For Voldemort and Valor

di MadLucy
(/viewuser.php?uid=134704)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Augurey rising ***
Capitolo 2: *** The future is ours to make ***
Capitolo 3: *** The Dumbledore Terrorist ***
Capitolo 4: *** Gaunt Manor ***
Capitolo 5: *** Voldemort Day ***
Capitolo 6: *** The second prophecy ***
Capitolo 7: *** Epilogo: The cursed child ***



Capitolo 1
*** Augurey rising ***


Note: Salve a tutti! Come scritto nell'introduzione, questa storia riprende esattamente l'au proposto da The cursed child, quello in cui Scorpius si ritrova nel Lago Nero durante il Voldemort Day, soltanto che i viaggi nel tempo non sono più implicati in quanto questo au è la realtà. Detto questo, faccio un piccolo elenco degli elementi canon estrapolati da The cursed child su quell'au (e quindi non stabiliti da me):
-Harry e Neville sono morti;
-Dolores Umbridge è preside di Hogwarts, ora diventata una scuola in cui gli unici a ricevere un'educazione buona sono i Purosangue, i Mezzosangue vengono discriminati ma tollerati, mentre Nati Babbani e Maghinò vengono usati come cavie per le lezioni e rinchiusi ad Azkaban, per non parlare dei campi di concentramento per Babbani;
-Scorpius Malfoy è un più che degno Malfoy, viene chiamato Re Scorpione ed è uno studente popolare, talentuoso e temuto dai compagni;
-Draco Malfoy è Direttore dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia;
-Piton è vivo ed è ancora una talpa per l'Ordine, di cui sono rimasti Ron e Hermione, che non hanno avuto modo di avere Rose e Hugo;
-Delphini, la figlia di Voldemort, viene chiamata l'Augurey e le sono affidati compiti di grande importanza per conto di Voldemort; 
-Il "Giorno di Voldemort" si tiene il 2 maggio ed è una ricorrenza per festeggiare la morte di Harry Potter e la vittoria della Seconda Guerra Magica da parte di Voldemort. Un'altra "festa" introdotta a Hogwarts è il "Ballo Sanguinario". 
-Ci sono due slogan: "A Voldemort e al Valore", una specie di saluto formale di congedo che i maghi si scambiano a vicenda, e "il futuro è nelle nostre mani", motto personale dell'Augurey.
Tutto il resto è stato rielaborato da me, anche se ovviamente mi sono attenuta ad altri elementi canon (per esempio la seconda generazione, che è quella canonica nella timeline originale, a parte per i figli che non sono potuti nascere, quelli di Harry e di Ron). Non saranno presenti OC, se non per personaggi molto marginali, a malapena nominati. Anche gli amici di Scorpius che vengono citati sono gli stessi presenti in The cursed child.
Grazie dell'attenzione e buona lettura!
Lucy
 

For Voldemort and Valor


Capitolo 1: Augurey rising


«Mi devi raccontare tutto» ripeteva Bellatrix, con petulanza. «Lo devi fare, Cissy.»
Narcissa stava nutrendo le sue Fate, di cui aveva una boccia in camera. Da quando suo nipote era a Hogwarts, il tempo libero era fin troppo. Lasciava ricadere bacche violacee attraverso uno sportellino, lasciando che si azzuffassero contendendosele. I lunghi capelli color ghiaccio erano appuntati in un piccolo nodo in cima alla nuca, e poi fatti ricadere a cascata sulla schiena. Era sorprendentemente bella, ma indurita dal tedio.
«Devi chiedere a Draco...» ripetè a sua volta. Sembrava assente.
«Draco è un uomo impegnato» sibilò Bellatrix.
«Non gli è lecito comunicare tutto ciò che ascolta.»
«Non gli è lecito...! A te, la moglie del Mangiamorte che-»
«Perchè non lo chiedi tu all'Oscuro Signore?» domandò Narcissa, con assoluta freddezza. «Sei ancora Generale di Divisione delle Milizie di Sicurezza. La prima persona con cui l'Oscuro parlerebbe di queste cose.»
«Lui sa che si sono verificati... dei disordini» rispose Bellatrix, dopo una pausa. I voluminosi riccioli color cenere formavano una nube argentea intorno al suo capo, e invece di scendere in lunghezza erano raccolti e cotonati, seppur senza dissipare l'effetto scompigliato; anche il suo modo di vestire era cambiato nel tempo: i nuovi abiti avevano un taglio più austero e spesso erano foderati di pelliccia di lupo, come quel giorno. «Sospetto che l'assemblea sia stata appositamente programmata in un momento in cui fosse impossibile per me parteciparvi. Ti prego, Cissy. Cosa è stato detto?»
Narcissa richiuse lo sportello della gabbia delle Fate, infine sospirò. «Ci sarà una spedizione, sembra. Presto. Una spia ha parlato... di un rifugio di ribelli in Irlanda. Questi sarebbero nuovi.»
Le narici di Bellatrix si dilatarono. «E ovviamente non sarò io a capo del corpo d'armata. Hanno fatto nomi?»
La sorella non era sicura di voler confermare i suoi sospetti. Poi parve rendersi conto che in realtà le interessava poco quanto Bellatrix si sarebbe infuriata. «Sarà Delphini ad andare.»
«Ma certo, Delphini, la mia adorabile frugoletta» sbottò lei, stringendo i denti, con una smorfia, come se all'improvviso le fosse scoppiato un cattivo sapore in bocca. «Come dimenticarsi della sua esistenza, anche solo per un istante!»
«La tua invidia è davvero fuori luogo, sorella» dichiarò Narcissa, storcendo la bocca. «Quella di cui parli con tanto disgusto è tua figlia, sangue del tuo sangue. Un giorno mi dicesti che dovevo essere orgogliosa del modo in cui Draco serviva l'Oscuro, allora perchè non lo sei anche tu? Questa competizione è ridicola. I suoi successi dovrebbero essere anche i tuoi.»
«I suoi successi non sono i miei. Il suo avanzamento non fa che seppellire me sottoterra» replicò Bellatrix, esasperata. Poi, leggendo la ferrea incomprensione negli occhi di Narcissa, distolse lo sguardo e si sfregò il viso con una mano, bruscamente. Era orribile da ammettere, ma era stanca. Ed era così che Delphini voleva farla sentire: troppo debole, troppo a margine, troppo vecchia. La sua partita a scacchi era tesa al relegarla fuori dalla scacchiera senza abbattere nemmeno una delle sue pedine. Una guerra di logoramento. Ma come spiegare queste strategie, queste sottigliezze a Narcissa, che non c'era dentro? Lei non conosceva altro che il suo totalizzante, morboso amore materno, una specie di dispotica costrizione che allargava a qualsiasi donna avesse partorito. Bellatrix aveva partorito Delphini, diciannove anni prima, e aveva avuto modo di pentirsene amaramente. 
«È da tempo che ha smesso di darmi retta» ammise infine. «Non posso più controllarla. La mia voce vale quanto quella di un Babbano per lei. Fa il bello e il cattivo tempo quando il Signore Oscuro non è presente, e quando lui c'è, non sai com'è ipocrita, Cissy. Non è fedele, è ruffiana. Tutta ammiccamenti e sorrisi, uno spettacolo vomitevole...»
Narcissa non aveva avuto molti contatti con Delphini, di recente -era sempre molto occupata. Però ricordava dei lunghi periodi, quand'era solo una bambina, in cui Bella preferiva scaricarla a Villa Malfoy anzichè trascorrere le giornate libera con lei. Era sempre stata goffa ed anaffettiva come madre, e il risultato non poteva che essere una figlia scostante. La maternità è un lavoro, pensava Narcissa, che non tutte le donne sanno compiere come dovrebbero. Lei invece ci era riuscita. Il risultato era un figlio realizzato, con un lavoro importante al Ministero, di cui andare fieri, un figlio devoto a lei. 
«Pretende di diventare migliore di me, Cissy, quella marmocchia puzzolente di latte avariato, lo capisco da come mi guarda» blaterava Bellatrix, indicandosi gli occhi con indice e medio, «anzi, crede già di essere migliore di me.»
Però era già stata retrocessa, Bellatrix. Lo era stata naturalmente, da quando Delphini aveva parlato in Serpentese. Non era stata colpa sua, era qualcosa che doveva avvenire e basta. 
Narcissa osservò le sue Fate sbattere a intermittenza sulla parete di vetro, ferocemente dedite a quella battaglia persa. «Lei è migliore di te.» 

***

«Ahia!»
«Scusa, sai! Mica l'ho fatto apposta!»
«Hai dei piedi di troll, Roxy.»
«Sta' un po' zitta, se arriva qualcuno dobbiamo riuscire a sentirlo!»
A Hogwarts era ora della pausa pomeridiana prima delle ultime lezioni; era una giornata nuvolosa, il sole era coperto e il Platano Picchiatore quieto. All'apparenza, nessuno stava attraversando l'ampio terreno circostante la scuola (era vietato, oltretutto), ma osservando attentamente si poteva notare l'erba smossa sempre più lontano, e gli arbusti urtati di tanto in tanto. I passi invisibili si fermarono presso il tronco del Platano Picchiatore. Due studentesse di Grifondoro, le cugine Dominique e Roxanne Weasley, comparvero all'improvviso. L'una, contravvenendo ogni legge della biologia che avrebbe voluto vincitore il colore della chioma fulva del padre o biondo platino della madre, aveva i corti capelli neri di nonna Apolline, in contrasto con il selenico pallore e i grandi occhi blu elettrico che condivideva con tutti i fratelli. L'altra, Roxanne, aveva ereditato la pelle scura e le labbra pronunciate della madre, giusto una gradazione più chiara, e la sua acconciatura era un cespuglio voluminoso di riccioli color cioccolato, elastici come molle. Dominique ficcò il mantello sotto il quale si erano nascoste in una bisaccia che portava a tracolla, poi fece segno alla cugina di seguirla in fretta, mentre incantava i rami del Platano. Il nuovo metodo d'accesso segreto era picchiettare per cinque volte la bacchetta su una radice, quella a forma di saetta. Uno spiraglio comparve per il brevissimo tempo necessario a permettere loro di intrufolarsi, poi si richiuse sopra le loro teste. Dominique rimase in testa, a fare luce sui gradini ripidi, mentre Roxanne alle sue spalle, a controllare che nessuno le avesse seguite. 
In fondo alla scala si trovava una piccola sala, rudimentale, fornita di letti, un cucinino e persino un tavolo operatorio. Su di esso era seduto Ted Lupin. 
«Teddy!» esclamò Roxanne, scavalcando la cugina per abbracciarlo. Lui la strinse a sè dolcemente, ridendo. «Ciao, Roxy... Dom» aggiunse, includendo nell'abbraccio anche Dominique. Le ragazze inspirarono a fondo il suo odore familiare e si permisero di osservarlo per bene, quasi con gratitudine, piene di sollievo e di apprensione. Ted era fuggitivo da quando era nato. L'Ordine della Fenice lo aveva nascosto al Ministero della Magia, con la certezza che il suo futuro sarebbe stato alquanto incerto, nel caso in cui i Mangiamorte avessero messo le mani su di lui: figlio di ribelli recidivi com'erano stati Lupin e Tonks, erede di un ramo dei Black rinnegato e colpevole di Tradimento di Sangue, quello di Andromeda e Ninfadora, e come se non bastasse ibrido, frutto dell'unione di una strega e un lupo mannaro, Stato di Sangue di tipo cinque, inferiore persino a quello dei Maghinò. Era stata la nonna Andromeda a nasconderlo e crescerlo, istruendolo alla magia, con l'aiuto dei membri superstiti dell'Ordine. Ora che aveva diciannove anni, gli era già capitato di affrontare diversi Mangiamorte in cui si era imbattuto, e la sua vita era costantemente in pericolo, oltre che nomade. Dominique e Roxanne erano in pensiero per lui. Era un ragazzo prudente, ma non si tirava indietro negli scontri quanto forse avrebbe dovuto. 
«Come stai?» gli chiede Roxanne, scompigliandogli con una mano i capelli, ora azzurro sorbetto perchè era felice. Da quel colore, sfumarono in un giallo canarino. Come la madre, era anche un Metamorfomagus. 
«Alla grande, non mi vedi?» rispose il ragazzo, indicandosi. Era in ottima forma fisica, in effetti, ma il suo volto tradiva le notti insonni che spesso era costretto a trascorrere. «Nessuno vi ha notato, vero?»
«Finchè questo funziona» ribattè Dominique, tirando fuori il Mantello dell'Invisibilità. Ted sorrise. Era stato lui stesso a prestarlo loro, privandosene. Il suo padrino, Harry Potter, lo aveva lasciato a lui in eredità -o meglio, Hermione e Ron erano giunti alla conclusione che era questo che Harry avrebbe voluto. Però Ted lo aveva affidato alle cugine, affinchè potessero venirlo a trovare in sicurezza, quando era possibile, in quel nascondiglio. Era consapevole che neanche a Hogwarts la vita era facile, non da quando la maggioranza degli insegnanti erano Mangiamorte e il regime di Voldemort era penetrato.
«E voi, come va con le punizioni?» domandò infatti Ted, aggrottando la fronte. Le cugine avevano un bel caratterino, come lo Smistamento a Grifondoro aveva certificato, e questo era il motivo per cui spesso venivano prese di mira per cruenti castighi e voti iniquamente bassi.
«A Roxanne hanno dato cinque frustate la settimana scorsa, soltanto perchè ha nominato Harry» rivelò Dominique. Roxanne le tirò una gomitata. Non voleva che facesse preoccupare Ted per quelle scemenze, quando era lui a rischiare la vita ogni giorno.
«Devi piantarla, Roxy» gemette Ted, mentre il suo sguardo si velava di tristezza. «Fammi vedere.»
Roxanne, anche se di malavoglia, si sfilò il mantello e Dominique le alzò camicia e cardigan, esponendo i segni ancora arrossati e doloranti delle frustate. Madama Chips aveva avuto il divieto di curarglieli. Ted agitò la bacchetta. «Epismendo.» Immediatamente, le escoriazioni furono riassorbite dalla pelle. La ragazza ringraziò, anche se brontolando, imbarazzata di farsi soccorrere per così poco. A quel punto, Ted fece la domanda che loro due si aspettavano con timore.
«E... Vic? Non è venuta?» domandò timidamente, speranzoso, come se ci fosse ancora tempo per vederla spuntare dalle scale. La vera domanda era perchè non ci fosse insieme a loro, come di solito accadeva.
Dominique si rabbuiò. «Victoire non è voluta venire. Pensa che sia troppo pericoloso.»
«E ha ragione, è pericolosissimo» si affrettò a confermare Ted, annuendo, «nemmeno voi dovreste, soprattutto a quattordici anni.» Non riusciva però a dissimulare del tutto la propria delusione.
«Ultimamente è strana» aggiunse Roxanne, tentennando, indecisa su quanto rivelare. «È... molto ligia al regolamento.»
«Il modo migliore per tenersi fuori dai guai» precisò Ted. «Anche gli altri vostri cugini fanno così, no? Forse non è la cosa giusta, ma per il momento è la cosa più conveniente da fare. Farvi torturare non sarà d'aiuto all'Ordine.»
Dominique scosse la testa. «Lo so, ma... lei...» Prima che potesse aggiungere altro, altre due figure spuntarono dal corridoio interno al covo. 
«Zio Ron! Hermione!» esultò Roxanne. Le due cugine poterono riabbracciare anche il loro zio e la sua fidanzata, Hermione Granger, ricercati da quasi vent'anni, dalla Battaglia di Hogwarts. 
«È bello vedervi, ragazze» disse Ron, carezzando le loro teste teneramente. «Miseriaccia se siete cresciute.» Era dall'inizio dell'anno scolastico, prima di Natale, che non lo vedevano.
«Come procede al castello? I Dissennatori non vi hanno percepite lungo il tragitto, vero?» si preoccupò Hermione. Nessuna delle due era ancora in grado di evocare un Patronus, e anche se avessero potuto evocarlo le avrebbe immediatamente tradite; per questo Hermione stessa aveva fornito loro un Amuleto Occlumante, in grado di proteggere la mente e le emozioni di chi lo stringeva. Non rilevandole, i Dissennatori non potevano attaccarle. 
«L'amuleto è perfetto» garantì Dominique.
«Dissennatori stanziati a Hogwarts» deprecò Ron, come se la sola idea gli desse il voltastomaco. «È così brutto che voi non abbiate mai potuto conoscere questa scuola quand'era ancora... beh, Hogwarts. Gli altri, come stanno?»
«Molly e Lucy sono le solite, Fred è stato preso nella squadra di Quidditch, Cacciatore» raccontò Roxanne, lasciando trasparire l'orgoglio. Erano anni che il fratello ci provava, e solo al sesto era stato preso, nella squadra di Grifondoro.
«Louis ormai si è ambientato, si trova bene tra i Corvonero, ha già degli amici a quanto pare» raccontò Dominique. Nessuna delle due menzionò Victoire.
Ron invece raccontò di come recentemente fossero andati a fare visita a Hagrid, nascosto sulle montagne, insieme ai Giganti, tra i quali c'era il suo fratellastro Grop. Solamento lì era riuscito a sfuggire al massacro del corpo insegnanti di Hogwarts seguito alla sconfitta. 
«Purtroppo non abbiamo molto tempo e dobbiamo assegnarvi un compito importante» esordì Hermione, invitandole ad ascoltare attentamente. «Abbiamo scoperto che presto l'Augurey verrà in visita a Hogwarts.»
«L'Augurey?!» inorridì Roxanne.
Hermione annuì con la testa. «Avremo bisogno di un vostro ricordo, nitido e accurato. Un ricordo in cui l'Augurey sia presente. Dovrete cercare di avvicinarvi il più possibile, per vederla bene. Non dovrete attirare la sua attenzione, naturalmente, sarebbe troppo pericoloso per voi, soprattutto in quanto Weasley. Il minimo comportamento sospetto causerebbe le peggiori conseguenze. Dovrete avvicinarvi fingendo ammirazione. Il punto cruciale è che dovrete osservarla, il suo aspetto, dico.»
Dominique s'irrigidì. Non prometteva nulla di buono. «A cosa vi serve?»
«Questo ancora non possiamo dirvelo» tagliò corto Ted, i cui capelli erano ormai grigio scuro per l'argomento della conversazione. «Però mi raccomando, discrezione. Non dovrete aprire la bocca. Solo guardarla.»
«Che visione edificante» commentò Roxanne, con una smorfia.
«È il contributo che potete dare, e che ci sarebbe di grande aiuto» spiegò Ted, gentilmente. Le due cugine allora confermarono che potevano farlo senz'altro, desiderose di essere utili.
«Mi raccomando, riguardatevi e non fate nulla di stupido, fingete sempre di obbedire» fu l'ultima raccomandazione di Ron. Non era felice di consigliare qualcosa del genere, ma non voleva che le sue nipoti soffrissero. 
«Certo, zio, contaci» rise Roxanne. «Obbedire è la cosa che i Grifondoro sanno fare meglio.» 
Tutti e quattro i Grifondoro nella stanza sorrisero. Anche se non lo ammettevano, le nipoti della loro stessa Casa erano le loro preferite. 
«Fate affidamento solo sul professor Piton e l'un l'altro» aggiunse Hermione, inquieta, dopo un ultimo abbraccio. 
«Statemi bene» le salutò Ted, con affetto, «e... dite a Vic che mi manca.» 
Roxanne e Dominique assentirono, ma una volta sole, sulla tromba delle scale, si scambiarono uno sguardo malinconico. 

***

Anche quando il Signore Oscuro non era presente, Gaunt Manor era utilizzata come quartier generale delle riunioni delle Milizie di Sicurezza. Si trattava di una dimora sorta nei boschi intorno a Little Hangleton, nello stesso punto in cui prima si trovava la baracca di Orvoloson, Morfin e Merope Gaunt, il cui profilo nero si stagliava in un'immensa radura creata dall'abbattimento degli alberi, impercepibile ai Babbani. Aveva raggiunto dimensioni sempre maggiori, oltre che barriere magiche di protezione sempre più solide, tanto da vantare torri, pinnacoli ornamentali, finestre a golfo e balconate. Un lungo cortile di forma absidale precedeva la fortezza vera e propria, un complesso composto da due porticati, in cui c'erano le sale delegate agli eventi che non richiedevano la presenza dell'Oscuro, che formavano una struttura ad u con la casa padronale, un alto castello dal tetto gotico, punteggiata di finestre trifore. Bellatrix Lestrange aveva scelto la Sala del Fuoco, la sua preferita per quelle evenienze. Le pareti erano foderate di nero, ma attraversate da lingue di fiamme che parevano animarsi, lampi di luce di ogni sfumatura dell'ambra e del sangue. Fuochi fatui blu galleggiavano a mezz'aria, fungendo da fonte d'illuminazione. Nell'aria c'era un sottile sentore di cenere. L'unica statua presente, di un drago, pareva sbozzata dal carbone.
Bellatrix fronteggiò lo Squadrone d'Intervento Speciale, radunato in riunione straordinaria. 
«Siete stati convocati qui per una ragione ben precisa» tagliò corto, poco disposta ai convenevoli. «Alle mie orecchie sono giunte voci di un nuovo covo di ribelli in Irlanda, in particolare alla foce del fiume Shannon. Il Signore Oscuro intende rimandare l'operazione alla prossima settimana, ma se agiremo tempestivamente potremo liberarlo in anticipo di questo pensiero. Non potrà che essercene grato.» Nel notare la perplessità sui visi davanti a lei, Bellatrix s'infastidì. «Qualcuno di voi ha forse qualcosa di meglio da fare?!» In realtà, suonava poco convincente alle sue stesse orecchie. Ma non poteva certo restare con le mani in mano. «Partiremo domani all'alba. L'equipaggiamento-»
Bellatrix dovette zittirsi d'un tratto, per identificare la fonte del rumore che sovrastava la sua voce. Era uno sgranocchiamento ripetuto e ostentato. La folla dei Mangiamorte si fece da parte, in modo da permetterle di scorgere, in fondo alla sala, l'Augurey, stravaccata su una poltrona con i braccioli, i piedi su uno sgabello davanti a lei. Indossava un comodo pastrano nero, non diverso da quello degli altri Mangiamorte, e i capelli argentei spruzzati di blu erano raccolti in una coda di cavallo. In mano aveva un barattolo di noccioline al cioccolato, che portava alla bocca in manate. Finse di accorgersi con enfasi di essere stata sorpresa. «Oddio, sto disturbando?» Lanciò un rapido Incanto Silenziante sulle noccioline, poi riprese a masticarle, senza emettere un suono. «Prego, mammina. Dicevi?» La sua voce era leggera, ma intrisa di sarcasmo. 
Bellatrix strinse gli occhi in due fessure come frecce d'ossidiana. Era arrivata a sognare la sua morte, con lacrime di sollievo. O di torturarla, almeno quello. Osservarla contorcersi sul pavimento, supplicando pietà. Quell'insopportabile faccia tosta crollata. Lo voleva, lo voleva così tanto da fare male. Per qualche secondo, tutti i fuochi fatui si spensero, sotto il potere della sua ira. 
L'Augurey non si preoccupava mai di nascondere la sua vera natura, quella di una stupida ragazzina, quando l'Oscuro mancava. Da sotto il mantello spuntava un paio di anfibi da uomo e alla sua gola un choker di raso spelacchiato. 
«Non sei stata invitata» ruggì Bellatrix, senza preamboli.
L'Augurey alzò le spalle. «Non è carino organizzare feste a casa d'altri, mami. Però tranquilla, non ti caccerò. Puoi continuare a dire le stronzate di prima. Non sentirti in soggezione, continua, era divertente fino a dove eri arrivata. Mi stavo spaccando dalle risate ad immaginare che qualcuno di questi mentecatti potesse darti retta.»
Bellatrix sfoderò la bacchetta e glie la puntò contro, tremando. Sapeva le conseguenze catastrofiche di un errore simile, ma ragionare con lucidità era difficile. «Ammirevole alzare la cresta e spararla grossa quando si è intoccabili, vero? Soprattutto perchè è privo di rischi. Tu mi ricordi un po' Potter, figlioletta... Un'incapace che frigna nascondendosi dietro le sottane dei grandi maghi per farsi proteggere. Sicura di non avere bisogno di ancora qualche annetto di poppatoio, piccola?»
L'Augurey sorrise con aria di superiorità. «Non pensi che l'Oscuro sappia benissimo quand'è il momento di agire, senza che arrivi tu a... "agire tempestivamente"?» Fece una smorfia di artificiosa contrizione. «Sei proprio disperata, eh? Hai un bisogno commovente di impressionarlo. Posso darti qualche consiglio che forse addirittura funzionerà, se vuoi.»
I Mangiamorte rumoreggiarono. Erano perlopiù d'accordo. 
Bellatrix spostò la bacchetta, usandola per indicare la porta. «Uscite. Tutti.»
Quando finalmente furono sole, la madre scagliò un incantesimo, ma tutto ciò che accadde fu che il barattolo di noccioline al cioccolato si rivelò un pacchetto di patatine. 
«Cibo babbano» commentò semplicemente, calcando in quelle due parole tutto il ribrezzo possibile. «Sarai mai capace di comportarti come si addice ad una strega purosangue del tuo lignaggio?»
L'Augurey fece un sorrisetto ora colpevole. «Il fatto è che adoro le loro porcherie. Non dire nulla a Lui, per favore. Non apprezza tanto questi miei giochetti.»
Ma certo, mia cara, non temere, sarà la prima cosa che gli farò presente, pensò Bellatrix, schifata. 
«Questo non è un gioco, Delphini» la contraddisse, sottolineando il suo nome. «Tu non ne sai ancora niente di come funzionano le cose qui.» Si Smaterializzò e ricomparse accanto a lei, soltanto per calciarle via lo sgabello da sotto i piedi. «Io sono colei che lo ha aiutato a prendersi il mondo magico. Tu sei un piccolo mostriciattolo colorato che ha fatto perchè desiderava onorarmi.»
L'Augurey mosse rapidamente le dita davanti al viso, mimando una scarica elettrica. «Bzzzt! Risposta sbagliata. In effetti tutto ruota intorno a questo tuo errore.» Si sfiorò i capelli con la bacchetta, e di colpo diventarono una cascata di boccoli cinerei, come quelli di Bellatrix. Parlò imitando il suo falsetto acuto. «Mi ha fatto perchè desiderava rimpiazzarti. Tramite un rito, tra l'altro -non il modo più divertente per fare bambini, notoriamente, ma tant'è.»
Era riuscita a far arrossire Bellatrix, che però trovò subito una risposta salace da infliggerle. «Tu sai tutto riguardo il sesso procreativo, vero?»
L'Augurey roteò gli occhi al soffitto, rovesciando anche la testa. «Omofobia, davvero? Fa ancora più anni ottanta della tua passione per la Cruciatus.»
La sua inclinazione perversa per le altre donne era soltanto l'ennesima caratteristica repellente della figlia. Bellatrix le cancellò i boccoli grigi con un gesto aggressivo della bacchetta. 
«Tu non sarai mai nemmeno la metà della donna che sono io. E se il Signore Oscuro ti manda in prima linea in Irlanda perchè può permettersi che tu muoia senza soffrire troppo, mi dispiace per te.»
L'Augurey fece un'espressione afflitta. «Non l'avevo considerato sotto questo punto di vista. Oh, beh, peccato. Se è come dici tu, allora l'anello del bisnonno Orvoloson che mi ha regalato deve essere per forza un falso.»
Bellatrix strabuzzò gli occhi. Il pavimento le mancò sotto i piedi. «Cosa hai detto?»
L'Augurey le fece la linguaccia, beffarda. Poi si Smaterializzò. Era riuscita ad ottenere un qualche effetto per cui, quando lo desiderava, dietro di lei svolazzava uno sbuffo di piume nere, come se fosse appena esploso un corvo. Eccessivo, lezioso e plateale, come tutto in lei. Bellatrix tirò un calcio a vuoto in mezzo alle piume, cacciando un urlo di frustrazione. 

***

Il brusio che serpeggiava tra i drappelli di studenti nel cortile interno di Hogwarts era fin troppo acceso, quindi Scorpius decise di cercare Polly Chapman, una sua spasimante di Grifondoro particolarmente acida, e farsi dire quale fosse il gossip in corso. Non appena le comparve davanti, Polly gli puntò due occhi grandi come fanali.
«Scorpius, sei scorretto! Non mi avevi detto che l'Augurey sarà a Hogwarts!» strillò eccitata.
La notizia lo spiazzò del tutto. «Cosa? Delphi qui?» disse ad alta voce, inorgoglito di poterla chiamare per nome. «Chi l'ha detto?»
«La Umbridge, oggi, a colazione!» lo bacchettò Polly. «Se non fossi rimasto a dormire lo avresti sentito.»
A nessun altro studente sarebbero stati perdonati ritardi mattutini, ma a Scorpius Malfoy sì. «Quando verrà?»
«Dopodomani! Oh, Scorpius, sono così felice» balbettò Polly. «Io la ammiro tantissimo. Lei è fantastica. Voglio dire, è così bella, e così talentuosa. Alla nostra età era già una delle persone più influenti del mondo magico. Eppure... da come parla, lei è anche una di noi, capisci?... No, certo che no. È una tua parente...» Gli lanciò un'occhiata quasi invidiosa, di intenso desiderio, poi riprese il panegirico. «Sono contenta che ci sia lei al fianco dell'Oscuro a rappresentarci, noi ragazzi. Incarna i nostri sogni, le nostre speranze, non ti pare?... Oh, Scorpius, credi che potresti... presentarmela?» Alla sola idea le tremavano le ginocchia.
Scorpius suppose che questa visita avrebbe ulteriormente incrementato la sua popolarità a scuola. Lui e Delphi avevano giocato insieme spesso, da bambini. Lei era sempre stata protettiva nei suoi confronti, avevano un bel rapporto. Però ora Delphi riceveva incarichi sempre più impegnativi per l'Oscuro, e Scorpius non ricordava nemmeno quando fosse l'ultima volta che l'aveva vista di persona. 
Dopo la lezione di Pozioni e la sessione di tortura di Babbani per Arti Oscure, gli altri stavano ancora parlando dell'arrivo di Delphi.
«Dicono che la sposerai tu» ghignava Karl Jenkins, nella sua direzione. Scorpius arricciò il naso, visualizzando quella strampalata immagine.
«È mia cugina.»
«Come se questo fosse un problema per le famiglie purosangue!» rimbeccò Karl. «Secondo me è vero. Non sei contento?»
«È gnocca» annuì Yann Fredericks, spavaldo. «Io me la farei.» Millantava varie avventure nei bagni, ma Scorpius dubitava avessero fondamenti. 
«Sì, e poi il paparino chi lo sente» sghignazzò Karl. 
Molly Weasley interruppe le loro chiacchiere, con la sua lunga faccia austera, chiedendo se intendevano partecipare ad una dimostrazione collettiva per accogliere e riverire l'Augurey come meritava, una sorta di spettacolo di Trasfigurazioni. Scorpius le ordinò di filare, annoiato, e le risero dietro senza attendere che si allontanasse.
Polly la guardò in tralice. «Quella pensa che l'Augurey si lascerà impressionare da una mezzosangue figlia di Traditori del loro Sangue? Temeraria.»
«Non vedo l'ora che si faccia una bella epurazione di Weasley in questa scuola» confermò Scorpius, storcendo il naso. «Puzzano.»
«Tranne la Corvonero» ghignò Yann. «Mi farei anche quella, Traditrice di Sangue o no.»
«E chi non ti faresti, tu?»
Nel dormitorio di Corvonero, nel frattempo, Louis Weasley non si lasciava coinvolgere dall'entusiasmo per la visita ormai prossima. Lui dell'Augurey non s'interessava. Il centro del suo mondo erano gli Scacchi dei Maghi e i suoi nuovi amici, i gemelli Lysander e Lorcan Scamander, i quali avevano i letti a baldacchino accanto al suo. 
«I miei hanno anche combattuto contro Voldemort, anche se mi hanno detto che devo fare finta di non saperlo» raccontò loro Louis, volenteroso d'impressionarli. «Perciò non fa nulla, non andrò nemmeno ad assistere al discorso.»
Ma i gemelli parevano non starlo ascoltando. Sfogliavano un mazzo di tarocchi, delle carte larghe dall'aria logora, ma miniate con grande cura. 
«Sta arrivando» mormorò Lorcan. «Gli spiriti sono agitati, dall'altra parte.»
«Saremo pronti» concluse Lysander, facendo sparire il mazzo in un sacchetto di velluto color granata.

***

Delphi fu svegliata dal proprio stesso Incanto Destante. La sua bacchetta le stava punzecchiando la spalla. Lei si riscosse rapidamente, infilando le mani nei capelli spettinati. Si trovava su un materasso matrimoniale appoggiato sul parquet di un monolocale, all'ultimo piano di un grande palazzo, arredato in stile minimale. Al suo fianco dormiva una ragazza asiatica molto carina, nuda. Quando Delphi si alzò e cominciò a rivestirsi, si destò lentamente, sbuffando.
«Già vai...? Non fai nemmeno colazione?»
«Devo essere al lavoro tra dieci minuti, dolcezza» spiegò Delphi, mettendosi di schiena per fare un Incantesimo di Appello alle sue calze senza farsi vedere. «Però tornerò. Non sei per niente male. C'è della magia in te.»
La ragazza ridacchiò, lusingata. «Anche in te.»
«Oh, lo so.» Delphi le mandò un bacio con la mano e filò fuori. Non appena richiuse la porta dietro di sè, si Smaterializzò. Ricomparve davanti ai battenti della porta della Sala Riunioni di Gaunt Manor. Con un doppio tocco della bacchetta, la giacca militare e la felpa oversize che indossava si trasformarono in un distinto abito di fitte, lucenti piume nere, che le scopriva le clavicole e la schiena bianca effigiata dal tatuaggio dell'Augurey, i capelli si acconciarono in un severo chignon e sul suo viso comparve un trucco marcato e impeccabile, dal rossetto nero alla v argentata sulla fronte. Per qualche ragione, le attribuiva una certa aria d'importanza. Quella dell'Augurey, così come quella dell'Oscuro Signore, era una maschera, quasi un personaggio, e Delphi era contenta di interpretarlo. Le porte davanti a lei si spalancarono. 
Era in perfetto orario. Avanzò con sicurezza fino a trovarsi al cospetto dell'Oscuro, il cui scranno era in rilievo e segnava il fulcro attorno al quale si schierava l'anfiteatro dei consiglieri, in un ordine dettato dalla gerarchia. Delphi, o meglio l'Augurey, aveva il diritto di stare esattamente di fronte a lui. Tra gli altri Mangiamorte Bellatrix, già presente, la fissava in cagnesco, ma non disse nulla.
L'Oscuro Signore le fece un cenno con la mano lunga e pallida, concedendole la parola. «Delphini, qual buon vento. Tanto che, se non sbaglio, hai l'informazione che mi serve...?»
«Abbott» completò l'Augurey, «molto probabilmente. Hannah Abbott era a Hogwarts ai tempi di Potter. Credo abbia radunato dei seguaci, poca cosa. Quindi-» Esitò.
«Quindi?» la invitò il padre a proseguire. «Lo sai che tengo in grande considerazione il tuo parere. Cosa faresti?»
«Lascerei perdere» rispose l'Augurey, duramente. «È impossibile che agiscano per conto loro, avranno contatti con Weasley e Granger. Forse sono un diversivo. Io terrei il corpo d'armata in Inghilterra, nelle prossime due settimane, Signore. Potrebbero attaccare.»
Bellatrix si lasciò sfuggire una risatina stridula. «La piccola Delphi ci consiglia di lasciar agire indisturbati i ribelli... Sicura di non essere una talpa?»
Voldemort la ignorò. «Ci penserò su. E riguardo alla missione di ieri, cos'hai da dirmi?»
«Non ha funzionato» riferì l'Augurey, mascherando l'irritazione. «I Metamorfomaghi non sono soggetti alla nostra magia allo stesso modo, evidentemente.»
«Capisco. Immaginavo che non sarebbe stato facile, per cui ho deciso di agevolare il tuo compito imboccando una strada diversa.» Voldemort fece una pausa. «Domani andrai a Hogwarts, a fare un discorsetto motivazionale di quelli che sai fare tu. Ma non solo.»
L'Augurey rimase ad attendere ulteriori indicazioni.
«Si dà il caso che lì ci siano ancora diversi personaggi connessi a quello che stiamo cercando» suggerì l'Oscuro Signore, divertito, come se fosse una specie di puzzle che sottoponeva alla figlia per diletto. L'Augurey riflettè, infine annuì.
«Farò del mio meglio, padre.»
«Mio Signore» interruppe Amycus Carrow. «Se potete concedermi il vostro tempo, avrei una lista di ingredienti di Pozioni di Settimo Livello da sottoporvi, per verificare quali debbano essere messi in commercio e quali mantenere a uso privato delle vostre Milizie.»
«Ma certo, caro Amycus, non c'è altro che vorrei ascoltare, ora come ora» consentì Voldemort, con sottile sarcasmo.
Bellatrix deglutì e fece un passo avanti. «Signore, invece, riguardo quella faccenda dell'Irlanda-»
L'Augurey bisbigliò qualcosa che suonava come «vecchia suonata.»
«Delphini, non mancare di rispetto a tua madre più di quanto sia elegante che tu faccia» ordinò Voldemort, ma il ghigno sulle sua labbra lasciava intuire che il conflitto tra le sue luogotenenti lo intrattenesse. «Bella, ti assicuro che la situazione è sotto controllo» si rivolse poi a lei, quasi con condiscendenza. 
«È legittimo che Bella non si fidi, ma qui il tempo stringe e c'è una lista di ingredienti di pozioni da leggere, perciò urge una decisione» intervenne l'Augurey, facendo impercettibilmente l'occhiolino. «Questa gente agisce seguendo i loro leader come simboli di speranza. Lasciate che mi occupi io di Hannah Abbott, padre. Ho un nuovo incantesimo.»
Bastarono quelle parole ad infiammarlo. Si chinò verso di lei. «Quanto nuovo?»
«L'ho inventato qualche giorno fa» buttò lì l'Augurey, con studiata noncuranza. Voldemort la fissò ancora per qualche istante, pensando intensamente a qualcosa. Poi fece un altro cenno. 
«Allora vai, figlia. Mostra agli amici di Weasley e Granger cosa sai fare.» 
«Prendo Rookwood e Macnair.»
«Rookwood e Selwyn.»
«Sì, Mio Signore.» L'Augurey girò i tacchi. La voce del Signore Oscuro la raggiunse quando ormai era alla soglia.
«Delphini?» 
Il cuore di Delphi mancò un battito. «Signore?»
«Ottimo lavoro.»
Permise che quelle parole la pervadessero, come una pozione, che si diffondessero nel sangue e rilasciassero endorfine nel suo cervello. «A Voldemort e al Valore.» Solo allora uscì dal salone. 
Bellatrix attese fino alla fine della riunione per poter discutere da sola con l'Oscuro, e avvenne soltanto un'ora più tardi. Voldemort le concesse la parola, pur convinto di sapere cosa avrebbe detto: le solite lamentele su Delphini.
«... sempre in mezzo ai Babbani, a usare i loro oggetti, girare per le loro città!» sputò. «Non lo fa per eliminarli nè per studiarli, semplicemente per diletto!»
«Delphini non è certo una Filobabbana. Li tratta come degli animali a suo uso e consumo, com'è giusto che avvenga. Conosce i rischi che corre gironzolando senza scorta. Quella ragazza ha fegato, devi riconoscerlo.»
Bellatrix non intendeva riconoscere nulla. «Certo, se con uso e consumo si intende fottersi le Babbane! La sua depravazione non conosce limiti.»
«La vita privata dell'Augurey al di fuori di queste mura non mi riguarda. E non dovrebbe riguardare nemmeno te, Bella» la rimproverò l'Oscuro Signore, annoiato. «È una donna adulta, ormai. Quando sarà il momento, farà un buon matrimonio con qualcuno del suo rango. Prima di allora, può fare quello che desidera, se è in grado di passare inosservata.»
«... l'anello dei Gaunt, nelle mani di una ragazzina così svampita!...» berciava Bellatrix, quasi senza ascoltare le repliche, come se il suo fosse un flusso di coscienza di sfogo. 
«Le ho consegnato l'anello affinchè lo custodisca, non affinchè lo sfoggi alle feste. Da cosa deriva la tua avversione per quella ragazza? È vivace, è disobbediente, talvolta, ma è leale quanto lo sei tu. Perchè non riesci ad andarci d'accordo?» L'Oscuro Signore sapeva benissimo perchè non poteva andarci d'accordo, ma adorava pungerla nel vivo. 
Bellatrix non rispose. Si limitò ad inchinarsi. «Io rispetto il vostro volere, Mio Signore, come sempre ho fatto e sempre farò.» Infine chiese di essere congedata, lo stomaco stretto in un nodo. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** The future is ours to make ***


Note: Ciao a tutti! Ecco a voi il secondo capitolo. Mano a mano le informazioni sui destini dei personaggi che in The cursed child non trapelano, e che ho quindi inventato, vengono fornite. Spero che la storia vi piaccia, se così fosse lasciate pure una recensione, anche per indicare ciò che secondo voi non è convincente, eccetera. Grazie anche solo a chi legge!



For Voldemort and Valor

Capitolo 2: The future is ours to make


«C'è un motivo se preferisco le Babbane. Perchè non sanno chi io sia veramente» spiegava Delphi. Camminava in tondo intorno ad una strega magicamente avvinta a una sedia, Hannah Abbott. Nella sua mano pulsava cruento un organo che ruscellava di sangue fresco, un cuore. «Non sono tutte impaurite e sottomesse, come le streghe... Non ho di questi kink, giuro. Anzi, se mi si prende per il verso giusto, mi piace pure farmi comandare un po'... Ma senza esagerare» puntualizzò, indicando Hannah con la bacchetta, a mo' di biasimo, come se fosse stata lei ad insinuarlo. «Con le Babbane io posso essere, sai, solo Delphi. Essere sadici è faticoso, Hannah. A volte fare la ragazza qualsiasi e sparare un po' di stronzate è come tirare un respiro di sollievo.»
Delphi giocherellava con il cuore. Ogni volta che piantava una falange tra le fibre del muscolo, Hannah Abbott si contorceva tra i tralici neri che la serravano allo schienale della sedia, fino a rovesciarla. 
«Pietà!» pianse, con un filo di voce. 
«Non sono io il boss» rispose Delphi, facendo spallucce, pragmaticamente. «Non spetta a me elargire pietà. Io sono l'Augurey del Signore Oscuro, niente di più.»
«Uccidimi» gemette Hannah. La ragazza non le diede ascolto. 
«Mio padre... Per lui è difficile accettare che ormai sono grande. "Sei troppo incauta, Delphini"» gli fece il verso, distorcendo la voce in una tonalità più bassa. «Ho vent'anni, accidenti. Ho bisogno dei miei spazi. Glie l'ho detto tante volte!»
Quasi come riflesso involontario, Delphi diede una strizzata al cuore, e Hannah Abbott lanciò un grido lacerante. 
«Ho persino instagram, non per vantarmi ma quasi cinquantamila follower, non è da tutti... Sai che cos'è instagram? No?» Delphi scartò la sua ascoltatrice con la mano. «Beh, pazienza. Non potrei mai rinunciare all'estetica della mia pagina. È una fortuna che il Signore Oscuro non sia interessato a leggere quel genere di ricordi, altrimenti mi tirerebbe le orecchie.» Il suo tono allegro si fece improvvisamente serio. «Non mi fraintendere. Non ci sono segreti tra me e mio padre. A proposito di segreti... c'è qualcosa che vuoi dirmi, Hannah? O dovrò estrapolarlo?»
Hannah articolò le parole lentamente, difficoltosamente. 
«Ciascuno di noi... prende un antidoto al...Veritaserum e -alla rimozione dei ricordi. Se proverai... le informazioni che cerchi... si cancelleranno.»  
«Granger» inveì Delphi, un po' come deduzione, un po' come imprecazione. «Astuto, ma non sufficiente. I nascondigli, Hannah. Elencami i nascondigli e ti lascerò morire.»
Hannah Abbott fece segno di no, debolmente. Era ancora a terra, sotto la sedia, il viso coperto dai capelli.
«No?» Delphi parve delusa. Nella sua mano comparve un ago. Con quello, cominciò a bucherellare la superficie del cuore, senza interruzione. Hannah tremava, singhiozzava e supplicava di morire, ma non parlava. Delphi spremette il cuore, lo scottò con il fuoco, lo aprì in due. Hannah morì due ore più tardi, quando finalmente anche il resto del corpo, diviso dal cuore, cedette all'oblio, e la sua mente riuscì a spegnersi. Delphi mollò lì dov'era il cadavere, nelle grotte di Aillwee, e tornò in superficie, dove Rookwood e Selwyn attendevano sue istruzioni. 
«Andiamocene» ordinò seccata. Voleva solo farsi una doccia e pulirsi via quel sangue copioso ed estraneo. Sprecare l'incantesimo appena inventato per un tentativo fallito sembrava di cattivo auspicio. Ora la bellezza dell'incantesimo in sè sarebbe passata in secondo piano: la formula era cardium erue e permetteva di manipolare il cuore della persona mantenendone attive le funzioni vitali, ma condannandolo ad una lunga, atroce sofferenza; oltre a questo non c'era altra utilità. Ma il semplice fatto di poter rendere il corpo indipendente dal cuore per un certo lasso di tempo aveva una certa rilevanza accademica, puramente teorica. Delphi sperava di ricevere i complimenti del Signore Oscuro, ma non era più certa che sarebbe andata così. Hannah Abbott era stata eliminata, ma dalla sua morte non si era ricavato nulla.
Una volta a Gaunt Manor, Delphi si diresse in camera propria. Era molto sobria, con mobilio in legno di noce, drappeggi di seta nera che pendevano dal soffitto, una chaise-longue damascata e un letto con baldacchino a muro con tende di broccato; però, a Delphi bastava ruotare il paralume della lampada sul comodino per rivelare i graffiti alle pareti, il televisore e le scarpe disseminate sul pavimento. Su un trespolo stava appollaiato un bellissimo esemplare di Augurey, di grandi dimensioni, che appena la vide emise un verso e sbattè le ampie ali grigio-verdastre. Delphi gli accarezzò il becco, schioccando la lingua sul palato. «Sì, sì, anche tu mi sei mancato...» Appena notò che aveva dei piccoli singulti, si voltò verso il corridoio, stizzita. «Terry! Lo sai che Nergal è allergico al gelsomino, stupida elfa. Se spruzzerai di nuovo quella roba in camera mia ti farò impiccare sul posto, intesi?!»
L'elfa domestica biascicò delle scuse. Delphi si spogliò e si infilò nel suo bagno, provata. L'acqua si portò via la stanchezza e il ribrezzo dei flidi corporei altrui. Erano diventate operazioni fuori porta di routine, e quand'era più piccola le aveva tanto bramate, anche se ora aveva finito per trovarle sfinenti. Infine si concesse di indossare una t-shirt e buttarsi nel letto, sul quale si addormentò non appena sfiorò il cuscino con la testa. 

***

I seguenti due giorni a Hogwarts furono una seccatura per Dominique e Roxanne. Tutti quanti non facevano che parlare della visita dell'Augurey, confezionare omaggi da offrirle, esercitarsi in incantesimi che difficilmente avrebbero potuto sfoggiare. Loro due si tenevano defilate, come Ted, Hermione e Ron avevano raccomandato, senza esibirsi negli impertinenti commenti che di solito non trattenevano mai, nemmeno davanti ai professori. 
«Molly ha organizzato una specie di esibizione piena di lucine, una cosa imbarazzante» riferì Roxanne, storcendo il naso. «Sembra che si sia dimenticata che il suo idolo sta dalla parte delle stesse persone che hanno ucciso zia Ginny e zio Fred. Quando l'ho detto a Lucy, lei mi ha risposto che spargere l'odio non serve a niente, e scemenze varie. Sembrano lobotomizzate.»
«Sappiamo che la colpa è di zio Percy e che i nonni ce l'hanno con lui per questo. È il motivo per cui Lucy e Molly si comportano così, anche se non lo dico per giustificarle. Ma Victoire!» protestò Dominique, ferita. «Nostro padre non leccherebbe mai i piedi ai Mangiamorte, e non si umilierebbe facendo certe dichiarazioni. Certo, non è un ribelle, i nostri genitori hanno fatto questa scelta per proteggere noi, ma sa ancora riconoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato. Quando siamo soli in casa smette di fingere, dice che gli fa schifo tutto questo. Io e Louis siamo normali, infatti. Allora perchè Victoire è impazzita?»
«Ha diciassette anni» le fece notare Roxanne. «A diciassette anni impazziscono sempre. Aspetta l'anno prossimo e anche Fred ci lascerà con il cervello.»
«Non fa altro che scrivere lettere in francese alla mamma, studiare e isolarsi da tutti. Le interessano solo i voti e l'obbedienza. Se spera di ricevere qualche riconoscimento scolastico, purtroppo fare la traditrice non l'aiuterà molto, perchè per quelli là il suo sangue è sporco e non c'è rimedio» commentò Dominique, acidamente. La sua voce si fece triste. «Sembra che non le piaccia nemmeno più Teddy. Oh, Roxy, sarebbe uno schifo se non si mettessero insieme. Non si sposerebbero mai, e lui non diventerebbe mai veramente parte della nostra famiglia.»
«Lo è già, dai» la confortò Roxanne, battendole una mano sulla spalla. «Non c'è bisogno di un matrimonio. Gli vogliamo tutti bene.» Fu incerta se continuare, notando l'abbattimento della cugina. «Per tua sorella in realtà sarebbe meglio dimenticarsi di Teddy. Anche mia madre lo diceva, un giorno.»
«Perchè mai? Teddy è il ragazzo migliore del mondo» s'accalorò Dominique.
Roxanne la scrutò in viso con tristezza. «Beh, sì, ma... è un ricercato, no? Mantenere una relazione con un ricercato è impegnativo. O lo dovrebbe diventare anche lei, o dovrebbe rassegnarsi all'idea che suo marito non c'è quasi mai, e può morire in qualsiasi momento.»
Dominique non potè ribattere, ma scosse la testa, ombrosa. «L'amore dovrebbe andare oltre a queste cose, dovrebbe vincere sempre.»
«Anche Harry Potter avrebbe dovuto vincere» obiettò Roxanne, cupa.
L'Augurey era uno di quei personaggi che conoscevano da sempre, in un certo senso, e di cui non sapevano in realtà nulla, per altri versi. C'era sempre stata, come Voldemort c'era sempre stato. Non c'era un prima, ed era difficile immaginare un dopo. Se il padre conferiva l'aura di potere incrollabile al regime, la figlia ne era l'immagine. La magia oscura aveva lasciato a Voldemort un aspetto inquietante, serpentesco, emaciato, che ricordava più la morte che la vita. Delphini invece era una ragazza di ordinaria bellezza, un ritratto di giovinezza e salute, il fasullo incarnato florido del regno dell'Oscuro Signore: prometteva un futuro roseo per tutti, non soltanto la cerchia dei Mangiamorte. Un erede, l'anello di una catena dinastica, era qualcosa di rassicurante, che poneva le basi per un punto di partenza, un orizzonte solido, di continuità, che faceva ben sperare i genitori in giorni nuovi per i figli. Quella non era presentata come una dittatura, bensì come la forma di governo migliore per il mondo magico, in grado di portare più ricchezza e più benessere, grazie all'obiettivo del regime di smettere progressivamente di nascondersi e prendere il sopravvento sui Babbani. Ci sarebbero state tante nuove cariche prestigiose per i giovani maghi purosangue nel Ministero e la promessa di uno stato sociale superiore per i Mezzosangue, con il trascorrere delle generazioni e la scomparsa di Babbani nell'albero genealogico. La piramide sociale che era stata stabilita permetteva che anche i membri del mondo magico svantaggiati e disciminati dal sistema avessero comunque una classe inferiore su cui accanirsi, da disprezzare e su cui rigettare la colpa dei problemi della società. Il timore verso i maghi di classe superiore veniva a sommarsi all'odio per Nati Babbani, Babbani, ibridi o Maghinò, fortemente fomentato dal regime tramite la stampa, il quale impediva l'associazione e le rivolte di massa dei più deboli, che solo insieme avrebbero costituito una minaccia. Fintanto che i gruppi rimanevano isolati l'uno dall'altro, diventavano gli uni i carcerieri degli altri, utili ed efficaci quanto i Mangiamorte.
L'Augurey rappresentava il nuovo prototipo di giovane di successo, eccelsa nella magia, devota all'Oscuro, discendente di un'antica famiglia purosangue. Tutti volevano essere lei, e di conseguenza emulavano tutto ciò che veniva lasciato trapelare sulla sua persona. Le sue parole passavano di bocca in bocca tra gli studenti di Hogwarts, che le ripetevano rapiti, come un incantesimo, un rituale, quasi che potessero sprigionare un effettivo potere. Dominique e Roxanne erano cresciute con l'abitudine di trovare articoli che riguardavano le sue prodezze sulla Gazzetta del Profeta. Nelle foto, che la raffiguravano da una certa distanza per mantenere una buona cortina di mistero, era sempre fiera, seria, con il mento alto e la divisa militare del suo vestiario caratteristico: piume nere significavano morte per i Nati Babbani. Non era raro vedere il suo simbolo, un Augurey racchiuso in un blasone, inciso dagli studenti sui muri di Hogwarts. I Mangiamorte si guardavano bene dal ripulirli. 
Le cugine Weasley si sforzavano di condurre le solite vite: Roxanne partecipando agli allenamenti di Quidditch, in cui era Battitrice, e Dominique leggendo libri sugli Unicorni, la sua passione. Però si verificò un incidente, al di là delle loro previsioni. Durante la lezione di Pozioni, che i Grifondoro avevano in comune con i Serpeverde, Scorpius Malfoy cercò di impedire l'assegnamento di compiti per il giorno seguente, in quanto "l'Augurey sarebbe venuta in visita", quindi non ci sarebbe stato modo di farli il mattino dopo.
«Nessuno ti obbliga ad andarla ad ascoltare, Malfoy, magari è meglio se resti a studiare» si lasciò sfuggire Roxanne, pentendosene subito dopo, ma sommamente infastidita dal suo modo di fare pomposo, come se essere imparentato con un'assassina fosse motivo di vanto. 
Il viso di Malfoy si aggrottò di ostilità. «Non ci vai, Weasley? Perchè, pensi che te lo avrebbero permesso? I parenti dei Nemici dello Stato non sono ben accetti.»
«I veri nemici dello stato sono quelli che vogliono la morte di metà della popolazione» intervenne Dominique. 
Il professor Piton spense sul nascere il litigio, assegnando alle due Weasley una punizione, al solo scopo di sottrarle alle vere punizioni di qualche altro insegnante e per fare loro una ramanzina.
«Comportarsi in quel modo, il giorno prima dell'arrivo dell'Augurey» sibilò, dopo aver messo in sicurezza il ripostiglio degli ingredienti affinchè non fossero sentiti. Nessuno, a parte Roxanne, Dominique, Hermione, Ron e Teddy, sapeva che in realtà Severus Piton stava dalla parte dell'Ordine della Fenice, e il segreto andava ben custodito, al fine di trarne dei vantaggi. 
«Faccio fatica a trattenermi con Malfoy» sbuffò Roxanne, riconoscendo il proprio errore. 
«Fai fatica a trattenerti?» scandì Piton, gelido. «Non vi rendete conto che i Mangiamorte aspettano solamente un minimo pretesto per espellervi, o peggio?»
«Tutto per colpa dell'Augurey. Vorrei che se ne fosse già andata, e non venisse a mettere Hogwarts sottosopra» mugugnò Roxanne. Dominique annì in segno di approvazione. 
Piton guardò prima l'una, poi l'altra, fulminandole. «Non la temete, vero? Cadete nel fatale sbaglio del mago medio di considerarla semplicemente l'ereditiera viziata del Signore Oscuro? Se non cominciate ad immaginarla come una prosecuzione del suo braccio e della sua volontà, nonchè i suoi occhi ovunque la mandi, passerete grossi guai. Giocare alle eroine in sua presenza potrebbe essere l'ultima cosa che farete.»
«Ron e Hermione ci hanno dato un compito...» iniziò Dominique.
«Credete che non lo sappia? Allora obbedite e tacete, invece di dare masochisticamente aria alla bocca.» Piton le fece andare, con un'espressione scettica che indicava quanto poco si aspettasse da loro. «Non sarò sempre qui a coprirvi. Non trasformate in un'abitudine l'evasione dai confini della prudenza perchè fate affidamento su di me.»
Dominique e Roxanne gli erano comunque molto grate, nonostante Piton facesse il reticente.

***

L'Augurey comparve nel camino dell'ufficio della preside di Hogwarts in ritardo di esattamente quindici minuti, come trovava appropriato fare per rendere spasmodica l'attesa del suo arrivo.
La preside Umbridge l'accolse, eseguendo il saluto a polsi incrociati ch'era segno della lealtà verso Lord Voldemort. «Benvenuta, mia signora. Mi auguro che abbiate fatto buon viaggio!» Si era messa in tiro, con un abito ancora più rosa e farcito di volant del solito. Delphi si sforzò di non osservare il suo orrido studio, un tripudio di micini gnaulanti dipinti su porcellane antiquate, e tirò un sorriso. «Dolores. Non c'è male, anche se sai che prediligo il volo alla Metropolvere.» Il volo però la esponeva più facilmente a potenziali imboscate. 
«Gli studenti vi aspettano in Sala Grande da più di un'ora. Si sono spintonati per aggiudicarsi le prime file» la informò la Umbridge, elettrizzata, con la sua vocina acuta. 
«Fantastico» commentò l'Augurey distrattamente. «Sarebbe possibile per me vedere una persona in privato, prima?»
Scorpius se lo aspettava, e più che lo stupore fu l'entusiasmo a strappargli un'esclamazione quando, entrando nello studio della Umbridge, vide la cugina a braccia spalancate. 
«Delphi» sorrise, accettando l'abbraccio, un po' goffo. Il suo nuovo corpo da adolescente era vulnerabile a qualsiasi contatto fisico. 
La ragazza lo strinse vigorosamente, ridendo. «Cosa ti danno da mangiare in questa scuola? Fra poco sarai più alto di me. Come stai, cuginetto?»
«Io sto bene, ma tu- tu sei diventata tipo una superstar» scherzò Scorpius. «Tutti ti vogliono, tutti ti adorano.»
«Sai com'è, è per via del fascino naturale che mi è sempre appartenuto.» Delphi mise su un'aria inquisitrice. «E la ragazza, l'hai trovata?»
Scorpius avvampò. «No.»
«Ragazzo?»
Diventò ancora più rosso. «No, che dici!»
Delphi inarcò le sopracciglia, assumendo una parodica espressione minacciosa. «Scorpius... Lo sai che se dopo individuo la persona e mi accorgo che mi hai mentito, te la faccio pagare.»
Stava facendo la spiritosa, ma Scorpius percepì un vero brivido scendergli lungo la schiena, immaginando come dovessero sentirsi le persone che venivano davvero minacciate da lei. «E tu?» si affrettò a chiedere.
Delphi fece una faccia buffa, maliziosa. «Io cosa? Io sono un'adulta, ragazzino, non ho tempo per queste cose.»
Scorpius si sentì piacevolmente in confidenza con lei, come se il tempo che avevano perso in realtà si fosse assottigliato fino a sparire. «Sì, come no.»
«La monogamia non fa per me. Quando sarai grande capirai» concluse Delphi, dandogli un buffetto sulla spalla. In realtà, entrambi sapevano di stare ciarlando per il gusto di farlo. Entrambi avrebbero dovuto sposare esattamente chi i loro genitori avrebbero deciso per loro. Non erano diversi in questo.
Finalmente, pochi minuti dopo che Scorpius ebbe raggiunto i compagni Serpeverde in Sala Grande, l'Augurey fece la sua apparizione di fronte ad una platea di studenti in visibilio, che però non emisero un suono: compirono tutti quanti il saluto di Voldemort, all'unisono, poi tacerono rispettosamente, in attesa che parlasse. Era statuaria: quel portentoso abito piumato, il marchio sulla fronte, e il dettaglio più peculiare del suo aspetto, i formidabili capelli bicolori, che, riprendendo la costellazione a cui doveva il suo nome, erano argento e blu. 
Ad occupare la prima metà della sala erano appunto i purosangue, coloro che avevano avuto accesso privilegiato, perlopiù Serpeverde, e i Serpeverde mezzosangue poi; per quantità di affluenza, secondi ai Serpeverde erano i Corvonero, terzi i Grifondoro; i Tassorosso erano una decina. Roxanne e Dominique erano riuscite ad aggiudicarsi una discreta posizione, per essere Grifondoro, lasciandosi dietro diversi Serpeverde grazie alla loro abilità nello svicolare. Avevano notato che Lucy e Molly erano riuscite ad entrare, sdilinquite per l'Augurey, e che c'era anche Victoire, appiattita ad una parete, come se tentasse di nascondersi, con un'espressione profondamente infelice. 
Dopo aver espresso quanto fosse orgogliosa del fatto che la scuola avesse ricevuto una così insigne visita, la preside Umbridge si congedò. «Lascio la parola all'Augurey, che ha qualcosa da dire a tutti voi. Noi corpo docenti abbiamo deciso di concedervi un momento di confronto generazionale, senza intrometterci, così che possiate aprire il vostro cuore in libertà. Comportatevi degnamente.»
Non appena le porte della Sala Grande si chiusero dietro di lei, l'Augurey tirò un plateale sospiro di sollievo. «Ok, adesso possiamo finirla con queste manfrine...» Fece un gesto intorno a sè con la bacchetta, e subito il manto di piume nere venne sostituito da vestiti alquanto spartani: una giacca di pelle, pantaloni strappati sulle ginocchia, ai piedi comuni stivali, una coda di cavallo approssimativa. Fece un'espressione quasi di scusa, come se tutta la formalità precedente la imbarazzasse. «Io sono Delphi. Chiamatemi pure così. Tutte le persone che mi piacciono davvero lo fanno.» Perfettamente consapevole di avere lo sguardo di tutti loro addosso, e a suo agio, balzò seduta sul tavolo da pranzo dei professori. «Allora, vi chiederete cosa sono venuta qui a fare, oltre che a farvi perdere qualche ora di lezione...?» Si levarono dei risolini. «Beh, in teoria avrei dovuto parlare di cose serie, quindi... ci proverò. Vi chiederete come ho fatto a imparare questo e quell'incantesimo alla mia età, eccetera eccetera. Sapete, in realtà non c'è un segreto chissà che dietro. Non ho fatto altro che fare quello che il Signore Oscuro desidera da tutti noi: lasciare che la magia emergesse. Perchè la magia è in noi, in ciascuno di noi. È nel nostro sangue. Ma ai nostri genitori hanno insegnato a reprimerla, a nasconderla, a vergognarsene, a mischiarsi con chi la magia non ce l'aveva, come se questa nostra immensa risorsa non valesse niente. Ma la magia vale, i maghi valgono. La magia non è accessibile a tutti. Smarrire le nostre radici sarebbe la nostra fine. Mescolare il sangue umano e quello babbano non porta ad altro che all'indebolimento di questo potere ancestrale che è dentro di noi, fino a che lo perderemo per sempre. Non saremmo più nemmeno in grado di percepire la magia: sarebbe come diventare gradualmente ciechi. Non possiamo dimenticare chi siamo. L'antica arte della magia va preservata, tramandata. E solo noi possiamo farlo, possiamo agire, adesso.» L'Augurey annuì, costernata. «Il Signore Oscuro ha bisogno dell'aiuto di tutti voi, e ve lo chiede per favore. Voi, maghi e streghe di domani. Sì, perchè noi streghe non abbiamo nulla da invidiare agli uomini -casomai il contrario» aggiunse, ma questo più a bassa voce, scatenando un'altra ondata di ilarità. «Non dimenticate che le luogotenenti più fidate di Lord Voldemort sono donne. È in noi che si cela la forma di magia più misteriosa e potente, ed è per questo che siamo indispensabili, sia sul campo di battaglia sia in quanto educatrici delle nuove generazioni. Un ruolo non contraddice l'altro.» Scorpius sbirciò Polly Chapman: ascoltava con la bocca semiaperta, come davanti ad un oracolo. «Saremo noi a fare la differenza. Saremo noi a riportare il mondo magico agli antichi fasti dei fondatori di Hogwarts.» L'Augurey fece una pausa drammatica. «Perchè il futuro è nelle nostre mani.»
La platea ruggì, esaltata, come se pregasse: «Il futuro è nelle nostre mani.»
Dominique ascoltava e fingeva di applaudire, come tutti gli altri, ma dentro di lei ribolliva la rabbia, nel capire qual era il gioco dell'Augurey. Non si metteva su un piedistallo, ed era questo il segreto del suo successo. Si presentava come una ragazza affabile, un po' imbranata, che avrebbe potuto essere una compagna di classe di quegli studenti, allo scopo di far apparire il suo successo accessibile a tutti. Se io sono arrivata fin qui, potete farlo anche voi. Tutto quello che serve è determinazione, sicurezza in se stessi, e fedeltà al regime, ovviamente. 
La parte seria era finita, e Delphi fece eccezionalmente ruscellare Burrobirra a fiumi dai boccali degli studenti, cosa che fece esplodere boati di giubilo. A quel punto, gli studenti che desideravano donare qualcosa all'Augurey si fecero avanti. Molly Weasley si esibì con qualche compagna nella sua coreografia di Trasfigurazioni, con scarsi risultati. Polly Chapman le pianse su una spalla, facendosi confortare da una sghignazzante Delphi, e le regalò una scatola di cioccolatini che Scorpius non poteva giurare non fossero ripieni di Amortentia. Quando fu il turno di Roxanne, lei si sforzò di rimanere impassibile, limitandosi ad osservare negli occhi l'Augurey, con la precisione che Teddy aveva richiesto. La ragazza ricambiò lo sguardo, tranquillamente. Roxanne provò il viscerale timore che in qualche modo le avrebbe letto nella mente, avrebbe capito tutto e che Teddy sarebbe morto. Ma l'Augurey si limitò ad abbracciarla e lasciarla andare, senza il minimo indizio di averla riconosciuta. 
Victoire era una delle ultime. Si era tenuta lontana dalla folla. Aveva un'aria timida e spaventata. Quando arrivò di fronte all'Augurey, piantò gli occhi sul pavimento, umilmente. Sul palmo della sua mano scintillava un filo d'oro.
«Per voi» balbettò Victoire.
L'Augurey strizzò le palpebre, raccogliendo delicatamente il filo ed esaminandolo. «Cos'è?»
«Un capello di Veela... Ha grandi poteri magici» sussurrò lei, pentendosi poi di averlo precisato, come insinuando che l'Augurey non lo sapesse. Non aggiunse nemmeno che la Veela in questione era sua bisnonna: gli ibridi erano una categoria infima. 
Delphi ora osservava lei. «Tu sei figlia di Fleur Delacour, non è vero?» Sua madre, in quanto partecipante del Torneo Tremaghi ai tempi di Harry Potter, era famosa. Più tristemente famosa ai tempi della Seconda Guerra Magica: una Nemica dello Stato. La somiglianza fisica tra madre e figlia era innegabile. 
«Sì, Augurey» rispose Victoire, umiliata. 
«Non ho detto che potete chiamarmi Delphi?» la corresse l'Augurey, con voce più dolce. «Poverina, sarai in pena per tuo zio Ron.» C'era del carezzevole sarcasmo nella sua voce. La Sala Grande piombò in un silenzio tombale. Era stato nominato un Ricercato, da sempre proibito agli studenti. 
Victoire deglutì a vuoto, la gola di sabbia ardente. «Non è più mio zio per me. In quanto nemico dell'Oscuro Signore, è anche nemico della mia famiglia. Il suo comportamento non deve gettare ombra sulla mia fedeltà.» Il suo sguardo rimaneva per terra.
Delphi sorrise. Non era facile capire se fosse persuasa dalle sue parole, ma non era arrabbiata. «Come ti chiami?»
«Victoire, Augurey» rispose subito lei, obbediente. «Sono nata il due maggio. Il nome mi è stato conferito in onore della vittoria del Signore Oscuro.» Era una spudorata menzogna, e Dominique percepì un feroce attacco di nausea. Avrebbe voluto vomitare in mezzo alla Sala Grande.
Il sorriso di Delphi si fece più largo. Con un braccio circondò le spalle esili di Victoire, mentre si rivolgeva agli studenti. «Oggi abbiamo imparato una lezione importante. Il Signore Oscuro è misericordioso, e volenteroso di offrire il perdono a chi lo chiederà con l'autentico desiderio di servire. Anche un figlio di Traditori di Sangue, se di fine intelletto e orgoglioso di essere mago, può sperare di riabilitare la sua linea genealogica. Che i Weasley di domani possano essere come Victoire Weasley.»
Dominique aveva sentito abbastanza. Lasciò la sala facendosi largo tra la folla, seguita da Roxanne, mentre tutti quanti inneggiavano a Victoire, fino al giorno prima evitata come un'appestata. 

***

Terminata la visita alla Sala Grande, Delphi si fece scortare dalla preside da un'altra parte del castello, con una meta ben precisa.
«Sono curiosa di sapere se sono infallibili come ho sentito dire, o se i miei informatori gonfiano tutto come al solito» commentò. Indossava di nuovo il sontuoso mantello dell'Augurey. 
«Oh, vi assicuro che rimarrete impressionata» cinguettò la Umbridge. «Non hanno mai sbagliato, finora. Mi hanno persino rivelato un paio di cosette che- uh, forse era meglio non saperle!» Le rivolse un'occhiata leziosa. «È una delle ragioni principali della vostra inaspettata visita, sbaglio?»
«Non sbagli, Dolores» la liquidò l'Augurey. «Non stiamo andando nell'Aula di Astronomia...»
«Oh, no. Non è quello il luogo che prediligono per il... le loro sessioni» concluse la Umbridge, incerta su come definirle. 
Delphi non aveva mai visto la stanza in cui entrarono: era piccola, circolare, dal soffitto estremamente alto a crociera, e le pareti rotonde erano ricoperte di scaffali di legno, sui quali erano allineati minerali. Una quantità sterminata di pietre grezze esponeva il suo nucleo pulsante, la parte più pura, che il taglio di tutti i minerali metteva in evidenza. La luce proveniente dalla porta aperta infiammò di colore l'interno delle pietre, che le sfaccettature scabre amplificavano, riflettendola come in un caleidoscopio. 
«Lysander e Lorcan Scamander, vi trovate al cospetto dell'Augurey» annunciò la Umbridge, pomposamente. 
Al centro della stanza era stato posizionato un tavolino, ricoperto da un drappo viola. I gemelli Scamander erano due minuti ragazzini di undici anni, dall'aria fragile e cagionevole. Erano perfettamente identici, come possono esserlo soltanto una persona e il suo riflesso in uno specchio. I capelli, così biondi da avere riflessi bianchi, sembravano una matassa lanosa e un po' sfilacciata di bambagia, batuffoli vaporosi appoggiati alle loro spalle. I loro visi erano graziosamente inespressivi, e non reagirono alla sua apparizione.
«Ciao, Delphi» pronunciò uno dei due, mentre l'altro rimase in silenzio, quieto, come se fossero due arti di uno stesso organismo. 
La Umbridge fece una smorfia. «Rispetto!»
«No, va bene» la fermò Delphi, intrigata. «Adesso puoi andare, Dolores. Procediamo da soli.»
La preside obbedì: eseguì il saluto e uscì. Delphi potè far comparire uno sgabello e sedersi di fronte al tavolino.
«Allora» esordì allegra. «Qual è il vostro metodo di Divinazione?» Sul tavolo c'era soltanto un sacchetto di velluto rosso scuro.
«Gli spiriti si manifestano attraverso dei simboli che noi interpretiamo per chi non è in grado di percepirli» spiegò un gemello, quello che prima era rimasto zitto. 
«Cosa sono gli spiriti?»
«Cosa sono i morti? Che cosa sono i ricordi? Che cosa sono i sogni?» rimbeccò l'altro gemello, come per dimostrarle la contraddizione della sua stessa domanda. «Spiriti.»
Delphi scrutò l'uno e l'altro, come per smascherare il loro trucco. Era sempre stata scettica nei confronti della Divinazione.
«Questo incontro non è importante soltanto per me» disse, con un sorriso allusivo. «Vostra madre, Luna Lovegood, era una Nemica dello Stato, non è vero? Mettervi in buona luce con me potrebbe favorire la sua posizione, che ora come ora non è affatto buona.»
Nemmeno quell'accenno riuscì a scalfire i gemelli. 
«Noi non ci schieriamo» dichiarò uno dei due, quasi sprezzante. 
«In questo momento siamo qui in vece di interpreti degli spiriti» mise in chiaro l'altro.
Delphi finse di mostrarsi arresa, alzando i palmi delle mani. «E va bene. Torniamo al motivo per cui sono qui. Com'è che fate gli interpreti degli spiriti?»
Uno dei gemelli, quello a sinistra -che, su esplicita richiesta di Delphi, dichiarò di rispondere al nome di Lorcan- allentò il cordone del sacchetto, cavandone fuori un mazzo di carte. 
«Tarocchi» si rispose da sola Delphi, annuendo soddisfatta, come se finalmente potesse inquadrarli.
«Le carte sono soltanto un tramite» ribattè Lorcan. «Avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa. Prima che le nostre abilità venissero scoperte, utilizzavamo le piante selvatiche.»
Delphi li sfidò con lo sguardo. «Voi sostenete di poter dare qualsiasi risposta...»
«Sarai tu a dare la risposta, Delphi» la corresse Lysander, con la sua voce fine e soffice. «Noi non faremo altro che leggerla.»
Delphi ci pensò su. «Vi chiederò tre cose che nessuno sa di me» annunciò, con l'aria di chi se la sta spassando. «Ma se vi sembra un sfida troppo difficile, siete ancora in tempo per tirarvi indietro.»
Lorcan la ammonì con un'occhiata grave, più vecchia della sua età. «Comincia pure. Poni la domanda.»
Delphi finse di pensarci ancora, allungando le gambe davanti a sè, sorniona. «Voglio che scopriate qual è la prova a cui mio padre mi sottopose quando mi assoldò ufficialmente tra le sue fila.»
Lorcan agitò la bacchetta. Le carte, prima ordinatamente impilate, si alzarono a mezz'aria, dove rotearono furiosamente. Lysander diede un ultimo tocco di bacchetta, e quel vortice planò di nuovo sul tavolo, disponendo le carte coperte a raggiera davanti a Delphi. Il dorso era decorato di arabeschi blu chiaro, l'uno intrecciato nell'altro, come una complessa pianta rampicante. 
«Scegli» la invitò Lysander, fievolmente.
«Quante?»
«Questo devi saperlo tu, visto che sei tu a conoscere la risposta. Prendi tutte quelle che saranno necessarie e posizionale davanti a te, nel verso in cui le hai raccolte» suggerì Lorcan. 
Delphi osservò quei dorsi tutti uguali, indecisa. Avrebbe voluto metterli appositamente in difficoltà, ma non conoscendo le loro tecniche era impossibile. Lei sapeva solo che, se avessero tentato di barare e prendersi la risposta leggendole la mente, sarebbe stata la prima ad accorgersene. Era troppo esperta per farsi fregare, al contrario di Dolores Umbridge. Si comportò nell'unico modo possibile: raccolse una carta a caso, la terza da destra, e la guardò. I contorni della figura erano neri e marcati, come ripassati con un pennello scuro, e i colori erano vividi, profondi e sensuali, di tutte le sfumature dell'acquerello. Rappresentava un uomo vetusto, dalla barba lunga e le vesti ampie, svolazzanti, il cui petto si muoveva magicamente nel respiro. Assomigliava un po' alle pochissime immagini superstiti che Delphi aveva visto di Albus Silente. 
«Il Maestro diritto» pronunciò Lysander, assorto.
Delphi continuò con una seconda. Questa volta era una biga alata con due cavalli, uno bianco e uno nero, i quali agitavano fieri la criniera. L'azzurro del cielo era così terso da apparire reale. La carta era a testa in giù, ma come raccomandato Delphi la posò sul tavolo così. 
«Il Carro rovesciato» disse infatti Lorcan.
Delphi andò avanti: la carta seguente raffigurava una rosa dei venti, alle cui estremità si trovavano simboli esoterici. 
«La Ruota rovesciata» decifrò Lysander.
Delphi scelse un'ultima carta, che fu la più bella tra tutte quelle pescate. Rappresentava un mago con un turbante color corallo e una tunica verde, che agitava la bacchetta e trasformava una moneta in una spada, e viceversa, all'infinito. 
«Il Trasfigurante diritto» decretò Lorcan.
«Beh? Ci avete capito qualcosa?» li apostrofò Delphi, impaziente.
I gemelli contemplarono le carte, come se stessero veramente leggendo delle parole scritte. Dopo una pausa di una decina di secondi, 
«Per scoprire se eri la sua degna erede, Tom Riddle mandò il suo Horcrux in forma di serpente ad ucciderti, quand'eri solo una bambina» mormorò Lysander, senza la minima esitazione. Non disse "Lord Voldemort" o "il Signore Oscuro", bensì "Tom Riddle". 
«Tu parlasti in Serpentese e ammansisti il serpente. Così fu deciso che ti saresti arruolata, una volta cresciuta» terminò Lorcan, la voce evanescente tra il brillio delle pietre preziose.
Delphi era impressionata, ma non lo diede a vedere. «Adesso vediamo se sapete questa. Qual è la persona che mi odia di più al mondo?»
«Fai le tue scelte» la invitò nuovamente Lorcan, dopo aver rimescolato i tarocchi.
Delphi selezionò le due carte alle due estremità della fila: una donna attraente con uno scettro, uno scudo e una corona, e una specie di fortezza invasa dalle fiamme, che ardevano davvero dentro la carta.
«L'Imperatrice rovesciata» annunciò Lysander nel vedere la prima.
«La Torre diritta» fu chiamata seconda da Lorcan. Aggrottò la fronte pallida. «La persona che ti odia di più al mondo è... la tua stessa madre.»
«Teme un rovesciamento rivoluzionario dettato dalla superbia» puntualizzò Lysander.
Delphi fece un sorriso stanco. «Al contrario di Nagini ha cercato di uccidermi diverse volte, tentando di farlo passare per un incidente... Ma la vecchia Delphi ha la pelle dura» disse, dandosi un pizzicotto sul braccio. «Ok, avete azzeccato due volte. Però queste sono cose che non so soltanto io, qualcun altro al mondo in effetti le sa. Adesso vi chiederò qualcosa che proprio nessuno sa, che non ho raccontato ad anima viva.» Fece una pausa teatrale, sperando -senza successo- di tenerli sulle spine. «Da un anno a questa parte faccio un sogno ricorrente, quale?»
«Pesca» ordinò Lysander. Delphi espose la carta di un giovanotto che trotterellava sul bordo di un precipizio con una bella rosa bianca in mano, «il Matto», e un uomo con orecchie da folletto, abiti di foglie e un bastone nodoso, «il Druido.»
Dopo una pausa di esitazione, Lorcan parlò, un po' basito. «Sogni di baciare Hermione Granger.»
«D'accordo, d'accordo, vi credo!» sbottò Delphi, precipitosamente. «Cavolo. E poi dicono a me che sono stramba! Ma i vostri spiriti non si fanno mai i fatti loro? -giuro che non lo voglio affatto, insomma, non è il mio tipo, non le guardo nemmeno così vecchie, è solo... non lo so, una rielaborazione dell'inconscio. Comunque non ditelo a nessuno, intesi?»
L'Augurey non se ne andò da Hogwarts per nulla a mani vuote. Scortava via con sè i gemelli Scamander, i cui genitori sarebbero stati avvisati per lettera che i loro figli sarebbero stati esentati dagli obblighi scolastici per rendere un servizio di pubblica utilità. Prima di andarsene, inoltre, ordinò che venisse regalato a Victoire Weasley un bene che non aveva mai posseduto: un gufo. 

***

Dopo aver rabbonito le lamentele della Signora Grassa per come la cugina avesse attraversato malamente la soglia dando uno spintone al suo quadro, Roxanne raggiunse Dominique nel dormitorio femminile di Grifondoro. La ragazzina si era gettata sul letto a singhiozzare rabbiosamente. 
«Mia sorella ci ha traditi, Roxy» gemette. «Ci ha traditi. È una di loro, adesso.»
«Non dire così» bisbigliò Roxanne, con il cuore spezzato nel vederla in quello stato, sedendosi sul suo letto e facendole una carezza tra i capelli. «Ha detto quello che doveva... Obbedire vuol dire sopravvivere, lo dice sempre anche Teddy...»
«Nessuno la obbligava a fare tutta quella scenetta!» esplose Dominique. «Perchè voleva ingraziarsi l'Augurey?! Per trovare lavoro?! Per purificare il nostro sangue sporcato di Weasley?! Dimmelo!»
Roxanne non sapeva cosa rispondere. Anche lei aveva avuto i brividi nel sentir dire quelle cose dalla cugina. Se le avesse dette suo fratello Fred, sarebbe come minimo svenuta. Però la priorità non era essere sinceri, era far sentire meglio Dominique. «Magari ha un piano anche lei...»
«Meno male che i nostri genitori non hanno sentito quella bestemmia riguardo il suo nome!» sputò Dominique, asciugandosi le lacrime dalle guance con le mani. «Che problemi ha? Perchè sta diventando una persona orribile?»
Roxanne non smise di carezzarle la schiena, mordendosi il labbro inferiore. «Un governo orribile rischia di creare persone orribili» provò a dire.
«E perchè se noi possiamo resistere non può farlo anche lei?» replicò Dominique, amaramente. «Perchè se Teddy può cercare di salvare il mondo, lei non può almeno chiudere quella stupida bocca?»
«Victoire ha un carattere più debole di me, te e Teddy, a quanto pare.»
«La stai giustificando?»
«No» rispose Roxanne. «Come non giustifico Lucy, e Molly, e Scorpius Malfoy, e nessun altro. Però credo che sia un meccanismo di adattamento che a un certo punto scatta nelle persone... Perchè le persone vogliono sopravvivere, soprattutto.»
«E l'onore? E la dignità?» invocò Dominique.
Roxanne non sapeva che dire. Infine, «non tutti vogliono lottare» ammise.
Dominique andò in bagno a sciacquarsi la faccia. Quando tornò, aveva gli occhi gonfi e arrossati, come se l'avessero pestata. 
«Il mondo meriterebbe di finire solo per questo» sentenziò. «Le persone come Teddy muoiono, quelle come Victoire vivono fino agli ottant'anni e fanno tanti figli. Noi Voldemort ce lo meritiamo.» Dopo queste ultime parole, si rannicchiò nel vano della finestra e non ci fu modo di estorcerle più una parola. Non scese nemmeno per la cena. Roxanne si decise a lasciarla in pace.  
Nel frattempo Ted Lupin, nel nascondiglio sotto il Platano Picchiatore, si allenava davanti allo specchio. Si stava concentrando su un viso che conosceva bene perchè lo vedeva ogni giorno, quello di Ron. Per il colore e il taglio dei capelli non c'erano problemi, e nemmeno per gli occhi e le sopracciglia: ma appena si trattava di modificare naso e guance, veniva un gran pasticcio e finiva per non assomigliarci minimamente. Si sentiva come un ritrattista frustrato, la cui mano non obbediva alla mente. I lineamenti erano da sempre la cosa più difficile, anche perchè erano la caratteristica più impalpabile, meno oggettiva, una questione di impressioni e sensazioni. Magari fisionomicamente era tutto giusto, ma il risultato finale non era convincente, per un qualche fattore olistico che trascendeva la somma delle misure azzeccate. Ted lasciò la presa, estenuato, e il suo volto riassunse i tratti autentici. 
«Questa volta non era così male» lo interruppe la voce di Hermione, alle sue spalle. Ted si voltò a sorriderle.
«Sei gentile» si limitò a rispondere. «Ma sono ancora in alto mare rispetto al livello che mi serve per il piano.»
«Hai solo bisogno di allenarti. Datti tempo» lo consolò Hermione, offrendogli un pezzo di una tavoletta di cioccolato. Ted l'accettò, con un silenzioso ringraziamento. 
Hermione rimase zitta per un po', consapevole di quanto lo avrebbe buttato giù quella notizia. Però poi parlò, dolcemente, come per indorare la pillola. «Hannah è morta ieri notte... Il suo corpo è stato ritrovato in uno stato pietoso. È stata torturata.»
Ted non disse niente. La morte di ciascuno di loro era un fallimento personale di tutti gli altri. Erano così pochi. Uno in meno significava un passo in avanti rispetto a loro che Voldemort guadagnava. Hannah aveva trovato il coraggio di unirsi a loro da poco, non la conosceva bene. Ma di lei sapeva tutto ciò che gli serviva: che era disposta a sacrificare se stessa per deporre Voldemort. «Sarà vendicata. La sua morte non sarà stata invano» si limitò a dire. Ormai era tutto ciò che potevano dire.
Hermione lo vegliò con lo sguardo, apprensiva, finchè Ted non scoppiò a piangere. La donna lo abbracciò, devastata. «Oh, Teddy... Lo so. Lo so. Lo fermeremo. Te lo prometto.» Lo aveva promesso a Harry, prima che a lui, e ora si prendeva la responsabilità di avere successo per entrambi. Lei aveva perso la possibilità di avere un figlio, Ted di avere una madre. Insieme si completavano un po'. Erano una famigliola arrangiata, e per questo più forte di molte altre. Mancanze che si uniscono in corrispondenza dei lembi laceri. 
Ted si staccò dalla spalla di Hermione. «Sapere che lei è lì, in questo momento, e non fare niente...»
L'Augurey era sua cugina di secondo grado, attraverso il legame di sangue di sua nonna Andromeda e la sua prozia Bellatrix. Lei nasceva quando sua madre smetteva di vivere. Ricordava ancora la risata crudele che aveva sulle labbra, il giorno che si erano incrociati soltanto incidentalmente, per un brevissimo tempo. Era stato in quel momento che aveva capito che l'unica opzione era eliminarla, e che doveva essere lui a farlo. 
«Non servirebbe a nulla» gli rammentò Hermione. «Non abbiamo ancora i mezzi per affrontarla con concrete possibilità di successo. Faremmo solo un piacere a Voldemort, facendoci uccidere.»
Ted annuì a malincuore. Tutto quello che poteva fare era esercitarsi e mettere a frutto il dono che sua madre gli aveva fatto. 
Hermione gli diede una pacca sulla spalla. «Tra cinque minuti dò il cambio a Ron al quartier generale. Vieni con me?»
«Resto qui ancora un po'. Il silenzio mi aiuta a provare» rispose Ted. Anche lui, come Dominique, aveva bisogno di stare solo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The Dumbledore Terrorist ***


Note: Terzo capitolo. Come avete potuto vedere ho aggiunto alla lista dei morti Ginny (unicamente perchè non sapevo che farmene di lei). Per quanto riguarda Delphi, adoro l'aspetto "doppio" del suo personaggio, ed è il motivo per cui ho scelto di mantenerlo nel modo in cui lei si presenta (come Augurey, nel momento in cui agisce in nome del padre, o come Delphi), perchè sono convinta che ci sia una parte di lei in ciascun aspetto, piuttosto che essercene uno "finto" e uno vero.
I personaggi di Lysander e Lorcan mi intrigano molto e mi piaceva l'idea di dare loro una "particolarità", senza però andare a imitare macchiettisticamente la stravaganza di Luna. I Tarocchi sono ovviamente modificati rispetto agli originali, ma non sono canonici nell'universo potteriano, ovvero tutte le varie carte alternative le ho inventate di sana pianta. 
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia! Nel caso (ma anche in caso contrario) vi invito a recensire, per commenti o suggerimenti. Grazie e buona lettura!
Lucy
 


For Voldemort and Valor

Capitolo 3: The Dumbledore Terrorist


«Come sta andando con lui?»
«Bene... è bellissimo» sorrise nervosamente Victoire. «Becca, ma sto cercando di addomesticarlo un po'.»
Tra tutte le cose assurde che le erano capitate nel giro di tre giorni, questa era senza dubbio la più assurda: essere seduta sui gradini del Cortile della Torre dell'Orologio a chiacchierare piacevolmente con l'Augurey. Durante la lezione di quell'ora, Gazza era entrato annunciando che la signorina Weasley era richiesta, e una volta uscita dalla classe la figlia del Signore Oscuro le si era Materializzata davanti, con indosso una felpa con cappuccio verde scuro, lunga fino alle ginocchia, una maglietta oversize grigia sotto e stivali da cowboy. Aveva un sorriso allegro, come quello di qualsiasi diciannovenne. Dopo averla lodata davanti a tutti gli altri studenti -episodio che le aveva fatto guadagnare una popolarità mai avuta a scuola- e averle regalato un gufo -come faceva a sapere che lei non ne aveva mai avuto uno, per colpa delle ristrettezze economiche della famiglia, e che ne aveva un gran bisogno?- aveva anche chiesto esplicitamente di vederla.
«Non ci si può Smaterializzare nei confini della scuola. C'è scritto in Storia di Hogwarts» si era stupita, temendo di suonare insolente, ma senza riuscire a trattenersi. 
«Quella è storia, Victoire» aveva risposto l'Augurey, facendo l'occhiolino. «Qui si crea il futuro.»
La ragazza era bella come la ricordava, riflettè Delphi. L'ossatura delicata del viso ricordava l'ingranaggio di un carillon d'argento, efficace e discreto. Occhi distanziati e scuri come viole, i lievi pomelli degli zigomi alti, labbra grandi ma senza volgarità, rosee e fanciullesche come polpa di albicocca. E quei capelli sparsi distrattamente sulle sue spalle, oro baciato di rame, biondi e ambrati, una traccia di porpora che sembrava essere stata sgocciolata da un pittore sulla sua chioma e che si era diluita dolcemente. Quando la luce li accendeva, un incendio. 
Bella e timida, quasi ingobbita nella sua bellezza. Non era in grado di usarla.
«Me l'ha regalato mio zio Rodolphus per il mio diciottesimo compleanno, ma i gufi non hanno simpatia per me» raccontò Delphi, con una smorfia maldestra. «Credo sia una specie di contrasto tra pennuti... Come lo hai chiamato?»
«Beaumont. È un nome che ho trovato nelle figurine delle Cioccorane» si giustificò Victoire, consapevole che suonasse stupido, ma ormai a ruota libera davanti a lei: era come una specie di maleficio, non riusciva a trattenere la verità. 
«È un Gufo di Palude molto raro» spiegò Delphi. «Di solito restano selvatici, per questo ha un bel caratterino. La sua colorazione non si trova spesso in natura. Somiglia a un falco, vero?»
Aveva un becco estremamente adunco e affilato, il petto gonfio e fiero sempre in fuori e delle ali enormi. «Sì, è vero. Non sono degna di un tale regalo... Delphi.» Si sforzò di chiamarla come le era stato chiesto. Ma suonava talmente irreale. Ora Victoire aveva maturato il timore che tutto questo interesse per lei fosse dovuto alla speranza di estorcerle informazioni su Ron e Teddy. Era una Weasley che si era dichiarata favorevole al regime, dopotutto. Si aspettava che prima o poi le venisse chiesto direttamente, e che se avesse rifiutato l'Augurey avrebbe fatto ricorso alla forza. Poteva leggere la sua mente con la massima facilità, no?
Delphi fece un cenno svagato con la mano, come per indicarle di lasciar perdere. «Piuttosto, mi dispiace di averti disturbata. Stavi facendo lezione di Incantesimi.»
«Ma non importa se la salto» si precipitò a dire Victoire. «Tanto sono una schiappa.» E anche quello ormai era stato detto.
Invece di deriderla, Delphi s'illuminò. «Forse posso aiutarti. Forse. Cioè, ci provo. Che cosa stai studiando?»
Victoire si sentì arrossire all'idea della brutta figura che l'attendeva dietro l'angolo. «Gli incantesimi offensivi di terzo livello...»
«È impossibile sbagliarli, quelli! Basta pensare a quando stai dormendo profondamente, l'elfo domestico fa cadere una padella nelle cucine e ti sveglia, o quando stai spalmando lo smalto perfettamente e all'improvviso hai un crampo e il flusso magico si interrompe per un secondo e gocciola tutto fuori dall'unghia...» Delphi strinse i denti, come se la sola idea fosse insopportabile, poi -robe da matti!- sguainò la bacchetta e la puntò contro il muro che aveva davanti, gridando «Bombarda maxima!» 
Victoire scoppiò a ridere istericamente, un po' nel fissare l'immenso buco che Delphi aveva causato, un po' nel realizzare la sua concezione di episodi quotidiani che tutti vivono e con cui dovrebbero empatizzare. 
«Dai, prova tu» la esortò lei, contagiata dalla sua risata. 
Victoire si ricompose e tentò di concentrarsi. «Ok. Quello che sbaglio sempre è che il gesto non è mai... preciso. Alla fine non è mai puntato dalla parte giusta.»
«Lo devi percepire» replicò Delphi, mettendosi alle sue spalle. Le sfiorò una tempia. «L'energia che sale... che si genera nel tuo cervello e si incanala nel tuo braccio.» Con una mano strinse la sua intorno alla bacchetta e con l'altra percorse un tragitto dal suo collo al suo polso, lentamente. «La senti che va e quando raggiunge la mano... la lasci andare. La lanci.» 
Non appena raggiunse la sua mano, Victoire esclamò «Bombarda maxima» e fece come diceva Delphi, lasciò andare: le pareva quasi di vederla, la sfera dell'energia che spiccava il volo. L'incantesimo scaturì spontaneamente, e al primo buco se ne aggiunse un altro. 
«Ce l'ho fatta» rimase basita Victoire, incapace di credere di essere stata lei a farlo. Lei, che un Wingardium Leviosa decente lo aveva fatto solo al terzo anno. «Perchè mi hai aiutato» si corresse, celere, voltandosi a sorridere esultante a Delphi. «Posso prenotarti per gli esami?»
«Perchè no? Ma proviamone un altro» propose lei, eccitata. Combinarono un vero disastro: Delphi animò i serpenti di pietra della fontana nel giardino e li fece ballare, Victoire riuscì a trasfigurare delle rocce residue del crollo del muro in maiali e un gruppo di fantasmi accorse strillando. Quando il professor Piton sopraggiunse, le ritrovò fradice dell'acqua della fontana, aggrappate l'una all'altra, scosse dai singhiozzi, con intorno uno zoo di animali magici e spettri. 
«Non sapevo che l'Augurey avesse avuto istruzione dall'Oscuro Signore di distruggere il castello» disse a mo' di saluto, contemplandole tra il disgusto e la disapprovazione. 
«Non fare il musone, Severus» minimizzò Delphi, asciugando se stessa e Victoire con un unico movimento di bacchetta. «Ci stavamo solo divertendo un po'. Tu piuttosto, è da un pezzo che non ci delizi con una visita. Come mai? Mio padre ci terrebbe a incontrarti.» La confidenza con cui gli parlava mise Victoire a totale disagio.
«Niente mi onorerebbe di più, ma temo che per ora il lavoro non mi conceda momenti di distrazione» ribattè Piton, imperturbabile, senza distogliere il contatto visivo. «Anche svolgere il mio incarico al meglio è un modo per rendere ossequio all'Oscuro Signore.»
«Certo, come ti pare.» Dopo avergli rifilato un'ultima occhiataccia, Delphi trasformò di nuovo i maiali in pietre, aggiustò il muro, rimise le statue al loro posto nella fontana con uno svolazzo del polso -l'ennesimo Incantesimo Non Verbale. Victoire non verbalmente non riusciva nemmeno a spostare una tazzina di tè. «Saluterò mio padre da parte tua.» Rimettere tutto in ordine fu come chiudere una scatola dei giochi, e ognuno riassunse il proprio ruolo.
«Ti prego di farlo» insistette Piton, a voce monocorde. 
«Noi ci rivediamo» promise Delphi all'indirizzo di Victoire, ammiccando. Una promessa? Una minaccia? Poi svanì, Smaterializzandosi.
«Lei non ha lezione alla prossima ora, signorina Weasley?» la raggelò Piton, bruscamente. 
«Certo.» Victoire se la filò alla svelta, prima che le venisse appioppata qualche punizione. Delphi poteva fare quello che voleva perchè era la figlia di Lord Voldemort, ma questo permesso non veniva certo esteso a lei. Nel corridoio si era assiepato un certo numero di studenti, accorsi per via del trambusto e chiamati dalla notizia che l'Augurey era di nuovo a Hogwarts. Victoire dovette attraversarli per raggiungere la sua classe. Diverse persone si girarono a fissarla, stranite, come alla ricerca dell'impalpabile motivazione che l'aveva elevata sopra tutti gli altri. Non potè fare a meno di sentire dei bisbigli di Hebe Flint, una studentessa di Serpeverde che non aveva mai sopportato.
«Sono contenta di non piacerle, visto che i gusti dell'Augurey sono le Babbane e le Weasley... le piace mangiare spazzatura. Ovunque vada, sembra che sia passato un clan di Giganti in preda al panico. Se è così anche a letto, ci credo che non riesca a tenersi una fidanzata.»
Hebe era ricchissima, figlia di due membri delle Sacre Ventotto Famiglie Purosangue: Marcus Flint e Pansy Parkinson. Victoire non trovò strano che insultassero lei; piuttosto era curioso che sparlassero di Delphi. Pensò che, nonostante la sua posizione prestigiosa, sia la paura che l'invidia l'avessero condannata all'esclusione anche da parte dei coetanei di rango simile al suo. Doveva aver avuto un'infanzia solitaria. Victoire provò una stretta al cuore. Aveva deciso che Delphi non poteva essersi avvicinata a lei per interesse: altrimenti perchè fare tutti quei regali e quelle moine e non chiedere direttamente ciò che voleva sapere, visto che Victoire non aveva mezzi per impedirle l'accesso a quelle informazioni? Delphi -l'Augurey- doveva avere un disperato bisogno di fare amicizia. 
Anche se, sulla base di ciò che aveva origliato, c'era la possibilità che Delphi cercasse più di un'amica in una ragazza. 


***

All'ora di colazione, Dominique era ancora di malumore per ciò che era successo due giorni prima quando sentì un dito ticchettarle sulla spalla. Era il suo fratellino Louis. 
«Tu sai qualcosa su Lorcan e Lysander?» chiese, in agitazione.
«Perchè dovrei?» ribattè la sorella, un po' più ruvidamente di quanto avrebbe fatto di solito.
«Perchè sono scomparsi! È da tre giorni che non dormono in dormitorio. Pensavo che Her... Pensavo che qualcuno ti avesse detto qualcosa» si corresse Louis, avvampando di spavento all'idea di cosa si stava lasciando sfuggire. 
Dominique riflettè. Dopo l'incontro quattro giorni prima, non aveva più avuto notizie dall'Ordine. Certo, in quanto figli di Luna i gemelli rischiavano costantemente, come tutti loro Weasley. Però in quanto Purosangue la loro condizione era un po' meno grave. Non era molto probabile che fossero stati prelevati da scuola come mezzo di ricatto per Luna. E se invece così fosse stato? Così come era scomparsa Hannah Abbott, e se ora avessero deciso di prendersela con lei? 
«Ho provato a chiedere a un Prefetto e mi ha risposto che non sono affari miei» spiegò Louis, abbattuto. «Non è un buon segno, vero?»
Non lo era affatto. Quel genere di risposte veniva fornito soltanto quando c'era Voldemort di mezzo.
«Non tormentarti troppo su questa faccenda» consigliò Dominique, sospirando. «Tanto non possiamo farci nulla. Prova a non pensarci, ok? Sono sicura che... Insomma... È probabile che tornino» borbottò, suonando poco convincente alle proprie stesse orecchie.
Louis non si diede per vinto. «Chiederai qualcosa a... beh, in giro?»
Dominique e Roxanne quel giorno dovevano fornire i loro ricordi di Delphi, come era stato richiesto. «Sì, ci proverò» promise la sorella. Ci mancava soltanto che due ragazzini così giovani fossero in pericolo di vita. 
«Grazie» sorrise Louis debolmente. Lysander e Lorcan erano un po' bizzarri -laconici, sibillini, parlavano più per metafore e enigmi che come tutti gli altri- ma erano i suoi migliori amici a Hogwarts. Notò che il piatto della colazione della sorella maggiore era semivuoto, eccezion fatta per qualche frutto e un biscotto. «Di nuovo la nausea?»
Dominique annuì con la testa. I racconti di suo padre sui banchetti di Hogwarts erano sempre pieni di nostalgia e prelibatezze: a quei tempi il macello degli Unicorni non esisteva. Per lei i pasti erano una delle cose che più odiava della scuola. Mentre il pregiatissimo sangue di Unicorno era riservato ai Mangiamorte più ricchi e vicini a Voldemort, la carne era ormai di uso comune, parte dell'alimentazione di un mago di medio reddito, venduta a prezzi sempre più bassi, progressivamente svalutata. Si moltiplicavano gli allevamenti, in cui Unicorni di tutte le età venivano macellati: i puledri d'oro per la tenerezza della carne, quelli più giovani dal mantello d'argento e infine gli esemplari adulti, sopra i sette anni. Dopo aver scoperto la verità, Dominique aveva smesso di mangiare carne. La sola presenza del bacon di Unicorno sul tavolo bastava a toglierle qualsiasi appetito. Era vietato però esentarsi dai pasti o mangiare nella Sala Comune. Era come una tortura a cui veniva sottoposta tre volte al giorno. 
Roxanne aveva fatto colazione prima di lei per partecipare all'allenamento di Quidditch, quindi si ritrovarono direttamente a Sfruttamento delle Creature Magiche. Dominique prendeva voti bassissimi, perchè "non sapeva usare il polso di ferro". Roxanne le si avvicinò mentre nutriva un cucciolo di Mooncalf, che i Mangiamorte avevano avuto l'ardire di incatenare a un palo con un anello di ferro al lungo collo nei pressi della Foresta Proibita. Era ricoperto di pelo raso azzurro-argento, aveva le orecchie aderenti al capo e saltellava sulle zampette palmate, fissando la familiare accuditrice con un paio di enormi occhioni tondi e sporgenti. 
«Dovremo fare in fretta, oggi» le mormorò Roxanne. «Non possiamo destare troppi sospetti. Se si accorgono che a volte manchiamo dal castello, è la fine.»
Lo sguardo di Dominique era vacuo, mentre continuava ad offrire zollette al Mooncalf. «Gli Scamander sono spariti.»
«L'ho sentito dire» ribattè Roxanne, inquieta. «Credi che-?»
«Credo che dovremmo dirlo a Hermione.»
Era la seconda volta in una settimana che procedevano sotto il Mantello dell'Invisibilità con l'Amuleto Occlumante, e qualcosa -il tradimento di Victoire, oppure la scomparsa dei gemelli- le rendeva più nervose della prima. Hermione le aspettava già sulle scale, impedendo loro di scendere fino alla stanzetta. 
«Non abbiamo tempo» ingiunse con urgenza. Non sembrava preoccupata, però. Aveva due boccette di vetro in mano. «Posso?»
Prima l'una e poi l'altra si sottoposero all'estrazione dei ricordi, dei fili scintillanti che sembravano di diamante liquido.
«Hermione, c'è una cosa» disse Dominique. «I figli di Luna non sono più a Hogwarts dal giorno della visita dell'Augurey. Pensi che-»
«Lo so, loro-» Lo sguardo di Hermione corse in fondo alla scala. «Non c'è tempo. Ma abbiamo la situazione sotto controllo, ok?»
«Cosa sta succedendo?» domandò Roxanne, in apprensione. «Il nascondiglio è stato scoperto?»
«Non tornate mai più qui, e adesso andate, correte» ordinò Hermione, in gran fretta. «Grazie del vostro aiuto. Guardatevi le spalle l'un l'altra. Ascoltate Piton.» Poi scese le scale.
«Piton, Piton, sempre dar retta a Piton» bofonchiò Roxanne. «Piton non ci sopporta nemmeno...»
«Cosa starà succedendo?» sospirò Dominique. «Pensi che siano in pericolo? Che Teddy morirà?»
«Teddy non morirà, Dom» la tranquillizzò Roxanne, inarcando le sopracciglia. Tutta questa ansia continua e focalizzata su Teddy le suggeriva che la cugina covasse una inconfessata cotta.


***

«Fatevi avanti, allora» ordinò Voldemort, pacatamente.
Lysander e Lorcan non indossavano più le divise di Hogwarts, bensì un paio di mantelle uguali, blu notte, sulle quali Delphi aveva appuntato il Marchio Nero e il blasone dell'Augurey. Il colore scuro e profondo creava un forte contrasto con il loro pallore madreperlaceo e il giallo burro dei loro capelli. I loro occhi pallidi, quasi albini, non fremettero nemmeno alla vista dell'Oscuro Signore. Eseguirono il saluto, incrociando i polsi sul petto. 
«La loro abilità è stata testata da me personalmente, padre» lo informò l'Augurey. «Sono una risorsa preziosa.»
Il solito stuolo di Mangiamorte assisteva, gli occhi puntati con sospetto e avversione verso i ragazzini. Bellatrix ignorava stoicamente l'Augurey, algida, lo sguardo fisso sul suo Signore. Era più bella del solito, i lineamenti scolpiti a fondo nel gesso del viso, i riccioli fluenti sul collo, le labbra rosse come sangue. 
«Già, tutto lascerebbe ad intendere questo» confermò Voldemort, senza sbilanciarsi. «Il loro pedigree, d'altronde...»
«Loro abitano con il nonno materno. Scamander e Lovegood sono irrintracciabili da un pezzo» affermò Delphi. Lo sapeva bene, visto che era stata lei a doverli cercare invano per mesi. 
«Da tre anni» precisò Lorcan. L'accenno ai genitori, così come non li aveva scalfiti quand'era stata Delphi a farlo, non li commosse nemmeno questa volta. Il gemello sembrò parlare per puro spirito di puntualità. 
«Gli accoliti di Silente si rivelano dei pessimi genitori» commentò Voldemort. I Mangiamorte risero educatamente. I gemelli erano perfettamente a loro agio in quel clima sinistro, o meglio non reattivi; gli occhi pascolavano indolenti nello spazio che li distanziava da Voldemort, come se stessero partecipando ad una noiosa cena tra parenti. L'Oscuro si rivolse alla figlia di nuovo.
«Hai già sfruttato la loro arte a nostro vantaggio?»
«Attendevo che lo faceste voi» rispose l'Augurey, inchinandosi. Alle sue spalle, Bellatrix le fece il verso mimando smorfie. 
Voldemort guardò i bambini, mansueti e immobili davanti a lui. «Quali sono le limitazioni?» li interpellò con freddezza.
«Gli spiriti non obbediscono a regole prestabilite» scandì Lysander, dondolando sui talloni. «Vanno, vengono.»
Voldemort esibì un ghigno sprezzante. «Quindi mi state dicendo che dovrei farmi prendere in giro da un paio di undicenni e dai loro giochetti?»
Tutti percepirono il cambio di atmosfera, tranne i gemelli stessi. Lysander Scamander alzò il mento, senza superbia, per imprimere un senso di sicurezza a ciò che diceva. 
«Noi attingiamo ad un potere che non comprendiamo nè padroneggiamo. Speriamo che possa esservi utile, ma non siamo nessuno, come avete detto voi. Non possiamo utilizzarlo con disinvoltura, a nostro capriccio.»
Il Signore Oscuro si fece andare bene quella risposta. L'intero salone potè riprendere fiato. 
«Cominciamo con qualcosa di semplice, per non affaticarvi troppo. Dov'è l'ultimo nascondiglio in cui Granger e Weasley sono stati?»
I gemelli presero posto al tavolino che Delphi aveva fatto comparire. I tarocchi si rimescolarono sopra le loro teste e si disposero a ventaglio. Questa volta furono i veggenti a pescare le carte, una ciascuno. 
«La Forza rovesciata» annunciò Lorcan. Era una fanciulla bionda che accarezzava un leone, il quale scrollava docile la criniera. 
«La Stella diritta» sentenziò Lysander. Una donna nuda emergeva fino alla cintola dal mare, allungando le mani al cielo, disseminato di piccole stelle, con al centro una più grande, ad otto punte.
La lettura delle carte richiese pochi secondi.
«Il nascondiglio si trova alla scuola di Hogwarts» decretò Lysander.
«Sotto il Platano Picchiatore» aggiunse Lorcan. 
Gli occhi rossi di Voldemort lampeggiarono. «Sarà il caso di verificare. Bella, tu resta qui, ad assicurarti che restino dove sono. Se hanno mentito e ci hanno fatto perdere tempo, moriranno.»
Bellatrix chinò la testa, marziale. 
Voldemort si girò in direzione dell'Augurey. «Sei pronta, figlia?»
Ron Weasley, Hermione Granger, il figlio ibrido di Lupin, e forse altri del tutto trascurabili. Non avevano bisogno di rinforzi. 
Delphi sfoderò la bacchetta, sorridendo. «Dopo di voi, Mio Signore.»
La Smaterializzazione ebbe l'effetto di un boato. Tutti quanti fecero un passo indietro, mentre l'eco del rimbombo s'infrangeva sulle pareti. Bellatrix fissò il punto in cui erano scomparsi, amaramente, un nodo alla gola. Quella comunione d'intenti, di magia, quei due simboli ormai sempre accostati erano una sconfitta inesprimibile a parole. Lei glie l'aveva sempre detto, al suo Signore: La ragazza non è davvero dedita alla causa. È una sentimentale, compromessa dai sentimenti che prova per voi come genitore. Non si può fare affidamento su di lei. Ma il Signore Oscuro era accecato dal barbaglio del sangue di Serperverde che sapeva scorrere nelle sue vene, liquidava quella verità attribuendola alla sua gelosia femminile. Sbagliava a non fidarsi di lei. 
«Fuori tutti» ordinò agli altri Mangiamorte, inquieta. Fu prontamente obbedita. Rimasero solo i gemelli, ancora al tavolo delle carte. Sapevano già cosa sarebbe accaduto.
«Poni pure la tua domanda, Bellatrix Lestrange» la invitò Lorcan, mite.
«Ricordando però che il futuro è mutevole e il corso d'azione di cui ti parleremo è solo uno dei sentieri possibili» concluse Lysander.
Bellatrix s'infiammò, indignata. «Non osate trattarmi con condiscendenza! Veggenti o no, vi spedisco da vostra madre all'inferno. Forza, ditemelo, prima che vi costringa a suon di Maledizioni senza Perdono. Quale sarà il destino di mia figlia?» La sua voce era tagliente, il suo sguardo allarmato e truce. 
Le carte diedero il loro responso.
«L'Impiccato» sussurrò Lorcan, mostrando a Bellatrix un uomo a testa in giù, appeso per una caviglia ad un albero, con uno spettrale sorriso sulle labbra. 
«Il Drago» esalò Lysander. Era un drago rosso, dalle grandi scaglie levigate, che soffiava un alito caldo sulle dita del veggente. 
I gemelli tradussero, imperscrutabili.
Bellatrix ascoltò con gli occhi sgranati. Non appena il verdetto finì, scoppiò a ridere. Una risata sguaiata, goduriosa, saporita, con cui sfogava anni di umiliazioni. Sembrò più giovane, la Bellatrix evasa da Azkaban, al culmine del potere. «Ohh, non le piacerà» sibilò, esaltata. «Non le piacerà per niente.» E continuò a ridere, tenendosi la pancia, piegandosi sulle ginocchia, rise e rise. Alla sua condanna si prospettava una fine. 

***

Ted si rese conto che, Smaterializzandosi e stringendogli la mano, Hermione e Ron l'avevano condotto sul retro di casa Lovegood. Ci era stato, da bambino, un paio di volte. Lui e Victoire erano piccoli, avevano giocato a rincorrersi tra i cespugli di Prugne Dirigibili; i gemelli non erano ancora nati. Victoire. Era meglio non pensare a lei.
«Ce l'abbiamo fatta» sospirò Hermione, passandosi una mano sulla fronte. «Era importante che ci Smaterializzassimo all'ultimo. Altrimenti ci sarebbe stato il rischio di una punizione per Lorcan e Lysander.» 
«Come facevi ad essere certa che questo non potesse essere considerato il nostro "ultimo nascondiglio" e che Voldemort non potrebbe accusarli di aver appositamente mentito?» obiettò Ted, sedendosi su una pietra confitta nel terreno, in preda alle vertigini per colpa della brusca Smaterializzazione. 
«I segni del nostro recente passaggio sono ancora freschi, quindi non potrà negare che quello fosse il nostro ultimo nascondiglio. Noi non ci stiamo propriamente nascondendo ora come ora, quindi questo non è un nascondiglio, dunque quello sotto il Platano era letteralmente l'ultimo nascondiglio» gli fece notare Hermione. «E se continuerà a fare domande sulla nostra posizione, saremo i primi a saperlo. Ma, se ho capito qualcosa del suo modo d'agire in tutti questi anni, cambierà strategia.»
«Com'è che rimarremo in comunicazione?» domandò Ron, mentre frugava nell'unica borsa che avevano portato con loro.
«Non è una vera comunicazione. Noi potremo semplicemente sentire tutto quello che viene detto in presenza degli Scamander, ma loro non potranno sentire noi» spiegò Hermione. «Ho Incantato le pietruzze che portano ai lobi delle orecchie. Qualcosa di poco appariscente e che non hanno ragione di togliere.» 
«È un grande rischio quello che si sono offerti di correre, soprattutto per la loro età» commentò Ted, aggrottando la fronte. «Parlano persino come se non avessero paura.»
«Loro non hanno paura di niente, tantomeno di Voldemort. Sono anime antiche.» A parlare era stata una voce assorta alle loro spalle. Voltandosi videro una bella donna bionda e diafana, a cui nessuno avrebbe dato più di trent'anni, con una lunga e spessa treccia su una spalla. 
«Luna!» esultò Hermione, piena di gioia e nostalgia, avvolgendola in un abbraccio. Lei ricambiò, con un sottile sorriso di triste consapevolezza. 
«Non posso trattenermi a lungo. Rolf è in New Jersey in cerca di aiuto. Lo devo raggiungere, prima che mi localizzino.» Anche lei, come i figli, sembrava leggera e rilassata, come se dopotutto fosse una situazione gestibile. «Voi avete bisogno di qualcosa in particolare?»
«Grazie a Lysander e Lorcan, abbiamo tutto ciò che ci serviva, una talpa» rispose Hermione. «Abbiamo sentito i Mangiamorte parlare tra loro, prima che Voldemort arrivasse. Ci sarà una parata tra una settimana. I Mangiamorte che sfilano per Godric's Hollow e compiono le solite ingiurie ai resti della casa dei Potter. È l'occasione perfetta per il piano che avevo in mente.»
«Ovvero?»
Ron si rivolse a Ted. «Forse fa più effetto se glie lo mostri. Credi di riuscirci ora?»
Ted annuì mestamente. Necessitava di estrema concentrazione, e socchiuse le palpebre per raccogliere e concentrare l'energia. Nonostante l'avesse provato spesso, ci voleva sempre lo stesso livello di attenzione per ogni singolo dettaglio. Quando riaprì gli occhi erano quelli verdi di Lily Evans, e aveva arruffati capelli neri e una sottile cicatrice a forma di saetta alla fronte. 
Mentre Ron gli porse gli occhiali rotondi da indossare, gli tremava la mano. Era la prima volta che rivedeva davanti a sè il suo migliore amico, dopo diciannove anni, rimasto intatto dallo scorrere del tempo come un fiore tra le pagine di un libro. Lui un ragazzo, loro degli adulti. Il loro passato. Quello che avevano pianto per così tanto tempo ora era lì, vivo.
«Com'è?» disse Teddy, ascoltando la voce di Harry uscire dalle sue labbra. 
Hermione si portò le mani alla bocca, incapace di parlare. I suoi occhi si gonfiarono di lacrime, contesi tra il turbamento e l'orrore. 
«Impressionante» commentò Luna, un'ombra sul viso. «Un po' terribile.»
Ron sorresse Hermione, che ora piangeva sulla sua spalla. «Non riesco a guardarlo, non ci riesco... Non ci riesco.» 
«Non serve che lo guardi» rispose Ron, sfregando dolcemente la fronte sulla sua testa. I suoi occhi però restavano su Ted-Harry, quasi ipnotizzati. La farsa, anzichè straziarlo, gli donava il brivido di una specie di illusione. 
«Quanto vorrei che Harry fosse qui» commentò Luna, con casualità, come se quelle parole le fossero giunte tramite il vento. 
Sentire questo rinfuse un po' di forza in Hermione. «Anche io» bisbigliò. «Anche io. Ma dobbiamo ricordarci che Harry non è qui. L'inganno di Teddy è per Voldemort. Non possiamo caderci noi.» Coraggiosamente, rialzò lo sguardo e guardò ciò che la spaventava così tanto. Non poteva davvero sopportarlo, ma doveva affrontarlo. 
«A cosa servirebbe tutto questo?» domandò Luna. 
«Lo vedrai» rispose Ted, con la voce di Harry. 


***

Un tempo, Delphi avrebbe descritto Malfoy Manor come bella, ma frivola. I pavoni e la fontana in giardino, la cura sopraffina nella scelta dei soprammobili e dei fiori, lo stile neoclassico del salone. Da quando Astoria Greengrass era morta, invece, un'ombra luttuosa sembrava aver contagiato ogni ambiente, senza più nessuno che verificasse che ogni cornice dei ritratti venisse lucidata, che il camino fosse sempre pulito dalla cenere, che il taglio delle siepi di tasso fosse sempre impeccabile. Narcissa Malfoy stessa, la padrona di casa, sembrava essere caduta in uno stato d'apatia, e preferiva rifugiarsi nella solitudine e nel silenzio che tenersi occupata sovrintendendo al lavoro degli elfi domestici. Oltre che nell'aspetto, era l'atmosfera stessa ad essersi incupita, come se la salottiera baldanza borghese si fosse ingrigita di una polvere spirituale. Però le dona, pensava Delphi mentre saliva le scale. L'aria più intimidatoria le conferiva una fosca dignità. 
Era stata Narcissa a fare gli onori di casa, scrutandola con il solito sguardo impensierito con il quale individuava ogni elemento di somiglianza con Bellatrix -a suo parere erano diversi. Non aveva osato nè trattarla con la formalità degli altri Mangiamorte, nè con la confidenza che le aveva riservato quand'era adolescente. Aveva titubato, finchè Delphi stessa non l'aveva abbracciata con calore. «È bello vederti» ammise, e fu allora che la zia si sentì legittimata a confessare che provava lo stesso. «Ho saputo che avete fatto una retata...»
«Non abbiamo nemmeno combattuto» la rassicurò Delphi, con una scrollata di spalle. 
«Però avevi in progetto di farlo. Ti prego... riguardati.» Nonostante fosse la sorella minore, aveva sempre cercato di proteggere Bella dal suo carattere impulsivo, e lo stesso le veniva da fare con quella ragazza. Delphi la trovava invecchiata, ma tacque, dispiaciuta. 
Prima di entrare nello studio di Draco, Delphi fece una piccola deviazione. Dietro la galleria dei ritratti dei Malfoy, in bella vista, si nascondeva una nicchia creata appositamente dalla zia, per un altro genere di ritratti. Gli anni l'avevano resa sentimentale. Tra tutti spiccava il ritratto della nipote che non aveva mai avuto il coraggio di conoscere, scelta di cui si era pentita quand'era troppo tardi sia per farlo sia per ammetterlo senza violare le leggi dello Stato. 
Delphi contemplò la capigliatura dipinta di sua cugina Ninfadora Tonks passare dal verde mela al rosa gomma da masticare, con disappunto. «Perchè mai un potere così wow dovrebbe andare a gente che si accoppia con lupi mannari?» deprecò, sbuffando.
Tonks le scoccò un'occhiata inviperita. «Come fa una persona con così tanto stile ad essere così stronza
Delphi le fece il terzo dito, che la cugina prontamente ricambiò. Non approvava che Narcissa conservasse simili dipinti di individui decretati terroristi e Nemici dello Stato, però con il quadro di Tonks si divertiva troppo per denunciarlo e farlo bruciare. 
Draco Malfoy era invecchiato proprio come la madre. Si era lasciato crescere con incuria la barba sulle guance, e la stempiatura, così come i capelli lunghi e raccolti, lo facevano assomigliare sempre di più ad una copia debilitata di com'era Lucius Malfoy alla sua età. Era seduto alla scrivania, chino sulla quale continuò a scrivere anche quando Delphi entrò. 
«Devi cambiare giardiniere, cugino» fu la prima cosa che gli disse, camminando pigramente fino a sedersi sulla poltrona per gli ospiti, a gambe accavallate. «Non dirmi che stai tirando la cinghia su questo genere di cose, con un incarico al Ministero.»
Draco ignorò le sue parole. La sua espressione era dura. «Scorpius mi ha scritto di averti visto a Hogwarts. Come sta?»
«Meglio di te» ribattè Delphi. «Lui è felice della vita che fa. Tu invece hai l'aspetto di uno che vuole una vacanza.»
«Non esistono vacanze da Voldemort, cugina, dovresti saperlo bene.» La risposta di Draco fu secca. Disse "Voldemort", nè "Lord Voldemort" nè "l'Oscuro Signore". Delphi storse il naso. 
«Meno male che è così, giusto? Nessuno di noi lo vorrebbe. Tutti cerchiamo di fare del nostro meglio affinchè le cose restino in questo modo.»
«Io cerco di fare quello che è meglio per mio figlio» rispose Draco invece, le labbra stretta e sbiancate.
Delphi inarcò un sopracciglio. Aveva sempre lanciato indizi di insolenza, ma oggi era particolarmente ardito. Prima che potesse dire qualcosa, lui parlò di nuovo.
«Mi fa piacere che la tua autostima goda ancora di buona salute dopo l'ultima mazzata. La Granger e Weasley. Mancati, di nuovo. Per l'ennesima volta. Dev'essere frustrante.» La voce di Draco era indifferente, ma con una vena di sarcasmo. 
Delphi strinse gli occhi in due fessure. «E questo ti dispiace davvero, Draco? Non è che magari nel tuo cuore celi un po' di tenerezza per i tuoi ex compagni di scuola? Tifi segretamente per loro, Nemici dello Stato, terroristi di Silente, Nati babbani e Traditori del loro sangue? Faresti questo a Scorpius?»
Mentre le prime parole gli avevano disegnato solo un vago ghigno sulle labbra, le ultime ebbero il loo effetto: Draco sollevò gli occhi dai suoi documenti per fissarli in quelli di Delphi, furioso. 
«Tu non sai niente» scandì. «Niente. Perciò ti conviene tacere.»
Ma Delphi aveva gli occhi accesi dall'impeto di quell'attacco. «Anche la tua defunta moglie aveva di queste tendenze, giusto? Filobabbane
Credette per un attimo che Draco avrebbe estratto la bacchetta per maledirla, visto che si alzò anche in piedi di scatto. Invece riuscì a controllarsi. La dardeggiò solamente con lo sguardo. 
«Te lo ripeto. Non infischiarti in affari non tuoi, Delphini.»
«Io sono l'Augurey del Signore Oscuro» rimbeccò lei, senza più scherzare, mortalmente seria. «Gli affari che riguardano i suoi sottoposti riguardano anche me.»
Draco non mosse più obiezioni. Si sedette di nuovo. «Allora vai a cercare i Filobbabani dove sono veramente, e non nella casa in cui sei cresciuta.» C'era un sottotesto anche in quell'affermazione.
Delphi finse di meditarci su, rimettendosi in piedi, e infine annuì. «E va bene. Il Signore Oscuro si fida dei Malfoy. Non tradire questa fiducia, o anche tuo figlio ci andrà di mezzo.» Si diresse verso la porta, ma si fermò sulla soglia. «Ah, e, cugino...? Un consiglio personale. Se non vuoi attirare sospetti indesiderati su di te, non parlare più come Harry Potter.»
Non appena fu uscita, Draco scagliò il fermacarte a forma di sfera di cristallo contrò la parete e affondò la mano tra i capelli, piegato sulla scrivania. 

***

Victoire aveva avuto bisogno di suo cugino Fred per averne la conferma, ma era proprio come sospettava: quello che aveva trovato nella gabbia di Beaumont, il suo nuovo gufo, era un Anello Evocante dei Tiri Vispi Weasley. Victoire lo sospettava, ovviamente, ne aveva visti diversi nella sua vita, avendo un zio che li creava, ma stentava a crederci comunque. Per quale motivo l'Augurey avrebbe dovuto fornirle una delle diavolerie per ragazzini che vendeva George Weasley? Una specie di avvertimento? No, non era coerente nè rispetto al regalo nè alla seconda visita che aveva fatto solo per vedere lei. Forse che...? Nel momento in cui lasciava il cugino davanti al ritratto della Signora Grassa, lì dove lui era entrato per accedere ai dormitori di Grifondoro, aveva incrociato sua sorella Dominique che ci usciva. 
«Ciao» la salutò Victoire, imbarazzata. Era consapevole del fatto che ce l'avesse con lei. Il loro dialogo non era granchè da diverso tempo. 
«Guarda chi si rivede» ricambiò infatti Dominique, sferzante. «La Mangiamorte.» 
Il collo di Victoire s'irrigidì. «Scusa, come hai detto?» Sapeva esattamente qual era il suo problema. 
«Come sta la tua amica Augurey? Si dà ancora da fare per uccidere membri della nostra famiglia?» proseguì la sorella minore pungente. Dal suo tono a fatica controllato, era evidente che aveva molto rimuginato su tutto questo. 
Victoire si sentì avvampare dalla rabbia. «Sei piena di pregiudizi su di lei, come tutti» fafugliò, sotto quello sguardo impietoso che la sezionava. «Io invece non ne ho e posso garantirti che è stata molto gentile e simpatica con me. E sì, è l'unica persona che mi viene in mente che mi abbia trattato come un'amica nell'ultimo anno, anche se solo per mezz'ora al massimo! Quando invece la mia stessa sorella mi tiene il muso da mesi.» Anche lei diede voce a qualcosa che finora non aveva avuto il coraggio di rivelare. Era difficile dire in faccia ad un parente di non sentirsi amati.
Dominique scoppiò a ridere, una risata inquinata, brutta. «Quando ti sveglierai, Victoire? Fai venire voglia di prenderti per il culo anche a me, tanto sei cretina. Lei non è l'amica di nessuno, è l'Augurey. Cosa voleva? Magari chiederti dov'è Ted? E tu in amicizia glie l'hai detto? In amicizia, s'intende. Non che lo vada a raccontare al suo papà.»
Victoire sentì il pianto salire agli occhi, acido, corrosivo. «Io non glie l'avrei mai detto, Dominique, non fingere di non saperlo.» Sua sorella, pronta a distruggere tutto. 
«Sicura? Nemmeno se te lo chiede per favore?» la incalzò Dominique. «Nemmeno se ti regala una uniforme nuova? Quale sarà il prossimo regalo? Un'indulgenza a vita per tutti i peccati della tua famiglia?» 
Una folla di studenti si era discretamente assiepata intorno al loro litigio, ma mano a mano spariva, quasi che tutti fossero consapevoli che il solo ascoltare quelle parole era pericoloso. 
«Tu non sai cosa significhi essere soli!» strepitò Victoire. Le salì la voglia di prendere sua sorella per l'uniforme, di scrollarla forte. «Tu sei sempre con Roxanne, tu... tu non puoi capire cosa sia non avere mai nessuno dalla tua parte! Mai nessuno che ti capisce...»
«Che capisca cosa? Quanto è bello rinnegare i propri parenti che hanno combattuto e sono morti per la tua cazzo di libertà? Sputare sui loro sacrifici? Quanto hai voglia di andare a giocare alla ricca Purosangue con la figlia di Voldemort? È questo che vorresti che capissimo?» Dominique scosse la testa, inferocita. «Non fare la vittima, non mentire. Tu non sei mai stata sola. Tu avevi Ted!»
«Oh certo, Ted, tiriamo fuori l'argomento» sbottò Victoire, accendendosi ancora di più. «Parliamo di quanto sono cattiva perchè non lo sposerò come tutta la famiglia programmava da quando sono nata! Avanti, è il vostro argomento preferito! Siete una così bella coppia, datevi un bacino...»
Dominique ora contemplava la sua amara beffardaggine con freddezza. «A te piaceva però, prima che impazzissi. Prova a negarlo.»
Victoire sospirò. «È vero, credo di essere stata innamorata, per un periodo, ma... Non è più così. Provo un affetto incredibile per lui, ma non è quello che pensavo all'inizio. Ma questo perchè dovrebbe c'entrare, oltre al fatto che è l'ennesima delusione che avete avuto da me?» Questo era lei per gli Weasley, una perenne delusione, dove a monte c'era una quantità spropositata di aspettative. Come Ted era l'erede perfetto di Remus e Tonks, lei doveva essere l'erede perfetta di un fratello Weasley.
«Perchè stranamente hai cambiato idea su di lui nel momento in cui hai cominciato a venderti all'Oscuro Signore e leccare il culo ai professori» ribattè Dominique, ironica. «Se questo è il modo in cui tratti i tuoi amici, allora è giusto che tu sia sola.»
Victoire provò di nuovo l'istinto di aggredirla. Era così brava a sputare sentenze, lei... Grifondoro, così appropriata, così normale.
«Perchè non riesci a tollerare il fatto che qualcuno voglia qualcosa di diverso da quello che vuoi tu?» esalò, desolata. «Tu e Ted volete vivere così, sempre in guerra, sempre nascosti come topi! Io no! Non voglio nascondermi. Voglio una stabilità. Voglio delle certezze sul fatto che mi sarà risparmiata la vita. Voglio una famiglia. La guerra è finita, Dominique. Abbiamo perso. Devi convivere con questa realtà, non continuare a sognare di un mondo che non c'è più e non tornerà e smettere di vivere nel presente.»
La furia si riaccese in Dominique. «Chi te l'ha detto che non tornerà, la tua Augurey? E allora perchè non te la sposi, visto che hai fretta di sistemarti? Diventi la nuora di Voldemort, una buona posizione, una bella casa... È una vita abbastanza serena per te?» Dominique sputò per terra, davanti a sè. «Tu mi fai schifo. Non credere che verrò a salvarti, quando la tua amica ti prenderà in ostaggio. Io spero che tutto quello che pensi si ritorca contro di te. Spero che la vita ti punisca, Victoire.»
Ma Victoire non rimase ad ascoltarla. La scansò con veemenza e se ne andò, correndo fino al dormitorio di Corvonero. Tutte le sue compagne dormivano già. Si gettò sul letto, piangendo con la testa affondata nel cuscino per non svegliarle. Nella tasca della sua divisa c'era ancora l'Anello Evocante. Victoire se lo infilò nell'anulare, gli occhi gonfi di lacrime. Strinse il pugno. Avrebbe tanto voluto che Delphi potesse confortarla, in quel momento. Mentre lo pensava, si rese conto a malapena che era esattamente l'utilizzo che si doveva fare dell'oggetto: informare la persona che si aveva in mente che si stava pensando a lei. Prima che potesse rendersi conto di cosa aveva causato, Delphi si Materializzò sul suo letto, accanto a lei. Doveva stare andando a dormire anche lei: aveva una canotta e un paio di coulotte di cotone azzurro. I capelli argento e blu erano sparsi sulle sue spalle e le davano un'aria dolcemente vulnerabile. 
«Ehi, ehm... Speravo che il regalo potesse esserti d'aiuto, ma... Non pensavo ne avresti avuto bisogno così presto»  mormorò, accorgendosi di non poter alzare troppo la voce, nel semibuio del dormitorio. «Ma... cosa c'è che non va?»
Victoire non aveva nessuna intenzione di parlarne. Nè di pensare. «Ti prego... Io...» Senza sapere cosa stava facendo, si allungò su di lei e sfiorò le labbra con le sue. Il modo in cui infranse il confine del suo spazio vitale fu traumatico solo nel momento stesso in cui lo fece; l'istante dopo era soltanto inebriante. Delphi aveva un odore dolce e liquoroso, di pece al miele, di limone caramellato, balsamico. La sua bocca era umana e malleabile e bella. Delphi respirò lentamente sul suo viso, senza respingerla.
«Sei convinta?» bisbigliò però. «Cioè, sembri sconvolta. Sai, tante si buttano perchè pensano che vogliono, no, provare, ma poi si pentono e-»
«Delphi» soffiò Victoire, disperata, ma consapevole di come quella disperazione apparisse languore. «È da quando ci siamo incontrate che io- cioè, noi... Per favore.» La baciò ancora e ancora. Ciò che aveva iniziato a fare mossa dal bisogno di un polo positivo rispetto a quel dolore, cambiò. Improvvisamente era un lago e lei si era inabissata dentro. Era nelle sue orecchie e nella sua pancia. Delphi aveva seni piccoli e fianchi formosi, e il corpo di Victoire, dopo averla solo sfiorata, si rese conto di cercarla. Non era bisogno di un calore qualsiasi. Era il tepore dietro le sue orecchie, il tocco sicuro delle sue dita sul braccio. Delle impronte. Delphi. Dei gemiti lenti, ingoiati per fare piano, sotto le coperte, come da bambine per nascondere un gioco. Le dita nell'incavo caldo delle ascelle, lungo l'ansa del bacino, nella peluria bionda delle cosce. Gambe sode e forti e rotonde e morbide. Era così morbida. Avvolgerla, essere avvolte, era così facile. Victoire si lasciò impastare con le mani, lasciò che il suo corpo venisse trattato come il meccanismo di un orologio, uno strumento di cui si potevano conoscere i segreti, il funzionamento. Si sentì schiudere e aprire e dilatare per essere trasformata in uno spazio, raddoppiata in una nuova dimensione, smuovere le dune ferme nel ventre da onde nuove, repentine. Non era conquista, era una ricerca. Un soffio d'aria sconosciuta. Un brivido unico fino alle caviglie, che le distorceva in uno spasmo. Un ultimo secondo di vita. Un rantolo morso in bocca. Ahi. Sangue sulle labbra. Victoire si lasciò bagnare. Delphi aveva ricominciato a lavorare sui suoi capezzoli rosei, soffici come fiori di magnolia, scivolosi come ninfee. Gli umori erano una perdita dolce, buona, senza segni. Le lacrime erano già asciugate. Il cuscino dove posarono le teste, odorose di polline, era puro. Il respiro di Delphi sapeva di pino e di bambina. Victoire la nascose con il lenzuolo come non aveva mai sentito la necessità di nascondere nulla agli occhi del mondo: il suo aspetto quella notte le apparteneva come le apparteneva un'emozione, un ansito. Dormì con i suoi capelli tra le labbra.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gaunt Manor ***


For Voldemort and Valor

Capitolo 4: Gaunt Manor



Alle dieci del mattino Victoire Weasley aveva lezione di Trasfigurazione, ma quel giorno a quell'ora non era nella classe di Philip Avery, bensì nel dormitorio di Corvonero, sdraiata sotto il baldacchino del letto, a trastullarsi con indosso la camicia da notte di mussola, dai primi bottoni della pettorina di merletti Valenciennes slacciati, dai quali sgusciavano i minuti pomi dei seni, bianchi come mandorle. Delphi raccontava, la nuca posata sul suo ventre, gesticolando con enfasi. 
«Quando avevo dodici anni, ero proprio una strega pietosa. Non sapevo fare niente. Mio padre mi diceva "impara qualcosa o ti faccio sbattere nelle segrete e mi dimentico di averti fatta nascere". Così mi sono messa a studiare come... beh, come qualsiasi persona sia stata appena minacciata di andare in prigione se non studia» ammise, con una smorfia di comica contrizione. 
«Non è stato molto carino» commentò Victoire, flemmatica, mentre le pettinava i capelli dietro le orecchie con le dita. 
«Lui non deve essere carino, deve essere potente» osservò Delphi, stiracchiando un sorriso. 
«Ma con te!» esclamò Victoire, sottraendosi da sotto di lei soltanto per salirle a cavalcioni sopra. «Tutti, ma non te! Nessuno al mondo dovrebbe trattarti male! Perchè... perchè sei così bella...» fece una pausa per allungarsi a schioccarle un piccolo bacio, facendola ridere, «e perchè sei l'Augurey! Il futuro è nelle tue mani! Sei la sua erede, e tutto il mondo magico sarà tuo, quando l'Oscuro Signore non ci sarà più!»
Delphi fu travolta da un moto d'ilarità e indignazione, come se l'ingenuità allegra con cui aveva pronunciato quelle parole la divertisse e la scandalizzasse al contempo. 
«Ma cosa dici! Vedi di non ripeterlo più davanti a qualcuno! Mio padre non morirà mai.»
Victoire fece una faccia perplessa. «In che senso? Tutti devono morire, prima o poi, un giorno, no?»
La confusione sul suo viso la fece ridere ancora di più. «No! Lui no» ribattè Delphi, ribaltando le posizioni e salendo su di lei. «È assolutamente illegale da dire. Ho visto gente fulminata direttamente dall'Anatema che Uccide per gaffe come questa, l'idea che il Signore Oscuro possa morire e che qualcun altro possa prendere il suo posto è considerata alto tradimento al regime.» Le baciò il collo, furbescamente. «Tu non subirai conseguenze soltanto perchè sei tu.»
«Tu chi?» domandò la ragazza, insinuante. 
«La mia Victoire» tubò Delphi, mordicchiandole un lobo. «Però... che genere di punizione alternativa ti posso imporre...? Perchè meriti di essere punita, lo sai?» canticchiò, denudandole una spalla tiepida dal pizzo della camicia da notte. Victoire finse di sottrarsi, con studiato pudore, scalciando nell'aria. 
«Ti posso... mettere sotto Imperius» sussurrò Delphi, facendo guizzare la lingua nel suo orecchio. 
«Smettila, smettila, mi fai il solletico!»
Mentre erano intente in quelle dolci schermaglie, il Marchio sull'avambraccio di Delphi arse, distraendola. Dopo averlo contemplato, sospirò.
«Mi chiamano» annunciò, dandole un buffetto sulla guancia. «Tempo per te di tornare a lezione, piccolina.»
«Non sono piccolina, ho due anni meno di te» protestò giocosamente Victoire, cercando di dissimulare il dispiacere di lasciarla. Il gufo Beaumont attirò la loro attenzione sbattendo le ali, e Delphi infilò un dito tra le sbarre della gabbia per farselo beccare. «Ciao anche a te, antipatico.» Poi passò dalla tenuta da notte al pastrano svolazzante da Augurey, gli occhi segnati di trucco nero e stivaletti bassi. 
«Torni tra poco, vero?» chiese Victoire, piano, senza quasi osare parlare più forte.
Delphi si abbassò a baciarla un'ultima volta. «Tu preparati alla punizione.» Sfregò il naso contro il suo e si Smaterializzò. 
Sua madre non l'aveva richiamata a Gaunt Manor, bensì al numero dodici di Grimmauld Place, usata spesso come base secondaria. Dall'ingresso, camminò seguendo la sua voce in falsetto fino al salotto. Bellatrix negli ultimi giorni era insolitamente di buon umore; tramava qualcosa, quindi. Quando Delphi entrò, la accolse con un sorriso sinistro. 
«Guarda chi è invitata a cena stasera» esclamò, indicando con la bacchetta la strega legata in ginocchio ai suoi piedi. La somiglianza con Bellatrix stessa era forte: i suoi capelli striati di grigio, però, erano più vicini al castano che al nero, e i lineamenti, seppur ricordassero quelli della madre, erano meno incavati, meno corrotti dal tempo. Era una bella donna, come tutte le sorelle Black. Perchè, anche se Delphi non l'aveva mai incontrata di persona, sapeva che quella era Andromeda Black, la pecora nera, cancellata dagli alberi genealogici per aver sposato un Nato Babbano. Era ricercata da quando la guerra era finita, e da fuggiasca aveva cresciuto il nipote, Ted. Era da tempo che cercavano di catturarla.
«Il Signore Oscuro è rimasto molto soddisfatto di questo risultato» si diede delle arie Bellatrix, crogiolandosi nella gloria, letteralmente radiosa. «Non si è risparmiato in lodi e ringraziamenti.»
Delphi trovava un po' patetico questo suo sfoggiare. «Non per sminuire, ma non è che tua sorella fosse proprio il più temibile dei Nemici dello Stato che stiamo cercando.»
«Ma non capisci, stupida bimba?» sibilò Bellatrix, senza fastidio, ancora esultante. «Pubblicheremo sui giornali la notizia della cattura. Li attireremo da noi! Granger, Weasley e l'ibrido Lupin.» 
Prima che Andromeda potesse gridare qualcosa, Bellatrix le scagliò la Maledizione Cruciatus addosso con impeto. La donna si rannicchiò sul pavimento, all'improvviso ridotta ad un mucchio d'ossa e fragile pelle tra di esse. Era sempre stata la specialità di Bellatrix, e oggi era in splendida forma.
«Dromeda, ti presento mia figlia» annunciò, afferrando Delphi per il braccio e tirandola davanti alla prigioniera, che a fatica riuscì ad alzare gli occhi. Bellatrix roteò lo sguardo. «È vero, non sembra, non ha niente di me eLui... Vorresti ucciderla come risarcimento per la tua? Fa' pure, mi faresti un bel favore.»
Delphi ghignò. «Non ti libererai tanto presto di me, madre.»
Bellatrix si limitò a scoccarle un'occhiata serafica, da sotto le pesanti palpebre scure. «Tempo al tempo.» Era davvero felice. Sembrava rinata.
Andromeda sputò un grumo di sangue. «... come sei ridotta male, Bella. Non pensavo... Nessuno di noi pensava che... saresti caduta così in basso.» Gli occhi si spostarono su Delphi con un misto di ribrezzo e compassione. 
Bellatrix calpestò la sua mano a terra con il tacco, ferocemente, ma con una ferocia quasi gioiosa, lo sguardo acceso di un lucore folle. «Invece sono arrivata fin qui, e ci sono arrivata da sola, con la forza della mia magia e della mia lealtà. Mentre tu presto andrai a fare compagnia al maritino e alla figlioletta mezzi Babbani. Crucio!»
Delphi lasciò la stanza, annoiata, lasciando la madre a divertirsi per conto suo. Di certo usare Andromeda Black come esca poteva funzionare, ma questo significava che ci sarebbe stato un nuovo scontro imminente. La prima cosa a cui pensò, prima che al fatto che avrebbe dovuto combattere e rischiare la vita, fu che non avrebbe avuto occasione di andare presto a trovare Victoire. Era stata bene con lei quella notte. Era ancora inesperta a letto, ma era volenterosa di imparare. Ed era bellissima, forse la ragazza più bella con cui Delphi fosse mai stata. Guardarla dormire era un piacere sensoriale completo. Un ottavo Veela, eh? si vede... Anche Delphi, come Bellatrix, si sentiva di buon umore. 
Per ingannare il tempo, decise di farsi un giro per casa Black. Tante erano le stanze in cui non era mai entrata. Quella di Sirius Black, per esempio, era di solito inaccessibile in quanto Sirius era un Traditore di Sangue. Delphi era in vena di trasgressioni e forzò la serratura con un incantesimo. Era estremamente sciatta e disordinata, oltre che ricoperta da strati di polvere, e addobbata con orribili gonfaloni che richiamavano il Grifondoro; l'unica cosa che Delphi apprezzò furono le fotografie che ritraevano Babbane seminude, a cui diede un'occhiata approfondita. Non c'era un minimo di segreta magia lì dentro. Stava per uscire, quando una voce maschile la richiamò, alle sue spalle.
«Stai cercando qualcosa?» 
Delphi sulle prime pensò che si trattasse di una fotografia di Sirius da giovane, ma uno sguardo più attento le rivelò la verità. Quella grande appesa al muro non era una fotografia di Sirius, bensì di Harry Potter. Aveva gli occhiali rotondi e la cicatrice a forma di saetta. Pur non avendolo mai conosciuto, sapeva riconoscere questi dettagli. Da quando in qua una fotografia parla?, pensò Delphi, un po' stordita. 
«Forse una via d'uscita da una vita orribile?» suggerì Harry. Delphi lo aveva immaginato diverso. Non era brutto d'aspetto, e nemmeno granchè attraente. Era molto ordinario, uno che non si sarebbe voltata a guardare nel corridoio di Hogwarts. In quella foto doveva avere quindici o sedici anni. 
«La mia vita è fantastica, grazie per l'interessamento» rispose Delphi, senza nemmeno sapere perchè lo stava facendo. 
«Fantastica?» ripetè Harry. «Cosa c'è di fantastico in una famiglia di pazzi che ti sacrificherebbero alla prima occasione per i loro scopi?»
«Non posso pretendere che tu comprenda le priorità del Signore Oscuro, Potter» tagliò corto Delphi, desiderosa di svignarsela, ma anche di spuntarla nell'agone verbale. «Non sei il più grande mago di tutti i tempi, dopotutto. Sei solo un misero terrorista di Silente che si è lasciato ammazzare.»
«Il fatto che tuo padre consideri più importante uccidere Babbani e regnare incontrastato piuttosto della tua incolumità ti sta bene?» rimbeccò Harry, disinvolto. «Ti accontenti con poco. Sembri me con i Dursley e le divise stinte di Dudley.»
Delphi non aveva idea di chi fossero i Dursley o Dudley. O di come facesse una fotografia di Harry Potter a conoscerla. «Io sono nata per servire. Mio padre mi ama in quanto sua alleata.» 
«Delphi.» La voce di Harry era sbrigativa. «Tuo padre non ti ama.»
«Non si riduce sempre tutto ad una questione d'amore» sbottò Delphi. «Quello era una tua fissazione. Non ha funzionato molto bene.» Non aveva più nessuna intenzione di starlo a sentire, ma non riusciva ad andarsene. Era solo una fotografia, no? Ma perchè formulava discorsi così complessi?
«Allora non parliamo di me, parliamo di te. Il futuro è nelle tue mani, non è quello che dici sempre?» replicò Harry, implacabile e scettico. «Eppure non sembra proprio. Sei più che altro una schiava. Dovresti cambiare il motto in "il futuro è nelle mani di Voldemort". Buon divertimento.»
Come fa a sapere tutte queste cose? Delphi aprì la porta della stanza, precipitosamente. «Sei morto. Taci.»
«Quando capirai la verità, torna qui» fece in tempo a dire Harry, prima che gli fosse sbattuta in faccia. 
Delphi ragionò che la cosa migliore da fare era fingere di non essere mai entrata in quella stanza e non parlarne con nessuno. Non aveva senso turbare il Signore Oscuro con questa faccenda di una stupida foto parlante. Quindi trascorse la giornata a tentare di dimenticarsene, e di ricordare invece il sapore della pelle della bella Victoire Weasley. 

***

«Teddy... aspetta» protestò Hermione, apprensivamente. 
Il ragazzo le rivolse uno sguardo indurito d'angoscia. «Ci siamo già detti quel che dovevamo. Dobbiamo sbrigarci o mia nonna morirà.»
«Non-» Prima che potesse finire, si Smaterializzò. Hermione sospirò afflitta, per poi voltarsi verso Ron. «Non è in condizione di combattere, è offuscato... Non avremmo dovuto dargli retta...»
«È troppo tardi per questo» rispose Ron, inquieto. «Ora possiamo solo seguirlo e sperare che vada bene. Non piace nemmeno a me, ma come glie l'avremmo vietato? Non è più un bambino.»
Hermione lasciò che quelle parole la colpissero nel profondo, senza combattere. Abbassò la testa. Era vero, ma non lo rendeva più facile. «Insieme?»
Ron sorrise debolmente. «Insieme.»
Si scambiarono un bacio rapido, breve come il tempo che era loro concesso. Poi si Smaterializzarono.
Il massimo che avevano potuto fare era apparire tra gli alberi della foresta intorno a Gaunt Manor. Intravidero Teddy correre davanti a loro, di soppiatto tra gli arbusti. Hermione era certo che il sistema difensivo magico fosse più gestibile del solito, appositamente per permettere loro di entrare e intrappolarli come topi. Cos'era stato il rapimento di Andromeda se non un pretesto per attirarli? Adesso il problema era anche capire in quale parte della fortezza fosse stata imprigionata. Come previsto nell'abbozzo di piano che avevano fatto in tempo a tirare in piedi in un quarto d'ora, Ted modificò il suo aspetto in quello di un uomo adulto e scuro di capelli, nascondendo il volto sotto un cappuccio nero, di modo da apparire come un qualsiasi Mangiamorte. Le barriere magiche erano addirittura assenti, a prova del fatto che tutti li stavano aspettando. Non c'era possibilità che il travestimento di Teddy reggesse, soprattutto perchè l'emozione comprometteva la sua abilità nel reggere la farsa, e a tratti il colore dei capelli lampeggiava pericolosamente. Hermione e Ron gli coprirono le spalle a debita distanza, facendo ricorso a un semplice Incantesimo di Disillusione per quando entrarono nel maniero, consapevoli che non sarebbe durato a lungo. Il cortile era deserto, e Teddy esitò. La mappa della dimora a loro disposizione, su cui avevano studiato gli ambienti, era sommaria. C'erano delle segrete sotterranee, ma non sarebbe stato un po' ovvio? Per non parlare del fatto che la maggioranza dei Mangiamorte sarebbe stata di certo lì ad attenderli. Hermione aveva consigliato a Teddy di iperlustrare prima le sale al pianterreno, da cui la fuga sarebbe stata più facile. Se Voldemort aveva intenzione di far trovare loro Andromeda per innescare uno scontro, non c'era molto che potessero fare per impedirglielo. Era una situazione in cui non esporsi a rischi era impossibile. 
Ted era in confusione. Ormai aveva quasi completamente riassunto il suo vero aspetto e si aggirava nei corridoi con il fiatone, come se ad inseguirlo fosse qualcosa di peggio di Voldemort. Incespicava sui suoi stessi passi. Era un mago abile per la sua età, ma era talmente preda dei sentimenti che stava provando da perdere ogni concentrazione.
«Dobbiamo farlo andare via di qui, non ce la può fare» scoppiò Hermione, lei stessa terrorizzata dalla sua reazione. Per Ted sua nonna era stata una madre, ed era l'unico legame che aveva con la famiglia di sangue. Era forse l'unica persona per cui provava un affetto pari a quello che provava per loro.
«Non si può fare, Hermione» bisbigliò Ron, guardandosi intorno circospetto. «Ma dove sta andando?! Perchè?»
Ted era entrato in una stanza. Era una biblioteca, una maestosa biblioteca di volumi di magia oscura. Le file degli scaffali si perdevano a vista d'occhio, e regnava il buio quasi totale, se non fosse stato per poche torce alle pareti. Doveva aver sentito qualcosa, perchè si fermò in ascolto sulla soglia. Lo risentì: un grido femminile.
«Nonna!» si lasciò sfuggire, atterrito. Avanzò, non dando altra scelta a Ron e Hermione se non seguirlo all'interno. Ovviamente, le porte si sbarrarono alle loro spalle. 
«Merda» bofonchiò Ron. «Da qui riusciresti a Smaterializzarti, eventualmente?»
«Non lo so» dichiarò Hermione, cupa. «Con le barriere rimosse, forse sì... Ma non è detto che lo rimarranno.»
Teddy si guardava intorno, affannato. Era quasi isterico. «Venite fuori, bastardi!»
Hermione interruppe l'Incantesimo di Disillusione, consapevole di quanto fosse stato inutile, visto che il loro ingresso era stato seguito e incoraggiato passo passo; Ron la imitò. «Teddy, calmati...»
Un rumore. Non più un grido: un grosso volume caduto a terra, con il dorso in su. Hermione ci spostò lo sguardo sopra, angosciata. «Non credo sia qui dentro.»
«L'ho sentita» ribattè Teddy, allucinato. «Ho sentito la sua voce...»
«È noioso da ammettere, ma Granger ha ragione... come al solito.»
Tutti e tre si paralizzarono.
Un Anatema che Uccide sfiorò l'orecchio di Hermione, rapido come una freccia verde. I maghi assunsero la posizione da combattimento, sistemandosi a cerchio per coprirsi la schiena a vicenda. Dopo qualche istante di silenzio, la libreria accanto a loro crollò sulle loro teste. Teddy strisciò da sotto il legno pesante dello scaffale e dalla catasta dei libri, tossendo, soltanto per sentirsi urlare a pochi metri della faccia «Confringo!». Fece appena in tempo a levare il braccio per alzare un Sortilegio Scudo, mentre intorno a lui tutto esplodeva e i libri prendevano fuoco. Si alzò in piedi e corse fino a raggiungere uno scaffale ancora in piedi, dietro il quale si nascose. Sporse la testa, ma non vide nessuno. Uno scricchiolio gli fece voltare di scatto la testa davanti a sè, e «Expulso!»
Ted scartò di lato per non essere di nuovo travolto dalla libreria, stavolta divorata da fiamme blu. 
Hermione incantò tutti i libri di uno scaffale affinchè si frapponessero, formando una parete, a mo' di scudo tra Teddy e l'aggressore, che -«Bombarda Maxima!» -la fece saltare in aria senza sforzo. L'Augurey passeggiò in mezzo alle fiamme, in direzione di Hermione.
«Ti sono mancata, Sanguesporco?»
Era cresciuta, Delphini. Non le somigliava, fisicamente, a Bellatrix: a ricordarla erano solo gli zigomi marcati e il mento appuntito. Non aveva nemmeno la malinconica, fredda bellezza del giovane Tom Riddle. Aveva un viso allungato, capelli paglierini dai pennacchi decolorati, occhi maliziosi e vispi e un'aria da ragazzina discola e squinternata. Il fascino derivava unicamente dal carisma. 
Sanguesporco. Hermione aveva ancora la cicatrice sull'avambraccio. Il timbro di Bellatrix. Strinse i pugni. 
«Devo confessare che aspettavo con impazienza l'occasione di toglierti quel sorrisetto di bocca. Stupeficium!»
L'Augurey sorrise maliziosamente. «Così avete deciso di farla finita tutti insieme? Che carini. Avada Kedavra
Hermione deviò la Maledizione con la bacchetta. «Hai un certo talento, ma hai l'arroganza dei vent'anni, Delphini. Volate Ascenderai!»
Delphi fu scaraventata in alto, ricadde a terra pesantemente e per tutta risposta scoppiò a ridere. «Dopo tanti anni, vi ostinate ancora ad usare incantesimi per bambini in un duello con i più fedeli servitori del Signore Oscuro? Imperio!»
Ron ricomparve al fianco di Hermione, emergendo da un cumulo di libri, e li indirizzò contro Delphi, facendo dissolvere il raggio di luce dell'incantesimo nell'aria. 
«Stupeficium!» gridarono Hermione e Ron contemporaneamente. 
L'Augurey scartò gli Schiantesimi con un gesto distratto, senza nemmeno bisogno di uno Scudo. «Sì, anch'io sono felice di vedervi.» Lanciò un'altra Maledizione, mentre un cospicuo gruppo di Mangiamorte si Materializzavano intorno a Ron e Hermione. 
«Reducto!» Alle sue spalle, Ted distrusse una libreria in fiamme in pezzi e glie li scagliò tutti contro, come una grandine infuocata. L'Augurey ci fece piombare contro un getto d'acqua così potente da rimandare al mittente i detriti. Ammiccò. «Ti trovo in gran forma, Teddy. Sono così contenta che tu sia venuto a farmi compagnia! Ho tanto bisogno di stare con dei miei coetanei... Come stanno i genitori morti? Ancora morti?»
Gli occhi di Ted s'infiammarono di odio. «Dov'è Andromeda? Stupeficium!»
«Andromeda? Chi è Andromeda?» replicò l'Augurey, schivando lo Schiantesimo e fingendo enfaticamente di starci riflettendo. «Ahh, la vecchia Filobabbana?... Credo di averla già ammazzata.» Un ghigno si disegnò sulle sue labbra.
«Stupeficium duo!» gridò Ted.
«Protego!... O forse no» insinuò l'Augurey. «Chi lo sa!»
Nel frattempo Hermione e Ron si davano da fare per respingere cinque Mangiamorte ciascuno. 
«Mi chiedo una cosa» esclamò l'Augurey, senza smettere di duellare con Ted, dirigendo un raggio rosso anche verso Hermione. «Voi odiate di più mio padre o mia madre? Io cerco di tenere i conti, ma non è mica facile... Se parliamo di numeri, vince mamma. Sirius Black, Ginevra Weasley, mia cugina Ninfadora...» Finse di contarli sulle dita. «E poi c'era anche un elfo, o sbaglio?» Scosse il capo. «Però vince mio padre a mani basse... insomma, lui ha ucciso Harry.» Pronunciò il nome con un'inflessione patetica, acuta. 
«Expelliarmus!» urlò Ron. Delphi si lasciò sfuggire la bacchetta di mano e la riprese al volo, come fosse un gioco di prestigio. Poi si girò verso Ted, malevola. 
«Visto che mia madre ha ucciso Ninfadora Tonks, si creerebbe una bella simmetria se io uccidessi il piccolo Teddy» sentenziò, gli occhi che brillavano. 
«Però se non ce la fai posso pensarci ancora io, figlia» la corresse una voce che Hermione e Ron conoscevano bene. 
Bellatrix Lestrange comparve alle spalle della figlia, la chioma selvaggia sciolta sulla schiena, avvolta da un manto liquido come catrame. 
«È qui la festa?» cinguettò. Alzò la bacchetta, e così facendo evocò un demone di Ardemonio a forma di serpente, dalle fauci spalancate. Ted, Hermione e Ron evocarono dei Patronus per scacciarlo, ma non senza sfiancarsi, dovendo nel frattempo schivare gli incantesimi di tutti i Mangiamorte che avevano intorno. 
«Fico» commentò Delphi. 
«Lo so» la zittì Bellatrix, algida. La battaglia infuriava. 
«Artis Tempurus!» scagliò Hermione, creando un enorme vortice di fuoco con cui si sbarazzò di altri tre Mangiamorte alle loro calcagna. 
«Avete ottenuto quello che volevate, noi siamo qui» gridò Ted con disperazione. «Adesso liberate mia nonna! Lei non vi serve più. Non c'entra nulla, siamo noi i vostri avversari!»
«Non c'entra nulla?» ripetè Bellatrix, stridente. «Tutti i Traditori di Sangue sono responsabili del danno che infliggono al mondo magico, ibrido moccioso. Mia sorella merita la peggiore delle morti per la vergogna di cui ha ricoperto i Black, dando origine al grottesco errore di cui tu sei la conseguenza! Crucio!»
«Expelliarmus! Mia madre era una grande strega e sono orgoglioso che abbia dato la vita insieme a mio padre per combattere mostri come voi» ansimò Teddy, affaticato.
«Sei un Nemico dello Stato e del nostro signore Lord Voldemort, in più un miscuglio tra un lupo rognoso e una Mezzababbana, e osi dare a me del mostro?» s'infervorò l'Augurey, colta dal disgusto. «Sectumsempra!»
Un gran taglio s'aprì sulla spalla di Ted, schizzando abbondantemente sangue. Quella vista ebbe l'effetto di spronare Hermione per un nuovo assalto, più vigoroso. «Incarceramus!» 
Delphi si ritrovò vincolata tra tralicci magici, neri e soffocanti, al petto e alla gola, che le serrarono le braccia al busto e rischiarono di farle cadere la bacchetta. 
«Diffindo» pronunciò Bellatrix il controincantesimo, non noncuranza, liberandola. L'Augurey le rivolse un'occhiata di ironica sorpresa.
«Mamma! Stai per caso imboccando una strada di espiazione per diventare finalmente una buona madre?» 
«Il mio cuore trabocca di amore materno» garantì Bellatrix, ghignando. «Non è in battaglia che cadrai, dolce Delphi.» La sua voce suonava un po' come una minaccia. «Incendio!» urlò poi rivolta a Ted, che, già ferito, combatteva con difficoltà.
«Aguamenti!» rispose rapidamente Hermione, spegnendo il raggio di fuoco che era stato lanciato contro il ragazzo.
«Crucio!» strillò Bellatrix, euforica, colpendola in pieno. Hermione cadde in ginocchio, in preda a dolori atroci, gridando a gola spiegata. Era proprio come vent'anni prima, a Malfoy Manor... Delphi tentò di approfittare della sua inabilità a reagire per scagliarle contro un Anatema che Uccide. Ron si mise in mezzo, furibondo. 
«Avada Kedavra!» sbraitò a propria volta. L'Augurey inarcò le sopracciglia, schivando la luce verde. 
«E questo cos'era? Non certo uno Schiantesimo da bravo ragazzo... Vuoi unirti alle nostre file, Weasley?»
«Non provare a toccarla» sbottò Ron. «Impedimenta!»
Delphi fu sbalzata indietro, e per via della potenza dell'Incantesimo Bellatrix con lei, liberando Hermione dalla tortura. 
«Levicorpus!» gridò Ted, e colpì un Mangiamorte in procinto di aggredirlo, che rimase sospeso in aria a testa in giù. 
L'Augurey si Materializzò ad un soffio dal suo viso, sorridendo soavemente nel vedere la sua smorfia di rancore. «Perchè tanto astio? Perchè hai scoperto che io mi sono fatta Victoire e tu no?»
Ted non razionalizzò nemmeno le parole che aveva sentito, tanto era infuriato. Dopo Andromeda, aveva avuto il coraggio di riempirsi la bocca del nome di Victoire. «Tu da Victoire devi stare lontana.» Era certo che sarebbe stato in grado di ucciderla, in caso contrario.
«Vallo a dire a lei» sussurrò Delphi. «È insaziabile. Avada Kedavra!» Ted si lanciò dietro una libreria.
«Pietrificus Totalus!» Bellatrix colpì Ron, che Hermione subito sciolse dall'Incantesimo esclamando «Finite Incantatem!», non prima che la Mangiamorte riuscisse a ferirlo con un Incanto Reducto, che, in quanto danneggiò parte del suo piede quando l'uomo era pietra, gli causò una grave emorragia una volta ritrasformato. 
«Crucio» riattaccò l'Augurey, accanendosi su uno zoppicante Ron. 
«Exulcero!» Hermione mirò alla mano destra della ragazza, quella con cui teneva la bacchetta, ustionandola; ed ebbe successo, perchè Delphi gemette di dolore e la fece cadere. 
«Basta!» Una voce tonante raggelò la biblioteca di Gaunt Manor. 
Voldemort era comparso davanti a quello che ormai era un campo di battaglia, disseminato di scaffali distrutti, libri squarciati che vomitavano pagine di pergamena e fiamme ancora accese. L'Augurey raccolse la bacchetta con la mano sinistra e si dispose alla sua destra, con obbedienza, seguita da Bellatrix, le labbra sfigurate in un ghigno trionfante. 
«Ora basta, Delphini» ripetè il Signore Oscuro, questa volta a voce sostenuta. «Una scena madre non può durare più di tre minuti.» Gli occhi rossi di Voldemort si soffermarono sulla mano ustionata della figlia. «Vulnera Sanentur» mormorò, curandola all'istante. L'Augurey si limitò a sorridere, discretamente, come se non volesse interrompere con la sua gratitudine. 
«Non è facile educare questi giovani» riprese Voldemort, rivolgendosi a Ron e Hermione, indicando con la mano prima Delphi, poi, lentamente, Ted. «Pretendono di sapere tutto loro, quando loro vent'anni fa non c'erano. Mentre noi c'eravamo, dico bene?»
Andromeda Black è morta. Dolohov l'ha appena uccisa, in questo momento pronunciò la voce di Lysander Scamander, nelle orecchie di Hermione, sebbene lui si trovasse in qualche altra area del castello. Non avete più motivo di restare. Andatevene subito.
Hermione non ebbe nemmeno il tempo di pensare a quanto sarebbe stato doloroso per Ted. Poteva pensare solo al fatto che stavano tutti e tre per morire. 
«Questa storia è finita, ma sono anni che la state prolungando, oserei dire... prosciugando, con scarsi risultati» proseguì Voldemort, accarezzando la Bacchetta di Sambuco. «Potter non poteva vantare una gran presenza catalizzante, però... perlomeno aveva un'aura, qualcosa che la gente, per una serie di fortunate coincidenze, proiettava su di lui sebbene non ci fosse.» Li osservò, con un misto di pietà e disprezzo. «Senza di lui, siete un gruppo di sprovveduti che puzzano di panico. Non siete nemmeno una bella storia da raccontare. Non siete niente.»
«Andromeda è morta, ci ritiriamo» riuscì a mormorare Hermione.
«Dimmi che hai un piano» soffiò Ron, impercettibilmente. 
«Non ho un piano» bisbigliò lei. 
«Certo, avrei potuto appellarmi alla mia inesauribile magnanimità e risparmiarvi, ma... avete fatto del male a mia figlia» concluse Voldemort, pieno di soddisfazione. «Una brutta, brutta mossa.»
Era una semplice battuta di spirito, ma a Bellatrix non piacque nemmeno un po'. 
«Harry non se n'è mai andato» buttò lì Hermione. Con la mano, cercò sotto il mantello la borsa di Mokessino che Hagrid le aveva regalato prima di partire. 
«Ah, davvero?» domandò Voldemort, cortesemente. «E in questo momento dov'è? A cena dai genitori?» Risate dei Mangiamorte. 
«A pescare con Sirius Black?» proseguì lo scherzo Bellatrix, in preda ad una ridarella abbastanza inquietante. Voldemort fece un cenno della mano per indicarle che la parentesi di ilarità era chiusa. 
«Da parte di Silente» concluse Hermione, sforzandosi di infondere sicurezza nella propria voce, spargendo a manciate ciò che Silente le aveva donato, raccomandandole, testualmente, "di scegliere con cura quale fosse il momento di necessità in cui sfruttare questa risorsa"Più necessità di così, pensò Hermione. Era una polvere dorata, che galleggiò nell'aria, tra cenere e trucioli di carta, prima di posarsi tutt'intorno. Lei non aveva idea di cosa si trattasse, o se ci fosse qualche possibilità che sarebbe stata utile. 
«Ancora lui? Veramente?» Voldemort la osservò da vicino, quando si posò sulle sue dita, con scettica perplessità. «Dovremmo sentirci intimoriti? Silente aveva una passione per i glitter, ma pare non vi sia molto utile.»
«Adesso posso ucciderli, Mio Signore?» spasimava l'Augurey, la cui militare fissità tradiva l'eccitazione di ragazzina. 
Bellatrix le lanciò un'occhiata di sbieco. «Perchè dovresti farlo tu?»
A quel punto, Hermione, Ron e Ted vennero risucchiati da una sorta di Passaporta invisibile, e la stanza dov'erano fino a un secondo prima esplose. 
Quando Ted riacquistò conoscenza, era sdraiato su un pagliericcio, in una specie di capannone. La sua spalla era stata fasciata, così come il piede di Ron, seduto al suo fianco. Lui e Hermione stavano parlando con Piton. 
«Che cosa vi è saltato in mente?» li stava rimproverando. 
«Abbassa la voce» lo pregò Hermione, credendolo ancora addormentato. «Il ragazzo ha bisogno di riposo, Andromeda è morta...»
«Certo che è morta! Pensavate di portarla via viva? Avreste dovuto considerarla morta nel momento stesso in cui è stata rapita!» sbottò Piton. «Lily e Harry Potter non sono morti affinchè voi sprecaste la nostra unica speranza di sconfiggere l'Oscuro!»
Ted affondò il viso più a fondo nel cuscino su cui poggiava la testa. Voleva smettere di pensare, di esistere, voleva che tutto quello che c'era sparisse, così che la morte perdesse senso. E così ricadde nell'oblio del sonno. 

***

Scorpius, da parte sua, stava iniziando una solita giornata a Hogwarts. Aveva sentito vaghe voci su un attacco a Gaunt Manor, ma i professori non parlavano con gli alunni e le notizie dei giornali erano sempre stringate e confuse. Non era chiaro chi fosse implicato e di che entità fossero i danni. Eventi simili non erano rari. I Nemici dello Stato erano ancora numerosi, nelle retrovie. 
«Dicono siano implicati Weasley e Granger» raccontava Polly Chapman, con la sua lingua lunga. «Ma non vogliono che si sappia, perchè sono riusciti a distruggere mezzo castello.»
«Che idiozie» ribattè Scorpius. «Quelli, se varcassero la porta, sarebbero morti stecchiti. E se fossero morti, lo sapremmo.»
«Sono maghi forti» gli fece notare Polly. «Nemici dello Stato, ma forti.»
Dopo quelle discussioni nei corridoi Scorpius si stava dirigendo verso lezione di Erbologia, quando udì la voce di Piton nel ripostiglio degli ingredienti per le pozioni. 
«... non attirare l'attenzione» stava parlottando. «Sapere troppo desta sospetti. Voi non dovrete aprire in bocca in pubblico riguardo quello che è successo ieri notte, chiaro?»
Ieri notte? Si riferiva all'attacco a Gaunt Manor? Scorpius si mise in ascolto, cautamente.
«Io non me ne vado di qui finchè lei non ci dirà come stanno zio Ron, Hermione e Teddy» sibilò una voce femminile -una Weasley... quella che giocava a Quidditch.
Allora era vero! Era tutto vero! Ma perchè lo chiedevano a Piton?!
«Tuo zio sta bene, così come la Granger e il figlio di Lupin» si affrettò a rivelare il professore, a denti stretti. «Si trovano in un nuovo nascondiglio. L'unica persona ad averci rimesso la pelle è Andromeda Black. Adesso potete smetterla di ostentare questa ridicola petulanza e ascoltarmi?»
«Teddy sarà sconvolto» sospirò l'altra Weasley -Dominique. 
«Ci sarà più tensione del solito al castello, l'Oscuro Signore è adirato e per giunta la prossima settimana si terrà il Giorno di Voldemort, ragion per cui-»
Piton aprì di scatto la porta, e Scorpius, incrociando i suoi occhi neri, capì di essere nei guai. Era appena stato testimone di un'ammissione di ostilità verso lo Stato, da parte di un Mangiamorte ritenuto fedele, tra l'altro. Dominique e Roxanne lo fissarono a loro volta, spaurite. 
«Andatevene, ci penso io» ordinò Piton, scacciandole con un segno. Non sembrava preoccupato, solo un po' infastidito, come se fosse stato Scorpius a infrangere qualche regola. Loro obbedirono, senza smettere di guardarlo. 
Scorpius si chiese cosa ne sarebbe stato di lui. Gli avrebbe modificato la memoria? lo avrebbe minacciato? gli avrebbe scagliato la Maledizione Imperius? 
«Seguimi» impose, laconico. Scorpius non potè fare a meno di fare quello che era abituato da quattro anni quando sentiva i suoi comandi: obbedire. Era tutto assurdo, lui era un traditore, ma... lo faceva sentire come se ci si potesse comunque fidare. Era conteso tra il desiderio di proporgli di fingere di non aver sentito nulla, e risparmiargli una condanna a morte certa -non riusciva davvero a concepire di essere la causa della morte del suo professore di Pozioni- e la consapevolezza di quanto fosse importante quell'informazione, e quanto fosse necessario fornirla a suo padre e a Delphi, pena la messa in pericolo del mondo in cui abitava -avrebbe ottenuto delle ricompense per questo, probabilmente... 
Piton lo condusse in quello che era il vecchio ufficio di Silente. La Umbridge non l'aveva utilizzato come proprio, bensì aveva scelto un'altra stanza per sè e quella lì l'aveva semplicemente sbarrata. Piton vi penetrò senza difficoltà, come fosse un'azione abituale. Scorpius si aspettava di trovarlo in pessime condizioni perchè disabitato, invece tutti i vetri erano lucidi e tutti gli oggetti magici tenuti in ordine. L'unica cosa deserta era il trespolo di un qualche uccello magico che doveva aver vissuto lì. Doveva ammettere che era bellissimo.
In un angolo si trovava un bacile di pietra, simile ad un pozzo, in cui vorticava un liquido argenteo. Piton ci svuotò dentro il contenuto di una boccetta, simile a quella usata per conservare un profumo. «Ti mostrerò qualcosa. Dopo, deciderai da solo cos'è meglio fare» fu l'unica spiegazione che fornì. Scorpius era sempre più smarrito.
Piton si sporse nel bacile di pietra fino a che, inspiegabilmente, vi fu risucchiato. Esitante, Scorpius lo imitò.
Ora si trovava in un nuovo spazio, come in un sogno. L'ambientazione intorno a lui era quella di Hogwarts... ma era diversa dalla scuola che Scorpius conosceva. I muri sembravano scuriti. Gli studenti non passeggiavano tranquilli, ma marciavano a passo marziale. Le loro divise erano tutte completamente identiche, fornite di un unico stemma: quello di Serperverde. Una quarantina di studenti sfilarono in ordine, ma non c'era un solo Grifondoro, Corvonero o Tassorosso. 
«Quello che stai contemplando è un assaggio della Hogwarts del futuro, tra vent'anni» illustrò Piton, al suo fianco, imperturbabile. Loro due erano come degli spettatori: osservavano, ma non potevano essere visti nè interferire con la visione. Solo vent'anni? pensò Scorpius. Ne sembrano passati molti di più. «I Mezzosangue non sono più ammessi a Hogwarts. Non sono più ammessi in generale, in realtà. Ci sono state delle epurazioni di massa. Quasi nessuno dei tuoi compagni di scuola è più in vita. Solo uno studente su dieci non aveva alcun Babbano nell'albero genealogico.»
Scorpius si chiese come fosse possibile. I Purosangue erano l'aristocrazia del mondo magico attuale, ma proprio perchè erano in pochi. Se il popolo era stato annientato, a quanto ammontavano le famiglie di maghi esistenti? 
Una Umbridge molto anziana passò per il corridoio, con alle spalle una specie di scorta di maghi in uniforme, e al suo fianco c'era una strega che Scorpius non conosceva: molto giovane, ma non una studentessa. Portava gli abiti di piume nere dell'Augurey, eppure non era Delphi. Aveva i capelli estremamente aderenti al capo, una lunga treccia mora e occhi piccoli, stretti, con un bagliore corniola. Una volta raggiunta la fenditura di una finestra, sautò la preside freddamente, con un cenno del capo, e si trasformò in un Augurey -era un Animagus. Poi volò via.
«Chi è quella? Dov'è Delphi?» domandò Scorpius. 
«È il Secondo Augurey. La prima è morta, come la maggioranza di noi» rispose Piton, imperscrutabile, come se stesse dando informazioni di scarso rilievo anzichè predire il futuro. «Con i poteri che il Signore Oscuro ha ora acquisito, è impossibile nascondergli qualunque pensiero. Non esiste più Occlumanzia che possa proteggere le nostre menti. La famiglia Weasley è stata sterminata in tutti i suoi rami. Hermione Granger è morta. Io sono morto, naturalmente» aggiunse, come se fosse di secondaria importanza, «e anche tuo padre. Il Signore Oscuro ha rilevato traccia di pensieri ostili al regime nella sua testa. Lo stesso vale per tua nonna Narcissa. La ribellione si nasconde nei crani più impensabili.» Quest'ultima frase fu pronunciata con sarcasmo.
Scorpius percepì un conato di nausea. Delphi morta, suo padre morto, sua nonna morta... uccisi da Voldemort? Il mago che avevano contribuito a far salire al potere?
«Io non capisco» mormorò, osservando quella specie di tugurio a cui Hogwarts era stata ridotta. «Perchè? Perchè questo... peggioramento?»
«Questo peggioramento, come lo definisci tu, è la logica prosecuzione di ogni norma e principio a cui tutti voi avete già aderito nel presente, come se non capiste a cosa potrebbero condurre» dichiarò Piton, gelido. «Tuo padre si è lasciato influenzare da tuo nonno fino a piegarsi in modo passivo e rinunciatario al regime, nel timore di perdere la vita, ma tua madre non era così. Non hai avuto modo di conoscerla bene. Astoria era una donna intrepida e intelligente, che quindi il Signore Oscuro si è premurato di togliere di mezzo, nonostante fosse Purosangue. Lei non aveva alcun pregiudizio contro i Babbani e spronava tuo padre a scrollarsi di dosso i dettami della famiglia di nascita. Eppure, tu e tuo padre vi inchinate al mago che ha causato la sua morte.»
Scorpius era inebetito. «Io... non lo sapevo... Papà non mi ha mai...»
«Ti protegge, sì, come ha protetto se stesso: formandoti affinchè tu possa adeguarti al mondo perverso in cui vivi. Non vuole pensare che la cosa migliore per te possa essere cambiarlo, questo mondo. Non ha mai avuto la forza di esporsi.» Piton gli puntò ancora addosso quegli occhi neri, giudicanti. «Pensi che tua madre sarebbe fiera di voi?»
Prima che Scorpius potesse rispondere, un uomo biondo comparve nel corridoio. Il suo viso era la maschera della desolazione. Si aggrappò al vestito della Umbridge. «La prego... la prego! È solo un ragazzino... I pensieri non si controllano...»
«Esattamente» rispose la preside, melliflua. «Proprio perchè non si controllano sono così sinceri. E se sono così sinceri vanno raddrizzati.»
«Solo un bambino!» piangeva l'uomo, scosso dai singhiozzi. «Non fategli del male, fatelo a me! Prendete me!»
«Io mi limito ad attenermi alle regole, signor Malfoy. Non si fanno sconti a nessuno» concluse la Umbridge. Le sue guardie lo trascinarono via.
Scorpius si sentì schiacciato da un senso di compassione e soffocamento. «Malfoy? Quello...»
«Quello sei tu» confermò Piton. Il suo sguardo era tetro e immobile come la superficie del Lago Nero.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Voldemort Day ***


For Voldemort and Valor

Capitolo 5: Voldemort Day


Alecto Carrow l'attendeva impaziente al portone della Sala Riunioni, con un'espressione di arcigna inquietudine. Eseguì il saluto, come prevedeva l'etichetta, e chinò la testa con deferenza. «Il Signore Oscuro vi attende, Augurey. Fate attenzione. È estremamente adirato.»
«Ci penso io» ribattè Delphi, aggrottando la fronte. Il trambusto che era seguito, quando l'Oscuro Signore aveva dato segno, nel bel mezzo del corteo per il Giorno di Voldemort, di interrompere i festeggiamenti, era stato tale che lo aveva perso di vista. Lo aveva cercato a lungo, prima che le venisse detto che si era Smaterializzato di nuovo a Gaunt Manor. Le era stato riferito con titubanza ciò che suo padre aveva urlato, ma non ci poteva credere e doveva sentirlo con le sue orecchie.
Entrando Delphi stessa si rese conto di quanto dovesse essere furioso. L'aura magica che emanava era potentissima e feroce. Comprendeva la paura dei comuni Mangiamorte di rimanerne folgorati soltanto avvicinandosi. Lei lo fece, ma con precauzione. 
«Padre» tentò di chiamarlo. 
Lord Voldemort era assiso al suo scranno, Nagini attorcigliata al bracciolo che gli sussurrava qualcosa troppo piano affinchè lei potesse sentire. Il mago oscuro ricambiò il suo sguardo solo dopo diverso tempo. «L'ho visto» sibilò, e la sua voce era talmente imbevuta di furia che Delphi avvertì una fitta dolorosa nelle ossa. «Harry Potter.»
Delphi contenne a fatica l'incredulità. «Harry Potter a Godric's Hollow durante la parata per festeggiare la sua morte?»
«Precisamente. Un'ottima occasione per un ritorno in grande stile, non ti pare?» Il sarcasmo non trovava corrispondenza nel terrore rabbioso di cui il suo sguardo lampeggiava.
«Non c'è bisogno di saltare subito a queste conclusioni, Mio Signore... Non è che magari si trattava di qualche fanatico che si era Trasfigurato per assomigliargli? O che, per qualche coincidenza, gli assomiglia davvero?» provò a giustificare i fatti Delphi.
«Era lui, non era qualcuno che gli assomigliava o che voleva assomigliargli, era lui» sbottò il Signore Oscuro, fulminandola con lo sguardo: la fitta alle ossa si ripresentò intensamente. «Credi che non sappia riconoscere Potter quando lo vedo?»
La figlia si morse il labbro, ansiosa di convincerlo a rilassarsi. «Visto che eravamo vicino a quella che fu la sua casa... potreste aver visto il suo fantasma?»
«Delphini.» Ora la voce di Voldemort era apertamente minatoria. «Pare quasi che tu stia insinuando che il Signore Oscuro può cadere in errore. Ma la facoltà di sbagliare non mi appartiene. Quella la lascio a te.»
Delphi fece un passo in avanti, sollevando il mento verso di lui, l'espressione quasi addolcita, la voce più morbida.
«Mio Signore... Voi avete ucciso Harry Potter diciannove anni fa» gli fece presente, con fermezza. «Chiunque fosse vivo allora può testimoniarlo, voi stesso lo ricordate bene. Vi siete accertato in tutti i modi possibili che fosse morto. Il suo cadavere è stato divorato da Nagini. Non c'è modo che sia sopravvissuto. Lo sapete anche voi, in realtà: siete solo... troppo previdente» si corresse all'ultimo, sostituendo "paranoico". 
Voldemort non era soddisfatto, anche se la sua mente stava evidentemente rielaborando le sue parole, riconoscendone la portata di verità. «Allora, visto che le tue certezze sono tanto salde, puoi spiegarmi che cosa ho visto?»
Delphi scosse il capo, torva. «Non so cosa fosse, padre. Ma di certo non era Harry Potter.»
Voldemort continuava ad accarezzare Nagini, nervosamente. «La Sanguesporco ha detto "Harry non se n'è mai andato".»
«Credo che le sue parole andassero interpretate in senso puramente metaforico» obiettò Delphi. «Voleva dire che non intendono arrendersi e-»
«E se così non fosse?» la interruppe il padre. «È una strana coincidenza che dopo che le ha dette io abbia visto Harry Potter, o no?»
Secondo Delphi non era nemmeno una coincidenza così strana. La prima era una frase fatta prevedibile, la seconda un ovvio abbaglio. Però non poteva dirlo ad alta voce. 
«Come potrebbe essere vivo?» decise quindi di intraprendere questo ragionamento. «E se avesse scampato la morte, in qualche astruso modo, perchè farsi avanti ora e non prima?»
Voldemort non rispose. Nagini si stava lentamente attorcigliando al suo collo. «Abbiamo due veggenti a Gaunt Manor» replicò invece. «È giunto il momento di sfruttarli.»
I gemelli Scamander non poterono rispondere a nessuna domanda. Appena furono chiamati e sedettero al tavolo circolare, qualcosa di portentoso accadde. I tarocchi si animarono di vita propria, sfuggendo dal sacchetto di velluto. Alcune carte in particolare si librarono in aria, disponendosi in un preciso ordine. Per la prima volta da quando Delphi li aveva incontrati, espressero un'emozione: sbalordimento, chiaro e enorme stupore. Fissarono ad occhi sgranati le carte distinte dalle altre abbassarsi lentamente, il dorso rivolto verso Voldemort e le facce verso di loro, affinchè le leggessero. 
Pronunciarono il verdetto all'unisono, come una formula rituale. 
 
Quando la linfa dei tre rami neri si sarà ricongiunta, quando tre tradimenti saranno compiuti, il sangue del Prescelto causerà la sconfitta del Signore Oscuro. 
 
Poi tacquero, a testa china, come svuotati di ogni energia.
Voldemort non reagì. Delphi provò un terrore viscerale. Il sangue del Prescelto causerà la sconfitta del Signore Oscuro. Era l'incubo che aveva tormentato suo padre, lei pensava senza fondamento: e invece il passato aveva bussato alla porta. Era tutto vero. Hermione Granger aveva parlato letteralmente quando diceva che Potter non se n'era andato, il Signore Oscuro l'aveva davvero visto a Godric's Hollow, e una nuova profezia annunciava la sua vittoria.
«Che significa?» protestò, sperando in modo del tutto irragionevole che se ne potesse cavare qualche differente lettura, interpretazione, quando invece era tutto molto trasparente e univoco.
«Gli Spiriti non forniscono informazioni sulle loro profezie» si limitò a dire Lorcan, ancora scosso. «Non possono interpretarle al posto di chi le ascolta.»
Il Signore Oscuro, senza una parola, si Smaterializzò. Delphi fece per seguirlo. Bellatrix, che era entrata quando aveva portato i gemelli, la fermò stringendole il braccio.
«Non ora» si limitò a dire. Delphi, il cuore in gola, obbedì.

***

Un paragonabile sconvolgimento regnava nel rifugio temporaneo dei ribelli, in una campagna nei pressi di Bristol. Nell'udire la profezia enunciata dai gemelli, diverse erano state le reazioni: Ted, che dalla morte di Andromeda la settimana precedente si era chiuso in un silenzio assoluto, aveva ripreso a parlare, chiedendo: «Non stanno seguendo un vostro piano...?»
Hermione, del tutto sconcertata, riuscì solo a scuotere la testa. «... potrebbe essere stata una loro presa d'iniziativa, ma... C'è qualcosa che non torna. La profezia sembra proprio vera. Tutto quello che hanno detto sui rami neri...»
«Il sangue del Prescelto!» saltò su Ron, in preda ad una improvvisa esaltazione. Scoppiò a ridere sotto gli occhi turbati degli altri. «Ma non capite?! Il Prescelto! È Harry! Stavano parlando di Harry! Harry sconfiggerà Voldemort! Quindi... può essere ancora vivo!» 
Hermione attendeva soltanto che lui desse voce apertamente a quel folle pensiero, che aveva smosso tutti loro come un fievole filo di vento, per poterlo condannare. 
«Ron, ragiona! Non perdere il senno come Voldemort» lo sgridò, con più ruvidezza di quanto sarebbe stata necessaria. «Il serpente l'ha divorato, santo cielo. Abbiamo assistito a quello spettacolo.» Voleva ferirlo proprio per sbattergli brutalmente in faccia la realtà. 
Ron non le fece presente quanto fosse impossibile dimenticarselo. «Chi te lo dice che quello fosse il suo vero cadavere?» rimbeccò. 
Hermione non disse nulla riguardo la complicatezza che un piano del genere avrebbe richiesto, e l'assurdità che, nel caso, loro non fossero stati informati. «Se Harry fosse vivo, sarebbe venuto a cercarci ad un certo punto, non ti pare?»
Ron boccheggiò per qualche istante, alla ricerca di una spiegazione sensata. «Magari non può. Magari per qualche ragione...»
«Dopo vent'anni? Aspettando che Voldemort assumesse completamente il potere e trucidasse migliaia di persone?» incalzò Hermione, scettica. «Non sembra il modo di agire di Harry. Se fosse riuscito a inscenare la propria morte, avrebbe agito immediatamente dopo.»
Ron non si diede per vinto. «Allora forse un rito di resurrezione! Lui verrà riportato in vita e sconfiggerà Voldemort!» 
Hermione lo fissò con aperta disapprovazione. «Ron, sembra che tu non abbia vissuto per quarant'anni nel mondo magico e non capisca come funziona la magia. Non esistono riti di resurrezione. Esiste al massimo la Pietra della Resurrezione, che non ti riporta veramente in vita. Ci sono dei limiti...»
«Sì, ma anche la Pietra doveva essere solo una leggenda, no?» la interruppe Ron, impaziente. «Potrebbe esistere una forma di magia che non conosciamo. Magari da qualche parte del mondo, in qualche libro, esiste un vero rito di resurrezione.» 
«E chi lo conoscerebbe?» obiettò Hermione. «Chi sarebbe così potente e così affezionato a Harry da saper e voler compiere questo fantomatico rito? Se qualcuno avesse mai potuto avere l'abilità e la volontà di resuscitare Harry, avremmo potuto essere solo noi» concluse, con una nota di rimpianto. 
Ted intervenne. «Avete pensato all'eventualità che Harry abbia concepito un figlio, prima di morire?» accennò, con tatto. 
Ron saltò su, entusiasta, il bagliore di quella speranza di nuovo acceso nello sguardo. «Ehi, può darsi!»
«No, non può darsi» tagliò corto Hermione, seccamente, ma sempre con la profonda tristezza che parlare del suo amico le causava. «Harry non era il tipo di ragazzo da mettere incinte le ragazze in segreto e abbandonarle.»
«Forse non lo sapeva nemmeno lui. È morto prima di scoprirlo» propose Ron, sempre più elettrizzato dalla prospettiva, la mente già affannata in calcoli e supposizioni azzardate. 
Hermione lo fulminò con lo sguardo. «Siamo stati insieme a lui per tutta la durata dell'ultimo anno della sua vita... tu magari non sempre, Ron, ma io sempre. Posso assicurarti che non aveva il tempo di concedersi pause e andare a letto con le ragazze. Era troppo impegnato a cercare Horcrux.» 
«Chi ti ha detto che sia successo nell'ultimo anno?» la contraddisse Ron. «Magari è stato prima.»
Ora Hermione, oltre che rattristata, era ferita. «Eravamo i suoi migliori amici. A te ha mai raccontato di stare avendo una storia seria con qualcuna? A me no, e può essere comprensibile. Ma a te l'avrebbe detto. Noi non abbiamo vissuto per anni accanto a un estraneo.»
«E se se lo fosse tenuto per sè?» Ron non era in grado di fermarsi. Il filo a cui era aggrappato era sempre più sottile, ma non intendeva mollarlo. Hermione sapeva che immagine si stava formando nella sua mente: un piccolo Harry, qualcuno che gli assomigliasse, che potesse unirsi a loro e ricreare un cerchio spietatamente spezzato. Qualcuno di cui prendersi cura, così come con Harry non erano riusciti a fare. Uno sdebitamento. Qualcuno che occupasse il vuoto lasciato da un fantasma. 
Le cose non potrebbero mai tornare come prima, pensò Hermione, in nessun caso possibile.
«Tra l'altro, di che ragazza si tratterebbe? Sai che l'unica che gli piacesse era Ginny, e negli ultimi mesi della sua vita non era certo incinta.» La sua voce si incrinò nuovamente nel pensare a lei. 
Il riferimento a sua sorella era stato il colpo di grazia per Ron. Sedeva con la testa tra le mani, stordito, smarrito. 
«Ma anche il fatto che tu l'abbia detto, che Harry non se n'è andato...» La sua voce era debole. Lui era debole. 
«Noi stavamo bluffando, Ron» esclamò Hermione, esasperata. «Harry se n'è andato. E non ha mai avuto figli. Fine della storia.»
Si rese conto di aver mandato sotto le scarpe il morale sia a Ron che a Ted. L'idea di un salvatore in arrivo era certo rincuorante. Mise le mani sulle spalle del fidanzato, costringendolo a guardarla negli occhi. «Non dobbiamo cullarci nell'illusione di credere qualcosa soltanto perchè la desideriamo» mormorò, carezzandogli delicatamente una guancia. «Sarebbe doloroso per noi e controproducente per le nostre strategie. Dobbiamo rimanere lucidi. Manca anche a me, cosa credi? Anche io vorrei che fosse ancora vivo, che potessimo riportarlo in vita o che avesse lasciato un bambino tra noi, Ron, credimi, lo vorrei tanto. Ma non è possibile. Harry è morto.» La sua voce ridotta a un sussurro si fece commossa.
Ron tratteneva a fatica le lacrime. Doveva aggrottare tutto il viso per non lasciarle scappare. «Non è vero che Harry se n'è andato, Hermione» bonfonchiò, impacciato. Una lacrima riuscì a sfuggirgli dalle ciglia. Hermione la raccolse con l'indice, sforzandosi di non piangere. 
«No, hai ragione. Lui è con noi. Non c'è bisogno di resurrezioni o di figli per averlo vicino.»
Calò un silenzio non privo di imbarazzo per Ted, che si trovava in mezzo ad un momento di intimità a cui non poteva partecipare. 
«Forse... Harry aveva qualche parente ancora in vita di cui non sapeva nulla?» tentò di nuovo. «Non un figlio, ma un cugino, uno zio? Da parte di padre.»
«Niente del genere, non in vita, non ufficialmente» rispose Hermione, confusa. «Però non lo si può escludere del tutto.» Dopo un'altra lunga pausa, provò a ripetere la profezia, per farsi venire qualche idea. «Il sangue del Prescelto causerà la sconfitta del Signore Oscuro... Magari in fondo il Prescelto non è Harry.»
«Il Prescelto non è Harry!» ripetè Ron, in tono di scherno, quasi offeso. «Certo che è Harry, chi dovrebbe essere? Sarà anche morto, ma è ancora il Prescelto!» Era quasi buffo che ne facesse una questione d'onore, secondo Ted, ma si guardò bene dal dirlo. 
«Forse ce n'è uno nuovo» alzò le spalle Hermione, senza insistere troppo, notando il modo in cui Ron si era scaldato.
«Il Prescelto può essere solo Harry» ribadì, truce. Non se ne parlò più.
«Comunque, Harry o non Harry, dobbiamo portare avanti il bluff» decise Hermione, cominciando a camminare avanti e indietro. «Voldemort sembra temerlo più di ogni cosa al mondo. Basta che il suo nome si sparga un po' intorno di nuovo per farlo tremare. La sola idea di Harry gli ricorda che lui è ancora mortale e non invincibile. Un Voldemort spaventato per noi è meglio di un Voldemort consapevole. Continuiamo a farlo vivere nel terrore. Commetterà delle imprudenze, e noi saremo pronti ad approfittarne.»
«Sì, però, Hermione,» ritornò sulla questione Ron, «non puoi negare che questa profezia sia giunta in uno strano momento. Cioè, sembra tutto collegato. Casca troppo a fagiolo. Tu che dici che Harry non se n'è andato, Teddy a Godric's Gollow nelle sue sembianze, e poi questa profezia che sembra confermare ciò che volevamo far credere a Voldemort. Avrebbe tutto il senso del mondo il fatto che ce la fossimo inventata. Questa coincidenza mi sembra troppo, improbabile, ecco.»
«Ripeto, dubito che i gemelli abbiano agito senza consultarmi» riflettè Hermione, concentrata. «Per com'è stata formulata, la profezia era troppo convincente per essere stata arrangiata sul momento, improvvisando. Se fosse stato un piano predisposto in anticipo, l'avrei saputo. Non resta che pensare che la profezia sia vera... I loro poteri divinatori sono reali, dopotutto.»
Hermione si impegnò dunque a studiare la profezia, nel corso dei loro numerosi spostamenti da un covo all'altro. Ted, ormai superato il momento di difficoltà che lo aveva spinto ad allontanarsi da loro, si decise a chiedere consiglio. 
«Quando stavamo combattendo con l'Augurey, nella biblioteca di Gaunt Manor,» si aprì con Hermione, titubante, «mi ha detto... mi ha parlato di Victoire. L'ha esplicitamente nominata. Ho motivo di credere che... abbia tentato di avvicinarsi a lei.»
Hermione si fece seria, sapendo quando Ted fosse legato a lei. Il pensiero che un'altra persona a cui voleva bene potesse essere in pericolo doveva devastarlo. «Per quale ragione? Interrogarla?»
«No, io... penso che sia qualcosa di più personale» rivelò Ted, senza entrare nel merito della questione e precisare esattamente cosa l'Augurey gli avesse detto. Immaginare Victoire tra le braccia di quella donna...
Hermione ragionò su cosa fare per aiutare Ted. «Potrei cercare un modo privo di rischi per metterti in contatto con Hogwarts. Magari parlandoci puoi rassicurarti che l'Augurey non abbia giocato con il suo cervello.»
Ted lo sperava, anche se ormai non riusciva più a chiudere gli occhi senza vedere i loro corpi avvinti in un unico abbraccio, piume nere impigliate ai lunghi capelli dorati di Victoire -la conseguenza dei suoi errori. Se l'Augurey era riuscita a penetrare le sue resistenze, era soltanto colpa sua. 

***

«Non mi sono mai sentita come se, sai... Come se fosse il mio posto. A casa. E anche gli altri hanno questa sensazione, lo so. Come a dire... "ma cosa ci fai tu qui?" Non ci capiamo. Hanno cercato di indirizzarmi, ma hanno sempre fallito. Tante volte ho anche pensato di essere stata adottata, pensa un po'» ridacchiò Victoire, mestamente. «Loro vivono tutti nel passato. Trascorrere la vita con dei reduci di guerra è come... Ti senti sempre in colpa a goderti qualcosa. È come se ti costringessero involontariamente a essere triste anche tu, perchè lo sono loro.» Fece una smorfia buffa. «Potresti almeno fingere di ascoltarmi? Sto parlando di cose serie!»
«Ti ascolto, ti ascolto.» Delphi stava giocherellando e disegnando il contorno traslucido delle sue areole. Aveva una golosa predilezione per i suoi seni, a goccia, levigati sfericamente nella parte inferiore ma con i capezzoli all'insù, delicati e fieri. La sua bellezza era incontaminata e maestosa, immota come quella del marmo. Gli occhi distanziati la facevano assomigliare ancora di più ad una creatura di favola, una bella aliena. «La tua famiglia è diversa da te, pretende delle cose, beh, non c'è niente di strano. Ogni genitore fa un figlio dando per scontato che sarà una continuazione di sè, no? Anche se non lo ammette. È normale che poi ci restano di merda.» Accolse il seno rosa cipria nel palmo della mano, palpandolo accuratamente. 
Dal basso del guanciale, in cui la testa era sprofondata, Victoire la fissava negli occhi. «A te non è mai successo? Di provare queste sensazioni. Non hai mai voluto un'altra vita? Cioè, sei un caso molto speciale, però... Uccidere le persone... dev'essere pesante. Se non volessi farlo, potresti rifiutarti?»
«Io uccido solo i nemici di mio padre» obiettò Delphi, eludendo la domanda. «Per il resto, beh, mi piace avere un posto su misura per me nel mondo, essere l'Augurey. Mi fa sentire utile e importante.» Sorrise, canzonatoria. «Però se conoscessi mia madre ridimensioneresti la tua situazione. Quand'ero piccola mi chiedevo com'era che mio cugino Scorpius ne avesse una che lo adorava e io una che mi odiava. Poi ho capito che le cose stanno così. Avere una carica attira odio. Casa mia è un nido politico di vipere, non il rifugio di una famigliola felice. Mia madre non è una vera madre, è stata un'incubatrice per me. Sono nata per uno scopo, questo scopo cozza con gli interessi di Bellatrix, è tutto molto chiaro. Non c'è bisogno di farne un dramma. Io non ho mai avuto una madre, Scorpius ha perso la sua, sono ingiustizie ma accadono continuamente.» Si rese conto di aver intristito Victoire. «Riesco anche a evadere, quando ne ho bisogno.»
«Come stai facendo adesso?» scherzò lei.
«Esatto.» Le labbra turgide, color pesca, avvolsero le sue, morbidamente. Delphi le fu sopra, placidamente. «Ho visto delle foto. Eri così bella al corteo... Quel vestito...»
«Quale, questo?» Senza bisogno della bacchetta, rigirò il polso e improvvisamente il suo corpo nudo fu rivestito da un abito aderente come una seconda pelle squamata, da serpente, verde cinabro, con uno scollo a v dilatato come una ferita. Disegnava il profilo del suo corpo fino alle ginocchia, dove terminava in una gonna scampanata. 
Victoire rimase senza fiato. «Cavolo, sì...» Passò una mano sulla sua schiena nuda, poi sul suo fianco scivoloso, saggiando il tessuto con ammirazione. 
«L'incantesimo per il cambio d'abito è l'unico che ho imparato di mia propria iniziativa. Non vivo più senza» rivelò Delphi, gongolante. «E che ne dici di... questo?» Rigirò di nuovo il polso, e Victoire, anche lei nuda, si ritrovò indosso un vestito a sirena ricoperto di paillettes luccicanti argentate. La luce creava un effetto devastante su di lei. Era una fata. Sembrava un'apparizione di vapore. 
Dopo essersi baciate per un po', Victoire osò parlare, arrossendo.  «Delphi, posso chiederti una cosa?»
«Sì?» la invitò, senza smettere di percorrerle il collo con la bocca. 
«È vero quello che dicono?»
La voce si era diffusa soprattutto per via degli insoliti controlli che i Mangiamorte stavano effettuando a scuola, cosa che aveva spinto gli studenti a farsi delle domande. Da quando in qua si dava la caccia ai nascondigli di Hogwarts, che fino a quel momento non avevano attirato l'interesse di nessuno? Perchè fare esami al sangue degli studenti? 
Ora Delphi cominciò a mettersi in allerta. «Cosa dicono?»
«Che Harry Potter è tornato» concluse Victoire, incerta. 
Delphi inarcò le sopracciglia, distaccandosi da ciò che stava facendo. 
«Che sciocchezze. Harry Potter è morto.» Però ormai l'atmosfera era rovinata, e la sua apprensione lasciava trapelare tutt'altro. 
Victoire era sempre più in difficoltà. «Però tuo padre ha visto...»
«Mio padre è impazzito» liquidò Delphi, stizzita.
«Impazzito?...»
Sospirò e si mise a sedere, a gambe incrociate. «Harry Potter è la sua ossessione. Sempre stata. Sembra quasi che lo tenga in vita, l'idea che Harry Potter possa tornare a portargli via tutto e sconvolgergli i piani. Il suo rivale è la sua ragione di vita. Assurdo, eh?» Fece una smorfia beffarda. «Eppure è vero. Segretamente, gli piace l'idea di doversi battere di nuovo con lui, che la storia non sia ancora finita. Penso che la pace lo stesse annoiando. Perciò incoraggia questa fesseria che è tornato. Ma non è vero niente. Non è nemmeno verosimile. Se hai bisogno di ulteriori prove, abbiamo fatto ogni genere di incantesimi di sangue per scoprire eventuali residui di quello di Potter, nel caso in cui abbia disseminato qualche bastardo in età adolescenziale. Nessun risultato, naturalmente.»
Victoire si limitò ad annuire. Le sembrava impossibile che, dopo tutto quel tempo e la sofferenza dei suoi familiari, Harry Potter potesse semplicemente non essere mai morto. La sua morte era palpabile, era ovunque. La vita di Victoire si era annidata e formata nel buco causato dalla morte di Harry Potter. Altrimenti, quella Victoire non sarebbe mai esistita. Ce ne sarebbe stata un'altra al posto suo. 
«Tu vorresti che fosse tornato?» chiese Delphi, tra il serio e il faceto. «La tua famiglia di certo lo vorrebbe, no?»
«Sì. Io no» rispose prontamente Victoire. «Tu saresti in pericolo, altrimenti.»
Certo, sapeva bene che la caduta del Signore Oscuro avrebbe comportato la vendetta per zia Ginny e zio Fred, e che così Ron e Hermione e Teddy non sarebbero più stati fuggiaschi, però la figlia di Voldemort non era la persona più indicata a cui confidare i suoi afflati sentimentali verso i parenti. 
Le labbra di Delphi si arcuarono, scaltre. «Come sei dolce, Victoire. La ragazza più dolce che io abbia mai conosciuto.» Fece scorrere un polpastrello sul suo mento. «Un bignè.»
Il viso di lei si offuscò. «Non tutti sarebbero d'accordo. Mia sorella mi ha detto che le faccio schifo.»
Il dito continuò ad accarezzarla, come sotto il mento di un gatto. «Tanto piacerle non ti interessa, o sbaglio?» 
Victoire non rispose. Sembrava assorta in qualche pensiero. 
«Io non sono veramente buona e tu non sei veramente cattiva» se ne uscì qualche momento dopo, quando erano di nuovo sdraiate e di nuovo senza vestiti. «Come funziona? Siamo buone o siamo cattive? Da che parte stiamo?»
Delphi aveva una risposta perfetta. «La nostra» si limitò a dire. 
Beaumont beccò con forza sulle sbarre della gabbia, per indicare che era d'accordo. 

***

«Pensi che sia davvero possibile?» bisbigliò Roxanne.
Dominique le fece un gesto eloquente, come dire: non qui. La biblioteca di Hogwarts era quasi deserta, essendo sera tarda, però ancora qualche ritardatario si affaccendava a finire di scrivere un compito o trovare un libro. Ovviamente l'argomento della conversazione era il ritorno di Harry Potter.
«Oh, su, avanti, ne stanno parlando tutti» esclamò Roxanne, attirando l'attenzione di un paio di studenti Tassorosso che studiavano accanto a loro e che intimarono di abbassare la voce. Lei tacque per una ventina di secondi, poi si accostò di più al viso della cugina. «Se stanno facendo questi controlli ci sarà una ragione!»
«Però è un po' assurdo, non ti pare?» criticò Dominique. Abbassò ancora la voce: «Almeno... i nostri amici dovrebbero saperlo, se così fosse.»
«Se la cosa doveva rimanere un segreto-»
«Weasley. Posso parlarvi?» La voce di Scorpius Malfoy interruppe la loro conversazione. Era in piedi alle loro spalle, impettito nella sua divisa dei Serpeverde. Il suo volto era teso, ma non appariva sprezzante nè minaccioso. 
Roxanne e Dominique rimasero in guardia, fissandolo con sospetto. Sapevano che aveva sentito tutto riguardo il loro coinvolgimento sulla copertura di Piton e i contatti con i ribelli. Avrebbe potuto rovinarle: nessuna delle due avrebbe resistito ad una approfondita lettura della mente. 
«Cosa vuoi, Malfoy?» chiese Roxanne, brusca.
«Non qui» ribattè lui, lanciando occhiate circospette agli altri studenti in biblioteca. Fece loro segno di seguirlo, e Dominique e Roxanne infilarono il loro materiale nelle borse, anche se ancora un po' guardinghe. «So di un posto dove non saremo disturbati» aggiunse Scorpius, non appena furono fuori dalla biblioteca. Le fece salire fino al settimo piano, dove comparve dal nulla una porta sul muro di fronte all'arazzo di Barnaba il Babbeo. All'interno, la stanza presentava ogni Incantesimo di Insonorizzazione: ciò di cui avevano bisogno al momento, effettivamente. 
Roxanne piantò le mani sui fianchi, imperiosa. «Se speri di ricattarci...»
«Perchè dovete mettermi in testa intenzioni che non ho?» sbuffò Scorpius. «Cosa potrei mai volere da voi? Se avessi voluto denunciarvi, lo avrei già fatto e sareste morte.»
Lo sapevano. «E allora?»
Dominique era sollevata ma perplessa. «Non hai paura di passare dei guai, se non lo fai?» Avrebbero potuto accusarlo di favoreggiamento e complicità ai ribelli. 
«Certo che ce l'ho. Da matti» ribattè Scorpius, guardandosi ancora intorno, nonostante fossero chiusi in una stanza da soli. «Ma non posso farlo.»
«Perchè?» indagò Roxanne, prima di schiantarsi una mano sulla fronte. «Oh, mannaggia... non dirmi che sei innamorato di Dominique!»
Scorpius arrossì. «Non dite sciocchezze. La verità è che...» Esitò, perchè per lui stesso era assurdo pronunciarlo ad alta voce, ma fece uno sforzo. «Voldemort non può restare al potere.»
Roxanne e Dominique non erano certo pronte a qualcosa di così radicale. 
«Cosa hai detto?»
«Come puoi pensare una cosa simile?» insistette Dominique. «Tu sei imparentato con lui, praticamente: sei il cugino dell'Augurey...»
«... che morirà, se suo padre non viene sconfitto» completò Scorpius, cupo. 
Il che, pensò Dominique, non sarebbe nemmeno una così cattiva notizia, ma non osò esternarlo. «Come fai a dirlo?»
«Piton mi ha mostrato il futuro di questo mondo tra vent'anni» spiegò lui. «Non era un bello spettacolo. Una carneficina di studenti, mio padre giustiziato... Era folle.»
«Finalmente ve ne siete resi conto» commentò acidamente Roxanne, che trovava un po' egoista il fatto che tutto questo fosse stato realizzato quando il suo stesso padre era stato in pericolo e non quando lo erano quelli degli altri. 
«Beh, allora dovresti dirlo all'Augurey, no?» propose Dominique. «Scoprire di dover morire non le piacerebbe granchè. Forse così si rivolterà contro il padre.»
Ma Scorpius scosse il capo. «Non la conosci. La sua lealtà è il centro della sua vita. Ha sempre detto di essere disposta a sacrificarsi. Non volterà gabbana così facilmente.»
«Un conto è dirlo, un conto è farlo, no?» ironizzò Roxanne. 
«Ma io sono venuto a parlarvi di una cosa» riattirò Scorpius la loro attenzione. «In quella visione c'era un'altra strega al posto di Delphi, nel ruolo dell'Augurey, cioè, era vestita come lei, faceva un po' le stesse cose... Lei... aveva circa la stessa età che ha lei adesso. Questo significa che è nata da poco o tra poco nascerà.» La sua espressione si fece determinata. «Credo che dovremmo capire chi è. Voglio dire, rischia di causare un po' di problemi, in futuro, no? Va tenuta d'occhio.» 
«E come facciamo, secondo te? Non sappiamo chi sia!» espresse le sue perplessità Roxanne.
«Pensavo aveste qualche idea di chi possa essere!» ribattè Scorpius.
«E perchè dovremmo?» rimbeccò Dominique. 
«Avete accesso alle informazioni dei ribelli, no?»
«Una strega che Voldemort sceglierebbe come Augurey non sarebbe di certo la figlia di qualcuno ricollegabile ai ribelli!» si scaldò Roxanne. «Piuttosto, dalle parti di voi Mangiamorte non ci sono signore in dolce attesa?» commentò sarcasticamente.
«Roxanne, non provocarlo» la rimproverò Dominique, posandole una mano sul gomito. «Ha fatto la scelta giusta. Dobbiamo essere civili gli uni con gli altri.» Si voltò poi verso Scorpius. «Non c'è nessuna possibilità che Bellatrix sia di nuovo incinta, e quella fosse la sorella di Delphi?»
«Lo trovo molto, molto difficile, quasi impossibile» rispose, alzando le sopracciglia. «La prozia è abbastanza vecchia.»
I tre ragazzini rimasero ancora un po' a pensare, e c'era un po' di fatale ironia nel fatto che un trio di alleati si fosse ricomposto, tanti anni dopo, a seguito di quello che aveva tentato di salvare il mondo magico. 
Roxanne sgranò improvvisamente gli occhi. «E se invece...?»
«Cosa?» la spronò Dominique. 
La cugina le restituì uno sguardo d'illuminazione, «E se invece fosse la figlia?»
«Te l'ho detto, è troppo vecchia per avere figli ormai!» ripetè Scorpius, sbrigativo. 
«Non di Bellatrix» lo contraddisse Roxanne, seria. «Dell'Augurey.»

***

«... tutti i maghi che Potter era solito frequentare, anche i pentiti, tra cui Seamus Finnigan, Dean Thomas e Calì Patil, sono stati sorpresi nelle loro abitazioni e uccisi. Le case sono state perquisite da cima a fondo. Nessuna traccia di Potter.» Delphi si trattenne dall'aggiungere "ovviamente".
Voldemort era addentrato in una fitta rete di ragionamento. «Stiamo percorrendo la strada sbagliata. Non metterebbe i suoi amici in pericolo annidandosi in casa loro... No, Potter ragiona in modo diverso.» Fece una pausa. «La casa di Silente. A Mould-on-the-Wold. È stata controllata?»
Delphi trattenne un verso di esasperazione. «Mio Signore, se posso permettermi, non-»
«Non costerà nulla un piccolo controllo, giusto?» l'anticipò Voldemort. La mano tormentava l'ampia manica del mantello. Era da tempo che non aveva pace, dal Giorno di Voldemort e la profezia. 
«No, Mio Signore» cedette Delphi. «Ora, se volete scusarmi-»
Prima che potesse voltarsi, Voldemort la fermò con un gesto. «Resta. Ho altro di cui parlarti.»
La figlia sbattè le palpebre. Era piena di lavoro, per colpa delle sue paturnie, e sperava che si sarebbe sbrigato, per poter raggiungere Victoire ad un orario decente. «Vi ascolto.»
«Hai sempre saputo che il tuo destino sarebbe stato di unirti ad un altro Mago Purosangue, così da mantenere viva la genealogia Gaunt e mettere al mondo un erede che diventi il mio fedele servitore, così come lo sei tu» esordì il Signore Oscuro, altezzosamente.
Delphi sentì un nodo allo stomaco. Era un pessimo inizio. «Sì.» Finora, aveva sempre vissuto nella lieta speranza che questo sarebbe successo dopo, dopo, sempre dopo. Come poteva pensare di affrontare anche questo, ora?!
«Sei anche consapevole del fatto che la minaccia incombente di Potter pone un'urgenza che prima non c'era, ovvero quella di moltiplicare i portatori del nostro sangue il più in fretta possibile... Per qualsiasi eventualità.»
Questo era meno ovvio, secondo Delphi.
«Non starete considerando la possibilità di essere sconfitto, Signore» obiettò rigidamente.
Voldemort fece una smorfia. «Io non considero alcuna possibilità. Io faccio riferimento ad una profezia che parla chiaro. Il tempo delle possibilità è finito.»
Delphi percepì la terra aprirsi sotto i suoi piedi. Sposarsi? Con qualche Mangiamorte di quelli che conosceva da una vita, o i loro figli? La sola idea le faceva rivoltare lo stomaco. Non c'era un solo uomo sulla faccia della Terra che avrebbe potuto trovare attraente. 
«A chi sarò data, quindi?» si sforzò di andare avanti, ingoiando l'indignazione. Era sempre in tempo per eliminarli prima che potessero sposarla. 
«All'unico mago il cui livello si possa paragonare al mio, di modo che meriti di avere accesso all'onore di mischiare il suo sangue a quello di mia figlia» rispose Voldemort, con evidente compiacimento nel vederla smarrita.
«Nessuno lo è» constatò Delphi, confusa.
«Hai ragione» approvò Voldemort. «Per questo sarò io.»
L'implicazione di quelle parole ci mise qualche istante a prendere forma nella mente di Delphi. 
«Voi?» prese tempo, impaurita ma dissimulando ogni emozione, sperando che il suo stato d'animo non fosse leggibile.
«In che modo la linea di sangue dei Gaunt, e quindi di Salazar Serpeverde, può essere preservata più pura, se non così?» la fece riflettere il padre, senza scomporsi. «Mi sei così utile e fedele, figlia, che è legittimo da parte mia desiderare un'altra alleata dello stesso calibro -una femmina, naturalmente. Tu sei stata all'altezza delle aspettative, se non superiore, ma non per merito tuo, se permetti. L'unico modo per avere garanzie sull'abilità magica del nascituro è essere il padre io stesso, non credi?»
Delphi non era in grado di concordare sulla logicità dell'argomento. Tutto quello a cui riusciva a pensare era la parola nascituro. Risuonava con un'eco lugubre e angosciante nella sua testa. Era raschiante, quasi rancida. Si sentì molestata da quella parola. Improvvisamente, una pressione che finora non aveva mai percepito la stava spingendo piano piano spalle al muro. 
«Sì, certo, ma, ecco...» Aveva la gola secca, e si rese conto di stare balbettando. Non molto da Augurey da parte sua. «Credo di non essere tagliata per essere madre» concluse, flebilmente. Sapeva già che era tutto inutile, ma non poteva non provarci. A scappare discretamente. 
«Non essere sciocca» la rimbrottò il padre, annoiato da quei farfugliamenti. «Non sarai certo tu ad allevarla. Forse che è stata Bellatrix ad occuparsi di te e educarti? Tu dovrai solamente partorirla, poi per il suo mantenimento ci sono le balie e alla sua istruzione provvederò io stesso, come ho fatto con te. Quando ti sarai rimessa, ti verranno restituite tutte le tue funzioni e responsabilità, e la vita riprenderà come prima.»
Delphi ascoltava quelle chiacchiere con un orecchio solo. Era tutto così surreale che non riusciva a figurarsi davvero che potesse succedere, erano chiacchiere che si disperdevano lontano da lei, come fumo. L'idea di un figlio era paragonabile a quella di un rapporto eterosessuale, vi vedeva la stessa invasiva violenza -un figlio, qualcosa che cresce, si divincola e apre le ossa per scavarsi una via fuori. Non riusciva a immaginare niente di più aberrante. Il suo corpo era suo e nessuno aveva il diritto di occuparlo. E non un figlio normale, uno creato da suo padre con un rito -tutto questo era così malato e così osceno. In qualsiasi modo ce lo piazzi lì, una figlia non dovrebbe partorire il proprio nipote. Il panico le tappava gli occhi. Tutto sembrava occludersi su di lei. Non avrebbe potuto rifiutarsi. Era un meccanismo perverso e automatico e lei c'era dentro. Perchè vuoi annullare tutto ciò che sono diventata per conto mio? avrebbe voluto dire.
«Io... credo di... aver bisogno di qualche giorno» bofonchiò, mentre cominciava a girarle la testa.
Voldemort apprezzò poco la risposta reticente, ma le concesse di congedarsi. «Riposati. Prenditi una giornata libera.»
Fuori dalla Sala Riunioni, Bellatrix l'aspettava. Un ghigno maniacale le deformava il viso.
«Ma come, già intende rimpiazzarti, mia cara?» sghignazzò, simulando una vocetta contrita. «Dove hai sbagliato?» Sporse il labbro inferiore in fuori, derisoria. 
Delphi non aveva la forza per risponderle o ascoltarla. La paura aveva preso possesso di lei. 
«Io non... Io... Devo riflettere.» Il mondo vorticava forte intorno a lei. Temette di cadere. Bellatrix la sostenne dolcemente, accarezzandole i capelli. Lesse con facilità il focolaio dell'ammutinamento nella sua mente.
«Non devi riflettere» sussurrò, suadente. «Devi obbedire.»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** The second prophecy ***


For Voldemort and Valor

Capitolo 6: The second prophecy

Victoire aspettava Delphi con impazienza, e questo si poteva notare da tutti i particolari: la nuova camicia da notte di seta rosa, l'incantesimo con cui aveva acconciato i capelli, i movimenti nervosi del piede mentre rivedeva un saggio di Arti Oscure. Le aveva promesso di non fare troppo tardi, perchè sapeva che al mattino seguente doveva svegliarsi presto, ma ancora non si faceva vedere. Appena udì il rumore di una Materializzazione, posò la piuma immediatamente, esclamando: «Finalmente ce l'hai fatta!» Ma, voltandosi, scoprì che non era Delphi.
Ted Lupin era comparso in mezzo alla stanza del Dormitorio, provvidenzialmente vuota delle altre compagne. I suoi capelli erano più lunghi di come Victoire li ricordava, legati in una coda dietro la nuca, e lilla, iridescenti di azzurro e rosa, e gli occhi erano dorati. Non lo vedeva da quasi un anno.
«Ciao» si limitò a dire, con un sorriso quasi apologetico, come se si fossero semplicemente incrociati per strada. Victoire sbattè le ciglia, spaesata. Non sapeva nemmeno cosa provava, e cosa avrebbe dovuto provare.
«Ma tu... tu non dovresti essere qui, se ti scoprono... e come hai fatto a Materializzarti a Hogwarts?»
«Hermione ha trovato un modo» si limitò a dire Ted, scrollando le spalle. «Immagina che trauma per lei...»
«... contraddire Storia di Hogwarts» completò Victoire, con un sorriso. Rimasero a sorridersi per qualche istante, senza osare abbracciarsi. Erano cresciuti insieme, condividevano giochi di parole e modi di dire. 
Ted dondolò sui talloni, prendendo tempo. Victoire era più bella che mai, il viso rischiarato, i capelli d'oro rosso. Molto diversa dalla ragazza triste che Dominique gli aveva descritto. 
«Aspettavi qualcuno?» le domandò. 
Lei esitò. «Io... tu piuttosto! Stai rischiando molto! È successo qualcosa di grave?»
Il viso di Ted si fece sollecito. «Victoire, è vero che l'Augurey si è avvicinata a te?»
Ottenne l'effetto di farla irrigidire. «Non mi ha fatto niente. Non mi ha fatto nemmeno domande, e io non ho parlato. Siete al sicuro.»
«Questo lo so, ma... cosa voleva da te?»
Victoire strinse le braccia conserte al petto, come per proteggersi. «Conoscermi. Stare con me. Perchè sembra a tutti una cosa così improbabile? Sono una persona tanto spiacevole?»
Ted sospirò. Da ciò che aveva sentito dire a Delphi, immaginava che la situazione fosse grave. 
«Victoire, ti prego, ascoltami. Delphini Riddle è una strega imprevedibile e pericolosa, abile nella manipolazione. È stata cresciuta al fine di servire suo padre, e nient'altro» scandì con forza. «Non prende iniziative. È escluso che agisca per conto personale. Fidarsi di lei sarebbe come fidarsi di Voldemort.»
«Tu non la conosci!» scattò Victoire, facendo un passo indietro. Ted si sforzò per non avanzare.
«Non ho bisogno di conoscerla, e non ci tengo neanche!» ribattè offeso. «Lo sai che ha ucciso Hannah Abbott torturandola? Lo sai che ha cercato di uccidere me, Hermione e Ron in combattimento? Qualsiasi ragazza simpatica e carina tu abbia conosciuto, è una maschera.»
Victoire non poteva certo negare che avesse commesso quei crimini. 
«Ciò che lei fa perchè è nata figlia di Voldemort non può esserle attribuito come una colpa» replicò seccamente. «Cosa faresti al posto suo? Disobbediresti? Per essere disconosciuto e ammazzato?»
«Ciascuno di noi porta la responsabilità delle sue azioni, Victoire. Ha ucciso tante persone. Non puoi giustificarla come se niente fosse. Io non potrei mai farlo, non importa chi cercasse di impormelo» dichiarò Ted, ricordando la furia con cui l'Augurey si era accanita per togliergli la vita.
Victoire si sentiva ribollire di rabbia. «Allora dimmi, quale sarebbe il doppio fine di diventare la mia fidanzata?»
Quelle parole furono come una pugnalata. Un conto era sentire certe malevole insinuazioni da parte dell'Augurey, una risaputa bugiarda, un conto sentire dalle labbra di Victoire...
«È questo che siete? Fidanzate?» ripetè Ted, trattenendo il disgusto. «Ti fidanzeresti con la figlia di quegli esseri che hanno sterminato le nostre famiglie?!»
Il volto di Victoire era di pietra. «No. Mi fidanzerei con Delphi. Non si esaurisce nel sangue che ha nelle vene, lei è molto di più. Ha compreso la mia solitudine quando tutti gli altri non hanno fatto altro che giudicarmi. Noi siamo molto simili. Ogni volta che la insultate, mi rendo conto che è solo il legame di parentela ad impedirvi di insultare anche me. Come ti trattano è solo questione di nascere da una sponda piuttosto che dall'altra.»
Ted si sentì del tutto impotente. «Senti. So che non ti fidi di me. So che ultimamente non ti piaccio più, devo aver fatto qualcosa senza accorgermene» esordì, addolorato, osservando i suoi occhi blu scalfirsi. «Ma parlo solo per il tuo bene. Ho perso Andromeda. Non posso perdere anche te.»
La voce di Victoire si addolcì. «Teddy, non c'è niente di vero nel fatto che non mi piaci più. Ti voglio un sacco di bene. E mi dispiace così tanto per tua nonna.» Si trattenne dall'accarezzargli una guancia, come avevano fatto tante volte da più piccoli, perchè non voleva che fraintendesse il gesto. «Ma...» Prima che potesse finire, percepì il bagliore di una Materializzazione. Delphi stava arrivando. «Vattene, presto!» ordinò in fretta a Teddy, che invece si limitò ad un Incantesimo di Disillusione ed acquattarsi in un angolo, ad osservare.
Questa volta infatti era Delphi. Non aveva però nessuno dei bei vestiti con cui generalmente si presentava a Victoire: aveva solo un'espressione turbata. I capelli erano appuntati sulla nuca in una crocchia spettinata e indossava jeans e felpa. 
«Le spiegazioni più tardi» fu la prima cosa che disse, prima di agitare la bacchetta. La valigia di Victoire, sistemata sotto il letto, scivolò sul tappeto e si spalancò, e i vestiti che aveva nell'armadio volarono animati di vita propria, piegandosi e disponendosi all'interno. Victoire osserveva la scena, attonita.
«Cosa stai facendo?» 
«Ti faccio i bagagli» rispose Delphi, con tono d'ovvietà e allegria forzata. «Dovresti anche vestirti un po' di più, non ti pare? Stupenda camicetta, eh, ma farà freddino fuori.»
«Perchè?» 
«Perchè partiamo.»
«Per andare dove?»
«Via.»
«Via dove?» Victoire temette d'impazzire. 
«Quante domande...» divagò Delphi, evidentemente nel pallone. La valigia, ormai piena, si chiuse. 
«In realtà solo una! Delphi, che c'è, che succede?» le intimò di rispondere Victoire, in apprensione. 
Delphi cedette. Si aggrappò con le mani allo schienale della sedia della sua scrivania e abbassò lo sguardo, evasiva. «Dobbiamo fuggire. Cioè, devo fuggire. Ma tu vieni con me. Perchè se scoprono che sei stata una delle ultime persone con cui ho parlato, ti interrogano e ti ammazzano.»
Victoire si sentì gelare. «Da cosa devi fuggire?»
Delphi prese fiato prima di dirlo. «Da mio padre.»
Non avrebbe potuto esserci risposta peggiore. «E perchè, per Merlino?!»
«Beh... ehm... è una cosa un po' da pazzi.» Delphi dondolava sui talloni -esattamente come faceva lui stesso quando era agitato, notò Ted con orrore. «Non possiamo parlarne in un altro momento?»
«No, ne parliamo ora!» intimò Victoire, puntandole un dito accusatore al petto. 
Delphi sorrise maliziosa. «Riserva questa foga per dopo, Weasley.» Stava per voltarsi di nuovo verso la valigia, quando Victoire la afferrò per la stoffa della felpa. 
«Delphini, io non andrò proprio da nessuna parte finchè non mi spieghi esattamente cosa sta succedendo» minacciò. 
Delphi gonfiò le guance, come una bambina dopo una ramanzina. «Ecco, ora che mi parli così sei tale quale a mio padre.»
Victoire trovava che scappare da Voldemort non fosse per niente una buona idea -la più ultima delle spiagge. Per questo doveva essere successo qualcosa di molto grave. «Mi dici cosa ti ha fatto?» 
Delphi sputò malvolentieri il rospo. «Si è messo in testa che vuole un altro erede. E che lo debba partorire, ecco.» Titubò, imbarazzata. «Io.»
Victoire fece una smorfia indispettita. «Tuo padre vuole fare un figlio con te?»
«No, cioè, sì, ma non nel senso che stai pensando... Dal suo punto di vista è una specie di onore, vuole che lo faccia io perchè significa che sono la strega migliore che conosce, grazie mille, ma non voglio farlo!» spiegò Delphi, mangiandosi le parole, in tutta fretta. «Quindi scappiamo.»
Victoire non era ancora convinta. «Non puoi provare a parlargli? Sei sua figlia, ti ascolterà!» 
Delphi si rabbuiò. «È il Signore Oscuro. Lui non scende a patti con nessuno. Quello che vuole lo ottiene. Con le buone o con l'Imperius. E ti assicuro che, se con le buone l'ha già chiesto, non ci metterà molto per ricorrere al secondo metodo.» 
«Sì, Delphi, ma... ci troverà. Ovunque andremo, non potremo mai sfuggirgli. Lo sai, vero?» Victoire era oppressa dall'angoscia. «Quale sarà la punizione, quando verremo riportate indietro con la forza?»
Delphi non rispose. «Se non vuoi venire con me, è pericoloso per te, a mio parere, ma lo accetterò, hai il diritto di decidere» iniziò, il viso contratto. «Però io non posso restare. Non ho molto tempo. Devo agire subito.» Era la prima volta che Victoire la vedeva spaventata. 
«Io non voglio fuggire e a maggior ragione non voglio che lo faccia nemmeno tu!» protestò Victoire. «Se non obbedisci sarà considerato Tradimento contro il regime, lui se la prenderà con te. Ti farà del male. Sai che scappare sarà solo un temporaggiamento. E se non sarai più l'Augurey? E se ti toglierà il tuo potere e i tuoi privilegi? Non sarai più al sicuro...»
«Non sono già più al sicuro» la interruppe Delphi, duramente. Le posò le mani sulle spalle. «Victoire, preferisco venire torturata con la Cruciatus da mia madre finchè vivo piuttosto che partorire il figlio di mio padre. Dico davvero. Devo almeno provarci a fuggire. Ne vale la pena.» 
Victoire sostenne il suo sguardo, affranta. «E dove pensi di andare? Hai un'idea?»
«Sì. Folle, ma sì.» Delphi cercò il suo sguardo, supplichevole. «Cosa farai? Verrai?»
«Per me la cosa più importante era trovare una mia stabilità e una vita tranquilla... È un po' paradossale.» Victoire le prese le mani e le strinse forte. «Però non ti lascerei mai sola in una cosa del genere» aggiunse in un sussurro.
Dal suo nascondiglio, Ted assistette attonito al loro bacio. Delphi prese il suo viso tra le mani, un sorriso pieno di gratitudine. «Grazie.» Le diede un ultimo bacio a schiocco. «Adesso però devo vedere mio cugino Scorpius.»
«Perchè?»
«Mi ha mandato un gufo, ha qualcosa di urgente da dirmi.»
Lo incontrarono nei sotterranei, poco distante dall'ingresso della Sala Comune dei Serpeverde. Il ragazzino biondo si preceipitò verso Delphi, ignorando Victoire e Ted, che le aveva seguite da invisibile. 
«Scorpius! Non posso restare a lungo, è successo un casino-»
«Delphi, tu sei in pericolo!» esclamò Scorpius.
«Certo che sono in pericolo!» confermò Delphi. «Ma aspetta. Come fai a saperlo? Ok, ok, calmiamoci tutti. Di cosa stai parlando?»
«Prima tu» ribattè Scorpius.
«Mio padre vuole che abbia un figlio per lui. Anzi, una figlia. Non apprezza gli eredi maschi» commentò Delphi, con una smorfia. 
«Ecco! Era proprio come credevamo io, Dominique e Roxanne» esultò Scorpius, eccitato che tutto tornasse. 
«Da quando tu e Dominique siete amici?» indagò Victoire, perplessa. 
«È una lunga storia, comunque... Delphi, non posso stare a spiegarti i dettagli, ma ho visto il futuro» raccontò Scorpius. «Se avrai quella bambina le cose non si metteranno affatto bene per te. Nel futuro tu eri, ecco, morta. Però sei ancora in tempo per cambiarlo!» si affrettò a precisare. 
Delphi rabbrividì. «Bene, grazie per avermi fatto venire ancora più voglia di fare qualcosa che avrei comunque fatto.»
«Cioè?»
«Scappare.»
Scorpius ci rimase di sasso. «Scappare? E cosa ne sarà di tutti noi?» Si visionava già sua cugina come la nuova, improbabile salvatrice del mondo magico. 
Delphi non capiva. «Tutti voi chi?» 
«Tutti noi che resteremo sotto il dominio di tuo padre! Tu non l'hai visto, ma era terribile. In vent'anni questo mondo diventerà un inferno.»
La ragazza aggrottò la fronte. «Senti, Scorpius, mio padre starà anche compiendo un'ingiustizia nei miei confronti, ma resta comunque il legittimo sovrano di questo mondo. Se pensi che adesso inizierò una guerra contro di lui, ti sbagli. E non dovresti volerlo neanche tu.» 
«È stato lui ad uccidere mia madre, e ucciderà mio padre!» si oppose Scorpius, indignato.
«Questa è la sorte dei ribelli.»
«Da adesso sei una ribelle anche tu. Meriti forse di morire?»
Delphi era in difficoltà. «Non è la stessa cosa...» Si rendeva conto di stare incappando in una dissonanza cognitiva.
«Il Signore Oscuro ti farebbe uccidere, se sapesse del tuo tradimento. O no?» la incalzò Scorpius.
Suo padre sarebbe stato davvero in grado di giustiziarla? E soprattutto, si addiceva all'Augurey porsi una simile domanda? «Io... io non lo so...»
«Sì che lo sai» proseguì Scorpius, implacabile. «E sai anche cosa sarebbe giusto fare.»
Ma Delphi decise che non intendeva più ascoltarlo. «Grazie dell'informazione, cugino. Ma adesso non c'è più tempo da perdere. Dobbiamo andarcene.» Si voltò di scatto verso Victoire, schiantando una mano contro la fronte. «Nergal!»
«Cosa?»
«Nergal... Il mio Augurey» ripetè Delphi, preoccupata. «Mi sono completamente dimenticata di prenderlo. Devo tornare a Gaunt Manor.»
«Oh, Delphi... Ti prego... Già stiamo commettendo una follia, con una probabilità disturbante di fallimento...» piagnucolò Victoire. «Non peggiorare la situazione.»
«Non posso andarmene senza Nergal» s'impuntò Delphi. Le indicò l'ufficio di Lumacorno, scuotendo la bacchetta. «Lì c'è un camino. L'ho appena attivato per te. Devi andare al numero dodici di Grimmauld Place, al momento sarà deserto. Mi aspetterai là. Ti raggiungo presto.» 
Victoire si aggrappò al suo mantello. «E se non torni indietro, io cosa faccio? Non puoi farmi questo, ti prego. Non lasciarmi sola.»
Delphi le baciò la fronte. «Ci metterò poco. Nessun pericolo. Puoi contarci.»
Scorpius provò ad insistere. «Delphi...»
Ma lei si era già Smaterializzata. 
Nel frattempo, Ted ragionava in silenzio. La profezia... Quando la linfa dei tre rami neri si sarà ricongiunta. Scorpius Malfoy, nipote di Narcissa Black. Delphini Riddle, figlia di Bellatrix Black. Edward Lupin, nipote di Andromeda Black. I tre rami neri. Anche se inconsapevolmente, si erano congiunti: un passo in avanti verso la realizzazione della sconfitta di Voldemort. E tutte le informazioni che aveva sentito in quel momento potevano tornare utili per il piano finale. 
All'inizio le sue intenzioni erano di fermare Victoire, prenderla con sè e portarla da Ron e Hermione pur di non farla fuggire con l'Augurey. Ma aveva letto qualcosa nei suoi occhi, e nel modo in cui si erano baciate. In mezzo a tutto quel casino, era nato qualcosa di vero. 

***

Delphi camminava in fretta, rasente i muri. Non voleva imbattersi in nessuno: non tanto perchè avesse paura, ma perchè non voleva ritrovarsi a dover neutralizzare qualcuno che conosceva da anni. Raggiunse la propria camera, da cui aveva già preso tutto ciò che le serviva; fece in fretta, timorosa che la nostalgia prendesse il sopravvento. Era la camera dov'era cresciuta, e la stava abbandonando probabilmente per sempre, se tutto fosse andato bene. Afferrò la gabbia di Nergal, che mosse la testa contento di vederla. 
«Adesso leviamoci dalle palle» mormorò Delphi. 
«Perchè ti aggiri quatta quatta per casa tua, figlia? Sembra quasi tu abbia qualcosa da nascondere. Vai da qualche parte?» Bellatrix era in piedi all'uscio e sbarrava la strada. Il suo sguardo sarcastico la graffiava spietato. I capelli, che aveva ricominciato a tenere sciolti e selvatici, le conferivano un'aria ferina. «Te la dai a gambe, giusto?» proseguì, senza lasciarla parlare. «Non così in fretta. Incarceramus!»
Delphi fu fulminea nel respingere l'incantesimo. A quanto pare, la speranza di andarsene senza spargere sangue era utopia. Sua madre dedicò un ghigno annoiato alla sua prontezza di riflessi.
«Sei stata il mio unico errore» sentenziò, quasi sputandole in faccia quelle parole. «Io, Bellatrix Lestrange, ho messo al mondo la vergogna del Signore Oscuro, una sleale codarda. Hai sporcato il sangue dei Black più dei terroristi di Silente.» Bellatrix scagliò uno Schiantesimo che Delphi parò, arretrando lentamente, e roteò gli occhi al soffitto. «Ma è tutta colpa mia. Sono stata sciocca nell'illudermi anche solo per un istante che sarebbe potuta andare diversamente. La maternità tanto decantata da Narcissa... come previsto, è stata una gran delusione. L'ho sempre saputo. Forse sarei dovuta nascere uomo. Crucio!»
Delphi questa volta faticò a parare la maledizione, con l'ingombro della gabbia in mano. «Nessuna donna dovrebbe essere costretta a diventare madre» ansimò. «Tu lo sai meglio di chiunque.»
«Come osi includermi nei tuoi discorsi da voltagabbana!» sibilò Bellatrix, scagliandole altre due maledizioni di seguito e avanzando. «Sei una viziata e una smidollata. Io ho dato tutto al Signore Oscuro e ne vado orgogliosa. Mai avrei disobbedito. Ho vissuto come un privilegio dedicargli il mio intero corpo. E tu... tu, che avresti dovuto essere il suo Augurey... Dare tutto ciò che possedevi per servirlo, perchè tutto ciò che hai è grazie a Lui!» Un'altra maledizione. «Ti sei tirata indietro non appena è stato preteso il minimo sacrificio. Cos'è, volevi che tutto si fosse concesso senza offrire niente in cambio? Hai accettato il tuo incarico soltanto finchè non è stato in contrasto con nessuna delle tue perverse abitudini? Chi ti credi di essere?»
Delphi scagliò una Maledizione in risposta. «Fiera di averti delusa, madre. Il mio obiettivo è sempre stato non diventare come te. Io ho ancora un cervello intatto per capire cosa posso fare rimanendo me stessa e cosa va contro la mia natura.» 
«Non sono delusa, Delphini» obiettò Bellatrix, serafica, restituendo la maledizione. «Hai fatto esattamente quello che mi aspettavo da te. Avevo capito dall'inizio la verità, da quando ti ho messa al mondo e mi hai guardata con quegli occhietti da infida traditrice. Sei la prova di ciò che ho sempre pensato. Nessuno può servire il Signore Oscuro come me, nemmeno il suo stesso sangue.»
Fu a quel punto che Bellatrix scagliò un Anatema che Uccide. Delphi non si aspettava che sarebbe arrivata a tanto, e la schivò per un pelo. Quel gesto la fece infuriare. Posò la gabbia alle proprie spalle.
«Non costringermi a ucciderti,» disse, avanzando di nuovo di qualche passo, «perchè lo farò.»
Gli occhi di Bellatrix si accesero. Era quello che voleva da anni. «Allora dovrai farlo. Avada Kedavra!»
Delphi si Smaterializzò e Materializzò a pochi metri di distanza. «Crucio!»
«Bombarda!»
«Expelliarmus!»

Bellatrix le scoccò un'occhiata derisoria. Fece vorticare la bacchetta, da cui spuntò  un corvo di Ardemonio, che planando diventò un'aquila. Delphi non conosceva veri controincantesimi contro di esso -se non uno che aveva solamente visto eseguire da altri. Socchiuse gli occhi e pensò a Victoire. I suoi gesti, la posizione in cui dormiva. Il colore cangiante dei suoi capelli. «Expecto Patronum.»
Un Augurey d'argento attraversò l'aquila di Ardemonio, che lacerata in due si dissolse. Delphi si sentì stremata. La magia le aveva lasciato un'indescrivibile dolcezza sul palato, ma anche una grande stanchezza. 
«Un Patronus, davvero?» commentò Bellatrix, sprezzante. «Sei proprio come Potter. Debole. Attaccata ai sentimentalismi. Tu volevi solo un bravo paparino che ti rimboccasse le coperte e ti raccontasse una favola. Non meriti nulla di ciò che sei nata per essere.»
«Io sono nata per essere esattamente chi sono» rimbeccò Delphi, stringendo i denti per mantenere la postura eretta e la testa alta. «Il futuro è nelle mie mani.»
«A proposito... Ho risolto lo stupido indovinello.» Un altro lampo di luce verde sfiorò Delphi. «Il sangue di Potter... Quand'è l'ultima volta che il sangue di Potter è stato usato per un rituale? Ah, già, quello per restituire un corpo al Signore Oscuro.» Bellatrix scagliava maledizioni con rinnovata energia. «Non capisci, vero, cretina? Il sangue del Prescelto sei tu. Tu sarai la responsabile della caduta del tuo stesso padre. Non mi sento quindi più in colpa, e anzi mi sento legittimata, a rimediare al mio unico errore. Avada Kedavra
«Pietrificus Totalus!»
Dopo aver riaperto gli occhi, tre secondi più tardi, si accorse di due cose: uno, che l'Anatema che Uccide non era riuscito a colpirla, e due, il suo incantesimo invece era andato a segno e sua madre era immobilizzata ed inoffensiva, gli occhi sgranati vacuamente sulle figlia che le aveva portato tanto disonore. Delphi si rese conto di aver mentito. Non sarebbe stata in grado di ucciderla. Nonostante avesse ucciso molte persone nella sua vita, era una soglia che non voleva attraversare, non per Bellatrix ma per se stessa. In un certo senso, non voleva ridursi al suo livello. 
«Adesso finalmente possiamo andarcene, Nergal» sospirò Delphi, assicurandosi che il suo Augurey stesse bene. Però ricevette un'ultima visita. Un grande serpente aveva percorso tutta Gaunt Manor fino ad arrivare a lei: era Nagini. Delphi trattenne il fiato. Era stata la sua unica compagnia per molti anni, e, dopo il test a cui la sottopose da bambina, sua protettrice.
«Devo andarmene. Non c'è più posto per me qui» mormorò Delphi, in Serpentese.
«Lui ti troverà» ribattè Nagini. «Ti ucciderà. Ho guardato nella sua mente. Se scapperai e ti troverà, sarai condannata a morte.»
Delphi trattenne il fiato. Le prove c'erano tutte, Scorpius glie lo aveva prospettato e confermato, però averne la certezza era doloroso. Era suo padre, era colui a cui doveva tutto -Bellatrix aveva ragione. Ma era anche colui che si sarebbe ripreso tutto, non appena lei avesse smesso di soddisfare i requisiti. 
«Non sarai mai al sicuro finchè lui vivrà» le disse Nagini. 
Delphi aveva gli occhi lucidi. «Che cosa devo fare? Dimmelo. Non posso ucciderlo, non ci riuscirei mai...»
«Qualcun altro lo farà» rispose Nagini. «Sono l'unica parte esterna della sua anima che è sopravvissuta. Puoi uccidere me.»
Le lacrime rigarono le guance di Delphi. Si chinò per abbracciare le spire del serpente. «No! Non lo posso fare, non lo voglio fare!»
«Finchè sarò viva, non smetterai mai di essere in pericolo. Non disprezzare il dono che intendo farti.» Leccò via il pianto dal suo viso. «Sono su questa Terra da tanti anni, molti di più di quanti avrei naturalmente vissuto. Lui non mi permetterebbe mai di riposare in eterno. Offrimi tu questo sollievo.»
Delphi le accarezzò la testa, commossa da quell'affetto silenzioso che era nato a pochissima distanza da suo padre, qualcosa che si era mimetizzato nella vita quotidiana ma era diventato così potente da spezzare un'antica alleanza. Non avrebbe mai pensato che Nagini potesse fare questo a suo padre solo per lei -tradirlo. Il terzo tradimento, dopo il suo e quello di Scorpius. «Perchè?»
«Tuo padre mi chiese di ucciderti e dopo di difenderti. È quello che sto facendo» sussurrò Nagini.
Victoire stava per perdere le speranze e scoppiare in un pianto isterico quando Delphi si materializzò nel salotto del numero dodici di Grimmauld Place, con in mano la gabbia di Nergal. Aveva gli occhi gonfi e arrossati.
«Delphi! Stai bene?» accorse Victoire, sfiorandole la spalla. La ragazza annuì, senza dare spiegazioni. Prese Victoire per mano e le fece segno di seguirla. Insieme raggiunsero la camera di Sirius Black, in cui troneggiava sul muro la fotografia di Harry Potter con cui aveva già parlato.
«Quindi hai capito» la salutò Harry, cordialmente, come se si conoscessero da tempo. 
Delphi ricambiò un'occhiata diffidente. «Dove ci porterai?»
«Al sicuro» confermò Harry. La fotografia si staccò da un lato come un pannello, rivelando un passaggio. 
Victoire guardò Delphi. Era stanca, scossa e terrorizzata. Non aveva idea se quella fosse una trappola per catturarla, se ci fosse qualche speranza che funzionasse. Ma ci si stava affidando, sulla cresta di un'intuizione indefinita. Le tese ancora la mano. Si allontanarono, fianco a fianco, strette l'una all'altra.

***

Era la prima volta che Delphini Riddle era vista varcare la soglia della Sala di Serpeverde senza permesso. La attraversò con disinvoltura, a passo spedito. Indossava il manto piumato dell'Augurey, ma ai piedi aveva gli anfibi. La Sala di Serpeverde era quella che Lord Voldemort aveva costruito solamente per sè: le pareti erano imbottite di broccato verde smeraldo, statue monumentali dalle fattezze di Basilischi si innalzavano ad ogni angolo, oltre a quella di Salazar Serpeverde ad un lato, e una teca con all'interno i resti del Medaglione di Serpeverde affiancava l'alto scranno su cui Voldemort era seduto. 
I suoi occhi da rettile si soffermarono su di lei, vibranti di rabbia. «È da un po' che non ti si vedeva. Hai interpretato il giorno di libertà che ti ho cortesemente offerto come una vacanza, per caso?»
Provava una fatua simpatia per Delphi. Passava dall'interessarsi alle sue qualità in comune con la genia di Serpeverde a quelle prese unicamente da lui, ma questo era quanto. Era teorica curiosità. Lei aveva molto di lui, ma tutto in forma più debole, più fiacca. Era stato attento a far percepire lo stesso distacco a lei come a qualsiasi Mangiamorte nei suoi confronti, affinchè non arrivasse ad illudersi in qualsiasi modo sul suo ruolo. Il suo spirito un po' ribelle era dilettevole, ma soltanto finchè causava problemi ai suoi colleghi anzichè al suo signore. Non l'aveva mai temuta, era troppo mediocre per questo. Però faceva buone battute di spirito. Era una presenza vivace. Una nuova Augurey avrebbe portato un po' di divertimento in più.
«Avevo degli affari da sbrigare» replicò Delphi, senza scusarsi. Si fermò a pochi metri dallo scranno. I capelli grigio-argento ricadevano sulle spalle, con i loro lampi color cobalto. 
«Affari da sbrigare» ripetè il padre lentamente. «Affari più importanti rispetto a quelli a cui io ti ordino di dedicarti?»
Delphi scrollò le spalle. «Chi lo sa?» 
Qualcosa era cambiato, Lord Voldemort lo capì. Però la tranquillità con cui ostentava tanta spavalderia gli pareva incomprensibile. 
«Mi rendo conto che sei stata occupata» riprese, con estremo sarcasmo. «Così tanto da non accorgerti che un Horcrux è stato distrutto. Nagini è morta.» 
La sua voce era lapidaria, ma traspariva una specie di dolore -dolore fisico, quasi. Un pezzo della sua anima era stato distrutto. 
Delphini rimase serafica. «In che modo?»
«Non lo so ancora. L'ho semplicemente sentito accadere.» Gli occhi di Voldemort, accusatori su di lei, sembravano volerle comunicare che non si era lasciato ingannare dalla farsa. «Come se non bastasse, Bellatrix non risponde alla mia chiamata, cosa che non è mai successa da vent'anni a questa parte. Tu non sei coinvolta, vero, ragazza?»
L'Augurey rise una risata sfrontata, piena. «Ragazza? Non sono più Delphini?» l'apostrofò, divertita.
Voldemort si sentì irrigidire dall'ira. «Rispondi alla domanda.»
Invece lei non rispose alla domanda. Fece dei passi avanti, con aria di sfida. «Fai sempre gli stessi errori. Molto grave, sottovalutare un orfano. Tu stesso eri un orfano. Colui che è andato così vicino allo sconfiggerti lo era. Anche io, in certo senso, sono stata orfana.»
«Ti ordino di smetterla» sbottò l'Oscuro Signore. «Hai il dovere di obbedirmi, sei mia figlia.»
Delphi chinò la testa da un lato. «Cosa significa figlio? Cos'ero io per te? Che genere di responsabilità sentivi nei confronti di questa... ragazza?» Aprì le braccia, come per indicarsi. «Pensavi che portare al mondo una vita non avrebbe avuto troppe conseguenze? Invece le ha. Credevi sul serio che una figlia cresciuta come tu hai cresciuto me sarebbe stata un'alleata affidabile? Forse sì, perchè ci sono troppe cose che non sai. Un adulto è il risultato del bambino che è stato. Quello che ha avuto e quello che gli è mancato fanno la differenza. Tutta la differenza del mondo.» La serenità con cui sosteneva lo sguardo del padre iniziarono a inoculargli un dubbio. «Delphini è solo l'ennesima vittima di una cieca, egocentrica ignoranza. Pensi che, se tu non ami, chi ti circonda non sentirà mai il bisogno di farlo? Se non conosci questa forza, continuerà ad agire indisturbata sotto il tuo sguardo. Tutto è andato oltre il tuo controllo e la tua comprensione, come durante la notte in cui cercasti di uccidere Lily Potter. L'amore ti ha portato di nuovo in rovina.»
Quelle parole fecero raggelare Voldemort. La fissò, e questa volta non vide più sua figlia. «Chi sei tu?»
«Non lo hai ancora capito? Nemmeno questo?» Sorrise. Ted mutò il suo aspetto. All'improvviso, davanti a Lord Voldemort non c'era Delphini Riddle. C'era Harry Potter. «Non capirai mai, vero, Tom?»
Un lampo di luce rossa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Epilogo: The cursed child ***


Epilogo: The cursed child


La grande segreta di pietra, illuminata da sole torce, ospitava una voluta di panche di legno, alte fino al soffitto, fittamente popolate. Le pareti erano piastrellate di nero. Hermione Granger sedeva ad un banco sopraelevato al centro, indossando un lungo mantello.
«Udienza disciplinare del tredici settembre» scandì, la voce amplificata da un incantesimo che si diffondeva in un'eco profonda in tutta la sala. «Per violazioni commesse contro lo Statuto Internazionale dei Diritti del Mago e della Strega, il Decreto per la Restrizione delle Arti Magiche e la Proibizione delle Arti Oscure e la Legge per la Protezione dei Babbani, per sommi capi, e innumerevoli altre accuse, ufficiali e non, al centro delle quali c'è l'accusa di complicità nei confronti di Lord Voldemort, da parte di Delphini Riddle.» Fece una pausa. Al centro della sala c'era una strega legata con delle catene magiche ad una sedia di legno; altri scudi magici, invisibili, la bloccavano. Ma non ce n'era bisogno. Delphi era disarmata e svogliata, con nessuna intenzione di opporre resistenza. Sembrava quasi annoiata. 
Su degli spalti a parte sedeva Luna Lovegood, con il marito Rolf Scamander e i gemelli Lysander e Lorcan, entrambi sereni come se non avessero rischiato la vita, e Draco Malfoy, il viso che sembrava ringiovanito di dieci anni, il braccio che circondava protettivamente le spalle del figlio Scorpius. Accanto a Scorpius c'erano Roxanne e Dominique Weasley, con le quali lui chiacchierava a bassa voce, accompagnate dai genitori Bill, Fleur, George e Angelina. Victoire, pur essendo insieme ai parenti, li ignorava del tutto, apprensivamente attenta a ciò che veniva detto. 
«Inquisitori: Hermione Jean Granger, Ministro della Magia; Edward Remus Lupin, Direttore dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia; Severus Piton, Sottosegretario del Ministro.»
I due maghi la affiancavano, un contrasto d'età notevole; Ted, con eleganti capelli color mogano, e Piton, non abbigliato diversamente rispetto a quando insegnava a Hogwarts, lo sguardo austero puntato sulla figlia di Voldemort. 
«Le accuse sono le seguenti: che consapevolmente, deliberatamente e in piena coscienza dell'immoralità delle sue azioni, l'imputata abbia dato per almeno dieci anni il suo sostegno magico a Tom Riddle, il mago oscuro conosciuto sotto lo pseudonimo di Lord Voldemort, due al di sopra della maggiore età. L'imputata avrebbe compiuto innumerevoli Maledizioni senza Perdono, rimanendo coinvolta nell'omicidio, sparizione, persecuzione e tortura di incalcolabili streghe, maghi, creature magiche e Babbani, nonchè aderito attivamente ad un regime dittatoriale che inneggiava a valori d'odio contrari a quelli di questa corte e delle sue leggi, quali la discriminazione per Stato di Sangue e possesso della magia, che ha portato alla creazione di campi di concentramento per Babbani e alla reclusione di maghi e streghe Nati Babbani, ibridi e Maghinò. Tutto questo sarebbe più che sufficiente per condannare l'imputata alla reclusione a vita a Azkaban.» Hermione lanciò un'occhiata sprezzante a Delphi, che roteava gli occhi in segno di esasperazione. «Tuttavia,» riprese a denti stretti, «questa corte non ha potuto non tenere conto di altri fattori...»
«... senza di me eravate fregati» commentò Delphi, placida.
«... quali il legame di parentela che univa l'imputata a Tom Riddle, il plagio a cui è stata sottoposta fin dalla tenera età anche da parte della madre, Bellatrix Lestrange, già reclusa a Azkaban, la sua attuale giovane età e la sua collaborazione, che ha agevolato la caduta di Lord Voldemort stesso» proseguì Hermione, impassibile. «L'imputata come si dichiara?»
«Colpevole» confermò subito Delphi, senza enfasi. «Molto colpevole.»
Hermione la fulminò con lo sguardo. «Questa corte condanna l'imputata... all'esilio dal mondo magico, alla rimozione totale dei suoi ricordi concernenti esso, all'inibizione forzata della magia e all'integrazione in una comunità babbana, pena della violazione l'incarcerazione a Azkaban» concluse. 
Delphi chiuse gli occhi e annuì. «Non è male.»
Qualcuno si mosse dall'ombra ai lati della sala. «Allora lo farò anch'io!»
Al suo fianco Fleur le mise una mano sul braccio, per farla tacere; Victoire invece scese dagli spalti e avanzò fino a che la luce non la rese visibile a Hermione. «Voglio seguirla» ripetè con forza. Anche lo sguardo di Ted si appuntò triste su di lei. Hermione esitò. «Questo... non è di competenza... della corte.»
Quando l'udienza fu terminata Victoire si avvicinò a Delphi, ancora avvinta alla sedia. Anche così, imprigionata e scompigliata, ai suoi occhi era bellissima.
«Ne sei sicura?» chiese lei, dolcemente. «Lascerai la tua famiglia per sempre. Rinuncerai alla magia.»
«Ho sempre fatto schifo come strega» le ricordò Victoire, con un sorriso scherzoso. «E l'unico incantesimo utile era quello per il cambio dei vestiti.»
Delphi riuscì a toccarle la mano.Non aveva parole per esprimere quello che provava per questo gesto, quindi sdrammatizzò. «Finalmente posso essere la star di instagram che sono sempre stata. Dove vorresti vivere?»
«A Parigi» rispose subito Victoire.
«Parigi? Non esiste, restiamo in Inghilterra.»
«Ma come? Mi hai chiesto dove vorrei vivere! Credevo intendessi ampliare i tuoi orizzonti!»
«Sì, ma non intendevo la Francia...»
«Beh allora su, fai una lista di opzioni!»
«... Glasgow, Belfast, Edimburgo, Brighton...»
«Ma dai...»



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3845559