Cala novembre e le inquietanti nebbie, gravi, coprono gli orti

di tixit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Qualcosa è cambiato ***
Capitolo 2: *** Qualcosa non cambia mai ***
Capitolo 3: *** Imparare le regole ***
Capitolo 4: *** L'arte di ascoltare ***
Capitolo 5: *** Mai svegliare il can che dorme ***
Capitolo 6: *** Progetti per il futuro ***
Capitolo 7: *** Diciamoci tutto ***
Capitolo 8: *** Arriva la tempesta ***
Capitolo 9: *** Sotto un morso di luna ***



Capitolo 1
*** Qualcosa è cambiato ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Era stato un bacio dato per gioco - avevano bevuto, proprio tanto.
Ma prima c'era stata una lunga passeggiata lungo il canale, gli stivali immersi nei fiocchi della nebbia bassa di novembre. Avevano osservato insieme le folaghe ed i cormorani che stavano migrando dal Nord verso il Mediterraneo e le oche selvatiche ritardatarie, in un silenzio gonfio di pensieri.

“Io Vi piaccio?” aveva chiesto lui, una volta rientrati nel tepore della casa. Aveva la voce roca e aveva osato prenderla per un polso e attirarla in terra, accanto a sé, dinanzi al fuoco scoppiettante del camino.

“Vi ho stimato sul serio quando ve ne siete andato.” aveva sussurrato lei, con quella sua voce bassa e morbida, dal timbro mascolino. “Mi siete sembrato un cavaliere d’altri tempi di un regno da favola.”

“Camelot?” le aveva accarezzato i capelli biondi arrotolandoli intorno alle dita - cambiavano colore secondo la danza delle fiamme - senza chiederle nemmeno il permesso.

“Camelot.” lei aveva inclinato il volto, osservandolo incuriosita, un universo di azzurro e di stelle, sotto le lunghe ciglia.

“Luigi XVI non è esattamente Re Artù” aveva chiosato lui in tono ironico, ma lei gli aveva posto le dita sulle labbra intimandogli di tacere. Un gesto intimo come un bacio.

“Non lo è, non è un guerriero, ma potrebbe essere un riformatore, se lo volesse. Un uomo che usa il potere per fare qualcosa di buono.” Fersen aveva sogghignato scuotendo la testa e le aveva accarezzato con delicatezza le dita, scendendo lungo il polso con deliberata lentezza per poi slacciarle la manica ed accarezzarle il polso sottile.
“Ci vuole coraggio per usare il potere… è più facile costruire lucchetti.” aveva sussurrato.

“E come Artù” aveva proseguito Oscar porgendogli l’altra mano, ”lui ama teneramente la sua regina, che però ama appassionatamente un altro.”

“Amava…” aveva mormorato  mentre con le dita risaliva le vene azzurrine dai polsi di lei fino all’incavo del gomito - invisibili e complicati sentieri da percorrere senza fretta.

“Amava?” lei gli aveva accarezzato le labbra incuriosita. “Forse.”

”Lancillotto ha una vita dopo Ginevra, ha anche un’altra donna…” aveva detto lui senza guardarla, con voce seria, il leggero accento scandinavo che si faceva più pronunciato “Ci sono leggende che narrano del suo amore per la figlia del Re Pescatore…”

“Elaine di Corbenic?” aveva chiesto lei educatamente, "L'innamorata silenziosa."

Lui aveva annuito, senza alzare lo sguardo “Elaine offre rifugio a Lancillotto nella sua casa, guarisce Lancillotto dalla sua pazzia, e gli da un figlio...” le aveva sfiorato il viso con la punta delle dita, un gesto delicato.

“Leggende…” aveva detto Oscar con dolcezza accarezzandogli le mani. "In altre storie la memoria ha artigli e Lancillotto ha solo un nome ben piantato nel cuore."

“Ma io, almeno un poco, Vi piaccio?” lui aveva insistito, sembrando di colpo un ragazzo, indifeso, con quei capelli lunghi ed incolti e gli occhi che venivano da un altro paese fatto di neve e ghiaccio e boschi pieni di lupi e di giganti.

Lei aveva riso, inarcando la testa all’indietro, la gola scoperta  “Piacete a tante, a quanto mi dicono…” A quel punto lui le aveva baciato il collo, senza fretta, mentre con le dita aveva cominciato a slacciarle il gilet.

Oscar non lo aveva fermato, anzi, aveva fatto scivolare il suo vecchio panciotto grigio muschio lungo le spalle e con un sorriso aveva annunciato di voler conoscere il motore del mondo.

“Dio?” aveva chiesto Fersen perplesso e poi tutti e due avevano riso.

“L’amore?“ aveva poi sussurrato Fersen, accarezzandole una guancia.

“Il sesso.” aveva precisato lei slacciando la fusciacca dorata che le cingeva i fianchi.

“L’amore non Vi interessa?” aveva chiesto lui con voce improvvisamente tenera, mentre le sfilava la camicia dai pantaloni di seta.

“Quello credo di averlo già sperimentato,” gli aveva risposto meditabonda. Poi si era sfilata da sola la camicia, senza timidezza, sfilandola dalla testa. Sotto non portava nulla.
Nemmeno le fasce.

A quel punto André aveva chiuso la porta ed appoggiato le spalle al muro, la fronte imperlata di sudore - nemmeno si era accorta che lui era lì, nella stanza accanto, nemmeno aveva pensato che qualcuno la potesse vedere e giudicarla una...
Imbarazzato cercò con lo sguardo il vassoio, sbatté i bicchieri e la bottiglia facendo rumore, ne ruppe uno e lo rimpiazzò, poi con decisione aprì la porta.

Erano ancora seduti accanto al fuoco - lei fissava le fiamme, imperscrutabile. Indossava di nuovo la camicia, notò André con sollievo. Ma era slacciata e la luce del camino disegnava il profilo dei seni, sotto la stoffa leggera - l’eccitazione palese a malapena trattenuta.
Li aveva interrotti, aveva cancellato il loro momento magico, pensò. Ben gli stava.
Versò da bere per tutti e due, sperando che si sentissero a disagio. Ma quello di troppo, se ne rese conto, era lui.

Per un po’ rimasero tutti e tre in silenzio, osservando le fiamme dal profumo resinoso, poi Oscar si stiracchiò come un gatto, incurante dei bagliori di carne sotto i lembi della camicia, e uscì dalla stanza seguita da Fersen. Li vide salire le scale, seguendoli con lo sguardo, come un vecchio cane da guardia.

Arrivati al primo pianerottolo, Fersen la afferrò e mentre le baciava la nuca, la spinse contro il muro. Con le mani risalì lungo i fianchi di Oscar, fino ai seni, sotto la stoffa della camicia, ma lei si divincolò ridendo.

André chiuse gli occhi - un servo non può prendere a pugni un ospite dei suoi padroni. Non può. 
Anche se se lo meriterebbe.

Quando più tardi salì da lei per portarle una tisana calda - altro alcol era fuori luogo - la trovò sveglia, sdraiata sul letto, con ancora gli stivali indosso.

Il letto era intatto registrò con sollievo. Non lo avevano fatto. Avrebbe voluto sospirare per il sollievo, ma non era proprio il caso - Fersen sarebbe rimasto tra loro per chissà quanto tempo. E in cantina le botti di vino non mancavano certo.

“Ti ricordi quando facemmo a pugni?” la senti chiedere con voce indifferente. “Quando avevo quattordici anni, intendo.”

André annuì.

“Non ti ho mai chiesto scusa.” proseguì la donna brusca. “Avevo tanta rabbia.” Si puntellò sui gomiti mentre lui in ginocchio ravvivava il fuoco, evitando di guardarla. “Quando un altro ha un potere su di te ti mette davanti delle opzioni che ha già selezionato… e tu sei lì, che non comprendi che ci potrebbero essere altre scelte. Scelte più creative.”

“Ci sono anche le scelte sbagliate.”

Oscar alzò un sopracciglio “E’ più facile costruire lucchetti, vero?”

André arrossì, ma non le rispose.

“Tu non sai cosa voglio perché non ascolti mai, nessuno ascolta nessuno eppure tutti dicono in continuazione quello che vogliono.”

“E tu ci credi? Che vogliano bambini?” gli sfuggì e avrebbe voluto rimangiarselo subito. Ma Fersen aveva parlato di bambini... Fersen. Che aveva una lista delle donne con cui era stato a letto a accanto al nome scriveva pure le loro preferenze - a Madame De Tourvelle piace che le si succhino i seni - ma per piacere!

“No.” rispose con voce tagliente. “non ci credo affatto. Ma tu non dovresti origliare, sai? Non ti si addice, sei così perfetto... Santo André da Versailles. Io credo che alcune persone vogliano cose che non possono avere da soli e allora cercano di trovare un complice offrendogli la ricompensa che ritengono adeguata. Un allineamento di desideri, come una eclisse.” sospirò “Solo che nessuno sa davvero cosa vogliono gli altri e tira ad indovinare.”

André scosse le spalle irritato e lei sogghignò, poi abbassando lo sguardo sussurrò “A volte alcune persone vorrebbe solo lasciare andare tutta quella rabbia e smettere di perdersi tutto il resto.”

“Il resto cosa? Il sesso?” voleva ferirla e sperò di esserci riuscito.

“Anche. Non sono una Madonna.” irritata si alzò in piedi e andò a versarsi qualcosa da bere, sotto lo sguardo carico di disapprovazione di André.

Gli fece un segno distratto per invitarlo ad andarsene, poi si mise davanti allo specchio e lasciò cadere a terra la camicia. La vide rimirarsi allo specchio, osservando la cicatrice sul braccio, i suoi capelli dorati ed i suoi seni, per poi guardarlo negli occhi attraverso il riflesso. Prese una spugna e cominciò a lavarsi continuando a fissarlo mentre sfiorava lentamente i capezzoli rosei e le spalle bianche, i rivoli d'acqua e sapone che scivolavano pigri verso l'ombelico.

André per un attimo pensò che sarebbe bastato fare due passi verso di lei e toccarla, sovrapporre le sue impronte a quelle di Fersen, cancellarle come quella spugna e dirle che era bellissima, ma poi decise che la distanza tra loro non era di soli due passi e che erano anni che lui era abituato a proteggerla. Non poteva cambiare le abitudini di una vita.

Si inchinò e la lasciò sola.

La mattina dopo lei era uscita presto a cavallo, nell’aria frizzantina di novembre, e le bottiglie vuote, da raccogliere, coricate in terra accanto al letto, erano ben due - André scosse la testa: era così pallida. Troppo.

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Capitolo 2
*** Qualcosa non cambia mai ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Qualcosa non cambia mai

André seguì le impronte di lei nell'erba gelida di brina, come un vecchio e paziente segugio, fedele alla propria padrona.

Tutta la notte si era agitato nel buio appiccicoso della sua stanza, ad un certo punto aveva sognato di percorrere uno spazio che gli era sembrato estraneo, seguendo l'odore familare di una donna, come un predatore.
L'aveva cercata a tentoni, percependone la presenza davanti a sé, dietro di sé, infine accanto a sé, mentre cercava di afferrarla, il suo respiro un suono quasi impercettibile. 
"Chi sei?" le aveva chiesto, ma l'aveva sentire ridere sommessamente e basta.

L'aveva attirata verso di sé, con delicatezza, e aveva affondato il viso alla base del collo di lei, godendo dell'odore della sua pelle nuda - rose, aveva pensato, rose bianche. Le aveva baciato il collo, poi era sceso con le labbra lungo le spalle, scoprendole nude e fresche contro la sua pelle bollente. Delicata, aveva pensato, delicata come petali di rose

"Chi sei?" aveva mormorato, mentre con le dite le cercava le mani, "Chi sei?" lei gli si era stretta contro e lui si era subito eccitato - era questo il semplice l'ardore del desiderio, quindi? Spogliato della tenerezza? Del senso di protezione? Di quell'orribile sensazione di essere costantemente invisibile? Se toglievi tutte le invenzioni degli uomini, gli orpelli su come le cose avrebbero dovuto ragionevolmente essere, i dettami della Chiesa, le leggi di Dio, quello dello Stato, era questo? questo era quello che restava? Un uomo e una donna?

Lei gli aveva sfiorato le dita con le sue ed erano tornati nel suo letto stretto, adatto da sempre ad una persona sola, una specie di presagio di tutta la sua vita, mentre i loro corpi si erano sfiorati impazienti, nel buio.
Le aveva cercato le mani, per stringerle tra le sue, palmo contro palmo, le dita intrecciate. Poi aveva inarcato il suo corpo su quello di lei, sentendosi finalmente libero e spensierato, come era tanto che non si sentiva.
La voleva, ah come la voleva. Un uomo e una donna e niente altro, solo il buio. Buio e petali di rosa.

L'aveva spinta sul letto, sentendola ridere, poi aveva afferrato il mozzicone di candela sul comodino e l'acciarino e con le dita che tremavano l'aveva accesa - voleva vederla. Prima di prenderla per sé, voleva vederne il viso, assicurarsi che anche per lei quello fosse piacere. Piacere condiviso.
Soprattutto voleva  poterla ritrovare il giorno dopo per farlo ancora ed ancora fino ad esserne sazio.

A quel punto si era bloccato. 

Era Oscar.


Si era svegliato di colpo, con una monumentale ed imbarazzante erezione, sentendosi stanco e svuotato. Riaddormentarsi gli aveva fatto paura - s'era sentito patetico: di notte, nei sogni, ogni uomo poteva essere quello che voleva, e lui, come il supplizio di Sisifo, pure nei sogni era costretto sempre allo stesso desiderio, sfiancante ed inutile come un macigno da spingere su per una salita. 
Non poteva sognare di essere un pirata che solcava libero i mari sotto la pioggia? Un falco che volava nel cielo? In un sogno si poteva fare qualunque cosa, pure baciare la Regina e lui... petali di rosa. Patetico.

S'era rivestito in fretta ed era uscito nel cortile a fissare l'alba pallida. Il freddo l'aveva colpito come uno schiaffo che lui lo aveva accettato con gratitudine.

Poi aveva preparato il vassoio per lei, rassegnato ad un'altra giornata che non sarebbe stata veramente sua, pallida imitazione di una vita.
Il sollievo del letto con una sola impronta - Fersen non l'aveva mai raggiunta, quindi - aveva lasciato in fretto il posto alla preoccupazione per le bottiglie e per la sua assenza.

Come un vecchio segugio, era uscito a cercarla.


Alla fine l'aveva scorta vicina al canale, là dove avevano visto Fersen qualche giorno prima, appena tornato dall'America - alto, biondo, occhi chiari, segni particolari: bugiardo. E lei gli era corsa incontro. Alta, bionda, occhi chiari, segni particolari: bellissima.

La osservò mentre caricava il fucile e sparava irritata alle oche selvatiche dal collo proteso - oltre 40 piedi, non avrebbe mai colpito il bersaglio, nessun fucile aveva quelle precisione. Avrebbe voluto gridarglielo, chiederle perché era così arrabbiata, ma si sentì ridicolo, proprio lui parlava di desideri inutili? Che consigli le avrebbe mai dovuto dare? Lui era tornato, erano passati anni da quando lanciava sguardi languidi a Maria Antonietta. Forse non valeva la pena - non valeva la pena - ma era tornato e cianciava di nuove possibilità e di bambini. Bugiardo, bugiardo, bugiardo.

Si accoccolò sui talloni poco distante da lei, appoggiandosi al tronco di un albero - l'aria di novembre aveva una consistenza sottile, quasi rarefatta, gonfia di pioggia rappresa e freddo. Gli alberi senza foglie gli parvero pieni di snodi, infiniti bivi, decisioni possibili che comunque non portavano a niente. Come la sua vita del resto.

Lei si voltò verso di lui e sussultò sorpresa. "Non ti ho sentito arrivare." poi gli si avvicinò. André ne osservò il pallore - era un poco oltre ciò che era considerato di moda, c'era qualcosa di traslucido. Troppo.
Dalla giacca estrasse una fiaschetta e gliela porse.

Lei bevve avidamente una lunga sorsata per poi sobbalzare ridendo "Ma è cioccolata!"

"Dire che di alcol ne hai avuto abbastanza." rispose severo.

Oscar sorrise come quando era ragazzina, una ragazzina spontanea e a suo modo affettuosa, e si accoccolò accanto a lui. "Si Nonnina..." disse con una vocetta compunta, prendendolo in giro.

"Non hai fatto colazione." la accusò irritato.

"No Nonnina. Ma che occhi grandi che hai."  proseguì con l'aria fintamente contrita

"E' il pasto più importante della giornata e ieri sera non hai cenato." e sei diafana in un modo che piace ai poeti ma non a me che sono solo un servo e ti striglio il cavallo.

Lei lo guardò da sotto in su, seducente con quegli occhi che sembravano un universo di stelle. "Se eri così preoccupato, potevi cenare con me... in camera mia. Ieri sera, intendo." si leccò le labbra screpolate dal freddo, poi aggiunse "Non ti avrei detto di no."

André si mosse a disagio ripensando a quando l'aveva vista lavarsi allo specchio. Si chiese se lei stesse alludendo a qualcosa tra loro, qualcosa di impensabile, qualcosa che non doveva assolutamente essere.
Subito scacciò il pensiero - molto probabilmente lo considerava come un bambino, con niente tra le gambe, nessun desiderio che lo potesse davvero infiammare, il caro vecchio André, il vecchio segugio che le era stato regalato da bambina e che da allora le faceva la guardia da sempre, accucciato ai piedi del letto. Uno davanti a cui spogliarsi era facile, perché non implicava niente, solo la confidenza fatta dalle mille volte in cui avevano dormito assieme fin da bambini. 

"Ti ricordi quando eravamo piccoli?" lei lo guardò ansiosa, "venivamo qui a caccia di anatre, e poi scendevamo giù al laghetto, vicino al canneto."

André annuì.

"Bei ricordi, vero?" lei lo frugò negli occhi con lo sguardo, lui si guardò intorno borbottando un si.
"Ci pensi mai?" chiese lei. André non rispose - era difficile starle dietro e conciliare la ragazzina rigida e un poco prepotente, che era stata, con la pazza che si spogliava senza pudore davanti al camino. Ritenne, così, che fosse più saggio tacere.

"Vedo che non hai i guanti." soggiunse Oscar, poi gli prese una mano, "Sono gelate, poi quando torniamo a casa le avvicinerai al fuoco, ti conosco, facevi così anche quando eravamo bambini. Ti faranno solo male, lascia che le scaldi tra le mie." 

"Si mammina,"  mormorò e la lasciò  fare.

"Che mani grandi che hai..." disse prendendolo in giro, ma lui le scoccò uno sguardo severo. Non gli sfuggivano i cerchi intorno agli occhi e di certo la testa le faceva male, ma come le era venuto in mente di bere ben due bottiglie di vino? A stomaco vuoto, per giunta? Per ingoiare le bugie di Fersen? O per dimenticarlo?

"Sono forti e morbide." aggiunse Oscar senza guardarlo, poi si tolse i guanti e gli strinse la mani, palmo contro palmo. "Va meglio così?"  chiese in un soffio. Ad André tornò di colpo in mente il suo sogno e meccanicamente incrociò le dita con quelle di lei, pensando che la sua pelle davvero era fatta di petali di rosa. Come i suoi seni alla luce delle candele. 
Sgomento si ritrasse borbottando che non era necessario - irritato cercò nei recessi di una tasca un vecchio paio di guanti di lana appallottolati e se li infilò con gesti sbrigativi. 
Non era timido, non era disinteressato, ma era orgoglioso e non voleva commettere errori. E non voleva che ne commettesse lei, ma cosa le era preso? O era lui che stava immaginando cose che non c'erano? Forse lei stava solo strofinando le orecchie del suo vecchio segugio, e poi gli avrebbe tirato un bastone per farglielo riportare. Patetico.



"E così eccovi qui." la voce di Fersen era allegra. Dall'alto del suo cavallo le guardò le cosce senza curarsi di dissimularlo - non somigliava affatto a Lancillotto, decise André spassionatamente, ma a Gargantua, un animale che non si sarebbe inginocchiato davanti al Santo Graal per adorarlo, ma lo avrebbe riempito di vino per poi ingozzarsene e ruttare.
Oscar si alzò in piedi senza fretta e Fersen seguitò ad osservarne le ginocchia magre ed i lunghi polpacci inguainati negli stivali. Poi, risalì irriverente fino al sedere "Siete bellissima," disse con ammirazione sincera. Poi smontò da cavallo.

André si ritrasse, allontanandosi in fretta da quei due. Era un uomo facile Fersen, con appetiti che non nascondeva: buon cibo, buon vino, belle donne. Sicuramente scopate rumorose. 
Il ricordo di lui sulle scale che la stringeva contro il muro, le mani avide sotto quella camicia slacciata ansiose di profanare il candore della sua pelle, e lei che non si offendeva, che non gli tirava un pugno, ma che anzi rideva divertita, lo colpirono dritto allo stomaco. Due ragazzini ubriachi che non sapevano che diavolo stavano facendo, accidenti a loro. Il motore del mondo. Accidenti a lei.

"Credo che dovreste tornare a casa. Tutti e due," disse severamente. "Si sta per alzare il vento. E quelle nuvole all'orizzonte non promettono niente di buono."

"Non hai anche qualche vecchio reumatismo che si fa sentire?" lo prese in giro Oscar irritata.

"Io invece volevo sparare a qualche anatra," ribatté Fersen deciso.

Oscar spostò lo sguardo tra i due uomini, come se li stesse soppesando, ed André si infilò irritato le mani in tasca "Vedo che avete fucili, munizioni e polvere da sparo. Non vi servo." disse con voce ferma. 

"Se resti ci fa piacere." disse Oscar pacata.

"Non aggiungerei nulla alla Vostra compagnia" poi aggiunse "Ho delle cose da sbrigare..."

"Tipo cosa? Cosa c'è di così urgente da fare?" insistette lei irritata.

"Svuotare pitali." rispose lui. Io non voglio essere Sisifo e desiderare ancora e ancora e di nuovo quello che non devo avere pensò. E non dovresti nemmeno tu con quell'animale.

Lei sobbalzò ed arrossì violentemente, le guance in fiamme.

Fersen rise.

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Capitolo 3
*** Imparare le regole ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Imparare le regole

I due giorni che seguirono, ad André sembrarono carichi di elettricità e parole trattenute sotto macigni di rabbia compressa.
Oscar usciva a cavallo incurante della nebbia, della pioggia, dell’alba e del tramonto; irrequieta galoppava oltre l’orizzonte per poi rispuntare accigliata accanto al camino, con le gocce di nebbia rapprese sui capelli dorati e sulle ciglia lunghe.

Fersen la seguiva, come se tra quei due ci fosse una specie di sfida: stavano acquattati tra le canne dello stagno per sparare alle anatre fino ad avere le mani intirizzite, si rincorrevano al galoppo lungo il canale e poi, sfiniti, si sdraiavano sull’erba umida, puntellandosi sui gomiti, per battibeccare di questo e di quello.

A volte gli occhi di Oscar si fermavano sulle labbra di Fersen e a volte lui la avvolgeva con lo sguardo nascondendo a malapena un sorriso pigro e compiaciuto - la prima volta che questo avvenne André stava tagliando il formaggio e si ferì ad una mano. Nessuno se ne accorse.

Nemmeno lui.

Quel giorno, invece, aveva deciso di non seguirli. Seduto sulle scale, mentre sgranocchiava una mela, pensò rattristato che lui poteva amare Oscar da lontano e poteva sognare di amarla da vicino, ma Fersen aveva detto la parola magica: bambini.
Futuro insomma.

Non l’ineluttabile eterno presente che non offriva sbocco a chi non se lo sapeva cercare.  

 

Quando lei rientrò la vide sedersi in terra accanto al fuoco, rabbrividendo.
Era esausta pensò André irritato, "lui" avrebbe dovuto averne più cura, capire che era consumata da emozioni difficili da catalogare, che tutto quel galoppare non serviva assolutamente a niente perché non si può sfuggire da se stessi. E che, insomma, se proprio dovevano comportarsi come due cretini avrebbero dovuto farlo al caldo e bevendo una tisana.


Vide con stizza che Fersen le stava porgendo da bere - giusto quello di cui aveva bisogno... ma per piacere! - poi lo vide massaggiarle le spalle per scioglierle la tensione nei muscoli indolenziti e di colpo gli sembrò che il suo cuore si stringesse fino a diventare come quello di un pettirosso.

Quando lei sorrise grata André sussultò.

Quando infine Fersen le slacciò il gilet ricamato e lei lo lasciò fare, provò l'irresistibile impulso di tirargli addosso qualcosa, ma aveva solo un torsolo di mela e la scena gli parve ridicola.

Tornò a respirare solo quando lei gli fermò la mano che 
stava giocherellando con i bottoni della camicia. “E’ una strada che non porta da nessuna parte.” la sentì dire e non poté che concordare con lei.

“Potrebbe...” mormorò lui.

Lei scosse il capo.

“Non mi credete?”

“E’ difficile credere ad un uomo che tiene una lista…”

Fersen la guardò sbigottito e lei soggiunse ridendo “A Madame de Tourvelle piace che le si succhino i seni…”  

Fersen tacque arrossendo e lei gli poggiò una mano sul ginocchio - un gesto amichevole. “Quale uomo ha bisogno di prendere appunti su questi particolari?” chiese curiosa.

André si alzò per risalire le scale, voltando la schiena a quei due - sarebbe salito per poi discendere lungo quelle di servizio per non farsi notare. Se lui adesso le stava sfiorando le dita, non lo voleva affatto sapere.


Mentre in cucina, con le mani tremanti, preparava il vassoio la immaginò sul tappeto, i capelli come una corolla, i pugni stretti lungo i fianchi, le nocche pallide, Fersen che la afferrava per i polsi delicati e… di colpo sbatté la bottiglia sul tavolo.

Fu con sollievo che sentì che era arrivato un ospite - Girodelle - meglio che niente, pensò. Meccanicamente aggiunse un altro bicchiere al vassoio e si trascinò verso il Salotto.

“Giusto Voi,” la sentì apostrofare il nuovo arrivato, brusca, “avete mai tenuto un elenco delle Vostre conquiste?”

Girodelle non si scompose, con un gesto elegante prese il bicchiere che André gli andava porgendo e poi replicò con aria svagata “Ho buona memoria.” Intanto percorreva la stanza con gli occhi come se cercasse qualcosa.

“Diplomatico come sempre.”

“Forse dovreste chiederlo ad André.” ribatté Fersen con aria di sfida.

André sentì di stare arrossendo e desiderò sprofondare - capiva che quei due stavano litigando senza saper litigare, Oscar in fondo non aveva mai imparato… le sue sorelle non litigavano mai con lei, troppa differenza d'età, giocattoli diversi, la viziavano e basta, quanto a lui non era suo compito litigare con Oscar. Lei risolveva il malumore con un colpo di spada od un pugno. Spiegare cosa le rodeva non era mai stato il suo forte.

André capiva, capiva tutto, ma non voleva farsi attirare nella trappola vischiosa delle loro parole.

Bambini aveva detto Fersen. Non bastava? Aveva messo sul tavolo l’unica cosa che lui non avrebbe mai potuto dare ad Oscar, pena la rovina di lei o del bambino. Una cosa impossibile.
Adesso voleva pure colpirlo come uomo? Fargli confessare che non c’era mai stata nessuna perché c’era già una di troppo? Una che gli invadeva pure i sogni e che nemmeno nei sogni era sua?

Vide lo sguardo impietoso di Girodelle su di sé e si sentì sconfitto. Lui era solo il buon vecchio segugio di casa, patetico, una animale dei cui accoppiamenti si può parlare liberamente in un salotto con gli ospiti - oh André, forse dovremmo fargli coprire Adeline, verrebbero dei bei cuccioli...

Girodelle scosse la testa divertito ed intervenne “Un uomo che tiene una lista con certi dettagli lo fa per lo stesso motivo per cui un oste prende appunti sui gusti dei suoi clienti più generosi.”

“Un oste?” Oscar inarcò le sopracciglia.

Fersen rise e poi disse compunto “In un certo senso…”

Girodelle guardò il bicchiere e poi mormorò: “Direi che ormai sappiamo tutti cosa piace a Madame de Tourvelle. All’oste interessa molto poco dei gusti dei suoi clienti, per questo se li deve appuntare. Non lo farebbe mai con i gusti di sua madre. La lista gli serve per tentare uno scambio alla pari, perché i clienti tornino spontaneamente.” fece un sorriso triste, “Soddisfazione reciproca. Madame de Tourvelle non mi risulta si sia lamentata.”

Fersen si mosse a disagio ed Oscar lo guardò incuriosita, poi chiese a Girodelle “Sono oggetti quindi?”

Girodelle poggiò il bicchiere “Si è fatto tardi, ero solo venuto per un saluto veloce… Ho lasciato il cavallo sul retro, se permettete uscendo passerei per le cucine.”

Poi guardò Oscar e le disse “Madamigella, non tutti possono permettersi lo zucchero. Per fortuna c’è il miele.”

“Non è la stessa cosa…” sussurrò Oscar guardandosi le mani.

“No, non lo è. E’ un buon surrogato.” Girodelle si inchinò, “Ognuno prende ciò che può.” Poi soggiunse con aria severa “Oppure fa a meno. Non siamo più bambini mi pare.”

 

In cucina Girodelle si sedette e chiese dell’acqua fresca, col tono cortese di chi era abituato e vedersi servire, sapendo di non dover mai alzare la voce.

Accavallò le gambe ed osservò la stanza senza fretta, mentre André gli girava intorno imbarazzato - il miele, lo zucchero… intanto Girodelle gli chiedeva cortesemente di Rosalie, di Madame de Jarjayes, delle sorelle di Oscar ed  André rispondeva poco convinto - capiva che Girodelle aveva voluto offrire a Oscar qualcosa che considerava importante. Il miele era Madame de Tourvelle, quella a cui piaceva... - gli scappò un sorriso - lo zucchero era Maria Antonietta quindi? Quella che solo il re si poteva permettere... con quello che spendeva, poi!
E Oscar cosa era?


Era il suo zucchero pensò rattristato. Lo zucchero di André Grandier.

“Quando ero bambino volevo tanto imparare a giocare a scacchi.” disse Girodelle guardandolo severamente, “Tempestavo di richieste mio padre - un bambino invero insopportabile.”

André tacque non sapendo cosa pensare. Aveva sempre sospettato che il Conte non ci stesse poi tanto con la testa, forse per via di quei capelli lunghissimi e dei vestiti elaborati, però gli era sempre venuto il dubbio che magari era lui che sbagliava... stavolta non ne era più così tanto sicuro: ma cosa c'entrava lo zucchero con gli scacchi? Scosse la testa, una Guardia del Re... Santo Cielo! Proprio vero che oramai bastava essere nobile per fare quello che si voleva pure se non si era adatti!

“Ci mise trenta minuti a spiegarmi le regole. E tre minuti a battermi.”

André scosse la testa non avendo idea di cosa l’altro si aspettasse da lui. Girodelle alzò platealmente gli occhi al cielo. “Vi piacerebbe un lavoro?” chiese sbrigativo.

“Ho già un lavoro.”

“Avete ragione. E’ una vita quella che vi manca…” Poi scrollò le spalle e se ne andò.


Mentre stava sistemando i bicchieri perché la piccola lavapiatti di Palazzo Jarjayes non avesse troppo da lavorare il mattino dopo, avvertì il profumo di Oscar.

“Mi spiace che Fersen abbia cercato di metterti in imbarazzo…” sussurrò avvicinandosi.

“Era il suo modo per rimbeccare. Non gli è piaciuto il tuo tentativo di metterlo in imbarazzo.” disse André senza guardarla, conscio del calore della sua pelle pure a quella distanza.

“Io credo che tu non scriveresti mai una lista…”

“Ma che ci sarà mai di male in una lista!” replicò André irritato, serrando la mascella “Il capostalliere ha un elenco dettagliato delle preferenze e delle malattie di ogni cavallo di Palazzo Jarjayes.”

Oscar scoppiò a ridere e di colpo gli ricordò la ragazzina con cui dormiva abbracciato durante i temporali. Le accarezzò i capelli, con tenerezza, come faceva quando erano bambini e lei gli sfiorò il polso con la punta delle dita.
D'impulso poggiò la fronte contro quella di lei. Si stupì nel sentirle trattenere il respiro.

Lei meritava la sua chance, pensò accarezzandole una guancia, era da stronzi desiderarla chiusa in casa assieme a lui per sempre - Madame de Jarjayes se ne era andata. Senza sbattere la porta, ma se ne era andata. il Generale occupava un'altra ala e quella parte del Palazzo, ora che non c'era più nemmeno Rosalie, era davvero triste.
Se quello che lei voleva era quel fesso di Fersen, ma chi era lui per giudicare?

“Non essere severa con..." inghiottì a vuoto, pronunciare quel nome gli dava solo fastidio, "vederla e non poterla avere, desiderare, cercare un surrogato e poi tornare a desiderare pentendosi, sperare che lei non sappia mai delle altre donne e volere che gli altri sappiano, sappiano tutto, anche i dettagli, perché nessuno sospetti di lei... per non farle del male... Non giudicare un uomo solo da questo... da una stupida lista.”

Oscar lo guardò stranita “Stai scherzando vero?” esclamò. Di colpo si allontanò da lui ed uscì precipitosamente dalla cucina.

 

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Capitolo 4
*** L'arte di ascoltare ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

L'arte di ascoltare

Dopo una notte insonne di macerie e sudore, verso metà mattina li sentì litigare. 

Indugiò dietro la porta, la mano serrata sulla maniglia, combattuto tra la voglia di mettere pace in quella casa, a tutti i costi - l'aveva incontrata per le scale, di notte, stanca e spaventata - e quella che Fersen, semplicemente, se ne andasse. Era stanco.
Fersen, accidenti! Uno che teneva una lista.
Nemmeno avesse avuto così tante donne non potersi ricordare due dettagli messi in croce. Non era il caso che andasse a verificare? Ad aggiornarla? Magari a Madame de Tourvel si erano schiusi nuovi orizzonti.

Il problema vero non era Fersen, ma le intenzioni di Fersen, si disse, cercando di calmarsi. Se fossero state serie, Fersen sarebbe stato, per Oscar, l'unica possibilità di una vita normale. 
Per quei figli da crescere e riempirle la vita - se la immaginò nel bosco che coglieva lamponi con dei bambini biondi, allegra come quando era alta solo un soldo di cacio, pronta a rifare con loro tutte le cose che loro due avevano fatto assieme da piccoli e a farle meglio.
Fersen non era solo un uomo bello, biondo e con gli occhi chiari, era qualcuno che era stato educato come lei e che avrebbe potuto capire tutte le dinamiche dei Jarjayes, e decidere di non ripeterle. Uno avrebbe potuto tenerle la mano quando fosse arrivata la sera, tra tanti anni, dopo una vita piena di amore. Perché lui, il vecchio segugio da sempre accucciato ai suoi piedi non bastava - non poteva bastare, siamo seri, come avrebbe potuto?
Lo doveva rispettare per questo, glielo doveva a quel Lancillotto dei poveri: se lui poteva renderla felice bisognava dimenticare quella lista.

Ma quei due in questi giorni, intenzioni, ah ma quali intenzioni? Quei due fringuelli non sembravano interessati a discutere dei dettagli dei contratti matrimoniali. Avrebbero dovuto scegliere dove sarebbero vissuti, per esempio, cosa pensava di fare Fersen in Francia? Farsi mettere su un reggimento dalla Regina mentre sposava una sua protetta? Questo non poteva essere, sarebbe stato il colmo. 
Dovevano pensare al futuro, quei due, pianificare. E con una certa dose di realismo. Parlare con il Generale.
E invece... Lui sempre a sfiorarla e a guardarla, bollente come una stufa svedese. E lei... gli tornò in mente come l'aveva vista solo qualche sera prima, mentre si lavava, impudica, davvero poco innocente, con quei seni duri e beffardi come solo lei sapeva essere, eppure morbidi, di sicuro vellutati come le magnolie in primavera. Petali di rosa le sue punte rosate. Timidi, delicati petali, da adorare in silenzio, trattenendo il fiato. Vivi, curiosi, da sfiorare con reverenza con la punta delle dita sentendoli corrugare, grati che il piacere che sbocciava piano fosse reciproco. 

E Fersen, maledetto, aveva osato violarli, lì sulle scale, le zampe sotto la camicia bianca di lei, indecente come un cane in calore.

Se ne tornò a lunghe falcate in cucina e cominciò ad armeggiare con i tegami, sbatacchiandoli contro il ripiano di marmo. Era una fortuna che fossero nel casino di caccia dei Jarjayes perché a Palazzo il Generale tutto questo non lo avrebbe tollerato. Oscar era il figlio prediletto, la figlia più bella e più giovane, la continuità del nome del Casato, il soldato che lo riempiva d'orgoglio. Avrebbe spellato vivo Fersen il Succhiaseni con il suo frustino, lo avrebbe fatto inseguire dai cani da caccia. 
E sarebbe stato troppo poco.

Il rumore degli zoccoli che si affievoliva lungo il viale, poco più tardi, lo mise quasi di buon umore. E così Fersen era andato a farsi passare i nervi altrove. Era ora. Ad un certo punto la neve arriva e ad un certo punto la neve se ne va.
Tanti auguri a lui e a Madame de Tourvel.

Con perizia riscaldò della carne in un tegame ed aggiunse della panna alle cipolle stufate. Mangiava troppo poco Oscar, l'ombra azzurrina delle palpebre ne tradiva la  fragilità sotto tutta quella energia da mare in tempesta. Aveva capito che di notte non dormiva, l'aveva incrociata al buio, per le scale, sudata, gli occhi lucidi che lo evitavano, che scendeva in cucina a cercare Dio solo sapeva cosa.
Preparò il vassoio con cura, aggiungendo anche una fetta di torta di carote, noci e miele in un piattino dai bordi delicati.

Si rammaricò di non avere dei fiori sotto mano da mettere in un bicchiere, così uscì svelto nel cortile e recise dei rametti di pungitopo e di agrifoglio, poi si diresse verso il giardino per un paio di rami di rosa carichi di bacche rosso polveroso.

Quando depose il vassoio d'argento sul tavolo di legno scuro, trovò che era davvero bellissimo - l'argento un poco opaco delle posate a contrasto con il legno ben lucidato, il bianco severo del tovagliolo ben stirato, con quel suo leggero sentore di lavanda e il verde delle foglie nel bicchiere che sapevano di nebbia mattutina, la polverosità allegra delle bacche di rosa, la lucidità dell'agrifoglio, ed il rigore ordinato dei piatti ben disposti, l'odore della carne ripassata nel tegame - non troppo pesante, mangiava così poco Oscar, ultimamente, non bisognava sforzarla - e quello appetitoso della torta di cui era golosa.
Ordine e raffinatezza per una donna che era sempre stata un soldato rigoroso ed una artista, amante del bello.

Guardò di sottecchi lo schienale della poltrona, mentre sistemava con cura, poi, mormorò in tono di scusa "Se serve compagnia per il pranzo io sono disponibile."

Aiutami ad aiutarti, pensò, aiutami, Oscar, te ne prego. Voglio solo aiutarti ad essere felice. Pensò a quando erano stati così vicini solo la sera prima, al calore del suo respiro, al profumo della sua pelle e a come per un attimo, prima che il buonsenso prendesse il sopravvento, gli era sembrato che loro avrebbero forse potuto bastarsi. A come in fondo si erano sempre bastati in tutti quegli anni.


Fersen si schiarì la voce "Sei gentile André" rispose incerto, poi emerse dalla poltrona e lo guardò incuriosito.

André sentì una specie di dolore alla bocca dello stomaco. Come se gli avessero appena tirato un pugno.
 

Fersen gli aveva fatto cenno di sedersi, ma non aveva condiviso nessun piatto con lui - André registrò la cosa senza rabbia: le cose stavano così, c'era un muro tra loro e non era colpa di nessuno, era solo che i ricchi erano di un'altra razza. E i nobili pure. Ed era giusto che si sposassero tra di loro.

Lo Svedese giocherellò con le posate e poi, fissando un punto imprecisato della stanza, ringraziò l'uomo seduto a disagio dinanzi a lui in una sedia dallo schienale alto e rigido. 
Lo ringraziava per non averlo lasciato solo. Si capiva che rivolgergli la parola gli costava - era nobile, in fondo - ma André non se ne curò, pensando invece ad Oscar, a cavallo nella nebbia di novembre, sola e furibonda.
Fersen aveva sfiorato un poco nervoso il bicchiere con dentro i rametti di pungitopo e bacche di rose e poi con un sorriso un poco triste aveva aggiunto che la solitudine aveva cominciato a pesargli - in America aveva scelto la solitudine razionalmente, l'aveva bramata, per ricostruire la propria vita, ma ora gli sembrava di aver perso qualcosa, il suo essere uomo, uomo davvero, uomo tra gli uomini.

Restarono così in silenzio, uno che mangiava piano, assaporando ogni singolo boccone così amorevolmente cucinato, perso nel suo imbarazzo e in chissà che ricordi e l'altro sulle spine, la testa appresso ad una donna bionda ed inquieta. Se le fosse successo qualcosa, pensò André amareggiato, lui avrebbe sbudellato Fersen. Con il coltellino dal manico rosso con cui giocavano da piccoli.
Ma come gli era venuto in mente di lasciarla uscire da sola con quel tempo? Ma non vedeva quanto era pallida?

Fersen bofonchiò qualcosa a proposito di chi era. "Le persone... alcune persone... non so quanti, ma io, per lo meno io... come l'acqua... io sono mutato, se penso al ragazzino che venne a Parigi per la prima volta, ingenuo e pieno di sé, quello non sono io, e se penso all'uomo che se ne andò in America, non sono io, e quell'uomo non era quel ragazzino... Io da piccolo guardavo mio padre e lo immaginavo vecchio, sempre vecchio intendo, e non capivo che forse anche lui, come una pianta, un germoglio, un virgulto e poi un albero giovane... "

André si agitò ma rimase zitto e Fersen, dopo essersi versato da bere, riprese fissando incupito il vino "I cattolici sono fortunati, una confessione e si ripulisce tutto, si volta pagina e si ricomincia da capo. Ma per me non funziona così, tutto si ammassa e stratifica e diventa mia responsabilità anche se io non sono più quell'uomo e sono stanco di dovermi portare addosso il peso del suo amore e della sua passione. Perché quell'uomo è morto. Io non ho toccato più nessuna donna da quando sono partito per l'America. Ma tu André, come puoi capire?"
Sospirò, "Come può capire chiunque?"

Poi tacque mentre il camino crepitava. Solo il rumore del vino versato. Fino a quando, ad un certo punto, Fersen si mise a parlare della lista.

Non ne era orgoglioso, ma era stato ossessionato da Maria Antonietta, che non poteva avere, e allora aveva ripiegato i suoi desideri verso altre donne. Ma non aveva gustato nulla.
"Non era come prima, non so se mi capite, se mi potete capire... prima di conoscere lei io non ero un monaco, ma quello che succedeva, quando succedeva, succedeva con garbo, per l'interesse reciproco, o non succedeva e amen. Non c'era frenesia. Invece dopo, dopo averla vista, averla amata... dopo era come avere fame, una fame senza fine, ed esser costretti a mangiare segatura e cavoli che giusto daresti ai maiali. Senza saziarsi mai."

André sollevò un sopracciglio - non avrebbe mai osato paragonare Madame de Tourvel ad un cavolo marcio, nemmeno in uno dei giorni peggiori di Madame de Tourvel - ma tutto questo lo tenne per sé - i nobili non gli erano mai parsi inclini ad apprezzare la verità quando questa li riguardava. 
Aveva intuito delle ragioni di Fersen, ma continuava a pensare che si lamentasse un pochino troppo, alla fin fine era come un ragazzetto che si era mangiato troppa marmellata di nascosto e poi si lamentava per il mal di pancia.

"Non c'era gusto, solo un vuoto da riempire." Fersen si abbandonò contro lo schienale e si mise a fissare il soffitto. "A volte guardavo quelli che si rovinavano con il gioco d'azzardo e mi sembrava di capirli: non conta aver vinto una mano, due, cento, mille - la bramosia non se ne va perché la soddisfazione non c'è." Fersen sospirò. "Mi sentivo un predatore da cui nessuna donna poteva dirsi al sicuro, a parte si intende i limiti della decenza. Voglio dire," si agitò imbarazzato, senza mai incrociare lo sguardo di André "mai con le vergini, mai. E mai con chi avrebbe potuto essere mia madre, o, peggio mi sento, mia nonna. Mai con una donna fragile. Mai con una donna sola. E, onestamente, non erano brutte, col discorso da porcaio ho esagerato. Sono bello e lo so: potevo scegliere. Posso scegliere."

André sentì che la mano gli si stava stringendo in un pugno, ma restò impettito a fissare le posate d'argento.

"Ma ho sempre scelto donne come me, che non mi amavano. Che non si sarebbero mai attaccate a me. Questo lo posso giurare." Fersen si versò da bere, con mani tremanti, "Anche se per me, credimi, era come essere invitato ad una cena sontuosa e poi costretto a saziarmi da un truogolo. Io dovevo, dovevo scoparmele, per la mia salvezza mentale, per non correre da lei e baciarla, trascinarla dietro una tenda del Grand Salon e stringerla a me, bisbigliare i miei pareri sull'Opera a teatro con lei, in una intimità impossibile, o fare il bagno nudo assieme a lei dentro una fontana di Versailles, perché il desiderio è desiderio e non si interessa della decenza... la tenerezza e la passione, il cuore e i lombi... tu André sei fortunato, non sai cosa sia amare, desiderare, sognare e non poter avere per il bene di lei."

André annuì distrattamente pensando che forse, al posto del coltellino svizzero, avrebbe usato la vanga del giardiniere.

"E dopo, la solitudine, l'immensa solitudine. La bestia dentro di me si addormentava per un poco e restava l'uomo a vergognarsi. Solo come un cane. E poi vederla e sapere che forse lei avrebbe saputo, sentirmi addosso quell'odore di un'altra, il marchio della mia infedeltà e del mio essere meno che umano, una bestia in fregola continua pronto a sfogarsi in ogni angolo di Versailles... la vergogna, ah la vergogna... l'imperdonabile..."

"Ma perché fare una lista?" chiese timidamente André.

Fersen lo misurò con lo sguardo, stupito,"Come perché?"

André insistette "Perché?" e Fersen lo guardò rabbuiato, "Scusatemi vi prego se vi ho parlato di cose personali," disse in tono amaro, "mi ha commosso il bicchiere con le piante, vengono dal nord, come me, so che non siete raffinato ma vi riconosco una certa dose di sensibilità... ma non avrei dovuto... ho bevuto troppo."

Poi tornò a fissare il soffitto, chiuso in un silenzio ostinato carico di delusione.

André si alzò dal tavolo impacciato, sentendosi vagamente in colpa e anche vagamente arrabbiato - non aveva sollecitato lui quelle confidenze, non aveva messo l'agrifoglio in tavola per confortare Fersen e fargli sentire aria di casa. E Fersen era egocentrico come solo un nobile poteva essere se davvero credeva che lui... ma se gli fosse interessato così tanto farsi carico delle confidenze dell'umanità si sarebbe fatto prete, sbottò dentro di sé amareggiato. E poi che diavolo ne sapeva lui di liste? Per quanto lo riguardava solo un povero cretino avrebbe lasciato in giro una lista con certi dettagli e quello, lo Svedese, pretendeva pure di farlo sentire in colpa perché era così poco scemo da non arrivare a capire la stupidità di un altro?


A rompere il silenzio arrivò un messo con un biglietto - un tipo taciturno. Oscar, a quanto pareva, era alla Taverna delle Dodici Lune e Girodelle chiedeva cortesemente, a tutti e due, di venire a prenderla per scortarla a casa. In fretta.

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Capitolo 5
*** Mai svegliare il can che dorme ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Mai svegliare il can che dorme

Pioveva una pioggia fitta, fatta di aghi - André cercò d'istinto la luna, gli occhi che gli bruciavano, la preoccupazione nel cuore. Di sottecchi guardò Fersen, che cavalcava accanto a lui, avvolto nel suo mantello ed in un silenzio sdegnoso e ripensò a quello che gli aveva confidato solo mezz'ora prima: era quello l'uomo per Oscar? quello giusto? Proprio lui?

E perché?

Perché la poteva sposare.

Ma questo non aveva niente a che fare con la bambina prepotente che aveva conosciuto tanti anni prima, e non c'entrava nemmeno con la donna scontrosa che di solito accompagnava per i corridoi di Versailles. Fersen non aveva mai conosciuto la prima e della seconda aveva visto giusto la superficie - poi se ne era andato in America.
Tutto sommato non aveva un legame nemmeno con quella sirena incurante dalla pelle di seta che ultimamente girava per casa facendo un macello.

Aveva a che fare solo con le regole di una società che aveva il potere di determinare se eri una persona di valore o se stavi annegando nel ridicolo. O, peggio, se non contavi nulla di nulla. 
Una società talmente potente e crudele che riusciva pure a fartelo credere, che il senso di quello che eri o non eri te lo piantava dritto nel cuore affondando per bene gli artigli.

Pensò al Generale, che non era riuscito a godersi Madame Marguerite, e nemmeno l'affetto delle figlie, tutte così belle, tutte così desiderose di un briciolo di attenzione. Non riusciva a godere nemmeno di quel buon vino che aveva in cantina.
Non aveva saputo trarre piacere da tutto quello che aveva, cose per cui un altro avrebbe pagato, o, non avendo soldi, fatto un patto col Diavolo - o, quanto meno, avrebbe preso in considerazione un accordo, per poi rifiutare con rammarico.
Cosa aveva fatto il Generale? Aveva creato un vuoto nel Palazzo e, caparbio, ci si era seduto giusto al centro. 
E perché poi? Perché lui doveva avere a tutti i costi un figlio maschio, perché questo era quanto ci si aspettava da lui. Quell'obbligo gli era stato piantato in profondità nel cuore e glielo aveva divorato, diventando prima desiderio e poi ultimo scopo.
Di Madame Marguerite erano rimaste solo le rose bianche. 
Il Generale le voleva sempre, lì, nel suo studio, dal giardino o dalle serre - non permetteva nemmeno che ne spazzassero i petali dal tavolino scuro - ma il volto del Generale, quando alla sera fissava le fiamme del cammino e sfogliava distratto la sua rosa, sembrava sempre più il volto di un gargoyle, appollaiato sui doccioni di Notre Dame.

Pensò a Madame de Jarjayes, che non sarebbe tornata.

Pensò a Girodelle che, seduto in cucina, gli diceva di farsi una vita, perché non ce l'aveva e gli si strinse il cuore - tutto questo non aveva a che fare con Oscar.  
E non aveva a che fare con quel pazzo di Fersen, perché solo un pazzo se ne sarebbe andato a caccia di femmine come un signorotto fa con le lepri, solo per poi stendere una incomprensibile lista. E solo uno completamente pazzo avrebbe fatto l'amore con tutte le donne che non gli piacevano solo per sfinirsi ed essere troppo stanco per farlo con quella che gli piaceva davvero.

Non aveva a che fare con lui.

Aveva a che fare con le esigenze di una società, con l'ordine costituito che voleva mantenere se stesso e di cui ognuno di loro era solo un misero ingranaggio... aveva a che fare, pensò timidamente, con una cosa semplice come la libertà.

Chiuse gli occhi. Libertà faceva rima con responsabilità - era ora di darci un taglio.

Spronò il cavallo - la strada la conosceva - e cercò di non pensare a lei che si sfilava la camicia. Per Fersen. Che forse qualcosa a che fare con lei, tutto sommato, ce l'aveva.



Oscar, in piedi davanti ad un tavolo con due bottiglie vuote che sapevano di rancido, stava discutendo animatamente con un uomo dai capelli scuri, lunghi fino alle spalle.

André si guardò intorno e intercettò lo sguardo di Girodelle, cupo, seduto su un tavolo, con le sue pistole pronte, in mano, già spianate e di certo altre cariche nelle tasche: le stava guardando le spalle, in modo plateale - nessuno la avrebbe attaccata a tradimento, quindi. 
La questione era solo tra quei due, Oscar e il pivello moro, ma, accidenti, bisognava assolutamente fermarla: la Corona non apprezzava che i suoi ufficiali finissero coinvolti in risse da bettola, e la Regina non sarebbe stata tanto contenta di certi baci sulla nuca nell'ombra delle scale dei Jarjayes.
Quanto a Oscar, ammise a malincuore con se stesso, non era nel giusto stato per un confronto non dico con il suo diretto superiore, ma nemmeno con chiunque fosse un militare.

"Non sono un cretino, sono un giornalista!"

"Ebbene?"

"Uso il cervello, io. Non obbedisco agli ordini come fate Voi! So ben'io cosa è il bene della Francia."

"Giornalista? Ma che dite? Chatelet, voi scrivete solo porcherie," lo sfottè lei, "giù al mercato del pesce, quel foglio che voi chiamate giornale lo chiamano Pezza da Culo, perché non è buono nemmeno per avvolgerci il baccalà. Giusto per altri sacri e fondamentali scopi di cui taccio."
  
"Cane della Regina!" esplose Bernard Chatelet, puntandole il dito contro.

"E allora?" ribatté lei, deridendolo "i cani sono bellissime bestie fedeli, i migliori amici... ma voi non ne avete mai avuto uno. Perché non siete un uomo." gli si avvicinò minacciosa, per poi sibilargli contro "Mi chiedo chi sia il migliore amico della vipera. O dell'avvoltoio."

L'uomo si slanciò per colpirla al volto, ma Oscar schivò il pugno, flettendosi leggermente, poi fu il suo turno, il palmo della mano diretto contro le narici di lui, di piatto.
Si senti uno scricchiolio, poi un urlo.

"Soprattutto vi sfugge che i cani sono addestrati per attaccare." precisò divertita Oscar. "Non siamo belle statuine da parata con le medagliette appuntate al petto. Siamo cani." Lo colpì al mento, costringendolo ad arretrare "Le portiamo al collare." Poi lo colpì allo stomaco, "perché siamo cani, noi, noi obbediamo soltanto e rispondiamo a comando!"

L'uomo, furibondo, mentre il sangue e le lacrime gli colavano sul viso, con una specie di ringhio la afferrò e, barcollando, cercò di piegarla contro il tavolo, ma lei fu più rapida: prese una delle bottiglie e la spaccò contro il bordo senza esitazioni. Poi lo colpì ad un fianco, dal basso verso l'alto.
André distolse lo sguardo disgustato - non era uno dei loro duelli, in cui lei sembrava danzare e loro non si facevano mai male. Quello era tutta un'altra cosa. Quello non era lei.

Girodelle fece cenno all'amico di Chatelet, un uomo dai capelli chiari, di portare via il suo amico, un mentecatto borghese dalle velleità intellettuali che voleva attaccare briga con una Guardia Reale - e quando poi? quando aveva fatto il pieno di vino scadente.
Un topo che voleva per forza fare la lotta con un gatto. Si capiva che il giudizio di Girodelle non era lusinghiero.

Oscar, incurante di tutti, voltò le spalle a Chatelet e zoppicò verso il bancone della taverna - André, come se ne rese conto, si diresse verso di lei per fermarla - Basta bere, per carità, aveva voglia di urlarglielo. Basta perché non serve a niente. Se vuoi Fersen avrai Fersen, te lo giuro, pensò disgustato.

"Siete un vigliacco, Bernard è un civile", mugugnò ansando l'uomo dai capelli chiari. Poi aggiunse con voce querula "Non sa combattere. Ne avete approfittato!"

André e Girodelle alzarono simultaneamente gli occhi al cielo, osservandosi poi, perplessi e sospettosi, per via di quel gesto comune. Poi Girodelle sorrise, ma un sorriso triste, di quelli che ti scappano che si ride per non piangere perché non c'è niente, ma proprio niente da ridere. André pensò con gratitudine che era una fortuna che quel damerino avesse scovato Oscar lì alle Dodici Lune, ma che doveva essere stato un incubo starle accanto e cercare di convincerla a tornare a casa - tutta colpa di Fersen, decise.

Oscar si voltò e urlò furibonda "Non è giusto? Non è giusto, dite? E da quando? Attaccare è attaccare. Voi siete degli ipocriti, prima scrivete delle schifezze su quei vostri fogli da strapazzo e la chiamate giustizia, quando è solo odio. E invidia. E nessun rispetto per una donna di cui non sapete proprio nulla! e poi pretendete che chi viene attaccato scelga la vostra stessa arma. Come se a qualcuno interessassero delle calunnie sulle vostre presunte attività in camera da letto... ma chi volete che sprechi tempo con il vostro onore? Parlate di violenza, di versare sangue e poi non avete mai assaggiato il vostro e pretendereste pure il rispetto. E invece no!" batté con foga il pugno su un tavolo. "Io sono stufa di stare alle regole! Io faccio con quello che ho!"

Con violenza spinse Bernard Chatelet contro il suo amico."Portatevelo via. O lo ammazzo come il cane che sono."

"Vigliacco! Siete un soldato!"

"E cosa fa un soldato, secondo voi?" la voce di Oscar si era fatta cattiva, "Cosa fa un soldato? Quale è il suo scopo? Marciare in bell'ordine sotto il sole? No! Lo scopo finale è uccidere! Me l'ha insegnato mio padre fin dalla culla. Siamo due assassini e viviamo in un cimitero. Siamo bestie feroci con un talento raro per la distruzione. Che vi credevate?"

Fu a quel punto che si accorse di André. Si interruppe per fissarlo sbigottita, le guance che diventavano scarlatte.
Con gesti bruschi, si slacciò la giacca e strappò la camicia, lasciando intravedere le fasce di lino "Quando si ripiglia ditegli pure che è un ipocrita e che chi gli ha rotto il naso era una donna. Una fragile femmina. Una come quella che lui insulta in quel suo foglio ogni volta che gli gira. Io non mi vergogno."

Poi rivolta verso André si batté ripetutamente il pugno contro il petto, sfidandolo con lo sguardo "Perdonatemi Mio Signore, perché ho peccato e offeso Voi, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa."

"Oscar, per piacere, andiamo a casa" le sussurrò, distogliendo lo sguardo dal suo seno, pieno di vergogna: le fasce potevano avvolgere le forme di lei, ma non celarle completamente e lui sapeva, lui aveva visto, lui non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di qualche sera prima, lei nello specchio, il percorso lento della spugna, quelle punte rosee da sirena, e i desideri di madame de Tourvel. E non era quello il momento e nemmeno il luogo con quella puzza di piscio e di vomito rappreso.

Vide con sconcerto che gli occhi della donna si stavano riempiendo di lacrime "Confesso di aver peccato, con pensieri, parole, opere e omissioni. Soprattutto omissioni. Ah quante omissioni!"

A quel punto Fersen la prese per il polso e la trascinò fuori dalla taverna, mentre Oscar si divincolava furiosa. André e Girodelle uscirono dietro di loro, arretrando e coprendogli le spalle.

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Capitolo 6
*** Progetti per il futuro ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Progetti per il futuro

"Non conoscevo questo posto..." mormorò André tanto per bucare un silenzio spesso come la nebbia.

"E' per gente perbene." ribatté Girodelle.

André tacque non sapendo cosa pensare: era un posto per gente perbene e quindi era normale che né lui né Oscar ci fossero mai capitati? Perché lui non era perbene ed era la zavorra di lei? Il cane ingombrante da portarsi appresso, ma che non può entrare ovunque?
Se fossero andati assieme agli altri ufficiali della Guardia lui avrebbe dovuto sedere discosto, al tavolo dei servitori, e osservarla da lontano, vegliando su di lei, come faceva in fondo a Versailles, sempre due metaforici passi indietro.
In un posto perbene lei avrebbe parlato fitto con Girodelle e con Fersen, avrebbe tessuto assieme a loro una rete di ricordi, battute, modi di dire... un linguaggio segreto. Forse avrebbero anche suonato assieme qualche sera.
Ma lui, dopo il lavoro, voleva bere assieme a lei e così finivano sempre in silenzio e nei posti sbagliati. Era tutta colpa sua? Di questo amore inopportuno? Le aveva precluso quel poco di vita normale che avrebbe potuto avere?

Si concentrò stanco sul pavimento, trovandolo vecchiotto e, soprattutto, composto da assi irregolari, ognuna di larghezza un poco diversa dall'altra - le cose belle erano fatte da parti che si somigliavano, decise, simmetrie ripetute.

O era per gente perbene nel senso che quello era un posto sicuro? Girodelle lo stava rimproverando perché aveva fallito nel suo compito principale che poi era davvero semplice - badare ad Oscar. Lo avevano accolto a Palazzo Jarjayes solo per quello ed intorno a quello aveva modellato tutta la sua vita fino a non averne più una che non fosse intrecciata indissolubilmente con quella di lei, perfino nei ricordi. Perfino nei suoi sogni.

Oppure gli stava comunicando che era più bravo di lui in quello? Che era ora che lui pensasse ad una nuova vita perché la vecchia stava per finire?

Ammesso che poi non lo stesse prendendo in giro perché in fondo era lui quello ingenuo tra loro quattro, e quel posto probabilmente era una sentina del vizio che avrebbe avuto bisogno per lo meno di un esorcismo perché un tagliagole non si sentisse offeso a metterci piede.

Osservò la saletta distratto: c'era un camino, c'era un quadro, c'era un orologio sulla mensola del camino e c'erano dei candelabri. C'era un bel tavolino e c'erano delle belle sedie. Se un esorcismo fosse davvero servito, lo avrebbe fatto, quanto meno, un prelato di buona famiglia. Anche se di certo non un Vescovo.

Non c'era polvere, quella proprio no. Sentina di un vizio che a quanto pare si lavava.

Una ragazza vestita di verde scuro, con dei braccialetti d'oro ai polsi, sbucò, gli parve, da un muro per esserne inghiottita di nuovo dopo poco.

Ecco, ora c'era anche una bacinella, c'era dell'unguento e c'erano anche delle pezze di stoffa.
 
Fersen fece sedere cerimoniosamente una scontrosissima Oscar e le prese i polsi con delicatezza, poi esaminò con attenzione le nocche, sotto lo sguardo vigile di Girodelle.
André sentì che l'irritazione cresceva - la camicia di Oscar era strappata, sporca di vino e del sangue di Bernard, e le fasce si stavano allentando, ma lei sembrava non farci caso. I loro sguardi si incrociarono e quello azzurro della donna di colpo si indurì. Poi inarcò la schiena, come per sfidarlo, i capelli una cascata d'oro sulle spalle, la curva dei seni che cercava di liberarsi dalla trappola di lino bianco e quel maledetto sorriso spavaldo, poco da donna e tanto da ragazzina.
Gli ricordò di quando lo aveva sfidato a tuffarsi da una scogliera o a camminare su un cornicione, a fare cose pazze insomma, cose di loro due prima della Guardia Reale, prima del suo riserbo, prima che i loro ruoli fossero definitivamente inchiodati in quello che ora erano.

"Voi che dite?" fece lo Svedese esibendo un sorriso soddisfatto. "A me sembra che non ci sia nulla di rotto."

"Se mi fossi rotta una nocca, ve lo avrei comunicato," intervenne Oscar, un poco petulante "Non mi serve niente, ve l'ho già detto."

"Un poco di buonsenso credo Vi farebbe comodo." osservò Girodelle in tono neutro. "Tanto per stendere un elenco preliminare."
Poi le fece cenno di immergere le mani nell'acqua fredda della bacinella.

La cosa sorprendente fu che Oscar ubbidì. 
Segno che la mano le faceva comunque male.

La ragazza in verde riapparve, la gonna vaporosa che ondeggiava attorno alle caviglie, silenziosa come un gatto, con un vassoio, una caraffa e quattro bicchieri.

"Succo d'arancia." disse Girodelle asciutto, poi fece cenno ad André, che esitava - prendesse anche lui un bicchiere - "Se non foste stato incluso, i bicchieri sarebbero stati tre."

"Questo sfoggio di sobrietà mi sembra fuori luogo." Oscar era irritata, pensò André, perché tutti e tre la stavano ignorando - cioè si prendevano cura di lei, erano corsi a salvarla, ma non la stavano prendendo sul serio. O, semplicemente, non stavano prendendo sul serio la sua rabbia.

"Oh avete perfettamente ragione, sarebbe stato molto più opportuno almeno un paio d'ore fa." la voce di Girodelle era asciutta.

"Nessuno vi ha chiesto di restare lì con me e chiamare pure le balie."

"Sfortunatamente sono dotato di una coscienza."

André non ne era sicuro, ma gli parve che nell'angolo delle labbra di Girodelle ci fosse l'ombra di un sorriso.

Per dieci minuti rimasero tutti in silenzio - Fersen che tracannava con gusto la spremuta d'arancia, Girodelle che se ne stava seduto indifferente, con le gambe accavallate e lui lì, in piedi, che non sapeva cosa fare: senza un vassoio da portare, una caraffa da riempire, del vino da versare, si sentiva inutile, come se gli avessero strappato la sua identità. Altre mani avrebbero pulito quello nocche dal sangue rappreso, altre mani le avrebbero massaggiate con l'unguento, altre mani avrebbero potuto prendersi cura di lei. Ora e forse sempre.
 
Erano fuggiti per il dedalo di vicoli attorno alla Taverna delle Dodici Lune, inseguiti da un gruppetto di ubriachi che non aveva gradito il pestaggio del giornalista. Poi Girodelle li aveva guidati verso questo posto - una casa anonima, una porticina, dei gradini da scendere e una specie di... sala da ballo? taverna? circolo? non era riuscito a capirlo. Quelle persone non avevano fatto molto caso a loro quattro, ma pure loro erano scivolati svelti attraverso una seconda porta ed erano finiti in una saletta privata. La sentina del vizio, insomma.

"I dieci minuti sono passati." 

"Bene, da brava ora piegate le dita, una alla volta."

"Nessuna lussazione." commentò Fersen tutto allegro, "In America, dopo un corpo a corpo, mentre cercavo di piegare l'indice mi sono accorto che puntava verso il pollice. Il conciaossa dovette tirarmelo."

"Come fece esattamente?" chiese Girodelle interessato, mentre faceva cenno ad Oscar di chiudere le mani a pugno.

"Ah non ne ho la minima idea, so solo che appena mi mise le mani addosso svenni per il dolore."  Fersen rise al ricordo ed André lo guardò incredulo. "Disse di avermelo ruotato. Comunque è tornato come prima. Ci suono la chitarra spagnola!"

"Le mani sono a posto" disse Girodelle.

"Che vi avevo detto?" Oscar era un ossimoro di rabbia infuocata e ghiacciato riserbo ed André provò una tenerezza infinita.

"Salite per quella scaletta: troverete una stanza, con dell'acqua corrente e del sapone, dateVi una rinfrescata e cambiateVi la camicia. Vi ho fatto preparare una delle mie." André sobbalzò, si Girodelle, attraversando la sala, aveva sussurrato qualcosa ad un tizio e poi era apparsa la fata verde, ma... cominciò a sospettare che questa fosse la sentina privata del vizio di Girodelle e si sentì a disagio. Stavano tutti giocando su un terreno che non conoscevano.

"Io non ho nessuna intenzione di obbedirVi come una bambinetta!"

"Direi che conosco molto bene questa Vostra scarsa inclinazione all'obbedienza." fece Girodelle asciutto, "Ma avrei molta difficoltà a definire questo tratto come sintomo di maturità." tacque piccato, poi, tentando mi mantenere un tono molto calmo, riprese "Io avrei dovuto fermarVi in quella bettola e non ci sono riuscito. Non potevo impormi come avrei fatto con una recluta: siete il mio superiore ed indossavate una uniforme." la guardò con severità. "Questa, tra l'altro, è una cosa che non avreste dovuto fare perché ora non siete in servizio."

Oscar sbuffò, ma Girodelle proseguì imperterrito "Io Vi ho trattato con la deferenza dovuta ad un superiore, come ogni volta, e con il rispetto che merita una persona intelligente. Voi non avete ascoltato. Come ogni volta, oserei dire. Il risultato è stata una rissa, e un giornalista ferito."

"Nessuno Vi ha detto di rimanere lì!"

Girodelle poggiò i palmi della mani sul tavolo "Io sono stato costretto ad assistere a tutto questo e dovrò tenerlo per me, mentre il mio dovere mi imporrebbe di denunciarVi ai nostri superiori. Perché siete Voi che avete scelto a suo tempo di gestire me, non io di gestire Voi, ricordatevelo qualche volta. Ma Voi sapete bene che non lo farò. E lo sapevate anche quando non mi stavate dando retta."

Oscar sollevò le spalle facendo capire che non gliene importava proprio nulla.

L'uomo sorrise e scosse la testa "Lasciamo pure da parte i nostri rapporti, la lealtà che uno si aspetterebbe dopo tutti questi anni, e veniamo al Vostro lavoro, quello per cui indossate quella uniforme... oh certo Bernard Chatelet non scrive quello che scriveva Voltaire, ha la penna avvelenata e bacchettona. Però quell'uomo è un giornalista e la differenza tra lui ed un uomo qualunque è che Chatelet, quando si lamenta, ha a disposizione un giornale, fosse anche una Pezza da Culo. Non si lamenta con un paio di amici, si lamenta per tutto Palais Royal senza nemmeno doverci mettere piede.
Scatenerà una campagna contro una Guardia Reale assassina." il Visconte era visibilmente irritato, "Quella bottigliata, Madamigella, ve la potevate pure risparmiare. Chatelet non morirà, ma perderà sangue e dovrà farsi ricucire. Peccato che l'unica violenza che quello scribacchino conosce è quella a cui incita gli altri - non è fatto della pasta di un Fersen: non ci riderà sopra tanto in fretta."

"Ed io mi prenderò le mie responsabilità."

"Ah non ne dubito affatto, il senso del dovere, quello dell'onore, la predisposizione al martirio... Ve le riconosco tutte queste cose, però intanto ci sarà altro letame spalato contro la Regina. Ma avete mai pensato che da delegittimare una Regina a delegittimare il concetto di monarchia il passo non è poi così lungo? Ed un'altra badilata di odio verso le Guardie Reali! Eppure questo non è il tempo giusto - ma non vedete cosa sta accadendo?"

"Io sono solo intervenuta per difendere la Regina. Come eramio dovere."

"No, Voi non vedevate l'ora di menare le mani. Lo avreste colpito anche se avesse detto che non gli piacevano i gatti rossi."

I due si fissarono irritati, poi Fersen disse con voce allegra "Oscar, per piacere, sbrigatevi, che poi vorrei rinfrescarmi pure io... che ne dite se poi facciamo tutti un salto all'Opera?"
 

Una volta rimasti soli, Girodelle si alzò e si diresse verso il camino. Con un colpo secco sbatté il bicchiere sulla mensola "Io vorrei proprio capire come questo sia stato possibile. Due uomini adulti non sono in grado di tenere testa ad una donna che sta attraversano un momento difficile?" si girò verso Fersen irritato, "Due uomini fatti che non capiscono cosa vuole e soffiano sul fuoco. Per non parlare del consumo di alcolici! C'è una linea sottile tra la libertà di bere e la libertà di astenersi dal bere e una volta superata non si torna indietro." poi, agitando il dito verso André "Adesso Voi non tornate in quel casino di caccia, Voi tornate a Palazzo Girodelle, dove c'è suo padre. Gliela riportate sobria, per quanto possibile, e in condizioni decenti. Basta con queste cretinate! E soprattutto basta confondere lo zucchero con il miele! Mi sembrate tre bambini lasciati da soli che hanno la bella idea di mettersi a giocare con gli acciarini!"

"Ha bevuto un po', succede" intervenne conciliante Fersen, "Non ne farei una tragedia. E' anche colpa mia perché abbiamo discusso."

"E di cosa?"

"Cose personali..." 

Girodelle sbuffò in modo impercettibile. "Personale come con Madame de Tourvelle?"

"Oh ma basta!" l'accento di Fersen si fece più pronunciato, mentre scattava in piedi e cominciava a camminare avanti ed indietro davanti al caminetto, "Torno da una guerra epocale e tutto quello che la gente sembra ricordare di me è cosa facevo con Madame de Tourvelle. Basta con questa storia della lista, insomma! E' roba di una vita fa!"

"Forse non avreste dovuto scriverla..." si intromise André timidamente.

"Ah ecco, di nuovo! Ma non potevo non scriverla! ma possibile che tu André proprio non comprenda?"

Girodelle fece un rumore strano, come se stesse trattenendo a stento una risata "Ma avete raccontato ad André della lista? Sul serio? Ad André! Tra tutti..."

Fersen annuì "Cosa c'è di strano? Gli ho spiegato che non potevo amare Maria Antonietta, se non da lontano. Non potevo baciarla o toccarla perché le avrei rovinato la vita, ma il desiderio non si spegneva." poi guardò Andrè facendogli cenno di sedere sulla sedia accanto alla sua. Il giovane obbedì ipnotizzato, registrando che il gesto era lo stesso che il Generale faceva al suo bracco preferito, quando lo invitava ad accucciarsi sotto il suo scrittoio, nello Studio.

"Non so perché te l'ho raccontato, André, proprio a te... forse perché sei invisibile, forse perché sei stato gentile preparandomi il pranzo: quelle cipolle! quella carne ripassata in padella! E la torta! O forse per l'agrifoglio ed il pungitopo che per me sanno di casa. Mi ha commosso la tua obbedienza, il tuo offrirti di tenermi compagnia durante il pranzo..."

Girodelle li interruppe "André Vi ha preparato una torta e Vi ha portato dei fiori?"

"No, non è stagione per fiori. Solo piante verdi, con delle bacche, molto belle." Fersen sorrise ad André con cortesia ". Ed io ho apprezzato il pensiero."

André riempì in fretta il bicchiere con la spremuta, desiderando ardentemente di essere altrove, mentre Girodelle lo osservava perplesso.  

"Certi giorni me ne facevo quattro." riprese Fersen meditabondo, "Capirete anche voi che ad un certo punto uno deve segnare da qualche parte i dettagli per non fare una brutta figura: nessuna donna accetta tranquillamente di essere stata dimenticata o di non avere contato meno di nulla. Le prostitute, uno si ricorda, lo saprete bene anche voi, no? Se c'è una che piace, si torna e si chiede di lei." 

André irritato puntualizzò "Non frequento bordelli." - e non dovreste nemmeno Voi.

"E fate male" disse Girodelle, "vi avrebbero dato una idea del mondo, di come è davvero."

"Per il sesso facile? Per il fatto che basta pagare e delle puttane sono disposte a fare qualunque cosa?"

"Sono persone," intervenne Girodelle "avreste sentito storie e capito... è una cosa che mi ha raccontato una ragazza tanto tempo fa, suo zio era stato missionario ed aveva sperimentato la solitudine, questo lo aveva obbligato ad imparare a riconoscere l'uomo sotto gli orpelli della moda, delle convenzioni, della ricchezza e dell'arretratezza, degli odori per forza diversi, delle abitudini... delle parole. Mi spiegò che esiste una tribù che non ha la parola per il futuro, e nemmeno per il superfluo, per esempio. Di questi tempi da da pensare... ."

"E l'avete conosciuta in un bordello?" chiese Fersen incuriosito.

Girodelle scosse la testa e sorrise "No, la prima volta che la vidi fu in una chiesa, a dire il vero... aveva ricevuto una educazione campagnarde"

Fersen annuì, come se questo spiegasse tante cose, "Mi sembrava strano... ah certe ragazze... si interessano di tante cose..." poi si voltò verso André, "Vedi, mio caro, una contessa non può accettare di valere meno di una ragazzetta di bordello. Non potete corteggiare una donna e lasciar trapelare che quel gesto, per voi, non è mai avvenuto, che quando lo avete fatto non è stato rimarchevole, e che lei è come un'ombra del vostro inferno personale. C'è il caso che poi non voglia più rifarlo con voi, quando glielo proponete"

André spalancò gli occhi, incredulo, e Fersen riprese, "Per cui io mi segnavo i dettagli. Per esempio quando lo avevamo fatto l'ultima volta, dove, e cosa avevano gradito - i giri sono quelli, la gente è quella, che dovevo fare? ditemelo voi! Non ho mai avuto una gran memoria."

André ebbe un conato di vomito, ma si trattenne.

"Oh lo so che fa ridere, ma io semplicemente non le volevo offendere. Era una lista privata, a mio uso e consumo."

"E come mai tanti la conoscono?" chiese André severo.

"Girodelle, Voi sapete vero?" Fersen gli lanciò uno sguardo implorante.

Il gentiluomo annuì e proseguì al posto dell'altro "Me lo raccontò una mia amica: un uomo, geloso di una Vostra conquista si introdusse in casa Vostra cercando qualcosa di compromettente da usare contro di Voi. E trovò la lista."

"Già. La tenevo nel scrittoio vicino al letto, comoda da avere sottomano, non so se mi spiego..."

"Non credo lo avesse colpito più di tanto, in fondo tutti a volte parliamo di certi argomenti, siamo bestie e certe volte ci lasciamo guidare dall'uccello..."

Fersen annuì e Girodelle scoppiò in una risata da ragazzino, "Io una volta me lo feci misurare con un metro da sarta, di quelli a nastro... da una mia amante - le cazzate della prima giovinezza..." rise anche Fersen e pure André, del tutto involontariamente, si ritrovò a sorridere.

"Suppongo che il Vostro rivale abbia letto il nome della donna che gli piaceva e deciso che era un modo innocuo di umiliarla - molto umano e molto poco cavalleresco - farle capire che era solo una delle tante, in un elenco da lavapanni, ma il risultato fu che la voce girò e che tutti Vi giudicarono." concluse Girodelle con aria seria.

"Esatto. Mi giudicarono." Fersen sospirò, "Se mi fossi scopato la Vostra amica conosciuta in chiesa, Voi non lo avreste fatto, mi avreste sfidato a duello, una cosa tra noi, ma io scopai la donna sbagliata. Probabilmente me lo meritai anche." Fersen sorseggiò pensoso dal bicchiere. "Ma mi diede da pensare: basta con quel puzzo di sudore, con l'odore muschiato delle femmine, con i profumi da donna sulla pelle a marchiarmi come una bestia. Basta. Non era vita. Non era vita scopare per dimenticare. Non era vita scopare senza sentimento. Non era vita scopare solo quelle di cui sapevi abbastanza da sapere che per nessuno dei due in fondo era importante. Interessarmi di donne di cui non mi interessava, dover sempre dire di si, Vi rendete conto? Prigioniero della noia delle seduttrici. Una lenta e dolorosa agonia, questo era. Così, quando partii per l'America, decisi per l'ascesi."

André arrossì e Girodelle sollevò il bicchiere come per un brindisi.

"L'ho raccontato anche ad Oscar," riprese Fersen meditabondo, "Non sono l'uomo che ero prima di partire, ho un legame con lui, so che esiste una continuità, ma non sono più quello. Quando decisi di partire, decisi che non volevo seminare speranze o bastardi in un mondo in cui ero solo di passaggio e che avrei usato tutto quel tempo per pensare. Non ho toccato una sola donna in America, ma questo non so se lo potete capire. E non trovo giusto che adesso torni ancora fuori la faccenda di quella maledetta lista."

"E' per questo che avete litigato?" chiese Girodelle. Poi tirò fuori dalla giacca una fiaschetta d'argento e la passò con cortesia ad André. Rum. 
André ne versò generosamente nel suo succo d'arancia per poi passarla a Fersen.

"Anche." rispose l'uomo mentre appoggiava gli stivali sul tavolo, con le caviglie incrociate. "Vedete io ho accettato la versione meschina di me stesso, i motivi dietro la lista, tutti i motivi, anche quelli che Girodelle qui non dice, per cortesia, e francamente tutti mi parlate della Lista, ma io in America ho ucciso degli uomini, non stavo mica a cavallo su una altura mentre altri si scannavano, osservandoli con un cannocchiale... è stata una guerra brutta. Io un giorno ho spaccato la testa ad un uomo con una accetta, per esempio.
Mi ricordo il suo sangue sulla neve, il cervello grigio che scioglieva la neve come piscio... io mi farei orrore per quello, non per la Lista, ma qui non capiscono e non vedono. O forse non sanno."

Girodelle annuì, "Molti non vedono i problemi che si profilano all'orizzonte. Sperperano il denaro al gioco d'azzardo e non imparano che una cattiva gestione di debiti e crediti distrugge uno Stato tanto quanto un libertino."

Fersen fissò il vuoto, poi riprese "Non arrivo fino a capire la questione economica della gestione di uno Stato, ma quelle esperienze, dover sbocconcellare pane secco sulla neve, mi hanno reso diverso da quelli che frequentavo a Corte una volta, me ne sono reso conto." sorrise, con quegli occhi chiari un poco tristi, "Non mi scandalizza che una donna voglia bere e rissare e provare rabbia... forse una volta mi avrebbe scandalizzato, ma ora accetto una donna che prende a bottigliate un uomo. Non mi interessa. Ho fatto di peggio." tacque per bere, poi riprese con voce malinconica, "L'uomo in America non era quello che era partito, lo ripeto e l'ho detto a Lei tante volte in questi giorni, e quello che è tornato, anche lui è diverso, E' diverso da quello che era prima di partire, non gli interessa quella frenesia ed è diverso dall'asceta: ha dei progetti. Un uomo imperfetto che apprezza una donna imperfetta, con cui può fare discorsi che di solito si possono fare solo tra uomini, parlare di caccia e di cavalli, e che ha un corpo..." si leccò distrattamente le labbra, "prima con quella camicia strappata e quella sua aria petulante che mi ricorda un po' quello che ero io prima di crescere un poco... mi sarebbe piaciuto baciarle la pelle proprio vicino al bordo di quelle inutili fasce, lentamente, e vedere la reazione del suo corpo, sfiorare il lino con le dita e poi ritrarmi per vedere se lei, se anche lei... Quando le ho sfiorato i seni sulle scale, qualche sera fa, l'ho sentita accendersi, golosa, di sicuro curiosa, e negarsi, muoversi contro di me per cercare il contatto, i suoi capezzoli erano nel palmo delle mie mani, così vivi e poi l'ho sentita ritrarsi sorpresa." 

"Voi volete solo infilare il suo nome in una lista!" esplose André sdegnato alzandosi in piedi e rovesciando il bicchiere sul tavolo.

"Ma cosa dici mai? Basta liste." Fersen batté con indulgenza la mano sul ginocchio di André. "Io voglio sposarla."

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Capitolo 7
*** Diciamoci tutto ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Diciamoci tutto

"Ma io no."  

Era appoggiata allo stipite della porta, i capelli biondi raccolti in una treccia umida che gocciolava sulla camicia bianca aperta sul collo, formando una macchia pericolosamente trasparente. André la immaginò per un attimo completamente bagnata e pensò che gli sarebbe piaciuto prenderla per mano e risalire con lei quella scaletta. Forse sopra c'era un posto buio come il suo sogno, ma lui stavolta non avrebbe fatto l'errore di accendere una candela per esaminarne i dettagli: sarebbe stato solo buio e petali di rosa - e avrebbe accettato che lei pensasse a chi voleva.
Purtroppo fu solo la sensazione di un momento.

"Io voglio cose semplici. Un amante che faccia un finimondo di fuoco e fiamme, per esempio."

Fersen rise e scosse la testa divertito.

Girodelle strinse le labbra cercando di essere severo "In quanto a finimondo mi pare che ve la stiate cavando benissimo anche da sola..." ma poi gli scappò una specie di sorriso.

Oscar gli sorrise a sua volta, involontariamente, poi guardò André "E tu? Cosa mi dici tu? Che è sbagliato? Che non si fa? Che sono cose che un Jarjayes non fa, perché l'onore è sempre al primo posto?" gli sorrise un po' triste, "Anche se forse le fa mia madre, per quanto ne so. Dite tutti che somiglio così tanto a mio padre, nel viso, nel portamento, nelle rabbie improvvise, ma magari ho preso da lei, la Messalina di Palazzo Jarjayes."

André imbarazzato abbassò lo sguardo,"Penso che dovresti asciugarti i capelli, qui, vicino al camino. E bere qualcosa di caldo." 

La donna ebbe un gesto irritato "Santo André, veglia su di noi!" ma lui non replicò: Madame Marguerite non sarebbe più tornata, forse Oscar questo non lo sapeva - non ne parlava mai, non aveva mai chiesto, sdegnosa come un vero Jarjayes - ma la faccenda stava in quel mondo. Ma anche così non era giusto parlarne in quel tono, non in questo luogo che era probabilmente quello che era, con uomini che erano quello che erano e non avrebbero mai capito. E Oscar avrebbe davvero dovuto asciugarsi i capelli e magari indossare qualcosa di caldo, perché quella camicia accidenti!
E poi si vedeva benissimo che sotto non indossava le fasce.

"Ma il consiglio è giusto." Fersen era bonario, "SedeteVi qui." prese un cuscino e lo poggiò a terra accanto al camino. Poi sedette anche lui, elegante e biondo, con le gambe incrociate come davanti ad un falò. E le sorrise, in quel modo un po' ribaldo, da ragazzo, che gli era peculiare. "Così è più intimo. Avete mai dormito nei boschi? Si parla meglio."

Sedette, meccanicamente anche André, mentre Girodelle, dopo averli squadrati rabbuiato, uscì dalla stanza.

"L'ho scandalizzato, immagino." commentò Oscar con aria leggera, ma senza guardare in faccia nessuno. 

Fersen sorrise vedendola arrossire "Mia cara," sospirò, dandole un colpetto al ginocchio, "il nostro anfitrione ha già sperimentato il finimondo di fuoco e fiamme. E pure io, modestamente... ma questo Voi lo sapete... Madame de Tourvelle e tutto il resto... mentre Voi, in tutti questi anni, siete vissuta..." si fermò, cercando le parole giuste "Avete fatto altre scelte... se volevate scandalizzare qualcuno quello non può essere uno di noi due."
 
André arrossì. Poi si allungò verso di lei e le sciolse i capelli "Ti prenderai qualcosa... quanto a tua madre, lei non è..."

"So tutto su mia madre," Oscar era brusca, "un paio di settimane fa l'ho cercata. Volevo solo... parlare. Avevo un indirizzo - una casa di Parigi. Ero... guardavo il giardino dal cancello e l'ho vista. Passeggiava, controllava dei cespugli, ed io sono rimasta lì ad osservarla, di nascosto: si teneva per mano con uomo che nemmeno conoscevo, e sembrava così felice..."

"Non devi essere in pena per Lei..."

"Ma non sono in pena per lei! Non l'avevo mai vista così... Sembrava una stupida ragazzina. Era bellissima. Bellissima, ti rendi conto? Nonostante le rughe, sembrava fosse sbocciata."

"E tuo padre... Lui..."

"Non sono nemmeno in pena per lui, accidenti! Di tutti noi era quello con più esperienza del mondo, della vita. Lui sapeva cosa stava facendo! Un Generale che ha tutto cartografato." fece un sorriso amaro "Un Generale che guida i suoi uomini al massacro."
 
"Ma allora..." André la osservò sbigottito.

"Ma potrò una buona volta essere in pena per me stessa?" sbottò la donna. "Per una sola misera volta, potrò?"

In quel momento riapparve Girodelle, seguito dalla ragazza in verde, con tutto quanto serviva per un tè inglese in grande stile: teiera d'argento - molto semplice - vezzose tazzine di porcellana, spaiate, dai colori pastello, una zuccheriera panciuta con le pinze d'argento per le zollette - André si chiese dove le avesse trovate, perché i tizi nell'altra sala non gli erano sembrati tipi da tè - e poi biscotti, tartine... ma Oscar non lo degnò di uno sguardo.

"Io sono stata in pena per la Delfina, preoccupata che la rapissero, preoccupata che a Corte non la trattassero con il dovuto rispetto, preoccupata perché non sembrava capire come scegliersi delle buone amiche. E mi sono preoccupata che non si facesse male con quel maledetto cavallo - ho una cicatrice per ricordarmelo, sai?" riprese fiato, "E sono stata in pena per lei e per la sua reputazione quando si sentiva sola e voleva andare a ballare a Parigi, e per il suo cuoricino quando sbatteva le ciglia a un Fersen molto più giovane e ingenuo, un'altra persona, a sentir Voi, che con Voi non c'entra niente, neanche fosse un lontano parente!"

Fersen arrossì, ma non disse nulla.

"Preoccupazioni materiali e spirituali, come vedi - non mi sono fatta mancare nulla." guardò irritata André "E sono stata in pena per te, quando il vecchio Re voleva la tua testa. Avrei accettato qualunque punizione per te. E sono stata in pena per mia madre quando non sapeva gestire gli intrighi di Corte. E per mio padre che desiderava tanto un figlio maschio, mentre noi lo avevamo deluse tutte, fin dal nostro primo giorno di vita."

André arrossì "Sei sempre stata una persona buona..."

"Una Santa, lo so." sbottò irritata, "Santa e Vergine, immagino, che sono due cose che vanno a braccetto. Il mio cuore ha traboccato di pena per tutti Voi." prese la tazzina che Girodelle le porgeva, poi lo squadrò "Tranne che per Voi, per Voi non sono mai stata in pena..." specificò in tono brusco.

Girodelle le sorrise, galante, con un accenno di inchino "Perché ero io che stavo in pena per Voi, all'epoca."

Oscar sorrise a sua volta, quasi intimidita. Poi si voltò vero André "Mi spieghi perché, una volta tanto, non posso essere in pena per me stessa? Per una volta?"

"Perché poi tu bevi e bere non ti fa bene." mormorò un imbarazzatissimo André. "Ti ho incontrata di notte per le scale, e ti ho vista tesa, spaventata..."

"Ah il bere, è quello il problema... e per cosa? Per cosa esattamente non mi fa bene?" la voce di Oscar si era fatta tagliente.

"Per la tua salute, accidenti, per te!"

"Per il mio futuro, vuoi dire?" Oscar rise amareggiata. "Sei ossessionato dal futuro, dal mio futuro per essere precisa. Dal tuo no, non ci pensi, tu pensi al nostro passato di quasi fratelli. E' per quello? Quando ti ho preso le mani giorni fa mi hai trattata come se avessi la lebbra, ti sei addirittura messo i guanti. E dopo, una sera, avevi la fronte appoggiata alla mia, un gesto tenero, di quando eravamo ragazzini e ci abbracciavamo e ci volevamo davvero bene, noi due, ma le parole... il senso delle tue parole... quello non era tenero per niente... Vai vai da Fersen, finisci sulla sua lista, consolalo, su Oscar, fai la brava, non giudicare un uomo da qualche dettaglio, pure il nostro capostalliere tiene liste, si, si per i cavalli, ma è un dettaglio, tanto tu qui ci sei solo nata, scivolata fuori dal grembo di tua madre, un'altra inutile femmina, nove mesi di caparra del tempo del Generale, una attesa che non è servita a niente se non alle solita delusione, mentre César lo abbiamo pagato un occhio della testa. E se il capostalliere tiene una lista con dentro César perché non dovrebbe essercene una con dentro il tuo nome? e aprigli finalmente queste gambe. Però in un posto dove io non ti vedo, perché in tutto questo una cosa lurida come il piacere personale non ci deve entrare. Fallo felice e fatti scopare e può essere che magari non ti dispiaccia più di tanto e finirai per startene tranquilla."

"E' una cosa possibile..." mormorò André con il volto in fiamme "con dei risvolti possibili."

"Possibile? Sempre così pieno di buonsenso, sempre a pensare alle cose possibili e lasciare da parte le impossibili... per non parlare di quelle inutili. Del resto siamo cresciuti assieme alla stessa scuola, figuriamoci..." poggiò in terra la tazzina, con un gesto irritato, "André, accidenti a te, ma tu lo vedi il presente? Lo vedi? Non t'accorgi che scivola via e che nessuno lo può fermare? Il futuro... come no? Giusto del futuro mi dovrei preoccupare! Mentre è solo il presente che conta."

Fersen annuì e si intromise con voce pacata "E' così e non è così."

"Ma che dite?" Oscar era davvero irritata.

"Io ho avuto tutto più chiaro in guerra - se fosse stato solo una questione di presente, allora saremmo andati tutti a bere e a puttane assieme al nemico, scambiandoci pacche sulle spalle. Ma chi ce lo faceva fare a stare al freddo a rosicchiare croste come topi? Una idea! Una idea di come volevamo modellare il nostro futuro, che poi sarebbe stato il nostro prossimo presente."

"Voi proprio non capite eh!"

"No e non lo pretendo. Se lo vorrete, mi spiegherete ed io prima o poi capirò. Vi sto solo dicendo quello che penso io: io do importanza al futuro. In America stavo aiutando altri a modellare il loro, lo so, una cosa da cretino, ma era una ... visione? un qualcosa che mi ha contaminato. In senso buono si intende..." le poggiò una mano sul ginocchio, "Io ho messo un freno alla mia vita, ma ora voglio un futuro, sono pronto per un futuro. In questi giorni Vi avrei voluto nel mio letto, non Ve l'ho mai nascosto, e non ne vedo il motivo: mi piacete, mi piace questa Vostra energia, mi è sempre piaciuta. E capisco il risultato di una educazione rigida come può farlo solo chi ha avuto una infanzia luterana - io so quanto possiamo amare e quando possiamo odiare chi ci ha inculcato gli ideali impossibili a cui avrebbe voluto somigliassimo. Mi piace la Vostra intelligenza e mi piace il Vostro corpo, mi piace come reagite al desiderio. E' molto bello, molto... sano." le accarezzò piano una guancia. "Mi fate impazzire. E in quello che succede tra un uomo e una donna, non ci trovo niente di lurido, niente di... vittorioso... non è una caccia, non c'è una preda, non c'è uno che vince e uno che perde. Non c'è uno che dovrebbe ed uno che non dovrebbe, non c'è giudizio e non c'è vanto." la guardò negli occhi con tenerezza, "Io tutto questo l'ho già sperimentato, ho fatto cose di cui mi sono vergognato. Queste idee, un certo ordine di valori, le ho combattute dentro di me, e ora di quello che ero, e di quello che sono, non mi vergogno più." le prese la mano con delicatezza, "Mi piacerebbe insegnarVi a fare l'amore. Non garantisco che saranno sempre fuoco e fiamme, ma mi piacerebbe scoprire insieme a Voi cosa Vi piace davvero. Non per una volta sola, ma come l'inizio di un futuro, fatto di figli, se ne verranno, o fatto di noi due, se non arriveranno. E di progetti. Miei, Vostri. E comuni. Il sesso in sé, da solo, non mi interessa affatto - un salto in un bordello me lo posso permettere. Quello che non mi posso più permettere è qualcosa che non sia autentico."

Oscar si ritrasse, portò le ginocchia sotto il mento e le abbracciò, richiudendosi come un piccolo riccio, senza guardare in faccia nessuno. Era imbarazzata.

André avrebbe solo voluto morire in quell'istante - Fersen non era l'uomo più sveglio o il più ammirevole, era decisamente un mezzo pervertito senza un'ombra di pudore o di decenza che parlava davanti a loro di cose che avrebbero dovuto essere sacre - qualcuno avrebbe dovuto tirargli un pugno. Ma quello che diceva era vero: Oscar non aveva più quindici anni, non doveva essere protetta per il suo bene, era pronta per le sue esperienze, giuste o sbagliate, e nessuno avrebbe osato darle della poco di buono per una storia discreta. E se poi avesse sposato Fersen sarebbero stati tutti contenti: il Conte era venuto qui in cerca di avventura, segno che in Svezia non se la passava benissimo, figuriamoci se ci voleva tornare e trascinarla in mezzo ai boschi e al sole che non tramonta... sarebbe diventato un Fersen-Jarjayes e avrebbe inseguito Oscar per ogni angolo del Palazzo, riempiendolo di gemiti e di bambini.
Forse era giunto il momento, per lui, di andarsene.

Girodelle seduto su una sedia, assieme a loro, che invece stavano in terra sui cuscini, poggiò la tazzina su un tavolino basso, con grazia, e poi disse "Credo manchi un tassello a questo rompicapo. Uno importante."

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Capitolo 8
*** Arriva la tempesta ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Arriva la tempesta

"Dovreste farVi prete - vi piace parecchio salire su un altare e avere un pubblico." la voce sapeva di un fastidio antico, troppo vecchio per poter dargli un nome ed un perché. André, preoccupato, osservò il viso di Oscar e quel pallore gli piacque anche meno del suo tono.

"Il voto di obbedienza non sarebbe un problema. La considero una abitudine coltivata fino a farne quasi un'arte." rispose Girodelle con aria leggera.

Fersen si sbilanciò sulla sedia, le mani dietro la nuca e l'aria rilassata, come un gigante vichingo ad un banchetto di qualche storia del Nord - dopo aver mangiato e bevuto era il momento dei racconti "Girodelle L'Inessentiel..." esclamò ridendo, "oh se me lo ricordo!" 

"Ci sono persone che nascono incapaci di vivere senza padrone. Alcuni sono cani, o almeno c’è chi li chiama così." Ribatté Oscar con un sorriso cupo “Altri invece sono cortigiani.” Lo guardò freddamente, “Fare il prete, però,” aggiunse, “Vi darebbe l’opportunità di essere finalmente ascoltato da qualcuno."

André sobbalzò, ferito – quella era anche la sua vita. Ripensò alle cipolle caramellate, al pungitopo nel bicchiere e sentì tutto il peso della sua inessenzialità - e quella la poteva sopportare, ammise, ma il ridicolo, quello che sottintendeva la voce di Oscar, gli tolse quasi il fiato. Ma loro due, non avrebbero dovuto essere amici? Non avevano sepolto un coltellino con il manico rosso un miliardo di minuti fa? Non gli aveva scaldato le mani tra le sue solo qualche giorno prima?

"Scambiate l’impulsività per l’indipendenza,” la voce di Girodelle era controllata, ma si capiva che non era contento ”la libertà non è sbattere i pugni su un tavolo. Ammesso poi che si possa essere davvero completamente liberi e non costretti sempre a mediare tra tutta una serie di concause. Detto ciò, l’obbedienza vuol dire capacità di ascolto, comprensione delle proprie responsabilità e loro accettazione: solo dove ci sono queste cose ci può essere una parvenza di libertà.”

"Io sarei morto al posto di Girodelle," continuò Fersen meditabondo, perso in chissà quale ricordo, "lo avete pure preso a schiaffi! E più di una volta..." scosse la testa, poi aggiunse divertito "Facevate prima a tagliargli direttamente le palle." 

Oscar sbatté le palpebre, interdetta, poi cercò lo sguardo di André che però lo distolse smarrito. Il discorso di Girodelle sulla mancanza di una libertà assoluta lo spaventava, quelle concause che citava, per esempio... solo qualche giorno prima, a lui erano sembrate dettate dalla società, una piramide che vedeva un Grandier qualunque relegato al ruolo del perdente, che ce lo faceva sentire addirittura, il perenne perdente... almeno... perenne fino a quando quella società non fosse mutata. Ma Girodelle sembrava intenderle in modo più profondo, senza speranza per nessuno.

La donna arrossì, poi mormorò "E' questo quindi? Del buon vecchio rancore perché a quindici anni vi ho battuto in un duello leale..."

"Se ci fosse stato del rancore, oggi non Vi avrei guardato le spalle" le fece notare Girodelle "E magari avrei chiamato la ronda della Guardia Metropolitana."

André lo scrutò con attenzione e ripensò ai discorsi del Generale che aveva sentito fin da bambino: aveva deciso il ruolo di Oscar da quando era nata, non si aspettava niente meno di una serie di incredibili successi.
Girodelle gli fece pena. Almeno nessuno si era mai aspettato niente da lui, André Grandier, e lui non aveva mai desiderato qualcosa di particolare, a parte Oscar, ma quello poteva ricadere nei desideri che nessuno avrebbe preso sul serio, come desiderare di poter volare.
Gli venne da sbuffare e, per un attimo, a sorpresa, lo investì un furioso risentimento - ci mancava pure che adesso gli facesse pena un nobile che collezionava tazzine da tè spaiate in una sentina del vizio, con tanto di acqua corrente e belle ragazze vestite di verde.

Mentre lui strigliava cavalli, a piedi nudi dentro una fontana.

Fersen borbottò "Questo all'inizio, comunque, non fatevene un cruccio, Oscar. Poi ad un certo punto hanno smesso." gli scappò un sorriso divertito, "Victor, Vi ricordate? Facevate i duelli in ordine alfabetico... secondo me ce l'avevate pure Voi, una lista!"

Oscar guardò Girodelle con aria confusa e André si rese conto che lei non sapeva, non si era resa conto, adesso, che lui era rimasto dietro di lei, mentre lei spiegava quelle due o tre cosette sui cani a Chatelet, senza vedere la matassa arrotolata delle conseguenze, e non si era resa conto, allora, dei tentativi di coinvolgerla in altri mondi che non erano il loro, e delle conseguenze che aveva sugli altri quel suo modo irruento e incurante di essere Oscar.

“Si, ce l’ho avuta, in un certo senso e non ne vado orgoglioso.” Girodelle aveva l’aria stanca, si passò una mano tra i capelli, poi congiunse le mani in grembo, le punte delle dita che si toccavano "Forse questo è l'esempio giusto, non so se mi capirete... I bambini nascono nudi, lo sapete? Sono nudi e pensano solo a mangiare e al tepore delle braccia della mamma. Poi, ad un certo punto, sanno che devono sistemare i capelli in un certo modo, che nei capelli, se sono femmine, ci vanno dei fiorellini e capiscono quali sono eleganti e quali no, mentre i maschi sanno di dover portare il tricorno."

"Pensate di mettere su famiglia?" lo sfotté Oscar.

"Quello è Fersen." ribatté seccamente Victor.

"Ora mi ricordo!" esclamò lo Svedese con un sorriso ampio: "Girodelle, Pas de promesse à l'éternel... è così che dicevano."

André alzò gli occhi al cielo. Personalmente riteneva che, anche con tutto il fuoco e le fiamme che indubbiamente il tipo poteva mettere in campo - lo aveva dimostrato, quattro donne in un giorno aveva detto - non avrebbe mai retto ad una vita intera con quello svedese. 

"No, quello che volevo dire è che mettersi dei fiorellini nei capelli è qualcosa di acquisito, che viene dell'educazione: noi diciamo alle bambine che devono raccogliere i capelli e loro ci credono, e aggiungo che le bambine capiscono che se tengono i capelli raccolti in un certo modo allora tutti saranno contenti e le troveranno carine e loro si sentiranno amate. Ma che duecento anni fa avrebbero portato i capelli sciolti e sarebbero state carine lo stesso. E pensavo ad una mia amica, a delle cose che mi raccontava quando era piccola - alcuni di noi per altri sono invisibili, e per altri, invece, ci sono."

André annuì, distrattamente - quella era la sua vita.

Girodelle fissò le fiamme e proseguì "I capelli, il tricorno, sono solo esempi sciocchi, ma quello che vedo io è che ognuno di noi viene visto se risponde ad un modello. E l'identità, quello che uno in qualche modo percepisce di essere, dipende proprio dal fatto di essere riconosciuti. Per cui uno, se può, cerca di abbracciare quel modello. La figlia preferita, il figlio in gamba, quello sfavorito... a volte non dipende dal caos che un figlio porta in una famiglia o dalle cose stupende che fa. Oggettivamente dico."

Oscar arrossì, poi sussurrò "La gente si affanna parecchio a Versailles."

André invece pensò ad Oscar a quindici anni, che entrava nelle Guardie Reali dopo averlo preso a pugni.

Girodelle sorrise "Quando seppi di dover duellare con Voi me lo chiesi: se avessi vinto sarei stato riconosciuto e avrei avuto una carriera di un certo tipo, mentre se avessi perso sarei stato nessuno. Ma io ero questo? Qualcosa il cui valore dipendeva da un duello che era una buffonata? Ma che importanza aveva?"

"Beh quando vi vogliono uccidere, l'importanza ce l'ha." si intromise Fersen, pensoso, "Non vorrei dire, ma c'è una bella differenza tra essere vivi ed essere morti."

Girodelle tacque, imbarazzato, fissando il camino, come se avesse perso le parole.
Fu André che interruppe il silenzio “Voi parlate della persona, di chi è e di come la società lo percepisce. Le concause. Per cui si fanno cose liberamente, che non sono davvero libere.”
"Esatto, quei duelli sono la cosa di cui sono meno orgoglioso." Disse Girodelle con un sorriso triste.
Fersen rise, "C'erano anche delle storielle - Girodelle è in ritardo questa mattina... il duello sarà durato più a lungo del previsto. Oppure: Girodelle è stato sfidato all'arma bianca e ha sconfitto l'avversario a palle di neve..."

"Fini umoristi..." Victor scosse la testa disgustato.

"Beh, non è stato tanto diverso quando saltò fuori la faccenda della lista..." Fersen scrollò le spalle, conciliante "Le battute si sprecavano e io ho capito la fatica di sopravvivere ad un disastro. Non dovrei dirlo perché potrebbe sembrare strano, ma io ho pensato a Voi, in America diverse volte... al tenere il punto e non diventare ciò che gli altri vi dicono che siete. Allo scoprire chi siete. La rabbia...  E' la cosa dell'identità che stavate dicendo, giusto? Che è un dono, o una maledizione, che vi fanno, per una fetta importante, gli altri... beh è così, non lo avevo pensato così chiaramente, ma è così."

"Quindi capite. Quei duelli erano in parte come i fiorellini nei capelli di una bambina."
 
"Quei duelli erano il solo modo per dire alle anime semplici che avevate ancora le palle anche se il Vostro capo Vi prendeva a schiaffi in pubblico e a Voi andava bene così." disse Fersen, con voce serena. “Voi complicate troppo la vita.”

Oscar era diventata scarlatta “Non ricordo quel periodo...” mormorò imbarazzata, “forse me ne avreste dovuto parlare.”

"Ma cosa c’entrate mai Voi?" disse Girodelle spazientito, "Si certo avrei potuto parlarVi, ma non siete stata educata ad ascoltare sul serio – o obbedienza cieca o ribellione estrema - e poi, onestamente, se uno desidera comandare degli uomini deve sapere cosa vuol dire essere dall’altra parte per cui certe cose io le do per scontate. Mettersi nei panni di un altro, non chiedere cose impossibili, fanno parte dell’essere un buon capo e chi fa il capo lo deve sapere e la domanda se lo deve porre. Non è che perché ci viene dato l'onore di comandare su qualcuno allora si è "degni", ma è il contrario, lo si deve diventare perché ci è stato affidato un compito. Questo in un mondo ideale, ma in quello reale, se questo non succede, io devo prenderne atto. Per me questo è essere un uomo.”

André intervenne “Non è colpa di Oscar, ci sono stati dei muri tutto intorno a lei... Anche io...”

Oscar gli schioccò uno sguardo di una freddezza e di una oscurità infinite ed André sentì un brivido, proprio lungo la schiena, come se la morte si fosse di colpo ricordata di lui. Non aveva gradito la sua intromissione, era chiaro.

“Ma io infatti non ce l’ho mai avuta con Madamigella de Jarjayes,” puntualizzò Girodelle, “io dico solo che si sta benissimo sentendosi belli con i fiorellini nei capelli, ognuno fa come gli pare, e la vita procede bella pigra come una barchetta verso l'isola di Jersey, in un bel giorno di primavera, e così godiamo del sole, o mettiamo dei cappellini di paglia perché non vogliamo perdere il nostro pallore così alla moda, e beviamo succo d'arancia e tuffiamo la mano nell'acqua, e ci dedichiamo al badinage amoroso, e questo e quello. Sapete cosa è? E' la quotidianità, l'illusione che ci sia un tempo infinito, che scorre pigro, e questa dolcezza di vivere ci fa diventare pecore che brucano l'erba tutti i giorni nel prato in cui ci conducono altri facendoci le carezze sul muso e dicendoci quanto siamo belli. Ma la vita non è questo. E ad un certo punto, per qualcuno mai, per la maggior parte di noi almeno una volta, arriva la tempesta che ti costringe a capire chi sei, se sei quello che annega, se sei quello che piange, o se sei quello che resta aggrappato allo scafo con le unghie e con i denti e se sei un essere umano che offre gentilezza anche agli altri o uno che non si preoccupa di nessuno se non di se stesso e quale mano vuoi stringere, se per caso hai la benedizione di averne una accanto a te. Fosse pure molto poco il tempo che resta."

Si alzò in piedi e la guardò negli occhi, "Quel duello mi fece riflettere su chi ero, prima di combatterlo, e fu un bene. E averlo perso fu la mia barchetta che si rovesciava. E fu quel che fu. Per mia fortuna io ho cercato di avere la mia vita coltivando quello che era mio, quello che ero io, quello a cui tenevo, anche se venivo o non venivo riconosciuto da chicchessia.”

“Mi fa piacere per Voi,” ribattè Oscar visibilmente seccata, “avete risolto il Vostro problema, volete un applauso?”

“Ho cercato di farVi un regalo, così come Ve lo ha fatto Fersen, a modo suo.” la voce di Girodelle era controllata, ma si capiva che era esasperato, “Perché mi spiace, mi spiace con tutto il cuore. Perché meritavate di più.”

"Vi spiace per me?" sibilò Oscar "Ma come Vi permettete? E come vi permettete tutti voi? Di giudicare me, le mie scelte? Cosa voglio, cosa faccio... il tassello mancante... ma stiamo scherzando?" Si alzò in piedi e si mise davanti a Girodelle con le mani strette a pugno, le braccia lungo i fianchi. "Non Vi sfido a duello solo perché so che Vi batterei... e mi dispiacerebbe tanto per la Vostra barchetta...”

Girodelle alzò un sopracciglio, ma non replicò.

“E se siete questo duellatore sopraffino” insistette Oscar, “perché non mi avete fermato Voi da solo, alle Dodici Lune, invece di chiamare aiuto? Perché non mi avete parlato a suo tempo?"

"Perché io non sono il ragazzino che è cresciuto con Voi e che Voi non mettereste mai nei guai." rispose lui, alzando le spalle.

André arrossì imbarazzato – non era riuscito in questi giorni a farla ragionare, e onestamente dubitava che davvero l’amicizia fosse sopravvissuta. Amicizia... ma chi gliela aveva mai promessa? Chi diceva che ne avesse diritto? Era nata dentro di lui, ma quando mai c'era stata una promessa che ogni sentimento tra loro sarebbe stato reciproco, e con una intensità talmente simile che si sarebbe potuta pesare con una bilancia da farmacista e ritenerla uguale?

Poi Girodelle si avvicinò al camino, dando le spalle a tutti loro "Mio fratello è uno stronzo." disse in tono neutro, "Gli voglio bene, sia chiaro, ma resta comunque uno stronzo che dice sempre le cose come stanno. Ed è molto bravo a prendersi cura degli altri quando si ammalano."

"Ognuno ha qualche dote." sibilò Oscar. "Perfino un Girodelle."

"E' bravo perché si è sempre cacciato in qualche guaio e quindi sa quanto fa male quando fa male." precisò Victor, "Sono passato da lui e gli ho raccontato una storia, qualcosa che avevo visto e non avevo capito e che pensavo di dover capire. Lui ha... interpretato gli indizi per me." concluse in tono di scuse, come se stesse parlando a qualcuno in particolare.


Oscar impallidì. “Io ora voglio tornare a casa, e Voi mi procurerete una carrozza a nolo.” Esplose con un tono che rivelava una dose non banale di irritazione  Poi, sistemandosi la camicia, aggiunse, "André, tu vieni con me."

André si alzò meccanicamente, poi impacciato, si schiarì la voce. “No.” disse con voce un poco tremante e gli sembrò di sentire un altro che parlava al posto suo.

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Capitolo 9
*** Sotto un morso di luna ***


Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Sotto un morso di luna

"Fai come ti pare" la voce di Oscar era dura, ma lo sguardo no ed André sentì di aver sbagliato anche stavolta. Forse. 
L’unica certezza era il suo stomaco annodato peggio che nell’ansia della sua prima poesia di Natale, da bambino, in piedi su uno sgabello davanti a tutti in cucina - il garzone della cuoca gli aveva tirato un ravanello, piccolo bastardo!

"Vorrei poterti spiegare…"

Oscar non disse nulla e a lui sembrò disperatamente bella e dolorosamente irraggiungibile.

"Non so se ti ricordi le lezioni di latino… una volta stavamo discutendo con il precettore su come tradurre una frase… Impossibilium nulla obligatio - alla fine decidemmo per non ci sono più obblighi quando ci sono in gioco cose impossibili."

Oscar sbuffò e scosse la testa. "André per piacere, avevamo undici anni… non sapevamo nulla delle cose davvero impossibili, credimi sulla parola! Non immaginavamo nemmeno!"

"Io sono stato una zavorra per te," insistette arrossendo, "l’amico di infanzia, quello che non è speciale per nessuno, quello che non si incastra nel giro degli amici, perché è fuori posto, quello da trascinarsi dietro per obbligo anche quando quell’obbligo è finito da un pezzo… se ripenso a quelle bettole dove ci andavamo a scaldare col vino scadente, quando avresti potuto sedere in un salotto elegante a leggere Molière con un Duca..."

Oscar lo guardò perplessa "Molière?" chiese con incerta cortesia.

Girodelle, sullo sfondo, alzò gli occhi al cielo.

"Oscar, accidenti, io ti seguirei ovunque," riprese André, "con la fedeltà di un cane, ma non posso mettere piede in casa di Madame de Montesson! E forse nemmeno a Palais Royal! Sono tutti luoghi vietati per me!"

"Non direi," lo interruppe perplesso Fersen, "di Madame de Montesson non so nulla, non credo frequenti il giro di Madame de Tourvelle, ma a Palais Royal ci sono pure delle… giovani donne amichevoli... a Palais Royal ci va chiunque, direi che pure tu, André, ci puoi andare quando vuoi… ti posso accompagnare, se ci tieni tanto..."

Oscar fissò André con occhi sgranati "Spero tu stia scherzando..." mormorò.

André, con un gesto stizzito, invitò Fersen a smettere con le divagazioni - "Oscar, cerca di capire, questa specie di amicizia tra noi deve finire, o cambiare. Crescere forse. Trovare la sua strada naturale che è fatta di separazioni necessarie. Perché quando si arriva al dunque le vite di un aristocratico e di un servo sono diverse, hanno esigenze diverse, obblighi... non sono bene accetti negli stessi luoghi e probabilmente non lo vorrebbero nemmeno."

"Tu sei stata generosa con il ragazzino con cui sei cresciuta, ma così ti sei privata di tante possibilità. Tuo padre, a lui forse stava bene, ha eretto tanti muri attorno a te... tu eri il suo capolavoro e io ero... io sono... io sono parte dei suoi mattoni, della sua calce... ma tutto questo non va bene, tu hai il diritto, l’ho capito in questi giorni. Ti ho visto con il Conte Fersen e ho capito e lui può darti ciò che è naturale… ovvio quasi… cose che io non potrei… che non posso!"

Vide che Girodelle scuoteva impercettibilmente la testa, con uno sguardo pieno di... compassione? e si sentì morire, peggio che la volta del ravanello, perché allora non era stato ridicolo, solo impacciato, e non aveva nemmeno otto anni. Mentre adesso... cosa c'entrava lui con le cose da dare ad Oscar? Lui era lì per farla allenare, cucinare per lei e pulirle gli stivali - cosa avrebbe pensato ora? Avrebbe capito quanto era patetico? Dio mio, stava per dichiararle il suo amore davanti a quei due! Quel bue con la sensibilità di un aratro e... Girodelle.

"Non so però se leggono Molière… può anche essere. Una volta una giovane dama volle che la prendessi, mentre le recitavo dei versi in latino." lo interruppe Fersen perplesso. "Le piaceva il ritmo: un pentametro giambico, breve, lungo, breve lungo… non so se avete presente... molto faticoso."

"Non ti ho mai chiesto di essere quello che non eri." Oscar si infilò i guanti con cura meticolosa senza guardarlo in faccia. "Mai. Io non ti ho chiesto proprio niente." Era irritata. Poi aggiunse, "E non ho chiesto niente a nessuno di Voi, vorrei fosse chiaro."

"Vorrei cercarmi un altro lavoro." esplose André. Poi si voltò verso Girodelle "E’ ancora valida l’offerta?"

L’uomo alzò nuovamente gli occhi al cielo e sospirò "Certo che è sempre valida, ma Vi pare questo il momento?"

"Io credo che anche tu Oscar... che tu abbia bisogno di... modificare la tua vita. Sei stata la figlia obbediente di tuo padre, un ottimo soldato, una buona amica della Regina... ma ci sono... ci sono cose che ti appartengono, tue di diritto… Il diritto di essere amata, di avere un complice che allontani il dispiacere delle sconfitte, quando arrivano... che ti faccia capire che tu, come vivi tu..."

Oscar sbuffò irritata, ma André riprese, "Sembra che tu voglia essere più indipendente di qualsiasi uomo, più autosufficiente, e non molli mai, ma tutti hanno bisogno di essere accuditi. Anche un uomo..." Ripensò al Generale, chiuso nel suo studio, con le sue rose bianche e gli si strinse il cuore. Poi sospirò "E poi ci sono cose, desideri... tu sei una... rosa, non sei un lillà!" sentiva che il cuore gli faceva male, eppure era quello il momento in cui si vedeva se un uomo era un uomo, possibile che lei non capisse la portata del suo sacrificio? Certo che no! Lui non era un uomo per lei… e poi a cosa stava mai rinunciando? Ma di che diavolo parlava? Lei non era mai stata sua, nemmeno nei suoi sogni, specialmente gli ultimi su cui sarebbe stato meglio stendere un velo pietoso.
Nervosamente si passò una mano tra i capelli. "I tuoi figli…"

"Hai bevuto?" lo sguardo di Oscar era quasi divertito. "Figli!" disse con tono amaro scuotendo la testa, "Figli e Molière… solo tu André…"
Poi si diresse verso la porta "Grazie per il bagno e la camicia," disse rivolta a Girodelle, "e grazie per la serata che immagino irripetibile."

"Mi dispiace Madamigella. Non sapete quanto..." rispose il giovane con una gentilezza che riempì André di sospettosa sorpresa.

Incerto la guardò sparire, poi sentì una mano artigliargli la spalla - Girodelle sembrava sinceramente esasperato "Seguitela, per piacere, e riportatela a casa… prendete la carrozza verde, è comoda e veloce. Sbrigatevi!"

"Ma io non posso, Fersen…" balbettò, poi si corresse "Sua Signoria Il Conte di Fersen…"

"Hans resta qui. Ma Madamigella Oscar non può rimanere sola, non stasera. Vi prego. Ma possibile che proprio Voi non Vi rendete conto?"


La cercò nella sala  e poi corse in strada dove la trovò che stava cercando di fermare, senza molto successo, una carrozza a nolo.  
Non lo aveva mai fatto in vita sua, pensò irritato, e voleva cominciare ora? Probabilmente non aveva nemmeno idea di quanto le sarebbe costata la corsa.
Si diresse verso una carrozza verde, piena di molle, parcheggiata sull’angolo - il guidatore sembrava aspettarlo perché si tolse il cappello ed aprì la porta, sollecito. Segno che Girodelle, in quel posto, arrivava proprio ovunque - lavorare per lui sarebbe stato interessante.

Oscar per un attimo sembrò voler puntare i piedi e fare, come sempre a modo suo, e cioè il contrario di quanto avrebbe voluto il buonsenso - lo fissò, soppesandolo con qualche bilancia segreta che conosceva solo lei.
Quando alla fine la vide montare all’interno e accomodarsi sui cuscini, André tirò un sospiro di sollievo.

"Tu vieni?" 

André annuì. 

"Sei sicuro?" insistette la donna con voce tagliente, "Nessun pitale da svuotare?" 


Mai una carrozza gli era parsa così stretta. Le lampade, all’esterno, illuminavano a tratti il viso pensoso di Oscar. Sarebbe stato più semplice se davvero anche lui avesse bevuto e se questa fosse stata una di quelle sere in cui tornavano a Palazzo ubriachi e stanchi. Complici.

Fu a quel punto che Oscar lo spinse nel buio dei cuscini e armeggiò con la sua camicia, per sfiorargli la pelle nuda del fianco con le mani - riconobbe ogni ruvido piccolo calletto dei punti in cui premeva l'impugnatura della spada. 

Non capì al principio e provò solo tenerezza. La sua Oscar, la sua meravigliosa, sconclusionata ed imbranatissima Oscar. La sua guerriera bambina di quando avevano solo undici anni e dita pronte al solletico. Quando erano solo loro due il centro del mondo, prima che l'uguaglianza tra di loro si rivelasse per quella bugia che era.
La strinse a sé accarezzandole una guancia con dolcezza infinita, prendendo il coraggio dal buio e dalla luce fioca dei ricordi d'infanzia.

Poi sentì le dita di lei che si infilavano nei suoi capelli e lo afferravano, come in una lotta di quando erano ragazzi e lui finiva con la faccia nella polvere mentre il sudore gli colava lungo le tempie.

Solo che stavolta non fu buttato in terra, non ci fu un pugno su uno zigomo, o una gomitata nelle costole, ma si ritrovò annegato tra i cuscini, il volto sollevato verso quella luce balbettante così difficile da mettere a fuoco, e subito dopo le labbra di Lei, che non era lei, non poteva esserlo, che lo divoravano a tentoni.

Per lui fu il primo vero bacio.
Non aveva un termine di paragone per quello, se non i sogni e le sue fantasie, e non riuscì a capire se gli stesse piacendo, se era come doveva essere, se a lei stesse piacendo, e se fosse poi importante che a qualcuno dei due piacesse poi sul serio, ma, nel caso, avrebbe voluto che quella soddisfatta fosse lei - lui ad accontentarsi di ciò che avanzava c'era abituato. Il cuore, però, era il frullo di un passero.

La sentì ridere contro la sua spalla, "Poi, se ci tieni, possiamo leggere Molière."
Scivolò accanto a lui e cominciò a baciarlo, delicatamente, con infinita lentezza, come se dovesse fare l'esatto inventario della pelle delle sue labbra.
"Impossibilium nulla obligatio" la sentì mormorare, "Non sai quanto hai ragione..." Poi fu paziente con lui, che non sapeva bene cosa fare, con lei, di labbra, lingua e denti, mentre il cuore gli stava scoppiando nel petto. 

Non era così quando combattevano insieme - lì lo aveva sempre fatto nero, sfruttando - senza saperlo - la sua goffaggine ed il suo orrore al solo pensiero di farle davvero male, senza dargli né tregua né aiutarlo a trovare un modo di uscirne che fosse uno - una vita in difesa, dove anche un suo attacco lasciava sempre una via di fuga.

Del resto, gli era chiaro, lo scopo non era quello, allenarlo a sopravvivere ad Oscar, ma lasciar allenare lei. Per farla risplendere e renderla indipendente.

Pensò che sarebbe stato allo stesso modo - lei all'attacco, lui in difesa - ma stavolta fu come se lei volesse spiegargli cosa voleva e come lo voleva, come andava fatto tra loro, come se misurasse il suo piacere ed il proprio, in modo che andassero di pari passo.

Con le mani che tremavano le slacciò gli infiniti bottoni del panciotto, per poi fermarsi spaventato - poteva sentire sotto il palmo della sua mano il seno di lei, il piacere di lei che cresceva inequivocabile. Cosa stavano facendo? 

Con il dorso delle dita la accarezzò attraverso la stoffa, godendo dell’assenza delle fasce e del suo respiro affrettato. Sentì il rumore della camicia che cedeva senza capire se erano le sue mani, quelle di lei, o tutte due assieme. O quella carrozza così molleggiata dove non arrivava nessun contraccolpo della strada. Ma non importava, quello che importava davvero era solo il calore della pelle di Oscar contro la sua. D'impulso la spinse sui cuscini, sotto di sé, e le baciò la gola. Con la mano che gli tremava le cercò il seno, poi risalì fino alla punta, in una lenta spirale, trovando che era davvero come aveva sempre immaginato - petali di rosa. La sentì sospirare, mentre, con mani impazienti, finiva di sfilargli la camicia dai pantaloni e gli accarezzava la schiena.

Cosa diavolo stavano facendo?

Lei aveva bevuto troppo, erano giorni che era strana, quel suo gioco di seduzione con Fersen, poi...

Fersen.

Il pensiero dello svedese lo riportò alla lucidità - se fossero andati avanti, se fossero andati oltre, ogni possibilità con Fersen sarebbe stata bruciata e lei condannata ad una vita di bettole fumose e vino scadente. Niente bambini. Niente famiglia. Niente altra metà di Oscar, quella che la vedeva finalmente anche femmina, dolce, e non solo un rigido soldato, coi muscoli e lo sguardo ogni giorno un poco più duri.

A forza la allontanò a sé "No," disse severo, come se parlasse ad un cucciolo disobbediente, "Ora basta." Qualcuno doveva ritrovare il buonsenso.

Le mani di lei lo cercarono e lui si ritrovò a bloccarle i polsi, sperando di non farle male. "Ho detto di no! Hai bevuto troppo e non sai cosa stai facendo!"

"Ne sei sicuro?" la voce di lei un soffio caldo sulla pelle.

"Sai almeno chi sono? Non sono Fersen, questo almeno lo sai?" la voce gli uscì dura, non volendo, ma il pensiero dello svedese, di quelle sue mani avide sul corpo di lei, il pensiero della sua reazione golosa di cui s'era vantato, gli bruciava dentro.

Quando la lasciò andare, lei si ritrasse in un angolo, in silenzio; poi si sporse dal finestrino e urlò al cocchiere un indirizzo.

Il resto del viaggio non si parlarono - lui fin troppo consapevole della vicinanza di lei, della camicia strappata, di quello che la stoffa ormai non nascondeva più, del sapore delle sue labbra e di una oscena, mastodontica e assolutamente inutile erezione.

Arrivati, scesero con passo barcollante, poi si fissarono astiosi sotto appena un morso di luna.

 

Lei, a quel punto, lo colpì con uno schiaffo.

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