A LITTLE DEMON♥

di Yume18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo Speciale ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


A LITTLE DEMON♥


 
Capitolo 1


Era una calda mattina d’estate e così, nel peregrinare in groppa a Mama-Hawk, i Sette Peccati Capitali avevano deciso di fermarsi in prossimità di un verde boschetto attraversato da un fragoroso torrentello. Non erano molto distanti da Lyonesse e non avevano dovuto cercare molto per trovare quel posticino piacevole e rilassante.
Così Merlin aveva eretto una sorta di veranda porticata che si affacciava sul boschetto ed Escanor aveva posizionato una tavola sotto alla veranda per poi apparecchiarla. Ban aveva cucinato i suoi piatti migliori con gli ingredienti recuperati in precedenza da King, Gowther e Meliodas. Elaine, Elizabeth e Diane erano uscite, munite di allegri cappellini per proteggersi dal sole cocente, e si erano incamminate verso il torrente, attraverso la foresta. Hawk era collassato all’interno del Boar Hat, lui e l’estate non andavano d’accordo.
Il maialino si trascinò fino alla ciotola d’acqua più vicina e la prosciugò in un istante. Ban allora, che proprio in quel momento aveva finito di cucinare e si apprestava a togliersi il grembiule, riempì di nuovo la ciotola di Hawk, con immensa gratitudine di quest’ultimo.
Poi arrivarono delle risate dall’esterno e la voce di Elaine chiamò Ban. Egli non si fece attendere ed uscì, lasciando per il momento le pietanze sul tavolo da cucina. Hawk pensò che, per quanto erano prelibati i pasti di Ban, al cavaliere degli avanzi sarebbe rimasto ben poco da mangiare. Ma pensò anche, che con quel dannato caldo, non sarebbe riuscito comunque a godersi il cibo, e quindi si mise l’animo in pace.
Il maiale stava per appisolarsi quando, tra il sonno e la veglia, scorse Merlin scendere dal suo laboratorio ai piani superiori fino alla cucina e avvicinarsi quasi con circospezione alle pietanze ancora fumanti. Quindi la maga estrasse una boccetta di vetro da una tasca del mantello e ne spolverò il contenuto al di sopra di ciascuna portata di cibo. Poi si avviò all’esterno con assoluta nonchalance. Hawk aveva visto tutto, ma lì per lì pensò con ingenuità che Merlin avesse semplicemente aggiunto un qualche buon ingrediente, visto che in ogni caso anche lei avrebbe mangiato quello stesso cibo. Dopodiché il maiale si addormentò.


Intanto all’esterno le tre ragazze avevano fatto ritorno, con i grembiuli ricolmi di fiori colorati e i cappellini adorni degli stessi fiori. King, liberatosi della pesante giacca che indossava di solito, corse incontro a Diane. Lei gli mostrò i fiori e lui con qualche gesto delle mani li fece sollevare tutti dal grembiule della gigantessa (ora a dimensioni umane). Quindi i fiori presero a ruotare delicatamente in aria fino a comporsi in un bellissimo abito estivo, che King porse alla ragazza.

-Ecco con questo il caldo sarà più facile da sopportare. E poi, con la mia magia di Fairy King, quei fiori non appassiranno mai, ma resteranno per sempre freschi e profumati.-

Diane saltò al collo del ragazzo e girando su sé stessa lo abbracciò forte.

-Grazie mille King, vado a cambiarmi subito!-

Il ragazzo fata, trovatosi quasi soffocato nel seno di Diane, non sapeva come fosse riuscito a non sanguinare copiosamente dal naso, e ora fluttuava estasiato.
Allo stesso tempo Ban, era accorso al suono della voce della sua amata Elaine, ed uscito in veranda fu accolto dalla delicata fata di bianco vestita. Lei con i suoi fiori, aveva realizzato delle splendide ghirlande, che donò a Ban sorridendo felice. Lui lasciò che la ragazza gliene sistemasse alcune attorno al collo e una addirittura in testa, poi ne restituì altrettante ad Elaine, agghindandola a sua volta con estrema delicatezza. Risero entrambi e si scambiarono piccoli baci.

-Grazie Elaine.-

Disse infine il ragazzo.
Meliodas intanto se ne stava seduto in veranda, assaporando una lievissima brezza che frusciava tra le chiome degli alberi come sussurrando gentili parole. Alcune lame di luce facevano capolino ogni tanto tra le foglie e proiettavano chiazze di luce danzanti sul volto del ragazzo e sui suoi capelli dorati. Lui teneva gli occhi chiusi e respirava profondamente, provando una straordinaria pace.
Elizabeth lo vide giungendo dal bosco con le altre e lo credette addormentato. Meliodas era in canottiera e attorno alla testa portava una fascetta per tenere indietro i capelli ribelli. In questo modo la fronte era libera, liscia e chiara, tanto che alla ragazza venne voglia di baciarla. Così, con il grembiule pieno di fiori raccolti per lui, si avvicinò silenziosamente. O almeno così fece fino ad arrivare ad un passo di distanza dal ragazzo, poi la sua sbadataggine ebbe la meglio e la ragazza inciampò irrimediabilmente su di un’erbaccia. Cadde in avanti verso Meliodas seduto, e gli sarebbe finita addosso se lui non l’avesse presa al volo all’ultimo secondo. I fiori volarono in aria a e poi ricaddero sopra di loro come una colorata e soffice pioggia. La posizione in cui si trovarono era piuttosto particolare. Meliodas seduto su degli scalini teneva le braccia protese in avanti e con queste sosteneva Elizabeth che era praticamente sospesa sopra di lui. La ragazza arrossì completamente. Allora il ragazzo con una mossa veloce e sicura si portò in piedi sugli scalini e sollevò con sé Elizabeth, facendola tornare in piedi, ma senza lasciarla andare. Ora erano faccia a faccia, pochi centimetri a separarli. Meliodas sorrise e posò delicatamente le labbra sulla fronte di lei, rimasta scoperta della frangetta dopo la caduta. La ragazza avvampò ancor di più, e non poté fare a meno di pensare che in qualche modo il ragazzo doveva averle letto nei pensieri qualche istante prima. Stava per scusarsi per l’incidente quando lui la precedette:

-Non ti preoccupare, non è stato male.-

Le strizzò l’occhio. Lei non resistette più e si lanciò in un abbraccio volto al capitano dei sette peccati capitali. Lui la accolse fra le sue braccia e la strinse a sé. Rimasero qualche istante in questa posizione, nonostante fosse molto caldo, questo non pareva impedire lo svolgersi di quell’atto di incommensurabile affetto. Poi Meliodas palpò il sedere della ragazza e il clima fin troppo carico di emozione venne un po' smorzato. Alla fine fecero entrambi ritorno verso la tavola apparecchiata, dove si stavano radunando tutti gli altri.


Gowther, 
vestito del completino da cameriera del Boar Hat, stava portando in tavola le pietanze lasciate da Ban sul piano cucina.
Mancavano all’appello solamente Merlin ed Escanor. Lui l’aveva intercettata fuori dalla locanda e aveva colto l’occasione per porgerle una rosa rossa bordeaux, grande e bellissima. Benché l’uomo indossasse gli occhiali, amuleto contro la sua trasformazione, mezzogiorno era appena passato e molti muscoli erano visibili al di sotto della camicia bianca. La maga accettò di buon grado il regalo, ringraziò Escanor e poi anche loro presero posto a tavola.

Finalmente c’erano tutti. Mangiarono e bevvero in quantità, fra risate, schiamazzi e chiacchiere. Le pietanze erano deliziose e birra e vino accompagnarono bene come al solito. All’interno Hawk dormiva ancora ma ad un tratto si svegliò colto da una sgradevole sensazione. Si chiese se fosse per la fame, ma stranamente non sentiva brontolare lo stomaco. Poi ricordò alcune scene di quello che aveva visto prima di addormentarsi e un brutto presentimento lo spinse ad alzarsi e a precipitarsi fuori.
Saltò sulla tavola imbandita quando i commensali dovevano ancora consumare il dolce.

-Fermi tutti, non mangiate!-

-Non ti preoccupare Hawk, il cibo l’ha preparato Ban e non Meliodas, non rischiamo alcun avvelenamento.-

Scherzò King.

-Sì e poi te ne ho lasciato un po', se hai fame ora te lo do.-

Continuò Ban. Hawk scosse la testa energicamente.

-No, no! Che cosa dite…!-

Si agitò in modo ancora più concitato. Doveva impedire ai suoi compagni di mangiare quella roba. Si voltò verso Merlin con aria guerrigliera ma in quel momento Meliodas disse ancora:

-Secondo me il caldo gli ha dato alla testa. Hawk se non scendi subito…-

Non finì mai la frase. Rimase con la bocca semiaperta e lo sguardo fisso in un punto imprecisato. l’attenzione di tutti fu su di lui e calò il silenzio per un istante, finché Meliodas non cadde faccia avanti sulla fetta di torta alle mele che stava per finire di mangiare e il boccale di birra che teneva in mano si rovesciò sul tavolo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


 Meliodas era svenuto. Ci fu un attimo di smarrimento generale. Nessuno capiva cosa stesse succedendo. Finché Diane non esordì:

-Deve essergli finito nel cibo uno dei tonici da guerra di Hawk, guardate, ne mancano alcuni sul suo collare!-

E in effetti era così. Anche Hawk guardò sul suo collare trovando dei posti vuoti. Eppure era sicuro di non averne usato nessuno in quei giorni, anzi, aveva controllato quella mattina stessa che tutti i cubetti magici fossero al loro posto e ben sistemati… che si fossero staccati mentre si agitava? Provò a contestare ancora, ma sembrava che nessuno lo ascoltasse. Tutti convenivano che non potesse esserci altra spiegazione logica. Quindi parlò Merlin.

-Se è così allora non ci saranno effetti collaterali gravi, dovrebbe riprendersi presto.-

Così Ban prese in braccio il capitano al momento incosciente e lo portò in camera sua, seguito da Elizabeth ed Elaine. Escanor e Gowther commentarono un po' l’accaduto mentre sparecchiavano. Diane, tornata alle sue dimensioni naturali si affacciò alla finestra del capitano e King con lei. Hawk non si capacitava di quello che era successo. Era convinto che c’entrasse Merlin con lo svenimento del capitano, la donna infatti era stata anche la prima a trovare una scusa per l’accaduto. Tuttavia a quanto pareva, tutti avevano mangiato lo stesso cibo lei compresa, e allora perché solo Meliodas era rimasto vittima di quel presunto incantesimo? Il maiale vide Merlin alzarsi e fare ritorno verso il suo laboratorio. Decise di seguirla. La tallonò su per le scale fin dentro la stanza, credendo di passare inosservato. Si rese conto troppo tardi di essersi lasciato ingannare. La Merlin che aveva seguito si rivelò essere un’ombra e si dissolse. La vera Merlin alle sue spalle chiuse la porta del laboratorio con loro due dentro. Poi sorrise in modo affabile e accostando un dito alla bocca fece cenno ad Hawk di stare in silenzio. Il maiale sentì crescere il panico e si diede dello stupido.


In quello stesso istante un urletto lanciato da Diane ruppe la placida quiete pomeridiana. Proprio davanti ai suoi occhi, e a quelli di Ban, Elaine, Elizabeth e King, si era verificato un fatto incredibilmente assurdo. All’improvviso una luce accecante era scaturita dal corpo di Meliodas, portando tutti a distogliere lo sguardo. Per qualche istante nessuno era stato in grado di capire cosa stesse succedendo al capitano dei sette peccati capitali. Poi poco a poco la luce era diminuita in intensità, ed Elizabeth per prima si era gettata verso Meliodas. Ancora un po' abbagliata, aveva trovato di fronte a sé le fattezze del capitano e lo aveva abbracciato stringendolo a sé. Ma ben presto si era resa conto che c’era qualcosa che non andava. Le sue braccia si erano ritrovate strette in una circonferenza dal diametro assai stretto, attorno a quello che avrebbe dovuto essere il busto di Meliodas seduto sul letto. Invece quello che Elizabeth aveva stretto era un corpicino piccolo ed esile, che stava ritto davanti a lei, in piedi sul letto. Presto tutti quanti avevano visto. E in quel momento Diane urlò. In mezzo a loro, al posto del solito capitano, c’era un piccolo Meliodas che li fissava inespressivo e innocente con i suoi grandi occhi verde smeraldo. Ban sollevò un sopracciglio con aria confusa. Elaine dal canto suo pensava che non ci potesse essere creatura sulla terra più carina di quel bambino. Diane era dello stesso avviso, ma una certa inquietudine la turbava. King non credeva ai suoi occhi, ed Elizabeth… Elizabeth lo stava ancora abbracciando, quindi allentò la presa, e concluse il gesto passando una mano fra i capelli del piccolo. Quei capelli come al solito scompigliati e più biondi del grano d’estate. Meliodas non cambiò di una virgola la propria espressione, e dopo aver osservato tutti attorno a sé per qualche secondo, scese dal letto con un piccolo salto. La canottiera che indossava prima di rimpicciolire gli scivolò di dosso per le dimensioni ormai esagerate in confronto al proprietario.

-Ehi aspetta…!-

Gli disse Elizabeth quando Meliodas si mosse. Lei non si aspettava che lo capisse, infatti si era già alzata per seguirlo. A quel punto il bambino voltò appena la testa, con la medesima espressione di poco prima, che però adesso sembrava riservare loro una qual certa strafottenza:

-No.-

Rispose il piccolo e così dicendo uscì dalla porta semiaperta. Tutti i presenti si guardarono più che altro perplessi.

-Lo sapevo, è sempre difficile determinare l’età di un demone dal suo aspetto. Questo Meliodas anche se sembra un bambino di nemmeno tre anni probabilmente ne ha almeno sei o sette di più. Non possiamo lasciarlo andare dove vuole, potrebbe essere pericoloso!-

E così dicendo King, che aveva assistito alla scena dalla finestra volò precipitosamente al piano di sotto. Diane lo seguì. Elizabeth urlò il nome di Meliodas e lo inseguì oltre la porta che lui aveva appena varcato. Elaine e Ban si guardarono. E Ban scoppiò a ridere.

-Che cosa c’è di così divertente Ban!?-

Lo riprese la fata. Lui rise ancora un po' poi la guardò e rispose:

-Non rimproverarmi Elaine, ti saresti dovuta vedere poco fa, stravedi per quel moccioso o sbaglio?-

Lei si portò le mani alla faccia arrossendo. Lui si avviò alla porta.

-Andiamo dai, il capitano da piccolo è uno spettacolo che non posso perdermi, ci sarà eccome da divertirsi.-

Meliodas scese le scale senza fermarsi fino alla sala principale al piano terra. Lì si imbatté in Escanor e Gowther, che non si capacitarono subito di quello che stavano vedendo.

-Capitano! Cosa le è successo? Com’è conciato..?!-

-E’ nudo.-

Commentò Gowther.

-Bè sì… l’avevo notato, ma non mi riferivo a quello…-

-Capitano?-

Domandò perplesso il piccolo di fronte a loro. In quel momento Elizabeth apparve alla fine delle scale con aria preoccupata.

-Fermo dove sei!-

Gridò il Fairy King irrompendo nella stanza dal lato opposto. Come disobbedendo di proposito all’ordine, Meliodas si mosse fulmineo verso la porta in uno scatto talmente inaspettato, che persino King che presidiava l’entrata fu colto di sorpresa e superato con facilità.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Tutti si precipitarono fuori a loro volta, ma Meliodas uscendo si era gettato dritto verso Diane che lì attendeva. La gigantessa lo prese in mano facendo attenzione a non stringere troppo. Il piccolo la guardò e per la prima volta la sua espressione variò da impassibile a leggermente confusa e corrucciata.

-Questo non è il regno dei demoni… dove siamo? Chi siete?-

Chiese guardandosi intorno Meliodas.

-Pare che il capitano sia regredito all’età infantile non soltanto fisicamente ma anche nella mente, inoltre sembra non riconoscere niente e nessuno.-

Osservò ancora Gowther calmo come al solito.

-Sì, dev’essere così. È tornato bambino in tutto e per tutto. Ed è normale che non conosca questo mondo, dopotutto prima di una certa età i piccoli demoni non possono uscire dal regno demoniaco e se lo fanno, è solo per combattere i nemici. O perlomeno così era tremila anni fa.-

Soggiunse Elizabeth.

-Non mi ignorate brutti bastardi, o vi stermino tutti!-

Gridò il bambino adesso infervorato il giusto. Ban non resistette e scoppiò di nuovo a ridere in modo esagerato. Per il peccato della volpe era un po' come rivedere sé stesso da bambino.
Meliodas si dimenò nella mano di Diane, ma non ottenne nulla.

-Siamo in Britannia e qui sono radunati esponenti di varie razze: umani, divinità, fate e giganti. Contento? Che farai adesso?-

Disse King, ed Elizabeth desiderò che non l’avesse mai detto. Lei aveva conosciuto Meliodas prima che si innamorassero, e sapeva quanto odio verso le altre razze suo padre, il re dei demoni, avesse inculcato in Meliodas fin dall’infanzia.

-Esseri immondi! A maggior ragione adesso vi stermino tutti! Io sono un grande demone, voi creature inferiori dovreste solamente inchinarvi, chiedere perdono per le vostre insulse esistenze e poi lasciarvi uccidere da me!-

-Quanto baccano qui fuori… qualcuno è di cattivo umore?-

Merlin comparve sulla soglia del Boar Hat.

-Merlin-san! È successo qualcosa al capitano io non ero presente…-

Parlò Escanor, ed Elaine gli venne in soccorso:

-Sì, si è sprigionata una luce abbagliante e Meliodas è tornato bambino, o così credo…-

La maga osservò il piccolo demone agitato e infuriato, parve riflettere un attimo e poi disse in modo calmo:

-E’ in modo definitivo colpa di uno dei tonici da guerra di Hawk. Solo qualcosa intriso della mia magia potrebbe fare questo. Non avevo idea di quali conseguenze avrebbe potuto portare se ingerito da un qualunque altro essere che non fosse quel maiale, quindi non avrei potuto prevederlo. Ma questa è in tutto e per tutta una conseguenza indesiderata dell’ingestione di quel tonico. Quindi l’effetto non dovrebbe durare molto, qualche giorno al massimo, se la biologia non è un’opinione.-

-Vuol dire che deve fare la cacca?-

Bisbigliò Gowther all’orecchio di Escanor. Questo annuì imbarazzato. Gowther assunse un’espressione concentrata, Escanor non volle sapere a cosa stesse pensando.

-Per favore Meliodas ascoltami, non vogliamo farti del male..-

Cominciò Elizabeth, ma non terminò la frase. Meliodas nella mano di Diane si era calmato, aveva assunto di nuovo un’espressione indecifrabilmente neutra. Ma c’era qualcosa di strano adesso. Il verde dei suoi occhi si stava tingendo di nero pece. Dei ghirigori di oscurità cominciarono ad avvolgersi a spirale attorno al volto del piccolo. Diane sentì l’interno della mano chiusa a pugno scaldarsi fino a bruciare, non volle lasciare la presa su Meliodas, così tenne turo. Ma poi una forza incredibile e inaspettata si sprigionò contro il suo palmo, ustionando e ferendolo allo stesso tempo. Allentò di poco la presa, ma questo bastò perché due membranose ali nere come la notte spalancassero con violenza la mano della ragazza. Meliodas sfuggì così alla presa di Diane e si librò in alto. L’oscurità demoniaca aveva completamente ricoperto la parte inferiore del suo corpo donandogli sembianze rapaci. Ma l’oscurità non era sotto il suo controllo, lo testimoniava quell’espressione vacua e indecifrabile. Era proprio come nello scontro con Helbram dopo il torneo di Veizel, o come quando avevano affrontato Galand per la prima volta. Il demone volse loro un ultimo sguardo. Poi osservò lontano e prese il volo a velocità incredibile in direzione della città più vicina: Lyonesse.

-La sua forza combattiva totale in questo stato è all’incirca 8000, se è in città che si sta dirigendo, là non c’è nessuno in grado di tenergli testa da solo.-

Disse Gowther.

-Venite seguiamolo!-

Disse Elizabeth e si mise a correre.

-Aspetta Elizabeth, se Diane ci lancia arriveremo prima!-

Esordì King, ma fu subito contraddetto da Diane stessa:

-Non so di preciso dove sia ora, non saprei a che distanza lanciarvi! E non posso nemmeno lanciarvi a Lyonesse direttamente: dobbiamo fermarlo prima che arrivi alla città.-

-Ha ragione!-

Soggiunse Elaine, cominciando a volare di fianco ad Elizabeth, che insieme a Diane si stavano avviando. King non ebbe scelta se non di seguire le tre. Escanor si volse verso Merlin e la trovò sorridente in modo malizioso. Lei allora disse, in risposta ai muti interrogativi del peccato della superbia:

-Sento che ci divertiremo. Io vado, Escanor, vuoi venire? Si sta facendo sera..-

-S-sì…! Vengo con te Merlin-san!-

Partirono anche loro. Seguiti da Gowther che faceva apprezzamenti sul meteo:

-Si sta rannuvolando, c’è molta umidità, potrebbe piovere al calar del sole.-

Rimase solo Ban. Mentre tutti correvano, lui non si affrettò. Se fino a quel momento aveva riso, ora era quanto mai serio. Si diresse dove sentiva forte la presenza di Meliodas.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


King era veloce e non ci mise molto a raggiungere Meliodas in volo, ma ebbe difficoltà nel decidere come procedere. Si stava per scontrare con il capitano, quindi a prescindere dall’età non avrebbe dovuto sottovalutarlo, ma allo stesso tempo il suo avversario era pur sempre un bambino. Quindi trasformò la sua lancia in un cuscino, e la indirizzò di fronte a Meliodas. Il piccolo non poté evitala e ci finì contro. Poi King per impedire che scappasse di nuovo, trasformò la lancia nel guardiano e con questo tentò di immobilizzare il demone. Ma a Meliodas bastò agitare un braccio perché l’oscurità che lo circondava disintegrasse Chastiefol. E così il piccolo riprese la fuga. Elaine aveva raggiunto King e disse:

-Non riesco a leggere nella sua mente, non capisco se sia per via della trasformazione o per qualcos’altro.-

-No, non è la trasformazione. È sempre così, lui ha qualcosa di particolare. L’ideale sarebbe calmarlo interagendo con la sua mente, dopotutto è difficile per noi combattere normalmente con un avversario che non dobbiamo ferire fisicamente. E visto che noi non possiamo fare niente, l’unico modo è contare sulle abilità di Gowther.-

-Ci penso io a riferirgli il piano.-

E così dicendo Elaine scese verso terra. Meliodas vide la fata scendere e fece per inseguirla. King lo circondò allora con le molteplici lame della quinta forma della sua lancia.

-Non ti azzardare a toccare mia sorella. Sono io il tuo avversario.-

Ma mentre King parlava Meliodas si era già portato a pochi centimetri da lui e se il Fairy King non avesse avuto la prontezza di riflessi da erigere attorno a sé la barriera della ottava forma di Chastiefol si sarebbe trovato con la testa mozzata in un attimo. In quel momento Harlequin realizzò in pieno che il suo avversario faceva sul serio. Allora riprese a manovrare le molteplici lame. Meliodas le affrontò e deviò con l’oscurità che lo circondava. Ma quando giunse la lancia nella sua forma originale, il demone scartò di lato e fuggì ancora verso Lyonesse. Per fermarlo nel suo avanzare questa volta si schierò Elizabeth stessa. Coronata dalle bianche ali di divinità, si posizionò irremovibile di fronte al piccolo demone. Meliodas si arrestò, pronto ad attaccare ancora. Ma la ragazza lo guardò intensamente, senza battere ciglio. E il demone per un attimo si fermò. Allora lei gli parlò così:

-Meliodas, so che puoi sentirmi. Abbi pazienza, solo per un attimo, e rifletti. Laggiù, nella città che vuoi attaccare, ci sono tante persone che non hanno mai fatto nulla di male e che non ne farebbero neanche a te, se tu ti presentassi loro in modo pacifico. Non c’è bisogno di combattere e di odiare, se c’è la possibilità di vivere tutti insieme in pace. Quindi ti prego, fallo per me, pensaci un attimo.-

E mentre la ragazza parlava, Meliodas pareva essersi calmato, il potere oscuro languiva attorno a lui non più minaccioso, e il piccolo aveva chinato la testa. Dietro e sotto di lui, tutti si erano a loro volta fermati ed assistevano alla scena in silenzio. Tutti erano fiduciosi, che come Elizabeth 3000 anni prima era riuscita a fare breccia nel cuore gelido di Meliodas, anche adesso sarebbe riuscita a fermarlo. Quello che però nessuno aveva messo in conto, era che stavano tutti confrontandosi con un bambino e non un adulto. E quindi molto più impulsivo, fragile e soprattutto non completamente in grado di comprendere la profondità di certe situazioni. Così nel suo discorso non ancora interrotto e che sembrava portare a buon fine, Elizabeth giunse a toccare un tasto sbagliato, e fu tutto vano:

-…e se dovessi uccidere quelle persone pensa poi ai loro cari, amici, parenti, come pensi che si sentirebbero? Sarebbero tristi, soli…-

Il potere oscuro ebbe come un palpito improvviso, e riprese tutto il suo vigore maligno. Anche Meliodas al suono di quelle parole ebbe come un fremito. E prima che Elizabeth continuasse oltre alzò la testa ed urlò in risposta:

-Io sono solo, e sto benissimo così! Non me ne frega niente di nessuno, devono morire tutti, tutti, a partire da voi!-

Meliodas stava per scagliarsi contro Elizabeth quando una freccia di splendente luce violetta partì da un arco del medesimo colore, e trafisse la testa del piccolo demone. Gowther dal folto della foresta, aveva colto quell’attimo di distrazione del demone per colpire. Subito la bambola si ritrovò nei meandri oscuri della mente del capitano dei sette peccati capitali.


Benché Gowther sapesse bene come introdursi nelle menti altrui, trovò molto complicato esplorare quella di Meliodas. Era complessa e barricata. Irta di trabocchetti e vicoli ciechi. Fredda e oscura. E ben presto la bambola si rese conto di star viaggiando per corridoi millenari, e non tra le vie di una giovane mente. E questo dimostrava che il danno provocato dalla magia di Merlin non era irreversibile. Semplicemente la coscienza di Meliodas si era rifugiata momentaneamente tutta in una sola parte specifica della sua mente, quella di una lontanissima infanzia. Al momento del rilascio dell’incantesimo, tutti quei corridoi bui sarebbero stati di nuovo abitati e vivi. Ma di certo non meno complessi e pericolosi.
Quindi Gowther cercò con pazienza e prudenza e alla fine trovò quello che cercava, l’infanzia di Meliodas. Un panorama infelice e tetro lo accolse, popolato di ricordi sgradevoli. Protagonista e antagonista allo stesso tempo di quei ricordi non era altro che lo stesso re dei demoni. Un padre violento e irascibile, che non era in grado di donare affetto al suo attualmente unico figlio, né di insegnargli il significato e il valore dei sentimenti. Una figura distante e gelida, temibile. Il re dei demoni pretendeva dal figlio l’assoluta ubbidienza e perfezione. E solo quando Meliodas lo soddisfaceva nell’apprendere l’arte della distruzione, lo risparmiava dalla sua ira.
E nell’inferno di quegli avvenimenti germogliava e cresceva la personalità di Meliodas, da quelle esperienze derivava ogni suo comportamento e modalità di esprimersi. A partire dal linguaggio sboccacciato fino all’esasperata necessità di attenzioni e affetto. Solitudine e battaglia e nessun’altra alternativa per lui. Ma quello che il suo cuore desiderava era amore. Così il dolore di quella piccola creatura era cresciuto sempre più. Perché era nel dolore che lui viveva e solo il dolore, in tutte le sue facce, lui conosceva.

Ma l’ispezione di Gowther fu interrotta bruscamente. Ogni immagine si dissolse e Gowther si ritrovò a fluttuare in un immenso e nero spazio vuoto. Spazio che, in un attimo, venne totalmente colmato da un’entità oscura e malvagia. Così grande e potente da non poterla quantificare. Gowther si concesse un attimo per capacitarsi della natura così terribile di quell’essere. E poi notò, lontano, in un angolo di quella mente, il piccolo Meliodas. Era accovacciato e si teneva la testa. Da lui stesso si sprigionava il mostro. La bambola seppe di non potere nulla là dentro. Anzi, si ritenne fortunato di essere arrivato vivo fino a quel punto. L’entità si mosse minacciosa verso di lui, e Gowther scappò, prima di venirne sopraffatto e disintegrato.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Dal momento in cui Gowther aveva scagliato il colpo, tutte le vicende successive si erano svolte nel giro di qualche istante. Momenti in cui tutti tennero il fiato sospeso, ma alla fine l’esito fu chiaro e tragico. Meliodas si riscosse dall’immobilità che il potere di Gowther gli aveva imposto, e si scagliò contro qualunque ostacolo gli si ponesse di fronte con una furia ancora maggiore. Elizabeth venne teletrasportata fuori dalla traiettoria di Meliodas da Merlin un attimo prima di essere colpita dal demone. La maga spedì Elizabeth fra le mani di Diane. La gigantessa quindi si apprestò a posare a terra la ragazza, al fianco di Escanor, pronto a sostenerla. Elizabeth però non poté fare a meno di notare la terribile escoriazione lasciata dal potere oscuro di Meliodas sulla mano di Diane. E quindi si accinse a curarla con i suoi poteri.

-Mi di spiace molto… non sono stata affatto utile.-

-Bè, hai comunque fatto del tuo meglio.-

Le rispose dolcemente la gigantessa.

-Già.-

Asserì Escanor, che in quanto ad utilità in quel momento toccava il fondo. Ma non poteva farci niente. Il cielo, come aveva preannunciato Gowther si era fatto cupo e nuvoloso. L’aria era umida e afosa, si preparava un temporale estivo piuttosto violento. E il sole era nascosto da quelle nubi, non che prossimo a calare dietro l’orizzonte. In quel momento King si lanciò ancora all’inseguimento. Gowther dopo l’attacco fallito, era caduto a terra e là era rimasto. Per un po' persino il suo sofisticato corpo di bambola aveva tremato come un vero corpo, come conseguenza dell’essere venuto in contatto con il vero demone Meliodas nella sua mente. Ban, che li aveva raggiunti, aveva osservato tutta la scena e poi aveva teso una mano a Gowther aiutandolo a rialzarsi. Non ebbe bisogno di chiedere al peccato della lussuria cosa avesse visto dentro la mente di Meliodas, se lo poteva bene immaginare.

-Merlin, resta con tutti loro, ti affido anche Elaine, ci penso io al capitano.-

Disse giungendo nella radura dove ora si trovavano tutti tranne King. Elaine raggiunse l’amato e provò a contestare questa sua decisione. Ma lui le fece segno di non insistere oltre e di non seguirlo. Lei alla fine acconsentì, anche se preoccupata. Merlin a sua volta non contestò la decisione di Ban e lui partì.


Raggiunse King e Meliodas quando erano ormai molto vicini alla città, la si intravvedeva a qualche chilometro di distanza, un po' celata dalla foschia umida di quel pomeriggio estivo. Inutile dire che quando King riusciva a fermare Meliodas dalla sua fuga si trovava in netto vantaggio. Ma l’esito dello scontro non era mai scontato, tantopiù perché il piccolo demone continuava a sgusciare via veloce e inafferrabile. Ban ne approfittò di un momento in cui i due combattevano a bassa quota, vicino al suolo, per intervenire nello scontro. Ormai la foresta si era diradata e davanti a loro prima della città si estendevano solo lunghi campi di grano maturo, che ondeggiava placido al vento.

-Yo! King, Capitano.-

Li salutò il peccato della volpe quasi canticchiando, e poi, con un pugno estremamente violento e improvviso, spedì King al suolo.
Dopo un movimento rotatorio, Ban, ancora sospeso in aria, con un altro pugno altrettanto forte e impietoso scaraventò verso il basso anche il piccolo demone. Alla fine atterrò anch’egli nel campo di grano sottostante. King in un attimo lo raggiunse di nuovo, infuriato. Chiese spiegazioni minacciando il compagno con la lancia. Ban si limitò a guardarlo con sufficienza e disse:

-Vai da Diane e dagli altri, sono tutti d’accordo che da ora in poi me ne occupi io.-

-Non se ne parla! E comunque non è un valido motivo per colpirmi.-

-Fai come ti dico perché…-

In quel momento Meliodas tentò di colpirlo da dietro. Ma era stanco lo si capiva bene, l’oscurità che lo circondava era diminuita, e il suo viso dopo tutto quel tempo stava finalmente tornando ad assumere espressioni reali, contraendosi in smorfie di rabbia. A Ban bastò un pugno per mandare ancora a terra Meliodas. Poi si volse verso King per l’ultima volta e concluse la sua frase.

-...Perché io sta dalla parte di Meliodas. Quindi sparisci se non vuoi farti male sul serio.-

Un calcio di Ban volò verso il re delle fate, che era rimasto alquanto sorpreso da quell’affermazione. King schivò il colpo. Si fermò un attimo a riflettere, e poi voltò le spalle al compagno e volò via. Quella volta, almeno per una volta, aveva deciso di fidarsi di Ban. Il peccato dell’avarizia si stava comportando in modo strano, più strano del solito: doveva avere in mente un piano o qualcosa del genere, e doveva essere un piano delicato, se Ban era arrivato a colpire un suo stesso compagno. Con un notevole sforzo di volontà, King non si guardò indietro.
Fino a quel momento nessuno aveva potuto fare niente, nemmeno Elizabeth. Non restava che Ban. E Ban dopotutto, era il miglior amico di Meliodas. Non c’era scelta.


Meliodas si stava alzando ancora, asciugandosi un rivoletto di sangue che gli usciva dal labbro spaccato. Respirava con un po' di affanno, e l’oscurità si era totalmente dileguata, lasciandolo spoglio e indifeso. Eppure lui manteneva la sua dignità, in piedi e dritto, guardava ancora con superiorità l’avversario. L’unica nota che incrinava l’aspetto di quel piccolo guerriero perfetto, era una nota di dubbio che attraversava i suoi occhi smeraldini. Era rimasto sorpreso dalle parole pronunciate da Ban e dall’atteggiamento da lui tenuto nei confronti di un suo stesso compagno. Meliodas si lanciò ancora all’attacco. Saltò fino al volto di Ban pronto a colpirlo, ma Ban lo afferrò per un braccio bloccandolo a mezz’aria.

-Piantala moccioso. Sei sordo o cosa? Ho detto che sto dalla tua parte.-

-Lasciami andare! Cosa significa tutto questo? Cosa speri di ottenere da me?-

-Niente di particolare. Sei già stanco e inoffensivo, se soltanto lo volessi potrei facilmente prenderti e riportarti indietro dagli altri in qualunque momento. Ma come vedi siamo qua. Se hai intenzione di distruggere la città, io verrò con te e potrai contare sul mio aiuto.-

Si fissarono per un attimo, Meliodas che cercava di leggere le intenzioni di quell’inaspettato alleato.

-In ogni caso non mi sembri in condizione di attaccare la città adesso. Inoltre sta per piovere, è meglio che ci troviamo un riparo.-

E Ban, quasi con noncuranza, si incamminò attraverso il campo di grano. Meliodas faticava a comprendere le azioni di quello strano alto uomo.

-Bastardo, non prenderti gioco di me! Io sono un demone assai potente, non sottovalutare la mia capacità di recupero!-

Ban lo ignorò bellamente. Così il piccolo alla fine lo seguì, ma per un bel po' continuò ad inveire contro il peccato dell’avarizia.

-Fai un passo falso e non appena mi sarò ripreso te la farò pagare, stanne certo! Lurido insulso infimo uomo!-

-Sì sì come ti pare, adesso però zittati un attimo stupido moccioso.-

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6


Ban, con al suo seguito Meliodas, giunse ad un sentiero battuto, una stretta stradina di campagna, che attraversava un gruppetto di umili abitazioni. Passando tra quel crocchio di case di periferia furono al centro dell’attenzione dei contadini che a fine giornata scambiavano le merci ai lati della strada principale. Loro due erano sicuramente un’accoppiata strana: un uomo albino di più di due metri d’altezza e un minuscolo bambino nudo che lo seguiva impettito, ma nonostante avessero tutti gli occhi puntati addosso Ban fu comunque in grado di rubare molti viveri senza essere notato, grazie all’aiuto del suo potere e per via della sua rapidità.
Poi cominciò a piovere, prima una pioggerellina fina e fastidiosa, che non fece altro che aumentare il caldo afoso emanato dalla terra. Alla fine però divenne un temporale in piena regola. Già bagnati fradici, i due trovarono quindi riparo in una casa abbandonata, appena fuori dalle mura di Lyonesse. Ban accese un fuoco con della vecchia legna asciutta che era rimasta nel caminetto dopo l’abbandono della casa. Meliodas frugò in tutti gli scaffali possibili, fino a trovare dei vecchi vestiti non troppo logori che reputò degni di essere i suoi futuri indumenti. Li indossò facendo le adeguate risvolte ai pantaloni e alle maniche. Il risultato fu comunque non troppo soddisfacente. Ban diede uno sguardo al piccolo demone mentre armeggiava con i panni, ma quello che vide gli sembrò un qualunque bambino vestito di abiti troppo grandi, estremamente tenero e indifeso.

-Siediti qua e mangia.-

Disse Ban mentre arrangiava un buon pasto davanti al fuoco.

-Non prendo ordini da te, bastardo.-

-E’ Ban per te, non bastardo.-

-Non rompere.-

Rispose Meliodas prendendosi l’ultima parola. Ma alla fine si sedette, e aspettò senza battere ciglio, che il cibo fosse pronto. Poi mangiò in silenzio.

-Com’è?-

Chiese Ban ad un tratto.

-…Non male…-

Ammise orgoglioso il bambino. E ora sembrava in tutto e per tutto un qualunque bambino imbronciato.

-A questo punto dovresti ringraziare, funziona così.-

Continuò Ban, poggiando una mano fra i capelli ancora umidi del piccolo. Lui si sorprese di quel tocco.

-Secondo me è una stupida cosa di voi esseri inferiori dire grazie, nient’altro. Ed è stupido anche toccare la testa delle persone in questo modo… anche quella donna prima l’ha fatto…. Strani esseri con strane abitudini.-

Sentenziò il demone, poi tirò su con il naso, mentre addentava un altro pezzo di cibo.

-Per tua informazione, anche quello che stai facendo ora, piangere, è una cosa molto comune tra noi esseri inferiori, al contrario di quanto deve essere per voi prodi demoni.-

Meliodas provò a tamponarsi gli occhi colmi di lacrime, ma queste li riempirono nuovamente e rotolarono inarrestabili lungo le guance.

-Che cosa significa?-

Domandò il piccolo, che adesso era quasi spaventato da quelle strane sensazioni che lo attraversavano.

-Che cosa mi sta succedendo?-

-Niente di che… Deve esserci una parte di te che grida “grazie!”, ma tu non lo vuoi ammettere, e allora eccoti il risultato.-

-Non prendermi in giro!-

-Mai stato più serio.-

E Ban diceva il vero. Cercò lo sguardo sfuggente e lacrimoso di Meliodas e gli fece capire quanto le parole che aveva appena pronunciato fossero importanti.

-Non è una malattia e non durerà per molto. Almeno finché non accetterai quella parte di te che si sente felice per tutto questo. Allora starai sicuramente meglio. Fidati di me.-

Fiducia, che strana parola. Meliodas certo, sapeva che cosa significasse, ma non l’aveva mai messa in pratica prima. Sembrava allettante come invito. Potersi fidare di qualcuno. Come se quella persona facesse per te qualcosa di bello, senza aspettarsi nulla in cambio. No, Meliodas non l’aveva mai sperimentato. E sì, era dannatamente piacevole. Non c’era verso di negarlo. Quel cibo era buono, quel tizio era gentile, quelle parole erano sincere, tutto quanto era piacevole, molto piacevole...

Meliodas scoppiò in forti singhiozzi, e non cercò di fermarli. Pianse per un po'. Ban non intervenne, sapeva quanto potesse essere delicato quel momento. Sapeva quanto potesse essere fragile quel bambino. Lui c’era passato, ed era stato fortunato nel trovare ad un certo punto una figura paterna come Zivago, che gli aveva insegnato a sopravvivere e vivere. Invece Meliodas era sempre stato solo da piccolo e adesso, anche se si trattava del Meliodas adulto vittima di un incantesimo, Ban voleva poter fare qualcosa per quella sofferenza. Voleva essere lui quella figura paterna in grado di salvarlo. E se anche questo non avesse cambiato il passato del suo capitano, almeno avrebbe reso alcuni suoi ricordi un po' più piacevoli. Non era da Ban essere così paziente e delicato nei modi e nei termini. Ma gli era venuto spontaneo. Glielo doveva, al suo capitano. Per tutte le volte in cui aveva messo in primo piano il proprio dolore, e lo aveva fatto pesare a Meliodas, il cui dolore era centinaia di volte superiore.


Alla fine i singhiozzi si affievolirono e il bambino si calmò. Era evidente che fosse molto stanco, provato per aver combattuto a testa alta i sette peccati capitali, e scombussolato per tutte le nuove emozioni con cui era venuto a contatto quella sera. La testa di Meliodas ciondolava, e gli occhi stavano aperti a malapena. Allora Ban si fece più vicino. Gli toccò nuovamente la testa e lo accompagnò giù fino a che non fu steso, con la testa appoggiata sulle sue gambe, come una volta Zivago aveva fatto con lui.

-Ora puoi riposare tranquillo. E questa mano sulla testa, anche se per te è essere solo una strana abitudine umana, in realtà per noi ha un significato molto importante. Vuol dire che ti vogliamo bene. Ti garantisce che noi ti proteggeremo a qualunque costo, quella donna, io, tutti quanti. Non sei da solo. E questa notte la mia mano non si sposterà dalla tua testa, hai la mia parola. Fidati di me.-

Quelle parole suonarono così belle alle orecchie di Meliodas, così magiche, meravigliose. Sorrise.

-Va bene..-

Mugugnò poco prima di addormentarsi. E quando l’ebbe detto, si sentì davvero bene, come non mai.


Ban mantenne la promessa, e vegliò sul piccolo demone per tutta la notte. La pioggia batté forte sul tetto quasi fino all’alba, poi cessò di colpo, e il cielo si tinse di rosa: le nuvole erano sparite e si prospettava un’altra giornata all’insegna del sole cocente d’estate.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Il resto dei sette peccati capitali, fatto ritorno al Boar Hat, avevano posto tutte le loro speranze su di Ban. A lungo avevano atteso il suo ritorno insieme al capitano la sera prima, Elizabeth aveva vegliato quasi fino all’alba, ma nessuno si era presentato. King, ansioso per natura, si sentiva in colpa per aver dato retta a Ban ed essersene andato, Diane gli ripeteva che invece aveva fatto la scelta più giusta. Elaine invece era estremamente confidente sul buon esito di quella missione e sulle capacità di Ban e cercò per tutta la sera di rincuorare gli animi affranti.


Quando Meliodas si svegliò per un attimo si sentì disorientato e faticò a capire dove mai si trovasse e per quale motivo. Poi si ricordo delle strane vicende del giorno prima. Trovò l’uomo di nome Ban ancora lì, con la mano sulla sua testa, e questo lo sorprese abbastanza.

-Ben sveglio. E alla buon’ora direi. Ti sei forse dimenticato del tuo importante piano?-

Disse Ban. Meliodas si alzò e rimase per un attimo interdetto:

-Piano..?-

-Massì, dopotutto io sono per questo no? Per aiutarti a distruggere la città, non ricordi?-

-Ah già, sì, certo...-

Il piccolo demone abbassò lo sguardo, poi lo rialzò ancora dicendo con più sicurezza:

-Sì. Non c’è tempo da perdere. Andiamo.-

Fecero una fugace colazione con quello che era rimasto dalla sera prima e poi uscirono dalla casa abbandonata avviandosi verso l’ingresso della città. Alla porta principale trovarono il ponte levatoio abbassato e le guardie, riconoscendo Ban, li lasciarono passare tranquillamente. Non fecero troppo caso a Meliodas, in caso contrario, l’avrebbero sicuramente riconosciuto nonostante le dimensioni ridotte. Subito si trovarono immersi in un bagno di folla che di prima mattina brulicava per le vie della città. Il mercato cittadino era aperto e le persone approfittavano del fresco garantito dalla pioggia della notte prima per portare a termine i compiti più pesanti: il pomeriggio sarebbe stato di nuovo troppo caldo per fare alcunché. Le persone erano molte e spingevano e tiravano, ed ognuno era di fretta per i propri affari. Meliodas si ritrovò sballottato tra le gambe degli uomini in movimento e si sentì abbastanza a disagio. Allora Ban gli porse una mano, che il bambino afferrò con molta esitazione, per poi lasciarsi trascinare oltre il fiume di gente. Il piccolo demone borbottò fra sé qualcosa circa “stupidi umani brulicanti come stupide formiche”, ma Ban non ci fece caso.

-Su seguimi.-

-Dove diamine stiamo andando?-

Chiese Meliodas.

-E tu volevi distruggere questa città da solo ah ah, mi sembri piuttosto impreparato. Siamo a Lyonesse, una delle città più grandi della Britannia, che ospita alcuni tra i guerrieri più forti, non andresti da nessuna parte senza una buona strategia.-

-Vuoi dirmi che tu hai un piano?-

-Certo. Si tratta di un colpo di stato. Attaccheremo là dove sta il potere più grande, il re, e lo neutralizzeremo. Dopodiché tutto il resto sarà in discesa: anche i guerrieri più forti senza una guida vacillano. Che te ne pare?-

-Ha senso.-

E Meliodas ricominciò a seguire Ban per le vie delle città. Per un attimo temette che quell’uomo lo stesse conducendo dritto verso una trappola, tutto stava andando troppo liscio. Possibile che Ban fosse davvero intenzionato a distruggere la propria città e tradire i suoi stessi compagni solo per aiutare un demone come lui, per lo più appena conosciuto e presentatosi come suo nemico? Era davvero molto strano. Eppure, quel tipo… aveva un non so che di particolare, e Meliodas sentiva di potersi davvero fidare. Sentiva che ogni sua parola, ogni suo gesto, erano totalmente spontanei e sinceri. Lui voleva fidarsi e vedere poi cosa sarebbe successo. Nel peggiore dei casi, contava di battersi con lui al massimo delle proprie forze e sconfiggerlo, per poi distruggere ogni cosa a modo suo.

Camminando per la città, lo strampalato duo sfilò per i vicoli più svariati. Videro vecchie che stendevano i panni, falegnami all’opera nei cortili, bambini che giocavano ai lati delle strade, saltellando tra le pozze e combattendo con spade di legno. Videro famiglie felici recarsi ben vestite in piazza per il mercato, e uomini prodi in armatura che si allenavano in recinti appositi. Tutti sembravano estremamente allegri e spensierati. Quel mondo per il piccolo Meliodas era così nuovo e colorato, l’aria risuonava di canti e musiche allegre, c’era un buon profumo portato dal vento, di fiori, dolci e pane appena sfornato. Il cielo era così azzurro. Il Mondo Demoniaco invece, era sempre cupo e lugubre, i suoni che si sentivano erano spesso lamenti dolorosi e grida macabre, l’aria era fetida e malsana, il cielo era sempre oscurato da nero fumo di morte e la luce non batteva mai su quella terra. Una terra arida e sterile, solcata da creature altrettanto fredde e cupe. Il suo era un mondo dove si parlava sempre di sangue e guerra, in cui si lottava per essere il migliore e nient’altro aveva importanza. Per suo padre, essere forti era la massima aspirazione. Invece tutte quelle persone lì, erano così spensierate e di buon umore, eppure non sembravano minimamente forti. Meliodas per un attimo si sentì sbagliato e fuori posto e sentì anche che gli sarebbe mancato, tutto questo, alla fine di quella strana avventura. Si rese conto di non avere nessuna voglia di tornare a casa. Il peccato della volpe rise fra sé e sé nell’osservare le reazioni di quel piccolo demone che per la prima volta scopriva il mondo.
Giunsero infine alla fortezza principale. Si avvicinarono all’ingresso e qui trovarono una strana figura vestita di un anonimo mantello marrone, con il cappuccio calato in testa.

-Che cosa volete?-

Chiese questo ai due.

-Assassinare il re e poi distruggere il regno.-

Rispose Ban semplicemente. Ci fu un attimo di silenzio. Meliodas era abbastanza confuso, era sicuro spifferare così al primo sconosciuto incontrato, i propri piani di guerra?

-Allora siamo a cavallo, è il mio stesso piano! Seguitemi sconosciuti!-

Ban guardò Meliodas con fare soddisfatto, come a rassicurarlo che sarebbe andato tutto per il verso giusto. Lo strano tipo incappucciato, che dal tono della voce doveva essere un vecchio, li scortò all’interno del castello, in un lungo itinerario che a detta sua li avrebbe condotti senza intoppi fino agli alloggi del re in persona. Lì avrebbero potuto compiere il loro omicidio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


Per tutto il percorso all’interno del castello Ban chiacchierò elencando i modi fantasiosi in cui avrebbero potuto fare fuori il re. Passando vicino alle prigioni il peccato della volpe fece:

-Potremmo chiuderlo in cella finché non muore di fame e di sete… ma ci vorrebbe troppo tempo e poi potremmo essere scoperti…-

Poi ancora, quando salirono al secondo piano fino ad una sala tutta adorna di fiori e cimeli:

-Oh che ricordi, qui è dove una decina d’anni fa abbiamo trovato il corpo del grande cavaliere Zaratras infilzato centinaia di volte con delle lance come un puntaspilli! Poi siamo stati accusati noi sette peccati capitali dell’omicidio, e tutto il regno si è rivoltato contro di noi. Ovviamente era una trappola, eravamo troppo forti e ci temevano, specialmente il nostro capo…-

A quel punto intervenne il vecchio:

-Ometti il fatto che il cavaliere Zaratras venne avvelenato prima di essere infilzato, e quindi morì per il veleno e non per le lance.-

-Questa mi è nuova!-

Esclamò Ban, poi si rivolse a Meliodas:

-Che ne dici di un avvelenamento?-

Il piccolo rimase un attimo interdetto. Quei discorsigli sembravano assurdi. Di certo non lo sconcertava sentir parlare di morte e assassinii, ma l’atmosfera era surreale, e provava un evidente disagio. Così rispose a bassa voce:

-Non saprei… Dove lo troviamo il veleno, e come glielo facciamo bere?-

-Acuto il ragazzo, come ti chiami?-

Domandò il vecchio incappucciato a quel punto.

-Meliodas, ma devi usare un suffisso di onorificenza quando parli con me.-

Il vecchio rise di gusto e Meliodas non gradì. Ban continuò a parlare di sbudellamenti, tagliare la gola nel sonno e cose del genere.
Passando davanti ad un cortile interno, scorsero quattro ragazze sedute all’ombra di un alto albero intente a discorrere fra loro come le ragazze sono solite fare. Quando li videro si guardarono fra loro, e una di esse si alzò e salutò Ban con ampi gesti del braccio. Vestiva abiti molto aggraziati, a
veva i capelli grigio azzurro e delle labbra carnose. Ban la salutò a sua volta da lontano:

-Yo, Jericho! Salve principesse.-

Meliodas gli diede uno strattone, cosa stava combinando quel deficiente? Il vecchio fece cenno alle ragazze di fare silenzio, loro acconsentirono ma non meno confuse.

Alla fine i tre sicari, dopo il lungo peregrinare, arrivarono in cima ad una torre, in quella che doveva essere la stanza da letto del re. Entrarono senza problemi, ma trovarono la camera vuota. Così decisero di raggiungre il terrazzo ad essa comunicante, con l'intento di attendere lì il ritorno del re. Una volta fuori poterono assaporare di nuovo la dolce aria estiva e un venticello sferzò i loro volti. Meliodas si affacciò verso il basso e scorse tutta la città ai suoi piedi, e più lontano, pianure e colline verdeggianti, in lontananza un bosco. Il panorama era mozzafiato. Poi il bambino domandò voltandosi:

-E il re?-

Allora il vecchio fece scivolare il cappuccio sulle spalle e rivelò il volto anziano e barbuto, ma gentile, che gli sorrideva benevolo.

-Eccomi, io sono il re, adesso fai pure di me quello che desideri piccolo Meliodas.-

Il demone guardò Ban con aria confusa.

-Non guardare me! Non ne sapevo niente, anche se me lo sarei dovuto aspettare: Gowther me lo ha detto una volta che il vecchio re Bartra ha un senso dell’umorismo abbastanza strano..!-

-Aspetta, Ban, vuoi dirmi che non avevi ancora capito chi fossi? E tutti quei discorsi su come uccidermi, eri serio per caso?-

Escalmò Bartra.

-Chi lo sa…-

Meliodas era confuso e impaurito, si sentiva vittima di uno scherzo di cattivo gusto.
Una parte di lui si dava del codardo, perché dopo essere arrivato fino a quel punto invece di fare quello per cui era venuto stava esitando come una femminuccia. Era la parte nata e cresciuta nel Regno Demoniaco, istruita dal re dei demoni e ligia ai doveri di massacratore. Era una voce dentro di lui forte e prepotente, che chiedeva sangue e morte e odio.
Dall’altra parte invece c’era quel lato di sé che aveva scoperto solo da poco. Era un qualcosa di altrettanto potente, che pur esile, bruciava di determinazione. Quella parte di sé lo riscaldava come nessun fuoco aveva mai fatto, lo colmava di strani sentimenti positivi e lo faceva stare bene. E soprattutto, gli gridava a gran voce di non compiere gesti efferati.

E per la prima volta Meliodas, mise in dubbio tutto quello che fino a quel momento aveva imparato e saputo. Era davvero la cosa giusta, uccidere e sterminare in nome della conquista? Era davvero la cosa giusta, considerare inferiori le altre razze? Quel mondo era così bello e felice, colorato, profumato. Niente e nessuno in quel posto lo minacciava o odiava. Così all’improvviso gli tornarono in mente parole che non ricordava di aver udito, perché erano state dette da Elizabeth mentre lui era dominato dall’oscurità, il giorno precedente. Era un qualcosa circa la sofferenza che si prova nel perdere le persone care. Lui ricordava vagamente di aver risposto con rabbia e poi di nuovo il buio.

Ci rifletté su: certo, tutte quelle persone che aveva visto per strada erano felici adesso, ma se lui avesse proceduto nel suo piano distruggendo la città sarebbero morte, o avrebbero subito perdite gravi. E allora niente sarebbe stato più lo stesso. L’aria si sarebbe riempita di pianti e grida, come nel regno demoniaco, e allora anche quel bel sogno sarebbe svanito. Lui fino a quel momento non aveva mai compreso che differenza ci fosse tra solitudine e compagnia, non aveva mai sentito sulla pelle il vero affetto. Ma adesso ne aveva avuto un assaggio e il solo pensiero di essere privato di quel dolce affetto lo faceva stare male. Aveva paura di tornare ancora solo, di sprofondare di nuovo nelle tenebre di un incubo senza fine. E allora, perché altri innocenti avrebbero dovuto provare quello stesso dolore, solo per un suo capriccio?

Si rese conto che Ban e il re aspettavano una qualunque sua risposta. Si rese conto che il re era disposto anche a morire per mano sua, e che Ban non gli avrebbe impedito di ucciderlo. Si rese conto, che la scelta era soltanto sua. E non poteva essere una scelta sbagliata.


-Io… ci ho ripensato… Mi sa che non ho voglia oggi di distruggere la città.-

Borbottò il demone. L’orgoglio pizzicava, ma mentre quelle parole uscivano, si sollevava come dal suo cuore un immenso macigno.

-Come preferisci.-

Disse il re.

-Tanta fatica per niente eh!-

Rise Ban di gusto. Alla fine, ecco il Meliodas che conosceva. Per quanto tutti lo avessero conosciuto come il demone più spietato ed efferato, Ban sapeva bene che in realtà era anche il demone con il cuore più grande di tutti. In grado di provare un amore sconfinato.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9


Nel silenzio che seguì la dichiarazione del piccolo demone, il re fece un gesto che sorprese tanto Ban quanto Meliodas: si chinò e in un movimento esperto, da buon padre di tre figlie quale era stato, sollevò Meliodas, tenendolo fra le braccia.

-Ehi mettimi giù subito! Levami le mani di dosso brutto vecchio, ora ti ammazzo sul serio!-

-Stai calmo e ascoltami adesso. Dopo un tentato omicidio ho tutto il diritto di prenderti in braccio!-

Meliodas lo minacciò ancora, pensando che questo “prendere in braccio” fosse una tecnica di lotta e che il re stesse approfittando della sua guardia abbassata per eliminarlo in quanto sicario. Ma Bartra era paziente e alla fine la ebbe vinta, così cominciò a raccontare una certa storia al il piccolo Meliodas che teneva fra le braccia:

-Vedi queste splendide terre? Sono tutte sotto il controllo del re, ed è una grande responsabilità, te lo assicuro. La salute e il benessere di ogni persona che cammina su questa terra dipendono da me. A volte sono costretto a fare scelte pericolose, come quella di oggi per esempio. Mi sono messo nelle tue mani, per un bene più grande della mia stessa vita. E tu non mi hai deluso. Ho scelto di fidarmi, e tu hai scelto l’amore. Dalle nostre scelte di oggi è dipeso il destino di questo mondo. Non è roba da nulla sai? Oggi tu hai salvato tutte le persone che ieri volevi uccidere, e hai regalato loro un altro giorno di pace.-

Ci fu una pausa. Il vecchio fece un profondo respiro. Meliodas alla fine si decise ad appoggiarsi al petto del vecchio e a godersi quegli attimi particolari. Si lasciò cullare dalle sue parole, che lo incantavano. E il panorama gli pareva sempre più bello e splendente ad ogni minuto che passava.

-Le persone che ci garantiscono la pace, noi le chiamiamo eroi. E tu Meliodas potresti essere un eroe. Anzi tu sei e sarai un eroe. Te lo posso dire con certezza, e lo sai perché? Perché io possiedo un potere molto particolare che mi permette di avere visioni riguardo l’avvenire. Ne ho avuta una, una volta. Riguardava un piccolo demone dai biondi capelli ribelli e le nostre scelte di oggi. È il motivo per cui mi avete incontrato stamattina ai cancelli, per niente sorpreso dal vostro arrivo e dalle vostre intenzioni. Ma non è stata la mia unica visione. C’è n’è un’altra, molto più grande. Una volta l’ho vista, così nitida e chiara che sembrava la realtà. Mi sembrava di poterla toccare, di poterla vivere…-

Bartra guardò Ban, che adesso era serio e ascoltava con attenzione. Ban colse l’occhiata e capì che la visione di cui il vecchio parlava, non era altro che la realtà attuale. Meliodas era rimasto affascinato dal racconto e tenne il fiato sospeso.

-E in quella visione c’era un eroe, amato e rispettato da tutte le razze, in quanto loro salvatore. Anche lui aveva dei biondi capelli ribelli, e anche lui era un demone, un grande demone, con un grande cuore. Il suo nome, era Meliodas.-

Il piccolo sentì un brivido corrergli lungo la schiena e avvampò. Quella prospettiva non gli dispiaceva affatto. A quel punto il re lo depose nuovamente a terra, e si sgranchì la schiena. Disse poi ancora:

-Ovviamente, ogni strada da percorrere ha i propri ostacoli e i propri bivi. Come dicevo, ci sono tanti rischi da correre e prove da superare. Ma alla fine, ne vale la pena. L’importante è non arrendersi mai, per quanto possa sembrare a volte buia la strada.-

E così dicendo il re volse le spalle al panorama e tornò verso l’interno. Tutti e tre insieme ripercorsero i corridoi del castello, questa volta impiegando un terzo del tempo dell’andata, poiché presero la strada più breve. Tutto era accaduto molto in fretta e Meliodas rimuginò un po' sulle parole di Bartra.


Arrivati all’uscita incontrarono un crocchio di persone, tra cui le quattro ragazze di poco prima e tre cavalieri in armatura. Ban li salutò tutti di nuovo, Meliodas passando li osservò, e loro guardarono lui in modo strano. Poi si guardarono fra loro e infine guardarono il re in cerca di risposte. Bartra liquidò Gilthunder, Howzer, Griamore, Veronica, Margareth, Guila e Jericho, dicendo che avrebbe spiegato loro tutto più tardi. I ragazzi se lo fecero andare bene, tranne Gilthunder, che seguì e raggiunse Meliodas, per poi abbassarsi alla sua altezza. Il piccolo demone vide il cavaliere in armatura pararglisi davanti. Aveva una spada attaccata alla cintura e un elmo nella mano sinistra. I due si guardarono. Poi Gil sorrise e gli poggiò una mano in testa:

-Sì, diventerai proprio un ottimo cavaliere. E quanto sarai abbastanza forte ci scontreremo sicuramente!-

Gli scompigliò un po' i capelli. E allora Meliodas rispose:

-Preparati bene perché non sarà facile battermi!-

E rise, come ogni bambino ride. Poi si girò verso Bartra, e ringraziò.
Insieme con Ban si incamminarono di nuovo attraverso la città. Sgraffignarono qualcosa per pranzo al mercato e una volta fuori dalle mura di Lyoness, presero dei sentieri tra i campi per fare ritorno al Boar Hat. Meliodas non pensava al futuro, si godeva soltanto quegli attimi irripetibili di felicità. Ormai aveva intessuto con Ban un legame davvero speciale e semplicemente l’avrebbe seguito ovunque. Scherzarono e si presero in giro per tutta la strada, finché non divenne troppo caldo per poter camminare ancora sotto al sole. Così si ripararono all’ombra di un ciliegio in frutto.


Non passò molto tempo prima che dei ritmici e pesanti tonfi scuotessero la terra e risuonassero in aria. Poi la sagoma di un enorme maiale verde uscì dalla foresta in lontananza, e la bestia si diresse dritta verso di loro. Ban si alzò flemmatico e disse:

-Sono gli altri, a quanto pare ci aspettavano e ci hanno sentiti arrivare fin da laggiù.-

-Voi andate in giro sul dorso di un maiale gigante quindi?-

Commentò il bambino.

-Stravagante vero? È un’idea del capo.-

-Che stronzata.-

Ban rise a crepapelle. In un attimo Mama-Hawk li raggiunse e dal locale sulla sua groppa scesero di corsa delle persone. Elaine per prima si gettò fra le braccia di Ban e lui la accolse con piacere. Quindi Elizabeth planò ad ali spiegate fino al suolo, per poi inginocchiarsi di fronte a Meliodas con aria apprensiva:

-State tutti bene? Avete bisogno di cure?-

I due diedero cenno di diniego. Il resto della compagnia si tenne ad una certa distanza, non ancora sicuri su come il demone avrebbe potuto reagire.

-Vi nascondete? Fate bene! E’ giusto che temiate la mia forza, miserabili!-

Esordì Meliodas, Ban gli rifilò un cazzotto in testa:

-Ora che il re ti ha parlato delle sue visioni non ti montare la testa, eroe dei miei stivali.-

-Come osi..-

E il battibecco sarebbe continuato se Escanor non fosse intervenuto:

-Avete incontrato il re?-

-Diciamo che abbiamo tentato di ammazzarlo con il suo consenso.-

Canticchiò Ban. Tutti rimasero alquanto sorpresi per quell’affermazione.

-Vi racconteremo meglio dopo, adesso entriamo, non vedo l’ora di scolarmi un buon boccale di fresca Ale, qui fuori si fonde!-

E così dicendo il peccato della volpe entrò nella taverna, che ormai giaceva al livello del suolo, dopo che Mama-Hawk si era di nuovo sotterrata. Tutti lo seguirono. Meliodas e King nell’entrare si scambiarono delle occhiatacce per poi finire con l’ignorarsi a vicenda.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10


Giunti all’interno del Boar Hat, si sedettero tutti a tavola a bere allegramente. Ogni preoccupazione pareva sparita. Le ragazze si erano raccolte attorno a Meliodas, irresistibilmente attratte dal suo aspetto infantile. A Diane brillavano gli occhi, e non fece altro che giocherellare con il ciuffo ribelle di Meliodas. Elaine rideva compostamente, mentre Elizabeth aveva un’aria più materna e protettiva. Pensò a tutte le volte in cui, nella sua eterna vita, Meliodas l’aveva vista crescere fra le proprie braccia, fino ad innamorarsi di lei ogni volta di più. La ragazza per un attimo si sentì allo stesso modo, e venne colta da un forte desiderio di abbracciarlo e proteggerlo come lui aveva sempre fatto con lei. Circondato da queste attenzioni il piccolo sedeva composto a tavola, con aria indifferente. Ma era indubbio che non gli dispiacesse e che se la stesse godendo assai. Ad un tratto venne servita altra birra, Meliodas ne afferrò un boccale e se lo scolò senza esitazione fino all’ultima goccia.

-Ahem.. non credo sia il caso cap… volevo dire Meliodas, lei dopotutto è solo un bambino.-

Commentò Escanor che stava appunto servendo la birra ai commensali.

-Sciocchezze, io sono un grande demone, non mi fa niente il vostro umano insulso liquore. Versamene ancora!-

Allora il peccato della superbia obbedì e il bambino scolò anche il secondo boccale. Dopodiché avvampò, più rosso di un pomodoro. Ban, già alticcio, circondò Meliodas con un braccio e disse ridendo:

-Il capitano ubriaco, è davvero la prima volta! Non possiamo sprecare questa occasione! Festeggiamo.-

-Ha retto comunque più di quanto faccia di solito King.-

Commentò il peccato di lussuria, e Harlequin sbottò:

-Adesso non ti ci mettere anche tu Gowther!-

-Ragazzi calma…!-

Disse Escanor, mentre serviva da bere alla sua Merlin. Lei lo ringraziò composta e bevve, mentre Ban ballava sul tavolo reggendo sulle spalle il piccolo demone. Inutile dire che entrambi bevvero ancora, nonostante Elizabeth ed Elaine fossero assolutamente contrarie.
Maliodas rideva e tutti quanti erano sereni nel vederlo felice e spensierato come non mai.

-Sapete cosa? Mio padre diceva di uccidere chiunque mi sfidasse.-

Meliodas parlò a voce più alta, richiamando l’attenzione di tutti:

-Non vedo l’ora di vedere la faccia che farà, quando saprà che gli ho disobbedito alla grande! Nishishishi.-

Proclamò ritto sulla spalla di Ban.

-Ben detto, fagli il culo a quell’egoista prepotente del re dei demoni!-

Disse Diane. Poi Ban porse Meliodas ad Elizabeth, perché il piccolo dava cenni di sonnolenza. Quindi il peccato dell’avarizia venne trascinato giù dal tavolo da Gowther, che lo lasciò per terra gorgogliante per i fiumi di alcool ingeriti. Elizabeth prese il piccolo e lo cullò per un attimo. Aveva un’aria serena.

-Quanto darebbe il Meliodas adulto per stare in quella posizione.-

Commentò King.

-Sei geloso?-

Lo puntellò Diane. Lui negò imbarazzato, cercando di sottrarsi all’ira della gigantessa. In quel momento si sentì l’eco di uno scalpitio lungo le scale e poi Hawk apparve al piano terra.

-Oh Hawk-san, dove sei stato per tutto questo tempo? È da ieri che non ti si è più visto in giro…-

Esclamò Escanor.

-Begli amici eh, maiali che non siete altro! Nessuno si è preoccupato di me, potevo essere morto!-

-Ma che disciiii tu sei invincibile maeeeestro.-

Gridò Ban dalla sua posizione prona a stretto contatto con il pavimento.

-Non è questo il punto…-

Borbottò il maialino comunque molto lusingato.

-E comunque! Non mi fate perdere la concentrazione! Merlin, se adesso hai finito con i tuoi esperimenti rispetta la promessa e riporta il capitano al suo aspetto normale!-

Tutti guardarono Merlin e Hawk in modo interrogativo. Le maga sorrise e si alzò da tavola.

-E va bene, se proprio insisti farò come dici, ma mi sembra che qui si stessero tutti divertendo un mondo. Elizabeth, porta il capitano nella sua stanza al piano di sopra e, tutti quanti, venite con noi.-


Tutti obbedirono, e dopo aver messo un minimo in ordine si diressero al piano superiore. Tutti tranne Ban, che rimase riverso a terra semi-cosciente, borbottando frasi incomprensibili. Elizabeth portò in braccio Meliodas. Strinse a sé il suo corpicino minuto e sorrise ai suoi mugolii nel sonno. Era purpureo in faccia e con quegli abiti troppo grandi per lui faceva molta tenerezza. Pareva indifeso e innocuo, nonostante tutti sapessero bene per esperienza di che furia e distruzione fosse capace. Quindi lo adagiò sul letto, e si dispose attorno ad esso come tutti gli altri.

-Che storia è questa Merlin, che cosa c’entrano i tuoi esperimenti con l’aspetto attuale del capitano?-

-Già, non era colpa dei tonici da guerra di Hawk?-

Dissero rispettivamente King e Diane. A quel punto intervenne Hawk stesso.

-Stupidi porci! Come avete fatto a farvi fregare da una menzogna come questa! I miei tonici non c’entrano, è stata Merlin.-

-Sì lo ammetto, ho giocato sporco, e il maiale qui presente ha assistito al mio incantesimo. Se così non fosse stato non avrebbe mai tratto la conclusione giusta.-

-Ehi!-

Contestò il maiale, ma Escanor lo interruppe:

-Per favore Hawk-san, lascia finire Merlin-san.-

La maga ringraziò l’uomo e poi cominciò a spiegare.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11


Merlin si schiarì la gola e sorridendo parlò:

-Come dicevo, prima del pranzo di ieri ho fatto un incantesimo ad ogni pietanza preparata da Ban. Nonostante tutti abbiate mangiato, solo Meliodas ne è rimasto vittima, questo perché ho utilizzato una formula che funziona solo sui demoni. L’obiettivo era il capitano, e volevo assicurarmi che mangiasse senza sospettare nulla.-

-Ma perché proprio lui? Cosa speravi di ottenere?-

Chiese ancora Diane.

-Quello che speravo di ottenere ed ho ottenuto, sono informazioni importanti. Delle conoscenze sulla natura dei demoni che non avrei mai potuto ricavare altrove e che non avrei resistito senza possedere. Dopotutto, il peccato che ciascuno di noi porta come fardello, non è un titolo casuale, o sbaglio.-

Il peccato dell’ingordigia guardò i compagni con fare ammiccante.

-E a questo punto si deve trattare di informazioni sull’infanzia dei demoni, dico bene?-

Disse Escanor. Merlin annuì e Gowther s’intromise.

-Riguarda lo stato di berserk in cui è caduto il capitano ieri, vero?-

-Precisamente. Mi era stato raccontato di altre occasioni in cui Meliodas era finito a combattere in quello stato, la maggior parte comprese nel periodo di tempo in cui io lo avevo privato di gran parte del suo potere. Ieri è successo di nuovo, e vedere il Meliodas bambino in quello stato ha confermato senza ombra di dubbio la mia teoria.-

-E quale sarebbe questa teoria?-

Chiese Elizabeth che sarebbe potuta apparire arrabbiata, ma in realtà era piuttosto curiosa. Quell’argomento la interessava da vicino, le sarebbe piaciuto sapere come impedire che la furia di Meliodas accecasse la sua ragione in prossime occasioni.

-E’ semplice. I demoni nascono con un immenso potere, che è insito alla loro natura ed estremamente istintivo. È alla base del loro essere, il punto su cui si sviluppa tutto il potere successivo e che rimane dentro di loro, in profondità, per sempre. È impossibile estirpare quel potere innato, infatti è pressoché tutta l’oscurità che rimase al capitano dopo che io gli sottrassi il potere tempo fa. Lui è comunque un demone potente, quindi conservò integra la ragione e controllò quel potere innato, ma in alcuni casi l’istinto prevalse e, nel tentativo di adoperare la normale forza demoniaca, venne in contatto con quella parte remota di potere, perdendone irrimediabilmente il controllo. Probabilmente lui si rendeva conto in parte di quello che gli succedeva, ma non penso avrebbe saputo spiegarmelo al meglio.-

-Sì, doveva essere consapevole di rischiare ogni volta di perdere il controllo, per questo, quando ci scontrammo con Galand a Camelot, tentò di controllarsi! Inoltre sapeva di essere stato privato del potere regolare e infatti lo reclamò presto.-

Disse con enfasi Elizabeth.

-E a Danafor?-

Domandò King.

-Anche in quel caso finì per contattare l’istinto primordiale, ma fu uno spontaneo abbandono della razionalità, per via dei forti sentimenti provati. O almeno così ho supposto. Da tremila anni a questa parte ci sono stati altri esempi di devastazioni simili in Britannia, più o meno ad intervalli regolari, così ho concluso che si trattava sempre di Meliodas. Per via della maledizione, in molte delle 106 morti di Elizabeth alle quali ha assistito, deve aver perso irrimediabilmente il controllo e scatenato la sua ira.-

Elaine pensò che fosse un racconto davvero agghiacciante. Non tanto per tutta quella distruzione portata da un solo individuo, ma per tutto il dolore che quella stessa persona aveva dovuto affrontare.

-E adesso che hai tutte queste informazioni, lo farai tornare come era prima vero? Ci deve essere un modo.-

Disse la ragazza fata.

-Certo. E lo avrei fatto anche se il maiale qui presente non si fosse immischiato.-

-Maiale a chi? Pensa per te!-

Disse Hawk. Gowther diede mentalmente ragione al maialino, in quanto Merlin era considerata il peccato del cinghiale.

-Ma dove sei stato tutto questo tempo Hawk?-

Chiese Diane. Il maiale assunse allora un’espressione imbarazzata.

-Bè, nel laboratorio di Merlin ovviamente.-

-Ti aveva sequestrato?!-

Esclamò la gigantessa.

-Ehm diciamo di sì.. una cosa del genere.-

-Più che sequestrato, corrotto è la parola giusta.-

Sorrise Merlin. Allora Hawk sbuffò punto nell’orgoglio e si giustificò dicendo:

-C’era una ciotola di avanzi che si rigeneravano all’infinito. Sfido chiunque a rinunciare ad un’opportunità simile.-

Ci fu un facepalm generale.

-S-suvvia Hawk-san, ognuno ha la sua parte di colpa. Alla fine è tutto bene quel che finisce bene.-

S’intromise Escanor da buon rappacificatore. Quindi Merlin estrasse infine una boccetta di vetro dal mantello, il cui contenuto non era altro che una fina e chiara polvere luccicante. Ma prima che Merlin potesse anche solo aprire il piccolo contenitore, Ban irruppe nella stanza in modo poco elegante. Era ancora rosso per la sbronza, ma tenendosi alla parete riusciva a stare in piedi. E, differentemente da poco prima, aveva smesso di ridere come un cretino e aveva un’espressione piuttosto seria in volto.

-Idioti, vi siete assicurati che il capitano non stesse origliando?-

Tutti si voltarono allora verso il bambino. Sembrava profondamente addormentato. Ban sperò che dormisse davvero.

-Ban, perché Meliodas non dovrebbe sentire le nostre conversazioni?-

Chiese Elaine.

-Sono successe delle cose importanti in questi due giorni, compreso l’incontro con il re Bartra. E in quell’occasione mi è sembrato di capire che tutto questo fosse previsto. Il re ha avuto delle visioni sull’arrivo al castello di Meliodas bambino ed ha agito con estrema cautela. Tutto quello che è successo e che sta succedendo adesso potrebbe davvero determinare o cambiare il corso della storia.-

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12


Così Ban raccontò a grandi linee gli avvenimenti di quella mattina e concluse riprendendo il discorso iniziale:

-Il re ha dunque impartito delle lezioni al capitano, come le sue visioni gli indicavano, e ha retto il gioco della distruzione della città. Sapeva perfettamente cosa fare, forse perché questo è davvero un avvenimento fondamentale per la storia di questa terra. Quello che voglio dire, è che probabilmente il Meliodas bambino di adesso, si sveglierà nel passato con questi ricordi. E il corso degli eventi potrebbe cambiare, se non lo ha già fatto. Quindi, se non possiamo cancellare tutto questo, almeno facciamo in modo che non capisca cosa sia successo, con la speranza che nel tempo si dimentichi di tutto.-

Quel discorso aveva veramente senso. Pensò King. Ed era un problema proprio per questo. Per una volta Ban stava ragionando in modo eccellente. Che alla fine l’alcool non gli facesse poi così male?

-Sono d’accordo con te Ban. Avremmo dovuto fare più attenzione. Ma adesso quel che è fatto è fatto. Non ci resta che riportarlo alla normalità e osservare con prudenza quello che succederà poi.-

Disse Elizabeth. Merlin estrasse la polvere e raccomandò così i suoi compagni:

-Non fate parola con Meliodas di quello che è accaduto in questi due giorni. Eviteremo così che ricordi qualcosa dal suo lontano passato. State pronti a qualunque reazione lui potrebbe avere risvegliandosi.-

E la maga scagliò la polvere sopra il piccolo demone addormentato. Una luce si sprigionò nuovamente dal corpo del capitano dei sette peccati capitali. Tutti furono costretti a distogliere lo sguardo. E quando furono di nuovo in grado di vedere, seduto sul letto, trovarono il Meliodas di dimensioni normali.

-Yo.-

Li salutò.

-Tutti qua radunati, c’è qualcosa che non va?-

Ogni reminiscenza della sbornia precedente sembrava scomparsa, e con essa, la personalità infantile del piccolo Meliodas. Pareva ritornato il ragazzo di tutti i giorni. Prima che chiunque altro potesse anche solo formulare una scusa qualunque, intervenne Gowther dicendo:

-Poco fa a pranzo sei caduto addormentato sul tuo stesso piatto, così ti abbiamo portato a letto preoccupati, e ci siamo radunati tutti qui. Ma alla fine abbiamo scoperto che era colpa di Ban, per aver confuso lo zucchero con un sonnifero di Merlin e averlo messo nella torta che solo tu in quel fino a quel momento avevi mangiato. Ben sveglio capitano.-

La bambola sorrise. Ban annuì confermando la storia appena raccontata e anche Merlin diede cenni di assenso. Tutti quanti si sorpresero dell’abilità di Gowther, che aveva tirato fuori quella bugia perfettamente architettata in così poco tempo. E pensare che fino a qualche tempo prima, Gowther non era minimamente in grado di mentire, e una volta aveva persino chiesto l’aiuto dei propri compagni per imparare a farlo. Meliodas parve bersi la menzogna e disse in risposta:

-Sapevo che avrei dovuto cucinare io!-

Tutti quanti esposero il loro dissenso riguardo quell’affermazione e il capitano rise. Poi si alzò:

-Ragazzi, andiamo. La giornata di pausa è finita. Da domani riprendiamo la regolare attività, e dobbiamo muoverci verso Bernia per stanziarci là. Inutile dire che non vedo l’ora.-

Era il solito capitano. Nessuno notò la benché minima differenza nel suo comportamento rispetto al solito.
La serata passò tranquillamente, nessuna parola o azione fuori dal comune da parte di Meliodas. Sembrava proprio che tutti gli accorgimenti di Ban si fossero poi rivelati inutili.


Quella notte fu tiepida e piacevole. Alcuni dormirono beandosi del dondolio del loro mezzo di trasporto, che procedeva nel buio della notte, attraverso terre silenziose. Altri si amarono con passione, fra lenzuola candide e profumate.

King amò Diane, cullandola in un abbraccio delicato ma sicuro, e la amò tanto intensamente quanto era stato lungo il tempo in cui il destino li aveva tenuti divisi. E Diane si lasciò cullare, per una volta piccola e indifesa. Si lasciò stringere, e proteggere, come da sempre aveva desiderato. Come una qualunque ragazza. Dondolarono nella magia di quegli attimi preziosi e si baciarono 
dolcemente, finché entrambi non caddero addormentati.

Ban danzò con Elaine e i loro corpi furono uno. Lui la rubò come da sempre le aveva promesso e per sempre avrebbe fatto. Perché lei era sua e di nessun altro. Perché la amava. Ed Elaine danzò con lui, come aveva danzato solo nei propri sogni più belli. E non desiderò altro al mondo, che essere rubata ancora dal suo Ban. Anche loro infine scivolarono nell’oblio del sonno, mentre la melodia del loro ballo risuonava ancora dentro di loro.

Elizabeth e Meliodas rimasero a lungo in silenzio e vissero per qualche attimo ciascuno negli occhi dell’altra. Condivisero un’unica anima. Respirarono i reciproci respiri. Assaggiarono le reciproche lacrime. Lacrime di gioia. Perché dopo tutto quel tempo, era troppo bello essere finalmente insieme, senza temere più per l’incombente destino che da sempre li aveva separati. E si abbracciarono, e si carezzarono dolcemente e si baciarono ancora. Nessuna parola avrebbe potuto suonare più bella, dello schiocco delle loro labbra. E poi piansero ancora, perché il loro amore era così grande, e il tempo per consumarlo non sarebbe mai finito. Poi sorrisero, annegarono in quei sorrisi, l’uno nella bocca dell’altra. L’una fra le membra dell’altro. Avvinghiati per sempre.


Venne l’alba. Meliodas si svegliò, e trovò di fianco a sé la sua Elizabeth. Si alzò piano per non svegliarla, ed indossati camicia e pantaloni, scese le scale. Uscì dalla taverna, l’aria fresca del mattino lo colpì in faccia, e spettinò ancor di più i biondi ciuffi ribelli. Il cielo cominciava a tingersi del sole nascente. Le colline si stagliavano all’orizzonte come uno scuro mare ondeggiante. Il capitano dei sette peccati capitali avanzò sulla testa di Mama-Hawk e si affiancò all’amico Ban, che per coincidenza in quello stesso posto nello stesso momento aveva deciso di recarsi.

-Ha sempre un non so che di affascinante l’alba, non trovi?-

Commentò Meliodas, in piedi.

-Se lo dici tu, dopo 3000 anni di albe, allora deve essere così.-

Rispose Ban, seduto lì accanto. Si godettero il silenzio e la pace. Poi Meliodas pose una mano sulla testa del compagno. Ban lo guardò per un attimo senza capire.

-“…uno stupido gesto da umani, o forse un grande gesto di affetto... Vuol dire che ti vogliamo bene, che ti puoi fidare…”-

Il demone pronunciò quelle parole guardando l’orizzonte. Sorrise.

-Era cosi vero? Correggimi se sbaglio nishishishi.-

-Ma allora tu… Stavi fingendo, ricordi tutto!-

Esclamò Ban. Meliodas però era tranquillo, come al solito. Si sedete di fianco al compagno e dopo un’adeguata pausa disse ancora.

-Bè in realtà non ho mai dimenticato. È solo che, come si sa, i sogni sono effimeri e delicati. Piano piano svaniscono nella memoria. Ma la verità è che non se ne vanno mai passando del tutto inosservati. Specialmente se contengono ricordi preziosi e insostituibili.-

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13


-Capisco.-

Rispose Ban dopo quella rivelazione. Quindi Meliodas proseguì nel suo racconto.

-E in effetti per molto tempo è un sogno, che ho creduto essere, quei ricordi. Un bel sogno estremamente realistico. Ma era stato fin troppo bello, e fin troppo inspiegabile. A lungo ho portato con me le parole che tu e Bartra mi diceste. Ma non contribuirono a migliorare la mia situazione nel regno dei demoni, anzi, resero il bambino che ero sempre più triste e desideroso di ritrovare quella meraviglia perduta. Dopo molti conflitti interiori, finii per classificare il mio ricordo come uno stupido e infantile intralcio verso il mio futuro da erede del re dei demoni. Cacciai via ogni sentimento, quasi arrendendomi a quel destino scelto da altri per me. Inutile mentire: per un po' questa decisione mi portò soddisfazioni e riconoscimenti. Le sofferenze erano finite. La mia forza demoniaca aumentava ogni giorno che passava, e i mio animo si oscurava sempre di più.-

Il sole fece capolino sopra le colline, irradiando lance di luce dorata che fendettero le tenebre dormienti del mondo.   

-Poi arrivò Elizabeth. Lei mi parlò, oltre a darmele di santa ragione. E fu come se una debole fiammella si accendesse di nuovo in me. Reminiscenza di un tepore lontano. Lei mi era familiare, la sua voce, il suo aspetto, ogni cosa di lei mi portava a provare un piacere inspiegabile. L’amore fiorì di nuovo nel mio cuore. E allora non mi seppi spiegare il motivo, come avrei potuto? I ricordi di quel sogno lontano, ormai non esistevano più nella mia memoria. Non c’era verso di riesumarli dopo averli seppelliti con tanto odio e sangue. Ma quell’amore, poté fiorire soltanto perché il terreno su cui nacque era già stato in precedenza seminato e innaffiato con cura. In altri termini, senza le parole di Bartra e tue, non mi sarei mai potuto innamorare di Elizabeth, e quindi niente di tutto ciò che è accaduto finora sarebbe stato lo stesso. Nessuna sofferenza, ma nemmeno nessuna gioia. E queste gioie, sono valse ogni dolore.-

Ban cominciava a capire. E cominciava a comprendere le azioni quasi sconsiderate compiute dal re il giorno precedente, pur di compiere il proprio dovere. Ne era dipeso l’intero corso della storia da tremila anni a quella parte. Si sentì parte di un grande disegno superiore e non poté fare a meno di rimanere un attimo senza parole. Riflesse un po' su quanto appena appreso. Infine domandò:

-Ma allora, se non è con Elizabeth che hai ricordato tutto quando, quando è successo?-

-Le mie storie sono tutte lunghe, mi dispiace, ma altrettanto lunga è stata la mia vita. Bene, ti spiegherò. Questa volta il racconto comincia da Danafor, la città che sedici anni fa ho finito col distruggere. Lì conobbi Liz, la 106ª reincarnazione di Elizabeth. Insieme andammo a vivere in una casetta appena fuori dalle mura delle città. Sentivo che quel posto aveva qualcosa di particolare, mi portava a provare sensazioni strane e dall’origine ignota, come se appunto mi richiamasse memorie lontane e perdute. Mi sentivo bene ed in pace. Eravamo molto felici. Con lei vissi alcuni dei migliori ricordi da centinaia di anni a quella parte. Eravamo entrambi cavalieri. Vestivamo le insegne di Danafor e le sue divise. Combattevamo fianco a fianco. Poi tutto finì, e la mia ira esplose senza ritegno come non faceva da molto tempo. Distrussi ogni cosa, incapace di contenere il dolore straziante che si tramutava in rabbia. Da quel momento molte cose accaddero, e finii per incontrare una dopo l’altra, tutte le persone che erano state presenti in quel mio vecchio sogno. Prima il re Bartra, di cui divenni sottoposto e cavaliere. Poi il piccolo Gil, al castello del re. Successivamente con Merlin decidemmo di fondare i sette peccati capitali, e quindi uno ad uno conobbi voi. Ed ogni volta, sapevo che eravate quelli giusti, perché me lo sentivo dentro. Un pezzo dopo l’altro, qualcosa dentro di me si stava ricostruendo. Riaffioravano sensazioni e frammenti di discorsi. Colori, odori, sentimenti. Ma mancava ancora qualcosa. Ancora non riuscivo a vedere bene l’insieme. Ed era frustrante. Non riuscivo a capire. Solo ieri finalmente, il cerchio si è chiuso. Mi viene da ridere a pensarci, per quanto sia una banalità assurda. Ho ricordato, solo per via degli stessi vestiti che ora indosso.-

Ban non capì immediatamente a cosa si riferisse Meliodas.

-Quando ieri sera mi sono svegliato, mi sono ritrovato addosso vestiti strani, che non ricordavo di essermi messo o di possedere. Erano arrocciati e accorciati. Vestiti con lo stemma di Danafor, puoi vederlo tu stesso, qui davanti, grande sulla camicia. E in un attimo ho rivissuto quegli attimi, il mio sogno, il mio ricordo. L’ho visto e sentito sulla pelle, reale, vicino, come se non si fosse svolto in un passato lontanissimo, ma appena qualche secondo prima. Tutto si è ricollegato. Tutto si è fatto chiaro, anche se non è semplice da spiegare. Da piccolo ho indossato questi vestiti e dormito in quella casa fuori dalle mura. A Danafor i ricordi hanno cominciato a tornare, sollecitati dalle somiglianze con ciò che si svolse quando ero un bambino. E ieri, con questi vestiti, gli stessi identici che indossavo nel mio sogno, ho ricordato ogni cosa. Li ho riconosciuti, ed è stato come non essermeli mai levati per 3000 anni. Come vivere in un loop.-

Ban rise. Era davvero una storia incredibile, persino per lui che l’aveva vissuta e aveva contribuito a far sì che si svolgesse. E rise anche perché, proprio dei vestiti gli avevano fatto ricordare, e non le persone stesse.  

-Ban spiegami un po' come avete fatto a far vivere quelle cose al me bambino. Sono 3000 anni che me lo chiedo. Scommetto che si tratta di qualche potente incantesimo. C’entra Merlin vero? Gowther non sa proprio mentire...!-

E allora il peccato della volpe gli spiegò per filo e per segno come erano andate davvero le cose. Alla fine anche Meliodas rise e disse:

-Secondo me fa tutto parte di un suo piano, è Merlin che ha sempre tirato le fila di queste complicate vicende. Non può essersi trattato di un suo semplice capriccio in nome della conoscenza, arrivare a riportarmi bambino e finire col cambiare per sempre la storia. Lei sa cose oltre l’immaginabile e vede più in là di chiunque altro, forse più in là persino di Bartra. Deve aver abilmente calcolato ogni cosa, persino il momento preciso in cui lanciarmi l’incantesimo. Non lo escluderei.-

-In ogni caso eccoci qua capitano.-

-Eccoci qua.-

Convenne Meliodas. Ormai l’alba era giunta. Il cielo aveva transitato dal blu al rosa e adesso volgeva verso l’arancio. Il peccato d’ira prese un profondo respiro.

-Grazie Ban.-

-Per cosa?-

-Te lo devo da allora, ricordi? Bastardo che non sei altro.-

-Ahhhh capitano, nessuno è bastardo quanto te.-
 




FINE

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Capitolo 14
*** Capitolo Speciale ***


SPECIALE

Capitolo 14



Gowther ed Escanor erano tutti e due mattinieri e instancabili lavoratori, così entrambi erano scesi presto al piano terra per pulire e preparare la colazione. Inevitabilmente avevano finito per scorgere i loro altri due compagni, il capitano e Ban, che parlavano seduti sul muso di Mama-Hawk. Gowther ad un tatto disse:

-Se vuoi posso fare in modo che anche noi sentiamo quello che hanno da dirsi di così segreto.-

Escanor per un attimo fu tentato. Poi cambiò idea.

-No. Lasciamo che il discorso tra uomini che stanno avendo rimanga tra loro. Ho come l’impressione che parlino delle loro avventure notturne. Li hai sentiti, tutti quanti, come si divertivano sta notte vero?-

Il peccato della superbia distolse lo sguardo con aria affranta e sconsolata. Gowther allora si avvicinò piano, e toccò la spalla del compagno.

-Escanor…-

Escanor sentì la voce di Merlin alle sue spalle. Si voltò e vide i lineamenti e i capelli di Merlin... sulla faccia occhialuta di Gowther. Il suo cuore, che aveva perso un battito per l’emozione, ne perse un altro per l’orrore.

-Non mi guardare con quella faccia, e non mi parlare con quella voce! Sparisci se non vuoi finire male. Sto per arrabbiarmi!-

Gridò il peccato del leone.

-Va bene, va bene, cercavo solo di essere d’aiuto...-

Rispose la bambola tornando al suo aspetto abituale. I due rimasero in silenzio per un po', fra l’imbarazzo generale per la piega che i discorsi avevano preso quella mattina. Hawk, che dormiva in un angolo della cucina, borbottò nel sonno circa degli avanzi infiniti:

-Tutti ingrati… Sono io che ho sventato i piani di Merlin… Nessuno di quei maiali mi ha nemmeno ringraziato… Rivoglio i miei avanzi magici…-

Escanor sorrise. Stava lucidando un bicchiere, quando Gowther parlò ancora:

-Ma quindi alla fine non c’è stato bisogno che Meliodas facesse la cacca, giusto?-

-Ehmmm, no… se non era un tonico di Hawk allora no. Non penso almeno, voglio dire, l’hai vista benissimo anche tu Merlin che lanciava la polvere, che domande strane fai?!...-

Escanor sospirò ancora più imbarazzato. No, non avrebbe mai avuto una conversazione normale con quel Gowther. Doveva rassegnarsi. Pianse in silenzio e compose un poema in nome del suo amore per Merlin, purtroppo non corrisposto.

 
“Rose rosse,
impareggiabile bellezza
rara perfezione
uniche tra i fiori
Così…
paiono innocue
e vale la pena
qualche ferita
per curare i miei fiori
 
E le rose sono sempre
più rosse, perfette
e irte di spine,
quale dannata bellezza
Così…
pungono assai
impassibili
pungono e nuocciono
al giardiniere fedele
 
Merlin,
 mia splendida, inarrivabile rosa
ti amo.”
 

-Poesia vana di un uomo affranto. L’uomo che nella solitudine parla d’amore, perché l’amore desidera. Purtroppo però l’amore è come una lama a doppio taglio, bello ma doloroso e…-

-Escanor se le spieghi perdono il bello, lo dice sempre anche il capitano…-




 
FINE (davvero)




***************************************
"A LITTLE DEMON
♥"  termina qui.

Salve e grazie mille a tutti voi che siete arrivati fin qua.
Non fatevi scrupoli nel lasciare qualche piccola recensione, ne sarei estremamente felice!
Spero abbiate apprezzato la mia breve fanfiction, con i suoi alti e bassi, e magari anche questo mini capitolo extra che mi sono divertita molto ad inserire. 
Detto questo addio.
A meno che un giorno non mi prenda di nuovo l'idea di scrivere a proposito di Nanatsu no Taizai. Adoro alla follia questo manga e di conseguenza anche la versione anime, e mi dispiace che in questo sito, a quanto pare, non sia una serie poi così popolare o conosciuta.
In questo caso alla prossima


Yume 18
 

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