo allarmarmi, c’era Kenny con lui. E poi, dopo la nostra conversazione, era sembrato un po’ meno arrabbiato anche se, in realtà, era proprio questo che mi preoccupava. 

Suonò la campanella e andammo verso la zona delle aule. 
 

**********


Uscii dalla classe, controllando il telefono per vedere se il mio messaggio fosse arrivato a destinazione ma non notai nessun cambiamento. Sospirai frustato e sollevai lo sguardo, incrociando gli occhi azzurri di Historia. 

Mi raggiunse e le rivolsi un sorriso forzato. 

“Hey, tutto bene?”, mi chiese dubbiosa, squadrandomi attentamente. Io scrollai le spalle, non avendo voglia di mentirle. 

“Non proprio, ieri ho studiato con Levi e abbiamo avuto una strana conversazione. Era molto triste,” le raccontai mentre andavamo verso l’uscita della scuola, seguendo il resto degli studenti. 

Fuori il cielo era nuvoloso come il giorno prima e iniziarono a cadere alcune gocce. 

“Credo sia normale...”, mormorò lei. 

“Si, lo so però, non riesco a contattarlo e oggi non l’ho visto a scuola. Andrò a fare un salto a casa sua.” 

“Spero sia tutto okay.”

Sospirai, passandomi una mano fra i capelli nervosamente e poi le proposi di venire con me, chiedendole aiuto per la ricerca di storia. 

“Non sembra molto interessato al diploma ma voglio fargli prendere un buon voto in questo progetto. Potresti aiutarmi?”, domandai sperando nel suo carattere gentile. Lei mi sorrise, rassicurandomi e accettò. 

Camminammo velocemente verso la mia auto, sentendo la pioggia farsi più insistente, e salimmo sulla vettura. 

Arrivammo nella mia via e notai subito l’auto di Kenny, ferma davanti alla casa degli Ackerman. Mi sentii più sollevato ma c’era ancora qualcosa che mi turbava. Scendemmo dall’auto e lanciai uno sguardo all’abitazione. 

“Abita lì?”, chiese Historia ed io annuii, stringendo fra le dita la spallina del mio zaino. 

“Ti aspetto qua, vai pure”, mi sorrise con dolcezza e cercai di ricambiare, fallendo miseramente. Non sapevo perché mi sentissi così preoccupato, era come avere un peso sul cuore che mi impediva di pensare lucidamente e di rispondere con frasi sensate. 

Mi avvicinai alla casa e suonai al campanello, facendolo per la prima volta dopo anni. 

Nessuna risposta. 

Rimasi ad aspettare, desiderando come non mai di trovarmi davanti Levi e di sentire i suoi insulti solo per capire che stesse bene. Non fu lui ad aprirmi ma lo zio, Kenny. 

Mi rivolse un piccolo cenno per salutarmi e, con un tono innaturalmente piatto per lui, mi disse che Levi non voleva parlare con nessuno. 

“Glielo può dire che sono passato? E anche che sono preoccupato”, dissi velocemente, sentendo il peso sul cuore alleggerirsi sapendo che fosse sano e salvo a casa sua. 

“Certo, ragazzo. Era da molto che non passavi a casa sua”, mi ricordò, guardandomi con un’intensa e stanca occhiata. 

“Sono cambiate molte cose.”

“Però qualcosa è rimasta uguale.”

Annuii e rimanemmo in silenzio. Era strano, quell’uomo parlava anche troppo mentre ora sembrava un fantasma. Ben poche cose erano rimaste uguali. 

Ci salutammo brevemente e tornai da Historia che sembrava piuttosto curiosa della mia piccola conversazione con Kenny. Le raccontai velocemente cosa ci eravamo detti, mentre entravamo a casa mia. 

Fortunatamente c’era solo Mikasa così riuscii ad evitare qualche domanda imbarazzante di mia madre su Historia. Mia sorella doveva essere chiusa nella sua camera per sistemare dei documenti e cartelle cliniche del tirocinio all’ospedale. 

“Quindi vive con suo zio”, commentò la mia amica, poggiando la sua borsa sul mio divano ingombrante. Annuii e mi sfilai le scarpe, lasciandomi poi cadere sul letto. Mi sentivo esausto grazie a tutta la preoccupazione che avevo immagazzinato nelle ultime ore. 

Historia si avvicinò a me e si sedette timidamente sul bordo del mio letto per poi allungare una mano verso un mio braccio. Non ci feci subito caso, anzi fu piacevole sentire le sue dita che si muovevano sulla mia pelle. Mi fece ricordare una persona ma il pensiero scomparve quando parlò. 

“Ti senti meglio?”, chiese a bassa voce, usando un tono più dolce del solito. 

Incrociai il suo sguardo ed osservai la forma delicata dei suoi occhi, il suo viso da bambola, il suo sorriso gentile. Lei arrossì ma non allontanò la mano dal mio braccio. 

“Si, credo... dovremmo iniziare a studiare”, borbottai imbarazzato per la situazione. Mi misi seduto e afferrai il computer, poggiandolo sulle mie gambe prima di accenderlo. 

Iniziammo a fare la nostra ricerca, evitando di toccarci come era successo poco prima. Historia era brava anche a scrivere e mi aiutò notevolmente quando dovetti riassumere tutte le informazioni trovate. 

Due ore più tardi, dopo che il sole era già calato, avevamo finito la parte scritta della ricerca. Mi scoppiava la testa e fui ben felice di spegnere il pc. 

“Non so davvero come ringraziarti”, ammisi, girandomi verso Historia che aveva uno sguardo stanco come il mio. 

“Siamo amici, è stato un piccolo favore. E poi ti sei impegnato parecchio, facendo anche ciò che toccava a Levi. È una cosa carina.”

Le sorrisi sinceramente e sollevai le braccia per stiracchiarmi. Mi alzai dal letto sentendo le gambe pesanti dopo aver passato due ore seduto. Historia mi imitò, avvicinandosi al mio corpo. 

Era molto più bassa di me, sembrava quasi una bambina con quei lineamenti delicati e il suo sorriso innocente. 

“Ti piace Levi?”, domandò all’improvviso, facendomi strozzare con la mia stessa saliva. Sentii le mie guance diventare più calde e scossi subito la testa. 

“Eh? Che cazzo... no!”, esclamai e lei sollevò un sopracciglio, poco convinta. 

“Dopo tutto quello che mi ha fatto.”

“Pensavo lo avessi perdonato dato che cerchi di aiutarlo.” 

“Non so se ci sono davvero passato sopra però non riesco a non preoccuparmi, a quanto pare. E, comunque, non sono per niente interessato a una relazione, meno che mai con Levi.”

Historia ridacchiò e poi incrociò il mio sguardo, facendo un altro passo verso di me. Sentii il mio cuore martellare per l’ansia, contro il mio petto, e iniziai a chiedermi cosa stesse per succedere. 

“Non ti è mai interessato qualcuno?”, chiese a bassa voce, osservandomi da sotto le sue ciglia chiare e lunghe. Deglutii e scossi la testa, sentendomi incredibilmente a disagio. 

Scossi la testa e lei mi sorrise, “neanche a me”, disse e si mise in punta di piedi, avvolgendo le braccia attorno al mio collo per farmi abbassare. Poi premette le sue labbra calde sulle mie. Al contatto chiusi gli occhi, pensando fosse la cosa giusta da fare, ma non mi mossi. Neanche lei lo fece e dopo qualche secondo ci staccammo. 

“Perché?”, domandai confuso, guardandola come se fosse impazzita all’improvviso. Lei rise e si passò le mani sulle guance arrossate. 

“Quando eravamo alle elementari mi piacevi. Ovviamente era una stupida cotta da bambini però volevo realizzare il mio sogno d’infanzia”, disse divertita, iniziando a prendere la sua borsa per mettere i libri all’interno. 

“È stato terribile”, continuò, facendomi sentire leggermente offeso. In realtà era stato abbastanza brutto e strano anche per me, mi ero sentito sia a disagio che confuso. 

“Ho ricevuto il peggior primo bacio della storia”, commentai, lasciandomi andare a un sorriso divertito subito dopo. 

“Però è stato divertente.”

L’accompagnai al piano di sotto e risi assieme a lei, sentendo il senso di disagio scivolare via al pensiero della stupida storia che mi aveva raccontato. 

Raggiunsi la porta di casa e l’aprii, permettendo a Historia di uscire fuori. 

“Consideralo un piccolo allenamento per essere pronto per Levi. Ho visto certi baci che dava alla sua ragazza”, scherzò la mia amica, facendomi arrossire. Si, li avevo visti anche io di nascosto e non era stata un’esperienza piacevole. 

“Scherzo, Eren!”, esclamò poco dopo, sicuramente perché avevo una strana espressione sul viso. Sbuffai e la spinsi via con una mano, evitando di metterci troppa forza. 

“Si, ciao, ciao”, borbottai e chiusi velocemente la porta, smettendo di sentire la sua risata. 

Los Angeles-12 dicembre 2019 

Levi non era venuto a scuola neanche oggi nonostante lo avessi visto uscire di casa con Kenny, indossando anche lo zaino. Non sembrava particolarmente scosso però mi aveva preoccupato comunque. Camminava come se non gli importasse dove stesse andando e lo stesse facendo per inerzia. 

Ero appena tornato a casa e avevo deciso di completare la ricerca, creando anche una presentazione al computer. Poi avrei inviato tutto a Levi nonostante non avesse risposto a nessun mio messaggio. Magari sarei potuto passare a casa sua prima della cena. 

Sbirciai dalla mia finestra ma non vidi l’auto di Kenny, segno che non fossero ancora tornati. A quel punto decisi di concentrarmi sulla ricerca. Non mi ero mai impegnato così tanto come negli ultimi tre giorni, era una grande sorpresa pure per Armin. Solitamente studiavo a malapena il giorno prima di un test e le mie ricerche erano sempre corte ed imprecise. 

Mi sistemai sul divano e cercai delle immagini carine e interessanti per la mia presentazione. Feci anche qualche schema per rendere tutto più chiaro e poi rincontrollai il mio lavoro. Ero abbastanza soddisfatto, non avevo mai svolto così bene un compito dai tempi delle elementari, quando Mikasa mi aiutava o faceva le cose al mio posto. Lei era il genio di casa.

Salvai il lavoro e poi ne misi una copia in una chiavetta USB, da dare a Levi. Mi alzai dal divano e, ignorando la finestra per non essere costretto ad aumentare la mia ansia, scesi al piano di sotto dove trovai mia sorella. 

Le rivolsi un leggero sorriso e iniziai a cercare qualcosa da mangiare nonostante l’ora di cena fosse imminente. 

“Tutto bene a lavoro?”, le domandai incuriosito. Il mondo delle malattie psichiatriche mi aveva sempre affascinato e spesso avevo rubato dei libri a mia sorella per saperne di più. Però ero troppo scarso nello studio per poter aspirare a diventare un medico, e neanche mi interessava più di tanto. Il mio era l’interesse che tutti avevano per cose del genere. 

“Si ma sono stanca. La clinica ha ricevuto un nuovo paziente con una situazione impossibile”, mi raccontò, lasciando perdere il cellulare che poggiò sul tavolo. “E tu, a scuola tutto okay? Stai studiando?”, domandò, studiando la mia espressione per capire se avrei detto la verità o meno. 

“Tutto come sempre. E ho appena finito di studiare.”

“Uhm, evita di fare cavolate come farti dare un pugno.”

Sgranai gli occhi. Mi ero sempre chiesto quanto avrebbe tirato fuori l’argomento. Per lei ero un libro aperto e non avrebbe mai creduto alla scusa che avevo rifilato ai nostri genitori. 

“No, certo che no. Faceva troppo male.”

“E Levi? Come sta?”, chiese nuovamente, guardandomi come faceva Ymir. Quello sguardo di chi sapeva più di quanto volesse far credere. 

“Lo sai che non siamo più amici.”

“Forse fino a tre settimane fa. Ma sento che le cose stiano migliorando fra voi due”, mi disse sollevando un sopracciglio. Alzai gli occhi al cielo e ripresi a mangiare la brioche che avevo trovato poco prima in un armadietto. 

“Stai attento, non voglio che tu soffra”, continuò con serietà, stavolta, e io sospirai, sapendo di essere già invischiato completamente in una situazione che non prometteva nulla di buono. Me ne resi conto quando sentii il rumore di un auto e mi affacciai dalla finestra, notando che da essa uscì Kenny. Solo Kenny. Senza Levi. 

Il mio cuore iniziò a battere in preda alla preoccupazione e mi trattenni dal pensare a cose spiacevoli. Dove poteva essere se non voleva parlare con nessuno?

“Vai”, mi disse Mikasa e io annuii, uscendo dalla porta di casa, mollando la mia brioche su qualche mobile. Kenny era ancora sul vialetto e quasi sussultò quando mi vide. 

Il suo sguardo era affranto e sofferente. I suoi occhi lucidi, come se fosse sull’orlo delle lacrime. 

“Dov’è Levi?”

Aspettai secondi che mi sembrarono ore, poi lo zio rispose. 

“Non può stare qui, non gli fa bene”, spiegò ma mi sentii ancora più confuso. 

“Dove l’hai portato?”, domandai ancora una volta, poggiando una mano sul mio petto come se potessi calmare il mio battito. 

“Io non sono in grado di prendermi cura di lui, la situazione era sempre peggio e... e siamo stati da Isabelle, cioè i servizi sociali. È in un centro psicologico per il momento, devo preparare le sue cose.”

Le sue frasi piene di insicurezza e balbettii mi fecero capire quanto male andassero le cose. Strinsi la mia maglietta fra le dita, chiedendomi se avessi potuto fare di più. Magari insistere, presentarmi nella sua stanza e costringerlo a parlarmi. Ma neanche Kenny, suo zio, aveva potuto fare qualcosa. Come ci sarei riuscito io? 

“Eren, lo aiuteranno li. Ci sono degli psicologi e riuscirà a stare meglio. È una cosa temporanea”, spiegò, parlando con un tono più sicuro per tranquillizzarmi. Probabilmente aveva ragione ma io non volevo che finisse così. Doveva star meglio senza dover lasciare casa sua, non era giusto. 

“Ci sono ragazzi come lui, che hanno avuto esperienze simili. Loro possono capirlo.” 

Il mio cuore si strinse in una morsa e mi sentii completamente inutile. Io non potevo capirlo, non sarei servito a niente. Forse gli ricordavo Kuchel, addirittura. 

“Va bene”, dissi atono, guardando la punta delle mie converse. Mi passai una mano fra i capelli e li strinsi fra le dita, facendo sospirare Kenny. Sentivo come se il legame che stavo istaurando con Levi, quel piccolo rapporto, era destinato a spezzarsi per sempre. Mi sentivo male per lui ma anche per me. 

Avevo bisogno di chiudermi in camera e riflettere per realizzare tutta questa situazione. Non capivo completamente ogni emozione che provavo. Ero triste, questo lo sapevo, e anche geloso nonostante non volessi ammetterlo. Lo ero stato tutte le volte in cui lo avevo visto parlare amichevolmente con il suo nuovo gruppo mentre me ne stavo da solo. Per non ammetterlo avevo iniziato a disprezzare quei ragazzi ma anche Levi, odiando come mi faceva sentire. E tutto ciò stava tornando a galla, bloccandomi, facendomi sentire come se stessi annegando. 

‘’Ragazzo, stai bene?’’, mi chiese Kenny, sovrastandomi con la sua altezza. Mi chiesi come si sentisse Levi al suo fianco e il pensiero ne portò altri. Non riuscii a rispondere, per quanto mi sforzassi, e l’uomo mi guardò con preoccupazione. 

‘’Posso chiedergli se vuole vederti’’, propose infine e lo guardai negli occhi, sicuro che potesse leggere il lampo di speranza presente nei miei. 

‘’Si, g-grazie’’, mormorai timidamente. Odiavo farmi vedere vulnerabile dagli altri, soprattuto quando non ne avevo nessun diritto. L’uomo annuì e mi rivolse un sorriso sofferente e di pochi secondi ma non riuscii a ricambiare. Mi voltai e camminai verso la mia casa, notando Mikasa che mi osservava dalla finestra in cucina.

 

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Capitolo 7
*** ''I don't need you'' ***


Los Angeles- 13 dicembre 2019

Eren


‘’Ti va di venire con me?’’, chiesi a Historia, mentre raggiungevamo la mia vecchia auto malconcia. Avevo deciso di darle un passaggio, per ringraziarla per l’aiuto in storia, ma, poi, avevo pensato che sarebbe stato carino portarla da Ymir per farle passare un pomeriggio diverso. 

Una volta ci avevo portato Armin ma non era andata molto bene. Aveva odiato l’odore pungente dell’erba fin da subito ed era stato troppo timido per ruolare a voce. 

‘’E dove?’’, mi rispose la ragazza, portando una mano sulla maniglia dell’auto per aprire la portiera. Prima di continuare la conversazione la imitai, sedendomi al posto di guida. Lanciai il mio zaino dietro, invece Historia poggiò la sua borsa delicatamente. 

‘’Ogni venerdì sera incontro dei miei amici e giochiamo a dungeon and dragons, non so se lo conosci’’, le spiegai, infilando le chiavi dell’auto al loro posto per accendere il motore. 

‘’Si, l’ho sentito nominare in qualche serie tv. Comunque va bene, grazie dell’invito.’’ Ridacchiai fra me e me e la presi in giro per il suo strano ed educato modo di parlare. 

‘’Prima andiamo a mangiare qualcosa dato che è abbastanza presto.’’

Historia annuì con un sorriso spontaneo e io guidai verso il quartiere dove abitava Ymir. C’era una sorta di gelateria dove facevo merenda prima di andare a casa sua e decisi di recarmi lì, per non dover allontanarmi troppo. 

Camminammo sul marciapiede largo, incontrando ben poche persone nonostante fosse pomeriggio pieno. Non era uno dei migliori quartieri e le famiglie che ci vivevano erano modeste come le loro piccole e semplici case. 

Tra due condomini c’era la gelateria con la sua insegna che aveva vissuto tempi migliori. Una lettera non riusciva più ad accendersi e il nome, Frozenland, era diventatorozenland. Però avevano ottimi yogurt e gelati, quindi non me ne lamentavo. 

Aprii la porta in vetro e sentii un piccolo campanello tintinnare così la proprietaria, portò i suoi occhi chiari su di noi. 

‘’Buon pomeriggio, accomodatevi pure così vi porto il menù’’, disse affabile e decidemmo di sederci vicino alla vetrata per poter guardare fuori nei momenti di silenzio.

‘’Sei riuscito a parlargli?’’, domandò Historia senza nominare direttamente Levi. Scossi la testa e giocai con uno dei tovaglioli presenti sul tavolino. 

‘’Ho parlato con suo zio e mi ha detto della decisione di affidarlo ai servizi sociali. Ha detto che starà in un posto dove si occupano di questo tipo di traumi, non ne so molto’’, mormorai, ricordando nuovamente come mi ero sentito. Historia sospirò. La proprietaria lasciò il menù davanti a noi e poi tornò dietro al bancone, lasciandoci la nostra privacy. 

‘’So che sembra un evento terribile ma potrebbero aiutarlo.’’

Non volevo dirle quanto mi sentissi inutile e desideroso di poter fare qualcosa. Di essere ancora una volta il primo e l’unico a cui si confidava. Il poco buon umore che avevo prima era sparito e Historia sembrò notarlo. 

Mi prese una mano e la strinse fra le sue, impedendomi di giocherellare con i tovaglioli. 

‘’Si è aperto con te e non lo aveva ancora fatto con nessun altro, è un grande passo avanti. Probabilmente starai pensando di non aver fatto abbastanza ma non è così. Anzi, secondo me è riuscito a chiedere aiuto grazie a te’’, mi disse con il suo solito sorriso dolce e rassicurante. Ero così bloccato nel mio punto di vista che non avevo riflettuto su quei particolari che Historia aveva notato. 

‘’Pensi che abbia scelto lui di andarci?’’

‘’Sinceramente? Si. Solitamente si va in questi posti quando lo si chiede direttamente. Non basta che sia un parente a volerlo.’’

‘’Sembri saperne abbastanza…’’, commentai perplesso e dal suo sguardo capii di aver indovinato. 

‘’Ci sono stata, una volta, dopo le elementari. Uhm, dopo la morte di mia sorella’’, rispose lentamente, soppesando le parole e abbassando il suo tono di voce, come se non fosse del tutto sicura di volerne parlare. Sentii la sua stretta affievolirsi così fu il mio turno di rassicurarla. 

‘’Mi dispiace e se non vuoi parlarne non devi’’, cercai di addolcire il mio tono di voce e lei lo apprezzò, sorridendomi appena. 

‘’E’ passato molto tempo, sto bene ora.’’

Notai i suoi occhi leggermente lucidi e il modo in cui evitava il mio sguardo. Probabilmente si sentiva a disagio nel parlarne nonostante fossero passati anni. La morte di un parente doveva essere terribile e pensai a Levi, in quel posto, a cercare di smettere di soffrire. 

Decidemmo di scegliere qualcosa da mangiare e, poco dopo, la proprietaria prese i nostri ordini. 

‘’Suo zio mi ha detto che gli avrebbe chiesto se volesse vedermi’’, raccontai a Historia, girando il cucchiaino nel mio gelato alla vaniglia. Lei aveva preso un milkshake alla fragola e ogni tanto mordicchiava la cannuccia pensierosa. 

‘’Speriamo bene’’, disse semplicemente e continuammo a consumare i nostri ordini. 

Avevamo deciso di alleggerire la conversazione e parte del mio buon umore era tornato. Eravamo sul punto di andarcene quando qualcuno bussò sul vetro, facendomi sussultare. Anche Historia rimase sorpresa ed entrambi ci girammo per notare Connie e Sasha. 

Spesso avevamo cenato con il gelato in questo stesso posto e sicuramente i miei amici avevano avuto la mia stessa idea. Entrarono nel locale e mi preparai alle possibili battute di Connie sulla situazione. 

‘’Il livido ha fatto colpo?’’, domandò con una risata, sedendosi al mio fianco, sulla poltroncina, senza fare troppi complimenti. 

‘’Ah, io sono Connie, piacere’’, disse senza darmi la possibilità di fermarlo, e porse una mano a Historia che la strinse timidamente. 

‘’Quella è Sasha ma credo che ci parlerà dopo aver preso da mangiare.’’

In effetti la ragazza sembrava piuttosto affamata mentre guardava i gusti del gelato in vetrina, e non si era ancora avvicinata al nostro tavolo. 

‘’Sono due dei tre sfigati con cui gioco’’, spiegai a Historia che capì al volo. 

‘’Io sono Historia, piacere mio’’, rispose educatamente, facendomi sorridere. 

‘’Finalmente Eren è riuscito a conquistare una ragazza. Il nostro paladino ha fatto colpo!’’, esclamò Connie quando Sasha ci raggiunse, tenendo un milkshake con una mano. 

‘’Non è la mia ragazza, brutti idioti’’, dissi con un lamento, nascondendo il mio viso fra le mani. 

‘’Forse si stanno frequentando e abbiamo rovinato la loro prima uscita’’, commentò Sasha, parlando anche mentre beveva dalla cannuccia. Poi si ricordò di presentarsi a Historia che, con gentilezza, disse che eravamo solo amici. 

‘’Stavamo per andare da Ymir’’, dissi ai due, togliendo le mani dal mio viso. 

‘’Si, anche io. Siamo un po’ in ritardo’’, rispose Connie e poi mi alzai per pagare per tutti, con disappunto di Historia e felicita di Sasha. 

Uscimmo dal locale e ci avviammo verso il monolocale di Ymir, poco distante. Le scale del palazzo, strette e tendenti al grigio, non erano il massimo e puzzavano terribilmente di fumo di sigaretta. Guardai Historia, per capire la sua reazione, ma non sembrò turbata. 

Bussammo alla porta e ci aprì una Ymir che sembrava essersi appena svegliata. Alzò un sopracciglio per salutarci ma poi notò la mia amica bionda. Il suo sguardo rimase sul bel viso di Historia per lunghi istanti e mi trattenni dal tossire per disincantarla. 

‘’Hey’’, disse alla ragazza, curvando le labbra in uno dei suoi rari sorrisi. La mia amica lo ricambiò e mi sembrò che le due fossero chiuse in una bolla, dove noi altri non potevamo entrare. 

‘’Piacere, sono Historia.’’

‘’Ymir.’’

Si strinsero la mano con movimenti lenti, rimanendo così fin troppo a lungo. Iniziavo  a  chiedermi cosa stesse succedendo ma poi Connie scansò Ymir ed entrò nell’appartamento, rompendo l’incantesimo fra le due. 

Sasha entrò a sua volta e io studiai l’espressione di Historia che era, addirittura, arrossita. Mi lasciai sfuggire una risata ed entrai assieme a lei, prendendo posto sul divano. 

Fu difficile spiegare a Historia come dovesse giocare e lei si imbarazzava a farlo ma dopo un po’ di prove ci prese la mano. Giocammo senza complicare troppo la trama scelta e notai che si stesse divertendo. 

Per quella volta fumammo con moderazione e la mia amica fece anche un piccolo tiro, probabilmente dimenticandosi di aspirare ma fu divertente vedere la sua reazione e come arricciò il naso per il sapore particolare. 

Avevo anche notato le occhiate interessate che le mandava Ymir e per cui arrossiva e sorrideva imbarazzata. Però non c’era mai stato del disagio o qualcosa di forzato. Anche Historia cercava di flirtare, parlando o avvicinandosi maggiormente a Ymir. 

La serata procedeva bene e mi sentivo di buon umore, almeno nelle prime ore. Fin quando non sentii il telefono vibrare nella mia tasca. Lo tirai fuori e lessi il nome di Levi, bastò questo a provocarmi un po’ d’ansia. 

Aprii il messaggio e lessi una frase che mai mi sarei aspettato: ‘’domani puoi venire a trovarmi.’’

Historia si accorse del mio cambiamento d’umore e lesse velocemente il messaggio prima di sorridere ampiamente. 

‘’Vedi? Io lo sapevo che sarebbe andata così’’, disse contenta e io curvai le labbra in un sorriso lieve. Gli altri ci guardarono sospettosi anche perché non sapevano nulla di Levi. 

‘’E-era un mio amico’’, balbettai insicuro, non sapendo che scusa inventarmi. 

‘’E’ lui che stai frequentando?’’, chiese Connie con un sorrisetto fastidioso. 

‘’Dio santo, non mi vedo con nessuno. Stava male da qualche giorno e mi ha riposto dicendo di star migliorando, tutto qua’’, borbottai, non troppo convinto della mia scusa. E neanche gli altri lo erano, specialmente Ymir che mi fissava come se sapesse di più. 

‘’Si, si, gli ho detto io di provare a scrivergli qualcosa per confortarlo e alla fine ha funzionato’’, mi aiutò Historia. 

Il discorso fu ben presto messo da parte e riprendemmo a giocare. Mi sentivo sia meglio che preoccupato. Ero contento che volesse vedermi ma non avevo idea di cosa dirgli, di come comportarmi. E avevo pochissime ore per prepararmi psicologicamente e tutti questi pensieri mi impedivano di svagarmi  del tutto. 

Mi strofinai il viso con le dita e dissi che ero molto stanco. I miei amici mi guardarono perplessi e potevo immaginare cosa frullasse nelle loro menti. Credevano che stessi reagendo così per il messaggio e avrebbero avuto perfettamente ragione. 

Mi alzai dal divano e presi le mie cose, Historia mi imitò prima di salutare tutti e uscire con me dalla porta principale. Anche stavolta notai le occhiate che si scambiò con Ymir. 


Los Angeles- 14 dicembre 2019


Stavo fissando l’edificio da un po’, pensando a cosa avrei potuto dire a Levi una volta che l’avrei incontrato. 

Mi trovavo lontano dal mio quartiere, in una zona più affollata della città, era stavo difficile trovare un parcheggio nei dintorni. Davanti a me si stagliava un edificio abbastanza grande che ricordava gli ospedali anche se sulla targhetta, di fianco al cancello dell’entrata, c’era scritto “centro per il benessere psicologico”. Attorno al palazzo di due piani si trovava un piccolo giardino con qualche panchina occupata da pazienti, presumibilmente. 

Presi un respiro profondo ed oltrepassai il cancello grigio, percorsi il piccolo viale in pietra ed entrai nell’edificio. Anche la hall ricordava gli ospedali con il suo bancone all’entrata e svariati poster che facevano propaganda sugli ottimi effetti della psicologia. 

Mi avvicinai alla giovane donna alla reception e chiesi di Levi. Mi indicò le scale che dovevo percorrere , che portavano al reparto dove si trovava. 

Ci eravamo scambiati dei messaggi per poco tempo, giusto per dirmi che potevo venire quando volevo ma che lui poteva uscire solo per andare a scuola. 

Salii le scale e trovai subito il reparto di cui mi aveva parlato la donna. Davanti alle porte in vetro, piene di adesivi colorati, c’era un’altra persona a cui chiesi di Levi. Fu lei ad accompagnarmi lungo il corridoio dove si affacciavano le camere dei cosiddetti pazienti. 

L’arredamento più informale e accogliente lo faceva sembrare meno una clinica o un ospedale. C’erano molti quadri piacevoli da guardare e, tra una porta chiusa e l’altra, notai delle stanze con divani, librerie piene, tavoli occupati da ragazzi che disegnavano o giocavano. 

Ci fermammo davanti a una porta bianca che, come le altre, aveva una piccola lavagna a pennarelli fissata sulla superficie. Sopra di essa c’era il nome di Levi. 

“Okay, per tornare indietro puoi farti accompagnare da lui”, mi disse la donna con un sorriso prima di girarsi e allontanarsi. 

Sollevai la mano e bussai, sentendo poi la voce del ragazzo che mi diceva di entrare. Aprii la porta e feci un passo avanti, osservando la stanza abbastanza luminosa di Levi. 

Le tende erano completamente aperte e permettevano ai raggi del sole di illuminare l’ambiente, rendendolo più carino. Il suo letto era contro il muro, sopra di esso qualche mensola che conteneva dei libri. 

Poi c’era una scrivania sotto la finestra e un armadio davanti al letto. Le ante erano aperte e notai un borsone da cui spuntavano delle magliette. 

A quel punto guardai Levi, seduto sulla sedia girevole della scrivania. 

“Hey”, dissi semplicemente, studiando il suo viso per capire se stesse un po’ meglio. Solitamente aveva delle occhiaie sotto gli occhi e nell’ultimo periodo erano aumentate. Notai che fossero diminuite e tutto il resto del suo viso era più riposato. 

“Ciao”, rispose lui, passandosi una mano fra i capelli che portò all’indietro, liberando per un attimo la sua fronte dalla frangia, “puoi anche sederti invece di stare lì come un idiota.”

Accennai un sorriso perché anche questo lato del suo carattere che veniva a galla mi fece capire che stesse un po’ meglio. Presi posto sul suo letto, soffermando lo sguardo sulle coperte rosse che usava per dormire. 

“Come stai?”, chiesi, sollevando il viso. 

Lui mi guardò senza dire niente, sollevò semplicemente le spalle facendomi intuire la risposta. Non si poteva sistemare ogni cosa in pochi giorni e immaginavo che dentro di se covasse ancora la rabbia che aveva tenuto ben poco sotto controllo. 

‘’Non è male qui’’, continuai a cercare di trovare qualcosa da dire, anche se mi uscivano solo frasi stupide, ‘’hai conosciuto qualcuno?’’

‘’Non mi va.’’

‘’Strano’’, commentai con ironia e gli sorrisi leggermente, facendogli capire che stessi scherzando.

‘’Hai un pessimo modo di rendere una conversazione più leggera’’, mi disse alzando un sopracciglio ma non sembrava alterato. Era la sua solita espressione dura. 

‘’Non ti sarai mica offeso?’’

‘’Sei un idiota.’’

‘’E tu stronzo.’’

Ci bloccammo e ci fissammo per qualche istanti prima di sorriderci brevemente. Era come avere di nuovo tredici anni. Provai quasi le stesse sensazioni di quando ci punzecchiavamo stupidamente. Il piacevole ricordo sfumò in una sensazione malinconica e mi ritrovai a sospirare. Erano cambiate così tante cose e non saremmo mai più tornati come prima.

‘’Uhm, comunque, ho finito il lavoro di storia, nel caso lunedì volessi tornare a scuola…’’, gli dissi e cercai la chiavetta USB in tasca. Poi gliela porsi. 

Le dita sottili di Levi l’afferrarono e iniziò a rigirarla fra di esse, immerso in qualche pensiero. 

‘’Ah e ti ho messo anche gli articoli da cui ho studiato.’’

‘’Grazie, Eren’’, disse seriamente, cogliendomi di sorpresa. Le mie labbra si curvarono spontaneamente all’insù. ‘’Credo che verrò, stare chiuso qui dentro mi sta facendo impazzire.’’

‘’Pensi che ti aiuterà?’’

Lui sollevò le spalle ma poi annuì, abbassando lo sguardo sulla mia chiavetta, tenendola fra le dita come se fosse qualcosa di prezioso. 

‘’Lo spero, cazzo, sennò chi me lo fa fare di sopportare le sedute e questo letto fottutamente scomodo?’’, borbottò, facendomi ridacchiare. 

‘’Dio, sei insopportabile, non voglio più essere tuo amico’’, lo presi in giro, sdraiandomi sul letto per capire se fosse davvero così scomodo. Il materasso non era dei migliori ma il cuscino aveva l’odore di Levi. Anche dopo anni era rimasto uguale.

‘’Non lo siamo, Jaeger, sopratutto dopo aver sporcato il mio letto’’, mi rispose ma notai una nota scherzosa nel suo tono che mi fece sorridere. 

Chiusi gli occhi e cercai di non pensare alla paura fottuta che avevo di affezionarmi a lui nuovamente. 


Los Angeles- 16 dicembre 2019


Levi era tornato a scuola come mi aveva detto. Si era beccato svariate occhiate curiose non senza motivo, ma le aveva ben ignorate, protetto dai suoi amici. 

Non mi aveva rivolto la parola ne mi aveva cercato con lo sguardo. Solo una volta era successo, durante l’ora di educazione fisica. Avevo sentito i suoi occhi su di me ma non avevo ricambiato il contatto visivo nonostante sentissi la voglia di farlo. Sapevo di non dovermi aspettare nulla di nuovo fra di noi però non potevo negare di esserci rimasto male. Un saluto non gli avrebbe rovinato la reputazione. 

Durante il pranzo, mentre lo passavo con Armin, raccontandogli di venerdì e sabato, portai lo sguardo sul gruppo di teatro. 

Levi si era seduto con loro ma non rispondeva a nessuna domanda che gli amici gli stavano porgendo. Guardai Marco e lessi della frustrazione nella sua espressione. 

“Anche se ha appena cominciato, non credo stiano andando bene le sedute”, borbottò Armin quando notammo Levi alzarsi e allontanarsi dal tavolo. Il vassoio pieno fra le mani. Passò accanto a noi e non mi degnò di uno sguardo. 

“Sabato mi sembrava stare meglio, io non capisco...”

Quel giorno non era neanche alla sua metà e avevo già provato una serie di sentimenti contrastanti. Ero preoccupato perché Levi aveva di nuovo il suo atteggiamento irritato, ero frustrato perché non mi guardava neanche, ero confuso ma anche scocciato. Sembrava che ogni cosa che gli avessi detto fosse stata inutile. La rottura dell’illusione che potessimo essere quasi amici mi stava destabilizzando. 

“Non sappiamo cosa gli passa per la testa”, cercò di rassicurarmi Armin. Aveva ragione, non sapevo proprio nulla di cosa stesse provando. Credevo di poter essere d’aiuto, credevo di essermi quasi avvicinato a capire il suo dolore ma non era così. 

L’unica nota positiva della giornata fu la presentazione. Riuscimmo a prendere una B che per me era un voto molto alto. Eravamo stati gli ultimi e, infatti, la campanella suonò dopo che ritornammo ai nostri posti. 

Cercai con lo sguardo Levi ma lui mi dava le spalla mentre infilava i libri nello zaino. Lo imitai e poi lo raggiunsi, poggiando una mano sul suo braccio per impedirgli di fuggire. 

Due occhi chiari mi fulminarono e abbassai la mano con un gesto istintivo. 

“Cosa vuoi?”, chiese tagliante. Mi aveva rivolto quelle parole fin troppe volte ultimante e non sapevo mai la vera riposta. 

“Solo salutarti”, dissi accigliato, iniziando a sentire un sentimento di irritazione irradiarsi in me. Quella sua espressione fredda e distaccata mi stava infastidendo. 

“Bene, ciao”, rispose lui, dandomi le spalle per uscire dalla classe come stavano facendo tutti quanti. Lo seguii stupidamente e mi affiancai a lui, seguendo il suo stesso ritmo. 

“Cosa ti ho fatto?”

“Niente, non voglio parlare. Pensavo ti fosse chiaro come concetto”, mi rispose, cercando di trattenere il nervosismo che notai ugualmente. 

“Molto carino da parte tua trattarmi così, ancora una volta”, sbottai, non riuscendo a controllare la mia bocca. Mi pentii di quella frase esattamente un secondo dopo, quando Levi si girò verso di me. Se il suo sguardo avesse potuto uccidere ora sarei già al cimitero. 

“Lasciami in pace, va bene? Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me. Me la cavo alla grande anche da solo.” 

Il suo tono arrabbiato mi fece rabbrividire. Ma anche io sentivo il suo stesso sentimento e volevo solo aprire la bocca per rilasciare ogni cosa che stavo pensando. 

“Giusto, non me lo hai chiesto ma l’ho fatto comunque. Pensavo ti avesse fatto piacere quando sabato sono venuto. Anzi, pensavo che stessi migliorando”, dissi lentamente per controllare ciò che dicevo ma anche il mio tono di voce. 

Nel mentre avevamo raggiunto l’uscita e alcune persone si erano girate dalla nostra parte, cercando di capire cosa stesse succedendo. 

“Continuate tutti a fare supposizioni su come mi sento e a dirmi come dovrei stare. Tu non hai la minima idea di come si stia la dentro”, disse in sussurro, facendo un passo verso di me dopo aver fermato la sua camminata veloce, “può anche avermi fatto piacere ma non siamo amici e non ti devo nulla”, continuò con la voce che fremeva per il nervosismo. 

Poi mi voltò le spalle e uscì dalla scuola, lasciandomi da solo con una marea di pensieri per la testa.

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Capitolo 8
*** Real friendships never die ***


Los Angeles- 17 dicembre 2019 


Levi 


Tutto ciò che provavo era rabbia. Rabbia verso il destino, verso mia madre che mi aveva abbandonato, verso mio zio che me la ricordava, verso il dolore, verso i miei amici, verso Eren e verso me stesso che non provava altro che questo fottuto sentimento. 

Non riuscivo a pensare a qualcosa di positivo, non riuscivo nemmeno più a studiare e i miei voti si erano abbassati alla velocità della luce nonostante l’occhio di riguardo che avevano i professori verso di me. In particolare Erwin. 

Poi c’era il gruppo di teatro, dove mi ero sempre sentito bene, ma che ora non riuscivo a sopportare. I ragazzi mi parlavano come se stessi per cadere a pezzi e odiavo i loro sguardi preoccupati. Odiavo quando mi chiedevano come stavo e cercavano di darmi una mano. Marco e Petra avevano insistito particolarmente, portandomi ad evitarli per poter stare meglio. 

Tutta questa rabbia che imperava dentro di me si era placata per poco tempo, quando mi ero allontanato dalla casa che sapeva troppo di mia madre. 

Nel centro dove alloggiavo non stavo sicuramente meglio, anche lì tutti si preoccupavano per me ma il pensiero che fosse semplicemente il loro lavoro, e che, quindi, fosse per finta, mi consolava leggermente. Era meglio di stare a casa dove Kenny non faceva altro che provare pena per se stesso e per me. 

Infine c’era Eren con cui non sapevo mai come interagire. Era l’unico che mi trattava senza pesare ogni parola che pronunciava e aveva il coraggio di prendermi in giro. Allo stesso tempo il solo vederlo mi ricordava il periodo della nostra amicizia e la rabbia ritornava, sopratutto verso me stesso. L’unica cosa che potevo fare era evitarlo ma era diventato fottutamente difficile da quando mi ero aperto nella caffetteria. Quella volta mi sentivo troppo esausto e triste per potermi arrabbiare. 

Non sapevo cosa fare per poter stare meglio e non credevo che ci sarebbe stato un rimedio. Prima o poi tutta questa rabbia mi avrebbe consumato. 

Sfortunatamente, la psicologa che mi aveva seguito, mi aveva costretto ad andare a scuola e ora mi trovavo sull’autobus che mi ci avrebbe portato. 

Quando entrai nell’edificio che poco sopportavo, trovai Marco all’entrata. Dallo sguardo che mi rivolse capii che mi stesse aspettando. Sospirai e feci un passo verso di lui, non potendo ignorarlo. 

“Levi, volevo parlarti”, mi disse lentamente, con un tono accondiscendente che mi irritò nel giro di pochi secondi. Strinsi una mano a pugno, cercando di non rispondere male. 

“Non abbiamo niente da dirci.”

Sapevo che fosse una bugia anche perché c’erano così tante cose che avrei potuto rivelare ma il mio orgoglio mi impediva di farlo. Avrei tanto voluto passare quella giornata senza parlare ma si stava rivelando qualcosa di impossibile. 

“Invece si e lo sai. Io non posso capire tutto quello che stai passando però vorrei starti vicino. E anche gli altri lo vogliono. Ti prego, dicci qualcosa”, disse speranzoso. Avevo sentito quelle parole fin troppe volte e mi stavano facendo venire un forte mal di testa. 

“Sto bene”, tagliai corto e cercai di allontanarmi, sperando che la campanella suonasse il prima possibile. 

“Smettila di dire cazzate”, sbottò un’altra voce meno dolce e più alta. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Jean, sollevando leggermente la testa. 

“Smettila perché vogliamo solo aiutarti. Tutti quanti e anche Petra”, continuò, facendomi alzare gli occhi al cielo. Mi rendevo conto di aver rotto con quella ragazza solo per colpa di questa rabbia cieca che prendeva possesso del mio corpo. Ma era stato meglio così, sia per me che per lei. 

“Interessante”, commentai con sarcasmo, trattenendo altre parole meno gentili, “ma non me ne frega un cazzo. Ho lezione, ci sentiamo.” 

“Sei davvero uno stronzo”, si lasciò sfuggire Jean ma poi si pentì a giudicare dalla sua espressione. 

“Sei patetico, non riesci neanche a insultarmi senza starci male”, sibilai e poi mi allontanai definitivamente e per tutto il giorno riuscii ad evitarli. Ne loro mi cercarono anche se li beccai guardarmi quando a pranzo presi posto in un tavolo diverso.
 

**********


“Ma tu hai sempre un palo su per il culo?”

Mi voltai verso la voce che mi aveva appena parlato e incontrai il viso sfacciato di un ragazzo poggiato al muro, vicino alla porta da cui ero appena uscito. 

Ero appena uscito da un incontro su come tenere a bada la rabbia, il mio più grande problema dalla morte di mia madre. 

Decisi di ignorare quel commento insolente e camminai lungo per il corridoio, diretto verso la mia camera. Sfortunatamente quel ragazzo decise di seguirmi. 

“Tu sei quello nuovo, hai un’aura terrificante”, commentò, camminando al mio fianco. Rimasi in silenzio e accelerai il passo, inutilmente dato che per lui fu facile adeguarsi grazie all’altezza. 

“Sei sicuramente il tipo arrabbiato con il mondo e che crede che la sua sia la vita più sfigata e brutta. E con questo giustifica il proprio comportamento”, continuò, facendomi irritare notevolmente. 

Mi voltai e con uno scatto gli afferrai il tessuto della maglietta, stringendo la presa. 

“Tu non sai nulla”, sbottai ma lui ridacchiò, mostrandosi ben poco sorpreso dal mio gesto. 

“Beh, neanche tu”, mi rispose a tono e mi costrinsi a lasciare andare la sua maglietta. Le sue parole bruciavano ancora dentro di me. La voglia di prenderlo a pugni prende possesso di me. 

“Iniziamo con qualcosa di facile, come ti chiami?”, chiese, riuscendo a farmi smettere di pensare all’irritazione che stavo provando. Era difficile calmarmi una volta che iniziavo ad arrabbiarmi. Non riuscivo più a pensare lucidamente e sentivo il bisogno di fare star male anche gli altri. Non era giusto che dovessi essere l’unico a sentirmi così. 

“Non ti interessa”, borbottai, stringendo una mano a pugno. Lui abbassò lo sguardo su di essa e si lasciò sfuggire un sorrisetto. 

“Volevo parlarti quindi si, mi interessa. Io sono Farlan”, si presentò, porgendomi una mano. La guardai dubbioso e rifiutai il contatto. 

“Levi”, risposi, sperando che mi lasciasse in pace ora. Feci un passo avanti e continuai a camminare. 

“Ho bisogno di stare da solo”, mi lamentai, sentendo la fastidiosa presenza di Farlan vicino. 

“No, hai bisogno di relazionarti con qualcuno. Chiuderti non fa che peggiorare le cose e io lo so.”

“Non mi interessa la storia della tua vita”, commentai, riuscendo a raggiungere la mia camera. 

“E a me non interessa la tua, ti stavo solo dando un consiglio.” 

La sua risposta mi calmò leggermente. Era qualcuno che non si stava preoccupando per me e che mi trattava senza riguardo. 

Mi appoggiai con la schiena alla porta e lo fissai, assottigliando leggermente lo sguardo, “e perché volevi parlarmi?”, chiesi. 

“Non so, mi ispiravi. E mi annoio a morte, qui. A me interessa parlarti e per farlo non ho bisogno di sapere il motivo per cui sei qua.”

Mi passai la lingua fra le labbra, soppesando le sue parole. Non era male parlare con qualcuno che non era cauto per paura che potessi spezzarmi. Mi ricordava Eren ma cercai di mandare via il pensiero che mi turbava ogni volta. 

“E va bene, neanche a me interessa il tuo trauma”, dissi, sollevando un sopracciglio mentre cercavo di capire la sua reazione. 

“Allora facciamo un patto, nessuna domanda sul perché siamo qui. Intesi?”

Mi porse la mano e stavolta la strinsi, trovando il gesto un po’ infantile. Sembrava una cosa da bambini ma, in realtà, era perfetto. Potevo fingere che fosse tutto normale e potevo essere semplicemente Levi e non il Levi a cui era morta la mamma. 

“Comunque sai di cosa hai bisogno? Di una sbronza. E si dia il caso che io so come uscire da qui e so anche dove andare”, mi propose con un sorrisetto beffardo, parlando a bassa voce come se dovessimo commettere un crimine.
 

**********


L’ultima volta che avevo bevuto non era andata molto bene ma era stata colpa di tutti quei commenti e occhiate su di me. C’era l’intera scuola a quella festa. Invece, ora ci trovavamo in un locale dove sicuramente non potevamo prendere nulla da bere se non fosse per il falso documento d’identità di Farlan. Molti americani minorenni ne possedevano uno. 

La musica pompava nelle mie orecchie e le luci soffuse del bar mi impedivano di vedere bene dove ci trovassimo. Inoltre c’era una gran calca e stavo iniziando a sudare. 

Farlan mi trascinò per un braccio, riuscendo a muoversi meglio di me grazie alla sua altezza, e mi portò al bar per iniziare a prendere qualcosa da consumare. Fu lui a scegliere e pagare, mostrando prima il documento falso. 

“È il tuo regalo di benvenuto”, disse contro un mio orecchio per sovrastare il rumore. Afferrai il bicchiere in vetro e bevvi un sorso di quel liquido rosso, sentendo il sapore dell’alcol bruciare nella mia gola. Non mi era mai piaciuto bere ma sembrava un buon modo per dimenticare la mia vita. 

Avevo portato con me un po’ di soldi e mi pagai il resto dei drink che consumai. Per non far passare troppo tempo tra l’uno e l’altro avevamo optato per shottini, birre e liquori che avevo sempre odiato per il sapore troppo forte. Al momento non mi interessava e continuavo a ingerire quelle bevande, sperperando stupidamente i miei risparmi. 

La testa mi girava e pulsava da un po’ e se mi muovevo troppo in fretta barcollavo o vedevo sfocato. Farlan mi guardava sorridendo ampiamente e mi prese un braccio, trascinandomi nella ressa di corpi che ballavano. 

A ogni passo sentivo un capogiro e il calore, la musica e l’alcool mi stavano permettendo di non pensare lucidamente. 

Il ragazzo biondo ballava scomposto, facendomi ridere per i suoi passi poco precisi e decisamente improvvisati. Una ragazza rimase colpita dal suo piccolo spettacolo e lo attirò a se, iniziando a baciarlo. 

Distolsi lo sguardo e mi concentrai, senza neanche volerlo, sulla musica che rimbombava con forza, annullando ogni mio pensiero. Chiusi gli occhi e mi mossi al suo assurdo ritmo, privo di parole.  Mi riscossi solo quando sentii l’improvviso bisogno del bagno. 

Mi feci spazio fra le persone, cercando di non far tremare le gambe a ogni passo che facevo. Trovai i bagni e fu piuttosto difficile chiudermi dentro con la vista annebbiata. 

Fu ancora più difficile pisciare nel giusto modo e alla fine rinunciai. Mi lavai il viso con acqua fredda per schiarirmi le idee e ci riuscii parzialmente, anche grazie alla musica che sentivo più distante. 

Quando uscii decisi di cercare Farlan, portando il mio sguardo ovunque mentre barcollavo per il locale. Iniziai a sentire un po’ di fastidio ed ero anche piuttosto sudato. 

Andai via dal locale e presi una boccata d’aria fresca, poggiandomi al muro vicino all’entrata. Ben presto iniziai a sentire freddo e cercai di scaldarmi, strofinando le mani sulle maniche della mia felpa. 

Non avevo idea di dove andare, non ricordavo nemmeno dove fosse la clinica e sicuramente non sarei riuscito a risalire le scale antincendio come avevamo fatto all’andata. 

I miei occhi erano sempre più pesanti e dovetti combattere all’impulso di raggomitolarmi per terra. Afferrai il mio telefono e chiamai Eren, senza pensarci troppo. Potevo rivolgermi solo a lui. 

“Che vuoi?”, una voce scocciata e assonnata rispose alla mia chiamata. Sentivo la bocca impastata e cercai qualcosa da dire. 

“N-non so dove andare, ehm, puoi venire?”, biascicai verso il mio telefono, sentendo la mia testa far male come se stessero battendo con un martello direttamente sul mio cranio. Mi rendeva difficile pensare, parlare e anche ascoltare la voce di Eren. 

“Che cazzo... Dove sei?”, mi rispose e ci impiegai un po’ a realizzarlo. 

Mi guardai attorno e trovai la via così gliela dissi, dovendo ripeterla un po’ di volte. 

“Stai fermo lì. Arrivo.” Chiuse la chiamata e io misi il telefono in tasca, decidendo di sedermi perché le gambe non mi reggevano più. Non chiusi gli occhi, avendo paura di addormentarmi, e rimasi ad aspettare, premendo le mani fra i miei capelli come se in questo modo potesse passarmi il mal di testa. 

Non so quanto tempo dopo sentii due mani afferrare le mie braccia. Sollevai il viso e vidi quello di Eren. Era un misto tra l’irritazione e la preoccupazione. 

“Tu devi essere impazzito. Ti riporto alla clinica”, disse scocciato e mi aiutò ad  alzarmi. Camminammo verso l’auto e sospirai per il calore presente all’interno. Poi realizzai cosa mi avesse detto. 

“No!”, esclamai a voce troppo alta e scossi la testa, avvertendo altri capogiri.

“Non posso andare lì.” 

Guardai Eren che mi sembrava esasperato, e sperai che mi ascoltasse. Lo fece. Guidò in silenzio verso il nostro quartiere e si fermò davanti a casa sua. 

Anche stavolta mi aiutò a camminare, avvolgendo un braccio attorno ai miei fianchi. Sentii stranamente un piccolo brivido per quel contatto. 

Mi intimò di stare in silenzio ed entrammo in casa, raggiungendo infine la sua camera in cui non entravo da anni. Però ero troppo malridotto per pensarci. 

Mi fece stendere sul letto e sentii la testa farmi ancora più male. Però ricordai anche il suo consiglio e mi misi seduto. 

“Ah, giusto, te lo avevo detto io”, borbottò grattandosi la nuca e dal suo sguardo capii che volesse sovrastarmi di domande. Però si trattenne. 

“Mi lavo il viso”, sussurrai stancamente. L’effetto dell’alcol stava lentamente svanendo. Non ero totalmente ubriaco ma ero anche oltre all’essere brillo. 

Raggiunsi il suo bagno e mi chiusi dentro, iniziando a lavarmi il viso con acqua fredda. Passai le dita bagnate fra i miei capelli scuri e mi sentii un po’ meglio. 

Tornai nella camera e provai a stendermi, sentendo un po’ meno capogiri. Mi tolsi le scarpe e mi rannicchiai sulle coperte calde, avvertendo l’odore familiare di Eren su di esse. Mi tranquillizzò e immaginai di avere nuovamente dodici anni. 

Il ragazzo non era nella sua stanza e ci ritornò tenendo fra le mani un bicchiere d’acqua fresca da cui bevvi prima di sistemarmi nella posizione di prima. 

“Perché mi hai chiamato?”, chiese stancamente, “dopo tutto quello che mi hai detto.” 

“Ero arrabbiato,” mormorai, non riuscendo a provare altro che non fosse rammarico. Questo era il lato negativo dell’alcol. 

“Non ti ho fatto niente.” 

“Con me stesso ed è meglio che tu mi stia lontano. Faccio una marea di danni”, sussurrai avvolgendo le mie gambe con le braccia. Eren mi guardava e non era più scocciato. 

I suoi grandi occhi verdi erano confusi e allo stesso tempo sofferenti. Ed era colpa mia. 

“Sei un idiota e dovrei odiarti, invece tengo fottuttamente tanto a te”, si lasciò sfuggire e per un attimo credetti che i suoi occhi fossero lucidi. 

“Non dovresti.” 

“Lo so che non dovrei, cazzo”, sbottò, passandosi furiosamente una mano fra i capelli. Rabbrividii. 

“Non riesco a controllare questa maledetta rabbia e litigheremo ancora e starai di nuovo male”, provai ancora una volta ad allontanarlo. 

“Lo so.” 

Aggrottai la fronte e lui riprese il discorso. 

“So come sei, Levi. E so anche come reagisci e non ho idea di come aiutarti, è questa la verità. So anche che odi quando la gente si preoccupa per te o ti tratta come se fossi di vetro. Però eravamo migliori amici, cazzo, non posso scordare l’affetto che provavo per te! So anche che starò di nuovo male e sai cosa? Non mi interessa perché le cose non possono essere perfette. Anche se non dovrei per niente starti vicino io lo voglio fare comunque. Non ti tratterò come se fossi fatto di fottuto cristallo e mi incazzerò quando mi insulterai, ma mi preoccuperò comunque per te.” 

Il suo discorso mi lasciò senza parole e non seppi cosa dire. Sentii un forte senso di colpa formarsi nel mio petto ed ero tentato di reagire con rabbia, magari gridare e andarmene via ma cercai di trattenermi. 

Le sue parole mi avevano fatto piacere, mi avevano fatto sentire un po’ meglio. E io non stavo un po’ meglio da giorni. 

“Okay”, dissi semplicemente e lo vidi sorridere. 

Ci stavamo dando una seconda possibilità.

 

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Capitolo 9
*** Sweet breakfast ***


Los Angeles- 18 dicembre 2019 

Eren

Mi svegliai per colpa della suoneria della sveglia, impostata sul mio telefono. Mossi la mano alla mia destra, credendo di trovare il comodino ma tastai solo aria. Aprii gli occhi, sentendomi confuso, e iniziai a ricordare cosa fosse successo la notte prima. 

Mi trovavo sul divano e con una misera coperta avvolta attorno alle mie gambe. Il mio letto era occupato da un’altra figura che continuava a dormire come se niente fosse. 

Il rumore della sveglia mi stava letteralmente facendo impazzire e mi dovetti alzare per spegnerla. Poi portai lo sguardo su Levi. 

Mi dava le spalle e aveva il lenzuolo quasi fino al naso mentre i suoi capelli neri erano arruffati. 

Rilasciai un sospiro e mi allontanai per andare in bagno, chiudendo la porta della camera dietro di me. Sentii mia madre urlare dalla cucina e iniziai a pensare ad una scusa per non dover andare a scuola. 

Il riflesso spaventoso del mio viso, con gli occhi gonfi per la stanchezza e un’espressione terribile, sarebbe stato un ottimo alibi. Scesi al piano di sotto e trovai mia madre che beveva un caffè, poggiata al bancone con i fianchi. 

“Buongiorno”, borbottai, forzando la mia voce per farle assumere un tono più stanco di quanto fosse in realtà. 

“Ma hai dormito?”, mi chiese lei, guardandomi preoccupata. Fece un passo verso di me, studiando il mio viso con attenzione. 

Scossi la testa e finsi uno sbadiglio, schiudendo leggermente le mie labbra. 

“Sono stato male durante la notte, potrei rimanere a casa?”, chiesi infine. 

Lei mi osservò dubbiosa e poi annuì con un sospiro. Una parte di lei stava sicuramente pensando che semplicemente non avessi voglia di andare a scuola. Però non era del tutto falso che non avessi dormito. Ero tornato a casa con Levi alle tre e mezza e avevo passato almeno un’altra ora con l’ansia che potesse stare male. 

Quando tornai in camera Levi si stava stropicciando gli occhi con le mani, seduto sul letto. Poi portò lo sguardo su di me e notai che anche lui non fosse nelle migliori condizioni. 

“Buongiorno”, mormorai, sentendomi leggermente in imbarazzo dopo ciò che ci eravamo detti il giorno prima. 

“Giorno”, rispose lui e si passò una mano fra i capelli neri, portando la frangia all’indietro. Era così strano vederlo sul mio letto, con una mia maglietta. Come quando eravamo ragazzini. 

“Potrei farmi una doccia?”, chiese poco dopo, la voce ancora roca per il sonno. Sentirla mi fece rabbrividire inspiegabilmente. 

“Si, certo. Posso prestarti dei vestiti”, mi riscossi e cercai qualcosa da fargli mettere, trovando dei pantaloni di una tuta che mi andava un po’ stretta e una maglietta qualunque a maniche corte, “comunque ho pensato che non ti andava di andare a scuola e potrei farti compagnia. Mi sono inventato una scusa con mia mamma e fra poco andrà a lavoro.”

Gli porsi i vestiti che lui prese prima di alzarsi da letto. La mia maglietta gli stava abbastanza lunga e, al vederlo, accennai un sorriso. 

“Non voglio tornare al centro, non subito”, ammise lui, guardandomi in modo diverso dal solito. Il suo solito sguardo freddo era come se si fosse sciolto e apprezzai le emozioni che riuscii a leggere in esso. Per una volta, dopo settimane, non sembrava arrabbiato e infastidito da tutto. 

“Vai a lavarti, penserò a qualcosa da fare”, proposi, sperando che accettasse di passare del tempo con me. Presi il suo silenzio per una risposta affermativa. 

Mentre si trovava in bagno ne approfittai per vestirmi, togliendomi il pigiama per mettere dei pantaloni neri e una maglietta. Sopra di essa infilai una felpa e poi sistemai il mio letto, piegando bene le coperte stropicciate. 

Non ero mai stato molto ordinato ma non sopportavo di vedere il letto sfatto. Mi sedetti sopra e presi il telefono, cercando qualche bar sulla spiaggia dove poter fare colazione. A Los Angeles c’erano una marea di locali interessanti e con mille tipologie di cibo. Avevo un’ampia scelta ma optai per qualcosa di tipicamente americano e salvai l’indirizzo per dopo. 

“Magari hanno già avvertito Kenny e fra poco busserà qui”, disse Levi, entrando nuovamente in camera con i capelli umidi e i miei vestiti addosso. 

Osservai il suo corpo minuto avvolto da quegli abiti familiari e cercai di trattenere l’ennesimo sorriso di quella mattina. Ero felice di vederlo in camera mia, nonostante le circostanze. 

“Per questo usciremo e spegneremo il telefono”, dissi con convinzione e mi alzai dal letto per finire di prepararmi, andando anche in bagno per essere più decente. 

Uscimmo una quindicina di minuti dopo, sicuri che i miei fossero già a lavoro e anche Mikasa. Guidai verso la spiaggia di Los Angeles, incontrando del traffico nonostante fossimo in pieno inverno. 

Dovetti percorrere lentamente la strada principale e ogni tanto lanciai delle occhiate verso Levi, studiando le sue espressioni per capire come stesse. 

Mi sembrava tranquillo, non esattamente felice o sereno, ma non era arrabbiato. Guardava fuori dal finestrino e ogni tanto chiudeva gli occhi, forse per la stanchezza. 

“Postumi?”, chiesi, per parlare di qualcosa. 

“Abbastanza”, mormorò, portando lo sguardo su di me. Continuai a guidare fino a raggiungere il bar sulla spiaggia che avevo cercato poco fa. Era un posto nella norma e per questo trovai parcheggio in tempi rapidi. Spensi il motore e scesi assieme a Levi che stava iniziando a osservare il piccolo bar davanti a noi. 

Poche persone sostavano al suo interno e mi accomodai in uno dei posti che trovai carini, dove la vetrata dava sulla spiaggia. 

Levi si trovava davanti a me, appoggiato al divanetto rosso, rovinato in alcuni punti dove si poteva vedere l’imbottitura, e guardava il menù presente sul ripiano in compensato. 

“Hai bisogno di mangiare qualcosa di grasso”, dissi al ragazzo davanti a me, curvando le mie labbra in un sorriso. Era bello fare colazione al bar e non andare a scuola. 

“Prenderò dei pancake”, rispose il ragazzo, alzando lo sguardo su di me. Sembrava abbastanza tranquillo nonostante le poche ore di sonno che avevamo avuto. 

La signora che lavorava come cameriera si avvicinò a noi, tenendo fra le mani una caraffa di caffè con cui riempì i nostri bicchieri. Poi prese gli ordini, segnandoli su un taccuino malmesso. Io presi dei waffles. 

Quando fummo nuovamente da soli decisi di capire meglio la situazione tra di noi. 

“Non hai ancora risposto alla domanda di ieri: perché mi hai chiamato?”

Levi mi guardò e si lasciò sfuggire un sospiro, ormai aveva poco senso rispondermi con rabbia. Non dopo che gli avevo permesso di poter stare a casa mia. 

“Non sapevo chi chiamare e dove andare”, ammise, afferrando la tazza di caffè per bere un sorso. 

“I tuoi amici?”

“Non credo di averne, non dopo aver fatto lo stronzo.” 

Alzai le spalle, cercando di non dire la mia opinione. Ero sicuro che i suoi amici aspettavano solamente il momento in cui Levi si sarebbe aperto con loro. 

“Le cose si possono sistemare”, mormorai lentamente e tentennando. Lo sguardo che mi lanciò Levi mi fece pentire della mia frase. 

“È tutto rovinato. Non riesco a rimettere le cose a posto, non ci riesco.”

Il suo tono disperato mi rattristì e camuffai la mia espressione prendendo la mia tazza da cui bevvi il caffè. 

“Con me ce la stai facendo”, provai una seconda volta. Ero ancora scocciato per come mi trattava in modi diversi a seconda dei giorni. Ma stavo cercando di lasciar perdere perché non dipendeva totalmente da lui. 

“Eren, rovinerò ancora le cose. L’ho fatto quattro anni fa quando mia madre era ancora viva e non stavo così male”, mi rispose. Le sue parole mi diedero da pensare, facendomi ricordare il dolore che avevo provato nell’abituarmi a stare senza il mio migliore amico. Però era tornato da me e stavolta volevo fare l’egoista e tenermelo stretto. 

“Non ti farò più allontanare da me”, confessai con decisione, mandando via l’imbarazzo che quella frase possessiva mi provocò. Levi dischiuse le labbra con sorpresa e poi si lasciò sfuggire una risatina breve. 

Il suono mi fece sorridere senza neanche accorgermene. 

“Conosco bene il tuo lato testardo e... possessivo”, disse, pronunciando l’ultima parola a voce più bassa, facendomi rabbrividire. Non capivo le reazioni del mio corpo quando Levi faceva o diceva certe cose. Pensavo di aver superato tutto ciò. 

La cameriera interruppe la nostra conversazione, poggiando sul tavolo i due piatti colmi di cibo. Il mio stomaco brontolò davanti a quella visione accompagnata da un profumo delizioso. 

Iniziammo a mangiare, senza dirci altro perché troppo concentrati a riempire i nostri stomaci. 

Io spazzolai il mio piatto mentre Levi lasciò qualche boccone su di esso. 

“Mi dispiace, comunque, di aver fatto lo stronzo lunedì”, mi disse il ragazzo, muovendo la forchetta sul piatto per giocare con un pezzo di pancake. 

“Tutta questa rabbia mi sta uccidendo e mi dice di ferire gli altri perché non è giusto che solo io debba stare così. Poi me ne pento ma l’orgoglio mi impedisce di chiedere scusa. È un fottuto circolo vizioso che non riesco a bloccare.” 

Il fiume di parole di Levi mi prese di sorpresa e cercai qualcosa da dire ma lui continuò. 

“Tutto ciò che posso fare è incazzarmi con il mondo, come se questo potesse farmi stare meglio. Come se l’universo potesse ridarmi mia madre se gli faccio vedere quanto sono infuriato. E poi c’è mio zio che non fa altro che ricordarmela e provare pena per me. Il suo tono accondiscendente, lo odio da morire e per questo non facevo altro che insultarlo finché l’unica soluzione che ho trovato era andarmene.”

Continuava a parlare, mostrandomi una serie di emozioni che avevo visto leggermente o che erano totalmente nascoste. Era disperato, esausto, stanco, triste, esasperato. Sembrava essere sul punto di scoppiare. 

“E sono arrabbiato con me stesso per aver fatto un casino enorme e ora sto approfittando di te. Sono un stronzo, dovrei sparire per sempre.”

Levi era sempre stato di poche parole e ora mi stava sommergendo con sentimenti, frasi a cui non sapevo come reagire. 

Rimase in silenzio, tremando leggermente e con gli occhi lucidi. Mi sentii improvvisamente triste. 

“Levi”, dissi semplicemente e con un tono calmo, guardando le sue dita pallide che tremavano. Mi alzai in piedi e mi misi al suo fianco, lui mi fece spazio, muovendosi come se una forza esterna lo stesse costringendo. 

“Levi, andrà tutto bene”, sussurrai e poggiai una mano su una spalla, facendola scorrere verso la sua nuca dove accarezzai i capelli molto corti. Si irrigidì per poco prima di rilassarsi, smettendo di tremare. 

Mi guardò e chinò il viso, facendolo finire nell’incavo del mio collo. 

“Io ci sono e se tu dovessi sparire, io sparirei con te”, mormorai ancora, cullandolo con il tono della mia voce. Era come se il mio corpo sapesse come farlo rilassare, dicevo semplicemente quello che passava per la mia testa senza ragionarci troppo o provare imbarazzo. Stava funzionando, era questo l’importante. 

“Vorrei fosse tutto come prima”, sussurrò Levi, chiudendo i suoi occhi mentre si lasciava andare sotto al mio tocco. Le mie dita si muovevano fra i suoi capelli setosi.

“Te lo avevo già detto ma ti giuro che se potessi manderei via il tuo dolore”, mormorai, ignorando gli sguardi di altri clienti su di noi. Magari pensavo fossimo una coppia però non me ne importava nulla. Levi era ciò che contava, da sempre e per sempre. Quanto ero stupido a pensare di averla superata. Era facile pensarlo quando lui mi ignorava. Poi mi aveva parlato dopo anni, mi aveva mostrato la sua sofferenza, mi aveva sorriso, era stato con me per ore fuori dalla scuola e il rancore era scomparso. 

“Non mi aiuteranno in quel posto, quelle terapie di gruppo sono inutili se continuo a comportarmi così”, mormorò. Sospirai e continuai ad accarezzare la sua nuca. 

“Forse potresti provare con uno psicologo privato”, gli dissi, cercando di trovare una soluzione. 

“Ci penserò e proverò a smetterla di arrabbiarmi così tanto, almeno con te”, mormorò stancamente. Tutte quelle emozioni che erano venute a galla dovevano averlo scosso notevolmente. Mi scostai dal suo corpo e andai a pagare prima di uscire assieme a lui dal bar. 

Tenevo una sua mano con delicatezza e ripensai alla festa in cui lo avevo seguito per capire le sue intenzioni. Anche li lo avevo portato via per proteggerlo dal mondo che con lui era sempre stato crudele. 

Ci sedemmo sulla sabbia fresca della baia e guardammo le grandi che onde che si infrangevano sulla riva, cullati dal loro rumore piacevole. 

“Toglimi una curiosità, per cosa sei finito in punizione?”, domandai all’improvviso ora che la nostra conversazione si era alleggerita. 

Levi fissava la distesa azzurra dell’oceano e schiude le labbra per iniziare a parlare. 

“Ho preso a calci un bidone”, raccontò senza distogliere lo sguardo dal mare. A giudicare dal tono capii che la stesse prendendo con ironia nonostante il gesto dovesse essere stato frutto della sua rabbia. Mi lasciai sfuggire una risatina e scossi leggermente la testa. 

“Povero bidone”, commentai ironicamente. Levi sorrise per pochi secondi, portando il mio battito a un ritmo più elevato. Ogni suo sorriso era una vittoria per me. 

“Se l’è cavata dato che è ancora all’entrata della scuola.”

Ridacchiai nuovamente, apprezzando quello scambio di battute leggere. Per un attimo potevamo dimenticare gli enormi problemi della vita. 

Restammo in silenzio per goderci il rumore piacevole delle vacanze onde mentre il sole del mattino scaldava la nostra pelle dove non era coperta. Era uno dei migliori momenti dell’ultimo mese e volevo ricordarne le sensazioni per sempre. 

“Dovrei ritornare al centro prima che avvertano la polizia.”

Levi mi riportò brutalmente alla realtà. Aveva ragione e per questo annuii. 

“Te la caverai?”, chiesi, alzandomi con lui dalla sabbia per poi togliere i granelli dai miei vestiti. 

“Ci proverò. Se dovessero rinchiudermi ti manderò un codice morse.”

“Ahi, sapevo che avrei dovuto diventare un boy-scout come volevano i miei”, dissi ridacchiando e assieme ci avviammo verso la mia vecchia auto. Salimmo a bordo e andai verso il quartiere dove si trovava il centro, facendomi aiutare da Levi dato che non avevo un forte senso dell’orientamento. 

Mi fermai davanti all’edificio che già conoscevo e mi voltai verso Levi. Non era arrabbiato ma un’espressione scocciata era presente sul suo volto, facendo indurire i suoi lineamenti. 

“Ti va se ti accompagno io a scuola, domani? Giusto per sapere se sei ancora vivo”, proposi timidamente. Levi addolcì la sua espressione e annuì per poi scendere dall’auto. 

“Grazie, Eren”, soffiò a bassa voce e io sorrisi. Ci guardammo per qualche istante e poi mi voltò le spalle, camminando verso l’entrata. 
 

**********


Rientrai a casa poco prima dell’ora di pranzo, sapendo bene l’orario esatto in cui sarebbero rientrati i miei genitori. Raggiunsi la mia camera e decisi di mettere in ordine, lavando anche i vestiti di Levi così glieli avrei resi il giorno dopo. 

Mi sdraiai sul letto, mettendo della musica, e mi rilassai, canticchiando qualche parola della canzone che stava trasmettendo il mio computer. Il volume non era troppo alto così riuscii a sentire la porta di casa che si apriva e poi chiudeva. 

Mi alzai dal materasso e scesi al piano di sotto, incontrando mia sorella che si stava sfilando il blazer nero. Sembrava molto stanca. 

“Avevo il turno di notte”, mi disse dopo aver notato la mia espressione confusa. 

“Ah, giusto, mangi con me?”, chiesi, raggiungendo l’angolo cottura di casa nostra. Tirai fuori dal frigo i resti della sera prima e li poggiai sul tavolo. 

“Tu perché sei a casa?”, domandò Mikasa, fissandomi con i suoi occhi scuri. Si sedette davanti a me sul tavolo e prese una forchetta per iniziare a mangiare. 

“Ero con Levi. Ha dormito qui e non se la sentiva di andare a scuola”, raccontai, sapendo bene di non poter nascondere nulla a mia sorella. Ci eravamo sempre detti tutto anche quando lei voleva proteggermi a tutti i costi. Crescendo, però, la sua presa si era allentata e mi faceva più piacere raccontarle i miei segreti. 

“Deduco che non gli piaccia parecchio quel centro.”

Mikasa sapeva anche di dove si trovasse Levi. In effetti, tutta la mia famiglia lo sapeva. 

“Già, vorrei fare qualcosa per aiut-“, mi bloccai e sgranai gli occhi, avendo trovato l’idea del secolo. Mikasa iniziò a scuotere la testa, sapendo dove stessi andando a parare. 

“No, no, no. Non sono ancora così esperta, potrei fare qualche danno.”

“Tu sei perfetta, invece, perché lo conosci. Puoi aiutarlo!”, esclamai con entusiasmo. 

Mikasa sospirò e riprese a mangiare, non avendo voglia di iniziare una discussione con me. Sapeva quanto potessi essere testardo. 

“Domani gli accennerò la cosa. Sarebbe così bello sistemare tutto”, sospirai, prendendo la mia forchetta per mangiare. 

“Ti stai immischiando troppo, lo sai?”

“Lo so ma ci tengo, Mikasa, è come se non fossero passati gli ultimi quattro anni.”

Mia sorella mi guardò con attenzione e preoccupazione ma lasciò perdere e continuammo a mangiare, parlando d’altro.

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Capitolo 10
*** Mikasa ***


19 dicembre 2019

Eren


Stavo percorrendo la strada che mi avrebbe portato al centro d’aiuto psicologico dove si trovava Levi, e ogni tanto prendevo il bicchiere di caffè americano che avevo poggiato vicino al cambio. Mi ero svegliato molto prima del solito ed ero passato da Starbucks per prendere qualcosa da mangiare, anche per Levi. 

Sbadigliai e sperai che la caffeina iniziasse a fare effetto mentre raggiungevo il grande edificio. Mi fermai e puntai lo sguardo sull’entrata, notando la figura minuta vicino alle porte. Levi era poggiato al muro e aveva il cappuccio sulla testa mentre sfregava le mani fra di loro, di mattina c’era sempre un vento così fresco da risultare fastidioso. 

Il ragazzo mi notò e camminò verso la mia auto, aprì la portiera del passeggero e si sedette sul sedile rovinato. A quel punto si tolse il cappuccio, mostrandomi la zazzera di capelli scuri e sempre perfetti. 

“Buongiorno, c’è del caffè e una ciambella”, dissi, indicando con un cenno la busta di carta poggiata sul cruscotto dell’auto. Levi la prese e tirò fuori la ciambella a cui diede un morso. 

“Il caffè?”, mi chiese dopo che misi in moto, pronto per andare verso la nostra scuola. Gli indicai il bicchiere al mio fianco, lo stesso da cui stavo bevendo poco prima. 

Lo prese fra le dita e bevve un lungo sorso, facendomi capire che anche lui non fosse del tutto sveglio. Aveva sempre le occhiaie attorno ai suoi bei occhi, nonostante fossero migliorate. 

Continuò a mangiare la ciambella e a bere un po’ dal bicchiere prima di porgermelo dopo un mio sbadiglio piuttosto lungo. 

“Sembri distrutto”, commentò alzando un sopracciglio. Bevvi il caffè e lasciai il  bicchiere vicino al cambio delle marce, ormai era vuoto. 

“Mi sono svegliato un’ora prima del solito, tutto qui”, risposi, osservando la strada e accorgendomi che la caffeina stesse finalmente entrando in circolo. Mi sentivo più attento ma rimanere sveglio grazie al caffè non era comunque piacevole. “Tu stai dormendo meglio?”, domandai, lanciando un’occhiata al ragazzo al mio fianco. 

“Un po', però dormo poco.”

“Che ti hanno detto per ieri?”

“Erano abbastanza incazzati quindi non posso uscire se non per andare a scuola. Kenny non mi ha neanche rimproverato, continua a trattarmi come una fottuta bambola”, borbottò nervoso, giocando con un lembo della sua felpa. Mi accorsi come il suo umore stesse peggiorando nel ricordare le vicende del giorno prima. 

“Accidenti, sei proprio in un carcere”, provai a prenderla sul ridere. 

Levi sbuffò sonoramente e quasi sorrisi. Era meglio che dimostrasse le sue emozioni invece di tenerle dentro fino a scoppiare. 

“Sarei potuto andare direttamente da te invece che in quel locale del cazzo”, mormorò, cogliendomi totalmente impreparato. 

Mi ero abituato a un Levi freddo e arrabbiato. A un Levi che neanche mi guardava. Era strano sentirlo dire di voler passare più tempo con me. Il mio battito accelerò fastidiosamente. 

“Chi ti ha portato?”, domandai velocemente per far smettere il mio corpo di reagire in modo imbarazzante. 

“Un tipo che ho conosciuto nel centro.” 

La rivelazione bloccò il mio battito e sentii una punta di gelosia. La mia mente proiettò una serie di immagini nella mia testa dove i protagonisti eravamo io e Levi che ballavamo a una festa. Piuttosto vicini e accaldati. 

“Che ti prende?”, mi riscosse il ragazzo, fissandomi con un’espressione confusa e scocciata allo stesso tempo. 

“S-sto bene”, borbottai, ignorando il calore sulle mie guance. 

“Non preoccuparti, è uno okay, sono io che non riuscivo a divertirmi.” 

Annuii, grato che avesse collegato il mio cambio d’umore alla preoccupazione e non ad altro. 

Raggiunsi il vecchio edificio del nostro liceo e mi parcheggiai davanti prima di scendere dall’auto. Tenni lo zaino su una spalla e aspettai Levi prima di camminare verso l’entrata. 

La sua presenza attirò numerosi sguardi su di noi, lungo il corridoio, e provocò battutine e chiacchiere. Mi sentivo un po’ a disagio ma ero anche contento che finalmente notassero il mio legame con Levi. 

Il gruppo di teatro ci fissò sorpreso e Jean, in particolare, mi dedicò un’occhiata terrificante a cui risposi con un sorriso. Sapevo di essere infantile ma non me ne fregava nulla al momento. 

Invece Marco era rilassato e mi fece cenno di parlargli più tardi. Era come il fottuto angelo custode di Levi. Purtroppo era merito suo se ero riuscito a riavvicinarmi a lui. 

“Ho lezione qui”, si bloccò il mio amico, afferrando un mio braccio per non farmi allontanare. Mi voltai e abbassai lo sguardo su di lui, annuendo. 

“Ci vediamo davanti alla mia auto”, gli dissi e lui scosse la testa. 

“E per pranzo?”

“Non credi di dover parlare con il gruppo di teatro?”

“Non oggi.” 

Mi morsi il labbro inferiore e alla fine accettai di vederci anche per pranzo. Avrebbe potuto mangiare con me ed Armin. Aveva fatto molti passi avanti con me, parlando di ciò che provava, e mi sembrava giusto aspettare ancora un po’ per parlarne con il gruppo di teatro. 

Lo salutai e mi diressi verso la mia aula, passando nuovamente vicino a Marco. Mi guardò intensamente e capii di dover parlare con lui, così mi avvicinai. 

C’era solo lui senza il resto del gruppo. 

“Come sta?”, chiese senza giri di parole. 

“Meglio, credo che tra non molto riuscirà a parlarvi, dategli del tempo.”

“Lo stiamo facendo. Comunque grazie, Eren.”

Accennai un sorriso e scrollai le spalle. Fortunatamente suonò la campanella e potei allontanarmi senza inventarmi qualche scusa per terminare la conversazione. 
 

**********


Era stato strano pranzare con Armin da un lato e Levi dall’altro. Il mio amico biondo cercava di parlargli ma l’altro si limitava ad annuire o a rispondere brevemente, mantenendo un’espressione distaccata. Io osservavo la scena cercando di non ridere per quanto fosse buffo quel momento. 

Molti puntavano lo sguardo sul nostro tavolo ma non mi interessava, ero contento che Levi volesse passare del tempo con me davanti a tutti. 

Il resto della giornata era passata tranquillamente e dopo l’ultima campanella uscii dall’aula per andare verso l’uscita. 

Levi mi affiancò e oltrepassammo assieme le porte della scuola, incontrando il professore Erwin che ci dedicò uno sguardo soddisfatto. 

“Quell’uomo non aspettava altro che vederci assieme”, commentai dopo aver sorriso con uno sforzo al professore. 

Levi aggrottò la fronte prima di rispondere, “ha parlato più volte con Kenny e anche con me.” 

Raggiungemmo la mia auto e salii a bordo, sedendomi nel posto di guida. Misi lo zaino dietro e Levi mi imitò dopo essersi seduto. 

“È fin troppo interessato a te”, mi lasciai sfuggire e arrossii dopo essermi accorto di cosa avevo detto. Guardai Levi per vedere la sua reazione e notai un sorrisetto sulle sue labbra delicate. 

“Geloso?”, commentò, alzando un sopracciglio sottile. Se possibile diventai ancora più rosso e scossi velocemente la testa. 

“Mi preoccupo per te”, borbottai e infilai le chiavi al loro posto. Le girai e misi in moto, allontanandomi da quell’odioso posto. 

Levi rise al mio fianco e io sorrisi contento, contento di sentire quel suono uscire dalle sue labbra. Mi sentivo emozionato e al posto giusto. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre. 

Proseguii sulla strada e impiegai un po’ di tempo per arrivare al centro dove alloggiava il ragazzo. Mi fermai davanti e spensi il motore, toccando un braccio di Levi per non farlo scappare: dovevo parlargli di Mikasa. 

“Che c’è?”, chiese confuso, bloccandosi sul sedile. 

“Mi hai detto che non ti aiutano in questo posto...”, iniziai il mio discorso, cercando di usare le parole giuste per non turbarlo. Lui aggrottò la fronte senza dire nulla così continuai. 

“Mia sorella Mikasa sta facendo il tirocinio in ospedale, si è specializzata da poco come psichiatra e potrebbe aiutarti. Lei ti conosce, potrebbe funzionare”, spiegai senza perdermi troppo nei giri di parole. 

Levi iniziò ad irritarsi e prese velocemente il proprio zaino, stringendolo fra le dita. 

“Eren, lo sai quanto odio far pena alla gente. Perché cazzo ne hai parlato con lei?”, domandò con il tono carico di nervoso. Mi morsi il labbro inferiore, sentendo di aver fatto un bel disastro. Ero davvero bravo a fare stupidaggini senza pensarci due volte. 

“Non le fai pena e poi gliel’ho chiesto io, voglio aiutarti!”, brontolai, gesticolando animatamente. 

“Non dovevi, cazzo. Non dovevi metterti in mezzo. Non puoi scegliere da parte mia!”, esclamò e afferrò la portiera, aprendola per uscire dalla vettura. 

“Devi smetterla di cercare in tutti i modi di aiutarmi. Andava bene starmi vicino, l’ho permesso a te e nessun altro ma non puoi prendere queste decisioni”, sbottò ancora e io non dissi nulla. Stava parlando quella rabbia cieca che prendeva possesso di lui fin troppe volte, non aveva senso rispondere. Lo avrei lasciato sbollire e in un momento di tranquillità avrebbe ponderato la decisione. 

“Okay, mi dispiace”, mormorai sinceramente perché non volevo farlo innervosire e non volevo neanche prendere decisioni da parte sua. 

“Okay”, disse con tono più calmo e capii che si stesse sforzando di non lasciar parlare la rabbia. Mi voltò le spalle e andò verso il centro, passandosi nervosamente una mano fra i capelli scuri. Rilasciai un sospiro e sperai che le cose tornassero al loro posto in fretta. Speravo anche che accettasse la mia proposta. 

 

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Capitolo 11
*** Crush ***


21 dicembre 2019

Eren


Mi svegliai abbastanza tardi quel sabato, sentendo le urla di mia madre provenire dal piano di sotto. Mi passai una mano sugli occhi e iniziai a mettere a fuoco la mia stanza. 

La luce del sole filtrava dalle tende e illuminava la camera con un po’ troppa decisione, facendomi sospettare che non fosse più mattina. 

A un certo punto la porta si spalancò, mostrando una figura sull’uscio: Mikasa. 

“Alla buon ora”, borbottò scocciata, fissandomi senza muovere un passo e con le braccia incrociate sul petto. Ero ancora troppo intontito dal sonno per riuscire a dire qualcosa di sensato. 

“Il pranzo è pronto, quindi vedi di alzarti e scendere in meno di cinque minuti”, mi minacciò prima di voltarmi le spalle e sparire dalla mia vista. Afferrai il telefono e la prima cosa che notai fu l’orario. Sotto di esso trovai una sfilza di messaggi, la maggior parte provenivano dai miei amici del venerdì sera. Altri erano di Ymir che mi chiedeva informazioni su Historia. Il giorno prima era venuta anche lei e le due sembravano essere state risucchiate da un mondo tutto loro. 

Poi c’erano due chiamate di mia madre e infine svettava il nome di Levi. Dato che non me lo aspettavo lessi immediatamente i due messaggi: nel primo mi chiedeva scusa e nel secondo mi chiedeva di andare a trovarlo di sabato. I messaggi risalivano alle undici del giorno prima. 

Sorrisi e gli risposi, dicendogli che sarei passato dopo pranzo. Era il miglior risveglio che avevo avuto nell’ultimo periodo. 

Mi sentivo di buon umore e il mio sorriso iniziò a contagiare tutta la mia famiglia, anche quel burbero di mio padre. Mikasa mi guardava come se conoscesse benissimo il motivo e sapevo che, al mio rientro, mi avrebbe fatto qualche domanda. 

“Dove vai?”, mi chiese nostra madre mentre raggiungevo la porta di casa. 

“Da Levi”, risposi velocemente, trovando stupido nasconderglielo. Le avrebbe fatto sicuramente piacere un nostro riavvicinamento e infatti mi sorrise contenta. “Lo sapevo che sareste tornati ad essere amici”, disse sinceramente felice e io alzai le spalle perché, in realtà, io non me lo aspettavo. 

“Okay, non ci starò a lungo, a dopo!”, esclamai prima di uscire, diretto alla mia auto. Lo sapevo di aver fatto bene a lasciargli il suo spazio dopo l’ultima discussione. Aveva anche avuto il coraggio di scusarsi! Era un grandissimo passo avanti e ne ero veramente felice. Il mio cuore non la smetteva di battere stupidamente e sentivo il desiderio di gridare la mia gioia. 

Guidai verso il centro dove alloggiava, rispettando poco la velocità consentita, e presi posto nel primo parcheggio libero. 

Entrai nell’edificio e raggiunsi la camera di Levi, trovandolo al suo interno, seduto sul letto. 

Chiusi la porta per avere un po’ di privacy e curvai le labbra in un sorriso timido, cercando di capire come fosse realmente il suo umore. 

“Mi hai fatto aspettare la risposta per tutta la mattina”, disse atono senza mostrare alcuna emozione. 

“Ah, scusa, mi sono svegliato tardi e ho risposto in quel momento.”

Levi assottigliò lo sguardo per poi alzare un sopracciglio, “ore piccole?”, chiese e io mi lasciai andare a un sorriso divertito. 

“Geloso?”, domandai ironicamente, ricordando quando mi aveva chiesto la stessa cosa ma a proposito di Erwin. Lui sbuffò, mascherando ogni sua possibile reazione con l’indifferenza. 

“No, idiota”, borbottò e si alzò in piedi. Prese una felpa senza zip e la infilò sulla maglietta leggera che stava indossando. Mise anche le scarpe e mi raggiunse, risultando notevolmente vicino al mio corpo. Era basso ma mi metteva in soggezione lo stesso. 

“Andiamo fuori, sto impazzendo qua dentro”, mi disse e io annuii, facendolo passare per primo dato che non avevo idea di dove volesse andare. Camminammo per il corridoio e raggiungemmo una porta dietro la quale c’erano delle scale. Le salimmo e ci ritrovammo sul letto dove qualche paziente stava fumando, appoggiato alla grata posta sui balconi che così risultavano più alti, per motivi di sicurezza suppongo. 

Levi incrociò lo sguardo di un ragazzo piuttosto alto e molto biondo che gli rivolse un sorriso e un cenno. 

“Allora esiste qualcuno che ti sopporta oltre me”, disse lo sconosciuto, facendo qualche passo verso di noi. 

Mi affiancai a Levi, sentendo l’esigenza di proteggerlo in questo modo. Non capivo perché sentivo questo sentimento di possessione nei suoi confronti. 

“È più il contrario”, disse il mio amico con fare scocciato. Nonostante il tono che aveva usato capii che fossero in confidenza dal modo in cui si guardavano. Provai del fastidio ma lo tenni per me. 

“Deve essere speciale se è venuto fin qua dentro”, commentò il biondo, portando uno sguardo curioso su di me. 

“Sono il suo migliore amico”, risposi senza pensarci due volte, come invece avrei dovuto fare. Levi non disse nulla ma capii che fosse rimasto sorpreso. L’altro ridacchiò, annuendo brevemente. 

“Ah, ecco”, disse come se volesse intendere qualcos’altro, facendomi innervosire ancora una volta. Quelle mie reazioni mi confondevano. 

“Beh, ci vediamo dopo, Levi”, disse il biondo per poi andare verso le scale. Io e il mio amico ci fermammo in un angolo dell’ampio balcone, dove non c’erano altri pazienti. 

Mi appoggiai alla grata, guardando davanti a me per scorgere il mare non troppo lontano. Invece, Levi premette la sua schiena contro di essa, dando le spalle al paesaggio del primo pomeriggio. 

“Migliore amico, uh?”, disse guardando davanti a se. 

“Mi è sfuggito”, borbottai, pieno di imbarazzo. 

“No, va bene.”

“Davvero?”, domandai sorpreso. Non sapevo più cosa ci fosse fra di noi oltre a questo riavvicinamento e non potevo nascondere di avere ancora molta paura di stare male. Inoltre questa gelosia che provavo non aveva una spiegazione logica. Era tutto piuttosto confuso nella mia testa. 

“Si, se a te va bene”, sussurrò Levi, evitando il mio sguardo. 

“Certo che mi va bene”, risposi con un po’ troppo entusiasmo. Il ragazzo sospirò e mi guardò, voltando il suo viso verso di me. 

“Non è ovvio, non dopo quello che ho fatto”, mi disse a bassa voce, evitando ancora una volta i miei sguardi. Rimasi in silenzio e pressai le mie labbra fra di loro, non riuscendo a dargli torto. Chiunque al mio posto non gli avrebbe dato una seconda possibilità. 

“Avevo paura di quello che provavi”, continuò dopo un po’, fissando la punta delle sue Nike consumate. I ricordi di quattro anni prima tornarono impetuosi nella mia testa: il modo in cui aveva smesso di cercarmi, di parlarmi, di guardarmi. 

“Non volevo spaventarti ma avevo bisogno di dirtelo, abbiamo sempre condiviso tutto e non potevo tenermi quel segreto per me. Non speravo in una relazione, volevo solo parlartene... anche io avevo paura”, mormorai sentendomi leggermente a disagio perché solo dire queste cose mi procurava imbarazzo e iniziavo a ricordare quei sentimenti che erano totalmente nuovi a quell’età. 

“Mi dispiace, Eren, avrei dovuto trovare una soluzione con te invece di far finta di nulla. Temevo di... perdere la nostra amicizia e mi sono allontanato. Alla fine l’ho rovinata io, non tu. Io... avevo paura dei tuoi sentimenti per me, non capivo e...”, si interruppe, arrossendo leggermente come se volesse dirmi altro ma non trovasse il coraggio. La mia cotta per lui lo aveva spaventato e basta o c’era altro sotto? 

“Ormai è successo, l’importante è il presente”, dissi con convinzione perché dentro di me sapevo di averlo perdonato da tempo nonostante avessi creduto di provare del rancore. Lo avevo capito quando avevo deciso di aiutarlo, dopo le parole di Marco. In quel momento avevo preso la consapevolezza che non lo odiavo ne volevo vendicarmi come pensavo. Lo avevo perdonato nonostante la sofferenza che avevo provato. E ora, il fatto che fosse davvero dispiaciuto, aveva mandato un po’ via la mia paura. 

“Non farò più l’errore di mandarti via, è stata la cazzata più grande che potessi fare”, ammise, sforzandosi di incrociare il mio sguardo per farmelo capire. Gli rivolsi un sorriso sincero e mi abbassai, poggiando la testa contro una sua spalla come quando eravamo piccoli. Era un po’ difficile farlo ora che le nostre altezze erano abbastanza diverse ma non mi importava se questo mi consentiva di sentirmi bene e al posto giusto. 

“Una stupida cotta ha mandato a quel paese la nostra amicizia di anni, è incredibile. Mi chiedo come potessi provare qualcosa per te”, dissi ridacchiando per prenderlo in giro. 

“Avrei una lista abbastanza lunga”, rispose, stando al mio gioco. Alzai gli occhi al cielo e gli diedi una gomitata in modo giocoso. Mi era mancato da morire essere così in confidenza con Levi. 

“Per fortuna non ci saranno più certi sentimenti a complicare le cose”, dissi poco dopo, sentendo un po’ di amaro in bocca per questa mia frase. Non capivo perché mi sentissi un bugiardo. 

“Ah, si...”, mormorò Levi, sembrando poco convinto ma entrambi lasciammo perdere. La nostra amicizia era troppo importante e ore che era stata ritrovata non dovevamo porci certi dubbi. Eppure sentivo che qualcosa mancava ed ero quasi sicuro che anche Levi avesse la stessa sensazione. 
 

**********


Levi mi aveva fatto un piccolo tour di quel posto e, alla fine, sotto mia insistenza, mi aveva parlato di Farlan, il ragazzo biondo di prima e lo stesso che lo aveva portato di nascosto a quel locale. Lo ringraziai segretamente per quel gesto, grazie al quale mi ero avvicinato ancora di più a Levi. 

Ora eravamo nuovamente in camera sua, sdraiati sul suo letto troppo piccolo per noi due. Potevo sentire il suo respiro e il calore della sua pelle attraverso i vestiti. I suoi capelli mi solleticavano il collo ma non poteva fregarmene di meno per via delle sensazioni piacevoli che stavo provando. 

“Ho deciso di andare da Mikasa per una terapia”, mormorò Levi, fissando il soffitto bianco su di noi. Accennai un sorriso e lo guardai, sentendomi soddisfatto di quella scelta. Ero sicuro che le cose sarebbero migliorate. 

“Ne sono felice”, ammisi e lui mi guardò con i suoi occhi chiari e normalmente freddi ma non stavolta. 

“Spero possa fare qualcosa per questa rabbia che provo. Riesco a trattenerla meglio ma quando ci riesco sento uscire altri sentimenti che odio provare”, mi disse, facendo sparire il mio sorriso. Non ero ancora abituato a vederlo così fragile ma sapevo che avrei dovuto essere forte anche da parte sua, era questo il compito di un amico. 

“È giusto provare altre cose, per quanto spiacevoli possano essere. Essere costantemente arrabbiato non ti fa bene.” 

“Neanche stare costantemente di merda”, borbottò con una punta di nervosismo. Dal suo sguardo capii che stesse trattenendo l’irritazione, non gli piaceva parlare di questo argomento. 

“Già però hai bisogno di tempo e sono sicuro che Mikasa potrà aiutarti, lei sa come sei e poi vi assomigliate un po’.”

Levi non disse nulla e chiuse gli occhi, abbandonandosi contro una mia spalla. Avvolsi un braccio attorno alle sue e rimanemmo così per un po’, godendoci l’uno la presenza dell’altro. 

Forse passarono ore o forse pochi minuti ma non mi importava perché mi sentivo felice, in pace e volevo trasmettere tutto ciò al ragazzo al mio fianco. Meritava di stare bene e tutto ciò che desideravo era mandare via il suo dolore ma non potevo fare una magia. Ci voleva del tempo e lui stava già facendo grandi passi avanti ed ero grato per questo.

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Capitolo 12
*** Birthday ***


Los Angeles- 23 dicembre 2019 

Levi 

Vedevo la vecchia auto di Eren davanti a me perciò pensai che fosse arrivato il momento di raggiungerla. Non mi andava molto di andare a scuola ma non potevo stare in camera, una delle prime regole era dare importanza all’istruzione. In ogni caso non potevano costringermi a studiare. 

Raggiunsi la macchina e salii, sistemandomi sul sedile del passeggero. La prima cosa che notai fu il sorriso luminoso di Eren per cui il mio cuore perse qualche battito. Sbuffai per quella mia reazione e il ragazzo mi guardò confuso. 

“Non ho voglia di andare a scuola”, mi lamentai, portando il mio sguardo fuori dal finestrino. Vidi le persone che andavano a lavoro, ragazzi che prendevano il pullman e commercianti che aprivano i negozi. Era strano pensare a quante vite diverse ci fossero nel mondo e mentre io soffrivo qualcun altro era felice. Il tempo scorreva inesorabile ma io mi sentivo come se si fosse fermato quel giorno. Come se la mia vita fosse in stand by. Con Eren riuscivo a respirare ma la mia vita era comunque ferma, bloccata. In un modo più piacevole ma lo era. Non pensavo al futuro, non studiavo per ottenere il diploma, non coltivavo la passione per la recitazione. Mi sentivo svuotato in quei momenti in cui non provavo rabbia. 

“Siamo a metà, ancora sei mesi e siamo liberi”, disse la voce allegra di Eren. Lo guardai, cercando di smettere di pensare a cose tristi che mi facevano venir voglia di chiudermi in una stanza per sempre. 

“Giusto”, dissi semplicemente e poi chiusi gli occhi, rilassandomi grazie alla vibrazione dell’auto mentre Eren guidava. Lo sapevo che ogni tanto portava il suo sguardo su di me ma lo ignorai per il momento finché la vettura non si fermò. 

Schiusi i miei occhi e vidi l’edificio che era la nostra scuola. 

“Ti avrei proposto di saltare le lezioni ma è l’ultimo giorno prima delle vacanze invernali”, disse Eren mentre scendevo dall'auto. Potevo sopportare qualche ora prima di due settimane senza scuola. 

Sistemai il mio zaino su una sola spalla e mi affiancai al ragazzo, camminando con lui verso l’entrata, sentendo sguardi curiosi su di me. Ero ancora l’argomento preferito dei miei compagni. 

Salimmo i gradini e notai Petra che mi fissava, interrompendo un discorso che stava avendo con Annie, una nostra amica. Non sapevo se ancora sperasse in una ripresa della nostra relazione ma io ero sicuro che non ci sarebbe stata. Il mio rapporto con lei aveva creato dei ricordi piacevoli ma sentivo che non sarebbe ritornata ad essere la mia ragazza, senza saperne il reale motivo, dopotutto lei era dolce e carina. 

Ricordai l’ultima volta in cui avevamo parlato, nella mia camera, dopo che lei aveva cercato di farmi dimenticare usando la scusa del sesso. Poi mi aveva guardato piena di compassione e mi ero sentito scoppiare di rabbia, iniziando a urlarle contro. Eren doveva aver visto la scena da quella finestra. 

Distolsi lo sguardo dalla ragazza e accelerai il passo per entrare in quel posto orribile, sperando di non dovermi scontrare con i miei amici. 

“Ci vediamo ad educazione fisica”, mi disse Eren dopo aver lanciato uno sguardo all’orologio appeso sulla parete. Annuii soprappensiero e mi voltai per andare verso l’aula dove si teneva la prima lezione. Percorsi il corridoio, sospirando di sollievo quando non attirai altri sguardi curiosi dalla mia parte. Raggiunsi la classe e trovai il professor Erwin vicino alla porta. Mi sorrise e capii che intenzioni avesse. 

“Buongiorno”, dissi senza nessun tono particolare nella mia voce. Avrei voluto scansarlo e sedermi in quella dannata aula e non parlare fino all’ultima ora. 

“Buongiorno, Levi”, disse con quel suo tono speranzoso. Mi bloccai davanti a lui, aspettando l’inizio del suo discorso. 

“Vedo che il rapporto con Eren Jaeger è migliorato, ne sono felice. Sembri stare un po’ meglio.”

Scrollai le spalle e giocai con la spalla del mio zaino. 

“Ero preoccupato per te, in realtà lo sono ancora e vorrei anche parlarti della tua situazione scolastica.”

Altri studenti ci superarono per entrare in classe. 

“Gliel’ho detto, non mi interessa lo studio”, sibilai freddamente, cercando di tenere a bada il nervoso che imperava dentro di me. 

“Lo so ma è un peccato mandare all’aria l’ultimo anno e posso aiutarti. Ne riparliamo dopo le vacanze però tu pensaci su e sono sempre disposto ad ascoltarti”, disse con gentilezza. Io annuii e capii che la conversazione fosse finita così entrai in aula e presi posto negli ultimi banchi. 

Los Angeles- 25 dicembre 2019

Una serie di trilli e poi la mia suoneria mi svegliarono bruscamente. Strofinai i miei occhi e misi a fuoco la stanza di cui avevo fatto l’abitudine. La suoneria stava ancora andando così presi il cellulare con poca grazia e risposi irritato, “che diavolo vuoi?”

“Taaaaanti auguri!”, esclamò la voce di Eren dall’altra parte e io alzai gli occhi al cielo. Odiavo il mio compleanno e doverlo festeggiare mi era sempre pesato, sopratutto quando mia madre cercava in tutti i modi di organizzare una festa. Una fitta di dolore si propagò nel mio petto al pensiero. 

“E buon natale!”, disse nuovamente il ragazzo, interrompendo i miei pensieri. 

“Lo so che hai qualche terribile idea per oggi”, borbottai ancora assonnato e di cattivo umore. Avrei preferito starmene a letto per tutto il giorno ed evitare i visi felici delle persone attorno a me. 

“Idea si, terribile no! Vestiti perché sto uscendo di casa ora. Porta un giubbotto”, disse soddisfatto prima di chiudere la chiamata, impedendomi di ribattere. Mi alzai dal letto e andai a cercare qualcosa da mettere, optando per un maglione blu e dei jeans semplici. Infilai calze e scarpe e mi infilai nel bagno per lavarmi il viso con acqua fresca. Mi sistemai i capelli e sospirai davanti al mio riflesso che mi rivolgeva uno sguardo deprimente. Portai due dita sugli angoli della mia bocca e forzai un sorriso per qualche istante prima di lasciar perdere. 

Presi il telefono e qualche banconota, mi infilai una giacca pesante ed uscii dalla camera. Sentivo lo stomaco farmi male per la fame e raggiunsi il refettorio dove iniziarono a sommergermi con degli auguri. Chi lavorava al centro sapeva dei compleanni dei pazienti e infatti una parte di loro mi aveva accolto con felicità. Sospirai e presi posto davanti alla mia colazione, resa più speciale per via del mio compleanno. Farlan si sedette alla mia destra. 

“Quanti?”, chiese divertito dalla mia espressione. Lui non mi guardava mai pietosamente, anzi adorava prendermi in giro. 

“Diciotto”, borbottai, tagliando un pezzo dei miei waffles. Lui rubò uno smarties presente su di essi.

“Sei un giovane ometto ora.”

Lo fulminai con lo sguardo e lui rise nuovamente per poi girarsi e guardare qualcosa dietro di noi. “Ah, ecco il tuo fid-amico”, rise, facendo di proposito quello sbaglio. Mi voltai e incrociai gli occhi grandi e verdi di Eren. Il suo sorriso genuino mandò via un po' del mio malumore. 

“Auguriiiiii”, disse Eren, avvicinandosi a me, passando una mano fra i miei capelli per scompigliarli. Il gesto mi avrebbe dato fastidio se fosse stato da parte di un altro ma stranamente mi fece piacere. 

“Dio, smettila, sarà la terza volta”, brontolai e ripresi a mangiare la mia colazione ma stavolta con più fretta per uscire da lì il prima possibile. 

Le persone del centro si erano allontanate per lasciarci un po' di privacy ma Farlan rimase seduto lì, non che mi dispiacesse. Mi ero avvicinato a lui e mi piaceva parlarci, anche se spesso ci punzecchiavamo. 

Eren si sedette alla mia sinistra e guardò la mia colazione. 

“Ti trattano bene, eh?”, disse ironicamente e allora decisi di allungargli il piatto per dividere con lui il resto del secondo waffle. Farlan ci guardò con un sorriso sghembo, sembrando sul punto di dire qualcosa. 

“Assaggia, se vuoi”, mormorai, dandogli anche la mia forchetta. Avevamo sempre condiviso molte cose, non ci trovavo nulla di male. 

Eren prese la forchetta e mangiò un po' del mio waffle, sorridendomi poco dopo. “È buono”, disse e io continuai il mio pasto fino a ripulire il piatto. 

“Che tenerezza”, commentò Farlan ed Eren arrossì. Io lo fulminai con lo sguardo, “zitto, coglione”, lo rimproverai e poi mi alzai. 

Salutai Farlan con un cenno ed Eren gli rivolse un sorriso imbarazzato prima di andare con me verso le scale. Scendemmo i gradini e uscimmo fuori, sentendo il vento fresco dell’oceano sulla nostra pelle. 

Notai l’auto su cui, ormai, ero stato numerose volte e la raggiunsi, portando una mano sulla maniglia. Eren l’aprì con le chiave e sedette al posto di guida, io mi sistemai al suo fianco, togliendomi di dosso la giacca per via del calore presente nell’abitacolo. 

“Quindi, dove andiamo?”, domandai mentre lui metteva in moto, portandomi lontano da quel posto infelice. Eren alzò le spalle e sorrise furbescamente, continuando a guidare lungo una strada principale di Los Angeles. 

“In mezzo alla natura”, disse poco dopo, sicuramente notando la mie espressione truce. Aggrottai le sopracciglia e guardai fuori dal finestrino, osservando la periferia della nostra città. 

“Credo tu preferisca un posto tranquillo alla calca del Natale”, commentò il mio amico e io mi trovai d’accordo. Beccammo una fila nella strada che usciva da Los Angeles e sospirai, fissando davanti a me le numerose auto. Avevo scelto il giorno perfetto per nascere. 

Riuscimmo ad evitare una parte del traffico svoltando in una strada secondaria che avrebbe allungato di poco io tragitto, a detta di Eren. 

Guardai il paesaggio così diverso da quello cittadino e notai che ci stessimo inoltrando sempre di più nella natura secca e rada di quella parte della California. 

“Ah, Levi, devo aver dimenticato di dirti che torneremo domani mattina”, disse Eren all’improvviso. Il suo sorriso mi fece intendere che non se ne fosse per nulla scordato e mi accigliai. 

“Che vuol dire?”

“Che ho prenotato una camera. Era troppo lontano per tornare indietro”, disse fiero di se stesso per l’idea. Ci pensai su e in realtà non mi dispiaceva passare del tempo lontano da Los Angeles. Potevo dimenticare per un po' la realtà. 

“Bella scusa”, commentai, fingendomi irritato ma Eren si accorse della bugia e ridacchiò. Avevo molte domande in testa tipo su come fosse riuscito a convincere il centro psicologico e che roba avrei usato, ma le tenni per me, osservando il deserto al mio fianco. 

Socchiusi gli occhi, dopo un po', e mi addormentai, perdendomi gran parte del viaggio. Quando mi svegliai notai che il paesaggio fosse diverso, più rigoglioso e meno arido. 

Eren aveva acceso la radio che stava trasmettendo un qualche notiziario a basso volume. Continuai a osservare fuori dal finestrino, notando l’entrata di un parco non molto lontano da dove eravamo. Più lontano vidi immensi alberi: le famose sequoie. 

“Siamo arrivati”, disse Eren mentre raggiungeva una sorta di parcheggio vicino all’entrata. Sempre nella stessa zona si trovava un edificio abbastanza grande, fatto di legno almeno per metà: doveva essere l’hotel. 

Ci fermammo e scesi subito dall’auto, respirando l’aria fresca, anzi fredda data la presenza di neve. Non era molta ma rendeva comunque le temperature più basse rispetto a Los Angeles e mi infilai la giacca per questo. 

“Ho preso qualcosa di più caldo.” Eren mi indicò un borsone nei posti di dietro e poi mi diede un berretto e dei guanti. C’era anche un giubbotto più ma gli dissi che riuscivo a stare bene anche così. 

Entrammo nel parco, incontrando altre persone che avevano deciso di passare il Natale in modo diverso. Camminammo lungo il viale principale, accompagnati dallo scricchiolio della neve sotto i nostri piedi. Non avevo mai visto alberi così grandi, avevo pensato guardando le file di sequoie davanti a noi. 

Mi avvicinai con qualche saltello, sentendomi spensierato per la prima volta dopo un mese. “Sono enormi”, constatai, guardando verso l’alto ed Eren rise, prendendosi gioco di me. Gli lanciai un’occhiataccia e lui catturò la mia espressione in una foto. 

A quel punto mi abbassai per prendere della neve e gliela lanciai addosso. Sfortunatamente mi imitò e iniziò una guerra fra i vari alberi che fungevano da rifugi per la nostra battaglia. Non mi sentivo così bene da tempo, quasi era difficile curvare le mie labbra in sorrisi e ridere. Era come prendere una grossa boccata d’aria dopo essere stato sott’acqua per troppi minuti. 

Mi fermai contro un tronco, poggiandomi con la schiena mentre riprendevo fiato. Eren si mise al mio fianco, respirando con affanno a sua volta. Osservai le nuvolette di vapore vicino alle sue labbra. 

“Fame?”, chiese il mio amico dopo un po' ed io annuii, controllando l’orario sul mio cellulare, era quasi l’una. 

Camminammo nuovamente lungo il viale che avevamo abbandonato per giocare come due bambini e osservammo il paesaggio mozzafiato attorno a noi. Vidi altri alberi enormi e anche un piccolo lago mezzo ghiacciato. Era un posto magnifico e sentivo il cuore gonfio di gratitudine verso Eren. 

Mi avvicinai a lui, abbassando lo sguardo sulla mano coperta dal guanto e desiderai prendergliela. Desiderai anche abbracciarlo e quel pensiero mi prese alla provvista, facendomi arrossire. 

“Grazie”, gli dissi, continuando il percorso che portava a uno dei tanti rifugi presenti nel parco. Ne avevo visto le indicazioni. 

Il mio amico sorrise ampiamente e non riuscii a non ricambiare. 

Arrivammo al rifugio completamente fatto di legno e prendemmo posto in uno dei tavoli all’interno per stare al caldo. Mangiammo delle zuppe e parlammo di stupidaggini per poi decidere di fare un ultimo giro prima di andare verso l’hotel. 

“Hai preso vestiti di ricambio anche per me?”, domandai mentre Eren pungolava un pezzo di ghiaccio con un ramoscello, vicino a un piccolo lago. Io ero chinato e cercavo di guardare oltre la leggera patina ghiacciata presente sull’acqua. 

“Si, però sono miei, di quando ero più piccolo perché, beh...”, si interruppe rendendosi conto di stare andando verso la direzione sbagliata. 

“Ti faccio fare un bagno fra poco”, lo minacciai, assottigliando lo sguardo. 

“Hey, dopo averti fatto da autista.”

“Dopo aver fatto lo stronzo.”

“Ho fatto pure lo sforzo per cercare qualcosa di adatto alla tua altezza”, ridacchiò Eren e io gli lanciai un po' di neve, mirando al suo viso. Sorrisi vittorioso quando sussultò. 

“Almeno sai fare qualcosa”, mi prese in giro il ragazzo. 

“So fare molte cose.”

“Ne dubito.” 

“Ti posso far vedere”, mormorai, senza rendermi conto di cosa stessi dicendo. Il nostro discorso sembrava intendere qualcos’altro e anche Eren se ne rese conto. 

Lasciammo perdere e decidemmo di andare verso l’hotel anche perché iniziava a far freddo. 
 

**********


L’hotel era piuttosto semplice e lo si poteva notare fin dall’entrata dove il mobilio era risicato. Salimmo delle scale in legno e respirai a pieni polmoni l’odore di alberi presente al piano di sopra. 

La nostra camera aveva le pareti bianche su cui erano presenti letteralmente due dipinti che ritraevano dei paesaggi del parco. Al centro c’era un letto matrimoniale con coperte scure e pensai che ci stessero bene con la struttura  in legno. 

Mi sfilai la giacca, guanti e berretto, lasciando tutto su una poltrona lì presente. Eren poggiò il suo borsone sulla triste scrivania che occupava un lato della stanza. 

“Vuoi farti una doccia?”, mi chiese e io annuii, sentendone il bisogno dopo la lotta con la neve. Avevo anche bisogno di tempo con me stesso. 

Mi lavai con attenzione, impiegandoci una ventina di minuti, e poi infilai i vestiti puliti portati da Eren. La maglia mi andava larga ma i pantaloni era okay. 

Uscii dal bagno con i capelli umidi e mi sedetti sul bordo del letto, osservando il paesaggio fuori dalla finestra. Ormai il sole era tramontato e le poche luci esterne rendevano il bosco inquietante. 

Anche Eren si fece una doccia veloce e mezz’ora dopo stavamo giocando a carte sul letto, aspettando l’orario per andare a cena. 

“Sai parlare un po' di francese?”, mi chiese Eren all’improvviso. 

“Come mai me lo chiedi proprio ora?”

“Perché stiamo usando le carte francesi e poi ho questa curiosità da anni.”

“Non tanto, però lo capisco”, dissi, facendo poi la mia mossa con cui chiusi la partita. Eren sbuffò e imbronciò le labbra come se fosse un bambino. 

“Smettila di essere così perfetto”, brontolò, afferrando il mazzo per mischiare le carte. 

“Non lo sono per niente”, risposi con sincerità. Mi sentivo lontano anni luce dalla perfezione, per me era sempre stato Eren quello da invidiare. 

“Mezza scuola non sarebbe d’accordo.”

“Mezza scuola non mi conosce”, risposi e chiusi così quell’inutile discorso. Riprendemmo a giocare, facendolo finché non iniziai a sentire fame e non scoccarono le otto. 

Dopo una semplice cena al ristorante dell’hotel tornammo in camera e ci preparammo per la notte. Mi sfilai i pantaloni e lasciai la maglietta di prima, infilandomi sotto le coperte calde del letto. Avremmo dormito insieme ma non mi dava fastidio dopo tutti i pigiama party negli anni precedenti. 

Eren prese posto al mio fianco e spense le luci principali, lasciando che rimanesse accesa una lampada ma anche la luce della luna contribuiva a rendere l’atmosfera rilassante. Mi sentivo abbastanza stanco e faticavo a tenere gli occhi aperti. 

“Andava bene come regalo?”, chiese Eren a bassa voce, sembrando timido tutt’un tratto. 

“Era perfetto”, ammisi, non riuscendo a risultare indifferente come al solito, non quando Eren sembrava bisognoso di approvazione. “Credo che tornerò a casa”, dissi dopo qualche secondo, senza alzare troppo il mio tono di voce. 

“Perché?”

“Perché la vita va avanti e devo superare questa cosa, odio stare così di merda”, dissi con sicurezza. Stare lì mi aveva fatto riscoprire cose piacevoli che appartenevano a questo mondo. Non c’era solo sofferenza e rabbia, nonostante io avessi provato solo questi sentimenti nell’ultimo mese. 

“Sono fiero di te”, sussurrò Eren, fissandomi con i suoi occhi verdi che brillavano pieni di emozione. Si avvicinò a me, allungando una mano verso una delle mie, riuscendo a prenderla. Sentii il mio battito accelerare. 

“Sarà fottutamente difficile”, sussurrai, chiudendo gli occhi mentre mi godevo il pollice di Eren sulla mia mano. Non lo avrei mai ammesso ma con lui al mio fianco sentivo di poter superare qualsiasi cosa. 

“Io ci sono e sono sicuro che Kenny ti ascolterà quando gli parlerai di come ti senti. Sennò puoi sempre stare da me”, mi disse con una breve risata e io curvai le labbra in un sorriso poco prima di sbadigliare. 

“Dormiamo”, mormorò Eren con dolcezza e si scostò per spegnere la luce. Eravamo al buio ma la luce della luna filtrava comunque dalla finestra, illuminando leggermente parte del letto. Non sapevo cosa stesse accadendo tra me ed Eren e non sapevo neanche cosa mi spinse ad avvicinarmi per poggiare la testa sul suo petto. 

Mi sentii al sicuro e chiusi gli occhi, sentendo l’odore del suo corpo che sapeva di “casa”. Le sue braccia mi avvolsero e mi addormentai in quel modo, lasciando che i sentimenti negativi scivolassero via da me. 

 

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Capitolo 13
*** Flirty boy ***


Los Angeles- 27 dicembre 2019 

Levi 

Eren era poggiato alla sua auto e continuava a farmi sorrisi positivi e cenni con la testa per convincermi a suonare quel dannato campanello. Presi un profondo respiro e lo feci, sentendomi un idiota per essere così a disagio, dopotutto era casa mia. 

Mio zio, Kenny, aprì la porta e mi rivolse un sorriso stanco ma allo stesso speranzoso. Dietro di lui vidi Isabelle, l’assistente sociale che aveva avuto me come incarico. Avevo parlato con i responsabili del centro della mia decisione e successivamente avevano mandato Isabelle da mio zio per affrontare una chiacchierata sulla questione. 

“Ciao, Levi”, disse Kenny per poi farsi da parte e farmi entrare. Feci un passo dentro casa e l’odore dell’abitazione mi investì. Erano passate poche settimane da quando me ne ero andato e non credevo che quel luogo potesse mancarmi così tanto. Isabelle mi fece un sorriso, “bentornato”, disse subito dopo. 

“Chi ti ha accompagnato?”, chiese Kenny dopo aver chiuso la porta. Entrammo nel salone e mi sedetti sul divano.  

“Eren.” 

“Il ragazzo con gli occhi verdi?”, mi domandò Isabelle e io aggrottai la fronte, chiedendomi come facesse a saperlo. Annuii semplicemente e lei mi dedicò uno sguardo compiaciuto. 

“Ne sono contenta”, disse poi, rendendomi ancora più confuso. Forse Eren ne sapeva qualcosa, glielo avrei chiesto più tardi. 

Mio zio prese posto al mio fianco mentre Isabelle si sedette sulla poltrona vicino al divano, iniziando a farmi domande sul perché avessi deciso di tornare a casa. 

“Credo sia la cosa migliore per me superare la... situazione stando a casa mia”, borbottai, non sapendo bene cosa dire. 

“Levi, non basta tornare a casa per mettere in ordine le cose. Hai bisogno di essere seguito da qualcuno, mi hanno detto dei tuoi problemi a contenere la rabbia e anche del calo dei voti. Ne sei consapevole di queste cose?” 

Strinsi i pugni, odiavo queste conversazioni e odiavo parlare dei miei sentimenti ma Isabelle aveva ragione. 

“Ho deciso di andare in terapia, da un privato”, mormorai, sentendo lo sguardo sorpreso di Kenny su di me. Isabelle ne sembrò contenta e liberò un veloce sorriso. 

“Nei prossimi giorni tornerò per valutare la situazione e per parlarti dei vari terapisti.”

“Ho già deciso dove andare”, dissi, sollevando poi lo sguardo su mio zio, “da Mikasa. È la sorella di Eren”, continuai verso Isabelle. 

“È una persona che conosci? Forse potrebbe funzionare rispetto agli psicologi del centro.” 

“Si ma è ancora una tirocinante...”

Isabelle mi guardò perplessa, “questo potrebbe complicare le cose.”

“Sento che è la cosa migliore per me, mi faccia provare”, dissi velocemente, sperando che Isabelle accettasse. La donna sospirò e alla fine annuì, sembrando però ancora dubbiosa. 

“Affronteremo un colloquio con lei per parlarne. Se non dovesse funzionare accetterai un terapista scelto da me?”, propose. 

“Va bene”, risposi riluttante. Isabelle annuì nuovamente e si alzò dalla poltrona. Kenny la imitò e si salutarono, con una stretta di mano. 

“Va bene, Levi, probabilmente tornerò domani per riparlare di questa scelta. Potresti darmi, magari stasera, il numero di Mikasa? La chiamerò io.” 

“Si, d’accordo. Allora, arrivederci”, borbottai, alzandomi dal divano per salutarla. 

“Okay, ci vediamo domani.”

Isabelle si voltò e Kenny l’accompagnò alla porta. La donna uscì e mio zio tornò da me, rivolgendomi un sorriso, “sono felice che tu sia tornato.”

“Vado a mettere apposto le mie cose”, dissi, facendo un cenno con la testa al borsone che avevo lasciato alla porta. Era strano e piacevole al tempo stesso stare a casa mia. 

“Sono stato da uno psicologo mentre non c’eri e ho deciso di continuare ancora per un po'”, raccontò mio zio, “non capivo perché non volessi parlarmi e te la prendessi per ogni cosa che dicevo. Non dovevo trattarti come se fossi debole anche se non ho mai pensato tu lo fossi.” 

Rimasi immobile davanti a lui, curioso di sapere dove volesse andare a parare. 

“Ho capito che ti dava fastidio far pena ma non era intenzionale il mio comportamento. Ho perso mia sorella, Levi. È stato orribile anche per me.” 

Mi morsi il labbro inferiore, sentendomi un dannato egoista. Avevo messo la mia sofferenza al primo posto quando anche Kenny doveva stare male quanto me. Mi ero infuriato con lui quando avrei dovuto trattenermi e cercare di sistemare le cose. 

“Mi dispiace”, ammisi con grande sforzo e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe. Kenny emise un sospiro e poggiò una grande mano su una mia spalla, “lo so che non si possono controllare le proprie reazioni dopo certi eventi ma cerchiamo di avere un rapporto decente. Lo so che possiamo farcela.” 

Era così strano sentirlo parlare in modo serio per tanto tempo. Neanche il suo tono sembrava appartenergli e la cosa mi infastidiva ma mi limitai ad annuire. Per andare oltre dovevo contenere la mia rabbia e sfogare la sofferenza in un altro modo, magari parlando con Mikasa. E dovevo capire che non ero l’unico a stare fottutamente male. 

Mi voltai e presi il mio borsone, portandolo al piano di sopra. Passai davanti alla camera di mia madre e sbirciai dentro, trovando tutto in ordine. Avrei voluto vedere lei sul letto, magari mentre leggeva un libro. Strinsi il borsone fra le mani, sentendo una profonda tristezza assalirmi, assieme alla voglia di distruggere quella camera per far finta che mia madre non fosse mai esistita. Magari non sarei stato così male. 

Morsi con forza il mio labbro inferiore e andai verso la mia camera dove lasciai il borsone. Presi il cellulare e mandai un messaggio ad Eren, dicendogli che avevo bisogno di uscire un po’ quella sera. Ero contento di me stesso per essere riuscito a tornare a casa ma era difficile non rimanere triste davanti ai ricordi che la mia mente portava a galla. 

Il mio amico mi rispose con un orario e accennai un sorriso davanti a quel messaggio. Era merito di Eren se ero riuscito a fare dei grandi passi avanti nonostante il terrore di non potercela fare. Speravo solo che le cose fra noi due continuassero così per sempre. 
 

**********


Erano le sette di sera, era buio e faceva freddo. Mi strinsi nella mia giacca in jeans e raggiunsi velocemente l’auto di Eren, buttandomi sul sedile di fianco al suo. 

“Wow, che figo che sei”, commentò il mio amico, facendomi alzare gli occhi al cielo. 

“Ti do un pugno”, borbottai, cercando di capire dove stessimo andando quando Eren mise in moto, guidando in modo poco preciso. Quel ragazzo faceva tutto ciò che gli saltava in mente senza pensare alle conseguenze. 

“Ah, una volta mi basterà per tutta la vita.” 

“Sei proprio patetico”, mormorai divertito. 

“Quanto siamo dolci stasera”, mi prese in giro e allora gli diedi un leggero colpo per non farlo distrarre, dopotutto ne andava della mia stessa vita. 

“E delicati”, concluse, svoltando in una via di un quartiere abbastanza trasandato. Iniziai a chiedermi se volesse farmi del male in un vicolo. 

“Hai intenzione di vendicarti rubando la mia roba e lasciandomi qua?” 

“Oh si, sarebbe proprio divertente vederti nudo per strada.” 

“Sarebbe eccitante, per te”, dissi, abbassando il tono della mia voce senza saperne il motivo. Guardai Eren che mi rivolse una strana occhiata con la quale rabbrividii piacevolmente. Mi piacque sentire i suoi occhi su di me come se volesse davvero spogliarmi. 

“Ah, ehm, siamo arrivati”, disse poco dopo, arrossendo leggermente così distolsi lo sguardo, sentendomi in imbarazzo. Eren fermò l’auto e scese da essa così lo seguii. 

Camminammo su uno stretto marciapiede ed entrammo in un condominio che non mi ispirava per niente. Puzzava ed era sporco ma non dissi nulla. Eren suonò a un campanello e ci aprì una ragazza dai capelli corti e che sembrava più grande di noi di qualche anno. 

“Oh, finalmente ci presenti il tuo fidanzato”, disse la strana ragazza, facendomi sbuffare. 

“A malapena siamo amici”, borbottai, mentendo. Non capivo perché tutti vedevano qualcosa in più fra me ed Eren. 

Il mio amico sorrise imbarazzato, grattandosi la nuca. 

“Come vi pare, io sono Ymir. Quei due che ti fissano sono Connie e Sasha.”

Guardai oltre la ragazza e vidi due altre persone. 

“Levi”, dissi semplicemente ed entrai in quello che sembrava un monolocale. Un forte odore di erba mi fece arricciare il naso e mi provocò una smorfia. Ora capivo perché Eren stesse fumando quella famosa sera. 

Mi sedetti su un vecchio divano, cercando di toccare il meno possibile qualsiasi cosa la dentro e mi guardai attorno. Ymir viveva nel casino e la cosa non sembrava importarle. 

“Sembra che Eren sia meno asociale. Sei la seconda nuova persona che ci presenta in pochissimo tempo”, mi disse quello che doveva chiamarsi Connie. 

“In realtà eravamo molto amici anni fa”, spiegai. 

“Non ci aveva mai parlato di te”, disse Sasha. Lanciai un’occhiata a Eren che alzò le spalle, arrossendo leggermente. 

Ymir decise di cambiare argomento e mi spiegò, mentre girava una canna, come si giocava a D&D. Sinceramente non mi aveva mai ispirato quel gioco ma decisi di lasciarmi andare per una volta. 

Durante la partita mi proposero anche di fumare ma rifiutai categoricamente ogni volta, decidendo, però, di bere qualcosa. 

Verso le nove ero quasi sul punto di ubriacarmi ed Eren se ne accorse, fermandomi la mano mentre bevevo un altro bicchiere di birra. 

“Poi dovrò portarti in braccio”, disse con una risata, guardandomi come se fossi molto divertente in quel momento. La testa mi girava ma dovevo ammettere che quel gioco era molto meglio da brillo. 

Osservai Eren, aveva gli occhi rossi per via del fumo ed era leggermente sudato. Era fottutamente attraente. 

“Devo prendere dell’aria”, borbottai, volendo allontanarmi dal mio amico che, ironia della sorte, volle seguirmi a tutti i costi. 

Uscimmo nel minuscolo balcone di Ymir e finalmente respirai aria pulita, riuscendo a calmare leggermente il mio stato d’animo. 

Eren si appoggiò alla balaustra e mi guardò intensamente, mordendosi il labbro inferiore. 

“Che vuoi?”, domandai con arroganza, cercando di non tremare davanti ai suoi occhi così belli. Che idea stupida bere con lui vicino. 

“Sono felice di esserti amico”, mormorò lentamente e con voce roca, facendomi rabbrividire. Il mio corpo mi stava tradendo con tutte queste stupide sensazioni. 

“Anche io, ora rientriamo”, dissi poco sicuro della mia scelta. Mi voltai, sentendo un capogiro per il gesto, e mi sforzai di tornare dentro il monolocale. 

Le mie gambe mi sorreggevano malamente e fu facile per Eren avvolgere le sue braccia attorno al mio bacino. Sentii il suo petto contro la mia schiena e il suo respiro contro un mio orecchio. 

Chiusi gli occhi e sospirai, sentendomi completamente incapace di reagire in modo decente. La verità è che mi stava piacendo quell’abbraccio. 

La bocca di Eren premette sul mio collo e si mosse piano, lasciando una scia di baci umidi per cui fremetti. Inclinai il viso e gli lasciai più spazio, non riuscendo a fermarlo. Ogni suo bacio mandava scosse verso il mio basso ventre, rendendomi sempre più accaldato e sensibile. Neanche la sentivo l’aria fresca sulla mia pelle. 

“E-Eren”, mugolai quando i suoi denti morsero la mia carne pallida. Sollevai una mano verso il mio viso e la portai sulla mia bocca per non gemere quando succhiò la mia pelle. 

Due secondi dopo realizzai cosa stesse facendo e, bruscamente, mi allontanai. 

“D-devo andare a casa, Kenny sarà preoccupato”, borbottai, volendo tutto tranne che stare da solo nella mia camera. Eren mi fissò confuso poi annuì, sembrando quasi per nulla turbato dalla mia reazione. 

Questo mi ferì leggermente ma non glielo diedi a vedere. 

Decidemmo di tornare a piedi, poiché lui non era per nulla in grado di guidare e le nostre case non erano troppo lontane. 

Avevamo salutato velocemente gli altri e avevo cercato di evitare lo sguardo indagatore di Ymir, sperando di non aver nessun segno sul collo. E sperai, ma non completamente, che Eren non si sarebbe ricordato del suo piccolo flirt. 

 

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Capitolo 14
*** Provocation ***


Los Angeles- 7 gennaio 2020

Levi 

Eren mi stava aspettando davanti al mio vialetto perciò finii in fretta la mia colazione e uscii da casa. Kenny mi salutò velocemente e io risposi prima di sbattere la porta dietro di me. 

Camminai verso Eren e salii nella sua auto, cercando di calmare la mia agitazione. Dovevamo andare a scuola e dovevo sia parlare con il professor Erwin che con i miei amici, ne avevo discusso con Mikasa durante le vacanze. 

“Tutto okay?”, mi chiese il mio amico, guardandomi con preoccupazione. In effetti stavo stringendo il mio zaino fra le braccia e fissavo un punto davanti a me, cercando di organizzare mentalmente le cose che avrei dovuto fare. 

“Si”, mormorai e sollevai il viso, poggiando la borsa ai miei piedi mentre Eren metteva in moto per andare verso il nostro liceo. Ormai era arrivato il momento di far fronte a certe situazioni, per questo avevo chiesto al mio amico di andare in anticipo. Avevo anche mandato un messaggio nel gruppo di teatro per dirgli che dovevo parlargli. Marco era stato il primo a rispondere. 

Chiusi gli occhi e mi accasciai contro il sedile, pensando a quanto si fosse incasinata la mia vita in meno di due mesi. La cosa positiva era aver ritrovato Eren ma sentivo che ci fosse ancora qualcosa in sospeso fra di noi, sopratutto dopo la serata da Ymir. 

Ci eravamo visti durante le vacanze ma l’argomento non era mai saltato fuori, forse era troppo confuso per ricordarlo come un fatto reale. O forse sapeva benissimo che fosse stato un gesto dettato dallo stordimento, non qualcosa che realmente voleva fare. Ci avevo pensato e ripensato per giorni e il dubbio era ancora forte. 

Arrivammo alla scuola e scesi dall’auto con un sospiro, notando Marco e Jean all’entrata. Mi fecero un cenno con la mano e io annuii. 

“Dai, puoi farcela”, mi disse Eren, con allegria. Poi mi strinse una spalla e mi superò per entrare a scuola. 

Mi trascinai verso le porte in vetro e mi fermai davanti ai miei due amici. 

“Gli altri?”, chiesi mestamente, giocando con una cinghia del mio zaino. Jean indicò qualcosa dietro di me e mi voltai, notando Annie, Reiner e Berthold. Quei tre erano sempre stati inseparabili. 

Si fermarono vicino a noi e allora capii che fosse arrivato il mio momento. 

“Sinceramente non so bene cosa dire ma mi dispiace. Mi dispiace per essere stato uno stronzo con delle persone che cercavano di aiutarmi e starci vicino. Non avrei dovuto reagire così”, dissi tutto d’un fiato. 

“Levi, abbiamo esagerato anche noi, avevi bisogno di tempo e non di persone che ti stavano addosso”, rispose Marco mentre gli altri annuivano. 

“Sono stato anche violento...”, ammisi, ricordando il piccolo litigio con Marco, “e per questo non ho scuse. Basta pensare al livido di Eren...”

“E accettiamo le tue scuse, tu accetta le nostre. Non potevamo e non possiamo capire cosa stai passando e su questo avevi ragione”, disse Reiner. Io lo guardai e accennai un sorriso, grato che stessimo finalmente chiarendo. 

“Quindi, sono okay le cose fra di noi?”, chiese Jean a un certo punto. 

“Si, credo di sì”, risposi, sentendomi con un grosso peso in meno. 

“Quel Jaeger deve aver fatto una magia”, ridacchiò Berthold. 

“Mi ha solo fatto capire che la vita non fa totalmente schifo”, scrollai le spalle. 

“Comunque, come stai?”, mi domandò Marco anche se la domanda era comune. 

“Ci sto lavorando. È difficile andare avanti ma tutta quella rabbia irrazionale era ingestibile”, mormorai, alzando le spalle. Avevo ancora tantissimi giorni no in cui non riuscivo a sopportare l’idea di aver perso mia madre ma avevo anche pochi giorni si in cui capivo che c’era ancora qualcosa di positivo attorno a me. 

“Tornerai nel gruppo?” 

“Non ora, ho ancora tanto da sistemare, mi spiace.” 

“No, è giusto così. Hai bisogno del tuo tempo e noi te lo daremo. Ti aspetteremo”, disse Marco e io sorrisi, sentendo nuovamente il loro affetto nei miei confronti. Li avevo trattati come nemici quando erano sempre stati pronti ad aiutarmi. 

La campanella suonò e ci salutammo per andare a lezione. Mentre camminavo per il corridoio incontrai Erwin che mi fermò per qualche istante, dicendo che aveva bisogno di parlarmi del mio rendimento dopo le lezioni. Annuì velocemente e poi entrai nella mia aula, sedendomi nel primo posto libero che trovai. 
 

**********


Dopo l’ultima ora raggiunsi l’ufficio di Erwin ed entrai, prendendo posto in una delle due poltroncine davanti alla sua scrivania. Lasciai lo zaino per terra e sperai che la conversazione durasse poco, anche perché Eren mi stava aspettando all’uscita. 

“Allora, Levi, hai pensato a cosa fare?”, mi chiese l’uomo, portando entrambe le mani sulla sua bella scrivania. Anche di questo avevo parlato con Mikasa e lei era stata subito convinta di non farmi perdere l’anno. 

“Vorrei recuperare”, dissi piano. Erwin annuì e increspò le labbra in un lieve sorriso. 

“È la cosa giusta, manca ancora metà anno e sono sicuro che puoi farcela. Sei indietro in molte materie ma data la situazione posso aiutarti.” 

“Non sono stupido, posso anche non avere le facilitazioni”, borbottai, non riuscendo a non innervosirmi. 

“Non credo tu lo sia, era solo un piccolo aiuto”, disse Erwin, alzando un sopracciglio. 

Scossi la testa, “mi impegnerò per recuperare da solo, non si preoccupi.” 

Il professore mi guardò come se non fosse del tutto convinto ma alla fine annuì. In ogni caso avrei insistito fino a convincerlo. 

“Bene, buona giornata”, dissi velocemente e mi alzai, prendendo il mio zaino. Erwin mi salutò e io uscii dall’ufficio per poi andare verso le porte della scuola. Non era rimasto quasi più nessuno. 

Trovai Eren davanti alla sua auto, ormai mi ero abituato a vederlo così, poggiato sulla sua vettura mentre mi aspettava. Mi morsi il labbro per non sorridere e mi avvicinai, mettendomi davanti a lui. 

“È andata bene?”, mi chiese, guardandomi con i suoi grandi occhi verdi. Mi sentii stranamente molto meglio. 

“Accettabile ma ora devo studiare come un cazzo di matto”, borbottai. 

“Ti aiuto io!”

Assottigliai lo sguardo e cercai di non ridere, “sei scarso.”

“Allora mi sa che non ci vedremo per un po’ dato che hai intenzione di studiare tutto da solo”, brontolò, fingendosi offeso. Alzai gli occhi al cielo e gli diedi una gomitata prima di salire nell’auto. L’idea di non vederci non mi piaceva ma non volevo dirglielo. 

Eren mise in moto e guidò verso il nostro quartiere. Durante il tragitto mi venne in mente un fatto che riguardava Isabelle.

‘’Ricordi quando sono tornato a casa? C’era anche l’assistente sociale che si occupa di me’’, raccontai ad Eren annuì.

‘’La conosci o ci hai mai parlato?’’

Il mio amico aggrottò la fronte per pochi istanti ma poi la distese come se avesse appena avuto un’illuminazione. 

‘’Ah si!’’, esclamò, ‘’qualche giorno dopo il pugno mi ha chiesto se fossi tuo amico. Ha detto di avermi già visto e che non volevi andare in terapia. Mi è sembrato esagerato dirlo a me.’’

‘’Deve averti visto in una foto in camera mia’’, borbottai un po’ in imbarazzo per la rivelazione. Guardai verso Eren e notai il suo sorrisetto soddisfatto. 

“E credo l’abbia fatto apposta a darti certe informazioni, quella donna è piuttosto furba”, continuai, osservando la strada fuori dal finestrino. 

Arrivammo nella nostra via e scesi dall’auto dopo che Eren spense il motore. 

“Ci vediamo domani, devo studiare”, brontolai mentre camminavo verso casa mia. Il mio amico mi toccò un braccio per fermarmi, “però domani studiamo assieme”, propose con un sorriso speranzoso a cui non seppi dire no. Annuii velocemente e mi avviai verso casa. 

Los Angeles- 8 gennaio 2020

C'era  un vento freddo mentre uscivo nel cortile della scuola per stare un po’ da solo. Sollevai il cappuccio della felpa sulla mia testa e mi sedetti su una panchina, godendomi il silenzio, al contrario della mensa. Avevo mangiato qualcosa di veloce con Eren e Armin prima di uscire nel cortile poco popolato per via del brutto tempo. 

Pochi istanti dopo sentii qualcuno prendere posto al mio fianco così sollevai lo sguardo incontrando quello di Petra. Era da tanto che non ci parlavamo dopo aver avuto un anno di relazione. 

“Hey”, mormorai, non trovando nulla di male nel parlarne. E poi si meritava anche delle scuse. 

“Ciao”, mi rispose con la sua voce dolce che tante volte aveva cercato di consolarmi. 

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, non sapendo come dire che mi dispiaceva. Mi sentivo un idiota. 

“Mi dispiace”, dissi dopo secondi di silenzio in cui eravamo entrambi in imbarazzo. Guardai Petra per capire la sua reazione ma lei mi sorrise con tenerezza, facendomi sentire ancora di più colpevole. 

“Lui ti piace, vero?” 

Aggrottai la fronte e subito pensai a Eren. Avrei voluto rispondere no ma le dovevo la verità. E non riuscivo più a mentire nemmeno a me stesso. 

Annuii e mi morsi il labbro inferiore. Averlo ammesso a qualcun altro era spaventoso. 

“Si vede, sai? Da come lo cerchi con lo sguardo o gli sorridi. Con me non avevi certe reazioni”, disse con una punta di tristezza. Il suo sguardo si oscurò per un po’ ma poi riprese a sorridermi come se non fosse successo nulla. 

“Lo sapevo che non sarebbe durata, ero l’unica che cercava di portare avanti questa relazione. Non volevo ammetterlo a me stessa”, riprese senza lasciarmi tempo di ribattere, “pensavo che con il sesso mi avresti permesso di starti vicino. Avresti potuto usarmi e invece mi hai mandato via.” 

“Non potevo usarti, Petra”, risposi velocemente. Un’idea del genere non l’avevo mai avuta. 

“Lo so, non sei cattivo. Però mi ha ferito comunque, mi sono sentita inutile. Poi ho capito di essere stata io a far tutto, a forzarti in una relazione. È stata la cosa giusta lasciarci”, disse annuendo. Mi passai la lingua fra le labbra perché non potevo dirle nulla per consolarla. Aveva ragione sul fatto che non ci tenessi quanto lei. 

“Non volevo ferirti”, dissi a bassa voce e lei poggiò una mano su un mio braccio, sorridendomi con ancora più calore nonostante i suoi occhi lucidi. 

“Lo so, lo so. Io ti conosco, so che tendi ad allontanarti nelle brutte situazioni e durante queste settimane ho accettato l’idea di non poter più essere la tua ragazza.” 

Sospirai e annuii, sforzandomi di sorridere. Rimanemmo in silenzio e lei tolse la sua mano dal mio braccio. 

“Eren lo sa?” 

“No”, dissi dopo alcuni istanti. L’idea di dirglielo era altamente spaventosa. Rischiavo di rovinare tutto una seconda volta, forse era meglio lasciare le cose così come stavano. 

“Dovresti dirglielo, sento che succederà qualcosa di bello”, mi rispose Petra prima di alzarsi e sistemarsi la gonna scozzese che stava indossando. 

“Io vado, ci vediamo”, disse con un sorriso e poi mi voltò le spalle per rientrare nell’edificio. La guardai e giurai di aver sentito un piccolo singhiozzo da parte sua. 
 

**********


Eren era steso sul suo letto, tenendo un libro in mano che stava leggendo. Io lo osservavo dal divano, cercando di concentrarmi inutilmente sui compiti di matematica. 

Dopo il discorso con Petra non riuscivo a non pensare a Eren e a nuove situazioni che avremmo potuto vivere assieme. Sollevai nuovamente lo sguardo dal mio libro per guardare il ragazzo davanti a me. 

La maglietta che indossava era leggermente sollevata, lasciando libero un lembo di pelle del suo addome. Mi piaceva il colore dorato del suo corpo cosi diverso dal mio e sentivo il desiderio di toccarlo, di passare le dita su i suoi fianchi per scoprire se erano davvero lisci e caldi come immaginavo. 

Non avevo mai fatto sesso e con Petra ci eravamo limitati a baci e strusciatine ogni tanto, quindi le mie esperienze sessuali erano molto poche. Non avevo neanche mai desiderato di farlo a tutti i costi e l’idea di farmi toccare da sconosciuti mi schifava. In più, non avevo mai pensato realmente alla mia sessualità. Mi ero convinto di essere etero quando ero uscito con Petra per la prima volta, cancellando i sentimenti che avevo provato per Eren.  Mi ero detto che era perché eravamo molto amici e avevo confuso il nostro rapporto. Poi si era dichiarato e ne ero rimasto terrorizzato. Lui non sapeva cosa provavo, quanta paura avessi di avere la mia prima relazione. 

E invece ora desideravo averlo, baciarlo, stargli vicino come più di un amico. La vita era molto divertente. 

“Non sei molto concentrato”, mi rimproverò il protagonista dei miei pensieri, facendomi sussultare leggermente. 

“Sono un po’ stanco”, mentii, guardando il suo bel viso mentre si alzava dal letto. Si sedette al mio fianco e il mio cuore iniziò a battere senza controllo. Avrei voluto urlare di frustrazione poiché non riuscivo a controllare tutte queste reazioni sdolcinate. Non sembravo nemmeno io. 

“Giornata no?”, mi chiese con dolcezza. Usava questo tono solo con me. 

Annuii anche se il motivo non era quello che immaginava. Un suo braccio avvolse le mie spalle e il mio respirò si incastrò fra le mie labbra. Desideravo un contatto del genere e allo stesso tempo ne avevo paura. 

Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi, poggiando la testa su una spalla di Eren. Dopotutto lo conoscevo da una vita e teneva a me, non aveva senso avere paura o imbarazzarsi con lui. 

“Mh, matematica”, disse Eren dopo qualche secondo di calma apparente dato che il mio cuore non la smetteva di far chiasso. Aprii gli occhi e guardai la sua mano libera che teneva il mio libro. 

“E pensare che ero bravo”, borbottai, guardando gli esercizi davanti ai miei occhi. Eren tolse il braccio dalle mie spalle e ne sentii la mancanza quasi subito. Stavo diventando patetico, neanche mi piaceva il contatto fisico. 

“Dai, li facciamo assieme.” 

Prese il suo quaderno e ci spostammo sulla scrivania per scrivere meglio. Se studiare con lui era l’unico modo per passare più tempo assieme allora lo avrei accettato e mi sarei impegnato per non sprecare neanche un secondo. 

Abbassai lo sguardo sul mio quaderno e iniziai a svolgere gli esercizi, interrompendo lo studio ogni tanto per colpa delle cazzate che Eren sparava. Era l’unico in grado di farmi ridere con stupidaggini. 

Verso le otto chiudemmo i libri una volta per tutte e mi alzai dalla sedia che era diventata notevolmente scomoda in tutte quelle ore. Mi lasciai cadere sul divano e mi passai le mani sul viso, sentendomi esausto. Però ero anche felice di aver migliorato le mie conoscenze in matematica e storia. 

“Mangiamo qualcosa? Sono da solo a cena”, mi disse Eren, rimanendo in piedi davanti a me. Lo guardai dalla mia posizione e annuii, non volendo andarmene. In realtà avrei voluto afferrargli la maglietta e attirarlo su di me ma non era una buona opzione. 

Mi alzai controvoglia e scendemmo le scale assieme per raggiungere la cucina sempre ben in ordine. A Carla piaceva mantenere tutto pulito ed era un aspetto che adoravo in quella donna, oltre al fatto di saper cucinare molto bene. 

Eren sbirciò nel freezer e tirò fuori una pizza surgelata che iniziò a spacchettare. “Non guardarmi così, non so cucinare e non ho neanche voglia”, borbottò quando portai lo sguardo sulla pietanza che non era delle migliori. 

Alzai le spalle e mi sedetti sul bancone della cucina, potendo guardare meglio Eren dalla mia nuova posizione. Mi piaceva la sua espressione concentrata mentre cercava di capire come accendere il forno. Era davvero imbranato però molto volenteroso. 

Infilò la pizza nel forno e poi si mise davanti a me, quasi fra le mie gambe socchiuse e la cosa, inutile dirlo, creò nuove sensazioni nel mio corpo. 

“Cerchi di essere più alto?”, mi prese in giro, poggiando le mani ai lati delle mie cosce, così vicine ad esse. 

“Non provocarmi”, lo rimproverai e notai un leggero cambiamento nel suo sorriso. Sembrava quasi che volesse stuzzicarmi in altri modi. Deglutii quando si mise fra le mie gambe che io aprii inconsapevolmente. Fottuto corpo traditore. 

“Perché no?”, sussurrò, mantenendo quel ghigno sexy sul suo viso, facendo smuovere il mio basso ventre. Mi passai la lingua fra le labbra nervosamente e lui portò il suo sguardo proprio in quel punto. I suoi occhi si accesero come ogni lembo della mia pelle e iniziai a sentirmi accaldato e davvero sensibile. Volevo, anzi bramavo il tocco delle sue mani sulle mie gambe. Invece le teneva lontano da me e mi sembrava di impazzire. 

“Eren”, mormorai nonostante sembrasse più un gemito ciò che mi era uscito dalla bocca. O forse una sorta di preghiera per spingerlo a farmi qualsiasi cosa lui volesse. Aprii di più le gambe attorno a lui, sentendo del fastidio in prossimità del cavallo dei miei pantaloni. Avrei voluto inarcare la schiena e spingermi contro il suo corpo, fargli capire cosa diavolo stessi provando. 

“Devi dirmi qualcosa?”, la sua voce uscì seducente dalle sue labbra, sembrava una dolce carezza che prometteva tantissime cose. Mi morsi la lingua per impedirmi di cedere a tutte queste sensazioni. 

“Non lo so...”, ammisi, guardando le sue braccia scoperte, i suoi capelli arruffati per averci passato troppe volte la mano, i suoi occhi lucidi e le sue labbra così invitanti. Non mi ero mai sentito così, non avevo mai provato certi desideri, nemmeno quando Petra mi provocava. Sentivo il tessuto dei miei boxer tendersi attorno alla mia pelle e in quel momento scesi dal bancone, finendo praticamente contro il corpo di Eren. La sua pelle era bollente contro la mia e la differenza di altezza non era mai stata così piacevole e allo stesso tempo fastidiosa. 

“D-devo andare in bagno”, borbottai pieno di imbarazzo. Eren annuì e si scostò per farmi passare. Scappai nella piccola stanza lì vicino e mi chiusi dentro, appoggiandomi poi al muro fresco. Un toccasana per la mia pelle. 

Portai una mano in basso, fra le mie gambe, e mi accorsi di essere eccitato. Non totalmente ma quasi. Un gemito frustrato scappò dalle mie labbra mentre infilavo le dita sotto al tessuto. 

Stavo facendo qualcosa di stupido e sbagliato, considerando la presenza di Eren dall’altra parte, ma ricacciai indietro il pensiero per immaginare il mio amico in ginocchio davanti a me, con i suoi occhi colmi di lussuria e le sue labbra gonfie e rosse sulla mia pelle. Il pensiero bastò a farmi raggiungere l’orgasmo. 

 

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Capitolo 15
*** Wet kisses and hickeys ***


Los Angeles- 10 gennaio 2020

 

Eren 

 

Aspettai Levi davanti alla mia macchina, sentendomi totalmente in ansia. Il motivo lo sapevo benissimo ma cercavo di essere normale e la cosa aveva funzionato fino ad ora ma solo perché non avevamo passato tanto tempo da soli. 

Lo vidi uscire da casa sua con la solita espressione illeggibile sul volto. Indossava una felpa rossa, senza zip, e dei pantaloni neri. Ai piedi le solite Nike Air Force bianche e consumate. Mi piaceva il suo look. 

Gli rivolsi un sorriso, sperando di non sembrare imbarazzato come lo ero dentro di me. Lui aggrottò la fronte e si passò una mano fra i capelli scuri, gesto che faceva nei momenti di nervosismo nonostante la sua espressione non fosse per nulla diversa da prima. 

“Stai bene?”, mi chiese, scrutandomi con i suoi occhi gelidi. 

“Certo. Tu? È andata bene con Mikasa, ieri?”, domandai, iniziando con la mia solita parlantina piena di disagio. Non stavo affatto bene, non dopo aver quasi rischiato di saltargli addosso due giorni prima. Non dopo averlo sentito trattenere un gemito un bagno. Eravamo in una strana situazione poiché ormai ero sicuro che entrambi volessimo di più senza neanche ammetterlo a noi stessi. Era più facile fingere che fosse tutto normale. 

“Ah, si, bene come sempre”, si limitò a dire, entrando nella mia auto. Feci la stessa cosa e accesi il motore per dirigermi verso casa di Ymir. Era la terza volta che ci portavo Levi e la cosa mi faceva piacere perché si svagava e conosceva nuove persone. 

Il viaggio fu silenzioso e piuttosto breve. Mi fermai davanti al condominio di Ymir e scesi dall’auto, incontrando Historia che suonava al campanello. 

“Eren!”, esclamò lei, sinceramente contenta di vedermi e mi diede anche un veloce abbraccio prima di portare lo sguardo su Levi, dietro di me. 

“Ciao, sono Historia”, si presentò la mia amica, sorridendo con gentilezza a Levi che le porse una mano. Se la strinsero con educazione e poi mi beccai un’occhiata da parte di lei, come a volermi chiedere mille cose. 

“Poi ti racconto”, sussurrai al suo orecchio prima di entrare nel palazzo malandato. Salimmo le scale messe sempre peggio ed entrammo nel monolocale. 

Historia si avvicinò a Ymir e si sedettero assieme. Quelle due sembravano in intimità e avrei dovuto indagare più tardi, magari facendo una lunga telefonata con la mia amica una volta a casa. 

“Guarda cosa ho creato, Jaeger”, mi richiamò Connie, girandosi fra le dita quella che sembrava una canna piuttosto grossa. Presi posto al suo fianco e ridacchiai, scuotendo leggermente la testa, quel ragazzo era sorprendente. 

“La fumiamo ora?”, domandai, alzando un sopracciglio. Avevo bisogno d’erba. Connie e Sasha annuirono, poi l’accesero. 

“Mi aggiungo”, disse Levi dietro di me, lasciandomi sorpreso. Lo guardai pieno di confusione ma lui ignorò le mie occhiate. 

Connie fece il primo tiro e poi passò la canna al mio amico. Le dita di Levi sembravano sicure quando la prese e poi l’avvicinò alla bocca. Aspirò e trattenne il fumo prima di lasciarlo uscire, schiudendo quelle labbra che ogni giorno mi attiravano sempre di più. Non sembrava la sua prima volta o forse era incredibilmente perfetto in ogni cosa che faceva nonostante lui affermasse il contrario. 

Non capivo perché lo stesse facendo e avrei voluto togliergli la canna dalle dita, mi sentivo infastidito dal suo gesto. 

Fece altri tiri e notai la sua espressione rilassarsi così come il resto del suo corpo. Poi mi passò la canna e io la presi con nervoso, iniziando a fumare, ignorando il suo sguardo divertito su di me. 

Mi sistemai contro il divano e guardai Ymir che prendeva ciò che ci serviva per giocare, assieme alla prima birra della serata. Poggiò tutto sul tavolo e iniziai a pensare a che personaggio usare. 

Levi poggiò una mano sulla mia e io mi voltai verso di lui, facendogli capire con lo sguardo che doveva smetterla. 

“Si passa l’erba, è la prima regola”, borbottò con un tono che non gli apparteneva. Gli diedi la canna con un gesto veloce e sentii il fumo vicino al mio viso quando lo lasciò uscire. 

“Che ti prende?”, mi chiese, accarezzandomi un braccio con la mano di prima. 

“Pensavo non fumassi”, sbottai, non sentendomi rilassato anche se sentivo il cuore battere più forte come ogni volta che fumavo. 

“Ne avevo bisogno, non rompere”, disse lui, ridendo appena in modo confuso. Lo fissai mentre continuava a fumare e i suoi occhi si arrossavano sempre di più. 

“Problemi in paradiso? Dai, giochiamo”, disse Ymir. Iniziammo a scegliere i personaggi e per un po’ pensai solo al gioco. Non fumammo più ma bevemmo qualche birra e ciò fece effetto a Levi. 

Rideva molto più spesso e a voce molto più alta. Il fastidio di prima era un po’ scemato ma ancora non capivo il suo comportamento, forse voleva solo divertirsi. 

“Noi dobbiamo andare”, disse Sasha a un certo punto, alzandosi dal divano. Dopo Historia era quella messa meglio. Prese un braccio di Connie e lo trascinò con se, “domani abbiamo una specie di gita con le nostre famiglie e non possiamo tornare tardi”, spiegò. Li salutammo e loro uscirono dalla porta, lasciando noi quattro da soli. Il gioco si interruppe e Historia e Ymir si chiusero nella loro bolla, parlando di chissà cosa. 

Mi sentivo in imbarazzo perché Levi era completamente fatto e continuava ad avvicinarsi. Avrei voluto parlargli decentemente ma non eravamo soli e non ero in buone condizioni. Mi alzai sentendo sempre più caldo e andai in bagno, poggiandomi al lavandino con le mani. 

A un certo punto sentii dei passi e quando voltai il viso incontrai gli occhi arrossati di Levi. Chiuse la porta dietro di se e si appoggiò ad essa, rivolgendomi un sorriso sghembo che mandò via ogni traccia del mio nervoso. Mi sarei preoccupato il giorno dopo perché ora ero troppo preso dal suo aspetto mozzafiato. 

“Sei arrabbiato?”, mi chiese, inclinando la testa e passandosi una mano tra quei capelli morbidi. 

“Se ti dicessi si?”, feci un passo verso di lui, passando il mio sguardo sul suo corpo fin troppo coperto, fino a raggiungere il suo viso. 

“Posso calmarti”, rispose lui a bassa voce. Allungò le mani verso di me e avvolse le braccia attorno al mio collo, costringendomi ad abbassarmi. Pochi istanti e le sue labbra furono sulle mie ma più che altro ci incontrammo a metà strada. Era il mio secondo bacio e non sapevo bene che movimenti fare ma l’istinto ebbe la meglio quando iniziai a muovere la bocca sulla sua. 

Seguivo i suoi gesti e il suo ritmo, infilando le mani sotto la sua felpa per afferrare i suoi fianchi e attirarlo a me. Eravamo vicini e sentivo il mio cuore scoppiare per l’emozione, mi sembrava di aver desiderato questo contatto da anni. 

Le sue labbra calde si schiusero sulle mie e la sua lingua incontrò la gemella, accarezzandola e avvolgendola in modi che mi fecero sciogliere. Era una prima volta fantastica e non riuscivo a staccarmi dalla sua bocca, toccando la sua lingua con la mia per lasciarle muovere assieme. 

Le sue mani mi strinsero i capelli e io mi abbassai ancora di più, premendo con forza le labbra sulle sue, perdendomi in esse completamente finché non ebbi il bisogno di prendere fiato. 

Mi scostai e presi aria, aprendo gli occhi in quei secondi. Il mio attimo di pace durò ben poco dato che la bocca di Levi iniziò a lasciare una scia di baci su un lato del mio collo, rendendo umida e sensibile la mia pelle. Ogni parte del mio corpo era sensibile e sentivo che non sarei più riuscito a reggermi sulle mie gambe. 

“L-Levi, che stai facendo?”, balbettai, arrossendo quando mi accorsi del tono roco della mia voce. Non rispose e sentii i suoi denti nell’incavo del mio collo. Poi succhiò e io gemetti, non aspettandomelo. Era tutto nuovo e fantastico, mi sentivo gelatina fra le sue mani. Rimase in quel punto e poi la sua lingua bagnata leccò la pelle, facendomi rabbrividire. 

“Non ti piace?”, sussurrò tentatore, continuando a cospargere il mio collo con piccoli baci. Raggiunse la mia mascella e sfiorò le mie labbra gonfie con le sue, senza toccarle completamente. Mi sporsi ma lui si allontanò, ridacchiando, “rispondi”, mormorò. Era disinibito, non sembrava neanche lui e un po’ di preoccupazione tornò in me. Non volevo che mi baciasse solo perché era fatto, volevo che lo facesse perché gli andava. 

“Mi stai facendo impazzire”, ammisi, non riuscendo a mentire. 

Si sporse e mi baciò. Chiusi gli occhi e ricambiai, muovendo con più sicurezza le mie labbra per toccare le sue. Una sua mano si infilò sotto i miei vestiti e sentii le sue dita sulla mia pelle bollente. 

Rabbrividii e mi avvicinai ancora di più, lasciando che mi toccasse e mi accarezzasse. 

“Levi, aspetta”, mugolai staccandomi dalle sue labbra umide e invitanti. Lui mi guardò confuso ma non capivo se fosse per il mio gesto o per ciò che aveva introdotto nel suo corpo. 

“Non voglio che sia cosi”, mormorai e feci un passo indietro, passandomi una mano fra i capelli. Levi si morse il labbro inferiore e non disse nulla, iniziando a farmi innervosire. Lo sorpassai e uscii dal bagno, afferrando la mia giacca e le chiavi dell’auto. 

“Va tutto bene?”, mi chiese Historia, scontandosi dall’abbraccio di Ymir. I suoi occhi azzurri si poggiarono sul mio viso e poi sul mio collo però la sua espressione non mutò. 

“Si, sono solo mezzo brillo”, risposi con un mezzo sorriso e quando Levi ci raggiunse gli afferrai un braccio. “Andiamo”, dissi verso di lui e poi uscimmo da quella casa. 

Una volta fuori dal condominio presi una boccata d’aria fresca e mi sentii già meglio, meno frastornato. Riuscivo a pensare meglio. 

“Vuoi guidare così?”, sbottò Levi con irritazione anche se strascicò qualche lettera. Si appoggiò alla mia auto e io lo ignorai, salendo a bordo. 

“Muoviti o ti lascio qui”, risposi e il mio amico entrò nella macchina, sedendosi o posto del passeggero. Nessuna altra frase uscì dalle nostre labbra mentre guidavo verso la nostra via. Fortunatamente non incontrammo polizia o posti di blocco lungo il nostro breve percorso. 

Parcheggiai davanti a casa e ci lasciammo senza salutarci e neanche guardarci. Sentivo il mio cuore far male perché volevo tornare a baciarlo in quel bagno e allo stesso tempo chiedergli cosa provasse per me. Non volevo che tutto andasse a fanculo come quattro anni prima. 

Ricacciai indietro le lacrime e ignorai i messaggi di Historia mentre mi rintanavo sotto le coperte. 

 

Los Angeles- 12 gennaio 2020

 

“Eren, passami quella teglia”, disse mia madre, indicando l’oggetto poggiato sul tavolo. L’afferrai e gliela diedi prima di tornare al posto di prima, sulla mia sedia. 

“Ricordami chi c’è a pranzo.”

“Armin e Historia”, le dissi atono, continuando a guardare il mio telefono come se, all’improvviso, comparisse il messaggio che desideravo. 

“Uhm, Historia. State tipo assieme?”, chiese mia madre con il suo tono civettuolo ogni volta che parlava di cose del genere. Alzai gli occhi al cielo, arrossendo. Era da venerdì notte che mi importunava, dopo aver notato il succhiotto sul mio collo. Nel tragitto per casa mia mi ero completamente scordato di esso. 

“No, anzi credo che lei stia con Ymir”, borbottai, ignorando le sue occhiate curiose. Sentii il rumore del forno che si chiudeva e poi la presenza di mia madre al mio fianco. 

“Allora, dimmi chi ti ha fatto quel segno. Strano che tuo padre non l’abbia notato”, mormorò la seconda parte quasi fra se e se. 

“Mi sono bruciato, mamma, non è un “segno””, borbottai, sperando ci credesse. Nel mentre anche le mie orecchie dovevano essere arrossite. 

Sentimmo qualcuno scendere le scale e quando alzai lo sguardo notai che fosse mio padre, vestito di tutto punto e di buon umore. 

Mi misi in una posizione in cui il mio collo non era proprio davanti al suo sguardo e sperai non notasse nulla. In realtà lui era un uomo molto attento ma spesso lasciava correre, sopratutto quando si trattava di cose da ragazzi. Era il contrario di mia madre, a lei piaceva spettegolare. 

“Sei pronta, Carla?”, chiese alla donna, portando lo sguardo sul forno. Lei annuì con un sorriso e gli si avvicinò per baciargli una guancia. I miei erano sempre molto amorevoli fra di loro. 

“Allora, noi andiamo, non fate troppo casino mangiando”, mi disse mia madre e mi spettinò i capelli prima di infilarsi la giacca e prendere la borsa. Mio padre finì di vestirsi e mi sorrise prima di uscire di casa. 

Avevano deciso di concedersi un appuntamento dato che nemmeno Mikasa ci sarebbe stata a pranzo. 

Non appena rimasi da solo sollevai le braccia per stiracchiarmi e mi alzai per andare a controllare che la torta di verdure di mia mamma non stesse bruciando. 

Mi sedetti per terra davanti al forno, iniziando a immergermi nei mille pensieri che avevo da venerdì sera. Da quando Levi era diventato una costante nella mia testa? Non avevamo ancora parlato e avevo paura che ci saremmo ignorati per sempre. 

Sbloccai il telefono e guardai il suo profilo Instagram. L’ultima foto era del giorno del suo compleanno e ritraeva il parco dove eravamo stati. La descrizione era l’emoji di un cuore e per questo non riuscii a non sorridere. Levi il duro che faceva queste cose era sempre molto divertente. 

Non aveva messo stories ma non ne metteva mai, sfortunatamente. Mollai il telefono sul pavimento e mi passai le mani sul viso, sospirando profondamente. 

Il campanello suonò all’improvviso, risvegliandomi dal mio stato di trance. Mi alzai e aprii la porta, trovandomi davanti Historia. Era molto carina nel suo vestito a motivi floreali e con i capelli raccolti in una treccia. 

‘’Devi raccontarmi tutto su quello’’, disse velocemente, indicando il segno sul mio collo. Sospirai e la lasciai entrare. Di solito era così calma e pacata, non come oggi che sembrava un uragano pieno di curiosità. 

Poggiò la borsa su una sedia e si appoggiò al tavolo con i fianchi, rimanendo in silenzio. Iniziai a raccontarle di venerdì sera e dei miei dubbi su i sentimenti di Levi. Lei ascoltò con attenzione, aggrottando ogni tanto la fronte. 

‘’Forse voleva farsi coraggio e per questo ha fumato…’’, borbottò lei. Allora le parlai di come ci eravamo provocati in questa stessa cucina e il suo sguardo si illuminò.

‘’Eren, lui prova qualcosa per te. Ne sono sicura. Dovete parlarvi o lascerete tutto a metà’’, disse con un ampio sorriso emozionato. Le sue parole mi sollevarono il morale e mi concessi un sospiro di sollievo. 

‘’E dimmi, tra te e Ymir?’’, domandai cambiando argomento, sollevando entrambe le sopracciglia. Historia arrossì, diventando ancora più adorabile del solito. 

‘’Diciamo che ci stiamo… conoscendo’’, rispose timidamente, facendomi sorridere. 

‘’E… avete fatto qualcosa?’’, le chiesi, dandole una piccola gomitata. Historia divenne ancora più rossa e scosse la testa velocemente. Io risi.

‘’Solo un bacio, mentre eravate in bagno.’’

Stavo per continuare con le domande ma il campanello salvò Historia. Raggiunsi la porta e feci entrare Armin. I due si presentarono velocemente ma avevano un carattere simile dunque andarono subito d’accordo.  

Decidemmo di mangiare davanti alla televisione, guardando un film e approfittando della non presenza dei miei genitori. 

Armin si mise al mio fianco e fu in quel momento che notò il succhiotto.

‘’Eren, che cavolo hai sul collo?!”, chiese con un po’ troppa enfasi, facendomi quasi sussultare sul posto. Historia ridacchiò dietro di me e attese la spiegazione.

Avevo sempre raccontato tutto ad Armin, così come a Mikasa, ma mi sentivo anche molto protettivo verso l’argomento Levi perciò non gli avevo mai svelato tutto in questo caso. Allo stesso tempo gli dovevo delle spiegazioni, era il mio migliore e si preoccupava per me, ultimamente ancora di più. E Levi cos’era per me? Ormai ero più che sicuro che non volevo solo amicizia da parte sua. Non dopo che mi ero sentito così bene nel baciarlo. 

Gli raccontai più o meno ciò che avevo detto a Historia. Lui non sembrò stupirsi e un sorrisetto si formò sulle sue labbra. 

“Lo sapevo che sarebbe andata così. Sei la persona meno dolce che io conosca e con lui eri iper protettivo”, mi canzonò, mangiando un po’ del suo pranzo. L’idea di vedere il film stava svanendo. 

“Quindi che farai ora?”, chiese, pieno di curiosità. 

Sospirai, mordendomi il labbro inferiore con un po’ di nervoso. Mi era anche passata la fame. 

“Gli... scrivo?”, avrebbe dovuto essere un’affermazione ma suonò come una domanda. Armin annuì mentre Historia sembrava un po’ riluttante. 

“Non credete di dover aspettare che sia Levi a farlo?”, disse, lanciando un’occhiata ad Armin che scosse la testa. 

“In questi casi bisogna mandar via l’orgoglio e fare la prima mossa. Forza, Eren”, disse quello che doveva essere il mio migliore amico ma che al momento non riconoscevo. 

“E tu cosa ne sai?”, chiesi con una risatina, sbloccando il mio telefono per poi andare sulla chat di Levi. Oh, fantastico, era anche online. 

Guardai Armin che era arrossito e sollevai un sopracciglio, “dai, aiutami a trovare qualcosa da scrivere”, dissi velocemente per cambiare argomento. 

Dopo lunghi istanti di silenzio fu Historia ad afferrare il mio cellulare e a scrivere qualcosa. Poi premette invio prima che potessi fermarla. 

“Hey, senti avrei bisogno di parlarti di persona. Quando sei libero?”, lesse Historia. Non era niente di che come messaggio ma se avesse accettato dovevo prepararmi una sorta di discorso, giusto? 

“Uh, sta scrivendo”, borbottò Armin, sembrando davvero eccitato. Quei due si stavano divertendo a mie spese. 

“Ciao Eren, pensavo alla stessa cosa. Mercoledì ti va bene? Sono impegnato sia lunedì che martedì”, lesse nuovamente Historia. Mancava troppo a mercoledì. 

“Quindi, che farai ora?”, domandò la mia amica, porgendomi il telefono. Risposi a Levi con un semplice “perfetto”, e poi sprofondai tra i cuscini del divano. 

“Resterò così fino a mercoledì”, borbottai contro il tessuto di un cuscino. Armin e Historia risero e uno di loro mi prese un braccio per costringermi a mettermi in una posizione migliore. 

“Andrà tutto bene, vedrai”, mi sorrise ampiamente la ragazza. Forzai un sorriso e poi presi il telecomando per accendere la televisione e selezionare netflix. 

“Ora pranziamo e guardiamoci questo dannato film.” 

 

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Capitolo 16
*** Fireside ***


Los Angeles- 14 gennaio 2020

Levi 

Era da più di venti minuti che stavo aspettando Farlan davanti alla sua nuova casa. Mi aveva inviato l’indirizzo quella mattina e mi aveva proposto di vederci di sera dato che ora era nuovamente libero di andare dove gli pareva. 

La casa era carina, piccola, bianca e molto americana. Il giardino attorno era ben curato, con mio grande piacere. Amavo quando tutto era in ordine. 

Sbuffai per l’ennesima volta e decisi di girarmi e tornare alla fermata del pullman ma poi il rumore di una porta mi bloccò. 

Vidi Farlan uscire dall’abitazione e venire verso di me con un gran sorriso sulle labbra. Non lo avevo mai visto così sereno. 

“Wow, qualcuno sembra che sia stato appena picchiato”, disse con una risata. Corrucciai la fronte, mordendomi la lingua per evitare di rispondere. Metteva alla prova i miei nervi anche più di Eren. 

“Ci hai messo una vita, stavo per andarmene via, non farmi cambiare di nuovo idea”, lo minacciai, causando solo un’altra sua risata. 

“Dai Levi, sii più carino. Ti porto in un posto dove andavo sempre da piccolo”, propose e io mi limitai a camminare al suo fianco. 

Percorremmo il largo marciapiede del quartiere fino a raggiungere un parco non molto grande ma piuttosto carino. Era più una piazzetta a dir la verità, ma c’erano anche delle altalene e uno scivolo, al momento vuoti per via dell’orario. 

Farlan camminò nel viottolo in pietra e si sedette su un’altalena. Io mi sistemai in quella vicino, iniziando a spingermi con i piedi ma senza salire troppo in alto. 

“Quindi starai dai tuoi nonni?”, gli chiesi guardando le mie Nike. 

“Si, gli unici parenti che mi sono rimasti”, mi risponde con tono leggero. Farlan è fatto così, sembra sempre spensierato ma lo so che nasconde problemi e preoccupazioni. 

Annuii senza dire altro e iniziai a spingermi sempre più forte, salendo in alto stavolta. Mi tenni alle due catene dell’altalena e mossi le gambe. Poi Farlan mi bloccò con una mano. 

Gli lanciai un’occhiataccia e poggiai i piedi per terra, “sei un idiota”, gli dissi ma lui ridacchiò. Io gli feci un cenno amichevole. 

“Come va la vita? Ancora incazzato con il mondo?”, domandò. 

Allungai una gamba e calciai una delle sue, facendolo gemere piano per il dolore. Se così si poteva definire. 

“Le cose stanno migliorando”, gli dissi burbero. 

“Il tuo fidanzato come sta?”

“Sei proprio una rottura di coglioni, lo sai?”

“Però mi adori”, rise Farlan, “dai, dimmi.”

Alzai gli occhi al cielo e allora pensai di potergli raccontare qualcosa, nonostante mi costasse un grande sforzo. 

“Non siamo fidanzati, anzitutto”, borbottai, evitando il suo sguardo curioso. 

“Però c’è qualcosa tra di voi. Una strana tensione sessuale.”

“Sei un coglione.”

“La prossima volta che lo vedo gli dico di scoparti perché sei davvero insopportabile”, mi prese in giro. A quel punto allungai una mano verso di lui e gli colpii la nuca. 

“Okay, okay, scherzavo”, si calmò, sistemandosi i capelli con una mano. 

“Ci siamo baciati”, dissi quasi all’improvviso. Non era da me lasciarmi sfuggire qualcosa che tenevo segreto. Era una caratteristica di Eren. Però dovevo parlarne con qualcuno. 

“Oh, oooh, e adesso?”

“Domani dobbiamo parlarne.” 

“Sei sempre così riservato, dimmi di più. Ti è piaciuto? Lo rifaresti? Vuoi più di un’amicizia?”

“Io non lo so, Dio Santo”, sbottai in preda al nervoso. Negli ultimi mesi mi erano successe così tante cose, belle e brutte, tutte assieme, ed ero più confuso che mai. Sentivo di non essere in grado di prendermi cura di qualcuno, non riuscivo neanche a farlo con me stesso. Era abbastanza difficile andare avanti con la mia vita. 

“Mh, con lui stai bene?”

Era una domanda semplice e così annuii, stringendo la presa sulle catene dell’altalena. 

“E mi è piaciuto baciarlo”, ammisi dopo qualche secondo, con molta fatica. 

“Allora cosa ti blocca? Hai paura di rovinare una possibile relazione?”

Diamine se Farlan sapeva come prendermi. Annuii appena e lo sentii sospirare. 

“Levi, se ci stai bene e lui sta bene con te, non impedirti di essere felice.”

Era un concetto semplice eppure attuarlo non lo era. 

“Sono uno stronzo.”

“Invece credo che la sua influenza ti sta facendo del bene. Smettila di inventare scuse perché sei spaventato, goditi la vita. Sarai anche uno stronzo ma si vede che Eren ti adora e mi è bastato vedervi assieme una volta per capirlo.”

Una sua mano scompigliò i miei capelli e io sbuffai per il gesto. Però gli ero grato e sentivo il cuore meno pesante dopo la nostra breve conversazione. 

Ora dovevo solo prepararmi mentalmente per il giorno dopo. 

Los Angeles- 15 gennaio 2020

Fissai la casa di Eren, tormentandomi le mani mentre camminavo lungo il marciapiede. Pochi metri separavano le nostre abitazioni, metri che avevo percorso un milione di volte. Quasi sempre correndo, morendo dalla voglia di andare a giocare nell’ampio giardino degli Jaeger. 

Invece ora facevo passi lenti, immerso in una serie di pensieri contrastanti. Ad ogni movimento delle mie gambe sentivo il cuore rimbombare nelle mie orecchie. Mi impediva di riflettere lucidamente ed io ero una persona razionale. Non al momento, purtroppo. 

Suonai al campanello e fu Carla ad aprirmi. I suoi occhi confusi iniziarono a brillare d’allegria. Mi forzai di sorridere con educazione. 

“Levi, che bello vederti. Eren è su in camera”, disse con dolcezza, scostandosi di lato per farmi passare. Il suo buon odore di fiori scomparve per lasciare posto a quello della cena. Sfortunatamente il mio stomaco era chiuso e non provai piacere nel sentire il profumo delle pietanze. 

Mi guardai attorno, sentendomi a mio agio in quella casa che conoscevo a memoria. Salii i gradini in legno e poi lo vidi, fermo, davanti alla porta aperta della sua camera. 

“Hey”, dissi, fingendomi sicuro di me. Cercai di mantenermi distaccato per non fargli vedere quanto stessi agonizzando dentro di me. Anzi stavo annaspando tra mille pensieri. 

“Entra, entra”, rispose Eren. Mi accorsi del leggero tremolio nella sua voce. 

Oltrepassai la porta e mi sfilai le scarpe prima di raggiungere il divano davanti al suo letto. Ingombrante ma molto comodo. 

Il ragazzo prese posto sul materasso, tenendo lo sguardo basso. Forse era meglio così o sarei crollato del tutto davanti ai suoi occhi curiosi, accesi, bellissimi. 

Istanti di silenzio. Si poteva sentire Carla che si muoveva in cucina, ascoltando la radio. Oppure il verso di qualche animale randagio, come i gatti dei nostri vicini che si divertivano a camminare sui tetti. 

“Okay, credo che tocchi a me dire qualcosa”, sospirai, prendendo il coraggio a due mani. Non sapevo neanche come iniziare e non ero per niente bravo nell’esprimere i miei sentimenti. Non che Eren lo fosse ma almeno, per via della sua impulsività, si lasciava sfuggire parecchie cose. Invece ora era silenzioso e insicuro. 

La sua testa si mosse in un cenno di assenso, allora presi un respiro profondo. 

“Mi è piaciuto baciarti”, ammisi direttamente. I giri di parole non facevano per me. 

“A-ah, anche a me”, disse flebilmente, stringendo in un pugno le coperte del suo letto. 

Portai lo sguardo sul suo collo e notai il segno del mio morso che stava svanendo. Qualcosa si mosse nel mio stomaco e le mie labbra vollero curvarsi in un sorriso vittorioso che trattenni in tutti i modi. Che diavolo, non ero mai stato così. 

“E mi piaci tu”, rivelai una seconda cosa. La testa di Eren scattò verso l’alto e i suoi occhi verdi si immersero nei miei. Un guizzo elettrizzato apparve per qualche istante. 

“Seriamente?”, domandò a voce un po’ troppo alta. Le sue guance si colorarono di rosso e distolse lo sguardo dal mio viso, imbarazzandosi per quell’entusiasmo. 

“Si, da un po’. Forse da quattro anni.” 

“Dovrei ucciderti in questo momento”, disse un secondo dopo la mia frase. Abbassai lo sguardo sulle mie calze, sentendo una fitta colpevole al petto. Non potevo e non dovevo più nascondergli nulla. Gli aveva causato troppo dolore. 

“Ti permetto di darmi un pugn-ahi!”, sussultai sentendo il cuscino contro la mia faccia. Lo afferrai con le mani e guardai torvo Eren. Lui ridacchiò. 

“Scusa ma te lo meritavi. Ringrazia che mi piaci fottutamente tanto o ti avrei restituito il livido sull’occhio.” 

Mi sentì letteralmente sciogliere a quella confessione. Fortuna che mi ero seduto prima di affrontare il discorso sennò le mie gambe avrebbero ceduto. Non credevo neanche di potermi sentire così, come se fosse tutto perfetto. Era come essere di nuovo in quell’hotel nel nord della California, in quel bosco così lontano da Los Angeles dove solo io ed Eren esistevamo. 

“Levi, ti sbrighi a baciarmi, cazzo”, imprecò il ragazzo e non me lo feci ripetere due volte. Mi alzai e le sue mani, insicure ma dannatamente testarde, mi presero i fianchi per farmi sedere sopra di se. 

Portai le ginocchia sul letto e cinsi le sue cosce, avvertendo il suo bacino sotto al mio. Eppure non ero a disagio. 

Guardai Eren come se fosse la prima volta che lo guardavo sul serio. Come se mi rendessi conto davvero che fosse speciale, bellissimo e mio. Il mio cuore batté freneticamente dentro al mio petto e non riuscii più a resistere. Presi il suo viso fra le dita e lo attirai a me, facendo unire le nostre labbra. 

Fu diverso dalla prima volta. Le sue labbra erano calde, morbide sulle mie, più fresche e screpolate per l’aria frizzante di gennaio. Le sue erano timide e si mossero lentamente, indugiando per qualche istante, spaventate di commettere qualche sbaglio. 

Avevo baciato Petra decine di volte ma non era lontanamente vicino a ciò che stavo provando al momento. Sapevo come muovere la bocca e guidare Eren, eppure le emozioni che stavano imperando dentro di me mi rendevano difficile ogni gesto. 

Era totalmente sopraffatto da esse, il mio cuore non la smetteva di battere e ogni parte del mio corpo era trapassata da brividi piacevoli. 

Accarezzai le gote morbide di Eren, raggiunsi i suoi capelli e li strinsi fra le dita, frenando la voglia di sorridere sulla sua bocca. Volevo avvolgere le braccia attorno a lui e stringerlo così forte da fargli capire quanto diavolo tenessi a lui. Quanto ogni suo sorriso mi faceva tremare. Quanto ogni suo tocco rabbrividire. 

Lo baciai con delicatezza, vezzeggiando quella morbida pelle per farlo sentire speciale, importante, prezioso. Mi soffermai sul suo labbro inferiore che baciai con dolcezza prima di passare a quello superiore. 

Piccoli mugolii fuoriuscirono dalla sua bocca e li bloccai con la mia, tornando a baciarlo come qualche istante prima. 

Prese sicurezza e si schiuse per me, permettendomi di far scivolare la mia lingua verso la sua. Non era una lotta per la dominanza, esse si incontrarono a metà strada e si legarono con dolcezza e trasporto. Come una danza. 

Le sue dita bollenti accarezzavano la mia schiena e afferrarono il tessuto della mia giacca che non avevo tolto e ora risultava insopportabile. Me la tolse e io mi strinsi di più a lui, facendo unire i nostri corpi mentre il bacio prendeva confidenza e ritmo. 

Ci staccammo il meno possibile e per istanti brevi. Poi le nostre bocche si avvicinavano e si scontravano impetuose, reclamando altri baci bagnati e sempre più insistenti. 

Ormai potevo sentire le mani di Eren ovunque. Toccarono la mia schiena, i miei fianchi, le mie cosce, facendo bruciare ogni punto su cui si bloccavano. 

Non avevo mai desiderato il tocco di qualcuno così ardentemente. Così tanto dal dovermi trattenere dal prendergli i polsi e guidarlo dove desideravo. Ero in paradiso o forse in un sogno dolcissimo ed erotico al tempo stesso. Non volevo svegliarmi ma qualcosa che premeva sulla mia gamba mi costrinse a scostarmi. 

Le labbra mi facevano un po’ male dopo quella serie di baci, ed ero accaldato. Aprii gli occhi e incontrai quelli verdi di Eren. Accidenti, erano il mio punto debole. 

I suoi capelli erano un disastro e le sue guance così rosse. Iniziai ad immaginare come sarebbe diventato il suo volto dopo il sesso. 

Qualcosa tra le mie gambe pulsò in risposta a quel pensiero. Anche Eren lo sentì e schiuse le labbra come se fosse sorpreso. Era tenero. 

“Non voglio più staccarmi da te”, disse a bassa voce. Il suo tono roco, eccitante. Era alle prime armi eppure mi faceva dannatamente effetto. 

Mi passai la lingua fra le labbra gonfie, accorgendomi del leggero strato di saliva che le ricopriva dopo quei baci. Lanciai un’occhiata alla porta chiusa e poi feci di nuovo mio quella bocca rossa e perfetta. 

Non iniziammo dolcemente, riprendemmo il ritmo intenso ed audace degli istanti del bacio. La sua lingua avvolse la mia, cercando di prendere il controllo della situazione e glielo permisi, sciogliendomi come burro fra le sue mani calde. 

Mi aggrappai alle sue spalle e commisi l’errore di sistemarmi meglio sul suo grembo. Le nostre intimità si toccarono e un gemito scappò da entrambi. Volevo di più, più contatto, più frizione, meno vestiti. 

Premetti le ginocchia sul letto e strusciai il bacino sul suo, creando un movimento impreciso, dettato semplicemente dal desiderio di trovare qualche soddisfazione. 

Anche il nostro bacio era distratto, fatto da movimenti errati, imperfetti, attuati solo per soffocare dei gemiti. Le mani di Eren erano impigliate alla mia maglietta e cercava di attirarmi a se, facendomi mettere in modi che lo facevano sospirare maggiormente. 

Mi sentivo in fiamme, completamente dimentico del mondo attorno a noi. Non mi importava nemmeno di Carla al piano di sotto. 

“Cazzo, E-Eren... ah...”, mugolai quando i suoi fianchi cozzarono su i miei e la sua erezione premette sulla mia. Tra di noi c’erano troppi stati per avere un contatto migliore. 

Mi staccai da quella bocca maledetta e abbassai le mani sul mio grembo, armeggiando con la zip di quei pantaloni. Cercai di abbassarli, sentendo lo sguardo spiazzato ma anche pieno di lussuria di Eren su di me. Si riscosse e fece la stessa cosa, abbassando la sua tuta. 

Nuovamente il suo membro incontrò il mio, senza neanche darci il tempo di togliere i pantaloni. 

Guardai i suoi boxer neri, macchiati leggermente dai liquidi e deglutii. Come potevo eccitarmi così tanto davanti a una cosa così? 

“Io... Oddio, m-mi sembra di impazzire”, borbottò Eren, inarcando i propri fianchi per altro contatto. Ne aveva bisogno ed io non ero messo meglio. 

Dondolai su di lui, muovendomi in preda all’istinto perché non avevo idea di che altro fare. Allungai una mano verso il suo corpo e feci scivolare le dita titubanti su i suoi boxer. Vidi i suoi occhi lucidi socchiudersi e le sue labbra lasciare uscire un verso. 

Non era così diverso da quando lo faccio con me stesso, no? Pensai mentre carezzavo la forma del suo membro attraverso la stoffa. Ne raggiunsi l’apice e vi premetti il pollice, stuzzicando quel punto. 

Eren dovette bloccarsi la bocca con un palmo per non gemere a voce alta. Avrei voluto sentirlo ma non mi sembrava il caso. Per ora mi bastava vedere le sue espressioni deboli che mi facevano capire quanto fosse sensibile a ogni carezza. 

Continuai a toccare la punta della sue erezione e con la mano libera feci la stessa con me stesso. Infilai le dita sotto ai miei boxer e avvolsi il mio membro tra di esse, donandomi piacere a mia volta. 

Mi sentivo così vicino all’orgasmo e anche Eren doveva esserlo, me ne accorsi da come la sua testa scivolava all’indietro e il suo membro pulsava fra le mie dita. Mancava così poco ma una voce ci bloccò all’istante. 

Ci scambiammo uno sguardo terrorizzato quando Carla ci chiamò per la cena. Eren tolse la mano dalla sua bocca e si schiarì la gola prima di rispondere. 

“Scendiamo fra un minuto!”, urlò per farsi sentire. Poi guardò me. Poi guardò i nostri bacini e arrossì notevolmente. 

“Cosa facciamo?” sussurrò verso di me, timoroso. Mi passai la lingua fra le labbra e tolsi le mani dai nostri corpi prima di alzarmi. Ogni mio muscolo desiderava tornare fra le sue braccia per poi soccombere a un orgasmo che si prospettava fantastico. 

“Acqua fredda e pensieri tristi”, dissi, sollevando i pantaloni fino ai fianchi prima di allacciarli. La paura di essere scoperti aveva diminuito di parecchio l’eccitazione. 

Ci sistemammo velocemente e scendemmo dopo quasi cinque minuti, cercando di sembrare normali. 

Carla sembrò non accorgersi di nulla o forse era un’idea così lontana dalla sua mente quella di vederci assieme che i suoi occhi non registrarono il nostro strano aspetto. 

“Può dormire qui Levi?”, domandò Eren verso la fine della cena. La donna rispose affermativamente, senza fare nessuna domanda. In realtà sembrava davvero felice di quella richiesta. 

Tornammo in camera e mi lasciai cadere sul divano, esausto dopo tutte le diverse emozioni che avevo provato in poche ore. Eren si tolse i vestiti, rimase in boxer e camminò verso l’armadio per cambiare anche essi. Distolsi lo sguardo dalla sua pelle dorata, volendo evitare di eccitarmi nuovamente. Inoltre avrei preferito vederlo completamente nudo in un momento migliore. 

“Prendi qualcosa da qui, per dormire”, mi disse dopo essersi messo il pigiama. Mi lanciò un paio di boxer mentre mi alzavo dal divano. 

Mi cambiai velocemente, sentendomi molto meglio con quei vestiti comodi e l’intimo pulito. 

Notai che Eren stesse armeggiando con il suo telefono e poco dopo sentii della musica espandersi per la stanza. Era a basso volume e simile al rock, forse. Non me ne intendevo e non avevo neanche un genere preferito. 

“Gli Arctic Monkeys”, mi spiegò il ragazzo prima di spegnere le luci, lasciando solo una lampada accesa. Si mise sul letto e mi fece cenno di raggiungerlo. 

Mi infilai piacevolmente fra le sue braccia e adagiai la testa sul suo petto. Ero sereno, quasi felice, cullato da quella musica e dalle carezze di Eren fra i miei capelli. 

Sentivo gli occhi pesanti per la stanchezza e gli chiusi. 

“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio finché, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando. 

“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you lately.”

Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse. 

“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva. 

“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.

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Capitolo 17
*** ''Wanna be my bf?'' ***


Los Angeles-16 gennaio 2020

Eren 


Qualcosa premeva sul mio addome, anzi sarebbe meglio dire qualcuno. Aprii gli occhi al suono fastidioso della sveglia del mio telefono e abbassai lo sguardo, trovando la testa di Levi poggiata al mio stomaco. I capelli neri creavano un bel contrasto con la mia maglietta bianca. 

Ero sdraiato di schiena e parte delle coperte erano incastrare fra le nostre gambe. 

La sveglia continuava imperterrita il suo lavoro odioso, svegliando Levi. 

Il ragazzo poggiò le mani sul letto e si mise seduto, passando le dita fra le ciocche disordinate. Allungai una mano e bloccai quel suono infernale, sospirando quando sentii solamente il silenzio. 

“Buongiorno”, borbottai ancora frastornato dagli ultimi eventi. 

“Ho fame”, rispose Levi, salutandomi in questo modo. 

Accennai un sorriso e lo guardai mentre si metteva in piedi e si sistemava la maglietta stropicciata. Il fatto che gli stesse grande aumentava la mia voglia di sorridere. 

“Oi, che hai da fissarmi?”, borbottò, lanciandomi un’occhiataccia. 

Risi e gli afferrai un fianco per farlo mettere fra le mie gambe. Le mie labbra raggiunsero le sue senza timore per via della velocità del bacio. Un breve tocco e poi ci staccammo. 

Mi alzai subito dopo e assieme uscimmo dalla camera per raggiungere la cucina. Fin dalle scale potevo sentire un profumo invitante. Il mio stomaco gorgogliò in risposta. 

“Buongiorno”, esordì mia madre con entusiasmo. Stava sfornando una teglia di brioche dall’aspetto delizioso. 

Io e Levi ci sedemmo a tavola, versandoci del the caldo nelle tazze che mia madre si era premurata di portare. Al mio fianco c’era Mikasa, intenta a lanciare qualche occhiata a me e Levi, ogni tanto. 

“Hai dormito qui?”, chiese mia sorella, allungando una mano coperta dal tovagliolo verso una delle brioche. Levi si limitò ad annuire. 

“Oh, abbiamo un ospite.” 

La voce profonda di mio padre mi fece girare verso di lui e gli feci un breve sorriso. A quel punto mi concentrai sulla colazione. 

“Muovetevi o farete tardi”, ci rimproverò mia madre dopo che Grisha e Mikasa uscirono per andare a lavoro. In breve finimmo la nostra colazione e andammo in camera per prepararci. 

Dopo essere usciti dalla porta d’ingresso, camminai verso la mia auto ma Levi non si mosse dal suo posto. Mi voltai e notai la sua fronte corrucciata. 

“Dovrei prendere il mio zaino”, commentò confuso, lanciando uno sguardo verso la sua abitazione.  

“Non andremo a scuola”, dissi allegro. Io e Levi ci eravamo dichiarati o qualcosa del genere, non volevo passare delle ore senza di lui. Inoltre avrebbe dovuto studiare nel pomeriggio e anche andare da Mikasa. 

“Erwin non sarà contento”, commentò il ragazzo ma non protestò. Salì in auto poco dopo di me, successivamente accesi il motore e guidai verso il primo posto che mi venne in mente. 

Il Balboa Lake Park era un bel posto dentro la città. Era un parco vicino a un lago, come suggeriva  il nome, e lo conoscevo quasi a memoria. Ricordavo i pomeriggi con Armin, passeggiando per i suoi viali o facendo merenda sull’erba. 

Mi parcheggiai e constatai che a quell’ora non doveva esserci molta gente, fortunatamente. 

Scesi dalla vettura e camminai con Levi verso il viale che costeggiava il lago. 

“Ci sei mai stato?”, domandai curiosamente, godendomi i raggi del primo mattino sul viso, i versi degli uccelli e il vento fresco che scuoteva le foglie sugli alberi. In inverno era molto meno frequentato e non era neanche al massimo della sua bellezza ma era il posto giusto per avere un po’ di privacy. 

Levi scosse la testa e io accennai un sorriso, notando come si guardasse attorno, studiando i particolari del luogo. Mi piaceva guardarlo e le mie labbra non riuscivano a non curvarsi verso l’alto. 

Continuammo a camminare vicini con le mani che si sfioravano, fino a raggiungere un punto sul prato dove si trovavano più alberi vicini. 

Afferrai un suo polso e lo attirai tra di essi, sedendomi sull’erba bagnata di rugiada. Non che me ne importasse al momento. 

“Mi vuoi davvero costringere a sedermi per terra?”, borbottò Levi con il suo solito cipiglio severo. 

“Puoi sederti su di me.” 

“Non credo sia una buona idea”, rispose e si sedette al mio fianco, facendo una piccola smorfia per la sensazione dell’erba fresca su i pantaloni. 

Io risi e rimasi ad osservarlo, cercando di trattenermi dalla voglia di baciarlo. Non avevo praticamente nessuna esperienza e non volevo fare mosse sbagliate, sopratutto con un tipo come lui. 

“Vuoi baciarmi o no?”, sbottò dopo qualche lungo istante dove mi ero perso a osservare i suoi lineamenti. Sentirgli dire certe cose era il mio punto debole. 

Allungai una mano e la poggiai sulla sua nuca, attirando il suo viso al mio. A metà strada le nostre bocche si scontrarono. 

Chiusi gli occhi e seguii i movimenti lenti di Levi, lasciando che accarezzasse le mie labbra in quel modo così dolce. Non credevo che lui fosse capace di certe cose, non avrei mai immaginato che poteva causarmi sensazioni così piacevoli. 

Fu un bacio lento, misurato, delicato. Non volevo aumentarne il ritmo, mi andava bene sentire la sua bocca che avvolgeva la mia pigramente. 

Quando mi scostai non riuscii a non sorridere. Guardai Levi e le sue labbra rosse, leggermente screpolate per l’aria fredda. 

“Ancora uno”, mormorai e feci di nuovo mia quella bocca fantastica, facendo scivolare le dita fra i suoi capelli. Lo baciai a stampo, più volte, poi mi soffermai prima sul suo labbro superiore e poi sull’altro che morsi e tirai verso di me. 

Schiuse la bocca e riuscii a far scivolare la lingua contro la sua, sentendo ogni parte del mio corpo andare a fuoco per quel contatto. 

Le sue mani fredde stavano accarezzando le mie guance che, al contrario, erano bollenti. 

Non so per quanto continuammo a baciarci, prendendo fiato e ricominciando nuovamente, ma ogni volta era meglio di quella precedente. 

Non so come ne in quale momento mi ritrovai steso sull’erba con Levi su di me che vezzeggiava il mio collo, cospargendolo di baci umidi e fugaci. Quando leccò la mia pelle non riuscii a non sospirare. 

“Oi, Eren, tieni a bada gli ormoni”, borbottò quando raggiunse un punto sulla mia mascella. Mordicchiò quel lembo di pelle e il mio corpo reagì, sopratutto in un certo punto. 

“È colpa tua”, mugolai, non volendo davvero che smettesse. Per me era sempre stato serio, controllato, indifferente. Era strano vederlo così intento a baciarmi, mordermi, procurarmi piacere. 

Poggiai le mani su i suoi fianchi con l’intenzione di allontanarlo ma poi prese a succhiare la pelle sotto al mio orecchio destro. Come poteva essere così sensuale così all’improvviso? Chiusi gli occhi per evitare di cedere ancora di più e liberai un gemito. 

“Okay, forse è meglio se mi sposto”, lo sentii sussurrare al mio orecchio e fremetti. Levi si scostò da me, mettendosi sulle ginocchia, guardandomi dall’alto. 

Lo fissai, mordendomi il labbro inferiore. Mi piaceva il colore dei suoi capelli e il contrasto che creavano con la sua pelle candida. Mi piaceva il taglio affilato dei suoi lineamenti, così come quello degli occhi. Sembrava così estraneo a questo mondo, come se fosse una qualche creatura perfetta e immutabile. 

“Dio, smettila di guardarmi così spesso”, sbuffò, distogliendo lo sguardo dal mio viso. 

“Sei bello”, risposi senza pensarci due volte. 

“Smettila di dire anche queste cose”, mormorò nuovamente, coprendosi il viso con le mani. Non riuscii a non intenerirmi davanti alla scena. Sollevai il busto e gli presi le mani, riuscendo a liberare il suo volto. A quel punto mi dedicai alle sue labbra, baciandole con dolcezza, senza pretendere di più. 

Non so esattamente quante ore passammo così, sdraiati sull’erba in quella giornata di sole invernale, baciandoci ogni tanto e parlando di tutto e nulla. 

“Come si chiama la canzone di ieri?”, mi chiese all’improvviso, alzando il viso verso di me. Era poggiato sul mio petto mentre una mia mano giocava con i suoi capelli scuri. 

“Fireside”, mormorai, intrecciando una sua ciocca al mio indice. notai il suo sguardo e capii che ci fosse qualcosa che non andava. Capitavano spesso questi momenti in cui il suo umore peggiorava all’improvviso. 

“A me fa pensare a mia madre”, sussurrò, abbassando lo sguardo sulla mia maglietta. 

Infilai le dita fra i suoi capelli, raggiungendo la sua nuca rasata che massaggiai con i polpastrelli. Odiavo vedere il suo volto incupirsi per questi pensieri tristi, avrei voluto che rimasse sereno almeno per tutta la giornata. 

“Non riesco a lasciarla andare, ogni volta che sto bene mi sento in colpa.”

“Lei vorrebbe che tu fossi felice.”

“Hai ragione ma è più forte di me. Vorrei solo riuscire a ricordarla senza stare male”, mormorò, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo. 

Non sapevo mai quale fosse la cosa giusta da dire per consolarlo. Non potevo capire un dolore del genere ne volevo fingere di poterlo fare, sarebbe stato scorretto. 

“Con il tempo ci riuscirai e ogni volta che sarai triste io ci sarò. Puoi anche prendermi a pugni”, dissi, accennando un sorriso. 

Lui borbottò qualcosa di incomprensibile contro la pelle del mio collo. Rabbrividii in quel punto, sorprendendomi di come il mio corpo reagisse a ogni minimo tocco di Levi. 

“Andiamo a mangiare qualcosa?”, domandò lui, sollevando il viso dal mio corpo. I capelli gli ricadevano sul volto e così ci pensai io a portarli all’indietro, liberando il suo bel viso. 

“Ho visto un McDonald’s qui vicino”, gli dissi, alzandomi in piedi e pulendomi i pantaloni. Lui fece la stessa cosa e andammo verso l’uscita del parco. Nelle ultime ore si era popolato e vari bambini stavano giocando vicino ai loro genitori. 

Raggiungemmo la mia auto e salimmo a bordo per poi dirigersi verso il McDonald’s più vicino. Fortunatamente c’erano solo altre due macchine oltre alla nostra. 

Entrai per primo e Levi mi seguì, chiudendo poi la porta in vetro dietro di se. 

“Scegli tu qualcosa, mi va bene tutto”, disse lui, andando a sedersi in uno dei tanti posti liberi nel locale. Presi dei panini semplici, patatine e due coca cole. 

“Tieni.”

Levi mi porse una banconota da cinque dollari per pagare la sua parte ma io scossi la testa, ignorando la sua mano tesa verso di me. 

“Mi offrirai un altro pranzo”, risposi con un sorriso e afferrai il mio panino per dargli il primo morso. Il mio corpo gradì quel cibo. 

Mangiammo in silenzio e più volte mi persi ad osservare Levi e tutti i suoi movimenti. Sembrava venire da un altro mondo con quella sua calma perfetta ma io sapevo bene cosa si nascondesse al di sotto. 

“Tornerai mai al gruppo di teatro?”, domandai curioso, prendendo una patatina con la mano libera, immergendola nel ketchup. 

“Non lo so, non mi sembrerebbe giusto tornare per l’ultimo spettacolo quando gli altri hanno lavorato per tutto l’anno.”

“Secondo me sarebbe una cosa carina farlo, poi loro sono tuoi amici e non ti direbbero nulla”, risposi con convinzione. Avrei voluto vedere un’altra volta Levi sul palco, sembrava totalmente un’altra persona quando si calava nel personaggio che gli era stato assegnato. Andavo ai suoi spettacoli perché erano l’occasione per vederlo ridere, sorridere, esprimere emozioni che non fossero indifferenza e calma. 

“Ti ho sempre visto nel pubblico”, disse a un certo punto, spiazzandomi. 

“Mi faceva piacere”, continuò poco dopo ed io aggrottai la fronte, chiedendogli poi il perché. 

“Potevo fingere che tenessi ancora a me.” 

“Ci tenevo.”

“Ora lo so”, mormorò con un breve sorriso. Le mie labbra lo imitarono, non riuscivo mai a rimanere impassibile quando mi diceva qualcosa di dolce. 

Mangiai le mie patatine, immerso in pensieri sereni. Per una volta stavo bene ed ero senza preoccupazioni. Anche Levi era di buon umore, per i suoi standard, ma sapevo che ci sarebbe voluto del tempo prima che potesse essere felice. Forse non lo era neanche mai stato. 

Sollevai lo sguardo sull’orario: avevamo ancora un’ora e mezza prima di tornare a casa. Uscimmo dal McDonald’s e camminammo per la strada, raggiungendo una piazzetta vuota. 

La mia mano scivolò nella sua e gli strinsi le dita con le mie, accorgendomi della sua pelle fredda al contrario della mia. Eravamo due opposti in tantissime cose ma ci completavamo. 

Levi sembrò gradire il contatto tanto che si voltò verso di me per baciarmi. Ogni volta era fottutamente bello. 

Accolsi le sue labbra e muovemmo le nostre bocche lentamente, con dolcezza, come se il tempo fosse infinito e tutto per noi. Cercai di esprimere i miei sentimenti in quel soffice bacio, facendogli capire quanto lui fosse prezioso per me. 

Avvolsi le sue labbra morbide ma leggermente screpolate con le mie, calcolando ogni movimento per non affrettare le cose. La sensazione di calore proveniente dal mio cuore si espanse per tutto il petto. 

Quando mi staccai dovetti sorridere per forza dato che a trattenermi mi avrebbero fatto male le labbra. 

“Sii il mio ragazzo”, sussurrai senza mezzi termini, beccandomi un’occhiata confusa. Era troppo presto? Forse si, ci eravamo dichiarati il giorno prima. Eppure per me no, erano anni che sognavo questo momento e i nostri sentimenti esistevano da tanto tempo. 

Lessi insicurezza negli occhi solitamente gelidi di Levi. Si morse il labbro inferiore, tenendomi sul filo del rasoio, ma poi annuì. 

Lo baciai ancora una volta e poi di nuovo. Piccoli baci veloci sulle sue labbra e poi sul resto del suo viso, facendolo sbuffare. 

“Dio, quanto sei affettuoso”, borbottò ma sapevo che gli piacesse. 

Mi scostai con un ampio sorriso e gli presi una mano, stringendola con la mia, “ora posso farti quello che voglio”, sussurrai. Lo sentii fremere e mi piacque quella sua reazione. 

“Calma gli ormoni, Jaeger.” 

“Ieri non mi dicevi così”, lo canzonai all’orecchio, approfittandone per mordergli il lobo.

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Capitolo 18
*** First date ***


Los Angeles- 20 febbraio 2020

Eren

Era passato più di un mese da quando io e Levi ci eravamo dichiarati. Le cose fra di noi andavamo bene, nonostante passassimo la maggior parte del tempo a studiare. 

Levi doveva recuperare parecchie cose e allo stesso tempo stare al passo con gli altri. Io non volevo stargli lontano dunque andavamo assieme in biblioteca per evitare distrazioni sempre dietro l’angolo quando studiavamo nella camera dell’uno o dell’altro. 

Per il momento nessuno sapeva della nostra relazione, a parte Armin ed Historia, ma immaginavo i pensieri dei nostri compagni quando ci vedevano assieme molto spesso. E probabilmente anche Mikasa e mia madre sospettavano qualcosa quando ci rintanavamo in camera mia per una breve sessione di baci. 

Ero felice del nostro rapporto, anche quando dovevo far fronte alle giornate no di Levi, quando non mi parlava e non voleva neanche essere toccato. Lo sapevo che fosse normale per lui chiudersi così tanto eppure non riuscivo a non rimanerci male. Poi passava non appena mi sforzavo di pensare a quanto tenesse a me e che ero l’unica persona con cui riusciva a essere se stesso, senza barriere. 

L’unico problema è che più le settimane passavano più volevo dire a tutti che lui fosse il mio ragazzo. 

“Non mi piace come ti guardano le ragazze”, sospirai, fissando una del primo anno che non voleva saperne di distogliere lo sguardo da Levi. 

Il mio ragazzo era poggiato contro il suo armadietto e stava rileggendo gli appunti di matematica perché sarebbe stata la sua prima lezione del giorno. 

Levi sollevò il viso e notai la sua fronte aggrottata. Ogni volta non si rendeva conto di quanto fosse popolare grazie a quell’espressione severa e ai suoi lineamenti affilati. In più il fatto che fosse spezzato e ferito attirava ancora di più l’attenzione. 

“Non mi interessa la figa”, mi disse sollevando un sopracciglio. 

“Anche Smith ti guarda in modo strano”, mormorai verso il suo viso. Levi iniziò a ridacchiare e allora gli diedi una leggera gomitata. 

“Lui è figo, sono sicuro che ce l’abbia anche grande.”

Assottigliai lo sguardo cercando di essere minaccioso, ma scatenai un suo sorriso divertito. 

“Pensi che me la faccia con i professori, Jaeger?”

Il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio. Poteva essere minaccioso anche con la sua bassa statura. 

“Stavi pensando al suo cazzo”, risposi, cercando di essere più sicuro di me stesso. La cosa gli piacque a giudicare dallo scintillio nei suoi occhi tempestosi. 

“Sbagliato. L’unico cazzo a cui penso è il tuo”, mormorò a un soffio dalle mie labbra. Fremetti e strinsi una mano a pugno, conficcando le unghie nella pelle per impedirmi di spingere Levi contro l’armadietto e baciarlo. Ripensai all’ultima volta che avevamo avuto un momento di intimità nella sua camera. Era stato qualche giorno fa e immaginare le sue labbra su di me causò un po’ di reazioni verso il mio bacino. 

Levi fece un passo indietro per non attirare ancora di più l’attenzione ma continuò a guardarmi come se mi desiderasse. 

“Ho proprio voglia di succhiartelo”, sussurrò in modo tale che solo io potessi sentirlo. Quasi mi strozzai con il mio stesso respiro. Dovetti distogliere lo sguardo dal suo viso per darmi un contegno. La campanella mi salvò per l’ennesima volta negli ultimi mesi. 

Mi staccai dall’armadietto e mi avvicinai a Levi, sovrastandolo con la mia altezza. 

“Usciamo assieme dopo la tua seduta con Mikasa. Anche io ho voglia di farti un piccolo regalo”, dissi al suo orecchio e poi gli baciai una guancia, approfittando del caos creato dagli studenti che andavano verso le aule. 
 

**********


Mi guardai allo specchio un’ultima volta prima di uscire dalla mia stanza, passandomi una mano fra i capelli per il nervoso. In realtà erano diversi giorni che pensavo di invitare Levi a un vero e proprio appuntamento. Il mio primo. 

Avevo indossato un maglione, cosa che facevo pochissime volte perché mi piacevano le mie felpe, sopra dei jeans chiari. Ai piedi le mie solite vans trasandate perché erano comode e non potevo essere troppo elegante. 

Scesi al piano di sotto e incontrai mia madre che leggeva un libro in salone. 

“Sto uscendo”, le dissi, camminando verso la porta prima di essere bloccato dalla sua voce. 

“Perché sei così carino? Hai un appuntamento?”, domandò con un sorrisetto, abbassando il libro sulle sue gambe per potermi guardare meglio. 

“No”, borbottai, afferrando la mia giacca nera che infilai velocemente. Sui capelli misi la solita cuffia che usavo di sera dato che il freddo proprio non lo sopportavo. 

“Uhm, stai mentendo però non ti metterò fretta”, disse mia madre senza smettere di sorridere. Alzai gli occhi al cielo e uscii da casa con le chiavi dell’auto in mano. 

Raggiunsi la casa di Levi con la fastidiosa sensazione di essere osservato da mia madre, sapevo quanto fosse curiosa e civettuola. 

Suonai al campanello e mi trovai Levi. 

Era più bello del solito con quella giacca in jeans che gli calzava perfettamente. Avrei voluto sporgermi per baciarlo ma poi vidi Kenny dietro di lui. L’uomo mi salutò con un cenno e fece qualche raccomandazione al nipote che alzò gli occhi al cielo e uscì dall’abitazione. 

“Non mi lascia in pace”, sbuffò infilando le mani nelle tasche della felpa bianca al di sotto della giacca. Passai lo sguardo sul resto del suo corpo, ammirando le sue gambe fasciate perfettamente dai pantaloni neri, bucati sul ginocchio. 

“Che guardi, pervertito?”

Colto in flagrante. Sollevai lo sguardo con un sorrisetto e allungai la mano verso di lui, toccandogli una natica. Mi beccai un’occhiataccia e non potei non ridere. 

“Ti guarderei il culo se camminassi davanti a me”, lo presi in giro e mi diede un leggero colpo con una mano. 

Entrai nella mia macchina e misi in moto dopo che il ragazzo si fu accomodato al mio fianco. Accesi il motore e guidai verso il mare dove avremmo cenato. 

“Comunque ti sto portando a un appuntamento e non voglio sentire le tue lamentele”, dissi dopo minuti di silenzio mentre eravamo bloccati nel solito traffico di città. 

“E come mai? Vuoi qualcosa, Jaeger?”

“Voglio farti sentire speciale.” 

Il silenzio riempì l’abitacolo e così dovetti voltarmi per capire che stesse succedendo. Levi si era fatto più serio ma quando incrociò il mio sguardo sorrise. Non era un ampio sorriso felice anzi era flebile e timido. 

“Grazie”, mormorò, guardandosi le mani. 

“Sei speciale, lo sai?”

Volevo davvero convincerlo di ciò, sapendo quanto fosse più emotivo e fragile rispetto a ciò che lasciava vedere. Si mordicchiò il labbro e allora gli presi una mano, intrecciando le dita alle sue. 

Una quindicina di minuti dopo arrivammo nel locale che avevo scelto per la cena. 

Non era qualcosa di costoso e raffinato ma mi sembrava carino e adatto a noi giovani. 

Prendemmo posto nel tavolo in legno prenotato e guardai Levi che osservava le numerose piante che decoravano il ristorante in legno. 

“Spero ti piaccia la cucina giapponese”, dissi nervosamente, non avendo fatto caso a quel dettaglio. L’espressione di Levi rimase impassibile ma notai il luccichio nel suo sguardo quando annuì. 

Mangiammo in un po’ più di un’ora e dopo aver pagato decidemmo di fare una passeggiata sul lungomare, godendoci la brezza sul viso. In realtà non amavo l’aria fredda ma mi bastava stare con Levi e avere una scusa per avvicinarci. 

Ci fermammo in un lido chiuso per via dell’orario e del periodo, e decisi di salire sulla torretta del bagnino, facendomi seguire dal mio ragazzo. Poi mi sedetti per terra e lui si mise sul bacino. 

Piccole reazioni partirono nel mio corpo ed arrossii colpevole. 

“Scordartelo, non faremo sesso qui”, mi rimproverò Levi, facendo scorrere le dita tra le mie ciocche. Giocò con esse mentre mandavo via l’imbarazzo dovuto ai miei ormoni. 

“Non abbiamo mai fatto sesso”, mormorai, allungando le mani su i suoi fianchi che massaggiai da sopra la felpa. Lo attirai a me per rubargli un bacio veloce. 

“Sei impaziente?”

Abbassai lo sguardo perché stavo sicuramente arrossendo un’altra volta. Levi mi sollevò il viso con una mano e mi accarezzò le labbra con le dita. Le schiusi e gli mordicchiai l’indice. 

“Succederà presto”, sussurrò, fissando il suo stesso indice fra le mie labbra. Una fitta piacevole al basso ventre mi fece rabbrividire. 

Gli leccai il dito ma poi mi scostai per poterlo baciare, avvolgendo le sue labbra fresche con le mie. Rimanemmo vari secondi in quella posizione, baciandoci con dolcezza e trasporto, senza rendere le cose più intense. 

Come ogni volta il cuore iniziò a battere con forza nel mio petto e mi sentii felice e al posto giusto, godendomi le attenzioni del mio ragazzo. E come ogni volta non riuscii a contenere i miei sentimenti. 

“Voglio dirlo a tutti”, mormorai, staccandomi dalle labbra screpolate di Levi. 

Aprii gli occhi e incrociai i suoi. 

“Cioè... non voglio fare un annuncio ma non voglio nascondermi”, spiegai meglio, grattandomi la nuca. Lui rimase impassibile, come al solito. Sollevai un sopracciglio per fargli capire che stessi aspettando una sua reazione. 

“Credo si possa fare.” 

Curvai le labbra in un ampio sorriso e gli presi il viso fra le mani per attirarlo a me, premendo la mia bocca sulla sua. Ci baciammo a lungo, facendo scontrare le nostre lingue in una danza passionale. 

Le sue mani fresche si insinuarono sotto al mio maglione, tracciando linee sulla mia pelle che arse sotto al suo tocco. Le sue gambe strinsero la presa contro i miei fianchi e soffocai un gemito sulla sua bocca, avvertendo il peso del suo corpo proprio sul mio membro. 

Mi scostai dalle sue labbra e gli morsi un lembo di pelle sotto all’orecchio. Mi concentrai in quel punto, succhiando la zona per farla arrossare. 

Volevo che fosse in un punto visibile. 

“N-no, Eren”, protestò il ragazzo, cercando di allontanare la mia testa ma non mi staccai finché non ebbi finito. Osservai il succhiotto che avevo appena creato e sorrisi soddisfatto. 

“Sei mio”, sussurrai con una risata. Levi alzò gli occhi al cielo e strofinò il proprio bacino su di me, provocando una serie di reazioni fra le mie gambe. 

“Sei uno stronzo”, boccheggiai, desiderando altro attrito fra di noi. 

“Ti invito ufficialmente a casa mia per fartelo succhiare”, rispose lui con un sorrisetto prima di alzarsi dalle mie gambe. Rimasi per un po’ a guardarlo torreggiare su di e poi sorrisi leggermente, sollevandomi da terra. 

“Potrei ricambiare il favore”, borbottai al suo orecchio, facendo scorrere una mano verso il suo fondoschiena che adoravo. Palpai quella parte del suo corpo e la lasciai andare solo quando dovette scendere le scalette. 

Tornammo alla mia auto e prima di mettere in moto inviai un messaggio a mia madre, dicendole che avrei dormito da Levi, poi lasciai il cellulare sul cruscotto. 

“E tuo zio?”, chiese dopo essere entrato nella piccola villetta, togliendomi poi la giacca nera. Mi sfilai le scarpe e portai lo sguardo sul mio ragazzo che stava facendo la stessa cosa.  

“Ha detto che sarebbe uscito con degli amici quindi puoi anche urlare dal piacere.”

Sentii le guance scaldarsi per l’imbarazzo e sbuffai poco dopo. 

“Da quando dici certe cose?”, domandai, camminando verso le scale, iniziando a salire i primi gradini. Sentii i passi di Levi dietro di me. Da quando stavamo assieme faceva sempre più riferimenti sessuali e ogni volta mi sorprendeva oltre che provocarmi. 

“Da quando ti imbarazzi in quel modo”, rispose semplicemente, entrando in camera sua dopo di me. Chiuse la porta e poi mi spinse contro il letto perfettamente in ordine, costringendomi a sedermi sul materasso. 

Levi si sfilò la felpa mettendo a nudo la sua pelle chiara dove erano presenti piccoli succhiotti sbiaditi. Ripensare al momento in cui li avevo creati mi fece eccitare ancora di più. 

“Devo spogliarmi?”, mormorai ironicamente, schiudendo le gambe attorno al suo corpo, sentendo lo sguardo del ragazzo poggiassi proprio fra di esse. 

“Muoviti”, rispose sicuro di se, mettendosi sulle ginocchia poco dopo, passando le sue mani lungo le mie cosce, toccandole in modo tale da farmi sentire ancora più sensibile. 

Afferrai il bordo del mio maglione e lo tolsi dal mio busto per poi sbottonare i jeans e calarli. Levi mi aiutò e rimasi solo con i boxer davanti al suo sguardo carico di lussuria. 

Schiusi le labbra per sospirare, sentendo l’erezione formarsi sotto al tessuto delle mie mutande e quando lui mi toccò in quel punto non riuscii a non sollevare i fianchi, sentendo brividi di desiderio per tutto il mio corpo. 

Finalmente tolse anche quell’indumento in più e potei sentire le sue dita fresche direttamente contro la mia pelle sempre più tesa. Buttai la testa all’indietro, godendo della sensazione dei suoi polpastrelli su di me e poi della sua lingua e infine delle sue labbra, strette attorno al mio membro. 

Mi piaceva fottutamente tanto sentire la sua bocca umida che mi stuzzicava e riusciva a donarmi piacere fino a farmi raggiungere l’orgasmo intensamente. 

Infilai le dita fra i suoi capelli e non mi trattenni neanche una volta. 
 

**********
 

Una mezz’ora più tardi Levi era steso su di me con la testa poggiata sul mio collo. La mia pelle bruciava nei punti in cui era a contatto con la sua ma era la sensazione più bella del mondo. 

“Com’è andata con Mikasa?”, chiesi dopo un po’, toccando i suoi capelli disordinati e morbidi. Li portai all’indietro, liberando il suo bel viso. 

“Bene, ha detto che possiamo diminuire la frequenza. Una volta ogni due settimane”, mormorò contro il mio collo, facendo vibrare quel punto. 

“Ne sono felice.”

“Mmh, Eren?”

“Dimmi.”

“Grazie per fare così tanto per me”, mormorò dolcemente, baciando il mio collo piano e con delicatezza. Raggiunse il mio viso e strofinò le sue labbra screpolate sulle mie prima di baciarmi. Non mi dispiaceva iniziare un’altra sessione di pomiciate e ricambiai il bacio, schiudendo la bocca sulla sua per far intrecciare le nostre lingue. 

Avvolsi le braccia attorno al suo collo quando si sedette sulle mie gambe, bloccando i miei fianchi nudi con le sue. Potevo sentire davvero tutto in quella posizione e ciò fece piacere alle mie parti basse. 

Feci scivolare le dita lungo la sua schiena nuda e raggiunsi il suo fondoschiena ancora coperto dalle coperte. Toccai la pelle scoperta, ottenendo dei gemiti piacevoli da parte di Levi. 

Eravamo così presi dal nostro momento, avevamo anche iniziato a far strofinare i nostri bacini e potevo sentire il mio membro iniziare a indurirsi, che non sentimmo la porta aprirsi. Non sentimmo neanche i passi sulle scale e sempre più vicini alla camera di Levi. 

Però ci accorgemmo di Kenny quando pronunciò il nome del mio ragazzo. 

“Cosa cazzo...”, disse l’uomo, schiudendo le labbra per la sorpresa davanti alla vista di suo nipote che si stava strusciando sul suo migliore amico d’infanzia. 

Levi si staccò immediatamente, scivolando al mio fianco e coprendo i nostri corpi con la coperta. Io rimasi immobile, incapace di dire qualcosa. 

 

 

 

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Capitolo 19
*** “It was my fault” ***


Los Angeles- 21 febbraio 2020 

 

Levi 

 

Nonostante le mille rassicurazioni di Eren, non ero riuscito a dormire bene e mi ero svegliato più di una volta, ripensando alla faccia che aveva fatto Kenny quando ci aveva scoperto. 

Mi svegliai con un forte mal di testa e mi scostai dal corpo caldo del mio ragazzo per potermi alzare e andare a vestirmi. Infilai una maglietta a maniche corte e i pantaloni di una tuta prima di scendere al piano di sotto, sapendo che mancava ancora una buona mezz'ora prima che la sveglia suonasse. 

 

 

Entrai in cucina e trovai mio zio intento a leggere il giornale e a girare il cucchiaino nel suo caffè privo di zucchero. 

 

 

"Hai intenzione di darmi qualche spiegazione?", borbottò dopo aver alzato lo sguardo su di me. Strinsi una mano a pugno, conficcando le dita nel mio palmo per non farmi prendere dalla rabbia. Il rapporto con mio zio non era ancora perfetto, anzi era molto lontano dall'esserlo. 

 

 

"Io ed Eren stiamo assieme, non ho bisogno di darti nessuna spiegazione", sbottai con nervosismo, sentendo la sensazione di nausea montare dentro di me. La visione del caffè e il suo forte odore la fecero aumentare. 

 

 

"Non trattarmi così, sono tuo zio, pensavo avessimo chiarito la questione riguardo i tuoi attacchi di rabbia." 

 

 

"E io pensavo lo avresti capito!"

 

 

"Levi, nessuno ti sta impedendo di fare niente. Avrei solo voluto saperlo prima di trovarlo nel tuo letto senza vestiti." 

 

Mi morsi con forza il labbro inferiore, sapendo più che bene che la mia rabbia cieca stava dando il meglio di se in quel momento. Non riuscivo a capire dove il discorso stava andando a finire e non riuscivo a bloccare la mia ira verso Kenny. Con lui mi arrabbiavo in pochissimo tempo. 

 

 

 

"Non sono tenuto a dirti le mie cose", dissi glaciale, incrociando il suo sguardo con il mio. I suoi occhi erano molto simili ai miei. 

 

 

"Stai esagerando, vedi di calmarti." 

 

 

Mi passai furiosamente una mano fra i capelli, stringendoli fra le dita per cercare un modo per non sbottare ancora di più. Stavo facendo una sceneggiata per nulla dato che Kenny non mi stava impedendo di stare con Eren, ma la parte consapevole di ciò era sepolta sotto il nervoso. 

 

 

 

"Ah, fanculo", borbottai e salii velocemente le scale, entrando in camera con così tanta furia da far svegliare il ragazzo nel letto. 

 

 

"Muoviti, ti porto a fare colazione fuori", gli dissi velocemente, finendo di vestirmi dato che si prospettava una giornata di pioggia. Ironia della sorte. 

 

 

Eren non fece domande, ancora intontito dal sonno, e si mise i pantaloni della sera prima ma gli prestai una felpa per stare più comodo. 

Uscimmo da casa senza salutare mio zio e salimmo nell'auto del mio ragazzo dopo che prese il suo zaino dalla sua villetta, evitando gli sguardi curiosi di Carla. 

Anche se avrei dovuto essere io quello a portare Eren da qualche parte, era lui che mi scorrazzava con la sua auto. Ci fermammo in un bar vicino a scuola e consumammo la nostra colazione in silenzio. 

 

 

 

"Ha detto qualcosa tuo zio?", domandò lui, osservando ciò che era rimasto nella sua tazza di caffellatte. Il pensiero di Kenny iniziò a farmi innervosire. 

 

 

 

"Ovviamente, che ti aspettavi? Stavamo praticamente per scopare", risposi in malo modo, stringendo una mano a pugno. Avrei dovuto calmarmi al più presto. 

 

 

 

Eren sollevò un sopracciglio ma non disse nulla. Arrossì un po' per la consapevolezza di essere stato sorpreso in un momento intimo ma sicuramente non voleva darmi spunti per un litigio. Nonostante ciò, non sopportavo chi non rispondeva alle provocazioni. 

 

 

 

"Andiamo", sbuffai scocciato e pagai io per entrambi solo per fare prima. 

Camminammo lungo il marciapiede, avvolti da un'aurea più che negativa. E sentivo lo sguardo asfissiante di Eren su di me. 

 

 

"Dio, smettila di fissarmi", sbottai, "vado dagli altri, ci vediamo dopo." 

 

 

Lasciai il mio ragazzo in mezzo al corridoio e raggiunsi i miei amici del gruppo di teatro, salutandoli in modo normale per non creare sospetti sul mio umore. 

 

 

"È un succhiotto quello?", disse Jean con una risata, fissando il segno che Eren aveva creato la sera prima. Alzai gli occhi al cielo, volendo inventare una scusa perché non mi andava per niente di aprire l'argomento. 

 

 

"L'ha fatto Eren?", chiese Reiner con divertimento, non lasciandomi tempo di ribattere. 

I due iniziarono una discussione su quanto si capisse che stessimo assieme dunque non aveva senso mentire. 

 

 

"Si", borbottai prendendo i libri dal mio armadietto. Li strinsi fra le braccia e quando mi voltai incontrai lo sguardo di Petra che stava camminando al fianco di Annie. Mi rivolse un breve sorriso e poi notò il mio succhiotto. Per un attimo sembrò incupirsi e infine sparì fra gli altri studenti. 

 

 

"Sono felice che stiate assieme", mi disse Marco, cogliendomi alla sprovvista. Annuì velocemente e mi appoggiai al mio armadietto, sentendo gli altri parlare del più e del meno. 

Non riuscivo a inserirmi nella conversazione e nemmeno mi andava poiché i sensi di colpa iniziavano a farsi sentire. Eren era stato così dolce a portarmi fuori a cena e io l'avevo trattato male senza nessun motivo. Non era colpa sua se io e Kenny non riuscivamo proprio ad andare d'accordo. 

 

 

"Va tutto bene?", mi chiese nuovamente Marco, guardandomi preoccupato. In questi momenti non riuscivo proprio a sopportare il suo sguardo carico di apprensione. 

 

 

"Alla grande", borbottai scocciato. 

 

 

"Avete litigato?" 

 

 

Alzai gli occhi al cielo ma mi sforzai di non rispondere malamente, era già una giornata terribile anche senza litigare con i miei amici. 

 

 

"Qualcosa del genere." 

 

 

"Chiarirete, quel ragazzo ti adora", mi disse con un sorriso, poggiando una mano su una mia spalla, "e poi volevamo parlarti di una cosa a pranzo." 

Aggrottai la fronte ma non feci in tempo a chiedere nulla poiché la campanella era appena suonata e Marco sfuggì alla mia vista. 

 

 

 

 

**********

 

 

 

 

Mi diressi nella mensa, cercando con lo sguardo Eren e notai che fosse seduto di fianco ad Armin e Historia. Non sembrava per nulla sereno e una fitta di colpevolezza attraversò il mio cuore. Mi guardò per pochi istanti ma poi distolse lo sguardo, facendomi sentire ancora di più un idiota. 

 

Sospirai e mi diressi da Marco, sentendo su di le numerose occhiate dei nostri compagni di scuola. Beh, erano mesi che non mangiavo con il gruppo di teatro e in più avevo un fottuto succhiotto sul collo e non era difficile fare due più due. 

 

 

Camminai velocemente e andai a sedermi tra Marco e Jean, ignorando dei bisbigli provenire dal tavolo di fianco al mio. 

 

 

"Ecco mr. popolarità, sono sicuro che fra poco scriveranno un romanzo sulla tua vita", rise Jean, allungando il suo vassoio verso di me ma il mio stomaco era ben chiuso. 

 

 

"Sarebbe una noia mortale", commentai freddamente e incrociai le braccia sul tavolo, poggiando il mento su di esse. Jean si era ripreso il vassoio per consumare il suo pranzo. 

 

 

"Ah, non credo, devi averne vissuto parecchie ultimamente. In più stai avendo anche una vita sessuale", continuò a prendermi in giro, premendo l'indice sul mio succhiotto. 

Sollevai il viso e gli lanciai un'occhiataccia. 

 

 

"Ce l'avevo anche prima di Eren", mi lasciai sfuggire e il mio amico sorrise ampiamente. 

 

 

"Sicuro? Petra ha detto ad Annie di non aver mai fatto sesso, quindi..." 

 

 

"Si possono fare tante altre cose ma evidentemente non ne sai così tanto." 

 

 

"Dai, smettetela, non voglio immaginare certe cose mentre mangio", sbuffò Reiner, interrompendo il nostro battibecco. Per un attimo stavo anche dimenticando di essere di cattivo umore ma poi tornai a pensare ad Eren e Kenny. Odiavo essere troppo pensieroso. 

 

 

"Parliamo di teatro", propose Marco, attirando l'attenzione di tutti. 

 

 

"Dobbiamo muoverci e organizzare lo spettacolo di fine anno e Levi tu devi farne assolutamente parte. Lo so che hai detto di avere altro a cui pensare però ci piacerebbe che tu fossi dei nostri. È il nostro ultimo anno", disse il ragazzo con lo sguardo pieno di speranza. 

Mi passai la lingua fra le labbra, non essendo abbastanza sicuro di poter accettare ma in effetti aveva ragione, era il nostro ultimo anno e recitare mi era sempre piaciuto. 

 

 

"Okay, d'accordo", sospirai, acconsentendo alla sua richiesta e sperando di non pentirmene. Allo stesso tempo ero felice di tornare a fare quello che mi piaceva e quando vidi le loro espressioni contente non riuscii a non sorridere, seppur leggermente. 

 

 

Stavolta chiacchierai con loro come se non avessimo mai litigato, sentivo che finalmente il nostro rapporto si era aggiustato sul serio e sentivo di poter andare avanti con la mia vita. Dopotutto non ero da solo. 

 

 

"Beh, ora devi assolutamente chiarire con Eren anche perché sennò ti lascerà a piedi", scherzò Jean, scatenando delle risate da parte di tutti. Sapevo che aveva ragione e fortunatamente stavo imparando a gestire la rabbia. Non mi ero innervosito come altre volte in cui ero stato subito pronto ad alzare le mani. Era sopratutto merito di Mikasa e delle nostre sedute. 

Mi alzai dal mio posto e camminai verso il tavolo di Eren, picchiettando poi una mano sulla sua spalla per farlo girare. 

 

 

Due occhi feriti mi fissarono. 

 

 

"Ehm, possiamo parlare?", chiesi, cercando di non sentirmi ridicolo, lì in piedi con Armin e Historia che ascoltavano. 

 

 

"Non credo sia il momento", rispose il mio ragazzo, distogliendo lo sguardo dal mio viso. 

 

 

"Per favore", continuai, attirando su di noi sguardi di persone vicine al tavolo. Mi passai una mano fra i capelli come ogni volta in cui mi sentivo nervoso. 

 

 

"Parliamo dopo, Levi, non insistere." 

 

 

Sapevo che avrei dovuto trattenermi e accettare il suo volere ma proprio non ci riuscivo. 

 

 

"Cazzo, Eren, mi dispiace, è solo colpa mia, non puoi accettare le mie fottute scuse?", dissi cercando di non alzare il tono della voce. Non volevo che gli altri sapessero i fatti miei anche se li stavo praticamente rivelando  a tutti. 

 

 

Eren mi guardò scocciato e tolse la mia mano dalla sua spalla per poi alzarsi, lasciandomi lì come l'idiota che ero. Armin e Historia mi guardarono dispiaciuti e il primo mi disse che gli sarebbe passata nonostante ci fosse rimasto male stamattina. Non dissi nulla ed uscii dalla mensa, sentendo gli sguardi dei curiosi sulla mia schiena. 

 

 

Inutile dire che dovetti prendere il pullman per tornare a casa. 

 

 

In salone mi stava aspettando Kenny, sicuramente desideroso di chiarire con me. Almeno questo problema lo dovevo risolvere. 

Poggiai lo zaino per terra e lo raggiunsi, sedendomi sul divano, al suo fianco. 

 

 

"Mi dispiace aver reagito così ma non mi aspettavo quella scena", disse mio zio. Annuì brevemente, aspettando che continuasse. 

 

 

"E non avrei dovuto dirlo in quel modo." 

 

 

"Va bene", borbottai, giocando con il bordo della mia felpa, "scusa per le mie risposte." 

 

 

Kenny sospirò e per un po' rimanemmo in silenzio. Il nostro rapporto si era rovinato con la morte di mia madre. Non riuscivo proprio ad andare d'accordo e ci evitavamo per non entrare in collisione. 

 

 

"Lo so che non andiamo d'accordo ma cerchiamo di non discutere per delle stupidaggini." 

 

 

Annuì cercando di non incontrare il suo sguardo. Sapevo che avesse ragione ma sfogarmi su di lui era ancora ciò che non riuscivo ad evitare. Dargli la colpa era molto più facile per stare meglio. 

 

 

"Ci proverò", dissi velocemente prima di alzarmi. Non sopportavo più di stare in quella stanza con lui. 

 

 

"Devo parlarti di una cosa", disse con serietà, bloccando il mio cammino verso le scale. Mi voltai verso di lui, sentendo la strana e nauseante sensazione di sapere cosa volesse dirmi. 

 

 

"È sulla morte di tua madre, non riesco più a tenere questa cosa per me." 

 

 

"È stato un incidente, vero?", mormorai con voce tremante. L'ansia mi stava divorando vivo e sentivo di non riuscire neanche a reggermi sulle mie gambe. 

 

 

"Si ma è stata anche colpa mia." 

 

 

Era come se mi fosse crollato il mondo addosso. Sapevo che lui e mia madre fossero assieme quel giorno ma avevo sempre pensato, e mi avevano sempre detto, che lei era scivolata sui binari della stazione. Una semplice caduta che le era stata fatale. 

Era il mio subconscio che continuava a incolpare Kenny ma non avevo mai avuto una reale motivazione. Era solo per non sentirmi in colpa per non aver detto più volte a mia madre quanto le volessi bene, per non aver passato più tempo con lei e per non aver cercato di litigarci di meno. 

 

 

"C-che hai fatto?", balbettai, lasciandomi cadere sul divano. Una sensazione di orrore si diffuse dentro di me. 

 

 

"Stavamo litigando per un motivo così stupido che neanche ricordo e lei, cercando di allontanarsi, non ha visto il gradino ed è caduta. Se non avessi discusso con lei sarebbe stata più attenta." 

 

 

Parlò lentamente e con un tono disperato, portandosi le mani alla testa. Dirlo stava rendendo la cosa reale, ero sicuro che era quello che pensava. 

 

 

Stare la dentro mi stava facendo sentir male e mi alzai, facendomi forza sulle gambe per uscire da quel posto asfissiante. Infilai le scarpe e uscii da casa, senza neanche prendere il telefono, correndo lungo il marciapiede per cercare di non pensare ma i pensieri frullavano nella mia testa senza controllo. 

 

 

Se non fosse uscita con Kenny non sarebbe morta. Se non avessero litigato non sarebbe morta. Se fossi andato con lei non sarebbe morta. Se, se, se, se, milioni di se vorticavano nella mia mente, impedendomi di formulare un pensiero lucido. 

 

 

Corsi ancora più forte con il petto che mi faceva male per lo sforzo. Non sapevo neanche dove stessi andando ma quando dovetti fermarmi per il dolore lancinante capii di essere giunto fino alla casa dei nonni di Farlan. 

 

 

Camminai e salii i gradini per poi bussare alla porta. Avevo bisogno... non sapevo neanche io di cosa avessi bisogno. Volevo dimenticare tutto, sparire per sempre lasciandomi travolgere dal dolore che stavo provando. Stavo andando avanti, stavo meglio, e ora stavo nuovamente sprofondando. 

 

 

"Levi...?", disse la voce di Farlan. Sollevai lo sguardo su di lui, iniziando a sentire le lacrime scivolare sulle mie guance. Il mio amico mi fece entrare e chiuse la porta dietro di me. 

 

 

"Che diavolo succede? Hai litigato con Eren?" 

 

 

Annuì e poi scossi la testa, non era quello il problema anche se avrei voluto lasciarmi stringere dalle braccia di Eren per scordare il mondo attorno a noi. Ma non era giusto per lui, non poteva farsi sempre carico dei miei problemi. 

 

 

"Kenny, lui, mio zio, è colpa sua", biascicai senza un senso logico, passandomi con furia le mani sul viso per asciugare quelle lacrime senza controllo. Le stavo odiando. 

 

 

"Cerca di calmarti, ti do un bicchiere d'acqua", disse con un tono che non avevo mai sentito. Era... dolce? 

Normalmente mi avrebbe dato fastidio ma ero così fuori di me da non farci caso. Anzi volevo che qualcuno mi trattasse bene. 

Camminammo fino alla cucina e bevvi l'acqua fresca, riuscendo a tornare in me, almeno un po'. 

 

 

"Racconta pure", disse Farlan, facendomi sedere su una delle sedie attorno al tavolo. Non riuscivo a fare nulla per conto mio con tutti i pensieri assurdi che stavo avendo. 

 

 

"Lui e mia madre avevano litigato e lei, lei, è caduta sui binari. È fottutamente colpa sua." 

 

 

Eccola, sentivo la rabbia formarsi internamente. Stava crescendo sempre di più e non sarei stato in grado di controllarla. 

 

 

"Levi, devi sul serio calmarmi", disse Farlan, tenendomi un braccio ma io allontanai la mano con forza, non sopportando nessun contatto fisico. 

 

 

Mi alzai dalla sedia e camminai per la stanza, sfogandomi, urlando quanto odiassi mio zio, quanto avrei voluto colpirlo. Farlan non si perse d'animo e cercò di farmi calmare in ogni modo possibile ma la mia rabbia era accecante e non vedevo nulla se non il ricordo della morte di mia madre. Il suo fottuto funerale. 

 

 

Diedi un pugno al muro della cucina sentendo fitte lancinanti sulle mie nocche e quel dolore, affievolito dal nervoso, mi riportò in me. La rabbia scivolò via, lasciandomi esausto. Mi appoggiai al muro freddo e sentii Farlan prendermi per un polso per andare in bagno e curare la ferita che mi ero causato. 

 

 

Lo lasciai fare restando in uno stato catatonico. Avevo provato fin troppe emozioni in pochissime ore. 

 

 

"Puoi dormire qui per stasera ma vedi di risolvere le cose con tuo zio perché è stato un maledetto incidente e lui non avrebbe mai immaginato di causare una cosa del genere. Non è colpa tua ne sua, ficcatelo in quella testa arrabbiata, nanetto." 

 

 

Mi passai la mano sana sul viso, e rimasi in silenzio, non potendo ribattere quella che era la verità. 

 

 

"E dammi il numero di Eren, non so perché ma sento che sia preoccupato per te." 

 

 

Non avevo il telefono ma ricordavo la serie di cifre che dissi a Farlan. Mi accompagnò in camera sua e mi sistemai sul letto. Sentivo gli occhi gonfi per le lacrime di prima ed ero troppo stanco per cercare di tenerli aperti. 

In sottofondo, la voce di Farlan che parlava con qualcuno era un suono piacevole che aumentò il mio sonno. Neanche me ne resi conto di quando mi addormentai.

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Capitolo 20
*** Breaking up ***


Los Angeles - 22 febbraio 2020

Eren

Continuai a camminare avanti e indietro per il vialetto di Farlan, aspettando che uscisse per poter sapere qualcosa, qualsiasi cosa, su cosa stesse succedendo. 

Finalmente vidi la porta aprirsi e notai il viso conosciuto di Farlan. Mi fece cenno di raggiungerlo e così feci.

''Dov'è Levi?'', domandai senza neanche salutarlo, ero davvero fin troppo preoccupato. Il giorno prima avevo cercato di ignorarlo ma poi non avevo resistito. Lui non aveva risposto a nessuno dei miei messaggi e una strana sensazione si era fatta strada dentro di me. Poi mi aveva chiamato Farlan, di sera, e mi ero trattenuto con tutto me stesso dal correre li. 

''Sta ancora dormendo, vai pure su. Io vado a presentarvi ai miei nonni. Prima porta a destra.''

Entrai nella casa elegante e salii le scale in legno bianco, riuscendo a non farmi vedere dai parenti di Farlan. Entrai nella sua stanza e trovai una figura rannicchiata fra le coperte. Fra le braccia stringeva un cuscino e la testa affondava in esso, non permettendomi di vedere bene il suo viso. Sentii il mio cuore stringersi a quella vista. 

Chiusi la porta e mi sedetti sul bordo del letto, cercando di fare meno rumore possibile però Levi si destò comunque. Schiuse le palpebre e mi guardò con l'espressione più triste che avessi mai visto sul suo viso. Non c'era nessuna barriera fra di noi, ora. 

''Hey'', mormorai con dolcezza, facendo scivolare una mano fra i suoi capelli disordinati, portandoli all'indietro.

''Potresti sdraiarti qui per un po'?'', chiese con voce roca come se non parlasse da un po' o avesse urlato troppo. Annuii e mi sfilai le scarpe prima di scivolare fra coperte tiepide. 
Il suo profumo mi avvolse assieme al calore delle sue braccia mentre le stringeva attorno a me. Sistemai le mie attorno al suo bacino e ricambiai la stretta con la sua testa nascosta nel mio collo.

Ero a pezzi e con le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro. Ma dovevo essere forte perché Levi stava male e le mie braccia dovevano stringerlo e non permettergli di crollare. 

Non so per quanto rimanemmo così, con il suo respiro che si infrangeva sul mio collo, le sue lacrime calde che bagnavano la mia felpa e le sue dita strette attorno ad essa. 
Sarei rimasto per sempre così se fosse bastato a farlo stare meglio. 
Quando smise di piangere decisi di dire qualcosa, sollevandogli il viso con una mano. 

''Puoi parlarmi di cosa è successo?'', chiesi con delicatezza, mandando via le tracce di lacrime sulle sue guance. Il cuore mi si strinse dolorosamente. 

''Si, non qui, possiamo andare a casa tua?''

''Puoi rimanere anche a dormire'', proposi. Per qualche motivo sembrava voler evitare di tornare a casa. 

Ci alzammo dal letto e ci rivestimmo silenziosamente prima di scendere le scale. Farlan ci incontrò davanti all'uscio e abbozzò un sorriso nonostante il suo sguardo preoccupato. 

''Grazie'', mormorò Levi, stringendosi nella felpa che stava indossando. Io gli feci un cenno e poi uscimmo dalla casa per andare verso la mia auto.
Guidai senza rispettare i limiti della strada e Levi non se ne lamentò, sembrava piuttosto assorto in qualche pensiero triste. 

Arrivai a casa e quasi esultai quando non vidi la macchina dei miei genitori. C'era quella di Mikasa ma solitamente se ne stava in camera anche se, quando notava il mio malumore, era pronta ad intervenire tempestandomi di domande. 

Aprii la porta e salimmo verso il piano di sopra senza incontrare mia sorella. Chiusi la mia camera a chiave per evitare di essere disturbati, e feci cenno a Levi di sistemarsi sul mio letto. 
Si era tolto le scarpe e si era sdraiato sul materasso, raggomitolandosi tra le coperte disordinate. Lo raggiunsi e lo accolsi fra le mie braccia. Era incredibile come il nostro rapporto fosse diventato cento volte più intimo. 

Rimanemmo in silenzio per un po' e passai il tempo ad accarezzare i suoi capelli per tranquillizzarlo, riuscendoci dopo vari tentativi. 

''Ho parlato con Kenny di mia madre'', mormorò quasi all'improvviso. Rimasi in silenzio ed attesi il continuo, intrecciando le dita alle sue ciocche scure. 

''Mi ha detto di come è morta'', riprese con voce spezzata come se gli dolesse fisicamente dire certe cose. Come se le parole si stessero incastrando nella sua gola. 

''Stavano litigando ed è scivolata.''

Il tono era così basso che per un attimo pensai di essermi sognato quella frase. 
Dunque Kuchel era morta per uno stupido litigio fraterno. Perché era stata disattenta. Sapevo che fosse caduta sui binari ma non avrei mai immaginato che Kenny c'entrasse qualcosa. 
Non sapevo cosa dire, non sapevo come mettere a posto i cocci del cuore di Levi. 
Lo strinsi di più a me e lui ricambiò, nascondendosi fra le mie braccia. 

''Mi dispiace così tanto e vorrei saper dire qualcosa di più utile'', mormorai goffamente. 

''Ho sempre incolpato Kenny perché non sapevo come stare meglio ma ora è peggio. Io lo so che non è davvero colpa sua ma non riesco a non pensare a tutti i modi in cui le cose sarebbero state diverse'', sussurrò contro il mio collo. 

Potevo quasi capire cosa intendesse e avrei tanto voluto trovare una soluzione veloce per fare ordine. 

''Cosa hai intenzione di fare?'', mormorai dopo un po', timidamente. 

Levi sollevò il viso e mi guardò con uno sguardo carico di dolore ma anche decisione, ''non posso stare con lui, anche se ho intenzione di perdonarlo in futuro. Non riesco a parlarci con calma'', disse con sicurezza. 

''Però non posso neanche tornare in quel posto, dagli psicologi. Gli dirò di ignorarci e ognuno vivrà la sua vita'', riprese. Sospirò e riappoggiò il viso contro il mio collo. Non lo avevo mai visto così indifeso e la cosa mi spaventava. Avevo paura di dire o fare la cosa sbagliata. 

''Qualunque cosa tu decida io ci sarò e... anche Mikasa.''
Lui non rispose per un po' e io mi limitai a concedergli le mie attenzioni, che fossero carezze o baci leggeri. 

"E non voglio neanche che Isabelle si metta in mezzo", sospirò dopo minuti di silenzio. Mi mordicchiai il labbro inferiore, non sapendo bene cosa dire. La situazione era complicata e sapevo che Isabelle controllasse spesso come andavano le cose. 

"Forse ti basterà continuare ad andare da Mikasa e far finta che sia tutto okay'', proposi insicuro, giocando con qualche ciocca dei suoi capelli. In realtà non mi sembrava l'idea più giusta poiché quella donna sembrava saperne una più del diavolo, ma dovevamo provarci, nessuno di noi due voleva che lo cose peggiorassero. 

''Dio, la vita fa schifo'', sbottò Levi a un certo punto, stringendo la presa sulla mia felpa. Non sapevo che rispondere, non aveva tutti i torti, la vita non si stava mostrando clemente nei suoi confronti. 

''Puoi restare qui fino a lunedì, ti va?'', proposi, sollevandogli il viso con una mano. Incrociai il suo sguardo e fremetti per tutte le emozioni che vi lessi. Annuì e si sporse verso di me per baciarmi, a lungo, come se volesse dimenticare la realtà attorno a noi.

Non ero abituato a vedere un Levi così disponibile nel parlare di ciò che lo turbava, doveva essere così a pezzi da non riuscire più a erigere il suo solito muro.

Continuai a baciarlo, avvolgendo le sue labbra con le mie per cercare di farlo stare meglio in ogni modo possibile. Lo strinsi a me, sentendo il suo corpo premere sul mio in ogni punto, sentendomi sempre più accaldato. 

Quando si scostò mi fissò, sollevandosi per mettersi in ginocchio fra le mie gambe. Notai le occhiaie accentuate, segno che avesse dormito male. Gli presi una mano e sentii, sotto le dita, delle ferite così aggrottai la fronte, ponendogli una domanda indiretta.

''Ho litigato anche con un muro'', mormorò mogio, scostando la mano dalla mia come se si vergognasse. 

''Vuoi farti una doccia?'', gli chiesi per cambiare argomento e perché le docce, a volte, migliorano la situazione. Lui annuì e si alzò dal letto per andare verso il bagno. 

''Vieni con me?'', sussurrò, girandosi dopo aver bloccato la sua camminata. Annuii e lo raggiunsi, andando in bagno con lui. Chiusi la porta a chiave e Levi iniziò a spogliarsi, rimanendo solo con i boxer. Normalmente mi sarei eccitato ma ora sentivo solo il bisogno di proteggerlo.

Stava rabbrividendo, per colpa della finestra aperta, e mi sembrava ancora più minuto del solito. Decisi di iniziare a far scorrere l'acqua calda così lui entrò, dopo essersi tolto l'ultimo indumento. Feci la stessa cosa e lo raggiunsi. 

L'acqua calda creò del vapore attorno a noi, offuscando il vetro della doccia. Era una sensazione piacevole e mi aiutò a rilassarmi. 

Portai lo sguardo su Levi e gli chiesi se potessi aiutarlo a lavarsi. Lui si limitò ad annuire.

Insaponai i suoi capelli scuri, massaggiandone la cute e spargendo un buon odore di shampoo alla vaniglia per l'abitacolo. Poi mi occupai del suo corpo, usando il bagnoschiuma che cosparsi sulla pelle candida e liscia. 

Notai che fosse più magro dell'anno scorso, quando tastai il suo busto, e trattenni un sospiro. Vederlo soffrire faceva stare male anche me. Feci scorrere l'acqua calda sul suo corpo, mandando via la schiuma sulla sua pelle. 

Poi si voltò verso di me, poggiando timidamente le mani sulle mie braccia.

''Eren, voglio fare sesso con te'', mormorò, guardandomi con il suo sguardo tagliente.

Boccheggiai, non aspettandomi di certo una frase del genere. Quando l'aria tornò nei miei polmoni cercai qualcosa da dire, ignorando il modo in cui il mio corpo reagiva alle sue provocazioni.

''Non mi sembra il caso...'', borbottai, evitando il suo sguardo ma poi lui fece scendere le mani su i miei fianchi e mi attiro a se. Eravamo pericolosamente vicini, davvero troppo. Continuai a distogliere lo sguardo, anche mentre lui si sporgeva per baciarmi il collo.

Morse un punto su di esso e iniziò a succhiare. Io iniziai a scordare quello che avrei voluto dire e mi abbandonai alle sensazioni piacevoli, ripetendomi che avrei potuto fermarlo più tardi. 

Levi fece scivolare la sua bocca lungo il mio petto, lasciando piccoli segni su di esso, iniziando a farmi eccitare. Sentii il membro tendersi, in reazione ai suoi baci caldi e ai suoi leggeri morsi. 

''In camera, però'', sussurrò scostandosi, lasciandomi insoddisfatto. Chiusi il rubinetto e uscii dalla doccia, sentendo il mio corpo sensibile mentre avvolgevo un asciugamano attorno ai miei fianchi. 

Levi fece la stessa cosa e tornammo sul letto. Neanche il tempo di sedermi che la sua bocca avvolse la mia, baciandomi con trasporto fin da subito.

Era come se bastasse un suo tocco ad accendermi e così accadde. 

Le sue mani tolsero il mio asciugamano e rimasi completamente nudo, dimenticando dell'aria fresca della camera poiché ero già accaldato. 

Continuai a baciarlo, facendo scontrare le nostre lingue, muovendo le nostre labbra più velocemente come se volessimo di più, fonderci totalmente per diventare uno. 

Gli tolsi l'asciugamano e mi lasciai cadere sul letto con lui sopra, fra le mie gambe nude, con il suo bacino che urtava il mio, mandando scosse al mio membro sempre più sensibile. Il suo non era messo meglio, potevo sentire la sua erezione premere su una mia coscia. 

Gli strinsi i fianchi per guidarlo e lui si sedette sul mio bacino, muovendosi per far scontrare le nostre intimità, senza smettere di baciarmi. 

Persi la cognizione del tempo e della realtà, godendomi la piacevole frizione fra i nostri corpi. In quella posizione potevo toccare Levi al meglio, facevo scorrere le dita sulla sua schiena nuda, sul suo fondoschiena, sulle sue gambe. Lo sentivo fremere e rabbrividire ogni volta che mi spingevo più in la, massaggiando l'interno delle sue cosce. 

Smettemmo di baciarci e respirammo con affanno, guardandoci affamati. Volevo di più, volevo il suo corpo, volevo entrare dentro di esso. 

Lo spinsi sotto di me e lui gemette, inarcandosi sul materasso. Una visione che mai avrei creduto di poter avere. Osservai la sua pelle chiara e accarezzai il suo busto, raggiungendo la sua erezione. A quel punto iniziai a masturbarlo, sentendo sempre più spesso i suoi gemiti.

Entrambi non pensammo minimamente alla presenza di Mikasa nella stanza a fianco.

Poggiai il pollice sul suo glande ma lui mi bloccò la mano, scuotendo la testa. 

Lo guardai allarmato.

''Voglio fare sesso, cosa non ti è chiaro?'', sospirò esasperato e la mia sicurezza iniziò a vacillare. Mi morsi il labbro inferiore, non sapendo come continuare. Non sapevo molto dei rapporti sessuali fra due ragazzi. E nei porno saltavo sempre la parte di preparazione. 

Decisi di continuare comunque, portando la mano di prima fra le sue gambe, verso il suo fondoschiena. Levi si irrigidì non appena portai l'indice sulla sua apertura. 

L'eccitazione di prima poteva dirsi svanita per sempre. Più i secondi passavano più mi sembrava di star facendo qualcosa di sbagliato. 

''Continua'', borbottò Levi. Neanche lui mi sembrava sicuro di ciò che stessimo facendo. Smise di guardarmi e rimase immobile mentre lo toccavo, spingendo l'indice più in fondo. Sospirai, desiderando il calore piacevole di prima. Nella stanza era tornato il freddo. 

Alla fine tolsi la mano con una forte sensazione di inadeguatezza calare su di me. Giurai anche di aver sentito un sospiro di sollievo da parte di Levi. 

''Non va così, non è il momento giusto'', commentai, mordendomi nervosamente il labbro inferiore. Mi sdraiai al fianco di Levi.

''Sei noioso'', mi rispose scocciato e si coprì il corpo con la coperta. 

Mi morsi la lingua per non rispondere a tono, sapendo quanto fosse delicato quel momento, ma non potei impedirmi di rimanerci male.

Rimanemmo in silenzio, un silenzio molto pesante, finché Levi non si girò verso di me. 

''Eren.''

''Che vuoi?'', sbottai senza volerlo sul serio. 

''Scusa, hai ragione'', sospirò e si avvicinò ancora di più a me, cercando un abbraccio da parte mia. Gli perdonavo tutto perché ciò che provavo per lui era così forte da lasciarmi senza fiato e spaventarmi al tempo stesso. 

''Sono un disastro'', sussurrò nuovamente e nascose il viso nel mio collo, respirando piano contro la mia pelle. Avvolsi le braccia attorno a lui, stringendolo come se fosse la cosa più preziosa a questo mondo, e per me lo era.

''Non ti preoccupare anche se prima o poi dovrai darmi un premio o qualcosa del genere'', mormorai dolcemente, accarezzandogli la schiena nuda. 

''Lo so, non saprei che fare senza di te.''

Accennai un sorriso e gli baciai la fronte, scendendo lungo il resto del suo viso. Dedicai numerose attenzioni a questo Levi così fragile.

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Capitolo 21
*** Strange situation ***


Los Angeles - 23 febbraio 2020

Eren 

Un buon odore di dolci si sparse per la camera, risvegliando il mio stomaco che brontolò affamato. 

Potevo sentire il profumo grazie alla porta che avevo dovuto lasciar aperta, dopo aver parlato con mia mamma il giorno prima. 

Le avevo chiesto se Levi potesse rimanere a dormire sia sabato che domenica e alla fine mi aveva parlato delle sue supposizioni. Colpevole anche l'ennesimo succhiotto sul mio collo. Certe volte ero davvero un idiota. 

Alla fine le avevo rivelato della mia relazione con Levi e per prima cosa mi aveva proibito di chiudere la porta a chiave. Mikasa aveva ridacchiato dall'altra parte della cucina, avrei scommesso qualsiasi cosa: lei già lo sapeva.
E, infatti, mi aveva minacciato prima di andare a dormire. Se avesse sentito altri rumori strani sarebbe entrata per uccidermi direttamente. 

A quel punto ero diventato rosso fino alla punta delle orecchie, desiderando di sprofondare verso il centro della terra. 

Così, avevo dovuto tenere la porta aperta, per meglio dire socchiusa, tutta la notte. E Levi aveva preferito dormire sul divano per evitare strane situazioni. 

Mi destai completamente mentre la fame aumentava, e portai lo sguardo sul ragazzo addormentato davanti al mio letto. 

La sua espressione era corrucciata anche nel sonno e io sospirai. 
Mi alzai dal materasso e decisi di chiudere la porta, sentendo delle voci al piano di sotto, segno che tutta la mia famiglia stesse facendo colazione. 

Mi infilai sotto la coperta che avevo dato a Levi, e iniziai a lasciare dei baci sul viso del mio ragazzo come se potessi mandare via i suoi pensieri tristi e quell'espressione aggrottata. 

Levi sollevò le palpebre lentamente, guardandomi confuso. 

"Di prima mattina, Jaeger...", mormorò con voce roca. Aggrottai la fronte e diedi un morso sulla sua mascella, facendolo sbuffare. 

"Dai, mi fai caldo", brontolò, spostandomi con una mano su una mia spalla. Poi sentii anche il suo stomaco chiedere del cibo. Ridacchiai e mi misi in piedi, infilando le pantofole perché le mattonelle fredde mi stavano infastidendo. 

Levi si alzò dopo un po' e mi raggiunse, afferrando un lembo della mia maglietta per costringermi ad abbassarmi. Così feci e ci baciammo, per un po' di secondi. 

"Pensavo non ti andasse... di prima mattina", lo presi in giro, anche per cercare un modo per migliorare la situazione. Alla fine non gli piaceva quando gli altri provavano pena per lui. 
Solo il giorno prima mi aveva concesso di trattarlo come se fosse qualcosa di fragile e da proteggere. 

In ogni caso avrei continuato a prendermi cura di lui. 

"Pensavo ti piacessero i miei baci." 

"Pensavi bene", mormorai prima di baciarlo un'altra volta, avvolgendo le sue labbra morbide con le mie, schiudendole per far scontrare le nostre lingue. 

Le lasciammo intrecciare mentre le nostre mani si incastravano le une tra i vestiti dell'altro, costringendo i nostri corpi a farsi più vicini. 

La mattina ero più sensibile e gradii quei baci languidi, quelle carezze piacevoli. Mi staccai prima che fosse troppo tardi. 

Levi infilò le mani sotto il tessuto della mia maglietta, facendomi rabbrividire. Avrei voluto resistere e allontanarlo subito, ma non avevo molta forza di volontà. 

"Odio dover tenere la porta aperta", sbuffò, tracciando dei cerchi sul mio addome, con le sue dita fresche. 

"L'ho chiusa."

"Non a chiave, idiota", alzò gli occhi al cielo e mi pizzicò un fianco, facendomi sussultare appena. Allontanò le mani e lo ringraziai mentalmente poiché stavo iniziando ad eccitarmi. 

Decidemmo di scendere al piano di sotto per mangiare e tre paia di occhi si posarono su di noi. 

Mia madre ci sorrise dolcemente, mio padre ci rivolse un cenno come saluto e Mikasa mi fulminò con lo sguardo. Forse aveva messo una cimice in camera mia poiché sembrava sapere ogni cosa che facevamo. 

"Buongiorno", esordì dopo il saluto flebile di Levi. Quando era con me si lasciava andare un po' di più, con gli altri si sentiva leggermente a disagio poiché non riusciva a distrarsi dal pensiero di Kenny. 

Dopo aver fatto colazione gli proposi di andare a fare un giro da qualche parte, magari sulle colline di Hollywood. 

"Prendiamo dell'erba?", propose Levi mentre si vestiva, infilandosi una mia felpa che, ovviamente, gli stava grande. 

"Prima non avresti mai fumato", mormorai mogio, ricordando la sera in cui gli avevo porso una canna e lui mi aveva guardato schifato. Mi sembravano passati secoli da quella volta. 

"Prima. Ho bisogno di liberare un po' la testa, di rilassarmi. Non puoi concedermelo?"

Avrei voluto dire di no, avevo paura che diventasse dipendente da quella falsa sensazione di relax. Ma sarei risultato ipocrita, considerando tutti i venerdì che avevo passato da Ymir. 
Inoltre non riuscivo a dirgli di no, Levi era il mio punto debole. 

"Solo questa volta, okay?" 

"Jaeger, non sono uno che si prende dei vizi. Non avrei neanche i soldi per comprarla", sbuffò scocciato davanti alla mia reticenza. Si infilò una tuta di quando ero più piccolo e poi le scarpe. 

Alzai gli occhi al cielo alle sue parole ma alla fine chiamai Ymir, dopotutto era lei quella che la procurava per le nostre serate. 

Passammo a casa sua prima di andare verso le colline. Le diedi qualche banconota e notai che fosse meno burbera del solito. 

"Tutto bene con Historia?", domandai con una risatina e poi, come se l'avessi evocata io, spuntò la mia amica bionda dal bagno di Ymir. 

"Hey, Eren!", esclamò con il suo sorriso gentile. 

"Come vedi, va tutto bene", sorrise Ymir. Poi alzò un sopracciglio e la sua espressione mutò. 

"E il tuo fidanzato con il cuore spezzato? Come sta? Scommetto che è per lui quest'erba", mi chiese come se sapesse già la risposta. 
Sembrava che tutti avessero previsto l'andamento della mia relazione con Levi da molto tempo. 

Historia si accigliò, notando in quel momento la bustina che avevo tra le dita. 

"Le cose vanno... normale. Alti e bassi, penso che Historia ti abbia raccontato tutto", borbottai, portando lo sguardo sulla mia amica dall'espressione colpevole. 

"Stiamo assieme, mi sembra ovvio che si confidi con me", ridacchiò Ymir, "comunque stai attento, non finire anche tu con il cuore spezzato. Le persone che soffrono possono fare del male a chi sta loro vicino. E ti trascinano in brutte situazioni." 

Mi sentii turbato da quelle parole e mi morsi il labbro nervosamente. Ringraziai Ymir e salutai Historia, tornando poi in auto. 

Levi non mi avrebbe mai fatto del male, non intenzionalmente per lo meno... 

"Presa?", chiese, stranamente esaltato. Le parole di Ymir continuavano a ronzarmi per la testa. 

"Ah si, certo", borbottai, porgendo la bustina a Levi. Il ragazzo se la rigirò fra le dita prima di infilarla in una tasca della felpa. 

Guidai verso Hollywood per poi salire sulla stradina che portava alle sue colline, andando verso una zona poco frequentata. Mi ci aveva portato Armin nelle sere estive. 

Fermai l'auto nel primo spiazzo che trovai e portai Levi nella zona dove si trovavano delle panchine che davano sul panorama di Los Angeles. 

Le raggiunsi e mi sistemai su una di esse con il ragazzo al mio fianco. 
Prese la bustina dalla tasca e me la porse, senza dire nulla. Avevo capito che voleva che girassi una canna, dopotutto ero l'unico a saperlo fare. 

Con un sospiro presi una cartina e diedi delle istruzioni a Levi per fare prima. Chiusi la canna velocemente e la portai fra le labbra per accenderla. 

Il sapore intenso mi colse al primo tiro, così come le prime sensazioni. L'aumento del mio battito cardiaco, il formicolio piacevole lungo il mio corpo. 

Feci qualche tiro prima che Levi me la tolse dalle labbra, portandola fra le sue. 

Il tempo di qualche secondo e vidi la sua espressione mutare, diventare più rilassata. 

"Cazzo, adoro questa sensazione", sospirò contento, facendo scivolare il fumo dalle sue labbra morbide. 
Lo guardai senza dire nulla, continuando a pensare alla frase di Ymir. Era questa una situazione strana? Una situazione dove non avrei dovuto trovarmi? 
Vedere Levi fumare erba non mi piaceva. 

La maggior parte della canna fu consumata da lui e quando la buttai lo vidi rilassarsi contro la panchina, guardando davanti a se con uno strano sorriso stampato sul viso. 

Tutti i pensieri che stavo avendo smorzavano le sensazioni che l'erba avrebbe dovuto darmi. 
Mi alzai per sfuggire per un po' da quella situazione opprimente. 
Mi appoggiai al parapetto posto sul precipizio, e guardai la città davanti a me, finché non sentii delle braccia avvolgere il mio bacino. 

Delle labbra mi baciarono il collo, raggiungendo il mio orecchio. Levi mi morse il lobo e fece scorrere una mano sul mio addome fino al cavallo dei miei pantaloni. 

"Non sarebbe eccitante farlo qui?", sussurrò al mio orecchio, soffiando contro di esso. Continuò a tastare il mio membro che pulsò in risposta. Dannati ormoni. 

Mugolai leggermente, avvertendo le sue labbra continuare a muoversi sulla pelle nuda, nei punti in cui riusciva ad arrivare. 
Sentivo l'odore pungente dell'erba giungere da Levi e la cosa mi irritò, come quel venerdì da Ymir. 

"No, dai", mormorai, scostando la sua mano dai miei pantaloni. Mi voltai, restando fra le sue braccia. 

"D'accordo, magari nel tuo bagno", sogghignò il mio ragazzo, pressando il suo ginocchio fra le mie gambe. Schiusi le labbra gemendo piano ma poi mi diedi una calmata e mi scostai dal suo corpo. 

"Trattieniti, Ackerman", lo presi in giro per alleggerire la situazione e smettere di avere pensieri negativi. 

"Ora mi copi anche."

"Esatto."

Ritornai sulla panchina e Levi mi seguì, sdraiandosi su di essa, poggiando la testa sulle mie gambe, chiudendo gli occhi con il vento fresco che muoveva i suoi capelli. Mi persi a guardare la sua espressione leggermente tesa per gli ultimi avvenimenti. 
Aveva le sopracciglia corrucciante così decisi di passare l'indice sopra di esse, cercando di distenderle. 

Levi aprì i suoi occhi ed incrociammo i nostri sguardi. Attraverso le sue iridi ero in grado di leggere emozioni che nascondeva perfettamente con la sua espressione. Immaginavo che fosse ancora turbato dalla rivelazione di Kenny e processare la cosa sarebbe stata dura. Sopratutto per un tipo emotivo come lui. 

Allungò una mano verso una delle mie e mi accarezzò il palmo, facendo intrecciare le nostre dita nuovamente. Il mio cuore prese a battere come ogni volta che entravano in contatto. 

"Mi dispiace per ieri, non so cosa mi sia preso", mormorò, evitando il mio sguardo. Mi imbarazzai al pensiero del giorno prima ma poi ricacciai dentro il disagio, non era stato il momento adatto. Eravamo troppo tesi. E neanche troppo convinti di volerlo fare.

"Non ti preoccupare", borbottai. Lui aggrottò la fronte per il tono della mia voce e allora gli rivolsi un sorriso rassicurante. 

"Sono serio", dissi e mi chinai per far unire le nostre labbra in un dolce e casto bacio. Levi volle continuare il contatto, muovendo la sua bocca sulla sua e non seppi dire di no. 
Chiusi gli occhi, poggiando una mano contro una sua spalla per sorreggermi mentre le nostre labbra iniziavano una danza piacevole, accompagnata dagli schiocchi prodotti dai nostri movimenti. 

Ogni bacio era fantastico e mai uguale al precedente. Sentivo una serie di emozioni spargersi attraverso il mio corpo e creando un'irrefrenabile voglia di sorridere, tanto che mi dolevano le labbra quando cercavo di trattenermi. 

Dimenticai il momento imbarazzante del giorno prima, sperando di poter avere una prima volta con lui molto migliore. 

Dimenticai le parole di Ymir poiché ora che sembrava andare meglio, ora che Levi sembrava di nuovo se stesso. 

La verità era che non avevo idea di cosa sarebbe successo nelle settimane successive.

 

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Capitolo 22
*** Parties ***


Los Angeles- 1 marzo 2020

Eren

"Vuoi andare a una festa? Tu?", chiesi confuso contro al telefono, giocherellando con un lembo della mia coperta dove mi ero comodamente infilato. Era passata la mezzanotte di quel sabato più caldo degli altri giorni, anche se ormai potevo dire che fosse domenica. 

"Si, Jaeger, una festa. Mi ha invitato questo tipo, Floch", disse uno scocciato Levi dall'altra parte della cornetta. L'idea di alzarmi e cambiarmi per poi uscire, per di più di nascosto, non aveva nulla di invitante. Neanche voler vedere Levi era un motivo così forte al momento. E poi non ero mai stato il tipo di persona che andava alle feste in casa di qualcuno, organizzate solo per poter bere e chissà che altro. 

Potevo benissimo definirmi un nerd, dunque quello che non era il mio ambiente, per niente. E pensavo non lo fosse neanche di Levi, nonostante la sua popolarità. 

"E vuoi andare ora?"

"Si, tu hai la macchina", disse esasperato. Alzai gli occhi al cielo e provai ad alzarmi, raggiungendo l'armadio per cercare qualcosa da mettermi. Inclinai la testa per tenere il telefono fra il mio orecchio e la spalla. 

"D'accordo ma decido io quando tornare."

"Basta che non sia solo un'ora dopo, non fare il noioso." 

Chiuse la chiamata e strabuzzai gli occhi verso il mio cellulare. Quando mi chiamava "noioso" non era per niente piacevole e lo faceva abbastanza spesso. Iniziavo a sentirmi infastidito da quel suo nuovo modo di fare. 

Presi dei jeans neri e una felpa, infilando entrambe le cose velocemente. Misi le solite vans e uscii di casa senza neanche darmi una controllata. 
Cercai di fare il più piano possibile quando aprii la porta e poi la chiusi. Se mio padre si fosse svegliato sarei stato messo in castigo per almeno una settimana. 

Camminai verso l'auto e vidi Levi raggiungermi dalla sua abitazione. Era bellissimo con quei pantaloni che stringevano le sue gambe e la camicia. Aveva anche portato i capelli all'indietro e sembrava una visione più che una persona reale. 

Rilassò i suoi tratti quando mi vide e mi spinse contro la fiancata dell'auto, appropriandosi della mia bocca con foga, facendo scontrare le nostre lingue senza neanche aspettare che fossi io a schiudere le labbra. 

Ma non me ne lamentai, anzi il mio corpo reagì positivamente a quel bacio duro e privo di tenerezza. Okay, forse uscire non era una cattivissima idea se potevo ricevere certe attenzioni. 

Levi si staccò e si pulì un rivolo di saliva in un angolo della sua bocca, usando il pollice. Assolutamente eccitante. 

Rimasi incantato per qualche istante e mi beccai un piccolo colpo sul petto. 

"La smetti di fissarmi come se fossi una divinità?", borbottò scocciato e salii in auto dopo che l'ebbi aperta con le mie chiavi. 
Arrossii, colto con le mani nel sacco. 

Mi diede le indicazioni e guidai verso una bella zona di Los Angeles con case carine, non molto grandi, ma meglio delle nostre. 
Mi fermai dove mi disse Levi e anche dove sembrava esserci del movimento. 

"Hai dell'erba?", chiese Levi quando spensi il motore. Aggrottai la fronte, girandomi verso di lui. 

"No, non sono uno spacciatore. E non te la darei comunque." 

"Che palle, Eren, è stata una giornata di merda, ho bisogno di dimenticarla." 

Ecco il perché eravamo a una festa a cui nessuno dei due avrebbe mai pensato di andarci. Schiusi le labbra sospirando, sentendomi nervoso tutto a un tratto. Mi sentii anche impotente perché non ero in grado di offrire una soluzione migliore, sapevo solo che la sua era una pessima idea. 

Studiai la sua espressione corrucciata di sottecchi e mi sentii anche in colpa per non avere dell'erba. Stupidamente in colpa perché non avrei dovuto sentirmi così. 

"Andiamo", dissi infine, volendo cambiare aria e passare sopra la questione. 
Scendemmo dall'auto e percorremmo il vialetto costeggiato da aiuole ben curate e violate da alcune bottiglie di birra delle persone che si trovavano nel giardino per fumarsi una sigaretta. 

Tutti ci guardarono o, meglio, fissarono Levi perché sembrava una cazzo di divinità per quanto era bello e struggente. Desiderai tappare gli occhi a tutti nella mia insensata gelosia. 

Poi il mio ragazzo si avvicinò a un tipo, questo Floch, che sembrava già mezzo ubriaco. Gli chiese qualcosa e lui gli porse una sigaretta e un accendino. 

Sbuffai e mi sentì. 

"Ah, ciao, devi essere il suo ragazzo", disse strascicando fastidiosamente qualche parola. Annuii senza dire altro e lui poggiò una mano sulla mia spalla. 

"Dai, amico, rilassati, è una festa", ridacchiò e pensai che fosse viscido. Mi scrollai la sua mano di dosso con un'espressione contrariata. Mi era difficile fingere gentilezza con chi non sopportavo già a prima vista. 

"Chi lo avrebbe mai detto", borbottai annoiato, alzando gli occhi al cielo. 

Levi si accese la sigaretta, sollevando un sopracciglio quando mi guardò, facendomi delle domande senza spicciare parola. 

"Sembra un po' frustrato sessualmente il tuo ragazzo, al piano di sopra ci sono dei bei letti", commentò Floch, irritandomi ancora di più. 

"Sei un esperto di letti?", chiese ironicamente Levi dopo aver fatto uscire il fumo dalle sue labbra. 

"Diciamo che li ho testati", rise con una stupida risata. Era tipo un mix tra un delfino e una foca. Davvero stupida. 

"Wow, interessante", borbottai sarcasticamente e lui mi fissò senza smettere di ridere. Poi vide qualcuno alle mie spalle e gli fece un cenno della mano. 

"Ah, Marlo. Ci vediamo dopo, belli!", esclamò prima di urlare qualcosa verso il suo amico. 

"Non fare il noioso, sembri una cazzo di vecchietta che è costretta a usare il computer per la prima volta", disse scocciato e allora gli presi la sigaretta dalle dita. 

"Che ti prende?"

"Tu odi il fumo", sibilai scontroso. Levi assottigliò lo sguardo e riprese la sigaretta, facendo gli ultimi giri con un'aria nervosissima. Io non ero messo meglio. 

"Ti ho detto di cosa avevo bisogno e tu non lo avevi." 

Il suo sussurro malevolo mi colpì in pieno. Alzai gli occhi al cielo e mi allontanai, oltrepassando la gente per entrare in quella dannata festa. Ora ero io ad avere bisogno di alcol. 
Mi sentivo frustrato ed irritato dal suo comportamento. E anche molto triste per il suo commento, come se fossi una persona qualunque da cui ottenere della stupida erba. 

Raggiunsi gli alcolici e mi preparai un bicchiere da cui bevvi avidamente, con la gola che mi bruciava. Chiusi gli occhi e ignorai la sensazione. 

Bevvi almeno altri due bicchieri e la testa iniziò a pulsare dolorosamente, anche per colpa della musica alta. 
Barcollai fra le gente, iniziando a sudare come ogni volta in cui bevevo.  Sentivo caldo e avevo bisogno di aria e di andarmene via. 

Scostai l'ennesima persona che mi si parò davanti e vidi Levi tra la calca, con una bottiglia di vino in mano, e ogni tanto beveva direttamente da lì. Al suo fianco c'era Floch e altra gente a me sconosciuta che gli parlava. 

Una ragazza carina avvolse un braccio attorno al suo collo e sentii di stare per perdere il controllo. Erano vicini e io troppo lontano. 

Levi le disse qualcosa con un sorrisetto malizioso e lei aggrottò la fronte, allontanandosi poco dopo. Poi, i suoi occhi taglienti mi videro e mi fece cenno di raggiungerlo. 

Così feci. 

Mollò la bottiglia da qualche parte e avvolse le braccia attorno al mio collo poiché lo superavo di almeno dieci centimetri. 
Mi baciò la mascella, come se volesse farsi perdonare per prima. Sperai fosse così. 

"Le ho detto che dieci minuti fa stavo succhiando il tuo cazzo", disse languidamente al mio orecchio, facendomi rabbrividire. 
Le sue provocazioni sapevano farmi fremere anche quando ero arrabbiato con lui. 

Osservai la sua espressione e sentii l'odore di vino provenire dalle sue labbra. Storsi il naso anche se io non ero messo meglio. 

"Non mi piace quando bevi così tanto", mormorai accigliato. Sollevò le sopracciglia e mi tirò i capelli leggermente per farmi abbassare. 

La sua lingua leccò le mie labbra e io le schiusi non sapendo come resistere. Mi era impossibile. Ero attratto da Levi completamente, solo averlo vicino mi inebriava e non capivo più nulla. In più era così bello da mozzare il fiato e io ero brillo, non del tutto consapevole delle mie scelte. 

Mi lasciai guidare dai suoi gesti e movimenti sinuosi, dalle sue labbra che lasciavano una scia di baci umidi sul mio collo, soffermandosi in punti che mordeva e succhiava, lasciando perdere la gente attorno a noi. 

Sentivo caldo ed eccitazione, volevo andare via da quella festa per avere Levi tutto per me. Odiavo le occhiate che gli lanciavano mentre ballava vicino a me. 

Invece io mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, immobile al centro della stanza. Provai a muovermi, cercando di non pensare agli occhi dei curiosi su di noi. Avvolsi i fianchi esili di Levi e lo attirai a me perché lo volevo più vicino, ancora di più fino a nasconderlo alla vista degli altri. 

Le nostre bocche si scontrarono duramente, muovendosi l'una sull'altra come se non si toccassero da giorni. La mia pelle ardeva dove veniva accarezzata da lui. Sentivo le gambe molli e il cuore che batteva all'impazzata mentre la lingua di Levi guizzava sulla mia, dominandola. 

Le sue mani tirarono i miei capelli e mugolai sulla sua bocca, scostandomi appena per respirare. Ma lui non ne volle sapere di smettere e continuò a baciarmi, facendomi dimenticare anche dove fossimo. 

Avevo bisogno di più contatto, volevo toccare il suo corpo e togliere gli stupidi vestiti fra di noi. 

Levi sembrava desiderare la stessa cosa perché, quando si staccò, mi prese un braccio con decisione e camminò per la stanza, raggiungendo le scale per il piano di sopra. 

Dimenticai il motivo per cui ero infastidito. Dimenticai Floch e lasciai perdere la piccola sensazione che mi stava dicendo di smettere immediatamente ciò che stavamo facendo. 

Eravamo in una camera qualunque, sopra un letto di chissà chi. Ero steso sul materasso con Levi sopra il mio bacino. 

Si tolse la camicia lentamente e io mi persi ad osservare il suo busto perfetto, allungando poi le mani per toccarlo. Accarezzai il suo addome e lo vidi inarcare i fianchi. Il suo bacino premette sul mio. 

Iniziò a muoversi, dondolandosi su di me, facendo strofinare le nostre intimità eccitate. Mi faceva quasi male avere quei vestiti addosso. 
Mi tolsi la felpa velocemente dopo essermi messo seduto. A quel punto non esitai a baciare Levi per l'ennesima volta, con i nostri fianchi che si muovevano per cercare più frizione, desiderosi di ricevere molto di più. 

Accarezzai la base della sua schiena, attirandolo ancora di più a me mentre la mia lingua esplorava la sua bocca. 

Era uno dei baci più intensi ed eccitanti che ci eravamo mai dati. Le nostre labbra erano completamente schiuse e potevo sentire un rivolo di saliva scorrere lungo il mio mento. 

La sua lingua si muoveva sulla mia, facendo contorcere il mio basso ventre per il piacere e la brama. 

Stavo quasi per impazzire, non mi ero mai sentito così sensibile e debole, incapace di pensare, completamente perso in un mare di desideri dolcissimi. 

"Levi, fai qualcosa, cazzo", imprecai, staccandomi dalle sue labbra gonfie e rosse. Aprii gli occhi per guardare il suo viso. 

Era ancora più bello. 

La mia erezione pulsò alla vista del suo corpo, della sua espressione debole. Le sue mani iniziarono a togliere gli ultimi vestiti che ci rimanevano e restammo nudi in quel letto. 

Mi spinse per farmi sdraiare sul materasso e la sua testa finì fra le mie gambe. La sua bocca schiusa pronta a donarmi piacere. 

A quel punto persi anche la cognizione del mio corpo, avvolto da ondate di piacere che mi fecero gemere come non mai.

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Capitolo 23
*** ''There's something wrong'' ***


Los Angeles- 14 Marzo 2020 

Eren

Ero seduto in un divano di una casa a me sconosciuta, partecipando all'ennesima festa di quel mese. 

Abbassai lo sguardo sulla mano con cui tenevo un bicchiere in carta, colmo di un liquido scuro e dal sapore orribile. 
Bevvi un altro sorso ma proprio non riuscivo a farmelo piacere. Probabilmente era anche colpa della situazione, avrei tanto voluto trovarmi a casa mia. 

Un sudatissimo Levi si buttò, quasi, su di me, ridendo allegramente. Mi sforzai di non alzare gli occhi al cielo come ogni volta che si comportava così. E negli ultimi giorni lo faceva sempre più spesso, mostrandosi con atteggiamenti che non gli appartenevano.

Nelle ultime due settimane o giù di lì, le cose erano cambiate parecchio. Levi aveva iniziato a partecipare alle feste a cui lo invitavano praticamente da sempre, dopotutto era diventato popolare al suo primo anno. Mi costringeva a venire e iniziavo a sentire la mancanza delle nostre serate tranquille. Anche quelle dove studiavamo e basta, scambiandoci qualche bacio. 
Per via di questi eventi molte più persone iniziavano a conoscere il mio nome, cosa che, sinceramente, non mi entusiasmava. Non era fatto per essere popolare e non mi piacevano neanche le occhiate curiose che ricevevo. 

Levi, per convincermi mi diceva che voleva stare con me, che aveva bisogno di me, e che dovevamo goderci la nostra età. Ma questo non era il Levi che conoscevo e sembravo l'unico a preoccuparmene. Agli altri piaceva questo ragazzo che parlava un po' con tutti, che fumava erba e si ubriacava alle feste. E si divertivano a creare pettegolezzi sulla nostra relazione. Eravamo come la fottuta coppia dell'anno. 

"Puzzi di alcol", brontolai mentre Levi cercava di baciarmi, sfiorando le mie labbra con le sue. Un'altra risata sfuggì dalla sua bocca, assieme a un nauseante odore di birra. E pensare che non molto tempo fa ne bevevo parecchia, soprattutto da Ymir.

"Siamo a una festa, si beve, si beve alcol", mi disse come se fossi un idiota. A quel punto alzai davvero gli occhi al cielo. 

"Andiamo a ballare." 

Mi trascinò fra le altre persone, muovendosi più a meno a ritmo della canzone prima di avvolgere le braccia attorno al mio collo. 

Non potevo certo dire che non fosse sexy con la camicia bianca sbottonata, i capelli arruffati e le guance rosse. Con quello sguardo che mi attirava sempre di più e alla fine cedetti, baciandolo con foga. Era il mio punto debole, lo era sempre stato. 

Era questo che facevamo alle feste, davamo spettacolo. Dov'era finito il Levi riservato? Eppure la gente lo preferiva così mentre io sopportavo sempre di meno questa situazione. 
Allo stesso tempo non riuscivo ad allontanarmi quando mi provocava in questo modo. Ero estremamente attratto da lui. Mi sentivo un idiota quando cedevo così facilmente. 

Le sue dita si intrecciarono ai miei capelli e io lasciai vagare le mani lungo la sua schiena, facendo scontrare le nostre lingue. 

Il nostro bacio divenne sempre più intenso man mano che il tempo passava. Scordai la calca attorno a noi e pensai solo a Levi fra le mie braccia. Poggiai le mani sul suo fondoschiena e attirai il suo corpo al mio. 

I nostri bacini si toccarono, facendoci gemere durante il bacio, incuranti delle persone che potevano notare i nostri movimenti un po' più spinti. 

Mi scostai leggermente dalle sue labbra gonfie quanto le mie e in quel momento la sua lingua leccò la mia un'ultima volta. 

"Hai bisogno di un bagno, per caso?", sussurrò seducente vicino alla mia bocca, guardandomi in un modo che riusciva a farmi tremare senza ritegno. Tra le mie gambe si stava formando un'erezione. Dio, ero davvero un idiota. 

"Io dico di sì," riprese nuovamente, sfiorando il cavallo dei miei pantaloni con una sua coscia. E alla fine finimmo nel bagno enorme di quella casa con Levi fra le mie gambe e io che cercavo di tapparmi la bocca con una mano. 

L'unica cosa che non avevamo fatto era del sesso completo. Le occasioni c'erano state ma la maggior parte erano a queste feste o in luoghi davvero inopportuni. Passavamo poco tempo a casa e solitamente Levi studiava per riuscire a passare semplicemente l'anno, senza impegnarsi più di tanto. La cosa mi dispiaceva, aveva sempre avuto buoni voti.

Uscimmo dal bagno con un'espressione soddisfatta e le labbra gonfie di baci. Degli sguardi si poggiarono su di noi, inutile dire che sapevano tutti cosa fosse appena successo in quel bagno. 

Levi barcollò verso il tavolo degli alcolici e si riempì un altro bicchiere, l'ennesimo della serata. Sospirai, passandomi una mano fra i capelli, quella situazione non mi piaceva per niente. 
Mi avvicinai e cercai di bloccarlo ma lui si scostò bruscamente, riuscendo a bere la bibita. 

"Non essere noioso", mi rimproverò e svuotò il bicchiere, lasciandolo cadere sul tavolo con una risatina. Non mi piaceva quando mi trattava così e quella sua frase si ripeteva sempre come un mantra nella mia testa. Avrei voluto chiedergli perché stesse con me se ero davvero così noioso ma oltre che idiota ero pure codardo, avevo paura della sua risposta. 

Schiusi le labbra per dire qualcos'altro ma una persona mi interruppe. 

"Ackerman, facciamo una partita di beer pong, ci stai?", disse Floch. Levi acconsentì e si spostarono verso il giardino. Non mi piaceva neanche quel ragazzo che, ultimamente, girava attorno a Levi. Conoscevo delle storie poco carine sul mio conto. E ora sembravano quasi migliori amici. 

Decisi di non seguirlo e andai verso l'esterno, passando per la porta principale. Avevo bisogno di aria pulita per tornare in me. Dentro si soffocava.

Afferrai il telefono e decisi di scrivere un messaggio nella chat in comune con Armin e Historia. 

C'è qualcosa che non va.

Armin mi rispose praticamente subito, nonostante l'orario, chiedendo cosa intendessi.

Tra me e Levi, possiamo parlare domani?

Rispose anche Historia ed entrambi mi dissero di si. Bloccai il telefono e mi passai le dita fra i capelli, cercando di mandare via le lacrime di frustrazione. Potevo capire il suo voler fuggire dalla realtà, era legittimo. Ma sembrava che stesse usando anche me per farlo e se non lo faceva, ci era dannatamente vicino. 

Una mezz'ora più tardi Floch si avvicinò a me, tenendo Levi per un braccio. Il mio ragazzo era più pallido del solito e riversò l'alcol della sera vicino alla sdraio dove mi ero seduto. 

"Credo che sia arrivata l'ora di portarlo a casa", mi disse Floch e io annuii, mettendo un braccio di Levi attorno alle mie spalle. 

E non era neanche mezzanotte. 

Los Angeles- 15 Marzo 2020

Scesi in cucina e trovai Mikasa che beveva del caffè, guardando fuori dalla finestra. Non appena notò la mia presenza si voltò verso di me. 

"Stai uscendo?", chiese curiosa, notando che fossi vestito di tutto punto e stessi tenendo le chiavi dell'auto con una mano. 

"Vado a fare colazione con Armin e Historia", le spiegai. Mikasa mi rivolse un sorriso leggero per poi sospirare. 

"Dov'eri ieri notte?" 

Alzai gli occhi al cielo, sospirando sonoramente, le piaceva così tanto riempirmi di domande. 

"Una festa, con Levi." 

"Mi preoccupa quel ragazzo, non sembra in se", commentò pensierosa. Non era l'unica a pensarla così. 

"State ancora avendo delle sedute?", chiesi. Levi non me ne parlava più. In realtà non parlavamo così tanto, passavamo il tempo a baciarci. 

"Si, ma solo due. E non dice un granché, per questo sono preoccupata. Sembra che stia... bene, anche se non dovrebbe stare così bene, sembra esaltato. Non so se capisci cosa intendo." 

"Uhm si, forse", decisi di tenermi vago. Non volevo dire qualcosa contro il volere di Levi, nonostante una parte di me volesse confidarsi con qualcuno che condivideva le mie apprensioni. 

"Non farti paranoie però stai attento", mi disse Mikasa prima che io uscissi di casa. Era la seconda persona che mi diceva di stare attento. 

Raggiunsi lo Starbucks dove io, Armin e Historia ci eravamo dati appuntamento poco prima. Avevo bisogno di caffè e grassi dopo le ultime due feste a cui ero stato. Non ero abituato a una vita così movimentata e ad essere quasi popolare. La gente a scuola fissava me e Levi come se fossimo una specie di sogno.

Ordinai un semplice caffè americano e mi sedetti davanti ad Armin, aspettando Historia. 

"Ore piccole?",  chiese il mio amico notando le mie occhiaie e il mio caffè. Annuii. 

Poco dopo anche Historia ci raggiunse, con il suo ordine. Prese posto al mio fianco, squadrandomi con attenzione. 

"Aspettavo questo momento da più di una settimana, lo sapevo che c'era qualcosa che non andava tra te e Levi. Anzi, dovrei dire con Levi", commentò sapiente per poi bere un sorso del suo latte al caramello. 

La guardai confuso e lei ridacchiò, affermando di avere un sesto senso femminile o qualcosa del genere. 

"Non so cosa ci sia esattamente che non vada, ma qualcosa c'è. In due settimane sono stato almeno a cinque feste con Levi. Cinque, capite? E la prima di questa serie era la seconda di tutta la mia vita", borbottai, bevendo poi un altro sorso di caffè. 

"E Levi, lui odiava queste cose. Insomma, era una persona che odia pure essere guardata." 

"Era?", domandò Armin, frenando la mia parlantina piena di lamentele. Annuii più volte per rafforzare il concetto. 

"Si perché ora sembra amare queste cose, l'alcol, il fumo, essere al centro dell'attenzione. Mi manca stare a casa con lui, senza altre cento persone che ci guardano mentre limoniamo", ripresi il mio discorso. 
I miei amici mi ascoltarono con attenzione. 

"E... Non so cosa fare, non riesco neanche più a parlarci. Non facciamo altro che baciarci." 

"Questo perché hai gli ormoni fuori controllo", commentò Historia e sia io che Armin la guardammo sorpresi, solitamente non parlava di queste cose. 

"Dai, cercavo di alleggerire la situazione. Comunque, quando è avvenuto questo cambiamento?"

"È successa una cosa, suo zio gli ha rivelato di avere un po' di colpe riguarda alla morte di sua madre." 

Raccontai brevemente l'accaduto tra Kuchel e Kenny, sentendo una fitta di senso di colpa per stare tradendo così la fiducia di Levi. Ma non potevo non raccontarlo o la situazione non sarebbe stata chiara. 

Dopo le mie parole ci fu un momento di silenzio dove bevvi altri sorsi del mio caffè che stava diventando sempre più freddo. 

"Secondo me cerca di non pensare alla realtà", esordì Armin. 

"Lo penso anche io", risposi, "ma ho paura che stia usando anche per me per farlo, me ne accorgo perche cerca sempre del contatto fisico fra di noi", mormorai infine. Dire le mie paure a voce alta le rese ancora più reali. 

Historia notò la mia espressione cupa e mi toccò una mano, cercando di rassicurarmi. 

"Tu gli piaci, non dubitare di questo, si vede lontano un miglio. Però ora non è in se, è questo il problema, non si rende conto di stare sbagliando i modi con cui andare avanti", mi disse con dolcezza. 

Deglutii, abbassando lo sguardo sulle dita che accarezzavano le mie. 
Non sapevo come risolvere la situazione, rimpiangevo i momenti in cui le cose stavano migliorando. Il nostro primo appuntamento, era stato bellissimo, emozionante. Avrei dovuto godermelo di più. 

"Aveva ragione Ymir, sono io che la finirò con il cuore spezzato", sussurrai. 

"Eren, devi parlarci, sul serio. Non lasciarti incantare e parlarci", disse con sicurezza Armin. 

Sollevai lo sguardo su di lui, cercando di non abbattermi senza aver tentato ogni modo per cambiare le cose. 

Historia annuì, in accordo con il mio amico. Ero fortunato ad avere al mio fianco persone del genere. 
Rivolsi loro un sorriso. 

"Si, gli chiedo di vederci domani per andare da qualche parte e parlare seriamente."

Presi il telefono e inviai un messaggio a Levi dove gli chiesi di uscire, affermando di avere qualcosa da dirgli. 

Il mio ragazzo rispose con un semplice "okay", almeno questo non era cambiato. 

"Va bene, ha accettato", sospirai spaventato da ciò che sarebbe potuto succedere l'indomani ma cercai di rimanere positivo.

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Capitolo 24
*** White lies ***


Los Angeles-16 marzo 2020

Eren 

Dopo la scuola raggiunsi la mia auto, seguito da Levi, avvolti da uno strano silenzio. Uno di quelli pesanti che soffocavano tutto il resto. 

Mi sedetti al posto di guida con Levi al mio fianco, poi misi in moto per andare verso il parco dove eravamo stati qualche mese prima. 
Le temperature erano più alte e quando c'era sole si poteva anche stare a maniche corte. 
Scendemmo dalla vettura ed entrammo nel parco, costeggiando il lago prima di arrivare in una zona tranquilla. In lontananza si sentivano le urla dei bambini che si godevano una delle prime giornate calde dell'anno.

Mi sedetti sull'erba, incrociando le gambe. Levi prese posto vicino a me, giocando con un filo d'erba, tirandolo leggermente senza strapparlo via dal terreno. Una serie di ricordi della volta in cui ero stato qui con lui si focalizzarono nella mia mente, rendendo la realtà un po' più amara.

"Devi dirmi qualcosa?", domandò a un certo punto, interrompendo il silenzio fra di noi. Era arrivato il momento, non potevo più tirarmi indietro. 

"Si, sono preoccupato per te, per me, per la nostra relazione", esordii. Lui sollevò un sopracciglio poi aspettò che continuassi. 

"Io penso che ti stia comportando in questo modo per non pensare alla storia di Kenny." 

"In quale modo?", mi bloccò, stando sulla difensiva, lanciandomi uno sguardo scocciato. 

"Bevendo, drogandoti, dando spettacolo...", mormorai un po' intimorito dalle sue reazioni. 

"Ah beh, credo che tu faresti la stessa cosa al mio posto", commentò acidamente. Ci rimasi male per quell'attacco. 

"Non so cosa farei, sinceramente, sto solo cercando di farti capire che mi preoccupa vederti così. Io voglio che tu stia bene, non voglio vederti ubriaco ogni fine settimana perché è l'unico modo per sorridere", sbottai tutto in una volta, non riuscendo più a tenere per me quei pensieri. 
Levi non disse nulla ma il suo sguardo gelido parlava al suo posto. Ebbi paura, paura che tra noi stesse già finendo tutto. 

"Non so come stare bene, okay? E non è il tuo compito prenderti cura di me." 

"Sei il mio ragazzo, è il mio dovere prendermi cura di te e preoccuparmi. E poi sei un idiota perché non capisci che ho paura di perderti!", esclamai fuori di me, attirando qualche sguardo curioso dalla nostra parte. 

Levi schiuse le labbra non aspettandosi una risposta del genere e io sospirai. 

"Non voglio essere soltanto qualcuno che può allontanarti dalla realtà, voglio essere qualcuno con cui condividi i problemi di essa. Levi, cazzo, tu mi piaci da morire, ficcatelo in testa", mormorai le ultime parole e abbassai lo sguardo, pieno di imbarazzo. 
Levi rimase in silenzio ma poi vidi una sua mano toccare una delle mie, far intrecciare le nostre dita. Strinse la presa e io ricambiai debolmente per poi sollevare lo sguardo. 

"Scusami per averti fatto pensare queste cose. Non volevo che pensassi che ti stessi usando", mormorò, sembrando dispiaciuto. Non sapevo se fidarmi o meno, negli ultimi tempi stava dando il meglio di se come attore. 

Rimasi in silenzio, volendo altre rassicurazioni. 

"Eren, anche tu mi piaci, mi piaci tantissimo. Almeno credi a questo, il resto te lo proverò", disse con dolcezza e io gli credetti. 

Si sporse verso di me e si limitò a baciarmi una guancia. Questo era il Levi a cui ero abituato. 

"Puoi farmi qualche favore? Puoi evitare di stare male a ogni festa? E mi manca passare i fine settimana solo noi due", ammisi, incrociando il suo sguardo. 

Lui pressò le labbra fra di loro e alla fine acconsentì. 

"Però possiamo andare a qualche altra festa?", chiese a voce bassa, facendo unire la sua fronte con la mia. 

"Qualcuna, si", gli concessi. Dopotutto non sapevo nemmeno io che altri modi c'erano per farlo distrarre. Continuavo a sentirmi impotente in questo frangente. Ma decisi di non pensarci. 
Mi sporsi ancora un po' di più e ci baciammo teneramente, senza affrettare le cose, sentendo una piacevole sensazione di calma avvolgerci. 
Sembrava che fosse tornato tutto come il mese scorso, quando ci bastava poco per essere sereni, nonostante i mille problemi dietro l'angolo. 
Eppure, una parte di me non riusciva a fidarsi ciecamente. 


Los Angeles-21 Marzo 2020

Le giornate erano passate veloci e sembrava che le cose tra me e Levi andassero un po' meglio. Non benissimo ma sicuramente non male come la settimana prima.

Passavamo più tempo in casa, guardando qualche film, parlando di tutto e di niente, ma molto spesso Levi voleva avere un contatto intimo. Anche quando gli facevo capire che non mi andasse. 
Avevo ancora paura di essere un modo per distrarsi e il pensiero mi tormentava, nonostante lo negassi anche a me stesso. Mi ripetevo che facevamo le stesse cose anche prima di sapere di Kenny. 

Raccontai questi fatti ad Armin mentre camminavamo per la passeggiata sulle colline di Hollywood. Era il primo giorno di primavera e la temperatura era perfetta, desiderai che rimasse così per tutto l'anno. 

"Forse ti stai facendo troppe paranoie, Eren", disse il mio amico, sedendosi sulla prima panchina che incontrammo. Presi posto al suo fianco. 

"Forse hai ragione, è la paura che mi fa pensare a cose negative." 

"E poi credo sia normale continuare a desiderare di distrarsi. E ieri non è neanche stato alla festa di Floch", commentò Armin. 

Floch era un tipo strano, non mi piaceva per niente e per tutta la settimana era stato attorno a Levi.
Era lui che gli proponeva di andare a delle feste, anche se, in effetti, molti altri studenti lo invitavano. Però quel ragazzo era particolare, avevo sentito che un tempo vendeva anche delle droghe e io non mi fidavo di lui. 

"Spero che questo periodo passi in fretta", commentai, sollevando lo sguardo verso il cielo limpido. Indossavo una maglietta a maniche corte e i raggi caldi del sole erano piacevoli contro la mia pelle. 
Socchiusi gli occhi, godendomi quella bella giornata primaverile. 

"Hai pensato a cosa fare per il tuo compleanno?", chiese Armin, cambiando argomento. 
Mancavano meno di dieci giorni e la cosa mi era completamente passata di mente. 

"Non ne ho idea, non sono in vena di fare qualcosa", sospirai, portando lo sguardo sul mio amico. 

"Eren, non puoi preoccuparti solo degli altri, devi fare anche qualcosa per te stesso. Sinceramente è da un po' che non ti vedo sereno", mi disse Armin, assumendo un'aria preoccupata. 
Pensai a tutte le volte in cui ero stato in apprensione per Levi e nelle ultime settimane erano aumentate notevolmente. Non riuscivo a rilassarmi a meno che non stessimo assieme, a coccolarci, e quindi in un momento in cui potessi tenerlo sotto controllo. 

"È il mio ragazzo, non posso non preoccuparmi", mormorai, sapendo che con "altri", si riferisse semplicemente a Levi. 

Armin non disse nulla ma il suo sguardo parlava al posto della sua bocca. Historia non era da meno, mi diceva le stesse cose, mi vedeva teso, sempre pronto al peggio. Ma entrambi non riuscivano a capire cosa sentivo. Una forte sensazione che le cose non stessero andando davvero bene. 
Presi il telefono e controllai l'orario: dovevo vedermi con Levi quella sera. 

"Devo andare, Levi mi ha chiesto di uscire stasera."

"Dove?", chiese Armin, sollevando un sopracciglio con sguardo indagatore. 

"Uhm, un locale sul mare..."

"Eren...", sussurrò. 

"Si, okay, lo so, starò attento", sbottai infastidito e mi alzai dalla panchina come se scottasse per tornare all'area parcheggio. 
 

**********


Mi infilai una semplice maglietta verde chiaro sopra dei jeans e mi guardai allo specchio per sistemarmi i capelli. Non mi andava per niente di andare in un locale.

Lo specchio rifletteva la mia espressione mogia e mi sforzai di sorridere prima di uscire dalla camera e scendere al piano di sotto. 
Trovai mia madre che stava sistemando la cucina. 

"Io esco, torno tardi", le dissi per poi camminare verso la porta di casa. 

"Non bere", sospirò mia madre, neanche a lei andavano a genio le mie uscite continue i fine settimana. Non sapeva che mi limitavo a fare da balia a Levi, cercando di non farlo ubriacare. E ogni volta che tornavo davvero troppo tardi mi dovevo subire i suoi rimproveri senza poterle raccontare la verità. 

Annuii e uscii fuori, trovando il mio bellissimo ragazzo vicino all'auto così lo raggiunsi. 
Indossava una maglietta bianca, piuttosto attillata, sotto la sua solita giacca in jeans. Appena gli fui vicino si alzò sulle punte dei piedi e mi baciò, avvolgendo piano la sua bocca con la mia. 
Fece scorrere le mani sulle mie braccia e si staccò, rivolgendomi un sorriso. 

"Sarà una serata tranquilla, non ti preoccupare", commentò dopo aver notato la mia espressione. 

Forzai un sorriso ed entrai in macchina. Le feste e Levi non erano mai una buona combinazione. 

Fu lui a darmi le indicazioni e quando arrivammo potei sentire la musica dal parcheggio. 

"Mi ha detto Floch di questa serata", raccontò Levi, scendendo dall'auto, avvolgendo una mia mano con la sua. Mi irrigidì al pensiero. 

"Lui non mi piace", borbottai, camminando verso la spiaggia. C'era una passerella che portava all'entrata del locale. Delle ragazze vestite di bianco porgevano delle collane di fiori, augurandoci una buona primavera. Che frase stupida. 

"Non sarai mica geloso?", mi stuzzicò Levi prima di entrare dentro. Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa. 

"No, semplicemente non voglio che abbia cattive influenze su di te." 

"So badare a me stesso."

Alzai un sopracciglio ma non dissi nulla, non volevo litigare. Levi assunse la sua solita espressione scocciata e mi lasciò la mano. 

"Aspetta", gli bloccai una spalla, "scusami, hai ragione", mormorai, avvicinandomi al suo viso. Lui annuì e mi riprese la mano prima di entrare nel locale. Gliela davo sempre vinta. Finiva che ero sempre io a scusarmi, anche quando tutto ciò che facevo era preoccuparmi per lui. 

La musica era forte, fin troppo, e la gente era parecchia, c'era caldissimo. Levi lasciò la giacca nel guardaroba e poi mi attirò tra le persone, avvolgendo le braccia attorno al mio collo. 
Ci limitammo a seguire il ritmo senza baciarci come ogni altra volta e io apprezzai il gesto, anche se sembrava che mi stesse facendo un favore. Era questa la sensazione continua che avevo, che lui volesse continuare a fare certe cose che prima non erano per niente nella sua indole, ma si tratteneva a causa mia, il suo fidanzato noioso. 

"Eren, la smetti di avere quell'espressione costipata", disse contro un mio orecchio per farsi sentire. 

Puntai lo sguardo su di lui e strinsi maggiormente la presa attorno ai suoi fianchi. Non risposi e mi chinai per baciarlo, lui ricambiò immediatamente. Volevo dimenticare i dubbi che continuavano ad attanagliarmi.
Avvolse le mie labbra con le sue, facendomi scordare della realtà attorno a noi. Non approfondii il bacio, mi limitai a schiudere leggermente la bocca sulla sua finché non mi staccai per prendere fiato. 

Levi mi baciò un punto sul collo e poi poggiò la testa sul mio petto, chiudendo gli occhi. Era adorabile in questi momenti e non avrei mai potuto cambiare idea su questo.

"Sei bellissimo", mi lasciai sfuggire e lui lo sentì nonostante la musica. Mi diede un morso attraverso la maglietta e gemetti piano. 
Ballammo ancora un po' poi decidemmo di andare verso i divanetti per riposarci. 
Mi sistemai contro di esso e Levi poggiò la sua testa su una mia spalla. 
Il suo sguardo vagò per la sala, come se stesse cercando qualcuno o qualcosa. Si poggiò sul bar del locale ma poi lo distolse in fretta. 

"Dormiamo assieme stasera? È da un po' che non lo facciamo", disse contro un mio orecchio. La sensazione del suo respiro contro la mia pelle mi fece rabbrividire. 
Mi voltai e gli baciai la punta del naso. 

"Porta aperta", dissi con un sorriso divertito. 

"Non voglio fare nulla, solo dormire", mi rispose e il mio cuore prese a battere più veloce. Assurdo quanto mi mancassero cose del genere. 
Sorrisi ampiamente e lo baciai con tenerezza, cercando di fargli capire quanto tenessi a lui in quel contatto. 

Tornammo a casa alle due passate, mi sentivo esausto, con le gambe doloranti e la testa che pulsava. Per prima cosa mi lasciai cadere sul letto. 
Levi socchiuse la porta e iniziò a spogliarsi, restando con i boxer. Prese una mia maglietta pulita e si infilò sotto le coperte, mandandomi via con una spinta. 

"Guai a te se entri con quella roba addosso", borbottò schifato e io gli sorrisi ampiamente, questo era il Levi che conoscevo a memoria. 
Mi cambiai e misi il pigiama per poi raggiungerlo, lasciandomi avvolgere da un suo braccio. 
Decisi di lasciare una scia di baci lungo la sua mascella, raggiungendo le sue labbra sempre screpolate. Le baciai, prima quello superiore e poi quello inferiore. A volte mi piaceva fare le cose con calma. 

"Fra poco è il tuo compleanno, ho voglia di portarti da qualche parte anche se sarai tu a guidare", mormorò contro la mia bocca. Mi sentii felice, sereno dopo tanto tempo. E lo baciai ancora una volta finché il sonno non ebbe la meglio.
 






ANGOLO AUTRICE 

Proprio non sopporto Floch. Più il manga va avanti meno mi piace. 

Comunque, la storia sta giungendo al termine e ho i capitoli pronti da un po', scritti quando ancora avevo tempo libero. Fra una settimana ricominciano le lezioni anche per me e tra quelle, gli allenamenti (faccio ginnastica artistica ogni giorno 😩) e riunioni scout non so quanto tempo avrò per poter scrivere, dunque aggiornerò le altre storie una volta a settimana e finirò questa!!

 

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Capitolo 25
*** ''I don't want to stay with you'' ***


Los Angeles-23 Marzo 2020 

Eren 


"Odio il lunedì", dissi ai miei amici mentre prendevo posto in mensa. Loro si sedettero al mio fianco, iniziando a mangiare il proprio pranzo. Sospirai sommessamente, desiderando il mio letto e una lunga dormita. 

"Hai delle occhiaie", commentò Historia, osservandomi. In effetti le avevo notate anche io quella mattina e avevo dato la colpa a Levi. Avevo dormito a casa sua. Beh, dormito è una grossa parola. 

Il pensiero della notte prima mi imbarazzò e i miei amici lo notarono subito, erano piuttosto attenti ad ogni cosa. 

"Ehw, non voglio immaginare", ridacchiò Historia e poi lanciò uno sguardo a Levi che si era seduto con i suoi amici, scuotendo la testa.

"Come se con Ymir non fosse successo nulla", la presi in giro con un sorriso divertito e lei divenne completamente rossa. 

"Cambiamo argomento, non mi interessano le vostre esperienze sessuali", sentenziò Armin allora voltai lo sguardo verso di lui. 

"Puoi sempre raccontare le tue", commentai sornione, "ho notato certe occhiate fra te e faccia di cavallo." 

E in effetti le avevo notate sul serio ma non sapevo nulla oltre a questo. Mi sentivo un po' in colpa poiché il centro dei nostri discorsi era sempre la mia relazione e volevo rimediare. 

Armin distolse lo sguardo dal mio e allora gli diedi una gomitata. 

"Okay, siamo usciti una volta", ammise esasperato dalle mie occhiate. Sorrisi ampiamente e anche Historia mi imitò ma volevamo sapere di più. 

"Ma quando è successo?", chiesi. 

"Non da molto, eri troppo preso da Levi", disse ma poi sgranò gli occhi, accorgendosi delle parole che aveva usato. Abbassai per un attimo lo sguardo e poi scossi la testa, accennando un sorriso per rassicurarlo. 

"Tranquillo. E poi hai ragione, per questo ora voglio sapere tutto."

Armin mi guardò ancora dispiaciuto, il mio amico era troppo buono con me, mi sarei meritato parole peggiori. 

"Abbiamo parlato qualche volta dato che i nostri amici, tu e Levi, stavano assieme. Quindi è anche un po' merito tuo se siamo usciti. In teoria dovevo aiutarlo con i compiti però poi abbiamo cenato assieme", raccontò, senza guardarmi per l'imbarazzo. Non mi piaceva particolarmente Jean, anzi si poteva ben dire che non avessimo un buon rapporto. Ero sempre stato geloso della sua amicizia con Levi e credo che anche lui lo fosse di me, dunque non avevamo mai parlato in modo decente. Ci limitavano a scambiarci battute sarcastiche. 

"Ed era un'uscita da amici o qualcosa di poi?", si intromise Historia con un sorriso dolce. 
Quella ragazza sapeva far vuotare il sacco a chiunque. 

"Non ne ho idea però abbiamo continuato a sentirci e poi ci sono queste occhiate, non so cosa fare." 

Sorrisi ampiamente, per quanto non mi piacesse Jean ero felice per Armin. Era un bravo ragazzo, un ottimo amico, una persona decisamente fantastica. 

"Dammi il telefono, devo ricambiare il favore", dissi, pensando alle volte in cui quei due mi avevano spronato a mandare dei messaggi a Levi. Armin scosse la testa. 

"Non ci pensare neanche, non mi lascio abbindolare come te, non ti farei mai scrivere un messaggio", commentò categorico. Schiusi le labbra per poter dire qualcosa ma lui fu più veloce. 

"Non mi fido, scusa", disse ridacchiando e in effetti neanche io mi sarei fidato di me al suo posto. 

"Va bene, però tu gli chiedi di uscire oggi o ti stresserò per sempre." 
 

**********


Dopo l'ultima campanella uscii dall'edificio, diretto alla mia auto dove avrei aspettato Levi. Mi sentivo felice e avevo voglia di condividere la cosa con lui, magari andare assieme da qualche parte, tipo al parco. 

Infilai lo zaino in macchina e mi sedetti al posto di guida, pensando tra me e me alla sera prima. Avevo notato quanto fosse freddo il rapporto tra Levi e Kenny, ma non poteva essere altrimenti. A stento si guardavano e non si parlavano quasi mai. 
Era una brutta situazione. 

Poggiai le mani sul volante e vidi la figura familiare del mio ragazzo uscire dalla scuola. Da lontano era ancora più basso, pensai con un sorriso divertito. 
Poi vidi un'altra persona, doveva essere Floch. Mi trattenni dall'imprecare, che diavolo voleva da Levi? Gli toccò un braccio e si allontanarono dall'entrata ma dalla mia posizione potei vedere ciò che accadde. 

Floch diede una bustina molto familiare al mio ragazzo. Fu piuttosto veloce ma mi lasciò sconcertato. Pensavo che avesse smesso di fumare erba. Inoltre la bustina sembrava contenere qualcosa di peggio. Mi morsi il labbro inferiore, sentendo il cuore in gola per l'ansia. 

Si salutarono e Floch si allontanò, guardandosi attorno. 

Levi mi raggiunse ed entrò in auto, sporgendosi verso di me per baciarmi una guancia. Rimasi immobile, non sapendo cosa dire ne cosa fare. Sentivo solo un forte senso di nausea. 

"Che ti prende?", chiese confuso, lanciando lo zaino nei posti di dietro. 

"A me nulla, a te che prende? Anzi, che ti prendi", dissi gelido, con un tono che non mi apparteneva. Mi sentivo tradito, ferito, a pezzi. Mi sentivo una nullità, come se non contassi nulla per lui. 

"Parla nella mia lingua, grazie", disse scocciato e si passò una mano fra i capelli, lo faceva quando era nervoso. 

"Ti ho visto con Floch", gli risposi. Più chiaro di così non potevo essere. 

"Merda", sussurrò lui. Colto in flagrante. Vidi un'espressione colpevole comparire sul suo volto. 

"Dovresti proprio scendere dall'auto", sibilai, non sopportando la sua presenza al momento. Non riuscivo neanche a guardarlo. Non lo riconoscevo. Chi era questa persona che non faceva altro che rifilarmi cazzate? 

"Eren, ascolta, non sono per me, te lo giuro", disse, cercando di prendermi una mano che io allontanai. Non volevo guardarlo come potevo desiderare il suo tocco? 

"Dico sul serio, scendi", ripetei, fissando il volante fra le mie dita. Lo stavo stringendo con forza e le mie nocche si erano tinte di bianco. 

"Sto cercando di spiegarti", riprese Levi con un tono disperato. Lo avevo sentito solo poche altre volte ma non sentii nessuna preoccupazione in questa occasione. Ma sapevo che fra poco sarei crollato, per questo desideravo che se ne andasse. Non volevo farmi vedere fragile, non mi sarei sentito a mio agio come le altre volte. 

"Eren, guardami, ti prego", mi implorò ma io scossi la testa. 

"Vattene", sibilai, "non era erba, vero? Era ecstasy o qualcosa di peggio. Non sono stupido, Levi", continuai. 

Lui annuì. 

"È ecstasy ma non per me! Reiner me ne aveva chiesto perché non sapeva da chi andare, i suoi genitori lo tengono sotto controllo. È stato uno stupido favore tra amici, puoi credermi. Cazzo, Eren, io odio le droghe!", disse velocemente, sempre più disperato. 

"Odi le droghe? Interessante. Devi essertelo dimenticato mentre mi chiedevi dell'erba", commentai con una risata priva di divertimento. Stavo mettendo in atto il mio meccanismo di difesa: fare lo stronzo. 

"Ho fumato così poche volte e infatti ho smesso, non mi piace", mormorò con tono più calmo stavolta, come se si fosse rassegnato. 
Rimanemmo in silenzio. 
Una parte di me aveva esultato quando mi aveva detto di Reiner. Riuscivo a perdonargli tutto, lo avevo già perdonato. 

"È davvero per Reiner?", chiesi a bassa voce, fissando le dita sul volante, avevo allentato la presa. 

"Si, credimi", mormorò e allora lo guardai. Tornò a galla la mia preoccupazione per il ragazzo al mio fianco. Ci tenevo così tanto, forse ne ero pure innamorato, e non riuscivo ad arrabbiarmi seriamente. Gli concedevo sempre una seconda possibilità anche quando non avrei dovuto, anche quando ero l'unico che si sarebbe ferito sul serio in questa storia. 

"Okay", mormorai e misi in moto per guidare verso casa. 
Fu un viaggio silenzioso e quando scese dalla macchina non mi baciò neanche, sapendo che non avrei voluto al momento. 


Los Angeles-30 Marzo 2020


"Tanti auguri!", esclamò mia madre non appena scesi in cucina per fare colazione. 

"Auguri, fratellino", disse Mikasa. 

"Ormai stai entrando nella fase adulta", si limitò a dire mio padre. Sapeva essere piuttosto drammatico. 

Sorrisi a tutti quanti nonostante l'imbarazzo dovuto agli auguri, era sempre stato così. Stare al centro dell'attenzione non faceva per me. 
Mangiai la mia colazione ed uscii di casa, trovando Levi vicino alla mia auto. Tra le mani teneva una sorta di pacchetto con la carta tutta stropicciata. 

"Auguri, idiota", disse con un sorrisetto e mi sporsi per baciarlo a stampo. 
Dopo il nostro litigio di una settimana fa aveva cercato di fare di tutto per farsi perdonare. Lo avevo apprezzato. 

"Che diavolo è quella cosa?", dissi, abbassando lo sguardo sulle sue mani. Lui me la porse timidamente, evitando di guardarmi. 
Presi il pacchetto e lo scartai, trovando due biglietti per un concerto. E non un concerto qualunque, ma quello degli Arctic Monkeys, nonché la mia band preferita. Sapevo che avrebbero fatto un tour in estate però non avevo fatto in tempo a prendere i biglietti. 

Li rigirai fra le mani, incredulo. Poi guardai Levi e riempii il suo viso di baci, beccandomi qualche lamentela per la foga che ci stavo mettendo. 

"Oddio, grazie, ti... adoro!", esclamai emozionato e infilai i biglietti nello zaino prima di lasciare un bacio decente sulle labbra del mio ragazzo. 

Salimmo in auto e cercai di placare la mia felicità, le labbra mi facevano male per il troppo sorridere. 

"Però stasera usciamo, te lo meriti", mi disse, poggiando una mano sulle mie. Mi sentii nuovamente bene, Levi condizionava fin troppo il mio umore. 

Non vedevo l'ora di passare del tempo con lui. 

A scuola mi fecero gli auguri anche gli amici di Levi e fu piuttosto strano. Un tempo neanche mi guardavano. Fu divertente riceverli da Jean. Sembrava lo stessero costringendo. 
Armin e Historia mi avevano fatto un regalo, un videogioco usato per la PlayStation. Da quando la mia vita si era intrecciata a quella di Levi avevo dimenticato la mia preziosa console. 

Fu una bella giornata e aspettai con ansia la sera. Levi mi aveva detto di essere pronto per le nove e, infatti, a quell'ora varcai la soglia di casa mia. 
L'aria era sempre più calda ogni giorno che passava, certe volte non c'era neanche bisogno di indossare una giacca. 

Mi sedetti sui gradini, sapendo bene che Levi fosse preciso e puntuale. Mi sentivo felice. 
Mi appoggiai alla porta e attesi. 

E attesi. 

E attesi. 

Quando controllai il telefono si erano fatte le nove e mezza, forse era successo qualcosa. Gli mandai un messaggio, non volendo essere pressante. Anche il più preciso e pignolo del mondo poteva riscontrare qualche problema. 

Ma erano piccole scuse che mi stavo rifilando. Un terribile presentimento si fece strada dentro di me. Iniziai a sentire ancora più freddo, preso dall'ansia. 

Decisi di rientrare. Avrei aspettato dentro. 
Mi beccai una strana occhiata da parte di Mikasa, l'unica ancora sveglia nonostante fosse piuttosto presto. 

"Non dovevi uscire?", chiese, abbassando il volume della televisione. Mi sedetti al suo fianco. 

"Sto aspettando", risposi con l'ansia che iniziava a farsi sentire. Lei annuì preoccupata e io mi rannicchiai in un angolo del divano, guardando la televisione assieme a lei. 
Le voci che provenivano da essa mi fecero addormentare. 

Aprii gli occhi sentendo il campanello della porta. Mi destai velocemente e guardai l'orario sul telefono: le undici e mezza. I ricordi di cosa era successo arrivarono come una secchiata di acqua fredda in inverno. 
Avevo una coperta sopra le spalle e la tolsi velocemente, camminando verso la porta per far smettere quel suono infernale o i miei si sarebbero svegliati. Ogni passo che facevo la sensazione di nausea aumentava. 

Aprii la porta e mi trovai davanti Levi. 

"Sei pazzo?! Smettila di suonare", dissi, uscendo di casa e chiudendo la porta dietro di me. Nelle tasche avevo ancora le chiavi di casa e dell'auto. 

Strofinai le mani sulle mie braccia e osservai il ragazzo. Non riconoscevo la persona che avevo davanti. Un terribile presentimento si fece strada dentro di me. 

"Eren, scusami, mi ero... addormentato", mormorò, passandosi una mano fra i capelli completamente spettinati. Le occhiaie erano accentuate e i suoi occhi arrossati. Aveva un aspetto terribile. 
Pregai che non fosse quello che stavo immaginando. Lo sperai con tutto me stesso ma una piccola parte dentro di me sapeva già. 

"Sono le undici e mezza", dissi ma immaginavo che lo sapesse benissimo. 
A un certo punto non sentii più freddo con la rabbia che stavo covando. La frustrazione e il dolore. Stavolta era peggio di quando l'avevo visto con Floch, stavolta era la via del non ritorno. 

Ero infuriato, volevo dargli un pugno, prenderlo per le spalle e gridargli: "ma non valgo più nulla per te?"
Strinsi una mano a pugno, conficcando le dita nel mio palmo quando vidi qualcuno sul suo vialetto. Floch. 

"Lo so, sono un idiota, io... possiamo andare da qualche parte, se vuoi...", farfugliò, poco convinto. La mia nausea aumentò e serrai le labbra, non sapendo cosa dire perché avevo fin troppe domande. 

"Che ci fa Floch?", chiesi duramente. Levi schiuse le labbra ma nessun suono uscì da esse, si limitò a passarsi più volte una mano fra i capelli. Non aveva nessuna stupida scusa. 

"L'hai usata, vero? Dimmi la verità o giuro che impazzisco."

"Eren...", mormorò disperato, guardandomi come se stesse provando il più grande dei dolori. Ma non poteva fregarmene di meno. 

"Dimmi la cazzo di verità!", esclamai, stringendo le mani a pugno per la rabbia. 

"Si", ammise. Colpevole. Lo sapevo, me lo sentivo, non stavo impazzendo. 

"Non ti voglio più vedere", dissi freddamente, evitando il suo sguardo, facendo un passo indietro quando cercò di avvicinarsi. Potei quasi sentire il crack del mio cuore che si spezzava. Stavo odiando lo sguardo triste di Levi e odiavo me stesso perché continuavo a preoccuparmi per lui. 

"Eren...", ripetè quasi fosse una preghiera. Ma tutto ciò che provavo era nausea, tristezza, rancore, dolore. Volevo fuggire lontano da lui per sempre, dimenticarmi dell'amore che provavo per lui nonostante tutto. Non volevo vedere il suo viso, sopratutto il suo sguardo pietoso. Ero dannatamente a pezzi. 

"No, vaffanculo, non voglio più stare con te", dissi chiaramente, per fargli capire che stavolta non mi avrebbe incantato. 

E non so con qualche forza riuscii a voltarmi e rientrare dentro casa, lasciando, per la prima volta, Levi a soffrire da solo.

Se fossi rimasto un attimo in più lo avrei accolto fra le braccia, dicendogli che lo avrei perdonato, chiedendogli addirittura scusa per le mie parole. Ma non era giusto per me stesso. 

Salii le scale sentendomi esausto. Ero stanco da settimane per le mille preoccupazioni che avevo ma stavolta era peggio, stavo crollando, e volevo dormire per giorni.

 

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Capitolo 26
*** Bad days ***


Los Angeles-31 Marzo 2020

Eren

La prima cosa che feci fu bloccare i suoi contatti. Anche solo vedere il suo profilo Instagram mi infastidiva. 

Non andai a scuola il giorno dopo e ricevetti mille chiamate da parte da parte di Historia e Armin. Non risposi a nessuna di esse. 

I miei genitori mi guardavano senza dire nulla ma sapevo cosa pensassero. Erano dispiaciuti. 
Invece Mikasa aveva cercato di parlarmi ma avevo ignorato ogni suo tentativo. 

Mi sentivo a pezzi e ogni cosa mi ricordava Levi. Anche la mia camera. 
Rimasi nel letto per tutto il giorno, con la porta ben chiusa a chiave, cercando di non disperarmi ancora di più. Non mi andava di alzarmi, di parlare con qualcuno e neanche di fare le cose più stupide. Era come se mi avessero strappato il cuore dal petto e al suo posto ci fosse qualcos'altro che pesava dannatamente tanto. 

Avrei desiderato volentieri un suo abbraccio ma allo stesso tempo non sarei stato in grado di fidarmi di lui. Sentivo che il nostro rapporto era più rovinato di quattro anni fa. 
Fortunatamente mancavano pochi mesi alla fine della scuola e poi avrei avuto un po' di tregua. 


Los Angeles- 1 aprile 2020


Sentii qualcuno bussare alla mia porta, poi dei passi e infine vidi la figura di mia madre stagliarsi davanti a me. 
Sollevai le coperte fino al viso, cercando di ignorarla. 

Fu inutile. 

"Eren, domani devi andare a scuola", disse, sedendosi sul materasso. Scossi la testa, non volendo vedere nessuno, preferivo nascondermi nel letto. Non sapevo cosa avrei fatto alla vista di Levi. 

Una mano abbassò la coperta che mi nascondeva e vidi mia madre, sembrava piuttosto preoccupata. 

"Tesoro", sussurrò, accarezzandomi una guancia. 

"Lo so che è dura avere il cuore spezzato", mormorò con dolcezza, come se avessi di nuovo cinque anni e mi fossi appena sbucciato un ginocchio. 

Mi lasciai coccolare dalle sue carezze, le feci anche spazio sul letto. Non fu male condividere il mio dolore con qualcuno. 
Le sue braccia mi avvolsero, donandomi un abbraccio che solo le madri sono in grado di dare. 

"Non so cosa sia successo fra voi due ma so che non starai così per sempre. Non passerà subito e non ci sono metodi per accelerare le cose. Il tempo lenirà tutto", disse dolcemente. Nascosi il viso contro la sua spalla, sentendo le lacrime dietro l'angolo. 

Amavo Levi, ne ero innamorato perdutamente. Me ne ero reso conto da poco, quando il mio umore era diventato dipendente dal suo. Quando non riuscivo a non preoccuparmi dannatamente tanto, quando non riuscivo a dormire per la paura che potesse stare male. Lo amavo e non volevo smettere di farlo, volevo che tutto tornasse come prima. 

Mi lasciai cullare dalle braccia di mia madre, dalle sue carezze, dalle sue parole dolci. 

"Esci con i tuoi amici, può farti solo del bene", disse al mio orecchio prima di allentare la presa. 
Mi accarezzò una guancia e accennò un sorriso che ricambiai debolmente. 

Quella sera chiamai Armin che si presentò fuori da casa mia in pochissimo tempo. Non appena mi vide mi tempestò di domande apprensive, squadrandomi preoccupato. 

Decidemmo di andare a fare una passeggiata nel mio stesso quartiere, per parlare un po'. 
Gli raccontai cosa era successo. 

"Eren, mi dispiace da morire", disse. 

"Però sentivo che fosse successo qualcosa, Levi era strano", disse, camminando al mio fianco. 

Sospirai pesantemente e ci ritrovammo in una piazzetta. Raggiunsi una panchina dove mi sedetti. 
Lo sapevo che non avevo un bell'aspetto. In due giorni avevo mangiato solo a pranzo, avevo dormito pochissimo per cui ero pallido e con delle occhiaie orribili. Non ero mai stato così male, nemmeno quando la mia amicizia con Levi era finita. 

Portai le gambe al petto, nascondendo il viso fra di esse, sentendomi triste all'improvviso. 

"Hey, non credi che potreste chiarire?", domandò. 
Scossi la testa. 

"Non riesco a fidarmi di lui, non sarei me stesso, non riuscirei ad aprirmi", mormorai contro il tessuto dei miei pantaloni. 
Sollevai il viso e mi passai le mani su di esso per mandare via le prime lacrime. Ogni volta che ci pensavo tornava il dolore che mi colpiva implacabile, lasciandomi stremato, senza forze. 

Armin non disse nulla perché non c'era nulla che potesse farmi stare meglio. 

"Anche Historia è preoccupata, ha detto che ti farebbe bene andare da Ymir questo venerdì", disse dopo qualche minuto di silenzio. 

In effetti era da un po' che non giocavo a D&D e anche alla PlayStation. Avrei potuto riprendere con questi hobby, far finta che la relazione fra me e Levi non fosse mai esistita. 

"Le manderò un messaggio", risposi. 

Cercammo di parlare di qualcosa ma sentivo un groppo in gola che mi faceva passare la voglia di chiacchierare. 
Alla fine tornai a casa, promettendo di presentarmi a scuola l'indomani. 


Los Angeles- 3 Aprile 2020


Tornare a scuola fu durissima con tutti gli sguardi che mi beccai. In effetti facevo schifo, il mio aspetto era orribile e il mio comportamento ancora peggio. 

Non volevo parlare con nessuno ne ascoltare nessuno. E non volevo incrociare lo sguardo di Levi nemmeno per sbaglio. 
In più sentivo le occhiate dei curiosi ogni volta che attraversavo il corridoio. Immaginavo cosa si stessero chiedendo. 

Passai tutto il tempo al fianco di Historia o Armin o entrambi. Avevo bisogno di loro e si dimostrarono iperprotettivi nei miei confronti. 

Sfortunatamente avevo visto Levi. Non era messo meglio di me, lanciava occhiate gelide a chiunque e le sue occhiaie erano ancora più accentuate. Insomma, faceva paura. 
I nostri compagni cercavano di non incrociare il suo sguardo e i suoi amici cercavano di non farlo arrabbiare. 
Quel venerdì lo avevo visto discutere con Floch vicino ai bagni. Quel tipo cercava di parlargli e si era beccato una spinta poderosa. Alla fine aveva rinunciato. 
Questa era una piccola consolazione, molto piccola ed effimera. Avrebbe dovuto pensarci prima.

Di sera andai da Ymir, portando con me Historia. Ormai anche lei faceva parte di quel gruppo. 
La mia amica si accomodò subito di fianco alla sua ragazza che mi degnò di un lungo sguardo. Mi si leggeva in faccia cosa era appena successo. 

"Non fate domande", dissi prima che qualcuno iniziasse a chiedere del mio aspetto orribile. 

Giocammo come ogni altro venerdì e per un po' dimenticai Levi anche se non riuscivo a godermi appieno la serata. 

I pensieri negativi tornarono quando rimasi con Ymir e Historia. 
La più grande mi poggiò una mano sulla spalla, mostrando un'espressione dispiaciuta, molto diversa dalle sue solite. 
Salutai ed uscii dall'ambiente opprimente, non avevo neanche fumato quella sera, anche quel gesto mi ricordava Levi. 

Camminai lungo la strada, prendendo aria, cercando di distrarmi ma i pensieri vorticavano incessanti nella mia testa. 
La maggior parte erano ricordi e poi c'erano i rimpianti di non aver goduto maggiormente del tempo fra me e Levi. 

Raggiunsi casa mia e notai una figura vicino alla mia auto. Quella sera non l'avevo presa, non ero in grado di guidare, sopratutto in orari del genere dove i pensieri erano più pesanti. 
La figura, piuttosto bassa, indossava una familiare felpa bianca e le Air Force a cui mi ero abituato. 

Levi si girò verso di me e incrociai il suo sguardo, dopo giorni in cui non ci parlavamo. 
Una fitta di dolore attraversò il mio cuore. 

Decisi di ignorarlo, nonostante fosse praticamente davanti al mio cancello. 

Camminai velocemente, afferrando le chiavi per aprire la porta, ma una mano mi bloccò. Il mio corpo rabbrividii in risposta, dopotutto non potevo cancellare certe reazioni. 
Mi voltai e guardai Levi. A giudicare dall'espressione doveva aver pianto. 

Beh, peggio per lui. 

"Eren", mormorò semplicemente. Il battito del mio cuore accelerò quando sentii il mio nome detto dalla persona che amavo. 
Stupide reazioni. 

Non risposi e aprii il cancelletto, entrando finalmente nel mio giardino. Ancora pochi passi e sarei stato a casa, nascosto dal suo sguardo. 
Però una parte di me mi impediva di fare un passo avanti. Continuava a pregare mentalmente Levi di dire qualcosa. 

E così accadde. 

"Eren, mi manchi, sul serio. Io... ho smesso di fare cazzate", disse flebilmente. Come potevo credergli? Non riuscivo a farlo, avevo già sentito queste parole. 

Strinsi un lembo della mia maglietta fra le dita, cercando di non crollare proprio davanti a lui. 

Ancora pochi passi e sarei entrato in casa. Solo pochi passi. 

"Per favore, non ce la faccio senza di te", mi implorò, poggiando le mani sul ferro freddo del mio cancello. Sembrava un carcerato che chiedeva la libertà o semplicemente qualcosa che gli desse sollievo.
Lo guardai tristemente, non potevo non soffrire davanti alla sua disperazione. Neanche io me la passavo bene ma non riuscivo a fidarmi. 

"Non riesco a crederti", dissi semplicemente, parlandogli per la prima volta dopo giorni. E noi eravamo abituati a vederci sempre, a non staccarci mai. 

Era dura. 

"Lo so ma dammi l'ultima possibilità, per favore", continuò, porgendomi una mano. 
L'allontanai velocemente con il cuore che mi si stringeva sempre di più. Ero sul punto di scoppiare in lacrime ma non potevo farlo. 

"No, Levi, non mi fido di te." 

Fu come una pugnalata ammetterlo. E pensai che anche lui provò la stessa cosa. Abbassò lo sguardo, nascondendo un'espressione ancora più triste di qualche minuto prima. 
Allontanò le mani dal cancello. 

Ora dovevo seriamente entrare in casa o avrei ceduto. 

"Io ti amo, Eren, non ho mai amato nessuno se non te. Starti lontano fa schifo", disse piano. 

Il mio stupido cuore quasi balzò fuori dal mio petto a quelle parole. Mi amava, io lo amavo. 
Ma il sentimento non basta, non basta se non ci sono azioni. Non basta se non riesco a lasciarmi andare con lui e a fidarmi. Come possiamo avere una relazione in queste condizioni?

"Scusa", dissi a voce così bassa che a malapena riuscii a sentirmi. Non riuscivo a dire altro, la mia gola bruciava e faceva male per il bisogno di piangere. 
Salii velocemente gli scalini ed entrai in casa, correndo poi al piano di sopra, nascondendomi fra le coperte.

 

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Capitolo 27
*** One more time ***


Los Angeles - 10 aprile 2020

Levi


Le mie giornate si ripetevano uguali a loro stesse. Mi alzavo la mattina, andavo a scuola, tornavo a casa, studiavo un po' e infine dormivo. Non parlavo con Kenny e ogni tanto mi presentavo a teatro per la preparazione dello spettacolo. 
Non che mi andasse particolarmente di recitare ma lo avevo promesso ai miei amici e non volevo discutere nuovamente con loro. Inoltre, quando mi calavo nel personaggio che avrei interpretato, riuscivo a lasciare da una parte i miei problemi, fingendo che non esistessero. 
Stavo usando il teatro come terapia anche perché Mikasa aveva preferito non continuare le sedute e di andare alle feste non se ne parlava. 

Quel venerdì il mio umore non era pessimo come tutti gli altri giorni. L'idea che avrei avuto più di quarantotto ore per potermi chiudere in camera era abbastanza piacevole. 
Come ogni mattina presi lo scuolabus che passava non lontano dalla mia abitazione. Non c'era più Eren che mi dava un passaggio. 
Odiavo salire sull'autobus ed essere al centro dell'attenzione. Sentivo gli sguardi dei miei compagni perforare la mia pelle per quanto fossero intensi. Potevo quasi sentire le loro stupide domande su di me ed Eren. 

Entrai nel mezzo e mi lasciai cadere su uno dei sedili in fondo, guardando fuori dal finestrino per evitare gli sguardi che si poggiavano su di me. Dopo quasi due settimane ero ancora in grado di attirare pettegolezzi. 
Cercai il telefono e le cuffie, infilandole nelle mie orecchie per mettere della musica. Ironia della sorte, la prima canzone fu Fireside. Ero quasi sul punto di lanciare fuori dal finestrino quel dannato telefono perché non faceva che ricordarmi Eren. Fino a dieci giorni fa avevo una nostra foto come sfondo ma mi ero premurato di toglierla immediatamente. Vedere il suo sorriso spensierato mi faceva male. 

All'entrata di scuola beccai i miei amici a cui rivolsi un segno veloce. Non ero dell'umore per chiacchierare ma non era una novità. Quest'anno si era trasformato nella peggior montagna russa della storia. 

Entrai nella mia aula e scivolai su una delle sedie in fondo, prendendo i libri che mi servivano per la lezione. Aspettai l'inizio sfogliando le pagine di uno di essi, sperando che il tempo potesse passare più in fretta rispetto al solito. 

La mia ultima lezione del giorno era con Eren. Mi avviai verso la classe e lo vidi parlare con Historia. Neanche lui sembrava molto felice in questi giorni e la cosa mi faceva stupidamente piacere. Mi faceva credere che in futuro avremmo potuto chiarire. Si dice che si dovrebbe essere contenti quando chi ami è felice anche senza di te, ma non ero così di buon cuore. 
La ragazza bionda mi vide e diede un colpetto ad Eren che voltò il viso. I nostri sguardi si scontrarono e mi sentii annegare nelle sue iridi caraibiche. Avevo sempre adorato il colore dei suoi occhi, molto simile ai mari tropicali. 

Distolsi lo sguardo ed entrai in classe, non riuscivo più a sostenere il suo. Mi mancava così tanto e più cercavo di negarlo più soffrivo quando mi rendevo conto della realtà. 
Mi sedetti e per tutta la lezione decisi di guardare Eren, qualche posto davanti al mio. 
Fissai nella mente il modo in cui si passava la mano fra i capelli spettinati, come si sedeva, la sua voce quando l'insegnante chiedeva qualcosa. 
Sentivo la mancanza anche delle cose più stupide, come i messaggi senza senso che mi inviava prima di crollare. 
Le foto che lui riteneva sexy - e si, lo erano - ma  che per me diventavano l'input per prenderlo in giro. Anche i suoi baci del mattino, quelli fastidiosi. 

Ero così immerso nei pensieri che quasi non mi accorsi del suono della campanella. Tutti si alzarono e li imitai per dirigermi verso il teatro della scuola per le prove. 
Camminai fra gli studenti che andavano verso l'uscita e notai Petra poggiata vicina alla porta del teatro. Sembrava stesse aspettando qualcuno. 

La salutai con un cenno e lei mi afferrò un braccio, bloccando la mia camminata. 

"Dobbiamo parlare", esordì convinta ed io aggrottai la fronte. 

"Abbiamo le prove tipo ora." 

"Non mi interessa, vieni con me", disse senza togliere la mano dal mio braccio. Mi trascinò fuori dall'edificio e ci trovammo nel cortile della scuola, quasi del tutto vuoto. 
Io e Petra avevamo poca differenza d'altezza quindi non fu difficile trascinarmi dove voleva. 

Si fermò in un punto appartato e lasciò andare, finalmente, il mio braccio. Alzai un sopracciglio, aspettando una spiegazione. 

"Tu ed Eren. Che state combinando?" 

Dritta al punto. 

"Ci siamo lasciati, succede fra le coppie", risposi, stando sulla difensiva. Distolsi lo sguardo dal suo che sembrava voler scoprire ogni mio segreto. 

"Oh si, certo. Ma a me sembra che nessuno dei due lo voglia", continuò, afferrandomi il mento per costringermi a guardarla. Il contatto con Petra non era fastidioso, ci ero abituato. 

"E quindi? Succede anche quando non lo si vuole." 

"Levi Ackerman, smettila di rispondere da stronzo perché so che non lo sei. Non voglio darti nessun parere personale sulla questione ma si vede lontano un miglio che vi amate quindi cerca di rimettere le cose a posto", disse con decisione, lasciando andare il mio mento solo per potermi minacciare con un suo indice. 
Quasi mi strozzai con la mia testa saliva al sentire il verbo amare
Mi ero confessato ad Eren ma non lo avevo detto a nessuno. 

"Mi ama?", domandai flebilmente, pentendomi subito dopo. Non volevo inoltrarmi ancora di più nel discorso di Petra. Sarebbe stato doloroso. 

"Beh, io credo di sì. E ho saputo anche qualcosa da Jean che sta uscendo con il suo amico, quello biondino", disse saccente, curvando le labbra in un sorrisetto. Portava sempre il solito lucidalabbra alla pesca, potevo sentirne l'odore. 

Pensai a Jean e ad Armin. Un'immagine un po' strana e che non volevo mantenere nella mia testa. 

"Che diavolo dovrei fare? Mi sembra tutto inutile", borbottai, abbassando lo sguardo sulla punta delle mie Air Force. Mentirei se dicessi di non amare queste scarpe. 

"Conosci Eren da una vita, sono sicura che troverai una soluzione. Solo non... non mandare tutto all'aria", disse mantenendo il suo sorriso e poi si allontanò, tornando verso l'edificio. 
Rimasi un po' per conto mio, immerso nei pensieri. 

 

**********


Tornai a casa sentendomi esausto. Finalmente iniziava il settimana che comportava non dover vedere Eren. 

Scesi dall'autobus e camminai verso casa ma mi bloccai mentre spingevo il cancello con una mano. 

Era venerdì sera e ciò significava che Eren sarebbe stato da Ymir. Mi voltai e vidi la macchina di sua sorella. Mi venne la stupida idea di andare a parlarle. Mi sembrava l'unico modo per iniziare a trovare la soluzione di cui parlava Petra. 
Prima che potesse cambiare idea cambiai direzione e andai verso la casa degli Jaeger, suonando al campanello. 

Fu proprio Mikasa ad aprirmi e appena capì chi fossi assottigliò lo sguardo. Era sempre stata protettiva nei confronti del fratello, fino a risultare insopportabile in certi casi. 

"Hey, possiamo parlare?", chiesi dato che lei era immobile e non sembrava molto propensa a salutarmi. 

"D'accordo, entra pure", disse infine, sciogliendosi leggermente. Si fece da parte e io entrai in casa. L'odore familiare mi investì, portando a galla vari ricordi di poche settimane prima. 
Mi morsi il labbro inferiore con decisione, cercando di non pensarci. 

"Chi è, tesoro?"

La dolce voce di Carla proveniva dalla cucina. Poi la donna si affacciò e schiuse le labbra nel notarmi. Durò pochi secondi perché poi mi sorrise. 
Mi sentivo in una tana di leonesse pronte a sbranarmi per aver fatto del male al loro cucciolo. 

"Ciao, Levi. Eren non è in casa", disse semplicemente, senza nessun tipo di astio nella voce. Non sapevo cosa Eren le avesse raccontato per cui mi limitai a stringermi nelle spalle. 

"In realtà volevo parlare con Mikasa", borbottai imbarazzato. 

"Ah okay, fate pure", commentò prima di sparire nuovamente nella cucina, chiudendo la porta dietro di se forse per evitare di origliare il nostro discorso. 

Ci sedemmo nel salone e iniziai a torturare le mie mani nervosamente. Ero sempre stato bravo a rimanere calmo anche nelle situazioni peggiori. O almeno, a far finta di essere calmo per non lasciar trasparire le mie emozioni. Ma quando si parlava di Eren la mia maschera d'indifferenza cadeva. 
Mikasa mi studiava dalla sua poltrona, aspettando che dicessi qualcosa. 

"Probabilmente saprai che io ed Eren ci siamo lasciati", iniziai, cercando di trovare le parole giuste, "ed è stata principalmente colpa mia."

Lei non disse nulla e mi guardò senza lasciar trasparire alcuna emozione. Così continuai. 

"Ho provato a chiedergli scusa ma non ha funzionato. Mi chiedevo se potessi darmi una mano a capire cosa dovrei fare", mormorai le ultime parole, smettendo di giocare con le mie dita. 
Mikasa rimase in silenzio ancora per un po' poi schiuse le labbra. 

"Ho notato come il vostro rapporto è cambiato. Eren non è mai stato un tipo da feste e per te ci andava. Il suo umore dipendeva dal tuo così come ogni minuto della sua giornata. Si era quasi dimenticato del suo compleanno. 
Quella non era una relazione sana", disse e io annuii perché aveva perfettamente ragione. Non doveva dipendere da me, non doveva accudirmi ne accontentarmi in tutto. Ed era colpa mia se passava più tempo a sentirsi preoccupato che sereno. 

"Lo so e vorrei cambiare le cose, sul serio."

"Devi affrontare i tuoi problemi, Levi. Sappiamo entrambi che sono quelli che ti bloccano. Non sei cattivo e so che tieni ad Eren ma la rabbia e il rancore ti fanno comportare in modo sbagliato. Ti fanno relazionare male con le altre persone", mi spiegò. 

"So di Kenny, okay? Immagino che anche tu capisca che non è stata veramente colpa sua. In ogni caso, anche questo è legato al fatto che non riesci ancora ad accettare la morte di tua madre."

Serrai le labbra, desiderando di poter scappare da quel discorso che non volevo sentire in nessun modo. 

"E devi farlo perché non c'è altra soluzione. Solo questo ti farà stare meglio e ti farà andare avanti. E forse potrà anche aiutarti a riavere Eren", concluse, sospirando subito dopo.

"Io pensavo di farcela, di stare accettando la sua... morte", mormorai mestamente, poggiando le mani sulle mie gambe. Sentivo le dita sudate. 

"Ed era così ma la rivelazione di Kenny ti ha giustamente turbato e hai reagito in quel modo. 
Comunque Eren non si fida di te, non è arrabbiato, ha paura. Devi essere la versione migliore di te stesso per poterti riavvicinare e temo che sarà piuttosto difficile ma non impossibile." 

Annuii e mi alzai dal divano, sentendo il bisogno di tornare a casa per far chiarezza. 

"Dagli ancora del tempo, okay? Non fare stupidaggini e prova a riparlarci."

"D'accordo. Ehm, grazie", le dissi, passandomi una mano fra i capelli. Le mi rivolse un breve sorriso e mi aprì la porta. 
La salutai e tornai a casa mia.


Los Angeles - 15 aprile 2020 


Avevo passato cinque giorni a rimuginare sulle parole di Mikasa. Non avevo ancora trovato la soluzione che speravo di avere ma sapevo di voler tentare il tutto per tutto per riavere Eren nella mia vita. 

La sera di quel mercoledì decisi di andare a casa sua per poterci parlare. Fu Mikasa ad aprirmi e mi fece un cenno di incoraggiamento. 
Salii le scale con il cuore che mi martellava così forte per l'ansia che non riuscivo neanche a sentire i miei passi. 
Lentamente bussai alla porta e poi la aprii senza aspettare risposta, sperando che Eren non fosse nudo o stesse facendo qualcosa di strano. In quel caso avremmo potuto chiarire in modo più intimo. 

Lo vidi seduto sul suo divano mentre giocava alla PlayStation. Mollò il joystick e mi guardò confuso e sorpreso. Le sue labbra si schiusero leggermente. 

"Che cazzo ci fai qui?", disse a voce fin troppo alta così chiusi la porta. Mi avvicinai piano, cercando le parole giuste da dire. 
Il breve discorso che mi ero preparato era finito chissà dove nella mia testa. 

"Dobbiamo parlare", dissi. Lui scosse la testa, alzandosi in piedi per sovrastarmi con la sua altezza. 

"Ti avevo detto che non potevo più fidarmi di te", disse freddamente. Mi sentii male al sentire quel suo tono di voce, così lontano dal suo solito. 

"Lo so, so che è stata colpa mia. Ma dammi un'ultima possibilità. Mi manchi, Eren", dissi disperato. Mi sarei anche gettato sulle mie ginocchia per pregarlo di perdonarmi. 

"Mi hai spezzato il cuore, ne sei consapevole? Mi fidavo di te, sei la persona che forse mi conosce meglio e mi hai tradito. Credevo veramente nelle cazzate che mi rifilavi, fino a diventare fottutamente dipendente da te. E te ne sbattevi", continuò. Il suo tono di voce non era più freddo ma carico di dispiacere. Non era arrabbiato, era deluso e forse era anche peggio. 

Mi passai furiosamente una mano tra i capelli e li tirai leggermente per la frustrazione. 

"Mi dispiace sul serio. Ho fatto tantissime cose stupide ma ho smesso perché per colpa loro ho perso te. E dimmi, che posso fare per riaverti?", domandai, sentendomi quasi sul punto di implorarlo con tutte le mie forze. Non me ne fregava niente della mia dignità. Avevo sbagliato, ero stato egoista, ignorando i suoi sentimenti. 

"Nulla, Levi, non si può fare nulla. Non credo di potermi fidare ancora di te. Fa male anche a me non poterti avere ma so che mi chiuderei ancora di più e soffriremmo entrambi", mormorò tristemente, mostrandomi i suoi occhi lucidi. Mi sentivo morire davanti a quello sguardo pieno di sofferenza. 
Mi appoggiai alla sua porta e mi lasciai cadere per terra, sommerso dai suoi sentimenti così forti da sembrare concreti e pronti a schiacciarmi. 

"Sono un disastro, Eren, mi dispiace così tanto. E ti amo così tanto da essere disposto a lasciarti andare", mormorai con la gola che mi bruciava per il bisogno di piangere. Sentii qualche lacrima calda bagnare le mie guance. 

Eren si mise davanti a me e allungò una mano verso il mio viso, accarezzandolo con il suo pollice. Fu un contatto dolce e doloroso. Volevo di più, volevo un suo abbraccio, un suo bacio. 

"Non sei un disastro, sei fantastico. Tutti quanti sbagliamo. Avrò commesso almeno mille errori negli ultimi mesi", disse, sorridendomi tristemente. Non riuscivo a non piangere davanti alla sua espressione. 

"Non dirmi queste cose, per favore. Dimmi che sono uno stronzo e che non merito nulla. Così è peggio", singhiozzai, passandomi le mani sul viso per smettere di essere così patetico. 

"Non posso dirti delle bugie. Io ti ho perdonato e so anche che non è tutta colpa tua ma anche di ciò che ti è successo. Ma non voglio soffrire ne veder soffrire te in una relazione che non funziona", disse piano come se gli facesse male fisicamente dire certe cose. 

Mi morsi il labbro inferiore, guardandolo e cercando di non piangere ancora. 

"Puoi farmi un ultimo favore? Ho bisogno di te per farlo", sussurrai con voce roca per colpa delle lacrime. 
Eren annuì, accarezzandomi una guancia con dolcezza. 

"Accompagnami al cimitero. So che da solo non ce la farei", continuai. 
Mikasa aveva ragione, dovevo cercare di andare avanti per migliorare la mia vita. Quello sarebbe stato un altro passo verso lo stare bene. 

"Certo Levi, ci sarò", disse con un leggero sorriso. Spostò la mano dalla mia guancia e mi aiutò ad alzarmi. 
Mi sentivo esausto per tutte le emozioni. Ed ero fottutamente triste. 

"Okay. Grazie. Io vado", dissi imbarazzato e aprii la porta. 

"Ci vediamo...", sussurrò Eren. Uscii dalla stanza e poi da casa sua, sapendo che ormai la nostra storia era finita.

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Capitolo 28
*** Cry baby ***


Los Angeles- 19 aprile 2020

Levi

A Los Angeles c'erano vari cimiteri, dopotutto era una grande città. Alcuni di essi, come quello di Hollywood, erano una meta turistica. 

Non era il caso di quello di mia madre. 

Si trovava non troppo lontano da alcuni brutti quartieri, dove le tombe costavano un po' meno. Però non era male con il suo prato verde e i fiori che la gente portava ai loro cari. 

Io non avevo nulla con me, se non Eren che stava guidando, seguendo le indicazioni del navigatore. 

Non ci eravamo detti quasi nulla, solo informazioni sulla destinazione. 

Per tutto il tragitto avevo guardato fuori, notando che fosse davvero una bella giornata. Erano decisamente finiti i tempi delle felpe. 

Eren parcheggiò nell'ampio spiazzo all'entrata. Scesi dell'auto con le gambe che tremavano, dopotutto stavo per andare a trovare mia madre. 

Mi guardai attorno, notando parecchie macchine parcheggiate. Vidi delle persone vestite di nero. 

"Ah che culo, proprio il giorno di un funerale", borbottai, aspettando che Eren chiudesse la macchina per raggiungermi. 

"Sai il punto esatto?", mi chiese dopo che sorpassammo il cancello in ferro battuto. Avrei dovuto saperlo, avevo assistito al funerale, ma non me lo ricordavo. Non ricordavo quasi nulla di quel giorno. 

"Forse di qua", dissi, indicando un viottolo. Camminammo in silenzio, notando un gruppo di persone dall'altra parte rispetto a noi, fortunatamente. 

Il cimitero era un posto strano, era pieno di cadaveri eppure non metteva tristezza. Era più malinconia, sopratutto quando mi capitava di guardare le foto sulle tombe. Un tempo erano persone in carne ed ossa come me, e ora un semplice mucchio di ossa come tanti. 
A un certo punto ricordai il punto esatto e feci cenno ad Eren di seguirmi. Più camminavo più mi tremavano alle gambe al pensiero di rivivere il giorno del funerale nella mia mente. 

La tomba era proprio lì, dietro a un grosso cespuglio. Ma mi bloccai prima di oltrepassarlo. 

Eren andò a sbattere contro la mia schiena, imprecando leggermente. 

Gli indicai Kenny, fermo davanti alla tomba di mia madre. Sembrava che stesse piangendo a giudicare da come tremavano le spalle. 

Quella mattina era uscito per andare dai suoi amici, come ogni domenica. Invece così non era stato. 

Mi maledii per non aver riconosciuto l'auto tra le tante nel parcheggio. 

"Sta dicendo qualcosa", disse Eren a un certo punto così rimanemmo in silenzio. Non riuscivo a cogliere tutte le sue parole ma stava chiedendo scusa a mia madre e scusa a... me?

Volevo avvicinarmi per sentire meglio. Era da un po' che non sentivo così tante frasi da parte di mio zio. Non riuscivo ancora a parlargli ne lui tentava qualche approccio con me. E meno male. 

Lo sentimmo parlare della situazione che si viveva a casa nostra e continuava a chiedere scusa a mia madre, affermando che fosse completamente colpa sua. Tutte quelle parole iniziarono a rendermi triste senza neanche accorgermene. 

"Stai piangendo", sussurrò Eren al mio fianco. Sollevai una mano e mi toccai una guancia, scoprendo che avesse ragione. 

Mi asciugai le lacrime e vidi Kenny girarsi verso di noi, forse aveva sentito la voce di Eren.
Venne verso di noi, fermandosi proprio davanti a me. Sollevai lo sguardo sul suo viso scosso e sentii le sue braccia avvolgere il mio busto. 

Mi stava abbracciando. 

Rimasi immobile, non sapendo come reagire. L'unico tocco che tolleravo era quello di Eren. E di Petra al massimo. Mi sentivo un po' a disagio ma non quanto avrei creduto  

"Levi, perdonami", disse mentre le sue braccia mi stringevano fastidiosamente tanto. Alla fine mi arresi e poggiai le mani sulla sua schiena. 

"Non è colpa tua", dissi flebilmente. Gli avevo dato la colpa per mesi e ora, vederlo distrutto davanti a me mi aveva fatto rendere conto che non ero l'unico a soffrire. Forse lui anche più di me. Lui era stato al suo fianco per anni. 

Mi staccai dall'abbraccio perché non faceva per me tutto quel contatto fisico, ma non mi allontanai da Kenny. Aveva il volto distrutto, sembrava più vecchio di mille anni per il dolore che stava provando. 

Non sapevo più con chi prendermela, non trovare un senso alla sua morte mi aveva sempre fatto impazzire. Non credevo neanche in Dio, dunque non potevo incolparlo. 

"Vengo ogni domenica", disse mio zio, interrompendo il mio flusso di pensieri. Mi sentii in colpa per non essere mai venuto, troppo preso dalla mia rabbia. 

Serrai le labbra e lui parve leggermi nel pensiero. 

"Non eri pronto. Forse non lo sei neanche ora ma prima o poi dovrai accettare la sua morte. Hai fatto un altro passo, oggi", disse gravemente Kenny. Mi mordicchiai nervosamente il labbro inferiore e mi limitai ad annuire. 

In queste situazioni non riuscivo a dire quasi nulla, avevo bisogno di elaborare la cosa. Mio zio sospirò e mi scompigliò i capelli poco dopo, "vi lascio soli. Ti voglio bene, Levi, come volevo bene a tua madre." 

Se ne andò, lasciando me ed Eren spiazzati. Guardai il ragazzo al mio fianco e lui mi rivolse un sorriso imbarazzato poi mi prese una mano, stringendola con la sua, volendo infondermi coraggio. 

"Vieni", mormorai, non riuscivo ad andarci da solo. Se pensavo che i cimiteri non mettessero molto tristezza mi sbagliavo di grosso. Il pensiero che mia madre fosse diventare una stupida tomba mi stava dando alla testa. 

Camminammo piano, fermandoci davanti alla lapide. Davanti alla foto c'erano dei bei fiori bianchi, come il colore della sua pelle. Sospirai, guardando il suo sorriso felice. Mi mancava da morire ed era una mancanza insopportabile che non poteva essere colmata. 

Piansi silenziosamente, lasciandomi andare dopo mesi in cui cercavo di non pensarci. Avevo trattenuto tantissimo dolore, facendo finta di stare andando oltre quando non era vero. 

Eren continuò a tenermi la mano, stringendo le mie dita fra le sue, mostrandosi forte per entrambi. Il pensiero che sarebbe stata l'ultima volta mi fece piangere come un bambino ma non trattenni neanche una lacrima, era finito il tempo di fare il duro e l'incazzato con il mondo. 

"Fa schifo pensare che sia diventata un mucchio di ossa", mormorai con la gola che mi faceva male. La mia voce uscì innaturale e strozzata. 

Eren scosse la testa e si mise davanti a me, nascondendo la tomba ai miei occhi. Lasciò la mia mano e mi asciugò dolcemente le lacrime, come aveva fatto altre volte anche se non avevo mai pianto così tanto. 

"Il suo corpo era solo un involucro, lei non era solo quello", disse gentile, continuando ad accarezzare le mie guance. 

"Anzi, potrei dire che era molto di più, mille volte di più. Era gentile, dolce, sempre premurosa, anche con me che non ero suo figlio. Era una persona fantastica, anche con i suoi difetti, anche quando non voleva farti uscire per stupidaggini come la pioggia", disse con una breve risata. Io accennai un sorriso al pensiero, quella donna aveva una paura matta che mi prendessi strane malattie. 

"E non devi dimenticarla, devi tenere per te i ricordi. Non devi neanche avere rimpianti perché hai fatto tutto ciò che dovevi fare. Ti voleva bene, ti amava, e desiderava una bella vita per te. Smettila di crucciarti solo perché un giorno avete litigato e ora pensi di aver sprecato del tempo", mi disse, sorridendomi continuamene. Amavo il sorriso di Eren e lo strano modo che aveva per confortarmi. 

"Immagino che non andrà tutto bene da un giorno all'altro però provaci, sul serio stavolta. Fuggire dalla realtà non ha senso, o forse lo ha però porta brutte conseguenze. E meriti così tanto di essere felice", il suo tono divenne ancora più dolce. Così dolce che mi sentii più triste perché avevo perso una persona come lui per sempre. 

"Chi sei e che ne hai fatto di Eren?", dissi con una risatina, sentendo altre lacrime rigare le mie guance ancora una volta. 

"Sono sempre io", disse piano, spostando le mani dal mio viso ma rimanendo davanti a me. 

"L'Eren che conosco io non sapeva mettere due parole serie in fila", borbottai per sdrammatizzare. Lui ridacchiò e mi diede un leggero colpo. 

"Vederti piangere così tanto mi ha destabilizzato, colpa tua", mi prese in giro. 

"Cazzo Eren, ti amo da morire", sussurrai dopo qualche istante, guardando i suoi occhi verdi, ora più luminosi. 

"Ti amo anche io", mormorò. Il mio cuore iniziò a battere con forza e desiderai così tanto baciarlo ma non potevo, Eren non era più mio. 

Sentire quelle parole uscire direttamente dalla sua bocca mi aveva destabilizzato. Petra me lo aveva detto ma udirlo proprio da Eren aveva un altro effetto. 

Per fortuna mi prese una mano perché non capivo più nulla. Ci allontanammo dalla tomba dopo che diedi un ultimo saluto a mia madre. Mi sentivo più leggero nonostante la tristezza. 

Camminammo fino all'uscita, raggiungendo l'auto di Eren. 

"Vuoi mangiare qualcosa?", chiese a un certo punto. Aggrottai la fronte. 

"Non devi essere gentile per forza, possiamo tornare a casa, tranquillo", dissi mestamente. 

"Levi, stupido idiota, ti ho appena detto che ti amo e mi rifiuti così", disse allargando le braccia. Ora ero più che confuso. 

Schiusi le labbra per dire qualcosa ma poi sentii quelle di Eren su di esse. Quasi non ci credetti e infatti mi ci volle qualche secondo per ricambiare. Mossi la bocca sulla sua timidamente, così felice nel sentire la consistenza della sua pelle sulla mia. 

Ci staccammo e non riuscii a non sorridere ampiamente, nonostante la confusione nella mia testa. 

"Non potevo baciarti in un cimitero", spiegò Eren. Lo baciai un'altra volta, intrecciando le dita ai suoi capelli, beandomi della sensazione della sua bocca calda sulla mia. 

Mi era mancato da impazzire e desideravo farglielo capire in ogni modo. Quasi lo spinsi contro la portiera della sua auto nella foga del mio bacio. Eren rise sulle mie labbra e io mi scostai, sentendomi un po' imbarazzato per le mie azioni. 

"Pensavo non ti fidassi di me", sussurrai. 

"Uhm, si da il caso che ti amo fin troppo per non darti un'altra occasione", disse con un sorrisetto. 

Sapevo che le cose non sarebbero state facili e che avrei dovuto fare di tutto per conquistare nuovamente la sua fiducia. E lo avrei fatto perché stare senza Eren era come stare senza l'acqua in un deserto. Avevo bisogno di lui, senza di lui era tutto arido. 

Andammo a mangiare in un fast food qualunque e pagai io, godendomi le sue chiacchiere che mi erano mancate così tanto, così tanto che sentirle mi fece male al petto. 

Passeggiamo lungo il mare e andammo in spiaggia, ignorando i granelli quando ci sdraiammo per baciarci a lungo, l'uno fra le braccia dell'altro. 

Mi posizionai con la testa sul suo petto, godendomi il suo odore tipico, non riuscendo a non sorridere con le sue carezze. 

Mi bastava poco per stare bene e allora chiusi gli occhi, pensando a una cosa in particolare. Mi era saltata in mente dopo il nostro bacio vicino al cimitero. 

Dovevo dirglielo. 

Gli presi una mano e gli baciai il palmo, amavo il sapore della sua pelle e anche il colore, così diverso dal mio. 

Aprii gli occhi e notai quelli di Eren fissi su di me. 

"Non possiamo ancora stare assieme", dissi seriamente. Eren assunse un'espressione confusa, come biasimarlo? 

"Meriti molto di più, Eren, ed io devo essere la versione migliore di me stesso per dartelo", continuai. Era difficile rinunciare a lui ancora per un po'. 

"Levi, tu mi vai benissimo come sei...", sussurrò, abbattuto. Mi si strinse il cuore. 

"Non lo metto in dubbio ma ti ho ferito così tanto e tu mi sei stato dietro per mesi, anche quando ero insopportabile. E ti ringrazio, senza di te sarebbe stato tutto peggio", continuai, cercando di trovare le parole. 

Lui rimase in silenzio ma sembrava aver capito cosa intendessi. Non poteva negare di aver sofferto a causa mia. 

"Ti chiedo un'altra cosa, l'ultima. Di aspettarmi", mormorai dolorosamente. Gli strinsi la mano e lui ricambiò la stretta dopo un po'. 

"Voglio fidarmi", mormorò. Non potei non sorridere ampiamente davanti alle sue parole, era una grande concessione. 

"Grazie", sussurrai e mi sporsi per lasciare un casto bacio sulle sue labbra. 

"Ma posso continuare a parlarti? Possiamo tipo essere amici...?", chiese confuso. Ridacchiai davanti alla sua espressione e annuii. 

"Si, Jaeger, te lo concedo", lo presi in giro. Ci scambiammo qualche altro bacio prima di tornare a casa. 

Dovevo lavorare su me stesso, dovevo stare bene con me stesso, anche da solo. Poi sarei stato pronto a donare tutto il mio amore ad Eren.

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Vi giuro che è stata dura doverli tenere separati 😩

Comunque, manca pochissimo alla fine e per la mia sanità mentale raggiungerò i 30 capitoli (sarebbe stato fastidioso farne solo 29 quindi ho aggiunto l'epilogo) e devo ammettere di essere un po' triste. 

Questa storia è nata un po' a caso, perché mi annoiavo principalmente e perché volevo scrivere qualcosa di "scolastico". Non credo neanche di essere così brava a scrivere ed è una cosa che faccio semplicemente perché mi piace. Inoltre era difficile descrivere come si sentisse Levi nonostante anche io abbia perso un genitore. Ho deciso di usare le mie reazioni, ovvero la rabbia e il rispondere male come difesa. Però ho anche cambiato alcune cose nel suo comportamento, ovviamente, prendendo spunto dalle reazioni dei miei fratelli. Okay, chiudiamo questa parentesi deprimente 😬

 

In ogni caso spero che la mia storia vi abbia tenuto compagnia e che l'abbiate apprezzata nonostante i possibili errori e il fatto che io non abbia chissà quale talento nello scrivere. 

 

Alla prossima!

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Capitolo 29
*** Making love ***


Eren


Le ultime settimane di scuola furono piene di test per i ragazzi dell'ultimo anno. Le temperature erano sempre più alte, mandando via totalmente la mia voglia di studiare per gli ultimi compiti in classe. 

Fortunatamente conoscevo persone come Historia ed Armin che mi spronavano a studiare le ultime cose. Più che altro mi costringevano. 

Arrivammo agli ultimi giorni di maggio dove diedi il mio ultimo test scolastico della mia vita. Quando uscii dalla scuola mi sentii libero, pronto ad affrontare l'estate, e speranzoso che le cose con Levi andassero sempre meglio. 

Quel ragazzo aveva fatto passi da gigante in poco più di un mese. Aveva ripreso ad andare da Mikasa e mi aveva raccontato che Isabelle sapeva tutto ciò che era successo. Non proprio tutto ma sapeva. Mi spaventava quella donna. 

L'avevo incontrata una sera, dopo aver finito di fare i compiti da Levi. 

"Sapevo che saresti stato fondamentale per quel ragazzo", mi aveva detto, come se facesse tutto parte di un suo strano piano. Non mi feci troppe domande per non confondermi di più le idee, mi andava bene come stavano andando le cose. 

Beh, ai miei ormoni non tanto. Osservare Levi da lontano e non poterlo trascinare da qualche parte per baciarlo era più che deleterio per loro. Ma gli avevo promesso di aspettare, in più sembrava molto più sereno. 

Più la fine della scuola si avvicinava, più passava del tempo a teatro, in preparazione al nuovo spettacolo. Ancora non si sapeva il titolo, volevano che fosse una sorpresa per attirare più persone possibile. 

Non che ce ne fosse davvero bisogno per via della sua presenza. O forse ero io l'unico attratto principalmente da quello. 

Aveva invitato anche Ymir, Connie, Sasha e Farlan. E ne ero stato felice. Era come se stesse facendo l'ingresso in una nuova vita, dove cercava di dare meno potere al dolore. 


Los Angeles- 4 giugno 2020


Era il giorno dello spettacolo, un giovedì caldo. 
Portai Connie, Sasha e Ymir con la mia auto dato che si erano categoricamente rifiutati di presentarsi da soli in una scuola che non conoscevano. 

Parcheggiai e ci avviammo verso l'edificio mentre il sole stava calando. C'erano parecchie persone, curiose di capire che cosa sarebbe stato portato in scena. E anche io lo ero perché Levi non si lasciava sfuggire nulla. 

Entrammo nel teatro e prendemmo posto al centro. Farlan era già lì, un po' imbarazzato perché non conosceva nessuno. 
Quando mi vide sorrise ampiamente. 

"Eccolo, il fidanzatino", mi aveva preso in giro, come al solito. Ma ora eravamo molto più in confidenza, eravamo usciti con Levi più volte nelle ultime settimane. 

Le persone si sedettero e quando tutti entrarono le luci si spensero e le voci si assopirono. Mi sentivo emozionato, era passato un anno da quando Levi aveva recitato per l'ultima volta. 
Le tende si spostarono ed iniziò lo spettacolo. 

Capii subito di che opera si trattava e quasi risi nel vedere Levi nei panni di Romeo. Non mi aspettavo di sentirgli dire cose così melense. 
Era bellissimo con la giacca del costume finemente decorata, sembrava un principe e desiderai far parte dello spettacolo solo per poterlo vedere da vicino. 
Il cuore mi batteva mentre lui parlava, calandosi perfettamente nella parte di Romeo. 

Petra era Giulietta ma, stranamente, la cosa non mi turbò, anche quando si diedero un bacio a fior di labbra. Forse perché avevo notato lo sguardo di Levi su di me ed ero consapevole dell'amore che provava nei miei confronti. Ed era merito di Petra se lui si era dichiarato, me lo aveva raccontato. 

Lo spettacolo fu abbastanza lungo ma furono bravi ad interpretare ogni personaggio e quando finirono applaudimmo tutti. Io mi alzai anche in piedi insieme ai nostri amici e Kenny. 

Era stato fantastico vedere Levi tornare a fare qualcosa che gli piaceva. E poi, notare il suo sorriso durante i ringraziamenti mi colmò il cuore di gioia. 

Ci alzammo per uscire dalla sala ma poi decisi di cambiare idea e corsi verso il palco, salendo sopra di esso così velocemente da non essere notato. 
Sentii le voci familiari di Jean e Reiner che battibeccavano davanti a un confuso Armin. 
Aggrottai la fronte, indicandolo. 

"Che ci fai qui?", chiesi. In effetti non era vicino a Historia nei posti a sedere e non lo avevo scorto da nessuna parte. Pensavo di essere stato io distratto. 

"Jean aveva bisogno di calmarsi e così sono rimasto qua", spiegò timidamente, abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe. Un anno prima non avrei mai creduto di sentire parole del genere, dopotutto Jean non era mai stato mio grande fan e mai avrei pensato di vederlo provarci con un mio amico. 

Alla fine quei due erano usciti assieme e sapevo che si frequentassero. Oltre a ciò, Armin era più riservato di Historia e non diceva molto, tenendosi la cosa per se. 

"Eren?", chiese poi una voce a me familiare. Mi voltai e incontrai gli occhi di Levi. Sorrisi ampiamente e quasi mi buttai sul suo corpo, allacciando le braccia attorno al suo bacino. 

Lui poggiò una mano al centro della mia schiena, ancora un po' confuso per il mio slancio d'affetto. 

"Sei stato bravissimo, è stato fantastico, sono così felice!", esclamai, facendo ridere gli altri attorno a noi. Gli stampai un bacio sulla guancia e mi scostai dal suo corpo, notando le sue guance rosse e la sua espressione imbarazzata. 

"Beh, ci sarete alla festa di stasera? L'ultima della nostra carriera scolastica", disse Reiner, poggiando una mano su una spalla di Levi. 
Le feste non facevano per me e quando guardai Levi capii che stesse pensando la mia stessa cosa. 

"Uhm, abbiamo un impegno", borbottai, cercando di essere vago. 

"Potete scopare più tardi," disse Jean, facendomi arrossire fino alla punta delle orecchie. Levi gli diede una gomitata, borbottando qualche insulto. 

"Vado a cambiarmi, aspettami fuori", disse rivolto a me per poi sparire in un'altra stanza. Guardai la sua schiena e constatai che i pantaloni del costume gli facevano proprio un bel culo. 

Salutai gli altri e mi diressi fuori, assieme ad Armin.

"Io andrò alla festa", disse improvvisamente mentre uscivamo dal teatro. Sgranai leggermente gli occhi, fissandolo sorpreso. 

"Solo perché c'è Jean", lo presi in giro con una risatina, mettendo un braccio attorno alle sue spalle esili. Armin divenne completamente rosso e io non riuscii a smettere di ridere. 

"Tu non ci vai perché vuoi fare sesso con Levi, non sei messo meglio", disse esasperato. Per poco non mi cadde la mascella per terra al sentire una simile risposta dal mio timidissimo amico. 

"Armin! Non si dicono certe cose", risi ancora più forte. Allontanò il mio braccio dalle sue spalle con una smorfia per le mie continue prese in giro. 

"Dai, Arm, scherzo", dissi placando la mia risata. Lui alzò gli occhi al cielo ironicamente e alla fine mi sorrise. 

"Sai, Eren, mi eri mancato. Sei molto meglio senza quell'espressione triste", disse sinceramene. Curvai le labbra in un sorriso, anche a me era mancato poter star tranquillo, senza la paura che Levi potesse fare qualche stupidaggine. 
In lontananza lo vidi venire verso di me, al fianco di Jean che voleva sicuramente stare con Armin prima di andare alla festa che, tra l'altro, sarebbe stata a casa di Floch che ne io ne Levi volevamo vedere. 

Ci raggiunsero e mi persi ad osservare il ragazzo di cui ero innamorato. Era bellissimo con la maglietta a maniche corte, i jeans strappati e le solite Air Force. Un abbigliamento normale che però gli calzava a pennello. Ma era la sua espressione serena a far battere maggiormente il mio cuore. 

Con la coda dell'occhio vidi Jean baciare Armin leggermente e allora decisi che fosse arrivato il momento di andarmene. 

"Buona festa, usate le protezioni!", esclamai ridendo, beccandomi un colpetto da parte di Levi per la mia frase stupida. Ma Jean si meritava qualche presa in giro. 
Entrammo in macchina e misi in moto, felice di poter avere del tempo da solo con il ragazzo al mio fianco. 

"Kenny dopo lo spettacolo sarebbe andato dai tuoi", disse Levi improvvisamente, fissando un punto fuori dal finestrino. 
Cercai di non crearmi false speranze. 

"Andiamo anche noi?", proposi, volendo che dicesse di no. 

"Sei idiota?", disse corrucciato, girandosi verso di me. Arrossii e strinsi la presa sul volante con il cuore che batteva a un ritmo più veloce. Allora volevamo la stessa cosa. 

"Mi stai dicendo che hai casa libera?", chiesi ironicamente con una risatina. 

"Esatto", mormorò Levi, facendomi fremere solo in questo modo. 

Fermai l'auto un po' più lontano dalla mia abitazione per non farla notare ai miei, non volevo che sapessero dove eravamo. Per loro eravamo alla festa. 

Levi aprì la porta ed entrammo in silenzio, rendendoci sempre più conto che eravamo soli, finalmente. 
Poggiò le chiavi lentamente mentre io iniziavo ad impazzire per la voglia di sentire le sue labbra sulle mie. 
Passarono secondi che sembrarono durare un'eternità ma poi la sua bocca avvolse la mia. 

Quasi mi sciolsi fra le sue braccia, accogliendo immediatamente la sua lingua con la mia, facendole intrecciare come avevamo fatto milioni di volte. 
Le mie mani si infilarono sotto la sua maglietta, toccando la sua pelle calda, liscia, perfetta. L'accarezzai, raggiungendo i suoi fianchi più morbidi di qualche settimana prima. Affondai le dita nella sua pelle e lo attirai a me, facendo unire i nostri corpi. 
Gemetti e Levi non fu da meno, inarcando la schiena sotto le mie carezze delicate e decise allo stesso tempo. 

"Saliamo su", borbottò Levi sulle mie labbra, tra un bacio e l'altro. Non volevo staccarmi, mi era mancato così tanto e dovevo recuperare il tempo perduto. 

Cercai di salire le scale con le sue labbra ancora sopra le mie, spingendo il suo corpo contro la parete della scala. 
Mi scostai per fare qualche altro scalino ma le labbra di Levi raggiunsero il mio collo, impedendomi di camminare decentemente. 

Sentivo i suoi denti e la sua lingua torturare la mia pelle, lasciare sopra di essa dei segni evidenti. 

"Così non ci arriviamo al piano di sopra", boccheggiai, stringendo i suoi capelli con una mano mentre lui continuava a stuzzicare un punto sotto la mia mascella. Gemetti sentendolo succhiare la pelle. 

Sentivo le gambe come gelatina e avevo bisogno di stendermi su un letto per lasciarmi andare a quelle sensazioni. 

Levi si scostò dal mio corpo e subito sentii la sua mancanza, infatti lo guardai confuso. 

"Non ti sto abbandonando, muoviti", disse con il fiato grosso, facendomi cenno di salire le scale. 
Camminai dietro di lui, impaziente di baciarlo di nuovo e così feci non appena chiuse la porta della sua camera. 
Lo spinsi contro di essa, facendo scontrare di nuovo le nostre bocche in un bacio frettoloso, indecente, imperfetto. 
La mia lingua rincorreva la sua per poi muoversi assieme, rendendoci ancora più desiderosi di avere del contatto. 

Gli afferrai la maglietta e gliela tolsi, lui fece la stessa cosa con la mia. Poi ci baciammo ancora una volta con i nostri bacini che si toccavano, cercando frizione appagante, inutilmente. 

Strinsi i suoi fianchi e camminai all'indietro, sedendomi sul bordo del letto. Levi sopra di me con le sue gambe che avvolgevano le mie.

"Sei bellissimo", mormorai sinceramente, accarezzando il suo petto, osservando i suoi lineamenti eleganti. Non distolse lo sguardo e mi sorrise dolcemente. 
Sarei potuto morire all'istante. 

"Mai quanto te", rispose e mi baciò prima che potessi ribattere. Stavolta fu più lento e controllato. Le sue labbra accarezzavano le mie con dolcezza, trasmettendomi tutto ciò che provava per me. 

Mi sentii prezioso fra le sue mani. 

Gli accarezzai la schiena, tracciando delle linee su di essa. Anche lui era speciale, era la persona di cui ero innamorato, avrei sempre cercato di proteggerlo. 

Ci staccammo ansimando e le sue mani iniziarono a sbottonarmi i pantaloni. In quel modo sfiorò la mia erezione, facendomi gemere. 

"E ti voglio", sussurrò Levi come se stesse continuando la frase di poco prima. Mi guardò negli occhi mentre mi toglieva i pantaloni. 
Anche quando tolse i suoi, mettendosi in piedi davanti a me, restando con dei boxer neri. 

La visione mi rese ancora più eccitato. Si girò per andare a prendere qualcosa, tornando con del lubrificante e un preservativo. 

Arrossii alla vista ma ero pronto, stavolta era il momento giusto. E avevo guardato dei porno in più, giusto per imparare il più possibile. 

Ci stendemmo sul letto, baciandoci lentamente, toccandoci fino al punto di arrivare al limite. Era la prima volta per entrambi, non sapevamo che fare eppure le cose progredirono naturalmente. 

Avevo paura di fare la cosa sbagliata, non volevo fargli dal male, e proseguii con cautela, preparandolo, mettendolo a suo agio. 

Lo baciai per tutto il tempo, lasciando scie umide sulla sua pelle sudata, volendo distrarlo dal dolore che procuravano le mie dita dentro di lui. 
La sua espressione era un mix di piacere e dolore, mentre si abituava. Vezzeggiavo anche il suo membro per sentire i suoi piccoli gemiti uscire dalle sue labbra rosse. 

Lo amavo così tanto, volevo stargli vicino, farlo stare bene. 

Quando ci unimmo fu fantastico. Era come se condividessimo tutto, realmente, fisicamente. Le sue gambe erano avvolte attorno ai miei fianchi, le sue dita fra i miei capelli. Le nostre pelli strettamente a contatto, completamente sudate, mentre mi muovevo dentro di lui, facendolo mio. 

Eravamo un solo essere, ci completavamo, i nostri sentimenti, le nostre paure più profonde, era tutto fuso assieme. 

Potevo sentire tutto, e non solo fisicamente, ma sentimentalmente. Levi era così fragile fra le mie braccia, e allo stesso tempo era la persona più forte che conoscessi. Volevo stargli accanto per tutto il tempo che il destino ci avrebbe concesso. 

Mi mossi fra le sue gambe come se non fosse la prima volta, riuscendo a capire quali punti gli piacessero e quali non sopportava. Baciai la sua pelle sudata, in particolare il suo viso, le sue guance rigate da lacrime, le sue labbra eternamente screpolate che sorrisero sulle mie. 
Lo amavo, ero così innamorato. Era un sentimento che mi annichiliva totalmente e mi faceva desiderare di poter aprire la mia fottuta pelle per proteggere Levi. 

Raggiungemmo il piacere assieme e ci lasciammo cadere sulle lenzuola sporche, stremati. 
Il mio respiro era affaticato, il mio petto si sollevava e abbassava velocemente, così come quello di Levi, vicino a me. 

Il suo letto era molto piccolo quindi non ci stavamo perfettamente ma per me andava più che bene. Era bello sentire la sua pelle umida toccare la mia, sentire il suo respiro che si infrangeva contro una mia spalla. 

Mi misi su un fianco e passai una mano tra i suoi capelli scuri e disordinati, portandoli all'indietro. Poi lo baciai teneramente, sentendo le mie palpebre diventare pesanti. Ma non volevo ancora dormire. 

"Mi sei mancato così tanto", ammisi con la voce roca di chi è sul punto di piangere. Sentivo le lacrime prossime ad uscire e imbronciai le labbra come ogni volta che succedeva. 
Gli occhi color tempesta di Levi mi osservarono e le sue labbra mi sorrisero, con una dolcezza tale da farmi tremare. 

"Anche tu", mormorò sinceramente. Si sporse verso di me e lo baciai, piano, lentamente, facendogli capire che fosse il mio tesoro, la cosa più preziosa del mondo. 

In quel momento iniziai a piangere senza controllo, sentendo lacrime calde scivolare sulla mia pelle. Non riuscivo a fermarmi, neanche con Levi che mi accarezzava, sussurrandomi che era lì e non sarebbe andato da nessuna parte. 

Era stata dura, negli ultimi mesi. Erano capitate così tante cose, ero stato felice, poi avevo sofferto, avevo perso la fiducia e avevo aspettato. Tornassi indietro rifarei le stesse cose. Nonostante l'attesa estenuante, la voglia di stare al fianco di Levi come il suo ragazzo, non amico. 

E non potevo dire di non avere paura, ne avevo tantissima. 

Mi passai una mano sul viso, cercando di asciugare le lacrime che continuavano a scendere. Il bel viso di Levi assunse un'aria preoccupata. 

"È stato così terribile?", sussurrò flebile. Allora risi e scossi la testa. 

"È stata la cosa migliore della mia vita e, Dio, ti amo così tanto che mi sembra di impazzire", ammisi sorridendo. Levi schiuse le labbra e ricambiò leggermente il mio sorriso. Ma i suoi occhi erano felici ed essi non mentivano. 

Il mio corpo era pesante, affaticato, e quel letto era comodo nonostante la grandezza. Levi si sistemò nuovamente sul mio petto, incastrandosi perfettamente fra le mie braccia. Mise le sue attorno al mio collo, regalandomi delle carezze rilassanti. 

"Ti amo anche io e da morire, letteralmente. E sarebbe male farlo fra le tue braccia", mormorò con voce stanca, chiudendo i suoi occhi. 
Lo osservai, tracciando i contorni del suo viso con il mio indice destro. Toccai le sue labbra ancora rosse e poi lo strinsi a me. Il mio dolce Levi di cui ero follemente innamorato. 

Il sole era tramontato da un po' e la luce della luna illuminava il nostro giaciglio. A quel punto chiusi gli occhi e mi addormentai. 

Fu la notte migliore della mia vita.

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


Londra - 18 luglio 2020

Eren

"Sembra che stia per piovere", dissi, guardando dalla finestra del nostro hotel il cielo minaccioso. Numerose nuvole grigie coprivano la luce del sole, rendendo la temperatura più bassa e impregnando l'aria di umidità. 

Mi sporsi un po' di più, sentendo l'odore della pioggia avvolgermi. Non amavo il freddo ma non mi dispiacevano i temporali. 

"Fortuna che ho preso i posti in tribuna." 

Levi sollevò lo sguardo verso di me, interrompendo la lettura di un dépliant del museo delle scienze. A quanto parte voleva vederlo a tutti i costi e lo avrei accontentato perché adoravo vedere la sua espressione felice, tanto rara quanto bella. 

Quella mattina non riuscivo proprio a stare fermo al pensiero che avrei visto la mia band preferita per la prima volta, nel loro paese natio. Non ero neanche mai stato a Londra, una città così diversa dalla nostra. 

La ciliegina sulla torta era data dalla presenza del mio ragazzo, comodamente sdraiato sul letto. Le coperte avvolgevano la sua figura minuta fino al busto nudo. Guardai la sua pelle diafana e mi passai la lingua fra le labbra, pensando a come riempire le ore prima del concerto. Una mezza idea mi era venuta. 

Mi allontanai dalla finestra e salii sul letto, gattonando verso la figura di Levi, togliendo il dépliant dalle sue belle dita affusolate. 

I suoi occhi mi fissarono magnetici e intriganti. Amavo il modo profondo con cui soleva guardarmi. Mi faceva fremere, mi destabilizzava e, allo stesso tempo, mi faceva sentire importante. 

Mi sporsi ancora un po', volendo far incontrare le sue labbra con le mie, sentivo già la mancanza dei suoi baci nonostante la notte prima ne avessi ricevuti parecchi. 

Dalla prima volta in cui avevamo fatto sesso le cose erano diventate più semplici. Stavamo capendo cosa ci piaceva e l'atto diventava sempre più naturale. In più, entrambi sembravamo non averne mai abbastanza. 

Pochi millimetri e lo avrei baciato. Mi sporsi ma la mia bocca incontrò una sua guancia: si era voltato all'ultimo. 

Mi scostai incupendomi e lui mi rivolse un ghigno divertito. 

"Voglio andare al museo", disse con decisione e si tolse la coperta di dosso, restando completamente nudo davanti ai miei occhi. 

Lo stava facendo apposta. Mi imbronciai, volendo fargli cambiare idea, potevamo benissimo andare il giorno dopo a vedere quel dannato museo. 

"Domani possiamo vederlo con più calma", sussurrai, tentando nuovamente di baciarlo, sporgendomi per soffermarmi su una sua spalla. Mi misi fra le sue gambe nude che afferrai con le mie mani, costringendolo a tenerle aperte attorno a me. 

La sua pelle rabbrividì sotto al mio tocco e allora sorrisi trionfante. Finalmente raggiunsi la sua bocca e stavolta la baciai, chiudendo gli occhi per concentrarmi solo sul movimento delle nostre bocche. 

Levi mi afferrò le spalle e mi costrinse a cambiare posizione, finendo sopra di me sul bel letto. Premette le ginocchia sul materasso, tenendo saldamente il mio bacino poggiato su di esso. 

Mi piaceva quella posizione dove potevo toccarlo al meglio, facendo scorrere le dita sul suo corpo nudo, raggiungendo il suo fondoschiena che strinsi fra le dita mentre i suoi fianchi si strusciavano su i miei. 

Soffocai degli ansimi durante il bacio, avvolgendo le sue labbra morbide con le mie, mordendole e succhiandole per sentire i suoi piccoli versi di piacere. 

Stavo quasi per far scivolare la mia lingua nella sua bocca quando lui si staccò, spostandosi anche dal mio corpo. Aprii gli occhi velocemente, mettendosi seduto mentre entravo in confusione. 

"Voglio proprio vedere quel museo", disse il mio ragazzo, ignorando le mie lamentele mentre mi alzavo dal letto. 

Fortunatamente non mi aveva provocato fino alla fine sennò gli avrei dato un pugno o qualcosa del genere. 

Alla fine andammo al museo e scattai una miriade di foto al mio ragazzo, sopratutto quando era incantato a guardare qualcosa. 

Mi sentivo felice come se niente potesse scalfirci. Levi stava meglio, io stavo bene, le cose potevano solo migliorare. 

Quella sera andammo al concerto e cantai ogni canzone, dedicandone qualcuna a Levi, prendendogli la mano più volte come per ringraziarlo silenziosamente di essere lì con me.

Quando mi accorsi di star udendo le prime note di Fireside, mi voltai velocemente verso Levi. Non era una canzone molto felice eppure era la nostra canzone. 

Anche lui si accorse del ritmo familiare e avvolse le braccia attorno al mio collo, baciandomi dolcemente, facendomi sentire nel posto giusto, al momento giusto. 

Dopo il concerto ero pieno di adrenalina e non riuscivo a stare fermo in taxi ne a camminare normalmente per il marciapiede. 

Afferrai una mano di Levi, iniziando a correre sul pavimento in pietra, ignorando le sue proteste. L'aria fresca della notte scompigliò i nostri capelli mentre percorrevamo la strada londinese. 

"Che accidenti ti prende?!", esclamò con il fiatone. Le mie gambe lunghe mi permisero di fare passi più estesi mentre Levi faticava a starmi dietro. 

Rallentai, notando il cancello di Hyde Park. Lui mi lasciò la mano per sistemarsi i capelli, assumendo un'espressione confusa. 

"Non è un po' pericoloso di notte?", domandò, sollevando il viso verso di me. Alzai le spalle, non volevo inoltrarmi, mi bastava stare vicino l'ingresso. Non avevo sonno e non volevo andare in nessun locale. 

E poi il cielo si era schiarito, mostrando le stelle che prima erano nascoste dalle nuvole.

"Beh, saresti in grado di spaventare qualsiasi maniaco", commentai con una risatina, ottenendo una gomitata. 

"Figurati, a te neanche guarderebbero", rispose, stando al mio gioco. Amavo i nostri scambi di battute. 

Gli afferrai la mano ed entrai nel parco, prendendo posto sull'erba fresca, ignorando la sensazione di bagnato. Non mi importava di nulla, volevo stare lì e guardare il cielo, al fianco della persona che amavo. 

Levi non sembrava dello stesso avviso e, dopo molte insistenze, si sdraiò al mio fianco ma più di metà del suo corpo finì su di me. 

La sua testa era contro una mia spalla, i suoi capelli mi solleticavano il mento ma avevano un buon profumo così glielo perdonai. Una sensazione di pace ci avvolse, cancellando la stanchezza e il freddo. 

Le labbra fresche di Levi iniziarono a baciarmi il collo, con incredibile dolcezza e senza un secondo fine. Arrivarono al mio viso e allora mi voltai, facendo unire le nostre bocche. 

Ci baciammo pigramente, staccandoci spesso per sorriderci o dirci qualcosa di sdolcinato. 

E poi, di nuovo, un altro bacio, e un altro ancora magari più lungo, dove schiudevamo le labbra. 

"Ti amo", sussurrai, staccandomi per osservare il suo viso. Non riuscii a trattenere un sorriso, davanti alla sua espressione rilassata. Strofinai il mio naso contro la punta del suo. 

Lui arricciò e il mio cuore prese a battere più forte. Incredibile come ogni suo piccolo gesto mi emozionava. Ero diventato dannatamente sdolcinato. 

"Che tenero", ammisi, baciando il suo viso in più punti mentre lui sbuffava. 

"Sei diventato uno sdolcinato del cazzo. Quasi non ci credo che qualche mese fa tu mi abbia chiamato stronzo davanti a tutti", disse, cercando di allontanarsi dalla mia bocca. 

Alla fine si arrese e poggiò il suo viso sul mio petto, guardandomi dal basso. La luce della luna gli donava. 

"Tu non sei meglio. Vorrei ricordarti cosa mi hai detto ier- iei nopfe", bofonchiai contro la sua mano che stava tappando la mia bocca. 

Gli morsi il palmo e lui l'allontanò d'istinto, minacciandomi con lo sguardo. Ma non avevo paura di lui. 

"Oh, Eren, non lasciarmi mai, ti amo da morire", dissi, cercando di imitare la sua voce ma uscì qualcosa più simile a Historia. 

"Io non parlo con un tono del genere." 

I suoi occhi si assottigliarono e mi mostrò la sua espressione offesa. Era adorabile e neanche si rendeva conto di esserlo. Oppure si e usava questa cosa contro di me. 

Gli presi una guancia con una mia mano e lo attirai a me per baciarlo un'altra volta, avvolgendo le sue labbra più gonfie di prima. 

"Neanche tu devi lasciarmi andare. Qualsiasi cosa succeda, parliamone sempre, i segreti non hanno mai fatto del bene. Promettimelo", mormorai, rimanendo vicino alla sua bocca. 

I nostri sguardi si incrociarono e lui divenne serio. 

"Te lo prometto, Eren." 

E lì capii che sarebbe andato tutto bene.

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