Not on my watch

di LondonRiver16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scommessa ***
Capitolo 2: *** L'attesa ***
Capitolo 3: *** Sissignore ***
Capitolo 4: *** Non finché ci sarò io ***



Capitolo 1
*** La scommessa ***





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1. La scommessa

 

 

I'm sorry for everything
Oh, everything I've done
From the second that I was born

It seems I had a loaded gun

(Shots, Imagine Dragons)

 

 

Dean fermò l’auto appena in tempo per non mandarla a sbattere contro il cancelletto della veranda. La frenata fu l’equivalente di uno strillo, capace di squarciare la serenità della notte come un pugnale contro un velo di seta, e il ragazzo si maledisse per non aver riflettuto prima di agire. Avrebbe potuto pensarci prima. Essere cauto. Parcheggiare lontano, così da fare meno chiasso.

- Merda - mormorò come se una sola parola potesse rimediare all’errore, strappando via le chiavi dall’auto prima di lanciare un’occhiata irrequieta alla casa.

Se ci fosse stato qualcuno, rifletté, a quell’ora l’inchiodata impietosa della Chevrolet Impala l’avrebbe svegliato. Ma nessuna luce era stata accesa, tutto rimaneva immobile malgrado Dean sentisse il cuore battergli forsennatamente contro una cassa toracica che minacciava di esplodere. Forse l’abitazione era davvero ancora vuota.

- Okay - sussurrò, più per incoraggiare se stesso che il suo passeggero. - Okay, andiamo.

Con un balzo di tutto rispetto per il suo addestramento da cacciatore, uscì dall’auto, chiuse la portiera con tutta la grazia che trovò e raggiunse quella del passeggero con pochi passi decisi, senza mai smettere di gettare sguardi concitati all’abitazione silenziosa.

Quando aprì nuovamente l’Impala, si concesse un momento per osservare come si era ridotto Sam e sospirò abbattuto: suo fratello era zuppo dalla testa ai piedi. Sotto la spessa coperta di lana che un vigile del fuoco gli aveva messo addosso, i suoi vestiti estivi gocciolavano quanto le ciocche di capelli e l’adolescente tremava violentemente per il gelo che doveva esserglisi infiltrato nelle ossa. Le mani, paonazze, stringevano i lembi della coltre; i piedi, coperti solo da calzini che ormai sembravano alghe masticate, non avevano mai smesso di strofinarsi uno contro l’altro nel vano tentativo di recuperare almeno una scintilla di calore.

Sedici anni di pane perso, aveva pensato Dean con fare implacabile quando, nemmeno un’ora prima, aveva capito in che razza di guaio si fosse ficcato Sam.

Ma nell’istante in cui si era ritrovato davanti suo fratello minore bagnato come un pulcino e senza scarpe, miracolosamente illeso benché reduce da un tuffo nel tratto più profondo e pericoloso del fiume, il suo cuore si era ammorbidito al punto che non aveva potuto fare altro che soffocarlo in un abbraccio. Lo sguardo terrorizzato con cui Sam aveva accompagnato il racconto del vigile del fuoco, grazie al quale Dean aveva saputo tutto, aveva convinto il maggiore di quale fosse la priorità del momento. E sorprendentemente, non si trattava di prendere a sberle Sam fino a fargli dimenticare perfino come si chiamasse.

Una volta venuto a conoscenza della festa e del tasso alcolico che era stato trovato nel sangue di Sam e dei suoi cosiddetti amici - compagni di tuffi suicidi nella corrente gelida, sarebbe stato meglio chiamarli -, Dean aveva lanciato un’occhiata esasperata a suo fratello minore. Ma poi aveva implorato il vigile del fuoco di lasciare che lo scapestrato tornasse a casa con lui senza prima passare dalla stazione di polizia. Sia Dean che Sam sapevano cosa ciò avrebbe comportato: Sam non sarebbe stato autorizzato a uscire di lì se non accompagnato da un tutore, e Dean non avrebbe potuto passare come tale dinnanzi a un poliziotto sospettoso. Avrebbero dovuto aspettare che John venisse rintracciato e si degnasse di andare a prendere il figlio minore.

Sempre che creda sia conveniente farlo, aveva riflettuto Dean, ricordando la volta in cui suo padre era stato capace di lasciarlo nelle mani della giustizia per due mesi pur di punirlo per aver rubato del cibo.

- La prego, me lo lasci portare a casa - aveva supplicato, appellandosi alla bontà che era riuscito a scorgere negli occhi del giovane volontario che aveva contribuito a salvare l’incauta combriccola. - Ha fatto una stronzata, lo so, ma è un bravo ragazzo. Non lo farà mai più, mi creda. Non è vero, Sam?

Suo fratello aveva annuito con veemenza, distribuendo goccioline di fiume tutt’attorno.

- È la procedura, ragazzi - aveva opposto resistenza il vigile del fuoco.

Al ché Dean non si era vergognato di afferrargli la mano.

- La scongiuro - aveva rimarcato. - Suo padre… nostro padre non gliela farebbe passare liscia se dovesse andare a recuperarlo alla polizia. La prego.

Sensibile all’urgenza nei suoi occhi, il vigile finalmente aveva capitolato.

- E va bene - aveva sospirato, mettendo una mano sulla schiena di Sam per spingerlo delicatamente verso Dean. - Se prometti che lo farai visitare da un medico.

- Promesso! - aveva esclamato Dean, già guidando il fratello verso l’Impala parcheggiata poco più in là. - Grazie infinite, signore, grazie!

Aveva atteso di essere in auto per rifilare uno scapaccione liberatorio sulla nuca del sedicenne.

- Ma che cazzo, Sam?!

- Scusa, Dean - aveva risposto lui, già singhiozzante in mezzo a tutto quel tremore incontrollabile. - S-scusa…

- Okay, spiegazioni rimandate. Devo riportarti a casa e metterti a letto prima che torni papà, altrimenti…

Non aveva nemmeno avuto la forza o il coraggio di completare la frase, ma si era messo a guidare con rabbia per allontanarsi il più in fretta possibile da quella maledetta curva del fiume.

- M-mi d-dispiace, Dean, m-mi dispiace…

I singulti di Sam avevano seguito l’incedere dell’Impala finché il freddo non aveva avuto la meglio sul senso di colpa. E ora eccolo lì, il suo fratellino. Di nuovo a casa, sì, ma sull’orlo di una polmonite. Dean deglutì il vuoto, scrutandolo e pregando che non accadesse niente del genere.

Dannato te e dannati i tuoi amici del cazzo, Sam, maledisse silenziosamente prima di aiutare il sedicenne a rimettersi in piedi.

- Forza, fratellino - lo incitò, mettendogli un braccio attorno alle spalle e tirandolo su, cercando di essere saldo per contrastare il suo tremore. - Non riuscirò mai a sollevarti, perciò coraggio, un passo alla volta. Solo fino in camera. Vieni, Sam.

Gli si rivolse col tono più dolce che conosceva, preoccupato a morte che le forze gli venissero meno da un momento all’altro. Gli effetti dello shock termico erano spaventosi. La sua pelle era fredda e umida, le labbra livide e in perenne movimento. Dean doveva evitare di guardarlo in faccia per non stare male per lui, perciò si concentrò sui loro piedi.

- Gli scalini della veranda, Sam… bravo. Ora mi servono le mani per aprire la porta, tu reggiti a me, okay? Forza.

Finalmente furono in casa. Dean accese la luce nell’atrio e chiuse il battente alle loro spalle prima di portare la mano di suo fratello al corrimano.

- D’accordo, ora mancano solo le scale. Coraggio.

Era consapevole di star confortando se stesso quanto Sam, in quel frangente. L’agitazione e la fatica avevano iniziato a farlo sudare e non vedeva l’ora di poter rimettere in sesto suo fratello con una doccia calda, metterlo sotto le coperte, fargli bere del brodo bollente e magari anche una tachipirina per prendere in contropiede la febbre.

La casa era silenziosa, oltre i loro respiri affannati, e buia com’era sembrata a un’occhiata esterna. Fu anche per questo che, quando la luce del soggiorno si accese all’improvviso, Dean ebbe la sensazione che dieci anni della sua vita fossero appena andati in fumo. Ma fu niente in confronto all’apparizione di una figura stoica sulla soglia del salotto.

- Dove eravate finiti? - scandì suo padre, con dardi al posto degli occhi.

Dean, fermo sul secondo gradino assieme a un Sam semi-incosciente, credette che stesse per mettersi a urlare come mai prima. Ma non appena lo sguardo di John si posò sul figlio minore, alla collera si sostituì il panico.

- Che cosa è successo? - soffiò.

Dean comprese che, ancora una volta, le spiegazioni esaustive potevano aspettare. Suo padre, in quel momento, era in apprensione per Sam quanto lo era lui.

- Il fiume - disse soltanto. - Sta congelando, papà, dobbiamo…

- Di sopra - sentenziò l’uomo, finalmente accorrendo per sollevare Sam e facendo un cenno secco al maggiore. - Apri l’acqua calda in bagno, presto. Corri!

Dean scattò come il bravo soldato che era, lasciandosi alle spalle i passi pesanti del padre per raggiungere il piano superiore, infilarsi in bagno e aprire il getto della doccia. John arrivò e fece sedere Sam sull’unico sgabello presente, intimando a Dean di aiutarlo a togliergli di dosso gli abiti fradici.

Accorgendosi dei suoi occhi chiusi e della pesantezza dei suoi arti, John schiaffeggiò il figlio minore più volte, anche se senza troppa convinzione.

- Sam. Sam! Svegliati! Sam! Riprenditi, dannazione!

Una sberla più forte delle precedenti fece sussultare il sedicenne, che annuì e si fece aiutare a togliere la maglietta, cui seguirono i calzini, i jeans e i boxer. Dean deglutì mentre aiutava il fratello a entrare nel box doccia, ma fu bene attento a evitare lo sguardo di suo padre. Anche quando lui gli parlò, una volta che Sam fu sotto il getto di acqua calda e loro due in ginocchio accanto alla doccia.

- Chi lo ha soccorso?

- I vigili.

- Sanno il suo nome completo?

- No, signore.

- Ne sei assolutamente certo?

- Sissignore.

Dean udì John sospirare di sollievo proprio mentre i brividi di Sam si attenuavano, e si morse un labbro. Suo padre era contento, se così si poteva dire, che la copertura non fosse saltata, o meglio, che Sam avesse attirato l’attenzione senza conseguenze per il suo lavoro. Era lo stesso motivo per cui non avrebbe portato il figlio al pronto soccorso, se proprio non fosse stato obbligato.

Non appena si accorse che Sam stava riprendendo un colorito più simile all’umano che al bluastro, John si rimise in piedi e squadrò il figlio maggiore dall’alto.

- Assicurati che si scaldi per bene, poi aiutalo a mettersi a letto. Vado a preparargli qualcosa di caldo.

Dean annuì, continuando a fissare l’espressione del fratello, ora meno sofferente e quasi soltanto esausta. Ma per suo padre non fu sufficiente.

- Dean - lo chiamò, pretendendo di avere i suoi occhi nei propri. - Una volta che avrai finito con lui, ti aspetto in salotto. Voglio che tu faccia rapporto.

Dean deglutì. Aveva sperato che suo padre avesse pietà anche della sua stanchezza.

- Stasera? - ebbe l’ardire di domandare, ma quando John lo fulminò chinò il capo in segno di obbedienza. - Sissignore.

L’uomo stava per marciare fuori dal bagno quando un inatteso mugolio da parte di Sam lo fece attendere. Dean si chinò rapidamente sul fratello accoccolato sul fondo della doccia, inquieto.

- Hai detto qualcosa, Sammy?

Sam prese un respiro profondo, per quanto arduo fosse riuscirci tra un sussulto e il successivo, ma poi riaprì gli occhi e cercò lo sguardo severo di John Winchester.

- È colpa mia. La… la colpa è mia - balbettò con un filo di voce pronto a spezzarsi. - Non pren- non prendertela con Dean.

Dean osservò di sfuggita la reazione di suo padre, ma non ve ne fu nessuna di visibile. John Winchester riprese il suo cammino senza una parola, lasciando i figli a chiedersi cosa gli vorticasse nella mente.

È incazzato come una bestia, si costrinse a ricordare Dean. Inutile ipotizzare che sia altrimenti.

Dopo un ammontare di tempo che si dilatò di fronte alla sua percezione, Dean passò il termometro al fratello perché si misurasse la temperatura.

- 36,5 C° - lesse poi sullo schermo, sentendo il cuore sgonfiarsi di tutta l’ansia in un unico spasmo. - Perfetto. Oddio, quasi non ci credo.

Sam, spossato, fece spallucce dinnanzi alla sua allegria e si lasciò aiutare per uscire dal cubicolo. Si arrangiò ad asciugarsi e a infilarsi il pigiama, ma preferì appoggiarsi al braccio di suo fratello nel tragitto fino alla camera che condividevano. Non appena premette l’interruttore della luce, Dean notò le coperte extra che erano state appoggiate sul letto di Sam - quello in fondo, attaccato alla parete, rasente la finestra -, la borsa dell’acqua calda vicino al cuscino e la tazza fumante sul comodino, accanto all’abat-jour e al legal thriller che Sam stava leggendo dalla fine di aprile.

- Papà ha pensato a tutto - disse Dean al fratello, cercando di rincuorarlo dopo l’esperienza di ipotermia scampata per quello che doveva essere un miracolo. - Starai bene, vedrai.

Sam si dimostrò straordinariamente docile nell’infilarsi sotto le lenzuola e nel sorbire almeno qualche sorso di brodo caldo quando suo fratello insistette. Dean immaginò si sentisse in colpa per tutto lo scompiglio che aveva creato a un’ora tanto infame e ne ebbe la conferma pochi minuti dopo.

- Dean, mi dispiace così tanto.

- Lo so - replicò l’altro istintivamente.

- È stato così stupido da parte mia, io… non avrei dovuto accettare la scommessa, è stato da idioti tuffarsi…

- Sì, lo è stato - confermò Dean con un sorriso stanco, sia per calmarlo che per interrompere quella fiumana di parole. - Ora però voglio che pensi solo a recuperare le forze. Parleremo di questa storia quando sarò sicuro che stai bene.

Sam fece per opporsi, ma la fermezza di Dean lo fece assentire malvolentieri. La tregua durò solo un battito di ciglia, però, perché Dean si ritrovò subito addosso gli occhi del sedicenne, ora umidi di lacrime trattenute.

- Dean, ti giuro, te lo giuro, non sarei mai uscito di nascosto se avessi saputo che papà sarebbe tornato proprio stasera.

- Ah, è questo il tuo modo di dirmi che rispetti la mia autorità? - replicò Dean, alzando un sopracciglio ma senza calcare sul tono sarcastico.

Ora che Sam somigliava di nuovo alla sua versione da vivo, il sollievo lo invogliava perfino a scherzare, ma suo fratello era dannatamente serio.

- No, volevo dire che… non volevo che la responsabilità ricadesse su di te ai suoi occhi, ma lui…Dean, digli anche tu che è stata tutta colpa mia, che me la sono andata a cercare e che tu non c’entri niente.

- Sam…

- Ti prego.

- D’accordo - mentì Dean, soffiando. - Se in cambio ti darai una calmata e ti metterai a dormire, va bene?

Sam indagò gli occhi di suo fratello, quindi fece cenno di sì con la testa, riluttante.

- Finalmente! - esclamò Dean, allargando le braccia con fare esasperato prima di allungare una mano a scompigliargli i capelli. - Riposa. Domani avrai delle belle spiegazioni da dare, papà o non papà. Mi hai fatto morire di paura, razza d’imbecille.

- Dean?

Il ventenne era già sulla soglia e stava per spegnere la luce quando la sua voce lo trattenne una volta ancora.

- Sì?

- Grazie di avermi recuperato. Di avermi risparmiato il commissariato e… di avermi ripescato dai ghiacci.

Dean socchiuse le labbra, incerto dinnanzi all’espressione da cucciolo riconoscente che Sam aveva ancora appiccicata addosso dall’infanzia. Avrebbe voluto dire “Aspetta a ringraziarmi. Ancora non ho idea di come ti salverò il culo da papà, stavolta”. Ma alla fine si cavò un sorriso dalle labbra.

- Non c’è di che, stronzetto.

- Fesso - bofonchiò distintamente il sedicenne.

- Buonanotte, Sammy.

Spense la luce, accostò la porta della stanza. Poi ci ripensò e la chiuse cautamente prima di inspirare tutta l’aria che i suoi polmoni erano in grado di sopportare e avviarsi in direzione delle scale. Suo padre lo stava aspettando al piano terra e a Dean sembrava di poter già sentire l’aria sfrigolare.








Angolino dell'autrice

Ciao a tutte/i!

Ho iniziato ad avventurarmi nell'universo di Supernatural soltanto qualche giorno fa, eppure non sono riuscita a frenarmi dal cominciare a scribacchiare forsennatamente su questa storia. Chi mi conosce potrebbe dire che dove c'è un personaggio con un padre più o meno difficile, prima o poi arrivo io.

Ancora non so dire quanti capitoli avrà questa storia, ma penso saranno almeno tre.

Grazie di aver letto il primo capitolo di questo sfogo da fan pivellina! Ci vediamo al prossimo, se vi fa piacere.

Continuate a splendere,


a.

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Capitolo 2
*** L'attesa ***






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2. L’attesa

 


Tomorrow is another day
And you won’t have to hide away
You’ll be a man, boy

But for now it’s time to run

(Run boy run, Woodkid)

 


Come promesso, John lo stava aspettando in soggiorno. Era seduto sulla sua poltrona - a Dean e Sam toccava sempre il divano, quando guardavano la televisione -, ma in una posizione volutamente scomoda, come in procinto di alzarsi. Con i gomiti sulle ginocchia, le dita intrecciate e le labbra premute su di esse come in preghiera, non mosse un muscolo quando Dean comparve sulla soglia. Ma puntò il suo cipiglio militare su di lui e d’istinto il ragazzo alzò il mento e raddrizzò le spalle.

- Se ho capito almeno un poco gli eventi di questa notte, immagino sarai distrutto quanto tuo fratello - esordì l’uomo, l’apparente emblema della pacatezza. - Ma ho bisogno di sapere ora cosa diamine è successo e per prima cosa voglio sentirlo da te, date le condizioni di Sam.

- Sissignore - annuì Dean.

- Così stanotte potrò pensarci e domani ascoltare che cosa ha da aggiungere tuo fratello prima di decidere che cosa devo fare con voi due.

- Sissignore - ripeté Dean, deglutendo un attimo prima di infrangere la promessa fatta a Sam. - È stata colpa mia.

- Guardami negli occhi quando ti rivolgi a me, ragazzo - Dean obbedì all’istante, percependo la nota vibrante del suo rimprovero. - Perché dici che è stata colpa tua?

Suo padre non stava cercando di rincuorarlo. Stava semplicemente scavando per raggiungere la verità.

- C’ero io di guardia. Avevi lasciato la gestione della casa e delle regole e la sicurezza di Sam in mano a me - riassunse Dean. - Mi sembra ovvio che ho fallito nel tenere Sam al sicuro, come hai potuto vedere, quindi è colpa mia. È successo durante la mia guardia.

John Winchester si concesse un respiro lungo e profondo prima di replicare e Dean cominciò ad avvertire il sudore bagnare il palmo della mano che stava reggendo l’altra dietro la schiena. Odiava quelle attese più di qualsiasi altro momento del rapporto con suo padre.

- Da un lato mi fa piacere che tu ti prenda le tue responsabilità senza esitare - dichiarò l’uomo. - Ma questo lo hai sempre fatto, giusto? Dall’altro, mi innervosisce che cerchi di nascondermi quelle di tuo fratello con altrettanta nonchalance.

- Io non…

- Non. Mi. Interrompere - lo bruciò suo padre, le nocche leggermente sbiancate a mo’ di avvertimento.

Dean sentì un nodo alla gola. - Chiedo scusa, signore.

- Tuo fratello ha sedici anni. Si prenderà le colpe che gli spettano e ne affronterà le conseguenze - Senza badare allo spaesamento di Dean, l’uomo proseguì imperterrito: - E ora raccontami i fatti. E stai bene attento, Dean. Sai che so capire quando menti.

- Sì - esalò il ragazzo, impotente.

Si prese un istante per schiarirsi la voce, per ponderare su come impostare il racconto in modo che Sam ne uscisse il più pulito possibile, ma capì presto che stava inseguendo una possibilità già morta in partenza. Suo padre non gli staccava gli occhi di dosso e lo avrebbe tenuto lì, in piedi, finché non fosse stato sicuro che ogni sua singola parola corrispondesse a ciò che era successo realmente.

- Abbiamo cenato presto, verso le diciannove e trenta, poi io mi sono messo a lavare i piatti mentre Sam finiva i compiti qui in salotto. Dopo aver fatto, sono andato dritto sotto la doccia. Non posso dire di ricordarmi di aver controllato Sam prima di andare in bagno.

- Continua - lo incitò John, concentrato.

- Mi sono accorto che era sparito solo dopo essermi rivestito. L’ho chiamato per chiedergli cosa gli andasse di vedere in tivù e mi sono accorto che non c’era traccia di lui in tutta la casa - obbedì Dean, sentendosi male al ricordo di quel vuoto interiore. Per un attimo, era stato incapace di muoversi o anche solo di formulare un pensiero concreto. - Però non c’erano segni di colluttazione e mancavano le sue chiavi di casa e le scarpe che usa di più. Sono corso fuori e mentre portavo l’Impala fuori dal cortile mi sono sforzato di ricordare gli indirizzi dei suoi amici.

Suo padre non sembrò ammirare il suo impegno nell’averli imparati tutti a memoria. Continuò a fissarlo con la stessa espressione sul viso, rigida e imperscrutabile, in attesa che proseguisse.

- Per farla breve, ho scoperto che avevano organizzato una festa nel giardino di un certo Todd.

Suo padre lo interruppe, secco: - Tuo fratello ha bevuto?

Dean alzò le spalle, cercando di non farsi prendere in contropiede ma neanche di apparire troppo sulla difensiva: - C’erano delle lattine di birra su quel prato, ma Sam sa che non deve bere.

- Sa anche che non deve andarsene di casa senza permesso, non è vero? - insistette John Winchester, stringendo le palpebre. - La verità, Dean.

- Va bene - capitolò il ventenne. - Va bene, il vigile ha detto… ha detto di sì. Hanno fatto l’alcol test a tutti quanti dopo…

- Dopo?

Suo padre si stava spingendo talmente in avanti che gli mancava poco per non cadere oltre il ciglio della poltrona. Dean si morse il labbro con forza, ma non poté resistere più di qualche secondo.

- Dopo che li hanno ripescati dal fiume dove si erano tuffati.

Il genitore indietreggiò con la schiena, sconvolto.

- Fammi capire - articolò solo dopo qualche secondo. - Sam si è tuffato nel fiume di sua spontanea volontà?

Dean fece cenno di sì, spostando il peso da una gamba all’altra.

- Lo hanno fatto tutti. Lui e gli altri tre ragazzi. Stanno tutti bene, comunque, a parte il freddo che si sono presi, e…

Ancora una volta, l’uomo lo interruppe con un ringhio stanco: - Perché?

Se Dean sentì la necessità di farsi piccolo piccolo dinnanzi a quello sguardo di fuoco, poteva solo immaginare che reazione avrebbe avuto Sam il giorno dopo.

- Avevano scommesso - rivelò piano, per contrasto.

L’incredulità di suo padre non durò a lungo, presto sostituita da una furia cieca. L’uomo saltò in piedi e puntò un dito contro il figlio maggiore. Dean poteva vedere la vena sulla fronte e sul collo che pulsava in maniera preoccupante e dovette trattenersi dal fare un passo indietro quando suo padre avanzò verso di lui con le mani che tremavano.

- Tu mi stai dicendo - sibilò - che tuo fratello ha rischiato seriamente di morire per una scommessa?

Dean inghiottì, la gola riarsa ma la necessità di proteggere Sam più viva che mai.

- Penso desiderasse solo essere accettato dai suoi amici, papà - disse sinceramente, per quanto credesse che fosse stato un comportamento da imbecilli. - È stata una bravata, nient’altro, non…

- Una bravata, come la chiami tu, che avrebbe potuto facilmente costargli la vita!

Dean ingoiò a fatica di fronte a quelle urla e non seppe impedirsi di abbassare lo sguardo a terra.

- Ora è qui, è a casa, sta bene ed è questa l’unica cosa importante - riuscì a malapena a dire.

Quando rialzò il capo, suo padre si era fermato in mezzo al salotto, tra il divano e la televisione, e lo guardava come convinto che almeno metà della sua educazione fosse andata in pasto ai maiali. Almeno non era più così rosso in faccia, si consolò Dean, anche se i suoi polsi continuavano a sussultare.

- No, Dean - fece. - Non è l’unica cosa importante e tu dovresti saperlo. È importante, è fondamentale che si renda conto di quello che ha fatto e che impari a non disobbedirmi mai più in un modo tanto degenere. Ne va della sua sicurezza e di quella di tutti noi.

Quegli occhi tolsero a Dean la capacità di respirare per un lungo momento, proprio come era successo quando era sceso in soggiorno e non aveva più trovato Sam chino sul libro di esercizi di fisica. Se si fece violenza per riprendere fiato fu solo per difendere quell’immagine.

- Dai papà, mi sembra chiaro che sia già stato punito abbastanza da quello stesso tuffo nel fiume…

- Silenzio! - abbaiò l’uomo, tornando a puntargli addosso l’indice a mo’ di avvertimento. - Non è una decisione che spetta a te. Ora va’ a dormire. Vi voglio vedere domani mattina alle sette in cucina, entrambi. E farete meglio a non piantare ulteriori grane.

- Papà, per favore - insistette ancora il ragazzo, gli occhi sgranati e il cuore a mille perché non aveva bisogno di chiedersi cosa sarebbe accaduto in cucina. - Non Sam…

Ma John Winchester alzò una mano per fermarlo.

- Questo è l’ultimo avvertimento che ti concedo, Dean - fremette con un tono che non avrebbe ammesso repliche. - Vai a letto immediatamente. Non una parola di più, per stasera.

Il ragazzo si morse le labbra, si stritolò la mano dietro la schiena. Ma poi non poté fare altro che assentire, fare marcia indietro e risalire le scale fino alla camera da letto col cuore che pesava addirittura più delle gambe stanche.

Suo padre si sarebbe calmato durante la notte, avrebbe lasciato che il furore gli scivolasse di dosso così che la decisione che avesse preso infine risultasse razionale, giusta, secondo la sua visione del mondo. Faceva sempre così. Se poteva, non confrontava mai i suoi ragazzi se non a mente fredda, dopo un’infrazione delle regole. Ma con ciò che sapeva riguardo a quella visione del mondo, Dean non poté comunque astenersi dall’angustiarsi.

 

Il mattino seguente, il ventenne si destò a causa della luce che filtrava dalla finestra spalancata. La notte era stata afosa e, come se non fosse sufficiente, il ricordo delle parole con cui suo padre lo aveva mandato a dormire la sera prima aveva agitato i suoi sogni.

Con le palpebre ancora semi-chiuse, Dean cacciò via le lenzuola con stizza e si mise a sedere con un grugnito. Una volta strofinatosi gli occhi con pollice e indice, posò lo sguardo sul letto di Sam: suo fratello stava dormendo con il volto rivolto al soffitto, una gamba che penzolava dal materasso e la bocca aperta. La borsa dell’acqua calda e metà delle coperte erano scivolate a terra durante la notte. Avvicinandosi, Dean notò che la fronte del sedicenne era coperta da un velo di sudore, ma quando vi appoggiò il palmo della mano trovò una temperatura nella norma e ringraziò il cielo. Apparentemente dimentico della notte precedente, suo fratello era di nuovo soltanto un adolescente alle prese con l’inizio dell’estate. A Dean dispiaceva svegliarlo, ma l’orologio analogico sul suo comodino segnava le sette meno dieci e John Winchester non necessitava di un altro motivo per irritarsi.

- Ehi, Sam - mormorò, scuotendolo piano per la spalla. Non appena il sedicenne schiuse le palpebre, Dean gli sorrise automaticamente. - Ehi. Come ti senti?

- Bene - ammise il minore con la voce del sonno, guardandosi attorno come per accertarsi di essere nella propria stanza. - E tu?

Dean sbuffò divertito a quella domanda di pura cortesia.

- Alla grande. Senti, se sei sicuro di stare bene, devi alzarti. Papà ci vuole parlare.

Qualcosa balenò negli occhi del sedicenne, ma Dean non avrebbe saputo darvi un nome.

- Ora?

- Ora.

Con un sospiro scocciato, Sam si trascinò in piedi. Non appena fu sicuro che non si sarebbe gettato di nuovo a capofitto tra le lenzuola, Dean pensò a vestirsi e lo precedette al piano di sotto. Trovò la cucina vuota, così come l’intero piano, e corrugando la fronte si domandò a che gioco stesse giocando suo padre. Quando suo fratello minore lo raggiunse, Dean stava cuocendo qualche uovo in padella e rispose allo sguardo interrogativo di Sam facendo spallucce.

- Tanto vale che facciamo colazione - propose, mettendo a tostare due fette di pane. - Le vuoi due uova?

Sam si trascinò fino alla sedia più vicina, appoggiò i gomiti sul tavolo e seppellì il viso tra le mani prima di cavarsi di gola un verso astruso che Dean impiegò un po’ a interpretare.

- Caffè? - tentò, alzando un sopracciglio in direzione del fratello. - E basta?

- Sì - borbottò il sedicenne, scivolando con la testa sul tavolo e massaggiandosi le tempie.

- Non è una buona idea. Hai bisogno di mangiare qualcosa, dopo ieri sera.

Ma Sam non si fece scoraggiare e diede voce al suo miglior tono lamentoso e strascicato. Suo fratello maggiore non aveva mai avuto l’onere di sopportarlo la mattina dopo una sbronza, dato che quello della sera prima doveva essere stato il suo primo approccio serrato all’alcol, ma cominciava a pensare che valesse la pena convincere il sedicenne a diventare astemio.

- Non ce la farei a buttare giù niente, Dean, la nausea mi arriva fino al cervello.

Dean stava per replicare in malo modo, ma si bloccò a bocca aperta e con il mestolo sollevato a metà dell’atto di voltarsi verso il più piccolo.

- E tanto per capire fino a dove ti sei spinto, - esordì John, appoggiato con la spalla allo scheletro della porta, le braccia rigidamente incrociate, - quanto hai bevuto esattamente ieri sera, Sam?

Il chiamato in causa balzò in piedi non appena il tono glaciale di suo padre gli raggiunse le orecchie, gli occhi sgranati per lo spavento. Le gambe della sedia stridettero sul pavimento, Dean spense il gas sotto la padella delle uova e Sam mosse inconsciamente un paio di passi verso suo fratello mentre l’uomo lasciava andare le braccia lungo i fianchi ed entrava nella stanza. Dean notò che indossava le scarpe e si chiese dove fosse stato e com’era possibile che non lo avesse udito rientrare.

Malgrado la voce di Sam nel silenzio fu solo un soffio, parve riecheggiare.

- Papà…

- Sei uscito senza permesso, facendo preoccupare a morte tuo fratello e costringendolo a venire a cercarti - riprese John Winchester, arrivando fino alla tavola per appoggiarvisi con entrambe le mani. Solo allora tornò ad alzare lo sguardo per puntare gli occhi scuri, flemmatici ma duri, sul figlio minore. - Sei andato a bere abbastanza da arrivare a credere che una gita nel fiume potesse essere una buona idea - Si concesse un’altra pausa, strinse le palpebre e prese un respiro profondo, come se ogni frase gli facesse male da qualche parte nel petto. - E ti sei buttato nella corrente gelida per una scommessa. Mi è stato riferito male?

Dean lanciò un’occhiata a suo fratello, accanto a lui. Sam sembrò congelato per un momento, ma poi deglutì e provò a scuotere la testa.

- Papà, io…

Ma venne interrotto con tono perentorio, senza troppi manierismi: - Rispondi alla mia domanda.

Sam trattenne il fiato rumorosamente e si inumidì le labbra, asciugandosi i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans.

- No, signore. È tutto corretto - si costrinse a dire.

- Mi manca qualcosa? - proseguì suo padre. - C’è altro che devi confessare, magari qualcosa che Dean non poteva sapere?

Sam degnò suo fratello di uno sguardo. Fu un istante, tornò subito agli occhi cerchiati di suo padre, ma Dean ebbe il tempo di riconoscere nelle sue iridi una scintilla di sfida che non prometteva niente di buono.

- Cinque birre. Quattro bicchieri di vino - lo sentì infatti spiattellare una frazione di secondo dopo, e se si trattenne dal mollargli una gomitata nel fianco fu solo perché suo padre non sembrava avere la minima intenzione di rivolgere il suo interesse a qualcosa che non fosse il figlio minore.

Entrambi videro l’uomo ergersi sopra il tavolo come se qualcosa lo avesse punto, le labbra appena curvate in un ringhio minaccioso: - Se stai cercando di farmi infuriare…

- Sei stato tu a chiedermi quanto ho bevuto! - esclamò allora Sam, alzando le mani sopra la testa con fare melodrammatico.

Dean avrebbe soltanto voluto essere un’apparizione per avvertire suo fratello che comportarsi da saputello come era abituato a fare a scuola, dove era uno dei cocchi degli insegnanti, o nei giorni normali, quando John era d’accordo nel limitarsi ad abbaiargli di tornare in linea, non era una buona idea. Quanto avrebbe voluto pestargli un piede per impedirgli di mettersi ulteriormente nei casini. Un momento dopo fu evidente che Sam non era in grado di leggergli nel pensiero.

- Sono solo uscito per andare a una maledetta festa, per stare un po’ con persone della mia età, per poter fingere di essere normale, per una volta! - seguitò, dimenticandosi che anche solo alzare la voce di fronte al sergente in comando era una pessima mossa.

- Oh, non cercare di muovermi a compassione col discorsetto del povero adolescente chiuso in casa mentre tutti i suoi coetanei si divertono, non osare nemmeno - gli intimò John, adeguandosi al tono. - Lo avrei accettato o perlomeno ascoltato se si fosse trattato solo di una scappatella per fare baldoria, ma mi pare evidente che sei andato molto oltre.

A quelle parole, Sam tornò a bagnarsi le labbra ed esse rimasero schiuse sul suo respiro accelerato.

- Non c’è stato nient’altro, oltre a quello.

- Ah no? E il tuffo nel fiume cos’è stato? Una nuova forma di ballo scolastico? - urlò suo padre, ormai rosso in viso. - Sono sicuro che tuo fratello ti avrà già detto che avresti potuto morire, ma non è il modo più adatto per dirlo: sei oltremodo fortunato a essere vivo!

Dean deglutì e serrò gli occhi un istante, costretto a rivivere il panico della sera prima. In qualsiasi altra occasione avrebbe pensato che, una volta arrivati a quel punto e a quel livello di grida da parte del loro padre, Sam avrebbe trovato una riserva di buonsenso utile a chinare il capo e a chiudere quella maledetta bocca. Dean non comprendeva come gli risultasse così difficile mettere in pratica un po’ di istinto di auto-conservazione. Eppure quel giorno c’era qualcosa di nuovo nella tensione che regnava sovrana tra le due persone a lui più care, qualcosa che suggeriva, ventilava, prometteva una resistenza strenua da parte di suo fratello minore.

- Era solo per gioco - seguitò infatti il sedicenne, esplorando nuove sadistiche strategie di ribellione senza riflettere troppo a lungo sulle possibili conseguenze. - L’acqua non era nemmeno tanto profonda e la corrente non era così…

Accadde talmente in fretta che non ebbe il tempo di scansarsi. Con la determinazione che sapeva renderlo impietoso, suo padre oltrepassò il tavolo, lo raggiunse in pochi passi e gli rifilò un ceffone la cui eco risuonò come il rilascio di un proiettile nella minuta cucina. Dean trasalì come se non se lo aspettasse e osservò suo fratello minore mantenere a stento l’equilibrio dopo essersi fatto scappare un gemito. L’intera scena sembrò durare per sempre, ma un attimo dopo Sam era di fronte a suo padre con l’impronta della sua mano sulla guancia sinistra e gli occhi carichi di lacrime che stava disperatamente provando a ricacciarsi in gola.

Il respiro di Dean accelerò a quella vista, ma il ventenne chiuse gli occhi un attimo e si strinse il polso sinistro con la mano destra per trattenere ogni impulso di difesa. Non era sua abitudine andare contro suo padre, e questa volta Sam se l’era decisamente andata a cercare.

- Vuoi ribattere ancora? Eh? - rimarcò John Winchester, alzando un braccio a indicare un non meglio definito “là fuori”. - Intendi continuare a fare lo spavaldo, anche dopo che i vigili ti hanno ripescato? Anche dopo che Dean è dovuto venire a recuperarti, cercando anche di salvarti il culo dal sottoscritto? Vederti in quelle condizioni ieri notte mi ha quasi fatto morire di crepacuore!

Questa volta, la prima da quando la discussione era iniziata, alle sue parole seguì un silenzio che sarebbe anche potuto passare per rispettoso. Dean non credeva che Sam avesse abbandonato del tutto l’idea di mostrarsi sfacciato fino all’ultimo, ma lo schiaffo era almeno riuscito a farlo riflettere per qualche secondo prima di parlare. Ma il suo sguardo bruciava di rabbia e vergogna e la sua voce, quando tornò, per quanto rotta dal pianto che stava trattenendo, gli faceva giustizia.

- L’ho già detto a Dean - disse tra i denti, la mandibola preda di un leggero tremore. - Mi dispiace di averlo fatto. È stata un’idiozia. Ora mettimi pure in punizione per tutta l’estate.

Dean soppesò il silenzio ancora più intenso che calò cercando di non far trasparire che stava trattenendo il fiato. L’atteggiamento di Sam non era cambiato e l’adolescente fissava suo padre con il petto che si alzava e riabbassava velocemente, le braccia rigide e i pugni chiusi, probabilmente sperando di sentire in fretta a che cosa gli sarebbe toccato rinunciare per tre mesi per poi andarsene dalla cucina sbattendo la porta.

Dean, dal canto suo, stava pregando perché suo padre glielo lasciasse fare. Più o meno consapevolmente, lo stava facendo dalla sera precedente. Non desiderava altro che il loro padre dicesse a Sam che non avrebbe toccato né la televisione né i divertimenti del mondo esterno né qualsiasi cosa fino a data da destinarsi, e poi lo lasciasse andarsene imbufalito. Forse perché Dean sapeva, lo aveva letto negli occhi di suo padre la sera prima, che John non aveva la minima intenzione di lasciare che la faccenda restasse in sospeso in quel modo. E avrebbe dato qualsiasi cosa per impedirlo.

Dean fu sicuro di ciò che stava per succedere non appena vide le sopracciglia di John Winchester abbassarsi, il suo sguardo tornare piatto e la voce misurata, ben calcolata in ogni virgola. Dean conosceva quell’insieme di fattori e ciò a cui conducevano.

- Sono certo che ti dispiaccia. Perlomeno per tuo fratello - affermò l’uomo, concedendo a ogni parola il tempo utile a colmare lo spazio che le spettava. - Ma ho bisogno che ti dispiaccia di più. Ho bisogno che tu comprenda del tutto quanto e perché sia fondamentale che una cosa del genere non accada mai più.

Diversamente dal fratello, Sam non capì dove stava andando a parare finché suo padre non cominciò a sfilarsi la cintura dai pantaloni. Allora sbarrò le palpebre, fece un passo indietro e cercò di dire qualcosa, ma la gola gli si era seccata sul posto. Dean non riuscì a guardarlo. Non dopo aver evitato per anni di parlargli di quell’eventualità.

John Winchester piegò in due la cinghia e Dean, malgrado l’idea che la adoperasse su Sam lo gelasse, ringraziò il cielo. Libera avrebbe fatto più male. Suo padre glielo aveva dimostrato solo una volta, quando lui per la frustrazione aveva fatto l’errore madornale di lanciare in aria una pistola carica e per poco non ci aveva rimesso un piede, ma era stato sufficiente. Aveva quattordici anni.

Il sospiro sofferto di suo padre fu ciò che riportò la sua piena attenzione su di lui.

- Vieni qui, Samuel - gli ingiunse, accennando al tavolo sgombro. - Faremo in fretta.

Sam non si mosse. Un fioco e vibrato “Cosa?” gli uscì dalle labbra nello stesso istante in cui Dean fremette piano: - No.

Il fatto che John non desse segno di intemperanza non significava che ogni rifiuto non lo portasse un po’ più vicino al limite oltre al quale non avrebbe più pazientato, ma per il momento rimase stoico.

- Hai sedici anni. Mi sembra un numero adatto alle tre infrazioni che hai commesso e a farti rammentare qual è il modo più opportuno di rivolgerti a tuo padre - Le sue mani rafforzarono la presa sulla cintura e il successivo cenno al figlio minore fu più risoluto. - Coraggio, o saranno di più.

Questa volta Sam si riprese più in fretta di Dean.

- No - ribadì guardandosi attorno prima di tornare agli occhi del genitore, col tono scioccato di chi crede che tutti siano impazziti con un singolo schiocco di dita. - Col cazzo che vengo lì.

Fu un ringhio a uscire dalla gola di John Winchester: - Finiscila.

Dean lo vide fare un altro passo verso suo fratello minore e fu improvvisamente consapevole di non poter rimanere fermo, zitto e obbediente un secondo di più. Con un tempismo che Sam avrebbe benedetto, avanzò più in fretta di suo padre e gli mise una mano sulla spalla, attirando il suo sguardo inflessibile su di sé.

- Papà - iniziò, mordendosi le labbra prima di cominciare a scuotere il capo. - Papà, ti prego, no. Non questo, non a Sam.

- Dean…

- Alla fine non è successo nulla di così tragico, non è vero? È qui, sta bene, ha chiesto scusa. So che non ti sta mostrando rispetto - si affrettò a snocciolare Dean, lanciando un’occhiata furente a Sam, immobile e colpevole alle sue spalle, prima di tornare a supplicare il suo vecchio. - So che devi correggerlo. Ma non così.

Con gentile fermezza, suo padre allontanò la sua mano.

- Dean, te l’ho già detto. Non è una decisione che spetta a te.

- D’accordo, allora punisci me - tornò all’attacco il ventenne. - Ero di guardia quando è uscito. Avrei dovuto essere io a bloccarlo e a impedire che succedesse tutto questo, incluso il tuffo fuori programma. La responsabilità è mia. Usala con me, quella.

Quando Dean chinò lo sguardo sulla cinghia, suo padre la abbassò a livello dei fianchi prima di scuotere la testa.

- Non funziona così e lo sai.

- Perché no? Ha sempre funzionato così. Mia la responsabilità, mio l’errore, mio il castigo.

- Sarete puniti entrambi - gli assicurò l’uomo, chiaramente sull’orlo di una nuova esplosione di collera. - Per quanto riguarda te, ho deciso che resterai a guardare. Visto quanto tieni all’incolumità di tuo fratello, e lo stai dimostrando anche in questo esatto momento, vederlo punito ti renderà più attento la prossima volta.

A Dean parve di dover inghiottire del cemento, ma corresse la sua postura.

- Signore, con tutto il rispetto, trattarlo così non porterà a niente. Non imparerà niente.

A quell’uscita suo padre parve sinceramente incredulo. Sorrise, quasi, anche se Dean fu quasi sicuro si trattasse di un tic nervoso.

- Ah no? Dimmi una cosa, allora: davi ascolto ai miei rimproveri e ai miei avvertimenti, quando ti vietavo di portare ragazze a casa? Mi stavi ad ascoltare, quando ti ripetevo che te lo proibivo unicamente per non metterle in pericolo? Cosa succedeva dopo le mie scenate, Dean?

Il ragazzo espulse l’aria dai polmoni e chinò lo sguardo, cosciente di dove suo padre voleva arrivare.

- Continuavo a portare ragazze a casa - ammise, ricordando come l’urgenza di essere un giovane adulto avesse come annebbiato la sua sensibilità alle urla di suo padre.

John Winchester gli mise la cinta davanti al naso.

- E quante sedute con questa sono servite per persuaderti a non farlo più, invece?

- Una - si sforzò di rispondere Dean, guardando lui oltre la resistente striscia di pelle. - Solo una, signore.

- E da allora che cosa hai sempre tenuto a mente?

- Che questo non è un posto adatto a delle ragazzine ignare - recitò a memoria Dean.

Suo padre prese un respiro profondo, calmandosi un poco dinnanzi alle sue ammissioni. Dean sapeva che trattare con lui era molto più facile che farlo con Sam, per un ex marine, e da una parte sperava che la sua remissività andasse anche a favore di quell’impulsivo di suo fratello minore.

- Ora capisci? - gli domandò l’uomo. - Tuo fratello non ha fatto una marachella. Ha dimostrato di non avere il minimo senso del pericolo e questo è qualcosa che né lui né questa intera famiglia possono permettersi. Mi sorprende dovertelo ricordare.

- Lo so, ma…

- Un’altra cosa che dovresti ricordare è che, in questi casi, l’attesa è la parte peggiore - lo interruppe John, riuscendo a zittirlo con qualcosa che Dean, effettivamente, rammentava bene.

Non c’era niente di peggio di un appuntamento con la cinghia di suo padre, escluso il dover rimandare il momento in cui i colpi sarebbero iniziati. Il ventenne gettò un’altra occhiata allo sgomento in cui stava lasciando che Sam annegasse e si sentì in colpa per aver prolungato la sua agonia. Stava quasi per scusarsi con lui quando suo padre gli afferrò un braccio per avere la sua piena attenzione.

- Fai spazio a tuo fratello e smetti di contrapporre i tuoi sentimenti a ciò che necessita di essere fatto per mantenerci tutti in vita, mi hai sentito? Non ti passi neanche per la testa che io provi soddisfazione a educare i miei figli in questo modo - digrignò, con una tristezza cupa in fondo agli occhi scuri. - Sono stato abbastanza chiaro?

Dean non esitò più.

- Sissignore - disse, facendosi indietro per ricacciare l’insubordinazione da dove era venuta.

Fosse stato per lui, non avrebbe mai scelto quel modo per insegnare qualcosa a Sam. Ma non poteva non riconoscere le ragioni di suo padre e, soprattutto, non sopportava l’idea di contravvenire a un ordine da parte dell’uomo che guardava con ammirazione e rispetto da tutta la vita. Suo padre sapeva quel che faceva. Per quanto gli fosse risultato difficile e doloroso, aveva preso le decisioni giuste con Dean e ora lo avrebbe fatto anche con il figlio minore, se questo avesse significato addestrarlo a stare all’erta e a tenersi stretta la vita.

John Winchester mosse nuovamente qualche passo verso il tavolo.

- Facciamola finita, Sam.

Questa volta, Dean lanciò a suo fratello un’occhiata non troppo dissimile da quella del loro genitore, anche se vi permaneva un fondo di compassione e supplica. Una supplica perché non tergiversasse. Ma Sam aveva gli stessi occhi atterriti e testardi di un momento prima e scosse la testa lentamente ma con convinzione.

- No - tornò a scandire.

Dean gli lanciò una delle occhiate peggiori della sua vita, ma avrebbe voluto urlarglielo in faccia.

Se non vai lì in fretta e di tua spontanea volontà, sarà peggio, molto peggio.

Stava per dire qualcosa quando la situazione si mosse senza di lui. Suo padre parve aver valicato il limite ed essere pronto a esplodere, mentre tornava a camminare deciso verso il figlio minore.

- Giuro su Dio che…

Riuscì ad afferrargli un polso, ma Sam approfittò della sua concitazione per usare tutta la forza della disperazione e svincolarsi abilmente. Prima che l’uomo potesse riacciuffarlo, quindi, infilò la porta di corsa e si precipitò in corridoio.

Dean urlò prima di suo padre: - Sam!

Udì la porta di casa sbattere violentemente un battito di ciglia prima di lanciarsi all’inseguimento. Suo padre lo seguì fino alla veranda, ma poi lasciò che fosse Dean a correre dietro a suo fratello.

Sam era quasi alto quanto suo fratello maggiore, ormai, e aveva delle buone gambe per la corsa fin dall’infanzia. Quando era piccolo, i suoi tempi di percorrenza erano stati qualcosa che aveva riempito John di orgoglio e di sollievo, perché avrebbero potuto salvarlo da chiunque lo avesse visto come una preda. Ora, mentre scorgeva la sua figura infilarsi nella boscaglia del parco vicino casa, Dean si ritrovò a maledire la genetica.

- Sam! - urlò di nuovo, cercando di non perderlo di vista.

Ma suo fratello era una saetta in mezzo al fogliame. La buona notizia era che quella mattina aveva indossato una maglietta color senape che lo faceva stagliare tra gli alberi. Quella cattiva era che filava come il demonio e sembrava non avere nessuna intenzione di fermarsi.







 



Angolino dell'autrice

Per prima cosa voglio ringraziare Biota e Vally1979 per aver recensito il primo capitolo e tutte/i coloro che hanno messo la storia tra le seguite o le preferite *distribuisce fragole e pasticcini come se non ci fosse un domani*
 

Sono sconvolta dalla velocità con cui sono riuscita ad aggiornare, perchè non succede spesso. Credo sia solo una conferma della necessità di dare sfogo a quanto mi sta piacendo Supernatural - so cosa state pensando, lo so: ho una maniera abbastanza degenerata di affermare il mio amore per i personaggi. Sono rea confessa e in riabilitazione da almeno otto anni, ma chissà perché non ci sono cambiamenti.

Spero che questa cosa continui a piacervi, per quanto malvagia, sadica e depravata - che alta opinione ho di me stessa.

A presto e continuate a splendere,


a.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Sissignore ***


 

 

 

 

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3. Sissignore

 

 

And you tell me to hold on
Oh, you tell me to hold on
But innocence is gone
And what was right is wrong

(Bleeding out, Imagine Dragons)

 

 

Sam non sapeva quanto tempo fosse trascorso quando la prima fitta alla milza lo costrinse a rallentare. Anche se la riduzione di marcia fu impercettibile all’occhio umano, il ragazzo seppe subito di essere fottuto. Per tutto il tempo aveva potuto sentire il respiro di suo fratello rincorrere il suo a pochi metri di distanza e in quel momento fu costretto ad ammettere ciò che Dean gli ripeteva da anni: se avesse smesso di affidarsi soltanto alla potenza delle sue gambe e si fosse preso il disturbo di imparare a controllare ritmo e respiro, sarebbe diventato irraggiungibile.

“Se”, appunto. Era suo fratello quello che ascoltava i consigli del loro padre su come migliorare le abilità utili alla caccia, non certo lui. Lui aveva smesso da anni di impegnarsi oltre il minimo indispensabile perché il vecchio non rompesse le palle.

Trascorsero almeno altri venti secondi, ma poi suo fratello maggiore lo raggiunse lì dove gli alberi si diradavano e il sentiero cominciava a scalare il pendio della teleferica del parco giochi. Quando Dean lo travolse, l’impatto strappò ogni residuo di ossigeno dai polmoni di Sam ed entrambi rotolarono nell’erba per qualche metro. Sam sentì suo fratello gemere e immaginò avesse sbattuto la testa su qualche sasso. Ma quando le vertigini passarono e il sedicenne fu in grado di rimettersi in piedi, Dean gli era addosso e lo ghermì per un braccio prima che i suoi muscoli fossero pronti a riprendere la fuga.

- Ma porca puttana! - urlò il maggiore, trapanandogli il cranio con gli occhi fuori dalle orbite. Il ritmo del suo respiro faceva pensare a una morte imminente, ma in qualche modo era ancora in grado di abbaiargli addosso. - Possibile che tu non capisca che così lo fai solo incazzare di più?

Sam non aveva perso tempo a immaginarsi cosa gli avrebbe detto, ma quelle parole gli fecero rimontare l’ira nel petto e malgrado il caldo, il sudore, la spossatezza, anche lui trovò il fiato per protestare.

- Di più? Più di così? Cristo santo, con cos’altro potrebbe minacciarmi?

Scrollò il braccio con violenza per liberarsi dalla morsa del fratello e Dean lo lasciò andare. A Sam sarebbe piaciuto pensare di essere più forte di lui, ma la verità era che entrambi sapevano di essere troppo distrutti per rimettersi a correre. Non smisero di scrutarsi un solo secondo mentre si contendevano l’ossigeno di quell’angolo di parco, Sam guardingo come un furetto e Dean in un miserabile tentativo di calmarsi. Infine fu quest’ultimo a riprendere la parola, chino sulle ginocchia per limitare il dolore al petto.

- Fidati, Sam - disse con voce roca, alzando un sopracciglio. - Ti conviene smetterla di ribellarti.

Riuscì solo a far sgranare gli occhi a suo fratello, che alzò le braccia con prepotenza.

- Ma che cazzo dici? Sei fuori di testa quanto lui? - detonò. - Io non voglio… non voglio… non posso credere che tu stia dalla sua parte!

Dean lo guardò a lungo, occhi negli occhi, prima di gettare uno sguardo a terra, sputare e tornare a concentrare la sua attenzione su di lui solo dopo essere tornato in posizione eretta.

- Non sono d’accordo con quello che vuole fare. Io non lo farei mai. Non sono né dalla tua né dalla sua parte, sono dalla parte di questa famiglia. Ti voglio bene, lo sai, ma rispetto papà. E poi c’eri anche tu, lo hai sentito, hai sentito quello che ci siamo detti.

Ora c’era qualcosa di dolce nel tono di suo fratello e Sam lasciò che quella nota di comprensione si depositasse attorno a loro prima di trovare il coraggio di parlare di ciò che aveva udito.

- Ho sentito che lo ha fatto anche con te - deglutì.

- Sì - ammise Dean, senza sfuggire il suo sguardo. - Poche volte, quando davvero non ha visto altra via. Quando davvero era necessario per farmi comprendere qualcosa che mi rifiutavo di vedere. E mi dispiace dirtelo ora e così, ma mi è servito e finirà per servire anche a te.

La voce del maggiore virò di nuovo nell’autoritario e Sam si sentì morire dentro. Ad ogni modo, tentò di rimanere calmo e razionale, anche se sentì uno zigomo vibrare mentre scuoteva leggermente la testa.

- Io ho già chiesto scusa - riuscì a opporsi in un soffio, chiedendosi quando sarebbe riuscito a rimettersi a correre.

- Non è la stessa cosa - replicò cauto suo fratello. - So che sei dispiaciuto, ma quello che hai fatto ieri ai tuoi occhi appare ancora come una sciocchezza, qualcosa che ogni sedicenne può fare a settimane alterne. Ebbene, so che non vuoi sentirtelo dire, ma tu non sei un adolescente come tutti gli altri. Devi stare molto attento ai tuoi movimenti e lo sai, ti è stato insegnato. Conosci le minacce di questo mondo più di ogni tuo coetaneo e questo porta con sé delle responsabilità - Dean fece una pausa perché l’altro riconoscesse che aveva ragione, ma Sam piantò gli occhi sul terreno ai suoi piedi, la bocca storta in una smorfia molto vicina al pianto. Così Dean continuò: - Avresti potuto ammazzarti. E se non comprenderai appieno i tuoi errori, se non te ne pentirai davvero, ci incapperai di nuovo. E la prossima volta, il colpo di testa potrebbe avvenire in un momento meno propizio, quando avremo qualche bestia alle calcagna. Se non farai tue le regole, se non le automatizzerai come ho fatto io, potresti finire per mettere a rischio tutti noi. È questo ciò che papà stava cercando di dire.

Il silenzio che seguì durò meno di quanto sarebbe servito perché il messaggio penetrasse. Il respiro accelerato dalla rabbia, stavolta, Sam rialzò la testa solo per scagliargli contro il proprio risentimento.

- Sei decisamente fuori di testa quanto lui - sentenziò, vibrante. - Voi due siete matti come cavalli, mi hai sentito? Io lo vado a denunciare alla polizia, quel bastardo schifoso, ancora prima che mi tocchi! Gli racconterò di quello che ha fatto a te! Quante è volte è successo? Quanti anni avevi?

Dean fece un verso stizzito, frustando l’aria col braccio mentre alzava gli occhi al cielo e assumeva la sua tipica espressione da “Dio, uccidimi adesso e risparmiami l’ascolto di ulteriori stronzate”.

- Ha davvero importanza? - scelse infine di ribattere, inumidendosi le labbra e allargando le braccia in direzione del fratello minore. - Vuoi distruggere questa famiglia, Sammy? Perché è quello che succederà se scanserai le tue responsabilità e andrai alla polizia.

Un risolino nervoso sfuggì dalle labbra del sedicenne.

- Scansare le mie responsabilità. Certo - ripeté con un sorriso infelice. - Quanti anni avevi? Perché non mi hai mai detto niente?

Dean passò al contrattacco con un’occhiata che era un misto di accusa e derisione.

- Per non turbarti inutilmente, perché già allora sapevo che fai un gran casino per qualsiasi cosa.

- Qualsiasi cosa? - tornò ad alzare la voce Sam, evidentemente schifato. - Nostro padre ti prendeva a cinghiate e tu accusi me di essere quello che fa casino per niente? Quello ti ha fatto il lavaggio del cervello! Non ti rendi conto di quello che dici.

Stava tenendo d’occhio il sentiero che saliva verso la cima della collina da parecchi secondi, ormai, convinto che suo fratello non se ne fosse accorto. Ma l’occhiata successiva di Dean rese palese che, se solo avesse provato a scattare, lui gli sarebbe balzato alle caviglie in un attimo per atterrarlo di nuovo. Sam sbuffò sofferente e Dean credette che si sarebbe davvero messo a piangere se non avesse continuato a distrarlo.

- Quattordici, sedici, diciassette e diciannove - sciorinò allora con finta indifferenza, attirando di nuovo l’attenzione del minore. - Ecco le età, contento ora? Sono stati solo quattro episodi.

Il labbro inferiore di suo fratello vibrò mentre si cavava le parole di bocca, furioso.

- Non avresti dovuto fargliene passare neanche uno.

Dean vide nei suoi occhi che razza di idea si stesse costruendo del loro padre e non poté che gettarsi a capofitto nella missione di distruggerla seduta stante.

- Oh, per favore, Sammy, sono ancora vivo! Perfettamente in salute e per niente traumatizzato. La verità è che tu guardi troppi film di merda e sei convinto che una chiacchierata risolva tutto, ma non è sempre così. Non può esserlo.

- Come se papà si prendesse mai la pena di parlare con noi.

Fu solo un mormorio. Suo fratello era stanco. Dean non dovette neppure affrettarsi, quando lui fece per voltarsi e dovette afferrarlo per il polso. Gli occhi con cui Sam incontrò i suoi erano ora più sfiniti che combattivi e questa volta fu qualcosa nel torace di Dean a cedere dolorosamente.

- Pensa a ciò che ti ho detto - lo implorò, deglutendo. - Non voglio perderti, d’accordo?

Sam lo fissò a lungo e durante quegli istanti dovette scorgere molto altro oltre a un fratello maggiore che gli era corso appresso per riportarlo a casa trascinandolo per un orecchio. Vide la supplica, riconobbe la paura viva e pulsante di Dean all’idea che decidesse di non tornare a casa sul serio. Che rimanesse fuori, esposto al mondo, indifeso di fronte a pericoli molto meno circoscritti del loro padre e della punizione promessa.

Infine Sam si liberò ancora una volta dalla sua presa, ma solo per raggiungere l’albero più vicino e scagliare un pugno liberatorio sul tronco, mentre dalla gola gli usciva un urlo che avrebbe dilaniato anche John Winchester.

- Sam!

Dean accorse vedendo il sangue sulla corteccia e sulle nocche e cercò di attirare la mano del fratello a sé per vedere meglio l’entità del danno, ma suo fratello si scostò e gli puntò un dito contro, il volto trasfigurato dal furore.

- Se torno a casa è solo per te, mi hai capito? - ansimò, per poi puntare lo stesso dito in direzione della piccola foresta che avevano appena attraversato. - Non per quello là. Non… non voglio che finisca per scaricare la colpa su di te solo perché io me la sono data a gambe.

Dean non credeva che suo padre lo avrebbe fatto. Ma quello era il primo bagliore di speranza che Sam gli concedeva riguardo al suo ritorno a casa e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non mandare tutto a puttane. Quindi si limitò ad annuire con fare grave prima di azzardarsi ad accennare di nuovo alla boscaglia.

- Andiamo - sussurrò, deciso ma lieve.

Dopo qualche secondo, Sam fece cenno di sì, ma rimase immobile con lo sguardo sulla punta dei piedi e una lacrima che finalmente gli colava lungo la guancia, bagnando il punto in cui suo padre lo aveva colpito. Aveva corso scalzo, sostenuto dall’indignazione, ma ora le piante dei piedi bruciavano. E sembrava che tutto il mondo gli stesse crollando addosso all’idea di che cosa lo aspettava a casa. Fu con molta cautela che Dean gli si accostò e gli mise un braccio attorno alle spalle.

- Andiamo, Sammy. Sarà finita presto, te lo prometto.

 

Sbucarono dal bosco mezz’ora dopo e Sam si bloccò prima di mettere piede nel cortile, gli occhi fissi sulla tranquillità della casa. Si era aspettato di trovare suo padre in attesa là fuori, con lo sguardo dritto sul punto dove lui e Dean sarebbero ricomparsi, ma la veranda era deserta e sia l’antica sedia a dondolo che l’altalena di legno attaccata al soffitto erano immobili. Sam stava cercando di immaginare dove lo stesse aspettando suo padre, ma Dean interruppe il flusso dei suoi pensieri mettendogli una mano sulla spalla per dargli una stretta d’avviso.

- Se lo costringi a venirti a prendere…

- Si incazzerà ancora di più. Sì, ho afferrato il concetto, grazie mille - sibilò Sam, riprendendo ad avanzare senza aspettarlo.

Stava tornando a casa per l’affetto che lo legava a suo fratello, ma non sopportava comunque il suo atteggiamento in quella situazione. Non sopportava il fatto che avesse dei consigli da dargli, che sapesse com’era meglio comportarsi, che glielo sbattesse in faccia. Sapeva che il ventenne stava solo cercando di dargli una mano, ma tutte quelle parole non facevano altro che ricordare a Sam che Dean ci era già passato. Più volte. E lui non si era accorto di niente.

Una volta entrato in casa, Sam raggiunse la soglia della cucina e lì si fermò, con i pugni serrati lungo i fianchi. John Winchester, seduto a tavola con la cintura a portata di mano, alzò lentamente lo sguardo su di lui, come se temesse che ogni movimento brusco potesse farlo scattare di nuovo verso la libertà. Sam vide i suoi occhi scuri vagare da qualche parte alle sue spalle e comprese che lui e Dean si erano scambiati un cenno neutro. L’uomo aveva dato per scontato che il figlio maggiore non lo avrebbe deluso.

Quello fu anche il momento in cui Sam fu pienamente consapevole della presenza di Dean alle sue spalle. Fu solo chiedendosi che cosa avrebbe fatto suo fratello maggiore che riuscì a trovare il coraggio di fare un passo avanti e rivolgersi direttamente a suo padre.

- Chiedo scusa per essere scappato, signore.

La voce gli uscì dalla gola simile a un rantolo. Suo padre non smise di indagare i suoi occhi, ma lui li tenne nei suoi, cosciente dell’importanza che John Winchester dava al contatto visivo.

- Hai intenzione di piantarla con questo atteggiamento infantile?

Nel tono di suo padre la collera era ancora ben definita, ma Sam cercò di dimenticarne le possibili conseguenze per limitarsi ad annuire. Se la sua fuga aveva peggiorato la situazione, non c’era nulla che potesse fare per migliorarla. Al massimo poteva impegnarsi affinché rimanesse stabile.

- Sissignore - mormorò nonostante il nodo in gola.

- Bene. Allora possono rimanere sedici - sentenziò l’uomo, rimettendosi in piedi, recuperando la cintura e piegandola con la stessa flemma con cui aveva accolto il ritorno dei figli. - Qui. Via la maglietta e appoggiati al tavolo.

Sam si sforzò di deglutire o, ne era convinto, avrebbe vomitato. Sentendo lo sguardo di Dean trapassargli la nuca, afferrò il bordo della sua maglietta e se la tolse mentre raggiungeva il tavolo della cucina con qualche passo incerto. Mentre buttava il mucchietto di stoffa su una sedia e si appoggiava con entrambe le mani al legno levigato, si domandò come cazzo avrebbe fatto a continuare a mangiarci tutti i giorni, su quella stessa lastra di legno.

In quell’istante, John Winchester gli diede un primo indizio perché capisse che la sua quiete era solo apparente e che sotto di essa l’irritazione per il suo comportamento del giorno prima e per la sua fuga insolente appena sventata era pronta a farsi riconoscere. Con la mano libera diede un colpo alle ginocchia del figlio minore, facendogli fare un salto indietro, quindi con un piede lo costrinse ad allargare le gambe per assicurargli l’equilibrio. Sam sussultò entrambe le volte e prima odiò se stesso per esserselo permesso e poi suo padre per aver sottolineato la sua debolezza mettendolo nella posizione adeguata, con la schiena curvata ed esposta, come un bambino obbligato sulle ginocchia del genitore.

- Questa cosa è umiliante - non riuscì a trattenersi dal dire tra i denti, costretto a fissare il pavimento.

La risposta di suo padre gli arrivò bassa ma limpida.

- È così che deve essere.

Non poté vederlo alzare il braccio, ma sentì un sibilo nell’aria e quando la prima scudisciata lo colpì nella zona lombare tutta l’aria che aveva nei polmoni ne uscì prepotentemente. Sam si era mentalmente imposto di non emettere un singolo suono, ma un verso a metà tra un gemito e un urlo gli sfuggì dalle labbra non appena il dolore esplose. Risucchiò l’aria tra le labbra incurvate per il bruciore, con le palpebre serrate e le dita avvinghiate all’orlo del tavolo.

- Porca di quella puttana troia… - si fece scappare non appena fu di nuovo in grado di parlare.

- Te ne sei appena guadagnate altre due - sentenziò suo padre, laconico, e lo interruppe ancora prima che Sam potesse organizzare una protesta: - Condividi le regole con tuo fratello, Dean.

La voce del maggiore arrivò dai fornelli, provata ma salda: - Puoi gridare, puoi piangere, ma non puoi bestemmiare od offendere. Sono altre due. Se provi ad andartene, sono altre cinque.

- Tutto chiaro? - fece la voce di John Winchester, alla sua destra.

Sam inghiottì il veleno che avrebbe voluto sputargli addosso: - Sissignore.

Per i successivi cinque colpi, Sam accettò quello che aveva capito essere un consiglio da parte di suo fratello e smise di affaticarsi per tenere in piedi un’immagine da duro. Lo sferzare della cinghia lo fece urlare ogni volta così forte che se Sam avesse avuto ancora la capacità di ragionare si sarebbe domandato cosa avrebbero pensato i vicini. Anche se vivevano a cento metri di distanza, non era possibile che non lo sentissero. L’inferno gli stava devastando la schiena e la sua stessa voce gli spaccava i timpani, ma non poteva trattenersi.

Suo padre era maledettamente capace: dopo ogni percossa, attendeva il tempo necessario perché il dolore arrivasse al suo apice, quindi riprendeva con la stessa foga misurata.

Dopo il sesto colpo non dovevano essere rimasti molti punti che non fossero già stati colpiti e Sam lo scoprì nel peggiore dei modi. L’urto della cinghia sulla pelle già tumefatta si tradusse in un’esplosione di dolore su tutto un altro livello e il ragazzo iniziò a gemere senza più nemmeno ricordarsi del patto di dignità che aveva stipulato con se stesso prima di iniziare. Temendo che suo padre avrebbe aggiunto altri colpi alla lista se avesse osato avvicinarsi al tavolo e seppellire il volto tra le braccia, rimase sul posto, ma le gambe cominciarono a tremargli violentemente.

Otto. Nove. Dieci.

Suo padre non si ammorbidiva, non faceva pause che non rispettassero la strategia. All’undicesima frustata, un ginocchio di Sam cedette e il sedicenne rimase a terra per qualche secondo, mugolando e tremando a testa bassa.

- In piedi, Samuel. Non abbiamo finito.

Stringendo gli occhi e lasciando cadere le lacrime che aveva trattenuto fino ad allora, Sam cercò a tentoni il bordo del tavolo per aiutarsi a sollevarsi. L’ultima cosa che voleva era incrociare per sbaglio lo sguardo di Dean mentre si alzava e si rimetteva sotto il torchio di quella tortura. Quando fu di nuovo in posizione, le sue gambe tremavano più di prima e i singhiozzi gli scuotevano il petto e riempivano la stanza, ormai troppo forti perché chiunque dei presenti potesse far finta che non ci fossero. Senza nessuna pietà, il dodicesimo colpo si abbatté proprio nel centro della schiena e Sam fu sicuro che questa volta la pelle fosse stata lacerata.

A stento mantenne la posizione, ma le sue labbra si mossero da sole.

- Papà - pianse, boccheggiando e scuotendo la testa. - Papà, basta, ti prego… non lo farò mai più, lo giuro… mi dispiace, mi dispiace, ti prego smettila, mi dispiace…

Le sue lacrime bagnavano il pavimento. Se guardava a sinistra, poteva vedere i piedi di Dean, anche se sfocati, che non la smettevano di agitarsi pur rimanendo sempre nello stesso posto.

- Lo so che ti dispiace - replicò John Winchester, tremendamente vicino.

Talmente vicino che, quando si accomodò la cintura tra le mani, Sam lo udì.

- No papà, ti prego, bast-…

La supplica culminò in un ululato che coincise con il tredicesimo colpo, di nuovo sulla zona lombare.

- Papà… papà, ti giuro che obbedirò, non succederà più… mi dispiace…

- Papà, sta sanguinando.

Dean. Dean ci stava riprovando, a salvarlo. Ma la sua voce era irriconoscibile, più simile a quella con cui Sam stava scongiurando suo padre che a quella sicura e intrattabile che suo fratello minore conosceva. Per John Winchester fu come se un venticello fresco gli avesse accarezzato i capelli.

- Ancora cinque, Sam - annunciò, con tono piatto malgrado avesse il fiato corto. - Voglio che le conti e poi avremo finito.

Lo disse come se stesse parlando di un compito di algebra, ma Sam si morse le labbra a sangue pur di non cedere alla tentazione di insultarlo nei modi peggiori che conosceva. Tirò su col naso e si aggrappò più forte che poté alla lastra del tavolo, quindi serrò gli occhi e attese l’ineluttabile.

Quattordici.

- Uno - sputò, senza fiato.

Quindici. Sedici.

- Due. T-tre - balbettò, con il sapore delle lacrime sulle labbra.

Un urlo lo dilaniò quanto fece il bruciore al diciassette.

- Q-quattro… - esalò poi.

Per l’ultimo suo padre si prese più tempo e Sam fu sicuro si trattasse ancora una volta della logica malata grazie alla quale era in grado di farlo penare anche senza percosse. Infine il diciottesimo colpo, il più violento per la conclusione.

Sam sentì la parola “cinque” abbandonargli le labbra, ma non ricordò mai di averla pronunciata. Sopraffatto dal dolore infuocato che gli devastava la schiena, cadde finalmente in ginocchio e lì si accartocciò su se stesso, continuando a singhiozzare e aspettando che il nodo al petto si sciogliesse per poter tornare a ingoiare grandi boccate d’aria. Non appena il tremore alle gambe diminuì, si trascinò a sedere in un angolo della stanza.

John Winchester era rimasto immobile al suo posto, la cinghia ancora piegata nella mano destra. Sam gli lanciò uno sguardo carico di disprezzo, ma aveva ancora il fiato corto e qualcosa gli impediva di dare voce ai suoi pensieri. Un attimo dopo fece l’errore di cercare gli occhi di Dean. Se ne pentì immediatamente: suo fratello maggiore lo stava guardando con una pena nuova, mai vista, e gli occhi da cui Sam sfuggì erano pieni di orrore e lacrime. Dunque anche il suo castigo aveva fatto effetto.

Per quanto sapesse che Dean era distrutto dalle sue condizioni, Sam provò un imbarazzo immenso e fece sprofondare lo sguardo sul pavimento, continuando a respirare affannosamente. Il silenzio e l’immobilità della scena vennero interrotti soltanto quando il sedicenne, esausto, cercò di trovare sollievo appoggiandosi alla parete dietro di lui. Una scarica di dolore gli strappò un’esclamazione e nuove lacrime gli bagnarono le guance quando tutto il peso dell’umiliazione subita lo travolse come un acquazzone.

Fu allora che John Winchester fece un cenno al figlio maggiore.

- Aiutalo. Portalo a riposare fino all’ora di pranzo.

Sam alzò lo sguardo su di lui con un tremito.

- Tu e la tua ipocrisia potete andare all’inferno - guaì, strappandosi le lacrime dal viso col dorso della mano.

Gli occhi scuri di suo padre lo valutarono dall’alto: - Che cosa mi hai detto?

- Ho detto vai all’inferno! - ringhiò Sam con tutte le sue forze.

John Winchester si mosse lentamente. Se in quel momento non fosse stato impegnato a odiarlo con tutto se stesso, Sam avrebbe detto che aveva bisogno di una buona notte di sonno. Si prese il tempo utile ad arrotolare la cintura e a depositarla sul tavolo, quindi mosse qualche passo verso il figlio minore. Dean era sul punto di intervenire quando vide che suo padre si era limitato ad accucciarsi di fronte a Sam per poterlo guardare dritto negli occhi. Terrorizzato e dolente, il sedicenne rimase fermo sul posto, sostenendo quello sguardo sfinito ma austero. Le parole di suo padre furono come chiodi piantati nelle contusioni fresche sulla sua schiena.

- Ragazzo, non ti piaccio? Va bene. Il mio compito non è piacerti. Il mio compito è crescerti in maniera adeguata. Ed è esattamente ciò che intendo fare.

Sam lasciò andare il fiato che aveva trattenuto solo quando suo padre si rimise in piedi e lasciò la stanza dopo aver fatto un cenno d’intesa a Dean. Quest’ultimo accorse ancora prima che John Winchester arrivasse in veranda, dove si sarebbe messo a consultare vecchie pagine del suo diario e magari a redigerne di nuove.

Sam non respinse l’aiuto di Dean. Aveva perso tutto l’orgoglio prima della settima cinghiata e non gli importò neppure di continuare a piangere mentre suo fratello lo faceva sdraiare a letto, gli disinfettava e incerottava le ferite aperte e gli piazzava sulla schiena tre pacchi di minestrone congelato per sgonfiare i lividi.

 

Il giorno dopo era lunedì e Sam insistette per andare a scuola. Dean lo aveva avvertito dei disagi che avrebbe avuto, ma il sedicenne aveva più di un motivo per abbracciare l’occasione di uscire. Tornò a casa alle quattro e mezza del pomeriggio e trovò entrambi i membri della sua famiglia in salotto, occupati con armi semi-smontate e libri sull’esoterismo giapponese.

- Dove sei stato? - chiese suo padre quando lo vide entrare, fermandosi con una pagina voltata solo per metà. - La scuola è finita un’ora e mezza fa.

Sam rispose solo perché costretto, appoggiando lo zaino sul pavimento e sedendosi lì vicino, accanto a Dean, con un block notes e una matita per fare due schizzi.

- Ah sì, ho… ho avuto da fare.

Suo padre non si fece beffare dalla sua finta indifferenza.

- Sii più specifico.

- Sono stato in biblioteca per una ricerca di scienze - spiegò Sam, gli occhi fissi sul foglio.

- Vi hanno dato una ricerca da fare durante l’ultima settimana di lezioni?

- Ah-a.

- Sam - Il tono dell’uomo divenne abbastanza severo da costringere l’adolescente a essere testimone della sua alzata di sopracciglio. - Ti conviene dirmi la verità.

La schiena di Sam era tutta un’ecchimosi, quindi non perse tempo a protestare.

- Okay - sospirò, facendo balzellare un lato della matita in cima al quadernetto. Dean stava guardando le sue armi come si guarda un’amante, ma aveva sicuramente alzato le orecchie a inizio conversazione. - Ho avuto un colloquio con il consulente scolastico.

- Un colloquio?

- Volevo delle informazioni sul diploma.

Questa volta la fronte di suo padre si corrugò al massimo della sua potenza, ma fu la voce di Dean a investigare.

- Ti mancano ancora due anni di scuola prima del diploma.

- Forse no - rivelò Sam, ora faticando a trattenere il senso di trionfo. - È proprio su questo che avevo bisogno di informazioni. Io… ho chiesto se non ci fosse un modo per accelerare il tutto. Ho degli ottimi voti e il consulente mi ha confermato che esiste la possibilità di diplomarsi un anno prima, nel caso di studenti che abbiano già dimostrato di essere pronti a impegnarsi. Quindi ho fatto domanda per poter seguire più corsi, il prossimo anno accademico, così da potermi diplomare già la prossima estate.

Non si aspettava complimenti o fuochi d’artificio, ma il silenzio che accolse le sue parole fu comunque duro da digerire. Fu John a proseguire l’interrogatorio.

- E perché ti è saltata in mente questa idea?

- Così potrò partire prima per il college.

- Il college - ripeté suo padre, come se fosse una parola dal fastidioso gusto esotico.

- Sì - ribatté Sam, troppo entusiasta della scoperta per farsi mettere in guardia da quello che assumeva sempre più le tinte del disappunto paterno. - E dato che ne stiamo parlando… voglio anche trovarmi qualche tipo di lavoro. Una cosa part-time in un bar, un cinema o un negozio, non lo so. Qualcosa del genere.

John Winchester diede in un sospiro, appoggiandosi allo schienale della poltrona come se tutto ciò fosse troppo da reggere. - E perché, di grazia?

- Be’ - si fece coraggio Sam, scivolando su un mezzo sorriso che era per se stesso e per Dean, ma non certo per suo padre. - Sarei un illuso se pensassi che mi pagherai gli studi, no?

- E cosa ti fa pensare che ti lascerò partire per il college, invece?

La smorfia di gioia di Sam venne cancellata in un colpo solo.

- Non puoi impedirmelo.

- Ah no?

- No - rispose Sam, secco.

- Vedremo - ribatté John, piantandogli addosso occhi simili al giorno prima. - Intanto non ti permetto di metterti a cercare lavori inutili.

- Cosa? Perché?

- Perché hai già un lavoro. Aiutare me e tuo fratello, a casa e a caccia.

Sam si morse le labbra, ma capì che si era spinto troppo oltre per tornare indietro. Aveva attirato l’attenzione di suo padre dal momento in cui era rientrato, anche se si era ripromesso di rimanere quieto e di comportarsi normalmente - perfino di fingere che il giorno prima non fosse successo niente di particolare - per non dar adito a sospetti. Maledizione, la sua forza di volontà aveva già capitolato.

- Non lo voglio più fare - confessò, rifiutandosi di pentirsi malgrado l’occhiata disorientata di Dean.

Suo padre, invece, rimase statico.

- Peccato - si limitò a commentare, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi mollemente verso il corridoio. - Sono io che detto le regole, nel caso te lo fossi dimenticato. Nessun lavoro part-time e nessun college. Toglitelo dalla testa e va’ a prendere i fucili a canne mozze da pulire. Dean ha già fatto la sua parte prima di pranzo.

In mancanza di qualcosa da colpire, Sam gettò di lato block notes e matita in un moto di frustrazione.

- Sei tipo l’unico genitore al mondo che proibisce al figlio di studiare e di combinare qualcosa più di quanto non abbia fatto lui!

Sam capì di averla sparata grossa dal fatto che Dean si lasciò scivolare dalle mani il calcio della calibro 45 più che dalla lentezza con cui John Winchester si voltò verso di lui.

- Be’, questo pezzente è tuo padre - sibilò l’uomo. - E tu te lo farai andare bene.

Infine Sam abbassò lo sguardo, cercando di sciogliere il blocco gelido di paura nello stomaco.

- Non era quello che intendevo.

- Ah no?

- Nossignore.

Un attimo dopo, Sam trasalì sentendo le dita della mano di suo padre serrargli il viso in una morsa.

- Intendevi dire che non vuoi essere un cacciatore. Che non vuoi fare questa vita.

Il ragazzo deglutì. - Sissignore.

L’uomo lo lasciò andare e il sedicenne percepì i muscoli del braccio di Dean, pressato contro il suo, rilassarsi come se una bomba fosse appena stata disattivata.

- Mi dispiace, Sammy - concluse il loro padre con la stessa voce atona con cui gli aveva comandato di contare a voce alta gli ultimi cinque colpi di cinghia. - Ma non ho intenzione di lasciare che né tu né tuo fratello vi allontaniate da me. Dimentica il college e tutte le tue fantasie. Finisci la scuola in fretta, se vuoi, ma vorrà solo dire che da quel momento verrai a caccia con me e Dean a tempo pieno - Fece trascorrere qualche secondo, senza lasciare scampo agli occhi verdi del figlio minore, quindi piegò la testa di lato con una smorfia inquisitoria: - Non ho sentito la tua risposta.

Sam avvertì la vera replica che avrebbe voluto dare graffiargli le pareti della cassa toracica, ma strinse le labbra e obbedì come aveva promesso, urlando di dolore, il giorno prima.

- Sissignore.

 

 

 





Angolino dell'autrice

Buongiorno a tutte/i!

Ancora una volta, per prima cosa ringrazio Biota per aver recensito lo scorso capitolo e tutte/i voi che state leggendo questo sclero *crostatine e gelato all over the place*

Approfitto di questo angolo di pazzia per chiedere a chi è più navigato di me nel mondo di Supernatural (quindi tutti) se sapete dirmi da quale puntata viene la frase che ho usato: "Son, you don't like me? That’s fine. It's not my job to be liked. It's my job to raise you right". So che Dean e Sam la riportano citando il padre, ma l'ho letta in un forum e non so di che puntata si tratti. Vorrei inserire il disclaimer perchè evidentemente non è mia, anche se mi è capitata sotto mano a fagiuolo.

Edit: frase presa in prestito dal decimo episodio della decima stagione. Grazie a Vally1979 per l'aiuto!

Ne approfitto anche per informarvi che l'ultimo capitolo non è questo, ma sarà il prossimo.

Un abbraccio e continuate a splendere,


a.

 


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Capitolo 4
*** Non finché ci sarò io ***


 

 

 

 

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4. Non finché ci sarò io

 

 

There's something about the way that you

Always see the pretty view
Overlook the mud and mess

Always lookin' effortless

(Next to me, Imagine Dragons)

 

 

Bobby Singer non era abituato alle improvvisate. Da cacciatore esperto qual era, aveva imparato a sospettare di ogni visita a sorpresa e aveva reso ben chiaro a ogni amico e conoscente che, prima di presentarsi a casa sua, una telefonata non era solo gradita, ma indispensabile. Così, quando all'alba dell'8 giugno 1999 uno scricchiolio distinto interruppe la quiete assoluta del primo mattino, l'uomo mollò la caffettiera che stava caricando e imbracciò la prima arma utile prima di incamminarsi furtivo in direzione della veranda.

Senza attendere ulteriori rivelazioni, quindi, spalancò la porta d'ingresso con una manata e spianò il fucile, caricandolo rapido. Tutto si sarebbe aspettato di trovare là fuori - davvero tutto -, meno gli occhi spalancati di uno dei figli di John Winchester.

- Sam? - borbottò, abbassando il fucile con fare confuso di fronte alle sue mani alzate in segno di resa. - Che diavolo ci fai qui?

Lui esitò sull'orlo di un sorriso sghembo.

- Ciao, zio Bobby.

- È successo qualcosa? Ci sono anche tuo padre e Dean? - continuò l'uomo, dando un'occhiata alle spalle del ragazzo.

- No - lo sorprese però il sedicenne. - Ci sono solo io.

Bobby stava per vomitargli addosso qualche altra domanda, ma si bloccò non appena ebbe l'occasione di studiare un po' meglio le condizioni del giovane. Malgrado fossero appena le sei del mattino, Sam sembrava reduce da una lunga camminata nel bosco, con le scarpe impolverate, i jeans costellati di aghi di pino e i capelli appiccicati alla fronte sudata. Al suo fianco ondeggiava un borsone sul punto di scoppiare, da quanto era stato riempito, e lo zaino dell'adolescente non versava in condizioni migliori. Ma soprattutto, i suoi occhi erano di un verde slavato che Bobby aveva visto solo nelle poche occasioni in cui uno dei giovani Winchester si era lasciato andare a un solenne pianto di sfogo.

- Cos'è successo, Sam? - tornò a chiedere Bobby, con un tono più guardingo.

Il sedicenne si strofinò gli occhi con la mano libera.

- N-niente, io...

- Tutto bene a casa?

Questa volta Sam lo guardò negli occhi prima di scuotere la testa.

- No. No, non va... non va per niente bene a casa.

A quel punto il vecchio depositò il fucile sulla parete appena dentro la soglia e si scostò dall'entrata per fare spazio al ragazzo.

- Entra, giovanotto - sospirò. - Se come credo te la sei fatta a piedi da Alder Road, come prima cosa ti servono uova, bacon, toast e succo d'arancia. E poi parleremo un po’, d’accordo?

 

Giovedì pomeriggio fu un deciso bussare alla porta a costringere Bobby ad alzarsi dalla scrivania e a raggiungere l’ingresso. Si preparò un sorriso strafottente in volto, perché aveva riconosciuto l’assenza di delicatezza che aveva colpito il suo battente, quindi aprì e lasciò che il suo sarcasmo si scontrasse con il piglio granitico del maggiore dei Winchester.

- Dean - lo accolse con voce forzatamente neutra. - A cosa devo il piacere?

- Non fare finta di niente - rispose il ragazzo, sul punto di aggredirlo. - So che è qui.

Bobby fece spallucce, continuando a contrapporre la sua calma all’atteggiamento sprezzante del ventenne.

- Se parli di Sam, certo, è qui. Non ho cercato di nascondertelo.

- Lui sì, però. Né io né papà avevamo idea di dove fosse - commentò Dean tra i denti.

Bobby conosceva la predisposizione bellicosa del ragazzo, ma la tenne a bada con un’occhiata gelida.

 - Sì, mi ha accennato di aver dovuto fare una partenza frettolosa.

- Chiamala pure fuga - ringhiò Dean, furente. - Dov’è? Sam! - chiamò a gran voce, cercando di vedere oltre la figura dell’uomo stagliato sulla soglia. Quando non ottenne risposta, però, si rivolse nuovamente a Bobby con la stessa inflessione arrogante: - Lo riporto a casa con me.

Ancora una volta, l’uomo non si squassò. Dopo una vita di lotte, non sarebbe certo stato un ragazzino a metterlo in agitazione.

- È venuto a chiedermi ospitalità. Tornare a casa non è quello che desidera.

- Me ne frego di quello che vuole lui, è mio fratello e deve stare con la sua famiglia!

Di fronte a quell’impeccabile imitazione di John Winchester, Bobby si trattenne a stento dal zittirlo in malo modo. Dean era evidentemente turbato, anche se non per le stesse ragioni di Sam, e colui che si considerava suo padre adottivo avrebbe preferito non redarguirlo in un frangente così delicato.

- La sua famiglia, sicuro - assentì allora con fare pensoso, anche se un’amara ironia gli solleticava già la lingua. - Tanto affetto e un ambiente comprensivo in cui crescere.

A quelle parole, qualcosa si ghiacciò nell’espressione del giovane Winchester.

- Che cosa ti ha raccontato?

- Diverse cose. Qualcuna regolare e qualcun'altra che ho faticato a mandare giù - rispose Bobby, per poi lasciare che il suo sguardo si inasprisse sull’onda dei suoi pensieri. - Avrei informato tuo padre che era qui da me, se avessi capito che si trattava solo di un’arrabbiatura che andava sbollita. Ma quando ho visto la schiena di Sam, ho quasi cancellato il numero di John dal telefono.

- Sam esagera - deglutì Dean. - Come quando eravamo piccoli. Gli facevo uno scherzo travestito da clown e poi non la piantava di frignare per tutto il pomeriggio.

- Quei lividi non possono esagerare - gli fece notare Bobby, raddrizzando le spalle e scuotendo la testa. - Non esiste nulla di più oggettivo al mondo. Restituiscono allo sguardo esattamente ciò che è stato dato loro, Dean. E se tu ora insisterai per portarti via tuo fratello, io me ne fotterò il cazzo dei tuoi vent’anni. Osa ancora difendere tuo padre e il suo comportamento, cerca di portarti via Sam con la forza e ti ci rimando col naso rotto, a casa.

Seguì un silenzio di pietra, ma il discorsetto servì a smontare almeno un poco il ragazzo, che sospirò e si guardò alle spalle prima di tornare da Bobby con occhi nuovi, dispiaciuti e preoccupati.

- Posso almeno parlargli? - chiese, allargando le braccia con fare impotente. - Non so come sta. Non lo vedo da giorni.

Bobby gli lanciò uno sguardo di avvertimento prima di scansarsi per lasciarlo entrare.

- Ma bada di lasciare quell’atteggiamento da bulletto sulla soglia, ragazzo. Non ci metto niente a rispedirti da John a pedate nel sedere.

Ottenne l’effetto voluto: Dean scivolò in casa a capo chino, mansueto come un cucciolo, e Bobby sorrise nel vederlo esitare a inoltrarsi nell’abitazione senza che ci fosse il proprietario ad accompagnarlo. L’uomo lo superò e lo condusse dalla parte opposta della costruzione, appena fuori da una stanza dalla quale proveniva un ronzio come di musica lontana.

- Sam - chiamò Bobby, colpendo con le nocche la porta spalancata, ma dovette ripetersi a voce più alta: - Sam! - Finalmente il ragazzo, seduto alla scrivania con le spalle alla porta, si accorse di lui e si tolse le cuffie del walkman dalle orecchie. - Una visita per te.

Bobby lo annunciò e si fece da parte, ma per ogni evenienza rimase nella stanza a osservare con le braccia incrociate lo scambio di sguardi tra i due fratelli. Non appena Dean riconobbe l’allarme negli occhi di suo fratello minore, si affrettò ad assicurargli che era venuto da solo.

- Volevo vedere come stavi - annunciò semplicemente, al che Sam si rilassò sulla sedia.

Per un momento sembrò voler dare una risposta acida, ma poi sospirò: - Meglio, qui da Bobby.

Dean si guardò in giro: ai piedi del letto che suo fratello doveva aver occupato nelle ultime due notti c’era il suo borsone da viaggio, pieno solo per metà. Alcuni suoi vestiti giacevano sulla testata, altri sbucavano da un armadio mezzo aperto, come se Sam fosse stato preda di una voglia frettolosa di disfare i bagagli ma poi si fosse interrotto altrettanto in fretta. Forse lo aveva colto una crisi simile a quella che lo aveva portato a scappare di casa. Forse Bobby lo aveva ascoltato e gli aveva fatto forza, poggiandogli una mano sulla spalla e lasciando che piangesse finché ne aveva bisogno. Quello che avrebbe dovuto fare Dean, insomma, invece di chiudersi nel silenzio ottuso che lo aveva inglobato dal momento in cui Sam aveva nominato il college.

Lo sguardo di Dean indugiò sulla scrivania colma di libri e quaderni. Possibile che Sam stesse davvero già pensando all’università? Era così urgente la sua necessità di andarsene?

- Manchi anche a papà, sai - gli scappò di dire.

A quel punto il volto di Sam si irrigidì e il ragazzo recuperò un libro dalla scrivania, se lo mise sulle ginocchia e lo aprì con furia. Dean riconobbe un chiaro segno del suo rancore ancora prima che suo fratello sibilasse il suo odio.

- Puoi dire a papà di andare a fare in culo.

Dopo aver compreso che Bobby non sarebbe venuto in suo aiuto, Dean si passò una mano fra i capelli con fare esasperato.

- La stai facendo lunga, Sam, come al solito. Qualche giorno e la tua schiena sarà come nuova.

Pur sapendo da dove arrivava tutta quella competenza in materia, Sam non riuscì a concedergli alcuna pietà.

- E potrò dimenticare, giusto? Come un bravo bambino. Così, la prossima volta che a papà verranno i cinque minuti non si sentirà in colpa, no? Guarda che pelle bella guarita da imbrattare.

Percependo un innalzamento dei toni, Bobby mollò lì un avvertimento: - Ragazzi…

Ma era già troppo tardi: Dean aveva immagazzinato abbastanza aria da rispondere per le rime.

- Sei un piccolo ingrato impertinente, lo sai? Papà darebbe la vita per te e tu tiri su il naso e scappi di casa solo perché per la prima volta in vita tua hai dovuto piegare la testa e prenderti quello che ti meritavi!

- Oh, ma certo! - esclamò a sua volta Sam, scattando in piedi per fronteggiare il fratello maggiore e facendo così crollare il libro a terra. - Io sono un figlio degenere, perché voglio avere degli amici e andare all’università! Tu invece sei perfetto, non è vero? “Hai ragione, papà, sissignore, staccagli pure la pelle a forza di cinghiate, se l’è meritato”… ti è piaciuto, non è così?

A quel punto Bobby fu certo che, se solo il centro della conversazione non fossero state le percosse che si era preso Sam, suo fratello maggiore lo avrebbe colpito in pieno viso per aver insinuato una cosa del genere. Invece Dean, grazie al cielo, si limitò a incassare la dura accusa e a incendiare il più piccolo con uno sguardo di fuoco.

- Non osare nemmeno suggerire che non abbia provato con tutte le mie forze a impedirlo.

Ma il più giovane rimase saldo sui suoi argomenti, limpidi nella sua mente come il dolore che provava a ogni passo: - Impedirlo? “Sam, ti conviene smettere di ribellarti. Sam, non puoi evitare di prenderti le tue responsabilità. Se lo costringi a venire a prenderti sarà peggio, Sam”!

- Io stavo solo cercando di aiutarti! - esplose il ventenne, agitandogli le mani davanti alla faccia.

- Bel tentativo! Non riesco ad appoggiarmi a niente da domenica, perché tu mi sei corso dietro e mi hai riportato da lui! - deflagrò Sam.

Soffocando un’imprecazione a fior di labbra, Bobby si frappose tra loro.

- Ragazzi, abbassiamo i toni…

Ma né l’uno né l’altro avevano nulla da invidiare alla testardaggine del loro padre.

- Cos’altro avrei potuto fare? - proruppe Dean, come se non lo avesse neppure sentito.

- Portarmi via! - gridò allora Sam, con le guance rosse e gli occhi umidi. - Portarmi via da lui, Dean! Non permettergli di colpirmi! Tu più di tutti… tu che sai cosa si prova, avresti dovuto mandarlo a fanculo e portarmi via da lì!

E all’improvviso non ci furono più urla e tutto divenne inerte, ma in modo strano e inquietante, come il silenzio di una città immobile sotto una nevicata. Il respiro affannato di Dean e i singulti strozzati di Sam erano tutto ciò che rimaneva della loro lite, le cui scintille si andava esaurendo nel loro scambio di sguardi.

- Ora vediamo di darci una calmata, tutti quanti - mormorò Bobby come un mantra, ma non ce n’era alcun bisogno.

Dean aveva l’espressione devastata di chi ha appena capito di essere stato complice di qualcosa di orribile. Ogni fibra di Sam, dall’altra parte, gridava al tradimento, dalle rigidità delle braccia al tremore della mandibola, dagli occhi rossi alle guance rigate dalle lacrime. Bobby non aveva mai avuto alcun dubbio su quale dei due ragazzi Winchester avesse maggiori tendenze drammatiche - gli bastava ricordare di che capricci era stato capace Sam da bambino per un biscotto in più -, ma non lo aveva mai visto in quelle condizioni prima di quella settimana.

Quell’equilibrio precario si spezzò nel momento in cui il sedicenne decise di voltare le spalle a entrambi, tornando alla scrivania e ai suoi libri. Dean, ferito, gli si avvicinò e cerco di posargli una mano sulla spalla.

- Sam…

- Non mi toccare! - lo respinse però il più giovane, scostandosi come se il tocco delle sue dita lo avesse scottato. - Non mi devi toccare.

Quello dovette fare talmente male che Bobby credette di sentire il cuore di Dean cedere. Lo vide bloccarsi, interdetto, e inghiottire il dolore di quel rifiuto. Prima che la situazione arrivasse a un nuovo stallo inconcludente, Bobby si allungò fino a toccare il gomito del maggiore.

- Dean - mormorò, benevolo. - Vieni ad aiutarmi con la cena, forza.

Non aggiunse che Sam aveva bisogno di un po’ di tempo da solo, non aggiunse nient’altro che potesse suonare come un’accusa all’uno e una difesa dell’altro. Semplicemente uscì dalla stanza, fiducioso di essere stato ascoltato, e dopo qualche secondo il ventenne lo raggiunse mogio al bancone della cucina.

Fu solo dopo avergli chiesto di apparecchiare la tavola per tre, quando il contorno stava già cuocendo in padella e le bistecche erano pronte per essere messe sul fuoco, che Bobby tornò sull’argomento.

- Da quanto va avanti questa storia?

Mentre lui controllava i progressi delle patate, Dean, accanto a lui, tagliava grosse fette di pane per poi tostarle e metterle nel paniere.

- Quale storia? - brontolò il ragazzo, senza alzare lo sguardo dal compito che stava svolgendo. - Quella di un padre che cerca di insegnare qualcosa ai suoi figli?

- No - replicò Bobby, alzando un sopracciglio. Tutto d’un tratto non era più tanto sicuro di chi fosse il più grande estimatore del dramma, in quella famiglia di disgraziati che si era ritrovato ad adottare. - Quella della cintura. Solo ed esclusivamente quella - specificò. E visto che il ragazzo non si scuciva la bocca, mollò il mestolo nella padella e si voltò completamente verso di lui per poterlo guardare dritto negli occhi. - Senti, Dean, non sono uno stinco di santo né un genitore ingenuo dell’ultima ora. Dio sa che ho un’idea abbastanza precisa di quanto voi ragazzi possiate essere difficili da gestire. Ho visto John alzare la voce con voi un milione di volte e se mi metto a pensarci riesco anche a ricordarmi qualche sberla che tu e Sam vi siete presi. Cristo santo, penso di avervi mollato io stesso una sculacciata, quando non sapevo più cosa inventarmi per farvi stare buoni. E non ho mai contestato niente a vostro padre, perché di nuovo, so che sapete essere una rottura di coglioni e fare il genitore nelle condizioni in cui si è ritrovato a farlo John non è esattamente un idillio. Ci sta che vi abbia mollato qualche schiaffo per rimettervi in riga, ogni tanto.

Sentendo suo malgrado le guance andare a fuoco nel farsi ricordare la propria fragilità infantile, Dean gli concesse finalmente la sua piena attenzione.

- E allora?

- Allora questo è diverso - proseguì l’uomo senza esitare. - La cinghia, Dean? Sul serio? Hai visto la schiena di tuo fratello?

Dean spezzò l’ultimo pezzo della pagnotta con le mani e lo mise con gli altri con fare sin troppo risoluto.

- Sì che l’ho vista.

- E ti va bene così.

- È mio padre, Bobby.

- Ed è mio amico. Ma può andare a vendersi il culo se pensa che gli riconsegnerò Sam come un pacco regalo dopo un comportamento del genere.

Dean lo studiò a lungo dopo quella frase, ma quando Bobby rimase imperturbabile si fece scappare un sospiro.

- Lui… lui non ha avuto altra scelta. Sam l’ha fatta troppo grossa, stavolta.

Bobby alzò entrambe le sopracciglia, incredulo. - Non mi pare abbia ucciso nessuno, pertanto…

- Ci sono altre cose che non possiamo permetterci di fare - sbottò allora Dean, frustrato da quella che gli sembrava cecità auto-imposta. - E per le quali papà è costretto a intervenire.

Fu il turno di Bobby di scrutare a fondo la sua espressione prima di ribattere.

- Se hai dei lividi anche tu, dimmelo subito, ho una pomata che fa miracoli.

- Non lo fa a giorni alterni! - sbuffò il ventenne, irritato.- Solo quando è necessario. Fa male anche a lui.

Si accorse di aver dato voce a un luogo comune ancora prima che Bobby lo rimproverasse.

- Stronzate - dichiarò infatti il cacciatore. - È successo quando eri bambino?

- No - rispose controvoglia Dean, alzando gli occhi al cielo. Avrebbe davvero preferito che qualcuno dei suoi parenti, biologici o acquisiti che fossero, si facesse gli affari propri, almeno per ciò che riguardava i castighi somministratigli da suo padre. - Da adolescente in su. Poche volte, Bobby. E ho fatto tesoro di tutte.

In quell’istante Sam, che aveva evidentemente origliato l’intera conversazione, emerse dal corridoio solo per rubare un pezzo di pane da sotto il naso di suo fratello e fare un cenno d’intesa al padrone di casa.

- Te l’avevo detto che gli ha fatto il lavaggio del cervello.

Dean cercò di mollargli una scoppola mentre passava, ma Sam si defilò per andare a riempire la brocca d’acqua. Ebbene, perlomeno aveva smesso di piangere ed era tornato a rivolgergli la parola.

- Hai vent’anni, Dean. Non posso costringerti ad accettare il mio aiuto - ammise Bobby, tastando il grado di cottura delle bistecche con i denti della forchetta. - Ma ho un letto che mi avanza, oltre a quello che sta occupando Sam, e qui si rimediano tre pasti al giorno. Sai che sei sempre il benvenuto.

Lasciando che un sorrisetto scaltro gli affiorasse alle labbra, Dean andò a sedersi a tavola accanto al fratello minore.

- Ora mi dirai anche che non porti cinture di pelle - scherzò, allungando una gomitata a Sam.

- Fesso - reagì il più giovane dei Winchester, indispettito.

- Stronzetto - replicò l’altro, accentuando il sorriso accorto.

Bobby li mise a tacere entrambi con uno scappellotto a testa, prima di mettergli davanti i piatti colmi.

- Silenzio e mangiate. Se avanzate qualcosa, ve lo ritrovate a colazione.

Dopo cena e dopo aver lavato i piatti sotto la supervisione di Bobby, Sam seguì suo fratello oltre la porta a zanzariera dell’ingresso. Guardò Dean sedersi sui gradini della veranda con un sospiro e non resistette più di qualche secondo prima di imitarlo. Solo allora, quando furono entrambi avvolti dal tepore estivo e dal frinire dei grilli tutt’attorno, il minore fu in grado di abbassare le difese per rivolgersi all’altro con un sussurro preoccupato.

- Tu come stai?

La risposta fu immediata e suo fratello gliela buttò addosso assieme a uno degli sbuffi spavaldi che in realtà nascondevano l’angoscia delle sue notti insonni: - Benissimo.

- Dean - fece Sam, insistendo perché lo guardasse negli occhi. - Non volevo lasciare anche te. Ma se tu intendi stare con papà, non c’è altra soluzione che separarci.

Ecco, l’aveva pronunciata. Una delle parole tabù che sapevano tradursi immediatamente in un’occhiataccia da parte di suo fratello. Accadde anche quella volta e Sam sperò che non volesse dire che avrebbero ripreso a litigare. Ma Dean tenne un tono basso, si limitò ad alzare le sopracciglia per sottolineare ogni parola.

- Devi concedere a papà un’altra occasione. Glielo devi.

Affidando la propria pazienza a un respiro profondo, Sam raccolse le ginocchia al petto e le circondò con le braccia, lo sguardo che vagava nel prato alla ricerca di lucciole.

- Prima mi dovrebbe promettere una o due cose e non penso che ciò rientri nella sua idea di rispetto della gerarchia - bofonchiò prima di tornare al volto serio del maggiore. - Perché non me ne sono mai accorto?

- Di che?

- Che te le dava con quell’affare.

Dean dovette trattenersi dall’alzare di nuovo gli occhi al cielo. Per lui l’ostinazione con cui Sam continuava a tornare su quell’argomento era vuota e sterile, proprio come sarebbe stato un castigo privato del suo contesto. Dean sapeva che cosa aveva combinato ogni singola volta ed era soltanto grazie alle punizioni di suo padre se era consapevole di aver sbagliato. Se ne era consapevole al punto che mai più avrebbe commesso gli stessi errori. Sam, invece, sembrava fin troppo ansioso di giudicare i metodi educativi di John Winchester e fin troppo poco disponibile a riconoscere le sue mancanze.

- Ci metteva poco - decise di dire alla fine. - Lo faceva quando non eri in casa.

- Sì, ma dopo… avrei dovuto accorgermi di come stavi dopo.

- Eri piccolo - tagliò corto Dean.

Ma mai che la lingua affilata di Sam gliene lasciasse passare una.

- L’ultima volta è stato un anno fa!

Dean strinse i denti, e le dita attorno alle ginocchia. Avrebbe voluto urlargli in faccia.

Te lo tenevo nascosto, d’accordo? Facevo di tutto per non dare a vedere che avevo dei lividi. Non avevi bisogno di sapere che mi ero comportato da idiota durante un allenamento, che ti avevo messo in pericolo, che avevo mandato a puttane una missione o che mi ero rifiutato di capire che portare ragazze in casa nostra avrebbe potuto farle finire ammazzate! Avevi bisogno di un modello da imitare, non di un fratello maggiore incasinato. Se non fossi stato una perfetta figura di riferimento per te, avresti cominciato a infrangere le regole e papà ti avrebbe fatto capire l’antifona a suon di botte!

Era talmente abituato agli intenti razionalizzanti di Sam che nella sua testa udì anche la possibile risposta del fratello minore.

Ma alla fine è successo lo stesso, non è vero?

- Sapessi di quante cose ancora non ti accorgi, Sammy - rispose invece, rimettendosi in piedi e sostenendo il suo sguardo da cane bastonato. - Devo andare o si metterà a cercare anche me.

Sam si morse il labbro inferiore.

- Finirai nei guai per essere restato fino a tardi?

- No - fece Dean, laconico. - Trovarti era anche la sua priorità. Sai com’è fatto. Non lo dà a vedere, ma non dorme da martedì all’idea che tu sia da qualche parte là fuori, vivo o morto. Buonanotte, fratellino.

Mentre raggiungeva la strada con le mani in tasca, Sam avrebbe voluto chiedergli quando si sarebbero rivisti. Ma un groppo in gola lo trattenne, perché temeva la risposta quasi più di quanto temesse suo padre. Così si limitò a fare un cenno di saluto.

- Ciao, Dean.

 

Quando Dean arrivò finalmente a casa, era notte fonda. Ma non fu sorpreso di trovare suo padre al tavolo della cucina, circondato da mappe e dall’incarto di un paio di hamburger.

- È da Bobby - lo informò il ventenne.

John Winchester non alzò nemmeno la testa, ma allungò una mano verso una bottiglia di birra ancora intatta mascherando un sospiro di sollievo.

- Ha intenzione di tornare?

Dean crollò sulla sedia accanto alla sua. - Tutt’altro.

John annuì lentamente. - Diamogli tempo.

Il tempo che gli concesse fu una settimana. Poi Dean si ritrovò caricato sull’Impala con le mani strette al sedile, mentre suo padre guidava come un diavolo infuriato. A quanto pareva si era sforzato di mantenere una maschera di tranquillità fino a quando, una mattina, si era svegliato con la pazienza sotto i piedi. Forse Dean avrebbe fatto meglio a non nominare la brochure dell’università di Stanford che aveva trovato nel cassetto del comodino di Sam, ma ormai era troppo tardi per recriminare.

Una volta giunto davanti alla casa di Bobby Singer, John Winchester arrestò l’auto bruscamente, uscì e si mise a marciare verso la porta d’entrata ancora prima che Dean avesse il tempo utile a slacciarsi la cintura di sicurezza.

Una gragnola di colpi percosse la porta e il padrone di casa comparve immediatamente sulla soglia per sorbirsi il ringhio che uscì dalla gola dell’uomo di fronte a lui.

- Ridammi mio figlio.

Abituato ai suoi convenevoli, Bobby reagì alzando il mento.

- Tuo figlio ha le sue ragioni per non volerti vedere, John.

In piedi in fondo al salotto, nascosto appena da un’ansa della parete, Sam pensò di aver udito le dita di suo padre scricchiolare. Un momento dopo, l’uomo aveva scansato Bobby con una spinta e stava entrando in casa a grandi passi.

- Sam! - chiamò a voce alta, e quando lo individuò, in piedi a pochi metri da lui, gli puntò contro l’indice con fare intimidatorio. - Prendi le tue cose e sali in macchina, ce ne andiamo.

Sam deglutì. Alle spalle di suo padre, in sequenza, poteva vedere Bobby che ritrovava l’equilibrio e Dean, in cortile, il viso devastato da un’espressione palesemente angosciata che su di lui era una vera e propria rarità. Ebbe bisogno di una manciata di secondi, ma alla fine riuscì a guardare suo padre negli occhi e ad articolare l’unico suono che gli serviva.

- No.

John Winchester mosse un passo di lato, come se gli avessero tirato un pugno in testa per disorientarlo.

- Hai sentito quello che ti ho detto? Sali immediatamente in macchina!

- Ho sentito - vibrò Sam per tutta risposta. - E ho detto di no.

Poteva già sentirle, le mani di suo padre su di lui. Suo padre che lo afferrava per il davanti della maglietta, per un braccio, e senza tante cerimonie lo trascinava fino al sedile posteriore dell’Impala, promettendogli a ogni passo che cosa sarebbe successo una volta che fossero tornati a casa. Sam era già pronto, con gli occhi serrati e i denti stretti per non permettersi di urlare. Quando invece a scuoterlo fu un’esclamazione stupita, riaprì gli occhi per vedere che Bobby era intervenuto: ora se ne stava con i piedi ben piantati a terra tra Sam e suo padre e con il fucile spianato lo stava costringendo a indietreggiare di nuovo verso la porta. Una volta in veranda, la rabbia di John tracimò e il suo urlo fece trasalire i ragazzi.

- Mi stai impedendo di proteggerlo!

Ma non Bobby. Lui rimase saldo e caricò il fucile.

- Hai smesso di proteggerlo nel momento in cui ti sei sfilato quella cinghia del cazzo, Winchester - stabilì freddo, aggiustando la mira. - E ora scompari dalla mia proprietà. Hai cinque secondi prima che vada di pallettoni.

Uno sguardo pregno di parole rimase sospeso tra John e Sam per un lungo momento. Poi l’uomo scosse la testa con fare minaccioso in direzione di Bobby.

- Se gli succede qualcosa, sei morto.

Poi, senza attendere una replica, si voltò e tornò all’Impala con lo stesso passo furioso con cui era arrivato. Suo figlio maggiore, però, era ancora nel bel mezzo del piazzale, e fissava il sedicenne dentro casa.

- Vieni, Dean - abbaiò suo padre. - Dean! Non farmelo ripetere!

Sembrò trascorrere solo un battito di ciglia perché l’Impala scomparisse di nuovo in una nuvola di sabbia.

 

Trascorse un’altra settimana, durante la quale Bobby assistette con una certa gratitudine ai progressi di Sam. Grazie alle cure sapienti del cacciatore, le contusioni sulla schiena del sedicenne miglioravano vistosamente di giorno in giorno; Bobby era un mago del trattamento freddo-caldo e non permetteva mai che Sam andasse a dormire prima di aver ricevuto una dose generosa di pomata all’arnica e all’iperico.

Inoltre, il ragazzo si apriva con lui, era a suo agio. Questo era un fattore che aveva preoccupato molto il padrone di casa, al suo arrivo: che, in assenza di suo fratello maggiore, la sua figura di riferimento da quando Bobby li aveva conosciuti, Sam finisse per chiudersi in se stesso e farsi inglobare da una solitudine cui non era abituato. Ma il sedicenne aveva qualche buon amico e obiettivi chiari che lo tenevano occupato, attivo quel che bastava da non fargli perdere il sonno. Certo suo fratello gli mancava, era chiaro, e il peso della sua fuga lo impensieriva ancora. Ma Bobby sapeva riconoscere una personalità forte quando ne vedeva una, e non per niente quel ragazzino mirava alla facoltà di legge di Stanford.

Quel brutto idiota di John dovrebbe essere solo orgoglioso, si ritrovava a riflettere spesso Bobby, scuotendo la testa.

La settimana di riadattamento si concluse con un evento insperato. Bobby stava per andarsene a dormire, quella notte, quando dei pugni tempestarono la porta d’ingresso.

Sto diventando peggio di un bordello, a quanto pare, pensò indispettito, calcandosi il cappellino da baseball in testa prima di andare a spalancare il battente. Qualcosa gli saltò in petto alla vista di Dean Winchester con tanto di bagaglio da gita scolastica.

- Papà starà via per un po’ - si presentò il ragazzo, alzando le spalle con finta costernazione.

Bobby emise uno sbuffo distaccato.

- Entra - Solo una volta che furono chiusi dentro osò indagare un po’ di più. - Va tutto bene, ragazzo?

- Se vuoi sapere se mi ha picchiato, non è successo. Non è l’uomo che credi - rispose Dean, continuando a procedere senza guardarlo in faccia.

- Non è nemmeno quello che credi tu - sottolineò Bobby, mettendogli una mano sulla spalla per poi arrendersi al suo sguardo arrogante e decidere che per quell’ora della notte ne aveva abbastanza. Con un cenno della testa, gli indicò la stanza dove aveva sistemato suo fratello minore. - Forza, a cuccia. Avremo modo di parlarne domani.

- Evviva, non vedo l’ora - sbuffò il ventenne, e dovette mettersi a correre con un tempismo da rodato per schivare la sberla che stava per atterrargli sulla nuca.

Entrando in camera, il ventenne non fece attenzione a fare silenzio, anzi. Gettò lo zaino in un angolo, colpendo il cestino dei rifiuti con un gran tonfo, e si tuffò sul letto libero come se non aspettasse altro da giorni. Le fece tutte per svegliare suo fratello, che dormiva sul materasso accanto.

- Dean?

Nel buio, Sam non era altro che una zazzera abbondante di capelli e due occhi semichiusi, ma Dean gli rivolse ugualmente un ghigno soddisfatto.

- Ti piaceva avere una camera tutta per te, non è vero, fratellino? Be’, la pacchia è finita.

Fu quasi sicuro di vederlo sorridere, prima che lo mandasse a quel paese e si girasse dall’altra parte per rimettersi a dormire.

 

Il giorno dopo, Bobby lo lasciò in pace fino al pomeriggio. Dean ebbe il tempo di sistemare le proprie cose, di aggiornarsi sulle condizioni di suo fratello e di tormentarlo fino all’esasperazione dall’istante in cui venne a sapere che dopo pranzo una certa Miriam sarebbe venuta da loro perché lei e Sam potessero studiare insieme. Era l’unica altra ragazza della scuola che avrebbe provato a diplomarsi in anticipo di un anno e lei e Sam avevano legato in fretta. Dean era andato a nozze con la notizia e aveva uggiolato prese in giro finché Bobby non lo aveva esiliato a spolverare volumi massonici.

Verso le cinque del pomeriggio Dean poté finalmente unirsi ai giochi. Coperto di ragnatele dal collo della maglietta all’orlo dei pantaloni, si accomodò in veranda a una poltrona di distanza da Bobby e si mise a scrutare il prato con una smorfia sogghignante in faccia. Sam e Miriam erano seduti entrambi sotto l’unica quercia e avevano abbandonato i libri a un metro di distanza. La ragazza aveva portato con sé una chitarra e stava insegnando a Sam a strimpellare le sue prime note.

- Mi sa che stavolta finisce bene - commentò con il tono dell’uomo vissuto. - E bravo Sammy.

Bobby, accanto a lui, gli lanciò un’occhiata tra l’infastidito e il preoccupato. Forse si stava domandando se fosse il caso di mandarlo a pulire anche il bagno.

- Hai intenzione di dire la verità, prima o poi, o dobbiamo continuare a fingere?

Dean gli restituì lo sguardo, sinceramente confuso.

- Non so cosa intendi.

Bobby unì le mani in grembo con infinita pazienza.

- Sappiamo entrambi che John non rinuncerebbe mai a portarti con sé, non a questa età. Se può, si fa aiutare con quelle bestie. Quindi dimmelo se devo aspettarmi che arrivi qui, mi punti un cannone alla testa e mi costringa a restituirgli i suoi ragazzi. Perché se le cose sono andate come credo, è quello che succederà.

Dean tirò un sospiro di ammissione.

- D’accordo. Sono stato io a voler rimanere, okay? - confessò. - Ho dovuto. Il mio compito è proteggere Sam, non mio padre. Se viene qui, puoi dirgli questo - Dinnanzi all’espressione dubbiosa dell’uomo, rimarcò la sua posizione. Cristo, avrebbe voluto avere una birra prima di affrontare quella conversazione. - Starà via qualche mese, davvero! Nel frattempo, io avrò il tempo utile a far ragionare Sam.

Bobby alzò un sopracciglio con fare indagatorio.

- E riguardo al tipo di punizione che sappiamo? Hai cambiato idea?

- Bobby, quante volte mi devo ripetere? Non penso che mio padre faccia schifo perché vuole correggerci. Quella cintura fa un male bastardo, sicuro come l’inferno, ma funziona. Almeno su di me. Per quanto riguarda Sammy…

- Hm? - insistette Bobby, che non era disposto a far arenare il discorso.

Dean lo guardò dritto negli occhi, grave come un colpo di pistola in fronte.

- Non permetterò alla mia famiglia di disgregarsi, ma non voglio nemmeno più vedere mio fratello in quelle condizioni. Non finché ci sarò io. Per quanto dimostri solo che Sam è una ragazzina, è stato tremendo sentirlo urlare in quel modo. Perciò non succederà più.

Bobby attese che l’intensità di quelle parole si depositasse al suolo prima di riprendere.

- E come intendi fermare tuo padre se vorrà rifarlo?

Dean non esitò neanche mezzo secondo.

- Mi prenderò la colpa. Fino alla fine, questa volta. Non mi piegherò, dovrà per forza prendersela con me se proprio gli prudono le mani, perché non lo lascerò arrivare a Sam - giurò, gli occhi fissi oltre il bosco. - E poi me la vedrò io con l’educazione di mio fratello. Lo ammazzerò di allenamenti, ecco cosa farò se sarò costretto a rimetterlo in riga. Niente di meglio di una maratona notturna o di una combinazione massacrante di flessioni e addominali per insegnargli a obbedire.

Bobby fu sul punto di dirgli che anche lui avrebbe dovuto pretendere un trattamento più rispettoso da parte di suo padre, da allora in avanti. Ma le parole di Dean erano progressi, proprio come quelli di Sam, e l’uomo non trovò saggio forzargli la mano in quello stesso giorno. Quindi si limitò a scuotere la testa, a bere un lungo sorso della sua birra e a lanciargli un’occhiata sdegnata.

- Sei proprio il figlio di un fottutissimo marine.

Dean rise, rubandogli la bottiglia ancora mezza piena di birra.

- Ehi, non può lamentarsi. Un fisico scolpito come il mio gli tornerà utile con le ragazze - si compiacque. Quindi si scolò l’intero contenuto del fiasco prima di abbandonarlo a terra e rimettersi in piedi. - Bene, ho fatto il bravo anche troppo a lungo, è ora che vada a dargli fastidio. Sono sempre il maggiore, dopotutto - E prima che Bobby potesse obiettare alcunché, il ventenne stava già spiccando una corsetta da spaccone verso Sam, Miriam e le loro melodie incerte. - Ehi! Le ragazze di mio fratello devono prima passare da me!

Per quanto esasperato, Bobby non poté trattenersi dallo sghignazzare quando vide il volto di Sam, in lontananza, farsi rosso di imbarazzo per l’intervento del fratello maggiore. Malgrado nell’aria si sentisse già odore di battibecco, Bobby si levò dalla sedia, raccolse la bottiglia vuota di birra e tornò in casa a badare ai fatti propri. Quella ragazza, Miriam, poteva gestire la situazione da sola.

E con Dean di guardia, niente di male sarebbe potuto accadere al più piccolo dei Winchester.










Angolino dell'autrice

Ed eccoci giunti al finale.

Ringrazio ancora una volta chi mi ha seguito fin qui e Vally1979 per le recensioni agli ultimi due capitoli. Se qualcun altro di voi dovesse trovare un minuto per recensire, mi assicurerò di ringraziarlo nella risposta e mi farebbe tanto piacere *-*

Mi sono divertita molto a scrivere questa breve storia e spero che a voi sia piaciuto leggerla. Penso che prima o poi tornerò a scrivere in questo fandom, perché la serie mi sta piacendo da morire!

Per il momento, vi mando tanti cheeseburger.

Continuate a splendere,


a.


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