Some Like It Hot

di Carmaux_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO UNO ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO DUE ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO TRE ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO QUATTRO ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO CINQUE ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO SEI ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO SETTE ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO OTTO ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO NOVE ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO DIECI ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO UNDICI ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO DODICI ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO TREDICI ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO QUATTORDICI ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO QUINDICI ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO SEDICI ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO DICIASSETTE ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 

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PROLOGO


 

Sollevando il capo dalla lunga tastiera del pianoforte, avrebbe volentieri indirizzato gli occhi verso una finestra, per controllare se fuori stesse ancora nevicando; ma trattandosi di un locale clandestino l'unica cosa su cui poteva poteva posare lo sguardo era la miriade di persone che continuavano ad ordinare caffè sapendo che avrebbero bevuto ben più di una semplice bevanda dal sapore amaro: un irish coffe in piena regola, in confronto, sarebbe sembrato il latte caldo per conciliare il sonno.

Sempre la solita storia: la solita serata noiosa, illegale e poco retribuita.

Non che si potessero davvero lamentare: non avevano un soldo per cui qualsiasi lavoro andava bene. Anche suonare in uno squallido speakeasy nascosto dietro un negozio di pompe funebri.

Si girò verso il suo amico e collega, cogliendolo mentre sbadigliava senza potersi coprire la bocca dato che le mani impugnavano due bacchette di legno con cui batteva leggermente sul rullante che stringeva fra le gambe, mentre con un piede suonava il charleston. Aveva dovuto vendere la sua grancassa per arrivare a fine mese e fortunatamente, quando avevano fatto il “colloquio” per quel lavoro, il padrone del locale doveva essere ubriaco quanto i suoi clienti abituali, perché lo aveva assunto pur avendo meno di mezzo set di batteria.

Per Freddie invece non c'era stato problema: il pianoforte sarebbe già stato lì e, come se non bastasse, aveva un talento innato come pianista, nonostante lui affermasse che non fosse vero.

Era da una settimana che tutte le sere si intrufolavano nel locale e suonavano la stessa musica melensa. Non che il pubblico la ascoltasse per davvero, forse giusto per il tempo del primo caffè.

Quando giunse il turno di una delle ballerine, che in quel caso si improvvisava anche cantante, accompagnata unicamente dal suono del pianoforte, il batterista si alzò scivolando silenziosamente fino allo sgabello del pianista.

-Freddie. È questa sera, giusto?- sussurrò stropicciandosi gli occhi e spostandosi dal viso un paio di ribelli ciocche bionde.

-Sì. Dolce serata di paga. Ma cos'hai? Continui a sbadigliare.-

-Non ho dormito molto questa notte: quel maledetto dente mi ha fatto male tutto il tempo!-

-Ha un che di ironico considerando che...-

-Non dirlo! Non sono un dentista! Non sono mai stato un dentista!-

-Già: se lo fossi non mangeremmo a giorni alterni perché non abbiamo i soldi per la spesa!-

-Già, e chi non avrebbe nemmeno un tetto sopra la testa se non fosse per il suo amico dentista mancato?-

-Touché.-

Le dita di Freddie scivolavano con sicurezza sui tasti bianchi, senza che dovesse focalizzarsi unicamente sulla musica: poteva conversare tranquillamente con Roger senza andare mai fuori tempo. Fu un rumore violento e secco, invece, a farlo sussultare e a fargli perdere la concentrazione: dalla piccola porta del locale spuntò improvvisamente la lama ricurva di un'ascia. Scomparve un attimo dopo, per trafiggere quelle povere assi di legno una seconda volta, con un nuovo rumore scricchiolante.

Roger non era già più al suo fianco: aveva raccattato il suo tamburo, le bacchette e il charleston e, se avesse avuto un'altra mano, avrebbe afferrato l'amico per la camicia per trascinarlo via. Si accontentò di una violenta spallata che risvegliò Freddie da quel momento di sorpresa, spingendolo ad alzarsi e fare strada a Roger nella confusione creatasi dall'improvviso arrivo della polizia. Non era la prima volta che capitava loro di vivere una situazione del genere, anzi: ormai avevano una certa familiarità con il processo di fuga e fortunatamente erano sempre stati abbastanza svelti da riuscire a dileguarsi nella confusione del raid senza essere arrestati.

Per dargli una mano, Freddie afferrò il charleston dalle mani del batterista e, già che c'era, pensò di utilizzarlo per aprirsi un varco fra la folla: in meno di cinque minuti stavano già percorrendo una piccola via perpendicolare a quella del locale, procedendo lentamente per evitare di scivolare sul marciapiede ghiacciato.

E così si erano trovati nella stessa situazione di sempre: senza un lavoro e senza soldi dato che la paga dell'ultima settimana di lavoro era andata in fumo con l'arrivo della polizia.

Stretti nei loro cappotti – troppo leggeri per scaldarli durante l'inverno di una città fredda come Chicago – quando arrivarono a casa avevano i capelli fradici per via dei pesanti fiocchi di neve che vi erano si erano depositati sopra durante il tragitto. Appesero le giacche nel piccolo bagno, la stanza più calda della casa, e aspettarono che fossero asciutte per indossarle nuovamente e andare a dormire: quando il riscaldamento si spegneva, durante la notte, le coperte non bastavano a impedire che fossero scossi da brividi di freddo.

E così, la mattina dopo, si erano presentati come loro solito alla stessa agenzia di collocamento di cui ormai conoscevano tutti gli agenti e le relative segretarie.

Roger aprì la porta dell'ufficio di John Reid – loro ultima speranza – e anche Freddie, dietro di lui, allungò il collo per guardare: -Qualcosa oggi?-

Non era neanche necessario entrare: bastava aprire appena la porta, buttare un'occhiata all'interno e la segretaria gli avrebbe dato una risposta monosillabica, positiva o negativa.

O almeno, questo era quanto sarebbe dovuto succedere:

-Ah, sei tu! Hai davvero una gran bella faccia tosta!-

-Arrivederci, grazie.- Roger aveva già richiuso la porta e si stava allontanando a passi svelti quando la voce della segretaria echeggiò di nuovo nel corridoio:

-Roger! Torna subito qui!-

Sotto lo sguardo di un divertito Freddie, il biondo fu costretto a fare marcia indietro.

-Dominique, tesoro, ascoltami: se è per sabato sera, posso spiegarti tutto...- le si avvicinò, chinandosi sulla sua sedia appoggiando le mani sui braccioli.

-Che carogna! Compro una nuova camicia da notte di seta e penso addirittura di prepararti una bella cenetta! E tu dov'eri?-

-Dov'eri?- gli domandò Freddie, troppo compiaciuto nel vederlo in difficoltà. Ma nonostante questo, l'amico cadde in piedi con una bugia che prendeva spunto da una base di verità:

-Dal dentista! Non ti ricordi? Mi ci hai accompagnato tu! Ho questo dannato dente che non mi dà pace!- e dopo un ghigno soddisfatto indirizzato al pianista, si accostò al viso della bella segretaria dai capelli neri, sfiorandole la guancia con il naso. -Domani ti porto a fare un bel giro... e appena trovo un lavoro ti porto nel miglior locale della città...-

-Sii buona...- si intromise Freddie, rompendo quel teatrino. -Reid non ha niente per noi? Siamo disperati!-

-Beh... sarà un caso, ma John sta cercando proprio un pianista.- gli rispose, il tono addolcito mentre concedeva un sorriso al biondo. -E un batterista. Un lavoro interessante: tre settimane in Florida. Trasporto e tutte le spese già pagate.-

-Oh, Dominique, sei una donna formidabile!- Roger le baciò la guancia e si affrettò a correre nell'ufficio personale di Reid, preceduto da Freddie.

Il pover'uomo sussultò, e la cornetta del telefono gli cadde di mano, quando i due giovani si protesero violentemente sul suo tavolo:

-Posso aiutarvi?-

-Siamo qui per la tournée in Florida. Siamo ancora in tempo?- parlarono quasi all'unisono, accalcandosi sulla disordinata scrivania, quasi fossero in competizione per l'ultimo posto disponibile.

-Il lavoro in Florida?! Cosa siete? Una coppia di commedianti? Fuori dai piedi!- la risposta secca lasciò di sasso i due musicisti, che si scambiarono una rapida occhiata.

-Non stavate cercando una batteria e un pianoforte?- domandò Roger, leggermente titubante.

-Gli strumenti vanno bene ma voi no!-

Di nuovo i due si guardarono, ma questa volta fu Freddie a parlare: -Cosa significa? Cosa ci manca?-

-Qualche curva in più. Addio.-

-Ma che vuol dire?! Mettete su un'orchestra di gobbi?!- Roger aveva già esaurito la sua dose giornaliera di tranquillità e cominciava a percepire dentro di sé la rabbia di chi si sente menato per il naso.

-Non sono le schiene che mi preoccupano!-

-Che razza di orchestra è?-

-Dovreste avere al massimo venticinque anni.-

-Ehi! Io ne ho ventiquattro!- esclamò, sempre Roger, risentito.

-E io posso sembrarlo tranquillamente.- aggiunse Freddie.

-Dovreste essere biondi.- proseguì John Reid.

-Sono forse invisibile per caso?!- protestò nuovamente il batterista.

-E dovreste essere donne!-

-So...-

-No, non lo sei...- se Fred non lo avesse fermato, probabilmente l'amico avrebbe dichiarato anche di essere una donna pur di ottenere quel lavoro.

-Aspetti un momento, mi sta dicendo che è un'orchestra femminile?- domandò il batterista e, in quel momento, entrambi capirono di essere stati presi in giro.

Freddie si passò una mano sul viso: -È proprio un amore quella tua Dominique...-

Però... il sole, la spiaggia, le palme, il mare... vitto e alloggio tutto già pagato... tre intere settimane in Florida!
Un pensiero malsano gli saltò in mente e afferrò per un braccio Roger che, sbuffando, se ne stava già andando:

-Aspetta un momento Rog, aspetta! Ragioniamoci un attimo. Perché no?-

-Che cosa?-

-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-

Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:

-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-

-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.

-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-

-Stai davvero proponendo quello che penso tu stia proponendo?-

-Sì!-

-Andiamo!!!- ruggì e fu il suo turno di afferrare violentemente il braccio dell'altro per trascinarlo verso la porta.

-Se vi accontentate di racimolare qualcosa, tutto quello che posso offrirvi è un ballo di studenti per la festa di San Valentino.- disse Reid all'ultimo.

-Aggiudicato!-

-Fatevi trovare a Urbana alle otto.-

-Urbana? Ma è a cento miglia da qui! E fuori sta nevicando! Come ci arriviamo?!- si lamentò Fred, una volta fuori dall'ufficio.

-Mi inventerò qualcosa.- e, incontrando lo sguardo di Dominique, divertita dal tiro mancino che gli aveva teso, capì come si sarebbe vendicato e come avrebbero raggiunto il ballo studentesco.









Angolino autrice:
BUON SAN VALENTINO A TUTTI MY LOVIES!
Proprio in occasione di questo 14 febbraio, la mia mente malata ha deciso di partorire questa storia ripercorrendo le vicende della famosissima commedia "A Qualcuno Piace Caldo", la cui trama ha inizio esattamente la sera di San Valentino del 1929! ^^
Se non la conoscete, RECUPERATELA, ne vale assolutamente la pena!
Mi rendo conto del fatto che sia una cosa molto idiota! XD Ma riguardando il film, il pensiero è volato a questo gruppo di scapestrati... e non ho potuto fare a meno di mettere per iscritto quello che mi passava per la testa. 
La foto serve unicamente a rendere l'idea del look che mi sono immaginata per i quattro musicisti durante la stesura della storia: un Freddie ancora senza baffi ma con i capelli corti, e lo stesso per Roger e John, con i capelli accorciati ma non ancora in modo drastico... Brian è più o meno sempre lo stesso! XD
Al momento non mi viene in mente altro da aggiungere!
Spero che questo (corto, sorry, i prossimi capitoli saranno più lunghi) prologo sia stato di vostro gradimento!
Ancora auguri!
Un bacione a tutti!
Carmaux
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO UNO ***


 

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CAPITOLO UNO


 

-Tre settimane in Florida! Ma ci pensi?! Il sole, il mare...-

-Sì, le palme e i fottuti pesci volanti! Ma smettila, ti prego!- Roger zittì l'amico generando una nuvola di vapore davanti alla propria bocca nel momento in cui il suo respiro caldo si infranse con la temperatura gelata della sera di San Valentino. -Non voglio andare in Florida! Voglio tornare a Londra! E a casa!- ammise infine.

Quanto gli mancava Londra...
La Londra imprevedibile; la Londra soleggiata ma pazza come una giornata di marzo, costringendo chiunque a munirsi di ombrello sempre e comunque; la Londra variabile e sorprendente.

Si era trasferito lì per studio e per passione ma, per quanto amasse il trambusto della città, in cuor suo doveva ammettere di non aver mai dimenticato le dolci colline di casa, il clima mite della Cornovaglia e il suo panorama verdeggiante abbellito da ruderi di castelli di un'epoca che aveva ancora tanto da raccontare.

Non che la storia o l'arte fossero mai state la sua passione: quell'ultima soprattutto era più nelle corde di Freddie, l'amico inaspettato che aveva incontrato dopo essersi imbarcato per l'America.

Perché l'America era la terra delle opportunità e chiunque “ce l'avesse fatta” aveva sfondato lì.

Fu così che le acque dell'oceano, in una serata agitata, facendo rollare la nave, fecero scontrare fra di loro due aspiranti musicisti di vent'anni o poco più che attraversavano il corridoio antistante alle loro cabine.

Roger si era massaggiato la testa, che aveva sbattuto contro il muro prima di cadere, e Freddie, un ragazzo di due o tre anni più grande di lui, lo aveva aiutato a rialzarsi da terra, massaggiandosi a sua volta una gamba.

-Tutto a posto, tesoro? Ancora tutto intero?-

Non gli aveva risposto subito, leggermente frastornato dalla botta e, di nuovo in piedi, aveva barcollato tanto che il giovane dai lunghi capelli scuri aveva stretto la presa sul suo braccio per impedire che cadesse nuovamente a terra. Certo, poteva essere stato semplicemente il continuo ondeggiare della nave ad avergli fatto perdere l'equilibrio, ma a distanza di quasi quattro anni Freddie lo canzonava ancora dicendogli che “lo aveva quasi fatto svenire con la sua avvenenza”.

-Ehi, so di avere un certo fascino, ma non occorre svenire ai miei piedi.-

-Come?-

-Sto scherzando. Mi chiamo Freddie, comunque. Sei anche tu un musicista?-

-“Anche”? Scusa ci... ci siamo già incontrati prima?-

-Non proprio, ti ho visto una volta, di sfuggita, sul ponte. La sera: eri appoggiato alla balaustra e canticchiavi. E ti ho visto anche caricare una grancassa quando siamo partiti.-

-Io... sì... e tu?-

L'esuberanza del più grande lo aveva inizialmente destabilizzato, ma a distanza di quei quattro anni, Roger sosteneva con una mezza verità che era stata colpa della botta in testa.

Avevano trascorso i rimanenti giorni della traversata in compagnia, chiacchierando, ridendo e cantando insieme la sera, appoggiati a quello stesso parapetto. Gli piaceva quel momento della giornata, quando oltre alle risate fini a sé stesse, condividevano qualcosa di più personale come l'assordante silenzio del mare.

Roger non aveva mai amato il silenzio. Ad essere sinceri lo odiava. Odiava il silenzio da verifica in classe, quel tipo di silenzio che faceva rimbombare il ticchettio di un orologio. Il silenzio di una notte insonne.

Ma quello che condividevano in quei momenti non era quel tipo di silenzio. Era un silenzio musicale, cadenzato dallo sciabordio delle onde e dal fischiare del vento che scompigliava con fredde ma delicate carezze i loro capelli già abbastanza disordinati.

Si erano trovati in sintonia fin da subito e avevano deciso di non separarsi, una volta sbarcati.

Dopo quattro anni andavano ancora l'uno dove andava l'altro. Se, cercando un lavoro, solo uno dei due lo otteneva, rinunciavano entrambi. Anche se questo li aveva ridotti, in poco tempo, a vivere in condizioni non ottimali, a dover accettare qualsiasi lavoro degradante che garantisse ad entrambi un qualsiasi guadagno, anche se minimo.

-Anche io voglio tornare a casa, cosa credi? Ma se non abbiamo i soldi nemmeno per un cappotto invernale, come pensi che potremo pagare una traversata oceanica?- esclamò Freddie battendo le mani fra di loro nel tentativo di scaldarsi.

-E la tua soluzione è indossare un paio di tacchi e scappare in Florida?-

Entrarono nel grosso garage dove avrebbero trovato la macchina di Dominique, che avrebbero usato per raggiungere Urbana, e un uomo rattrappito per il freddo e la vecchiaia si alzò venendogli incontro:

-E voi chi siete?-

-Siamo qui per una macchina; quella della signorina Beyrand.-

-Chi cazzo siete?- un'altra voce li fece girare dall'altra parte del garage: non se ne erano nemmeno accorti, ma attorno ad un tavolo tondo e illuminato unicamente da una lampadina che faceva del suo meglio, altri sette uomini giocavano a carte e uno di loro aveva imbracciato un fucile e ora lo puntava nella loro direzione. Un sistema di sicurezza decisamente valido per allontanare gli intrusi e i ladri.

Fecero entrambi un passo indietro, colti alla sprovvista e intimoriti da quell'ostilità:

-... musicisti.- biascicarono alla fine.

L'uomo con il fucile fece un cenno al vecchio che si avvicinò e con uno strappo aprì la custodia della grancassa di Roger, che ormai usava solo per il timpano, le bacchette e il charleston. Il vecchio si volse verso l'uomo con il fucile e annuì, poi si rivolse nuovamente ai due giovani:

-Avete le chiavi? Conoscete la signorina?-

Roger le tirò fuori dalla tasca, facendole tintinnare e Freddie, ora rilassato dal momento che l'uomo armato era tornato a sedersi e a contare le carte che aveva in mano, nascose un sorriso divertito ma al contempo di rimprovero in riferimento al modo in cui le aveva ottenute: Roger aveva approfittato del momento in cui Dominique aveva ridacchiato, gongolando per lo scherzo che aveva orchestrato, e fingendo di non provare neanche un momentaneo rancore, aveva ammesso di esserselo meritato ed era arrivato persino a chiedere scusa alla giovane donna che, pochi attimi dopo, viziata dal caldo respiro del biondo contro il suo collo e le orecchie, pendeva già dalle sue labbra; arrivati a quel punto non era stato difficile, con un giro di parole, ottenere le chiavi della macchina.
Freddie lo aveva guardato scuotendo la testa, ma sempre senza riuscire a trattenere un sorriso: -Come puoi guardarti allo specchio!-

-Posso: belli come me non ce ne sono tanti.-

-Serve il pieno?- domandò il vecchio uomo avvicinandosi alla pompa della benzina.

-Sì... forse è meglio...- rispose Freddie, riflettendo.

-Metto sul conto della signorina Beyrand?-

-Perché no.- rispose Roger con una scrollata di spalle.

-Sei il fidanzato modello.-

-Dominique non è la mia fidanzata!-

Aveva aperto il piccolo baule e stava per stiparvi dentro i suoi strumenti quando Freddie lo chiamò: riconoscendo un tono preoccupato gli si avvicinò, trovandolo con il naso incollato alla prima pagina del giornale che il vecchio uomo, che ora stava facendo loro il pieno, stava leggendo prima che arrivassero.

-Leggi qui! “Polizia irrompe in un locale clandestino: arrestati il proprietario e una ventina del personale, tra musicisti, camerieri e ballerine. Mancano all'appello due musicisti, sfuggiti alla polizia durante la confusione, avvistati mentre si allontanavano in via...”-

Roger lo interruppe rubandogli violentemente la pagina dalle dita con uno strappo. A Freddie rimase in mano il resto del giornale. -Stai scherzando! Ci hanno visti?! Cazzo... siamo fottuti!- sussurrò il più giovane, concedendosi un'imprecazione a denti stretti, per poi lasciar cadere in terra la pagina rovinata e portarsi una mano fra i capelli.

La polizia li stava cercando...

Forse non avevano i loro volti, ma non ci avrebbero messo tanto a trovarli: non erano poi così numerose le coppie formate da un pianista e un batterista che vivevano in simbiosi e che, casualmente dopo il raid della sera del 13 febbraio, improvvisamente cercavano lavoro.

-Siamo fottuti!- esclamò di nuovo incontrando lo sguardo di Freddie.

-Forse... se rimaniamo per un po' fuori dal...-

-Senza lavorare?! E come...-

-Calmati...- ma la voce del pianista tradiva la stessa preoccupazione.

-Adesso torniamo a casa, raccattiamo quello che ci è rimasto, prendiamo la macchina e ce ne andiamo!-

-Vuoi scappare dalla polizia rubando una macchina?- Roger non riusciva a ragionare così sotto pressione. O meglio, da un certo punto di vista sapeva gestire bene la tensione, ma la paura no... quella era un'altra cosa.
Si comportava sempre come se niente lo spaventasse, come se niente lo scalfisse mai, ma Freddie aveva imparato a notare le differenze, a cogliere i piccoli cambiamenti nel tono della voce, nelle labbra tese, nelle dita che si martoriavano a vicenda, e persino nel colore dei suoi occhi.

Il maggiore gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle, costringendolo a fermarsi e a guardarlo.

-Calmati, tesoro, d'accordo? Forse non è così grave come pensiamo. Il giornale dopotutto è uscito questa mattina e noi... beh, abbiamo vissuto come abbiamo sempre fatto e non è successo niente. E poi, lo sai, i quotidiani esagerano sempre un po'. Forse non sanno di preciso chi cercare...-

Stava ancora parlando quando una macchina entrò velocemente nel garage. Freddie le concesse uno sguardo al volo e tornò a Roger, che ora annuiva più tranquillo, senza curarsi dei cinque uomini che ne erano scesi e che, prima ancora che i due amici capissero cosa stava succedendo, avevano impugnato dei mitragliatori.

Le pallottole volarono in una salva di fucilate improvvisa e assordante.

Fred e Roger sussultarono e si buttarono a terra coprendosi le orecchie. Protetti com'erano dalla macchina, gli uomini non si accorsero di loro durante quei lunghi secondi in cui i corpi di tutti i giocatori attorno al tavolino furono trafitti da centinaia di proiettili.

Non fino a quando il vecchio benzinaio, traumatizzato dalla scena, si lasciò sfuggire di mano l'erogatore.

Solo uno dei cinque uomini armati si girò.

Parlò con calma: -Perché non ti unisci ai tuoi amici? Vieni qui.- il vecchio non poté fare altro che ubbidire, trascinandosi lentamente verso l'angolo di garage dove i suoi colleghi giacevano morti, con la consapevolezza che a breve gli sarebbe toccata la loro stessa fine. -Anche voi due, forza.-

E anche loro si mossero. Lentamente. Alzando le braccia per far capire che non erano armati. Sgusciarono fuori da dietro la macchina, muovendosi male, come se sentissero le gambe intorpidite, come sotto anestesia.
Le labbra socchiuse da cui scappavano sospiri spezzati dai tremori.

-E voi chi siete?-

La stessa risposta di prima, questa volta scossa da brividi di paura.

-Musicisti, eh? Anche noi, ma la nostra musica non è bella quanto la vostra.-

-Non possiamo saperlo: non abbiamo sentito niente.- dichiarò subito Freddie.

-Forse: di musicisti sordi ce ne sono. Ma purtroppo non siete ciechi.-

La canna del fucile si sollevò puntando contro di loro.

-Ma...- a Roger sembrava che l'aria gli venisse strappata dai polmoni e sussultò quando un rumore tagliò il silenzio.

Non provenne dal fucile ma dal tavolo sul quale si erano riversati i corpi esamini di tutti i giocatori. Di tutti tranne uno che, allungando una mano per raggiungere il telefono e chiamare aiuto, scosso dall'ultima fitta di dolore prima della morte, lo aveva fatto cadere.

Nel momento in cui l'attenzione del loro aguzzino si volse di scatto verso l'origine del rumore, Freddie si sentì afferrare la mano e trascinare via: forse quando era spaventato non riusciva a mettere insieme due parole di senso compiuto, ma sicuramente Roger sapeva reagire nel modo giusto nel momento giusto; non fosse stato per lui, Fred sarebbe rimasto impietrito sul posto.

Corsero come mai avevano fatto in vita loro, rischiando di scivolare più volte sul ghiaccio. Girarono dietro un angolo e ancora uno e svoltarono ancora in un altro per poi infilarsi in un piccolo tabaccaio che stava per chiudere.

-Due minuti all'orario di chiusura, ragazzi.- disse infatti il commesso non appena li vide entrare.

-Solo il tempo di una telefonata.- ansimò Fred dando una gomitata a Roger perché gli desse una moneta.

-Non possiamo chiamare la polizia!- sussurrò Roger mentre si avvicinavano all'apparecchio e Fred componeva un numero. -Ci stanno cercando! Non possiamo chiamare nessuno! Dobbiamo andare via da questa città! Dobbiamo... non lo so, dobbiamo farci crescere barba e capelli per un po'! Il che sarà un problema! La barba non mi cresceva nemmeno quando volevo che smettessero di abbordarmi pensando che fossi una ragazza!- non aveva preso fiato neanche una volta da quando aveva cominciato a parlare.

-Andremo via da questa città, ma dovremo rasarci!- rispose Fred tamburellando nervoso in attesa di una risposta dall'altra parte della cornetta.

-Rasarci?! In un momento come questo! Sei impazzito!-

-Rasarci le gambe, imbecille!-

-Perché cazzo dovremmo...- il maggiore lo zittì appoggiandogli una mano sulla bocca nel momento in cui sentì la voce di John Reid rispondere al telefono.

-Signor Reid?- Roger alzò le sopracciglia sentendo la voce dell'amico, acuta e quasi femminile. -Mi è stato detto che state cercando una coppia di musiciste, una pianista e una batterista.-

-Ch-asso 'ai facndo?- mugugnò Roger contro la sua mano.

-Mmh mmh.- annuì Fred. -Mmh, mmh. Alle otto? In stazione. Ci saremo. E grazie mille.-

Riattaccò la cornetta e, con un sospiro, guardò gli occhi sgranati di Roger, la mano ancora fermamente premuta contro la sua bocca: -Non guardarmi con quella faccia, Rogerina. Invece, dimmi: la schiuma da barba funzionerà anche sulle gambe?-








Angolino autrice:
Buona sera a tutti!
Prima di qualsiasi altra cosa, chiedo scusa per l'attesa: in questi giorni ho avuto diversi problemi con l'università (tra il sito che non funziona mai, tra la segreteria che lavora solo due ore al giorno, tra i relatori di tesi che ti danno un appuntamento ad una determinata ora e quando arrivi ti fanno aspettare due ore e mezza perché "erano in riunione" -.-) e non sono riuscita nemmeno a rispondere a tutte le recensioni che mi avete lasciato!
Ma passando al capitolo, questo sarà con tutta probabilità il capitolo più "serio" (forse l'unico non demenziale XD) di tutta la storia, ma era assolutamente necessario per lo sviluppo successivo della trama. Quindi tranquilli perché dal prossimo capitolo si entrerà nel delirio! XD
Che altro dire? Spero che vi sia piaciuto! ^^
Come sempre ringrazio tutti voi che leggete, recensite, seguite e preferite (anche già dal prologo *.*). Grazie mille! <3
Un bacione a tutti quanti!
Alla prossima!
Carmaux
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO DUE ***


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CAPITOLO DUE


 

Le carrozze sbuffavano fumo e vapore dai lati: Freddie per poco non cadde quando, fermandosi di colpo per evitare di essere investito in pieno da una di quelle nuvole bianche e bollenti, si sbilanciò.
Roger lo afferrò appena in tempo:

-La smetti di fare scena?-

-Non ho idea di come facciano a camminare su questi trampoli!- sollevò la gamba per massaggiarsi la caviglia che si era appena storto.

La sera prima avevano speso i loro ultimi soldi – rivendendo tutto quello che di valore e non gli era rimasto – per comprare anche due parrucche di seconda mano, qualche vestito e un paio di cappotti femminili.

-Credo che dipenda dalla distribuzione del peso.- non che Freddie si aspettasse effettivamente una risposta, ma socchiuse lo stesso gli occhi truccati in una muta richiesta di ulteriori spiegazioni. -Le poche volte che sono raffinato non mi capisci: il davanti e il di dietro si equilibrano.-

Roger si volse, facendo ondeggiare le lunghe ciocche bionde della propria parrucca: continuava a guardarsi intorno preoccupato sistemandosi il vestito e stirandosi il cappotto.

-Smettila di fare quella faccia! Dobbiamo passare inosservati!- lo sgridò Freddie.

-Ho capito, ma mi sento nudo! E mi sembra che tutti guardino me!-

-Beh, in tutta onestà hai delle belle gambe, tesoro.-

-Non guardarmi le gambe!-

-Adesso sai che vita dura fanno le donne.-

-Oh, Cristo Freddie! Ma dai! Guardaci! Siamo due fenomeni da baraccone!-

Freddie, nella sua parrucca nera a caschetto, gli puntò minacciosamente contro l'indice smaltato: -Ascoltami bene! Siamo scampati a quella che chiaramente era una resa di conti fra bande! E questa gente non lascia testimoni oculari! In questo momento ci staranno cercando per tutta la città! E, non trovandoci in città, cercheranno in ogni orchestra maschile dello stato e del paese!-

-Lo so bene! Ma come pensi che ce la caveremo con questa messa in scena?! Nessuno ci cascherà mai! Questa volta non mi convincerai a...-

Un ragazzino che vendeva giornali gli passò davanti, sventolando una copia e urlando per catturare l'attenzione dei viaggiatori: -Edizione straordinaria! Edizione straordinaria: sette uomini massacrati in un garage! Si prevedono sanguinose rappresaglie! Edizione straordinaria!-

Roger sollevò le sopracciglia: -Va bene, mi hai convinto. Andiamo.-


 


 

L'amministratore spostò il peso da una gamba all'altra, stringendosi nel cappotto. Le ragazze erano già salite sul treno. Quasi tutte: all'appello ne mancavano solo tre.

Sospirò profondamente. Quel lavoro non lo faceva impazzire. Al contrario.
Gli mancava suonare. Gli mancava imbracciare il suo basso e suonare tranquillamente, concedendosi qualche piccolo passo al ritmo della musica. Ma purtroppo, da un paio d'anni a quella parte, suonare e basta non gli permetteva di campare per cui aveva dovuto ripiegare su altri lavori meno soddisfacenti ma che, almeno, gli permettevano di portare a casa uno stipendio fisso. Quello di amministratore era solo l'ultimo di tanti.

-Signor Deacon.- alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di una delle ragazze che mancavano all'appello.

-Veronica.- non riuscì ad impedirsi di sorriderle.

-Mi scusi per il ritardo...-

-Non si scusi, mancano ancora le due ragazze nuove. Prego, salga pure: dentro starà al caldo.- le porse la mano per aiutarla a salire in vettura, ma la giovine rifiutò cordialmente.

-Aspetterò qui con lei: non la lascerò da solo al freddo.- gli sorrise a sua volta, mordendosi delicatamente il labbro inferiore quando lo vide distogliere lo sguardo timidamente.


 


 

-Aspetta, aspetta!- Roger si fermò improvvisamente trattenendo Freddie per un braccio.

-Rog! Perderemo il treno!-

-Che nomi daremo?-

Freddie si immobilizzò, rendendosi conto che l'amico aveva ragione: tra la fretta e la paura non avevano limato un dettaglio decisamente importante del loro piano.

-Che ne dici di Melina per me?- propose infine.

-Melina? Sei una spogliarellista o che cazzo? Le credenziali che hai dato a Reid sono di due musiciste che hanno studiato al conservatorio per quattro anni! Non potevi dire semplicemente che...-

-Winifred. Che ne dici di Winifred? È un nome nobile, raffinato. Altolocato.-

Roger annuì, mordendosi l'interno della guancia: -E io?-

-Tu cosa?-

-Pensavi davvero che avrei detto “Rogerina”?!-

-Perché no?-

-Perché non esiste!- urlò esasperato.

-Usa il nome della tua fidanzata.-

-Dominique non è la mia fidanzata! E non ho alcuna intenzione di andare in giro con il suo nome!-

-Allora Clare.- consigliò di nuovo il maggiore. -Dopotutto è un nome di famiglia, no? È solo una mezza bugia.-

-Certo... Clare... come no... oh Dio, vorrei essere morto!- sospirò Roger passandosi una mano sulla fronte, rendendosi conto di non avere un'altra soluzione. -Questa cosa!- aggiunse poi puntando un dito contro Fred, mimando il gesto che l'amico aveva poco prima rivolto a lui. -Rimane fra te e me!-

-Promesso.-


 


 

Veronica aveva la capacità di renderlo più timido di quanto non fosse già di natura. Il suo sorriso lo innervosiva e la sua risata cristallina gli faceva venire le farfalle nello stomaco. La conosceva da appena un paio di settimane, da quando aveva accettato quel lavoro, e se ne era invaghito fin da subito.

Abbassò lo sguardo e prese fiato: stava per aprire bocca e rivolgerle la parola quando due donne si fermarono goffamente di fronte a loro.

-Siete... le ragazze nuove? Dall'agenzia di Reid?-

Annuirono in unisono, presentandosi contemporaneamente, tanto che John fece fatica a capire i nomi. La buffa situazione parve divertire Veronica che, al suo fianco, ridacchiò e allungò subito una mano perché la stringessero, bombardandole con una miriade di domande.

-Benvenute.- riuscì a intromettersi John, preoccupato che rischiassero di perdere per davvero il treno. -Grazie della disponibilità: il tour non sarebbe potuto partire senza di voi. Ci state salvando la vita.-

-Mi creda, il sentimento è reciproco.- rispose la giovine bionda. John aiutò prima lei, poi l'amica corvina, a salire; infine porse nuovamente la mano a Veronica che salì con grazia i pochi gradini e si avviò in vettura dietro le nuove musiciste.

-Winifred.- la sentì dire, richiamando l'attenzione della pianista. -Winnie o Wendy? Quale preferisci?-

-Oh, solitamente la chiamiamo anche solo Fred.- commentò Clare.

A John non sfuggì la gomitata che la batterista ricevette dalla compagna di conservatorio prima che quest'ultima simulasse un sorriso cordiale, ma non riuscì a sentire la sua risposta, coperta dal rumore del treno che finalmente partiva.

Ora poteva rilassarsi: aveva di fronte un viaggio di due giorni, che sarebbe stato, probabilmente, l'unico momento tranquillo di quella tournée.

Lanciò un ultimo sguardo – a metà tra il curioso e l'incerto – alle due nuove arrivate che, ora che Veronica si era allontanata, stavano parlando fra di loro, e si abbandonò su uno dei sedili.


 


 

-Mi hai staccato un seno!-

-Cosa?- Fred si volse verso Roger che, le braccia conserte sul petto, cercava di nascondere l'incidente.

-Quando mi hai tirato quella gomitata!-

-Se non avessi fatto un commento idiota non te l'avrei tirata! Farai meglio ad andare a sistemarlo!-

-Tu farai meglio a venire con me e aiutarmi!-

Camminare sui tacchi con il continuo traballare del treno che sfrecciava sulle rotaie fu più difficile del previsto e raggiunsero il bagno a fatica e barcollando, peggiorando la situazione quando Fred, per trattenere Roger dall'entrare in quello degli uomini, gli staccò anche l'altro seno gonfiabile.
Ritornare ai propri posti, con tutto di nuovo al proprio posto, risultò più facile.

Le prime ore del viaggio trascorsero all'insegna della serenità, fino a quando la tranquillità non fu interrotta dalla proposta di provare uno dei numeri che avrebbero dovuto eseguire durante le serate della tournée.
Incastrare una ventina di ragazze entusiaste, ciascuna con il proprio strumento, in una stretta carrozza fu un'impresa che, per quanto difficile, venne adempiuta dall'amministratore con il massimo della calma e dell'organizzazione. Suonare fu più complicato – l'unico che si poté godere la scena fu Fred, perché ovviamente non disponevano del pianoforte, che già si trovava all'albergo a Miami – ma dopo un paio di tentativi riuscirono ad intonare un paio di pezzi che a Freddie non parvero affatto male. Ma l'idillio ebbe breve durata: quando Veronica si alzò per cantare un breve brano, abbellito da un semplice balletto riempitivo, un portasigarette metallico cadde in terra, scivolando da sotto il suo vestito.

John lo notò subito e sospirò a labbra strette.

-Veronica...-

-La prego, signor Deacon...- l'esuberanza improvvisamente svanita, la ragazza aveva giunto le mani in segno di preghiera.

-E' la terza volta: te ne rendi conto, io... io non... non posso più lasciar correre...-

Roger si chinò verso la sassofonista, in piedi di fianco a lui, chiedendole quale fosse il problema. La risposta fu lapidaria:

-Niente fumo o alcol e niente uomini durante le ore di lavoro. Sono le due regole.-

Il batterista alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa e si morse le labbra sentendo la voce supplicante della giovane cantante che implorava l'amministratore cercando di difendersi. Alla fine, maledicendosi, si sporse in avanti e alzò la mano richiamando l'attenzione:

-Mi scusi, signor Deacon, potrei riavere il mio portasigarette?-

Sul momento l'uomo annuì e glielo restituì per tornare ad ammonire Veronica che si era improvvisamente ammutolita, ma subito dopo si riscosse:

-Il suo?-

-Sì, deve essermi scivolato mentre suonavamo.-

-Signorina, me lo ridia! Credevo che Reid vi avesse già informate delle regole di questa orchestra. Per questa volta lascerò correre, ma che non si ripeta.-

Per quanto cercasse di sembrare autoritario, il tono di voce e il suo stesso viso lo tradivano: era evidente che non era abituato ad essere dispotico e che quel ruolo nemmeno gli piaceva. Guardandolo, Roger si convinse che se anche le avesse colte un centinaio di volte a fumare o a bere di nascosto, non avrebbe cacciato nessuna delle ragazze: non avrebbe avuto il cuore di lasciarle per strada senza un lavoro e in una città sconosciuta. Gli parve, inoltre, molto sollevato di poter lasciar cadere la discussione con la cantante dai capelli castani.

Le prove ripresero poco dopo e Veronica si volse verso il fondo della carrozza e sorrise a Roger, in un muto ringraziamento a cui il ragazzo rispose con una strizzatina d'occhio. Si diede immediatamente dell'idiota: non poteva semplicemente provarci come se niente fosse. O meglio, avrebbe anche potuto, ma non in quelle condizioni! Incrociando lo sguardo di Freddie, lesse nei suoi occhi il medesimo rimprovero, accompagnato, però, come sempre, da un sorriso.

Attimi di panico attanagliarono i due musicisti quando giunse la sera, gli vennero assegnate le cuccette, e videro che molte delle ragazze avevano cominciato a spogliarsi e a cambiarsi lì nella carrozza.

Cuccette 7 e 7a: avrebbero dormito uno sopra l'altro, come su un letto a castello. Si barricarono dietro le tendine del loro giaciglio e cercarono di cambiarsi nel minor tempo possibile e senza attirare l'attenzione: ad un occhio esterno sarebbero potute apparire semplicemente come due ragazze riservate e un po' meno disinibite delle altre, ma considerata la situazione, tanto Fred quanto Roger tendevano a vedere insidie ovunque. Ma nonostante questo, dovettero ammettere che con il passare delle ore, l'ansia era decisamente scemata – anche se non scomparsa del tutto – lasciando spazio ad una agognata tranquillità d'animo.

Sdraiato a pancia in giù in una ridicola camicia da notte rosa, Roger osservava dal suo giaciglio sopraelevato il via vai delle ragazze, che gli passavano davanti per andare in bagno o tornare ai relativi lettini, e augurava ad ognuna la buona notte con un sorriso e gesti civettuoli.

-Amico, abbiamo sempre suonato con i gruppi sbagliati.- dichiarò ridacchiando a Freddie, in piedi e appoggiato alla scaletta in una camicia da notte scura, e continuando a guardarsi attorno con gli stessi occhi di un bambino in una pasticceria.

-Ti vuoi dare una calmata?!-

-Cerco di godermi i lati positivi di tutta questa storia!-

-Cerca di goderteli in modo meno evidente!- lo sgridò, a bassa voce.

Roger lo scrutò qualche istante, prima di ghignare: -Ce l'hai con me perché sono più gnocca di te?-

-Non credo proprio, amore mio.-

-Oh, ti prego! Se non fosse che credo abbia già una cotta per un'altra ragazza, ti sfiderei seduta stante a vedere chi seduce per primo l'amministratore. E, fidati, perderesti!-

-Sei troppo esuberante per uno come lui.-

-Sale e pepe: come si suol dire gli opposti si attraggono. E poi da che pulpito.- guardandosi scoppiarono a ridere: era la prima vera risata che si facevano in quasi due giorni.

-Niente fumo, alcol e uomini... anche solo fermandoci qui abbiamo già infranto tutte le regole, tenendo a mente anche la bottiglia di whiskey che hai in valigia!- commentò Fred, poco dopo.

-Hai dimenticato il coprifuoco.- gli fece notare l'amico. -Hai sentito Deacon, prima: tra qualche minuto si spengono le luci e tutti a letto; niente spuntini o passeggiate notturne!-

-Siamo entrati in clausura praticamente.-


 


 

La cuccetta non era poi così scomoda come si era immaginato, al contrario. E il rollio continuo del treno lo aveva cullato rapidamente in un sonno inaspettatamente tranquillo.

Si svegliò lentamente, sentendo qualcuno tirarlo per un braccio: una giovane donna aveva aperto le tendine e gli sorrideva.

Roger sgranò gli occhi, di colpo sveglio, e si sollevò di scatto, sbattendo la fronte contro il basso soffitto.

-Veronica!-

-Clare!- la giovine sulla scaletta gli sorrise di nuovo. -Volevo ringraziarti per avermi coperto, prima: sei stata davvero un'amica!-

-No, no, non preoccuparti. Non è stato nulla.- si tirò le coperte fin sotto il mento e si girò dandole le spalle, sperando di farle capire che non aveva voglia di parlare.

-Al contrario: non fosse stato per te adesso non sarei qui.-

-L'amministratore è un pezzo di pane: non ti avrebbe cacciata.-

-Sì, forse... ma era la terza volta che mi coglieva sul fatto... anche lui deve rispettare le regole.-

A Roger non sfuggì una strana inflessione nella sua voce e girò lentamente il capo, sbirciando la ragazza da sopra la spalla: -Ti piace.-

Veronica gli lasciò andare il braccio e appoggiò i gomiti sul materasso, adagiando delicatamente la testa sul palmo delle mani: -È molto dolce... e mi piace il suo sorriso... gli si illuminano gli occhi quando sorride.- ammise, per poi alzare lo sguardo e tornare al discorso precedente. -Davvero, grazie per prima: se ci sarà mai qualcosa che potrò fare per te...-

-Oh, riesco a pensare ad un milione di cose...- sussurrò Roger malizioso, per poi darsi ancora una volta dell'idiota: perché non pensava mai prima di parlare? Ma mai, nemmeno una volta per sbaglio?

Veronica distolse per un secondo lo sguardo, controllando il corridoio, e un attimo dopo salì i pochi scalini che mancavano e si infilò nella cuccetta, richiudendo la tendina.

-Questa è una per esempio!- esclamò il biondo a mezza voce, sconvolto da quanto appena successo, ma la brunetta gli premette un indice sulle labbra. Sentirono dei rumori di passi farsi più forte e poi sempre più lontano: qualcuno, probabilmente John, era appena passato davanti alle loro cuccette, e alla cantante, essere scoperta ad infrangere il coprifuoco nello stesso giorno in cui era quasi stata cacciata, non era parsa una bella idea, motivo per cui era entrata rapidamente nel giaciglio della batterista.

Sdraiata al suo fianco, Veronica era tranquilla, come se non si fosse infilata nel letto di una semisconosciuta ma in quello di una sorella; al contrario, per la prima volta in via sua, Roger si sentiva completamente a disagio nel trovarsi a letto con una donna. Dopo qualche minuto allungò una mano verso la valigia, cercando la piccola bottiglia di whiskey: era troppo sobrio per quella situazione.

-Avessi del Vermouth potrei farmi un Manhattan...- pensò, ma si rese conto di averlo sussurrato solo quando Veronica gli sorrise sorniona:

-Non aggiungere altro.- la ragazza si alzò e, dopo aver controllato un'altra volta il corridoio, chiamò la musicista che dormiva di fronte. Prima che Roger si rendesse conto di cosa stava succedendo, la ragazza della 6a entrò, rannicchiandosi a sua volta vicino a lui e lasciandogli in mano una bottiglia di Vermouth:

-Ho avvertito anche la mia inquilina del piano di sotto di modo che porti il cocktail shaker.-

-Come? COME?!- esclamò Roger alzandosi sui gomiti. -No, fermatevi...- non fece in tempo a concludere la frase che una terza ragazza entrò, dando a Veronica lo shaker.

-La 5a è andata a prendere dei bicchierini di carta. E la 3 ha dei cracker e del salame.-

-No, ma...-

-La 8 invece ha del cioccolato!-

-No, ragazze...- gli venne ficcato in mano un bicchierino mentre un'altra giovine faceva il suo ingresso nel piccolo giaciglio, ormai troppo affollato.
Svuotò il bicchiere in un sorso solo: era decisamente troppo sobrio per gestire una situazione come quella.


 


 

Uno strattone lo svegliò di colpo: -Wendy, per caso hai delle ciliege al maraschino?-

-Delle cosa?- mugugnò Fred stropicciandosi gli occhi.

-C'è una festa al 7a! Forza vieni, manchi solo tu!-

La ragazza che lo aveva svegliato scomparve dietro la tendina e la scaletta cigolò poco dopo.

Fred sbadigliò e si strofinò nuovamente gli occhi. Sentì risate e sghignazzi mal trattenuti provenire dal piano di sopra e solo in quel momento la domanda che gli era stata rivolta cominciò a delinearsi per davvero nella sua mente.

-Ciliege al maraschino?!- balzò fuori dal letto e con gli occhi sgranati si trovò davanti ad una situazione che non si sarebbe mai aspettato: la cuccetta occupata da Roger traboccava di ragazze che ridevano, bevevano da piccoli bicchierini di carta e si passavano qualche stuzzichino o dolce da mangiare come accompagnamento.

Per lo sbalordimento rischiò di chiamare l'amico con il suo vero nome:

-Ro-Clare! Clare! Dove sei?!-

Da una foresta di gambe affusolate emerse il capo imparruccato dell'amico che dopo poche parole, -Non è colpa mia: non le ho invitate io!-, scomparve nuovamente in quell'intrico di corpi femminili.

Fred imprecò sotto voce e si ripromise di riempirlo di botte la mattina dopo. Si guardò intorno preoccupato: doveva trovare una soluzione rapida per risolvere la situazione prima che il “festino al 7a” si trasformasse in una festa a sorpresa. Sapeva che a voce non avrebbe risolto nulla ma che anzi, avrebbe solo rischiato di fare ancora più confusione e di svegliare l'amministratore. Come non si fosse ancora svegliato era un mistero, nonostante il rumore del treno coprisse effettivamente gran parte del chiacchiericcio e delle risate.

Seguendo questo pensiero gli balenò in mente un'idea che sicuramente avrebbe funzionato: tornò nella sua cuccetta e, senza pensarci due volte, tirò con forza il freno d'emergenza.


 


 


 

Angolino autrice:

Oggi sono una ribelle: aggiorno una storia nel fandom dei Queen indossando una felpa dei Bon Jovi e ascoltando i Green Day. Perché why not. U.U

Ma sorvolando le idiozie, spero che questo secondo capitolo vi abbia divertito!

Fanno la loro comparsa John e Veronica che, in questo caso, ricopre quasi il ruolo di Marylin Monroe nel film, ma che nei prossimi capitoli non avrà, per forza di cose, la medesima importanza. Anche perché l'attenzione si sposterà decisamente sui nostri Maylor! :-P Ci tenevo, però, ad inserirla per non lasciare da solo il povero John (e non solo... si vedrà andando avanti con la storia) XD

Con calma incontreremo anche il nostro amato Brian e Jim! ^^ Ma ci stiamo già addentrando nel vivo della storia e spero davvero di non avervi deluso e di non deludervi con i prossimi capitoli!
Per quanto riguarda il nome Melina, vi lascio qui una frase di Elton John che vi darà una spiegazione:
"(Anni prima) Freddie ed io avevamo la fissa per i soprannomi e avevamo deciso di crearne l'uno per l'altro: i nostri alter ego da drag queen. Io ero Sharon, e lui era Melina."

A presto con il prossimo aggiornamento!

Ringrazio come sempre tutti, che mi regalate davvero tante emozioni con poche parole e tanto entusiasmo! <3

Grazie mille!

Un bacione!

Carmaux

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Capitolo 4
*** CAPITOLO TRE ***


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CAPITOLO TRE


 

Roger si massaggiò di nuovo il braccio: sotto il leggero tessuto della camicetta bianca che indossava si era formato un gigantesco livido violaceo.

Quando, la notte prima, un assordante rumore metallico aveva interrotto i festeggiamenti, Roger aveva riconosciuto che doveva essere stato Freddie: l'intera carrozza aveva traballato e dondolato violentemente facendo sbattere il ragazzo contro la parete della propria cuccetta e cadere dalla scaletta le inquiline di troppo. Mentre ancora Roger nascondeva un lamento nel cuscino, stringendosi il braccio con la mano opposta, le altre erano volate nei loro giacigli, nascondendovisi per poi simulare sorpresa quando anche l'amministratore si alzò.

Freddie, le braccia strette sul petto, scuoteva la testa, per la prima volta effettivamente adirato. Non riusciva nemmeno a concentrarsi sul paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino del pullman che era venuto a prenderle alla stazione per portarle all'albergo dove avrebbero risieduto per le prossime tre settimane.

-Oh, avanti Fred!- sussurrò Roger, seduto al suo fianco, sporgendosi verso di lui. -Sei davvero ancora arrabbiato?-

-Ho dovuto fermare tutto il treno per salvarti il culo!-

-Scusa, fammi capire: pensi che sia stata una buona idea?!-

-C'erano otto ragazze nella tua cuccetta! Otto! Cosa pensi che avrei dovuto fare?-

Roger si appoggiò teatralmente l'indice sul mento fingendo di riflettere: -Oh, aspetta, fammi pensare... per esempio, non lo so, svegliare l'amministratore?!-

-E passare per la spia dell'orchestra mentre tu sei quello che organizza “il miglior festino di straforo degli ultimi anni”? No, grazie! Le ho sentite, le ragazze, spettegolare su di te: “Quella batterista, lei sì che sa come si dà una festa”.-

-Ti ho già detto che non è stata colpa mia: hanno fatto tutto loro! Io stavo dormendo: è stata Veronica ad entrare nel mio letto!-

Fred non volle saperne e rimase in silenzio fino alla fine del viaggio. Solo una volta sceso dal pullman, davanti all'albergo, decise di concentrarsi sul panorama.

Quasi non riusciva a credere a quello che vedeva soprattutto se pensava al fatto, che fino a due giorni prima, l'unico panorama che aveva avuto modo di ammirare era il cielo grigio di Chicago decorato unicamente dalla neve che cadeva fitta attaccandosi all'asfalto delle strade e annerendosi al passaggio delle macchine. In quel momento, invece, un cielo libero da nuvole e limpido come gli occhi del suo compagno di viaggio descriveva una giornata meravigliosa; una leggerissima brezza faceva frusciare le foglie delle palme che adornavano i marciapiedi e scostava delicatamente la frangetta della sua parrucca nera; il tiepido sole gli riscaldava le ossa, ancora abituate al rigido clima dell'Illinois.

Di fronte, si stagliava l'Hotel del Coronado, un immenso albergo su più piani e dai colori smaglianti e a pochi metri dalla spiaggia. Se chiudeva gli occhi, sotto il chiacchiericcio eccitato delle altre ragazze riusciva a sentire il rumore delle onde e le risate dei bagnanti.

John elencò il numero delle camere che avrebbero occupato e Fred non si curò di aspettare Roger, che ancora attendeva che scaricassero i suoi strumenti: si diresse, passo deciso e valigia in mano, nella hall dell'albergo e si guardò intorno con un sorriso. La camera che, grazie alla premura dell'amministratore, avrebbe condiviso con Roger, era al quarto piano, ma decise comunque di salire a piedi, pedinando silenziosamente lo sfortunato facchino che, carico di tre valigie tra cui anche quella di Fred, aveva dovuto ripiegare sulle scale dato che l'ascensore era occupato.
Persino il lungo corridoio in fondo al quale si trovava la sua camera sembrava rispecchiare la meravigliosa giornata: le pareti erano abbellite da piccoli quadretti dalle più svariate fantasie e dalle finestre filtravano sottili raggi di sole che creavano meravigliose sfumature di luce.

-E' questa la sua valigia, signorina?- chiese il giovane fattorino accompagnando Fred fino alla sua stanza. Quest'ultimo annuì e indicò anche un secondo bagaglio: -Pure questa.- il ragazzo non fece domande e, aperta la porta della camera, appoggiò entrambe le borse su uno dei due letti e, con un saluto educato, si dileguò.

Freddie girò su sé stesso e andò ad aprire la piccola porta del balconcino sul quale uscì subito, a godersi la vista.

Gli tornò in mente il primo appartamento che aveva condiviso con Roger, appena arrivati in America.

-Ma sei scemo? Torna dentro! Ti verrà un'insolazione!- Roger, appoggiato alla balaustra del loro minuscolo balcone al primo piano, scosse leggermente la testa:

-Non si sta male: tira un filo d'aria. In casa mi sento soffocare.- il sole di metà luglio, con i suoi trenta gradi, si rifletteva sulle lunghe ciocche dorate dell'amico che, in una leggera canottiera scura, fumava tranquillamente.

Fred uscì a sua volta e dovette ammettere che effettivamente non si stava male come pensava. Rigoli di sudore scivolavano lungo il collo e gocciolavano dai capelli del batterista che, allora, arrivavano fin sotto le spalle, ma un lieve accenno di vento rendeva il caldo estivo quasi piacevole.

Tirò fuori dalla tasca una sigaretta e Roger gli porse l'accendino, prima ancora che glielo chiedesse, per poi voltarsi e tornare a guardare di fronte a sé. Fred, qualche secondo dopo, lo restituì, lanciandolo, al suo proprietario, senza accorgersi della sua momentanea distrazione: gli occhi azzurri di Roger seguirono la traiettoria del piccolo oggetto che, entratogli improvvisamente nel campo visivo, ora stava precipitando nel vuoto:

-Che cazzo Fred!-

-Scusa, pensavo lo prendessi...-

-Ma se non ti stavo nemmeno guardando!-

Roger si sporse leggermente dalla balaustra per controllare:la signora che abitava al piano terra aveva un minuscolo giardino, in cui trascorreva le lunghe ore estive a leggere romanzi e riviste, e nel quale si trovava anche in quel momento, ora china a raccogliere proprio l'accendino intruso. Quando levò la testa verso il balcone Roger salutò con un cenno della mano e un sorriso smagliante.

-Credo che questo sia vostro.- disse la donna incurvando a sua volta le labbra.

-Sì, mi scusi.- per avere quasi sessant'anni, l'inquilina del piano di sotto sembrò non fare alcuna fatica quando lanciò l'accendino verso l'alto. Roger lo afferrò al pelo, sporgendosi un po' troppo secondo Fred. -Grazie.-

-Come va, tesoro?-

-Non ci si lamenta.-

-Hai iniziato il libro che ti ho prestato?-

-Sono già a buon punto a dire il vero!- esclamò entusiasta. -Ieri ho letto quasi fino alle tre del mattino.-

-Ne sono contenta!-

Quella donna aveva un debole per Roger – Freddie se ne era accorto dal primo giorno che avevano messo piede nel condominio – e non mancava mai di preoccuparsi per lui quando poteva. Quando, circa sei mesi prima, il batterista era rimasto chiuso in casa per quasi due settimane con la febbre alta, aveva fermato Freddie lungo le scale dandogli della zuppa calda per il coinquilino; quando Roger l'aveva aiutata, una volta, a portare in casa la spesa, lei lo aveva invitato, coinvolgendo solo per gentilezza anche Freddie, ad entrare e bere un caffè. Da un certo punto di vista era la miglior vicina che avrebbero mai potuto sognare: se gli mancava qualcosa – che si trattasse di un uovo, zucchero o di detersivo – potevano tranquillamente scendere una rampa di scale e chiedere a lei. Non che se ne approfittassero, ma certamente era piacevole sapere di poter sempre fare affidamento su qualcuno.

Quando traslocarono, l'unica nota negativa fu proprio l'idea di abbandonare la premurosa vicina del piano di sotto.

Roger si raddrizzò e, seguito a ruota dal pianista, si sedette in terra, appoggiando la schiena alla ringhiera.

-Tu non ti imponi limiti di età, vero?- lo canzonò Fred ammiccando, sapendo perfettamente che non si era mai interessato alla vicina sotto quell'aspetto.

Roger sollevò le spalle, stando al gioco e approfittandone per riaccendersi la sigaretta che mentre parlava con la signora in giardino si era spenta: -Sotto i ventuno le donne sono protette dalla legge; sopra i sessantacinque dalla natura: a qualsiasi età intermedia è caccia libera.-

-Oh Cristo, Rog, dai!- scoppiarono a ridere asciugandosi, con un braccio, il sudore dalle fronti. -Lo stai leggendo per davvero quel libro o fai solo un po' di scena per tenertela buona?-

-A dire il vero sì: ho davvero letto fino alle tre questa notte. Non ho idea di come tu non ti sia svegliato.-

-Che libro è?-

-Lontano dal pianeta silenzioso. È il primo di una trilogia di fantascienza. Stavo pensando di comprare anche gli altri due.-

-Con quali soldi?-

-Non ho detto “adesso”. Ma in futuro... perché no.-

-Vorrei un appartamento più grande.- disse improvvisamente Freddie, seguendo il pensiero quasi onirico di avere più soldi. -Questo posto mi piace, ma siamo un po' troppo stretti.-

Roger annuì: -Se devi sognare, sogna in grande: potendo permettercela, io vorrei una villa. Una bella villa spaziosa, con un grosso giardino e, sul retro, il limitare del bosco. Ti immagini? Suonare senza che nessuno venga a lamentarsi del rumore, senza che nessuno rompa le scatole se decidiamo di cantare in piena notte...-

-Tu in un eremo in mezzo alla natura?-

Roger recuperò la sigaretta dalle labbra ed espirando annuì: -Sì, però vorrei anche una macchina, di modo da poter raggiungere la città quando voglio.-

-E cosa ci faremmo in una villa isolata?- gli domandò divertito l'amico.

-Mah, tutto quello che vogliamo! Sicuramente trasformerei una delle stanze in una sala prove, così non dovremmo preoccuparci di trovare qualche squallido posto da prenotare e pagare.-

-Sai cosa mi piacerebbe?- esclamò il pianista, decisamente coinvolto dal gioco a cui stavano giocando. -Rivoluzionare completamente il nostro guardaroba! Innanzitutto basta con gli abiti a tre pezzi! Sono troppo... costrittivi. E per nulla originali. Sai cosa dovrebbero inventare? Dei pantaloni attillati sulle gambe e scampanati dal polpaccio fino alla caviglia!-

-Segnami subito come primo cliente!-

Fred abbassò la testa, guardandosi: non era esattamente quello il cambio di guardaroba che sognava anni prima, ma nonostante tutto si concesse di ridere sommessamente.


 


 

Clare si era fermata davanti all'ascensore, lasciando cadere a terra la propria valigia e appoggiando più delicatamente la custodia del proprio strumento. La vide sospirare, quasi sbuffare, e passarsi una mano sul viso: erano appena le dieci del mattino ma sembrava già stravolta.

-Posso darle una mano?-

John non aspettò una risposta: sollevò tanto la custodia quando la valigia della giovane musicista, che non ebbe tempo di obiettare perché le porte dell'ascensore si aprirono con un trillo, ed entrò.

-La ringrazio.- sussurrò Clare infine, senza incrociare il suo sguardo, quando le porte si richiusero.

-Sono io a ringraziarla.-

-Per cosa?-

-Per essersi assunta la colpa per il portasigarette.-

Clare aprì la bocca sorpresa, per poi richiuderla immediatamente, e finse indifferenza: -Non so di cosa stia parlando.-

-È stato molto gentile da parte sua...-

Finalmente la ragazza si volse verso di lui e John accennò un sorriso.
Clare sembrò confusa.

-Perdoni la franchezza, ci sta provando con me?- l'amministratore sgranò gli occhi, scuotendo subito la testa:

-No, assolutamente no... cioè no, non fraintenda: non intendevo dire che... lei è sicuramente...- si morse le labbra incartandosi con le parole e sul suo viso si formò una smorfia sofferente.

-Oh, mi scusi...- lo soccorse Clare. -Davvero, mi scusi, non sapevo cosa pensare: è che non sono abituata a questo genere di attenzioni, ma ad abbordaggi più... espliciti...-

-Mi perdoni se l'ho offesa.-

-Niente affatto. Tuttavia...- un sorrisino si formò sul viso della batterista. -Credo ci sia un'altra ragazza verso la quale potrebbe indirizzare le sue attenzioni. Anzi, riformulo: c'è un'altra ragazza che sarebbe molto felice di ricevere le sue attenzioni.- dato che John non rispose subito, colto alla sprovvista, Clare proseguì: -Sa, un lungo viaggio in treno può far nascere amicizie, e Veronica è una ragazza allegra, solare... loquace. Potrebbe essersi concessa qualche confidenza...-

John distolse lo sguardo, maledicendosi per il fatto che fosse così facile metterlo in soggezione e farlo arrossire. Non fece in tempo a fare altre domande che, con un nuovo trillo, le porte dell'ascensore si aprirono sul secondo piano.

Un uomo dai corti capelli castani, entrò togliendosi immediatamente il cappello e prendendo posto alla destra della bionda:

-Ah, buongiorno! Ora sarà sicuramente una bella giornata.- esclamò sorridendole a trentadue denti. Poi, notando la custodia in mano a John, proseguì: -È una musicista? E che strumento suona?-

Clare sbuffò leggermente, già stufa: -Batteria.-

-Una ragazza sanguigna.- commentò furbescamente. -È davvero un piacere fare la sua conoscenza. Mi chiamo Dave. È bello avere finalmente del sangue giovane qui. Gran parte degli inquilini, del personale e persino degli artisti che si esibiscono qui sono sopra i settantacinque.-

-Eh già, sono tre quarti di secolo: fa riflettere.-

John si trattenne dal sorridere, riconoscendo nella voce della musicista il tono di chi non aveva alcuna voglia di chiacchierare né tanto meno di farsi vezzeggiare con frasi fin troppo squallide. I lunghi capelli biondi svolazzarono quando si volse verso di lui ma prima che riuscisse a rivolgergli la parola, un'espressione sconvolta deformò il suo viso: spalancò la bocca e sgranò gli occhi mentre sul viso dell'uomo dall'altro lato dell'ascensore si allargava un sorrisetto compiaciuto. John capì cosa Clare intendesse con “abbordaggio esplicito” – e un po' si dispiacque per lei che, evidentemente abituata a quel genere di comportamento, poco prima non aveva riconosciuto della semplice gentilezza – quando vide la mano dell'uomo allontanarsi rapida dal posteriore della ragazza il cui viso ora non mascherava la feroce collera scatenata da quel gesto inappropriato.

L'ascensore si fermò di nuovo, finalmente al quarto piano.

Clare si volse di nuovo verso John, recuperando i propri bagagli:

-La ringrazio, signor Deacon.- disse digrignando i denti.
Con un colpo secco sollevò il gomito e ruotò il busto, colpendo violentemente in viso l'“espansivo” uomo alla sua destra: questi rovinò contro il fondo dell'ascensore mugugnando e portandosi le mani sul naso. Come se niente fosse la ragazza tornò a John, decisamente turbato da quanto appena accaduto, e gli sorrise prima di uscire: -Lei è davvero un uomo di classe.-


 


 

-Brutto porco!- ruggì Roger entrando in camera sbattendo la porta dietro le proprie spalle.

-Che succede?- gli domandò Freddie, rientrato dal balcone.

-Ho ricevuto un pizzicotto in ascensore!- il ragazzo mollò i bagagli per terra e si massaggiò la natica offesa. Fred rise di gusto, decidendo che gli aveva tenuto il broncio abbastanza a lungo.

-E tu che hai fatto?-

-Gli ho tirato una gomitata!-

-Rog!-

-Ringrazia che c'era l'amministratore con me! Altrimenti avrei fatto di peggio! E questa?- domandò poi indicando una valigia che non riconosceva.

-È del signor Deacon: ho pensato ci potesse far comodo un cambio di vestiti maschili ogni tanto.- e così dicendo la nascose dentro l'armadio.

-Gli hai rubato il bagaglio?- rise Roger, senza disapprovare, e abbandonandosi su quello che, decise, sarebbe stato il suo letto.

-Solo uno. Gli ho lasciato quello più grosso.-

-Bisogna fare attenzione: è molto più attento e vigile di quanto possa sembrare.-

-Chi?-

-Deacon. Sa che mi sono preso la colpa al posto di Veronica. E mi ha ringraziato.-

-Deve piacergli proprio quella ragazza.-

Roger si girò a pancia in giù sul materasso, sollevando il busto e appoggiandosi sui gomiti, con un ritrovato sorriso: -Ti ricordi il nostro primo appartamento? Era poco più grande di questa camera!-

Freddie sorrise teneramente, vedendo che anche la mente dell'amico era volata a quattro anni prima.

-Non ce la passavamo male allora.- disse liberandosi dalla parrucca e appoggiandola su uno dei pomelli del letto.

-Non così male.- rettificò Roger.

-Dai: tutto considerato adesso siamo sistemati bene.-

-Certo, ho tre pacchetti di sigarette nascosti nella giarrettiera, ma almeno non siamo ancora morti.-

Fred lo osservò e scoppiò a ridere di nuovo: -Lo sai che così sembri una pin-up girl?-


 


 

John uscì dalla cabina telefonica vicino alla hall sospirando e stirando le labbra.

Uno dei suoi bagagli era stato smarrito dal personale dell'albergo. L'aveva fatto presente, presentandosi educatamente alla reception, ma nessuno era stato capace di dirgli che fine potesse aver fatto.
Tuttavia non era per quello che ora si passava una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi e le guance. La telefonata era stata rapida e concisa e gli aveva confermato i dettagli del lavoro che avrebbe dovuto svolgere nelle prossime settimane.
L'orchestra si sarebbe dovuta esibire tre volte al giorno: a pranzo, a cena e in ultima serata. Da un certo punto di vista non era nemmeno un brutto programma: certo, dovevano lavorare fino a tardi, ma almeno non si sarebbero dovuti alzare presto la mattina seguente.

Una voce familiare lo riscosse dai propri pensieri: la riconobbe immediatamente e la seguì, incontrando l'alta figura di Brian, una vecchia conoscenza dei tempi del college.

-C'è già il “tutto esaurito” per ogni spettacolo o c'è posto per un vecchio amico?-


 


 


 


 


 


 

Angolino autrice:

Buona sera a tutti e buon lunedì! ^^

Questo è un capitoletto di passaggio, come avrete notato, ma che racchiude alcuni importanti dettagli che ritorneranno in seguito!

E finalmente entra in scena, anche se solo con una frase (chiedo scusa 'XD) il nostro Brian! Dal prossimo capitolo sarà decisamente più presente! =)

Per chi non avesse visto il film (alcuni di voi mi hanno scritto che dopo aver cominciato questa storia sono andati a recuperarlo *.* vi adoro! <3), lascio qui sotto una foto del meraviglioso albergo dove si svolge la nostra storia!

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Che altro aggiungere?

Ah, il libro che ho nominato esiste davvero: Lontano dal pianeta silenzioso (Out of the Silent Planet) di C.S. Lewis ^^

Come sempre mando un abbraccio enorme a tutti quanti, lettori e recensori! Siete la mia gioia! <3

Vi auguro una buona serata! :-*

E a presto!

Un bacione,

Carmaux


 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO QUATTRO ***


 

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CAPITOLO QUATTRO


 

-Pensavo fossi tornato in Inghilterra!-

John strinse le mani attorno alla tazza di tè che aveva ordinato poco prima. Nonostante non facesse affatto freddo trovava sempre piacevole quella sensazione di calore che, dalle dita, si irradiava poi in tutte le mani e verso i polsi e gli avambracci.

-Non c'è fretta.-

Brian, sedutogli di fronte, scrollò le spalle aggiungendo un cucchiaino di zucchero nella propria tazza e procedendo a mescolare la bevanda calda.

-L'ultima volta che ti ho sentito eri diretto a Dover, per poi raggiungere Londra in treno.-

-Sì, ma dopo la tua telefonata ho deciso di cambiare rotta... sembravi aver bisogno di un amico vicino.- spiegò Brian semplicemente.

-Ah, ma...- John abbassò la testa. -Non dovevi...-

-Sempre problemi al lavoro?-

Il bassista nascose un sospiro portandosi la tazza davanti alle labbra e alzò leggermente le spalle: -Niente di nuovo.-

-Non sei costretto a continuare, lo sai: potrei...-

-No, Brian, davvero.- l'amministratore gli sorrise amichevolmente. -Ti ringrazio, ma posso cavarmela da solo. Devo solo abituarmi.-

Non era la prima volta che Brian si offriva di risolvergli i problemi finanziari che lo affliggevano da, ormai, anni, ma ogni volta John aveva rifiutato. Se la sarebbe cavata da solo: non era uno stupido e sapeva di potercela fare. Inoltre non si sarebbe mai sentito a suo agio ad accettare dei soldi dal suo migliore amico, soprattutto con la consapevolezza di non sapere quando sarebbe riuscito a restituirglieli. Per quanto non gli piacesse dover cambiare lavoro con questa frequenza, avrebbe odiato di più sentirsi in debito con Brian.
Ancora si sentiva in colpa per quella volta in cui Brian aveva anticipato di tasca propria la sua tassa di laurea... Ricordava con dispiacere quel periodo, non solo per la morte del padre avvenuta qualche mese prima, ma anche per tutto quello che ne era conseguito: il lutto lo aveva trascinato a terra con tale violenza da non permettergli nemmeno di portare avanti gli studi. E così aveva dovuto rimandare di un anno la laurea, costringendo la madre a pagare una nuova retta che, dato che non c'era più suo padre ad aiutarli con uno stipendio mensile, costituì una brutta botta per le finanze della famiglia. Quando, risollevatosi, aveva concluso gli esami e la sua tesi, arrivando allo step finale della discussione, era rimasto scioccato dal costo della tassa di laurea e si era reso spaventosamente conto che non poteva permettersela. Per sua fortuna Brian era stato irremovibile nella decisione di pagarla al posto suo, permettendogli di laurearsi con il massimo dei voti e la lode. Appena trovato un lavoro gli aveva restituito tutto l'importo, ovviamente, ma ancora adesso, a distanza di anni, si sentiva in imbarazzo per la vicenda.

-E poi adesso non va così male, no?-

Brian si appoggiò allo schienale della sedia e si guardò intorno: -Affatto! È un'ottima sistemazione. Dovresti approfittarne.-

-In che senso?-

-Per pensare un po' a te stesso, goderti la vita.-

-Una vacanza?-

-Qualcosa del genere: te la meriti. Al posto di lavorare ventiquattro ore al giorno, potresti staccare a metà pomeriggio e andare in spiaggia. O passeggiare sul lungomare: ci sono tanti negozi, ristoranti e localini carini che potrebbe valer la pena visitare.-

-Non potrei: l'orchestra di esibisce per cena e anche...-

-Tu non cambi mai.- dichiarò bevendo un sorso di tè.

-Forse una volta concluso questo lavoro...-

L'amico si accorse del rimuginare di John e si affrettò a prendere di nuovo la parola: -E quest'orchestra? Com'è?-

-Sono brave.- dondolò rapidamente la testa da destra a sinistra, riflettendo: -Non sempre seguono le regole, ma sono brave.-

-Hai davvero dato delle regole a queste povere ragazze?- lo canzonò Brian, bevendo un altro sorso.

-Ho già abbastanza problemi di mio senza che si aggiungano anche musiciste ubriache durante l'orario di lavoro.- dichiarò, ripensando per un attimo, al piccolo festino che aveva avuto luogo sul treno due notti addietro. Aveva fatto finta di niente – era troppo indulgente, se ne rendeva conto – ma dopotutto non era orario di lavoro e non gli sembrava il caso di rimproverarle semplicemente per il coprifuoco mancato: dopotutto era l'amministratore, non il loro custode.

-Io ricordo distintamente uno studente di ingegneria che, ubriaco fradicio, ha sfondato la vetrina dei trofei dell'Università... e a momenti non ricordava nemmeno il suo nome.-

John serrò le labbra, tentando di nascondere un sorriso. Sollevò un braccio e puntò un indice contro l'amico: -Sono sei anni che usi questa storia per prendermi in giro! Prima o poi scoprirò qualcosa di imbarazzante su di te e sappi che mi vendicherò.-


 


 

Erano circa le dieci e mezza del mattino quando Roger, accusando una certa fame, aveva proposto a Freddie di scendere e mangiare qualcosa. Quella mattina non avevano fatto in tempo a fare colazione – travestirsi e sistemare trucco e parrucco aveva richiesto più tempo del previsto per via dello spazio ristretto del bagno del treno – e la sera prima non avevano cenato, lo stomaco chiuso per via della sparatoria alla quale erano scampati.

Si sedettero ad uno dei tavoli dell'immensa sala da pranzo e presero in mano il menu:

-Non riesco nemmeno a leggere la metà dei nomi su questa carta!- disse Fred: -Che roba è una cro... croquembouche?-

Roger prese dalle mani di Freddie la carta dei dolci: -Non ne ho idea, ma sembra il nome di una spogliarellista: “e dopo Melina si esibirà per voi Miss Croquembouche”.-

-Qualsiasi cosa sembra sconcia se detta con quel tono!- ribatté Freddie ridendo. -Melina non è un nome da ballerina da due soldi!-

Roger indicò una riga sulla carta dei dolci: -A proposito, guarda qui: apple pie... torta degli angeli... Boston cream pie...- continuò a leggere, un'espressione estatica stampata sul viso. -I brownies!-

-L'ultima volta che abbiamo preparato dei brownies abbiamo quasi fatto arrestare i nostri vicini.- ricordò il pianista.

-Beh, se lo meritavano!- dichiarò Roger con una scrollata di spalle. -Erano insopportabili! E continuavano a rubarci la posta! La New York cheescake!- esclamò sollevando le sopracciglia.

-Non dobbiamo esagerare, mi raccomando!- gli ricordò Freddie prendendo a sfogliare il menu principale. -Siamo a dieta.-

-A dieta?! Vuoi affamarti l'unica volta che puoi mangiare tutto quello che vuoi senza sborsare un centesimo? Scusi!- mentre ancora stava rispondendo all'amico Roger arpionò un cameriere baffuto che passava di fianco al loro tavolo e gli domandò cosa fossero i due piattini che teneva in mano: sembrava un disordinato tortino con pesche, granella di biscotti e gelato. Quando lasciò la presa, il batterista seguì con lo sguardo i piattini e, quando giunsero a destinazione, si accorse che a quel tavolo era seduto John Deacon, insieme ad un uomo dai folti capelli ricci.

Tornò a concentrarsi sul menu, indeciso sul da farsi: seguendo l'esempio di Freddie ordinò una tazza di caffè ma se il più grande optò poi per una semplice macedonia, Roger decise di provare quell'intruglio di pesce e gelato, dolce che lo conquistò dopo la prima cucchiaiata.

-No, Freddie!, tu lo devi provare.- gli avvicinò il piatto e Fred non si fece ripetere due volte l'invito.

Schivando le manovre difensive di Roger, il pianista riuscì a rubare un'altra cucchiaiata di gelato e sovrastò le lamentele dell'amico cambiando discorso:

-Cominciamo a lavorare già oggi?-

Roger annuì: -A pranzo, a cena e dopo cena.-


 


 

-Non devi per forza trattenerti qui per tre settimane intere...- sussurrò John, inzuppando un biscotto nell'ultimo dito di tè che gli era rimasto. -Ti ringrazio davvero, ma non vorrei sconvolgere i tuoi programmi.-

-Nessun problema, come ti dicevo non c'è fretta: mi basta essere in Inghilterra entro maggio.-

-Cosa succede a maggio?-

-Se i miei calcoli sono giusti ci sarà un'eclissi totale di sole!- dichiarò entusiasta. -E ho bisogno del mio telescopio, che è rimasto a Londra, per osservarla. Devo controllare i calcoli però... non so ancora con precisione il giorno e l'ora. Approfitterò di questi giorni per ultimarli!-

-Spero non ti annoierai...-

-Scherzi? E poi, verrò a sentirvi suonare ogni sera! A proposito: la scaletta?-

John frugò nella propria giacca, tirandone fuori un paio di fogli ripiegati più volte su sé stessi. Li porse a Brian, che li aprì velocemente, incuriosito.

-Da quanto tempo non componi?- gli domandò, gli occhi che leggevano rapidamente i titoli dei brani che avrebbero suonato le prime sere.

-Non sono mai stato bravo a comporre.-

-Dai, John: non essere così demoralizzato! Non è vero: i riff che scrivevi al college erano ottimi! Hai portato qui in Florida il tuo basso? Uno di questi giorni ci troviamo per suonare insieme. Quando non devi lavorare.- si affrettò a precisare quando vide l'amico aprire bocca.

-Una volta sognavamo di mettere su un gruppo.- disse, nostalgico, quest'ultimo.

-Non è mica troppo tardi.-


 


 

La sala era immensa e la sera sembrava animarsi di un tocco quasi magico. Freddie non avrebbe saputo dire se fosse per le larghe vetrate che riflettevano la luce degli immensi lampadari, se fosse per il luccicare delle posate e dei bicchieri ad ogni tavolo, o per il suono delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga a pochi metri di distanza. Il palco, poi, era grande, spazioso e ben tenuto: non avevano mai suonato in un posto così di classe.

Il primo concerto, all'ora di pranzo, era andato bene e, anzi, aveva riservato una gradita sorpresa per Roger. Quando si era presentato con il suo misero set ridotto, il proprietario aveva deciso immediatamente di rimediare mandando un galoppino a noleggiare una batteria intera per non rovinare l'immagine d'insieme dell'orchestra, fattore al quale sembrava tenere più di ogni altra cosa poiché non pretese nemmeno che lo strumento gli fosse rimborsato.

Tuttavia, dopo un primo momento di euforia, quando Roger si sedette sullo sgabello, riscontrò immediatamente un problema tecnico che non aveva considerato: come avrebbe fatto a suonare la grancassa e il charleston dovendo tenere in mezzo alle gambe il rullante? Avendo sempre indossato dei pantaloni non si era mai posto la domanda, ma adesso che una sottile gonna gli avvolgeva le gambe fino al ginocchio non aveva idea di come risolvere il problema.
Aveva spostato indietro lo sgabello, avvicinato fra di loro la grancassa e il charleston, ma anche così facendo aveva dovuto sollevare di un po' l'orlo della gonna per non strapparla allargando le gambe per far spazio al rullante.

-Hai delle belle gambe, Rog: alza ancora un po' la gonna e metti in mostra la mercanzia.- lo prese in giro Freddie, meritandosi subito una bacchettata sulle dita.

Ma sorvolando il piccolo incidente, la prima esibizione dell'orchestra andò a gonfie vele. Lo stesso fu per la seconda, all'ora di cena, e la terza, che terminò a mezzanotte. Provati dalla giornata ma, in fin dei conti, di buon umore, Fred e Roger si erano appena ritirati nella loro camera quando sentirono bussare alla porta.

Roger si affrettò a ficcarsi in testa la parrucca che si era appena sfilato e Fred aprì la porta ad un giovane fattorino con in mano un enorme mazzo di fiori:

-Chi di voi è Clare?- Roger, con una buona dose di sgomento, accettò il bouquet ma aspettò che il ragazzo se ne fosse andato per prendere il bigliettino allegato e leggere il mittente.

-Non ci credo.- sbuffò scuotendo la testa e passandolo all'amico senza leggerlo.

-È il tuo amico dell'ascensore?-

-A quanto pare la gomitata non è bastata.-

-Però sembra essere servita a qualcosa, almeno: ti chiede scusa e ti prega di dargli una seconda possibilità. Chi l'avrebbe detto: Rogerina ha colpito nel segno! In tutti i sensi.-

In cuor suo Roger pensava che, se non avesse risposto al biglietto e avesse fatto finta di niente, la situazione si sarebbe risolta da sola. Rimase quindi sorpreso quando, il giorno successivo, poco dopo la prima esibizione, l'uomo dai corti capelli castani si avvicinò al tavolo dove lui e Fred avevano preso posto per pranzare.

-Signorina, mi scusi...- togliendosi educatamente il cappello, non sembrava nemmeno lo stesso uomo spigliato del giorno prima, e non solo per il livido violaceo alla radice del naso. -Si... si ricorda di me?-

-Distintamente.- Roger fece in modo che dal tono trasparisse chiaramente che non era un'affermazione dalla quale sentirsi lusingati.

-Non so se ha ricevuto...-

-Ho ricevuto.- tagliò corto senza alzare lo sguardo dal proprio piatto.

-Speravo... in una sua risposta...-

-La risposta non è ancora sufficientemente chiara?-

-La prego...- disse bonario, recuperando un po' della sua disinvoltura. -Posso sedermi?- indicò una delle due sedie libere.

Quando avevano chiesto un tavolo per pranzare il cameriere che li aveva accolti si era scusato dicendo che non avevano più tavoli per due, ma Freddie lo aveva tranquillizzato assicurandolo che non sarebbe stato un problema.

Almeno fino a quel momento.

-Mi spiace: è occupato.-

L'uomo controllò, in cerca di un qualsiasi segno che lasciasse intendere che fosse davvero occupato: -Da chi?-

Roger si morse l'interno della guancia per un secondo, riflettendo: -Dal nostro amministratore.- dichiarò infine.

-Ma ci sono due posti liberi...-

-C'è anche un suo amico.- Freddie, non appena adocchiò John entrare nella sala da pranzo in compagnia dello stesso uomo con cui lo avevano visto fare colazione il giorno prima, colse la palla al balzo venendo in soccorso dell'amico. Alzò un braccio e fece cenno ai due uomini che, dopo essersi scambiati una rapida occhiata, si avvicinarono e presero posto titubanti.

Freddie vide John lanciargli un'occhiata incerta facendo un piccolo cenno del capo in direzione di Clare ancora tormentata da quell'uomo, che proprio non voleva saperne di lasciarla in pace, ma il pianista gli strizzò l'occhio lasciandogli intendere che non aveva di che preoccuparsi.

-Passo le giornate a pescare: l'unica mia gioia è venire qui e ascoltare la musica di creature meravigliose come lei.- proseguì Dave, incurante dei due uomini che avevano occupato i posti liberi.

-Riavvolga la lenza: questo pesce non fa per lei.-

-Se...-

-Signor Mallet.- lo interruppe Roger, ricordandosi il nome che aveva letto sul biglietto. -Io non la conosco, né ci tengo: lei è testardo, irrispettoso e inopportuno. E' davvero l'ultimo uomo al mondo che vorrei conoscere o far conoscere alla mia famiglia.-

-Sono sicuro che se mi concedesse del tempo, le farei cambiare idea... e conquisterei anche la sua famiglia.-

-Lei vuole davvero conoscere la mia famiglia? La avverto che ho un fratello estremamente protettivo: se io le ho lasciato quel livido le lascio immaginare quanti potrebbe lasciargliene mio fratello. Arrivederci.- decretò Roger in definitiva, non sapendo più cosa inventarsi per scrollarselo di dosso.

Parve funzionare e Dave si raddrizzò, indossando nuovamente il proprio cappello, ma prima di andarsene gli riservò un ultimo sorriso: -Su una cosa ha ragione, Clare: sono un uomo testardo...-

Quell'ultima frase preoccupò non poco il batterista, che cercò di rimanere impassibile mentre il suo spasimante finalmente si allontanava. Dopo essersi concesso uno sbuffo alzò finalmente gli occhi sui due nuovi arrivati.


 


 

Clare si concesse un sonoro sbuffo, serrando gli occhi. Per qualche secondo scese un silenzio imbarazzato, accompagnato da qualche occhiata incerta da parte di John e Brian. Fu proprio Clare a parlare di nuovo, rivolgendosi all'amministratore:

-Ha da accendere? Non è orario di lavoro...- John accennò un sorriso e tirò fuori dalla tasca della giacca un accendino. -Ha anche una sigaretta?- richiese ancora la bionda, con il ghigno di chi non si vergogna affatto della richiesta. -Prometto di restituirgliela.-

-Non si preoccupi...- rispose educatamente John porgendole quanto richiesto.

-Lei dev'essere Clare.- disse improvvisamente Brian, catturando lo sguardo della ragazza, che gli rivolse una muta domanda. -John mi ha parlato di lei... e di... Wendy, giusto?-

Brian porse cordialmente la mano e sorrise ad entrambe mentre, finalmente disperso l'imbarazzo, si presentavano.

-Lei dev'essere un musicista.- dichiarò Clare, ma sul momento Brian non seppe se lo stesse canzonando, dato che aveva formulato la frase usando le sue stesse parole, o meno.

-Da cosa lo deduce?- indagò.

La sigaretta adagiata elegantemente fra medio e anulare, la ragazza strofinò delicatamente il pollice sull'indice: -Dai calli sulle dita: sono tipici di chi suona da tempo. Uno strumento a corde: chitarra?-

Brian annuì, colpito: era la prima volta che una ragazza riconosceva il motivo di quello che le altre donne avevano sempre ritenuto un difetto. Soprattutto, era la prima ragazza che vedeva quel dettaglio di buon occhio e, anzi, con una certa dose di interesse.

-Da vent'anni.-

-Fin da bambino.- commentò Wendy.

-Come il nostro John.- esclamò appoggiando una mano sulla spalla dell'amico. Dalle espressioni incuriosite delle due ragazze, Brian si rese conto che non ne avessero idea.

Mentre John spiegava con poche parole che, sì, aveva imparato a suonare il basso da ragazzo ma che ormai suonava solo a tempo perso, Brian si trovò a pensare a quanto l'amico si identificasse perfettamente con il suo strumento: John era il tipo di uomo che non voleva spiccare, che non voleva trovarsi sotto la luce dei riflettori; era un uomo posato, tranquillo ma determinato; e, soprattutto, era un uomo indispensabile, quel genere di persona che – secondo Brian – chiunque avrebbe voluto o dovuto avere al proprio fianco. Il chitarrista si sentiva fortunato ad averlo incontrato, barcollante per via dell'alcool, in un corridoio dell'università.

Brian chiuse il libro, recuperò il blocco degli appunti e la penna, e li infilò nella borsa a tracolla, pronto per tornare finalmente a casa. Uscì dall'aula e chiuse a chiave la porta. Preferiva studiare in università piuttosto che a casa – riusciva a concentrarsi meglio – e i professori lo avevano notato: fidandosi di lui, studente modello e probabilmente uno dei migliori degli ultimi anni, gli avevano concesso di fermarsi in aula oltre l'orario di chiusura, affidandogli le chiavi.

Sbadigliò senza coprirsi la bocca ma scompigliandosi i capelli. Erano le undici e un quarto quando passò davanti al portone mezzo aperto dei dormitori. Stava per sorpassarlo quando un violento rumore di vetri infranti poco distante da lui lo fece sussultare. Si fermò e allungò il collo per vedere oltre il portone. Sentì ancora qualche rumore e un lamento in lontananza. Incuriosito, entrò e girato l'angolo capì cosa avesse provocato quella confusione.

Un ragazzo, avrà avuto forse un paio d'anni meno di lui, era per terra: la vetrina in fondo al corridoio, contenente i trofei e le medaglie intitolati all'Università, era completamente sfondata. Il ragazzo tentò di rimettersi in piedi, puntellando le mani in terra, ma le ritrasse immediatamente, con un lamento di dolore per via delle schegge che gli si erano piantate nei palmi.

Brian gli si avvicinò subito, chinandosi sulle ginocchia, facendo attenzione ai vetri rotti, per aiutarlo:

-Tutto bene?-

Il ragazzo mugugnò qualcosa mescolandolo ad una risatina. Non sembrava sentire dolore: alzò gli occhi e guardò Brian con aria divertita.

-Ti... ti sei fatto male?-

Di nuovo Brian non riuscì a capire la risposta. Gli appoggiò una mano dietro la schiena e lo aiutò a rimettersi in piedi. Quando il ragazzo barcollò, rischiando di cadere all'indietro, gli strinse la mano sul braccio e ricevette, in risposta un gridolino di dolore. Allentando la presa, ma sempre sostenendolo prima che cadesse per davvero, Brian si accorse che le sue dita si erano sporcate appena di sangue e che, nel punto in cui lo aveva stretto, la camicia che indossava si era tinta di rosso: doveva essersi tagliato quando aveva sfondato la vetrinetta.

Gli appoggiò le mani sulle spalle perché lo guardasse: -Come ti chiami?-

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, osservandolo con sguardo assente, ma alla fine gli angoli della bocca si sollevarono, dipingendo un sorriso sul suo viso e illuminando i suoi occhi color nocciola, annegati in un mare alcolico da festino clandestino in dormitorio.

-Riccio.- disse infine, mal trattenendo una risata.

-Come?-

-Riccio!- allungò un braccio e, sotto lo sguardo incerto di Brian, gli appoggiò una mano sulla testa, toccando i suoi capelli folti e soffici. Li tastò, con la sensibilità ridotta dalla sbornia, facendovi rimbalzare sopra la mano e continuando a sorridere. Brian lo lasciò fare.

-Sembrano zucchero filato...-

Il futuro astrofisico sorrise della genuinità di quel commento: -Io sono Brian. Tu come ti chiami?-

-Brian.-

-Sì... e tu?-

-Brian!- ripeté continuando a tastare i suoi capelli con l'entusiasmo di chi non aveva mai visto niente del genere prima.

-Ascoltami: ti sei fatto male, vedi? Probabilmente ti sei tagliato. Hai una camera qui nei dormitori? Ti ci accompagno e ti aiuto a medicarti.-

Ma il ragazzo scosse la testa:

-No.-

-No cosa?-

-Cosa?-

Brian scosse la testa sorridendo: -Sei uno studente, giusto? Lo sai che tecnicamente l'alcool è vietato in università?-

-Non è orario di lavoro.-

-Lo sai che potrebbero espellerti?-

-Ma era una festa...-

-Hai una camera qui?- provò di nuovo.

-No.-

-Sai dirmi dove abiti?-

-No.-

Brian provò a infilare le mani nelle tasche dei pantaloni del ragazzo, senza però trovare il portafoglio e i documenti e si morse leggermente le labbra, consapevole di non potersene semplicemente andare. Con un sospiro prese il braccio sano del ragazzino e lo appoggiò attorno alle proprie spalle:

-Va bene: Riccio ti porta a casa sua.-


 


 

 


 


 

Angolino autrice:

Buona sera e buon lunedì!
Scusatemi per il ritardo: avrei dovuto aggiornare ieri, ma ho dovuto posticipare perché sono andata al Cartoomics! :)

E' tornato l'inopportuno Dave, che rivela anche il suo cognome XD David Mallet è un regista britannico che si è occupato principalmente di video musicali e che, per quanto riguarda i Queen, ha collaborato con loro per i video di Radio Ga Ga ma, soprattutto, di I Want To Break Free. Sul set di quest'ultima pare si sia svolto un divertente siparietto durante il quale David Mallet, scherzando con Roger, avrebbe fatto finta di provarci con lui/lei.

Ma soprattutto, finalmente hanno avuto un po' più di spazio Brian e John! ^^
E i nostri quattro protagonisti si sono finalmente incontrati... anche se in modo non esattamente convenzionale... XD

Non temere, Jim! Arriverai anche tu, presto! XD
Anche se... non dico nulla :-P

Come sempre vi ringrazio tutti! :-*
Vi adoro! <3

Un bacione!
E buona serata! ^^

Carmaux

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Capitolo 6
*** CAPITOLO CINQUE ***


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CAPITOLO CINQUE

Roger gettò nel cestino l'ultimo fiore dell'ennesimo bouquet recapitatogli in stanza. Sdraiato a letto aveva sciolto il fiocco che teneva insieme rose, tulipani e altri fiori di cui il batterista non conosceva nemmeno il nome, e aveva cominciato a lanciarli, uno per uno, giocando a fare canestro nel cestino dall'altra parte della stanza.

-Ti ci vuole ancora molto?- domandò al coinquilino, chiuso in bagno da una buona mezz'ora.

Quando anche l'ultimo fiore entrò, seguendo la traiettoria di una perfetta parabola, nel cestino, Roger sbuffò, storcendo il naso. Rimanendo sdraiato allungò una mano sotto il letto, tirandone fuori la valigia di Deacon. La aprì e ne tirò fuori due camicie e un paio di pantaloni.

Si sfilò il sottile vestito, lanciandolo sulla spalliera della sedia senza guardare, slacciò il finto reggiseno, che seguì a ruota il vestito, e finalmente indossò quegli abiti maschili. Chiuse i bottoni lentamente: non avrebbe mai creduto che gli sarebbe mancato un gesto semplice come abbottonarsi una camicia. Si passò un dito nel colletto, sistemandolo con un sorriso.

Quando la porta del bagno finalmente si aprì Freddie, un asciugamano intorno alla vita e uno aggiustato come un turbante in testa, rimase per un momento sulla porta:

-Cosa stai facendo?- gli domandò il pianista, incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi allo stipite della porta.

Roger allargò le braccia e girò su sé stesso: -Come sto?-

-Un po' come un idiota...- in risposta Roger gli lanciò addosso il finto reggiseno che, dato che Freddie non si mosse di un centimetro per schivarlo o afferrarlo, si agganciò al turbante. -Dico sul serio: sia i pantaloni che la camicia ti sono lunghi.-

-Non lo noterà nessuno se arrotolo le maniche fino ai gomiti.-

-E i pantaloni?-

-Sei solo invidioso.-

-Hai qualche programma?- gli domandò scherzoso.

-Sì: ho in programma di sfruttare l'unica sera libera della settimana, prendere una parte della mia paga, andare in un bar a mangiare qualcosa e magari fare due passi in riva al mare.-

Freddie rise ma incontrando lo sguardo grave di Roger, tornò serio: -Adesso inizio ad essere preoccupato perché comincio a pensare che tu non stia scherzando.-

-Non sto scherzando.- gli confermò Roger.

-Sei impazzito per caso?-

-Ascoltami bene: è una settimana che vengo abbordato! Ho ricevuto pizzicotti, inviti a cena e bouquet di fiori! Sono scomodo persino quando devo suonare! Io mi merito una serata libera nel vero senso della parola! Libera da tutta questa follia! Per cui adesso io esco da questa finestra, mi calo di sotto e vado a vedere i fottuti pesci volanti che hai tanto millantato!-

Dopotutto Freddie non poteva dargli torto: aveva bisogno – ne avevano bisogno entrambi – di una serata libera; di vestire nuovamente i panni di loro stessi e non soltanto in una camera d'albergo di pochi metri quadri. Inoltre... erano lontani da Chicago... forse concedersi qualche ora di libertà non sarebbe poi stato così grave.
Gli angoli della bocca si sollevarono lentamente, in un ghigno complice: -Molto bene, amore! Dammi cinque minuti e vengo con te. Ma non andremo in uno squallido bar a caso. Se dobbiamo festeggiare, serve un posto di classe.-

-Vuoi spendere tutta la nostra paga in una serata?-

-Mio caro, non ce ne sarà bisogno, fidati di me.- si sollevò dallo stipite e, recuperato finalmente il reggiseno dalla testa, lo lasciò in mano a Roger. -Ti consiglio, però, di toglierti quegli orecchini a clip.-

Roger seguì il suggerimento e, appoggiandoli sul comodino, prese in mano il pacchetto di sigarette: -Ho una cosa da fare prima di andare.-


 


 

Quando si svegliò, la prima cosa che distinse fu un bicchiere d'acqua all'interno del quale un paio di compresse si stavano sciogliendo liberando piccole bollicine che risalivano verso l'alto.

-Ehilà, ragazzino, bentornato fra i vivi.- strizzando gli occhi, riuscì a mettere a fuoco anche la persona che gli stava porgendo il bicchiere: un'enorme massa di capelli ricci incorniciava un viso dallo sguardo intelligente e concentrato. Il ragazzo ritrasse appena il bicchiere: -Non soffri d'asma, vero? Non vorrei averti sulla coscienza per una semplice aspirina.-

Scosse leggermente la testa prima di riuscire a rendersi conto di quello che stava succedendo. Lentamente si mise a sedere: era sul divano di un salotto illuminato a giorno dalla luce del sole che filtrava dalle finestre aperte. Guardando il ragazzo inginocchiatogli davanti, si rese conto di non conoscerlo: si trovava in casa di uno sconosciuto.

Cominciò a sentirsi visibilmente a disagio e prese il bicchiere quasi con le mani tremanti.

-Tranquillo: non ti mordo.-

-Scusa ma... non credo di... chi sei?-

Il ragazzo ridacchiò, rispondendogli: -Riccio.-

-Come...?-

-Mi chiamo Brian, ma ieri sera mi chiamavi solo Riccio.-

-Ieri sera...?- stringendo gli occhi per il mal di testa vuotò rapidamente il bicchiere.

Brian gli si sedette di fianco, raccontandogli come si fossero incontrati e facendogli notare che adesso una benda reticolata che, da sopra il gomito arrivava fino al polso, copriva, per precauzione, una medicazione fatta di numerose strisce di cerotto. Medicargli il braccio mentre con l'altro il ragazzino aveva continuato a giocare con i ricci del nuovo amico non era stato affatto facile, ma Brian non si era lamentato, al contrario: aveva avuto a che fare con compagni di corso ubriachi e per lo più si era trattato di sbronze esagerate, rumorose, violente e moleste; la tenerezza della sbronza tranquilla – se si sorvolava l'incidente con la vetrinetta – di quel giovanotto, che non riusciva a pronunciare una frase di senso compiuto senza distrarsi a metà strada per tirare leggermente una ciocca boccoluta e vederla arricciarsi di nuovo da sola quando la lasciava andare, era stata una dolce ventata d'aria fresca.

-Non mi hai ancora detto come ti chiami.-

-John... scusami per... per tutto.- Brian annuì e gli tese finalmente una mano.

-Sei uno studente dell'università?-

-Sì... ingegneria.-

-Io astronomia.-

-Posso chiederti un ultimo favore...?- domandò John esitante. -Hai un telefono? Vorrei avvertire la mamma che sto bene... non voglio che si preoccupi...- a momenti non aveva ancora finito di parlare che Brian era già tornato con l'apparecchio in mano.

-Per me non c'è problema, ma dovresti comunque fare un salto in ospedale a farti controllare il braccio.-

Componendo il breve numero e chiedendo alla centralinista che gli rispose immediatamente di metterlo in comunicazione con casa propria, John osservò Brian spostare delicatamente una chitarra che tirava il cavo del telefono.

-Suoni?- gli sussurrò nell'attesa di sentire la voce della madre dall'altra parte della cornetta.

-Tutti i giorni.-

-Anche io.- ammise sorridendo. -Il basso.-

Gli occhi di Brian si accesero di interesse: -Davvero? Mi fai sentire qualcosa?-

-Ma... non ce l'ho qui...-

-Ne ho uno io anche se non lo suono quasi mai...-

Guardandosi attorno e sbirciando fuori da una delle finestre John si rese improvvisamente conto del fatto che doveva trovarsi in uno dei quartieri più ricchi di tutta Londra: Brian doveva essere ben più che benestante per potersi permettere di vivere lì.

-Vuoi restare a pranzo?- gli domandò il chitarrista, interrompendo i suoi pensieri.

-Io... non vorrei disturbare...-

-Nessun disturbo. L'unico “problema” è che sono vegetariano... ma se non ti va solo un'insalata ho del pane e qualcosa come venti tipi di formaggio in dispensa.-

John sorrise ripensando a quella mattina di sei anni prima. Le sue dita scivolarono rapidamente sul manico del basso, dando voce ad una delle composizioni che aveva fatto sentire a Brian, quel giorno, dopo pranzo. Il salone era immerso nel silenzio e le profonde note risuonavano come battiti cardiaci. Aveva aspettato che la sala si fosse svuotata completamente ed era sgusciato da camera sua con il basso a tracolla.

Brian aveva ragione: erano anni che non componeva più nulla.
Per questo aveva scelto il salone dove si esibiva solitamente l'orchestra: lì non avrebbe dato fastidio a nessuno tentando di ritrovare un po' di quella creatività che lo aveva accompagnato durante gli anni di università.

Sussultò quando una mano si appoggiò sulla sua spalla:

-Mi scusi, non volevo spaventarla.-

Dopo un primo momento di sorpresa, John sorrise a Veronica, salutandola con un cenno del capo.

-Clare mi ha detto che le doveva questa.- la ragazza infilò una mano nella tasca della sottile vestaglia e gli si sedette di fianco, porgendogli una sigaretta. John la prese, accennando un sorriso, ma prima che potesse dire qualcosa Veronica parlò di nuovo: -Cosa stava suonando?-

-Oh, niente... solo una canzone che abbiamo scritto io e un mio amico ai tempi dell'università...-

-Non l'avevo mai vista suonare. Né tanto meno comporre...- aggiunse: scostandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio, prese in mano un piccolo quadernino aperto su uno sgabello di fronte a John. Facendo attenzione che la penna, appoggiata al centro, non cadesse, osservò la pagina bianca trasformata in una pagina pentagrammata. Veronica non sapeva leggere la musica ma osservò con interesse il lavoro di John.

-Era da tanto che non lo facevo.-

-Mi fa sentire?-

-Ma... non l'ho finita...-

-Avanti...- lo incoraggiò avvicinandogli il quaderno.

Si scambiarono una lunga occhiata, ma alla fine John sorrise e, sedendosi meglio, accettò.


 


 

-Non ci possiamo permettere di ordinare niente qui! Costa troppo!- sussurrò Roger tirando l'amico per un braccio.

-Non dovremo tirare fuori nemmeno un dollaro, tesoro: lasciami fare una magia.-

-Quale magia?-

-Ora,- gli appoggiò le mani sulle spalle, approfittandone per spostarlo per fare spazio ad un cameriere che passava con un vassoio carico. -non ti spaventare: sto per trasformarmi in un ricchissimo principe indiano in vacanza a Miami. Non occorre essere ricchi per davvero: basta solo sembrarlo. Tu fai come faccio io.-

-Ma io non so recitare...-

-Si, questo effettivamente è vero: sei sempre stato un pessimo attore.-

-Grazie.-

-Però devo anche dire che negli ultimi giorni sei stato davvero bravo: hai fatto qualche cazzata, sì, ma per il resto te la sei cavata bene! Stai facendo progressi!-

-Se mi chiederai di interpretare il tuo servetto ti darò tante di quelle botte...-

-Facciamo così: tu prendi posto in sala, o all'aperto, come preferisci. Io torno fra cinque minuti con qualcosa da bere e da mangiare. Che dici?-

Roger si guardò attorno, mentre Freddie si allontanava: quello era un ristorante di lusso, in riva al mare. C'era un bancone da bar, dove chi aveva prenotato un tavolo poteva aspettare gustando un aperitivo, un'immensa sala, gremita di gente che chiacchierava allegramente facendo tintinnare posate e bicchieri e infine persino una piccola terrazza sopraelevata direttamente sulla spiaggia. Roger optò per quest'ultima, prendendo posto all'ultimo tavolino rimasto libero.

La luna si rifletteva sulle onde del mare, sospinte a riva da una piacevole brezza serale.

Erano passati già dieci minuti quando infilò le mani nelle tasche dei pantaloni tirandone fuori un paio di fogli ripiegati e una matita. Rilesse le poche righe già scritte e cancellò l'ultima parola, per poi riscriverla sotto. Si scompigliò i capelli e appoggiò la testa sul palmo della mano riflettendo. Continuò a scrivere, scarabocchiando qualcosa e facendo diverse correzioni.

Senza deconcentrarsi dal suo lavoro, si accorse del movimento al suo fianco: -Finalmente ce l'hai fatta. Cominciavo a pensare che sua maestà si fosse persa!- esclamò tracciando un'ultima riga sul foglio. -Guarda qui: cosa ne pensi? Se cambiassimo il testo in questo modo si...- spostando il foglio per avvicinarlo a Freddie, alzò finalmente gli occhi, per rendersi spaventosamente conto del fatto che, al suo fianco, non c'era Freddie, ma un altro uomo.

I lunghi capelli ricci lo rendevano facilmente riconoscibile e, non appena lo vide, Roger sgranò gli occhi, impietrito.


 


 

-Ma quanto ci vuole ancora?- sussurrò Fred, fra sé e sé, leggermente spazientito. Appoggiato al bancone del bar, tamburellava nervoso con le dita: era un quarto d'ora che aspettava che gli portassero quanto ordinato! Tirò fuori una sigaretta e tentò di accenderla, ma l'accendino sembrava non voler collaborare: mandò solo qualche piccola scintilla che si spense immediatamente. Un fiammifero acceso si avvicinò alle sue labbra, e finalmente riuscì ad aspirare una boccata di fumo.

-La ringrazio.-

-Figuratevi.- il cameriere spense il fiammifero agitando debolmente la mano e tornò a pulire i bicchieri sporchi. -Vi chiedo scusa per il ritardo: ci sono alcuni problemi in cucina.- aggiunse poi. Freddie alzò le sopracciglia: non pensava di essersi lamentato ad alta voce, poco prima. Osservò l'uomo di fronte a sé e rifletté qualche secondo:

-Mi ha appena dato del “voi”?-

-Se preferite posso chiamarvi “vostra grazia”.-

Il cameriere, un paio di baffi a decorare un viso pulito e curato, non cambiò espressione davanti allo sbigottimento di Freddie.

-Come dice?-

-È un onore per noi poter servire un principe indiano. Le voci girano rapidamente.- dichiarò continuando a pulire.

Freddie si trovò per un momento in difficoltà: non riusciva a decifrare il tono di quell'uomo. Forse cercava solo di essere gentile... o faceva conversazione semplicemente nella speranza di ricevere una mancia.
Si morse l'interno della guancia e decise di provare a cambiare discorso:

-Lei non è di qui.- dichiarò, riferendosi al suo accento.

-Nemmeno voi.-

Il pianista corrugò la fronte e stava per dire ancora qualcosa quando finalmente gli venne servita la sua ordinazione. Non era stato difficile trovare un uomo ingenuo e facilmente raggirabile che, credendo alla sua messa in scena, si era proposto di offrirgli la cena. E Freddie aveva cordialmente ringraziato per poi dirigersi al bancone e ordinare, facendo mettere tutto sul conto del suo gentile anfitrione.

-Vi accompagno al tavolo?- disse il cameriere allungando una mano per prendere il vassoio, ma Fred lo anticipò:

-No. No grazie.- gli lanciò un ultimo sguardo indagatore prima di allontanarsi.


 


 

-Scusi, mi sono allontanato un attimo, ma questo era il mio posto: avevo prenotato.-

Roger, gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, non capì nemmeno quella semplice frase, troppo preoccupato da altri pensieri: quell'uomo lo conosceva, sotto mentite spoglie, certo, ma lo conosceva. Si riscosse dopo qualche secondo:

-Me ne vado.- fece il gesto di alzarsi, ma l'uomo scosse la testa.

-Non si preoccupi: c'è posto. Prego.-

Roger si morse le labbra: era sempre gentile, il maledetto.
E in quel momento lui si trovava a corto di parole, cosa che spronò Brian a parlare di nuovo:

-L'ho disturbata mentre lavorava?-

-Non sono fatti suoi.- rispose sgarbato.

Brian inclinò la testa di lato, socchiudendo gli occhi pensieroso. Roger sapeva cosa stava passando per la sua testa e quando il chitarrista gli pose la domanda, rispose fin troppo velocemente:

-Ci siamo già conosciuti?-

-No!-

-Ha un viso molto familiare...-

-Me lo dicono in tanti.-

Roger imprecò fra i denti: dove cazzo era Freddie?!
Brian era un uomo sveglio, intelligente: non si sarebbe fatto bastare quella sua ultima risposta. Non ci avrebbe impiegato molto a capire dove lo aveva già visto.

-Mi perdoni se insisto... sono arrivato da poco qui in Florida e ho passato tutto il mio tempo qui o in hotel...- il suo sguardo sembrò illuminarsi: -Forse all'Hotel del Coronado?-

Si morse di nuovo le labbra: -No, sì... non io...- di colpo lo fulminò il ricordo di cosa aveva detto qualche giorno prima per allontanare il signor Mallett: -Ho una sorella: suona lì tutti i giorni.-

L'uomo schioccò le dita, avendo finalmente trovato la risposta ai suoi dubbi: -Clare, giusto?-
Il suo sorriso si allargò e al contempo corrugò la fronte: -Sorella... gemella, direi.-

-Scusi?-

-Mi perdoni,- disse Brian innocentemente, tendendogli una mano. -non ci siamo neanche presentati. Brian, conosco l'amministratore dell'orchestra dove lavora sua sorella.- il batterista rimase per un momento in silenzio, un po' intontito dalla situazione.

Allungò una mano a sua volta, senza rendersene conto, come sotto anestesia: -Roger.-


 


 

Freddie era rimasto immobile con gli occhi sgranati, guardando la scena: aveva riconosciuto immediatamente l'amico di John e non gli era piaciuto per niente che l'uomo al suo fianco fosse proprio Roger.
Aveva tirato un sospiro di sollievo quando lo aveva visto alzarsi per allontanarsi.
Un secondo dopo aveva imprecato silenziosamente quando lo aveva visto non solo sedersi di nuovo, ma anche allungare una mano e stringere quella di Brian.

Che cosa diavolo stava facendo?!
Rischiava di mandare tutto a monte: se Brian lo avesse riconosciuto sarebbe stata la loro fine!
Lo avrebbe riferito a John.
John li avrebbe cacciati o peggio, avrebbe chiamato la polizia...
Avrebbe sicuramente chiamato la polizia... qualunque persona sana di mente avrebbe chiamato la polizia in una situazione del genere! E John Deacon non era certo uno stupido.


 


 

-Siete una famiglia di musicisti, quindi.- disse Brian porgendo a Roger il foglio sul quale stava scarabocchiando poco prima e che aveva lasciato sul tavolo quando si era alzato per andarsene.

-Scusi?-

-Si scusa sempre così tanto?-

-Scusi? Cioè no... come...? No, a dire il vero no! Scusi, sono solo un po'... stanco, credo.-

Brian sorrise e decise di non fargli notare che si era scusato per l'ennesima volta. Indicò, invece, il foglio che gli aveva appena restituito, riformulando la domanda: -È il testo di una canzone? Anche lei è un musicista, come sua sorella?-

-Sì... a tempo perso.-

-Stava componendo?-

-No, non proprio. Provavo solo a buttare giù qualche idea.-

Era da qualche giorno che lui e Freddie lavoravano a quella canzone. Al momento avevano solo una bozza della melodia e un paio di righe di testo.
A dire la verità, nonostante l'impegno, avevano avuto ben altro per la testa. Per questo Roger aveva deciso di portarsi dietro carta e penna: forse, dopo qualche ora di tranquillità e di ambita libertà, sarebbero riusciti a combinare qualcosa.

-Periodo difficile?-

-Perché?-

-Questo testo: yesterday my life was in ruin... now today God knows what I'm doing...-

Non ci avevano fatto caso quando lo avevano scritto, ma effettivamente sembrava che stessero scrivendo la storia di quegli ultimi giorni. Di due ragazzi che, davanti ad una vita che ormai stava cadendo a pezzi avevano dovuto improvvisare. Nemmeno loro avrebbero saputo dire con precisione cosa stessero facendo... perché dopotutto, come definire scappare dalla propria città, travestirsi da donne e fingere di essere due musiciste provenienti dal conservatorio? “Stiamo attraversando un periodo difficile” era la descrizione che più si avvicinava alla loro attuale situazione. L'unica che potevano utilizzare senza apparire pazzi, quantomeno.

-Forse un po'...- ammise Roger a bassa voce, passandosi una mano sulla nuca.

Accorgendosi del suo improvviso disagio, Brian cambiò argomento: -Che strumento suona?-

-Batteria.-

-Come Clare.-

Roger si morse l'interno della guacia. Che diavolo stava facendo? Non ci stava nemmeno provando a chiudere quella conversazione. Avrebbe dovuto andarsene. “Si faccia i fatti propri e mi lasci in pace! Mi scusi se l'ho disturbata e arrivederci! E impari a non lasciare incustodito il suo tavolo!”. Ecco, questa sarebbe stata una buona risposta.

Di tutte le persone con le quali avrebbe potuto mettersi a chiacchierare, Brian era la meno indicata.
Ma quell'uomo lo aveva spiazzato: chiunque si sarebbe lamentato perché aveva occupato il suo posto a tavola; chiunque gli avrebbe chiesto, più o meno cortesemente, di andarsene e di lasciarlo cenare in santa pace; chiunque dopo le sue risposte secche lo avrebbe lasciato perdere. Brian invece non solo si era mostrato riguardoso e cordiale, quello stronzo!, ma non si era lasciato intimidire dal suo tono.

Doveva trovare un modo per tornare in carreggiata. Frugò rapidamente nella sua testa, ma invano. Freddie glielo diceva sempre: “quando hai paura non riesci a ragionare!”

E in quel momento Roger aveva davvero paura, la pelle d'oca lungo tutte le braccia e i brividi che scendevano lungo la spina dorsale.
Non aveva paura di Brian di per sé. Lo aveva incontrato qualche volta nel corso della settimana e si era fatto un'idea: era un uomo tranquillo, gentile. Ma era anche un uomo onesto.
E un uomo onesto avrebbe riferito al suo migliore amico che nella sua orchestra c'erano due uomini ricercati non solo dalla polizia ma anche dai più pericolosi gangster di Chicago.
E un buon uomo come John li avrebbe immediatamente consegnati alla polizia, per salvaguardare non solo sé stesso, ma anche tutte le musiciste che erano sotto la sua responsabilità.
E la polizia li avrebbe arrestati.
Non il migliore dei panorami insomma...

Si accorse di essere rimasto in silenzio a lungo, per cui cercò, quanto meno, di portare avanti la bugia della “sorella musicista”:

-Sì, le ho insegnato io a suonarla.-

-Direi che ha fatto un ottimo lavoro.- Roger non riuscì ad impedirsi di sollevare un angolo della bocca, compiaciuto. -Anche se...-

-Anche se?!- il sorriso scomparve dal suo viso, lasciando immediatamente spazio ad un'espressione risentita.

-Non mi pare che le piaccia il genere.- spiegò Brian con semplicità. -Ho assistito a quasi tutti gli spettacoli dell'orchestra e, per quanto non sbagli mai, ho come l'impressione che non le piaccia quello che deve suonare. Come se, potendo, suonerebbe tutt'altro.-

Il biondo annuì, contento del fatto che la critica non riguardasse le sue abilità.

Quello era il suo momento: poteva chiudere la conversazione e andarsene, ma Brian lo precedette di nuovo: -Clare aveva ragione.-

-A che proposito?-

-L'ha nominata una sola volta, definendola come un “fratello iperprotettivo”. E a giudicare da come è scattato poco fa, direi che aveva ragione.-

-Beh, mi sono sentito punto sul vivo: perché da un certo punto di vista stava criticando o Clare o me...-

O entrambi allo stesso momento.

Brian annuì, sorridendogli.

Roger incurvò a sua volta le labbra.
Si diede dell'idiota.


 


 

Freddie incrociò le braccia sul bancone. Sbuffò arrabbiato. Era passata un'ora. Un'ora da quando aveva visto Roger sedersi insieme a Brian e cominciare a parlare.

Fred, in quel momento, era tornato indietro al bancone del bar: se fosse uscito anche lui avrebbe firmato la loro condanna a morte. E inoltre, se ne rendeva conto, aveva un viso molto più particolare di Roger. Se l'amico aveva potuto sfruttare la scusa della sorella gemella – dopotutto il biondo aveva dei lineamenti molto delicati: il suo travestimento era molto più convincente del suo – Freddie non avrebbe mai potuto fare altrettanto: Brian lo avrebbe riconosciuto immediatamente.

Era passata un'ora!

E quell'idiota del suo migliore amico era ancora lì a parlare con il chitarrista.

Di cosa poi?!

Freddie se lo continuava a domandare, tutte le volte che girava la testa lanciando un'occhiata dietro alle proprie spalle: la prima volta Roger stava solo e semplicemente parlando; la seconda si stava accendendo una sigaretta; la terza stava addirittura ridendo.

-Vostra Grazia è rimasta da sola?-

Freddie alzò gli occhi. Il cameriere dai baffi scuri ora non stava più pulendo, lo strofinaccio abbandonato di lato. Lo osservava con lo stesso sguardo indecifrabile con cui gli si era rivolto prima.

Il pianista aspettò qualche istante prima di parlare:

-Non sono davvero un principe.- decise di rivelare: era un po' troppo teso e arrabbiato per portare avanti anche quello stupido gioco. E poi, ormai aveva fatto il suo tempo: aveva mangiato gratis e ora non gli serviva più continuare a fingere.

-Ma non mi dica.-

Una scintilla di sfida brillò negli occhi scuri di Freddie: lo stava prendendo in giro.

-Avrei potuto esserlo.-

-Questo sì: è un bravo attore.-

-Non ottimo, se lei se n'è accorto.-

-No, no: è stato davvero bravo. Ma essere un cameriere ha dei vantaggi: siamo anonimi, invisibili. Possiamo camminarvi vicino senza che ve ne accorgiate e preoccupiate.- disse sorridendo affabile. -Il suo amico dai capelli biondi non sembrava sicuro della sua idea di “fare una piccola magia”.-

Freddie esalò un sospiro di sorpresa.

-Vuole qualcosa da bere?-

-E il proibizionismo?- lo stuzzicò Fred.

-Non ho parlato di alcol.-

Fred lanciò un ultimo sguardo verso il terrazzo esterno: Brian stava scrivendo qualcosa su un foglio e Roger, leggermente sporto in avanti, lo stava ascoltando.

Tornò a guardare di fronte a sé: -Mi sorprenda.- l'uomo annuì e versò qualche cubetto di ghiaccio nel frullatore. -Mi dice il suo nome?-

Il cameriere ammiccò e, con un ghigno, premette il pulsante che avviò rumorosamente la macchina.

 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno my lovies! Innanzitutto chiedo scusa perché avrei voluto aggiornare ieri ma internet mi ha tristemente abbandonato -.-

E vi chiedo scusa anche per non essere riuscita a rispondere alle vostre recensioni al capitolo precedente ToT adesso rimedio immediatamente!

Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento e per tutti quelli che si stanno già (come no) disperando perché ho tagliato alcune parti, come la conversazione fra Brian e Roger spiata da Freddie dal bancone (:-P): tranquilli! Le lacune verranno riempite già a partire dal prossimo aggiornamento! XD Ah, per fugare ogni dubbio, sì, Doing Alla Right l'hanno scritta Brian e Tim Staffel, ma per necessità di trama ho dovuto modificare leggermente la situazione… anche se non è detto che in futuro non ci metta lo zampino anche lui… ci tenevo a riportare qualche loro canzone all'interno della storia ^^ questa non sarà l'ultima :) spero vi piaceranno le scelte!

E per concludere: ciau Jim! :-*

^^

Vi auguro una buona giornata, sperando sia migliore della mia (sono un po' giù di morale oggi... ^^' )

Un bacione a tutti quanti!
E come sempre un ringraziamento ai miei “fedelissimi”! <3 Vi abbraccio tutti fortissimo!

Carmaux


P.S. ah, no! Ultimo ma non ultimo, vi allego qui sotto una fotina (trovata qualche giorno fa in seguito ad una grazia divina! Non la avevo mai vista prima! *.*) del nostro John in seguito all'incidente con la vetrinetta:

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Capitolo 7
*** CAPITOLO SEI ***


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CAPITOLO SEI

Se c'era una cosa che davvero gli invidiava era la capacità di continuare a dormire nonostante i rumori circostanti. Fred si era alzato e, vestendosi, aveva cercato di fare più rumore possibile affinché si svegliasse; ma Roger si era semplicemente rigirato nel proprio letto.

-È ora di alzarsi!- aveva esclamato alla fine.

Niente: il maledetto continuava a dormire come un bambino dopo un bicchiere di latte caldo.

Era rimasto per qualche minuto seduto sul proprio letto, imbronciato e con le braccia incrociate. Infine aveva deciso di passare alle “maniere forti”: appoggiando entrambe le mani sulla schiena del ragazzo, lo aveva scosso violentemente.

Il biondo diede finalmente segni di vita, con un lamento: -Ma che cazzo di problemi hai!- bofonchiò nel cuscino.

-Sveglia, Roggie, sveglia!-

La testa bionda si sollevò, andando a cercare la sveglia appoggiata sul comodino: -Ma porca di quella... Fred! Sono le sette del mattino!-

-Appunto! Non vorrai passare tutto il giorno a letto!-

-È presto!-

-Una volta passavamo la notte intera a chiacchierare. E non ci fermavamo fino al mattino dopo.-

-Lo facciamo ancora.- rispose in uno sbadiglio.

-Ottimo!- Fred cambiò letto, andandosi a sedere su quello di Roger. -Parliamo allora.-

-No Freddie... non ora... ho sonno!- bofonchiò rigirandosi e coprendosi la testa con il cuscino.

-Se non fossi tornato così tardi ora non saresti stanco.-

Roger si volse lentamente, sollevando un angolo del cuscino per guardare Freddie. Era stanco morto, ma certe sfumature riusciva a coglierle: -Sei arrabbiato?-

-No, cosa te lo fa pensare?-

Sbuffò e abbassò di nuovo il cuscino: -Perché sei arrabbiato?-

-Non sono arrabbiato.-

-Mi svegli alle sette del mattino passandomi sopra con la delicatezza di un trattore e vuoi farmi credere che non sei arrabbiato?-

-Non lo sono.-

-Va bene: allora torno a dormire.-

Fred tirò prepotentemente verso di sé le coperte, scatenando una nuova lamentela da parte di Roger.

-Certo che sono arrabbiato!-

-Ma no! Sul serio?- biascicò l'amico. -Non lo avrei mai detto!- disse poi, seccato, afferrando il cuscino e lanciandolo in faccia a Fred.

-Lo sai a che ora sei tornato ieri sera?-

-Ma che vuoi? Sono più piccolo di te, ma ti ricordo che sono maggiorenne: davvero mi stai sgridando solo perché sono tornato tardi?-

-Non me ne frega niente se torni tardi!- gli urlò, rispedendogli il cuscino, a sua volta in faccia.

-E allora che vuoi? Sei impazzito?-

-Mi hai piantato in asso!-

-Scusa non riesco a prenderti seriamente se mi urli addosso con tacchi, gonna e parrucca.-

-Non ti sei nemmeno accorto che non sono tornato con la cena! Ti sei chiesto dove fossi finito?-

Roger si mise finalmente a sedere sul letto, incrociando le gambe, e guardò l'amico: le braccia appoggiate sui fianchi e uno sguardo accusatorio stampato in viso.


 


 

Brian sbadigliò, stropicciandosi gli occhi, mentre John gli avvicinava una tazza di caffè.

-Dormito male?- gli domandò quest'ultimo.

-Poco.-

-Hai ancora problemi di insonnia?-

-Sempre, ma non è questo il caso: sono solo andato a letto tardi.- bevve un lungo sorso di caffè, ancora bollente. -Sai, ho incontrato il fratello di Clare.-

-Il fratello di Clare? È qui? Che coincidenza.- rispose John cominciando a sua volta a fare colazione.

-Non tanto. Lavora qui a Miami: le ha trovato lui questo lavoro.-

-Come lo hai riconosciuto?-

-Sono gemelli: due gocce d'acqua.-

-Davvero?-

-Dovresti vederli.-

-E com'è?-

Ridacchiò: -Protettivo nei confronti della sorella.-

-Se quella ragazza è così vivace non oso immaginare quanto lo sia lui.-

-Ti dirò...- rifletté, un'espressione pensierosa gli fece aggrottare la fronte: -è un personaggio un po'... strano... ma è stata una compagnia sorprendentemente piacevole.-

-Strano?-

Brian annuì, rimuginando fra sé e sé. Alla fine tornò al suo caffè.


 


 

-Ascolta, io volevo andarmene: mi ero anche alzato! Ma poi lui ha attaccato bottone! Cosa avrei dovuto fare?- Roger, ancora seduto a letto, allargò le braccia.

-Quello che hai sempre fatto in ventiquattro anni di vita: dare una rispostaccia e filartela!-

-Perché mi dipingi sempre e comunque come un pezzo di merda?! Non sono sempre così... Se lo fossi adesso non ci conosceremmo nemmeno!-

-D'accordo, conservi un po' di umana decenza per pochi eletti! E pensavi davvero che Brian come si chiama amico dell'amministratore ne fosse degno? In un momento come questo?!-

Roger si alzò, avvicinandoglisi per affrontarlo alla stessa altezza. -Senti, ho capito: mi dispiace averti piantato in asso – scusami! Davvero! – ma in fondo non ho fatto niente di male... lui ha cominciato a parlare. E io gli ho risposto. Tutto qui. E non ho detto niente di ambiguo o sospettoso.-

-Certo! Tu hai risposto. Tutto qui.-

-E questo cosa vorrebbe dire?-

Il viso di Fred si ammorbidì, disposto ad avere una conversazione civile – e più interessante – ora che gli aveva chiesto scusa:

-Come ti è sembrato?-

-Cosa?-

-Chi. Brian.-

Roger alzò e scrollò le spalle: -Non lo so... intelligente, immagino.-

-“Immagino”? Ci hai parlato per delle ore e questo è tutto quello che hai da dire?-

-Cosa ti aspettavi che dicessi, scusa?-

-Niente, niente...-

-Freddie, siamo a posto?-

-Sicuro che non devi dirmi niente?-

Roger corrugò la fronte, riflettendo: gli aveva già chiesto scusa. Che altro doveva dirgli? Alla fine annuì.

-Siamo a posto.- gli confermò Fred dandogli una pacca sulla spalla. Il batterista non fu convinto da quella risposta: conosceva il suo amico, i suoi gesti, i suoi atteggiamenti.

Stava per dire ancora qualcosa quando bussarono alla porta. La vocina di Veronica li fece scattare: Roger si lanciò a letto – un'asse sotto il materasso si staccò e cadde in terra – coprendosi fin sotto il naso con le coperte. Aveva appena formulato il pensiero che non stava indossando la parrucca che la vide volare per la camera, atterrando sul letto. Se la ficcò in testa in qualche modo, appena in tempo prima che la porta si aprisse:

-Mi era parso di sentire le vostre voci.- disse la giovane cantante entrando e richiudendo la porta della camera dietro le proprie spalle. -Come è andata ieri sera? Vi siete divertite?-

-Oh, uno spasso...- sussurrò Fred, incrociando le braccia, confermando a Roger i suoi sospetti sul fatto che all'amico non fosse ancora sbollita l'arrabbiatura.

-Tu invece?- domandò la batterista.

Veronica sospirò, sdraiandosi sul letto di Freddie.


 


 

Roger identificò l'amministratore nel secondo esatto in cui entrarono nel salone: si diresse verso di lui con passo deciso e lo afferrò per la cravatta, sorpassandolo e trascinandolo dietro di sé.

-Cl-Clare, cosa sta...?- non ottenne risposta fino a quando non furono usciti e Roger non si fermò davanti alle cabine telefoniche della hall: ne aprì una e vi spinse dentro l'amministratore per poi entrarci a sua volta. -Clare, dovremmo... tra poco comincia...- mancavano appena dieci minuti al loro spettacolo di mezzogiorno, ma alla ragazza, apparentemente furiosa, sembrava non importare per niente.

Aveva incrociato le braccia sul petto: -Niente? Davvero?!-

-Come scusi?-

-Mi faccia capire! Io faccio in modo di farvi incontrare di sera, completamente da soli, in un'atmosfera di tenebroso romanticismo... e lei... niente? Sul serio?! Nemmeno un bacio?-

Veronica aveva raccontato loro della sera prima, da quando Clare aveva bussato alla porta della sua camera lasciandovi davanti solo una busta con dentro una sigaretta e un foglio con, scarabocchiato, il consiglio di andarla a restituire da parte sua a John, fino a quando, qualche ora dopo, era rientrata. Si era soffermata davanti alla porta delle due amiche ma dopo aver bussato e non aver ottenuto una risposta aveva pensato, giustamente, che non fossero ancora tornate dalla loro serata libera.

Fred aveva approfittato di quel racconto per continuare a rigirare il coltello nella piaga:

-Anche Clare ha incontrato qualcuno...-

-Davvero?- Veronica si era girata a pancia in giù, un sorriso curioso le aveva illuminato il viso: -Raccontami tutto!-

-Non ho incontrato nessu...-

-Ah, dovevi vederli, Veronica: a parlare fra loro come se non esistesse nessun altro al mondo.-

Roger non aveva fatto fatica a cogliere la frecciatina: -Non è vero.-

-È vero.-

-Non è vero!-

-È vero!-

-Non...-

-Bambine, dai, non litigate.- la ragazza li aveva ammoniti dolcemente, come una mamma con due sorelline che si azzuffano, poi si era rivolta a Clare: -Conoscendoti non avrei mai pensato di vederti imbarazzata per così poco. È una cosa adorabile.-

-Ma non sono imbarazzata!-

-Raccontami di lui. Dai, ti prego!-

-Lo hai già incontrato.- Fred si era intromesso di nuovo, ricevendo una pedata da Roger, da sotto le coperte.

John tentò di svicolare, per uscire dalla cabina telefonica, ma Clare gli sbarrò la strada con un braccio.

-Io... scusi, ma non credo che siano...-

-Oh, lo sono eccome invece! Perché qui chi si dà da fare per voi sono io! Solo io! Sono proprio fatti miei!-

-Ma perché si interessa a me e a Veronica?-

-Perché lei mi sta simpatico.- ammise Roger. -Però deve darsi una svegliata! Mi era parso di capire che quella ragazza le piacesse...-


 


 

Sì, certo che Veronica gli piaceva. Gli era piaciuta dal primo momento in cui si erano incontrati e avevano cominciato a parlare. Gli piaceva il suo genuino entusiasmo per qualsiasi cosa, il suo sorriso mai stanco, quella vena leggermente provocatoria che sapeva però lasciare spazio alla dolcezza.

Il modo in cui lo guardava gli faceva venire la pelle d'oca.
La sera prima aveva dovuto distogliere lo sguardo più di una volta, concentrandosi solo sul suo basso.

Le sue mani si muovevano veloci, esperte. Non c'era bisogno di controllare le note da lui stesso scritte sul quaderno che Veronica gli teneva aperto. Eppure ogni tanto aveva girato la testa in quella direzione: buttare un occhio su quelle pagine era stata semplicemente una scusa per rubarle uno sguardo di sfuggita, di nascosto.

-È bella.- aveva commentato Veronica, riferendosi alla musica.

John aveva alzato definitivamente la testa dal basso e si era girato verso di lei: gli occhi avevano indugiato sulle sua labbra, mentre le dita avevano pizzicato le corde più lentamente, fino quasi a fermarsi quando gli era parso di cogliere un impercettibile avvicinarsi dei loro visi.

Ma, come risvegliato da una doccia fredda, si era raddrizzato di colpo, mordendosi le labbra con rimorso.

-Sì... mi piace ma...- ammise a bassa voce.

-“Ma” cosa?-

-Ascolti, Clare, io la ringrazio molto, ma non può capire.- la ragazza sbuffò incrociando le braccia sul petto, come in attesa di un'ulteriore spiegazione.

Non avrebbe voluto approfondire il discorso: era una questione... personale. Eppure si sentiva quasi in debito nei suoi confronti: aveva capito subito che era attratto da Veronica e al posto di spettegolare sul noioso amministratore innamorato aveva deciso di aiutarlo. -Ci sono alcune cose di me, della mia vita, che... devo ancora sistemare...-

-Che genere di cose?-

-Cose dalle quali vorrei fuggire... cose che preferisco non condividere.-

Lo sguardo di Clare si addolcì, il broncio si sciolse, lasciando spazio a due occhi comprensivi: -Tutti scappiamo da qualcosa. Chi letteralmente, chi meno.-

-È solo che non vorrei coinvolgere Veronica in qualcosa di negativo...-

-Lei è l'uomo più buono che abbia mai conosciuto. Da qualsiasi cosa voglia fuggire, certo non sarà così grave come pensa.- sussurrò Clare. -Non le sto suggerendo di parlarne con me... ma...- si affrettò a precisare.

-Grazie.-

John sorrise e finalmente Clare si fece da parte, permettendogli di aprire la porta della cabina e uscire. Una volta fuori sospirò: -Scusi se l'ho trascinata.-

-Nessun problema. Solo... niente più imboscate.- la ragazza sorrise e annuì allungandogli una mano da stringere in segno di promessa solenne. -A proposito...- John alzò le sopracciglia e fece un cenno del capo indicando un punto dietro le spalle della ragazza.

Non appena Clare si fu girata, John ne approfittò per allontanarsi di qualche passo, ma riuscì comunque a sentire la sua voce, appena un attimo dopo. Seguendo le indicazioni dell'amministratore, infatti, vide un'indesiderata figura avvicinarglisi con un sorriso da schiaffi stampato in volto:

-Oh no! NO! Non mi lasci qui da sola!-

-Mi dispiace Clare, ma sono in ritardo... non fosse stata per la sua imboscata avrei anche potuto aiutarla...-

-Mi rimangio tutto: lei è un uomo orribile e crudele! Non dubiti che saprò vendicarmi!-


 


 

-Ti prego, dimmi che non sono mai stato così molesto!- esclamò Roger, sedendosi di fronte a Fred ad uno dei tavoli del salone.

-Cos'è successo?-

-Indovina.-

-Mallet?-

-Dimmi che io non sono mai stato così molesto quando ci provavo con Dominique.- ripeté.

-Hai una tecnica molto più raffinata e decisamente meno inopportuna.- lo rassicurò Freddie. -C'è anche da dire, però, che non hai riscontrato la stessa resistenza.-

Roger sorrise compiaciuto: -Modestamente la classe non è acqua.-

-Cos'ha fatto questa volta?-

Il più giovane infilò una mano nella scollatura del vestito tirandone fuori due biglietti argentati e porgendoli all'amico. Gli occhi di Freddie si sgranarono:

-Scherzi?!-

-Perché?-

-Questi biglietti! Sai cosa sono?- sventolò i due fogliettini sotto il naso di Roger, provocandogli un gesto innervosito. -Hai letto cosa c'è scritto sopra? Questa è “La Traviata”! Di Verdi!-

-E?-

-Ed è “La Traviata” di Verdi!- ripeté soffermandosi su ogni parola, per intensificarne il significato.

-Sì, lo so.-

-Ci andrai?-

-Ma un cazzo proprio!-

-Come fa a non piacerti l'opera!-

-Non è certo per questo che non ci voglio andare! E poi non ho mai detto che non mi piace!-

-Non hai bisogno di dirlo: te lo si legge in faccia. Ma questa... è “La...”-

-Ripetilo un'altra volta, avanti!- Roger sapeva bene che Freddie aveva una passione per l'opera – non l'aveva mai nascosta – e solitamente lo lasciava blaterare dei milioni di motivi per cui la apprezzava e sarebbe stato capace di ascoltarla per giorni interi.
Ma in quel momento non riusciva a sopportare nemmeno di sentirla nominare. Gli era bastato Mallet, poco prima dello spettacolo di mezzogiorno, quando John lo aveva abbandonato nelle sue grinfie.
Dopo una settimana di abbordaggi, ormai lo infastidiva anche solo sentire la sua voce pomposa e un po' nasale. Ma quando aveva tirato fuori quei biglietti Roger aveva scoperto di poter provare fastidio e odio ad un livello ancora superiore, che mai prima gli era capitato di sentire. Cosa credeva? Che dopo tutti i rifiuti sarebbe bastato un invito di lusso e da ricconi per conquistarlo? Per che razza di persona lo aveva preso? Per una che andava dietro solo al denaro? Da un certo punto di vista si era sentito profondamente offeso.

-Ti dispiace se ordino da mangiare in camera?-

Fred annuì, ma non lo aveva nemmeno ascoltato: non riusciva a staccare gli occhi da quei biglietti. Andare a vedere un'opera dal vivo, senza doversi accontentare di ascoltare solo brevi brani alla radio... lo aveva sognato tante di quelle volte...

-Ma ci sei?- Roger bussò delicatamente sulla fronte dell'amico con il pugno chiuso. Freddie si riscosse dai propri pensieri.

-Cosa c'è?-

-Ti chiedevo se potessi andare in camera a pranzare: non voglio rischiare di incontrarlo di nuovo.- questa volta Fred assentì comprensivo.

Guardò ancora i biglietti. Se li rigirò fra le mani, con le labbra incurvate mestamente vesto l'alto. Gli sarebbe piaciuto da matti andarci... erano anche ottimi posti.


 


 

Abbassando la cornetta del telefono, si sdraiò sul proprio letto, aspettando che gli portassero l'ordinazione appena effettuata. Ripensò a quello che gli aveva detto Freddie e si rese conto che Brian gli aveva detto esattamente la stessa cosa, la sera prima: gli si leggeva in faccia quando qualcosa non gli andava. Doveva fare qualcosa per migliorarsi altrimenti non avrebbe retto altre due settimane. In fondo, però, la sera prima era stato bravo.


 


 

-Che lavoro fa?-

-Sono un professore: mi occupo di astrofisica all'università di Londra.-

-È lontano da Londra.-

-Mi sono preso un po' di tempo per viaggiare, per fare ricerca per conto mio. E pubblicare, quando ho fortuna.-

-Davvero? Ha scritto dei manuali?-

-No, no. Non ancora almeno. Per lo più saggi e articoli per riviste scientifiche.-

Roger assottigliò lo sguardo, diffidente, ma una punta di divertimento gli fece sollevare un angolo della bocca: -Ma davvero? E di cosa parla il suo ultimo articolo?-

Brian aspettò qualche secondo prima di rispondere, riconoscendo un'aria di sfida aleggiare intorno al biondo: -Delle Nubi di Magellano. Sa, sono due piccole galassie di forma irregolare e sono tra le più vicine alla nostra via Lattea, ad una distanza rispettiva di circa 160.000 anni luce, la Grande Nube, e 200.000 la Piccola. Uno dei più interessanti misteri che le riguarda è rappresentato dal fatto che al suo interno c'è una piccola quantità di stelle che ruotano al contrario rispetto a tutte le altre, mentre il gas circostante ha la stessa rotazione della galassia. Ha altri dubbi sulle mie credenziali?-

L'espressione allibita di Roger si risolse in una risata mentre distoglieva lo sguardo con la scusa di scompigliarsi i capelli: -Mi perdoni. È che lei non assomiglia per niente ai professoroni e a quei noiosi studiosi e accademici che pullulano nelle università. Almeno non a quelli della mia.-

Brian annuì sorridendo: -Lei? Cos'ha studiato?-

Ma Roger decise di proseguire sullo stesso argomento: -E sta facendo ricerca, qui a Miami?-

-Non proprio. Porto avanti degli studi per conto mio, ma sono qui solo in veste di amico.-

-Che studi?-

-Perché è così interessato?-

Perché fare domande mi dà il tempo di cercare di inventare una storia plausibile.

-Perché non ho mai conosciuto un astronomo prima.-

-Astrofisico.-

-Scusi, prof: non sono mai stato un ottimo studente, se non per poche materie.- alzò le mani in segno di resa, suscitando una risata divertita da parte di Brian.

-Che materie?-

Ancora una volta Roger sviò: -Che studi?-

Ma Brian incrociò le braccia sul tavolo: -Dare per ricevere.-

Il batterista si morse leggermente le labbra, sotto gli occhi curiosi del chitarrista: -Mi è sempre piaciuta molto biologia.-

-È un biologo?-

Poteva rispondere di sì.

Prese tempo: infilò la mano in tasca e ne tirò fuori le sigarette. Impiegò volutamente qualche secondo di troppo per accenderla: questo gli diede il tempo di pensare.

Avrebbe potuto rispondere di sì.

Dopotutto era vero: biologia era sempre stata la sua materia preferita a scuola. Ma Brian avrebbe potuto chiedergli una dimostrazione, per provocarlo come aveva fatto lui stesso poco prima. Cristo, si era tirato la zappa sui piedi! Per quanto gli piacesse, non aveva le conoscenze sufficienti per provare di essere un biologo.

-No.- reclinò la testa ed esalò una nuvola di fumo, che si sollevò rapidamente verso il cielo. -Che studi?-

-A maggio ci sarà un'eclissi totale di sole: facendo qualche calcolo posso decretare il giorno esatto in cui avverrà.-

-Si può prevedere un'eclissi con questa precisione?-

Non c'era più sospetto nella sua voce, ma una genuina curiosità.

-Un'eclissi di Sole si verifica quando Sole, Luna e Terra sono perfettamente allineati. Se le orbite della Luna e della Terra intorno al Sole fossero sullo stesso piano, avremmo un'eclissi di sole ogni mese. Ma l'orbita della Luna ha un'inclinazione di circa 5° sull'eclittica.-

-La fermo subito prof: mi ha già perso.-

Brian, trattenendo una nuova risata, indicò il foglio che Roger aveva lasciato sul tavolo e aspettò un assenso da parte sua prima di voltarlo e prendere in mano la matita. Disegnò tre circonferenze di dimensioni diverse e alcune rette tangenti a due di esse. Migliorò il grafico con lettere e frecce. Disegnò ancora e riprese a spiegare, cercando di usare una terminologia meno complessa senza però risultare troppo semplicista.

Era come se Brian avesse un suo pubblico: era concentrato, sicuro di sé. Appassionato. Era quel genere di persona che non si poteva fare a meno di ascoltare... che sapeva catturare l'attenzione dei suoi ascoltatori con poche parole. Non aveva nemmeno bisogno di instaurare un contatto visivo.
Come in quel momento: focalizzato unicamente sul foglio, Brian non lo stava guardando, lasciando che fosse solo il suo tono di voce a catturarlo, a trascinarlo verso di sé.

Al contrario di Roger. Inizialmente si era sporto in avanti per osservare il lavoro che stava facendo per lui – ma forse più per sé stesso... dopotutto sembrava trarre molta soddisfazione da quella situazione – ma poco dopo aveva alzato gli occhi, fissandoli su quello strano uomo seduto al suo fianco. Su quella massa di capelli ricci che, così chinato sul tavolo, gli coprivano il viso intelligente.
Aveva persino inclinato la testa per passare oltre a quella crespa barriera e trovare due occhi nocciola troppo concentrati sul parallasse orizzontale della Luna per accorgersi dello sguardo interessato del suo ascoltatore.

Roger si rese conto di non aver ascoltato una parola della spiegazione: si riscosse solo quando la cenere della sigaretta gli cadde sul dorso della mano opposta. Si ripulì rapidamente, decidendo di provare a concentrarsi su quell'eclissi di Sole che, piano piano, prendeva vita su quel piccolo pezzo di carta.


 


 

Bussò alla porta tre volte prima che la ragazza della 413 aprisse la porta della camera per ritirare il pranzo che le aveva recapitato. Lunghi capelli biondi incorniciavano un viso delicato.

Un viso che aveva già visto lì in albergo.

Circa una settimana prima, mentre serviva ai tavoli del salone principale, lo aveva fermato – sarebbe stato meglio dire che lo aveva agguantato brutalmente – per chiedergli un'informazione su un dessert di frutta e gelato.

La ragazza lo ringraziò e, recuperato il vassoio, richiuse la porta.

Osservò il numero.

413.

Annuì fra sé e sé. E sorrise.

Scese in ascensore e tornò nel salone.

Adocchiò il tavolo che poco prima aveva riscosso il suo interesse e vi si avvicinò. Le mani strette dietro la schiena, parlò lentamente, facendo sollevare la testa alla ragazza corvina che occupava il tavolo:

-Volete che faccia recapitare anche il vostro pranzo in camera, Vostra Grazia?-


 


 

A Freddie mancò il fiato. Riuscì a percepire il sangue smettere di circolare, raffreddandogli la punta delle dita.

Jim lo osservava con lo stesso sguardo indecifrabile della sera prima.

Gli aveva raccontato che quello in quel ristorante di lusso era un secondo lavoro, solo serale, ma non avrebbe mai immaginato di incontrarlo, sempre in vesti di cameriere, nel suo stesso albergo!

Non trovò parole con cui rispondere: rimase immobilizzato, la bocca leggermente aperta, il fiato corto. Jim non gli mise fretta. Aspettò educatamente, fingendo di aspettare un'ordinazione, per sviare l'attenzione degli altri presenti in sala.

Freddie non riuscì nemmeno ad imprecare mentalmente. Sarebbe stato inutile cercare di fare finta di niente: non avrebbe funzionato comunque. Lasciò che fosse la paura a dare voce ai suoi pensieri:

-La prego, non lo dica a nessuno.-

Jim scosse la testa: -Non ne avevo intenzione.-

-Davvero?- l'uomo annuì, un sorriso andò ad intaccare l'espressione flemmatica che aveva deciso di indossare fino a quel momento.
Freddie si fece coraggio e distolse appena lo sguardo, sentendo una forte vergogna farsi strada anche nel tono della sua voce, che risultò bassa e imbarazzata: -Quando lo ha scoperto?-

-Ieri sera. Non ne ero sicuro fino a quando non ho recapitato il pranzo al suo amico della 413.-

-Cazzo Roger!- biascicò coprendosi il viso con le mani. Allontanò indice e medio, aprendosi uno spiraglio per sbirciare il cameriere: -Perché non ha detto nulla ieri?-

-Perché volevo conoscerla.-

-Non ci denuncerà...?-

-Perché mai dovrei?-

-La prego... è davvero importante.-

-Si può fidare di me.- guardandolo, Freddie seppe che in quel momento era sincero, che non li avrebbe traditi. Nonostante l'immenso sollievo, il peso che gli era piombato sullo stomaco non fu così facile da scacciare. Jim sembrò rendersene conto: -Se le è piaciuto il drink di ieri, posso preparargliene un altro.-

-Grazie...- certo, in quel momento avrebbe volentieri scolato una qualsiasi bevanda che gli facesse impennare il tasso alcolemico, ma anche un drink analcolico poteva andare bene in fine dei conti. Alla fine, il gesto di bere gli serviva solo per spezzare la tensione che gli aveva fatto venire mal di stomaco.

-Questa sera. Le terrò un posto al bancone.-

Lo osservò per qualche istante, mentre si allontanava prima ancora di ascoltare la risposta che sapeva già, evidentemente, sarebbe stata positiva. Il cuore aveva ripreso a battergli, ma ancora non con la consueta regolarità: era davvero un invito, quello che aveva appena ricevuto?

Dopotutto, come gli aveva appena detto, lo voleva conoscere.

Freddie avrebbe mentito se avesse detto che non lo aveva trovato interessante quando si erano messi a parlare la sera prima. Il pensiero di passare un'altra serata in quel ristorante gli aveva fatto compagnia lungo tutta la strada verso l'albergo, accompagnato dalla brezza e dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia. Giusto per poter scambiare qualche altra parola con il furbo cameriere che non aveva fatto altro che provocarlo.

Si morse le labbra: si alzò, percorrendo la sua stessa strada quasi fino alle cucine prima di riuscire a fermarlo:

-Aspetti.- gli prese delicatamente il braccio per farlo girare verso di sé. Sotto il suo sguardo, esitò per un istante, ma alla fine sorrise: -Le piace l'opera?-


 


 


 


 

Angolino autrice:

Buona sera a tutti, darlings!
Avrei voluto cominciare lasciando un “AVVISO” della serie “per problemi di tempo/organizzazione/studio/lavoro ho deciso di cancellare questa storia” per celebrare (?) questo primo aprile, ma poi ho ritenuto che fosse meglio evitare, soprattutto considerando il ritardo con il quale sto aggiornando! XD

Dunque, questo capitolo è un filo più lungo del solito e, soprattutto la fine, è stato parecchio difficile da portare a termine, ma nel complesso sono abbastanza soddisfatta ^^

La canzone suonata da John per la sua Veronica non poteva che essere questa:

https://www.youtube.com/watch?v=68ka0Af87dI

Per quanto riguarda la serata dei nostri Maylor e di Freddie e Jim, ci saranno ulteriori approfondimenti nel prossimo capitolo, non preoccupatevi! :)

E infine, chi di voi con l'occhio di falco aveva fatto caso al “cameriere baffuto” che era già comparso nel quarto capitolo? :-P ho lasciato quella piccola briciolina di indizio ma non ne ho volutamente parlato per conservare il “colpo di scena” per questo capitolo! XD

Come sempre vi ringrazio tutti, lettori e recensori! <3

Grazie mille di tutto l'appoggio!

Al prossimo capitolo, che arriverà a breve, promesso!

Un bacione enorme a tutti!

Carmaux

P.S. questo capitolo può tranquillamente intitolarsi: "finalmente l'utilità di essere abbonati alla rivista di National Geographic" dalla quale, ripescando un vecchio numero, ho tratto le informazioni, che ho cercato comunque di stringare, di astronomia XD

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Capitolo 8
*** CAPITOLO SETTE ***


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CAPITOLO SETTE

-Dove sono quei cazzo di biglietti?- Roger si inginocchiò per sollevare le coperte, che scendevano fino a terra, e guardare sotto il letto. Non ricordava di averli lasciati lì, ma ormai era da una buona mezz'ora che stava ribaltando la camera cercandoli.

Freddie uscì dal bagno, emergendo teatralmente da una nuvola di vapore. Con quell'accappatoio candido addosso, quelle nuvole bianche sembravano una sua emanazione.

-Cosa succede, caro?-

-Hai visto i biglietti? Quelli dell'opera. Li voglio sbattere in faccia a quel riccone imbecille!-

-Non farai niente di tutto questo.- rispose Freddie con semplicità.

-Oh sì invece.- Rog entrò in bagno. Non ricordava di averli lasciati nemmeno lì, ma non sapeva più dove sbattere la testa. -Prima o poi ti verrà un malore a fare la doccia così calda.- aggiunse prima di tornare al discorso principale: -È da due giorni che ci penso: voglio proprio vedere la sua faccia! Voglio che dal mio sguardo quando glieli strapperò sotto gli occhi proprio il giorno stesso della prima si capisca in modo definitivo che non voglio più avere niente a che fare con lui.-

Nella situazione nella quale si trovavano il budget per le distrazioni e i divertimenti era decisamente basso e trarre un po' di soddisfazione dalla consapevolezza che avrebbe dato il ben servito a Mallett, al momento, era il massimo che Roger poteva permettersi. E aveva intenzione di assaporare quella soddisfazione fino in fondo.

-Mi spiace di rovinare i tuoi piani.- il batterista riemerse dal bagno, la fronte corrucciata. -Quei biglietti non verranno strappati ma utilizzati!-

-Te lo puoi scordare! Non ci vado a teatro con lui!-

-Certo che no!- Roger annuì, allontanandosi con lo sguardo che sembrava voler dire “Ah, ecco!”, ma sentendo quello che Freddie aggiunse poco dopo, tornò sui suoi passi, la fronte ancora più corrugata di prima: -Ci andrò io.-

-Vuoi andare a teatro con quel laido pomposo?-

-Ovviamente no! Ci andrò con Jim.-

-E chi cazzo è Jim?- domandò mentre un altro pensiero cominciava già a prendere forma: Mallett avrebbe voluto indietro i biglietti. Era quello il momento che aveva scelto per strapparglieli sotto il naso. Ma dovendo scartare questa opzione... insomma, non poteva semplicemente rubargli due costosi biglietti. Senza contare che il fatto che lui non avesse intenzione di andarci insieme a Mallett non impediva a quest'ultimo di andarci da solo o con qualcun altro. -E come farai comunque? Dove pensi che sarà quel coglione?-

-Dave sarà qui.-

-Qui?-

-Con te.- Freddie diede due leggerissime pacche sulla guancia del migliore amico, nella cui mente cominciava a delinearsi quello che sarebbe stato il suo programma di quella sera.

-Oh no! NO! Assolutamente no!-


 


 

Veronica non aveva una gran voce, constatò Freddie, ma almeno era intonata. Lei stessa non aveva mai decantato le sue doti canore, al contrario: “Non ho una gran voce, ma questa in fondo non è grande un'orchestra”. Aveva detto così a Roger durante il viaggio in pullman che li aveva portati dalla stazione dei treni all'albergo dove alloggiavano tutt'ora.

In quel momento la sua voce accompagnava la cena di molti ospiti dell'hotel:

I wanna be loved by you – just you – and nobody else but you.

I wanna be loved by you alone...”

Conosceva anche lui la canzone e in quel momento muoveva a sua volta le labbra mimando le parole, trattenendosi dal dare soddisfazione alle sue corde vocali.

Si guardò intorno, osservando la sala gremita e, improvvisamente sorrise divertito. Senza fare rumore raggiunse Roger, annoiato per via del fatto che a sua volta doveva frenarsi per non sfogare la sua passione – o forse, data la situazione, la sua frustrazione – su quei tamburi.

-Roggie, tesoro: il tuo pretendente ti fa segno!- gli sussurrò indicandogli Mallett seduto in fondo alla sala. Roger seguì la traiettoria e un tic nervoso distorse il suo volto:

-Andate tutti e due a fare in culo!-

-Ma ceni con lui stasera! Sorridigli, coraggio! Un bel sorriso: mostragli tutta la dentiera.- dopo uno sguardo d'odio, Roger ci provò: dopotutto doveva passarci insieme tutta la serata, prima e dopo l'ultimo spettacolo della giornata. -Così sembra che tu abbia mal di denti.-

-Ho mal di denti!-

-Perché non vai da un dentista in questi giorni? Ti do parte dei miei guadagni della settimana per pagarlo.-

-Ti ringrazio ma...-

-Sono più di tre settimane che quel dente ti fa male. Non vorrei che fosse qualcosa di davvero grave.-

-Non è grave.- tastò con la lingua il dente incriminato, senza però mascherare una smorfia di dolore.

-Certo: e com'è che colazione mangi solo gelato al posto dei biscotti?-

-Perché mi piace il gelato.-

-Come no: non ti fa affatto male masticare. Ti credo.-

-Come faccio ad andare da un dentista, me lo dici? Non dobbiamo farci scoprire, lo sai.-

-Questo non mi pare ti abbia fermato dal rimanere a chiacchierare con Brian fino all'una di notte, un paio di sere fa... o sbaglio? Dico sul serio: almeno fatti dare un antibiotico o un antidolorifico.-

-È inutile che tu faccia l'apprensivo dopo la bastardata che mi stai facendo!-

-Non te lo devi mica sposare, Mallett. Devi solo passarci la sera!-

-Mentre tu sei a teatro con il tuo nuovo “amico”. E dimmi: come dovrei passarci la sera?-

-Non lo so. Portalo al cinema.-

-Io al buio con uno con tutte quelle mani non ci rimango!- esclamò agitando minacciosamente una delle bacchette, ma senza perdere il ritmo.

-Quindi immagino che non vorrai portarlo a ballare.-

-Io ti avverto: se quell'uomo mi sfiora, io lo distruggo!-

-Cerca di trattenerti Rogerina: devi fargli credere che ti sta conquistando! Altrimenti...-

-Com'è che mi hai convinto a fare questa cosa io proprio...-

-Perché ho carisma e sono irresistibile. E poi siamo migliori amici, fratelli, come i due moschettieri!-

-“I tre moschettieri”. E comunque erano quattro!-

-Sì e i cinque continenti sono quattro: Europa, Asia e Africa. Da quando sei un esperto di letteratura?!-

-So che mi consideri un analfabeta – tra parentesi, grazie! – ma, giusto per tua informazione, leggo molto più di quanto tu non creda!-

-Quando? Io non ti ho mai visto sfogliare un libro.-

-Quando non ci sei tu a rompere: sempre per tua informazione, russi tanto da far tremare le pareti!-


 


 

Brian terminò di parlare e appoggiò la matita, la cui punta si era ormai arrotondata. Finalmente sollevò gli occhi. Roger, un gomito appoggiato sul tavolo e il viso abbandonato sul palmo della mano che premeva le labbra, arrotondandogli in modo buffo le guance, rimase in silenzio.

Titubante, Brian parlò di nuovo: -È... tutto chiaro?-

Roger alzò le sopracciglia e annuì, per poi scuotere la testa e alzare gli occhi dal disegno al viso del riccio che esalò una risatina imbarazzata:

-Beh... questo non depone esattamente in mio favore come professore...-

-Al contrario. Lo adora.-

-Che cosa?-

-Quello che fa. Quello che insegna e studia. Si capisce da come ne parla. Il fatto che io non abbia ancora capito cosa sia il semidiametro apparente del... coso d'ombra della... Luna e di sua zia non implica niente di negativo riguardo i suoi metodi d'insegnamento: dopotutto immagino che i suoi studenti siano più abituati di me a seguire questo genere di discorsi.-

Brian sorrise grato, ma si soffermò a riflettere sulle prime parole di Roger: -Non è così anche per lei? Non ama il suo lavoro?-

Lo vide indugiare a lungo prima di rispondere: lo osservò abbassare gli occhi, mordersi le labbra, corrugare la fronte. Non doveva essere una risposta semplice quella alla sua domanda.

-Non è così da un bel po'...- scosse la testa. -In realtà non è nemmeno così. Amo quello che faccio ma il... contesto... che non è dei migliori. Diciamo che... non vorrei essere qui.-

-Perché non se ne va?-

-Perché non ho alternativa. E non ho un altro posto dove andare.-

-Sua sorella non può aiutarla?-

Questa volta fu Roger a ridacchiare con nervosismo: -Clare... no, lei... anche lei non si trova nelle migliori delle situazioni.-

-Pensavo che si trovasse bene nell'orchestra di John...-

-No, no. Non fraintenda. Intendevo...- aspirò profondamente tenendo la sigaretta fra le labbra, espirando dalle narici, come se quel gesto lo aiutasse a calmarsi. -Le ho trovato io questo lavoro: non fosse stato per l'orchestra del signor Deacon, Clare sarebbe ancora...-

Brian lo interruppe: -Mi scusi, non volevo metterla a disagio...-

Roger si raddrizzò sulla sedia e assunse improvvisamente un'aria serena: -In fondo non va così male: potrebbe andare molto peggio. Dopotutto qui ci sono... il sole, il mare... i fottuti pesci volanti...-

Non era convinto, per niente: lo si capiva dall'inclinazione della sua voce, dal fatto che aveva distolto lo sguardo e che si era portato la sigaretta alle labbra altre due volte prima di finire di parlare.
Da come si erano scuriti i suoi occhi pronunciando la fine della frase.

-Non mi ha ancora detto che lavoro fa.- disse Brian con cautela.

Aveva capito che l'argomento lo metteva a disagio, almeno in parte, eppure si sentiva bruciare dalla curiosità.

-Rientro in una delle classi lavorative più odiate al mondo.-

-Non sarà un giornalista.-

-Per l'amor del cielo, no! Odiavo anche quelli che si occupavano del giornale universitario!-

-Da come ne parla non doveva trovarsi bene in università.-

Roger scrollò le spalle, sorridendo: -È solo che non mi piaceva più di tanto studiare. Ma, ad essere onesti, in questo periodo ho ripensato spesso a quegli anni, quando l'unica preoccupazione era di imparare ad eseguire una sutura continua a sopraggitto senza fare casini.-

Le sopracciglia di Brian si impennarono, facendogli sgranare gli occhi: -È un dottore? Un chirurgo?!-

Roger inclinò la testa di lato, passandosi una mano sulla nuca e mordendosi le labbra imbarazzato: -Non chirurgo.-

-E lei crede che quella del dottore sia una professione odiata?-

-I dottori no. I dentisti d'altro canto...-


 


 

-Ma è un tale spreco...- Dave tentò un'ultima volta di convincere Roger a rivalutare la sua proposta operistica, ma invano.

-Pensava davvero che avrei accettato? Che dopo tutti i rifiuti avrei riconsiderato alla luce di un invito lussuoso?-

L'uomo sembrò venire colto alla sprovvista da quella domanda: -Non intendevo questo...-

-Allora mi dimostri che sto cambiando idea su di lei per un buon motivo...-

-Vuole fare un giro in barca?-

-Soffro il mare.-

-Andrò piano.-

-Potrei vomitare.-

Dopo un attimo di incertezza, accettò di rinunciare e le porse il braccio: -C’è un localino delizioso lungo la costa! C’è un’orchestra cubana formidabile… andiamoci, bendiamo i suonatori e balliamo il tango fino all’alba!-

Ad aver saputo che questa sarebbe stata la controproposta, Roger avrebbe rivalutato la gita in barca... ma ormai il danno era fatto. Non gliene andava bene una!

-Oh, lei è veramente una bomba...- chiunque si sarebbe accorto della totale mancanza di entusiasmo in quelle parole, ma Dave non ci fece caso e riprese a parlare. Roger ascoltò con un solo orecchio, maledicendo il suo migliore amico che, sicuramente, in quel momento aveva già incontrato quel Jim di cui gli aveva parlato: probabilmente si stavano già avviando insieme verso il teatro.

Non avevano prenotato un posto – dopotutto Dave aveva sperato fino all'ultimo di andare a sentire l'opera – ma gli bastò dire il suo nome perché il proprietario del locale gli riservasse uno dei tavoli migliori: doveva essere un uomo non solo facoltoso, ma anche particolarmente popolare lì a Miami. Uno abituato ad ottenere tutto ciò che voleva. Forse era proprio per questo che Clare aveva riscosso tanto il suo interesse: gli stava dando del sano filo da torcere.

-Volevo far venire in aereo delle orchidee dalla mia serra a Long Island ma sfortunatamente l'isola è in mezzo alla nebbia.- esordì Dave. Roger assottigliò lo sguardo: si stava vantando, mettendo di nuovo in luce la sua ricchezza. Evidentemente non aveva ancora capito la lezione.

Decise, tuttavia, di rispondere gentilmente, -È il pensiero che conta.-, ma quando l'uomo allungò una mano sul tavolo verso quella di Roger, decise di tornare sui propri passi: -Non salti troppe tappe, signor Mallett.-

-Ha ragione, sto correndo troppo...-

Roger si stropicciò il viso con una mano: quella serata non sarebbe passata mai!


 


 

Quando si era seduto, sotto invito di Brian, non aveva immaginato di trovarlo una compagnia tanto piacevole e interessante. Certo, quando si era messo a spiegare astronomia, aveva fatto fatica a stargli dietro, ma aveva anche trovato il modo di pareggiare i conti quando aveva cominciato a parlare come un esperto dentista.

In fin dei conti era stata una buona idea: certo, non era davvero un dottore, non aveva mai fatto un'otturazione, o un'estrazione... ma aveva fatto un anno di tirocinio, quando ancora era a Londra e aveva le conoscenze sufficienti per dimostrare di essere un dentista. Una volta aveva persino messo una sutura ad un povero paziente al quale, ovviamente, non era stato comunicato che il giovane specializzando non aveva mai operato prima. Ma tanto Brian non gli avrebbe potuto chiedere una dimostrazione pratica no?

Odontoiatria non gli piaceva. Non gli era mai piaciuta. Ma avrebbe ancora ancora accettato di portare a termine gli studi, laurearsi e trovare un qualche impiego in uno studio se tutto questo non avesse comportato un abbandono totale del mondo della musica.
E questo, Roger, non poteva accettarlo. Non
voleva accettarlo.

Brian lo aveva osservato incuriosito, ascoltandolo parlare, e alla fine aveva scosso la testa divertito: -Non la sto prendendo in giro, ma nemmeno lei sembra un dentista.- aveva dichiarato, ripetendo quello che gli aveva detto Roger sul suo non somigliare ad un professore universitario.

-Ne sono felice.-

-Mi pareva avesse detto che ama il suo lavoro.-

-I dentisti sono noiosi: mi dia torto.-

-Effettivamente lei è il primo dentista e batterista che mi capita di conoscere...-

Roger aveva incrociato le braccia sul tavolo, sporgendosi in avanti verso di lui, con fare provocante: -Ha paura di me?- Brian aveva corrugato leggermente la fronte posto davanti a quella domanda, per cui il biondo aveva deciso di specificare: -Avrebbe paura a farsi visitare da me? Con la consapevolezza che uno scalmanato batterista dovrebbe svolgere un lavoro di delicatezza e precisione come estrarre un dente o suturare una gengiva?-

-Beh, devo ammettere che non sarei del tutto tranquillo.-

Roger era scoppiato a ridere e il sorriso non lo aveva abbandonato nemmeno per l'ora successiva. Lo stesso era valso per Brian: tutte le volte che aveva incontrato il suo sguardo lo aveva trovato allegro e luminoso.

Roger si accese una seconda sigaretta sopprimendo una breve risata. Gli occhi gli caddero sull'orologio da polso quasi per sbaglio:

-Cazzo! È l'una?!-

Si volse di scatto, girandosi verso il bancone del ristorante, ricordandosi improvvisamente di Freddie. Ore prima si erano separati e Fred sarebbe dovuto tornare, poco dopo, con la cena.
Non aveva nemmeno cenato! Se ne rese conto solo in quel momento! Un cameriere era passato a lasciare sul loro tavolo qualcosa da bere, ma niente di più.

Si girò di nuovo, scandagliando il ristorante alla ricerca del suo migliore amico, ma senza successo.

-Tutto bene?-

-Sì?-

-È una domanda?-

Roger guardò Brian, lo sguardo leggermente allucinato e un po' dubbioso: -No...?-

-Ha... perso qualcosa?- tentò di nuovo l'astrofisico, vedendo che continuava a girarsi e a guardarsi intorno.

-Credo di sì...- si passò di nuovo una mano nei capelli, ma diversamente da come aveva fatto prima: questa volta era un gesto nervoso, incerto.

Imprecò mentalmente: Freddie gliela avrebbe fatta pagare cara...

Si riscosse: -Forse è meglio che... io credo di dover andare.-

-Forse sarebbe meglio anche per me: non pensavo fosse così tardi.-

-Allora... io vado...-

Non che ne avesse davvero voglia: quando se ne rese conto corrugò appena la fronte.
Si alzò comunque, rendendosi conto che probabilmente Freddie lo stava aspettando nella loro camera con le braccia conserte e uno sguardo omicida.

Brian annuì comprensivo e appena appena divertito da quell'improvviso cambio d'umore, da quella confusione che gli aveva fatto strabuzzare gli occhi e deformare il visto facendolo apparire stralunato. Gli allungò una mano perché la stringesse:

-Arrivederci, Roger.-

Roger aprì bocca per rispondere, ma dalle sue labbra non uscì una parola: annuì e si dileguò, senza accorgersi degli intelligenti occhi color nocciola che lo seguirono interessati fino all'uscita.


 


 

Si lasciò cadere contro la porta per chiuderla, facendola sbattere rumorosamente nonostante fosse sera tarda: non gli importava di niente! Quella che aveva appena passato era stata una delle peggiori serate della sua vita, se non la peggiore in assoluto. Nemmeno quel poco alcool che aveva bevuto era riuscito a tirarlo su di morale: avrebbe voluto annegare la mente e i propri pensieri fino a dimenticare anche il proprio nome.
Invece era solo leggermente brillo e ancora in pieno possesso delle proprie facoltà mentali.

Con un gestaccio si levò le scarpe con i tacchi, si slacciò la giacca e sbottonò la camicetta abbandonando entrambi per terra e si buttò sul letto, facendo sprofondare il viso nel cuscino.

Dio, vorrei essere morto!

Quella sera era stata terribile.
Non solo per la compagnia.
La cosa che lo aveva disturbato di più era stato il rendersi veramente conto della situazione nella quale si trovavano... di quanto potevano essere caduti in basso...

Mentre la voce di Dave, che aveva parlato ininterrottamente tutta la sera, era diventata solo un rumore di sottofondo, la sua mente aveva cominciato ad elaborare pensieri su pensieri, tutti per lo più negativi.

Gli era tornata in mente la sera che aveva deciso di rivelare a sua sorella che sarebbe partito per l'America... gli erano tornati in mente gli auguri che la ragazzina gli aveva fatto, con le lacrime agli occhi. Lei era stata la prima a saperlo, l'unica il cui giudizio gli interessava per davvero, in ogni modo. E sebbene questa decisione avrebbe comportato una lunga lontananza, lei gli aveva dato tutto il suo appoggio: gli aveva detto che credeva in lui, che era sicura che in America avrebbe sfondato.

Roger, in quel momento, non era nemmeno certo che sarebbe più riuscito a guardare in faccia la sua dolce sorellina.
Non dopo aver viaggiato e lavorato in incognito, travestito da donna per scampare alla galera...
Non dopo aver portato il suo nome per nascondersi.
Il nome dell'unica persona che, in famiglia, aveva creduto in lui.

I primi tempi che aveva trascorso in America, il pensiero di Clare lo aveva sempre fatto sorridere, soprattutto quando si trovava a paragonare la convivenza tra fratelli con quella con Freddie. Ogni tanto, di notte, ripensava a quando, per farla addormentare le leggeva le storie di quelli che erano ancora i suoi vecchi libri di bambino. Ripensava a come, per paura di svegliarla, non si azzardava a muoversi o ad accendere la luce quando ormai la camera era diventata troppo buia: quando non riusciva più a leggere, procedeva inventando di sana pianta. Tanto la bambina, il più delle volte, già dormiva...
Ripensava a quando Clare si svegliava presto la mattina e lo trovava accartocciato su sé stesso, immerso fra i cuscini e con l'indice di una mano che teneva ancora il segno di dove era arrivato a leggere prima di addormentarsi: senza fare rumore gli sfilava il libro dalle mani e lo appoggiava sul comodino.

Clare lo prendeva sempre in giro a tal proposito: gli diceva che si nascondeva dietro quello strano fare da duro che lei trovava tanto buffo, che si atteggiava come un divo – consapevole della propria bellezza e sfacciataggine – per poi addormentarsi sulle pagine di un romanzo fantasy o di fantascienza.

Con Freddie non era mai successo.

Freddie russava.
Russava improvvisamente, senza alcun preavviso, rompendo il religioso silenzio della notte, quel silenzio in cui la melodia delle pagine che venivano sfogliate cullava lentamente Roger verso un sonno profondo fra una riga e l'altra. Era uno di quei pochi silenzi che Roger apprezzava davvero.
Poi arrivava Freddie a farlo sobbalzare, a farli alzare gli occhi dalle pagine, a farlo voltare verso di sé.
Le prime volte Roger aveva cercato di far finta di niente. Poi, piano piano, aveva cominciato a rispondergli: “Ssshh”; “Non è niente, Fred”; “Eh sì, hai proprio ragione”.
Alla fine chiudeva il libro, lo buttava nel cassetto e spegneva la luce per mettersi a dormire a sua volta: “Buona notte Fred”.

Non per questo gli voleva meno bene.
Ma gli voleva bene in modo diverso: con Clare lui era il fratello maggiore, quello che si prendeva cura di lei quando non ci pensavano i loro genitori... quello che si prendeva le botte quando il padre era ubriaco, mentre Clare rimaneva nascosta nella loro camera...
Con Freddie si prendevano cura l'uno dell'altro in un rapporto di parità, tra sorrisi, battute e prese in giro; nella buona e nella cattiva sorte.

Dovendo essere onesto, Roger non riusciva nemmeno ad immaginare come si sarebbe rivelata la sua permanenza in America senza quello scapestrato di Freddie.

Lo squillo del telefono lo fece infuriare, quasi senza motivo.
Si alzò e tirò un calcio al comodino, facendo cadere la sveglia; si strappò la parrucca dalla testa e alzò finalmente la cornetta.

-Pronto!- ruggì. -Pronto?!… Sì qui è la 413… Da nave a terra?!… Va bene, me la passi!-

Fosse stato meno furioso, meno stanco e leggermente più sobrio avrebbe riattaccato immediatamente: dopotutto chi mai poteva chiamarlo? Forse giusto John... al massimo Veronica. Ma a meno che non fossero improvvisamente partiti per una crociera romantica, non lo avrebbe chiamato da una nave. Forse Freddie era uscito da teatro e quel Jim aveva arrangiato una gita di qualche genere su un traghetto, e ora gli telefonava per avvertirlo che sarebbe tornato più tardi del previsto.
Forse era di nuovo Mallett. Forse si era ripreso dal quasi coma etilico nel quale sembrava essere caduto e che Roger aveva sfruttato per dileguarsi: quel ristorantino cubano non doveva poi avere tutte le carte in regola dato che a metà serata avevano cominciato a comparire gli alcolici.
In quel caso Roger sarebbe potuto scoppiare in un tripudio di tutte le bestemmie che conosceva.

Dovette aspettare qualche secondo prima che la comunicazione venisse davvero avviata:

-Clare?-

-Brian?!-


 

 


 

Angolino autrice:

Ecco qui il nuovo capitolo! ^^

Oggi niente John, mi dispiace, ma tornerà presto anche lui, non dubitate! :)

Mentre correggevo il capitolo mi sono accorta che ho sempre scritto il nome del nostro povero Dave sbagliato: ho sempre scritto “Mallet” con una T sola quando in realtà ce ne sono due. SCUSI SIGNOR MALLETT, già le faccio fare il laido pomposo, se poi non scrivo nemmeno il suo nome correttamente... XD

Povero Roger, al momento ne ha passate di tutti i colori e Freddie ha deciso di metterci il carico da novanta per vendicarsi di essere stato piantato in asso e per poter passare una serata insieme al suo Jim!
Ma forse qualcuno riuscirà a tirargli su il morale e a migliorargli la serata... ;-)

In realtà non ho molto altro da aggiungere riguardo a questo capitolo se non che, come al solito, spero vi sia piaciuto e vi abbia un po' divertito! ^^
E che ringrazio tutti voi che seguite, leggete e recensite! <3

Piano piano i nostri Maylor si avvicineranno sempre più ;-)

Un bacione!
Al prossimo capitolo!

Carmaux

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Capitolo 9
*** CAPITOLO OTTO ***


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CAPITOLO OTTO

Freddie bussò alla porta dell'inquilina al piano di sotto, per restituirle la piccola aspirapolvere che questa gli prestava regolarmente per pulire casa. Era da due settimane che voleva riportargliela, ma con tutto quello che era successo se ne era completamente dimenticato e lei era stata tanto cortese da non venire a tormentarlo ricordandogliela. Quella sera però, tornato a casa, quando la vide appoggiata di fianco alla porta, decise che aveva aspettato fin troppo e, nonostante fosse stanco morto, se la caricò sulle spalle e scese quella rampa di scale.

La donna aprì un attimo dopo, accogliendolo con un sorriso, ringraziandolo di cuore e dicendogli di non preoccuparsi, nonostante Freddie continuasse a scusarsi per il ritardo.

-Come va? Come sta Roger?- gli domandò infine, con fare apprensivo. Ma il pianista scosse leggermente la testa: erano due settimane che il ragazzo era bloccato a letto con una febbre allucinante; i primi giorni aveva trovato comunque la forza di andare al lavoro, ma nell'ultima settimana non era riuscito quasi nemmeno a sollevarsi dal letto.
La donna gli fece cenno di aspettare un momento e, dopo essere sparita per un paio di secondi in cucina, tornò sull'uscio con in mano una ciotola rasa di zuppa fumante: -Spero lo faccia stare meglio.-

Freddie la ringraziò di cuore e tornò a casa propria.

Andò in cucina, recuperò un cucchiaio e si diresse in camera. Era immersa nell'oscurità: prima di accostarsi al letto di Roger scostò leggermente le tende, permettendo ad un po' della luce artificiale dei lampioni in strada di entrare.

Raggomitolato fra le coperte, Roger sembrava ancora più minuto di quanto non fosse già.

Freddie si sedette delicatamente sul bordo del letto e abbassò la trapunta, che lo copriva fino alla radice dei capelli, rivelando il viso paonazzo: -Ehi, caro: zuppa calda. Che dici? Hai un po' di fame?-

Ma Roger non rispose: dormiva profondamente. Fred non avrebbe voluto svegliarlo l'unica volta che sembrava dormire serenamente, ma erano quasi due giorni che il ragazzo non toccava cibo: doveva pur mangiare qualcosa o ci avrebbe messo ancora più tempo a guarire.
Gli tastò delicatamente la fronte e poi la guancia, trovandole entrambe bollenti. Fece scivolare la mano sulla spalla, scuotendolo leggermente; lo chiamò per nome e strinse appena la presa, trasformandola in una carezza quando lo sentì mugolare qualcosa. Da sotto le coperte, Roger si mosse, avvicinandosi a Freddie tanto da nascondere il viso contro la sua gamba.

Freddie sospirò, accarezzandogli la testolina bionda, e si rese conto che stava tremando, segno che la febbre gli stava salendo di nuovo.

-Ehi... ehi, piccolo...- gli sistemò meglio la coperta sulle spalle.

Si sentiva in colpa: era perfettamente consapevole del fatto che era colpa sua se si era ammalato.

Tre settimane prima era stato il suo turno: gli era improvvisamente venuta una brutta febbre – che però non aveva mai sfiorato i livelli che aveva raggiunto con il biondo – e, una sera, lamentando un freddo implacabile, Roger gli aveva dato la propria giacca. Era sicuro che quel semplice gesto d'affetto si fosse trasformato in un contagio.

Si sentiva tremendamente in colpa.
Erano migliori amici, coinquilini, e qualcosa di più: erano una famiglia. E Roger, con quel viso da bimbo e quei due anni in meno rispetto a Freddie, era come un fratellino minore: il piccolo di casa, di cui prendersi cura.

Il piccolo di casa che, assistendo il maggiore, si era ammalato a sua volta.

Gli accarezzò la testa, liberandogli il viso dai capelli e chiamandolo di nuovo, fino a quando gli occhioni azzurri non si schiusero lentamente.

-Zuppa calda, Rog.- il febbricitante strizzò gli occhi e, con un lamento, cercò di girarsi sul fianco opposto, indicando che voleva essere lasciato in pace. -Lo so che hai la nausea ma devi mangiare qualcosa...-

-Non ho fame...-

-Lo so, ma è deliziosa e ancora calda: ti farà bene.- Roger si lamentò di nuovo, ma Fred si impose e lo aiutò – o costrinse – a mettersi seduto: una volta sistemato gli mise in mano la ciotola: -Mangia.-

-Fred non...-

-Mangia. Io ti tengo compagnia.-

Il pianista si sedette più comodamente sul letto, stendendo le gambe e avvicinandosi al coinquilino, e lo osservò: i lunghi capelli biondi gli coprivano il viso, ma Freddie riusciva ad immaginare i suoi occhi socchiusi e stravolti, le labbra semiaperte dalle quali prendeva piccoli respiri irregolari. Lo osservò stringere le mani attorno alla ciotola, sperando di trarne un po' di calore. Allungò una mano e gli scostò una voluminosa ciocca di capelli scarmigliati e sudati, per incontrare il suo sguardo:

-Mi dispiace tanto...-

-Per cosa?- biascicò, la voce bassa, rauca, impastata dal sonno e dalla nausea.

-Che ti sia ammalato. Non fosse stato per me...-

-Oh ti prego, Fred: non ho la forza di dirti che sei un idiota. Puoi dirtelo da solo?-

Freddie ridacchiò: -È che mi dispiace vederti così.-
Non solo gli dispiaceva, gli era quasi inconcepibile vederlo in quello stato: Roger, che solitamente non riusciva a stare fermo per cinque minuti consecutivi e che doveva sempre avere qualcosa per le mani, soprattutto quando era nervoso, ora sembrava quasi... avvizzito.

-Passerà...- venne scosso da un altro brivido di freddo e il pianista si affrettò ad avvolgere un braccio attorno alle sue spalle, per scaldarlo. Roger, coccolato da quel calore, chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro la sua spalla.


 


 

-Brian?!-

Roger sgranò gli occhi, girando su sé stesso.

-Clare, scusami, spero di non averti svegliata...-

-No, io... no. Cosa...?-

-Non voglio trattenerla più del necessario, data l'ora tarda...-

Scosse la testa, senza rendersi conto di cosa stesse succedendo: -Ma no... si figuri...-

-Volevo solo chiederle un favore: ho incontrato suo fratello qualche sera fa e...- Roger trattenne il fiato, cominciando a pregare.

Che lo avesse scoperto?
Forse lo chiamava per confermare i dubbi sulla sua identità...

Strinse la cornetta con tale forza che si sarebbe potuta sbriciolare fra le sue mani.

-Se ne è andato di corsa e ha dimenticato un foglio. Mi ha detto che stava lavorando ad una canzone e aveva cominciato a scriverla lì: forse lo rivuole indietro... potrebbe mettermi in contatto con lui? Sono passato all'hotel l'altra sera, pensando che forse ci sarebbe stato, ma non l'ho incontrato. E non sono riuscito nemmeno a consegnarlo a lei...-

Il batterista tirò un sospiro di sollievo così rumoroso che dovette allontanare la cornetta e il resto dell'apparecchio perché Brian non lo sentisse. Quella serata era stata una montagna russa di emozioni e, in quel momento, sentendosi di nuovo al sicuro, provò autentica euforia e quasi non si rese conto della propria risposta: -Certo, sì, ovviamente! Se mi dice da dove mi ha chiamato avverto Roger e la faccio richiamare!-
Solo quando appoggiò la cornetta, troncando il collegamento, se ne rese conto: ora avrebbe dovuto chiamarlo.

Di nuovo.
Da quello stesso numero.

Fingendosi suo fratello...
Fingendosi sé stesso.
No, non fingendosi!
Quel continuo gioco di maschere cominciava a farlo impazzire...

Riprese in mano il telefono e per un istante non seppe cosa fare...

Avrebbe potuto fregarsene.
Lo aveva fatto decine di volte: “Non ti preoccupare, ti chiamo io”. Promesse volatili come il fumo delle sigarette che fumava nel momento in cui le faceva.

Strinse di nuovo la cornetta del telefono, questa volta tormentato dall'indecisione, ma mentre ancora scuoteva la testa come per convincersi del fatto che far finta di nulla sarebbe stata la scelta migliore, compose il numero e aspettò che venisse avviata la comunicazione.

-Pronto?-

-Yacht Orsa Maggiore? Davvero?- la risata di Brian dall'altra parte della cornetta lo fece sorridere.

-Buona sera, Roger.-

-Buona sera, Brian.- lo canzonò.

-So che è tardi: spero di non averla svegliata.-

-No, no, sono... rientrato a casa da poco.-

-Serata piacevole?-

-Niente di più lontano.-

-Oh, mi spiace...-

-Ho lavorato.- mentì, senza sapere come mai. Si diresse verso il lungo specchio verticale che occupava uno degli angoli della camera con l'intenzione di togliersi gli orecchini e si rese improvvisamente conto di quanto fosse ridicolo, a torso nudo ma con ancora la gonna e le calze.

-Fino a quest'ora?!-

-Un paio di pazienti non vogliono adattarsi agli orari d'ufficio.-

-Come mai accetta di visitarli comunque?-

-Perché pagano profumatamente.- si tolse i finti gioielli e li lanciò sul comodino

-Ne vale la pena?-

-Sono soldi. Se mi aiutano a rimettermi in piedi tanto vale lavorare fino a quest'ora per un paio di sere a settimana. Le pare?-

-Credo di sì.-

-“Crede”?-

-Non voglio sembrare sfacciato...-

-Se ha uno yacht, certo non ha mai avuto problemi di soldi.- concluse Roger per lui. -Capisco.-

-Sa, non riesco proprio ad immaginarla con il camice e la mascherina.- disse Brian per cambiare discorso.

Roger appoggiò la cornetta sulla spalla e piegò la testa di modo da tenerla ferma mentre, con le mani libere, si disfaceva finalmente delle calze lunghe. Ghignò silenziosamente: -Se vuole la prossima volta che ci incontreremo mi presenterò in tenuta da lavoro.-

-Sono molto tentato da questa proposta.- rise leggermente: Roger si stupì della facilità con cui Brian riusciva a coinvolgerlo. -A questo proposito, non so se Clare l'abbia già informata...-

-Ah, sì, sì: è stato gentile da parte sua conservare quel foglio. So che è un'inezia, ma...-

Ma anche se si trattava solo di pochi versi, lui e Freddie avevano lavorato per ore su quel pezzo di carta, rubandosi vicendevolmente la matita, punzecchiandosi ma anche parlando con preoccupazione della situazione nella quale si trovavano. La cosa peggiore, tuttavia, era stata il rendersi conto di non poterla provare in alcun modo: non potevano semplicemente scendere nel salone dove si esibivano e mettersi a suonare e a cantare.

-Niente affatto: era importante per lei, si vedeva...-

-Poi ora che sul retro ha tutti quegli appunti di astronomia è diventato di inestimabile valore.- lo prese in giro mentre abbassava la zip per sfilarsi anche la gonna.


 


 

Rimase a lungo fuori dalla cabina telefonica, indeciso: una signora, vedendolo immobile, provò a chiedergli se potesse passare e telefonare prima di lui. John annuì silenziosamente, senza riuscire a concederle nemmeno un sorriso. Si strinse nel cappotto, sul quale ormai si era depositato un sottile strato di neve. Era uno degli inverni più freddi che ricordasse e Chicago, nel suo grigiore, sembrava voler enfatizzare quel tempo un po' lugubre.

Quando la signora gli lasciò il posto, si riparò velocemente fra i quattro muri di vetro della cabina. Recuperò un paio di spiccioli ma le sue dita erano così congelate che una moneta gli sfuggì quando cercò di infilarla nel telefono. Al secondo tentativo riuscì ad avviare la telefonata.

-Pronto?-

-Brian, ciao. Ti disturbo?-

-John! Niente affatto! Come va?-

Deglutì mordendosi leggermente l'interno della guancia e solo dopo qualche secondo parlò nuovamente: -Va. Si congela.- aggiunse tentando una risata che si perse in una smorfia: stava davvero parlando del tempo pur di cambiare discorso...

-Ci credo! Ho sentito per radio che ha cominciato a nevicare!-

-Sì, qualche giorno fa. E non accenna a fermarsi. Tu sei sempre per mare?-

-Rotta verso Dover. Poi, da lì, prenderò un treno per Londra.-

-Torni alla madrepatria? E il tuo anno sabbatico?-

-Non torno all'Università, solo a casa.-

Annuì silenziosamente e cercò di mascherare l'invidia: -Salutami tutti a casa...-

-Tu come stai John?-

-Bene, bene... sai, mi hanno trovato un nuovo lavoro... in Florida, come amministratore di un'orchestra femminile.-

-In Florida?! Un gran bel cambiamento: dal grigiore di Chicago alle spiagge di Miami! Per quanto tempo starai via?-

-Tre settimane. È una buona offerta... vitto e alloggio sono già pagati... e il compenso settimanale è buono...- sapeva di non essere molto convincente, non con quelle pause che continuava a fare tra una parola e l'altra: non era bravo a fingere che tutto andasse bene.

-Ma?-

La verità è che era preoccupato: aveva chiamato Brian perché l'amico era sempre stato bravo a tranquillizzarlo. Però non voleva farlo preoccupare inutilmente...
La
verità è che aveva voglia di sentire la voce di un amico. Era passato troppo tempo dall'ultima volta che si erano visti di persona e quegli ultimi mesi, che lo avevano ridotto uno straccio, gli avevano fatto sentire ancora di più la mancanza del suo migliore amico, di qualcuno vicino sul quale poter contare anche solo per trascorrere una serata tenendo lontani i cattivi pensieri.

-Credo che non mi abituerò mai a tutti questi continui cambiamenti.- spiegò banalizzando. -Ma se tutto va bene questa potrebbe essere l'ultima volta...- non diede tempo all'amico di rispondere: -Non vedo l'ora di tornare in Inghilterra. Mi manca suonare con te. Componevi delle canzoni meravigliose!-

Se andrà tutto bene...
Un gigantesco “se”.
Un dettaglio non del tutto indifferente: ad essere onesti non aveva alcuna garanzia che sarebbe andata come sperava. Dopotutto i suoi datori di lavoro non erano stati espliciti da quel punto di vista. Ma agli occhi di John quella pareva una buona opportunità, un buon momento per poter mettere un punto definitivo, per chiudere definitivamente quel capitolo della sua vita.

Glissò completamente sulla domanda di Brian – che gli chiedeva, con una vena di preoccupazione, se stesse davvero bene – e proseguì sull'argomento che aveva intavolato lui stesso un attimo prima: -Scrivi ancora?-

-Ogni volta che posso.-

-E adesso stai lavorando su una nuova canzone?-

-Sì, ma ho appena cominciato.-

-Di cosa parla?-


 


 

-Ha mai sentito parlare della dilatazione temporale ipotizzata nella teoria della relatività? Ha presente? Einstein.-

-Certamente: l'ho incontrato proprio ieri nel mio studio.- Roger, sdraiato a letto, ascoltò con un sorriso la risata che si infranse nelle sue orecchie solo leggermente distorta dall'apparecchio. Gli piaceva quella risata: era sincera senza essere esagerata. -Quindi...- riprese portandosi un braccio dietro la testa, usandolo come cuscino. -Parla di un gruppo di esploratori dello spazio che parte per un viaggio che dovrebbe durare un anno ma che alla fine dura un secolo?-

-Non proprio. Il viaggio, dalla loro prospettiva, dura effettivamente un anno. Ma per via della dilatazione temporale, sulla Terra ne risultano essere passati cento.-

-È... strana... agrodolce. Sono tutte così le sue canzoni?-

-No... volevo solo provare a fare qualcosa di diverso dal solito.-

-Una canzone che fosse solo sua.-

-Cosa vuole dire?-

-Che solo lei avrebbe potuto scriverla: un astrofisico, professore universitario e musicista. Me la farà sentire?-

-È davvero interessato?-

-Certo: se dovessi scrivere io una canzone così su due piedi probabilmente parlerebbe di una macchina. Un viaggio spaziale invece è insolito, interessante. Ho letto alcuni libri di fantascienza, ormai qualche anno fa.-

Da un certo punto di vista credeva che lo avrebbe impressionato, o che quantomeno gli avrebbe fatto piacere sapere che condividevano un interesse, ma la domanda di Brian gli fece cambiare tono:

-Una macchina?-

-Una macchina, sì. Perché no?-

-No, niente è che... una macchina? Davvero?-

-Mi piacciono le macchine, va bene? Soprattutto se vanno veloci.-

-Non c'è niente di male...-

-Certo: provi a ripeterlo facendo finta di crederci!-

-Ma no...- Roger lo sentì chiaramente trattenere una risata e assottigliò lo sguardo. -Io non mi intendo molto di questo genere di cose e di motori: è John l'esperto. Io è già tanto che sappia andare da nave a terra con il motoscafo...- fece una lunga pausa che il batterista decise di non riempire. -Ma ora sono curioso anche io: qual è la parte più attraente di una macchina?-

-Sì, sfotta. Sfotta pure. La mia macchina era bellissima!-

-Era?-

-È rimasta in Inghilterra quando sono partito.-

-In Inghilterra dove?-

-Pensa di andare a rubarmela?- lo sentì ridere di nuovo.

-Non credo.-

-A Truro. A casa.-

-Cornovaglia. Non l'ho mai visitata...-

Roger si tirò su a sedere, per nulla intenzionato a lasciar cadere il discorso: -Era una bellissima Alfa Romeo RL del '22! Con un motore a sei cilindri in linea con cilindrate fino a 3600 centimetri cubi!-

-D'accordo...?-

Scosse la testa: -John mi capirebbe! Quando sono partito per il college ho fatto tutto il trasloco da Truro a Londra con quella macchina! Potevo anche togliere il tettuccio...-

Si sdraiò nuovamente.
Aveva tanti bei ricordi legati a quella macchina, oltre al viaggio verso il college, comprese le ore che aveva passato insegnando ad una insistente Clare le basi della guida. Sotto pagamento, ovviamente: un paio d'ore di scuola guida in cambio di una settimana di pulizie casalinghe. E le tariffe erano andate aumentando dopo ogni lezione.


 


 

Roger appoggiò il gomito sul bordo del finestrino aperto e sbuffò: -Clarie, ricordami che devo presentarti qualcuno.-

-Di chi si tratta?-

-La quarta marcia! Per l'amor del cielo: stai andando pianissimo!-

-Siamo in un centro cittadino!-

-Siamo appena fuori da un centro cittadino. E siamo in un parcheggio vuoto grosso come una pista d'atterraggio!-

-I limiti di velocità per un parcheggio sono...-

Roger reclinò la testa lamentandosi: -Oh ti prego non ricominciare! I limiti, i limiti, i limiti! La macchina vuole andare veloce!-

-Allora dovevi comprarti un'auto da corsa. Io preferisco andare piano.-

-Non sai quanta soddisfazione dia, andare veloci. La pressione sanguigna sale... il battito aumenta e ti viene uno strano formicolio sulle braccia.-

Clare rise, tirandogli una gomitata nelle costole: -Smettila di essere così testosteronico, scemo! E non parlare come se fossi già un dottore: non ci sei ancora al college!-

-E tu smettila di fare la sapientona! Spostati: ti faccio vedere io.- la spinse fuori dalla macchina, prendendo il suo posto alla guida.

-Devo mettere il casco?- lo prese in giro Clare allacciandosi la cintura.

-Simpatica. Passami gli occhiali.-

Ridacchiò recuperando dal vano porta oggetti gli occhiali da sole e passandoli al fratello, che li indossò con fare teatrale: -Esibizionista.-

Girò la chiave e giocò con i pedali, inserendo in pochi attimi la prima, la seconda e la terza marcia, facendo scattare e schizzare la macchina attraverso il parcheggio. Girò e uscì in strada, dirigendosi verso la città.

-Ma dove vai?-

Roger non rispose, godendosi il vento fresco fra i capelli e quella sensazione di libertà che gli provocava.
Rallentò quando entrò nel centro cittadino, ma senza esagerare: rimase entro i limiti senza far venire il latte alle ginocchia a quelli dietro di lui. Svoltò in strade che ormai conosceva bene e finalmente si fermò:

-Mi hai portato a fare spese?-

-Non avevi appuntamento con i tuoi amici a quest'ora?- la ragazzina controllò l'orologio: non si era accorta del passare delle ore. -Se avessi lasciato guidare te a quest'ora saremmo ancora al parcheggio. E invece, guarda qui: in anticipo! Anche se a quanto pare le tue amichette sono già arrivate.-

E con un cenno salutò le tre ragazze che, a pochi metri di distanza, sostavano davanti all'entrata di un negozio.

-Se avessi guidato io adesso ti saresti guadagnato la settimana di pulizie che ti avevo promesso! Invece hai voluto fare scena e adesso la camera te la pulisci da solo.- lo prese in giro fingendosi offesa.

-Oh, avanti: vuoi dirmi che non ti è piaciuto? Non hai sentito il ruggito del motore?- premette sull'acceleratore senza marcia inserita, attirando nuovamente l'attenzione delle ragazze.

-Smettila! Mi metti in imbarazzo!- Clare rise e gli tirò un pugno sulla spalla.

-Ma quale imbarazzo.-

-Diranno che ho un fratello strano!-

-Ha! Strano. Certo. Come se tre quarti delle tue amichette non avessero una cotta per me.-

-Ti sopravvaluti.-

-Io non credo proprio. Guarda.- una delle ragazze era ancora girata nella loro direzione e Roger ne approfittò, ammiccandole con un occhiolino e un sorriso: a confermare la sua tesi, la compagna di classe di Clare arrossì e si volse mordendosi le labbra.
Il ragazzo tornò a guardare la sorellina, alzando le sopracciglia come a voler dire “visto?”.

-Sei un idiota.- e così dicendo scese dalla macchina scuotendo la testa divertita.

-Ti mancherò quando sarò al college!-


 


 

Arrampicarsi fino al quarto piano non era poi così difficile: lo aveva già fatto una volta, quando era tornato da quella serata libera durante la quale Roger lo aveva piantato in asso, e nemmeno in quell'occasione aveva fatto fatica. L'unica difficoltà, quella sera, era stata il non farsi vedere. Ma ora era notte fonda, molto più tardi della volta precedente: il buio lo aveva nascosto e nessuno si era accorto della sua sagoma mentre si inerpicava da un balcone all'altro.

Non fece rumore aprendo la finestra e infilandosi in camera.

La luce del comodino era accesa, ma il ragazzo dormiva già. Freddie lo osservò con aria incuriosita e, scuotendo la testa, gli si avvicinò: -Che cosa combini quando non ci sono? Me lo dici?- sussurrò e, una volta toltosi la giacca elegante che in realtà apparteneva al signor Deacon, allungò le mani e sfilò lentamente la cornetta del telefono dalle dita di Roger. Recuperò l'altra metà dell'apparecchio, abbandonata sul suo petto, e con la stessa delicatezza lo appoggiò sul comodino.

-L'opera è stata...- inspirò profondamente, quasi senza trovare le parole. -Meravigliosa. Davvero: ci fossi stato anche tu... a dire il vero saresti stato un po' il terzo incomodo, ma hai capito quello che volevo dire! Quei posti erano perfetti! Avevamo un balcone tutto nostro!- sussurrò sedendosi sul materasso, di fianco all'amico addormentato. Sapeva che il ragazzo non lo stava ascoltando ma da un certo punto di vista non gli importava: era piacevole anche solo parlare, esprimere la sua contentezza. -E Jim... è incredibile! Vorrei lo conoscessi...-

Aspettò qualche secondo, riflettendo, poi appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo, stringendola leggermente: -Piccolo, vorresti conoscere Jim?-

Roger mugugnò qualcosa e si girò su sé stesso, avvicinandosi involontariamente all'amico.

-Da un certo punto di vista credo che dovresti... nel senso: ci sta coprendo. Ringraziarlo di persona credo gli sia dovuto.-

Il biondo brontolò qualcosa, senza schiudere gli occhi: -Sì, come vuoi...-

-E poi... mi piace...- continuò Freddie con un sorriso quasi imbarazzato.

-Sì...-

-E tu... sei un po' come un fratellino per me: ci terrei a sapere cosa ne pensi...-

-Sì...- bofonchiò di nuovo.

-Ehi, sei sveglio?-

-Sì, domani, domani.-

Ridacchiò intenerito e scosse la testa: -Ne riparliamo domani.- gli scompigliò i capelli con una carezza. -Buona notte Roger.-

Il più giovane si rigirò fra le coperte, sbadigliando: -Buona notte Brian.-


 


 


 


 


 

Angolino autrice:

Buona sera a tutti! ^^

Il capitolo di oggi è un po' più statico degli altri; è un capitolo di passaggio, ma al quale tenevo – perché è un po' teneroso :-D – e che, ad essere onesti, pensavo sarebbe venuto più corto (sorry XD). Ho voluto inserirlo comunque e tagliarlo in questo momento perché altrimenti mi avrebbe rovinato e mandato in confusione la suddivisione dei prossimi capitoli '^-^

È tornato, anche se solo per un piccolo flashback, John la cui backstory (so che continuo a ripeterlo, ma giuro che ci stiamo avvicinando) diventerà più chiara a breve! ^^

Ed è ricomparsa, anche lei praticamente solo per un saluto, la vicina premurosa di qualche capitolo fa XD.

Le canzoni accennate in questo capitolo sono, chiaramente, '39 e I'm in Love With My Car.

Come sempre ringrazio tutti voi che state leggendo, seguendo, recensendo e preferendo! *.* E un salutone e un ringraziamento ai nuovi lettori e a quelli che pur seguendo da un po' hanno deciso di lasciare un loro parere! *.* vi ringrazio tantissimo! <3

A presto con il prossimo capitolo (che sarà decisamente più interessante :-P)!

Vi mando un bacione!

Carmaux

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Capitolo 10
*** CAPITOLO NOVE ***


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CAPITOLO NOVE

-Te ne vuoi andare!?-

Il getto d'acqua non riusciva a coprire la voce di Freddie che, nonostante Roger si stesse facendo la doccia, aveva deciso di entrare comunque in bagno per portare avanti la conversazione con il coinquilino, nascosto dietro la colorata tenda impermeabile.

-Ti ho già detto che avevamo un balcone tutto nostro?-

-Tipo tre volte.- si stropicciò il viso bagnato con le mani. -Vuoi uscire!?- ma il maggiore continuò imperterrito, come se non lo avesse nemmeno sentito. Roger sbuffò, reclinando la testa e chiudendo gli occhi, lasciando che le gocce picchiettassero delicatamente sul suo viso. Quella mattina Fred era insopportabile: certo, Roger sapeva che avrebbe voluto parlare della serata appena passata, ma sperava che almeno in bagno lo avrebbe lasciato in pace; per quanto, conoscendo il giovane pianista, era anche consapevole del fatto che era sempre in grado di sorprenderlo facendo qualcosa di completamente inaspettato.

In quel momento, infatti, la tenda della doccia si spalancò, con un rumore secco: -Roger! Mi stai ascoltando?-

-Questo non è uno spettacolo aperto al pubblico!- ringhiò il biondo, richiudendosi rabbiosamente nell'intimità di quel cubicolo.

-Ho capito che in questi giorni hai occhi e orecchie solo per Brian e che per te è una cosa nuova, ma almeno ascoltami! Ti sto raccontando nei minimi dettagli la...-

-Scusa?!-

-Oh avanti, non fare il finto tonto, caro. Non essere così banale, non hai niente di cui...-

-Puoi uscire da questo fottuto bagno!- esclamò interrompendolo.

-Con chi hai parlato ieri al telefono?-

La domanda lo colse leggermente in contropiede, ma gli fece comunque alzare gli occhi al cielo: -Con nessuno. Ti levi?!-

-E credi che il telefono sia tornato magicamente al suo posto sulle proprie gambe?- roteò nuovamente gli occhi, appoggiando la fronte contro le umide piastrelle di una delle pareti, cercando di incanalare, con difficoltà, tutta la calma di cui era capace.

-Fred, guarda che mi incazzo!-

-Ti sei addormentato con la cornetta in mano. E non solo.- ascoltando il racconto, anche questo estremamente dettagliato, di come Freddie fosse rientrato in casa, silenzioso come un gatto, di come lo avesse trovato addormentato e di come, dandogli la buona notte lui gli avesse risposto in modo inaspettato – sgranò gli occhi incredulo. Non ricordava assolutamente niente di quello... Ma forse perché all'epoca era effettivamente mezzo addormentato... probabilmente avrebbe anche potuto dire qualsiasi cosa senza rendersene conto.

Freddie, che aveva proseguito con una sua libera interpretazione dei fatti appena narrati, venne interrotto: -Non ti sto ascoltando.-

-Ehi, non ti sto mica giudicando. Al contrario, capisco perché ti piaccia: è sicuramente un uomo affascinante e poi...-

-Non ti sto ascoltando, Fred!- ripeté alzando la voce.

-Ma addirittura chiamarlo nel sonno...- Roger strinse i pugni, mordendosi le labbra: lo stava prendendo in giro.

-Non esagerare! È l'ultima persona con cui ho parlato: è assolutamente normale che stessi...- si bloccò, rendendosi conto che concludere quella frase avrebbe solo peggiorato la sua situazione.

-Allora mi sento lusingato.- rispose Fred, con un tono che a Roger non piacque per niente. -In questi ultimi quattro anni mi hai sognato costantemente.- non ottenendo risposta, il corvino rincarò la dose: -Sei adorabile.-

-Vaffanculo!- afferrò la spugna, pesante dell'acqua di cui era intrisa e spumeggiante di sapone, ed era pronto a tirarla dritta in faccia a Freddie, ma abbassò il braccio quando lo sentì cambiare discorso:

-E queste da dove spuntano?-

Roger capì subito a cosa si riferisse.
Quella mattina quando si era svegliato aveva trovato Freddie ancora addormentato, a pancia in giù e con il viso completamente immerso nel cuscino. Per qualche secondo si era domandato come facesse a respirare, in quella posizione. Come si era alzato ed era andato a bere un sorso d'acqua, aveva lamentato il solito dolore gengivale, questa volta più acuto del solito e a quel punto aveva deciso di seguire, più o meno, il consiglio dell'amico. Si era vestito ed era sceso nella hall dove aveva chiesto, con fare civettuolo, dove si trovasse l'infermeria. Per la prima volta da quando alloggiava lì, ebbe un briciolo di fortuna: il dottore non c'era. Che fosse andato in bagno, a fare colazione, o che fosse semplicemente in ritardo, a Roger non interessava. Entrò nello studio e, raggiunto l'armadietto dei medicinali lo aprì, cominciando a frugarci dentro. Sapeva cosa cercare. Non serviva un dottore vero e proprio: aveva bisogno di un semplice antibiotico, qualunque antinfiammatorio che alleviasse il dolore. Durante il suo anno di tirocinio aveva imparato a riconoscerli rapidamente: gli sarebbe bastato nasconderli nel finto reggiseno e andarsene così com'era venuto.
Fece esattamente così: riconobbe il nome su una scatoletta di pillole e lo nascose immediatamente, infilando una mano nella scollatura della camicetta; controllando che non ci fosse nessuno uscì e tornò in camera.
Fred ancora dormiva, così aveva deciso di cambiarsi nuovamente e di farsi una rapida doccia.

-Sei sicuro di sapere come gestirle?-

-Sono dei semplici analgesici. Leggi sul retro: basta prenderne un paio. L'importante è non esagerare.-

-Effetti collaterali?-

-Al massimo un filo di nausea o di sonnolenza. Non ti preoccupare.-

Aveva ormai abbandonato l'idea di vendicarsi fisicamente sull'amico quando Freddie lo fece ritornare sui propri passi: -Non credere che il discorso sia concluso! Appena esci da quella...- non fece in tempo nemmeno a concludere la frase che un violento schiaffo gli infradiciò completamente la faccia e la maglietta. Con il sapone che colava seguendo i suoi lineamenti, si chinò per raccogliere la spugna e appoggiarla nel lavandino prima di uscire definitivamente dal bagno stropicciandosi gli occhi.

 

Freddi lo osservò a lungo prima di dare voce ai suoi pensieri: -Ti ho visto fare cose ben più strane... ma che stai facendo?-

Roger, in piedi davanti allo specchio, indossava e sollevava da ormai quasi un minuto un paio di occhiali dal proprio naso. -Che cose?-

-Una volta sono tornato a casa e stavi suturando una banana con del filo da cucito. Dimmi tu se ti sembra normale.-

-Ero incazzato.-

-Non vedo un collegamento logico tra le due cose. E comunque eri esaurito, non arrabbiato, c'è differenza.-

-Avevo i miei buoni motivi.-

Freddie ricordava bene quella sera: Roger aveva dovuto vendere la sua grancassa per poter pagare l'affitto e non aveva reagito bene alla situazione.
Non l'aveva mai visto così...
Ripensandoci adesso a distanza di mesi ancora non riusciva a trovare una parola che lo descrivesse in modo compiuto.
Triste. Abbattuto. Furibondo. Stanco. Deluso.

Scacciò quel pensiero: -In ogni modo: che stai facendo? Questi occhiali?-

-Li ho rubati a Mallett ieri sera: ho guadagnato ben cinque minuti di tranquillità quando è andato in camera a cercarli.- corrugò la fronte, guardando il suo riflesso occhialuto, e rimase interdetto. Li sollevò e si guardò di nuovo. Abbassandoli per l'ennesima volta constatò che vedeva meglio con quelle lenti davanti agli occhi.

-Ma cazzo...- imprecò fra i denti.

-Sei diventato una talpa?-

-Quante volte ti devo mandare a fare in culo prima di colazione?-

-Beh, devi recuperare quelle del pomeriggio, dato che non ci sarai.-

Non ricordava con precisione a che punto della conversazione con Brian fosse definitivamente crollato, cedendo al sonno e alla comodità del letto, ma aveva fatto in tempo ad accordarsi con lui per il giorno dopo: Roger aveva suggerito di trovarsi direttamente al molo dopo pranzo, nel primo pomeriggio. In questo modo si era risparmiato la fatica di inventarsi uno studio dentistico inesistente dove Brian sarebbe stato curioso di vederlo all'opera. Avrebbe recuperato i suoi appunti e poi sarebbe tornato in albergo.


 


 

Dopo un paio di manovre di troppo riuscì finalmente ad avvicinarsi al molo quanto bastava per scendere senza difficoltà. Le assi di legno erano scivolose e procedette lentamente, avvicinandosi alla strada.

Lo vide poco distante, appoggiato con i gomiti al parapetto, cogliendolo mentre abbassava il viso contro il petto per nascondere uno sbadiglio. Lo osservò appoggiare una sigaretta fra le labbra e recuperare l'accendino per rendersi conto solo quando la fiammella svolazzava già davanti al suo naso che stava per accendere l'estremità sbagliata: corrugando la fronte aveva preso il tubicino fra due dita e lo aveva ruotato.

Brian soffocò una risatina ma aspettò ancora qualche secondo prima di avvicinarsi, notando un dettaglio inaspettato: indossava un paio di occhiali e, a voler essere onesti, non sembrava sentirsi a suo agio dal momento che, subito dopo aver cominciato a fumare, li aveva sfilati e inforcati già un paio di volte, come se cercasse di trovare la posizione in cui gli dessero meno fastidio. Togliendoseli per l'ennesima volta, si girò e, vedendolo, gli fece un cenno di saluto.

Si strinsero amichevolmente la mano e Brian non riuscì a frenare la curiosità:

-Occhiali? Da quando?-

-Da poco, in verità.-

-È presbite?-

-Da piccolo cantavo nel coro della chiesa vicino a casa ma non sono rimasto legato all'ambiente ecclesiastico.- Brian stava ancora ridendo di cuore davanti a quella risposta inaspettata quando Roger decise di tornare serio: -No, miope a quanto pare...-

Colse l'evidente delusione che quelle parole trasmettevano e cercò di risollevargli l'animo: -Le stanno bene.-

-Li odio! Non mi piacciono per niente. Fossero da sole ancora ancora...-

Brian infilò una mano in tasca tirandone fuori il foglio che, ripiegato su sé stesso, nascondeva ore di studio musicale e di spiegazioni astronomiche e lo porse al dentista, che lo ringraziò di cuore per essere stato così accorto e disponibile.

-Qual è il suo?- domandò Roger dopo qualche istante di silenzio, lanciando un'occhiata verso il mare. -Di yacht. Me lo domandavo da un po'...-

Le sue labbra agirono prima della mente: -Vuole salire a bordo?-

Roger gli rivolse uno sguardo scettico: -Mi fa fare il turista? Sarei di fastidio a tutti.-

Brian scrollò le spalle: -L'equipaggio è in permesso.-

-Quindi posso fare il ficcanaso senza dovermi sentire in colpa?-

-Beh, con qualche limite.- Brian sorrise e vide lo sguardo del biondo cambiare nuovamente:

-Sul serio? Cazzo, subito!- quasi non lo aspettò e si avviò verso il molo; seguendo lo stesso entusiasmo, raggiunto il motoscafo, vi saltò su, sedendosi con impertinenza al posto di guida. Brian, tuttavia, gli fece subito cenno di spostarsi e, sebbene con una nota di delusione, il biondo acconsentì lasciandogli mettere in moto.

-Lei è come Clare!- esclamò Roger dopo un paio di minuti.

-Ovvero?-

-Perché non va un po' più veloce?!-

-Non serve.-

-Ma è più bello. Andando così, invece ci si mette più tempo!- e così dicendo si alzò in piedi – sotto uno sguardo incerto del conducente – per godersi il vento che rendeva sopportabile quel pomeriggio tropicale. Quando si sporse in avanti, forse sperando che qualche goccia salata lo rinfrescasse, Brian allungò automaticamente una mano per trascinarlo indietro: non importa quando si arriva ma con chi si arriva... e non aveva la minima intenzione di arrivare a casa con un cadavere. Men che mai con quello di Roger.


 


 

Freddie si sentì afferrare per la giacca e tirare indietro. A malincuore le sue mani lasciarono la presa sulla balaustra del balcone, dal quale si stava pericolosamente sporgendo per osservare l'affollata sala sottostante, e tornarono sui braccioli della comoda poltrona di velluto.

-Non dico che la visuale fosse brutta dalla mia prospettiva, ma preferisco saperla seduto qui che non vederla volare giù in platea.- Jim, a sua volta elegante nel suo completo, sorrise malizioso.

-Volevo solo guardare.-

-Non è mai stato all'opera prima.- dedusse con semplicità. -A chi ha rubato questi biglietti?-

-Al mio coinquilino. Ma gli erano stati regalati e lui non voleva usarli: non è proprio un furto.- rispose con la stessa vena divertita.

-Se lo dice lei.- Freddie scosse la testa e si fece scivolare sulla poltrona. -Questo è un posto di classe: dovrebbe sedersi meglio.- lo punzecchiò di nuovo con quello sguardo imperturbabile che tanto lo caratterizzava.

-Com'è noioso!- esclamò Freddie teatralmente. -Non mi posso sporgere, non mi posso sedere come voglio... non sia così fiscale!-

Jim si volse verso di lui: -D'accordo: cosa vuole fare?-

Fred alzò gli occhi, incontrando i suoi che, scuri e fissi, sembravano volerlo invogliare a fare quello che già più di una volta era passato per la testa del giovane pianista quella sera: si mosse lentamente, sporgendosi verso di lui, e quando le luci si spensero sorrise pensando con una certa poesia che quel bacio sarebbe rimasto un piccolo momento solo loro, di nessun altro, protetto dal buio della sala. Ma Jim, evidentemente, la pensava in modo diverso: non appena lo sentì sfiorargli il viso con la punta del naso, si volse verso il palco.

-Sta cominciando.-

Nell'oscurità sorrise, con la consapevolezza che anche il giovane uomo al suo fianco, per quanto rimasto a bocca asciutta, stava sogghignando divertito da quel gioco di provocazioni.

Per farsi perdonare, Jim allungò silenziosamente una mano, andando ad accarezzare le dita affusolate di Freddie, che si allargarono facendo spazio alle sue in una semplice dolce stretta.


 


 

Non si era accorto subito che Roger fosse rimasto indietro: se ne rese conto quando, girandosi, non lo vide più sul ponte. Tornando indietro di qualche passo, vide una delle porte aperte. Scese i pochi gradini che portavano al salone che, da solo, occupava gran parte di tutto lo yacht, e solo allora ritrovò il suo ospite che si guardava attorno, la bocca aperta e gli occhi sgranati.

-Pensavo che fosse un armadio quando ho aperto la porta...- biascicò Roger. Brian lo guardò intenerito: nonostante la barriera degli occhiali, gli occhioni di quel ragazzo trasmettevano una miriade di emozioni, dalla sorpresa al fascino all'incredulità di trovarsi in un posto così evidentemente inusuale per lui. -Questa è Narnia!- dichiarò, infatti, girando su sé stesso, facendo scorrere gli occhi dai mobili, alle suppellettili, ai quadri, ad ogni singolo oggetto che adornava la sala. -Lei è... ricco!- riprese un attimo dopo. -Insomma, questo lo avevo già capito... ma, tipo, “Ricco” con la R maiuscola... con tutte le fottute lettere maiuscole! Cazzo: questa stanza è più grande di tutta casa mia!-

Brian abbassò la testa, imbarazzato e stava per parlare, con l'intenzione di cambiare argomento di conversazione, quando Roger lo anticipò: -Dov'è la sua chitarra? Mi diceva ieri che l'ha costruita lei, giusto?-

Il professore lo ringrazio mentalmente e andò in camera a prenderla, recuperando anche il quaderno sul quale stava lavorando alla sua ultima canzone. Quando tornò si fermò sulla porta: Roger, in piedi sul divano, si stava allungando il più possibile sperando invano di arrivare allo scaffale dove, evidentemente, un libro aveva catturato la sua attenzione. Quando decise che anche il divano era troppo basso, decise di fare un passo in più e tentare la sorte con lo schienale. In quell'equilibrio precario fu all'altezza giusta e, finalmente prese fra le mani il volume di cui, da terra, era riuscito a leggere il titolo. Brian lo riconobbe dalla copertina: Lontano dal pianeta silenzioso, una trilogia che aveva letto anni e anni prima, quando aveva appena cominciato gli studi universitari. Lewis era uno dei suoi autori preferiti e vedere Roger così interessato non poté che fargli piacere.
Abbandonando per un momento quel pensiero, guardò l'orologio: quanto era stato via per prendere chitarra e quaderno? Trenta secondi? Forse un minuto? E Roger stava già mettendo a ferro e fuoco il suo salotto, sfidando la resistenza dello schienale del suo divano. Non che pesasse molto. Anzi, osservandolo meglio, da una certa distanza, era ancora più magro di quanto gli fosse sembrato la prima volta che lo aveva incontrato: in un moto di preoccupazione si domandò se mangiasse abbastanza...

Quando finalmente il dentista si accorse della sua presenza, scese rapidamente dal divano: -Perché! Perché mai mettere una mensola a due metri e mezzo d'altezza!-

Brian, che da un certo punto di vista si sarebbe aspettato un qualche tipo di scuse, non poté che guardarlo leggermente sorpreso ma divertito.

-Ho letto il primo qualche anno fa...- riprese Roger, continuando a sfogliare il libro con un sorriso. -Ma non ho mai avuto modo di finire tutta la trilogia.-

Gli piaceva il suo sorriso... quando le labbra si incurvavano verso l'alto i suoi occhi si accendevano come lampadari.

-Se vuole, glielo posso prestare.-

-Non mi permetterei.- rispose immediatamente, senza alzare lo sguardo.

-Non si fa scrupoli a scalare il mio divano ma non accetta un prestito?- domandò Brian, sedendosi sui maltrattati cuscini imbottiti e imbracciando la chitarra.

-Non è la stessa cosa!- rispose prontamente il biondo sedendosi a sua volta sul divano e incrociandovi sopra le gambe. -Un libro è personale.-

-Non l'avrei mai presa per un amante dei libri.-

Lo vide assottigliare lo sguardo: -Ho capito! Tutti mi prendete per un cazzone! L'ho capito! A quanto pare ne ho l'aspetto, ma potreste evitare di rinfacciarmelo costantemente!-

Brian rise, gustandosi lo sguardo infastidito del suo ospite come piccola rivincita: -Chi oltre a me?- lo provocò di nuovo.

-Il mio coinquilino.-

-Non sapevo avesse un coinquilino.-

-Da qualche anno. Dividiamo l'affitto e le mansioni principali... è il mio migliore amico. È un musicista anche lui, sa? Pianoforte. E canta anche: ha una voce incredibile.-

Prima che Brian potesse rispondergli, lo vide prendere il quaderno, aprendolo sull'ultima pagina scritta.
Sorridendo, constatò che a momenti non riusciva a stargli dietro: Roger era semplicemente un terremoto, non riusciva a rimanere per un momento fermo senza avere qualcosa per le mani, senza fare qualcosa, che fosse scalare una parete per arrivare ad una mensola o sfogliare un quaderno pieno di appunti. Forse era anche per questo che non riusciva ad immaginarselo immerso nella lettura. Ma, da un altro punto di vista, era anche il motivo per cui, pensandoci, la batteria che suonava e aveva insegnato a suonare alla sorella rifletteva in pieno il suo carattere vulcanico.

-È questa? La storia degli esploratori dello spazio?-

-Allora mi stava davvero ascoltando. Temevo di averla annoiata dato che si è addormentato.-

Roger, turbato, si morse le labbra – Brian non poté fare a meno di spiare quel gesto – ma scosse subito la testa: -Ero solo stanco...- sussurrò e, come se Madre Natura avesse voluto sostenere la sua tesi, non riuscì a trattenere uno sbadiglio.

Brian ripensò a quando lo aveva incontrato al molo, il viso di nuovo distorto dall'urgenza di un altro sbadiglio: -Non sta lavorando troppo?-

Roger scrollò le spalle, disinteressato o a disagio – ad essere onesti, il chitarrista non avrebbe saputo dire – e tornò a concentrarsi sul quaderno.

Solo quando un silenzio prolungato scese su entrambi il professore cominciò a sentirsi a disagio a sua volta: Roger teneva gli occhi incollati su quelle pagine ma non aveva ancora detto una parola. Forse non gli piaceva ma non sapeva come dirlo...
Improvvisamente insicuro, Brian fece per riprendere possesso del quaderno, adducendo una scusa semplice come “non è ancora ultimata, ci devo ancora lavorare su...”, ma Roger lo allontanò dalla sua presa, continuando imperterrito a leggere testo e spartito. Brian si allungò in un secondo tentativo, ma di nuovo Roger glielo impedì, appoggiando una mano contro il suo petto e spingendolo nella direzione opposta.

-Vuoi stare tranquillo!?- esclamò il biondo alla fine, leggermente irritato. -Nessuno mi ha insegnato a leggere la musica pentagrammata, né tanto meno il solfeggio: ho imparato da solo! Per cui ci metto un po' più di tempo, va bene? Non prenderlo come un insulto! Non potevi semplicemente scrivere gli accordi?!-

Forse fu il fatto che, sentendosi a suo agio, gli aveva dato del tu; forse fu perché gli aveva rivelato qualcosa di lui e quella confidenza lo aveva commosso immediatamente... non avrebbe saputo dire. Fatto sta che sentì il cuore battergli un po' più rapidamente. Il ritmo accelerò ancora quando anche Roger, tramite la mano ancora appoggiata contro il suo petto, se ne rese conto e, distogliendo finalmente lo sguardo dalle pagine coperte di scritte e correzioni, lo guardò negli occhi.

Lo sguardo era appena appena confuso e quando le sue labbra si aprirono leggermente, impacciate, Brian non esitò e si spinse contro di esse in un bacio che non aveva programmato. Un bacio che, lento e dolce, gli parve la cosa più spontanea e naturale del mondo.

 

 


 


 


 

Angolino autrice:

Sono passati dieci giorni dall'ultimo aggiornamento! Vi chiedo scusa per il ritardo! E vi chiedo scusa anche per aver concluso proprio in questo punto il capitolo '''^^ Non odiatemi! XD Originariamente il capitolo doveva essere più lungo ma quando mi sono resa conto che sarebbe stato troppo lungo, ho pensato fosse meglio dividere a metà. Ma non preoccupatevi, non vi farò aspettare molto per la seconda metà: la sto già correggendo ^^

Un paio di piccolissime precisazioni.
Ho citato di nuovo il romanzo Lontano dal pianeta misterioso di Lewis e finalmente spiego perché: in una piccola intervista che avevo trovato tempo fa ricordo di aver letto che Lewis sia proprio uno degli autori preferiti di Brian, insieme ad Hesse, se non sbaglio. Per questo stesso motivo ho voluto citare anche “Narnia”, nonostante, cronologicamente parlando, quest'ultima saga non fosse ancora stata scritta. Chiedo venia: esigenze di trama XD Le Cronache di Narnia era assolutamente perfetto in questo caso in quanto mi sono voluta ricollegare (per antitesi) alla scena del film in cui il protagonista, salendo sullo yacht, apre una porta convinto di entrare in una stanza per poi rendersi conto che si trattava solo di un armadio.

Chiunque conosca bene il film avrà riconosciuto anche quel “non importa quando si arriva ma con chi si arriva...” XD avevo una voglia matta di inserirla come citazione e spero che vi abbia divertito! ^^

Per concludere, il piccolo flashback con Jim e Freddie originariamente non era presente, ma in molti mi avete chiesto di leggere qualcosina in più su di loro, così ho deciso di aggiungerlo :-* spero di non aver deluso le aspettative di nessuno. Se dovesse esservi piaciuto potrei valutare di aggiungere ancora qualcosa nei prossimi capitoli ^^

Basta, basta, come sempre scrivo troppo!

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ^^ Dal prossimo cominceranno a succedere ROBEH XD

Come sempre ringrazio tutti quanti voi che leggete, recensite, preferite e seguite questa storia! <3 Vi mando un bacione enorme e vi faccio, anche se ormai è passata, gli auguri di Pasqua! :-*

A presto!

Carmaux

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Capitolo 11
*** CAPITOLO DIECI ***


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CAPITOLO DIECI

Gli era capitato più di una volta, ascoltando una canzone alla radio ma anche nei momenti in cui componeva insieme a Freddie: ascoltava un pezzo e lo trovava interessante, solo interessante; gli capitava poi di riascoltare quello stesso identico pezzo in un altro momento e, pur conoscendolo già, improvvisamente qualcosa lo colpiva – non avrebbe saputo definire cosa nello specifico – facendogli desiderare di ripetere quelle note, quel ritmo, quelle parole ancora una volta... e un'altra ancora. Come se improvvisamente non ci fosse altra canzone al mondo che avesse voglia di ascoltare.

La prima volta che aveva parlato con Brian, sorvolando il trauma iniziale e la paura di essere scoperto, lo aveva trovato interessante: aveva trovato piacevole la sua compagnia e coinvolgente la sua passione per il proprio lavoro. Brian si era rivelato quel genere di persona che parlava e non si poteva fare a meno di ascoltare. Questi erano stati i suoi pensieri quando era tornato in albergo quella sera. Niente più.
Il suo giudizio a proposito non era cambiato durante quella telefonata in tarda serata. L'unica differenza era stata che in quel momento era stravolto e, per quanto il professore sapesse catalizzare l'attenzione, allo stesso tempo la sua voce sortiva lo stesso effetto di un bicchiere di latte caldo: complice il letto su cui si era malauguratamente sdraiato, dopo un po' aveva ceduto alla stanchezza.

Seduto su quel divano, invece, nel momento in cui Brian si era sporto per recuperare il proprio quaderno, qualcosa era cambiato: la prima volta che aveva allontanato le mani per impedirgli di sottrargli quelle pagine gli era venuto da sorridere, divertito o forse intenerito da quell'improvviso imbarazzo, ma si era trattenuto.

In quel preciso momento aveva capito che forse Freddie aveva dato un'interpretazione dei fatti poi non così lontana dalla realtà, che forse aveva visto lungo.

Aveva capito che non trovava quella compagnia solo interessante: gli piaceva. Aveva capito che Brian gli piaceva.

Al secondo tentativo da parte di quest'ultimo di togliergli dalle mani il quaderno, Roger lo aveva scostato, innervosito non tanto dalla sua insistenza quanto dalla vicinanza. E di nuovo non lo aveva guardato, rendendosi conto che gli aveva dato del “tu”.

La mano ancora appoggiata contro il suo petto, attraverso la camicia aveva percepito il suo cuore battere più rapidamente e solo allora si era girato e aveva alzato gli occhi, come a voler controllare che non fosse solo frutto della sua immaginazione.

E di colpo Brian gli si era avvicinato ancora di più e lo aveva baciato, cogliendolo di sorpresa e imbambolato.

Dopo qualche istante diede di matto.

La mano che lo aveva allontanato agì di nuovo spingendolo indietro; la bocca aperta, gli occhi sgranati e il respiro improvvisamente corto, si alzò di scatto dal divano, allontanandosi di qualche passo, senza rendersi conto che Brian avrebbe potuto interpretare quel gesto negativamente.

Non fu quella la sua intenzione nemmeno quando, senza fiato, come se quel semplice bacio – nonostante fosse stato il più innocente che avesse mai ricevuto, a dire il vero – gli avesse svuotato completamente i polmoni, si rivolse a Brian che si stava a sua volta alzando per venirgli incontro: -Hai qualcosa da bere? Qualunque cosa: basta che sia alcolico.-

Il riccio annuì, leggermente deluso, e tornò poco dopo con un bicchiere di vino: Roger quasi lo strappò dalle sue mani e cominciò a bere a grandi sorsi.

Non voleva sconfortarlo ma, colto alla sprovvista e da così poco tempo davvero consapevole dell'interesse che nutriva nei suoi confronti, si era agitato.
Perché in fondo Fred glielo aveva rinfacciato fin dal primo giorno... da quella mattina in cui lo aveva scaraventato giù dal letto per vendicarsi di essere stato piantato in asso.
“Come lo hai trovato?”
“Intelligente, immagino.”
“Ci hai parlato per delle ore e questo è tutto quello che hai da dire?”
“Cosa ti aspettavi che dicessi, scusa?”

Si aspettava che dicesse esattamente quello a cui, adesso, non riusciva a smettere di pensare. Roger, tuttavia, in quel momento non gli aveva mentito... semplicemente non se ne era reso conto. Il sorriso che gli era nato vedendo Brian così imprevedibilmente imbarazzato, aveva fatto scattare una campanella d'allarme che, in quel preciso momento, gli stava gridando che si trovava in una situazione nuova e che non aveva idea di come gestire.

Il chitarrista approfittò del momento in cui Roger si portò il vino alle labbra per parlare con voce sommessa: -Non volevo metterti a disagio...-

Quasi non aspettò di deglutire per rispondere con una palese bugia che venne gorgogliata ad un'ottava più alta del normale: -Non sono a disagio.-

-Roger...- proseguì Brian paziente.

-Non sono a disagio. Sono... sorpreso.-

-Quando sei così irrequieto, non hai fiato e parli in falsetto non sei sorpreso: sei nel panico.-

-Non sono impanicato.- dichiarò. -Non sto... sclerando. Non sto sclerando!-

Brian avrebbe sorriso di quel suo parlare colloquiale, ma in quel momento annuì: -Un pochino...-

Quasi senza rendersene conto Roger imitò il suo gesto e crollò: -Un pochino... un po' tanto...-

-Scusami...-

-No.-

-No?-

Roger scosse la testa, mentre finiva il vino, sotto gli occhi indecifrabili di Brian. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani: già faceva fatica a riflettere, se poi si aggiungeva il chitarrista guardandolo in quel modo non riusciva più nemmeno a seguire un filo di pensiero.

-Solo...- sussurrò, tenendo lo sguardo basso.
Gli era piaciuto, quel bacio. Nonostante lo avesse respinto immediatamente, quel semplice contatto gli aveva generato una scossa elettrica lungo la spina dorsale. E ora Brian era lì di fronte a lui: sarebbe bastato un passo. Un passo che si rendeva conto di aver il terrore di fare. Per la seconda volta Freddie si insinuò prepotentemente nella sua mente: “Quando hai paura non riesci a ragionare”.
Eppure... non c'era molto su cui ragionare... perché in fondo non era il tipo di paura a cui era abituato... era qualcosa di irrazionale che, però, non gli faceva muovere un muscolo. Capì che lui non si sarebbe mosso ma che, al contempo, forse aveva bisogno solo di una spinta...

-Solo... potresti... farlo ancora?-

Imbarazzato, non si azzardò a sollevare la testa e stritolò il povero calice, mettendo a dura prova la sua resistenza fino a quando Brian non glielo sfilò delicatamente dalle mani, appoggiandolo sul tavolino vicino per poi avvicinarsi e accarezzargli lentamente le guance lisce.

Le sue mani erano fresche e quando le dita gli accarezzarono il labbro inferiore Roger non riuscì a trattenere un sibilo, sollevando finalmente lo sguardo.

Brian allora si chinò su di lui e lo baciò di nuovo. Fu esattamente come la prima volta: delicato, calmo, breve... studiato. Si sollevò poco dopo, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi:

-Ancora?-

Roger annuì con la testa e, leggermente insicuro, seguì di nuovo i lenti movimenti dettati da Brian. Si rese conto che non voleva spaventarlo, che temeva che se avesse... esagerato, lui avrebbe dato di matto di nuovo, spingendolo via.

Si sentì uno stupido ragazzino, un goffo scolaretto alla sua prima cotta, indeciso su cosa fare, impacciato nei movimenti: sollevando le braccia, non seppe subito come comportarsi... sapeva solo che non aveva alcuna intenzione di allontanarlo, così alla fine appoggiò le mani sui suoi fianchi, stringendo il tessuto della camicia fra le dita.

In risposta le dita di Brian scivolarono sulla nuca, stringendogli i capelli biondi e facendolo sospirare mentre glieli tirava leggermente per sollevarsi da lui. Sorrise appena nel vedere che rimase lì, con le labbra appena schiuse, senza aprire gli occhi: -Anco...-

Non fece in tempo a concludere la domanda: trovando finalmente un filo di sicurezza, Roger trasformò quell'imbarazzata presa sui fianchi in un abbraccio, premendo il corpo contro il suo con tanta irruenza che Brian indietreggiò di un paio di passi.

Capendo che non lo avrebbe più respinto, il professore strinse ancora la presa nei suoi capelli e si girò, trascinando il ragazzo con sé verso il divano.


 


 

-Ma... io non sono un amministratore.- sussurrò John, tormentandosi le mani. Dopo diversi secondi di silenzio si decise ad alzare lo sguardo: dall'altra parte della scrivania, l'uomo era sdraiato sulla sua poltrona e teneva i piedi incrociati sul tavolo; il viso nascosto dietro alle pagine di un voluminoso giornale fitto di articoli. -Signore...- provò a dire di nuovo John.

Con un fruscio, le pagine si abbassarono: -Hai forse detto qualcosa?-

Il messaggio era chiaro: non aveva alcuna intenzione di discutere.

Ma doveva almeno provarci: -Non credo di essere la persona adatta...-

-Sei silenzioso e passi inosservato.-

-Ma non me ne intendo di... amministrazione... o di economia. Io... io suono il basso...-

L'uomo dietro la scrivania sbuffò e chiuse definitivamente il giornale: -Non mi importa. Serve un amministratore quindi farai l'amministratore.-

-Ma signore...-

-Non è una conversazione che ammette repliche, Deacon: che sia chiaro.-

-È solo che... non so in che modo potrei esservi d'aiuto.-

-In questo momento non ho nessun altro. E per di più, nessuno si interesserà a te: l'uomo che detta le regole spesso è un uomo a cui si vuole stare alla larga. Dico bene?- John abbassò lo sguardo sulle proprie mani e non rispose, capendo la frecciatina. -Quando arriverai a Miami ti telefonerò e ti aggiornerò sui tuoi compiti.-

John provò di nuovo: -Tre settimane... tre settimane sono lunghe.-

-Dieci anni sono più lunghi.-

Si morse le labbra ma non riuscì a trattenersi: -Intendo dire che forse... dopo...-

L'uomo distolse lo sguardo e rifletté, o forse finse di riflettere: -Sì... forse dopo...- e con un gesto della mano lo dileguò.

John si alzò dalla seggiola e si avviò mestamente verso la porta dell'ufficio, ma quando fu sul punto di andarsene parlò di nuovo: -Che genere di compiti?-

In risposta l'uomo gli lanciò un opuscolo che John fu costretto a raccogliere da terra. Lo lesse silenziosamente, corrugando la fronte: “Decimo congresso degli amici dell'Opera italiana”.


 


 

Non sapeva bene come fosse finito in quella situazione. Non che gli dispiacesse, chiaro, ma un attimo prima stringeva un calice di vino vuoto... e un attimo dopo una scia di baci gli inumidiva il collo, da sotto le orecchie fino alle clavicole; il corpo sovrastato da quello di Brian.

Le sue mani stavano annegando nei ricci castani del chitarrista, come a volerlo dirigere: ma Brian non aveva bisogno di una guida, sapeva esattamente cosa stava facendo e, come se lo conoscesse da sempre, sapeva esattamente anche dove sfiorarlo e in che modo. Gli baciò il mento e subito dopo tornò a dedicarsi al collo, invogliato dai sospiri che Roger non provava nemmeno a frenare. La sua lingua trovò un punto che ancora non aveva saggiato e i denti lo marchiarono voracemente. Il gemito che sfuggì dalle labbra del biondo gli fece sollevare la testa per osservarlo: per osservare le labbra gonfie, arrossate da tutti quei baci, frementi per il respiro affannato... per studiare il groviglio dei suoi capelli dispersi disordinatamente sul divano... per ammirare i grandi occhi liquidi che, non appena il caldo abbraccio delle sue labbra sul collo venne meno, si aprirono come a chiedere una spiegazione... o almeno, immaginò che Roger li avesse aperti, perché in quel momento non li vedeva nemmeno. Sorrise intenerito e gli sfilò delicatamente gli occhiali le cui lenti, completamente appannate, mascheravano quelle gemme azzurre.

Facendo scendere le mani dai capelli alla schiena, Roger lo abbracciò e sollevando il capo, ricambiò il gesto, baciandolo come aveva fatto lui, lambendogli golosamente l'incavo tra il collo e la spalla fino a quando Brian non si abbassò nuovamente.

In amore, Roger aveva sempre avuto il controllo della situazione: voleva avere il controllo. Sapeva come e quando lasciarsi andare, che gemiti trattenere e che sospiri concedersi, e, in parole povere, se la godeva.
Ma in quel momento, con Brian, non stava capendo assolutamente niente. Ogni volta che lo accarezzava sentiva dei brividi partire dalla nuca e scivolare fino alla punta delle dita; brividi che mandavano in corto circuito la sua mente, facendo agire i muscoli per conto loro, senza aver ricevuto ordini: quando le dita di Brian aprirono i primi bottoni della sua camicia – e la giacca? Quando gliela aveva sfilata? - e sfiorarono quel nuovo lembo di pelle scoperta con una carezza sostituita subito dopo da un'altra serie di baci, inarcò automaticamente la schiena. Percepì chiaramente un sorriso compiaciuto incurvare le labbra di Brian mentre, tirandogli i capelli, Roger lo indirizzava nuovamente sulle sue labbra. Ma non gli importò. Non gli importava di niente che non fosse i caldi sospiri di Brian contro la sua pelle. Lasciò che le loro lingue si incontrassero, che i respiri si confondessero ancora una volta in una eccitante e umida melodia.

Un'inaspettata interferenza distolse Brian da quella danza, portandolo a sollevare la testa indirizzando lo sguardo verso il telefono che squillava in un angolo del salone.

Roteò gli occhi, piegando le labbra verso l'interno quando sentì Roger cercarlo di nuovo, mordendogli leggermente il lobo.

-Rog... devo rispondere.-

Il biondo lo squadrò, sgranando gli occhioni azzurri: -Cazzo, stai scherzando?!-

-No: potrebbe essere importante.-

-Se è importante richiameranno.- lo trascinò di nuovo sulle proprie labbra impedendogli, per qualche secondo, di rispondere.

Solo per qualche secondo: -Potrebbe essere una telefonata transoceanica.- farfugliò, per quanto gli fu possibile.

-E 'sti cazzi?-

Brian rise contro le sue labbra, e si sollevò di nuovo, traducendo per Roger il significato di quella frase: -Potrebbe essere la mia famiglia.-

Il batterista sbuffò, ma alla fine annuì comprensivo: dopotutto, se avesse avuto l'opportunità di parlare con sua madre o con Clare, l'avrebbe colta anche lui. A malincuore vide Brian alzarsi da lui, dopo avergli lasciato un ultimo bacio sulla fronte.

Roger lo osservò allontanarsi, il respiro ancora affannato. Si passò una mano sulla fronte, e sospirò rumorosamente mettendosi a sedere. Doveva avere un aspetto particolarmente buffo dato che Brian, dopo aver sollevato la cornetta per rispondere, si era girato e gli aveva sorriso. Probabilmente aveva i capelli spettinati in maniera indescrivibile... per non parlare delle guance e delle labbra arrossate...
Da un certo punto di vista si vergognava un po' di essersi lasciato trasportare in quel modo. Ma era tanto tempo che non si sentiva così... bene. Nemmeno quando passava la notte con Dominique riusciva a dimenticare i problemi che lo assillavano tutti i giorni. Certo, se la spassava, ma una parte di lui ricordava comunque i debiti o l'affitto non ancora pagato...
In quel momento invece non riusciva a pensare a niente. Gli veniva solo da sorridere e da ripercorrere mentalmente il tragitto di ogni singolo bacio.
Stava bene...
Se non fosse stato che pensava di meritare almeno un filo di quella felicità, si sarebbe davvero vergognato. Vergognato del modo in cui stava guardando quell'astrofisico alto quasi due metri; vergognato del gesto che continuava a ripetere passandosi la lingua sulle labbra, come a voler assaporare gli ultimi rimasugli di quei baci; vergognato del fatto che, se dall'altro capo del telefono non ci fosse stata la sua famiglia, gli sarebbe tranquillamente saltato addosso di nuovo in quel preciso momento.

Cazzo... Freddie lo avrebbe sfottuto a vita... riusciva già a sentire la sua voce sibillina e fastidiosa mentre, con un sorrisetto soddisfatto, gli rinfacciava che “glielo aveva detto!”.

Cercando di distrarsi, allungò una mano e prese il giornale, appoggiato sul tavolino di fronte al divano. Non era particolarmente interessato ad alcuna notizia, ma doveva distogliere lo sguardo da Brian prima di rendersi ridicolo. Sfogliò le prime pagine con noncuranza fino a quando la realtà decise di riportarlo con i piedi per terra con la sua consueta brutalità.

Osservando la fotografia che occupava mezza pagina e leggendo il titolo in stampatello, si sentì mancare il fiato. Lanciò uno sguardo preoccupato a Brian, trovandolo, fortunatamente girato da un'altra parte. Con un gesto secco strappò la pagina, la ripiegò più volte su sé stessa e la nascose nella tasca dei pantaloni. Richiuse il giornale e lo lanciò sul tavolino appena prima che Brian si voltasse nuovamente e, prendendo il corpo del telefono in mano, si avvicinasse al divano, tornando a sedervisi.
Per dissimulare, Roger prese un'altra delle riviste e, senza rifletterci, si sdraiò, appoggiando la testa sulle sue gambe mentre lui continuava a parlare.

Brian gli sorrise dall'alto mentre il biondo soffocava l'ennesimo sbadiglio in una rivista di animali.


 


 

Freddie chiuse la porta della camera dietro le proprie spalle con un gesto fulmineo impedendo a Veronica di entrare:

-Scusa, ma Clare non si sente ancora bene... adesso sta... dormendo.- dichiarò sperando di convincere la brunetta a lasciar perdere.

-Mi dispiace tanto...- sussurrò quest'ultima. -Credi che riuscirà a suonare dopo cena?-

In tutta onestà, Fred non ne aveva la più pallida idea. Cosa gli aveva detto quello stronzetto? “Vado, recupero i nostri appunti e torno”.

Certo!

In cuor suo sapeva che non avrebbe rispettato i piani, che si sarebbe trattenuto più a lungo. Ma non pensava così tanto!

Quando John, all'ora di cena, era venuto a bussare alla loro porta per richiamarle ai loro doveri, Fred si era dovuto inventare una scusa che convincesse l'amministratore e, soprattutto, che gli impedisse di entrare in camera a confutare la bugia. Per quanto semplice, l'aver raccontato che Clare si fosse sentita male dopo pranzo, fu efficace e, per una sera, il signor Deacon aveva concesso di portare avanti uno spettacolo senza la batteria.

Tuttavia Fred non era sicuro che sarebbe stato così cortese anche con l'ultimo spettacolo del giorno, a meno che Clare non fosse proprio ad un passo dalla tomba... ma in quel caso avrebbe probabilmente fatto chiamare un dottore...

E come se non bastasse, si era aggiunta pure Veronica che, preoccupata per l'amica, avrebbe voluto vederla o assisterla. Con un giro di parole Freddie era riuscito ad allontanare pure lei ma ora cominciava a temere per la serata.

Sedendosi sul proprio letto con le braccia incrociate sul petto, giurò che se Roger non fosse tornato per l'ultimo spettacolo della giornata, la mattina dopo gli avrebbe fatto rimpiangere di essere nato... sempre che ci arrivasse, al mattino: l'idea di strangolarlo nel sonno cominciava ad presentarsi in tutte le sue allettanti sfumature.


 


 

Brian accarezzava quelle morbide ciocche bionde, pettinandole lontane dagli occhi chiusi di Roger e gustandosi ogni singolo secondo di quel silenzio interrotto solo dai respiri profondi del più giovane. La testa ancora appoggiata sulle sue gambe, Roger dormiva già da un bel po', ma a Brian non dispiaceva, al contrario.

Quando aveva concluso la telefonata con la propria famiglia, aveva passato una mano fra i suoi capelli, facendo sollevare lo sguardo a Roger che, alzando il naso dalla rivista, gli aveva regalato un sorriso.

Avevano candidamente chiacchierato, sentendosi perfettamente a loro agio così, semplicemente parlando e prendendosi in giro a vicenda.

Fino a quando Brian, immerso nel racconto di un interessante convegno al quale aveva partecipato qualche mese prima, non ottenne più risposta. Evitò di ridere, pensando che si era appena ripetuta la stessa scena della sera prima, per non svegliarlo.

Avrebbe potuto continuare a coccolarlo per ore.
Vederlo così tranquillo e rilassato lo faceva sorridere e finalmente riuscì ad immaginarlo con il naso immerso fra le pagine di un libro. Si guardò intorno, cercando con lo sguardo la trilogia che aveva catturato la sua attenzione qualche ora prima. Si chinò lentamente, evitando movimenti bruschi e la prese in mano girando le pagine che raccontavano la storia del suo primo semestre universitario.

La pendola rovinò i suoi tentativi di preservare il sonno del giovane dentista. In quel momento si maledì per averla programmata di modo che suonasse un'ora prima dell'ultimo spettacolo di John. O meglio, si maledì di non averla disinserita prima che Roger si addormentasse... non che potesse immaginare che si sarebbe addormentato, ma comunque...
Quando era arrivato a Miami aveva predisposto che suonasse tutti i giorni a quell'ora: conoscendosi, nei lunghi pomeriggi trascorsi in barca avrebbe portato avanti i propri studi, con il risultato di perdere la concezione del tempo; aveva tuttavia promesso a John che avrebbe assistito alle serate dell'orchestra e una semplice sveglia era stata un buon compromesso per rispettare promesse e passioni.

Controllò Roger ma, con sorpresa, si accorse che stava ancora dormendo...
Doveva essere davvero stravolto se continuava a dormire così profondamente nonostante il rintocco della pendola.

Lo accarezzò di nuovo, grattando delicatamente il cuoio capelluto.
A quel punto però – ora che si rendeva conto di che ore fossero – non sapeva se svegliarlo o meno... da un certo punto di vista lo avrebbe lasciato dormire lì sulle sua gambe anche tutta la notte; dall'altro non voleva sentirsi in colpa nei confronti di John che, ora più che mai, sembrava aver bisogno di qualcuno vicino.

Aspettò ancora qualche minuto prima di appoggiare una mano sulla sua spalla, stringendola appena. Roger farfugliò qualcosa e si stropicciò gli occhi con il dorso della mano. Quando schiuse gli occhi ruotò il polso per leggere l'ora. Brian lo vide stringere gli occhi per mettere a fuoco più facilmente.

-Cristo...- biascicò. -Oh porca puttana!- e di colpo si sbracciò per cercare un appiglio a cui aggrapparsi per tirarsi su: per poco non colpì Brian in piena faccia nell'afferrare lo schienale per mettersi a sedere. In meno di un secondo era in piedi e, dopo un piccolo giramento dovuto all'improvviso cambio di pressione che per poco non gli fece perdere l'equilibrio, si stava affaccendando in giro per il salone: -Dov'è la giacca?-

Questa volta non riuscì ad impedirselo: Brian scoppiò a ridere per via di quell'improvviso ribaltamento della situazione. Da quel religioso silenzio cadenzato dal lento respirare del biondo alle imprecazioni appena sveglio nel tentativo di rimettersi in piedi nonostante la stanchezza.

-Non c'è niente da ridere! Dove cazzo è la giacca?-

Brian la individuò e la raccolse da terra, alzandosi e aiutandolo ad indossarla quando, nella fretta, mancò di infilare una delle maniche.

-Che succede?-

Roger infilò la mano in una delle tasche e ne tirò fuori un barattolino. Lo osservò e scosse la testa arrabbiato: -Analgesici di merda!- sibilò fra i denti.

-Rog, ma che succede?- il sorriso ancora sulle labbra.

-Avevo un...- nascose di nuovo le pillole nella giacca. -appuntamento di lavoro...-

-Quando?-

-Circa cinque ore fa.-

-Uno di quei pazienti che non si adattano all'orario d'ufficio?-

Roger, dopo qualche istante, annuì: -Sì... più o meno... e adesso il mio capo mi sgriderà! Già ho le pezze al culo... se poi perdo anche le giornate di paga...-

-Temi... temi che possano licenziarti?- domandò Brian, tornando improvvisamente serio, cominciando a capire il motivo di tanta agitazione.

-No... non credo... lo spero cazzo... ma devo tornare subito a terra, devo cercare di salvare il salvabile.-

Brian gli sistemò la giacca sulle spalle, notando che era di almeno una taglia troppo grande. Un'altra domanda gli sorse spontanea: -A cosa ti servono gli analgesici?-

-Mi fa male un dente.- rispose Roger sistemandosi la camicia nei pantaloni.

-Ironico.-

-Come?-

-È ironico che un dentista abbia mal di denti.- spiegò semplicemente. -Perché non ti fai vedere da uno dei tuoi colleghi?-

Alla domanda Roger abbassò la testa e la scosse rapidamente, improvvisamente a disagio: -Io non... noi... non... non andiamo d'accordo.-

-Oh, mi dispiace... come mai?-

-Non è niente.- tagliò corto scrollando le spalle. -È un periodo un po' particolare... ed è da un po' che ho un rapporto... strano... con le persone.-

-Strano in che senso?-

-Tipo che loro respirano e io mi incazzo.-

Brian strinse fra le mani il colletto della giacca: -D'accordo, non ne vuoi parlare. Lo capisco...- sorridendogli lo attirò a sé per un ultimo bacio. -Ti riporto a riva.-


 


 

Chiuso nella cabina telefonica, John aveva incrociato le braccia sul petto e reclinato la testa, appoggiandola contro il vetro. Teneva gli occhi chiusi, aspettando.

La chiamata sarebbe dovuta arrivare proprio a quella cabina.
L'appuntamento telefonico era già passato da dieci minuti, ma in fondo il suo datore di lavoro non era mai stato un uomo puntuale.

Non poteva fare altro che aspettare.

Sussultò, quando, con un rumore secco, la porta della cabina si aprì, per richiudersi subito dietro le spalle di Veronica.

-Mi scusi ma... io...- bofonchiò colto di sorpresa.

-È chiuso qui dentro da minuti interi... si sente bene? Sembra triste...-

-Io... sì, cioè no: sto solo aspettando una chiamata di lavoro.-

Veronica gli si avvicinò, stringendolo in un abbraccio. John rimase immobile per un momento, ma quando la ragazza appoggiò la testa contro il suo petto... pensò che forse si stava punendo più del necessario: forse, in fondo, negarsi anche quel piccolo gesto di attenzione dei suoi confronti era troppo. Le avvolse la schiena, appoggiando la guancia sulla sua testa.

-Perché sei così triste?- gli sussurrò la ragazza, alzando il viso per guardarlo negli occhi. -Te lo leggo negli occhi...- aggiunse quando John tentò di negare scuotendo la testa.

Le sorrise, accarezzandogli la guancia con due dita.

Veronica rispose al sorriso avvicinandosi ancora di più e sfiorando la punta del naso di John con il proprio.

Il musicista chiuse gli occhi, lasciandosi coccolare da quell'amorevolezza inaspettata.
Fino a quando decise che forse... poteva concedersi qualcosina in più. Che voleva qualcosa in più.

Sfiorò appena le sue labbra, non in un vero bacio ma in una sorta di muta richiesta di permesso. Con un sospiro sorridente fu Veronica ad avvolgere le braccia attorno al suo collo, sollevandosi sulle punte.

Il telefono squillò tre volte prima che John cercasse di sollevarsi dalle sue labbra. Sollevò la cornetta lasciando un ultimo bacio sul naso della brunetta ma non rispose. Con gli occhi pregò Veronica di uscire: non voleva che ascoltasse quella telefonata...

La ragazza sembrò leggergli nella mente e, sciogliendo – lentamente, troppo... – l'abbraccio e uscendo dalla cabina. John la osservò allontanarsi con il sorriso sulle labbra e quasi non sentì la voce del suo datore di lavoro:

-Come? Ah, sì, sì, pronto... sì, signore... no, signore... il salone è grosso, con una sola entrata e uscita... sì, signore: c'è un'altra sala e la usano solo per i convegni... hanno montato oggi gli striscioni e i cartelloni che pubblicizzano il “Decimo congresso per gli amanti dell'opera italiana”... esatto: useranno proprio quella sala. Stavo pensando che...-

Si fermò, interrotto brutalmente dall'uomo dall'altra parte del telefono; rimase in silenzio, ascoltando. E di colpo alzò le sopracciglia: -Cosa? Lei-lei viene qui?- rifletté in fretta ma non appena aprì bocca l'uomo lo interruppe di nuovo, zittendolo.

Forse se lei è qui non è necessario portare avanti questa messa in scena per un'altra settimana!
Forse me ne posso andare... no? Il mio lavoro l'ho fatto...

Questo avrebbe voluto chiedere, ma non ne ebbe il tempo: la telefonata si concluse brutalmente come era cominciata. Appoggiando la cornetta si morse le labbra e, già che c'era, appoggiò la fronte contro il telefono, dandosi dell'idiota: perché bastava così poco per metterlo in soggezione? Se non fosse stato così maledettamente timoroso avrebbe alzato la voce e si sarebbe fatto sentire.

Scosse la testa, aprendo la porta della cabina e uscendo: lui non era così. O meglio, lo sarebbe anche potuto essere, qualora si fosse trovato a suo agio con chi aveva davanti. Ma anche se in un'altra città, quell'uomo maledetto riusciva a metterlo talmente a disagio da portarlo ad annuire con sottomissione.

Cercò il lato positivo della situazione: forse l'aver tenuto a freno la lingua si sarebbe rivelato un bene; la sua collaborazione senza lamentele avrebbe segnato punti in suo favore...

Alzò la testa appena in tempo per accorgersi della figura che gli stava venendo incontro a tutta velocità: si fermò di colpo e una bicicletta gli sfrecciò a pochi centimetri di distanza. Forse quel piccolo “lato positivo” non gli aveva alleggerito il cuore come sperava se attraversava la strada senza nemmeno guardarsi intorno per precauzione. Storse le labbra e incassò il meritato insulto per poi rientrare in albergo.


 


 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno my lovies! ^^

Ecco qui il capitolo che molti di voi stavano aspettando! Un capitolo importante non solo per gli sviluppi maylor :-P

Per quanto riguarda questi ultimi – facendo sempre riferimento al film a cui questa storia si ispira – ho voluto mantenere il dettaglio degli occhiali che si appannano ^^ e l'idea che Roger chieda a Brian di baciarlo, incoraggiandolo a farlo più volte... cercando di ricalcare, anche se in chiave chiaramente diversa, la scena in cui Joe finge di essere frigido e disinteressato, spronando Sugar a baciarlo per avvalorare la propria tesi.

Chi conosce il film a cui questa storia si ispira... beh, forse avrà cominciato ad intuire in che modo John potrebbe essere coinvolto in tutta questa faccenda ^^
Per chi invece non lo conosce, beh, ci saranno alcune sorprese nei prossimi capitoli! ^^

A questo giro non ho molto altro da aggiungere, per cui non vi disturbo ^^ Anzi, sì, vi disturbo per un'ultima piccola cosa: vorrei chiedere scusa a tutti voi che avete recensito! Purtroppo non sono proprio riuscita a rispondere alle vostre bellissime parole! Rimedierò appena potrò! Scusatemi!

Spero davvero che il capitolo sia stato di vostro gradimento!

E come sempre, grazie mille a tutti quanti voi che leggete, recensite, ricordate, seguite e preferite questa storia! <3 Davvero, grazie! *.*

Vi mando un bacione!

A presto!

Carmaux

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Capitolo 12
*** CAPITOLO UNDICI ***


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CAPITOLO UNDICI

-Vi porto del caffè?-

John stava per rispondere al cameriere con un'affermazione, ma Brian lo precedette: -No, forse è meglio del tè, grazie...-

Il bassista guardò l'amico con un'espressione interrogativa e quest'ultimo si affrettò a spiegare: -Sembri molto su di giri... ma non in senso buono: non credo che ti serva del caffè... ti senti bene?-

Come sempre a Brian bastava uno sguardo per capire se qualcosa non andava. Da un certo punto di vista John si domandava come mai se ne stupisse ancora.

Scrollò le spalle: -Sono un po' agitato...-

L'amico non gli fece pressione, concedendogli tutto il tempo che voleva – di cui aveva bisogno – per sospirare e finalmente confessare cosa lo tormentava: -Oggi verrà qui il mio... datore di lavoro. Non era previsto che venisse... quindi... insomma, avrei dovuto svolgere questo lavoro da solo per tre settimane, ma forse ora...- accennò un sorriso che, però si spense subito, quando John affondò gli occhi nell'oscurità della tazza fumante che Jim gli aveva appena appoggiato davanti. -Non è che non mi trovi bene qui...- proseguì. -È solo che... questo non è il mio posto.-

Brian annuì silenziosamente ma si morse l'interno della guancia: non sapeva come aiutare il suo migliore amico...

-Però.- riprese John con un'improvvisa sfumatura vivace nella voce: -Questo potrebbe essere il mio ultimo lavoro! Potrei tornare a suonare a tempo pieno! Ho alcune idee per qualche nuova canzone!-

Brian annuì per la seconda volta e abbassò lo sguardo. Sapeva cosa stava facendo: spostava la conversazione su un argomento che coinvolgeva l'amico più da vicino per distrarsi – e distrarlo – dall'argomento che lo metteva a disagio. John, in questi casi, diventava sfuggevole, consapevole del fatto che non avrebbe saputo reggere il suo sguardo indagatore.

Non che Brian volesse risultare così inquisitore pur rimanendo in silenzio, ma era consapevole del fatto che i suoi occhi spesso sapessero essere penetranti anche senza che lui lo volesse.

L'unica cosa che voleva davvero era consolarlo... ma, riflettendo, capì che non era quello che John si aspettava da lui: non voleva la sua compassione, non voleva che lo soccorresse. Voleva solo e semplicemente la sua compagnia, sentirlo vicino.

-Alla fine ti sei deciso.- Brian sorrise, sedendosi più comodo sulla sedia.

-A fare cosa?-

-Quel passo in più con Veronica.-

-E tu come lo sai?-

-Non sono cieco.-

-Quando ci avresti visto?!- esclamò nascondendo un filo d'imbarazzo portando la tazza alle labbra e bevendo un lungo sorso.

-Non l'ho fatto: mi è bastato vedere te.- ridacchiò soddisfatto. -Certe cose te le si leggono in faccia.-

-Senti chi parla! Io almeno non te lo rinfaccio.-

Preso alla sprovvista, Brian tornò serio: -Cosa vuoi dire?-

-Oh, nulla... sono sicuro che ieri non hai passato il pomeriggio con un certo dentista biondo.-

-Come...-

John alzò le sopracciglia compiaciuto e alla fine anche Brian si ritrovò a sorridere, complimentandosi mentalmente con l'amico per come fosse riuscito a ribaltare la conversazione in meno di un secondo. Il bassista, infatti, rincarò la dose con un sorriso: -Allora?-


 


 

-Che cazzo ti aspettavi, scusa?! Dovevano scrivertelo sul foglietto illustrativo? “Istruzioni per idioti o per Roger: non mescolare alcool e farmaci che provocano sonnolenza! Attenzione! Tenere fuori dalla portata dei rincoglioniti”!-

Roger fece una smorfia, infastidito dalla voce di Freddie, troppo alta per i suoi gusti. Da un certo punto di vista doveva ringraziarlo: non gli aveva urlato addosso nel momento in cui era entrato in camera passando dalla finestra perché erano troppo in ritardo per l'ultimo spettacolo della serata... e una discussione in quel momento avrebbe solo peggiorato la situazione, con il rischio di farli scoprire nel caso John fosse venuto a controllare che Clare stesse abbastanza bene per suonare.

-Muoviti, imbecille!- aveva ringhiato, infilandogli un lembo della camicia nella gonna.

-Ho fatto più in fretta che ho potuto! Ho quasi investito John con la bicicletta per fare il più in fretta possibile!-

-Dove hai trovato una bicicletta!-

-L'ho rubata al molo: non era custodita...-

-Sì ma perché?-

-Perché dovevo arrivare a questo cazzo di albergo prima di Brian!-

-Va bene, idiota! Ne discutiamo dopo!-

E nel momento in cui Freddie richiuse la porta della camera dietro le proprie spalle, verso mezzanotte, decise che era arrivato il momento giusto per una sfuriata in piena regola e, in pochi secondi aveva riversato su Roger tutte le domande e gli insulti sui quali aveva avuto il tempo di meditare durante il pomeriggio.

-Ho bevuto solo mezzo bicchiere di vino...- sussurrò il più piccolo togliendosi la parrucca.

-Non avresti proprio dovuto bere! A che pensavi?! Queste te le requisisco, comunque!- concluse Freddie frugando nella giacca dell'amico e tirandone fuori le medicine.

Quando Roger uscì dal bagno con addosso solo i pantaloni del pigiama e in mano parrucca e i vestiti, si ritrovò davanti l'amico, lapidario mentre lo guardava severo con le braccia incrociate sul petto.

-Non ti aspettare un racconto dettagliato come il tuo.- dichiarò buttando i vestiti su una sedia. Stava per parlare di nuovo, per esternare – finalmente – le preoccupazioni che lo avevano attanagliato tutta la sera. Ma venne preceduto:

-Sei ingiusto!-

-Non te l'ho chiesto io di raccontarmi di Jim!-

-Te l'ho raccontato perché sei il mio migliore amico!-

-Fred, non farmela pesare! Sono stanco morto e vorrei solo andare a dormire...-

-Non hai già dormito abbastanza questo pomeriggio?-

Roger abbassò lo sguardo e, per sbaglio, gli sfuggì un sorriso ripensando al fatto che Brian al posto di svegliarlo lo avesse continuato ad accarezzare come aveva cominciato a fare quando era ancora sveglio.

-Oh mio dio!- sussurrò Freddie. -Stai sorridendo! Che ti ha fatto quest'uomo? Se prima mi sarebbe bastato un racconto approssimativo adesso voglio un dettagliato resoconto! Dettagliato! Mi sono spiegato?-

-Fred! Abbiamo cose più importanti a cui pensare!- e prima che l'amico potesse ribattere tirò fuori dalla giacca che aveva indossato durante il pomeriggio il foglio che aveva strappato dal giornale di Brian e, aprendolo, glielo porse. -Lo riconosci?- domandò alludendo alla foto che occupava gran parte della pagina.

L'espressione di Freddie era inevitabilmente tornata seria, ogni sprazzo di divertimento morto nell'istante in cui aveva preso in mano quel foglio di carta: -Se lo riconosco? Questo stronzo ci ha quasi arrestato tre volte. Senza contare l'ultima retata dopo la quale siamo scappati qui...-

-Hai letto almeno le prime righe? Viene qui. A Miami. Domani. Non so per quale cazzo di motivo, ma viene qui.-

-Non può sapere che siamo qui.-

-Non lo so...- sussurrò Roger, finendo di indossare il pigiama e, rifugiandosi sotto le coperte, lanciò uno sguardo preoccupato a Freddie, che stava ancora finendo di leggere l'articolo.

-Forse non sta cercando noi. Avrebbero diramato un mandato di cattura immagino... non facciamoci prendere dal panico.- disse quest'ultimo cercando di essere convincente e, da un certo punto di vista, la sua voce rincuorò Roger che sistemò meglio il cuscino sotto la propria testa.

-Quattro volte?- domandò dopo qualche istante di silenzio. -Ci ha quasi arrestato quattro volte? Contando quel locale dietro l'impresa di pompe funebri?-

-Beh, si... e quella volta al Rainbow ci sarebbe anche riuscito per davvero! Ti ricordi? È stato un miracolo...-

Roger se lo ricordava bene: non aveva chiuso occhio pensandoci... le immagini erano ancora così vivide nella sua mente. Non era successo niente di diverso da solito, in realtà: quando la polizia era improvvisamente entrata nel locale suscitando grida di sorpresa e di paura, lui e Freddie avevano recuperato i loro strumenti ed erano scappati passando dall'uscita secondaria.
Era pieno inverno e la pioggia che era caduta durante la serata aveva lasciato sul marciapiede uno strato umido che si era rapidamente trasformato in ghiaccio: i due musicisti erano scivolati un paio di volte, aggrappandosi l'uno all'altro per non cadere. Era stata l'ennesima perdita di equilibrio a salvarli: Freddie si era fermato per sorreggere il più piccolo prima che rovinasse in terra mentre stava per voltare l'angolo, dietro al quale sarebbero andati a sbattere contro uno degli uomini che controllava la strada proprio nel caso in cui qualcuno tentasse una rocambolesca fuga. Era alto e, fortunatamente, in quel momento dava loro la schiena: così come erano arrivati fino a lì si erano girati e si erano allontanati nella direzione opposta il più velocemente possibile, compatibilmente con la difficoltà del rimanere in equilibrio sul ghiaccio. Avevano appena girato l'angolo opposto quando, sporgendosi appena per controllare, videro quell'uomo imboccare la strada a grandi falcate. A quella vista avevano deciso di tagliare definitivamente la corda.

Non era la situazione peggiore nella quale si erano trovati – ormai niente avrebbe scalzato il massacro in quel garage dal podio – ma pochi momenti lo avevano fatto preoccupare come quello.

Era tutto il giorno che ci pensava. E anche Freddie: glielo leggeva negli occhi. L'idea che il poliziotto contro il quale erano quasi andati a sbattere, che quasi li aveva arrestati in quella gelida notte invernale, li avesse raggiunti anche lì, nella afosa Miami li tormentava, nonostante stessero cercando di mantenere la calma: perché, riflettendo a mente fredda, che tracce avevano lasciato che avrebbero potuto condurlo a loro? Per quanto avessero cercato di convincersi del fatto che doveva trattarsi di un caso, che quell'uomo non era venuto fino in Florida per arrestarli, non erano riusciti a trascorrere la giornata serenamente come nei giorni precedenti.

Avevano persino perso l'appetito: avevano mangiato qualcosa a colazione, ma a pranzo e a cena avevano praticamente digiunato. E questo aveva comportato, involontariamente, una situazione che non aveva fatto altro che peggiorare l'umore di Roger: vedendolo così abbattuto e inappetente, Dave Mallet si era avvicinato e aveva dato voce alla sua preoccupazione nei confronti di Clare.

Vedendolo avvicinarsi al tavolo, Fred aveva velocemente allungato una mano per spostare le lunghe e finte ciocche bionde della parrucca di Roger perché andassero a coprire un livido sul collo, altrimenti, abbastanza evidente. Roger lo scansò con una manata ma quando Freddie, senza aprire bocca, gli fece capire il motivo del suo gesto, corrugò la fronte e sgranò gli occhi subito dopo: con tutto quello che aveva per la testa non si era nemmeno reso conto che in quel momento stava andando in giro senza preoccuparsi di nascondere i segni lasciatigli sul collo delle labbra e dei denti di Brian.


 


 

Sbarazzarsi di Mallet fortunatamente era stato più semplice del previsto, soprattutto per via del fatto che di lì a qualche minuto sarebbero dovute andare a esibirsi per il primo spettacolo serale. Freddie si era, tuttavia, stupito della tranquillità con cui Roger aveva risposto alle domande di Dave: o nelle ultime ventiquattro ore aveva imparato a nascondere le proprie emozioni o era talmente sconvolto dalla piega che stavano prendendo gli eventi che non aveva avuto nemmeno la forza di arrabbiarsi.

Persino durante l'esibizione Roger gli era sembrato privo di quell'entusiasmo che solitamente lo caratterizzava. Fred non poteva biasimarlo: quegli ultimi giorni erano stati un continuo otto volante di emozioni. In particolar modo per il più piccolo che era stato investito anche da quell'inaspettata infatuazione nei confronti di Brian, trascinandolo in una situazione nuova per lui.

Aveva alzato la testa dai tasti del pianoforte per guardarsi intorno: dopo aver controllato il biondo dietro la batteria, che aveva ricambiato con un mezzo sorriso, aveva osservato la sala gremita di gente.

Fino a quando non lo aveva visto.

Per la sorpresa aveva persino sbagliato una nota.

Aveva abbassato di nuovo la testa, fingendo che non fosse successo nulla, ma avrebbe giurato di sentire addosso gli occhi di Roger, che sicuramente si era accorto dell'errore. Questa volta non aveva ricambiato il suo sguardo, rimanendo invece fisso sulla tastiera, contando ogni secondo fino alla fine dell'esibizione.

Seduto al bancone del ristorante si morse il labbro inferiore, riflettendo: forse non avrebbe dovuto dirlo a Roger...

Al termine dello spettacolo, il biondino lo aveva raggiunto, appoggiandogli una mano sulla spalla:

-Cos'è successo? Non avevi mai sbagliato prima.-

Fred era rimasto silenzioso per un momento, ma alla fine si era deciso: -Guarda dietro di me... a sinistra.-

Roger aveva corrugato la fronte, correndo con lo sguardo nel pubblico alle spalle dell'amico: -Cosa dovrei vedere?-

-Ho detto a sinistra, Rog!-

-Sto guardando a sinistra, idiota!-

-Alla mia sinistra!-

-E allora specificalo subito!-

Ma quando finalmente i suoi occhi avevano individuato la sagoma del poliziotto dal quale si stavano nascondendo, aveva spalancato la bocca e a Freddie era quasi sembrato di vedere l'ossigeno venire strappato dai suoi polmoni. Lo aveva fermato prima ancora che riuscisse a mettere insieme due parole: -No! Non dare di matto!- l'ultima cosa di cui avevano bisogno era di dare nell'occhio.

-E che cazzo dovrei fare?!- lo aveva guardato solo per un secondo, per poi tornare a concentrarsi sul poliziotto. Aveva corrugato nuovamente la fronte per poi alzare le sopracciglia. Freddie aveva seguito il suo sguardo sorpreso e sotto i suoi occhi si era svolta una scena che davvero non avrebbe mai immaginato di vedere: il poliziotto si era alzato dal suo posto e si era avvicinato a qualcuno che Fred e Roger conoscevano bene. Titubante, o forse intimidito, John gli aveva stretto la mano consegnandogli, subito dopo, un pesante fascicolo. In quel momento Fred non aveva potuto impedire alla propria mente di pensare che dentro quella cartellina ci fossero fotografie e documenti che avrebbero potuto incriminarli.

Ma per quale motivo un semplice amministratore di un'orchestra femminile avrebbe dovuto consegnare un fascicolo ad un poliziotto?

Sempre che John fosse davvero un amministratore...

Quel dubbio aveva cominciato a farsi strada nel suo cervello: le coincidenze erano troppe... il poliziotto al quale erano sfuggiti a Chicago che improvvisamente era a Miami... e per di più che a quanto pare era amico dell'uomo nella cui orchestra si erano nascosti. Non poteva essere un caso...

Il batterista aveva dato voce ai suoi pensieri: -È un cazzo di sbirro! Non ci credo... porca puttana, mi stava anche simpatico!-

E con quelle parole si era alzato per andare a nascondersi in camera. Era la cosa migliore da fare fino a quando non avessero capito cosa stesse succedendo per davvero...

A dire il vero non pensava di aver fatto male ad avvertire Roger della situazione: era giusto che lo sapesse. Semplicemente gli dispiaceva vederlo preoccupato e spaventato. Gli aveva fatto cenno di andare avanti e che lo avrebbe raggiunto in qualche minuto.

Cambiando strada, svicolando rapidamente perché John né il suo amico poliziotto lo vedessero, si era voltato verso le cucine.

Un paio di cuochi lo osservarono con sguardi fugaci e incuriositi quando entrò; uno dei camerieri si affrettò a rimproverarlo:

-Mi scusi, signorina: non può stare qui.-

-Sto cercando Jim...-

Sorpassò il cameriere, che gli camminò dietro continuando a ripetere che quella rimaneva comunque una zona riservata al personale, e si guardò intorno fino a quando non fu Jim a trovarlo e, venendogli incontro, a fare cenno al collega di non preoccuparsi.

Prima che Freddie potesse parlare, Jim lo prese per mano e lo trascinò con sé verso la dispensa e solo quando richiuse la porta e furono finalmente lontano da orecchie e occhi indiscreti gli rivolse la parola. Con un dito sistemò una ciocca della parrucca che, nella fretta, era sfuggita dall'acconciatura ed era scivolata davanti agli occhi scuri di Fred. Gli sorrise: -Cosa succede?-

Fred si tormentò di nuovo le labbra: -Posso chiederti un favore?-

-Dipende.-

-Da cosa?-

Sul suo volto si disegnò un ghigno che Fred aveva già visto, un paio di sere prima.


 


 

Per tornare all'albergo dal teatro avevano fatto una strada diversa, più lunga rispetto all'andata. Jim aveva osservato Freddie non riuscire a contenere la contentezza per quella serata appena trascorsa e aveva continuato a sorridere, annuendo con uno sguardo tutte le volte che il pianista si girava verso di lui cercando sostegno. Avevano camminato per quasi venti minuti e il giovane musicista non aveva taciuto nemmeno per un secondo. Ma a Jim non dispiaceva, al contrario: apprezzava la passione che le sue parole trasudavano.

Freddie camminava più velocemente rispetto a lui, continuando a fare avanti e indietro e a girare su sé stesso mentre parlava e parlava di ogni secondo di quella serata, di ogni singolo dettaglio che gli era rimasto impresso.

Jim si fermò, inclinando appena la testa mentre Freddie si allontanava per poi tornare sui suoi passi per l'ennesima volta. Ad essere onesti non aveva ascoltato una parola di quell'ultima parte del discorso, distratto dal suo sorriso, ma capì comunque il senso della semplice domanda quasi puerile: a te cos'è piaciuto?

Alzò un angolo della bocca, in un ghigno malizioso, e gli sfiorò una guancia con la mano, facendola scivolare sulla nuca per tirare il giovane verso di sé e lasciargli un lungo bacio sulle labbra.

Si sollevò, senza dire una parola, e riprese a camminare.

Ma questa volta fu Fred a rallentarlo: si spostò tornandogli di fronte, sbarrandogli la strada.

-Io credo che tu debba ancora farti perdonare.-

-Perdonare?-

Il pianista annuì: -Sei stato un po' infame a teatro...-

-Infame? Io? Come ti permetti...- sussurrò continuando a sogghignare e allontanandosi di un altro passo, sapendo che Freddie gli si sarebbe avvicinato di nuovo.

-Non ti sei ancora scusato.- disse, infatti, fronteggiandolo nuovamente.

Jim sorrise e lo baciò di nuovo, accarezzandogli i capelli e prendendogli il viso con entrambe le mani.

-Perdonato?- gli bisbigliò sulle labbra.

-Non ne sono ancora sicuro...-


 


 

Fred spinse indietro Jim con riluttanza: gli si era avvicinato e, prima di baciarlo, gli aveva passato sulle labbra il fazzoletto che teneva sempre piegato sull'avambraccio, pulendole del rossetto che completava il suo travestimento.

-Jim è una cosa importante.-

-Anche tu.- addolcì lo sguardo, accarezzandogli il collo, immergendosi nel luccichio che brillò nei suoi occhi. -Mi piace il tuo sorriso.-

-Non sfottermi...- biascicò, improvvisamente imbarazzato. Sapeva di avere dei denti particolarmente sporgenti e ogni tanto quel dettaglio lo metteva un po' a disagio. Una volta aveva addirittura pensato di affidarsi ad un dentista che glieli sistemasse: quando era arrivato persino a chiedere a Roger un consiglio a riguardo, il più giovane gli aveva risposto insultandolo e convincendolo dell'idiozia di quell'idea. Con il tempo aveva imparato a non pensarci: l'unico caso in cui tentava di nasconderli, ormai, era quando scoppiava fragorosamente a ridere.

-Non lo faccio.- lo assicurò spostando la carezza dal collo alle guance. -Come ti posso aiutare?-

-Oggi è arrivato un uomo, qui in albergo. Alto, capelli corti... baffi.-

-E...?-

-Ho bisogno di sapere in che camera alloggia.-

-Fred, io lavoro qui come cameriere.-

-Ne ho davvero bisogno...-

Jim sospirò e si umettò le labbra: -Posso provarci... ma è possibile che dovrò provare a sedurre qualcuno per ottenere queste informazioni. Non sarai geloso?-

Freddie ridusse gli occhi ad una fessura, ma sorrise provocante: -Nessuno mi potrà mai tenere testa, caro.-


 


 

Non gli piaceva. Non gli piaceva per niente.

Calarsi giù dal balcone di un paio di piani era stato facile – per quanto doverlo fare con la gonna non era certo stato confortevole – ma non gli piaceva sentirsi al sicuro mentre Freddie era in pericolo.

Beh, “al sicuro”... era una definizione che, in realtà, si allontanava parecchio dalla situazione nella quale si trovava, ma paragonandosi a Freddie sicuramente era molto meno esposto.

Il cantante era stato irremovibile nella sua decisione e una volta saputo da Jim il numero della stanza occupata dal poliziotto, aveva operato una suddivisione del lavoro che Roger non aveva per nulla apprezzato: il batterista sarebbe entrato in quella camera, passando dal balcone, e avrebbe cercato quel fascicolo che gli era stato consegnato da John – non avevano intenzione di rubarlo, ma semplicemente di consultarlo rapidamente per accertarsi che non contenesse informazioni compromettenti su di loro – mentre Fred avrebbe tenuto d'occhio il poliziotto in questione e, nel caso avesse deciso di tornare in camera prima del tempo, lo avrebbe avvicinato e trattenuto.

Non gli piaceva che Fred si esponesse in questo modo... ma sapeva anche che quello era lo stesso pensiero del suo migliore amico motivo per cui, facendo valere il fatto di essere il maggiore fra i due, lo aveva obbligato a calarsi dalla finestra.

Roger lanciò un ennesimo sguardo verso la porta: temeva che potesse aprirsi da un momento all'altro, cogliendolo mentre apriva e frugava nei cassetti. Con uno sbuffo si spostò una ciocca bionda dal viso. Era scomodo, ma considerando che dopo avrebbero dovuto esibirsi un'altra volta – sempre che la polizia non venisse ad arrestarli prima – aveva ritenuto fosse meglio rimanere in costume.

Aprì entrambi i cassetti del comodino, quelli della scrivania e persino quelli del mobiletto del bagno, senza trovare niente. Spazientito era arrivato persino a chinarsi in terra per controllare sotto il letto e ad aprire l'armadio per controllare dentro le valigie. Quando ormai stava per abbandonare le speranze fece un ultimo tentativo sollevando il materasso.
Trovò più di quanto si sarebbe aspettato.
Riconobbe immediatamente la cartellina di John ma non riuscì a frenare la curiosità e, dopo aver recuperato quella, prese anche quella che trovò di fianco, verde e più spessa.

Aprì la prima trattenendo il respiro, ma dopo qualche istante corrugò la fronte. Sfogliò le numerose pagine che componevano il fascicolo, leggiucchiando qualche parola ogni tanto. C'erano anche delle foto, ma... erano fotografie dell'albergo. In nessuna comparivano né Roger né Freddie... a dire il vero non c'era anima viva in nessuna foto. Era solo l'albergo: l'ingresso, la sala dove si esibivano ogni giorno, alcuni corridoi... foto impersonali, asettiche.
Lesse con più attenzione le prime pagine, fitte della grafia di John, e annuì silenziosamente.

Chiuse la cartellina e la rimise al suo posto, tirando un sospiro di sollievo e senza quasi riuscire a trattenere una risata di sfogo: forse era davvero un caso... forse erano ancora al sicuro.

Gli occhi indugiarono sulla seconda cartellina.

Dopo un ultimo e inutile sguardo alla porta, aprì il fascicolo.

Come nel precedente, trovò una serie di fogli, questa volta scritti a macchina, seguiti da altre fotografie, il cui soggetto era ben diverso, e sotto tutto questo trovò persino una busta al cui interno c'era un registratore con tre o quattro cassette.

Ripeté gli stessi gesti: lesse qualche riga, giusto per capire di cosa si trattasse, ma arrivato alla fine della prima pagina, passò immediatamente a quella successiva e a quella dopo ancora, senza riuscire più a fermarsi. Gli occhi sempre più sgranati mentre gli occhi sfrecciavano da una riga all'altra, afferrò il lotto di fotografie, cominciando a sfogliare anche quelle.

Lo sguardo sorpreso mutò lentamente. Serrò le labbra con forza, scuotendo la testa. Le parole sfuggirono dalle sue labbra con un sibilo avvelenato:

-Figlio di puttana...-


 

 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno a tutti! ^^

Chiedo scusa: questo capitolo si è fatto attendere a lungo! L'avevo scritto, ma poi, non convinta, l'ho cancellato e riscritto da capo... e onestamente non ne sono ancora completamente soddisfatta...
Perché in questo capitolo succedono tante cose e ho come l'impressione di essere stata frettolosa... allo stesso tempo, però, non potevo dividerlo in due perché sarebbe stato scomodo per i prossimi capitoli (che anche loro mi stanno dando non pochi problemi).
Nel complesso, però, spero che vi sia piaciuto... almeno sul fronte Freddie/Jim XD

Mi sto allontanando un filo dalla trama del film in quanto abbiamo un personaggio in più (John), rispetto al trio originale di Joe-Jerry-Zucchero, al quale mi pareva giusto dare una sua importanza senza lasciarlo come macchietta sullo sfondo.
Ma ovviamente il filone principale della storia è sempre quello del film: e infatti è comparso anche un poliziotto (al momento non ricordo assolutamente come si chiamasse quello del film... '''^^), la cui identità non è ancora stata rivelata. Ma forse qualcuno con l'occhio di falco potrebbe aver colto un dettaglio a riguardo...

Che altro aggiungere?
Vi prego non insultatemi XD

Nel prossimo capitolo si chiariranno tante cose!

Vi mando un abbraccio e un bacione! <3
Alla prossima! ^^

Carmaux

 

P.S. Per quanto riguarda i denti sporgenti di Fred, avevo letto – millenni fa, quindi non ricordo né dove né si basasse su fatti veri o meno – che quest'ultimo avesse per davvero chiesto a Roger (in quanto ancora studente di odontoiatria) un consiglio e che fosse stato proprio lui a convincerlo a lasciar perdere l'idea.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO DODICI ***


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CAPITOLO DODICI

Tre colpi metallici lo assordarono, svegliandolo di soprassalto. Si coprì le orecchie con le mani, stringendo gli occhi così forte da farli lacrimare. La testa gli doleva come mai prima d'ora e gli pulsava così violentemente da dargli l'impressione che potesse esplodere da un momento all'altro.

Espirò rapidamente, due, tre, quattro volte... e finalmente schiuse gli occhi, brucianti e arrossati. L'immagine sfuocata non gli permise di capire immediatamente dove si trovava. Con tutte le ossa doloranti, si mise a sedere, constatando di non trovarsi in camera sua, nel suo letto, ma su una scomoda e rigida branda metallica. Stropicciandosi gli occhi tentò di nuovo di definire i contorni che lo circondavano.

-John. Richard. Deacon.- ogni parola accompagnata da un nuovo colpo di manganello che si abbatteva contro le sbarre metalliche della cella nella quale il ragazzo si trovava.

Il bassista sentì il respiro farsi improvvisamente corto mentre si rendeva conto di cosa stava succedendo.

La testa gli faceva una male da impazzire, non solo la fronte e le tempie, che minacciavano di scoppiare da un momento all'altro, ma anche la nuca: si portò una mano fra i capelli e constatò di avere un grosso bernoccolo che gli dolse subito al tatto.

L'uomo dall'altra parte delle sbarre sembrò sorridere sotto quei baffi, osservandolo, poi riprese a parlare, senza leggere dal piccolo fascicolo che teneva in meno.

-Hai studiato ingegneria elettronica a Londra, con ottimi risultati.-

L'uomo infilò una mano nel fascicolo che teneva in mano e ne estrasse quelle che, poco dopo, John riconobbe come fotografie. Le sfogliò teatralmente fra le proprie mani, cominciando a camminare lentamente, avanti e indietro, davanti alla cella.

-Poi hai deciso di mollare tutto.- riprese a parlare.
Lasciò cadere una foto fra le sbarre.

-Per venire qui in America.-
Una seconda foto.

-A suonare.-
Una terza foto.

-Non ci sarebbe niente di male...-
Una quarta foto.

-Se lavorassi sempre in locali legalmente approvati. Questo credo sia il Rainbow, per esempio: un bel posto.-
Una quinta foto.

-Ma... il Kensington... il Marquee... il Youth Club...-
Altre tre foto.

-Non sono proprio, come si suol dire, conformi alle leggi in vigore negli Stati Uniti.-
Ancora una foto.

-Magari voi pomposi inglesi vivete in modo diverso, ma qui il proibizionismo è preso molto seriamente. E noi poliziotti applichiamo la legge non solo con i proprietari di questi locali, ma anche con i loro dipendenti che, o servendo ai tavoli, o suonando su un palco, contribuiscono a portare clientela. L'arresto comporta la reclusione, per diversi anni.-

Un tappeto di fotografie ritraenti John mentre suonava, spesso con un timido sorriso stampato sulle labbra, si stendeva davanti a lui, ancora seduto sulla branda.

Lentamente i ricordi della sera prima cominciarono a farsi più chiari: iniziò a ricordare i pezzi che aveva suonato, il rumore e le grida improvvise quando la polizia aveva fatto irruzione... ricordò di aver messo via il basso e di aver corso... poi più nulla.
Osservando il manganello ancora nelle mani del poliziotto si domandò se non fosse stato proprio quello a provocargli il gigantesco bernoccolo che gli mandava fitte di dolore per tutta la testa.

-Sai qual è il problema Johnny? Posso chiamarti Johnny, vero?- il bassista sollevò la testa da terra. -Il problema è che vietare vendita e consumo degli alcolici ha avuto conseguenze devastanti a livello sociale, soprattutto per quanto riguarda la criminalità. Lo sapevi che la maggior parte dei locali clandestini sono gestiti da gangster? Il vero problema è che il proibizionismo ha fatto aguzzare l'ingegno: i locali e i club ora sono nascosti fin troppo bene e i proprietari certo non aprirebbero le loro porte ad un poliziotto. Ad un musicista, invece...-

Il poliziotto tirò fuori un ultimo foglio, abbandonando la cartellina, ora vuota, per terra: -Un musicista che vedrebbe cancellata dal suo curriculum questa spiacevole esperienza. Che certo potrebbe tornare a vivere in libertà, senza sentire l'odore della galera.-

John sentì gli occhi pizzicargli, colmi di lacrime: non riusciva a credere di trovarsi in una situazione del genere.
La galera da un lato; la collaborazione con la polizia sperando di far cadere le accuse dall'altro.

Ecco a cosa aveva portato cercare di seguire la carriera musicale che sognava tanto da ragazzino... quando aveva cominciato a suonare aveva grandi aspettative e il sostegno di Brian... ma quando, non riuscendo a stare dietro a bollette e affitto aveva dovuto ripiegare su impieghi illegali... non aveva avuto il cuore di dirlo al suo migliore amico. Se ne vergognava troppo per parlargliene. Sapeva che si sarebbe offerto di rimetterlo in piedi, di pagargli gli arretrati e, se ne avesse avuto bisogno, di ospitarlo persino a casa sua o sul suo yacht, con il quale stava girando il mondo. Sapeva che poteva permetterselo. Ma non voleva che lo facesse. Per cui gli aveva raccontato di come in mancanza di lavoro nel ramo della musica, fosse stato costretto a cambiare lavoro più e più volte.

Deglutì e annuì silenziosamente, mentre una singola lacrima andava a inumidire la guancia. Il rumore del foglio con il suo verbale d'arresto che veniva strappato lo fece sospirare. Si chinò per terra, raggruppando le fotografie. Osservò le proprie labbra incurvate verso l'alto, in ciascuna foto: si domandò per quanto tempo non gli sarebbe più venuto spontaneo sorridere.

-Non ti illudere: di quelle ne ho altre copie.-

Di nuovo, John annuì, senza alzare lo sguardo da terra.

Non poteva sapere che nella tasca interna della giacca del poliziotto giaceva, nascosta da occhi indiscreti, una piccola fiaschetta mezza vuota.

Come non immaginare che il foglio che il poliziotto – la targhetta sulla sua divisa recitava “P. Prenter” – aveva appena strappato come segno di buona fede era in bianco.


 


 

Roger non riusciva a chiudere occhio. Si girava e rigirava fra le coperte; alzava leggermente la testa per sprimacciare il cuscino con una manata e si sdraiava di nuovo nel vano tentativo di trovare una posizione nella quale stesse più comodo.

Avevano parlato a lungo, lui e Freddie, riguardo a quanto aveva scoperto entrando in camera di quel poliziotto.

Di quel pezzo di merda, si corresse da solo ripensandoci.

Perché in fondo capiva che, essendo stato colto in flagranza a suonare in un locale clandestino, John non poteva certo permettersi di lamentarsi di essere stato arrestato; Roger poteva persino capire, più o meno, l'idea di sfruttare il poverino – costringendolo a fare da esca, talpa e a regalare soffiate circa i locali illegali più frequentati – consentendogli di scampare alla galera... ma la polizia teneva dei registri molto dettagliati con i nomi degli informatori e il numero delle volte in cui gli era stato chiesto, o forse sarebbe stato meglio dire “imposto”, di collaborare. Per forza: le accuse a loro carico sarebbero cadute con il tempo in base al numero di interventi con i quali avevano aiutato la polizia.

Peccato che il nome di John non comparisse su nessun foglio, in nessun elenco, in nessuna fottutissima registrazione firmata dalla polizia.
Evidentemente, compilare le scartoffie che avrebbero regolarmente inserito John nell'elenco avrebbe richiesto troppa fatica e troppa onestà: era stato molto più facile mentire ad un povero musicista terrorizzato dall'idea di finire in carcere e sfruttarlo senza che fosse legalmente obbligato a farlo. Senza contare che, data la sua assenza nei registri e negli archivi della polizia, la sua “collaborazione” non aveva data di scadenza: quello stronzo lo teneva al guinzaglio come e quanto voleva, la minaccia di arrestarlo – con le solide motivazioni dettate da decide di fotografie che lo incriminavano – sempre in agguato.

Roger si sentiva male all'idea di trovarsi in una situazione del genere...

Ovviamente John non ne era a conoscenza, altrimenti avrebbe potuto andarsene quando voleva. Previa l'acquisizione di quelle dannate foto, ovviamente.

Rubargliele non sarebbe stato difficile...

Ne aveva parlato con Freddie.

Perché da un certo punto di vista John era come loro. Era uno di loro: un musicista che, messo in ginocchio dalla vita, aveva dovuto adattarsi e trovare un modo per sopravvivere.
Quello che aveva detto a Freddie nel pomeriggio era vero: John gli stava simpatico, gli piaceva, e vederlo così ingiustamente sfruttato lo infastidiva.
Da un altro punto di vista, la loro situazione era già sufficientemente in bilico così com'era: aggiungere un nuovo problema – perché poi avrebbero dovuto trovare un modo per giustificare la loro scoperta – avrebbe causato non pochi problemi che non erano sicuri di saper gestire e risolvere: John non era il solo che rischiava la galera ad ogni respiro fuori posto.

Roger aveva anche pensato di dirlo a Brian, che sicuramente non ne sapeva niente: lui di certo sarebbe stato in grado di aiutare John... ma non si sentiva a suo agio con l'idea di rivelare un segreto non suo e così importante ad un'altra persona... nemmeno a Brian.

Il pensiero del professore gli fece tornare il sorriso per un momento.

Avvolto nelle coperte e con il viso sprofondato nel morbido cuscino, si volse in direzione del letto di Freddie. Si morse le labbra e alla fine sbuffò, mettendosi a sedere.

-Va bene.- dichiarò. -Però... non sfottermi, d'accordo?- Freddie non si mosse di un millimetro. -Senti! Lo so che non stai dormendo! Ti conosco! Se smetti di fare il finto offeso ti racconto di Brian.- Roger alzò gli occhi al cielo: -In dettaglio.-

Riuscì a percepire il movimento delle sue labbra che si piegavano in un ghigno prima di vederlo girarsi su sé stesso e incrociare le gambe per mettersi seduto a sua volta.

-Cos'è cambiato?- gli domandò Freddie, coprendosi le spalle con la coperta. -Perché non me ne hai parlato quando te l'ho chiesto?-

-Voglio raccontartelo perché voglio, non perché mi sento obbligato.- spiegò semplicemente, scrollando le spalle.

-Mi sembra giusto... non volevo infastidirti, ma tu sei il mio fratellino: mi piace punzecchiarti.- lo trascinò in una piccola risatina. -Ti ascolto.-

Roger rimase in silenzio a lungo, il viso abbassato sul proprio letto, la fronte corrucciata: ad essere onesti, non sapeva da dove cominciare.
Freddie venne in suo soccorso:

-Cosa ti piace di lui? Voglio dire, non è il tipo di persona che solitamente attira la tua attenzione.-

-Non lo so... niente di quello che solitamente troverei attraente... niente di quello che mi piaceva di Dominique, per esempio...-

-Eh, grazie al cazzo, Rog!- sbottò il cantante, ma rendendosi subito conto di quanto si stesse sforzando per parlargliene, alzò le mani in segno di scusa e per invogliarlo a proseguire.

Di nuovo, Roger tenne la testa bassa, tormentandosi le mani, e aspettò prima di parlare di nuovo: -Mi piace il modo in cui mi parla.-

Sorpreso dalla risposta, Freddie alzò le sopracciglia: -In che senso?-

-Lui è... un miliardario... non l'ha detto chiaro e tondo, ma è evidente. Tu... non hai nemmeno idea di cosa sia il suo yacht: eleganza, ricchezza, vini costosi... e io sono...- lanciò un'occhiata alla sedia, sulla quale erano abbandonati i vestiti di John. -Beh, mi vedi: indosso gli abiti rubati ad un altro uomo perché non posso permettermi di comprarne. E per di più non sono nemmeno della mia taglia.- prese fiato senza alzare, di nuovo, la testa. -Chiunque abbia incontrato in questi ultimi anni, parlandomi mi ha sempre fatto sentire niente più di quello che sono...- scosse la testa: -Brian non mi guarda dall'alto in basso. Mi fa sentire a mio agio... che gli stia rubando il posto a tavola o che sia in piedi sul suo prezioso divano di alta falegnameria. E lo sa, lo vede, che non sono come lui... e non gli importa. Mi guarda come se vedesse dell'altro... oltre al Roger grezzo e poveraccio che è sotto gli occhi di tutti.- finalmente guardò l'amico: -Mi fa sentire come prima di partire, quando vivevo in Inghilterra... o come quando sono con te.-

Fred sorrise intenerito: lo faceva sentire a casa.


 


 

Era contento per Roger, gli faceva piacere che avesse incontrato qualcuno che lo facesse sentire bene. Allo stesso tempo si sentì in dovere di assestargli un calcio, che rimase nascosto agli occhi di Brian, quando lo vide troppo interessato a quello che il professore stava dicendo. Seduti ad uno dei tavoli del salone dell'albergo, avevano finito di cenare e ora si gustavano la musica che proveniva da un gruppo cubano che era stato ingaggiato per la serata e che gli avrebbe permesso di godersi una serata libera. Avevano deciso di non ritirarsi immediatamente in camera, un po' per lo sfizio di godersi un po' di musica senza esserne gli artefici, e un po' per tenere d'occhio John e il suo “datore di lavoro”. Proprio mentre lo stavano osservando, seduto insieme a lui a qualche tavolo di distanza, Brian li aveva colti di sorpresa prendendo posto al loro tavolo, non volendo disturbare John.

Roger regalò a Freddie uno sguardo in cagnesco e aspettò che Brian si fosse alzato per andare a prendere qualcosa da bere per chinarsi e massaggiarsi la gamba:

-Era davvero necessario?!-

Freddie alzò le sopracciglia: -Sai perché si chiama “attrazione fisica”?-

-Avanti, spara la cazzata.-

-Perché “ti salterei addosso ogni volta che mi guardi anche per sbaglio” era troppo diretto! Quindi, se ti vedo con un'espressione che non lascia spazio al dubbio, sì, diventa davvero necessario ricordarti che in questo momento sei Clare e non Roger!-

-Non avevo quella faccia...- sussurrò, non sapendo nemmeno lui se crederci o meno.

Fred non replicò e nascose un sorriso mentre Brian tornava a sedersi fra di loro. Stava per aprire bocca per chiedere qualcosa a Clare quando una mano entrò nel campo visivo di quest'ultima che, girando il capo, identificò il suo proprietario:

-Credo che lei mi debba un ballo...-

-Cazzate!?- esclamò Roger sgranando gli occhi di fronte a Mallett, ricevendo una seconda pedata, che sicuramente gli avrebbe lasciato un livido, da Freddie.

-Questa orchestra cubana è... davvero formidabile. Se la ricorda? È la stessa che siamo andati a sentire al nostro primo appuntamento. E lei ieri mi ha concesso un ballo.- spiegò Dave tranquillamente.

-Cos'ho fatto, scusi?- domandò Clare: il giorno prima era stato facile disfarsi di Mallett... forse troppo... Roger, così assorto nei propri pensieri, non si era nemmeno reso conto di cosa aveva risposto all'uomo che ora gli si stagliava davanti per reclamare quella promessa.

Il biondo si volse verso Freddie, cercando sostegno ma trovando solo uno sguardo divertito e per nulla intenzionato ad aiutarlo. -Ma Cristo...- sussurrò fra i denti mentre si alzava controvoglia. Dopotutto non poteva fare niente di diverso: non voleva dare nell'occhio facendo una scenata e, così su due piedi, non gli veniva in mente nessuna bugia che potesse giustificare il suo rifiuto.

Un ultimo sguardo all'amico e a Brian e, imprecando silenziosamente, acconsentì, allontanandosi con Dave verso la pista da ballo.


 


 

Fred, che si era trattenuto fino a quel momento, si concesse una risata quando vide Mallett recuperare una rosa e portarsela alla bocca, stringendo delicatamente il gambo fra i denti.

Intercettando uno sguardo incuriosito di Brian, indirizzato verso Clare, il pianista lo chiamò, indagando su cosa avesse attirato la sua attenzione.

-So che sembrerà un'idiozia da dire, ma alcune sue espressioni... sono identiche a quelle di Roger.- commentò ingenuamente. -Ma immagino che sia quasi normale, tra gemelli.-

-Oh sì.- Fred si affrettò a rispondere. -A volte è come se fossero la stessa persona!-

-Non dovremmo aiutarla?-

Come se non lo avesse sentito Brian indicò la ragazza con un cenno del capo, alludendo al suo sguardo che tradiva la sua totale mancanza di entusiasmo e di pazienza quando sentì una mano di Dave scivolare un po' troppo in basso sui suoi fianchi.

Eccessivamente divertito per le sfortune del coinquilino, Fred scosse la testa: -Nah: sa cavarsela da sola. Cosa voleva chiederle prima che foste interrotti?- sperò di non sembrare un ficcanaso, ma era la prima volta che si trovava effettivamente da solo con la persona che aveva così acceso l'interesse di Roger: voleva sfruttare quell'occasione. Non si vergognò del fatto che avrebbe voluto spettegolare, che avrebbe voluto metterlo alle strette come aveva fatto con Roger, per sapere qualche dettaglio in più, per conoscere anche la sua versione di quanto successo. Sapeva che Roger gli avrebbe dato dell'impiccione, ma in fin dei conti... non era poi un grande insulto.

Brian rifletté un secondo prima di parlare con finta indifferenza: -Conosce anche lei Roger?-

Fred annuì sornione.

-Preferirebbe un piatto di carne o è più tipo da insalata? E' così magro che non riesco a capirlo...-

-Vuole invitarlo a cena? Un altro appuntamento?-

E per la prima volta lo vide imbarazzato e a corto di parole per formulare la domanda che gli era subito nata sulle labbra. Fred sorrise di nuovo: -Me lo ha detto Clare.-

-Oh... non pensavo che Roger ne avesse parlato con qualcuno...-

-Gliel'ho detto: è come se quei due fossero una persona sola...- vedendolo pensieroso, Freddie rispose finalmente alla sua domanda, ottenendo in risposta un sorriso strano che il cantante non seppe del tutto come interpretare: -Carnivoro. Decisamente carnivoro. Famelico.-


 


 

Il freddo gli penetrava nelle ossa.

Accendersi una sigaretta per distendere i nervi era stata una pessima idea: fintanto che aveva tenuto le mani in tasca, almeno loro erano rimaste al caldo; il tempo impiegato per coprire la tenue fiammella dell'accendino dal vento invernale di modo da riuscire ad accendere il tubicino era stato sufficiente per congelarle in modo irreversibile. Le aveva sfregate fra loro rapidamente, le aveva chiuse a pugno soffiandoci dentro aria calda, ma non era servito a niente: ormai il danno era fatto.

Si appoggiò al muro con una spalla, osservando davanti a sé l'ingresso del Rainbow con l'elegante insegna luminosa ancora lampeggiante, segno che erano ancora aperti nonostante l'ora tarda.

Quella sarebbe stata l'ultima notte in cui quel locale sarebbe stato aperto: la polizia avrebbe fatto piazza pulita, arrestando tutti al suo interno.

John si sentì un verme.

Aveva suonato anche lui lì.
La prima volta nella sala principale. La seconda in quella nascosta al piano di sotto... quella che sarebbe dovuta rimanere ignota alla polizia.

Il proprietario era stato gentile con lui... e John ora lo ripagava informando la polizia della sua compravendita illegale di alcolici, ancora sconosciuta.

Pensò a tutti i musicisti che sarebbero finiti in galera per colpa sua, colpevoli unicamente di non avere un soldo e di nuovo si sentì disgustato di quella situazione. Non gli piaceva fare la spia, lo faceva sentire male con sé stesso. Tuttavia non aveva alternativa... non sarebbe sopravvissuto in galera... non per dieci anni, come aveva minacciato Prenter.

Rimase appoggiato al muro e abbassò il capo, fissandosi i piedi e stringendosi nel cappotto, ormai decorato da numerosi fiocchi di neve candida.

Quando sentì un rumore provenire da dietro l'angolo alle proprie spalle, la prima cosa che pensò fu che uno dei poliziotti colleghi di Prenter fosse già uscito passando dall'uscita posteriore del locale, per bloccare qualunque tentativo di fuga disperata. Una piccola imprecazione si mescolò alla confusione dovuta alla retata: qualcuno alle sue spalle era quasi scivolato in terra per colpa del ghiaccio che aveva attecchito sul marciapiede. John non si volse, per nascondere un sorriso sotto i baffi, sperando che si trattasse davvero di uno dei poliziotti.

Non che solitamente si divertisse a spese altrui... ma, in quel momento, se avesse dovuto scegliere avrebbe volentieri messo in difficoltà il corpo di polizia.

Aspettò qualche secondo, ma nessuno lo sorpassò, né un passante né un poliziotto. L'idea che la persona che a momenti aveva messo a repentaglio la propria fuga rocambolesca, per poi cambiare direzione verso una strada più sicura, fosse uno dei musicisti lo rese temporaneamente cieco e sordo.

-Deacon!- esclamò Prenter qualche attimo dopo, uscendo dall'ingresso principale. -Non stare lì impalato come un idiota! È uscito qualcuno dalla porta sul retro?-

-No, signore.-

-Ne sei sicuro?-

No.

-Sì, signore.- Prenter lo superò e lanciò un'occhiata nel vicolo dietro l'angolo, entrandovi di un paio di passi, per poi tornare indietro. -Stai collaborando, Deacon?-

-Certamente, signore.-

Il poliziotto sbuffò rabbiosamente dalla bocca: -Piccoli bastardi!-

-Qualcuno manca all'appello?- si azzardò a domandare John, fingendo disinteresse.

-Ne mancano due! Razza di incompetenti...- ringhiò in direzione dei propri colleghi: -Come cazzo si fa a farsi scappare un musicista che si porta dietro il peso di una grancassa! Posso capire il cantante che non ha impedimenti... ma una cazzo di batteria no!-

John nascose un sorriso vittorioso. Sapeva che aveva appena fatto chiudere i battenti al Rainbow, ma la consapevolezza di aver risparmiato una brutta fine a due persone sfortunate quanto lui lo rasserenò.


 


 

-Sei l'informatore migliore che abbiamo mai avuto. Ho fatto proprio bene ad arrestarti.-

John tentò di non rovesciare gli occhi mentre Prenter gli batteva una mano sulla schiena, complimentandosi per la precisione del lavoro svolto in quelle settimane.

Il bassista, da quando era arrivato a Miami, aveva trascorso la maggior parte del suo tempo osservando silenziosamente e prendendo appunti: numero di ospiti, numero di dipendenti, disposizione di stanze, camere, uffici dell'amministrazione e tanto altro.

Osservare e riferire.

Questo era il suo compito.

Ormai conosceva la planimetria di quell'immenso albergo meglio delle proprie tasche. Il suo resoconto, sotto quell'aspetto, non avrebbe potuto essere più preciso e dettagliato. La cosa gli faceva piacere e lo innervosiva allo stesso tempo: più il suo lavoro si fosse rivelato soddisfacente, più alte sarebbero state le probabilità di vedere la fine del suo contratto a tempo indeterminato; sotto un altro aspetto, aiutare un poliziotto corrotto lo disgustava...

La sera prima della partenza dell'orchestra per la Florida, Prenter gli aveva telefonato, infuriato come poche volte gli era capitato di sentirlo. Gli aveva urlato addosso spiegandogli quanto appena successo: John venne a conoscenza della “strage di San Valentino” prima di chiunque altro a Chicago e quando, la mattina dopo, aspettando il treno, aveva comprato un giornale da un ragazzino che girava per i binari con le braccia cariche di copie, aveva constatato che il racconto riportato mancava di qualche dettaglio.

Come la prodigiosa fuga di due testimoni che si erano trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

Il giornale non aveva riportato questa notizia. Quei due erano già stati miracolati una volta: rendere pubblica la loro esistenza sarebbe equivalso al firmare la loro condanna a morte. E la polizia aveva bisogno di loro vivi di modo che potessero testimoniare contro quei gangster sanguinari e inchiodarli una volta per tutte.

Spiegandogli questo scenario, Prenter aveva proseguito ordinando a John di svolgere il lavoro il meglio possibile: se i due testimoni non fossero saltati fuori, il Decimo congresso degli amici dell'opera italiana sarebbe stata la loro occasione migliore per tentare di incastrare quei malviventi. Non era un mistero che questi facessero parte di quell'organizzazione ma, fino a quel momento, la polizia non aveva trovato un motivo abbastanza valido per costringerli ad un interrogatorio.

Invece, dopo la notte di San Valentino, il loro capo aveva mandato in lavanderia un paio di ghette sporche di sangue. Subito dopo un massacro che portava la chiara firma di una resa di conti fra bande rivali, quelle dannate ghette potevano fornire loro un ottimo pretesto per instaurare un contatto e osservare le loro reazioni.

Una volta arrivato in Florida, John era stato contattato di nuovo da Prenter, che gli aveva ribadito l'importanza del suo lavoro, soprattutto alla luce del fatto che i gangster, trovatisi davanti alla situazione, non aveva confermato né negato di essere i responsabili del massacro nel garage.

-Che mi dici della lavanderia De Luxe?- aveva domandato Prenter, sfacciato.

-Perché?-

-Il giorno dopo la sparatoria ci hai mandato un paio di ghette sporche di sangue.-

-Mi sono tagliato radendomi.-

-Ti radi con le ghette?-

-Io ci dormo, con le ghette. Dovresti saperlo: tutto il tempo che hai passato a studiare i miei spostamenti potrebbe farmi pensare a qualche tipo di molestia. Sto quasi pensando di denunciarti per violazione della mia privacy.-

-In ogni caso... lo sanno tutti che sei stato tu a sgonfiare le gomme al poveraccio che abbiamo trascinato fuori da quel garage... con quaranta proiettili in corpo.-

Il gangster non si era scomposto: -Tutti chi?-

-Almeno quei due testimoni che avete lasciato scappare.-

-E che voi non avete trovato.-


 


 

Prenter li aveva cercati per tutta Chicago, senza successo ma senza nemmeno stupirsi: se non erano idioti, dovevano già trovarsi dall'altro capo del mondo.

A quel punto, quello che doveva essere un piano secondario – catturarli all'Hotel del Coronado, dove avrebbero alloggiato in occasione del congresso – era improvvisamente diventato il solo e unico piano: avrebbe prolungato il soggiorno di John all'hotel e ci sarebbe riuscito; sarebbe riuscito a strappare quella confessione dalle loro labbra e, grazie alle informazioni di John, che gli avrebbe riferito anche i loro spostamenti, avrebbe disposto i suoi colleghi poliziotti di modo da impedire qualsiasi tentativo di fuga.

-Mi vuole mettere alle costole dei peggiori gangster di Chicago?!- esclamò John inorridito, ricordandosi solo a metà della frase di abbassare il volume della propria voce. -Ma signore! Non erano questi gli accordi... e se si accorgessero che li seguo...-

Prenter annuì silenziosamente, concedendogli solo uno sguardo di superiorità, completamente disinteressato: sacrificare un insulto musicista era un prezzo che era pronto a pagare.

Guardandosi attorno, per fargli capire ancora una volta quanto fossero inutili le sue proteste, adocchiò uno dei tavoli, occupato da due persone: -Dì un po', Deacon.- disse, interrompendolo. -È una delle tue musiciste quella corvina?-

 


 


 


 

Angolino autrice:

Buon pomeriggio lovies! ^^

Chiedo scusa per gli 11 giorni di attesa per il capitolo 12: con il viaggio sono rimasta un filo indietro con la correzione del testo XD ma non sono rimasta con le mani in mano! Sto lavorando ad altri piccoli progettini (per chi di voi fosse interessato, uno di questi giorni pubblicherò una one shot nel fandom di Game of Thrones)! ^^

Ma passando al capitolo,
finalmente John non ha più segreti da nascondere (non a voi lettori almeno XD)! Mi dispiace essere stata così cattiva nei suoi confronti :( ma avrà modo di rifarsi! :)

Come già accennato nel precedente capitolo (scusate se sono noiosa...), mi sto allontanando un filo dalla trama originale del film anche perché ci tenevo ad aggiungere un qualcosa di originale, di mio, per non copiare proprio pari passo la storia.

È un capitolo a cui tengo molto, con alcuni rimandi ai capitoli precedenti :-P, e spero che vi sia piaciuto ^^

Credo di non aver altro da dire (e meno male XD)

Come sempre ringrazio tutti quanti, lettori, recensori, voi che seguite, ricordate e preferite! <3

Un bacione!

Carmaux

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Capitolo 14
*** CAPITOLO TREDICI ***


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CAPITOLO TREDICI

-Questo invito non poteva capitare in un momento migliore.- dichiarò un sorridente Roger stringendosi nella giacca, ancora leggermente infreddolito per la brezza serale, mentre si guardava intorno: rimaneva sempre affascinato dalle dimensioni del magnifico salone dello yacht di Brian.

Quest'ultimo era venuto a prenderlo al molo e stavano per mettersi in cammino quando il professore si era improvvisamente ricordato di “qualcosa” che non aveva specificato, e aveva fatto cenno a Roger si seguirlo sul motoscafo per tornare allo yacht. Roger non aveva fatto domande, non gli importava di fare un viaggio in più, anzi: si sentiva più a suo agio su quel motoscafo che non in un raffinato ristorante.

-Lo sai che John ha una giacca identica alla tua?- commentò Brian distrattamente.

-Però...- Roger si affrettò a cambiare discorso, spostando l'attenzione sui propri dubbi: -Ascolta: non voglio essere antipatico, ma sono un po'... al telefono mi hai detto che saremmo andati nel miglior ristorante di Miami e io... non credo sia il caso: non è esattamente il mio posto...- ammise imbarazzato, trattenendosi dall'aggiungere che non poteva permetterselo. Sapeva che questo non sarebbe stato un problema per Brian e che quest'ultimo si sarebbe tranquillamente offerto di pagare per entrambi, ma Roger non voleva che lo facesse.

-Ti senti a disagio?- gli chiese, cogliendolo di sorpresa dato che si aspettava di leggere delusione sul suo volto.

-No, qui con te no ma io parlavo di...-

-Allora siamo a posto. Come dicevo: il miglior ristorante di Miami.- sorrise compiaciuto e, allargando le braccia, gli fece cenno di seguirlo.

Roger annuì con la fronte corrucciata e, oltrepassata la porta indicata dal maggiore, si ritrovò davanti uno spettacolo culinario che non vedeva da anni, ormai. I fornelli della cucina nella quale erano entrati fumavano, pesanti di padelle, mestoli e forchette con cui controllare la cottura; di fianco, sul bancone, un vassoio con qualche salatino e un cestino debordante di pane.

-Scherzi?!-

-Ho preso una lombata di manzo.- dichiarò Brian, cercando negli occhi di Roger la conferma di aver fatto una buona scelta.

-Una sola?-

-Sì, io... io non mangio carne. Questa è la prima e unica volta che cucinerò della carne: considerati un fortunato eletto.- dichiarò, ma sotto lo sguardo indecifrabile di Roger cedette: -Non è vero: non l'ho cucinata io, ma uno dei cuochi. Però gli ho specificamente chiesto di preparare la migliore lombata di manzo della sua vita, per un palato che gli avrebbe dato del filo da torcere. Ma io ho cucinato le verdure, le patate e la torta salata!-

La bocca spalancata, Roger rimase per un attimo immobile, intontito da quello che stava succedendo. Non era un semplice invito in un ristorante qualsiasi, che fosse lussuoso o meno; era un invito a cena con i controcazzi: nessuno aveva mai cucinato per lui.

-Porca troia!-

-E' francese antico?-

La presa in giro lo fece sorridere: -Oh, scusa...-

Brian recuperò una bottiglia di champagne tenuto in fresco e riempì due bicchieri. Aggirò il bancone che, in quel momento, li distanziava e porse il calice al più giovane che, ancora frastornato, lo guardava adorante.

-Beh, come dicono i francesi: bon voyage.-

Roger gli impedì di bere, appoggiandogli una mano sul bicchiere e sostituendosi a quest'ultimo, percorrendo lo stesso tragitto.
Sentì Brian sorridere sulle proprie labbra, trovandole piacevolmente fresche e salate per via dell'aria salmastre che li aveva investiti durante il breve viaggio fino allo yacht, e accarezzargli i capelli per poi guardarlo per un momento negli occhi prima di recuperare il bicchiere, bere un sorso e infine depositargli un secondo bacio dal sapore spumeggiante. Infine tornò davanti ai fornelli, preoccupato della sorte delle verdure.

-Vuoi darmi una mano?- domandò allungandogli una forchetta, ma Roger declinò l'offerta scuotendo il capo:

-Non è una buona idea.-

-Perché no?-

-Non sono un bravo cuoco: so appena appena bollire un uovo, e poco altro. Se vuoi posso lavare i piatti dopo, però.- si appoggiò con i gomiti sul tavolo, incrociando le braccia sul petto e spingendosi in avanti. Si morse il labbro inferiore: -Inoltre è meglio se teniamo questo bancone fra me e te, per il momento.-

-Ma davvero?-

-Fidati, è meglio.-

-Per il momento.-

Non tentò nemmeno di nascondere un ghigno complice: -Per il momento.-


 


 

-Raccontami.- Fred scostò una ciocca della parrucca dietro l'orecchio. Mancava poco meno di un'ora all'inizio dell'ultimo spettacolo della giornata e il pianista aveva deciso di aspettare Roger al bar... contando di poter assaggiare un altro di quei famosi cocktail analcolici di cui Jim tanto si vantava.

-Che cosa?- gli domandò quest'ultimo da dietro il bancone.

-Chi hai dovuto sedurre per farti dire in che camera si trovava quel poliziotto?-

Jim incurvò le labbra in quel suo solito sorriso di sfida: -Così tante persone che ho perso il conto.-

Fred roteò gli occhi, cercando di nascondere una microscopica fitta di gelosia. Sapeva che lo stava solo prendendo in giro, ma il pensiero che avesse davvero fatto leva sul suo carisma per attrarre qualcuno e farsi fare un favore lo infastidiva.

Come al solito, Jim sembrò leggergli nella mente: -Sei stato tu a tirare in ballo l'argomento.-

Fred sorrise: la tentazione era grande... avrebbe voluto sporgersi, invogliarlo ad avvicinarsi per poi lasciarlo a bocca asciutta, come aveva fatto lui alla loro prima uscita. Ma sapeva bene che Jim non era una preda facile: non sarebbe riuscito nel suo intento. Non così facilmente.
Si morse le labbra e alla fine decise di provare comunque: fece leva sulle braccia e si protese verso il cameriere che però rimase, come Freddie aveva immaginato, impassibile.

-È anche a questo che serve il bancone.- gli sussurrò sulle labbra, battendo due piccoli colpi sul ripiano ligneo. -E non sai quante volte mi sia stato utile in queste situazioni. Non puoi immaginare in quanti si sono sporti come te adesso... qui, al ristorante... e anche a Londra.-

Il sorriso del cantante sparì immediatamente, lasciando spazio ad uno sguardo particolarmente irritato.

-Sei crudele.- borbottò.

-Che crudeltà: Jim è così cattivo con il povero piccolo Fred...-

-Già...- mise su un finto broncio, incrociando le braccia sul petto. -Dovrai farti perdonare.-

-Questa scusa non funzionerà in eterno.-

-Ma finché funziona...-

-Non ho detto che stia funzionando.-

-Sei noioso.-

-E tu infantile.- a quella provocazione le sopracciglia del cantante si impennarono, senza riuscire a nascondere un'espressione sbalordita, per quanto anche divertita. -Ho offeso il povero piccolo Fred?-

-Smettila di chiamarmi così...-

-Altrimenti?-

Fu il suo turno di rimanere granitico al proprio posto: Jim lo stava tentando nello stesso identico modo in cui ci aveva provato lui poco prima, ma Freddie non aveva alcuna intenzione di dargli la soddisfazione di una vittoria. Sforzandosi di non abbassare lo sguardo sulle sue labbra, che si erano pericolosamente avvicinate, pensò di cambiare argomento:

-Hai lavorato anche a Londra?- domandò quindi, ripensando a quanto gli aveva detto poco prima.

-Ci vivo, a Londra.- rispose tornando al proprio posto. -Questo a Miami è un impiego a tempo determinato, per racimolare qualche soldo in più. Sai...- e di nuovo assunse un tono sibillino che fece assottigliare lo sguardo a Freddie. -i clienti sanno essere davvero generosi, se messi a loro agio... e io sono molto bravo...-

-Non ti dai per vinto, eh?-


 


 

Il bicchiere ormai vuoto stretto in mano, Roger osservava un quadro dalla forma allungata nel quale era rappresentato un pesce spada circondato dal suo habitat naturale.

Era un quadro orrendo. Brian lo detestava ma ancora non si decideva a toglierlo: non sapeva con cosa sostituirlo e gli sarebbe piaciuto ancora meno lasciare un buco vuoto nella parete.
Dal divano, osservò lo sguardo di Roger, confuso e intontito dallo champagne che avevano continuato a bere dopo cena, finendo la prima bottiglia e aprendone una seconda.

-È un'aringa.- disse, con un tono che chiunque sufficientemente sobrio avrebbe riconosciuto come una presa in giro. Ma Roger ormai non rientrava più né nella definizione di “sufficientemente sobrio” né tanto meno in quella più banale di “lucido”.

-Un'aringa?! Davvero?- domandò infatti raggiungendolo e sedendoglisi di fianco.

Brian era sobrio ma contento: Roger gli era sembrato più che soddisfatto della cena, sebbene avesse espresso una certa avversità nei confronti della sua dieta vegetariana.

-Posso farti una domanda?- chiese di nuovo il biondo, dopo qualche minuto di silenzio, osservandolo con la fronte corrucciata. Aspettò a lungo, in attesa di un cenno d'assenso da parte di Brian, prima di proseguire. -Se un tuo amico avesse un segreto... e tu lo avessi scoperto...- si bloccò, studiando per un momento il proprio bicchiere. -Non perché mi sia andato a fare i fatti suoi, eh... non erano fatti suoi, lo giuro!-

-Ti credo.- lo rassicurò.

-È che adesso non so cosa fare. Io vorrei aiutarlo, ma forse lui non vuole... credo che non voglia, perché non me ne ha mai parlato...-

-Capisco cosa provi. Tenere un segreto è una responsabilità, ma non significa che lui non si fidi di te. Forse il suo segreto merita riservatezza?-

-Sì, sicuramente. Ma io vorrei fare qualcosa...-

-Si tratta di Freddie?-

-No, di John... ma lui non parla mai... non riesco mai a capire quello che pensa... forse vuole una mano ma non può chiederla...-

-John? John dell'orchestra?-

Brian si sorprese della risposta affermativa che ricevette ma, dopo un primo momento di sorpresa – non aveva idea che lui e il suo migliore amico si fossero incontrati – si ritrovò a sorridere: il fatto che John avesse “capito subito” cosa fosse successo tra lui e Roger si prospettava ora sotto una luce diversa. Lo aveva preso in giro: aveva evidentemente parlato con Roger...
“Gli era bastato guardarlo per capire che era successo qualcosa fra loro due”... Il maledetto! E lui ci era cascato senza farsi nemmeno venire il più piccolo dubbio! Prese mentalmente nota di complimentarsi con lui per la presa in giro, prima di tornare a Roger.

-Non sapevo vi foste conosciuti.- disse semplicemente.

-È che lo capisco: io la vorrei una mano...-

Accortosi dell'improvviso cambio di tono, dell'amarezza di quell'ultima affermazione, gli passò una mano fra i capelli godendosi la reazione di Roger che, seguendo quella carezza, reclinò appena la testa.

-Ho tanta voglia di dirti un segreto, Brian...- sussurrò poco dopo, seguendo la piega malinconica che la conversazione aveva assunto. -Me lo porto dentro da tanto...-

Che qualche mistero si nascondesse dietro le sue stranezze, i suoi sbalzi d'umore, era un'ipotesi più che probabile, che Brian aveva già formulato in più occasioni.

Esattamente come per John.
Si rendeva conto che gli stava tenendo nascosto qualcosa. Ma non lo avrebbe mai forzato a parlargliene.

Come in quel momento: non aveva mai cercato di convincere Roger a confessare alcunché, né intendeva farlo adesso. Leggeva sincerità nei suoi occhi quando lo guardava con quegli occhioni azzurri, quando gli sorrideva, quando lo baciava. Non voleva approfittare di quel momento di debolezza per scoprire che enigma si annidasse dietro il suo sorriso luminoso: quando avesse voluto parlarne lo avrebbe fatto.

E così John.

-Pensi sia il momento migliore? Sei ubriaco.-

-Non sono ubriaco! Ci vuole più di qualche bollicina!-

-Magari con il divieto di vendita e consumo degli alcolici ora non sei più abituato a bere: così anche delle semplici bollicine, come dici tu, ti danno alla testa.-

-Come se prima fossi un alcolizzato.- biascicò in risposta, le labbra premute sul bordo del bicchiere vuoto.

-Non intendevo questo: dico solo che non si può negare che tu sia almeno un po' brillo.-

-Non è vero.-

-Sì che è vero.-

-Quanti anni hai?! E poi perché ne sei certo?-

-Perché pensi davvero che quella sia un'aringa.-

-Come fanno a farle entrare in quelle scatolette... così piccole?-

Felice di averlo distratto, lo studiò mentre si voltava a controllare le dimensioni dell'animale nel dipinto e poi le proprie mani che tentavano di riprodurre la dimensione di quelle minuscole latte alle quali si riferiva; mentre tornava a guardare davanti a sé e, dopo un sospiro sorridente, corrugava di nuovo la fronte.

Un'altra carezza: -A che pensi?-

-Penso che sta andando tutto bene, qui e... tutto sommato... più o meno anche al lavoro.-

-E?-

Roger scrollò le spalle: -E quando tutto fila liscio io mi agito.-

-Perché?-

-Perché quanto va tutto bene... questo è il modo che usa Dio per dirti di pararti il culo perché sta per prendertelo a calci.-

-È una visione cinica della vita.-

-È oggettiva: funziona sempre così. Sono un esperto!-

-Pensavo fossi un ottimista.-

-Lo sono: cerco sempre di trovare il lato positivo.-

-Hai ricevuto qualche calcio recentemente?-

Roger annuì, abbassando di nuovo lo sguardo nel proprio bicchiere: -Sì, uno bello forte.-

Brian rifletté sulle sue parole, sul suo sguardo e sul suo comportamento quando era in sua compagnia: il non voler parlare di sé, della propria vita, del proprio lavoro, se non per quello che era strettamente necessario...

-Questa volta non mi sembra che tu sia riuscito a trovare un lato positivo.- gli fece scivolare due dita lungo la guancia liscia, in un gesto affettuoso e rassicurante, anche se, a dirla tutta, il ragazzo non sembrava intristito. Al contrario, sollevò il viso e gli sorrise:

-Ho trovato te.-

Roger si sporse appena, quanto bastava per sfiorargli le labbra con le proprie: un bacio delicato, leggero. Innocente quanto quella genuina dichiarazione.
Ma un attimo dopo il suo sguardo mutò, i suoi occhi si fecero più scuri, le pupille dilatate, e si premette più forte contro di lui, imbrigliando quei ricci castani e scoprendo una piccola porzione del collo dove soffocò un sorriso per poi lasciarvi un bacio. Due. Tre. Un morso. E un quarto bacio. Fino a quando Brian non imitò il suo gesto, stringendo le sue ciocche bionde per farlo sollevare, strappandogli un sospiro.

Se Roger era brillo per via di qualche bicchiere di troppo, Brian si ubriacò del sapore della sua bocca, della morbidezza delle sue labbra, del calore dei suoi sospiri, del suono gutturale dei suoi gemiti.
Quando si fermò e alzò la testa, passò un dito su quelle due fila soffici, gonfie e arrossate, come aveva fatto la prima volta. Sfiorò con il naso la fronte del più giovane, lasciandogli un ultimo bacio lì.

-Che c'è?- domandò Roger sentendolo sorridere contro la propria pelle.

-Dove hai imparato a baciare così?-

Il biondo sollevò la testa dal suo collo, dove si era appoggiato stringendosi a lui in un abbraccio: -Vendevo baci per le raccolte fondi scolastiche.-

-Ah davvero?-

-Già: mi devi un gran bel mucchio di soldi... quasi quasi non credo che tu possa permettertelo.-

-Addirittura?-

-La qualità ha un prezzo.-

-Va bene se ti pago in contante?-

-Preferisco un assegno.-


 

Jim faceva bene a vantarsi di quei cocktail: erano davvero deliziosi. Fred bevve l'ultimo sorso dal bicchiere che stringeva in mano e sospirò soddisfatto. Ne avrebbe volentieri ordinato un altro, ma ormai mancavano appena dieci minuti allo spettacolo. Jim non si era mosso da quella postazione, se non per servire una birra ad un altro cliente che aveva preso il bicchiere e si era subito allontanato. Dopo essersi pettinato i baffi con una mano prese fiato per rispondere ai complimenti di Fred, ma si bloccò di colpo, prendendo il bicchiere vuoto per pulirlo facendo finta di niente. Freddie non fece in tempo a formulare una domanda che sentì qualcuno appoggiargli una mano sulla spalla. Quando si volse per incontrare lo sguardo di Paul Prenter per un momento si ammutolì, sentendo i polmoni svuotarsi come se qualcuno gli avesse appena tirato un pugno.

-Wendy, giusto?, permette una parola?- non gli diede nemmeno il tempo di rispondere, nemmeno il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, che parlò di nuovo. -Da quanto tempo lavora nell'orchestra del Signor Deacon?-

Il racconto di Roger riguardo quanto avesse trovato frugando in camera di Prenter gli aveva permesso di dipingere un ritratto ben poco gratificante di quell'uomo che ora gli stava davanti con un sorrisetto stampato in viso. La sua voce melliflua lo irritò immediatamente, andando ad aggiungere dettagli poco clementi su quel ritratto.

Dopo essersi ripreso da quella momentanea sbandata gli rispose con un'altra domanda: -Lei conosce John?-

-Diciamo che siamo vecchi amici.- capendo che la risposta non era stata sufficiente, decise di specificare con una bugia: -Compagni di università. Suonavamo insieme.-

-Ho sentito una storia su un ragazzo che suonava il basso. Un suo vecchio amico approfittò del suo buon cuore... ma alla fine fu trovato strangolato con un reggiseno.-

Freddie sapeva che sarebbe stato difficile per Paul cogliere quella neanche troppo velata minaccia dato che non aveva idea della loro vera identità e del fatto che avessero scoperto il suo gioco. Ma non gli importò.

Leggermente confuso, Prenter annuì disinteressato: -Eh, già. Bisogna stare attenti nella scelta delle amicizie.-

Già stufo di quella conversazione, Freddie lanciò uno sguardo attorno a sé, alla ricerca di Roger che, ormai, sarebbe dovuto essere di ritorno dalla cena con Brian. Lo adocchiò, infatti, poco distante, impegnato in una conversazione apparentemente affiatata, con Mallett.

Ma che bella situazione per entrambi!

-Volevo farle un paio di domande.- riprese Prenter, con lo stesso tono sgradevole.

-È un interrogatorio per caso?- sbottò Fred.

Il poliziotto sogghignò: -No, ma... se le interessa ho un paio di manette.-

-Solitamente apprezzo il fascino della divisa.- dichiarò il cantante osservandolo mentre sfidava le leggi della pubblica decenza avvicinandoglisi un po' troppo. -Ma non è questo il caso.- con una manata lo spinse indietro, suscitando un sorriso d'approvazione in Jim che, lì davanti, faceva finta di niente continuando a pulire quel settore del bancone, che ormai risplendeva come non aveva mai fatto prima.

-Mi perdoni.- riprese Prenter senza scomporsi, con lo stesso tono laido di chi in realtà non si scusava affatto del proprio comportamento inappropriato.

-Se ha delle domande si sbrighi.- se ne sarebbe voluto andare, ma era consapevole del fatto che più avesse scoperto sul suo conto, più lui e Roger sarebbero stati in grado, eventualmente, di dare una mano a John.

-Credo che nella vostra orchestra ci sia una ragazza che ha... legato con il nostro comune amico. Saprebbe dirmi il suo nome?-

Corrugò la fronte e si trattenne appena dal dire il nome di Veronica: -Perché vuole conoscerla?-

-Gliel'ho detto. John è un mio caro amico: mi piacerebbe conoscere la ragazza che è riuscita a incastrarlo.-

Fred si morse le labbra: la situazione non gli piaceva per niente e quella domanda lo aveva preoccupato non poco. L'idea che potesse sfruttare Veronica per costringere John a fare... cos'altro ancora? Non erano sufficienti le informazioni che gli aveva passato fino a quel momento?

-La seconda domanda?- chiese dunque, lasciandolo nell'ignoranza.

Un ultimo ghigno lo fece rabbrividire, come le parole che ne seguirono: -Qual è il numero della tua camera?-

Non trattenne una smorfia schifata e, senza rispondere per la seconda volta, si alzò e si allontanò in direzione del coinquilino, che aveva da poco salutato Mallett. Si assicurò che Prenter non lo stesse seguendo e finalmente, appoggiando le mani sulle spalle di Roger, si lasciò andare ad uno sbuffo scuotendo la testa:

-Io faccio sparire il tuo spasimante se tu fai sparire il mio.- gli disse.

Roger rispose con un sorriso ebbro e, dopo qualche istante, cambiò discorso, parlando con la massima tranquillità: -Sono nei guai.-

-Tu nei guai? Guarda me! Guarda chi mi si è attaccato al culo! Ringrazia che il tuo altro spasimante è un miliardario con tanto di yacht con più di dodici camere da letto e non un laido poliziotto corrotto e stronzo!-

-Non ci sono dodici camere sullo yacht di Brian: in questo mondo così inquieto sarebbe immorale possedere uno yacht con più di dodici cuccette!-

-Non stavo parlando sul serio! E poi...- si bloccò, lo sguardo in quello di Roger. -Ma sei ubriaco?-

Inaspettatamente, Roger annuì ridacchiando: -Solo un po' brillo.-

-Ma sei impazzito?! Ci potrebbero arrestare da un momento all'altro e tu ti metti a bere?- un pensiero altrettanto preoccupante gli fece sgranare gli occhi: -Perché dici di essere nei guai?-

-Ho tante cose da dirti...-

Il suo sorriso tranquillo lo fece rilassare, nonostante tutto. Certo, non era del tutto sobrio, ma non era nemmeno sbronzo al punto da non rendersi conto di essere nei guai: non poteva essere niente di particolarmente grave se lui era così tranquillo. -Cos'è successo?-

-Credo di essermi fidanzato.-

A quelle parole Fred scoppiò a ridere. Da un certo punto di vista avrebbe dovuto preoccuparsi per il fatto che il suo amico non fosse lucido ad appena un paio di minuti dal loro ultimo turno di lavoro, ma dall'altro sentì scemare il timore che avesse detto o fatto qualcosa che avrebbe potuto metterli in pericolo: si stava semplicemente divertendo a dire idiozie, non era certo la prima volta che lo faceva.

-E tu saresti “solo un po' brillo”?- lo prese in giro allacciandogli un braccio attorno al collo in un gesto amichevole mentre si avviavano verso il salone.

-Dico davvero! Oh, che belle queste maracas!- esclamò adocchiando i due piccoli strumenti appoggiati sul bordo della pedana dove l'orchestra si sarebbe di lì a poco esibita. Li tirò fuori dalla piccola borsa nera sulla quale erano adagiate e non si curò del fatto che non fossero sue. Le agitò lentamente, studiandone il suono per qualche istante: dovevano essere dell'orchestra cubana che si era esibita il giorno prima. Alla fine si girò verso l'amico:

-Mie!- decretò scuotendole sotto il naso di Freddie che, dopo qualche istante, le scostò con una mano per proseguire il discorso, o meglio, la presa in giro.

-E dimmi un po': chi è la fortunata?- gli domandò, infatti, con un sorrisetto stampato in viso. Ma la risposta gli fece cambiare espressione immediatamente:

-Io.-

Fred emise una risatina nervosa: voleva ancora credere che stesse solo giocando – forse, dopotutto, quelle settimane passate a nascondersi lo avevano davvero trasformato in un bravo attore! – ma non riusciva a trovare nemmeno il più piccolo indizio che quello fosse solo uno scherzo.

-...cosa?-

-Mallett mi ha chiesto la mano poco fa. Pensiamo di sposarci a giugno.-

Il cantante si fermò e gli si piazzò davanti, per poterlo osservare ancora meglio in viso, fino a quando non si rese drasticamente conto che non stava affatto scherzando.

-Ma sei impazzito?! Non puoi sposare Mallett!-

Roger sgranò gli occhi, aprendo leggermente la bocca sorpreso: -Pensi sia troppo vecchio per me?-

-Ma Rog!- esclamò senza curarsi del fatto che fossero in un luogo pubblico. -Non dici mica sul serio!-

-E perché no? Si è già sposato sette o otto volte.-

-Non ne è sicuro?-

Dileguò la risposta con una smorfia e un gesto della mano: -È la madre a tenere il conto.-

-Ma... ma... ma Roger... ti rendi conto di quello che stai dicendo? Perché mai vorresti sposare Mallett!-

-Per sistemarmi!-

Frastornato da quel discorso, Freddie lo prese per un braccio, intenzionato a portarlo via, in camera: -Rog, tu... tu non stai bene: è meglio che ti sdrai... adesso andiamo...-

-Ma la smetti di trattarmi come un bambino? Non sono stupido! Lo so che c'è una difficoltà!-

-Ah, ecco! Meno male che te ne sei accorto! Come...- venne interrotto per la seconda volta.

-Sua madre! Ci serve il suo consenso. Il che potrebbe essere un problema perché non approva le ragazze che fumano...-

-Rog! Ti rendi conto che Dave vuole sposare Clare e non Roger, vero?-

-Certo.-

-E allora capisci che c'è anche un'altra difficoltà? Hai pensato alla luna di miele?-

-Ah, si!- esclamò il biondo con allegria. -Ne discutevamo giusto poco fa: lui vorrebbe andare in Riviera, ma io insisto per le cascate del Niagara.- dichiarò lanciando una delle maracas in aria e riprendendola al volo. Un sorrisetto compiaciuto stampato sul suo viso.

-Ma sei pazzo da legare! Come speri di farla franca?-

-Ma Fred!- gli appoggiò una mano sulla spalla. -Non mi aspetto mica che duri! Gli dirò la verità quando arriverà il momento!-

-E cioè quando?-

-E cioè subito dopo la cerimonia.- agitò le maracas sotto il naso del pianista. -Così otteniamo l'annullamento,- le scosse una seconda volta. -lui mi dà una bella sistemazione e io mi becco gli alimenti ogni mese!- con un ultimo movimento girò su sé stesso facendo risuonare i grani interni agli strumenti.

Freddie cercò di afferrarlo a sua volta per le spalle prima che riprendesse a danzare, mosso dall'alcol: -Rog, Rog, ascoltami, ci sono le leggi, le convenzioni: queste sono cose che. Non. Si. Fanno!-

-Ma Freddie... questa è forse l'unica occasione che ho di sposare un riccone!-

-Rog, tesoro, stammi a sentire amore mio, va bene?- gli prese il viso fra le mani, riuscendo finalmente a calmarlo: -Scordati questa storia, eh? Scordati di tutto, della Florida, di Miami, dei pesci volanti e di Mallett, d'accordo? Devi ripetere a te stesso che non sei Clare, va bene?, sei Roger. E Roger non vuole sposare Dave, giusto?-

Riportato alla realtà, Roger lo fissò a lungo, respirando a fondo, espirando un po' della sbronza.
Alla fine annuì: -Sono Roger...-
Si stropicciò gli occhi, rovinando il trucco, e sospirò, portandosi le mani alla fronte: un accenno di mal di testa bussava alle sue tempie.

-Oh, vorrei essere morto... non ce la faccio più....- biascicò seccato, rendendosi conto dell'assurdità di quel disperato piano di fuga.

-Va tutto bene, dai... sei solo stanco e ubriaco.- lo rassicurò Fred stringendogli le spalle in un abbraccio.

-E adesso cosa ci faccio con il suo regalo di fidanzamento?-

-Regalo di fidanzamento?-

Roger annuì, tirando fuori dalla tasca della gonna un luminoso braccialetto.

Freddie, rapidissimo, lo afferrò per guardarlo meglio sotto la luce del lampadario: -Vuoi scherzare?! Questi sono diamanti veri!-

-Certo che sono diamanti veri!- proruppe Roger strappandoglielo di mano. -Che credi? Che il mio fidanzato sia un pezzente? Ora dovrò restituirglielo.-

Ma Fred gli fermò la mano prima che infilasse di nuovo il gioiello in tasca: -Un momento, Rog, un momento. Non precipitiamo: non è mica il caso di offenderlo, no?-


 


 

L'albergo era immerso nel silenzio. La reception era ancora aperta, nonostante l'ora tarda: dopotutto non era insolito che qualcuno dei clienti decidesse di uscire di notte per una nuotata al chiaro di luna, per poi rientrare alle due o alle tre del mattino. L'impiegato a cui era toccato il turno notturno era seduto al suo posto, sfogliando distrattamente una rivista, quando vide cinque uomini entrare e pretendere immediatamente che gli fossero assegnate delle camere. Erano lì per il Decimo congresso degli amici dell'Opera italiana, così dissero. Il ragazzo li seguì con lo sguardo fino all'ascensore, dopo aver consegnato loro le chiavi, poi tornò alla propria rivista.

-Siete degli imbecilli!- ringhiò uno degli uomini, quando le porte dell'ascensore si furono chiuse, continuando il discorso che avevano dovuto interrompere quando erano entrati in albergo. Abbassò lo sguardo sui propri piedi sbuffando con irritazione quando constatò che le ghette gli si erano sporcate di sabbia.

-Sono spariti, capo, volatilizzati nel nulla! Abbiamo passato tutta Chicago al pettine! Quei due testimoni sanno bene come nascondersi...- rispose il più alto degli altri quattro uomini.

-Se non li troverete appena torniamo sarò io a farvi volatilizzare! Mi sono spiegato?-

-Stai tranquillo, capo: vedrai che un giorno salteranno fuori quei due tipi.- decretò con sicurezza un terzo uomo, appoggiato dal quarto, che annuì vigorosamente.

-Certo che salteranno fuori! Dalla tomba!-


 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno!

Come per lo scorso capitolo, chiedo scusa per il ritardo! Due settimane intere! Vi chiedo scusa in ginocchio! Questo capitolo mi ha dato non pochi problemi! L'ho riscritto più di una volta perché non mi soddisfaceva mai: la prima volta mi sembrava di essere stata troppo frettolosa, la seconda volta invece troppo seria rispetto al resto della storia e così via... Alla fine sono arrivata alla tipo quarta stesura e finalmente, una volta conclusa, mi sono sentita abbastanza soddisfatta XD (...speriamo in bene XD)

Che dire di questo lunghissimo capitolo che mi ha tirata scema? Beh, che è pienissimo, ma proprio straripante, di riferimenti al film: dalla storia dell'aringa, alla vendita di baci; dalla storia di quell'amico strangolato con un reggiseno alla proposta di matrimonio di Mallett; dalla storia dell'immoralità di avere più di dodici cuccette all'arrivo dei gangster :-O

Spero di avervi divertito e che l'attesa sia stata, almeno un pochino, ripagata... '^^

Non voglio annoiarvi con troppe chiacchiere, considerando da quanto tempo stavate aspettando questo aggiornamento.

Come sempre vorrei solo ringraziare tutti voi che leggete, seguite, ricordate, preferite e i miei fedelissimi che recensiscono sempre *.* GRAZIE MILLE! Siete fantastici! <3

In tutto ciò oggi per ricontrollare il capitolo e pubblicare non ho fatto colazione! XD
Corro a preparare il pranzo! XD Se avete dei pomodori da lanciarmi addosso come punizione per il ritardo (o per il capitolo 'XD), in questo caso sono graditi :-P

Basta con le idiozie!

Vi mando un bacione enorme!

A presto con il prossimo capitolo (dove ritroveremo il caro John ^^)

Sciau!

Carmaux


 

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Capitolo 15
*** CAPITOLO QUATTORDICI ***


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CAPITOLO QUATTORDICI

-Mi hai davvero fatto preoccupare ieri sera!-

-Smettila.- sussurrò Roger, osservando il proprio riflesso nello specchio dell'ascensore, senza capire cosa non andasse, sorvolando l'ovvio, nel suo look. Fred lo aiutò, raddrizzandogli la parrucca di modo che i capelli avessero la stessa lunghezza ad entrambi i lati del suo collo.

-Non ti sto prendendo in giro.- dichiarò il pianista, rimangiandosi subito l'affermazione: -Un pochino sì, in realtà; ma ti capisco.-

-Ah si?- disinteressato e in imbarazzo, Roger si pettinò la frangia con una mano.

-Sì... dover continuare a mentire in qualunque situazione, anche con Brian... dev'essere estenuante. E mi dispiace.- vedendo che continuava, imperterrito, a pettinarsi per non incrociare il suo sguardo, gli strinse una spalla. -Non c'è niente di male ad avere un momento di debolezza.-

-Momento di debolezza?!- esclamò il biondo, irritato. -A momenti diventavo la Signora Mallett!-

-Questi sono dettagli...-

-Dettagli dici?-

-Guarda il lato positivo! Adesso abbiamo una comoda via di fuga: a volte per salvare la pelle bisogna sacrificare qualcosa.-

-Sì, però quello che si sacrifica sono sempre io!-

-Oh, avanti: per così poco! Gli dici che vuoi andare via con lui e poi lo scarichiamo al primo porto sicuro.-

Roger levò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

Siamo a cavallo, come avrebbe detto Fred.

Lo sguardo gli cadde sul polso, illuminato dal braccialetto che Dave aveva regalato a Clare come dono di fidanzamento.
Sbuffò: -Mi sento proprio una puttana ad accettare con l'inganno dei gioielli da un uomo!-

-Come se fosse una sensazione nuova: sappiamo entrambi come ti sei pagato il college.- la presa in giro ebbe il sperato effetto di farlo ridere.

La campanella dell'ascensore tintinnò al secondo piano, al posto di continuare la sua discesa fino al piano terra, e quando le porte si aprirono il sorriso dei due musicisti si spense di colpo, lasciando spazio ad un brivido che li fece impallidire mentre si appiattivano contro una delle pareti.

A testa bassa, cercarono di non dare nell'occhio, regolarizzando il loro respiro, di modo da non attirare l'attenzione di nessuno di quelli che avevano immediatamente riconosciuto come i gangster ai quali erano scappati a Chicago.


 


 

Brian identificò immediatamente l'amico appoggiato al bancone del ristorante che dava sul salone e gli si avvicinò, battendogli una mano sulle spalle.

John sussultò visibilmente a quel saluto inaspettato e gli cadde il foglio che aveva in mano.

-Scusa, non volevo spaventarti.- sorrise. -Anche se un po', forse, te lo meriti.-

-Perché me lo merito?- domandò, ma il suo sguardo era da tutt'altra parte, alla ricerca di un cameriere che lo ascoltasse. Sembrava irrequieto e teso.

-Facciamo colazione?- Brian strinse la presa sulla sua spalla, per attirare la sua attenzione, ma quello scosse la testa.

-Non ho fame...-

-Hai già un impegno?- indagò il riccio, ricevendo in risposta uno sguardo sorpreso che si risolse quando indicò il foglio che lui stesso aveva raccolto da terra e sul quale gli era inevitabilmente caduto un occhio prima di riconsegnarlo a John. Non che avesse ficcanasato, ma c'era scritta appena una riga e anche volendo sarebbe stato difficile non leggere quelle poche parole nel momento in cui lo aveva raccattato da terra.

-Più o meno... scusami: non ti ho avvertito...- come se fosse a corto di tempo, tornò a guardare davanti a sé, tormentando quel povero pezzo di carta che sicuramente aveva vissuto momenti migliori.

-John, va tutto bene?-

Corrugò la fronte: -Sto ordinando la colazione per Prenter, il mio... capo. Mi ha detto di fargliela recapitare in camera, e che vuole che ci sia anche io: dice che vuole parlarmi...-

-È una cosa positiva?-

Scosse la testa; gli occhi bassi: -No...-

-John?-

-Questo... questo non sarà il mio ultimo lavoro: non vuole lasciarmi andare.-

John avrebbe giurato di sentire le rotelle girare nel cervello del suo migliore amico mentre cercava di comprendere una situazione che non poteva ancora capire: -Non può decidere lui: hai la libertà di licenziarti quando vuoi.-

-Non posso...-

-Perché?-

Chiuse gli occhi. Tutta quella situazione cominciava a farsi insostenibile. Non riusciva a sopportare l'idea di avere addosso lo sguardo preoccupato di Brian... non fintanto che non aveva idea di cosa davvero non andasse nella sua vita. Consapevole delle bugie che gli aveva detto pur di non rivelargli la triste verità, si sentiva in colpa ad essere il destinatario di tanto affetto.

-Non so come tirarmene fuori, Brian...- sussurrò, stanco.

-Di cosa stai parlando?-

Prese un respiro profondo e sospirò.


 


 

Fred e Roger non avevano il coraggio di sollevare la testa.

Da quanto tempo erano arrivati a Miami? Forse li avevano già scoperti ma avevano aspettato il momento migliore per disfarsi di loro... in fin dei conti quello sarebbe davvero stato il posto più indicato: un ascensore; nessuna via di fuga, nessun testimone.... sarebbero bastati un paio di colpi di pistola e poi sarebbero potuti tranquillamente scendere al primo piano, dileguandosi facendo finta di nulla.

-Quei nastrini sono davvero deliziosi.- commentò uno degli uomini, sfiorando i lunghi capelli di Roger, indicando i fiocchi bianchi e neri che li tenevano legati. Il ragazzo cercò di far affluire un po' di sangue alle guance con un sorriso e, di nuovo, abbassò la testa: nel migliore dei casi avrebbero pensato che era una fanciulla particolarmente timida.

-Non vorrei essere sfacciato,- aggiunse un secondo uomo, togliendosi il cappello in segno di buona educazione. -Ma ci conosciamo già, bamboline?-

-Ci scambierà con altre bamboline...- sussurrò Fred, mantenendo lo stesso comportamento del coinquilino.

-Siete mai state a Chicago?-

-Noi? Non ci andremmo neanche morte a Chicago!- rispose Roger con una risatina nervosa.

La campanella trillò nuovamente, raggiungendo finalmente il piano terra. I cinque uomini uscirono uno alla volta, fino a quando non ne rimase uno solo che si fermò a metà strada, impedendo che le porte si richiudessero.

-In che camera alloggiate?-

-Non credo siano affari vostri.- dichiarò Freddie, ignaro del fatto che il portachiavi attaccato alla chiave della loro camera penzolava dalla tasca del proprio vestito. Dettaglio che all'uomo non sfuggì: allungò una mano, girò il portachiavi e lesse il numero inciso.

-Ci terremo in contatto.- ammiccò l'uomo prima di uscire dall'ascensore.

Le porte si richiusero con un rumore secco.

Fu in quell'istante che il cuore dei due ragazzi riprese a battere. Si accasciarono contro la parete.

Roger si concesse un sospiro spezzato: siamo appena caduti da cavallo!, come avrebbe detto Fred.

Ancora vittime del panico che avevano dovuto mascherare fino a qualche istante prima, nessuno dei due riuscì ad alzare nemmeno un braccio per premere il pulsante del quarto piano.

Come se gli avesse percepito i suoi pensieri, alla fine il pianista emise un sibilo: -Siamo appena caduti da cavallo...-


 


 

Brian aveva ascoltato il racconto di John in silenzio; la sua espressione era cambiata innumerevoli volte nel corso di quella storia delirante: dall'apprensione all'incredulità; dalla preoccupazione alla rabbia. Si morse le labbra per trattenersi fino a quando John non ebbe finito di parlare, poi, di colpo, esplose:

-Perché non mi hai chiamato?! Avrei pagato la tua cauzione! Non avresti dovuto vivere tutto questo!-

-No... Brian, no! Tu sei il mio migliore amico! Già una volta mi hai aiutato... e ti ricordi com'è stato... e poi... io...-

Se lo ricordava bene.
Ricordava il giorno della sua laurea e come non avesse festeggiato il suo diploma con il massimo dei voti.
Ricordava il giorno, qualche tempo dopo, in cui John lo aveva invitato a cena a casa sua e gli aveva consegnato in mano una busta chiusa contenente la somma della tassa di laurea, dal primo all'ultimo centesimo.

-Non ce n'è bisogno, John, te lo avevo detto: consideralo un regalo di laurea.-

-Non se ne parla.- aveva dichiarato il bassista allungando nuovamente la busta verso l'amico, che scosse la testa sorridendo. A quel punto il più giovane gli aveva preso la mano e gli aveva lasciato la busta sul palmo.

-John, dai... non...-

-No, Brian! Sei il mio migliore amico! Posso essere in debito con il mondo intero, ma non con te.-

-Non sei in debito.- gli aveva appoggiato le mani sulle spalle, di modo che lo guardasse in faccia mentre glielo diceva: voleva che fosse chiaro che non aveva nulla per cui sentirsi in obbligo nei suoi confronti.

-Sì, invece! Bri...- aveva esalato un sospiro esasperato. -Questo è esattamente il motivo per cui non volevo che mi pagassi tu la tassa di laurea! Ma tu non mi ascolti! Non mi piace che i soldi influiscano sulla nostra amicizia. Non voglio!-

Aveva parlato più chiaramente di molte altre volte, senza peli sulla lingua. Che fosse stato riluttante ad accettare quel denaro non era mai stato un mistero, né aveva mai cercato di nasconderlo, ma non glielo aveva mai detto così, senza mezzi termini. Aveva scosso la testa, detto che non poteva accettare, e più di una volta aveva casualmente e accidentalmente dimenticato la busta piena di contanti e a lui intestata sulla scrivania di Brian.

Il professore sapeva che l'argomento “denaro” fra loro era tabù, ma non pensava fino a questo punto. E quella volta Brian aveva sbuffato, spazientito da quel suo comportamento refrattario.

-Perché devi vedere tutto così negativamente? Prendilo per quello che è: un gesto d'amicizia. Io non considero i soldi un problema.-

-Questo perché tu ci navighi!-

Brian era rimasto colpito, e affondato, da quelle poche parole. Sapeva che John non voleva offenderlo – e infatti, quando tentò di scusarsi, glielo impedì – ma si sorprendeva sempre di quanto sapeva essere schietto, quando voleva.

E in fin dei conti aveva ragione: per lui era sempre stato diverso. Non che, essendo ricco di famiglia, vivesse nella mollezza della pigrizia e non si guadagnasse da vivere, ma non avrebbe mai potuto capire per davvero il peso di un debito come quello.

Alla fine aveva accettato quella remissione del debito e non ne avevano più parlato: il loro rapporto era tornato quello di sempre e John non si era sentito più a disagio in sua compagnia.

Ma ora non si trattava semplicemente di una stupida tassa universitaria: tutti gli ultimi anni di John avevano risentito della sua decisione di tenere segreto il suo arresto.

Era una cosa diversa! Dannatamente diversa!

E Brian non riusciva a credere che John lo avesse tenuto all'oscuro di tutta quella faccenda... che avesse passato... quanto tempo? Mesi interi!, a raccontargli bugie e mezze verità.

Allo stesso tempo aveva sentito montare una preoccupazione e un senso di protezione nei suoi confronti paragonabile solo a quello di un fratello maggiore nei confronti del minore.

Afferrò l'amico per le spalle, interrompendolo: -John! Qui si tratta della tua vita, dannazione!-

-Non volevo esserti di peso ancora una volta... e poi io... mi vergognavo... a raccontarti tutto...- quell'ammissione, e il suo sguardo colpevole, lo ammutolirono per un momento. Perché mai avrebbe dovuto vergognarsi? Con lui?

-John... tu sei come un fratello per me! Lo sai! Non potrei mai biasimarti...-

-Un fratello galeotto...-

Gli voleva bene come se fosse sangue del suo sangue. Che il suo curriculum avesse una piccola nota di demerito per aver suonato in un locale clandestino non poteva interessargli di meno.
Eppure John lo conosceva: avrebbe dovuto saperlo che a lui non importavano certe cose, che aveva a cuore solo il suo bene.

-Potevi dirmelo. Ti sarei stato vicino. Potevi dirmelo; ma hai scelto di non farlo...-

John scosse la testa, puntando gli occhi in terra, sentendosi in colpa: -Temevo di perdere la tua fiducia. Ho fatto cose di cui non vado fiero...- avrebbe potuto dirgli che era la sua battaglia, la sua guerra e non quella di Brian; avrebbe potuto dirgli che nemmeno l'ultimo dei suoi pensieri era stato mirato allo scopo di deluderlo; avrebbe potuto dirgli che la loro amicizia era l'unica cosa che gli aveva permesso di superare quegli ultimi tempi. Ma non sarebbe cambiato niente.

Avrebbe dovuto parlarne con lui, fin dall'inizio. Rifiutare qualsiasi tipo di aiuto pecuniario, sicuramente, per combattere fisicamente da solo... ma con il sostegno morale della propria famiglia. Di chi meritava la sua fiducia e la sua onestà.

E invece aveva messo in piedi un processo alle intenzioni, speculando su quelli che sarebbero stati la sua reazione e il suo comportamento.

Abbandonò la testa sulle mani: non aveva il coraggio di guardarlo in faccia... d'altronde riusciva perfettamente ad immaginare la sua espressione risentita, la delusione trapelare dai suoi occhi...

E non poteva certo rimproverarlo.

-Ho sbagliato... scusami...-

Il silenzio che seguì fu il più lungo che John avesse mai vissuto, il più pesante e il più doloroso. Sentiva Brian fare a pugni con le proprie emozioni, fra la delusione e l'affetto, fra l'amicizia e il rancore.

Per un momento si domandò quale delle due fazioni avrebbe vinto quello scontro... e sentì il cuore sprofondargli sempre più nel petto... nonostante le sue parole e i suoi gesti, sempre affettuosi, non poteva dimenticare il suo sguardo ferito...
In quel lungo momento temette che quelli sarebbero stati gli ultimi gesti affettuosi che avrebbe ricevuto da parte sua.

Non riuscì ad impedirsi di pensare al peggio... di nuovo!

-Non posso pensare di perderti...-

Come sempre, a Brian bastarono appena poche parole per tranquillizzarlo: -Tu sei la mia famiglia.- e nel dirlo gli strinse delicatamente la nuca con una carezza affettuosa, ma a John, di nuovo, non sfuggì l'espressione amareggiata con cui il maggiore accompagnò quel gesto: gli voleva bene, su questo non c'erano dubbi, ma avergli nascosto quel segreto lo aveva indubbiamente ferito. Per forza.

Ma la consapevolezza di non aver perso quello spilungone dai capelli ricci che fin dal primo momento in cui si erano conosciuti si era preso cura di lui lo aveva rincuorato in modo indescrivibile. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di tempo per dimenticare quella faccenda, ma ora aveva la certezza che la avrebbe davvero dimenticata.

-Non pagherò la tua cauzione, se non vuoi. Ma almeno... promettimi che farai qualcosa. Fai qualcosa!-

-Credi che non ci abbia mai pensato?- emise una risatina nervosa. -Mi conosci... rifletto, penso per ore, giorni; studio un piano... e alla fine mi ritrovo al punto di partenza, seduto e fermo; senza fare niente.-

-Non sto ridendo, John. Dico sul serio: non permettergli di metterti i piedi in testa quando vuole.-

-Non ho molte alternative: fino a quando il debito non sarà saldato dovrò fare quello che mi viene detto.-

Brian scosse la testa e si spiegò meglio: -Non permettergli di farti credere che non vali niente.-

E per la prima volta da quando avevano cominciato quella discussione, leggendo dubbio – e forse paura? – nel suo sguardo, il chitarrista piegò le labbra in un sorriso rassicurante: se avrai bisogno di me, io ci sarò. Non sei più da solo.

Fu con la gratitudine negli occhi che, quando un cameriere si degnò finalmente di prestargli attenzione, consegnò il foglio con l'ordine e specificò il numero della camera dove la colazione doveva essere recapitata.

Dopo un cenno a Brian, si diresse verso l'ascensore, con un po' di agitazione dovuta alla conversazione che sapeva di dover affrontare con Prenter fra qualche minuto.

-Non mi avevi detto che hai conosciuto Roger.- gli disse Brian prima che si allontanasse troppo.

John si voltò su sé stesso, corrugando la fronte: -Non lo conosco: non lo ho mai nemmeno incontrato.- con un'ultima occhiata si scusò e raggiunse l'ascensore.


 


 

Le valigie spalancate sul letto, i due ragazzi stavano svuotando l'armadio con la violenza e il caos di un tornado. I vestiti volarono al loro interno, spiegazzandosi e rovinandosi, ma non era importante.

-Cercano noi, Fred!- dichiarò Roger prendendo in mano le maracas che aveva rubato la sera prima: non voleva buttarle. -Ci metteranno contro un muro e… TATATATATATATA!- agitando le mani mimando una scarica di pallottole di un mitragliatore, le maracas risuonarono, dando un che di realistico a quella rappresentazione visiva del possibile futuro che li attendeva. -Troveranno due donne morte, ci porteranno all’obitorio femminile e quando ci spoglieranno io morirò dalla vergogna!-

Fred gli diede uno scappellotto e subito dopo riversò nella propria valigia due paia di scarpe: -Non perdere tempo! Muoviti! Fai i bagagli!-

Roger annuì e schiaffò le maracas nella valigia per poi chiuderla: -Io lo sapevo... me lo sentivo: quando le cose vanno bene... questo è il modo che usa Dio per dirti di pararti il culo perché sta per prendertelo a calci!- aveva appena finito di pronunciare quella frase quando si bloccò, riflettendo: -È una cosa che ho già detto? È con te che ne ho già parlato?-

-Sbrigati!- e di nuovo gli disordinò la parrucca con un nuovo schiaffo sulla nuca.

-Ho l'impressione di aver già fatto questo discorso...-

-Non mi importa se hai impressioni strane o lacune di quanto successo ieri sera: quei gangster ci uccideranno se non scappiamo da qui subito!-

-Hai ragione, hai ragione...- si guardò intorno, scandagliando la camera per controllare di aver preso tutto: -Dimenticato qualcosa?-

-Non qualcosa...- Freddie si era improvvisamente immobilizzato, l'ultimo vestito da infilare in valigia ancora in mano. -Qualcuno.-

 


 


 


 

Angolino autrice:

 

I mean, one thing that is hopefully good about us is that after the arguments we have, we can actually still face each other the next day or the day after and talk about something else and sort of get over it” (John Deacon)

I'll probably make loads of plans, and then just sit around on my bottom all day long and do nothing.” (John Deacon)

 

Lo so: avevo detto che avrei aggiornato tre giorni fa e non l'ho fatto...

So che ormai sono tipo quattro capitoli che dico sempre la stessa cosa, (E VI CHIEDO SCUSA!) ma ho continuato a scrivere e cancellare per poi riscrivere diverse sezioni di questo capitolo, mai convinta fino in fondo. In particolare tutta la parte dedicata a Brian e John. Ragazzi, mi avete tirato scema! 'XD

Non volevo creare un litigio banale, con uno dei due che si infuria e se ne va, lasciando l'altro a crogiolarsi nell'autocommiserazione. Allo stesso tempo non volevo che si risolvesse in poche parole e che tornasse tutto normale in quattro e quattr'otto. Per cui ho voluto descrivere un Brian che accusa la botta, ci rimane male, ma che non abbandona l'amico o lo ferisce facendogli pesare l'errore. Come funziona in una famiglia. ^^
Almeno... spero di esserci riuscita...

E insomma... il capitolo è un po' più corto del solito perché è un capitolo “di passaggio”, ma il prossimo dovrebbe essere ben più corposo e spero proprio vi piacerà! ^^

Ormai mancano solo pochi capitoli alla fine della storia...

Dedico questo capitoletto a Soul Dolmayan, che ha deciso di ritagliare un pochino di tempo, nonostante sia alle prese con gli esami di maturità, per dedicarlo alle mie storie! <3 GRAZIE!

Come sempre, ringrazio tutti quanti per il supporto e le belle parole che mi lasciate sempre! <3 E ovviamente ringrazio sempre anche tutti i lettori silenziosi! <3

Un bacione!

A presto!

Carmaux

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Capitolo 16
*** CAPITOLO QUINDICI ***


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CAPITOLO QUINDICI

Freddie si guardava intorno mordendosi le labbra con tale forza che avrebbe potuto farle sanguinare. Si muoveva in fretta, correndo di salone in salone, scandagliandone gli interni e qualunque persona che assomigliasse a Jim.

Eppure non lo trovava da nessuna parte: non era al bancone, dove lavorava solitamente; si era avvicinato alle cucine e aveva chiesto ai camerieri che ne uscivano, se fosse lì dentro, ma aveva ricevuto solo risposte negative.

Che brutto scherzo del destino... si era ritrovato a pensare, affranto. Non voleva andarsene senza averlo prima rivisto, senza nemmeno salutarlo...

Di nuovo nel salone dove solitamente si esibivano, stava girando su se stesso quando sentì qualcuno appoggiargli una mano sulla spalla. La sua prima reazione fu di panico, pensando che potesse trattarsi dei gangster, ma si rilassò quando riconobbe i ricci disordinati di Brian. Solo dopo che questi lo ebbe salutato rifletté: se Brian era lì – con quel suo sorriso cordiale, per altro – significava che anche Roger non aveva avuto fortuna con quell'ultimo saluto che avrebbe voluto fargli telefonandogli. E certo non poteva scendere e buttargli le braccia al collo vestito di tutto punto come Clare... e ancora meno poteva uscire da camera sua senza quel travestimento.

Quasi non sentì la voce di Brian quando questi si scusò per averla spaventata e le domandò se andasse tutto bene. Cogliendo il suo sguardo confuso, il professore specificò che sembrava agitata. E come dargli torto?

Scosse rapidamente la testa. Non aveva tempo per parlare in quel momento – voleva trovare Jim! – ma una morsa al cuore gli fece mordere il labbro inferiore, pensando al suo migliore amico.

-Roger...- disse, distraendolo dalla domanda che quest'ultimo gli aveva appena posto. -Roger voleva parlarle: Clare dice che ha provato a telefonarle, al suo yacht, invano.- la serietà con cui aveva pronunciato quelle parole aveva fatto corrugare la fronte di Brian. -Dovrebbe contattarlo: telefoni alla camera di Clare e le chieda di metterla in contatto con lui.-

Non era sicuro che avergli consigliato di telefonare a Roger fosse stata una buona idea: non aveva avuto modo di rifletterci su a sufficienza.
Ma, se non aveva ancora avuto modo di conoscere a fondo l'uomo che aveva fatto perdere la testa al suo fratellino, conosceva quest'ultimo fin troppo bene: aveva capito quanto profondamente Brian si fosse insinuato sotto la sua pelle, quanto il batterista gli si fosse affezionato; sapeva quanto gli sarebbe mancato quando se ne sarebbero andati.

Quando, prima di uscire dalla propria camera, in un disperato quanto inutile tentativo di consolarlo, gli aveva detto che, con il tempo, lo avrebbe dimenticato. Roger aveva annuito senza guardarlo e Freddie aveva capito che gli aveva dato ragione non perché ci credesse davvero, ma solo per non doverne parlare in quel momento, per non inoltrarsi in quella conversazione che, onestamente, non sapeva ancora esattamente come affrontare.

Ora che si trovava a salutare Brian con un gesto accennato della mano appena prima che questi si chiudesse in una delle cabine telefoniche all'ingresso dell'hotel, realizzò di avere torto; che, ovunque fossero andati, per quanto tempo potesse essere trascorso, a Roger sarebbe bastato un distratto sguardo verso il cielo per ricordarsi di quel premuroso professore di astrofisica.


 


 

Freddie era uscito da qualche minuto, lasciando Roger in compagnia solo dei suoi pensieri, nessuno dei quali, in quel momento, lo stava aiutando a dare un senso alla situazione. Osservava la cornetta del telefono senza decidersi a sollevarla. La cosa migliore da fare sarebbe stata quella di fregarsene di tutto e di tutti e di andarsene: quelli erano i maledettissimi piani! Li avevano stabiliti nel momento in cui erano arrivati a Miami. Eppure adesso che dovevano essere messi in atto, non era sicuro di volerlo fare. O meglio, sapeva per certo di non volerlo fare...

Possibile che in poco meno di tre settimane fossero cambiate tante cose?

Il vecchio Roger, per salvarsi la pelle, avrebbe tranquillamente mollato la sua ragazza del momento senza avvertire. Il Roger musicista squattrinato avrebbe fatto le valigie e, la polizia alla porta, sarebbe scappato dalla finestra senza pensarci su.
Ma ora non era quel Roger.
Mentre cominciava a comporre il numero si rendeva conto di essere un'altra persona, una persona che non avrebbe mai lasciato la sua ultima conquista amorosa... anche se, riflettendoci, Brian non era affatto stata una sua conquista. Non aveva mai avuto intenzione di attirare la sua attenzione, né aveva mai pensato che avrebbe potuto provare qualcosa per lui fino a quando non era stato proprio lui a farglielo capire. Se caso, si poteva dire che lui fosse stato una conquista di Brian.

Aspettando una risposta, la cornetta appoggiata all'orecchio, si guardò allo specchio, senza soffermarsi sui vestiti femminili che ancora indossava, quanto sul suo sguardo, sulla sua espressione leggermente stravolta: si rese conto di essere ancora lo stesso Roger di sempre.

Era Brian ad essere diverso.

Diverso da qualunque altra persona per la quale avesse mai provato interesse: non voleva andarsene senza dirgli nulla...

La telefonata rimase senza risposta.

Amareggiato, rimise la cornetta al proprio posto: in quel subbuglio di emozioni e fretta di andarsene, non gli vennero in mente altre opzioni per contattarlo...

Ma forse, da un altro punto di vista, era meglio così: che non gli avesse risposto. In fondo, cosa poteva dirgli? Che storia poteva inventarsi per la sua improvvisa scomparsa?

Dirgli che era ricercato tanto dalla polizia quanto dalla malavita di Chicago era fuori discussione. Quello che preoccupava il giovane batterista non era che, sconvolto, potesse consegnarlo alla giustizia, quanto il contrario: sarebbe stato tanto pazzo da offrirsi di aiutarlo, attirandosi contro le inimicizie dei gangster responsabili della Strage di San Valentino. E questo, Roger non poteva permetterlo. Senza contare che non voleva assolutamente approfittare di lui sfruttandolo come mezzo di fuga: per quello c'era Mallett.

Andarsene nel silenzio, lasciandolo nell'ignoranza, sembrava la scelta migliore...

Ma non lo faceva sentire in pace con sé stesso.

In ogni momento che avevano trascorso insieme, Brian lo aveva sempre fatto sentire bene, bene come non si sentiva da anni ormai. Gli bastava così poco: un sorriso, una carezza... uno sguardo apprensivo di cui Roger ormai non era più abituato ad essere il destinatario. Erano anni che gli unici a preoccuparsi di lui e Fred erano solo loro stessi.

Gli pareva così ingiusto andarsene senza nemmeno un saluto e farlo soffrire così, gratuitamente.

Perché, concedendosi un pizzico di autostima, immaginava che Brian avrebbe sofferto della sua partenza immediata...

Si domandò se ne avrebbe mai parlato con John...

John!

Attraversò la camera in un paio di falcate: aveva appoggiato la mano sulla maniglia della porta quando il telefono della camera squillò.


 


 

Lo osservava con disinteressata superiorità.

In silenzio.

Se la risposta negativa che John gli aveva dato lo avesse turbato non lo dava a vedere in alcun modo, così convinto di avere tutta la situazione perfettamente sotto controllo.

-No?- chiese, semplicemente, come a dire “ho capito bene?”.

La cosa che inquietava John era la tranquillità di quelle intimidazioni velate che gli rivolgeva sempre. Quella semplice domanda monosillabica sottintendeva un universo intero di ipotetiche minacce. E lui lo sapeva bene.

Nonostante questo, prese fiato, il consiglio e il sostegno di Brian ad aiutarlo: -No.-

-Forse non mi sono spiegato a dovere: non era un suggerimento.-

-Sono un informatore.- dichiarò, e quell'ammissione, per qualche strano motivo, lo fece sentire bene. Il fatto di non essere più l'unico a saperlo, di avere finalmente qualcuno dalla sua parte, aveva dissipato gran parte della paura che si annidava in quel pensiero. -Non un agente sotto copertura.-

-Sei alle mie dipendenze.-

-Sono alle dipendenze della polizia. Non alle tue.-

Per la prima volta percepì qualcosa incrinarsi nello sguardo impassibile di Prenter, ma non avrebbe saputo dire cosa significasse...

Qualunque cosa avesse intravisto, scomparve subito: -E dimmi, pensi che la polizia sarebbe lieta di riprendere in considerazione il tuo caso per valutare un cambio di pena o un'assoluzione basandosi su questo tuo comportamento? La commissione non sarebbe contenta di vederti così poco collaborativo.-

-Preferisco arrivare davanti alla commissione da “poco collaborativo” che da morto.-

-Non fai che avvalorare la mia tesi.-

Quell'insinuazione lo aveva preoccupato non poco... però non si poteva dire che non fosse stato d'aiuto in quegli ultimi tempi nella risoluzione di numerosi problemi riguardanti il traffico di alcolici e locali illegali che erano stati puntualmente chiusi. Stava per parlare di nuovo, ma Prenter lo anticipò: -Hai ordinato la colazione come ti avevo chiesto?-


 


 

Non si sentiva meglio. Al contrario.

Quella telefonata forse era stata un errore. Non avrebbe dovuto rispondere. Sarebbe dovuto uscire dalla camera, come stava per fare.

Il modo in cui aveva ancora una volta nascosto la verità, “trasferendo la telefonata da Clare a Roger” lo aveva abbattuto ancora prima che avesse avuto modo di spiegare a Brian che quello sarebbe stato un addio. Aveva impiegato qualche secondo di troppo a sollevare di nuovo la cornetta e parlare senza falsare la voce.

-Roger! Pensavo che fosse caduto il collegamento.- non gli aveva risposto subito. Di nuovo si era trovato a pensare che non aveva idea di cosa dirgli, nonostante volesse disperatamente parlargli. Brian, non sentendolo, parlò di nuovo: -Hai dormito bene? Sembravi un po' su di giri quando ti ho riaccompagnato a terra, ieri sera. Saranno state tutte quelle “bollicine”...-

Quella presa in giro lo avrebbe divertito, instillando anche una goccia di competizione tramite la quale, normalmente, avrebbe tentato di rispondere alla provocazione, ma il suo viso rimase inalterato: -No, non ho dormito troppo bene... per la verità non ho chiuso occhio...-

-Oh, mi dispiace, ma se vuoi posso aiutarti: questa sera potrei provare a raccontarti di nuovo del mio ultimo saggio. Basandomi sulle precedenti esperienze mi basteranno cinque minuti per farti addormentare.-

Questa volta un sorriso aveva incurvato le sue labbra, il pensiero a quando la voce di Brian e le sue coccole lo avevano cullato in un sonno rilassato e senza preoccupazioni.

Aveva rapidamente cacciato quei ricordi – in quel momento non erano per niente d'aiuto – e aveva scosso la testa: -Ecco io... purtroppo non posso questa sera.-

-Magari...-

-Nemmeno domani. È successo qualcosa di inaspettato: devo andare via.- aveva pronunciato quelle parole rapidamente, affidandosi a quella che Freddie chiamava “la teoria dei cerotti”: tirare un cerotto lentamente, tentennando, sapeva essere particolarmente doloroso, ma strapparlo con un gesto secco era la scelta migliore per provare meno dolore possibile. O, come avrebbe più semplicemente detto lui, quasi dentista: via il dente, via il dolore.

Che bella teoria del cazzo. Si rendeva conto che un cerotto non era paragonabile alla situazione nella quale si trovava in quel momento, ma non sapeva più cosa pensare e affidarsi alle parole dell'unica persona che gli era, e sarebbe sempre stata, vicina gli era sembrata l'unica opzione.

Era rimasto in silenzio, trattenendo il respiro in attesa di una qualsiasi risposta da parte di Brian.

-Cosa vuol dire che “devi andare via”?- si era aspettato quella domanda, ma non aveva risposto.

Come aveva già deciso, non lo avrebbe mai coinvolto nel disastro che lo inseguiva da Chicago. Sfortunatamente questo comportava non avere una storia di riserva da raccontare. Non che, avendola, la situazione sarebbe migliorata: sarebbe stata, ancora, solo l'ennesima bugia. Sotto una certa luce sarebbe stato il giusto modo di chiudere quella storia che non sarebbe mai dovuta nascere. Quella storia di mezze verità. Ma solo l'idea lo disgustava. La domanda che gli aveva posto Brian, dopo interminabili secondi di silenzio, gli fece chiudere gli occhi e abbassare la testa: -Quando tornerai?-

-Brian... non tornerò affatto.-

-Perché...?-

-È complicato.-

-Spiegami.-

-Non posso.-

-Sì che... non puoi semplicemente dire che te ne vai senza giustificarne il perché!- la sua voce aveva cominciato a scaldarsi e Roger era riuscito ad immaginare perfettamente la sua espressione ferita.

-Mi dispiace...-

-Ho fatto qualcosa di male?-

-No... al contrario...-

-Dove andrai?- aveva scosso la testa, quasi si aspettasse che potesse vederlo.

Avrebbe davvero voluto vederlo, in quel momento. O meglio, avrebbe voluto che Brian lo vedesse, che leggesse la sincerità dei suoi occhi, che non riusciva a trasparire dalla sua voce. Avrebbe voluto che vedesse che non stava dicendo quelle cose perché voleva, ma perché era costretto. -Non me lo puoi dire?-

-Mi dispiace...-

-Sì... me lo hai già detto.- quelle parole, sommate al suo tono di voce, lo avevano ferito: serrando gli occhi, aveva stritolato la cornetta e si era obbligato a pronunciare quelle ultime parole:

-Brian: devo andare...-

-No, aspetta... Roger! Aspetta, ti prego.- su quelle parole Roger si costrinse ad appoggiare la cornetta sul suo alloggio, troncando la telefonata: non sarebbe riuscito ad aggiungere altro, neanche volendo. E di certo non avrebbe retto sentendo come gli chiedeva di concedergli qualche minuto in più. Qualche risposta in più.

Aveva reclinato la testa indietro, per impedire ad un paio di lacrime di sfuggire alle sue palpebre, e aveva respirato profondamente, come per calmare il suo cuore in subbuglio.

Si era stropicciato gli occhi e, alla fine, ricompostosi, era finalmente uscito dalla camera: doveva cercare di reggere ancora un po'... poi, una volta lontani da lì e da quegli uomini che li volevano morti si sarebbe anche potuto affogare nell'autocommiserazione e nello struggimento. Ma non era ancora il momento.

Aveva sospirato e aveva bussato alla porta di Veronica – prima che lei aprisse fece in tempo a cancellare con una mano una lacrima traditrice che gli era sfuggita – certo che lei avrebbe saputo dirgli dove si trovasse John. E così era stato.

Tuttavia, in quel momento, non pensava più che fosse una buona idea quello che aveva intenzione di fare. Il corridoio sul quale dava la camera di Prenter era silenzioso e non si udiva niente dall'interno della stanza, come se non ci fosse nessuno.

Era una pessima idea...

Aveva già abbastanza problemi senza accollarsi anche quelli degli altri!

Allo stesso tempo non gli sembrava giusto lasciarlo nelle grinfie di quel poliziotto: avrebbe voluto dirgli che, nella stessa stanza dove si trovava ora per fare colazione, si trovava anche l'unica copia dei documenti che lo incriminavano... e che nessuno ci avrebbe fatto caso se quelle fotografie fossero improvvisamente sparite...

Ma bussare ed entrare in quella camera significava mettere a rischio la sua copertura: Prenter avrebbe potuto riconoscerlo... era anche vero che non aveva riconosciuto Freddie, parlandoci il giorno prima, ma tentare così spudoratamente la sorte non era un gioco divertente. Non in quel momento almeno.

Quando la campanella dell'ascensore in fondo al corridoio tintinnò e ne uscì un cameriere spingendo un carrello ingombro di vassoi coperti per non lasciar raffreddare il cibo, gli tornò in mente il racconto di quando Freddie aveva incontrato Jim per la prima volta. Cosa gli aveva detto questo Jim in quell'occasione? “Essere un cameriere ha dei vantaggi: siamo anonimi, invisibili. Possiamo camminarvi vicino senza che ve ne accorgiate e preoccupiate.”

Era un'altra pessima idea...

Ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.

Sfoderando un sorriso si avvicinò e controllò che sul carrello ci fosse effettivamente un cartellino che indicasse che la sua destinazione era proprio la camera di Prenter.


 


 

-Hai visto Jim?- la domanda cominciava a diventare monotona, ma ancora non aveva trovato una singola persona che sapesse dove diavolo si trovasse il suo cameriere. Esasperato, era persino entrato nelle cucine, incurante del fatto che fosse un luogo riservato unicamente al personale dell'albergo.

Bloccò due cuochi e altri tre camerieri prima di trovare qualcuno che gli rispondesse con più di una semplice scrollata di spalle: -Sta lavorando: l'ho visto uscire qualche minuto fa con un carrello della colazione ingombro. Andava verso gli ascensori. A dire il vero a quest'ora dovrebbe essere già tornato. Non ho idea di cosa lo stia trattenendo.-

Ringraziò quel giovanotto che era finalmente riuscito a infondergli un briciolo di speranza e seguì le indicazioni fornitegli, optando immediatamente per le scale nel momento in cui si accorse che l'ascensore era occupato. Percorse tutte le rampe di corsa, quasi senza respirare, riuscendo miracolosamente a mantenersi in equilibrio su quelle scomodissime scarpe con i tacchi.

Raggiunse il piano che gli era stato indicato e si guardò intorno. Il corridoio era vuoto, silenzioso. L'unico rumore che Freddie sentiva era il battito del proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Attraversò il corridoio un paio di volte, senza sapere cosa fare. Dove si trovava Jim? L'unica cosa che poteva fare era aspettare: certo non poteva mettersi a bussare a ciascuna camera per controllare dietro quale porta Jim stava servendo la colazione.

Aspettare... era la cosa peggiore che potesse fare in quel momento...

Un rumore distolse la sua attenzione da quella snervante attesa. Si volse di scatto, identificando lo sgabuzzino come l'origine di quel suono. La maniglia si abbassò un paio di volte, come se, dall'altro lato, chi aveva cercato di uscire non fosse riuscito a stringere la presa al primo tentativo.

Quando riconobbe la sagoma che emerse dalla porta, sgranò gli occhi.


 


 

-Ti ricordi dove ci siamo conosciuti?-

John chiuse per un istante gli occhi, sospirando dal naso. Quando li riaprì, fissò Prenter, che non ricambiava affatto il suo sguardo, più interessato alla tazza di tè che il giovane cameriere biondo che era appena entrato gli aveva preparato.

Non aspettò a rispondere e non gli importò della presenza di quel dipendente dell'albergo: -In prigione.- sibilò, con la consapevolezza che il poliziotto non si aspettava affatto quella risposta.

John sapeva che Prenter voleva metterlo a disagio: per questo gli aveva posto quella domanda quando anche altre orecchie estranee avrebbero potuto ascoltare la sua risposta. Dall'alto della sua cattiveria pensava che il bassista avrebbe risposto in modo vago, nominando il nome del locale dove lo aveva colto in flagrante. Risposta che gli avrebbe permesso di rigirare il coltello nella piaga, portandolo all'umiliazione di una seconda e di una terza risposta.
La tranquillità con cui, invece, non si era curato di nascondere che il loro primo vero incontro faccia a faccia era avvenuto attraverso le sbarre di una cella lo aveva sorpreso e destabilizzato.

Impassibile, John segnò un punto a suo favore.

-Alla luce di questa consapevolezza, ti viene in mente qualche idea?-

Ormai a John sembrava di riuscire a leggere fra le righe delle sue parole che se apparissero scritte davanti ai suoi occhi nel momento in cui Prenter apriva bocca.

-Mi dà un'idea di lei.- dichiarò.

-Il tuo lavoro è fare quello che ti dico: poco mi importa di quello che puoi pensare di me.-

-Dovrebbe. Io non mi fido di lei.- e quando fu sicuro di avere gli occhi di Prenter su di sé, scosse la testa: -Non affiderò la mia vita a lei.-

-Di nuovo sembra sfuggirti un sottile dettaglio che...-

Ma John, coraggioso come non si sentiva da troppo tempo, lo interruppe: -Mi mandi pure davanti ad una commissione di suoi colleghi: avrei tanto da raccontare... e da chiedere. A che punto si deve arrivare per poter parlare di abuso di potere?-

L'accusa fece scattare in piedi il poliziotto. Lasciò che la tazza cadesse a terra, senza curarsi del fatto che avrebbe sporcato il pavimento, e si avventò sul bassista, afferrandolo per il colletto della camicia con entrambe le mani, costringendolo ad alzarsi in piedi, tanta fu la violenza con cui lo strattonò. Preso alla sprovvista, John non riuscì a nascondere la sorpresa e, soprattutto, l'improvviso panico.

-Stammi bene a sentire: chi credi di essere? Pensi davvero di poter stabilire le regole, dato i tuoi precedenti? Pensi di poter scegliere se e quando accettare i compiti che ti assegno? Tu fai quello che ti dico perché se non lo fai io ti...-

Il rumore improvviso fece chiudere gli occhi a John, che per un momento temette di essere colpito di nuovo come al loro primo incontro. Quando sentì venir meno la stretta delle mani del poliziotto e qualche goccia di acqua calda schizzare sulle sue guance schiuse le palpebre, trovandosi davanti una scena inaspettata: Prenter era in terra, il viso paonazzo per la rabbia, i cappelli fradici, così come la camicia, con rivoli d'acqua che andavano a scurire, dal collo verso il basso, strisce di tessuto lungo il petto; in terra, i cocci di quella che fino a qualche istante prima era la teiera.

La bocca spalancata e il fiato ancora spezzato per la paura, John alzò lo sguardo dal poliziotto svenuto al cameriere. Non lo aveva osservato prima, nemmeno nel momento in cui era entrato in camera.
Adesso, invece, percepì qualcosa di familiare in lui, nel suo viso, nel sorrisetto soddisfatto con cui stava osservando il suo operato per poi commentarlo in due semplici parole: -Bon vojage.-


 


 


 


 


 

Angolino autrice:

Shalve! Avevo detto che avrei aggiornato ieri, ma mi sono resa conto che parto lunedì... e non avevo tre quarti di ciò che avrei dovuto mettere in valigia! BENISSIMO! Per cui ieri sono stata molto indaffarata con spese dell'ultimo minuto e lavori domestici vari...

Ma oggi fortunatamente sono ancora qui e posso stare un po' più tranquilla, per cui aggiorno questa storia ora e Anyway the Windows (grazie al cielo avevo il capitolo già pronto XD) nel primo pomeriggio! ^^

Che dire di questo capitolo?

Difficile da scrivere per diversi motivi: volevo rendere interessante il cambiamento di John, un po' più sicuro di se stesso, dopo aver parlato con Brian nello scorso capitolo; volevo dedicare un po' di spazio all'addio di Roger e Brian, che ovviamente non ho potuto trascrivere paro paro a quello del film XD ma che spero sia risultato sufficientemente... beh, volevo qualcosa di un pochino doloroso ma con un pizzico di tenerezza on the side...

Spero in bene '^^

MA sono contenta che Prenter si sia preso una bella botta in testa! XD

Come sempre ho cercato di mettere altri rimandi al film, come la scena in cui Joe/Josephine dice a Sugar che dimenticherà Junior della Shell Oil e lei risponde che non potrebbe mai perché ovunque andrà ci sarà sempre un distributore con il simbolo della conchiglia.

Il prossimo capitolo sarà... interessante ;-P

Non vi trattengo oltre! ^^ Mi scuso per l'attesa, per aver lasciato passare più di un mese dallo scorso aggiornamento, ma quanto mano non posso dire di essere rimasta proprio con le mani in mano XD ho scritto e aggiornato anche altro... insomma, tutto questo per chiedervi di non tirarmi troppi pomodori addosso pliz :-*

Grazie, vi voglio bene <3

Vi mando un bacione enorme!

Come sempre ringrazio tutti quanti, dal primo all'ultimo! Siete fantastici! <3

E vi auguro, se non ci siete già andati, buone vacanze! ^^

Io torno fra una decina di giorni e sarò pronta a riprendere gli aggiornamenti con un ritmo decisamente diverso! ^^

Di nuovo un bacione! <3

A presto!

Carmaux


 

P.S. Scusatemi, ho scritto queste notine molto di fretta XD spero che sia tutto comprensibile XD di nuovo buone vacanze :-*

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Capitolo 17
*** CAPITOLO SEDICI ***


Per scusarmi della lunga attesa, questo capitolo sarà un pelo più lungo del solito ^^ Buona lettura :-*




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CAPITOLO SEDICI

Nonostante la preoccupazione che lo aveva assalito dopo il primo momento di sorpresa, si concesse uno sguardo interessato e curioso, con tanto di testa inclinata, prima di avvicinarsi e offrire a Jim una mano, evitando che capitolasse a terra.

Lo aveva visto uscire da quello stanzino barcollando, stringendo convulsamente la maniglia della porta con una mano, reggendosi con l'altra allo stipite, ma non aveva realizzato subito cosa gli fosse successo, distratto dal un dettaglio non propriamente secondario: la sua divisa, che solitamente gli stava così bene – e motivo di grande apprezzamento da parte di Fred – era sparita, lasciandolo con addosso poco più che la biancheria.

-Non dico che la visuale sia brutta, dalla mia prospettiva...- dichiarò, recuperando le stesse parole che Jim aveva pronunciato quella notte all'Opera, al loro primo appuntamento. Gli si accostò e, quando fu sicuro che non avrebbe perso nuovamente l'equilibrio, tentò di rassettargli i capelli, scostandoli dal viso, sempre così pulito e curato. Sorrise: -Al contrario... ma cosa ti è successo?-

Jim si portò una mano alla nuca, massaggiandola lentamente: -Come hai detto che si chiama il tuo amico?-

-Parli di Roger?- domandò Fred corrugando la fronte. -Perché?-

-È così mingherlino: non credevo che mi avrebbe steso...-

Le sue sopracciglia si impennarono: -Cos'ha fatto?!-

-Non ho ben capito, ad essere onesti.- un'altra smorfia distorse il suo viso quando un preoccupato Freddie allungò una mano per andare a tastare delicatamente nel luogo dove si era da poco formato un grosso bernoccolo. -Tu cosa ci fai qui? Non dovreste essere sul palco a suonare?-

-Oggi no...- il pianista abbassò lo sguardo a terra. Così affranto dal timore di non riuscire a concedersi un ultimo saluto al suo barista dallo sguardo e dai modi provocanti, non aveva nemmeno pensato a come intavolare il discorso. Da un certo punto di vista per lui avrebbe dovuto essere più facile rispetto a quanto lo fosse stato per Roger: insomma, Jim conosceva la sua vera identità, non doveva inventarsi chissà quale bugia per giustificare la sua improvvisa sparizione. Non che l'idea di andarsene facesse meno male, ma se non altro, forse poteva accontentarsi di poter essere onesto. -Jim: devo dirti una cosa.-


 


 

John entrò nella propria camera leggermente frastornato.

Si guardò intorno con occhi sgranati e increduli, come se quella non fosse la sua stanza, come se non riconoscesse niente di quello che lo circondava. Impiegò qualche istante persino a riconoscere la snella figura di Veronica che, uscendo dal bagno avvolta da un morbido accappatoio candido, gli venne incontro allacciandogli i fianchi in un abbraccio.

-Arrivi in ritardo.- sussurrò baciandogli il mento. -Fossi rientrato cinque minuti fa...- accompagnò quell'allusione con un secondo bacio e si strinse ancora di più a lui. -Ma dov'eri questa mattina? Mi sono svegliata e non c'eri: il letto era già freddo e... John?-

-Co-come?-

-Dove stai viaggiando con quella bella testolina?-

John si riscosse e prese il viso della ragazza fra le mani, per depositarvi un bacio sorridente: -Molto, molto lontano.- ammise, felice.

-E posso accompagnarti?- Veronica si morse leggermente il labbro inferiore mentre con le mani risaliva il torace di John per arrivare ad allentare la cravatta.

Il profumo dei suoi capelli, ancora bagnati, riempì le narici del bassista, inebriandolo dolcemente. Troppi pensieri si affollavano nella sua testa, annebbiandolo, ma, per una volta, non provava alcuna paura, alcuna preoccupazione.

-Sì!- rispose semplicemente. -Ti piacerebbe andare via da qui?-

Veronica inclinò leggermente la testa, cercando di decifrare quella proposta uscita dal nulla: -È un modo un po' originale di invitarmi fuori a cena?-

-No, dico davvero: partire, andare via da Miami.-

In quegli ultimi giorni non erano riusciti a trascorrere molto tempo insieme e John se ne era scusato più di una volta.

Non le aveva mai realmente spiegato cosa lo trattenesse, la sera, dopo le esibizioni, né le aveva presentato il suo “capo”. Al contrario, era stato ben attento a tenere Veronica il più lontano possibile da Prenter, ma aveva il sentore che quel dannato poliziotto avesse scoperto quella relazione nata da poco ma già piena di affetto: una di quelle sere John, affermando di dover prima sistemare alcune faccende non meglio definite con il suo capo, si era scusato di nuovo con Veronica che aveva scosso la testa sorridendo e, per fargli capire che non doveva preoccuparsi, si era alzata sulle punte lasciandogli un breve bacio all'angolo della bocca. Prima di abbassarsi nuovamente, gli aveva sussurrato che lo avrebbe aspettato in camera.
Quando John si era voltato, aveva individuato Prenter poco distante: non lo stava guardando, in quel momento, ma ebbe la sensazione che il poliziotto avesse assistito a quel piccolo siparietto romantico. Il fatto che Paul, una volta in sua compagnia, non ne avesse fatto parola non servì a tranquillizzarlo, al contrario.

La proposta di quella che appariva a tutti gli effetti una fuga romantica stuzzicò immediatamente il palato della giovane cantante che si scostò quanto le fu sufficiente per osservare quegli occhi che così raramente aveva visto felici come in quel momento:

-Parli sul serio? E dove vuoi andare?-

-Ovunque. Basta che sia lontano da qui.-

-Vuoi abbandonare l'orchestra?-

-L'orchestra e tante altre cose. Che ne dici?-

Tutto quell'entusiasmo le strappò una breve risata: -John, ti senti bene?-


 


 

-Stai bene?-

John non era sicuro di aver capito cosa fosse successo. O meglio, non era sicuro che quanto successo fosse effettivamente reale e non frutto della sua immaginazione. Il cameriere dovette appoggiare una mano sulla sua spalla e scuoterlo appena perché si accorgesse che gli era stata posta una domanda.

Annuì senza pensarci, distratto dallo sguardo che quello strano cameriere gli stava rivolgendo: per la seconda volta si trovò a pensare che ci fosse qualcosa di estremamente familiare in lui... in quegli occhi, grossi e accesi.

-Non so nemmeno io bene che idea avessi quando sono entrato... ma non era questa.- disse il cameriere, improvvisamente, scavalcando il corpo svenuto di Prenter per poi inginocchiarsi davanti al letto. Si passò una mano fra i capelli in un gesto che a John parve quasi nervoso, e fu allora che il bassista li vide: due orecchini decoravano le orecchie di quel ragazzo dal viso da bambino.

John sbatté le palpebre più volte ma i suoi occhi non lo ingannavano. Stava per porre l'inevitabile domanda quando il biondo, sollevando appena il materasso per infilarvi sotto un braccio, fece una smorfia.

Una smorfia che riuscì a collegare immediatamente ad una persona: -Clare...?-

Il ragazzo alzò la testa, scuotendola leggermente: -Roger.-

-Ah... suo... suo fratello?- quella presentazione inaspettata lo aveva lasciato interdetto, sul momento, ma effettivamente dava un po' – anche se non molto – di senso alla situazione: in quel momento, infatti, gli tornarono in mente le parole di Brian quando, raccontandogli la prima volta che aveva incontrato quel giovane dentista che gli aveva fatto perdere la testa, aveva accennato al fatto che lui e Clare fossero non solo fratelli ma anche gemelli.

Questo tuttavia non spiegava quegli orecchini... o, in generale, la sua presenza in camera di Prenter in quel momento.

Inoltre: Roger non era forse un dentista? Che ci faceva con una divisa da cameriere?

E soprattutto cosa ci faceva in camera di Prenter!

-Brian... me lo aveva detto che lei e Clare eravate gemelli ma non pensavo...-

Roger sospirò e stirò le labbra in un sorriso forzato, ma non rispose fino a quando non trovò quello che stava cercando sotto il materasso di Prenter: quando si rimise in piedi aveva in mano una cartellina verde, molto spessa.


 


 

Brian, non tornerò affatto. Mi dispiace. Devo andare...”

-No, aspetta... Roger! Aspetta, ti prego.-

Brian stava ancora parlando quando sentì il rumore della conversazione che veniva bruscamente conclusa dall'altra parte della cornetta.

-Roger?- nonostante la consapevolezza che non avrebbe ricevuto risposta gli venne spontaneo chiamarlo ancora, due, tre volte.

Cosa diavolo era successo?

Chiuso nella cabina telefonica della hall dell'albergo, strinse la cornetta fra la guancia e la spalla per comporre il numero della camera di Clare.

Era assurdo: anche solo per parlare per qualche secondo con Roger aveva bisogno di Clare come intermediario.
All'inizio non ci aveva fatto realmente caso: dopotutto lui e Roger si erano conosciuti per caso e, nella fretta di quella sera durante la quale il dentista aveva perso la concezione del tempo, si erano salutati senza lasciarsi un recapito o un qualsiasi altro modo per potersi, eventualmente, contattare.
Durante gli incontri successivi il discorso non era mai venuto a galla e, da un certo punto di vista, a Brian non era dispiaciuto. Il velo di mistero che circondava Roger ogni qualvolta la conversazione si avvicinasse alla sua vita e al suo lavoro, infatti, lo aveva incuriosito fin dal primo momento. Si era accorto che, probabilmente, non stava vivendo un buon periodo e questo era uno dei motivi per cui non aveva mai insistito con domande fastidiose e invasive.
Un'altra piccola verità era che sperava che, con il tempo, sarebbe stato Roger a parlargliene, senza bisogno di incoraggiamento e sentendosi a suo agio.

Non aveva mai pensato che questo suo comportamento, dall'esterno, potesse essere frainteso: non aveva mai immaginato che il suo silenzio, la sua finta indifferenza nei confronti di tutti quei segreti, potessero essere intesi come disinteresse nei suoi confronti.

Non era quella la sua intenzione!

Che fosse anche questo uno dei motivi dell'improvviso distacco di Roger?

La telefonata fu inutile e non ottenne risposta nemmeno la seconda volta che provò a ricomporre il numero: Clare non si trovava più in camera.

Controllò l'ora: tra poco l'orchestra si sarebbe esibita.

Forse John gli avrebbe concesso di trattenerla qualche secondo, giusto per fare luce su cosa diavolo fosse successo. Wendy aveva detto che tra lei e Roger non esistevano segreti, che si raccontavano tutto. Che era come se fossero la stessa persona: lei doveva per forza sapere cosa diavolo stava succedendo.


 


 

-Cosa sta succedendo?!- John, riconosciuta la cartellina, indietreggiò di un passo.

Cercò di ripercorrere mentalmente gli avvenimenti di quegli ultimi minuti: era entrato in camera di Prenter con l'intenzione di chiamarsi fuori da quell'operazione di spionaggio che andava ben oltre le sue mansioni; un cameriere era entrato in camera e lo aveva aiutato mettendo letteralmente fuori gioco il poliziotto. Come se questo non fosse sufficientemente strano, quello stesso cameriere, che aveva scoperto essere proprio il ragazzo di cui il suo migliore amico si era invaghito e che per qualche motivo indossava un paio di orecchini, ora gli aveva porto un fascicolo contenente tutta la documentazione riguardante la sua sfortunata relazione con la polizia di Chicago.

-Guarda.- Roger gli si avvicinò e sfogliò alcuni dei fogli, trovando tra le altre cose anche una cartellina piena di fotografie. -Queste sono le uniche copie di queste foto. Prendile: strappale, bruciale o conservale se vuoi. Appartengono soltanto a te.-

John distolse lo sguardo dalla prova della sua colpevolezza: -Come fai a...-

Roger abbassò il capo: -Anche io ho avuto e ho i miei problemi con la polizia... e non solo. Ma per te è diverso: hai una vera via di fuga. Nessuno ti cercherà. Guarda quei documenti: sono le liste degli informatori ufficiali della polizia e tu non ci sei! Da nessuna parte! Prenter ti sfruttava e ti obbligava a collaborare senza che fosse legalmente autorizzato a farlo! Ma se questi documenti scomparissero tu torneresti ad essere un uomo libero.-

Lo stava, di nuovo, aiutando.

Niente di tutto questo aveva un minimo di senso!

Nella sua mente continuavano ad accumularsi domande su domande, una più improbabile dell'altra.

Ma una frase, in particolare, lo colpì: in che senso anche questo Roger aveva dei problemi con la polizia? Doveva fidarsi di questo sconosciuto che gli stava così altruisticamente dando una mano?

Di colpo gli sorse un'altra domanda: Brian ne era a conoscenza? Con chi si era invischiato? Forse questo ragazzo rischiava di mettere nei guai anche Brian...o forse lo aveva già fatto...

Per non parlare di Clare.
La ragazza non aveva mai lasciato intendere nulla a proposito di suo fratello, se non il fatto che fosse il classico “fratello maggiore”, un po' spaccone e protettivo nei suoi confronti. Ma forse era normale: dopotutto intavolare un discorso sul fatto che un membro della sua famiglia potesse essere ricercato dalla polizia era quel genere di conversazione che sapeva mettere a disagio. Non che Clare fosse una ragazza che si imbarazzava facilmente, ma quando si tratta di famiglia...

John lo sapeva bene: era uno dei motivi per cui non aveva fatto parola della sua disavventura con Brian.

-Stai... scappando dalla polizia? Clare... Clare sa che sei qui?-

La domanda colse Roger di sorpresa. Rimase per un attimo in silenzio, forse riflettendo, ma quando parlò, non riuscì a trattenersi:

-John! Non esiste nessuna “Clare”! Guardami!- si allontanò di un passo, di modo che il bassista potesse studiarlo con più attenzione. Sperò che quello fosse sufficiente a convincerlo: onestamente non aveva voglia di aprire la divisa, mostrare la camicetta che ancora indossava sotto e aprirne i bottoni per mostrare il finto reggiseno che, nella fretta con cui aveva indossato quel costume, si era afflosciato.

Il silenzio dell'amministratore si fece pesante e Roger abbassò lo sguardo a terra, a disagio: -Ho davvero una sorella che si chiama Clare... ma questa Clare... non esiste: sono solo io. Era il modo più sicuro di scappare da Chicago...-

John rimase in silenzio a lungo, prima di dare voce alla sua maggiore preoccupazione: -Brian lo sa?-

-Brian... no. Non sa nemmeno che sono qui. E non deve venirlo a sapere!- aggiunse immediatamente, assestandogli un'occhiata così seria e inflessibile.

-Lo hai messo nei guai?-

-No! È l'unica cosa che voglio evitare! Promettimi che non gli dirai niente!-

-Dovrei pretendere di non averti mai incontrato? Ascolta...-

-No! John! Promettimelo!-

Brian non era un idiota: sapeva discernere e giudicare le persone.

E, dopotutto, ormai la definizione di “criminale” era diventata troppo labile: anche John, per una sfortunata piega degli eventi, era stato bollato come criminale, ma questo non faceva di lui una cattiva persona. E nel momento in cui si era confidato con Brian, quest'ultimo lo aveva accolto, lo aveva rassicurato, gli aveva offerto il sostegno che solo una famiglia può dare. Brian, dal primo giorno in cui si erano incontrati, aveva visto qualcosa di bello in lui, qualcosa che valesse la sua amicizia.

E certamente non si sarebbe invaghito di Roger se non avesse visto qualcosa di positivo in quello strano personaggio.

Tuttavia scosse la testa: -Ascolta: non so che problemi tu abbia con con la polizia, ma non posso fare finta di niente: non posso tenerglielo nascosto...-

-No, John: ti prego!-

-Brian prova qualcosa per te! Non puoi pensare di andartene e pretendere che non gli dica niente!-

-Credi che voglia andarmene? Che sia stato piacevole dirgli addio?! Non posso coinvolgerlo. So che non è una spiegazione sufficiente, ma è il meglio che posso offrire per tenerlo al sicuro.-

Quelle poche frasi fecero ammutolire il bassista, che si rese conto di colpo del fatto che l'interesse e l'affetto di Brian erano corrisposti.

Roger approfittò di quel silenzio per parlare di nuovo: -Dammi retta: torna in camera, prepara i bagagli, prendi Veronica e vattene il più lontano possibile da qui. E convinci Brian a fare lo stesso: non dovrai faticare...-

Perché, in fondo, ora che Roger gli aveva spezzato il cuore, aveva un motivo molto valido per volersene andare.

Quel pensiero fu troppo. Sorpassò il bassista. Afferrò la maniglia della porta e dalla manica della divisa spuntò il braccialetto di diamanti regalatogli da Mallett. Lo slacciò e, istintivamente, lo diede in mano a John: -Potrebbe esserti utile...-


 


 

Per quanto lo riguardava, i gangster potevano anche trovarsi dall'altra parte della porta: non gli importava.

Lo sgabuzzino era angusto e non particolarmente luminoso, ma tutto ciò contribuiva a creare un'atmosfera quasi romantica.

Le braccia di Jim lo stringevano contro il suo petto mentre le labbra gli saggiavano dolcemente il collo: in fin dei conti, era un bel modo di dirsi addio.

-Dove andrete?- mugugnò il barista contro la sua pelle, ora più che mai incurante delle sventure di poco prima e del fatto che fosse ancora senza la sua divisa.

-Se riusciamo ad uscire vivi da questo albergo? Beh...- si morse le labbra. -Venderemo il braccialetto di Roger e, con i soldi ricavati, potremmo prendere una nave per il Sud America e nasconderci lì fino a quando non si saranno calmate le acque. Insomma, mangiando solo banane immagino si possa campare per almeno cinquant'anni.-

-Fai attenzione a mangiare solo banane:- si sollevò per baciargli un angolo della bocca. -non vorrei che, per il troppo potassio, ti trasformassi in un banano.-

Freddie rise, senza vergognarsi del suo sorriso.

-Se ce la caveremo non escludo che potremo tornare anche a Londra.- e lo baciò ancora e ancora, fino a quando Jim non gli prese il viso fra le mani, per poterlo osservare:

-Potresti...- si bloccò, sentendo la maniglia della porta abbassarsi, al contrario di Fred che, non appena vide una chioma di capelli biondi ben nota, pensò di dare sfogo al suo disappunto per quell'interruzione.

E non solo.


 


 

-In tre settimane mi hai preso a gomitate, a calci e a pugni.- si lamentò Roger massaggiandosi il pettorale.

-Te lo meritavi!-

-Mi hai fatto scoppiare un seno!-

-E tu hai steso Jim!-

-Come facevo a sapere che fosse il tuo Jim?!-

-Se al posto di perdere tempo fossi andato a cercare Mallett ora...-

-Non ho affatto perso tempo! Inoltre...- Roger, pettinandosi la frangetta della parrucca specchiandosi nel vetro dell'ascensore, lo interruppe con il tono di chi non ammette repliche, ma non riuscì a finire di parlare: Freddie, all'improvviso, gli afferrò il braccio, sollevandogli la manica della camicetta per scoprire il polso ossuto.

-Dov'è il braccialetto?!-

-Ne abbiamo fatto l'uso migliore.- dichiarò il biondo, liberandosi con un gestaccio.

-Ti prego: dimmi che stai scherzando! Ci serviva! Adesso come faremo ad andarcene via? E come mangeremo?-

-Faremo la fame, se serve.-

-L'albergo brulica di gangster, la carestia è alle porte e tu ti comporti come il re del petrolio!-

Roger gli sibilò di abbassare la voce proprio mente le porte si aprivano sulla loro via di fuga.

Clare si sforzò di rispondere al sorriso di Mallett, già pronto ad offrirle il braccio: -Ho telefonato a casa: la mamma era così felice che è scoppiata a piangere.-

-Anche la mia piangerebbe.-

Il batterista lo afferrò per il braccio e lo trascinò verso l'uscita, sperando che la conversazione si fosse conclusa: non aveva la voglia né la forza per sostenere quel tipo di dialogo.

L'unica cosa che desiderava era prendere il largo e allontanarsi da quell'albergo; sdraiarsi su un letto, o anche solo un divano, e dormire per due giorni di fila...

Magari cullato dalle delicate carezze di Brian...

Non appena misero piede fuori, Mallett lo riportò alla realtà: -La mamma vuole darti il suo vestito da sposa. È di merletto bianco.-

Tanto sconvolto da quell'affermazione, Roger quasi non si accorse della risata che Freddie non era proprio riuscito a trattenere, nonostante ci avesse provato coprendosi il viso con la mano.

-Assolutamente no! Non posso sposarmi con l'abito di tua madre!-

-Perché?-

-Io e lei... vedi, non siamo fatte allo stesso modo.-

Mallett scrollò le spalle, sorridente: -Basterà qualche colpo di forbice.-

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Vaffanculo Mallett!
Vaffanculo il piano di fuga!
Vaffanculo tutto!

Non ne poteva davvero più: -Ah no, eh! Niente tagli di nessun tipo da nessuna parte! Te lo scordi! Ascoltami bene! Voglio essere onesto con te.-

Roger ignorò Fred che, picchiettando sulla sua spalla, stava cercando di dissuaderlo dal fare quello che gli era venuto in mente.

Il corvino aveva ragione – Roger lo sapeva bene – ma tutta quella storia stava andando un po' troppo oltre i limiti dell'accettabile e del sopportabile.

E che diamine! Ci sarà pur stato un altro modo di defilarsela che non prevedesse la sua più totale e irrimediabile umiliazione, no?! Era già caduto sufficientemente in basso, ma sopportare pure i preparativi di un matrimonio che mai si sarebbe celebrato... ecco, quella era una voragine in cui non aveva alcuna intenzione di sprofondare!

Avrebbero cercato qualche altro mezzo di fuga! Non doveva per forza trattarsi di un viaggio in prima classe! Dopotutto, forse... vendendo la sua grancassa, per quanto potesse dispiacergli, si sarebbero pagati un passaggio su un peschereccio. E magari avrebbero potuto lavorare a bordo per pagarsi una traversata fino in Sud America...

Schiaffeggiò la mano del pianista perché la smettesse: avrebbe dovuto provare a mettersi nei suoi panni, al posto di criticare la sua mancanza di pazienza. -Non possiamo sposarci affatto!-

-Perché no?-

-Beh...- escludendo di dire la verità, Roger dovette riflettere per qualche istante prima di trovare una scusa: -In primo luogo, non sono una bionda naturale!-

-Ah, non mi importa.- la rassicurò subito Mallett.

Scusa troppo debole. Forse tirando in ballo la famiglia avrebbe avuto più successo: -Fumo! Fumo come una locomotiva.-

-Non mi interessa.-

-Ma a tua madre sì! Non mi accetterà mai!-

-Dalle tempo.-

-Ho... ho un passato burrascoso: per più di quattro anni ho vissuto con uno squattrinato pianista jazz!-

-Ehi!- esclamò Fred, risentito di essere stato così ingiustamente dipinto.

-Ti perdono.-

Rifletti, Roger! Rifletti!
O trovi un modo per disfartene o rischi di finire per davvero a mettere su famiglia con lui!

Un'ultima idea fece, così, capolino nella sua mente:

-Non potrò mai avere bambini...- un colpo basso, senza dubbio.

Qualcosa sembrò intaccare lo sguardo impassibile di Mallett, ma fu solo per un secondo: -Vorrà dire che ne adotteremo un po'.-

Questa volta Fred dovette afferrare l'amico per le braccia per impedirgli di sfilarsi la parrucca e buttarla in faccia a Mallett che, dal canto suo, sembrava non voler capire:

-Adesso vedi tutto nero, ma sono certo che cambierai idea. Ne potremmo riparlare quando ti sentirai più a tuo agio, ma adesso che ne dici di fare vela verso quelle Cascate del Niagara che ti piacciono tanto?-

Freddie, dovette trattenere Roger per una seconda volta, trascinandolo indietro prima che si avventasse su quel povero illuso per, come minimo, rompergli il naso: -Io dico... che lei è un uomo davvero meraviglioso, signor Mallett. E sono convinta che Clare sia solo di cattivo umore, vero?- la domanda retorica rivolta al coinquilino ricevette un ringhio, come risposta. -Le passerà presto: è solo un brutto momento.- rincuorato, Mallett le sorrise.

-Clare?-

La voce di Brian fece sbiancare tanto Roger quanto Freddie.


 


 

Brian aveva pronunciato poche parole, ma con il tono di chi non ammetteva repliche.

-Mi scusi, posso parlare per un momento con Clare?- non aveva nemmeno aspettato che Mallett gli rispondesse: aveva preso la mano della ragazza e, nonostante il flebile “no...” pronunciato da quest'ultima, si era allontanato di qualche passo, di modo da essere lontano da orecchie indiscrete.

-Scusami, davvero, scusami se ti ho trascinata via così, ma... io non sto capendo più nulla!- dichiarò.

-Brian, non è... non posso: non è il momento e...- Clare tentò di indietreggiare, ma di nuovo il professore cercò di trattenerla.

-Ti prego: solo un minuto, per favore... mi puoi spiegare cos'è successo?-

La ragazza scosse la testa, con un'espressione triste stampata in viso che gli ricordò immediatamente il fratello.

Che pensiero idiota: per forza quando aveva preso per mano Clare gli era sembrato di avere davanti Roger; non c'era come essere gemelli!

Volle immaginare che, durante quella telefonata, Roger avesse avuto quel medesimo volto avvilito e costernato...
Che avesse voluto dirgli cos'era successo e dove sarebbe andato, ma che non lo avesse fatto ritenendo che non gli sarebbe importato. Brian si diede per l'ennesima volta dell'idiota: certo che gli importava! Conosceva quel ragazzo biondo da poco ma, con quel suo comportamento esuberante e sanguigno, non aveva potuto fare a meno di affezionarglisi immediatamente.

Lo conosceva da poco... e forse un Brian che non aveva mai conosciuto Roger non avrebbe mosso mare e monti per cercarlo, per chiedergli il perché di quell'addio improvviso: come aveva appoggiato la cornetta del telefono, invece, aveva deciso, per una volta, di provare ad essere impulsivo; di abbandonare per un momento il suo posato e inscalfibile carattere che si adattava così bene alla cattedra universitaria.

Di spegnere per un momento il cervello e agire d'istinto, seguendo le proprie emozioni.

Come avrebbe fatto Roger.
Forse non esattamente come Roger, che, infatti, avrebbe probabilmente decorato il tutto con qualche improperio.

Appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Clare, quasi temendo che potesse scappare, e cercò una qualsiasi risposta nei suoi occhi, che lo evitavano costantemente

-Non ti sto chiedendo di convincerlo a cambiare idea...- disse alla fine. -Voglio solo... vorrei solo parlargli. Ma non so come contattarlo... non so nemmeno dove sia.- finalmente lo sguardo di Clare si soffermò nel suo. Brian non riuscì a impedirsi di abbassare lo sguardo a terra, un po' per l'imbarazzo, un po' perché quegli occhi... erano esattamente come quelli di cui si era innamorato. -Ti prego: dimmi che non è già partito. Io non voglio dirgli addio così... non voglio perderlo... non voglio!-


 


 

Nell'istante in cui aveva riconosciuto la voce di Brian avrebbe voluto scomparire. Sparire immediatamente come fosse stata una specie di magia. Invece non aveva fatto in tempo nemmeno a voltarsi che si era sentito afferrare per il polso e trascinare via.
Aveva provato ad opporsi, più o meno, ma si era sentito mancare il fiato e l'unica cosa che era riuscito a pronunciare era stato un debole “No...”, consapevole del fatto che non sarebbe servito a niente.

Cercò di riflettere, invano: non aveva calcolato che si sarebbe potuto trovare in quella situazione.

Sentendo la voce mentre lo bersagliava di domande, non riuscì a reggere il suo sguardo.

Non poteva vederlo così.
Nel momento in cui, quella mattina, aveva abbandonato la cornetta del telefono, dopo aver comunicato a Brian della sua prematura partenza, aveva cercato di richiamare alla mente la sera prima.
Se allora avesse saputo che quello sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto il suo professore, non avrebbe bevuto nemmeno mezzo bicchiere e, ora, si sarebbe ricordato ogni minuto di quella serata.
Ci aveva pensato fino a farsi venire il mal di testa: non era riuscito a ricordare come fosse arrivato all'albergo, né tanto meno come si fosse arrampicato per quattro piani – soprattutto considerando quanto ubriaco fosse – ma alla fine i suoi sforzi avevano prodotto un piccolo risultato. Se aveva completamente rimosso la cena quanto il dopocena, gli era fortunatamente tornato in mente quando Brian lo aveva riaccompagnato a riva.

Non si era fidato a lasciarlo sul molo – il timore che cadesse in acqua non era infondato, dopotutto – per cui era sceso dal suo motoscafo e aveva attraversato la passerella al suo fianco.

Finalmente a terra, Roger ricordava di aver allacciato le braccia attorno ai suoi fianchi, lasciando un bacio sorridente sul suo mento:

-Buona notte.-

-Buongiorno.- gli aveva prontamente risposto l'astronomo. Roger aveva reclinato la testa, per osservare il cielo, e accorgersi che, effettivamente, cominciava ad albeggiare. Brian ne aveva approfittato per restituirgli quel bacio, dirottandolo sul collo. -Dunque:- aveva sussurrato poi. -quanto ti devo per la raccolta fondi scolastica?-

-Circa 850.000 dollari.-

Brian aveva finto di rifletterci su: -Mmh... in questo caso credo sia meglio arrotondare ad un milione, non credi?- e gli aveva scostato i capelli dal viso con una carezza per gustarsi il suo sguardo liquido e intenso mentre annuiva con entusiasmo.

Quello sarebbe stato il modo migliore di ricordare Brian. Ma quel ricordo era stato già intaccato dalla telefonata del giorno dopo quando la voce ferita e triste del professore gli avevano fatto salire le lacrime agli occhi.
E ora... ora sarebbe stato definitivamente distrutto. Perché non sarebbe più riuscito a pensare al Brian sorridente e sempre disposto a concedergli un gesto amorevole... non dopo averlo visto così confuso e disperato.

Per lui...

Per un povero disperato che si era ridotto a fuggire da una città all'altra; che ormai non aveva più una famiglia, una carriera... un'identità.

Aveva evitato il suo sguardo per tutto il tempo, sentendosi bombardare di domande alle quali non poteva rispondere, fino a quando non aveva pronunciato quelle ultime parole.

Forse era stata l'inflessione della sua voce, forse il fatto che aveva abbassato la testa e i capelli ricci che gli avevano coperto gli occhi gli avevano improvvisamente ricordato della prima sera che avevano passato insieme; di quando, mentre Brian teneva una piccola lezione privata sulle eclissi – ancora gelosamente conservata sul retro di quel foglio – quella matassa castana avesse nascosto i suoi lineamenti in quello stesso identico modo, costringendo Roger a inclinare la testa per guardarlo...

-Ti prego...-

Roger schiuse appena le labbra, sentendosi in colpa.

Sentì gli occhi inumidirsi. Di nuovo.

-Io... non voglio dirgli addio così: non voglio perderlo... non voglio!-

Scosse impercettibilmente la testa: Brian non se lo meritava.

Vaffanculo tutto!

Annullò quella distanza che, fino a quel momento, era stato ben attento a mantenere e si sporse, alzandosi leggermente sulle punte, per reclamare le sue labbra in un bacio veloce – Brian non ebbe nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo – ma dolce.

Quando incontrò di nuovo il suo sguardo, così confuso, sorpreso ed esterrefatto, si lasciò scappare un sorriso e una lacrima che, questa volta, non si era imposto di trattenere, gli inumidì la guancia.

Scosse ancora la testa.

Non si curò di camuffare la propria voce: -Non ne valgo la pena, Brian...-

 


 


 


 

Angolino autrice:

Ma buona sera! Chi non muore aggiorna con due mesi di ritardo, eh? -.-'

SCUSATEMI! Non sono proprio riuscita ad aggiornare prima! E, tralasciando impegni e università con segreterie inutili e professori che non sono capaci di far capire agli studenti se l'immatricolazione sia avvenuta o meno con successo (sorvoliamo, sorvoliamo...), non vi sto nemmeno a dire di quante volta abbia riscritto questo capitolo, sempre convinta che non andasse bene. Spero che questa ennesima riscrittura sia valsa l'attesa 'xD

Anche in questo caso, rimandi al film come se piovesse: la storia del milione di dollari di baci, quella degli orecchini (Joe, al primo appuntamento con Zucchero, si dimentica addosso gli orecchini e riesce a toglierseli all'ultimo), il bacio di Roger/Clare con Brian, che vuole "ricalcare" quello che Joe(sephine) da a Zucchero dicendole che non vale la pena di struggersi per lui... la conversazione tra Roger e Mallett... XD per coloro che sanno come si concluda quella conversazione nel film, tranquilli, non ho eliminato quella battuta finale, ma ho deciso di sfruttarla in un altro modo, un filo diverso e che spero potrà piacervi. Ma dovrete aspettare non il prossimo capitolo, ma quello dopo ancora, per leggerla XD

Che altro aggiungere?

Spero, come al solito, di essere riuscita a coinvolgervi.

Ci stiamo avvicinando alla fine... l'ultimo capitolo è davvero dietro l'angolo...

Come sempre, ringrazi tutti quanti voi che leggete, recensite, seguite, ricordate e preferite! <3 GRAZIE DI CUORE!

A presto (giuroh!) con il prossimo capitolo! :-*

Carmaux

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Capitolo 18
*** CAPITOLO DICIASSETTE ***


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CAPITOLO DICIASSETTE

Era ingiusto, se ne rendeva conto.

Lui aveva avuto il suo addio, il suo momento di intimità. Pochi attimi, in fin dei conti – forse anche meno di cinque minuti – ma che erano stati sufficienti per imprimergli nella mente la delicata fermezza delle labbra di Jim; il profumo dei suoi capelli scompigliati e che nascondevano quel bernoccolo procuratogli da Roger; il calore delle sue mani che si infilavano sotto i suoi vestiti; la sua voce nelle orecchie mentre, anche in quel momento di fuga frenetica, continuava a scherzare.

Non faceva che pensarci, ricordando il modo in cui Jim gli aveva preso il viso fra le mani e aveva cominciato a dirgli qualcosa per poi essere interrotto da Roger:

-Potresti...-

Potresti... cosa? Cosa gli stava per proporre prima che quel teppista del suo migliore amico rovinasse l'atmosfera?

Aveva continuato a domandarselo: la sua mente non aveva potuto fare a meno di tornare ancora e ancora a quel momento, elucubrando e vagliando le possibili opzioni.

Forse voleva solo fare un'altra battuta.
Ma se avesse voluto dirgli qualcos'altro?

Quei pensieri vennero bruscamente interrotti quando intercettò con lo sguardo uno degli uomini che li aveva sorpresi, tre settimane prima, in quel garage di Chicago: si volse di scatto, di modo che non lo vedesse in viso.

Dovevano andarsene. Subito!

Era ingiusto, ma dovevano andarsene immediatamente. Entrambi.

Si avvicinò al suo migliore amico e si sentì un verme quando gli appoggiò una mano sulla spalla, interrompendo quell'intenso contatto visivo che si era instaurato fra lui e il suo professore.


 


 

Edizione straordinaria!
Sette uomini massacrati in un garage!

La forte belligeranza fra bande culmina con una strage durante la notte di San Valentino. La banda del noto gangster George Bugs Moran viene sterminata nel garage al 2122 di North Clark Street, dove sono state ritrovate più di 160 pallottole di mitra. Per quanto riguarda il solo “Bugs” Moran, i polmoni sono stati lacerati da più di dodici pallottole; l'aorta è lacerata e il fegato è spappolato.

Si prevedono sanguinose rappresaglie!

Ma la polizia potrebbe riuscire a prevenirle: pare, infatti, che due uomini – due musicisti capitati nel posto sbagliato nel momento sbagliato – abbiano assistito alla sparatoria e siano riusciti, miracolosamente, a sfuggire alla medesima sorte riservata alla banda assassinata.

Tutta la polizia di Chicago ha già cominciato le ricerche ma al momento non si hanno ancora notizie.”

John voltò pagina, concentrandosi su un altro articolo di giornale che era stato ritagliato e inserito nel suo fascicolo.

Chiude il Rainbow dopo una retata della polizia.

Arrestate quasi un centinaio di persone tra gestori, ballerine e musicisti...”

Scorse rapidamente gli occhi lungo quell'articolo.
Non aveva bisogno di leggerlo per sapere cosa fosse successo: era presente, quella notte. Era stato lui ad indicare quel locale alla polizia.

Ma era stato sempre lui a risparmiare la stessa triste sorte della galera a due musicisti che, anche nell'articolo, venivano segnati come scomparsi.

Due musicisti scomparsi.

-Come cazzo si fa a farsi scappare un musicista che si porta dietro il peso di una grancassa! Posso capire il cantante che non ha impedimenti... ma una cazzo di batteria no!- così gli aveva detto Prenter quella sera.

Un batterista.
Che non era più stato trovato.

Prese una matita e sottolineò quell'ultima frase.
Tornò all'articolo precedente e sottolineò le poche parole riguardanti quei due testimoni.

Due musicisti.

Due musicisti inseguiti dalla polizia possono salvarsi rimanendo fuori dal giro per un po', ripiegando su lavori di seconda mano e su locali legali.
Ma due testimoni di una sparatoria fra gang, braccati dai peggiori criminali della città...
Non sarebbe bastato nascondersi per un po' o cambiare locale. Non sarebbe bastato cambiare città; non sarebbe bastato cambiare orchestra.

Non sarebbe bastato nemmeno cambiare nome.

-John! Non esiste nessuna “Clare”! Guardami! Ho davvero una sorella che si chiama Clare... ma questa Clare... non esiste: sono solo io. Era il modo più sicuro di scappare da Chicago...-

Scappare da Chicago.

Roger.
Il “fratello” di Clare.
Lo stesso Roger di cui Brian gli parlava da quasi tre settimane.
Ed erano passate appena tre settimane dalla Strage di San Valentino.
Lo stesso Roger che, sotto mentite spoglie era partito proprio da Chicago insieme ad un'orchestra femminile.

Ed insieme ad un'altra persona.

Il dubbio che anche Wendy non fosse la pianista che credeva, cominciò ad insinuarsi nella sua mente: i testimoni della strage, dopotutto, erano due.

Separò quelle due pagine dal resto della documentazione e le piegò più volte su sé stesse. Aspettò qualche secondo, prima di infilarle nella tasca dei pantaloni, riflettendo: alla luce dei fatti, non era poi così inconcepibile come credeva che Roger non volesse far sapere nulla a Brian, dato il rischio di farlo entrare nel mirino di gangster di quel livello.

Con un gesto disinteressato, chiuse il resto del fascicolo e lo buttò nella sua valigia, aperta sul letto. Sorrise al pensiero che anche Veronica, nella sua camera, stava raccogliendo tutte le sue cose, pronta a lasciarsi alle spalle quel lavoro poco gratificante per andarsene con lui.

Non riusciva ancora a credere che stesse davvero succedendo: nell'arco di poche ore la sua vita si era completamente ribaltata.

Ma non poteva ancora andarsene: aveva alcune questioni lasciate in sospeso.

E un favore da ripagare.

Rifletté per qualche secondo: alla fine, si diresse verso la scrivania e prese in mano la cornetta del telefono.


 


 

Era rimasto lì, immobile e frastornato.

Di tutte le cose che si sarebbe aspettato – che Clare non gli rispondesse, proteggendo i segreti del fratello; che lo spintonasse via dato che, dopotutto, aveva dimostrato di avere un carattere particolarmente sanguigno; che lo insultasse per averla strattonata e per averla tempestata di domande e richieste... – mai avrebbe immaginato di vedere quell'intensità nei suoi occhi, quello sguardo distrutto. E ancora meno si sarebbe aspettato di vederla sporgersi in avanti per baciarlo.

E poi la sua voce...

-Non ne valgo la pena Brian.-

La voce non più di Clare... ma di Roger.

Il... suo Roger?

Gli occhi sgranati, riconobbe per la prima volta quel viso dai lineamenti delicati, quegli occhioni azzurri di cui tanto si era invaghito... quelle labbra morbide.

Incredulo – perché non poteva che essere una follia – allungò sfacciatamente una mano verso il suo viso, sfiorando quei lunghi codini biondi. Con sua nuova sorpresa, al tatto si rese conto che quei fili d'oro erano finti.

Una... parrucca?

Le sue dita, sotto quello sguardo celeste tanto familiare, stavano per stringersi attorno ad una di quelle ciocche per tirarla e scoprire cosa si nascondesse sotto di esse, ma una mano si posò bruscamente sulla spalla di quello che non poteva credere fosse davvero il suo Roger, facendolo voltare di colpo.

Wendy sussurrò qualcosa al suo orecchio e, prima che Brian si rendesse conto di cosa stesse succedendo, Roger gli rivolse un ultimo sguardo triste: -Mi dispiace...- furono le uniche parole che riuscì a pronunciare mentre la corvina lo trascinava via.


 


 

Jim si sistemò velocemente i vestiti e riuscì a chiudere la cerniera dei pantaloni appena prima che, con un trillo, le porte dell'ascensore si aprissero al piano terra. Si passò una mano fra i capelli in un misero tentativo di renderli presentabili e tornò finalmente nelle cucine.

Non voleva darlo a vedere ma il cuore gli batteva freneticamente.
Un po' per il ricordo ancora vivo di quanto stava succedendo in quello sgabuzzino, un po' per la paura.

Raggiunse la porta della dispensa, sulla quale era appeso il programma della giornata: i turni di lavoro; gli orari di pranzi e cene; i nomi degli inquilini che desideravano ricevere il servizio in camera e tutti gli eventi della giornata che coinvolgessero anche solo marginalmente le cucine.

Si soffermò su quest'ultimo elenco e scorse la lista, aiutandosi a tenere il segno con l'indice, per essere sicuro di non perdere nulla. Verso la fine dell'elenco, finalmente trovò quello che stava cercando:

Salone secondario: PRENOTATO.
EVENTO PRIVATO.
Decimo congresso degli amici dell'Opera italiana
CENA e DOPOCENA.”

Tornò rapidamente nella hall dell'albergo e, scusandosi sbrigativamente con il collega che cercava di dare il benvenuto ad una giovane coppia appena arrivata, lo spinse di lato per controllare i fascicoli relativi agli eventi organizzati per quella giornata.

Se si trattava di un evento privato, da qualche parte doveva pur esserci una lista con i nomi di tutti gli invitati con, di fianco, il numero della camera occupata.

Il racconto di Fred era stato frettoloso e leggermente sconclusionato, ma, sebbene si fosse perso qualche dettaglio per strada, i concetti principali si erano impressi a fuoco nella mente di Jim: per l'albergo si aggirano i peggiori gangster di Chicago e Fred e Roger per poco non avevano rischiato una tragica morte in ascensore quando le porte dell'ascensore si erano aperte proprio di fronte a loro.

Al secondo piano. Era quasi sicuro che Fred avesse detto che si trovavano proprio al secondo piano quando li avevano incontrati.

Era improbabile che fossero delle persone qualunque ad aggirarsi per un piano a caso dell'albergo: era molto più probabile che chi era in attesa dell'ascensore a quel piano fosse appena uscito dalla propria camera.

Inoltre, Freddie, parlando dell'amministratore dell'orchestra, aveva accennato di sfuggita al Congresso degli amici dell'Opera. Jim lì su due piedi non aveva capito in che modo quell'evento si inserisse nella sua sventurata storia, ma non aveva posto domande.
Adesso, invece, un'idea era balenata nella sua mente.

Poteva fare ben poco per aiutare Fred e Roger a scappare: provare a controllare quali potessero essere gli spostamenti e gli eventuali impegni dei loro aguzzini era forse l'unica cosa nelle sue possibilità.

Trovò finalmente l'elenco e lo lesse avidamente, confermando le sue supposizioni.

Ricontrollò gli orari e il luogo, per essere sicuro di riferirli giusti a Fred, poi strappò un pezzetto di carta e, rubando la penna al povero ragazzo che ora si trovava in seria difficoltà con i nuovi clienti, scrisse rapidamente poche parole.


 


 

-Forza! Andiamo!- esclamò Roger, di pessimo umore, liberandosi dalla presa di Fred e afferrando Mallett, spingendolo a muoversi.

L'uomo, preso in contropiede da quell'aggressività, fraintese, come sempre e, lasciandosi trascinare, si volse verso Fred sfoderando un sorriso: -È sempre così impetuosa!-

Uscire sulla strada principale forse non era il piano migliore, tutto sommato: decine di macchine continuavano ad andare e venire, e molti clienti dell'albergo avevano deciso di godersi un po' di sole e quella fresca arietta proprio nella veranda che dava sulla strada. Roger e Fred, invece, volevano passare inosservati, volevano che il minor numero di occhi possibile si posasse su di loro. Ogni singola persona che li vedeva poteva, potenzialmente, indirizzare i gangster verso di loro.

Con un'occhiata, Roger comunicò a Fred che aveva intenzione di passare dall'uscita sul retro dell'albergo e il pianista annuì.

Avevano appena svoltato l'angolo quando il batterista bloccò di colpo quella marcia forzata.
Si fermò così bruscamente che Mallett sbatté contro la sua schiena e per poco Fred non fece lo stesso con quella di quest'ultimo. Alzandosi sulle punte per controllare cosa fosse successo, sbiancò e si abbassò, in un misero tentativo di nascondersi dietro il pretendente di Roger che, invece, si era letteralmente ritrovato faccia a faccia con uno degli uomini dai quali cercavano di scappare.

Senza fiato e con il cuore che aveva improvvisamente smesso di battere, Roger rimase impietrito.

Fu il gangster ad aprire bocca per primo, sorridendo: -Ma guarda.- disse affabile: -Le bamboline dell'ascensore!-


 


 

Ancora fermo sul posto, Brian si sentiva un idiota: era rimasto lì immobile mentre Wendy trascinava via Clare... o Roger; era rimasto lì fermo, con la mano ancora alzata come quando stava sfiorando quei finti capelli color del grano; era rimasto lì a cercare di costruire un pensiero logico.

Invano.

Tutto questo non ha senso. Non ha un minimo di senso!

Com'era possibile?

Ma che diavolo sta succedendo oggi?!

Esclamò fra sé e sé: prima John che rivelava improvvisamente di essere, ormai da più di un anno a questa parte, un informatore della polizia; e, come se questa non fosse stata una rivelazione sufficientemente sconvolgente, si aggiungeva Roger che prima gli aveva detto addio senza spiegare il motivo di una fuga così improvvisa, e poi gli aveva rivelato di essere Clare... o meglio... Clare gli aveva rivelato di essere Roger...

Persino cercare di riordinare le idee risultava folle!

Tutte quelle storie su Clare, sull'averle insegnato a suonare...
Tutte quelle scuse quando parlava di lavoro: l'essere un dentista... e tutti quegli appuntamenti fuori dall'orario di lavoro...

Non erano... non potevano essere tutte bugie!

Improvvisamente gli tornarono in mente le parole che lui stesso aveva pronunciato, non più tardi del giorno prima, a Wendy:

-So che sembrerà un'idiozia da dire, ma alcune sue espressioni... sono identiche a quelle di Roger. Ma immagino che sia quasi normale, tra gemelli.-

Dio! Quanto ingenuo e stupido poteva essere!?

Si portò le mani fra i capelli, come a voler enfatizzare la follia di tutta quella storia.

Perché, poi? Che motivo poteva mai esserci per aver creato quell'enorme castello di bugie e mezze verità?

Ripercorse ancora una volta gli avvenimenti degli ultimi giorni e un altro dettaglio catturò la sua attenzione: quando aveva chiesto consiglio a Wendy, dando sfoggio della sua stupidità quando aveva sorriso a Clare pensando a quanto somigliasse al fratello, lei gli aveva risposto con poche parole:

-Oh sì. A volte è come se fossero la stessa persona!-

Non ci aveva prestato attenzione, sul momento – dopotutto, perché mai avrebbe dovuto immaginare che quella semplice frase avesse un duplice significato? – ma adesso gli apparve come una lampante confessione.

Anche Wendy era coinvolta!
Se sapeva della vera identità di Clare, forse anche lei non era chi diceva di essere!

Pensò a John: possibile che anche lui non ne sapesse nulla?
Doveva assolutamente parlargli!


 


 

Non era sicuro che fare quella telefonata fosse stata una buona idea: sotto una certa luce era un'ottima idea e, sostanzialmente, si era sostituito a Prenter, assolvendo i suoi compiti; sotto un altro aspetto forse aveva complicato la fuga di Roger.

Oppure no...

Infilò una mano in tasca, accertandosi del fatto che i due documenti che aveva separato dal resto del suo fascicolo fossero ancora lì: alla fine, se fossero riusciti ad uscirne tutti sani e salvi, Roger lo avrebbe ringraziato.

Forse.

Non che John cercasse o desiderasse il suo riconoscimento: era semplicemente la cosa giusta da fare, il giusto modo di ringraziarlo.

Chiuse la valigia e fece mente locale: doveva tornare da Veronica e poi andarsene, possibilmente prima che arrivasse la polizia.

Ma prima doveva trovare Brian e avvertirlo del putiferio che si sarebbe scatenato nell'arco di qualche minuto.


 


 

Roger non ci pensò su: quasi senza aspettare che il gangster finisse di parlare mollò il braccio di Mallett per prendere la mano di Fred e fare bruscamente dietro front.

Le voci che gli giunsero all'orecchio mentre si allontanavano gli fecero accelerare il passo:

-Ma che hanno quelle due donne?- domandò l'uomo che le aveva cordialmente salutate, togliendosi anche il cappello.
Doveva essere il meno sveglio del gruppo, pensò Roger, trovando subito conferma nella voce di uno degli altri uomini, più precisamente lo stesso che, quando le aveva incontrate per la prima volta, aveva chiesto loro se fossero mai state a Chicago:

-Idiota! Ve l'avevo detto: mi erano un po' troppo famigliari... quelle “donne” non sono donne! I due musicisti del garage! Neanche morti vogliono andare a Chicago? Bene: noi li finiremo qui!-

Erano ufficialmente fottuti!

Ormai stavano correndo e, facendosi largo fra la gente a spintoni, riuscirono a imboccare l'entrata dell'albergo: dovevano nascondersi immediatamente o sarebbe stata la fine.

Caracollarono fino all'ascensore ma persero qualche secondo aspettando che le porte si aprissero. Voltandosi per controllare alle loro spalle videro che uno degli uomini era riuscito a recuperare terreno e ad entrare e che, ora, si stava guardando intorno alla loro ricerca.

Fred fece in tempo a scattare di lato, andando a rifugiarsi dietro il bancone della hall, ma così facendo la mano di Roger sfuggì alla sua.

Il batterista per un momento non seppe cosa fare e rimase in piedi, fermo davanti all'ascensore.

Le porte, finalmente aperte, rivelarono John con, in mano, la sua valigia.

Roger ragionò in fretta, ma al suo cervello si affacciò solo un'unica idea che potesse, anche se con remota probabilità, permettergli di salvarsi la pelle.
Le dimostrazioni di affetto in pubblico mettevano le persone circostanti a disagio, portandole a distogliere lo sguardo: non era sicuro che questa teoria potesse applicarsi anche a dei fuorilegge alla ricerca di chi poteva firmare la loro condanna a morte, ma, ormai, tanto valeva giocarsi il tutto e per tutto.

Afferrò per la giacca l'amministratore, poliziotto, musicista, o qualunque altra cosa John fosse e, prima che questi potesse protestare, lo fece girare su se stesso di modo che il suo corpo nascondesse il proprio: indietreggiò fino a sbattere la schiena contro la parete e, così “protetto” lo trascinò su di sé, tenendolo fermo mentre lo baciava il tempo sufficiente perché quel criminale lo superasse, quasi senza nemmeno concedergli uno sguardo fugace.

John scattò indietro, con gli occhi sgranati e confusi. Stava per parlare quando riconobbe “Clare”:

-Roger! Ma che stai facendo!- esclamò passandosi una mano sulle labbra per cancellare il segno lasciatogli del rossetto. -Pensavo fossi scappato!-

-Credimi: ce la sto mettendo tutta!- bisbigliò sbirciando oltre la spalla del bassista. L'uomo che li aveva riconosciuti poco prima si era ricongiunto con i suoi compagni di banda, compreso il suo capo, e stava dando delle direttive perché riprendessero immediatamente le ricerche.

Roger si fece piccolo, tentando di nuovo di nascondersi dietro a John quando, dalla porta principale dell'albergo, entrò un nuovo gruppo di uomini. Per un momento il batterista temette che si trattasse di altri scagnozzi; poco dopo riconobbe lo scintillante badge della polizia appeso alla cintura di ognuno di loro e si morse l'interno della guancia.

Un attimo dopo vide niente meno che Prenter scendere le scale di fianco all'ascensore massaggiandosi la nuca: indossava ancora gli stessi vestiti di quando stava minacciando John, e che, ormai, dopo che Roger gli aveva fracassato una teiera in testa, erano fradici.

Non c'era limite al peggio: ora, oltre che dai gangster, dovevano pure nascondersi dalla polizia.

I poliziotti lo sorpassarono senza, di nuovo, degnarlo di uno sguardo e si fermarono solo una volta di fronte ai suoi aguzzini. Anche Prenter, pur dopo aver adocchiato John – e dopo aver probabilmente progettato il suo omicidio – alla fine decise di fare quanto rientrava maggiormente nei suoi interessi: si fermò con i suoi colleghi, pronto ad assumersi il merito di averli rintracciati, senza ovviamente far menzione del suo “informatore” che si era persino premurato di chiamare la polizia al suo posto riferendo la situazione prima che fosse troppo tardi.

Roger sgranò gli occhi, incredulo.
Che colpo di fortuna: forse potevano ancora svignarsela, mentre la polizia teneva impegnati i loro cacciatori.


 


 

-Salve, sbirro.- disse Ghette, placidamente, rivolgendosi a Paul.

Il corpo di polizia gli aveva affibbiato quel soprannome dopo l'indizio scovato da Prenter in seguito alla strage di qualche settimana prima.

-Come mai qui in Florida?-

-Sapendo che voi, Amici dell'Opera, vi riunivate ho pensato di fare un salto qui, caso mai qualcuno avesse voglia di cantare.- rispose il superiore di Prenter, avanzando di un passo e oscurando il suo agente, negandogli quel rispetto e dichiarazione di importanza che tanto agognava.

-Spiritoso.-

-Eppure, avrei scommesso che non saresti venuto.- continuò, accendendosi una sigaretta. -Ti credevamo ancora in lutto, dopo quel brutto affare a San Valentino: la vittima non era un tuo “amico”?-

-Tutti dobbiamo andarcene, prima o poi.-

-Già, e non si sa mai chi sarà il prossimo.-

-Vero.-

Il capo della polizia decise di finirla con il sarcasmo: -Dov'eri la sera del 14 febbraio?-

-Io? Al Rigoletto.-

-Che locale è? A chi appartiene?-

-È un'opera, ignorante.-

-E dove la davano? In un garage di Clarke Street per caso?-

-Clarke Street? Neanche so dov'è.-

-Saprai allora dov'è la lavanderia De Luxe: non abbiamo già parlato di un paio di tue ghette insanguinate? Un incidente con il rasoio, vero?-

Era consapevole che quella conversazione non sarebbe durata e che, certo, Ghette non sarebbe stato tanto stupido da farsi sfuggire la benché minima confessione in un finto interrogatorio come quello. Tuttavia continuare a tormentarli con quelle prove e fargli capire che gli stavano addosso non poteva che giocare a loro favore. Forse, dopo quella conversazione, li avrebbe lasciati andare perché partecipassero al loro agognato “convegno”, ma sarebbero stati appena fuori dalla porta ad aspettare un qualsiasi pretesto per intervenire. E, data la situazione di tensione nella quale si trovavano, soprattutto considerando l'assurda faccenda di quei due testimoni che erano riusciti a farsi beffe di loro, le probabilità che avessero fortuna erano più alte che mai: due scapestrati musicisti si erano burlati della malavita di tutta Chicago e un colpo del genere doveva aver ferito parecchio nell'orgoglio e, dopo il fracasso in quel garage, non aveva certo giovato alle “pubbliche relazioni” dei loro colleghi fuorilegge.

Dovevano solo aspettare.


 


 

Fred si sporse appena dal suo nascondiglio: avrebbe allungato una mano per afferrare il suo migliore amico e trascinarlo lì con lui, ma, quando lo vide avvinghiarsi a John pur di non farsi scoprire non poté che scuotere la testa, preoccupato ma con una punta di divertimento: o Roger cominciava a prenderci gusto, o stava finalmente imparando a ragionare anche sotto pressione.

Oppure un misto delle due possibilità.

Sussultò e quasi si mise ad urlare quando sentì una mano appoggiarglisi bruscamente sulla spalla. Aveva già serrato la mano in un pugno, pronto, se non altro, a difendersi, ma l'uomo che gli si era inginocchiato davanti gli bloccò il polso:

-Ho già ricevuto la mia dose per mano del tuo amico: questa volta ne farei anche a meno.- dichiarò indicando il bernoccolo nascosto sotto i capelli scuri.

-Jim!-

-Cosa ci fate ancora qui?!-

-Sanno chi siamo! Siamo spacciati!-

Jim si guardò intorno e adocchiò Roger mentre si allontanava dall'amministratore dell'orchestra, per raggiungere Fred nel suo nascondiglio improvvisato.

-Dobbiamo liberarci di questi vestiti o non riusciremo mai a passare inosservati!- esclamò a bassa voce.

-Passate dalle cucine.- disse Jim. -C'è un camerino con le divise per i camerieri. In fondo al corridoio c'è una porta: è un'uscita secondaria che usano i cuochi quando vogliono prendere una boccata d'aria o fumare. Dovrete scavalcare un recinto per raggiungere la strada, ma se non altro non sarete in piena vista.-

Roger stava già partendo in quarta ma Fred lo trattenne per ascoltare gli ultimi avvertimenti di Jim: -Non passate dal salone secondario: fra poco lì si terrà il convegno degli amici operisti o come si chiamano.-

-Grazie.- il batterista gli batté una mano sulla spalla, poi si alzò per controllare la situazione: -Muoviamoci, prima che i poliziotti se ne vadano.-

Freddie fece il gesto di seguirlo, ma, prima, sentì la mano di Jim cercare la sua per depositarvi sul palmo un foglietto di carta ripiegato più volte su se stesso.


 


 

Quando John vide Brian entrare nella hall dell'albergo, si morse il labbro inferiore: non sarebbe stato facile spiegargli la situazione. Sapeva che sarebbe stato furente e lo avrebbe aggredito a parole, soprattutto vedendolo con in mano una valigia.

Effettivamente quello era un dettaglio al quale non aveva pensato: non sarebbe stato piacevole, per Brian, vederlo pronto per una rocambolesca fuga romantica appena qualche minuto dopo che Roger gli aveva lo aveva piantato in asso, asserendo che doveva misteriosamente andarsene.

Non che John si sentisse in colpa: dopotutto, l'idea di scappare da lì era nata all'improvviso, come conseguenza di quanto scoperto grazie all'aiuto di Roger.

Ripensò a quei frenetici minuti e infilò una mano in tasca, come per assicurarsi che i fogli che aveva tenuto da parte poco prima, mentre faceva la propria valigia, fossero ancora lì.

Anticipò qualunque parola di Brian lasciando cadere la valigia in terra e appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle, in un gesto banale ma che avrebbe anche funzionato, se avesse scelto con più cura le parole che pronunciò un attimo dopo: -Lascia che ti spieghi...-

Brian corrugò la fronte: era andato da lui per cercare risposte, ma non sperava davvero di trovare conferma dei suoi dubbi.

-Tu lo sapevi?!- esclamò scostandogli le mani. Non gli servì specificare a cosa si riferisse. -Lo sapevi e non mi hai detto niente! Quante altre cose mi stai tenendo nascosto?!-

John sospirò: -Ho fatto i miei errori, Brian, come chiunque, e per questi ti ho chiesto e ti chiedo di nuovo scusa... ma non accusarmi di cose che non ho fatto!-

Poteva immaginare come Brian si sentisse in quel momento: tradito, ferito, confuso. Non poteva biasimarlo se, adesso, aveva l'impressione che chiunque gli stesse mentendo, che qualunque parola fosse una bugia o una mezza verità.

Brian cedette sotto il suo sguardo, convincendosi del fatto che forse aveva esagerato. Piantò gli occhi in terra:

-Non riesco a credere che Roger non mi abbia detto niente.- dichiarò, ritrovando un contegno.

In quelle parole, John riconobbe una punta, nemmeno troppo velata, di risentito livore e pensò, nonostante tutto, di spezzare una lancia in favore del batterista: -Ha fatto bene.-

-Come?!-

-Ciò che non sai non può essere usato contro di te.-

Roger gli aveva fatto promettere di tenere la bocca chiusa, ma fin da subito John era stato tentato di infrangere quella promessa... e, ora, la tentazione era ancora più forte.

-Ma che stai dicendo! È lo stesso ragionamento che hai fatto tu?-

Il bassista se lo aspettava – sapeva che Brian ci avrebbe messo del tempo per dimenticare quell'anno di falsità e che, forse, era anche giusto che sfogasse il risentimento che giustamente provava – per cui scosse semplicemente la testa, senza cercare di difendersi:

-No, Brian, sono due cose diverse: io ho mentito per proteggere me stesso; lui per proteggere te.-

E, così dicendo, infilò una mano in tasca, ne tirò fuori quei fogli che aveva tenuto da parte e li consegnò a Brian: Roger lo avrebbe perdonato.

Brian srotolò e lesse rapidamente.

John si volse per prestare un orecchio a quella conversazione tra polizia e malavita e le ultime parole che udì gli provocarono un brivido di paura.

Quando tornò a guardare Brian, lo trovò allibito e con la bocca leggermente aperta: finalmente, con tutti i pezzi del puzzle al posto giusto, anche lui era riuscito a vedere il quadro generale della situazione.

John si morse nuovamente le labbra e riferì all'amico quanto aveva appena udito: -Non c'è via di fuga: controllano le stazioni, le strade e gli aeroporti...-

Roger e Fred non potevano andare da nessuna parte.
E, allo stesso modo, nemmeno lui e Veronica.

Brian rimase in silenzio a lungo, cercando di assorbire tutte quelle informazioni – decisamente troppe, soprattutto se ricevute nell'arco di appena qualche minuto – e rilesse ancora una volta gli articoli che aveva sotto mano.

I suoi occhi saettarono fra le parole; la sua mente fra i ricordi.

Infine tornò a guardare John: -Non controllano gli yacht.-


 


 


 


 

Angolino autrice:

PRIMA DI TUTTO SCUSATE: questo capitolo potrebbe essere venuto o discreto... o completamente da buttar via... ma ci sono su da troppo tempo per continuare a rimuginarci sopra... ragazzi, chiedo scusa ma non ce la faccio più: spero sia almeno accettabile XD I prossimi saranno migliori, ve lo giuro XD


 

Ed eccoci qui con questo diciassettesimo capitolo!

Questa storia è nata ESATTAMENTE un anno fa, il 14 febbraio 2019.

Il mio piano originario era di concludere questa storia oggi, cioè arrivare all'ultimo capitolo proprio festeggiando l'anniversario della sua pubblicazione... purtroppo le cose non sono andate come speravo e questi ultimi capitoli mi hanno fatto penare più di quanto mi sarei aspettata XD

E mi dispiace anche per voi lettori! Da un lato vi chiedo scusa, dall'altro ammetterò che... insomma, ormai siamo alla fine e mi viene quasi difficile lasciar andare questa storia! '^^

Perché, ve lo dico, i prossimi e ultimi capitoletti sono già quasi tutti pronti... ^^

Mi rendo conto di aver impostato questo capitolo su paragrafi più brevi e veloci ma vi dirò di aver quasi “fatto apposta” per cercare di conferire un ritmo più rapido, quasi cinematografico con un cambio scena frequente che si sposta da un personaggio all'altro. Spero di essermela cavata ^^ (diciamo la verità: spero solo che non sia un disastro...)

È anche vero che ormai con oggi abbiamo tirato le fila di questa storia: tutti i nodi sono finalmente venuti al pettine!

Ma! Non è ancora stata scritta la parola “fine” ^^

Perché, dopotutto, i nostri quattro sfortunati musicisti non sono ancora scappati del tutto, no?

;-)

 

Vi mando un bacione enorme e vi auguro, anche se ormai è sera tardi, un buon San Valentino. ^^

 

(sì, mi sono concessa una minichicca dealor :-P Sorry not sorry XD)
 

A prestissimo con il prossimo capitolo!

<3

E come sempre grazie a tutti quanti voi che ancora leggete, seguite, recensite, ricordate e preferite questa storia! *^*

 

Un bacione!

Carmaux

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