Bloody Castle - I seguaci del sole

di Nana_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo/Risveglio - Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Risveglio - Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Risveglio - Parte 3 ***
Capitolo 4: *** La terra dove sorge il sole - Parte 1 ***
Capitolo 5: *** La terra dove sorge il sole - Parte 2 ***
Capitolo 6: *** Primo incontro ***
Capitolo 7: *** In cerca di risposte ***
Capitolo 8: *** Tre giorni - Parte 1 ***
Capitolo 9: *** Tre giorni - Parte 2 ***
Capitolo 10: *** Mirare al centro ***
Capitolo 11: *** Sei tu Mark? ***
Capitolo 12: *** Qualcosa si è spezzato - Parte 1 ***
Capitolo 13: *** Qualcosa si è spezzato - Parte 2 ***
Capitolo 14: *** Parte della famiglia ***
Capitolo 15: *** Ritorno - Parte 1 ***
Capitolo 16: *** Ritorno - Parte 2 ***
Capitolo 17: *** Mia carissima Claire ***
Capitolo 18: *** L'accordo ***
Capitolo 19: *** Esilio - Parte 1 ***
Capitolo 20: *** Esilio - Parte 2 ***
Capitolo 21: *** Il riflesso dell'anima - Parte 1 ***
Capitolo 22: *** Il riflesso dell'anima - Parte 2 ***
Capitolo 23: *** Addio e bentornata ***
Capitolo 24: *** Un passaggio nel deserto ***
Capitolo 25: *** Casa dolce casa ***
Capitolo 26: *** Topi in trappola ***
Capitolo 27: *** Ultimatum ***
Capitolo 28: *** Spalle al muro ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo/Risveglio - Parte 1 ***


BC02

Prologo

Fa male.
Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire.
Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra.
Non ancora almeno.
Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…



Capitolo 1 - Risveglio (Parte 1)

Sabbia. Ruvida, infuocata sabbia.
Nient'altro che questo videro gli occhi azzurri di Claire nel momento in cui si dischiusero. La sua mano si strinse d’istinto sulla rena cocente e dorata, raccogliendone un pugno che poi osservò scorrere via lentamente. Era riversa su un fianco e l’unica spalla esposta al sole battente cominciava a bruciarle, tanto da spingerla a spostarsi.
Con immane fatica tentò di mettersi in piedi, facendo leva sugli avambracci, ma la forza le venne a mancare e in un attimo ripiombò faccia a terra.
Sbuffò frustrata e, senza darsi per vinta, riuscì a girarsi, ma quel movimento provocò il sollevarsi di una gran quantità di sabbia, che le entrò nel naso, facendola tossire.
Nel momento in cui i suoi occhi si trovarono di nuovo a contatto con il cielo, la luce abbagliante del sole l’accecò, costringendola a schermarsi il viso con la mano, e tutta la soffocante afa del deserto la investì in pieno. Non ricordava di aver mai sentito un caldo del genere in vita sua.
D’un tratto il terreno sotto di lei si sfaldò e la gravità la fece rotolare fino alla base della duna in una nuvola di polvere.
Con un gemito si mise a sedere, portandosi una mano alla base del collo. Sentiva dolore ovunque e al minimo movimento ogni muscolo del corpo lanciava fitte di protesta, ma fece comunque uno sforzo per guardarsi intorno e capire dove fosse finita. Che si trovasse in un deserto non c’erano dubbi, ma la domanda era come avesse fatto ad arrivarci. Tornò con la mente a quando si era buttata nel pozzo, dopo aver pugnalato quella pazza furiosa di Mary. Era convinta che sarebbero risbucate a Greenwood come Dean aveva assicurato, e invece erano lì in quel posto dimenticato da Dio.
Fu allora che il pensiero di Rachel e Juliet le attraversò la mente e il suo sguardo studiò frenetico l’ambiente intorno a sé alla loro ricerca. Quando finalmente scorse i loro corpi distesi non molto lontano, trasalì spaventata, temendo che fossero ferite o addirittura…

Raccolse il coraggio e avanzò carponi verso la sagoma di Rachel, la più vicina, e la scosse con cautela. “Rachel!” La chiamò, ma niente. –Oddio, fa che sia viva- pensò in preda al panico. “Avanti! Ti supplico, svegliati!”

Finalmente l’amica diede segni di ripresa e Claire poté tirare un sospiro di sollievo.

Le palpebre di Rachel si aprirono lentamente. “Claire…” mormorò poi con voce rauca. “Ma che è successo?”

Lei la aiutò a mettersi seduta. “Non ne ho idea.” Rispose a fatica. A causa del gran caldo e della sabbia mossa da un vento cocente, le mancava l’aria e riusciva a malapena a parlare. Come se non bastasse, in quel luogo era come se non ci fosse atmosfera a proteggerle dai raggi del sole, che arrivavano come lame sulle loro teste. “Eravamo già qui quando mi sono svegliata, non so nemmeno come abbiamo fatto ad arrivarci.”

Il viso di Rachel si contrasse in una smorfia di sofferenza, mentre si massaggiava la schiena dolorante. Ricordava solo di essere stata sballottata qua e là come su un treno merci, prima di perdere i sensi.  Affaticati com’erano dalla luce del sole, i suoi occhi non riuscivano a mettere a fuoco l’ambiente circostante, che appariva confuso e sfocato. Solo allora realizzò di non avere più gli occhiali e che dovevano esserle caduti da qualche parte. Sentendosi persa, chiese all’amica di aiutarla a cercarli.
Claire li ritrovò a qualche passo di distanza grazie al riflesso della luce sulle lenti, coperti di sabbia e per fortuna solo un po’ scheggiati. Quando glieli porse, Rachel poté finalmente guardarsi intorno. Alture di sabbia si estendevano a perdita d’occhio. Soltanto sabbia per decine e decine di chilometri.

L’aria rovente, quasi irrespirabile, insieme all’ansia contribuiva a schiacciarle il petto come fosse un macigno. “Che ci facciamo qui?” La guardò, senza aspettarsi niente di più che la sua espressione spaesata e incapace di darle una risposta.

Un gemito soffocato attirò la loro attenzione e fu allora che si accorsero di Juliet poco distante, che cercava a fatica di sollevarsi. Incespicando nella sabbia, si diressero allarmate verso di lei per aiutarla, ricordando che era stata ferita.

Juliet si appoggiò a loro, riuscendo alla fine a mettersi seduta, e la fitta che avvertì la spinse d’istinto a portarsi una mano al fianco, per poi ritrarla sporca di sangue. La ferita le bruciava terribilmente e continuava a sanguinare, nonostante fosse un taglio poco profondo. Non ebbe bisogno di farlo presente, perché anche loro la stavano fissando preoccupate.

Mon Dieu...” mormorò Rachel.

“Ma non era solo un graffio?” osservò Claire, guardandola allarmata.

“A quanto pare è più profonda di quanto pensassi.” ribatté, reprimendo una smorfia di dolore.

Le fitte che sentiva non promettevano nulla di buono. Sapeva che avrebbe dovuto pulirla dalla sabbia e fermare il sangue, ma al momento riusciva a
stento a pensare, figurarsi ad agire. Si sentiva stanca, come spossata. Fin qui niente di strano visto dove erano finite, eppure il caldo che sentiva sembrava più che altro venirle da dentro, come se avesse la febbre.

Senza troppe esitazioni, Rachel strappò con un colpo secco un lembo della sua maglietta e, aiutata da Claire, avvolse con non poche difficoltà la striscia di stoffa intorno ai fianchi dell’amica, stringendo il più possibile. “Ecco. Non è il massimo, ma per un po’ andrà bene.” disse con un sospiro, asciugandosi il sudore dalla fronte.

“Credo di sì, grazie.” le disse Juliet, sforzandosi di sorridere.

Finito il lavoro, Rachel scosse la testa disperata. Con lo sguardo perso tentava almeno di rimettere insieme i pezzi, per capire come avessero fatto a finire in quella situazione. “Ci fosse mai una volta che quello che dice Dean corrisponda a realtà.” Le parole le uscirono di bocca senza volerlo, ma resero bene l’idea del sentimento comune.

“A questo punto, è chiaro che lo faccia di proposito.” Aggiunse Claire, sentendo montare la rabbia. “Si diverte a mandarci in posti assurdi per vedere se poi riusciamo a uscirne vivi.” Parlare non faceva altro che alimentare i già prepotenti brontolii del suo stomaco, ma li ignorò. Anche la debolezza e il caldo iniziavano a farsi sentire, ma al momento questi problemi non erano niente in confronto a quelli che avrebbe avuto Dean se le fosse capitato sotto mano.

“Come puoi dire una cosa simile? Proprio tu…” la rimbeccò Juliet con aria sconcertata, reprimendo una fitta al fianco ferito. “Cosa avresti fatto se lui non ti avesse tirato fuori da quella torre?”

Claire si rese conto della verità di quelle parole, ma non fece in tempo a ribattere che Rachel si intromise nel discorso, invitandole a concentrarsi sulle priorità del momento.

“Lasciamo perdere, adesso. È inutile restare qui ferme a incolpare Dean, anche perché come noi potrebbe uscire qualcun altro da quel portale e dubito che quella pazza con i coltelli si arrenda tanto facilmente.”

Claire la guardò interdetta. “E dove dovremmo andare? Qui c’è solo sabbia.”

“Non lo so, ma finirà male se non ci sbrighiamo a trovare un posto all’ombra.” Si chinò su Juliet e strappò un altro lembo dai suoi shorts, per poi coprirle la testa con il tessuto. “Fallo anche tu. La prima cosa da fare nel deserto è proteggersi la testa dal sole. L’ho visto una volta in un documentario.” disse a Claire, ringraziando la sua memoria fotografica che le permetteva di ricordare cose anche a distanza di molto tempo. Il documentario spiegava anche come fosse assai improbabile sopravvivere in un ambiente così inospitale senza acqua né cibo. Inoltre, anche ammesso che Juliet si fosse ripresa, avrebbero dovuto camminare per giorni in quelle condizioni e non aveva certo bisogno di molta immaginazione per sapere come sarebbe andata a finire. Questo però non lo disse.

Quando furono tutte coperte, Claire l’aiutò a rimettere Juliet in piedi. “Ce la fai a camminare?” le chiese, mentre le passava un braccio intorno alla vita.
Lei annuì debolmente, trattenendo una smorfia di dolore. In realtà non ne era così sicura, ma non voleva essere un ulteriore peso per loro. In qualche modo ce l’avrebbe fatta.
Anche se a fatica, riuscirono a raggiungere la sommità di una duna, per cercare dall’alto un punto di riferimento verso cui dirigersi, ma anche da lì non si vedeva altro che un paesaggio desolato. Decisero allora di incamminarsi, nella speranza prima o poi di avvistare un’oasi o almeno un luogo più riparato dove riposare. In realtà nessuna delle tre ci credeva molto, ma non c’erano alternative se volevano salvarsi la vita.

Purtroppo però non riuscirono a fare tanta strada, perché di lì a poco Juliet, aggredita dalla fatica e dal dolore al fianco, sentì cedere le gambe. “Non ce la faccio. Ho bisogno di riposare un po’.” le avvertì in un fil di voce.

Rachel era riluttante all’idea di fermarsi, ma dovette constatare che senza fare una pausa nessuna di loro ce l’avrebbe fatta ad andare avanti. Così si abbandonarono lì dove erano arrivate, cercando di riprendersi e di non pensare al caldo e alla sete, che stava diventando a dir poco insopportabile.
Claire sentiva i muscoli contratti e la schiena dolorante per aver portato Juliet praticamente di peso e, mentre si stiracchiava, le sembrò di scorgere due figure in lontananza. Venivano verso di loro, confuse e tremolanti per l’aria afosa del deserto, tanto che per un lungo momento pensò si trattasse di un miraggio o comunque di un gioco di luce. Si strofinò gli occhi, ormai stanchi e quasi acciecati, ma quando li riaprì le figure c’erano ancora, anzi, si stavano avvicinando.

“C’è qualcuno laggiù.” disse a Rachel, mentre cercava ancora di mettere a fuoco.

Lei guardò nella stessa direzione e per un istante sentì dentro di sé riaccendersi la speranza che potesse trattarsi dei ragazzi. Poteva essere Mark. Il pensiero che fosse rimasto in Romania non aveva smesso di attraversarle la mente da quando si era ripresa, ma aveva pregato con tutta se stessa che lui e Cedric fossero riusciti a raggiungere il portale dopo di loro.

Vedere Claire sbracciarsi la riportò alla realtà. “Che stai facendo?” chiese incerta.

“Potrebbero essere Mark e Cedric.” ribatté lei, continuando a fare segni nel tentativo di attirare l’attenzione su di sé.

Rachel però ne era sempre meno convinta. Anche se i loro contorni erano troppo sfocati per riconoscerne le fattezze, c’era qualcosa in quei due che la metteva in allarme. “No, non credo che siano loro. Forza, andiamo!” esclamò, chinandosi subito su Juliet per rimetterla in piedi. “Muoviti, avanti!” gridò poi a Claire, vedendo che si tratteneva ancora.

Lei allora parve riscuotersi e distogliere finalmente lo sguardo dai due sconosciuti. Raggiunse Rachel e si passò un braccio di Juliet su una spalla per aiutarla a camminare.
Rallentate dal terreno instabile, tentarono disperatamente di mettere quanta più distanza possibile tra loro e gli inseguitori.

“Come sai che sono vampiri?” le chiese Claire, ansante per la difficoltà di correre sulla sabbia e per il peso di Juliet. “C’è troppa distanza.”

“Me lo sento. E risparmia il fiato.” tagliò corto.

Non avevano idea di dove dirigersi, quindi si limitavano ad andare avanti alla cieca, anche se le speranze di seminarli in quel luogo erano praticamente ridotte a zero. Non c’erano nascondigli, non c’erano vie di fuga. I due continuavano a guadagnare terreno, mentre loro incespicavano sempre più nella sabbia, sentendo le forze abbandonarle ogni secondo che passava.
Di lì a poco, infatti, sia Rachel che Claire si sentirono trascinare giù dal peso morto di Juliet, crollata definitivamente per la fatica. Naturalmente l’idea di lasciarla lì e scappare non sfiorò le loro menti neanche per un secondo, quindi si fermarono per prestarle soccorso, anche se in quel modo i vampiri non impiegarono che pochi secondi a raggiungerle.

“Dove pensavate di scappare, dolcezze?” disse uno dei due con un ghigno, che mise in mostra una dentatura storta e giallastra. “Da brave, venite con noi e non vi faremo alcun male.”

“Scordatelo.” Mormorò Claire tra i denti cercando di assumere un’aria minacciosa, ma per tutta risposta i due si misero a ridere. Rachel la bloccò per un braccio, facendole segno di smetterla. Era inutile mettersi a discutere con loro, non l’avrebbero mai spuntata.

A quel punto era davvero finita. Non vedevano nessun altra soluzione, che non fosse quella di seguirli. -Almeno – pensò Rachel – avrò qualche speranza di rivedere Mark-.

Lei e Claire non opposero resistenza, ormai arrese alla realtà dei fatti, e osservarono l’altro vampiro caricarsi Juliet in spalla, per poi prepararsi a tornare al portale con loro.
Claire però non ce la faceva ad andare avanti. Il solo pensiero di quella cella fetida e priva di luce le faceva rivoltare lo stomaco, e rinunciare di nuovo alla libertà avrebbe significato accettare la sorte che quei mostri avevano scelto per lei. Di colpo, sentì le poche forze che le restavano abbandonarla del tutto, o forse voleva che fosse così, e si lasciò cadere sulle ginocchia.
Rachel le fu subito accanto, cercando di confortarla.

“Non ce la faccio. Non…” mormorò disperata, mentre le lacrime le scendevano sulle guance.

Il vampiro che le precedeva si voltò, accortosi del problema. “Ehi, che vi prende? Rimettetevi in piedi, prima che vi ci rimetta io a suon di calci.”

“Sta male, razza di caprone!” lo insultò Rachel, fulminandolo con lo sguardo. “Dalle un attimo per riprendersi.”

Per tutta risposta, l’aguzzino tornò verso Claire e, afferratala per un braccio, la costrinse ad alzarsi. “Non vi conviene farmi arrabbiare, ragazzine. Ricominciate a camminare o al castello non ci arrivate vive!”

“Lasciala stare!” esclamò Rachel, sentendo esplodere una rabbia incontenibile. Ormai non le importava più neanche di quello che avrebbe potuto farle, così si avventò sul vampiro, strattonandogli il braccio per allontanarlo dall’amica.

Lo schiaffo che le mollò la fece cadere a terra. La testa che le rimbombava ferocemente, mentre sentiva la guancia gonfiarsi. In piedi sopra di lei, vide la sagoma sfocata del vampiro che la fissava, incurante del fatto che il compagno gli stesse dicendo qualcosa in rumeno.
Stava per chinarsi e metterle le mani addosso, quando uno strano rumore lo distrasse, ma lei non riuscì a capirne la provenienza o cosa fosse a causarlo, tanto era stordita dal manrovescio.
Poi accadde tutto in pochi attimi, tanto da non riuscire nemmeno a rendersene conto. Fece solo in tempo a intravedere l’alzarsi di un gran polverone, seguito da un nitrire di cavalli, prima che la testa del vampiro le cadesse in grembo stillante sangue dal collo mozzato. Quando avvertì gli spruzzi raggiungerla in faccia, la sua mente già provata non resse e svenne.
Fu Claire, l’unica rimasta cosciente, a vedere quello che stava succedendo. Un gruppo di uomini del deserto, armati di alabarde e scimitarre li aveva raggiunti a cavallo e si era avventato contro i due vampiri. Quello rimasto in vita, lasciò cadere il corpo inerte di Juliet per mettersi in salvo, ma uno dei cavalieri urlò qualcosa nella sua lingua a un altro, che si lanciò al suo inseguimento. Il vampiro venne raggiunto in pochi secondi e artigliato al collo da una frusta di cuoio. Con un verso strozzato, cadde a terra, cercando invano di strapparsela, mentre con tutta calma il beduino scendeva da cavallo. Continuando a tendere la frusta, con l’altra mano sguainò la spada, minacciando il vampiro; poi, con un violento strattone, lo costrinse ad alzarsi in piedi e a seguirlo.

Claire era troppo sconvolta anche solo per muovere un muscolo e quando le puntarono le armi contro, ebbe giusto la forza di sollevare le mani in segno di resa.
Intanto, un paio di uomini avevano caricato Juliet e Rachel sui cavalli per portarle via. Provò a gridare loro di lasciarle, ma ovviamente non la capivano e, anche se fosse, difficilmente l’avrebbero ascoltata. Comunque non si arrese e si alzò in piedi, con l’intento di fermarli, ma non ebbe il tempo di fare un passo che un dolore acuto alla testa la investì e tutto diventò nero.

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Capitolo 2
*** Risveglio - Parte 2 ***


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Risveglio (Parte 2)
 
Quando riaprì gli occhi, Rachel si ritrovò distesa su un terreno d’erba mista a terra. Intorno a lei una fitta distesa di alberi dai rami intricati, così tanto da impedire alla luce di entrare. Non ne era sicura, ma le sembrava di essere tornata nella foresta che circondava il castello di Bran e la paura tornò a farsi sentire. Cosa ci faceva ancora lì?
A fatica cercò di rimettersi in piedi, le gambe che tremavano leggermente. Comunque si sforzò di ignorare la cosa e pensò solo a salvarsi. Ricordava che il pozzo non era molto distante, così fece per correre, ma un fruscio poco lontano la paralizzò dove si trovava. Che fossero i vampiri, venuti a prenderla per riportarla in quella cella buia?
Doveva scappare, ma non riusciva a muoversi, come se avesse i piedi piantati nel terreno. Intanto i passi si facevano sempre più vicini, finché qualcuno non sbucò dai cespugli.

“Sei qui.” constatò una voce familiare. “Ti ho trovata finalmente.”

La vista di Mark le procurò un immenso sollievo. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma ogni suo movimento risultava lento e goffo.

Per fortuna, provvide lui a colmare la distanza. “Stai bene?” le chiese, preoccupato.

Rachel annuì, con il viso affondato nella sua spalla. Poi riuscì a farsi uscire la voce. “Dobbiamo andarcene da qui. Ho provato a scappare, ma…”

“Andarcene?” ripeté lui, fissandola interdetto.

“Sì, c’è un portale poco distante. Ci riporterà a Greenwood.” provò a spiegargli.

Mark però non sembrava ascoltarla. “Perché dovremmo andare via? Siamo a casa.”

Incredula che potesse davvero pensare una cosa simile, pian piano Rachel si rese conto di non avere di fronte la persona che conosceva. Mentre parlavano, il suo aspetto stava mutando, gli occhi diventavano rosso sangue e al di sotto delle labbra socchiuse riuscì a scorgere un paio di canini appuntiti.
Non fece in tempo a urlare perché, rapidi come un fulmine, i denti famelici di Mark si avventarono contro la sua gola, azzannandola tra capo e collo. Stranamente, però, Rachel non sentì dolore né la vita abbandonarla. Un battito di ciglia e si ritrovò in un ambiente completamente diverso, dove non c’era nulla. Ansante si portò una mano al collo, ma si accorse stupita di non avere nessun segno del morso né tantomeno sangue. Così, calmatasi un po’, diede un’occhiata intorno a sé per tentare di capire dove si trovasse, ma era circondata soltanto da un enorme spazio bianco e vuoto, dal quale sembrava impossibile uscire.
All’improvviso, sentì qualcosa in lontananza. La voce di una donna che si faceva sempre più vicina. Ascoltando meglio, capì anche cosa le stava dicendo. Voleva che si svegliasse e continuava a ripeterlo.

“Chi sei?” le venne da chiedere, mentre la voce insisteva. Si guardò intorno per cercare di individuarne l’origine, ma non vide nessuno. “Chi è che parla?”

Tutto quello che ottenne fu un sonoro: “Svegliati!”

E infatti Rachel si svegliò subito dopo, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto. Gli occhi le bruciavano per via del contrasto tra la penombra e la luce abbagliante del sole che li aveva colpiti in precedenza, perciò impiegò del tempo per capire dove si trovava. Sembrava una specie di tendone di tela, con al centro un grosso palo di legno che sosteneva tutta la struttura. In breve si accorse di non poter muovere le mani perché erano legate al palo stesso, così come quelle di Claire e Juliet accanto a lei, che però erano ancora svenute. La guancia colpita dal vampiro doveva essersi gonfiata e le pulsava terribilmente. Tentò di liberarsi con degli strattoni, prima di accorgersi di una strana donna dai capelli lunghi e neri, che dava loro le spalle, intenta a trafficare con qualcosa su un lungo tavolo di legno.
Senza fiatare, Rachel diede qualche colpo con la spalla a Claire, che però non servirono a niente.

“Non si sveglierà ancora per un po’.” l’avvertì la donna, senza voltarsi. Sebbene non si trovassero di sicuro in America, sembrava parlare bene la loro lingua, anche se con un forte accento straniero.

Dopo un attimo di smarrimento, Rachel si fece coraggio e l’affrontò. “Tu mi capisci?”

A quel punto, la donna si voltò a guardarla, accennando un sorriso. “Sono una dei pochi qui.”

Nonostante l’abbigliamento bizzarro, la trovava davvero molto bella. Era circa sui trent’anni, la pelle scura, con lunghi rasta neri raccolti da lacci e piume di colori diversi che le pendevano sulle spalle.
Addosso portava una sorta di casacca senza maniche in lana grezza e pantaloni dello stesso tessuto.
Dopo aver riposto il pestello, la donna si avvicinò tenendo una ciotola di legno, per poi chinarsi di fronte a lei e attingerne al contenuto con due dita. I ciondoli appesi ai braccialetti che portava su entrambi i polsi tintinnarono quando sollevò la mano.

“Stai tranquilla. È per il gonfiore.” La rassicurò, vedendo che si era ritratta non appena stava per toccarle il viso.

A quel punto, Rachel lasciò che gliela spalmasse sulla guancia, accorgendosi con piacere che era fresca a contatto con la pelle. Da quella distanza notò il filo di denti, forse di coccodrillo, che portava al collo.

“Vi hanno trovate che vagavate nel deserto. Da diverse ore, a giudicare dallo stato delle ustioni.” Le spiegò in tono pacato, mentre tornava al tavolo a prendere un altro impiastro, che le spalmò sulle braccia e sulle gambe. Poi fece lo stesso con Claire e Juliet.
Fu allora che a Rachel tornò in mente quello che era successo e istintivamente rivolse uno sguardo allarmato a Juliet, che ricordava fosse svenuta all’improvviso mentre fuggivano dai vampiri. Sembrava profondamente addormentata, anzi, per un istante pensò quasi al peggio, ma poi vide che respirava ancora e si tranquillizzò.

La sconosciuta parve intuire i suoi pensieri e volle rassicurarla di nuovo. “È ancora viva, anche se per miracolo. Se non avessi avuto l’antidoto adatto…”

“Antidoto?” chiese Rachel, senza capire.

Lei annuì, alzandosi in piedi. “L’arma che l’ha ferita era avvelenata e con una mistura alquanto potente.” spiegò.

“Fille de pute…” imprecò Rachel sottovoce. Per poco Juliet non ci aveva rimesso la vita a causa di quella pazza di Mary. Ora come ora, era talmente furiosa che se l’avesse avuta tra le mani non sapeva come sarebbe andata a finire. Per fortuna, lì accanto Claire si stava riprendendo e i suoi gemiti doloranti la distolsero da quei propositi di morte.
Dischiuse lentamente le palpebre e, proprio come era successo a lei, tentò senza successo di capire dove si trovasse, ripetendo uno ad uno tutti i suoi movimenti, fino ad accorgersi che era legata. Istintivamente cercò lo sguardo di Rachel, chiedendo mute spiegazioni che ovviamente lei non seppe darle.

“Bene, sei sveglia anche tu.” Constatò in tono di approvazione la strana donna, che a ben guardare sembrava una specie di sciamana. “Temo ci vorrà più tempo per la vostra amica.”

“Chi sei?” le chiese Claire titubante. Stava per farle altre domande sul perché fossero legate e cosa voleva da loro, ma lei intuì tutto in anticipo.

“Non abbiate paura. Non vi verrà fatto alcun male finché siete con me.” Sorrise, cercando così di rassicurarle.

Rachel però non si lasciò incantare. Ne aveva viste e passate fin troppe in quei mesi. “Come facciamo a saperlo? Non ci hai ancora detto chi sei e perché ci hai legate qui.”

Alle sue parole la donna tornò seria e annuì. “Avete ragione, è un vostro diritto. Il mio nome è Laurenne Aliseen e non sono stata io a legarvi. Per il momento, dovrete accontentarvi di sapere solo questo.”

Stavano per ribattere, ma l’arrivo di qualcuno nella tenda impedì loro di fare altre domande. Era un guerriero alto e ben piazzato, come quelli che avevano incontrato nel deserto, e appena entrato si mise subito a parlottare con Laurenne in quella loro lingua incomprensibile, forse arabo. Della conversazione riuscirono solo ad avvertire i toni, che sembravano lievemente concitati, e da ciò intuirono che i due dovevano trovarsi in disaccordo.
Alla fine, lui sembrò averla vinta perché smise di discutere e venne verso di loro. Rachel si ritrasse d’istinto, così come fece Claire accanto a lei, anche se entrambe sapevano benissimo di non poter andare da nessuna parte.

“State calme. Fate come vi dico e andrà tutto bene.” Cercò di rassicurarle la sciamana, mentre il guerriero slegava loro i polsi e le invitava a rialzarsi con dei modi alquanto poco ortodossi. Dopodiché, si chinò su Juliet, scuotendola con sempre minor delicatezza e ignorando le proteste di Laurenne, finché non riuscì a svegliarla.

Si spaventò non appena aprì gli occhi, ritraendosi di fronte al volto di quel perfetto sconosciuto dalla pelle scura e i tratti rudi, ma stranamente non gridò né chiese spiegazioni. Piuttosto non sembrava molto presente e, quando le amiche le chiesero come si sentisse, le guardò ma non rispose, come se si trovasse in un forte stato confusionale.
Dopo aver rimesso in piedi anche lei, il guerriero legò loro di nuovo i polsi, questa volta davanti, facendo poi cenno di precederlo verso l’uscita. Tuttavia, vedendole titubanti, Laurenne pensò bene di intervenire.

“Andate. Io sarò subito dietro di voi e quando arriviamo vi consiglio di lasciar parlare me.”

Andare dove? Avrebbe voluto chiederle Rachel, ma si trattenne. C’era qualcosa in quella donna che la spingeva a fidarsi. Forse semplicemente il fatto che finora fosse l’unica a parlare la loro lingua, ma anche perché aveva salvato la vita di Juliet senza neanche conoscerla. Così decise di darle retta e si incamminò con le amiche fuori dalla tenda.
Il sole era alto e la sua luce, accecante per essere rimaste al chiuso per diverso tempo, le costrinse a socchiudere le palpebre. La pelle invece era protetta dal cataplasma di Laurenne e non risentì del calore, che nonostante questo era a dir poco insopportabile per loro. Laurenne, come le persone che incontrarono lungo la strada, invece, sembrava completamente a suo agio in quell’ambiente.
Durante il tragitto, ebbero occasione di osservare il luogo in cui si trovavano: un grande accampamento, con tende di varie grandezze da cui entravano e uscivano persone vestite in modo simile al loro accompagnatore. Ciò che stupì Rachel fu che c’erano anche delle donne tra loro.
Mentre passavano, cercò di non far caso alle occhiate sospettose, a volte perfino ostili, che quella gente le rivolgeva e continuò a seguire il guerriero fino all’entrata di un’altra tenda, stavolta molto più grande della precedente. Si accorsero della sua ampiezza una volta dentro, quando trovarono almeno una ventina di guerrieri armati di tutto punto e impegnati in quella che sembrava una sorta di riunione militare. In principio non si accorsero del loro arrivo, finché quello che era con loro non le lasciò all’entrata per raggiungere i compagni. Si fece largo dicendo qualcosa in arabo perché lo lasciassero passare e poi sparì, come se lo avessero inghiottito.
Rachel restò ad aspettare con le altre che qualcosa si muovesse e dentro di sé sperava di ricevere delle risposte, sempre ammesso che le avrebbero fatte uscire vive da quella tenda. Di lì a poco, infatti, il vocio concitato dei guerrieri si placò e il gruppo si divise in due ali, lasciando che uno di loro in particolare potesse vederle. Apparentemente non aveva nulla di diverso dagli altri. Stesso abbigliamento, stesso fisico statuario, stessi capelli rasati a zero. Eppure, gli occhi castani che le scrutavano avevano qualcosa di magnetico.
Piegò la testa da un lato per ascoltare le parole che un altro accanto a lui gli stava sussurrando all’orecchio, senza comunque distogliere l’attenzione da loro.
Nel frattempo il vocio era ripreso, ma con un gesto della sua mano tornò la calma. In pochi passi coprì la distanza che lo separava dalle prigioniere, seguito solo da pochi compagni, mentre gli altri restavano al loro posto. Si piazzò davanti alle ragazze, studiandole attentamente per qualche istante.
Rachel lanciò un’occhiata di sottecchi a Laurenne, sperando che intervenisse, e invece anche lei mantenne il silenzio, come se stesse aspettando di venire interpellata. Cosa che infatti avvenne poco dopo.

Gli occhi scuri del guerriero si fermarono su di lei, prima che le chiedesse qualcosa nella loro lingua.

“No, non ne sono sicura. Devo ancora verificare.” Rispose Laurenne placida e inaspettatamente in inglese.

Anche lui non sembrava aspettarselo, perché la guardò con aria stranita, anche se cercava di non darlo a vedere. Tuttavia, il suo reale stato d’animo venne tradito dal tono che usò per farle un’altra domanda, alla quale Laurenne rispose anche questa volta in inglese.

“Quello che diciamo riguarda la vita di queste ragazze. Non penso sia giusto nasconderci dietro una lingua che non comprendono.” Spiegò in tutta calma.

“Queste straniere…” la interruppe un altro guerriero, lo stesso che prima sussurrava all’orecchio di quello che a quel punto avevano intuito fosse il capo, parlando in arabo e guardandole con disprezzo. “Non sappiamo chi sono e da dove vengono. Con tutta probabilità sono sporchi algul e tu ti preoccupi di farti capire da loro?”

“Non so ancora cosa sono. Come ho detto, devo controllare.” Ribatté Laurenne, cambiando tono e diventando più fredda. Si intuiva non provasse particolare simpatia per quell’uomo, che per tutta risposta la squadrò dall’alto in basso e, ignorando completamente le sue parole, tornò a parlottare con il compagno.

Lui sembrò rifletterci sopra, senza ancora pronunciarsi e la cosa impensierì Rachel che, pur non avendo capito un accidente, era preoccupata dalla piega che stava prendendo la situazione. Neanche Laurenne spiccicava parola, attendendo in silenzio che quell’uomo decidesse delle loro vite, e per un attimo si chiese se fosse stato davvero saggio affidarsi a lei.

Il capo, alzò di nuovo lo sguardo su Laurenne e questa volta si degnò di parlare una lingua comprensibile.
“Assicurati che non siano un pericolo. Poi decideremo cosa fare di loro.” le concesse, mentre alle sue spalle appariva evidente il disappunto del compagno.

-Quindi anche lui parla inglese. - pensò Rachel, nello stesso momento in cui Laurenne rispondeva.

“Sapevo che avresti fatto la cosa giusta, Qayid.” Disse accennando un sorriso soddisfatto. “Vado a prendere il necessario.”

Sia Rachel che Claire non erano molto entusiaste all’idea di rimanere sole con quei tizi, che le guardavano come se avessero la peste e probabilmente erano ansiosi di riservare loro la stessa sorte di quel vampiro nel deserto. Anche Juliet appariva impaurita, ma non cercò la vicinanza delle amiche e se ne restò in disparte, con la stessa espressione confusa di quando si era svegliata. Rachel attribuì quell’atteggiamento alla paura e non gli diede troppa importanza, impegnata com’era a pregare per il ritorno di Laurenne.
Non era trascorso molto tempo da quando aveva lasciato la tenda, ma a loro era sembrata un’eternità. Intanto, il capo aveva congedato il resto dei guerrieri, finché non era rimasto solo lui e il suo simpatico tirapiedi. Da quella distanza a Rachel saltò subito agli occhi il fatto che gli mancasse un pezzo di padiglione auricolare, come se gli fosse stato tranciato di netto, cosa che lo rendeva ancora più inquietante dal suo punto di vista.

“Da dove venite?” chiese a quel punto il capo in tono lievemente accusatorio. Era evidente quanto poco si fidasse della loro innocenza. “Che ci facevate nel deserto?”

Rachel allora provò a spiegargli in breve il motivo per cui erano finite a Bran, ma, consapevole che la verità fosse inevitabilmente legata a Dean, si inventò la storia di loro in vacanza che venivano catturate dai vampiri. In fondo, qualcosa di vero c’era. Lui rimase a osservarla per qualche istante, ponderando le sue parole. Forse stava cercando di capire se mentisse o meno, ma non ebbero il tempo di capirlo perché Laurenne tornò di lì a poco. Quando finalmente la videro ricomparire, aveva con sé una cassettina di legno intagliato e, prima di procedere, rivolse uno sguardo al capo, che annuì per darle il consenso. La sciamana allora si posizionò davanti a Rachel e aprì la cassetta, dalla quale trasse quello che in apparenza era un semplice sasso e che poi si accorse avere un’incisione sopra, una sorta di lettera cuneiforme. Laurenne la invitò a sollevare le mani legate ed estrasse una lama corta e sottilissima da una piega della veste. Senza alcun preavviso, le punse il dorso della mano destra e Rachel si ritrasse di scatto, non riuscendo a trattenere un gemito di dolore. Poi Laurenne mise la lama sopra il sasso e vi lasciò cadere qualche goccia del suo sangue, restando ferma a osservarlo mentre si distribuiva nella feritoia che componeva il simbolo sconosciuto. Per vedere meglio, sollevò la pietra, portandola all’altezza degli occhi.

Tutti pendevano dalle sue labbra, mentre concentrata studiava il comportamento del sangue di Rachel, che avrebbe tanto voluto chiederle cosa stesse combinando. Dopo qualche minuto, finalmente distolse lo sguardo e si rivolse di nuovo al capo. “Proprio come immaginavo. È umana.” confermò soddisfatta.

“Questo non significa che lo siano anche le altre.” Ribatté il guerriero con l’orecchio tagliato, che non aveva affatto l’aria di averle prese in simpatia.

Comunque, lei non diede segno di lasciarsi impressionare e attese solo il giudizio del capo, che annuì. “Vai avanti.”

Laurenne ripeté la stessa operazione prima con Claire e poi con Juliet, confermando ancora una volta che non si trattava di vampiri. A quel punto però, Juliet le lanciò un’occhiata indignata, come se la sua affermazione l’avesse gravemente offesa.

“Come osi sostenere che non sono un vampiro? Lo sono, eccome!” esclamò, lasciando sia Rachel che Claire nello sconcerto più totale.

“Ma che diavolo stai dicendo?” le chiese Claire, fissandola attonita. “Sei impazzita?”

Per tutta risposta, si vide rivolgere la stessa occhiata da Juliet, come se pensasse che fosse stata lei a impazzire di colpo. “Beth! Mi meraviglio! Che proprio da te debba sentire rinnegate le nostre origini…”

“Basta così!” intervenne il capo con voce tonante.

Sul volto di Claire si dipinse un’espressione indecifrabile, mentre il suo cervello tentava invano di elaborare le parole appena uscite dalla bocca dell’amica.

“Jamaal, io…” cercò di giustificarsi Laurenne.

Lui però non la fece finire. “Cos’è questa storia? Hai detto che sono umane.”

“Lo sono, infatti. La ferita della ragazza può confermarlo. Se fosse stata un vampiro, si sarebbe rimarginata in poco tempo e invece quando sono arrivate era ancora aperta.” Spiegò pratica. “Inoltre, era infettata dal veleno e se non le avessi dato l’antidoto non sarebbe sopravvissuta. Guarda qui…”

Per confermare la sua teoria, si avvicinò a Juliet e sollevò un lembo della fasciatura che le aveva fatto nella tenda, allo scopo di mostrargli la ferita ancora evidente, ma tutto si sarebbe aspettata fuorché di vedere al suo posto soltanto una lieve cicatrice. Incredula, la sciamana indietreggiò di due passi, lo sguardo fisso sul taglio ormai quasi completamente rimarginato. “Non capisco…”

“Che c’è da capire? È un algul, per questo la ferita è scomparsa.” osservò l’altro guerriero in tono accusatorio.

“No! Le rune non mentono!” ribatté lei infervorata. “Il suo sangue non ha corroso la pietra perché non è infetto dal veleno dei vampiri.”

In qualche modo si ritrovarono faccia a faccia. Laurenne era mingherlina in confronto a lui, ma gli teneva testa senza paura. “Non sei infallibile. Così come le tue rune.” La sfidò, parlando a denti stretti.

“Tareq!” intervenne a quel punto il capo, rivolgendosi per la prima volta al compagno in tono autoritario.
“Mantieni la calma.” gli impose poi con meno enfasi, nella loro lingua madre.

L’uomo sembrò ascoltarlo e si quietò, pur continuando a guardare Laurenne e le sue protette con astio.
A quel punto, Jamaal si rivolse direttamente alle ragazze e chiese loro da dove venivano e come avevano fatto ad arrivare nel deserto. Quando risposero di aver attraversato un portale situato a Bran, sul volto di Tareq si dipinse un’espressione di trionfo, che Laurenne si impose visibilmente di ignorare.

“Jamaal, sai che non posso essermi sbagliata.” sostenne, cercando di contenere l’irritazione. “Dev’esserci una spiegazione e ho intenzione di trovarla.”

“E come?” le chiese con aria attenta.

Lei sospirò, cercando le parole adatte. “Permettimi di tenere le ragazze con me. Per studiarle…”

Tareq però le impedì di continuare, partendo subito come un treno. “Questa è follia! Che ti salta in mente, donna?”

Anche Jamaal si mostrò titubante di fronte alla richiesta, ma con un movimento del braccio gli fece comunque cenno di placarsi, stavolta non ottenendo obbedienza.

“Non conosciamo la vera natura delle straniere, quindi sono indegne di chiedere asilo alla tribù. Di certo non devo ricordarti le nostre regole.”

“No, infatti. Non devi.” ribatté Jamaal serio. Poi rimase un momento in silenzio a riflettere, prima di rivolgersi a Laurenne. “Parleremo ancora di questo.” Le comunicò. “In privato.” aggiunse poi, stroncando sul nascere la replica di Tareq. “Nel frattempo, le straniere passeranno la notte in cella. Per la sicurezza di tutti.”

Detto ciò, mandò a chiamare le guardie, in attesa fuori dalla tenda.

Laurenne annuì, accettando senza fiatare le sue disposizioni, e non si oppose quando le ragazze vennero portate via. Rivolse un’occhiata fulminante a Tareq, prima di avvicinarsi a Rachel. “Non resterete a lungo in quel buco. Vi do la mia parola.” Promise. Poi la guardia portò via la ragazza con uno strattone e rimasero di nuovo soli.

Non passò molto tempo perché Tareq tornasse di nuovo alla carica. “Non penserai sul serio di lasciarle vivere? Gli uomini hanno riferito di averle trovate insieme a due algul. Potrebbero essere spie del nemico…”

“Hai detto bene. Potrebbero.” Annuì Jamaal, tornando alla loro lingua natia. “Secondo Zakariya, i vampiri sembravano ostili verso di loro.”

“E la ragazza bionda?” insistette lui. “L’hai sentita mentre ammetteva di essere un vampiro.”

“Quella povera ragazza è stata avvelenata, senza contare che ha passato chissà quante ore nel deserto. Non credi che abbia il diritto di sentirsi confusa da tutta questa situazione?” si accalorò Laurenne, ormai stufa di quel suo atteggiamento.

Tareq sbuffò con aria sarcastica, ma Jamaal lo frenò prima che potesse ribattere.

“Laurenne ha controllato e le rune non mentono. È umana.” la difese. “La ragazza potrebbe aver perso la ragione per il caldo e io non posso certo condannarla per questo. O mi stai forse suggerendo di mandare a morte un’innocente solo sulla base di un sospetto?”

Tareq però non sembrava voler demordere. Era evidente quanto la questione gli stesse a cuore, così cercò un appiglio alternativo. “Questa decisione non riguarda solo l’esercito, ma l’intero villaggio, quindi non spetta a te prenderla. Gli anziani dovranno essere informati.”

A quel punto, la mascella di Jamaal si contrasse leggermente. “È la seconda volta che mi impartisci lezioni sulle nostre leggi. Pensi che mi si sia annebbiato il cervello e le abbia dimenticate?” gli chiese, visibilmente in collera. “Andrò dagli anziani di persona. Intanto, tu occupati del prigioniero e assicurati che canti, prima della sua esecuzione.”

Il suo tono non ammetteva repliche e parve convincere Tareq, che per tutta risposta si batté il pugno destro sul petto e lasciò la tenda.

“Grazie.” sospirò Laurenne, rivolgendo a Jamaal uno sguardo riconoscente.

“Aspetta a ringraziarmi. Tareq non ha tutti i torti.”

Laurenne stava per insistere, ma lui la fermò con la mano. “È una questione delicata e prima di prendere una decisione devo discuterne con gli anziani. Potrai vedere le prigioniere ogni volta che vorrai, ma per ora rimarranno in cella.” sentenziò, ponendo definitivamente fine al discorso.

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Capitolo 3
*** Risveglio - Parte 3 ***


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Risveglio (Parte 3)

Sedute per terra, in una specie di prigione ricavata da una casupola di sabbia e fango, Rachel e Claire attendevano che Laurenne tenesse fede alla sua promessa di tirarle fuori. Erano già trascorse alcune ore da quando erano lì, ma Rachel non aveva smesso un attimo di pensare alle parole pronunciate da Juliet davanti a quegli uomini e d’istinto le lanciò un’occhiata di sottecchi. Era seduta compostamente sull’unica panca di legno esistente, la schiena dritta come un fuso e le gambe inclinate da un lato con eleganza. Sembrava come se provasse repulsione per quel luogo e non osasse muoversi, per paura di toccare qualcosa. Aveva la loro stessa aria spaesata ed era incapace di darsi una spiegazione su dove si trovasse. Fin qui niente di strano, ma Rachel aveva l’impressione che ci fosse dell’altro.

“Juls.” La chiamò, dando per scontato che la sua attenzione si sarebbe spostata su di lei. Juliet invece non mosse un muscolo, continuando a fissare il vuoto con quell’espressione meditabonda.

“Juliet.” provò di nuovo, stavolta usando il suo nome per intero.

Quando finalmente si degnò di guardarla, sembrava come se avesse intuito a chi si stesse rivolgendo, senza però riconoscersi in quel nome. “Chiedo scusa, ti riferisci a me?” chiese infatti poco dopo.

“No, a mia nonna.” ribatté Claire sarcastica. “Si può sapere che diavolo ti prende? Il caldo ti ha dato alla testa?”

“Beth, ti sembra questo il modo di rivolgerti a tua sorella maggiore?” chiese lei offesa.

Rachel e Claire, basite, si voltarono lentamente per guardarsi, entrambe con la stessa espressione confusa sul volto.

La prima a riprendersi fu Claire. “Scusami?”

Juliet però parve ignorarla, prendendo a sventolarsi con la mano. “È lecito sapere dove siamo? Qui il caldo è davvero soffocante. Non fa bene alla pelle.” Sbuffò spazientita. “E poi per quale strano motivo non abbiamo indosso i nostri abiti? Ho l’impressione di essere nuda.” Con aria pudica si portò una mano sul seno, coprendosi quel poco che la sua maglietta strappata lasciava scoperto.

A quel punto, Claire guardò Rachel nuovamente. “Okay, è andata. Quella sciamana deve averle dato qualcosa che le ha spappolato il cervello.”

Rachel dal canto suo stava cercando di trovare una spiegazione logica a quella follia e la ascoltava a malapena. Gli ingranaggi nella sua testa avevano iniziato a lavorare da quando Juliet aveva pronunciato quel nome. “Beth…” mormorò tra sé, mentre rifletteva.

Claire si ammutolì. “Cosa?”

“È la seconda volta che ti chiama così. Beth.” Spiegò lei. “Starà per…Elizabeth?”

Quel nome provocò in Claire una reazione immediata, ma non fece in tempo ad aggiungere nulla che Rachel era già partita alla carica. “Chi è Beth?” chiese a Juliet a bruciapelo.

Dopo un attimo di silenzio, sull’espressione altezzosa di Juliet si dipinse un sorriso, che ben presto sfociò in una risata.
Rachel e Claire tornarono a guardarsi, sperando inutilmente di trovare spiegazioni l’una nel volto dell’altra e, quando ormai credevano che l’amica fosse impazzita del tutto, lei sembrò riprendersi. “Uno scherzo davvero divertente, Meg. Avevi l’aria talmente determinata che per un momento ho creduto…”

“Meg?” la interruppe Rachel, che iniziava a preoccuparsi sul serio. “Ma di chi stai parlando? Chi…chi sono queste persone?”

Presa alla sprovvista, Juliet smise di ridere e videro la sua espressione divertita tramutarsi lentamente in panico. I suoi occhi impauriti si spostarono rapidi da una all’altra. “Non mi piace questo gioco.” Mormorò.

“Non siamo noi a giocare.” rispose Claire. “Juls…Che ti prende?”

La reazione che ebbe subito dopo le lasciò incredule. “Non so chi sia questa Juls che continui a ripetere! Il mio nome è Cordelia della famiglia Danesti, nipote del principe Danesti e duchessa di Bran, nonché promessa sposa del visconte Von Eggenberg!” ribatté indignata e, mentre elencava con orgoglio tutti i suoi titoli, la lampadina che prima si era accesa nella mente di Claire emise un bagliore improvviso.

“Frena, frena! Hai detto Cordelia?” la interruppe.

“Sì, esatto. Cordelia Danesti.” confermò lei in tono fiero.

A quel punto tutti i pezzi del puzzle tornarono al loro posto e Claire ebbe la risposta. Presa da parte Rachel, la mise subito al corrente delle sue conclusioni. “Ricordi quando vi raccontai dei miei incubi?”

Lei annuì, senza però trovare un nesso, ma Claire proseguì prima che la interrompesse. “All’epoca non sapevamo ancora di Dean e non volevo che mi credeste una psicopatica più di quanto non sembrassi già. Vi dissi solo che Elizabeth aveva due sorelle, molto somiglianti a voi, e a quanto pare ora Juliet è convinta di essere una di loro.”

“E allora?” fece Rachel impaziente. Non vedeva l’ora che arrivasse al punto.

Claire si affrettò. “Ebbene, non ho specificato che le sorelle erano anche dei vampiri. Una volta le ho viste azzannare un tizio in una cella, prima di svegliarmi in preda al panico.”

“Ecco spiegato perché Juliet dice di essere un vampiro.” Rifletté Rachel. “E Meg? Mi ci ha chiamata prima…”

“Si riferisce all’altra sorella, la maggiore delle tre, e mi pare di ricordare che tra lei ed Elizabeth non corresse buon sangue.” le chiarì.

Rachel annuì, mentre rifletteva sulle sue parole. Aveva intuito il collegamento con Elizabeth da quando Juliet aveva pronunciato il suo nome la prima volta. Certo, non avrebbe mai potuto immaginare tutto questo.

“Senti, questa storia è assurda. Capisco il caldo e tutto il resto, ma quando eravamo nel deserto Juliet era in sé. Deve essere successo qualcos’altro nel frattempo...” ragionò.

“La sciamana ha detto di averla curata con un antidoto. Magari dentro c’era un’erba o chissà cos’altro che l’ha fatta impazzire.” ipotizzò Claire.

A Rachel però quella teoria non convinceva. Era plausibile che il forte caldo potesse averla destabilizzata, ma fino al punto di credersi un’altra persona? E soprattutto qualcuno che Claire aveva sognato tempo prima e che probabilmente aveva a che fare con quel maniaco di Nickolaij. No, c’erano troppi collegamenti per continuare a credere che tutta la faccenda fosse casuale.

“Chiedo scusa.” Si intromise allora quella che ormai non era più Juliet. “Mi duole interrompervi, ma una di voi sarebbe così gentile da spiegarm…” All’improvviso smise di parlare, mentre un’espressione sempre più sconvolta si dipingeva sul suo viso, tanto da far temere che si stesse sentendo male. “Oh Santo Cielo!” esclamò, mettendosi una mano sul cuore.

“Che c’è?” chiese Claire allarmata, avvertendo la sua attenzione addosso. Poi, senza alcun preavviso, Cordelia si fiondò verso di lei, prendendole il viso tra le mani e guardandola come se non credesse ai propri occhi.

“Beth…” mormorò in lacrime. “Oh Beth! I tuoi capelli. I tuoi splendidi capelli neri! Chi ti ha fatto questo?” L’abbracciò, continuando a piangere mentre le accarezzava la nuca scapigliata.

Incredula e allo stesso tempo infastidita, Claire cercò di scollarsela di dosso. “Piantala! E togliti…” La situazione stava davvero degenerando, per non dire che rasentava il ridicolo. “Okay, senti. Non vorrei urtare la tua sensibilità, ma io non sono Elizabeth, lei non è Margaret e mi pare chiaro che tu non sei Cordelia. O meglio lo sei, ma non dovresti esserlo.” Sbottò esasperata. “Quando ti decidi a mettertelo in testa?”

“Per fortuna che non volevi offenderla.” Ironizzò Rachel, mentre Cordelia tentava di ritrovare il contegno.

Visibilmente scossa, ebbe solo il tempo di blaterare “Mi occorrerebbe un fazzolettino”, che la porta della prigione si aprì e Laurenne si affrettò a entrare, chiudendosela poi alle spalle.

Dopo aver chiesto come si sentissero, mostrò loro un sacco, da cui iniziò a tirare fuori del pane e della frutta. “Vi ho portato qualcosa da mangiare.” disse sorridente, nel tentativo di tirarle su di morale.

Mangiarono tutto e a sazietà, senza fare troppi complimenti e, mentre si riempivano lo stomaco, Laurenne le mise al corrente delle ultime novità che le riguardavano. “Domattina presto Jamaal discuterà con gli anziani del vostro problema, ma non so dirvi quando ci daranno una risposta. Quindi dovrete resistere ancora per un po’.”

“Qui dentro?” chiese Claire affranta.

Laurenne non confermò a voce, ma la sua espressione bastava come risposta. “Mi dispiace. Ho cercato di convincerlo a lasciarvi stare a casa mia finché non verrà presa una decisione, ma per vostra sfortuna era presente anche Tareq...”

“Quell’uomo odioso?” la interruppe Rachel infervorata. Non era riuscita a capire granché di quello che aveva detto, ma dal tono che aveva usato e considerando come erano andate le cose doveva sicuramente essere stato lui a spingere perché le imprigionassero. “Si può sapere perché ce l’ha tanto con noi? Non ci conosce nemmeno.”

Laurenne emise un sospiro rassegnato, mentre si sedeva a terra. “Lui non ha niente contro di voi in particolare, solo contro i vampiri.”

“E noi non lo siamo. Mi pare che tu glielo abbia dimostrato.”

“Sì, ma continua a dubitarne per via della vostra amica.” chiarì Laurenne.

“A proposito di questo.” Esordì Claire. “Nel deserto Juls era se stessa. Ha cominciato a sragionare da quando siamo arrivate qui.”

Laurenne sembrava confusa dalle sue parole, così Rachel provvide a spiegarle ciò che l’amica stava insinuando. “Non si tratta solo di sragionare. È convinta di essere un’altra persona e pensiamo che il tuo antidoto abbia avuto degli effetti su di lei. Che cosa c’era dentro?”

“Un’altra persona?” ripeté Laurenne disorientata. “Aspetta un momento. Quell’antidoto era soltanto un miscuglio di erbe curative, non avrebbe mai potuto provocare un effetto del genere.”

“Ma guarda caso si è svegliata così dopo averlo bevuto. Non pensi che sia un po’ strano?” chiese Claire in tono accusatorio.

Laurenne annuì. “Certamente lo è, ma dubito che il mio antidoto c’entri qualcosa. Te lo posso assicurare.” si difese.

“E allora non potrebbe dipendere dal veleno?” ipotizzò Rachel, dando fiato a ciò che stava pensando ormai da un po’. “Forse si è trattato di una specie di reazione…”

La sciamana rifletté in silenzio per un po’, prima di scuotere la testa per nulla convinta. “Ne dubito. Ho esperienza di veleni e non mi è mai capitato di vederne uno agire in questo modo. Qui si tratta di un cambiamento più interiore che fisico.” ragionò. “E poi il fatto che la ferita sia guarita per effetto del veleno stesso mi sembra una contraddizione. No, di sicuro c’è qualcosa che ci sfugge. Hai detto che crede di essere un’altra persona. Chi?”

Cordelia sbuffò. “Cordelia Danesti, duchessa di Bran.” ripeté seccata.

Laurenne la guardò, colpita. “Danesti hai detto?” chiese e, quando lei annuì orgogliosa, rimase in silenzio a riflettere.

Claire però non resistette a lungo, l’attesa era frustrante, così non riuscì più a tacere. “Sì, ma che significa? Perché crede di essere Cordelia Danesti?” Tutto quel parlare a rate la stava decisamente irritando.

“Non so dirvi perché la vostra amica si comporti così. Se sia stato il veleno o altro. L’unica spiegazione che posso darmi è che ci sia un collegamento tra lei e la duchessa.” Ribatté Laurenne con pazienza.

Rachel e Claire non sapevano cosa dire. Le parole di Laurenne avevano, se possibile, confuso loro ancora di più le idee.
Un uragano di pensieri si era scatenato nella mente di Claire. Un conto era che lei fosse in qualche modo legata a Elizabeth, ma adesso anche le sue amiche? Era tutto troppo strano. E poi perché il nome Danesti aveva fatto impensierire Laurenne? Aveva capito che sapeva qualcosa su di loro, ma allora perché non si decideva a dare delle spiegazioni?

Lei sembrò captare dall’espressione che fece la sua muta domanda e si apprestò a raccontare ciò che sapeva.
“Nel quindicesimo secolo, il clan Danesti era il più importante di tutta la Romania. Gli altri clan di vampiri erano sottomessi al suo potere e l’intero territorio romeno era sotto il suo dominio.”

“Precisamente.” Approvò Cordelia. “Il mio nobile zio è a capo dei diversi clan e mia sorella Margaret prenderà il suo posto quando sarà giunto il momento.” Spiegò con orgoglio, prima di addentare l’ultimo dattero.

Laurenne e le ragazze annuirono senza scomporsi, sorvolando sul fatto che parlasse al presente, come se in quel momento si trovassero in una delle sale del suo palazzo a prendere il tè.

“Sì…Ma questo non ci aiuta a capire in base a cosa lei e Juliet siano collegate.” Disse Rachel, riferendosi al discorso di Laurenne e ignorando deliberatamente l’uscita di Cordelia.
Che tipo di legame poteva esserci tra una donna vissuta più di cinque secoli prima in Romania e una ragazza del Montana che ne aveva passate di tutti i colori? Il ragionamento la portò a ipotizzare che Bran potesse essere la chiave. Cordelia aveva vissuto a Bran e loro erano scappate proprio da quel posto, poco prima di finire nel deserto. Ora restava da capire quale fenomeno avesse fatto scattare in Juliet quel cambiamento, anche se il solo pensiero la faceva sentire a sua volta una povera pazza.
Già il semplice fatto che si trovasse in quella prigione a parlare tranquillamente di cambi di personalità con una sciamana del deserto aveva dell’incredibile, ma del resto avrebbe potuto dire lo stesso della sua vita in quegli ultimi mesi.

Laurenne sospirò. “Vedrò di fare delle ricerche. Abbiamo dei tomi che parlano degli albori della nostra storia che per un periodo si è intrecciata con quella dei Danesti. Anch’io voglio arrivare a capo di questo mistero.”

Detto questo, si alzò e fece per andarsene, ma Rachel la fermò prima che uscisse dalla cella. “Che succederà se gli anziani non daranno a Jamaal il permesso per farci restare?”

Lei e Laurenne rimasero a fissarsi, poi lei sospirò. “Non voglio mentirvi. La vostra amica è guarita troppo in fretta per un essere umano e questo ha destato sospetti. Secondo le rune è umana, ma nel caso sbagliassero esiste solo un altro modo per capire se sia o meno un vampiro.”

“Cioè?” Claire alzò un sopracciglio, sentendo a malapena Cordelia che le chiedeva “Li mangi quelli?” indicando i suoi ultimi datteri rimasti.

Lo sguardo serio di Laurenne si soffermò prima su di lei e poi su Cordelia, che ricambiò intimorita. “Dobbiamo farle bere del sangue umano e stare a guardare. Se i suoi canini si allungano e i suoi occhi diventano rossi, allora…”

Il silenzio calò sui presenti e Claire deglutì. Ricordava bene l’ultima volta che aveva visto qualcosa del genere, quando Dean aveva bevuto quella boccetta di sangue nel fienile dei Weaver. Prima ancora, aveva visto le stesse iridi iniettate di sangue sulla faccia di quel vampiro che li aveva uccisi davanti a lei e avrebbe potuto giurare di non aver mai assistito a scena più raccapricciante.

“Le nostre leggi però consentono tale pratica solo in casi estremi, perché si rifà alle abitudini dei vampiri. L’idea mi ripugna, quindi spero che gli anziani non arrivino a tanto.” aggiunse Laurenne con aria avvilita.
“Ora sarà meglio che vada. Parlerò a Jamaal di quello che è successo a Juliet. Potrebbe essere un argomento a vostro favore.”

“C’è un’altra cosa che Jamaal dovrebbe sapere.” aggiunse Rachel guardandosi con Claire, che annuì, incoraggiandola a proseguire. Erano consapevoli che chiedere troppi favori in una volta fosse azzardato, ma la preoccupazione per la sorte dei ragazzi era tale da non poter aspettare oltre. “Tre nostri amici sono rimasti al castello, prigionieri dei vampiri. Non sappiamo cosa gli sia capitato, se stanno bene, se sono ancora…” tentennò, evitando di dar voce a quel pensiero. “Abbiamo bisogno di aiuto per tirarli fuori da lì.”

All’inizio Laurenne sembrò sorpresa da quella novità, ma ci mise poco a razionalizzare i pensieri. “Capisco che siate in ansia per loro, dovete credermi, ma sarà meglio occuparci di una cosa alla volta. Prima liberiamo voi, poi penseremo ai vostri amici.”

Rachel e Claire annuirono, cercando di mantenere la calma. In fondo, loro stesse si trovavano in una posizione delicata e avere una lieve speranza di poter uscire da lì significava già tanto.

“Grazie per quello che stai facendo.” disse Rachel sincera. In fondo, per lei erano delle perfette estranee e per di più una possibile minaccia per il suo villaggio, eppure le stava aiutando come se le conoscesse da sempre.

Dalla soglia della prigione, Laurenne le rispose con un sorriso benevolo. “È mio dovere. Tornerò domattina con altro cibo e spero buone notizie.”

La osservarono mentre veniva inghiottita dal crepuscolo, senza dire una parola.  Dopo un po’ Cordelia assunse un cipiglio pensieroso. “Io spero che porti altri di quei frutti. Erano davvero deliziosi.”
Claire sbuffando la ignorò e andò a sedersi su uno dei giacigli che avevano come letti. Era troppo stanca anche solo per replicare.
Rachel la imitò, ma quando sentì la serratura della cella scattare, rifletté sulla domanda posta a Laurenne su quale sarebbe stata la loro sorte nel caso gli anziani avessero deciso di non fidarsi e il fatto che le avesse risposto solo in parte la inquietava. Probabilmente perché neanche lei conosceva la risposta e questo non fece che metterle addosso ancora più ansia.

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Capitolo 4
*** La terra dove sorge il sole - Parte 1 ***


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Capitolo 2 - La terra dove sorge il sole (Parte 1)

 
 
Come promesso, la mattina dopo Laurenne tornò con altro cibo, ma con nessuna nuova. Disse che ci voleva tempo prima che gli anziani raggiungessero un accordo e che dovevano avere pazienza. Cosa non facile, visto che in quel tugurio il tempo sembrava non passare mai e la pazienza non era certo una delle qualità di Rachel. Assurdo come non avessero fatto del male a nessuno, anzi, fossero loro le uniche perseguitate, eppure in pochi giorni fossero passate da una prigione all’altra.
Prima Bran, ora lì. Certo, non avrebbe mai potuto paragonare la situazione attuale con quella di allora. Almeno adesso, grazie a Laurenne, avevano qualche chance di tornare in libertà. In cuor suo pregava con tutte le forze che, una volta fuori, Jamaal le ascoltasse, perché non poteva sopportare il pensiero di Mark prigioniero di quei mostri. Non avere idea di cosa gli fosse successo la terrorizzava e restare in quelle quattro mura senza poter far niente era davvero frustrante. Se non si decidevano a farle uscire, sarebbe impazzita.
Claire, invece, non sembrava particolarmente in ansia. Chiacchierava con Cordelia, cercando di scoprire di più su di lei e le sue sorelle. Rachel non capiva come riuscisse a non preoccuparsi per Cedric e questo la infastidiva, anche se a pensarci meglio sapeva benissimo quanto fosse abile a nascondere le proprie emozioni. Probabilmente quello era solo un modo per distrarsi.

“Prova a fare uno sforzo. Come puoi essere qui, se sei morta secoli fa? Perché ti ricordi di essere morta, vero?” le domandò Claire nel tono più gentile che riuscì a tirare fuori.

Cordelia esitò, evidentemente frastornata dalla domanda. “Sì, è vero…” mormorò con lo sguardo perso nel vuoto. D’istinto si strinse una mano all’altezza del cuore, come se stesse rivivendo quel momento. Poi tornò di nuovo a guardarle. “È vero, sono morta. Ma non ho idea del perché io sia qui adesso.”

Claire sospirò delusa. Avrebbe gradito che ricordasse qualcosa in più, ma evidentemente ci sarebbe voluto parecchio tempo per rimettere insieme i pezzi. L’espressione afflitta di Cordelia le fece capire quanto fosse dispiaciuta di non poterle aiutare e provò tenerezza nei suoi confronti. “Dai, vedrai che ne verremo a capo.” cercò di rassicurarla.

Gli occhi verdi di Juliet si posarono su di lei e la guardarono intensamente. “Quindi è proprio vero.” constatò malinconica. “Tu non sei Elizabeth.”

“Mi dispiace.” Claire scosse la testa. “Però so chi è, o meglio chi era. Ho fatto dei sogni su di lei…su di voi.” Si corresse.

“Parli sul serio?”

“Credo di essere collegata a Elizabeth, in qualche modo.” le rispose. “Mi rivedo spesso in lei nei miei sogni.”

“Non stento a crederlo. Siete identiche.” osservò Cordelia.

Claire annuì. Era proprio quello il punto. “Per caso, ricordi se avesse avuto dei figli? Magari sono una sua discendente.”

“Santo cielo, no!” ribatté lei, lasciandosi sfuggire una risatina. “Non era nemmeno sposata. Sarebbe stato uno scandalo.”

Dentro di sé Claire imprecò. Quella era stata la prima spiegazione che si era data riguardo al suo legame con Elizabeth e fino a quel momento l’unica plausibile.

“Aveva un corteggiatore.” continuò Cordelia pensierosa. “Beh, un amante più che altro. Se solo riuscissi a ricordare di più…”

Claire immaginò che stesse parlando di Nickolaij, ma preferì tenerselo per sé. Non voleva causarle ulteriori traumi, ricordandole cosa aveva fatto quel mostro a lei e alla sua famiglia. “Tranquilla, non importa. Forse ti verrà in mente più avanti.”

Dall’angolo in cui era seduta, Rachel le ascoltava con scarso interesse, presa com’era dai suoi voli pindarici su Mark prigioniero a Bran. Quando la mattina del terzo giorno un paio di uomini vennero a prenderle, aveva perso quasi completamente la cognizione del tempo.
Insieme alle altre si lasciò portare fuori senza protestare. Sentire per la prima volta l’aria sul viso, anche se calda, dopo tre giorni passati in quella cella puzzolente fu un vero sollievo. Si sentiva sporca e sudaticcia, ma sperare che le portassero in un posto decente dove lavarsi e rifocillarsi era a dir poco impensabile. Provò a chiedere dove fossero diretti, ma si rese subito conto che quei due non parlavano una parola della sua lingua. Erano semplici esecutori.
Vennero trascinate a forza lungo la strada che percorreva il villaggio e durante tutto il percorso le persone non facevano che bisbigliare e indicarle, finché non raggiunsero lo stesso tendone in cui le avevano condotte poco dopo il loro arrivo.
Dentro trovarono Jamaal con a fianco Laurenne e fortunatamente niente Tareq. Forse senza lui presente avrebbero avuto maggiori possibilità di cavarsela.

Senza perdere tempo, Jamaal venne subito al sodo. “Dunque. Laurenne mi ha raccontato quello che le avete detto e io ho parlato della vostra storia agli anziani.” le informò, mantenendo un’aria seria e formale. “Dopo lunga riflessione, abbiamo raggiunto un accordo.”

Fece una pausa, in cui sia Rachel che Claire rimasero a fissarlo piene di ansia. Pendevano dalle sue labbra e non vedevano l’ora che si decidesse a parlare.

“La duchessa può restare. Laurenne si occuperà di lei e proverà a capire cosa le è successo. Quanto a voi, i miei uomini vi scorteranno di nuovo a casa vostra.” sentenziò.

Il cuore di Rachel perse un battito e sentì Claire accanto a lei reagire nello stesso modo. Quindi era così che doveva finire? Loro due a casa, mentre Juliet sarebbe rimasta lì? No, non lo avrebbe permesso. Stava per dire la sua, ma Claire la batté sul tempo.

“Puoi scordartelo!” si oppose infervorata, senza preoccuparsi delle conseguenze. “Non ce la lascio qui da sola, non esiste! Potete anche tenerci rinchiuse a vita, ma noi restiamo qui.”

Di fronte a lei, Jamaal la fissò perplesso e visibilmente sorpreso dalla sua reazione. Ma si riprese quasi subito. “Ormai la decisione è presa. Non sono ammesse repliche.”

“Allora ci state condannando a morte.” replicò Rachel in tutta calma.

“Che vuoi dire?” le chiese incuriosito.

Soltanto Claire riuscì ad accorgersi del leggerissimo ghigno di trionfo che si era dipinto sul volto dell’amica, prima che si spiegasse meglio. “Noi veniamo dal Montana e stiamo scappando dai vampiri da quando hanno invaso la nostra città. A quest’ora gli abitanti saranno stati già tutti trasformati, se non peggio. Mandarci laggiù equivarrebbe all’omicidio.”

In quei giorni aveva avuto modo di pensare a molte cose, tra cui quella. Visto che Laurenne non aveva saputo dir loro granché sul destino che le avrebbero riservato, il suo cervello si era messo in moto per cercare qualcosa da giocare come ultima carta. Sperava solo che quell’argomento potesse essere abbastanza convincente.
Dal canto suo, Claire era colpita. Come al solito, Rachel si era dimostrata molto furba e aveva tirato fuori un asso nella manica che forse avrebbe potuto convincerli a farle restare. Se non fosse stato fuori luogo, l’avrebbe abbracciata.
Dall’espressione concentrata di Jamaal, era evidente quanto stesse seriamente riflettendo sulle sue parole.

“Questo potrebbe essere un problema.” Ammise, appoggiandosi al grosso tavolo al centro della tenda. Poi si coprì il viso con la mano, smettendo per un momento di guardarle.

“Affidale a me.” proruppe Laurenne d’un tratto, attirando nuovamente la sua attenzione. “Saranno sotto la mia protezione, me ne assumo la piena responsabilità.” continuò, sicura di sé.

Per qualche istante il silenzio scese sui presenti. Jamaal spostò lo sguardo da lei alle ragazze, studiando il da farsi. Era evidente quanto poco l’idea lo entusiasmasse e sia Rachel che Claire si facevano ben poche illusioni sul fatto che accettasse di lasciarle con Laurenne. Infine, si staccò dal tavolo e la raggiunse. Il volto serio come non mai. “Se succede qualcosa, qualunque cosa, sarà tua la colpa. Intesi?” le mormorò praticamente all’orecchio, anche se erano così vicine da riuscire a sentirlo. Non suonava come una minaccia, ma bastava a far capire loro che dovevano stare attente.

Laurenne lo ascoltò impassibile, prima di annuire con decisione e, ormai sicure di poter restare, Rachel e Claire si strinsero sollevate in un abbraccio.

“Grazie.” disse Claire a Jamaal, rivolgendogli un sorriso di gratitudine. “Davvero.”

Lui rispose con un breve cenno della testa. Poi, finalmente libere, uscirono dalla tenda accompagnate da Laurenne.

“Non so come ringraziarti.” le disse Rachel riconoscente. “È tutto merito tuo se siamo ancora insieme.”

Lei sorrise. “È stato un piacere. Ora però sarà il caso che vi facciate un bagno. Avete un aspetto orribile.”

“Oh, sia benedetto il cielo, sì!” esultò Cordelia, entusiasta all’idea.

“Vi porterò in un posto dove potrete lavarvi, ma prima sarà meglio comprare dei vestiti puliti.”

Durante il tragitto, passarono in mezzo a un viavai di persone che si affaccendavano presso le botteghe e le case del villaggio, in un gran vociare misto alle grida divertite di alcuni bambini che giocavano inseguendo un pallone.
Laurenne non faceva altro che salutare chiunque incontrassero, scambiando qualche parola e il più delle volte annuendo con un sorriso.

Mentre la osservava, Claire arricciò le labbra pensierosa. “Però…Sembra che qui tutti ti portino rispetto. Sei una persona importante.”

Lei annuì. “Sono la gran sacerdotessa di Shamash, il dio Sole. In più mi occupo della sicurezza del villaggio e della salute di questa gente.” spiegò, interrompendosi un momento per salutare una donna e fare una carezza sulla testa al bambino che l’accompagnava. “Eppure sono io ad aver bisogno di loro, più di quanto loro lo abbiano di me.”

Poco dopo si ritrovarono alla bottega dei tessuti, che vendeva anche abiti della tradizione araba e altre cose che avevano visto indosso a molte persone. Laurenne chiese loro di restare fuori ad aspettarla, visto che avrebbero potuto macchiare qualcosa, e nel frattempo ne approfittarono per dare un’occhiata in giro. Preferirono non allontanarsi, ma già da lì potevano osservare la vita del villaggio. La gente non sembrava interessarsi a loro, presa com’era dai suoi scambi di merci e dai suoi acquisti, e per la prima volta non si sentirono gli occhi di tutti puntati addosso. Era una sensazione piacevole, sembrava quasi di essere in un posto familiare.
D’un tratto, un gruppo di bambini si avvicinò correndo e uno di loro diede un calcio un po’ troppo forte al pallone, che finì ai piedi di Claire. D’istinto, lei lo bloccò con il piede, per poi sollevarlo con destrezza, prendendo a palleggiare. I bambini rimasero fermi a osservarla incuriositi e anche un po’ ammirati, finché Claire, con un ultima abile mossa, non afferrò il pallone con le mani, porgendolo poi a uno dei suoi piccoli fan. Lui si avvicinò, anche se guardingo, e allungò le braccia per prenderlo, ma proprio in quel momento comparve dal nulla una signora anziana dal viso rugoso che gli gridò qualcosa in arabo, probabilmente un rimprovero. Allora il bambino si riprese in fretta la palla e scappò insieme ai suoi amici, lasciando Claire ancora con le braccia sollevate.

“A quanto pare ci vuole ben altro che restituire la palla a un bambino per conquistare la fiducia di questa gente.” osservò Rachel, dando dei leggeri colpetti sulla spalla a Claire.

Quando Laurenne uscì di lì a poco con un fagotto sotto braccio, si diressero all’oasi, nei pressi della quale era costruito il villaggio. La sciamana spiegò che, pur trovandosi ormai nel ventunesimo secolo, il popolo era rimasto attaccato alle vecchie tradizioni, vivendo ancora in condizioni molto umili. La grande oasi, circondata da palme e verde, era l’unica fonte d’acqua disponibile nel raggio di chilometri, e da essa si riforniva ogni singolo abitante. Il prezioso liquido veniva incanalato sottoterra, fino a dei pozzi disposti in punti strategici del villaggio, così che ogni abitazione potesse trovarsi abbastanza vicina per raggiungerli a piedi ogni mattina. Parlò loro anche della popolazione Jurhaysh, composta da tante tribù sparse nei principali continenti. Ognuna di esse aveva un esercito con a capo un generale, che a sua volta era sotto il comando di Jamaal.
Visto che era in vena di spiegazioni, Rachel ne approfittò per chiederle dove fossero finite con esattezza.

“Mi dispiace, ma non posso rivelare a delle estranee la nostra posizione.” si scusò lei. “Sappiate solo che tra tutti i villaggi Jurhaysh questo è il più grande ed è il centro di comando. Nella nostra lingua lo chiamiamo Mashriq, che significa ‘terra dove sorge il sole’.” spiegò; poi le osservò con la coda dell’occhio e parve come intuire i loro pensieri. “Devo avvertirvi che il perimetro del villaggio è nascosto dal potere delle rune. Quindi se state pensando di andarvene, non riuscireste a tornare indietro, ammesso che sopravviviate al deserto.”

Nessuna di loro replicò, limitandosi a riflettere sulle sue parole. Compresa Rachel, a cui in effetti era balenata in testa l’idea di togliere il disturbo. A mente lucida, però, doveva convenire con Laurenne che non sarebbe stata una buona idea per loro avventurarsi da sole nel deserto, senza avere la più pallida idea di dove dirigersi. Sarebbero morte stecchite entro pochissimo tempo. Quindi, almeno per il momento, era il caso di restarsene buone e cercare con tutti i mezzi di convincere i loro ospiti ad aiutarle.
Prese com’erano ognuna dai propri pensieri, quasi non si accorsero di essere arrivate in una sorta di edificio termale dall’aria antica. Fuori aveva il classico aspetto arabeggiante, con la stessa cupola appuntita che avevano visto sopra i tetti di alcune case, anche se più grande. Una volta entrate, si trovarono di fronte a una serie di lunghe vasche, in cui la gente era immersa fino alle spalle e da cui usciva del vapore. I loro sguardi inquisitori si posarono sulle ragazze, come se già sapessero chi fossero e da dove provenissero. Nessuno però disse niente, né protestò con Laurenne o le chiese spiegazioni, quindi ignorarono la cosa e la seguirono lungo il corridoio centrale che separava le due file di vasche. Raggiunta l’ultima, le invitò a togliersi i vestiti per potersi fare il bagno, ignorando completamente il fatto che fossero sotto gli occhi di tutti.

“Che cosa?” replicò Cordelia scandalizzata. “Dovrei denudarmi davanti a degli estranei? È indecoroso, non ci penso nemmeno.”

Anche Rachel e Claire si dimostrarono piuttosto restie, così alla fine le portò in un luogo più appartato, dove c’era un’altra vasca, ma nascosta da un telone di lana pesante.

“Scusatemi, non avevo pensato che qui abbiamo un senso del pudore un po’ diverso rispetto a voi occidentali.” disse Laurenne, mentre si spogliavano. “Per fortuna, siamo attrezzati anche per questa evenienza.”

Loro però non la stavano già più ascoltando, ormai immerse nell’acqua tiepida, dove un’improvvisa sensazione di benessere le aveva colte. Erano parecchi giorni che non si facevano un bagno completo. L’ultima volta in effetti era stata a casa dei Weaver.
Claire prese una specie di saponetta profumata dalle mani di Laurenne e iniziò a strofinarsela sulle mani, per poi lavarsi i capelli. Non riusciva a smettere di pensare alle parole di Rachel nella tenda di Jamaal, quelle che lo avevano convinto a farle restare, e all’inizio non ci aveva riflettuto bene, ma in effetti poteva essere tutto vero.
Senza che se ne accorgesse, i pensieri si trasformarono in fiato. “Pensi davvero quello che hai detto?” chiese a Rachel, che la guardò con aria interrogativa. “Che a quest’ora a Greenwood siano tutti vampiri, intendo.”

Lei scosse la testa. “Non posso esserne sicura. Però, pensaci. Sono passate diverse settimane da quando siamo partiti e non penso che nel frattempo Nickolaij e i suoi se ne siano stati con le mani in mano.”

Il peso di quella riflessione cadde su Claire all’improvviso. “Quindi…” mormorò incerta. “Anche le nostre famiglie. Mia sorella…” La sola idea che potessero aver fatto del male a Megan era inconcepibile. D’altronde era solo una bambina e dubitava che potesse essere loro utile in qualche modo. Pensare al seguito fu facile, ma si sforzò di scacciare quei pensieri, senza molti risultati. Gli occhi si colmarono di lacrime e lei si voltò per nasconderle.
Rachel però se n’era accorta e avrebbe voluto poterle dire qualcosa per rincuorarla, ma sapeva che ogni sua parola sarebbe suonata vuota e inutile, così rinunciò. Del resto, anche lei sperava che non fosse successo niente a suo padre, che fosse riuscito a fuggire o che non si trovasse proprio in città. Un miracolo qualsiasi insomma... Per fortuna Cordelia spuntò all’improvviso, chiedendole di lavarle la schiena, e la distrasse da quei pensieri.
Finito il bagno, Laurenne uscì per prima dalla vasca, asciugandosi poi con dei panni di lana che trovarono a disposizione.

“Tenete.” Li passò una per una. “Quando avete finito, portateli con voi. Li riporteremo una volta lavati.”

La lana grezza era ruvida a contatto con la pelle, ma cercarono di adeguarsi. Dopodiché indossarono i vestiti nuovi che aveva comprato Laurenne. Si sentivano un po’ a disagio con quella roba, insolita per il loro modo di vestirsi normalmente. Cordelia non sapeva nemmeno riconoscere il verso dei pantaloni, così dovettero aiutarla.

“Cosa volete? Avevo la domestica io.” ribatté offesa, notando le loro facce perplesse. Poi si guardò addosso, allargando le braccia e storcendo il naso. “Questo abito non mi dona affatto. Mi fa sembrare grassa.”

Rachel e Claire decisero di ignorare quel commento e seguirono Laurenne all’uscita. Le avvisò che sarebbero dovute passare al mercato, prima di andare a casa, anche se l’idea non le allettava granché. Altri sguardi sospettosi puntati addosso.
Per fortuna, il giro fu breve. Il tempo di comprare qualcosa da mangiare per tutti ed erano già sulla strada di casa.

“Uh, buoni quelli!” squittì Cordelia, esaltata alla vista di un grappolo di datteri che fuoriusciva per metà dalla sacca che Laurenne portava a tracolla. “Che cosa sono?”

Hallawi, nella nostra lingua. Non conosco la parola inglese…”

“Datteri.” rispose Rachel prontamente. “Credo siano datteri.”

La traduzione sembrò convincere sia Laurenne che Cordelia, che da quel momento non parlò più, presa com’era a guardarsi intorno e a studiare ogni dettaglio del villaggio.
Erano quasi arrivate, quando videro un folto gruppo di persone che si accalcavano, lanciando grida di giubilo e scambiandosi pacche sulle spalle.

“Cosa festeggiano?” chiese Cordelia incuriosita.

Laurenne non rispose subito. Sul suo volto era dipinta un’espressione orgogliosa. “I nostri guerrieri sono appena tornati da una missione importante. Vittoriosi, a giudicare dal morale.”

Claire alzò un sopracciglio. “Che missione?”

“Quella che portiamo avanti da secoli.” rispose. “Il nostro compito è sempre stato quello di combattere i vampiri, tenerli a bada e se possibile evitare che facciano vittime. Sono i nostri nemici giurati.”

Rivolgendosi istintivamente verso l’amica, Claire avrebbe potuto giurare che ci fosse un barlume di speranza negli occhi di Rachel. Di sicuro, ora che era a conoscenza delle attività della tribù non si sarebbe lasciata scappare quell’occasione per salvare i ragazzi.
Mentre passeggiavano, un giovane guerriero dalla pelle stranamente più chiara rispetto alla norma si staccò dal gruppo e salutò Laurenne calorosamente, sventolando la mano. Venne loro in contro con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e la sciamana ne approfittò per presentargli le ragazze.

“Piacere di conoscervi!” rispose lui con entusiasmo, stringendo loro la mano una ad una. “È bello sentire di nuovo la propria lingua, ogni tanto.”

“Evan viene dall’Australia. È qui per imparare le nostre usanze.” spiegò Laurenne, chiaramente divertita dal suo modo di fare.

Rachel annuì, ricambiando il sorriso e stringendogli la mano. In effetti, ogni cosa nel suo aspetto ricordava un classico surfista australiano. Biondo, occhi azzurri, sorriso smagliante… “Mi sembrava che avessi un accento diverso.”

“Scusate, ma adesso devo tornare dagli altri, o mi perdo tutto il divertimento. Stasera ci sarete, vero? Abbiamo fatto il culo ai succhiasangue e dobbiamo festeggiare.”

“Non dubitarne.” confermò Laurenne.

Le labbra del ragazzo si piegarono in un ultimo, raggiante sorriso, prima che si voltasse. “Okay, allora a più tardi!” Le salutò con la mano, per poi riunirsi al suo gruppo.

“Un tipo… esuberante.” Commentò Claire, cercando la parola giusta per definirlo.

“Era ora che incontrassimo una persona socievole, esclusa te Laurenne.” osservò Cordelia, mentre lo guardava allontanarsi con aria interessata. “Ed è anche molto carino.”

Laurenne sghignazzò e riprese a camminare. Le ragazze la seguirono, lasciandosi alle spalle il gruppetto festante.

“Ho notato che Evan non è l’unico straniero nel villaggio. Vista la difficoltà ad accettare la nostra presenza, mi stupisco che abbiate altre nazionalità tra i guerrieri.” disse Rachel rivolta a Laurenne.

“È tradizione che i figli dei generali trascorrano del tempo in un’altra tribù, per imparare le sue usanze e il modo di combattere.” Spiegò lei. “Inoltre questa è la tribù principale, tutti vogliono allenarsi qui, ma solo i migliori ce la fanno.” concluse quando finalmente giunsero davanti la sua casa.

Era un po’ più grande rispetto a quelle che avevano visto lungo la strada, aveva due piani e un piccolo cortiletto all’entrata, dove al momento stavano pascolando due capre.
Quando Laurenne aprì il cancelletto le vennero in contro belando. Lei le accarezzò e diede loro un po’ di paglia per farle stare buone.
Fece segno alle ragazze di seguirla e finalmente entrarono. La prima cosa che Claire avvertì fu la differenza di temperatura. Rispetto al caldo soffocante che si avvertiva fuori, dentro l’ambiente era fresco e piacevole. Si ritrovarono in una specie di atrio, molto rustico; al centro c’era un basso tavolo di legno contornato da cuscini multicolori, come da tradizione. A terra tappeti ricamati e tende colorate alle finestre, oltre a una serie di strani arnesi e gingilli sparsi un po’ ovunque nella casa. Nell’aria si respirava un dolce aroma di cannella.
Laurenne le invitò a sedersi, mentre portava la spesa nella cucina, che scoprirono trovarsi dietro una bellissima tenda dai drappi ricamati. Rimaste sole, non poterono fare a meno di guardarsi intorno, incuriosite e meravigliate al tempo stesso da quel posto singolare. Non passò molto che la sciamana tornò, portando con sé un vassoio con del cibo, delle tazze di terracotta e una teiera piena di tè freddo.

“Finalmente un po’ di civiltà.” Ringraziò Cordelia altezzosa, prendendo la tazza che Laurenne le offriva.

Claire la guardò perplessa. “Non credevo che i vampiri bevessero tè.”

“Ai vampiri è consentito bere e mangiare qualsiasi cosa. Possiamo degustare pietanze deliziose o vini pregiati, ma questi non ci daranno mai il sostentamento necessario per vivere. Dal canto mio, ho sempre adorato il sapore e il retrogusto del tè.” Spiegò con tono compito. “È la mia bevanda preferita dopo il sangue. Dovresti saperlo Beth.” Si lasciò sfuggire poi. Claire le lanciò un’occhiata eloquente e lei si accorse subito della gaffe.
“Scusa.” Mormorò poi.

Laurenne notò la sua aria afflitta e provò a rassicurarla. “Non preoccuparti cara, vedrai che scopriremo quello che ti è successo. Le cose non capitano mai senza una ragione.” disse con un sorriso benevolo.

Cordelia ne abbozzò uno di rimando prima di assaggiare un po’ di formaggio.

“Peccato che mentre noi siamo qui a chiacchierare chissà cosa staranno facendo ai ragazzi.” Sbuffò Rachel in tono acido, senza alzare lo sguardo dalla sua tazza.

“Datti una calmata, Ray.” Mormorò Claire a denti stretti.

“Non c’è problema.” Laurenne le fece segno di lasciar correre. “Capisco la sua impazienza, ma per potervi aiutare ho bisogno di sapere cosa è successo a Bran.”

Per dare un senso a tutto quello che gli era accaduto, dovettero cominciare la loro storia da molto prima di Bran. Iniziarono parlando del ballo, di quello che avevano visto, della fuga e della decisione di seguire Dean per i boschi per sfuggire a quella che allora consideravano una setta di psicopatici. Tralasciarono tutte le disavventure tra le montagne e arrivarono direttamente al punto in cui Juliet era stata rapita e Dean aveva rivelato loro l’esistenza dei vampiri, di come le aveva ingannate e portate a Bran, cosa che si era rivelata l’ennesimo doppiogioco, visto che poi li aveva aiutati a fuggire.

“Alla fine noi tre siamo riuscite a raggiungere il portale e, dopo aver affrontato quella pazza lanciatrice di coltelli, abbiamo preso coraggio e ci siamo tuffate nel pozzo, che invece che a casa ci ha scaraventate qui.” concluse Claire, spiluccando un po’ d’uva.

Laurenne era rimasta in silenzio tutto il tempo mentre lei e Rachel raccontavano e ora se ne stava tutta pensierosa a fissare la sua tazza di tè, ormai vuota.

“Perciò è stata Mary a ferirla…” mormorò tra sé, lasciando chiaramente intendere che la conosceva. “Ecco spiegata la particolarità del veleno…”

Stavano per chiederle spiegazioni, quando qualcuno bussò prepotentemente alla porta, interrompendo il suo ragionamento e facendole trasalire.

“Attendevi ospiti?” domandò Cordelia con il solito tono ingenuo e altezzoso allo stesso tempo, mentre si rassettava gli abiti. Neanche si preparasse a ricevere la regina d’Inghilterra.
Laurenne la ignorò e andò alla porta. Intuirono che stesse chiedendo in arabo chi fosse, ma dall’altra parte non aspettarono la risposta e irruppero in casa.
Due guardie, omaccioni vestiti da guerrieri, entrarono e senza fare troppi convenevoli comunicarono qualcosa a Laurenne. Lei protestò, ma loro la ignorarono, raggiunsero Cordelia al tavolo e la presero per le braccia, tirandola in piedi.

“Che state facendo? Lasciatemi subito!” si ribellò, cercando di impedire a quei due di trascinarla fuori di casa.

Naturalmente senza risultato.

Rachel e Claire erano scioccate. “Che sta succedendo?”, “Dove la portano?” domandarono a Laurenne che, senza rispondere, si affrettò a seguire fuori i due guerrieri. Non potendo fare altrimenti, le ragazze la imitarono, continuando però a tempestarla di domande lungo tutto il tragitto, che non coprì una grossa distanza. I due uomini portarono di peso una Cordelia ormai scalciante e furibonda all’interno di un tendone, davanti al quale Laurenne si bloccò.

“Che ti prende adesso?” le chiese Claire infervorata. “Sono lì dentro, dobbiamo seguirli!”

Laurenne però non le prestò molta attenzione. Piuttosto sembrava concentrata e il suo sguardo determinato lasciava intuire che stesse riflettendo su cosa fare. “No. Resto io con lei, voi andate ad avvertire Jamaal. Dovrebbe essere a casa sua in questo momento.” dispose infine.

“Ma…” Rachel provò a protestare, ma lo sguardo eloquente che la sciamana le lanciò la fece desistere. A quel punto, non poterono fare altro che obbedire e tornarono indietro, verso la casa di Jamaal.

Laurenne gliel’aveva indicata mentre le stava portando alle terme. Non era molto diversa dalle altre, se non fosse stato per le dimensioni leggermente più grandi, perciò ora non erano più tanto sicure di riuscire a trovarla in tempi rapidi. Così cercarono di rifare la strada all’inverso, nella speranza di capitarci di nuovo davanti, finché finalmente non la riconobbero e si affrettarono a raggiungerla. Come forsennate, bussarono alla porta, gridando il nome di Jamaal, incuranti di stare dando spettacolo.
Lui ci mise un po’ ad aprire, ma alla fine tutta quella confusione sembrò dare i suoi frutti, perché la porta si spalancò di botto e Jamaal comparve davanti a loro a torso nudo e con i soli pantaloni addosso. A giudicare dall’umore, doveva essersi appena svegliato.

“Cosa diavolo c’è? Non vi sembra di avermi disturbato abbastanza per oggi?”

Rachel deglutì, riprendendo fiato. “Ci ha mandate Laurenne! È successa una cosa e devi venire con noi!”

Jamaal non sembrava del tutto convinto, come se dubitasse della loro salute mentale, così Claire provò a fargli capire a modo suo che era una questione importante. “Senti, due uomini hanno preso la nostra amica e l’hanno portata in una tenda, Dio solo sa perché. A meno che non si tratti di un tuo ordine, credo che faresti bene a venire con noi.” Il tono che usò era molto determinato e non distolse gli occhi da lui nemmeno per un secondo.

La cosa parve funzionare, perché finalmente Jamaal le prese sul serio e alla fine annuì, facendo loro cenno di aspettare. “Datemi un momento.” disse chiudendosi la porta alle spalle.

Non aspettarono molto che fu di nuovo da loro, completamente vestito stavolta, così gli fecero strada e rapidamente tornarono alla tenda. Lui entrò per primo con le ragazze al seguito.
Appena entrate, la scena che si trovarono di fronte le lasciò sbigottite. Cordelia era per terra, carponi e, mentre tossiva piegata su se stessa, sputava sangue. Già convinte che le avessero fatto del male, Rachel e Claire non esitarono un istante a correrle accanto.  

“Tranquille, sta bene…” iniziò Laurenne, ma la voce di Rachel coprì le sue parole.

“No, non sta bene! Che le avete fatto?” urlò rivolta a lei e poi agli uomini lì intorno. Solo in quel momento notò la presenza di Tareq tra loro e di un uomo più anziano che gli somigliava molto. In quel momento stava fissando Cordelia con uno sguardo di puro disgusto.

Che sta succedendo qui?” chiese Jamaal in arabo, in tono fermo e autoritario.

Alquanto sollevata nel vederlo, Laurenne stava per spiegargli, ma l’uomo anziano di fianco a Tareq non gliene diede il tempo.

Dovevamo essere certi che questa ragazza fosse umana.” Rispose in tutta calma, senza avere l’aria di volersi giustificare.

Da solo non hai l’autorità di prendere decisioni del genere, Cassim.” replicò Jamaal, senza lasciarsi intimidire. “Perché non sono stato informato?

Lui e Cassim cominciarono una lunga discussione in arabo e, visto che non riuscivano a capirne una parola, Rachel e Claire chiesero spiegazioni a Laurenne.

“Quello non è il sangue di Cordelia. Cassim l’ha costretta a bere da una boccetta per verificare che non fosse un vampiro e lei lo ha rigettato. Ma sta bene, non preoccupatevi.

Rachel stava riflettendo sulle sue parole ed ebbe quasi un dejà-vu mentre teneva i capelli a Cordelia, che continuava a tossire e ad avere i conati. Da un lato, avrebbe volentieri riempito di schiaffi tutte quelle facce che le scrutavano da capo a piedi, dall’altro sperava che almeno adesso si fossero definitivamente convinti che Cordelia era umana quanto loro e l’avrebbero lasciata in pace.

“Scusa, ferma un secondo. Chi diavolo è Cassim?” domandò Claire, con il suo solito modo di fare schietto.
Laurenne indicò l’uomo che discuteva con Jamaal. “È il padre di Tareq, fa parte del concilio degli anziani.”

Claire osservò l’uomo di sottecchi. Aveva lo sguardo arcigno e la postura molto rigida, affrontava Jamaal a testa alta senza scomporsi, dimostrando tutta la sua autorità. Capì che era il genere di persona che andava presa con i guanti.

“Questo spiega da chi abbia ripreso la simpatia il figlio.” Commentò.

Proprio in quel momento Cassim e Tareq vennero congedati e dopo aver rivolto loro un ultimo sguardo colmo di disprezzo uscirono dalla tenda.
Quando non furono più a portata d’orecchio, Laurenne, che fino ad allora era rimasta in silenzio per rispetto nei confronti dell’autorità di Jamaal, esplose. “Assurdo! Sono venuti in casa mia e l’hanno trascinata fin qui, neanche fosse un animale!” esclamò, mentre faceva avanti e indietro furiosa. “Lo sapevo che non avevano il tuo permesso! Non potevi esserci tu dietro a tutto questo, ne ero convinta. E infatti…”

Lui sospirò, portandosi una mano sugli occhi, visibilmente stressato, ma questo non impedì a Laurenne di dire la sua. Si fermò, rivolgendogli uno sguardo deciso. “Devi fare qualcosa, Jamaal. Prendere provvedimenti. Non può passarla liscia e nemmeno suo figlio!”

“Lo so bene, ma conosci lo stato delle cose. Sai chi è lui e cosa ha fatto per me. Non è così semplice.” ribatté, mantenendo la mano sugli occhi, come se lo stancasse anche il solo parlarne.

A Claire sembrava non stesse bene e a quel punto anche Laurenne se ne accorse e si calmò. Gli si avvicinò apprensiva, mormorandogli qualcosa in arabo.
Sia Claire che Rachel trovarono il cambio repentino del suo comportamento piuttosto strano. Fino a un minuto prima gli urlava contro e ora era tutta premurosa, neanche fosse sua madre. Era anche vero che Laurenne aveva un atteggiamento materno anche con loro che conosceva da due giorni, non era poi così strano che si comportasse così con Jamaal che conosceva da sempre.

Smisero di parlottare in arabo e Jamaal si chinò di fronte a Cordelia, che era ancora a terra e cercava di darsi una ripulita. “Mi dispiace per quello che è successo, ma ti giuro che non succederà più. Hai la mia parola.”

Il suo tono sembrava sincero, così come il suo sguardo. La aiutò ad alzarsi, poi si rivolse a Laurenne. “Pensa tu a lei.”

In qualche modo il suo essere premuroso nei confronti di Cordelia sorprese Claire. Non lo avrebbe creduto capace di tanta gentilezza e sensibilità, verso una sconosciuta poi. Doveva ammettere di averlo rivalutato. In cuor suo, sperò davvero che imponesse a Tareq e a quel simpaticone del padre di lasciarle in pace, ora che avevano tutte le conferme che volevano.

 

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Capitolo 5
*** La terra dove sorge il sole - Parte 2 ***


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La Terra dove sorge il sole (Parte 2)


Sedute in cima a una piccola roccia, Rachel e Claire si godevano il tramonto sul deserto. La luce del sole tingeva di rosso quel mare di sabbia, delineando i profili delle dune al di là dell’oasi.
Dopo lo spiacevole episodio con il padre di Tareq, Cordelia era rimasta molto provata e aveva preferito restare in casa con Laurenne. Per lei era stato traumatico non tanto l’essere stata costretta a bere sangue umano, quanto il fatto che il suo corpo l’avesse rigettato. Non era riuscita a mandarlo giù. Inspiegabile per qualcuno che per anni se n’era nutrito senza problemi e forse era stato questo a convincerla definitivamente di non essere del tutto se stessa.
Per rincuorarla Laurenne le aveva promesso che si sarebbe data subito da fare per trovare una spiegazione al fenomeno. Dal canto suo, Rachel sperava che oltre a questo avrebbe anche trovato un modo per riavere Juliet, la cui assenza si faceva sentire. Era come se una parte di loro fosse stata portata via e chissà per quanto tempo ancora avrebbero dovuto sentirne la mancanza.
Pensando che fosse indelicato parlarne davanti a Cordelia, aveva atteso che si addormentasse per riprendere il discorso con Laurenne, mettendola a conoscenza delle loro ipotesi sul portale, di come forse le destinazioni si fossero confuse e questo avesse avuto a che fare con quanto accaduto a Juliet.

“Tu che ne pensi?” le aveva chiesto, ansiosa di sentire il suo parere.

Lo sguardo perplesso della sciamana si era posato d’istinto su Cordelia, che dormiva beata su un mucchio di cuscini in un angolo della stanza. “Lo escludo. Tra l’altro è impossibile cambiare destinazione a un portale, si tratta di magia antica, troppo potente. È più probabile che vi siate sbagliate voi, piuttosto che qualcuno l’abbia manomesso.”

“Quindi l’unico indizio che abbiamo è il veleno con cui l’ha colpita Mary.” Disse Claire, afflitta.

La sciamana scosse la testa pensierosa. “Ve l’ho detto, è improbabile che c’entri qualcosa. Comunque il fatto che io non conosca un veleno con effetti del genere non significa che non possa esistere. È presto per dirlo, devo fare altre ricerche.”

Da tali conclusioni, era chiaro che la faccenda non si sarebbe risolta in breve tempo e con quella consapevolezza erano uscite di casa, desiderose di riprendere fiato dopo quella giornata lunga e sfiancante.

“Non avevo mai visto un tramonto così bello.” osservò Claire, facendo riemergere Rachel dai suoi pensieri.

“Già.” annuì malinconica. Con gli occhi seguì il profilo del sole scomparire dietro l’orizzonte, per lasciare spazio alla notte. “Noi non dovremmo essere qui.”

“Ray…”

“Pensaci!” la interruppe. “Mentre noi ci godiamo il tramonto, Mark e Cedric saranno rinchiusi chissà dove. Magari torturati, o addirittura…”

Claire la fulminò con lo sguardo. “No. Non dirlo.”

In fondo, Rachel le era grata per averle impedito di continuare. Presa dallo sconforto, distolse l’attenzione dall’orizzonte. “Questa storia mi sta facendo impazzire. Ogni minuto che passiamo bloccate qui è un’agonia.”
Trattenne la rabbia, stringendo i pugni. “Sai quanto odio non sapere. Vorrei solo che qualcuno mi dicesse che sta bene, che…”

A quel punto, non riuscì più a continuare e tutta la disperazione che aveva cercato di reprimere in quei giorni esplose. Le parole le si bloccarono in gola, mentre sentiva gli occhi inumidirsi. Non si era mai sentita così inutile in vita sua. L’idea di tornare a Bran da sole era impensabile e chissà quanto tempo ci sarebbe voluto per convincere la tribù ad aiutarle, ammesso che avrebbero mai accettato di farlo.
Accortasi che piangeva, Claire le si avvicinò, cingendole le spalle con un braccio. Sapeva di non essere molto abile in quei frangenti. Di solito era Juliet quella brava a consolare, ma ora c’erano solo loro due e dovevano farsi forza a vicenda.
Rimasero abbracciate per un po’, in silenzio, ammirando gli ultimi bagliori del giorno, finché Rachel non sollevò di nuovo la testa. Tirando su col naso, si asciugò le lacrime.

“Dovremmo rientrare. Laurenne si starà chiedendo che fine abbiamo fatto.”

Claire storse il naso. “Dobbiamo anche andare a quella stupida cena.”

Era tradizione, aveva spiegato Laurenne, che al ritorno dei guerrieri da una missione importante fosse organizzata una festa in loro onore e, visto che lei era una delle massime autorità, avrebbe dovuto partecipare al banchetto nella grande tenda di Jamaal. Il fatto che fossero le sue protette praticamente le obbligava ad accompagnarla e purtroppo non avevano trovato una scusa plausibile per evitarlo. D’altra parte fraternizzare col “nemico” poteva volgere a loro favore; se si fossero dimostrate carine e amichevoli, magari avrebbero trovato qualcuno disposto ad aiutarle o almeno starle a sentire e, chissà, mettere una buona parola con Jamaal quando sarebbe arrivato il momento.

Quando Laurenne le aveva messe al corrente della cena si erano stupite che si facesse ancora, dato quello che era successo. Lei però aveva spiegato che la situazione era più complicata di quanto non sembrasse ed erano parecchie le dinamiche in gioco. Jamaal considerava Cassim come un secondo padre, quindi preferiva mantenere sempre rapporti amichevoli con lui, anche per non entrare in contrasto con Tareq. Questo garantiva a Cassim una maggiore influenza sulle decisioni rispetto agli altri anziani. Comunque le aveva anche rassicurate che quella storia non sarebbe stata insabbiata e che sicuramente Jamaal avrebbe preso dei provvedimenti. Nel frattempo, avrebbero dovuto tutti fare buon viso a cattivo gioco.

Mentre percorrevano la via di casa, Claire ripensava a tutto questo. Nel villaggio le gente era allegra e festosa, e in giro si respirava un’aria diversa. C’era chi ballava, rideva e chiacchierava animatamente. All’angolo di una locanda vide una donna molto formosa rimbeccare quello che avrebbe potuto essere suo marito, che a stento si reggeva in piedi con tutto l’alcool che aveva bevuto.

“Ah, eccovi qua!” le accolse Cordelia tutta contenta quando le vide arrivare. Quel repentino cambio di atteggiamento le lasciò alquanto sorprese. Da che l’avevano lasciata in piena depressione per aver realizzato di essere un’altra persona, ora la ritrovavano serena e pimpante. Si era sistemata per l’evento aggiungendo una cintura e delle collane di pietre colorate agli abiti che le aveva dato Laurenne, e infine acconciandosi i capelli per rendere il tutto meno dozzinale.

Incredibile vedere come bastasse davvero poco per renderla felice.

Si avvicinò a Rachel, scrutandola dall’alto in basso e girandole intorno. Borbottava frasi sconnesse e alla fine si fermò davanti a lei scuotendo la testa. “Cara non ci siamo, i capelli sono un disastro. Per non parlare dei tuoi abiti.” disse sconsolata; poi la prese per mano e la trascinò in casa. “Vieni, cerchiamo di rimediare. Non puoi presentarti a cena conciata così.”

“Aspetta. E Claire? Anche lei non è presentabile.” buttò lì Rachel. Non voleva affrontare tutto questo da sola, così l’aveva messa in mezzo, beccandosi in risposta un’occhiataccia omicida da parte sua.

“Infatti il discorso vale anche per lei. Non che possa fare molto per quei capelli.” Sentenziò Cordelia, storcendo il naso.

Claire sbuffò e le seguì dentro, ormai rassegnata al suo destino.

Intanto Laurenne si dava gli ultimi ritocchi davanti a uno specchio. Era molto bella, indossava un abito più pregiato e sfarzoso, si era tolta le collane di ossa e portava dei bracciali molto particolari e colorati. “Hai visto Samir?” domandò a Cordelia.

“Chi?” fece Rachel.

Laurenne non fece in tempo a rispondere che un bambino di circa otto anni arrivò dal piano di sopra, dicendole qualcosa in arabo.

Mahbub, abbiamo ospiti. È buona educazione parlare nella loro lingua.”

Il bimbo alzò gli occhi al cielo, poi Laurenne lo presentò a Rachel e Claire come suo figlio. Lui accennò appena un sorriso e poi scappò via.

“Scusatelo, di solito è più socievole.” disse Laurenne, scuotendo la testa.

Claire abbozzò un sorriso. “Tranquilla, non c’è problema.” Come carattere le ricordava sua sorella, ma cercò subito si scacciare quel pensiero dalla mente. Non era il caso di aggiungere altra malinconia a quella che aveva già.

“Non è un amore?” commentò Cordelia in tono lezioso, mentre finiva di sistemare l’acconciatura di Rachel.

“Ecco qua, perfetta.”

Rachel si guardò allo specchio, scoprendosi compiaciuta. Le aveva raccolto i capelli in due folte trecce, che poi aveva unito insieme con dei nastri. “Niente male.” commentò, mentre si rimirava da entrambi i lati. 

Lei annuì. “Ho fatto molta pratica ai miei tempi. Mi divertivo ad acconciare i capelli delle mie sorelle.” spiegò tutta sorridente; poi il sorriso si spense e sembrò quasi ripensarci. “Per la verità, solo Margaret si prestava a certe cose. Beth non era il tipo da fronzoli e merletti.”

Claire uscì dal bagno proprio in quel momento, dopo essere sfuggita alle grinfie di Cordelia per darsi una sistemata a modo suo. “Mi ci rivedo in pieno.”

Laurenne aveva preso le ultime cose e ora le aspettava sull’uscio della porta. “Bene, siamo tutti pronti? È ora di andare.”

Uscirono di casa e si incamminarono verso la grande tenda che era stata allestita al centro del villaggio, dalla quale proveniva un chiacchiericcio concitato.
Samir entrò per primo, ma, invece di fare lo stesso, Laurenne rimase un momento sulla soglia e si voltò verso di loro.

“Bene, siamo arrivate. Qui cenano i guerrieri e gli uomini più illustri della tribù, ma non abbiate paura.” le rassicurò, leggendo le loro espressione ansiose. “Finché siete con me, nessuno vi dirà niente.”

Chiarito questo, fecero il loro ingresso nella tenda. Dentro era davvero enorme e pieno di gente che sedeva festosa su grandi cuscini, disposti attorno a tavoli bassi con vassoi di cibo e calici di vino. Numerose lampade colorate pendevano dal soffitto a illuminare l’ambiente.

Videro Samir seduto a un tavolo dove c’erano altri bambini con le loro madri, che Laurenne salutò non appena fu entrata. In un primo momento, nessuno sembrò accorgersi della presenza delle ragazze, continuando a conversare e a mangiare senza badare a loro; poi qualcuno le notò, seguito da un altro, finché ogni chiacchiera si spense e un silenzio indagatore scese sui presenti. Rachel e le altre tentarono di dare meno nell’occhio, nascondendosi dietro Laurenne e facendo le indifferenti, ma ormai le avevano viste. Non sapevano cosa aspettarsi da quella gente.

Per fortuna, il saluto provvidenziale rivolto a Laurenne dalla voce tonante ma gioviale di Jamaal le salvò dall’imbarazzo. Si alzò dal tavolo principale e le raggiunse, accogliendole con inaspettata allegria e porgendo una coppa di vino alla sciamana. “Mi sono preoccupato vedendo Samir entrare da solo.”

Lei ricambiò il sorriso, accettando il vino e bevendone un sorso; poi Jamaal si rivolse alle ragazze. “Sedetevi dove volete e servitevi pure. Questa sera si festeggia!” Urlò le ultime parole nella sua lingua, voltandosi verso il resto della sua gente e sollevando il bicchiere per invitarla a unirsi a lui. Per tutta risposta, gli altri lo seguirono, alzando i calici e urlando di gioia.

Faceva un certo effetto vederlo in quella veste. Di primo impatto non avrebbero mai detto che fosse un tipo socievole e festaiolo, e la scoperta non poté che lasciarle piacevolmente sorprese.

Alla fine, Laurenne le lasciò per andare a sedersi con Jamaal al tavolo dei pezzi grossi. “Divertitevi.” si raccomandò sorridente, prima di seguirlo. Non diede alcun segno di preoccupazione, perciò decisero che neanche loro ne avrebbero avuta. In fondo, a nessuno sembrava importare che fossero lì, neanche a Tareq e suo padre. Anche se appena entrata Rachel aveva intravisto un’occhiata carica di sospetto da quella direzione, ora non ce n’era più traccia e i due avevano ripreso a banchettare come se nulla fosse.

Trovarono tre posti liberi in un angolo appartato accanto all’entrata e si sedettero. Sul tavolo c’era ogni ben di Dio, tra carne condita con spezie e salse, frutta di ogni tipo, cereali, riso e vino, così non persero tempo e iniziarono a riempirsi lo stomaco. Non mangiavano in modo decente da giorni, quindi non si preoccuparono più di tanto di sembrare sgarbate. Era tutto buonissimo, ma anche in caso contrario avrebbero divorato qualunque cosa, tanta era la fame.

A fine pasto, Claire si abbandonò a un sospiro soddisfatto, godendosi la sensazione della sua pancia finalmente piena. Di lì a poco, una voce femminile accanto a lei attirò la sua attenzione.

“Lo mangi quello?” le chiese, indicando un tozzo di pane vicino al piatto.

Sorpresa di sentir parlare la sua lingua, Claire si voltò, trovando due occhi nerissimi che la fissavano.

Appartenevano a una ragazza dalla pelle olivastra e i capelli neri raccolti in una treccia, che prima non aveva nemmeno notato. A occhio e croce doveva avere circa la loro età e, a differenza delle altre donne del villaggio, non indossava abiti femminili, bensì una divisa da guerriero. Il corpetto di cuoio, chiuso sul petto da lacci, le schiacciava un po’ il seno e, se non fosse stato per i tratti del viso e i capelli lunghi, avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un maschio.

Dall’altra parte la ragazza si accigliò, già seccata per l’attesa. “Vorrei essere ancora giovane quando mangerò quel pane.” disse annoiata.

Claire allora si riscosse. “Oh. Sì, certo. Prendilo pure.”

Lei non se lo fece ripetere due volte e afferrò il pezzo di pane, addentandolo poi senza troppi complimenti.
I modi un po’ rozzi, quasi mascolini, con cui si comportava a tavola attirarono l’attenzione di Claire, che senza volerlo rimase a osservarla mangiare, finché la ragazza non se ne accorse.

“Beh?” fece in tono infastidito.“Qualche problema?”

“No, no. Scusa.” mormorò Claire, distogliendo lo sguardo intimorita.

La risposta sembrò soddisfarla e per un po’ continuò a mangiare in silenzio, ma non trascorse molto tempo che, dopo aver mandato giù un’abbondante sorsata di vino, tornasse alla carica. “Voi siete le ragazze che hanno trovato nel deserto, giusto? Quelle che stavano con gli algul.” osservò.

“Con chi?” chiese Claire, sollevando un sopracciglio.

Algul.” ripeté lei. “Vampiri, nella vostra lingua. Succhiasangue, sanguisughe…”

“Okay, ho afferrato il concetto.” ribatté spazientita. Non le piaceva il tono che stava usando. “E comunque ci stavano inseguendo. Non eravamo insieme a loro.” precisò.

L’espressione poco convinta che le rivolse ebbe il solo effetto di farle salire ancora di più i nervi. Stava per risponderle a tono, ma Rachel la precedette, evitando così che iniziasse una lite.

“Tu chi sei, invece?” constatò con un mezzo sorriso di cortesia.

La ragazza non rispose subito. Era chiaro che stesse valutando il da farsi. “Mi chiamo Najat e faccio parte del corpo di difesa.” disse infine, senza nascondere una punta di orgogliosa presunzione nella voce. “Non che siano affari vostri.”

“Perché non siedi al tavolo di quelli che contano, allora?” la provocò Claire, già stanca di quel suo atteggiamento.

Najat però non si mostrò infastidita e storse il naso, prendendo a giocherellare con un coltello lì vicino. “Tutti quei discorsi da adulti mi annoiano a morte. Preferisco stare per conto mio.” spiegò, per poi lasciarlo cadere sul tavolo e alzarsi. “Ci si vede in giro, amiche degli algul.” Rivolse loro un’ultima occhiata dall’alto in basso e se ne andò.

“Ma l’hai vista?” fece Claire, con aria sconcertata, mentre il suo sguardo la seguiva verso l’uscita e la vedeva salutare alcuni dei suoi compagni, chiassosi e già parecchio alticci. “Chi si crede di essere?”

“Lascia perdere. Non siamo nella posizione di attaccare briga con nessuno.” tagliò corto Rachel, bevendo un altro sorso.

La festa proseguì fino a tarda notte in un’atmosfera gioiosa e il vino scorreva a fiumi, tanto che ormai in pochi conservavano la loro dignità, mentre gli altri si abbandonavano a canti, balli ed esibizioni alquanto imbarazzanti.
Solo quando Laurenne trovò Samir profondamente addormentato su un piatto decise che era arrivato il momento di ritirarsi. Le ragazze furono sollevate di andarsene e trovare finalmente un po’ di pace dopo quella lunga giornata.
Camminarono il più in fretta possibile, perché l’aria della notte era gelida nel deserto e loro non erano coperte a dovere. Lungo la strada passarono nei pressi di un campo illuminato da torce. Era molto grande, aveva dei manichini di legno sparsi qua e là e una sorta di armeria in fondo, così intuirono fosse utilizzato dai soldati per fare pratica nel combattimento. Infatti, proprio in quel momento qualcuno aveva deciso di allenarsi. Agitava un lungo bastone sopra la testa, facendolo roteare con gesti precisi e allo stesso tempo eleganti, come in una specie di danza.

“Oh, c’è Najat!” disse Laurenne con un gran sorriso, avvicinandosi. Una volta riconosciuta la ragazza, Claire sentì spegnersi ogni entusiasmo.

Alla loro vista, Najat si arrestò. “Salve, Laurenne.” salutò ansante, fermando il bastone.

Lei ricambiò con un cenno del capo. “Mi è dispiaciuto non vederti a cena. Eppure i festeggiamenti erano per te, in parte. Ho saputo che ti sei fatta valere in combattimento.” mormorò per paura di svegliare Samir, che le dormiva in braccio.

“Non sono rimasta molto. Sai che non amo questo genere di cose.” Borbottò evasiva.

Era strano vedere come davanti a Laurenne sembrava aver perso tutta la spavalderia di poco prima.

La sciamana sorrise. “Oh sì, lo so bene. Ho perso il conto di tutte le volte che tuo padre mi mandava a cercarti, quando sparivi da bambina.”

Entrambe sembravano molto divertite al ricordo; poi Laurenne indicò le ragazze. “Hai conosciuto le mie protette?”

Claire squadrò Najat con aria di sufficienza e lei fece lo stesso.

“In un certo senso... Eravamo sedute vicine a cena, ma non ci siamo presentate come si deve.” Lo disse come se la cosa non fosse poi così importante.

“Hai ragione, che maleducate.” Ribatté Claire, sfoderando un falso sorriso. “Io sono Claire e loro sono Rachel e Jul- ehm, Cordelia.”

“È davvero un piacere Najat, spero che diventeremo amiche.” squittì Cordelia eccitata.

L’espressione di Najat era tutto un programma ed esprimeva in pieno quanto fosse confusa da quello strano comportamento e dalla sua proposta. “S-si, lo stesso per me.” farfugliò, giusto per cortesia.

“Ora sarà meglio andare. Buonanotte, Nat.” La salutò Laurenne, facendo per avviarsi verso casa con le ragazze al seguito. “E basta allenarsi. Va a dormire anche tu, che è tardi. Continuerai domani.”

Per tutta risposta lei le rivolse un sorrisetto di assenso, ma, mentre andava, Claire vide con la coda dell’occhio che aveva ripreso a far roteare il bastone.

Una volta arrivate, la sciamana le guidò al piano di sopra, mise a letto Samir e poi mostrò loro dove avrebbero dormito. Accanto alla sua stanza, infatti, ce n’era una più piccola che apparteneva al bambino, ma che per il momento Laurenne aveva sistemato per loro. Le ragazze non avevano parole e non sapevano più come ringraziarla. Avevano anche provato a protestare, dicendole che si sarebbero accontentate di meno, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. Augurò la buonanotte e se ne andò.

Rachel si guardò intorno e non le sembrava vero di poter dormire su qualcosa che non fosse il freddo pavimento di una cella. C’erano tre brandine imbottite e provviste di coperte e cuscini perché non soffrissero il freddo. Una visione davvero invitante. “È stata davvero gentile con noi, le dobbiamo molto.” commentò, mentre si preparava per andare a letto. Non vedeva l’ora di provarlo.

Cordelia annuì. “Sì, un tesoro davvero.” Disse, coprendo elegantemente con la mano uno sbadiglio.

Di lì a poco infatti si addormentò come un sasso e Rachel e Claire cercarono di imitarla, ma non riuscivano a prendere sonno. Dovevano ancora metabolizzare tutta la situazione.

Rachel osservava Cordelia dormire della grossa e per un momento quasi provò invidia nei suoi confronti. Avrebbe tanto voluto riuscire a prendere ogni cosa alla leggera come faceva lei. “Ancora non mi capacito di tutto questo. Come ci siamo arrivate? Poche settimane fa stavamo festeggiando il diploma e ora dormiamo in una casupola nel bel mezzo del deserto.”

Claire sospirò. La pensava esattamente allo stesso modo, ma allo stesso modo non aveva risposte. La mente la riportò a quella sera, quando Dean si era presentato bagnato fradicio alla sua porta. Forse, se allora si fosse rifiutata di farlo entrare… Ma era inutile ragionare con i se.
Scacciando via quei pensieri, si tirò su e, sedendosi su un cuscino, afferrò i pantaloni e trafficò con una delle tasche. “Guarda cosa ho trovato stamattina.” disse, tirando fuori il diario di Juliet.

Rachel si avvicinò e rimase stupita riconoscendo l’oggetto. “Ma dove l’hai preso? Credevo fosse rimasto in Montana con il resto della nostra roba.”

“Anch’io, finché non è scivolato dalla tasca dei suoi pantaloncini mentre si cambiava. Aspettavo solo il momento buono per dargli un’occhiata.”

Rachel non era del tutto convinta. Non stava bene leggere i diari altrui, erano oggetti troppo personali e intimi. “Claire, non credo sia una buona idea. Mi sembra scorretto.”

“Lo so, ma è tutto quello che ci resta di lei. Magari se lo leggiamo sarà come averla qui.”

Rachel ci rifletté un secondo e in effetti il suo ragionamento non era del tutto sbagliato. Juliet mancava moltissimo anche a lei e forse leggere le sue parole scritte in quel diario sarebbe stato come sentirla parlare. Cordelia aveva la sua voce, ma non era la stessa cosa. Così si lasciò convincere, si alzò per prendere un mozzicone di candela e insieme a Claire passò la notte in bianco immersa nel diario della sua migliore amica.


 

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Capitolo 6
*** Primo incontro ***


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Capitolo 3 - Primo incontro


Rosemary era piegata in due, le palpebre serrate e i denti stretti per il dolore lancinante che le attanagliava la spalla. Da quella posizione riusciva a malapena a vedere il manico del pugnale, il suo pugnale, che quella maledetta ragazzina aveva osato usare contro di lei.
Poco distante, sentì la sua amichetta gridare “Forza, andiamo!” Stavano andando al portale e lo avrebbero attraversato, perché si era fatta fregare come un’idiota. Rabbia e frustrazione si accesero come lava che fuoriesce da un vulcano attivo. Avrebbe potuto fermarle, perfino ucciderle, se il dolore non fosse stato così intenso da impedirle qualsiasi movimento.

“Mia signora…”

Con le sole energie rimanenti, ebbe la forza di girare gli occhi e vide uno dei suoi venirle incontro.

“Finalmente…” mormorò. Dietro di lui ce n’erano altri due, che se ne stavano lì fermi a fissarla con aria spaesata. “Che diavolo state aspettando, idioti? Andate a prenderle!” urlò con tutto il fiato che aveva, indicando il pozzo.

I due non se lo fecero ripetere due volte e si tuffarono nel portale, mentre l’altro la aiutava a rimettersi in piedi.
Avrebbe voluto resistere, ma alla fine il veleno ebbe la meglio, le intorpidì i sensi e svenne...
 


Si risvegliò nella sua stanza quando il dolore alla spalla era ormai quasi del tutto scomparso. Tuttavia, si sentiva ancora indebolita a causa del veleno. L’aveva concepito apposta per paralizzare progressivamente ogni parte del corpo, fino ad arrivare al cuore, ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere così forte da mettere fuori gioco perfino un vampiro. Doveva complimentarsi con se stessa. Il pensiero della piccola puttanella di Dean, in quel momento agonizzante da qualche parte, non poté che farle piacere.
Si alzò a fatica dal letto, massaggiandosi il punto in cui era stata colpita e, guardandosi allo specchio, scoprì che della ferita non era rimasta traccia. La cosa la consolò, perché non avrebbe gradito se le fosse rimasta la cicatrice.
Sentiva il bisogno di bere, forse un effetto dovuto all’assunzione del veleno, e se lo annotò mentalmente. Avrebbe provveduto più tardi, ora aveva ben altro a cui pensare. Non aveva idea di quanto fosse rimasta incosciente, ma immaginava che qualcuno ormai dovesse aver informato Nickolaij dell’accaduto. Un brivido le corse lungo la schiena. Era evidente quanto quelle ragazze fossero importanti per lui e il pensiero di un suo fallimento la fece tremare di rabbia. Si sentiva una fallita e un’idiota che si era fatta fregare dai sentimenti. Per la frustrazione diede un pungo alla parete, provocando un piccolo foro e la caduta di un frammento di intonaco.
Mentre si massaggiava la mano, provò a tornare lucida e a ragionare sul da farsi. In quella foresta si era lasciata influenzare dalla rabbia e dalla gelosia, debolezze imperdonabili, ma ora non sarebbe stata una vigliacca, così afferrò il mantello e uscì, decisa ad affrontare Nickolaij.

Quasi non fece in tempo a chiudere la porta che si ritrovò faccia a faccia con un vampiro, che la stava aspettando fuori. “Mia Signora.” Chinò il capo in segno di rispetto.

“Che diavolo vuoi? Sono di fretta.” Ribatté scocciata e per niente incline alle cerimonie.

Quello che era poco più di un ragazzo trasalì, visibilmente impaurito, ma poi si ricompose. “Perdonate il disturbo Milady, ma il nostro Signore ha richiesto la vostra presenza.”

In quel momento, il cuore di Mary perse un battito. E lei che aveva creduto di batterlo sul tempo. “Dove si trova adesso?” chiese, più calma.

“Nella sala del trono. Posso accompagnarv…”

“No, non serve. Va a farti un giro.” lo interruppe, mandandolo al diavolo con un gesto della mano mentre si incamminava.

Come un fulmine imboccò la scala che portava al piano di sotto, scendendo i gradini a due a due. L’istinto le diceva che si stava mettendo male. Nickolaij voleva vederla e solo questo bastava a metterle ansia. Anche se un attimo prima aveva deciso di prendere lei l’iniziativa, ora che la cosa stava per accadere non si sentiva più tanto sicura di sé, e per reazione il suo cervello cominciò a lavorare all’impazzata per trovare le scuse più disparate, nonostante fosse consapevole che per lo più si sarebbero dimostrate inutili.
Il salone era poco illuminato quando arrivò, segno che fosse pomeriggio inoltrato, ma lei riuscì comunque a scorgere il profilo di Nickolaij, seduto sul trono nella penombra. La tensione era palpabile e la sua rabbia trasudava senza che aprisse bocca, così la prima cosa che fece fu quella di inginocchiarsi per dimostrargli sottomissione. Non disse niente però, attendendo come da rito che fosse lui a parlare per primo.
Tuttavia, ciò non avvenne. Nickolaij continuò in silenzio a tenere lo sguardo fisso su di lei, facendole intuire che stava aspettando una spiegazione da parte sua. Così, preso un respiro profondo, provò a giustificarsi, giurando di aver fatto tutto il possibile per catturare le ragazze e che ora dovevano solo attendere il ritorno dei suoi uomini, ma lui non le permise di continuare.

“I tuoi uomini non torneranno.” puntualizzò in tono solo apparentemente calmo. “È passato troppo tempo e sappiamo bene entrambi cosa è probabile che sia successo laggiù.”

Colta alla sprovvista, Mary imprecò dentro di sé. Il mancato ritorno dei suoi uomini poteva significare ben poche cose e, se davvero avevano fatto una brutta fine, si era giocata anche l’unica possibilità di salvare la faccia. “Mio Signore…” farfugliò ancora.

“Te le sei lasciate scappare.” sibilò lui tra i denti, inchiodandola con uno sguardo raggelante.

Mary avvertì l’ansia percorrerle tutto il corpo e temette il peggio quando la mano di Nickolaij si strinse a pugno sul bracciolo a forma di testa di drago. Il rubino al mignolo risplendette di rosso sangue nella penombra della sala.

Sapeva che usare come giustificazione l’essere stata ferita non sarebbe servito a niente, se non a mettersi ancora più in ridicolo, così non cercò scuse e andò dritta al sodo. Doveva recuperare la sua fiducia in qualunque modo. “Imploro umilmente il vostro perdono, mio Signore. Datemi un’altra possibilità. Andrò io stessa a cercarle…”

Nickolaij sollevò la mano per farla tacere. “Hai avuto la tua occasione. Ora spetterà ad altri questo compito.” sentenziò risoluto.

A quel punto, Mary si arrese e a capo chino accettò la sua decisione.

“Comunque, sarai lieta di sapere che Dean e i suoi amici umani sono stati catturati.” La informò poi, prendendo a osservare interessato il bagliore del suo anello.

Dal canto suo, Mary non se ne sorprese. In fondo, dopo che lo aveva colpito alla testa era quasi scontato cosa sarebbe successo in seguito. Per quanto fosse ancora furiosa con lui, in un remoto angolo della sua testa non poté fare a meno di preoccuparsi della sorte che gli sarebbe toccata. Di sicuro non tra le più rosee.

Come spesso accadeva, Nickolaij intuì i suoi pensieri, quasi fosse in grado di leggerle nella mente. “Per sua fortuna, ritengo che abbia ancora una qualche utilità. Dunque per il momento gli concederò di vivere, almeno finché non mi avrà rivelato dove sono finite le ragazze.”

“Dove?” ripeté Mary confusa. “Credevo fossimo a conoscenza della destinazione di quel portale.”

Nickolaij scosse la testa spazientito. “Certo, sciocca. Il punto è che se i due uomini che hai mandato non sono tornati, non occorre molta immaginazione per capire chi deve averle trovate e tu sai cosa questo significhi per noi.”

Mary annuì, abbassando lo sguardo. In secoli di guerra con i cacciatori non erano mai riusciti a scoprire il luogo in cui si nascondevano i loro vertici e, visto l’accaduto, era evidente che Dean avesse programmato la loro fuga proprio allo scopo di raggiungerlo. Quindi Nickolaij lo avrebbe spremuto come un limone per farsi rivelare i dettagli del piano. A quel punto, la paura che prima aveva relegato in un angolo si fece protagonista dei suoi pensieri.

“Mio Signore, lasciate che mi occupi di Dean. Lo costringerò a parlare.” Si propose, prendendo coraggio. -In fondo – pensò – meglio io che qualcun altro.-

Nickolaij però non volle sentire ragioni. “No, non posso fare affidamento su di te quando c’è lui di mezzo. Piuttosto, ti suggerisco di tornare nelle tue stanze e di riposare.” Il suo sguardo magnetico si concentrò ancora una volta su di lei. O meglio sulla sua spalla. “Non ti sei ancora rimessa del tutto.”

Mary non si stupì che sapesse del suo ferimento. I vampiri che l’avevano soccorsa dovevano averglielo già riferito e si diede della stupida per aver anche solo pensato di poterglielo nascondere. Senza aggiungere altro, si inchinò e fece per lasciare la sala, con l’intenzione di andare a smaltire la vergogna nel suo laboratorio.

“Rosemary!” la richiamò Nickolaij. La sua voce tonante rimbombò contro le pareti.

Con il cuore in gola, lei si voltò a guardarlo.

“Mi hai molto deluso.” Le disse. “Fallo di nuovo e non sarò così clemente.”

Mary lo sapeva bene. Dopo un errore del genere, era ancora viva solo perché era la sua pupilla. Nickolaij l’aveva praticamente cresciuta e a modo suo nutriva un profondo affetto per lei, ma sapeva di aver perso la sua fiducia e questa consapevolezza la distruggeva.
Dopo essersi assicurata di avere il permesso, girò i tacchi e uscì dalla sala, sperando che almeno i veleni l’avrebbero aiutata a sfogare la sua frustrazione.
Attraversò i corridoi in fretta, riflettendo sulle parole di Nickolaij e, proprio quando credeva che le cose non potessero andarle peggio di così, incrociò Byron lungo il tragitto.
Mary imprecò sottovoce. Tra tutti, lui era proprio quello che aveva sperato di non incontrare.
Si avvicinò a lei con aria boriosa, stringendo tra le mani un grosso tomo che doveva aver preso dalla biblioteca.

“Buonasera, Milady.”

Solo il tono della sua voce, viscido e mellifluo, bastò a farla irritare. “Byron.” ricambiò piatta, facendo per
passare oltre.

“Ho saputo del vostro brutto incidente.” le disse, quando ormai gli aveva già voltato le spalle.

Mary allora smise di camminare e tornò a guardarlo.

“Messa fuori combattimento da un gruppo di ragazzine umane. Deve essere stato umiliante.” continuò in tono di finto rammarico. “Sono addolorato per voi.”

Non si stava neanche sforzando di nascondere la sua falsità e Mary sentì ribollire il sangue fino al cervello. Sapeva benissimo che quella sua finta aria addolorata non era altro che la palese manifestazione del suo godimento. Si stava crogiolando nel piacere e sicuramente avrebbe desiderato esserci quando Nickolaij l’aveva bacchettata per la sua disfatta.

“L’unico errore che ho commesso è stato quello di abbassare la guardia, ma non capiterà più.” rispose secca, trattenendo quanto più possibile la voglia irrefrenabile di dargli un pugno sul naso.

“Naturalmente.” confermò Byron, con un sorrisetto di circostanza.

Per Mary la conversazione era durata anche troppo. “Sarà meglio che vada ora.”

“Sì, avete ragione. Non voglio farvi perdere altro tempo. Dopotutto anch’io sono indaffarato.”

-Ecco bravo, tornatene in biblioteca e infilati uno dei tuoi dannati libri su per il…- pensò Mary in un moto di rabbia repressa.

“Nickolaij mi sta aspettando.” Byron sottolineò le ultime parole con enfasi e la cosa non fece che irritarla ancora di più.

Con un breve cenno del capo si salutarono e ognuno andò per la sua strada.
 
-o-
 
Erano tre giorni ormai che li tenevano chiusi in quella cella. Dopo averli catturati, i vampiri li avevano sbattuti dentro, incatenati alle caviglie per fare in modo che non avessero libertà di movimento, e si facevano vivi giusto una volta al giorno per portare qualcosa da mangiare agli umani, ma senza farsi vedere. Il cibo veniva passato dall’unica feritoia della porta blindata, che neanche lui sarebbe riuscito a forzare dall’interno. Prevedibilmente, Nickolaij non avrebbe rischiato di metterli di nuovo dietro le sbarre, visto com’era andata l’ultima volta. Nonostante ciò, Mark e Cedric non facevano che chiedere delle ragazze, se erano vive, se stavano bene e Dean continuava a ripetere loro che era inutile, perché nessuno avrebbe detto una parola. Era esasperante.
L’unico lato positivo, se mai ce ne fosse stato uno, era che questa volta non si trovavano nei sotterranei umidi e ammuffiti del castello, bensì in cima a una delle torri. L’unica fonte di luce era una finestrella posta in alto, grazie alla quale era stato in grado di tenere il conto dei giorni da quando l’orologio da polso di Mark si era scaricato. Tre interminabili giorni, in cui Dean non aveva smesso un attimo di pensare a Juliet. Dopo lo scontro con Connor, qualcuno doveva averlo colpito alla testa e trascinato di nuovo al castello, quindi non aveva idea di cosa le fosse successo. Nel piano originale aveva dato per scontato che sarebbe stato con lei, ma le cose erano andate diversamente e ora il pensiero che potesse trovarsi in pericolo lo stava logorando.

Preso com’era da quei pensieri, si stupì di sentire di nuovo la voce di Mark, visto che sia lui che Cedric non parlavano da ore. “Secondo te che ne sarà di noi?” gli chiese amareggiato. Era chiaro come il sole che aveva paura e sarebbe stato strano il contrario.

“Già…” mormorò Cedric subito dopo. “Se vogliono ucciderci, non capisco che aspettano.”

Dean li guardò, abbandonandosi a un sospiro rassegnato. “A questo punto è evidente che per Nickolaij siamo di qualche utilità, altrimenti non saremmo ancora qui a discuterne.” rispose pratico.

Ci aveva riflettuto molto in quei giorni e le spiegazioni plausibili erano ben poche. Conosceva il modo di pensare di Nickolaij. Perché sprecare sangue fresco? Avrebbe lasciato che Mark e Cedric vivessero fino alla prossima cerimonia del plenilunio, ma questo non lo disse a voce alta. Nel suo caso, invece, la questione era più controversa. Dopo il suo tradimento, il fatto che gli servisse a qualcosa poteva essere l’unico motivo per cui era ancora in vita, ma sospettava che presto lo avrebbe scoperto a sue spese.  
Poco dopo, infatti, sembrò che qualcuno gli avesse letto nel pensiero, perché avvertirono dei passi e un movimento di chiavi all’esterno. Un vampiro aprì la porta e poi si fece da parte, per consentire a Nickolaij di entrare.
Il suo sguardo magnetico si posò all’istante su Dean, che lo sostenne senza lasciarsi intimidire. Accanto a sé poteva avvertire la paura che la sua comparsa aveva suscitato in Mark e Cedric, e sapeva bene che anche lui la sentiva. Nickolaij era in grado di captare ogni emozione, catturarla e amplificarla a dismisura.

Restando impassibile, si rivolse direttamente a lui, ignorando completamente gli altri. “Allora…” esordì, facendo una pausa subito dopo. Anche questo faceva parte del suo modo unico di incutere terrore. Finché non riprendeva a parlare, ti sentivi appeso a un filo con il respiro interrotto. “Ti sei dato tanto da fare, eppure sei di nuovo qui.” osservò, mentre la sua voce lasciava trapelare una quasi impercettibile nota di soddisfazione.

Dean non replicò, ma questo non impedì a Nickolaij di continuare. “A quanto pare, il tuo piano aveva qualche falla, visto che non sei riuscito a portare in salvo tutti i tuoi amici.”

Tutti? Quella era la conferma che cercava. Le ragazze ce l’avevano fatta. Un barlume di speranza si riaccese in lui, pur sapendo che non era venuto ancora il momento di esultare.

Ovviamente Nickolaij se ne accorse. “Sì, per ora ci sono sfuggite.” ammise. “Tuttavia, sai bene quanto me che non riuscirebbero mai a sopravvivere da sole in un luogo così inospitale. Dunque mi ha lasciato alquanto perplesso la tua idea di mandarle laggiù, a meno che tu non avessi previsto l’aiuto di qualcun altro.” insinuò, certo che Dean avrebbe capito di chi stava parlando.

Mark e Cedric puntarono le loro espressioni scioccate su di lui, che però si guardò bene dal ricambiarli e si sforzò quanto più poteva di restare impassibile di fronte a Nickolaij. All’improvviso, fu assalito dalla consapevolezza di aver rischiato troppo e faceva fatica a nasconderlo.

Visibilmente soddisfatto della tensione creata, Nickolaij si chinò verso di lui, diminuendo la distanza tra i loro sguardi. “Pensavi che non avrei scoperto le tue intenzioni, vero? Sei più sciocco di quanto credessi e me ne dispiaccio. Ti ritenevo un così valido elemento...” mormorò, fingendosi deluso; poi si alzò. “Ad ogni modo, sono convinto che ti dimostrerai collaborativo dicendomi dove si trovano.”

Dean intuì subito in quale modo intendesse renderlo collaborativo, ma stava dando per scontato che lui sapesse dove si trovavano le ragazze e non era così, o almeno non del tutto. Comunque, qualunque tipo di tortura Nickolaij avesse in mente, se si aspettava che lo avrebbe indotto a parlare si sbagliava.

“Tu sei malato!” proruppe Cedric all’improvviso, rivolgendosi furioso a Nickolaij. “Sei un cazzo di psicopatico!”

-Sta zitto, idiota! – pensò Dean dentro di sé, temendo già le conseguenze. Tuttavia, era inutile sperare che Cedric tacesse.

“L’ho capito cosa vuoi.” continuò imperterrito, con lo sguardo in fiamme. “Tu vuoi Claire. Sei ossessionato da lei. Ma ti giuro che se le torci un solo capello…”

Dall’altra parte, Nickolaij rimase insensibile alle sue minacce. Non lo toccavano minimamente. Voltò a malapena la testa, giusto per poter squadrare con aria di sufficienza quell’inutile essere che aveva osato rivolgergli la parola e mostrare così quanto lo considerasse meno di niente.
Dean era consapevole che bastasse un solo cenno per porre fine alla vita di Cedric e fu quello che temette quando Nickolaij rivolse un’occhiata eloquente alla guardia.
Il vampiro si avvicinò a Cedric, ma per fortuna si limitò a colpirlo in faccia con violenza, facendolo prima sbattere contro il muro e poi accasciare a terra.

“Ced!” esclamò Mark nel panico, per poi accorrere in suo soccorso.

Sistemato l’umano impudente, Nickolaij si rivolse nuovamente a Dean, che intravide un ghigno appena percepibile sul suo volto. “Tornando a noi. I tuoi nuovi alloggi ti attendono.” disse, mentre nel frattempo altri due vampiri entravano nella cella e la guardia provvedeva a togliergli la catena.

Quando lo fecero alzare afferrandolo per le braccia, Dean non oppose resistenza e si lasciò trascinare fuori.

 
-o-

Elizabeth cavalcava impetuosa nella foresta attorno al castello. Indossava stivali alti e abiti da cavallerizza, così che in lei non ci fosse alcuna traccia della nobildonna che sua sorella avrebbe apprezzato, ma solo lo spirito libero che era, e questo non poteva che farle piacere.
All’improvviso, un serpente strisciò fuori da un cespuglio e fece imbizzarrire il cavallo, che si drizzò sulle zampe posteriori, nitrendo terrorizzato. Elizabeth cercò invano di calmarlo tirando le redini, ma per sua fortuna era un’esperta e riuscì comunque a restare in sella. Il cavallo, però, continuava ad agitarsi e poco dopo prese a correre all’impazzata, incurante del morso che la ragazza continuava a tirare.
Il panico stava iniziando a farsi strada in lei, quando uno sconosciuto a cavallo sbucò dagli alberi che si era lasciata alle spalle e prese a inseguirla.
Colmato il distacco, le si affiancò, sporgendosi per afferrare le redini, che tirò con forza finché non fu riuscito a fermarlo. Dopodiché si affrettò ad accertarsi delle sue condizioni.

“State bene, Milady?” le chiese apprensivo, porgendole la mano per aiutarla.

Elizabeth l’afferrò e scese, tutto sommato ancora padrona di sé, anche se aveva le guance arrossate e l’acconciatura scomposta. Il suo primo pensiero fu il suo cavallo, così si avvicinò al muso e lo accarezzò, sussurrandogli parole rassicuranti. Solo dopo qualche istante sembrò ricordarsi dello sconosciuto.

“Qualcosa deve aver spaventato a morte Percival.” disse allora, cercando di mantenere un tono distaccato, nonostante avesse il fiato corto.


“Nome inglese.” constatò lo sconosciuto.

Elizabeth si voltò a guardarlo e lo squadrò dall’alto in basso, accorgendosi solo allora dei suoi capelli ramati e lo sguardo penetrante. Un uomo di bell’aspetto, non c’era dubbio. Non tanto più grande di lei, a giudicare da una prima occhiata, e probabilmente ignaro di trovarsi di fronte alla nipote del principe. Si guardò bene però dal farglielo presente.

“Vi ringrazio per il vostro aiuto, ma non ce n’era bisogno.” gli disse, prendendo Percival e incamminandosi verso il castello.

Lui però non rimase indietro a lungo. “Ma certo. Era evidente che avevate il pieno controllo della situazione.” ribatté con sottile ma cortese ironia, quando le si affiancò con il suo cavallo.

“Sarei riuscita a calmarlo, se non vi foste intromesso.”

“Non nutro il minimo dubbio nella vostra abilità.”

A quel punto, Elizabeth si fermò e gli rivolse un’occhiata indagatrice. “Vi state forse burlando di me, messere?”

L’uomo alzò le mani in segno di resa. “Non oserei mai. Siete troppo bella.” rispose, senza fare una piega.

Lei rimase alquanto sorpresa dalla sua faccia tosta e riuscì a stento a nasconderlo, così rivolse di nuovo lo sguardo al castello e riprese il cammino. “E voi un maleducato. Non mi avete ancora detto il vostro nome.”

“Avete ragione.” Annuì. “Tuttavia, perdonatemi, ma non rammento che voi mi abbiate detto il vostro.”

Senza alcun aiuto, Elizabeth rimontò a cavallo e, prima di spronarlo ad andare, rivolse allo sconosciuto ancora un’occhiata sdegnosa. “Chi sono non vi riguarda. Ossequi.” lo liquidò in breve, per poi lasciarselo alle spalle.

Si stava togliendo i guanti, dopo aver lasciato Percival alle cure degli stallieri, quando si vide venire in contro una delle cameriere di Margaret.

“Mia Signora.” La riverì con un inchino. “Mi manda vostra sorella. Sua Signoria il principe richiede la vostra presenza nella sala del trono.”

Elizabeth annuì con aria annoiata, senza neanche sprecarsi a chiederne il motivo. Tanto lo avrebbe scoperto di lì a poco. “Prima devo cambiarmi d’abito. Facciamo presto.”

Il tempo di tornare nelle sue stanze e l’ambiente cambiò. Ora si trovava nella grande sala delle udienze, dove insolitamente non c’erano draghi. Al loro posto, si mostravano fiere ovunque le aquile dei Danesti.
Il principe di Bran sedeva sul trono, con Margaret e Cordelia già al suo fianco. Per fortuna, qualunque cosa dovesse avvenire, non era ancora iniziata, ma Elizabeth si beccò comunque un’occhiata fulminante dalla sorella maggiore.

“Si può sapere dov’eri finita?” le chiese tra i denti, mentre si posizionava accanto a Cordelia.

L’arrivo provvidenziale degli ospiti attesi la salvò dalla risposta, ma il sollievo venne ben presto sostituito dalla sorpresa quando si accorse che a guidarli era lo stesso sconosciuto incontrato nella foresta.
In testa al gruppo, percorse l’intera lunghezza della sala, fino a inginocchiarsi di fronte a suo zio. Rivolse la fronte al pavimento, aspettando un cenno di benevolenza da parte del principe.
Poco dopo, infatti, lui lo invitò a rialzarsi insieme agli altri e l’uomo sollevò la testa, accorgendosi solo allora della presenza di Elizabeth. Tuttavia, mentre lei non riuscì a nascondere lo stupore nel rivederlo, lo sguardo dello sconosciuto si soffermò solo un istante, prima di rivolgersi di nuovo a suo zio.
“Vostra Signoria, è un onore e un privilegio essere al vostro cospetto.” lo adulò, come era solito fare chiunque avesse bisogno del suo favore.

L’espressione del principe era di chi lo sapeva bene. “Qual è il vostro nome, Sir?” chiese distaccato, ma solenne.

“Con rispetto, Signoria, non sono un cavaliere. Mi chiamo Nickolaij Lazar e non sono che un povero rinnegato in cerca di protezione.” rispose lui, chinando il capo riverente. “Io e i miei compagni veniamo per chiedervi umilmente asilo e rifugio.”
 


Era iniziato un nuovo giorno al villaggio. Le ragazze si erano appena svegliate e stavano preparando la colazione. Una colazione decisamente diversa da quella a cui erano abituate, visto che il caffè, che lì chiamavano qahwa, era più forte e il cibo consisteva in una sorta di focaccine e formaggio alle erbe.
Laurenne si affaccendava ai fornelli, aiutata da Rachel, mentre Claire, Cordelia e Samir aspettavano seduti al tavolo. Rachel le passò un barattolo di terracotta che conteneva delle spezie e la osservò incuriosita mescolarle al caffè. Quando fu pronto, lo versarono e portarono le tazze a tavola. Tazza che con disappunto Rachel dovette poggiare proprio davanti a Cordelia, senza che lei si sforzasse minimamente di prenderla da sola.
Claire fu la prima ad assaggiarne un sorso, per poi allontanare la tazza dalla bocca con aria disgustata.

“Quant’è amaro. Almeno ci hai messo un po’ di zucchero?”

“Sì, scusa. Una o due bustine?” ribatté Rachel sarcastica.

Laurenne rivolse a entrambe un’occhiata perplessa, poi passò a Claire un piattino con sopra quelli che sembravano dei datteri. “Tieni, prova con questi.”

Lei ne prese uno e ne morse un pezzetto esitante. Dopo aver bevuto il caffè, in effetti scoprì che in quel modo andava molto meglio, anzi, la dolcezza del dattero esaltava il sapore speziato della bevanda.
Mentre mangiavano in silenzio, Claire ripensò al sogno che aveva fatto quella notte. Era l’ennesimo in pochi mesi, ma ancora si stupiva di quanto fossero nitidi, quasi reali. Sembrava davvero di essere tornati indietro nel tempo.

Rachel si era accorta che stava rimuginando, così, approfittando del fatto che Laurenne fosse nell’orto e Samir era uscito, diede voce alla curiosità. “Che hai? Ti vedo pensierosa.”

“Stanotte ho sognato Elizabeth.” le confessò, poggiando con un sospiro le guance tra le mani.

Lei strabuzzò gli occhi, visibilmente sorpresa. “Di nuovo?”

Claire annuì. “Sono passate settimane dall’ultima volta e pensavo di essermene liberata, invece…”

“Cosa hai sognato di preciso?”

Dopo aver fatto mente locale per un attimo, fu abbastanza sicura di ricordare. “Ho visto il suo primo incontro con Nickolaij.” spiegò. “Continuo a rivivere momenti del suo passato, anche se ora la osservo da un punto di vista esterno.”

Rachel stava per chiederle chiarimenti, ma Cordelia sembrò aver sentito solo allora l’argomento della conversazione e si mise in mezzo. “Aspetta. Hai detto di aver visto mia sorella in sogno?” le chiese incredula.

“Ci siete tutte, in realtà. Anche tu e Margaret.” chiarì Claire. “Stavolta eravate nella sala del trono, a Bran. E c’era anche il principe…”

“Nostro zio.” la interruppe mormorante, con lo sguardo perso. Poi parve riaversi. “Com’è possibile che tu abbia dei sogni su di me e la mia famiglia?”

A quel punto, Rachel intervenne. “Allo stesso modo in cui è possibile che tu sia qui al posto di Juliet, credo. Tutta questa storia è un enorme enigma da risolvere, perciò vediamo di fare un passo alla volta.” ragionò, per poi tornare su Claire. “Che altro hai visto?”

“Nickolaij.” rispose lei, stavolta più sicura. “Era venuto per chiedere asilo ai Danesti, ma poi mi sono svegliata e non ho capito il perché…”

Cordelia si alzò di scatto, come se non potesse sopportare di sentire oltre. “Voleva sterminarci, ecco perché. Voleva riprendersi ciò che la mia famiglia aveva sottratto ai suoi avi, indegni di regnare sulla Valacchia.” Nella sua mente sembrarono riaffiorare brutti ricordi e si fece scura in volto. “Un giorno si presentò al castello sotto falso nome, chiedendo aiuto e protezione a mio zio, che nella sua generosità glieli concesse. Ma fu un errore che ci costò molto caro.”

Claire rimuginò sulle sue parole. “Eppure, da quel poco che ho visto, non mi è sembrata una cattiva persona. Almeno all’epoca. Ha salvato Elizabeth da un cavallo imbizzarrito, è stato gentile con lei…”

“Solo perché voleva usarla.” chiarì Cordelia, la voce tremante per la rabbia. “Le ha raccontato tante di quelle menzogne. Che l’amava, che voleva sposarla…E invece, non appena ha potuto, le ha tolto tutto.”

Fu allora che a Claire tornarono in mente le parole che aveva sentito pronunciare dallo stesso Nickolaij in uno dei suoi sogni. “L’amore è una debolezza…” mormorò con lo sguardo fisso, come incantata.

Rachel la guardò con aria stranita. “Cosa?”

“L’ha uccisa perché rappresentava un ostacolo ai suoi piani. Non poteva lasciarsi distrarre dall’amore, perché avrebbe perso di vista il potere. Era quello l’obbiettivo finale.”

Impegnata a realizzare tutto questo, non si accorse subito dell’espressione scioccata che le sue parole avevano fatto nascere sul viso di Cordelia.

“È stato lui…” realizzò, ricadendo a sedere sulla panca. “Beth è morta per mano sua...”

Rachel e Claire allora si resero conto che non doveva esserne al corrente.

“Non lo sapevi?” chiese Claire cauta, sentendosi un po’ in colpa per averglielo rivelato in quel modo.

Cordelia scosse la testa, mentre le lacrime le scendevano sulle guance. “Ero pronta a raggiungere il mio promesso sposo quando l'esercito di Nickolaij stava arrivando per prendere il castello.” raccontò, con la voce rotta dai singhiozzi. “La mia carrozza mi stava aspettando, ma venni raggiunta ancor prima di mettere piede nel cortile e fu la fine per me. Non ho saputo nulla della sorte toccata alle mie sorelle. Speravo che alla fine fossero riuscite a mettersi in salvo…” L’ennesimo singhiozzo le bloccò le parole in gola e nascose il viso tra le mani, cedendo alla disperazione.

Rachel provò una pena immensa per lei, così la avvicinò a sé e la strinse in un abbraccio, mentre Claire poggiava una mano sulla sua, anche se ciò che aveva sofferto andava al di là di ogni loro tentativo di confortarla.

Quando si fu calmata, Rachel diede fiato a quello che stava pensando già da un po’. “Claire, secondo me dovremmo parlare a Laurenne dei tuoi sogni.”

“E pensi che saperlo le potrà essere utile?”

“Non lo so, ma più cose riusciamo a mettere insieme più avremo qualche chance di capirci qualcosa. E magari anche di far tornare Juls.” Subito dopo guardò Cordelia. “Senza offesa.”

Facendole capire con un leggero sorriso che non doveva preoccuparsi, lei si asciugò le lacrime per ritrovare il contegno.
Neanche a farlo apposta, di lì a poco Laurenne ricomparve sulla soglia, di ritorno dal suo orto. Non ci mise molto a capire che nel frattempo era successo qualcosa, anche perché le loro espressioni erano molto eloquenti, così passò in rassegna i loro volti rattristati, cercando di leggervi la risposta. “Ragazze…Va tutto bene?”

 
-o-

Solo, con i polsi stretti da catene che non poteva spezzare, Dean fissava assente il pavimento della cella dove Nickolaij l’aveva fatto rinchiudere dopo la visita alla torre di qualche giorno prima. In realtà, non era sicuro di quanto tempo avesse trascorso là dentro, ma dalle torture subite sembrava addirittura fossero passati anni.
Il metodo usato per farlo parlare era sempre lo stesso. Lo picchiavano a sangue, per poi lasciare che le ferite si rimarginassero, in modo che fosse pronto per ricominciare. Sapeva che non si sarebbero fermati finché non avesse rivelato il punto esatto in cui si trovava il villaggio dei cacciatori. Il problema era che non ne aveva idea. Solo ora, in quelle condizioni, si rendeva conto della pazzia che aveva fatto mandando le ragazze alla deriva nel deserto, senza la minima certezza che qualcuno le avrebbe trovate.
Il senso di colpa lo torturava ancora di più delle percosse e dei morsi della fame. Il plenilunio era ancora lontano, ma la perdita di tutto quel sangue non faceva che aumentare la sua vulnerabilità. Un altro piano di Nickolaij per convincerlo a parlare.
Mentre attendeva, suo malgrado, di guarire, sentì la chiave girare nella serratura arrugginita della cella. –È già ora? – pensò. A quanto pareva, i suoi aguzzini erano impazienti di rimettersi all’opera.
Intuì di sbagliarsi dal diverso suono dei passi sulle pietre scure del pavimento, così sollevò la testa quel poco che la debolezza gli concedeva e la vide, ferma sulla soglia a contemplarlo. Era la prima volta che Rosemary veniva a trovarlo da quando lo avevano catturato.

Le sue labbra si piegarono in un ghigno appena accennato, ma anche quel piccolo movimento gli provocò dolore in tutto il corpo. “Sei qui per goderti lo spettacolo?”

Lei scosse la testa, avvicinandosi di più. “Guarda come sei ridotto.” constatò in tono rammaricato. “Se solo mi avessi dato ascolto…”

Dean non riuscì a trattenere una risatina sommessa, che di lì a poco lasciò spazio a uno sguardo carico d’odio. “Fottiti.” 

Mary però non si lasciò impressionare. “Il solito galante...” disse, senza una punta di ironia.

“Che diavolo vuoi, Mary?” la interruppe, già stanco di sentirla parlare quanto di averla davanti. Oltre alle torture, ora doveva sopportare anche la sua vista.

Lei non rispose e per un momento Dean sperò che si fosse offesa e si decidesse ad andarsene, ma aveva cantato vittoria troppo presto. Poco dopo la vide trafficare nella tasca del mantello e prima che lo trovasse, Dean sapeva già cosa stava cercando. Perciò non si stupì quando tirò fuori la solita boccetta dal contenuto vermiglio.

“Puoi anche tenertela. Non mi serve la tua compassione.”

“Avanti, piantala.” ribatté Mary, sbuffando seccata. “Sai benissimo che in queste condizioni non riusciresti a sopravvivere a lungo.”

“Quale parte del termine ‘vattene’ non ti è chiara?” sibilò Dean tra i denti. Si sarebbe fatto uccidere subito, piuttosto che accettare il suo aiuto.

Questa volta, Rosemary sembrò essersela presa sul serio, perché gli rivolse un’occhiata di fuoco, rimettendosi subito dopo la boccetta in tasca. “Come vuoi. Continua pure a marcire qui dentro per il tempo che ti rimane, che a quanto vedo non è poi molto.” sentenziò glaciale. “Credevo fossi più furbo e tenessi di più alla tua vita, invece non sei altro che un povero stolto.”

I suoi insulti non avevano il minimo effetto su Dean, che continuò a fissarla con volto privo di qualsiasi espressione.

“Un povero stolto che si ostina nel silenzio per proteggere qualcuno già bello che morto.” continuò lei, senza nascondere il piacere che provava nel rivelarglielo.

Il messaggio era forte e chiaro, e Dean non impiegò più di mezzo secondo a recepirlo. Dopo un iniziale smarrimento, ritrovò lucidità e la squadrò con disprezzo. “Sei patetica se pensi che io possa crederci.”

Rosemary fece spallucce. “Libero di non farlo, ma sappi che ho davvero goduto nel vedere il suo sangue.” disse trionfante, mentre un bagliore di rivalsa le illuminava lo sguardo da psicotica. “Prima che se la desse a gambe con le sue amichette, l’ho ferita con uno dei miei pugnali e ormai il veleno dovrebbe aver fatto effetto.”

A quel punto, a Dean fu chiaro che non stava mentendo e avvertì il mondo crollargli addosso. Juliet non c’era più. Tutti i suoi sforzi per salvarla non erano serviti a niente. Quella consapevolezza riuscì dove le torture di Nickolaij avevano fallito, distruggendolo in un attimo.
Mentre Mary gli voltava le spalle, uscendo dalla cella, spese tutte le energie rimanenti in uno straziante urlo di rabbia e dolore.

 

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Capitolo 7
*** In cerca di risposte ***


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Capitolo 4 - In cerca di risposte


Cordelia giaceva addormentata su un letto di paglia improvvisato da Laurenne in mezzo alla stanza e ora la sciamana le girava intorno, studiando attentamente i movimenti del fumo che scaturiva da bastoncini di incenso posti tutti intorno alla ragazza. Ad essi si alternavano delle pietre con sopra incisi dei segni runici, la cui posizione era stata oggetto di lunga riflessione prima di iniziare il rituale.
Sedute in un angolo, Rachel e Claire osservavano la scena con aria perplessa, chiedendosi quanto tutto ciò fosse efficace per capire cosa era successo a Juliet.

Dopo l’ultimo sogno di Claire, si erano decise a parlarne con Laurenne, che con quel tassello in più aveva potuto azzardare delle ipotesi. “È probabile che Juliet sia la reincarnazione della duchessa Danesti.” Era stata la prima cosa che le era venuta in mente. “E che questo scambio di personalità possa essere il risultato di un trauma provocato dall’avvelenamento.”

“Può davvero succedere?” aveva chiesto Rachel scettica, alzando un sopracciglio.

“Beh, gli effetti di alcuni veleni sono imprevedibili. Se poi lo spirito di una persona defunta era affine, può capitare che si reincarni in un corpo attuale.”

A Claire quel ragionamento era suonato strampalato fin dall’inizio e preferì andare dritto al sodo. “Quindi che fine ha fatto Juliet? È ancora lì dentro, da qualche parte?”

La sciamana aveva scosso la testa, facendole capire che lo ignorava. “In teoria non è possibile per due anime convivere nello stesso corpo, ma per ora non posso dirlo con certezza. Devo studiarla meglio.”

Così si erano ritrovate in quella specie di seduta spiritica, senza avere idea di quale sarebbe stato l’esito. Laurenne girava intorno a Cordelia e di tanto in tanto si fermava a fissare un punto indefinito nell’aria, pervasa dai fumi odorosi dell’incenso.
Rachel aveva il sentore che sarebbe andata avanti in quel modo per chissà quanto, così rivolse un’occhiata eloquente a Claire, che ricambiò, mossa dallo stesso istinto. Sentivano entrambe il bisogno di cambiare aria, quindi decisero di uscire di casa, sicure che Laurenne sarebbe venuta a chiamarle non appena avesse finito.
Da quando Jamaal le aveva lasciate alla sua custodia, erano libere di girare per il villaggio, a patto che rispettassero le raccomandazioni della sciamana di stare alla larga dagli uomini di Tareq. Visto che non sapevano come distinguerli dagli altri, avevano pensato bene di non parlare con nessuno che fosse vestito come un guerriero, in modo da evitare guai. Quanto alla loro presenza, ormai non suscitava più le attenzioni di nessuno e la vita nel villaggio procedeva dinamica e chiassosa come sempre. Lì la gente sembrava abituata all’ospitalità.

“Secondo te cosa le ha dato per farla dormire?” chiese Claire, mentre dava un’occhiata alla bottega delle stoffe, in realtà con scarso interesse.

Rachel sospirò. “Di sicuro l’ha drogata con una di quelle erbe strane che coltiva. Speriamo solo che non le faccia male.” Dentro di sé pregava che gli strani esorcismi di Laurenne risolvessero il problema senza causare troppi danni a Juliet. A dire la verità, nonostante ormai il suo scetticismo nei confronti del mistico fosse decisamente calato, faceva ancora fatica ad accettare cose che fino a pochi mesi prima considerava favole per bambini.
Comunque, al momento era ben altro a preoccuparla. Il suo viso si rabbuiò. “Non ce la faccio più a starmene qui senza fare niente, Claire. I ragazzi sono ancora lì dentro.” disse amara. –Mark è ancora lì dentro –  pensò.

Lei annuì comprensiva. “A chi lo dici. Non sai quante volte ho sentito l’impulso di rubare un paio di cavalli e tornare a Bran.”

A Rachel sfuggì un sorriso mesto. L’idea era venuta anche a lei, ma si rendeva conto che era una follia. Non ce l’avrebbero mai fatta da sole e lo sapeva anche Claire. “Dobbiamo smetterla di perdere tempo e convincere questa gente ad aiutarci.” esordì. “A questo punto, credo che l’unico modo sia parlare direttamente con Jamaal, spiegargli il problema.”

Claire però non sembrava molto convinta. “E cosa pensi di fare? Piombare nella sua tenda così, dal nulla, nella speranza che ti ascolti?”

Rachel ci rifletté su un istante. Fosse stato per lei ci sarebbe andata anche subito, ma a frenarla non era tanto la paura di Jamaal, quanto la concreta possibilità di un suo rifiuto. Forse, sarebbe stato meglio chiedere a Laurenne di intercedere, anche se l’idea di coinvolgerla di nuovo non la entusiasmava. Aveva già fatto tanto per loro.
Mentre rimuginava, un gruppo di bambini passò poco lontano e tra questi riconobbero Samir, che non appena le vide agitò un braccio in segno di saluto. Quindi lasciò i suoi amici e le raggiunse.

“Ehi, piccolo. Da dove vieni?” gli chiese Rachel con un sorriso.

Il bambino assunse un’aria fiera. “Ero ad allenarmi. Tutti i guerrieri si allenano e un giorno io sarò un grande guerriero. Come mio padre.” spiegò. “E non sono piccolo.” ribatté senza ombra di risentimento; poi la prese per mano e la guidò verso casa, ignorando l’occhiata confusa, ma allo stesso tempo divertita, che lei e Claire si scambiarono.
Trovarono Laurenne che preparava la cena. Il pagliericcio al centro della stanza era sparito e al suo posto c’era di nuovo il tavolo di legno.

“Potevi aspettarci. Ti avremmo aiutata a sistemare.” disse Rachel, annunciando così la loro presenza. Si guardò intorno in cerca di Cordelia, per poi intravederla con la coda dell’occhio nella stanza accanto, intenta a spazzolarsi i capelli.

Laurenne si voltò e sorrise, poggiando il mestolo in un angolo. “Ah, eccovi. Mi chiedevo dove foste.”

“Scusaci. Siamo uscite a fare due passi.” si giustificò Claire.

La sciamana sventolò una mano, dicendo di non preoccuparsi. “Samir, sbrigati a lavarti. È quasi pronto.”

Il bambino obbedì e, mentre lo aspettavano, Laurenne ne approfittò per metterle al corrente della sua ultima scoperta. Raccontò che durante il rito eseguito su Cordelia aveva percepito un’altra presenza, anche se molto debole, all’interno del corpo di Juliet. Di conseguenza, era abbastanza certa che fosse ancora viva, ma non sapeva ancora in che modo e soprattutto se sarebbe stato possibile farla tornare.

“Come sarebbe a dire ‘se’?” chiese Claire, sentendo subito il panico salire. “Stai dicendo che potrebbe restare così per sempre?”

Rachel le sfiorò un braccio, facendole segno di abbassare la voce. Cordelia era solo nell’altra stanza.

“È presto per dirlo. Ho pensato di mettermi in contatto con il mio mentore, che vive in un altro villaggio poco distante da qui. È un uomo saggio e ha molta più esperienza di me in questo genere di cose. Lui saprà darmi qualche buon consiglio e forse insieme riusciremo a venirne a capo.” Spiegò la sciamana; poi, vedendole afflitte, rivolse loro un sorriso rassicurante. “Non perdete la speranza.”

“Grazie per l’aiuto che ci stai dando.” mormorò Rachel, sforzandosi di mostrarsi ottimista.
In fondo, Laurenne se lo meritava. C’era dell’altro, però, che voleva chiederle, ma non sapeva bene in che modo. “Come ricorderai, abbiamo anche un altro problema da risolvere e speravamo nell’aiuto di Jamaal.”

Lei annuì e il suo sguardo si fece serio. “I ragazzi prigionieri a Bran.” rammentò.

“Più passa il tempo e più le probabilità che siano vivi diminuiscono. Dobbiamo salvarli e Jamaal è l’unico che possa aiutarci a farlo.”

“Secondo te, esiste una remota possibilità che ci ascolti?” le chiese Claire.

L’espressione della sciamana si fece perplessa. “Potreste provare. Certo, la vostra non è una richiesta da nulla, ma questo non vi impedisce di fare un tentativo.”

Rachel annuì decisa. Con tutto il rispetto per Jamaal, se ne infischiava se la loro richiesta fosse stata eccessiva. La vita di Mark al momento era la sua unica priorità. “Andremo domattina.”
 
-o-
 
Erano passati diversi giorni e Jamaal ancora non si era degnato di riceverle. Neanche si trattasse di ottenere un’udienza privata con il Presidente. Ogni volta i suoi galoppini le riempivano di scuse banali su quanto fosse impegnato, rispedendole più o meno in malo modo da dove erano venute, e ogni volta erano costrette ad annuire e tornarsene a casa con la coda tra le gambe.
D’altro canto, la questione Cordelia non aveva fatto passi avanti e, nonostante Laurenne avesse inviato un falco con un messaggio al suo maestro, non aveva ancora ricevuto risposta.
Quella mattina, dopo l’ennesimo rifiuto, Rachel e Claire erano rientrate in casa, trovando Cordelia intenta a sorseggiare un infuso di erbe rilassante fatto da Laurenne.

“Questa storia è allucinante!” esplose Claire, piombando in cucina e facendola trasalire. “Ci sta evitando! È palese che non ci vuole tra i piedi quell’arrogante, borioso, pezzo di…”

“Claire! Modera il linguaggio.” la rimbeccò Cordelia, lanciandole un’occhiataccia. “Certi termini non dovrebbero uscire dalla bocca di una fanciulla. È inappropriato.”

Dal canto suo, Claire boccheggiò allibita, ma con un’altra occhiata, stavolta molto eloquente, Rachel la dissuase dal risponderle per le rime; poi, afflitta, si mise a sedere sulla panca, affondando il viso tra le mani.
“Non possiamo andare avanti così, il tempo stringe.”

“Che vuoi dire?” le chiese Claire.

“È un po’ di tempo che ripenso a quello che ci disse Dean sui vampiri, sul fatto che si nutrono solo durante la luna piena.”

“E allora?”

Rachel sbuffò seccata. Possibile che non riuscisse a capire? “E allora facendo i calcoli manca poco al prossimo plenilunio. Se vogliamo salvarli, dobbiamo farlo entro questa data, oppure loro…” Non ebbe la forza di dirlo, ma il concetto era chiaro. Più perdevano tempo e maggiori erano le probabilità che venissero trasformati in vampiri, o peggio, serviti per cena. L’unica cosa che sperava era che Dean fosse ancora insieme a loro. Non era certa che la sua presenza avrebbe cambiato granché le cose, ma in qualche modo l’idea la rassicurava.

“Non disperate.” Intervenne Cordelia, mandando giù l’ultimo sorso con aria educata. “Sono certa che Jamaal vi ascolterà…prima o poi. Sarebbe scortese da parte sua non farlo. Ricordo che mio zio, il principe, ascoltava sempre le suppliche dei suoi sudditi.”

L’arrivo improvviso di Laurenne le distolse dallo scambiarsi occhiate su quell’ultimo commento.

“Torno ora dalla voliera.” le informò sorridente, entrando in casa con un foglio di carta in mano. “Finalmente il maestro ha risposto al mio messaggio.”

Rachel sentì rinascere in lei un po’ di speranza. “Cosa dice? Ha trovato una soluzione?”

A quella domanda il sorriso sulla bocca di Laurenne si spense lentamente. “In effetti…no. Come me, questa è la prima volta che si imbatte in un fenomeno simile. Però mi ha dato il permesso di consultare l’arshif.”

Claire la squadrò disorientata. “L’ar-che?”

“È una specie di biblioteca, dove sono custodite pergamene antichissime. Forse lì troverò la risposta ai nostri problemi.” spiegò la sciamana, che sembrava davvero elettrizzata dall’idea. Doveva trattarsi di un caso davvero unico per convincere il maestro a darle l’accesso a quel luogo. “Devo preparare la partenza.”
continuò, facendo mente locale. “Ovviamente voi resterete qui con Samir, non può restare solo. Per quanto riguarda il mio lavoro, beh, i miei apprendisti se la caveranno alla grande. Per prima cosa, però, devo parlarne con Jamaal…” Andava a ruota libera, passeggiando avanti e indietro per la stanza e parlottando mezzo in arabo e mezzo in inglese, quando d’un tratto si interruppe. “A proposito, cosa vi ha detto sulla faccenda dei ragazzi?”

L’espressione di Claire si fece, se possibile, ancora più buia. “Piacerebbe saperlo anche a noi.” ironizzò acida.

“Vuoi dire che ancora non siete riuscite a parlargli?” chiese la sciamana, aggrottando la fronte.

“Già. Il signore non ha tempo per riceverci. È troppo impegnato.” rispose Rachel, anche lei con un’evidente punta di ironia. “A questo punto, non credo che abbia intenzione di starci a sentire.”

Laurenne assunse un’aria pensierosa. “Però è strano. È vero che ha molto da fare in questi giorni, ma addirittura rifiutarsi di vedervi…” Si prese un momento per riflettere. “D’accordo, venite con me.” decise infine, imboccando l’uscita.

Arrivate davanti alla grande tenda dove Jamaal teneva le riunioni con i suoi uomini, Laurenne chiese alle guardie, sedute fuori in attesa, di poter entrare, ma loro gli risposero qualcosa in arabo che le ragazze non capirono. Comunque, intuirono dovesse trattarsi dell’ennesimo rifiuto, solo che stavolta la sciamana non si arrese e insistette per conoscerne il motivo. Rimase a discutere con quegli uomini per diversi minuti e, quando alla fine tornò da loro, la sua espressione delusa non lasciava presagire nulla di buono.

“Beh?” fece Claire, ormai con scarse speranze.

Laurenne scosse la testa. “A quanto pare, i vampiri si stanno rafforzando e ci sono sempre nuovi attacchi. Jamaal sta pianificando una missione delicata, per questo non ha potuto ricevervi.”

“E ti hanno detto quando potrà?” le chiese Rachel impaziente. Si rendeva conto della gravità della situazione, ma anche il loro era un problema che aveva a che vedere con i vampiri.

“Mi dispiace, ragazze.” rispose sconsolata e non ebbe bisogno di aggiungere altro per far loro capire che per il momento le probabilità erano bassissime.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui ognuna tentò di assimilare la cosa; poi Claire non ci vide più. “Okay, adesso basta.” sbottò. Quindi prese ed entrò nella tenda, incurante delle guardie che si erano alzate per impedirglielo e di Laurenne che le gridava di fermarsi.
“Jamaal!” esclamò furiosa, accorgendosi solo in seguito della scena che aveva davanti. Nel tendone c’erano una ventina di uomini, tutti vestiti da guerrieri, che si voltarono contemporaneamente quando lei comparve, seguita a ruota da Rachel e Laurenne.

Al centro del gruppo Jamaal, chino su un tavolo di legno cosparso di cartine geografiche, le fissava con aria interrogativa. Accanto a lui, oltre a Tareq, l’uomo più grosso che avessero mai visto. Era alto sicuramente almeno due metri, con la pelle scurissima, pieno di muscoli e, come tutti gli altri, la testa rasata.
Il primo particolare che notò fu la lunga cicatrice che gli correva lungo tutta la parte sinistra del volto e, quando la squadrò altero dall’unico occhio sano, d’un tratto Claire sentì diminuire la sua sicurezza.

“Jamaal, mi dispiace…” iniziò Laurenne in tono mortificato.

Lui però non la fece finire. Con un cenno della testa invitò le guardie a rilassarsi, poi disse ai suoi uomini qualcosa in arabo.
Mentre uscivano tutti, Rachel poté giurare di aver ricevuto un’occhiata fulminante da Tareq, ma fece finta di niente.
Rimasti loro quattro, Jamaal fece il giro, posizionandosi davanti a loro e poggiando la schiena contro il tavolo. Poi incrociò le braccia e rimase in attesa. Non sembrava arrabbiato, piuttosto incuriosito.

A Claire non uscì una parola di bocca, ma per fortuna ci pensò Laurenne al posto suo. “Ti chiedo scusa se siamo entrate così, ma le ragazze avevano una questione urgente di cui parlarti. E anch’io.”

Lui si soffermò ancora qualche istante su Claire, prima di guardare la sciamana. “È un periodo difficile questo, lo sai. Ho molto da fare.” disse serio. “I vampiri…”

“Hanno preso i nostri ragazzi.” esordì Rachel, che non riusciva più a trattenersi. Le veniva da piangere, quindi dovette sforzarsi per non far tremare la voce. Accanto a lei, Claire le strinse la mano per farle coraggio. “Noi siamo scappate, ma loro sono rimasti a Bran. Dobbiamo salvarli.”

Dapprima spaesato, Jamaal si prese un momento per riflettere, ma non serviva molta immaginazione per capire quale sarebbe stata la sua risposta. Figurarsi poi se gli avesse detto che tra le persone da salvare c’era anche un vampiro. Cosa che entrambe preferirono tenere nascosta.

“Lo so, è un’impresa disperata…” provò a dire Claire.

“Direi impossibile.” la interruppe lui, scuotendo la testa.

Rachel sentì un tuffo al cuore. “Come impossibile?”

“Se avessi la minima idea di come entrare in quel castello, lo avrei fatto da tempo. E anche se ce l’avessi, non rischierei una strage tra i miei uomini per salvare solo due o tre persone.” ribatté schietto.

“E cosa dovremmo fare? Lasciarli lì a morire?” insistette Claire. Non poteva credere che se ne sarebbe infischiato. “Che importa quante sono le persone da salvare? Se anche fossero cinque, dieci o venti non farebbe differenza. È questo che fate, no? Proteggere le persone dai vampiri.”

Jamaal la guardò di nuovo, stavolta con maggiore intensità, e per un attimo si lasciò rapire dai suoi penetranti occhi scuri. Stavolta, le sue parole sembravano averlo colpito.

“Almeno siete sicure che siano ancora vivi?”

La durezza di quel tono la mise difronte alla realtà dei fatti. In effetti, non lo sapevano.
Lui dovette intuire la risposta dalla sua espressione.

“I vampiri si nutrono a ogni plenilunio. Abbiamo ancora tempo.” ribatté Rachel, sperando in quel modo di convincerlo.

“Sempre che abbiano deciso di tenerli in vita fino ad allora.” precisò Jamaal; poi scosse la testa. “No, non possiamo rischiare così tanto per qualcuno che potrebbe essere già morto. E poi non ho uomini a sufficienza per un’incursione diretta a Bran. Sarebbe un suicidio.”

Claire boccheggiò allibita. “Non ti stiamo chiedendo di assaltare il castello, ma solo di mandare qualcuno a recuperarli!”

Stanco della sua insistenza, Jamaal batté una mano sul tavolo per imporle il silenzio. “Mi dispiace. Al momento non è possibile.”

“Quindi non ci aiuterai.” constatò lei gelida. “Lascerai che li uccidano.”

Lui evitò di guardarla, tornando dietro la tavolo. “Potete restare al villaggio tutto il tempo che vi serve, ma per ora non posso fare altro.” sentenziò definitivo, ponendo fine alla discussione e facendo loro intuire che potevano andare.

Rachel non se lo fece ripetere due volte, non sarebbe riuscita a rimanere lì dentro un secondo di più. Così ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro e a passo svelto lasciò la tenda, imitata da Claire che, dopo aver lanciato un’ultima occhiata di disprezzo a Jamaal, girò i tacchi e la seguì.

Laurenne invece rimase dov’era, osservandolo in silenzio per qualche istante, chino sul tavolo a studiare le mappe.

Lui doveva essersene accorto, visto che poco dopo si abbandonò a un sospiro rassegnato e la guardò. “Avanti, dì pure quello che pensi.

Lo sai. Penso che dovremmo aiutarle in qualche modo.” disse seria.

E come?” ribatté, stavolta in tono infastidito. “Dimmi in quale modo secondo te potrei salvare la vita di tre persone senza provocare una carneficina.”

Laurenne allora rimase muta, incapace di dare una risposta.
Si fissarono per alcuni istanti, poi Jamaal tornò a concentrarsi sulle cartine.

Prima di tutto ciò, stavo per venire ad avvertirti che sto partendo.” lo informò pacata.

Lui la guardò di nuovo, aggrottando la fronte. “Per dove?

Il maestro Khuwaylid mi ha dato il permesso di accedere all’arshif. Spero di trovare qualcosa, una formula o un rituale, che aiuti quella ragazza a ritrovare se stessa.”

Jamaal sembrò rifletterci sopra un momento, poi abbassò lo sguardo e annuì, indicando di aver capito.

Non preoccuparti, al tuo problema ci penserà Naeem.” Aggiunse la sciamana, prima di lasciarlo ai suoi impegni.
 
-o-
 
La mattina dopo Laurenne partì molto presto e, dopo averla salutata, le ragazze accompagnarono Samir agli allenamenti. Di solito ci andava da solo, ma con la madre assente non se la sentivano di prendersi quella responsabilità. Tuttavia, c’era anche un altro motivo. Da un po’ di tempo a Rachel stava girando in testa l’idea di imparare le basi del corpo a corpo, o almeno questo era il tipo di combattimento che le sembrava praticassero gli Jurhaysh. Ne aveva parlato con Claire e anche lei era d’accordo. Mark e gli altri andavano salvati, su questo non c’era da discutere, e visto che Jamaal si era rifiutato di aiutarle, dovevano cavarsela da sole. Inoltre, era stanca di dover dipendere sempre da qualcun altro e voleva imparare a difendersi.
Una volta arrivate al campo di addestramento, un’area pianeggiante nei pressi dell’oasi, trovarono già un gruppo di bambini che correvano in cerchio, sotto lo sguardo vigile di Evan.
Un grande spiazzo era stato adibito ad arena, approfittando del fatto che in quella zona la sabbia era resa solida dall’umidità. Da un lato tre grandi pali di legno, due verticali conficcati nel terreno e uno perpendicolare, sorreggevano un telone, che Rachel ipotizzò potesse servire come protezione dal cocente sole del deserto per eventuali spettatori.
Dopo aver detto a Samir di aggiungersi agli altri, il ragazzo australiano le salutò con un gran sorriso.

“Salve! Come mai da queste parti?” chiese allegro; poi, senza aspettare la risposta, si rivolse ai bambini e gridò qualcosa in arabo a un paio di loro che stavano battendo la fiacca, approfittando della sua distrazione.

Prese alla sprovvista da quel cambio repentino, le ragazze trasalirono e così anche i bambini che, intimoriti, ripresero subito a correre.

Claire gli rivolse un’occhiata esausta. “No…Anche tu. Eri uno dei pochi a parlare la nostra lingua.” scherzò.

L’atteggiamento di Evan cambiò nuovamente e si mise a ridere. “Spiacente. Al mio arrivo qui non mi capiva praticamente nessuno e ho dovuto adattarmi.”

Intanto Rachel, che da quando erano arrivate non aveva smesso di guardarsi intorno, pensò di approfittarne per chiedergli qualche informazione sugli allenamenti, visto che già lo conoscevano e si era dimostrato più socievole della maggioranza di quelli incontrati finora.

“Perché me lo chiedi?” le domandò, incuriosito nel vederla così interessata. “Scusa, non è per malafede, ma noi guerrieri siamo molto attaccati ai nostri segreti e voi siete…come posso dire…”

“Delle estranee.” lo aiutò Rachel. “Lo so.”

Evan annuì, abbozzando un sorriso. “Senza offesa.”

“Il fatto è che siamo stanche di sentirci inutili. La prossima volta che ci troveremo in pericolo vogliamo essere preparate.”

Mentre la ascoltava attento, il ragazzo annuì di nuovo, per poi assumere un’aria pensierosa. “Per quanto mi riguarda non avrei nulla in contrario, ma purtroppo non dipende da me. Avete provato a chiedere il permesso a Jamaal?”

-Figurati- pensò Rachel. –Tempo e fiato sprecati- Ma non lo disse a voce alta. In fondo, non poteva sapere quale grado di confidenza ci fosse tra lui ed Evan.

“Non potresti allenarci tu?” chiese Claire, dando voce anche alle sue speranze. “Magari senza dare troppo nell’occhio…”

Lui però scosse la testa, prima ancora che finisse la frase. “Mi dispiace, ragazze. Anch’io sono solo un ospite qui, se qualcuno lo scoprisse passerei dei guai. Tra l’altro potreste farvi male e in quel caso si verrebbe comunque a sapere.”

La sua logica ineluttabile lasciò Rachel con l’amaro in bocca, ma non insistette oltre. “Bene, grazie lo stesso.” Si limitò a dire; poi si rivolse a Claire. “Sarà meglio andare al mercato, o Laurenne non troverà niente da mangiare al suo ritorno.”

“Ah sì, ho sentito in giro che è partita.” si intromise Evan. “Se avete bisogno, vi darei una mano volentieri. Me la cavo piuttosto bene in cucina.” propose, lanciando loro un’occhiatina ammiccante.

Claire non poté fare a meno di accostare il suo atteggiamento a quello di Cedric e la cosa la mise a disagio. Per la prima volta da quando erano lì, si rese davvero conto di quanto ne sentisse la mancanza.
Mentre accanto a lei Cordelia si abbandonava a una risatina civettuola, Rachel rispose con un sorrisetto imbarazzato, rassicurandolo che non sarebbe stato necessario; poi lo salutò, dirigendosi con le altre verso il mercato.
C’era sempre un gran trambusto, un via vai continuo di persone che compravano e vendevano diversi tipi di merci, dal cibo alle stoffe, a contenitori e utensili in argilla, ma anche gioielli e monili di vario genere. Ovviamente su quelli si concentrò fin da subito l’attenzione di Cordelia, attratta dallo scintillio del metallo e dai colori delle pietre, mentre Rachel e Claire preferirono dedicarsi alla spesa, visto che in casa il cibo iniziava a scarseggiare. Oltretutto, il denaro a disposizione era limitato e tra l’altro era di Laurenne, perciò Rachel aveva preferito tenerlo lei, per evitare che Cordelia si lasciasse trasportare dalla frenesia dello shopping.

“Ho proprio nostalgia dei miei abiti.” Sospirò lei trasognante, fissando le sete esposte su un banco. “Non che fossero il massimo della comodità, te lo confesso, ma erano così eleganti.”

Rachel le prestò scarsa attenzione, più impegnata a pagare il tizio che vendeva formaggi di capra.
Nel frattempo, aveva mandato Claire a comprare le uova da una signora araba abbastanza tracagnotta, presso il cui banco razzolava un bel gruppetto di oche bianche. Lei le aveva appena passato il cestino e Claire i soldi, quando due bambini sui sei anni passarono di corsa in mezzo alle oche, facendole svolazzare dappertutto tra mille starnazzi. Gli uccelli investirono Claire in pieno, proprio mentre si stava voltando per andarsene, e lei, presa alla sprovvista, lanciò uno strillo, cercando di ripararsi il viso con il cestino. Così protetta, tentò a fatica di uscire da quella confusione, ma non si accorse di avere qualcuno davanti e sbatté contro il suo petto, cadendo all’indietro e finendo a terra con tutte le uova.

Impiegò qualche istante a realizzare cosa fosse successo e, quando riaprì gli occhi, si ritrovò di fronte nientemeno che Jamaal, che la guardava dall’alto con aria perplessa. Di lì a poco lo sentì chiederle se stesse bene, tendendo la mano verso di lei per aiutarla ad alzarsi, mentre alle sue spalle la donna inveiva isterica contro i ragazzini.
Dopo avergli rivolto un sorriso imbarazzato, Claire si spolverò di dosso la sabbia, cercando come poteva di darsi una sistemata.

“Aspetta.” la fermò lui, togliendole poi qualcosa incastrato tra i capelli. “Avevi questa.” Ghignando divertito le mostrò la piuma volata via durante lo scontro con le oche.

Per un istante Claire rimase a fissarlo imbambolata, prima di rendersi conto di sembrare una mezza idiota e riscuotersi. A quel punto lo ringraziò, distogliendo lo sguardo in cerca del cestino che doveva esserle caduto da qualche parte nelle vicinanze.

Rachel però la precedette. “Io e te dovremmo smetterla con i pennuti.” ironizzò, mentre si accertava che dentro la merce fosse integra.

“Le uova sono salve?” chiese Jamaal.

“Sì, grazie.” rispose con un sorrisetto riparatore. “Per fortuna, sotto c’era la paglia.”

I due bambini, incuranti del macello che avevano combinato, ripassarono da lì correndo e ridacchiando divertiti, ma Jamaal li richiamò in tono fermo e subito dopo si calmarono, fissandolo impietriti. Le espressioni sui loro visi erano tutto un programma, avevano un che di comico.
Jamaal si accigliò, inchiodandoli con un’occhiata minacciosa e per un momento sembrò stesse per sgridarli. Bastò questo perché abbassassero lo sguardo contriti e, quando fu certo di averli in pugno, le sue labbra si piegarono lentamente in un sorriso benevolo. Poi si chinò verso di loro, col chiaro intento di inseguirli.
Intuite le sue intenzioni, i due si diedero alla fuga, strillando spaventati, ma lui riuscì a riacciuffarli in poco tempo. Ne afferrò uno e se lo mise sotto il braccio, mentre con l’altra mano prendeva il secondo per la casacca e lo sollevava in aria, facendolo scalciare e ridere come un pazzo.
Le ragazze rimasero a osservare la scena divertite, accorgendosi poi che non erano le uniche. Intorno a loro le persone avevano abbandonato per un attimo le loro occupazioni per guardare Jamaal giocare con i bambini. Vederlo in quelle vesti non sembrava una novità per quella gente, cosa che non avrebbe potuto dirsi per Claire. Aveva scoperto un lato del suo carattere che non si aspettava minimamente. Era strano perfino pensare che si trattasse della stessa persona che in quella tenda si era rifiutata di aiutarle.
D’un tratto, si sentì una voce femminile chiamare da non lontano e Jamaal rimise a terra i due bambini perché raggiungessero la madre, ridendo e strillando ancora eccitati.

“Forse è meglio se vi accompagno a casa.” si offrì, una volta tornato da loro. “Non vorrei che capitasse qualche altro incidente.”

“Grazie infinite. Sei davvero molto gentile.” rispose Cordelia affabile.

Così lasciarono il mercato, diretti verso le abitazioni, e lungo il tragitto dovettero fermarsi diverse volte, perché le persone non facevano che salutare Jamaal e offrirgli qualcosa di coltivato o fatto in casa. Un’anziana si chinò addirittura a baciargli le mani, ma prontamente Jamaal la fece rialzare, salutandola con rispetto.

“La gente del villaggio sembra quasi venerarti.” constatò Cordelia, come al solito senza peli sulla lingua.
Jamaal sorrise, scuotendo la testa. “Non sono un dio e non pretendo di sembrarlo. Tutto quello che voglio è continuare a servire e proteggere il mio popolo.”

Rachel non poté fare a meno di notare quanto parlasse bene la loro lingua e si chiese chi gliel’avesse insegnata.
Arrivati a casa di Laurenne, le ragazze entrarono spedite per sistemare la spesa nella dispensa, dando per scontato che Jamaal le avrebbe seguite. Invece, dopo qualche minuto il suo volto fece capolino dall’uscio.

“Scusate. Posso entrare un momento? Vorrei parlarvi.”

Mentre Rachel e Claire si lanciavano un’occhiata eloquente, Cordelia lo invitò ad entrare. “Ma certo. Che maleducate.” si scusò imbarazzata.

“Non fa niente. La colpa è mia. Da noi non si usa entrare in casa d’altri senza permesso. Credevo lo sapeste.”

-Anche da noi- pensò Rachel dal canto suo –Ma non se sei già in compagnia delle stesse persone- Doveva ancora abituarsi alle strane usanze di quel posto.

Una volta dentro, Jamaal si riservò qualche istante per riordinare le idee; poi le guardò. “Sapete, non è solo per cortesia che ho voluto accompagnarvi. C’è dell’altro.”

Sentendo già l’ansia crescere, Rachel si sedette, mentre avvertiva in Claire lo stesso stato d’animo.

“Stanotte non ho chiuso occhio. Ripensavo alla nostra conversazione di ieri.” Sospirò lui, appoggiandosi al tavolo. “Avete ragione. Il nostro dovere è proteggere chiunque dal pericolo degli algul. Anche se si tratta di poche persone.”

Quelle parole fecero rinascere in loro la speranza.

“Quindi hai cambiato idea?” gli chiese Claire, dando voce al pensiero comune.

Lui esitò. “Ciò che vi ho detto resta valido. Sarebbe un errore enorme da parte mia rischiare una missione a Bran in questo momento…”

“E allora?” lo interruppe Rachel frustrata. Aveva deciso di farla impazzire? Tuttavia, si rese conto quasi subito di aver esagerato e se ne pentì.

Jamaal però non sembrò risentito e puntò i suoi occhi scuri su di lei. “E allora vedrò di inventarmi qualcos’altro.”

Per il momento Rachel decise di farselo bastare, ma avrebbe considerato quella risposta come un impegno preciso da parte sua e non come un modo sbrigativo per togliersele di torno.

Nonostante l’argomento Bran sembrasse ormai chiuso, pensò che fosse meglio approfittare di un Jamaal così ben disposto per avanzare un’ultima richiesta. “C’è un’altra cosa di cui vorremmo parlarti.” esordì allora, tirando in ballo anche Claire per smorzare i toni e non apparire troppo pretenziosa. “Ci piacerebbe imparare a combattere.”

 

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Capitolo 8
*** Tre giorni - Parte 1 ***


Ciao a tutti ragazzi! Come procede la lettura?
Entrambe speriamo bene, anche se forse è ancora un po’ presto per dirlo. Siamo appena agli inizi.
Vi scriviamo per farvi sapere che da pochi giorni siamo anche su Instagram con la bloodycastleofficial page (
https://www.instagram.com/bloodycastleofficial/?hl=it).

Seguiteci numerosi! Vi aspettiamo! 
A&L

 

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Capitolo 5 - 
Tre giorni (Parte 1)



Affiancato da Tareq e da altri suoi fedelissimi, Jamaal studiava con attenzione la mappa di Bran, cercando di elaborare un piano d’azione. Nessuno di loro era mai stato di persona nel covo degli algul, né sapeva come muoversi all’interno senza correre troppi rischi, perciò la faccenda si presentava tutt’altro che semplice. Ma ormai aveva promesso e tirarsi indietro era fuori questione.

No, no. È un suicidio.” Tareq scosse la testa, distogliendo lo sguardo dalla cartina. “Non possiamo andare laggiù e sperare nel miracolo di passare inosservati. È una follia.”

Jamaal sospirò paziente. “Lo so anch’io. Infatti non dovrete farlo.” ribatté, lasciandolo per un attimo interdetto.

Non ti seguo.”

Ci ho pensato bene e l’unico modo abbastanza sicuro per entrare là dentro è mimetizzarvi tra loro.” gli spiegò. “Certo, dovrete essere parecchio convincenti…

Tareq però non lo fece finire. “Stai dicendo che devo fingermi uno sporco succhiasangue per salvare tre persone probabilmente già spacciate?

Nonostante fosse l’unico tra i guerrieri con la facoltà di interromperlo, Jamaal non lasciava mai che ciò minasse la sua autorità e per tutta risposta lo inchiodò con lo sguardo. “È questo il punto. Non sappiamo con certezza se sono morti e il nostro codice parla chiaro, lo sai.” disse in tono fermo. “Abbiamo il dovere di proteggere chiunque dalla minaccia dei vampiri e quei ragazzi non fanno eccezione.”

Tareq era consapevole dei suoi doveri, tuttavia la sua logica non sembrava averlo convinto. “Questa volta è diverso. Si parla di entrare a Bran. Nessuno dei nostri ha mai osato tanto.” Il suo atteggiamento si fece più calmo e assunse un’aria quasi preoccupata.

Gli occhi di Jamaal si posarono di nuovo sulla mappa, mentre si prendeva un momento per riflettere; poi annuì. “Le cose sono cambiate rispetto al passato. Abbiamo molte più informazioni dei nostri predecessori.”

Sì, ma rimane comunque una pazzia!” esclamò spazientito, interrompendolo di nuovo. “Stai mandando i tuoi uomini a morire! Possibile che tu non te ne renda conto?”

Certo che me ne rendo conto!” tuonò Jamaal, sovrastando la sua voce. “Credi che se esistesse un modo più sicuro non lo sfrutterei?

Manda me!” si intromise allora Najat, stanca di assistere a quella diatriba.

Sia Jamaal che Tareq smisero di discutere non appena la sua proposta risuonò nell’aria e rivolsero la loro attenzione sulla ragazza.

Ignorando gli sguardi dei presenti e il silenzio che si era creato, Najat mantenne il sangue freddo e la determinazione. “Manda me in missione. Ti prometto che non fallirò.” disse a Jamaal.

Ripresosi in fretta dallo stupore, Tareq non tardò a mostrare un ghigno di scherno. “Tu.” ribatté, squadrandola dall’alto in basso, per poi scoppiare a ridere. “Sentitela la grande guerriera! Non dureresti cinque minuti.” La schernì, suscitando le risate dei suoi compari.

Lei però non si fece intimidire. “Forse. Ma qualcuno deve pur tentare e visto che tu hai paura...”

La provocazione sembrò andare a segno, perché Tareq le si avvicinò con aria minacciosa. “Sta attenta, ragazzina…

Piantatela!” intervenne Jamaal. “Ho già scelto chi andrà e la mia decisione è definitiva.” sentenziò, ponendo fine alla discussione.

Proprio in quel momento, Rachel e Claire comparvero nella tenda, accompagnate da una sentinella, e Rachel ebbe timore quando vide lo sguardo interdetto di Jamaal. Preso dalle circostanze, sembrava non ricordare di averle convocate lui stesso il giorno prima, quando aveva ridato loro speranza accettando di salvare i ragazzi.

“Che cosa volete adesso?” chiese Tareq spazientito, memore di quando Claire era piombata nella tenda senza invito, interrompendo la riunione.

Jamaal però gli impose di tacere con un gesto della mano. “Calmati. Le ho fatte chiamare io.” chiarì. Poi espose in poche parole il piano che aveva elaborato insieme agli altri, spiegando che avrebbe mandato Tareq e altri due guerrieri fidati in avanscoperta a Bran, in modo da accertarsi che i ragazzi fossero ancora vivi, prima di organizzare il salvataggio.

già un inizio- pensò Rachel. Anche se, a dire la verità, non capiva il senso di mandare qualcuno laggiù solo per controllare che stessero bene, per poi tornarci una seconda volta. Già che si trovavano, avrebbero potuto salvarli subito.

“E poi? Che farete se sono vivi?” chiese infatti Claire, dando fiato ai suoi pensieri.

Ignorando l’irrigidimento di Tareq al suo fianco, Jamaal rispose paziente. “In tal caso, vedremo se sarà possibile intervenire subito o mandare dei rinforzi.”

-Vedremo?- stava per ribattere Claire, ma Rachel intuì i suoi propositi. “Grazie di tutto, davvero. Ci rendiamo conto dei rischi che state correndo per noi.” Intervenne, bloccandola con una mano sul braccio, prima che parlasse. Ci mancava solo che si mettesse a discutere con Jamaal, proprio adesso che aveva finalmente accettato di aiutarle. E poi c’era un’altra questione che voleva chiarire. “Riguardo agli allenamenti, che cosa hai deciso?” gli chiese, cercando di mantenere un tono più umile possibile.

“Allenamenti?” ripeté Najat, alzando un sopracciglio e squadrandole con aria superiore. “Che storia è questa?”

Ieri mi hanno chiesto il permesso di allenarsi con gli altri guerrieri. Vogliono imparare a difendersi.” le spiegò brevemente Jamaal nella loro lingua.

A quel punto, né Najat né tantomeno gli altri riuscirono a trattenere risate di scherno, che stavolta lui tardò a interrompere, probabilmente ritenendole legittime. Non rideva con gli altri, ma dalla sua espressione si intuiva il suo scetticismo.

“Lo trovate divertente?” chiese Claire piccata. “Potremmo trovarci di nuovo faccia a faccia con i vampiri e non mi sembra così strano voler essere preparate.”

Tareq però non diede peso alle sue ragioni. “Non glielo permetterai, vero?” disse a Jamaal.

Lui si prese un momento per pensarci; poi si rivolse alle ragazze. “Nella nostra tribù i guerrieri si allenano fin da bambini. Per voi sarebbe tardi iniziare adesso, rallentereste gli altri. E poi dubito che abbiate la resistenza necessaria.”

“Beh, mettici alla prova.” insistette Claire risoluta.

La sua determinazione sembrò colpirlo, perché rimase a studiarla per qualche istante, mentre Tareq e gli altri si scambiavano gomitate e occhiatine d’intesa, senza preoccuparsi di nascondere quanto la cosa li divertisse.

“Tre giorni.” disse Claire a quel punto, senza farsi scoraggiare dal fatto che non la degnasse di risposta. “Se ti dimostriamo di poter resistere tre giorni, allora ci lascerai continuare.” propose con una punta di sfida.

Dopo essersi concesso qualche altro istante di riflessione, Jamaal annuì. “Sta bene.” sentenziò, quasi stimolato da tanta voglia di mettersi in gioco. “Secondo le nostre leggi, chiunque sia stato accettato dalla tribù ha il diritto di impararne le usanze e il nostro modo di combattere rientra tra queste. Quindi vi darò una possibilità.”

L’entusiasmo sui visi di Rachel e Claire si mescolò al disappunto su quelli degli altri guerrieri. Qualcuno non si trattenne dal protestare e Najat mormorò in arabo –Tanto non dureranno mezza giornata- ma Jamaal non ci fece caso più di tanto. “Avete tre giorni per dimostrarmi quanto valete.” riprese, mostrando di aver accolto la proposta di Claire. “Inizierete domattina all’alba e non sono ammessi ritardi. Ora potete andare.” le congedò.
 
-o-
 
La mattina seguente, al sorgere del sole, si recarono con Samir al campo di addestramento. Mentre il bambino si separava da loro per raggiungere il suo gruppo, Rachel e Claire rimasero lì impalate, senza sapere bene cosa fare. In effetti, Jamaal non era stato molto chiaro in proposito, né loro si erano preoccupate di chiederglielo. Si guardarono attorno confuse, in cerca di un segnale, ma nei paraggi c’erano soltanto ragazzini che correvano o si allenavano e ognuno si faceva gli affari suoi.
D’un tratto, un guerriero ben piazzato, che riconobbero dalla tipica testa rasata, fece loro segno di avvicinarsi.

Aveva solo un gilet di pelle a guarnire il petto villoso e portava gli stessi pantaloni bianchi alla turca infilati negli stivali, che avevano visto indossati anche da altri, compreso Jamaal. A una prima occhiata, non aveva un’aria molto amichevole e ne ebbero la conferma quando in tono scocciato e in un inglese pessimo le informò di essere il loro maestro e che erano state assegnate al suo gruppo. Constatare che non fosse Evan ad allenarle come avevano sperato e soprattutto che il gruppo in questione fosse composto interamente da adolescenti le lasciò di stucco e decisamente deluse.

Con il solito rudimentale inglese, il guerriero disse di chiamarsi Rashid, poi intuirono che le stesse presentando ai ragazzi, i quali non si fecero grossi problemi a mostrarsi divertiti dalla loro presenza. In tono severo, il maestro li richiamò subito all’ordine, per poi gridare qualcosa che Rachel e Claire lì per lì non capirono. Subito dopo, però, intuirono dai suoi gesti che dovevano mettersi a correre in cerchio anche loro come avevano iniziato a fare i ragazzi, così obbedirono senza fiatare.

Dopo trenta giri di corsa, o almeno quelli che Rachel riuscì a contare, passarono a cento addominali e in seguito cinquanta flessioni. Rashid non ripeteva mai gli ordini nella loro lingua, perciò per tenere il conto dovevano basarsi sul numero di movimenti degli altri.
Mentre Claire riusciva più o meno a seguire il ritmo, abituata agli allenamenti di calcio, Rachel si sentiva a pezzi già dopo aver eseguito la metà degli addominali ed era consapevole che il suo corpo non avrebbe retto altri sforzi. Sapeva che per gestire meglio la fatica doveva fare lunghi e profondi respiri, ma arrivata a un certo punto questo non bastò più e capì che ormai aveva raggiunto il limite.

Animato da un evidente sadismo, Rashid non concesse loro che pochi minuti di pausa, per poi rimetterli subito a lavoro. Ora dovevano esercitarsi con il combattimento corpo a corpo, ma siccome erano appena arrivate, dovettero imparare dai ragazzi i movimenti di base, sotto lo sguardo vigile del maestro, che li correggeva inflessibile a ogni minimo errore.
Non tutti però erano clementi con loro. Uno in particolare, che doveva avere sì e no tredici anni, sembrava provare particolare soddisfazione nel vederle così impacciate e, quando fu il turno di Claire di provare a combattere, impiegò meno di un minuto a farla finire per terra. Di fronte alla scena, i suoi compagni ridacchiarono di gusto e questa volta anche il maestro si mostrò divertito.

Non era neanche l’ora di pranzo e già erano esauste, avvilite e fradice di sudore. Il fatto che il campo di addestramento fosse vicino all’oasi non influiva per niente sul clima torrido e asfissiante del luogo. Incurante della cosa, Rashid continuò a farle allenare senza sosta, finché finalmente una donna non arrivò come un miraggio lontano, portando con sé alcuni cestini.
Entrambe speravano con tutte le loro forze che dentro ci fosse qualcosa di consistente da mangiare e anche una bella dose d’acqua fresca, ma a parte l’acqua trovarono solo una varietà, per altro micragnosa, di ortaggi, riso e frutta. Tutti alimenti che immaginarono alla base della “dieta del guerriero”, ma certamente non sufficienti a placare la loro fame da lupi.
L’unico lato positivo di quel magro pasto fu che segnò la fine dell’addestramento, almeno per quel giorno, e la possibilità di tornare a casa a riposare. Nel caso di Rachel, più che altro trascinarsi, visto che aveva a malapena la forza di mettere un piede dopo l’altro.
Appena arrivarono a casa di Laurenne, il sentire finalmente un po’ di refrigerio diede loro subito sollievo. Cordelia, che se ne stava seduta a leggere un libro fresca come una rosa, le salutò con calore. Le avevano proposto di allenarsi con loro, ma si era rifiutata categoricamente. “Una lady non pratica la violenza. Sarebbe oltremodo disdicevole.” aveva ribattuto indignata. In questo non si era dimostrata troppo diversa da Juliet.

“Com’è andata?” chiese con un sorriso, che però si spense lentamente non appena si rese conto delle loro condizioni. “Beh, del resto è solo il primo giorno…”

Claire si abbandonò esausta sulla panca di legno accanto alla porta. “Già ed è stato il più lungo della mia vita.”

Dal canto suo, Rachel concordava, ma preferì non sprecare le pochissime forze rimaste per rispondere.

Vedendole in quello stato, Cordelia sembrò colta da un’idea. “Potrei prepararvi un infuso di erbe, per farvi rilassare un po’. Nell’orto dovrei trovare quel che fa per voi.”

Rachel abbozzò un sorriso flebile. “Grazie. Sei gentile.”

“Figurati! Almeno ho qualcosa da fare. E poi sono sempre stata un’appassionata di botanica. Conosco bene le piante e le loro proprietà. Vi farò una tisana coi fiocchi, vedrete.” disse allegra, facendo per dirigersi sul retro; poi però si voltò di nuovo a guardarle, rivolgendo loro un’espressione schifata. “Nel frattempo, che ne direste di farvi un bagno?”

Rachel non poté che essere d’accordo. Si sentiva sudata e puzzolente come poche volte nella sua vita, che tra l’altro realizzò si concentrassero tutte in quelle poche settimane trascorse tra il campeggio e il loro arrivo nel deserto, così non perse tempo. Per fortuna, la tinozza di legno che Laurenne utilizzava per lavarsi era già pronta all’uso e vi si immerse non appena si fu tolta di dosso i vestiti sporchi.
L’acqua era tiepida, piacevole a contatto con la pelle. Chiuse gli occhi, godendosi quel momento di pace, finché Cordelia non passò di nuovo di lì per portarle degli asciugamani puliti.

“Ecco qua.” disse allegra, poggiandoli su uno sgabello vicino. “Ho preparato il bollitore per la tisana…” Si interruppe di colpo, alla vista della collana che Rachel portava al collo.

Lei la squadrò confusa, chiedendosi cosa avesse visto di tanto strano.

Poco dopo, però, la duchessa sembrò riaversi. “Che collana deliziosa. Non hai paura che l’acqua possa rovinarla?”

“No, tranquilla. La porto sempre e non è mai successo nulla.” rispose Rachel, facendo spallucce.

“Che fortuna. Deve essere di un materiale molto resistente.” Fu l’ultimo commento di Cordelia, prima di tornare in cucina, lasciandola di nuovo sola.

Rachel le rivolse un’occhiata perplessa, guardandola andare via; poi scivolò a occhi chiusi con la schiena contro il bordo della tinozza, abbandonandosi a un sospiro rassegnato.

Il bagno caldo e la tisana di Cordelia ebbero un effetto soporifero su di loro, che distrutte si addormentarono, scoprendo che erano passate ore solo quando fu lei stessa a svegliarle, avvertendole che la cena era pronta.
Subito dopo aver dato una mano a togliere i piatti, diedero la buonanotte a Samir e si prepararono di nuovo ad andare a dormire. Si sentivano davvero a pezzi e il giorno seguente le attendeva l’ennesima alzataccia. Le teste non fecero in tempo ad appoggiarsi sul cuscino che erano già tra le braccia di morfeo...
 
La mano di Elizabeth trovò in breve tempo quella di Nickolaij, come se non l’avesse più lasciata da quando si erano separati. In risposta lui la strinse, guidandola poi come sempre lontano dalle mura, verso i giardini del castello.
Quella non era certo la prima volta che usciva di nascosto nel cuore della notte. Era capitato praticamente ogni sera nelle ultime settimane, da quando incontrarsi così era diventato l’unico modo per godere ognuno della presenza dell’altro. Di giorno, infatti, riuscivano a stento a scambiarsi saluti di cortesia, dato che lei era sempre accompagnata dalle sorelle o da qualche dama della corte incaricata di tenerla d’occhio. Incaricata da Margaret naturalmente.

“Vieni.” gli disse, rivolgendogli un sorriso e inoltrandosi tra le aiuole intricate del roseto, ormai così alte da formare una specie di labirinto, dove Elizabeth amava rifugiarsi.

Meravigliato, Nickolaij si guardò intorno, ammirando l’effetto che la luce della luna donava alle rose. Posandosi sui petali, li rendeva di un colore bluastro, talmente intenso da farle sembrare nere. “È splendido, Liz.”

Lei respirò a fondo l’aria fresca e pura della notte, ancora più inebriante perché mescolata al profumo dei fiori. “Vengo sempre qui quando voglio stare sola. È in assoluto il posto che preferisco.” gli confessò. Poi aprì di nuovo gli occhi e tornò a guardarlo maliziosa, come per invitarlo a trovarla mentre indietreggiava, fino a scomparire nell’oscurità.

Muovendosi tra i cespugli, avvertiva solo i fruscii del vestito e il rumore dei suoi passi attutito dall’erba. Sentì Nickolaij chiamarla da lontano, ma rise e continuò a camminare a passo svelto nella direzione opposta, per nulla intenzionata a porre fine al gioco appena cominciato. L’abito lungo la intralciava, così lo sollevò poco sopra le caviglie per non inciampare, ridendo come una bambina mentre lo sentiva chiamarla ancora per nome.
D’un tratto, alle sue orecchie non giunse più alcuna voce e tutto piombò di nuovo nel silenzio. Allora decise di fermarsi e restare in attesa, cercando di captare ogni minimo rumore che le indicasse il da farsi. Aveva il fiato corto e il cuore le batteva forte per l’eccitazione, mista al timore di essere scoperta.
Di lì a poco, infatti, sentì una presenza alle sue spalle e due braccia afferrarla per la vita. Colta di sorpresa strillò, trasalendo mentre Nickolaij la stringeva a sé.

“Ti ho trovata.” sussurrò trionfante, le labbra a un soffio dal suo orecchio.

Fingendosi scocciata, Elizabeth si voltò, senza però staccarsi da lui e perdendosi nei suoi occhi azzurri. Non appena i loro sguardi si incontrarono, non ricordò neanche più il motivo per cui voleva sfuggirgli. “Speravo riuscissi nell’impresa.” mormorò, sorridendogli radiosa.

I loro visi erano talmente vicini che le punte del naso quasi si sfioravano. Così vicini che Elizabeth pensò fosse troppo e fece per ripristinare le giuste distanze, ma lui non gliene diede il tempo.
Rimase immobile mentre le labbra di Nickolaij si posavano sulle sue, in un primo momento spiazzata da tanta audacia. Poi però acquistò sicurezza e rispose al bacio. In fondo, era quello che voleva anche lei.
Non durò a lungo e presto entrambi si allontanarono, anche se lentamente e senza distogliere lo sguardo l’uno dall’altra. Fu allora che Elizabeth realizzò quanto era appena successo. Se qualcuno li avesse visti, se Margaret ne fosse venuta a conoscenza, per loro due sarebbe stata la fine.

Dall’espressione sul suo volto, lui dovette intuire le paure che l’avevano colta. “Perdonami. Penserai che mi sia concesso troppe libertà, ma non sono pentito di ciò che ho fatto.”

Elizabeth allora scosse la testa e il suo viso si addolcì. L’ultima cosa che voleva era che pensasse di averla offesa. “Non temere, so che non potresti mai mancarmi di rispetto. Quello che c’è stato tra noi lo volevamo entrambi.”

Nickolaij le sorrise. Uno di quei sorrisi che ogni volta le facevano perdere la percezione della realtà. Per fortuna la riacquistò pochi istanti dopo, quando si rese conto che era arrivato il momento di rientrare nelle sue stanze. “Ora devo andare.” gli ricordò a malincuore.

Lui annuì, prendendola di nuovo per mano. Non potevano presentarsi al castello insieme, così la riaccompagnò solo fino all’uscita del roseto, dove ognuno avrebbe preso la sua strada.

Prima di lasciarsi, Nickolaij le prese entrambe le mani, portandole all’altezza delle labbra. Chiuse gli occhi mentre le sfiorava con un bacio. “Conterò le ore che ci separano dal nostro prossimo incontro.” disse. “E non sognerò altro che poterti baciare di nuovo, amore mio.”

Quella dichiarazione le riempì il cuore di gioia, tanto che avrebbe potuto scoppiarle nel petto e per un istante non riuscì a parlare. La voce le si era bloccata in gola. “Domani sera mi troverai qui ad aspettarti.” promise infine, sciogliendo lentamente l’intreccio delle loro mani.

Gli rivolse un ultimo sguardo di desiderio, prima di voltarsi e prendere la via del ritorno. Come ogni notte avrebbe approfittato del passaggio attraverso le cucine per raggiungere i suoi appartamenti al piano superiore. A quell’ora erano deserte e lei sarebbe passata inosservata. O almeno così credeva.
Giunta a destinazione, si richiuse la porta di ferro alle spalle, sicura come al solito di non incontrare anima viva. Invece, trovò qualcuno che non si aspettava.

“Beth!” Cordelia in camicia da notte la fissava da dietro al tavolo con aria confusa. “Cosa ci fai qui a quest’ora?”

Per ovvi motivi, però, Elizabeth non se la sentiva di raccontarglielo. “Potrei farti la stessa domanda.” disse allora, sviando il discorso.

A quanto pare funzionò, perché Cordelia assunse subito un’aria compita, per nascondere l’imbarazzo. “Beh, ultimamente mi sono appassionata alla botanica e avevo voglia di preparare una tisana con alcune erbe che ho raccolto in giardino.” spiegò, dopo essersi schiarita la gola.

Elizabeth annuì, per poi abbandonarsi su una sedia lì vicino. Quanto aveva appena sentito non la stupì. La botanica era soltanto l’ultimo degli infiniti interessi coltivati periodicamente da sua sorella, tra cui il ricamo, il cucito, la lettura di romanzi cavallereschi e mille altre cose. 

“Tu invece? Vuoi dirmi dove sei stata?” tornò alla carica di lì a poco. “O meglio, con chi?”

C’era un’evidente punta di malizia nel suo tono e dall’allusione fu chiaro che non poteva più nasconderle la verità. “Mi sono incontrata con Nickolaij.” confessò. “Ma ti prego, non dirlo a Margaret. Sai bene che non capirebbe.” In altre circostanze non l’avrebbe implorata in quel modo, ma ora ne andava del suo rapporto con Nickolaij. Non avrebbe permesso a nessuno di rovinarlo.

Per un attimo Cordelia rimase interdetta, riflettendo sulle sue parole, ma poi le sorrise nel modo più dolce, come solo lei riusciva a fare. “Puoi stare tranquilla, non sarò io a spifferarle i tuoi segreti. Tu però devi promettermi che farai attenzione.”

Era di nuovo seria quando glielo disse ed Elizabeth non poté rifiutarglielo.
Ormai rassicurata, Cordelia raccolse le erbe triturate e le buttò in un pentolino di rame che aveva messo sul fuoco a bollire. La osservò mescolarle lentamente per un po’, per poi versare il contenuto dentro due tazze già pronte sul tavolo.

“Bevi questo.” le disse, avvicinandogliene una. “Servirà a rilassarti.”

 

Una serie di rumori provenienti dal piano di sotto interruppe il sonno profondo in cui Claire era piombata. Ci mise un po’ a realizzare di essere sveglia. Aprì gli occhi a fatica, cercando di mettere a fuoco una sagoma nel buio accanto a sé, finché non si accorse che Rachel era già in piedi.

“Hai sentito?” le chiese allarmata, con lo sguardo fisso verso la porta e le orecchie tese.

Un forte sbatacchiare di pentole precedette la risposta di Claire, che a quel punto si tirò su a sedere.
Rachel allora afferrò un attrezzo di legno che Laurenne usava come battipanni e si diresse verso le scale.

“Aspetta.” la fermò Claire, alzandosi dalla brandina. “Potrebbe essere Laurenne che torna dal viaggio.”

Lei arricciò le labbra, rivolgendole un’occhiata di traverso. “E si mette a cucinare in piena notte?”

In effetti era strano, così alla fine Claire seguì l’amica fuori dalla stanza, cercando di fare passi più leggeri possibile per non mettere l’intruso sull’avviso. Passando davanti alla camera di Laurenne, videro la porta ancora chiusa, segno che Samir non si era accorto di nulla. Per fortuna, il bambino aveva il sonno pesante.
Scesero le scale lentamente e, una volta in cucina, la luce della luna che penetrava dalle fessure delle finestre svelò finalmente il mistero e Rachel abbassò il battipanni non appena capì di chi si trattava. Dormivano così bene da non averla sentita alzarsi e, in seguito, tra il buio e la paura non si erano neanche accorte che il suo letto era vuoto.

Cordelia era seduta al tavolo su uno sgabello, intenta a sminuzzare delle erbe. Poi le prendeva e in un gesto quasi meccanico le metteva dentro una ciotola. Allo stesso tempo borbottava frasi incomprensibili, mentre riduceva in polvere il tutto con un pestello.

“Ehi.” Rachel provò a chiamarla sottovoce. “Che stai facendo a quest’ora?”

Lei però non diede segni di risposta, di conseguenza non ci misero molto a capire che in realtà stava ancora dormendo.

“Ma che diavolo…” mormorò Claire esterrefatta.

“Vuoi che ti prepari la tua tisana, Beth? So bene quanto ti aiuti a rilassarti…” bofonchiò in tono sommesso, in una delle poche frasi che riuscirono a sentire distintamente. “Ho appena raccolto i petali dal roseto…Tu siediti e lascia fare a me.”

L’espressione che Rachel rivolse a Claire era tutto un programma. I petali dal roseto?

Al contrario suo, invece, quello era l’unico particolare a cui Claire era riuscita a dare un senso. Le rose. D’improvviso la sua mente ricostruì il sogno che stava facendo prima di svegliarsi, Nickolaij ed Elizabeth che si scambiavano effusioni nel roseto e poi l’incontro con la sorella nelle cucine. Per un’incredibile coincidenza, anche lì Cordelia stava preparando una tisana. Era tutto così assurdamente collegato da farle venire la pelle d’oca.

Ci stava ancora pensando, quando vide Rachel avvicinarsi cauta a Cordelia, per poi sfilarle lentamente il pestello dalla mano, mentre cercava di convincerla con voce calma e rassicurante a tornare a letto.
Lei annuì e, pur continuando a dormire, si alzò e la seguì fino alla loro stanza, dove finalmente riuscirono a farla sdraiare e lì si placò del tutto.

“Ci mancava solo la sonnambula.” commentò Claire stizzita, sdraiandosi di nuovo al suo posto e coprendosi con la coperta.

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Capitolo 9
*** Tre giorni - Parte 2 ***


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Tre giorni (Parte 2)


Mancavano pochi giorni al plenilunio. In quella cella priva di finestre in cui lo avevano confinato, era stato facile per Dean perdere la percezione del tempo, ma non per il suo corpo. La fame non conosceva limitazioni, non le si poteva impedire di ripresentarsi puntuale una volta giunto il momento. A peggiorare le cose poi c’era il sangue perso durante le percosse subite, che di sicuro aveva contribuito ad accelerare il processo.
Quanto ancora avrebbe retto senza nutrirsi era difficile da stabilire, ma si sentiva sempre più debole e non era un buon segno, perché significava aver saltato del tutto una fase, quella in cui ti sentivi euforico e violento.

Superare il plenilunio in quelle condizioni voleva dire non riuscire a sopravvivere alla fine del mese.
Non che il pensiero della morte lo spaventasse. Anzi, se fosse dipeso da lui, quel momento sarebbe già arrivato da un pezzo. Almeno il pensiero di Mary che uccideva Juliet avrebbe smesso di perseguitarlo. Da quando glielo aveva detto, non faceva altro che immaginare come potesse essere andata e ogni volta rappresentava una tortura di gran lunga peggiore di quelle che riceveva quotidianamente.
Purtroppo, le catene gli impedivano di provvedere da sé, così che per farla finita avrebbe dovuto aspettare che la mancanza di sangue facesse il suo dovere. Sperava solo di non dover aspettare ancora molto.

Il suo rimuginare sulla morte venne interrotto dal cigolio dei cardini della porta che si apriva e pensò subito che fossero di nuovo i suoi aguzzini, venuti a interrogarlo. Quando però capì che si sbagliava, non riuscì a reprimere un brivido lungo la schiena.
Per quanto ormai non tenesse più alla propria incolumità, la presenza di Nickolaij gli procurava comunque sensazioni sgradevoli e ritrovarselo davanti così all’improvviso lo inquietò. Ciononostante, fronteggiò il suo sguardo con coraggio, senza mostrarsi intimorito.

“Prego, resta pure dove sei. Non ti alzare. Ti preferisco in questa posizione.” ironizzò il signore di Bran, alludendo al fatto che fosse in ginocchio davanti a lui.

Dean allora si finse divertito, per non dargli soddisfazione. “Mio Signore.” Chinò leggermente il capo come avrebbe fatto di solito, ma continuando a fissarlo. “A cosa devo questa visita? Mi sento onorato.”

Ovviamente, Nickolaij non colse la provocazione e rimase impassibile. “Mi è giunta voce che non sono stati fatti progressi da quando sei qui. Ti rifiuti ancora di collaborare…”

“Perciò avete pensato che la vostra presenza potesse servire da incoraggiamento.” lo interruppe, continuando a prendersi gioco di lui. “Sono desolato.”

L’occhiata che Nickolaij gli rivolse fu, se possibile, ancora più glaciale, segno che non si fosse lasciato incantare da quei tentativi di mettersi al suo stesso livello. “Sai, è un vero peccato che le cose siano andate a finire così. Questo tuo atteggiamento ribelle, questo desiderio di indipendenza…Ero davvero colpito. Mi ricordavano un giovane me.” Assunse un’aria nostalgica. “Purtroppo, per un mio errore non ho saputo prevedere fino a che punto ti saresti dimostrato ingovernabile.”

Normalmente Dean sarebbe stato alquanto sorpreso nel sentire Nickolaij ammettere di aver commesso un errore, ma in quel caso suonava più come l’ennesimo tentativo di fargli capire chi era a comandare. Voleva sottometterlo, rimarcando il fatto che tentare di ribellarsi a lui fosse soltanto una perdita di tempo e che prima o poi l’avrebbe pagata. Come se arrivato a quel punto avesse ancora paura di quello che avrebbe potuto fargli. “Cose che capitano.” disse in tono di finto rammarico.

“Stai certo che non capiterà più.” ribatté subito Nickolaij, quasi parlandogli sopra. Stavolta la sua irritazione era palpabile. Poi raggiunse il fondo della cella, dove Dean era incatenato, per potersi chinare verso di lui e guardarlo in faccia più da vicino. “In altre circostanze non avrei esitato a concederti una seconda opportunità, ma le tue bravate hanno messo a dura prova la mia pazienza. Non posso tollerare un tradimento tanto grave. La fedeltà è tutto.” Fece una breve pausa, giusto per tenerlo sulle spine. “Dunque, credo proprio che un’adeguata punizione sia l’unica scelta possibile.”

Quello era proprio il genere di frase criptica che piaceva a Nickolaij. Non aveva detto esplicitamente che lo avrebbe ucciso, d’altro canto era impensabile che lo avrebbe lasciato vivere. Dean lo osservò mentre cercava di leggergli i pensieri, interpretando ogni minimo cambiamento d’espressione sul suo volto. Avrebbe voluto percepire paura, ma lui fu ben contento di deluderlo.

Così, Nickolaij si rimise dritto, aggiustandosi i lembi della giacca. “Il plenilunio si avvicina, lo avrai intuito ormai.” disse, riacquistando il solito tono privo di emozione. “Presto avrai bisogno di nutrirti, ma non vedo sangue umano disponibile e dubito seriamente che ce ne sarà in futuro. Sarà meglio che ti prepari.” Detto ciò, gli voltò le spalle e in pochi passi arrivò all’uscita.
 
-o-

Fatti onore, figlio mio. Rendi orgogliosa la tua famiglia.” Cassim si riservò qualche istante in più per abbracciare Tareq, che insieme ad altri due guerrieri stava per partire alla volta di Bran. A salutarlo e ad augurargli buona fortuna c’erano solo suo padre, Jamaal, sempre scortato dal fidato guerriero dalla lunga cicatrice sull’occhio sinistro, e le ragazze, a cui Jamaal aveva consentito di venire. La missione, infatti, era top secret e nessuno degli altri anziani ne era stato informato.

Ai confini del villaggio Jurhaysh l’alba non era trascorsa da molto, ma il calore del sole iniziava già a farsi sentire, preannunciando un’altra giornata afosa. Rachel si aggiustò il panno di lana che le copriva la testa, mentre sentiva uno strano senso di disagio aggrovigliarle lo stomaco. Da quella spedizione dipendeva la vita della persona a cui teneva di più al mondo. Doveva per forza riuscire.

Con una certa impazienza attese che Jamaal finisse di salutare i due guerrieri che avrebbero accompagnato Tareq, i quali si batterono il pugno destro sul petto dopo avergli stretto la mano; poi si avvicinò timidamente a Tareq, che le rivolse un’occhiata indagatrice.

“Volevo ringraziarti per quello che stai facendo.” gli disse, cercando di tenere a bada il tremolio della voce.

Per tutta risposta, lui fece un breve cenno di assenso, evitando di sforzarsi oltre.

Rachel allora si sfilò la collana di sua nonna e gliela porse. “Ho pensato che potresti darla al mio ragazzo. Si chiama Mark. Ha i capelli neri e porta gli occhiali. La riconoscerà e potrà fidarsi di voi.” L’idea le era venuta il giorno prima, dopo l’allenamento, quando Jamaal le aveva avvertite che l’indomani Tareq e i suoi sarebbero partiti. Si era detta che rivedere la sua collana avrebbe aiutato Mark a sentirla più vicina, incoraggiandolo a non arrendersi e facendogli sapere che lo stava aspettando.

Tareq esitò un istante, prima di prendere la collana e infilarsela in tasca, sospirando spazientito. “E sia. Ma non ti prometto niente, ragazza.” Detto ciò, le diede le spalle e, inserito il piede nella staffa, si issò a cavallo, preparandosi a lasciarli.

Te ne vai senza salutare, fratello?” gli chiese Jamaal, sorridendo.

Lui si voltò a guardarlo, accennando appena un sorriso di risposta. “Odio gli addii.”

Jamaal però sembrò non dare troppa importanza al suo commento. “Questo non è un addio, lo sai. Sei un grande guerriero e non avrei potuto affidare questa missione a nessun altro. Mi fido di te e so che non fallirai.”

A quel punto, Tareq si lasciò definitivamente andare a un sorriso, chinandosi e stringendo poi il braccio che Jamaal gli porgeva, in un gesto di fraterna amicizia. “Allora a presto, mio Qayid.” disse; poi impartì un ordine ai compagni e tutti e tre spronarono i cavalli a partire al galoppo.

Jamaal e gli altri rimasero a osservarli, finché non sparirono, inghiottiti dal deserto. Quando neanche le nuvole di sabbia sollevate dagli zoccoli furono più visibili, si incamminarono di nuovo verso il villaggio. Lungo il tragitto, Cordelia si mostrò parecchio interessata alla collana di Rachel, che con pazienza le raccontò tutta la storia. Claire, rimasta indietro, chiacchierava con Jamaal, mentre la sua fida guardia del corpo li seguiva da vicino.

Con la coda dell’occhio, Claire gli lanciò un’occhiata perplessa. “Ma il gigante qui non parla mai?” chiese a Jamaal.

Lui ridacchiò, divertito dal soprannome che gli aveva affibbiato. “Solo se necessario. E poi, per quanto mi riguarda, lo trovo di ottima compagnia.”

Claire fece spallucce. “Se lo dici tu.” Poi rifletté un istante. “E Tareq? Che mi dici di lui?”

“Che vuoi sapere?”

“Possiamo fidarci?” chiarì lei.

Lo sguardo di Jamaal non lasciava spazio a dubbi. “È più di un fratello per me. Gli affiderei la mia stessa vita.” rispose convinto. “Perché me lo chiedi?”

“Beh, non è mai stato molto amichevole nei nostri confronti. Perché dovrebbe rischiare la vita per aiutare degli estranei?”

“È quello che facciamo, Claire.” disse, assumendo un’espressione seria. “Le persone che salviamo sono sempre degli estranei per noi, ma non significa che le abbandoneremmo al loro destino. E poi mi fido di Tareq. Andrà bene.” concluse ottimista.

Piacevolmente colpita, Claire non fece altre domande, camminando in silenzio finché non arrivarono in prossimità del tendone, dove li stavano aspettando due guerrieri, un uomo e una donna dai tratti decisamente orientali. La pelle chiara e gli occhi a mandorla indicavano con evidenza che non facevano parte della tribù, ma dall’abbigliamento le ragazze intuirono che fossero dei combattenti.

“Kira! Qiang! Ben tornati!” li accolse Jamaal con calore. “Sono contento di vedervi ancora tutti interi.” scherzò.

La ragazza chinò la testa e abbozzò un sorriso. “Siamo qui per fare rapporto.”

Jamaal annuì. “Venite dentro.” li invitò; poi salutò le ragazze con un gesto della mano e sparì nella tenda insieme ai due guerrieri.

Una volta entrati, Rachel pensò che era strano vedere due cinesi nel deserto e si chiese cosa ci facessero lì. Poi però le rivenne in mente quando avevano conosciuto Evan e Laurenne aveva spiegato che la tribù accettava guerrieri provenienti da altre parti del mondo.

La voce di Claire accanto a sé la riscosse. “Andiamo, o faremo tardi all’allenamento.”

Così, dopo essersi raccomandate con Cordelia di non spendere soldi inutili al mercato, si diressero al campo a passo svelto.

“Di che parlavate tu e Mister Muscolo?” chiese Rachel, già col fiatone.

Quel soprannome non poté che farle tornare in mente la mania di Cedric per i soprannomi, ma Claire si sforzò di reprimere il pensiero. “Gli ho chiesto di Tareq. Se potevamo davvero fidarci di lui.” spiegò brevemente.

Rachel annuì, rimanendo in silenzio per un po’. In realtà, c’era dell’altro. Qualcosa che in quei giorni non era riuscita a fare a meno di notare e che ben presto le venne istintivo esternare. “Claire…” esordì d’un tratto.

L’amica la guardò, aspettando il resto.

“Sai, ho visto come ti guarda.” riprese Rachel, cercando le parole giuste. Sapeva che non sarebbe stato un argomento facile da trattare. “Credo che tu gli piaccia.”

Dopo un attimo di smarrimento, Claire alzò un sopracciglio, fissandola basita. “Sei seria?”

“Non dirmi che non te ne sei accorta.”

Lei ci pensò su un istante. “Veramente no…E comunque al momento è l’ultima cosa che mi interessa.”
Era sulla difensiva e Rachel lo capì al volo. Ormai la conosceva come le sue tasche. Tuttavia, preferì lasciar perdere. “Okay, era solo per parlare…”

All’allenamento buttarono più sudore di quanto avessero fatto in diciotto anni, così furono ben liete di strisciare nuovamente verso casa dopo aver consumato il solito misero pasto.
Insieme a Cordelia, però, ad attenderle c’era una sorpresa. Seduta al tavolo con lei a prendere il tè, infatti, trovarono anche Laurenne, finalmente ritornata dal suo viaggio.

“Mami!” esclamò Samir, ancora pieno di energie, correndo ad abbracciarla.

Laurenne si alzò, ricambiando con altrettanto entusiasmo, mentre il bambino si stringeva a lei.

“Ehi, da quanto sei tornata?” le chiese Claire, dopo essersi scambiate un abbraccio.

“Da poche ore.” rispose. Le rivolse un sorriso, ma si vedeva che era stanca. “Ho delle novità per voi.”

Con un sospiro, Rachel si sedette accanto a Cordelia. “Spero che siano buone. Abbiamo bisogno di risollevarci.”

Laurenne raccontò di aver trascorso l’ultima settimana immersa tra le pergamene dell’archivio degli sciamani, trovandone alcune attinenti con il loro caso, ma scritte nell’antica lingua Jurhaysh e dunque non facili da decifrare. “Il maestro mi ha consentito di portarle con me. Inizierò a studiarle al più presto.” le rassicurò. “Sono certa che in quei fogli esiste una formula, un rituale, che mi permetta di raggiungere la parte di Juliet assopita dentro di lei. Devo solo trovarlo.”

Era il termine “solo” che preoccupava Rachel. “E sulle cause di quello che è successo? Hai scoperto qualcosa?”

“Io e il maestro Khuwaylid ne abbiamo parlato a lungo. Purtroppo neanche lui si era mai imbattuto in un caso simile prima d’ora, ma quando gli ho detto della guarigione miracolosa di Juliet dopo essere diventata
Cordelia ha ipotizzato che il cambiamento possa essere stato una specie di reazione del corpo al veleno.” spiegò.

“In altri termini, sarei tornata per evitare che Juliet morisse.” riassunse Cordelia.

Laurenne annuì. “Sì, è come se, percepito il pericolo, la tua anima si fosse risvegliata per prendere il posto di Juliet e salvarla. Ora resta da capire cosa ci facevi nel corpo di un’altra persona.”

A quel punto Claire, già abbastanza provata dall’allenamento, non ne poteva più di tutti quei ragionamenti.
“Okay, per quanto ti sia grata per aver salvato Juls, ora ho davvero bisogno di un bagno.” disse a Cordelia, con aria implorante.

Lei ridacchiò divertita. “Vi ho preparato la vasca nel retro.”

Dopo essersi lavate e rifocillate, Laurenne volle conoscere le ultime novità da quando era partita, così le parlarono del piano di Jamaal di mandare Tareq in avanscoperta a Bran, per capire una volta per tutte che fine avessero fatto i ragazzi.

Visibilmente sollevata, la sciamana rivolse loro un sorriso benevolo. “Sono contenta che alla fine abbia deciso di aiutarvi. Non ho mai avuto molti dubbi, comunque.”

“Già. Se non fosse che Tareq ci ha sempre detestate.” ribatté Rachel. “Forse non è stata proprio la scelta migliore.”

Laurenne si rabbuiò nel sentire quelle parole. “Non dire così. Anche a me non è molto simpatico, ma addirittura arrivare a odiarvi... È solo preoccupato. La nostra gente ha perso troppo a causa dei vampiri, primo fra tutti Jamaal…” D’un tratto sembrò rendersi conto di ciò che aveva detto e abbassò lo sguardo, assumendo un’aria malinconica. “Non solo lui, in realtà.”

Rachel e Claire si accorsero di quel repentino cambiamento d’umore, ma entrambe evitarono di fare domande. Era evidente che Laurenne si stesse riferendo anche a se stessa.

“E poi, il fatto che Jamaal abbia rischiato così tanto nel mandarlo significa che lo ritiene più che all’altezza del compito.” aggiunse, tornando a darsi un tono.

Tutto quel tessere le lodi di Tareq e delle sue capacità stava riuscendo a convincere Rachel, che ormai si sarebbe appigliata a qualunque speranza, pur di ricevere notizie. “Speriamo.” disse, abbandonandosi a un sospiro rassegnato.

“Abbiate fede. Jamaal sa quello che fa.”

Leggermente rincuorate, Rachel e Claire aiutarono Cordelia a togliere di mezzo le stoviglie del pranzo, dopodiché stavano per prepararsi a un meritato riposo, quando qualcuno bussò alla porta e Laurenne, impegnata in cucina, disse a Samir di andare ad aprire.

La vista di Jamaal scatenò l’entusiasmo del bambino, che gli si gettò al collo non appena si fu chinato per abbracciarlo. Il guerriero lo sollevò come se fosse una piuma, per poi metterselo a cavalcioni sulle spalle. “È permesso?” chiese poi, restando sulla soglia.

“Entra pure.” lo invitò Laurenne, arrivando sorridente.

Jamaal dovette piegare le ginocchia per poter passare lo stipite della porta con Samir sulle spalle; poi, una volta dentro, lo prese di nuovo in braccio e lo rimise a terra.

Lo sai, oggi ho sconfitto tre dei miei compagni in combattimento.” si vantò il bambino tutto fiero.
Dopo avergli scompigliato i capelli, Jamaal gli rivolse un sorriso orgoglioso. “Bravo. Continua così e diventerai forte come tuo padre.”

Samir, ora lascialo in pace.” lo riprese sua madre in tono gentile, ma fermo. “Vai a giocare fuori con i tuoi amici.”

Il bambino obbedì e, dopo averlo seguito con lo sguardo fino all’uscita di casa, Laurenne lanciò un’occhiata di rimprovero a Jamaal. “Devi sempre incoraggiarlo tu, eh?

Lui per tutta risposta le rivolse un ghigno divertito. “Non pensi che sia arrivato il momento di accettare la realtà? Samir diventerà un ottimo guerriero. È il suo destino ed è quello che vuole.”

“È quello che vuole la tribù.” ribatté lei in tono sommesso.

Dell’intera conversazione le ragazze riuscirono a captare soltanto i nomi, limitandosi ad essere spettatrici passive, finché Laurenne non gli chiese in inglese il motivo della sua visita.

Jamaal disse che era venuto solo per salutarla e per sapere come fosse andata la sua ricerca. “Infatti non posso rimanere. Mi aspettano per una riunione.” aggiunse poi, facendo per uscire, ma Claire lo fermò sulla soglia.

“Oggi è il terzo giorno.” gli ricordò.

Lui le rivolse un’occhiata confusa.

“Siamo al terzo giorno di allenamenti e come vedi siamo ancora tutte intere.” chiarì allora, accennando un sorrisetto compiaciuto.

A quel punto, il voltò di Jamaal si illuminò, segno che si fosse ricordato della sfida che si erano lanciati, e annuì, ricambiando il sorriso.

“Perciò abbiamo il permesso di continuare?” gli chiese Claire, senza perdere tempo.

La domanda lo sorprese. “Volete davvero continuare ad allenarvi? Pensavo non faceste sul serio…”

Lei allora si finse offesa. “Certo che facciamo sul serio. Cosa credi?” lo provocò.

Jamaal sembrò rifletterci su, poi tornò a guardarla sogghignante. “Avrei dovuto aspettarmelo da un caratterino come il tuo. D’accordo, avete il mio permesso. Stesso posto, stessa ora.” sentenziò, prima di voltarle le spalle e andarsene.

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Capitolo 10
*** Mirare al centro ***


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Capitolo 6 - Mirare al centro


 
Anche quella mattina Rachel e Claire si erano alzate di buon ora, più o meno pronte ad affrontare un’altra estenuante sessione di allenamenti con Rashid e la sua banda di marmocchi. Qualcuno di loro era simpatico e non approfittava della loro inesperienza per prenderle in giro, anzi, spesso le aiutava, ma continuavano comunque a sentirsi come pesci fuor d’acqua.

Per certi versi, Rachel era contenta che Jamaal si fosse convinto a farle continuare, mentre per altri la sola idea di tornare al campo ogni giorno la sfiancava. Come se non bastasse, nessuno le aveva ancora confermato se Tareq fosse o meno arrivato a Bran e l’angoscia non le dava tregua. Era trascorso solo un giorno dalla partenza, ma lei era già in fibrillazione.

Come sempre trovarono il maestro già sul posto, ma stavolta non ordinò di mettersi a correre per riscaldarsi in attesa che arrivassero tutti. Nel solito inglese arrabattato fece loro capire che dovevano spostarsi in un altro punto del campo, dove di solito si allenavano i guerrieri esperti, e indicò a gesti la direzione.
Piuttosto confuse, Rachel e Claire obbedirono, credendo che si trattasse di una sua iniziativa per togliersele finalmente di torno. Una volta arrivate, invece, con sorpresa videro che ad aspettarle c’era Jamaal insieme alla sua guardia del corpo da un occhio cieco. L’imponente guerriero aveva sulla spalla un falco dalle piume grigio argento, che quasi scompariva se paragonato a lui, ma che non sembrava per nulla spaventato dalla stazza del padrone.

Wasal jayidaan.” Le accolse il capo tribù con un sorriso; poi, scoppiò a ridere nel vedere l’espressione perplessa che gli avevano rivolto. “Significa ben arrivate.” spiegò.

“Sì beh, non so ancora parlare arabo.” ribatté Claire in tono scocciato. “A quest’ora del mattino meno che mai.”

Rachel provvide a troncare il discorso sul nascere. “Che succede? Rashid ci ha detto di venire qui.”

Jamaal annuì. “Gli ho chiesto io di spostarvi.” rispose, tornando serio. “Visto che avete tanta voglia di mettervi in gioco, ho pensato che fosse giusto alzare il livello.”

“Perciò non ci alleneremo più con i bambini?” chiese Claire speranzosa.

“No, lo farete con me.”

Non ebbero certo bisogno di voltarsi per riconoscere il tono annoiato di quella voce e, quando Najat arrivò in compagnia di Evan e degli stessi guerrieri cinesi che avevano incontrato il giorno prima, l’espressione che aveva in faccia confermò il suo entusiasmo.

Con un balzo elegante la ragazza si mise a sedere sulla staccionata di legno che delimitava il campo, poggiandovi sopra la pianta del piede. “Devo aver fatto qualcosa di veramente grave se il nostro Qayid ha deciso di infliggermi una punizione simile.” disse sarcastica, rivolta a Jamaal.

Lui ricambiò con un’occhiata di finto rimprovero, ma poi tornò sulle ragazze ignorando il commento. “Da oggi vi allenerete con Najat e gli altri. Ho pensato che con loro vi sareste trovate meglio, visto che parlano la vostra lingua. Vi insegneranno a difendervi e a usare le armi.”

Detto questo, augurò a tutti buon lavoro e comunicò qualcosa al guerriero cieco, che fece un leggero cenno del capo in segno di obbedienza, rimanendo al suo posto. Dopodiché se ne andò per la sua strada, lasciandole in compagnia dei guerrieri. “Mi raccomando, conto su di voi. Non mi deludete.” Fu l’ultima cosa che disse, mentre lo guardavano allontanarsi.

Rachel e Claire rimasero basite per qualche istante, prima che Najat si abbandonasse a un sonoro sbadiglio.

“Sembrate due stoccafissi. State facendo venire sonno anche a me.”

“Dai, piantala Nat.” la redarguì la bella guerriera cinese. Poi si avvicinò e offrì la mano a entrambe, rivolgendo loro un sorriso cordiale. “Mi chiamo Kira e questo è mio fratello Qiang. Ci siamo già incrociati, mi sembra.”

Claire annuì mentre stringeva la mano anche a lui, ricambiando il sorriso. Fratelli, certo. In effetti, ora che li vedeva più da vicino la somiglianza era evidente. Le avevano fatto una bella impressione fin da subito, cosa che non si poteva dire di Najat. Per qualche motivo che andava al di là della sua comprensione non le aveva mai sopportate.

“Noi ci conosciamo.” aggiunse Evan gioviale come sempre, salutandole con un cenno della mano.

A quel punto, Najat alzò gli occhi al cielo e saltò giù dal recinto, per poi squadrarle dall’alto in basso con le braccia incrociate. “Bene, fine delle presentazioni. Adesso possiamo cominciare?”

Come già in uso da Rashid, le fece correre in cerchio per scaldarsi, solo che stavolta dovettero sorbirsi molti più giri di corsa, oltre a flessioni, addominali ed esercizi per rafforzare le braccia. Lei le guardava insieme agli altri e sembrava godere nel vederle soffrire.

Quando ordinò di fermarsi, credettero che finalmente avrebbe concesso loro una meritata pausa, invece annunciò che sarebbero passati al combattimento corpo a corpo. “Vediamo che sapete fare.” disse ghignante, ben consapevole che non erano in grado nemmeno di mandare al tappeto un adolescente.

Per loro fortuna, si sentiva troppo superiore per metterle alla prova di persona, così le affidò a Kira ed Evan, che ci andarono molto piano.

“Hai la guardia troppo bassa.” suggerì la guerriera a Rachel. “Chiunque riuscirebbe a colpirti nel giro di un secondo.” Allora le spiegò come difendersi al meglio grazie al gumdo, arte marziale praticata da generazioni nella sua famiglia. Spiegò a entrambe che di solito i vampiri puntavano subito a uccidere, mentre lo scopo del gumdo era innanzitutto la difesa. Non era necessario eliminare l’avversario, se si poteva renderlo inoffensivo in altro modo.

A quel punto, Najat borbottò qualcosa in risposta, ma lei non ci fece caso. Disse che la disciplina prevedeva anche l’uso delle spade, ma si trattava già di un livello avanzato.

Claire l’ascoltava affascinata, sognando il momento in cui avrebbe usato il gumdo su Najat, finché finalmente lei sembrò muoversi a compassione e concesse a tutti qualche minuto di pausa.

Mentre tentava di riprendere fiato, Claire osservava il grande guerriero sempre al seguito di Jamaal, che nel frattempo non si era mosso di un centimetro e continuava a vegliare sui presenti con il fidato uccello appollaiato sulla spalla.

Alquanto perplessa, si avvicinò a Evan e gli si sedette accanto. “Siamo in pericolo per caso?” gli chiese a bassa voce.

“Perché?” fece lui, accostandosi per sentirla.

Claire mandò giù una sorsata abbondante di acqua dalla sua borraccia, poi gli indicò il guerriero con un cenno della testa. “Sono ore che se ne sta lì immobile. Sta controllando che un’orda di vampiri non ci piombi addosso da un momento all’altro?”

Allora il ragazzo australiano sembrò capire e si mise a ridere, scuotendo appena la testa. “Tranquilla, tutto a posto. È solo il normale modo di fare di Abe.”

“Abe?”

Evan annuì. “Abdul Hadi Majid Mandhur. È il suo nome completo.”

“Okay, Abe va benissimo.” ribatté Claire, che era rimasta ad Abdul.

Intanto, anche Rachel si era avvicinata per ascoltare. “Ma è muto? Finora non l’ho mai sentito pronunciare una sillaba.”

“No, solo di poche parole.” rispose lui. “Conoscete la storia di come ha perso la vista all’occhio sinistro?”

Quando entrambe scossero la testa, l’espressione del ragazzo sembrò illuminarsi. Chiaramente non vedeva l’ora di raccontarla, così assunse un’aria misteriosa e si fece guardingo, invitandole ad avvicinarsi di più.

“Molti raccontano che sia successo in Africa, la sua terra natia. Laggiù usano temprare i guerrieri con incursioni nella savana, direttamente nei territori di iene e leoni. Beh, si vocifera che sia stato colto di sorpresa da un branco di leonesse in cerca di cibo, mentre era appostato dietro una macchia di vegetazione. Il bello è che le ha affrontate a mani nude, uscendone indenne. A parte l’occhio ovviamente.” spiegò, visibilmente preso dal racconto. Di lì a poco, però, tornò ad assumere la solita aria rilassata. “Oppure potrebbe essere stato qualche succhiasangue. Chi lo sa.” minimizzò, facendo spallucce.

Purtroppo non passò molto tempo prima che Najat li richiamasse all’ordine, così dovettero rinunciare ad altri aneddoti su Abe e le sue incredibili imprese.
Non contenta di averle distrutte fisicamente, ora voleva che imparassero come erano fatte le varie armi utilizzate dai guerrieri Jurhaysh. Ogni tribù ne aveva di proprie e Kira fu la prima a mostrare come a Xiamen, nell’arcipelago cinese, facessero uso delle spade.
Rachel e Claire rimasero imbambolate a guardarla mentre le faceva roteare con maestria, come se si trattasse di una danza, talmente rapida e leggera da provocare il minimo spostamento d’aria. Nessuna delle due sarebbe mai riuscita a muoversi con tanta destrezza, tantomeno avrebbe avuto il coraggio di usare quelle spade.

Al termine della sua esibizione, Qiang batté le mani. “Complimenti, sorella. Ora però è il mio turno.”

Accennando un ghigno, venne avanti e la invitò a farsi da parte con un cenno del braccio. Kira alzò un sopracciglio e sogghignò in risposta, poi lo accontentò. Lo guardarono impugnare uno strumento simile a una balestra, anche se di dimensioni ridotte. Somigliava molto a una di quelle pistole che si vedono nei vecchi film, con il caricatore a tamburo e il grilletto, ma era più una sorta di ibrido.
Una volta preparata l’arma, Qiang tese il braccio, mantenendolo perpendicolare al corpo, e la puntò contro quella specie di tettoia per riparare dal sole chi assisteva agli allenamenti. La struttura di legno si trovava molto distante da loro, dall’altra parte del campo, ma questo non sembrò scoraggiarlo. Si concesse qualche istante per prendere la mira, dopodiché fece pressione sul grilletto e la freccia partì con un sibilo, andando a conficcarsi precisamente nel mezzo del palo che sosteneva il tendone.

Najat lanciò un grido di entusiasmo, mentre il guerriero osservava compiaciuto il risultato ottenuto.

“Naturalmente questo non basta a uccidere un vampiro. Il segreto è puntare alla testa o al cuore, quando possibile.” spiegò a Rachel e Claire, ancora rivolte verso la direzione in cui era schizzata la freccia.

“Per noi sarebbe già un’impresa riuscire a usare quell’arnese.” ribatté Claire. Era rimasta allibita dalla rapidità con cui Qiang aveva scelto il bersaglio, preso la mira e scagliato la freccia. Il tutto nel giro di pochi secondi.

Il guerriero cinese rise divertito, poi si preparò a lanciare di nuovo. Stavolta però, uno sparo improvviso riecheggiò nell’aria e la freccia venne intercettata sulla sua traiettoria prima di andare a segno. Successe tutto troppo velocemente, ma Qiang fu il primo di loro a capire.

“Dannazione!” imprecò, voltandosi verso Evan e fulminandolo con lo sguardo. “Sei un maledetto stronzo!”

Lui scoppiò a ridere, mentre soffiava scenicamente sulla bocca di un grosso fucile da caccia dall’aspetto un po’ datato. “Dai, non prendertela. Volevo solo dimostrare che ormai le armi bianche sono superate.”

“Voi occidentali e la vostra dannata polvere da sparo.” mugugnò Qiang risentito.

Evan ghignò, rinfilando il fucile nel fodero che portava dietro la schiena. “La vostra, vorrai dire.” lo corresse. “L’avete inventata voi, se non sbaglio.”

Da offesa che era, l’espressione del guerriero cinese si distese e lentamente sul suo volto comparve un sorriso divertito, mentre dall’altra parte anche Najat e Kira ridevano sotto i baffi.

“Te la sei cercata, Qiang.” gli disse la sorella.

Presi com’erano dal momento, non si accorsero dell’arrivo di Jamaal, venuto a controllare come procedesse l’addestramento.

“È così che vi allenate?” li rimproverò.

Nessuno sapeva cosa rispondere, perciò fu Najat a parlare per prima. “Ci stavamo solo riposando un po’, capo.” si giustificò.

-Noi ci riposavamo- pensò Claire. –Tu non hai mosso un dito-

I tratti del viso di Jamaal, dapprima tesi, lentamente si rilassarono e lui si appoggiò alla staccionata, mettendo in mostra i muscoli delle braccia. A quella vista, Claire non poté fare a meno di avvertire uno strano fremito. “D’accordo, allora fate ridere anche me.”

“Niente di importante. Il nostro amico australiano ha appena umiliato mio fratello.” intervenne Kira.
Jamaal annuì, guardando Qiang. “Se è così, dovrai rifarti.”

Lui annuì in risposta e rivolse a Evan un’occhiata di sfida. “Senza dubbio.”

A quel punto, Najat riconobbe che per quel giorno avevano faticato abbastanza, così dichiarò terminati gli allenamenti e ognuno poté far ritorno ai propri alloggi.

Mentre si apprestava a trascinarsi verso casa dietro a Rachel, Claire venne affiancata da Jamaal, che le rivolse un sorriso. “Allora? Tutto bene?”

Lei si abbandonò a un sospiro. “Un’altra giornata così e dovrete seppellirmi, ma sì. Sto bene.”

Jamaal scoppiò a ridere. “Non è possibile, sei messa così male? Dov’è finito il temperamento di ieri?” scherzò.

“Dammi due minuti e vedrai.” reagì, punta sul vivo. “Sono diventata imbattibile nel corpo a corpo.” Per dimostrare la sua forza, sferrò un pugno a mezz’aria, ma le ginocchia le tremarono e, se non fosse stato per Jamaal che la sorresse, per poco non si afflosciò a terra.

“Lo vedo, lo vedo.” disse, prendendola in giro.

Claire avrebbe voluto sotterrarsi per l’imbarazzo, ma cercò di non darlo a vedere e, per tutto il tragitto verso casa di Laurenne, camminò da sola, senza accettare l’aiuto che lui gentilmente le offrì. Con loro c’era anche Rachel e non voleva darle alcun pretesto per continuare a pensare che tra lei e Jamaal ci fosse qualcosa.
Ogni suo sforzo, tuttavia, andò a farsi benedire quando furono davanti alla porta. Rachel entrò per prima, quindi per fortuna non ebbe modo di vedere quanto sarebbe successo di lì a poco.
Dopo un saluto alquanto frettoloso, Claire fece per seguirla, ma si sentì trattenere per una mano e quando si voltò Jamaal era a pochi centimetri da lei.

“Aspetta.” le disse, assumendo un’aria seria.

Lo guardò incuriosita, non aspettandosi quel gesto da parte sua.

A quel punto, le labbra di Jamaal si piegarono in un sorriso. “Prima scherzavo. Ti ho osservata durante l’allenamento e non sei andata così male. Se ti impegni, potresti diventare un’ottima guerriera.”

Claire ridacchiò scettica. “Sì, certo. Vallo a dire a Najat.” ribatté, guardando da un’altra parte.

“Dico davvero.”

L’espressione che le rivolse la costrinse a deglutire, se non voleva strozzarsi con la sua stessa saliva. E adesso perché la stava guardando in quel modo? Tra l’altro, si era fatto anche più vicino. In breve Claire intuì dove volesse andare a parare e il cuore prese a batterle come un tamburo impazzito. Il momento sarebbe stato anche perfetto, ma una vocina nella sua testa la martellava, dicendole di non lasciarlo fare.
All’ultimo secondo, quando ormai poteva sentire il respiro di Jamaal fondersi con il suo, interruppe il contatto visivo tra loro e si scostò leggermente.

Per sua fortuna, lui sembrò capire e non andò oltre.

Claire allora ne approfittò per defilarsi. “Ci vediamo in giro.” tagliò corto, mettendo finalmente piede dentro casa e chiudendosi la porta alle spalle. 

La prima faccia che incontrò fu quella di Rachel, che la studiava perplessa con un sopracciglio sollevato. Poco distante, Cordelia era seduta al tavolo a sorseggiare una tisana.

Claire avrebbe voluto sgattaiolare verso il retro, ma Rachel andò subito alla carica con le sue domande giuste al momento sbagliato. Proprio quello che temeva.
“Allora...Di che avete parlato tu e il bel capo tribù là fuori?” chiese con una punta di malizia e allo scopo evidente di insinuare qualcosa.

“Niente di che.” le mentì in tono vago, pregando che bastasse. “Mi ha dato qualche consiglio sul combattimento.” 

I suoi patetici tentativi di eludere il discorso, però, non sortirono alcun effetto su Rachel, che ormai la conosceva come le sue tasche. “Consigli, sì…” Continuando a fissarla con aria eloquente, annuì, appoggiando la schiena contro il tavolo e incrociando le braccia.

Claire detestava quelle sue capacità deduttive. Non si riusciva mai a nasconderle niente. “Okay, ha cercato di baciarmi. Contenta?” ammise infine esasperata.

A Cordelia per poco non andò di traverso la tisana e allontanò la tazza dalla bocca per non versarsela addosso. Dopodiché la fissò basita.

“Ma non gliel’ho lasciato fare.” si difese, prima che entrambe potessero dire qualsiasi cosa.

“E vorrei ben vedere!” esclamò Rachel. “Per fortuna che non gli piacevi.”

Claire sospirò. “Sì, ma adesso datti una calmata. Lui continua a non interessarmi e la situazione è perfettamente sotto controllo.” Chissà perché si sentiva ancora in dovere di rassicurarla su quel punto. Come se dovesse renderne conto a lei. “Ora, se l’interrogatorio è finito, io mi farei un bagno.” le liquidò, dirigendosi poi sul retro.



Il giorno dopo, tornate al campo di addestramento, trovarono ad aspettarle soltanto i “fratelli Cina”, come li aveva soprannominati Claire. Najat ed Evan, infatti, erano in missione. Non per questo però fu un allenamento riposante, nonostante i due avessero modi decisamente più gentili.
Dopo i soliti esercizi di riscaldamento e qualche minuto di corpo a corpo, Qiang mostrò loro come usare arco e frecce, sostenendo che fossero troppo inesperte per usare fin da subito la balestra. Così diede a ciascuna di loro un arco di legno e una faretra piena di frecce, per fare pratica con dei bersagli che Kira stava posizionando all’interno del campo.
Non erano molto lontani, ma comunque a una certa distanza, e Rachel era già sicura di fallire. Ciò nonostante non si mostrò scoraggiata e, indossato il parabraccio in cuoio, incoccò la freccia, scoprendo quando fosse difficile tendere l’arco ancor prima di riuscire a lanciarla.  

“Usa la guancia per ancorarti.” le suggerì Qiang lì accanto.

Rachel seguì il consiglio e cercò di prendere la mira nel giro di quei pochi secondi che aveva a disposizione prima che il braccio le cedesse. Alla fine sentì la resistenza abbandonarla e lasciò andare la freccia, che saettò in direzione del bersaglio, per poi andare a conficcarsi con sua grande sorpresa quasi vicino al centro.

Il guerriero si esibì in un fischio di apprezzamento. “Niente male!” commentò entusiasta. “Sei sicura che fosse la prima volta?”

“Giuro.” confermò lei, con lo sguardo ancora fisso sul bersaglio. “È stata solo fortuna.” disse poi, rivolgendogli un mezzo sorriso.

Quando giunse il suo turno, Claire era convinta che non avrebbe saputo fare di meglio e infatti il lancio fu così debole che la freccia non arrivò neanche in prossimità del bersaglio, cadendo tristemente al suolo.

A Rachel scappò una risatina di scherno, a cui Claire rispose con un gestaccio.

“Non ti abbattere. È normale se non l’hai mai fatto prima.” la incoraggiò Qiang, per poi avvicinarsi e mostrarle la giusta posizione delle braccia per tendere l’arco.

Felice di aver trovato una disciplina sportiva in cui riusciva meglio dell’amica, Rachel provò a tirare ancora diverse volte, ognuna mancando di poco il centro o comunque riuscendo a raggiungere il bersaglio.

“Sembra venirti proprio naturale.” notò Kira, mentre la osservava. “Anche se dovrai esercitarti molto per arrivare a colpire un vampiro.”

Fu allora che Rachel realizzò come in effetti tutta quella fatica avesse l’unico obiettivo di uccidere i vampiri e la cosa la fece rabbrividire. Aveva deciso di iniziare quell’addestramento per imparare a difendersi, ma solo ora si rese conto che questo comportava anche il dover attaccare.

Vedendola pensierosa, Kira le si avvicinò impensierita. “Cosa c’è? Qualcosa ti turba?”

Lei scosse appena la testa. “No…Mi stavo solo chiedendo da quant’è che combattete. Voglio dire, questa faida tra voi e i vampiri dovrà finire prima o poi. O avete intenzione di continuare così per sempre?” La domanda le era sorta spontanea nel momento in cui aveva capito che i guerrieri si addestravano fin da piccoli proprio perché consapevoli di doversi scontrare con i vampiri un giorno, come se dessero già per scontato che quella guerra sarebbe andata avanti e ci fosse bisogno di un continuo ricambio di uomini.

Ansiosa di risposte, guardò i gemelli, scoprendoli però titubanti. Non sapevano cosa dire.

“Risponderò io alle tue domande.”

La voce di Jamaal li fece voltare sorpresi, anche se non più di tanto, di trovarlo lì.

I fratelli Cina si portarono la mano chiusa a pugno sul petto in un gesto di saluto, come avevano visto fare anche ad altri guerrieri e lui ricambiò con gesto del capo; in seguito salutò le ragazze, soffermandosi qualche istante in più su Claire, che abbozzò appena un sorriso di risposta.

“Noi combattiamo i vampiri da sempre e la nostra lotta finirà soltanto alla morte di Nickolaij. Da secoli cerchiamo di fermare le ambizioni di quel pazzo, ma purtroppo i numeri non ci sono favorevoli.” spiegò serio.

“Mentre noi siamo mortali e destinati presto o tardi a morire, lui può contare su una quantità sempre costante di seguaci. Per quanti ne eliminiamo, altri ne arrivano.”

Claire avvertì un’evidente nota di frustrazione nella sua voce. “Sì, ma quali sono queste ambizioni?” gli chiese.
“Cos’è che vuole esattamente?”

Jamaal esitò, forse perché in cerca del modo più adatto per dirglielo. Il suo sguardo, dapprima fisso su di lei, si spostò sui gemelli, come a voler trovare nei loro occhi la risposta migliore. “Prendere il controllo sugli esseri umani.” rivelò infine. “Vuole essere il padrone assoluto e per farlo sta cercando di vampirizzare quanta più gente possibile. Se non lo fermiamo in tempo, la sua razza prenderà il sopravvento su quella umana e allora sarà la fine.” concluse.

Il pericolo imminente non sembrava scalfire la sua determinazione, ma quelle parole bastarono a pietrificare del tutto sia Rachel che Claire. Di certo nessuna delle due si aspettava una simile realtà dei fatti. L’esperienza aveva loro insegnato quanto Nickolaij fosse spietato, ma mai avrebbero immaginato che progettasse la conquista del pianeta.

“Ma è…folle!” boccheggiò Rachel incredula.

Kira annuì. “Il suo è un piano ben studiato e, per quanto cerchiamo di impedirlo, non fa che realizzarsi di giorno in giorno.”

“No, è impossibile.” Claire si rifiutava di accettarlo. “Non può credere davvero di riuscire a controllare l’intera umanità. Insomma, ci sono i governi, persone di potere che non glielo permetterebbero…”

“E chi ti dice che gli serva il loro permesso?” ribatté Jamaal. “Una volta trasformati, sono sotto il suo potere. Può sembrare che agiscano di loro iniziativa, ma in realtà obbediscono ai suoi ordini. E tutto questo senza che un solo essere umano se ne accorga.”

“Nickolaij è furbo. Agisce nell’ombra dei governi e li sottomette. In più è dotato di pazienza. Sono almeno tre secoli che porta avanti il suo piano.” aggiunse Kira.

“Già.” concordò il fratello. “Bisogna anche dire però che noi Jurhaysh continuiamo a mettergli i bastoni tra le ruote e questo ha contribuito ad allungare i tempi.”

“E non smetteremo mai di farlo. Dovessimo sacrificare fino all’ultimo guerriero.” disse Jamaal risoluto.

Alla fine di tutto il discorso, Rachel sentì che le era scoppiato il mal di testa. Quello che aveva appena sentito andava al di là di ogni sua convinzione. Fino a quel momento aveva creduto che quella storia fosse solo una breve parentesi della sua vita, per quanto tragica, e non un problema di proporzioni mondiali. Di colpo, la mente saettò a Greenwood e a ciò che era successo prima di intraprendere il viaggio con Dean. Ora capiva cosa dovesse aver fatto Nickolaij a quelle persone presenti al ballo, compresi i loro compagni di scuola, oltre al motivo stesso per cui aveva organizzato l’evento. E suo padre? Con orrore pensò a cosa dovesse essergli capitato…

Claire intuì cosa le passasse per la testa, probabilmente perché era ciò a cui lei stessa stava pensando. “Ray…” mormorò, facendo per avvicinarsi.

Rachel tirò su con il naso, sforzandosi di trattenere le lacrime. “Sto bene.” rispose in un soffio, senza tuttavia guardarla.

A quel punto, Qiang ritenne di dover spezzare la tensione cambiando argomento. “Beh, abbiamo faticato abbastanza per oggi. Che ne dite di andare a mangiare qualcosa? Muoio di fame.” propose, imbastendo un tono allegro.

A parte disperarsi in silenzio, al momento non c’era nulla che Rachel e Claire potessero fare, così seguirono i guerrieri verso la taverna del villaggio.
 
-o-
 
Elizabeth percorreva a passo svelto il portico del cortile interno, diretta ai giardini del castello, dove sapeva che sua sorella la stava aspettando. Mentre passava, una coppia di cortigiane si fermò per farle l’inchino, ma le ignorò e andò oltre, stranamente ansiosa di sapere cosa volesse Margaret da lei. Anche se a dire la verità non faceva fatica a immaginarlo.

Una volta arrivata, non si stupì di trovarla ad allenarsi al tiro con l’arco, una delle sue grandi passioni dopo lo studio e la magia. Elizabeth però sapeva quanto ciò non fosse un buon segno.

“Volevi vedermi?” chiese retorica, fermandosi pochi passi dietro di lei e unendo le mani sul grembo con aria paziente, in un gesto di attesa. Forse sarebbe stato meglio mostrarsi cordiali e disponibili.

In un primo momento Margaret non diede neanche segno di essersi accorta della sua presenza, limitandosi a scegliere una freccia dalla faretra per poi inserirla tra la corda e l’arco di legno. Dopo aver preso la mira, lasciò la presa e la freccia saettò verso il bersaglio, colpendolo esattamente al centro.

Proprio quando Elizabeth iniziava a spazientirsi, si decise a degnarla di attenzione. “Immagino che ci sia tu dietro la decisione di nostro zio.” disse allora, senza perdersi in convenevoli.

Lei sapeva benissimo a cosa si stesse riferendo, ma comunque si finse innocente. “Non so di cosa parli.”

A quel punto, Margaret sospirò, voltandosi a guardarla per la prima volta da quando era lì. “Mi riferisco alla cerimonia di investitura annunciata per domattina. Vedi, mi risulta davvero difficile credere che di punto in bianco nostro zio abbia deciso di conferire il titolo di cavaliere a uno sconosciuto, senza peraltro particolari meriti. Dunque, non posso fare a meno di pensare che sia stata una tua idea.”

“Nickolaij non è uno sconosciuto. È con noi ormai da diversi mesi.” puntualizzò Elizabeth, sforzandosi di apparire calma e posata. Non si sarebbe tradita, dandole così la soddisfazione di aver colto nel segno. “E inoltre come fai a dire che non ha particolari meriti, quando più di chiunque altro ha dimostrato cieca fedeltà e devozione alla casata? Nostro zio ha fiducia in lui, pertanto lo premierà come merita.” concluse in tono fiero.

Lo sguardo di disappunto di Margaret si posò per qualche istante sulla sorella minore, prima di spostarsi di nuovo sulla faretra piena di frecce.
Visto il suo silenzio, Elizabeth pensò ingenuamente che si fosse arresa ai fatti, ma ciò che sentì in seguito la fece ricredere.

“Se pensi che questa nomina equivalga ad avere il suo permesso di sposarlo, ti sbagli. Io e il principe concordiamo sul fatto che è impossibile.” sentenziò Margaret in tutta semplicità, incoccando un’altra freccia e mirando al bersaglio.

Quelle parole furono come lame nel petto ed Elizabeth sentì tutte le proprie certezze andare improvvisamente in frantumi. Solo allora si rese conto di avere male interpretato ogni segnale di complicità da parte di suo zio, che in realtà l’aveva solo illusa e un senso di rabbia la invase.

“Voi non avete alcun diritto di decidere per me.” disse tra i denti. “Sia ben chiaro, non accetterò come marito qualcuno che mi è stato imposto solo per sugellare un’alleanza. Io non sono Cordelia.”


“No, non lo sei.” concordò Margaret. “Tuttavia, come lei hai degli obblighi verso la nostra famiglia. Questo lui lo sa, ma è così egoista da continuare a darti false speranze. Non illuderti che tra voi possa andare avanti, venite da mondi troppo diversi…”

“Basta! Smettila!” la interruppe Elizabeth, talmente furiosa da sembrare in preda all’isteria. Per lei sarebbe stato impossibile sopportare un’altra parola contro Nickolaij e ad alimentare la rabbia contribuiva la consapevolezza che sua sorella la ritenesse una povera ingenua facile da manipolare. “Noi ci amiamo. Il resto non conta.” concluse più calma.

Margaret scosse la testa rammaricata. “Credimi sorella mia, io per prima sarei ben felice di vederti accanto a un uomo che ti ami e ti rispetti.”

Elizabeth riconobbe l’esatta descrizione di Nickolaij. “E allora…”

“Lui non è quell’uomo, Beth.” sentenziò dura.

Nonostante avesse voluto, non riuscì a evitare che gli occhi le si riempissero di lacrime. Come poteva una sorella essere tanto insensibile? Stanca di averla davanti agli occhi, le voltò le spalle, decisa a mettere quanta più distanza possibile tra loro. Aveva bisogno di stare sola.

Mentre raggiungeva di nuovo il portico, sentì Margaret gridarle: “Si sta approfittando di te, Beth! Vuole usarti solo per i suoi interessi, non lo capisci?”

Ma a quel punto Elizabeth aveva già smesso di ascoltarla.

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Capitolo 11
*** Sei tu Mark? ***


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Capitolo 7 - Sei tu Mark?


Ecco. Alla fine mi sono decisa a prendere in mano la penna e iniziare a scrivere.
Ci ho messo un bel po’, in effetti, perché non trovavo il coraggio di riaprire il tuo diario dall’ultima volta che io e Claire lo abbiamo letto. Adesso però voglio farmi forza e iniziare una nuova pagina, lasciandomi alle spalle le precedenti, così che tu possa leggerla quando tornerai.
Devo confessarlo, quello che hai scritto mi ha turbata, e anche parecchio. Ma mi è stato d’aiuto per riflettere su me stessa e sul mio comportamento.
Non avevo idea che stessi soffrendo così tanto in quel periodo, che fossi arrivata addirittura a odiarmi. Te lo giuro, non lo avrei mai immaginato. Ora non faccio che chiedermi per quale assurdo motivo non ne abbiamo parlato, perché in quell’occasione non ci siamo confidate come facevamo sempre.
Mi capita spesso di ripensare a quella sera, quando abbiamo litigato e tu sei fuggita. È da lì che è iniziato tutto. Non so neanch’io perché mi fossi ostinata a tenervi nascosta la storia con Mark e a rifletterci adesso mi prenderei a schiaffi. Avrei dovuto dargli retta e raccontarvi subito la verità, invece di aspettare chissà cosa. Se fossi stata più chiara, se mi fossi spiegata…
Ma è inutile ragionare con i se, ormai è andata così. È sul presente che devo concentrarmi, anche perché non è per niente roseo.
Sono settimane che viviamo nell’incertezza e ora che finalmente avremmo potuto ricevere qualche notizia dei ragazzi, tutto tace. L’ansia e la paura mi stanno logorando il fegato e penso che se non uscirà fuori qualcosa al più presto esploderò. Quel che è peggio è che non riesco a fare a meno di sentirmi in colpa per averli abbandonati. So che non potevamo fare niente e che attraversare quel portale era l’unico modo di salvarsi, ma è più forte di me.
Ora siamo bloccate qui, in un posto non nostro, in una vita che non ci appartiene. Mi sento inutile, Juls, come mai prima.
Cerco di distrarmi con gli allenamenti e in effetti devo ammettere che da quando abbiamo iniziato va un po’ meglio. Io e Claire siamo migliorate parecchio, sai? Lei è brava nel corpo a corpo, mentre io preferisco usare le armi. Ho scoperto di essere tagliata per il tiro con l’arco e a sentire Qiang ho un talento naturale. Secondo me esagera…
Tornando a Claire, ho l’impressione che si stia adattando molto più di me a vivere qui. Sta facendo amicizia con Kira e gli altri guerrieri. Ormai fanno gruppo fisso e più di una volta siamo andati insieme alla taverna a bere qualcosa, dopo gli allenamenti. Io però non mi sento molto in vena di festeggiare, vista la situazione in cui ci troviamo. Claire invece non ha fatto che ridere e scherzare con loro per tutto il tempo, tanto che comincio a dubitare che le importi del fatto che Mark e Cedric siano ancora prigionieri in quel castello infernale. Oltretutto, in questi giorni non ho potuto non notare un certo feeling tra lei e Jamaal, ma non vorrei cadere nel tuo stesso errore e ingigantire le cose più del dovuto. La conosciamo entrambe e sappiamo quanto sia brava a nascondere bene le sue emozioni, quindi spero che il suo sia solo un modo di non farsi sopraffare dall’ansia.
Beata lei, che almeno ci riesce.
Una cosa però è certa, a Jamaal lei piace e il suo tentativo di baciarla lo conferma. Tra l’altro, se così non fosse, non verrebbe ogni giorno agli allenamenti a girarle intorno come un’ape sul fiore. Potrà anche fingere di interessarsi ai nostri problemi, e magari non è solo finzione, ma non mi incanta. Si vede lontano un chilometro che ha interessarlo è una cosa sola.
In tutto questo, la situazione Cordelia resta la stessa da quando siamo arrivate. Laurenne si sta facendo in quattro per capirci qualcosa, davvero. Trascorre ogni ritaglio di tempo libero a studiare le pergamene che si è portata dietro dal viaggio, ma per ora nulla di fatto. Anche se ormai sono passate settimane da quando siamo qui, a volte faccio ancora fatica a ricordare che dietro l’aspetto della mia migliore amica c’è un’altra persona, qualcuno che nemmeno conosco. Ha qualcosa di simile a te nel carattere, è vero. È sensibile, ma non così emotiva. Anzi, certe volte è alquanto snob e non fa che riprendere Claire sul suo linguaggio spesso sbeccato. Si vede che viene da un’altra epoca...
Stento a credere a quello che dico. Venire da un’altra epoca. Tutta questa storia è una follia. Ancora non riesco a capacitarmene, mi sembra di vivere nel mondo dell’assurdo. In una realtà parallela in cui le persone si trasformano in altre vissute secoli fa e dove compiere strani riti con dei sassi incisi sia la normalità.
Beh, penso di averti annoiata abbastanza. Scrivere queste pagine mi ha fatto bene, perché è stato come parlare di nuovo con te. Ultimamente mi sento sempre più sola, anche se ho Claire. Ma…Lo sai, con te parlare è sempre stato più facile. 
È tutto uno schifo, Juls. Ho come la sensazione che la mia vita sia divisa in pezzi, sparsi un po’ qua e un po’ là. E non so da quale di questi mi faccia più male stare lontana. Mark mi manca da morire. Mi manca la sua voce, la capacità che aveva di tranquillizzarmi. Ma non vedo l’ora di riabbracciare anche te. Per non parlare di mio padre. Non voglio neanche pensare a cosa possa essergli successo…
Direi che per oggi può bastare, altrimenti quando leggerai ti farò entrare in depressione. Spero di riaverti con noi prima possibile. Nel frattempo, continuerò ad aggiornarti su quello che ci succede.
A presto.
 

“Ray.” Claire sbucò dall’uscio della porta della loro camera, gli occhi truccati in maniera vistosa di verde e blu, e le guance messe in risalto dall’ocra rossa. “Vieni di sotto. Tra poco si va alla festa.”

Giusto. Rachel se n’era quasi dimenticata. Laurenne aveva chiesto loro di accompagnarla alla rituale festa in onore di Shamash, il dio Sole, che la tribù organizzava ogni estate. Solo dopo un po’ fece caso alla sua faccia.

“Ma come ti sei conciata?” le chiese, mentre richiudeva il diario e lo lasciava sul suo letto.

Claire sospirò rassegnata. “Laurenne ha detto che tutte le donne del villaggio si truccano così in queste occasioni. Ovviamente Delia non se l’è fatto ripetere e ha pensato di sfogare la sua vena artistica su entrambe.”

“Quindi farà la stessa cosa anche a me.” constatò, alzandosi.

Claire annuì. “Probabile.”

Stavano per scendere di sotto, ma d’un tratto Rachel avvertì l’indomabile istinto di restare dov’era. “No, senti…” esitò. “Andate voi. Io non sono dell’umore.”

“Cioè mi lasci sola con sua grazia la duchessa?” ribatté Claire incredula, incrociando le braccia.

Rachel si abbandonò seduta sul letto con un sospiro stanco. “Scusa, ma per me ultimamente non è proprio aria di festa. Preferisco rimanere qui.”

L’amica storse il naso, per nulla contenta della decisione, ma poi annuì rassegnata. Capiva bene a cosa si riferisse e anche lei non aveva tutta questa voglia di andare. Più che altro sperava che un po’ di bagordi la distraessero da tutti i pensieri che aveva per la testa. “Okay. Come vuoi.”

“Divertitevi.” le augurò Rachel, abbozzando un sorriso.

Claire uscì di casa poco dopo, in compagnia di Laurenne, abbigliata come una sacerdotessa, e Cordelia, già eccitata ancor prima di mettere piede fuori. Il suo entusiasmo aumentò nel vedere le vie del villaggio addobbate a festa, le persone truccate e vestite in maniera eccentrica e colorata. Con il calare del giorno, l’aria afosa del deserto andava rinfrescandosi ed era pervasa dal suono ritmato delle percussioni e quello armonioso dei flauti, che proveniva dalla piazza centrale. C’era già qualcuno che ballava e cantava.

“Che meraviglia, adoro le danze orientali!” esclamò Cordelia battendo le mani, se possibile ancora più fomentata. “Al castello venivano organizzati spesso dei balli a tema. Erano i miei preferiti.”

Claire faceva davvero fatica a immaginarsela vestita di veli che ballava la danza del ventre, ma non replicò.
Una volta arrivate in piazza, Laurenne si diresse subito verso Jamaal, che le riservò il saluto tradizionale che i membri della tribù si scambiavano in quel tipo di occasioni. La mano destra toccava in successione il torace e le labbra, poi ci si stringeva il braccio reciprocamente.

Ti offro il mio cuore, la mia anima e la mia spada.” disse in arabo. Dopodiché, spostò lo sguardo verso
Claire e le sorrise, facendole l’occhiolino.

Dal canto suo, lei si sforzò di mantenersi distaccata e ricambiò con un sorriso accennato. Le fece strano vederlo vestito con una lunga tunica colorata, anziché con il solito abbigliamento da guerriero. Aveva il volto dipinto a spirali di vernice bianca, ma questo non le impedì di provare una strana sensazione allo stomaco.
In risposta, la sciamana chinò il capo, appesantito da un vistoso copricapo che le avvolgeva la testa a mo’ di turbante, e allargò le braccia, segno che aveva accettato il suo saluto. La tunica che indossava era lunga, ma al contrario delle altre donne presenti era di un candido lino bianco.
Dopo i saluti di rito, Laurenne prese posto al centro, mentre Jamaal andava a posizionarsi in mezzo alla gente, come fosse un membro qualunque della comunità. Poco distanti da lui, Claire vide Najat insieme a Kira, Qiang ed Evan, che però non erano vestiti alla maniera tipica della tribù.
Poco dopo, la sua attenzione venne richiamata dalla voce chiara e tonante di Laurenne, il cui canto risuonò tutto intorno, amplificato dal silenzio assoluto dei presenti. Sembrava una sorta di preghiera, impossibile da comprendere se non si conosceva la lingua del posto, ma che Kira aveva spiegato a Claire fosse composta dalle stesse parole per tutte le tribù Jurhaysh, solo in lingue diverse.
La sciamana chiuse gli occhi e rivolse il viso verso il cielo, per poi riaprirli una volta a contatto con la luce rossastra del sole. Claire intuì dovesse trattarsi di un segnale, perché a quel punto anche gli altri iniziarono a cantare. La preghiera finì nel momento esatto in cui il disco luminoso scomparve all’orizzonte, poi tutto ricadde nel silenzio. Un ragazzo vestito con la stessa tunica bianca, si avvicinò a Laurenne, porgendole una coppa di terracotta da cui la sciamana bevve un breve sorso, per poi riconsegnarla nelle mani del discepolo. Dopodiché, la coppa passò di mano in mano tra ogni membro della tribù.
Quando arrivò a lei, Claire la prese un po’ titubante. Non era sicura che fosse il caso di bere, visto che non faceva parte della comunità e non ne condivideva le usanze. Comunque, nessuno glielo impedì, così portò il contenitore alla bocca e mandò giù una sorsata di quello che era uno strano vino dal sapore speziato. Decisamente troppo per i suoi gusti. Cercando di contenere un rigurgito, lo passò a Cordelia.

Ormai era sera inoltrata quando iniziarono i festeggiamenti e fu sollevata del fatto che Rachel non fosse venuta. Almeno sarebbe riuscita a goderseli senza preoccuparsi di dover incontrare la sua espressione di disappunto ogni volta che si girava. C’erano persone che suonavano e tutto intorno la gente ballava e si divertiva come in tante altre feste a cui le era capitato di partecipare. Se non avesse saputo di trovarsi in un altro continente, sarebbe stato quasi impossibile accorgersi della differenza.
Cordelia non aveva perso tempo e si era unita alla mischia, lasciandola in disparte. Le sarebbe piaciuto raggiungerla, ma stranamente si sentiva a disagio, come se una vocina nella sua testa continuasse a ripeterle che non faceva parte di quel mondo, che il suo posto era altrove.

Immersa nei suoi pensieri, si accorse della presenza di Jamaal solo quando le fu di fronte. “A quanto pare avevo ragione.” disse sorridente, porgendole un bicchiere.

Claire sollevò il viso e lo guardò. Nonostante la faccia pitturata, quella sera le sembrava ancora più attraente del solito. “A proposito di cosa?” gli chiese poi, riscuotendosi.

“Ti ho vista da lontano e ho avuto l’impressione che avessi bisogno di compagnia.” si spiegò. “Poi mi sono avvicinato e la tua faccia me ne ha dato la conferma.”

A Claire sfuggì un sorriso, mentre beveva un sorso di liquore e un piacevole retrogusto di dattero le riempiva il palato. Decisamente meglio del vino rituale.

Quando Jamaal le porse la mano, invitandola a ballare, ebbe un attimo di esitazione, ma bastò poco per mandarsi al diavolo e seguirlo.  –Un ballo non fa male a nessuno- si disse. Anche se l’ultima volta che aveva pensato una cosa del genere era finita tra le braccia di Nickolaij e aveva dato inizio a tutta la vicenda.

Riemersero dalla baldoria solo perché la testa le girava come una centrifuga, in parte a causa del liquore, più forte di quanto le fosse sembrato all’inizio. Un capogiro la fece barcollare e Jamaal le circondò la vita con un braccio per sorreggerla. “Ti senti bene?” si assicurò.

Lei annuì, non troppo convinta. “Forse ho bisogno di cambiare aria.”

“Vieni.”

La guidò non molto distante, nei pressi della riserva d’acqua che garantiva la sopravvivenza del villaggio. Prima di sederle accanto, Jamaal si sciacquò il viso dalla pittura e per un po’ rimasero in silenzio a godersi quella piccola oasi di paradiso, illuminata solo dalla luce della luna che si rifletteva nel lago.

Claire respirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi, mentre cercava di riprendersi, e la cosa suscitò le risate di
Jamaal. “Che c’è?” gli chiese allora, fingendosi risentita.

“Niente. È che non pensavo di crearti tutti questi problemi con un solo bicchiere.” scherzò.

Anche lei ridacchiò. “No. Sono solo un po’ accaldata. Forse sarebbe stato meglio ballare e poi bere.” Poggiò il peso del corpo su entrambe le braccia, stese all’indietro. “Ma sai che ti dico?”

“Cosa?”

“Non me ne importa un accidente…” In un impeto di spensieratezza, piegò la testa in alto, per poi voltarsi verso di lui. Tutto si sarebbe aspettata, però, tranne che fosse così vicino. Talmente tanto da intercettare le sue labbra e metterla a tacere con un bacio.

Un vortice di emozioni le prese lo stomaco, impedendole di razionalizzare e tirarsi indietro, come buon senso avrebbe voluto. Che stava succedendo? Perché lo stava lasciando fare?

La domanda rimase senza risposta e, quando si separarono, Claire aveva perso completamente la percezione della realtà. A malapena le giunse alle orecchie la voce di Jamaal che, dopo averla contemplata rapito, le sussurrò: “La luce della luna piena ti rende ancora più bella.”

La parola che le arrivò forte e chiaro fu una sola. “Piena?” ripeté, voltandosi di scatto a guardare il cielo. Di colpo i fatti le apparvero davanti in tutta la loro evidenza e il panico la assalì. Come aveva potuto non accorgersene per tutto quel tempo? “Devo andare.” Si limitò a dire, alzandosi di scatto e correndo via spedita verso casa di Laurenne.

Lungo il tragitto sentiva l’angoscia aumentare ogni secondo che passava. Quando finalmente arrivò, vide che il piano terra era deserto, ma sapeva dove andare. Salì a due a due i pochi gradini che portavano di sopra, finché non comparve sulla soglia della stanza che divideva con Rachel, trovandola ancora seduta sulla sua branda a scrivere il diario di Juliet.

Non aspettandosi di vederla, la fissò spaesata, ma prima che potesse dire qualcosa Claire la precedette. “È plenilunio.”

 
-o-

 
Rosemary percorreva a passo svelto il corridoio principale, lasciandosi alle spalle una cella vuota dopo l’altra. Non aveva mai amato i sotterranei del castello, forse perché le ricordavano i vicoli bui e sporchi dove era stata costretta a rintanarsi per anni, prima che Nickolaij la trovasse. Infatti, dopo aver ereditato il gene da vampiro dalla sua adorabile mammina, non era più potuta restare nella casa natia e aveva dovuto arrangiarsi per strada. All’epoca la vita sarebbe stata dura per qualunque adolescente, pieno com’era in giro di porci schifosi senza nessun altra ambizione se non quella di approfittarsi di un bel bocconcino tenero, ma per fortuna lei non era come le altre. O forse non era affatto una fortuna.
Questo non significava che per lei fosse stato più facile, anzi, aveva passato dei momenti in cui morire si sarebbe rivelata la soluzione migliore e probabilmente era stato proprio quello il motivo per cui le era venuto così facile avvicinarsi a Dean. Quando lo aveva incontrato la prima volta era un quindicenne solo e spaventato, proprio come lei alla sua età. Si trovava a Londra in missione e, sentendo diverse notizie riguardo misteriose sparizioni e ritrovamenti di cadaveri nei luoghi più disparati, aveva capito potesse trattarsi di un giovane vampiro allo sbaraglio. L’epoca era diversa, ma il mondo era rimasto la stessa pattumiera piena di esseri spregevoli, così si era messa sulle sue tracce, temendo che qualcuno lo trovasse prima di lei, facendogli fare una brutta fine. Proprio come Nickolaij aveva fatto nei suoi riguardi, lo aveva salvato, protetto, gli aveva insegnato tutto ciò che c’era da sapere sulla loro natura, su come combattere i nemici e gestire la fame; poi, suo malgrado, se n’era innamorata. Se non fosse successo, magari a quest’ora se ne sarebbe rimasta in camera sua, invece di rischiare la vita. Ormai, però, era troppo tardi per tornare indietro.
Da giorni circolavano voci nel castello, da sempre un colabrodo per le chiacchiere di chiunque. Tutti erano a conoscenza delle torture a cui Nickolaij stava sottoponendo Dean per farlo parlare. Del resto, la cosa non l’aveva affatto stupita e, nonostante la facesse soffrire, non avrebbe potuto fare niente per impedirlo, ma ciò che le era capitato di sentire in seguito l’aveva costretta a cambiare posizione. Non ricordava più da quale fonte provenisse la voce, o forse l’aveva rimosso. L’unico pensiero fisso era che Nickolaij aveva condannato Dean a morire di fame. Erano passati diversi giorni dal plenilunio e nessuno era andato a dargli del sangue, né mai più lo avrebbe fatto, senza contare che le percosse subite dovevano averlo indebolito ulteriormente. Per quanto fosse abile nel resistere alla fame, forse il più abile, neanche lui sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo in quelle condizioni.

Presa dal panico, il primo impulso era stato quello di scendere quella sera stessa nelle prigioni a portargli del sangue, ma poi la razionalità aveva avuto la meglio. Doveva aspettare almeno qualche giorno, quando molti avrebbero seguito Nickolaij in una delle sue missioni di conquista. Con il castello svuotato, avrebbe avuto maggiori probabilità di passare inosservata. Nel frattempo, sperava con tutte le sue forze che Dean sarebbe riuscito a resistere.
Continuava a sperarlo anche in quel momento, ormai vicina all’ultima cella del corridoio. Quella sera, una volta certa che Nickolaij fosse partito, non aveva perso tempo. Raggiunto il laboratorio, si era procurata un’ampolla di sangue, per poi precipitarsi nei sotterranei. Per fortuna, le sue previsioni erano esatte e non trovò nessuno lungo la strada. Nonostante sapesse che Nickolaij avrebbe posto fine alla sua vita se mai ne fosse venuto a conoscenza, l’unica cosa importante era impedirgli di toglierla a Dean. Per quanto riguardava se stessa, ci avrebbe pensato a tempo debito. Ora doveva assolutamente mantenere i nervi saldi.

Arrivata davanti alla grata che chiudeva la cella, prese il mazzo di chiavi dalla tasca del mantello e iniziò a trafficare con la serratura. Non era stato difficile stordire la guardia con uno dei suoi sonniferi per poi sfilarglielo dalla cintura. Quando finalmente riuscì ad aprire, entrò trafelata, e appoggiata la torcia su uno dei sostegni della parete, guardò dritto davanti a sé.
La luce illuminò il fondo della cella, mettendo in evidenza la sagoma di Dean, appeso per i polsi nella stessa posizione di quando era stata lì l’ultima volta. Solo che adesso versava in condizioni tali da non riuscire nemmeno a sollevare la testa e guardare chi era entrato.

Mary si avvicinò lentamente, studiando ogni singolo livido del suo corpo. Non ce n’erano di recenti, anzi, la maggior parte era già di colore giallastro, segno che non veniva picchiato da tempo, ma le sue braccia e soprattutto il torace ne rimanevano pieni. A causa della mancanza di nutrimento, le ferite non riuscivano a rimarginarsi con la consueta velocità.

Dean non si muoveva, così, temendo il peggio, Mary si accostò di più a lui, tirando un sospiro di sollievo nel constatare che respirava ancora, anche se a fatica.
Allora non perse altro tempo. Con delicatezza gli sollevò il viso, mentre con l’altra mano prendeva l’ampolla con il sangue e gliela portava alla bocca.
Lui doveva averne percepito l’odore, perché di colpo sembrò riprendere vita e bevve con avidità tutto il contenuto, finché in pochi secondi non ebbe svuotato la boccetta. Per fortuna, era stata previdente e ne aveva portata una con capacità più abbondante del solito.

In pochi istanti il sangue iniziò a fare effetto su Dean, il cui respiro si fece per un momento più affaticato, per poi tornare regolare man mano che il liquido benefico si distribuiva nelle vene. Mary sapeva di non avere tanto tempo a disposizione prima che qualcuno venisse a controllare, quindi si adoperò subito per liberarlo dalle catene.

“Che stai facendo?” le chiese allora con voce roca, mentre lei cercava la chiave per aprire i ceppi tra quelle del mazzo.

Indaffarata com’era, non lo guardò nemmeno; poi, finalmente trovò la chiave giusta. “Ti salvo il culo, come al solito.” ribatté spiccia.

All’inizio aveva pensato di portargli semplicemente del sangue, ma poi si era resa conto che non sarebbe servito a nulla, se non a prolungare la sua agonia. Prima o poi Nickolaij lo avrebbe ucciso comunque, perciò doveva aiutarlo a fuggire. “Ecco. Ora non resta che l’alt…”

Non fece in tempo a finire la frase, però, che il braccio appena liberato dalle catene scattò in avanti e l’afferrò per il collo, facendole cadere in terra il mazzo di chiavi.

“D-Dean…” Mary cercò di parlare, ma il suono le uscì strozzato e fioco a causa dell’aria che non riusciva a passare per la trachea. Con le mani cercò di liberarsi, ma invano. Il sangue gli aveva dato una forza superiore al normale. “Ti…prego…Voglio aiutarti…”

“Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei ucciderti adesso.” le disse ansante per la rabbia, inchiodandola con uno sguardo di puro odio. Gli occhi rosso vermiglio e i canini sporgenti in quel momento lo rendevano più simile a una bestia che all’uomo che amava.

Qualsiasi cosa avesse detto, lui non l’avrebbe ascoltata, anzi, la sua presa sembrava intensificarsi ogni secondo di più e Mary sapeva di essere ancora viva solo grazie alla sua natura. Ma iniziava già a sentire le forze abbandonarla.

“Se fossi in te, la lascerei andare.” esordì una voce alle sue spalle. “Non complicare ulteriormente la tua situazione.”

Aveva il cervello annebbiato, perciò non riuscì a capire a chi appartenesse, ma si interpose tra lei e la morte nel momento più opportuno. Dean, infatti, allentò gradualmente la presa, finché non riuscì a sottrarsene del tutto.

Piegata in due, tossì forte, sentendo l’aria riempirle di nuovo i polmoni. Mentre si massaggiava il collo dolorante, si diede della stupida per essere stata così incauta da non prevedere che con ogni probabilità Dean avrebbe cercato di ucciderla, visto ciò che aveva fatto a quella ragazzina.
Dopo essersi ripresa, riuscì a sollevare la testa verso l’entrata della cella e mettere a fuoco l’identità del suo salvatore.
Byron era sulla soglia, scrutandoli entrambi con volto impassibile e ignorando l’espressione incredula di Mary una volta che lo ebbe riconosciuto. Quando allungò la mano per aiutarla ad alzarsi, lo scansò in malo modo, pensandoci da sola. “Che diavolo ci fai qui?” gli chiese, tentando di ritrovare il contegno.

Lui la lasciò sulle spine ancora un istante, prima di rispondere con il consueto tono di superiorità. Stavolta, però, sembrava anche sinceramente impensierito. “Vi impedisco di commettere una sciocchezza.”

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. A quel punto, Mary non poteva più sperare di salvare Dean, ammesso che glielo avesse lasciato fare. L’unica possibilità rimastale era almeno salvare se stessa. Per quanto riguardava la sua dignità, ormai era perduta, così incatenò di nuovo il braccio di Dean alla parete senza troppe cerimonie.

“Non credere che sia finita.” la minacciò, quando si ritrovarono faccia a faccia.

Lei però non ebbe alcuna reazione. Si limitò a raccogliere il mazzo di chiavi, senza degnarlo di uno sguardo, per poi dirigersi all’uscita.
Byron si fece da parte per farla passare, richiudendosi subito dopo la grata alle spalle. In seguito, trascorse una serie infinita di secondi, in cui Mary avrebbe voluto semplicemente scappare. Tutto si sarebbe aspettata fuorché quel triste epilogo e il pensiero che ora Byron disponesse di un’arma con cui ricattarla la faceva uscire di testa.

Buttando al vento il briciolo di amor proprio che le rimaneva, si voltò verso di lui e disse in tono piatto: “Ti sarei davvero riconoscente se quello che hai visto stanotte restasse tra noi.”

Sul volto apparentemente inespressivo di Byron vide disegnarsi un ghigno appena intuibile. “Naturalmente.”

Mary però non si lasciò abbindolare. Niente l’avrebbe convinta della sua sincerità e del fatto che, al momento opportuno, non avrebbe approfittato di quello che sapeva per screditarla, se non peggio. Per ora, comunque, non c’era nulla che potesse dire per ribaltare la situazione. E la cosa che le faceva più rabbia era l’aver commesso un simile errore proprio con Byron. Andarsene in quel momento le sembrò la soluzione migliore, così girò i tacchi e, senza abbassare lo sguardo per mantenere un certo contegno, se lo lasciò alle spalle. Dietro di sé riusciva ancora a captare l’espressione di velata vittoria stampata su quel volto da viscido, ma si impose di restare calma. Non poteva dargli anche la soddisfazione di vederla umiliata.

Byron rimase a osservarla mentre si allontanava, poi rivolse un’ultima occhiata alla cella e per un istante il suo sguardo incrociò quello di Dean, prima di andarsene per la sua strada.

Rimasto solo e di nuovo incatenato, Dean sentiva l’adrenalina calare progressivamente, ma non la frustrazione per non essere riuscito a ottenere vendetta. Se Byron non si fosse messo in mezzo, a quest’ora Mary avrebbe fatto la fine che meritava. Non provava gratitudine nei suoi confronti per aver cercato di liberarlo, solo disprezzo.
Lo pervadeva una rabbia cieca, ma sapeva che in parte quello stato d’animo era dovuto al sangue bevuto e che lasciarlo agire avrebbe significato sottomettersi ad esso. Anni prima aveva giurato che non lo avrebbe più permesso, così chiuse gli occhi e lasciò che il respiro tornasse regolare, finché non si addormentò.

Dopo quelli che gli sembrarono pochi minuti, fu svegliato ancora una volta dal trambusto della serratura, che qualcuno stava cercando di scassinare. Quando finalmente lo sconosciuto riuscì a entrare, Dean si accorse dall’abbigliamento che non poteva trattarsi di un membro della Congrega. Portava un mantello di lana spessa, avvolto attorno al torace e sulla testa, coprendola a mo’ di cappuccio, e al fianco aveva una spada dalla forma insolita, ricurva.

-Una scimitarra- pensò, facendo subito il collegamento.

A quel punto, lo sconosciuto fugò ogni dubbio togliendosi il cappuccio, a mostrare così la pelle scura e la testa rasata.

“Sei tu Mark?” gli chiese in un inglese dal forte accento arabo.

Dean non aveva idea di come avesse fatto un cacciatore a entrare a Bran, ma fu come se l’istinto gli dicesse qualcosa e non esitò a rispondere. “No, ma so dove potrebbe trovarsi.”

 

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Capitolo 12
*** Qualcosa si è spezzato - Parte 1 ***


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Capitolo 8 - Qualcosa si è spezzato (Parte 1)

Era trascorso qualche giorno dalla sera della festa. Qualche giorno da quando si erano rese conto che il tempo a disposizione era scaduto. Nel momento in cui Claire le aveva rivelato l’agghiacciante verità, Rachel era rimasta a fissarla per almeno un minuto. Poi, non riuscendo più a sostenere lo sguardo dell’amica, era scappata al piano di sotto.

Dal canto suo, Claire aveva preferito lasciarla stare, almeno per il momento, visto che neanche lei riusciva ancora ad elaborare la cosa. Il plenilunio era passato e questo aveva diminuito di molto le probabilità di rivedere vivi i ragazzi. Nessuna delle due però osava ammetterlo apertamente e continuavano a evitarsi pur di non aprire l’argomento. Come se non bastasse, non riusciva ad allontanare il senso di colpa per non aver impedito a Jamaal di baciarla. Ovviamente si era guardata dal raccontarlo a Rachel, visto che ora le priorità erano ben altre.

Erano talmente sconvolte, che neanche i progressi di Laurenne servirono a tirarle su di morale. Dopo lunghi studi sulle carte prese in prestito dall’archivio e sulla stessa Cordelia, disse di aver più o meno capito cosa fosse successo a Juliet. Per quanto all’inizio lo ritenesse impossibile, già da diverso tempo aveva fatto chiarezza circa l’esistenza della sua anima intrappolata insieme a quella della duchessa, che aveva prevalso. Il solo modo per tirarla fuori era praticare un antico rito di esorcismo, raramente utilizzato perché rischioso. Dunque, prima di procedere occorreva conoscere il rituale nei dettagli e, anche in seguito, agire con prudenza.

Cordelia non impiegò molto tempo a mostrarsi convinta dall’idea. “Bene. Se questo servirà a riportare indietro Juliet, mi presterò volentieri.”

“Un passo alla volta. Devo prima prepararmi come si deve.” la frenò la sciamana; poi notò le espressioni apatiche di Rachel e Claire, rimanendone un po’ delusa. “Che avete? Credevo che vi avrebbe fatto piacere saperlo.”

Rachel fu la prima a destarsi dal torpore e cercò di sorriderle. “Sì, certo. Scusaci. È che al momento siamo distratte da altro.”

Lei non ci mise molto a capire e storse il naso, pensierosa. “Si tratta dei ragazzi, vero?”

Rachel annuì. Quando Claire era piombata in camera per dirle del plenilunio, si era precipitata in giardino per accertarsene di persona. Di fronte alla luna piena, si era accasciata in ginocchio e, non riuscendo più a trattenersi, era scoppiata in lacrime. Per i primi cinque minuti nella sua testa si erano materializzate le immagini peggiori. Da Tareq e i ragazzi che cercavano di scappare, per poi essere ripresi, fino ad arrivare all’estremo. Dopo aver considerato tutte le possibilità, una peggio dell’altra, alla fine aveva deciso di tirarsi su e continuare ad avere fiducia. Se si fosse arresa proprio adesso, non le sarebbe rimasto più nulla.

Vedendola affranta, Laurenne le fu subito accanto, prendendole la mano con fare materno. “Tareq non sarà un tipo affabile, ma è uno dei guerrieri più esperti che io conosca. Abbiate fiducia. Vedrete che presto avremo sue notizie.”

Rachel sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Sarei dovuta restare con lui. Almeno adesso saremmo insieme.” disse, mentre sentiva il senso di colpa tornare a divorarla e gli occhi le si facevano lucidi. “Invece sono scappata. L’ho abbandonato…”

Mentre Laurenne le sussurrava parole di conforto, Cordelia le dava dei colpetti sul braccio per consolarla.

“Coraggio. Non perdere la speranza. È possibile che non abbiano avuto modo di comunicare con il villaggio per qualche motivo. Forse si sono nascosti…”

“Forse sono morti.” esordì Claire tutto a un tratto, dalla parete a cui era appoggiata.

I loro sguardi scioccati si posarono su di lei all’istante.

“Claire!” esclamò quindi Cordelia.

“Ragioniamoci un momento.” continuò lei, in un tono privo di emozione. “Sono passati giorni da quando
Tareq è partito e non abbiamo saputo più niente. A questo punto è inutile continuare a illudersi. Nickolaij deve essersi accorto di loro. Li hanno catturati…”

“Smettila! Non puoi saperlo questo.” reagì Rachel, che non voleva neanche starla a sentire. A tormentarla bastavano già le sue di angosce.

Laurenne annuì. “Sono d’accordo. Cerchiamo di pensare al meglio.”

Claire però la ignorò deliberatamente. “L’hai detto anche tu che i vampiri si nutrono ad ogni plenilunio e il plenilunio è appena passato. Perché avrebbe dovuto lasciarli vivere? Per lui non contano niente.”

“Che significa? Che ti sei arresa?” chiese Rachel, sempre più incredula. “Non eri tu quella che fino a ieri voleva rubare due cavalli e andare a salvarli?”

Claire sospirò. “Ray, apri gli occhi una buona volta. Se prima avevamo una remota possibilità, adesso non c’è più niente da fare.”

“No. Non ci credo.” Ribatté lei, scuotendo la testa. Il bisogno di credere che Mark fosse ancora vivo e che l’avrebbe rivisto prevaleva sulla paura. Voleva che fosse così e in qualche modo sentiva di avere ragione. Sarebbe anche passata per ingenua, ma non le importava. Finché non avesse visto con i propri occhi il suo corpo senza vita non si sarebbe data per vinta.

“Piantala di fare l’ipocrita e ammetti che l’hai pensato anche tu!” le urlò Claire in faccia.

Con gli occhi colmi di lacrime, Rachel si alzò in piedi e, furiosa, batté una mano sul tavolo. “Ti ho detto di smetterla!”

Claire allora parve calmarsi. Distolse lo sguardo da lei e fissò la finestra malinconica. “Magari era destino.” disse. “Magari dovremmo restare qui a vivere una vita tranquilla, lontane da vampiri e altra roba simile. Lasciarci il passato alle spalle…”

Rachel però non poteva più sopportare di sentire i suoi sproloqui. “Ma che stai dicendo?” la aggredì, inchiodandola con lo sguardo mentre le si avvicinava. “Eri d’accordo con me a iniziare questo stupido allenamento per andarli a salvare e adesso lasceresti davvero i ragazzi nelle mani di quei pazzoidi? Lasceresti Cedric? Credevo provassi qualcosa per lui!”

A quel nome la vide trasalire e questo la convinse di aver colto nel segno, ma subito dopo Claire la stupì dicendo qualcosa che mai avrebbe creduto di sentire dalla sua bocca. “Anche se fosse, ormai non conta più niente. Fattene una ragione, Mark è morto. Sono tutti morti.”

A quel punto per Rachel si fece tutto scuro e anche la razionalità che la caratterizzava la abbandonò. La rabbia e la frustrazione accumulate risalirono come lava in un vulcano e la sua mano prese il via da sola, mollandole uno schiaffo in pieno viso.

Per un attimo il tempo si fermò ed entrambe rimasero a fissarsi con un odio indicibile, che non avevano mai provato l’una per l’altra.
Non era certo la prima volta che discutevano, era già successo in passato, ma Rachel non avrebbe mai pensato di arrivare a odiarla. Senza un briciolo di rimorso per ciò che aveva fatto e convinta di essere nella ragione, la guardò girare i tacchi e andarsene, incurante dei richiami di Cordelia.

“Beth! Ti prego, aspetta!” le gridò dietro, alzandosi. “Non te ne andare!”
 

“Beth! Ti prego, non te ne andare!”

Cordelia cercò invano di fermarla, ma aveva già imboccato l’uscita della camera. Aveva appena assistito all’ennesima discussione tra le sorelle, ma questa volta si era passato il limite. Non aveva mai visto Elizabeth così furiosa.
Dopo aver rinunciato a seguirla, spostò lo sguardo su Margaret, trovandola impassibile e ancora con il pugnale in mano.

“Perché deve essere sempre così testarda?” pensò a voce alta la sorella maggiore.

“Beh, anche tu non credi di aver esagerato?” le chiese Cordelia irritata. “Suggerirle di usare un pugnale contro l’uomo che ama…”

Margaret sospirò, riponendo l’arma in un cassetto lì accanto. “Non essere ridicola. Io non le ho suggerito nulla. Volevo solo che fosse in grado di difendersi.”

“È questo il punto. Difendersi da chi? Mi piacerebbe sapere cos’è che ti rende così ostile verso quel giovane. Lui e Beth sono solo innamorati…”

Margaret però ignorò quel commento e assunse d’un tratto un’aria concentrata. “C’è qualcosa in quell’uomo. L’ho percepito fin dal primo momento. Qualcosa di oscuro…”
 

Dopo qualche istante trascorso a fissare il vuoto, Cordelia sembrò riprendersi dallo stato di trance in cui era caduta. Sbatté di nuovo le palpebre e fece per muoversi, ma un giramento di testa improvviso la fece barcollare.

“Ti senti bene?” le chiese Laurenne apprensiva, prendendole la mano per sorreggerla.

Lei annuì lentamente, lasciandosi guidare fino alla panca. “Credo di sì…” mormorò, mentre si sedeva.

Dal canto suo, Rachel osservò la scena senza mostrarsene particolarmente interessata. Era troppo impegnata a sentirsi in colpa per lo schiaffo che aveva dato a Claire per dare importanza alle stranezze di Cordelia. Quella era stata già la seconda volta nella sua vita che in un momento di rabbia perdeva il controllo di sé e la cosa iniziava a preoccuparla. Eppure non si era mai ritenuta una persona violenta. Figurarsi poi con la sua migliore amica. Per scacciare i rimorsi non bastava ripetersi che lo aveva fatto per quello che Claire aveva detto su Mark, così pensò che un po’ di moto l’avrebbe aiutata a distrarsi e avvertì Laurenne che sarebbe andata all’allenamento. “Ci vediamo dopo.” le salutò in tono piatto, uscendo di casa.

Al campo trovò Claire che si stava già riscaldando, mentre Najat e Kira parlottavano tra loro. Entrambe si girarono nel vederla arrivare e Najat la squadrò dall’alto in basso. “Ben arrivata, principessa. Ci stavamo proprio chiedendo dove fossi finita.” La accolse ironica.

“Scusate, sono in ritardo.” si limitò a dire, senza guardarla in faccia e ignorando la sua frecciata. Le mancava solo lei quella mattina.

Si diede un’occhiata intorno mentre si legava i capelli all’indietro e notò che, a differenza del solito, non c’erano che loro quella mattina. La domanda le sorse spontanea. “Dove sono gli altri?”

“In missione, ma torneranno presto.” spiegò Kira.

Cogliendo la sua espressione delusa, Najat ne approfittò all’istante. “Sì, vi allenerete solo con me e Kira questa settimana. La cosa ti crea qualche problema?”

Rachel ne avrebbe avute di cose da dire, ma non aveva nessuna voglia di affrontare l’ennesima discussione, soprattutto con un'altra arrogante testa di legno. Perciò ingoiò il rospo e scosse la testa.
Najat dovette pensare di averla intimorita, perché un ghigno soddisfatto le si dipinse sul viso, prima di ordinarle di darsi una mossa e cominciare a correre.
Per tutto il tempo lei e Claire non si rivolsero neppure uno sguardo, proseguendo con l’allenamento in completo silenzio. Una volta che il sole fu alto nel cielo passarono alle tecniche di combattimento, questa volta con i bastoni.
Claire iniziò per prima con Kira che le mostrava i movimenti e correggeva i suoi errori. Nel frattempo, Rachel se ne stava in disparte con Najat, in un angolo d’ombra, osservando la scena.
Dopo un po’ si diedero il cambio.

“Bene, tocca a te principessa. Ti sei riposata anche troppo.” sputò Najat velenosa, mentre le lanciava un bastone. Poi disse a Kira di mostrarle i vari movimenti, mentre lei continuava con Claire.

Rachel ne fu sollevata, anche perché con Kira si era sempre trovata a proprio agio, ma comunque non riusciva a prestare attenzione a ciò che diceva, distratta com’era da altri pensieri. Cosa che ovviamente non sfuggì alla guerriera cinese.

“Va tutto bene? Ti vedo poco presente oggi.” constatò, lasciando perdere per un momento la dimostrazione.

“È successo qualcosa tra voi?” le chiese, alludendo a Claire. “Non vi siete dette neanche una parola da quando siete arrivate e vi guardate a malapena.”

Il fatto che avesse indovinato con soli pochi indizi lasciò Rachel interdetta. Tuttavia, non aveva voglia di rievocare i dettagli di quella mattina, così cercò di glissare. “No, abbiamo solo avuto una discussione…”

Lei annuì, appoggiandosi al bastone. “Lo immaginavo, ma questo non giova all’addestramento. Sai che è sempre meglio mettere da parte le questioni personali durante il combattimento, altrimenti un avversario reale potrebbe approfittarne e voi avreste la peggio.”

Non era certo la prima volta che glielo sentiva dire, ma si conosceva bene e per lei reprimere i sentimenti non era mai stato facile. “Hai ragione. Cercherò di concentrarmi da adesso in poi.” le promise.

Kira fece appena in tempo a rivolgerle un sorriso d’incoraggiamento, che un tonfo sordo, seguito dai versi di dolore di Claire, attirò la loro attenzione. Najat stava decisamente prevalendo nello scontro, mentre lei soccombeva sotto i suoi colpi secchi e precisi, tentando inutilmente di pararne qualcuno.

“Sei troppo lenta!” infierì la guerriera, continuando a colpirla. “Non sei riuscita a rompere la mia difesa neanche una volta!”

Alla fine, un colpo più forte degli altri si abbatté su Claire, che piombò con il sedere a terra.
Najat dovette trovare la scena molto divertente, perché scoppiò a ridere, appoggiando il gomito sul bastone e guardandola come fosse difronte a uno spettacolo comico.

A quel punto, Claire non ci vide più e si rialzò velocemente, per poi scagliarsi con violenza contro l’avversaria, gridando di rabbia. Come prevedibile però, non riuscì a colpire nient’altro che l’aria, perché prontamente Najat si scostò da un lato e quando Claire tornò alla carica, le assestò un colpo dal basso verso l’alto, che la fece finire di nuovo a terra.

“Patetica.” la insultò con aria di sufficienza. “Non sei lucida, è fin troppo facile così. Se in questo modo speri di avere la meglio su un vampiro, siamo messi male. Non hai ancora capito che attaccarmi a caso, sperando prima o poi di colpirmi, non serve a niente?”

Claire non la degnò di risposta, limitandosi a guardarla in cagnesco mentre si asciugava il labbro sanguinante.

“Avanti. Alzati, buona a nulla.” la provocò lei, impugnando di nuovo il bastone. “Non abbiamo ancora finito.”

Ormai però il caldo e la fatica cominciavano a farsi sentire e, dopo l’ennesimo patetico tentativo di attaccarla, Claire sentì le gambe cedere. La convinzione con cui la colpì fu talmente scarsa, che quando Najat le assestò un colpo dietro la schiena andò giù come una foglia morta, perdendo definitivamente i sensi.

“Nat!” esclamò Kira indignata, precipitandosi verso di loro.

Anche Rachel dimenticò per un momento che era arrabbiata e la seguì a ruota.
La guerriera voltò Claire sulla schiena, per accertarsi che fosse tutto a posto. Un rivolo di sangue le usciva dal labbro spaccato ed era tutta sporca di polvere; poi Kira si voltò verso Najat, che osservava la scena con aria alquanto indifferente.

“Non credi di aver esagerato stavolta?” la rimbeccò, aggrottando le sopracciglia.

Lei però non diede alcuna importanza alla cosa. “Sciocchezze. Si riprenderà.” minimizzò. “Ho incassato colpi ben peggiori quando ero agli inizi.”

“Sì beh, direi che per oggi può bastare.” tagliò corto Kira, mentre aiutata da Rachel cercava di rimetterla in piedi.

Najat si mostrò d’accordo. “Anche perché è quasi ora di pranzo.” aggiunse con la solita noncuranza, per poi abbandonare il bastone e andarsene.

Rachel e Kira dovettero trascinare di peso il corpo di Claire, a stento cosciente, fino a casa, dove trovarono Cordelia intenta a sminuzzare le spezie per il condimento del pranzo.

“Buon cielo! Ma cosa le è capitato?” chiese preoccupata, lasciando perdere ciò che stava facendo per correre loro in contro.

“Niente di serio. È stato un allenamento piuttosto intenso quello di oggi.” Rispose Kira.

Cordelia si chinò di fronte a Claire, studiandola con apprensione. “Dovrebbe stendersi. Sarà meglio portarla di sopra.” Suggerì. Poi andò subito a preparare degli impacchi da metterle sul labbro spaccato, mentre loro raggiungevano la camera da letto.

Claire dormì tutto il pomeriggio, vegliata da Cordelia, che non lasciò mai la stanza. Solo quando ormai il sole stava tramontando, aprì di nuovo gli occhi, trovandola seduta al suo capezzale.

“Sono ancora viva, sai?” ironizzò, tentando a fatica di mettersi a sedere sulla branda.

Lei però ignorò il commento e le rivolse un sorriso entusiasta. “Ti sei ripresa, meno male. Come ti senti?”

“Come se mi fossero passati sopra i New York Giants.”

Cordelia aggrottò la fronte confusa. “I cosa?”

“Lascia perdere.” tagliò corto Claire sofferente, colta d’improvviso da una fitta al fianco.

Lei seguì il consiglio, alzandosi tutta contenta. “Vado ad avvertire Rachel del tuo risveglio. Ne sarà felice.” E, prima che Claire potesse replicare, era già sparita fuori dalla camera.

Con un gemito di dolore misto a disappunto, cercò di alzarsi dalla branda, mettendo a terra prima un piede e poi l’altro. Ricordava bene quello che era successo al campo, prima di caracollare a terra. Da quando si allenavano con Najat, non aveva fatto altro che approfittare della sua inesperienza per massacrarla e quella mattina aveva passato il segno. Era davvero stanca di subire le sue angherie, anche se non si sarebbe mai sognata di andare a lamentarsi e fare la figura della bambina piagnucolosa.

“Eccoci di ritorno.” si annunciò Cordelia, entrando di nuovo seguita da Rachel.

“Tieni.” Le porse un bicchiere d’acqua. “Avrai sete.”

Claire lo prese senza dire niente e bevve una lunga sorsata. In effetti, la sua gola stava ardendo.

“Come ti senti?” le chiese Rachel, mostrandosi preoccupata. Nonostante ciò che si erano dette quella mattina, vederla in uno stato simile non le faceva certo piacere.

“Credevo non ci parlassimo più.” disse lei per tutta risposta.

“Mi dispiace per lo schiaffo, ma quello che hai detto mi ha ferita. E molto.”

“Sì beh, non è facile accettare la realtà.”

Rachel sospirò seccata. “Speravo che la botta in testa ti avesse fatta rinsavire.”

“Io sto benissimo. Sei tu quella che non ragiona.” ribatté Claire piatta.

Cordelia si mise in mezzo, cercando di sedare gli animi. “Vi imploro, non ricominciate. Possiamo parlarne con calma?”

Puntualmente però venne ignorata da entrambe.
“Possibile che non ti importi niente di quello che sto provando?” si scagliò Rachel, alzando la voce. “Ti ostini a dire che sono morti, ma in fondo non puoi saperlo!”

“Già, esattamente come te!” replicò Claire, adottando il suo stesso tono. “Con la sola differenza che io almeno non credo nelle favole!”

Esasperata, Rachel alzò gli occhi al cielo. “Quando ti impunti proprio non ti sopporto!”

“Sta tranquilla. Non dovrai sopportarmi ancora per molto!” Detto questo, si alzò un po’ barcollante, con il chiaro intento di andarsene.

“Dove pensi di andare in quelle condizioni? Riesci a stento a reggerti in piedi.”

Claire represse un giramento di testa, per dimostrarle come in realtà fosse pienamente padrona del suo corpo. Poi, senza degnarla di uno sguardo, uscì dalla stanza.
Vagò per il villaggio per un po’, senza sapere cosa fare né dove andare, e accorgendosi a malapena che i piedi la stavano portando nell’unico posto possibile.
Arrivata davanti alla porta della casa, tentennò un momento, incerta sul da farsi. Quando infine si decise e bussò.
 
-o-
 
Rachel rimase per qualche minuto ancora a fissare la porta da dove Claire era appena uscita, prima di abbandonarsi sulla branda con un sospiro di frustrazione. Era davvero furiosa per il suo comportamento infantile, ma allo stesso tempo avvertiva l’istinto di correrle dietro e chiarirsi. In fondo, le voleva bene.

Cordelia le si sedette accanto, poggiandole premurosa una mano sul braccio. “Coraggio, non è così grave. È normale litigare ogni tanto. Io e le mie sorelle…”

Rachel però era stanca di ascoltare i suoi sproloqui, che ormai duravano da settimane. “Scusa, ma noi non siamo le tue sorelle. Mi pare chiaro a questo punto.” ribatté brusca. “Io e Claire abbiamo caratteri diversi e ci capita di discutere. Ma stavolta…” si interruppe, tuffando esasperata il viso tra le mani. “Vorrei tanto che Juliet fosse qui. Lei riusciva sempre a rimettere le cose a posto.”

La rabbia le aveva tolto i freni alla lingua e si accorse in ritardo degli effetti che le sue parole avevano provocato su Cordelia. Solo il suo sguardo ferito le fece capire di aver parlato a sproposito. “Perdonami. Non volevo dire che…”

Con un sorriso benevolo, lei però le fece capire che non se l’era presa. “Non preoccuparti. Capisco come ti senti e so di non poter in alcun modo sostituirmi alla tua amica, ma se vuoi posso comunque stare ad ascoltarti.”

Mai come in quel momento a Rachel quei modi accomodanti e sinceri ricordarono Juliet. Se fosse stata lì, avrebbe cercato di giustificare l’atteggiamento di Claire, senza prendere le parti di nessuno. –Lo sai com’è fatta. Guarda sempre il bicchiere mezzo vuoto- avrebbe detto. – Dalle tempo e vedrai che si renderà conto da sola-. Istintivamente, rivolse a Cordelia un sorriso di gratitudine, che lei ricambiò.

“Vedrai che si sistemerà tutto. Ti ritroverai con il tuo fidanzato e farai pace con Claire. Ne sono convinta.”

Il suo ottimismo faceva a dir poco tenerezza e Rachel se ne sentì rincuorata, anche se nel profondo credeva molto poco a quello che aveva detto.

“Per quanto mi riguarda, mi impegnerò con tutte le mie forze per far tornare Juliet.” la rassicurò Cordelia.

“Prometti soltanto che ti chiarirai con Claire. L’ultima volta che ho visto Beth, se ne andò sbattendo la porta. Poi mi hanno uccisa e non ho più avuto la possibilità di dirle che le volevo bene.”

Rachel si prese un momento per riflettere sulle sue parole. Per quanto commovente, la situazione che aveva vissuto Cordelia era molto diversa dalla loro e, almeno per ora, loro non rischiavano di non rivedersi più. Oltretutto, lei aveva cercato di fare il primo passo, ma Claire non si era mostrata collaborativa. Quindi ora non era sicura di volersi abbassare di nuovo a chiederle scusa. “Ci penserò, ma non garantisco nulla.” rispose infine.

L’espressione di Cordelia tradì ben poca soddisfazione, ma non fece in tempo a insistere che la voce di

Laurenne dal piano di sotto interruppe il discorso.

“C’è qualcuno?” chiese. “Ragazze?”

Quando entrambe scesero le scale, comparendo nel piccolo atrio che funzionava anche da sala da pranzo, la trovarono intenta a mettere a posto i suoi attrezzi e i doni ricevuti dai suoi pazienti. Samir accanto a lei giocherellava con la sua palla di cuoio.

“Oggi ho fatto tardi, mi dispiace.” disse in tono sbrigativo, senza guardarle. “Samir, non in casa. Lo sai. Va a lavarti che è quasi ora di cena.

Asif ya ‘umi.” si scusò il bambino, per poi dirigersi verso il retro sempre calciando la palla.

Solo dopo un po’ Laurenne sembrò rendersi conto che mancava qualcuno. “Claire?”

“Se n’è andata.” la informò Rachel, senza scomporsi.

La sciamana rimase un attimo interdetta. “E dove?”

“Non ne ho la minima idea.”

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Capitolo 13
*** Qualcosa si è spezzato - Parte 2 ***


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Qualcosa si è spezzato (Parte 2)

In principio non fu facile per Claire rendersi conto di dove si trovasse. Aveva appena aperto gli occhi e ancora non riusciva a focalizzare i dettagli dell’ambiente intorno a sé. A giudicare dal caldo, doveva essere mattina inoltrata. Sentiva tutti i muscoli indolenziti e, quando cercò di tirarsi su a sedere, represse un gemito di dolore. Allora le tornarono in mente i fatti del giorno prima e maledisse di nuovo Najat per averla ridotta in quello stato.

Si accorse di essere nuda solo quando il lenzuolo le ricadde sulle gambe, così si affrettò a coprirsi. Nel farlo, però, si voltò d’istinto alla sua sinistra, scoprendo un Jamaal ancora profondamente addormentato, coperto solo da un lembo del lenzuolo dalla schiena in giù.
A quel punto il ricordo di quanto era successo le balzò alla mente, che iniziò a lavorare come una macchina per ricostruire gli eventi della sera prima.

Avrebbe dormito ovunque, anche all’addiaccio, pur di non tornare da Laurenne e vedere di nuovo Rachel. Così, dopo aver vagato senza meta per il villaggio, si era diretta verso casa di Jamaal, l’unica che conosceva.
Quando lui le aveva aperto, erano rimasti a guardarsi per un po’, entrambi spaesati. Non si vedevano dalla sera del plenilunio, da quel fatidico bacio che l’aveva mandata in confusione, ma soprattutto da quando era scappata via senza dargli spiegazioni. Da quel momento, aveva fatto di tutto pur di evitarlo.

Era visibilmente disorientato nel ritrovarsela davanti. “Va tutto bene?”

No. Per niente. Ma non le andava di metterlo in croce con i suoi problemi. Non sapeva nemmeno per quale motivo fosse lì. “Scusami, io…Non volevo disturbarti. Magari stavi dormendo…” aveva risposto titubante, strofinandosi un braccio con la mano in un gesto nervoso. Poi, senza che riuscisse a controllarle, le lacrime avevano riempito i suoi occhi. “Scusa.” aveva ripetuto, cercando di asciugarle. “Non so cosa mi prende…”

“Claire.” l’aveva interrotta a quel punto, rivolgendole un sorriso. “Dai, entra.” Quindi si era spostato per lasciarla passare.

Una volta dentro, l’aveva invitata a sedersi, per poi sparire chissà dove. Si era sentita un’idiota per essere scoppiata a piangere e tuttora non era convinta di voler restare, ma il bisogno di confidarsi con qualcuno che la stesse a sentire senza giudicarla era troppo forte. Così si era seduta, approfittando dell’attesa per dare un’occhiata in giro. Era la prima volta che entrava in casa di Jamaal, ma non l’aveva trovata tanto diversa da quella di Laurenne. Per essere l’abitazione del capo tribù era piuttosto spoglia e anonima. Del resto, almeno da quel poco che lo conosceva le era sembrato una persona umile e alla mano.   

Jamaal era tornato poco dopo con una caraffa d’acqua, offrendogliene un bicchiere.

“Non hai qualcosa di più forte?” gli aveva chiesto. In quel momento ne sentiva il bisogno.

Senza alcuna replica, si era allontanato di nuovo, per tornare con una bottiglia dello stesso liquore ai datteri che aveva assaggiato alla festa.
Claire si era lasciata riempire il bicchiere, per poi vuotarlo tutto d’un fiato, lasciandolo interdetto. Nonostante dovesse aver intuito che qualcosa non andava, le si era seduto accanto per bere insieme, senza chiederle niente, aspettando che fosse lei a parlare.

“Scusa se ti sono piombata in casa in questo modo.” aveva esordito infatti qualche minuto dopo. “Ma non sapevo dove altro andare.”

“Puoi anche smettere di scusarti. Non fai altro da quando sei arrivata.” le aveva detto ridacchiando divertito, mentre riempiva di nuovo i bicchieri.

“Scus…” stava per dire, per poi zittirsi davanti al suo sguardo eloquente “Ops…”

“Comunque non c’è problema. È sempre piacevole bere in compagnia.” Detto ciò, aveva sollevato il bicchiere a mo’ di brindisi, scolandoselo anche lui in un colpo solo.

Claire l’aveva imitato. Il liquore era molto forte, ma ormai non poteva più farne a meno. Era assuefatta da quel retrogusto aromatico. Talmente tanto che non si era accorta di aver esagerato finché la bottiglia non fu quasi vuota. Allora si era sentita intorpidita e la testa aveva iniziato a girarle. “Forse dovrei andare…” Aveva tentato di alzarsi, ma sentiva le gambe pesanti come piombo ed era ricaduta sulla panca.

“Claire, ehi.” Jamaal a quel punto le aveva preso la mano, guardandola intensamente negli occhi. Così tanto da inchiodarla a sé come una calamita. “Se sei venuta per dirmi che ti senti in colpa per quello che c’è stato tra noi e vuoi chiuderla qui…”

Lei aveva cercato di fermarlo, prima che arrivasse a conclusioni sbagliate. “No. N-non è per questo…” Si sentiva il cervello annebbiato dall’alcol e a malapena era riuscita a spiccicare qualcosa di sensato.

“Perché io non mi pento di averti baciata.” aveva continuato, ignorandola. “Era quello che volevo ed è quello che voglio anche adesso.”

Non avrebbe saputo a cosa dare la colpa, se ai bicchieri di troppo o a quegli occhi così neri e profondi, ma i suoi freni inibitori erano andati presto a farsi benedire e ora si era risvegliata in quel letto. Per di più con addosso la tremenda sensazione che le cose fossero andate divinamente.

Cercando di pensare con lucidità, decise che avrebbe continuato a maledirsi più tardi. Ora doveva assolutamente andarsene da lì. Il primo passo era recuperare i suoi vestiti, sparsi un po’ ovunque nella stanza. Quando però fece per alzarsi, una fitta al fianco la costrinse a restare seduta sul bordo. Sentiva dolore dappertutto. Sollevò le braccia e si accorse che erano piene di lividi, come sicuramente anche le gambe. Non poteva vederli perché erano ancora coperte dal lenzuolo, ma era certa che ci fossero. Dannata Najat.

Mentre dentro di sé meditava vendetta, provò di nuovo ad alzarsi, continuando a coprirsi il seno con il lenzuolo. Tutto quel movimento, però, non provocò altro risultato se non quello di svegliare Jamaal.
Claire trasalì, imprecando sottovoce.

“Ehi.” esordì lui, aprendo gli occhi e rivolgendole subito un meraviglioso sorriso.

Mutando espressione, si voltò e gli sorrise a sua volta. “Ehi.”

Jamaal prese a studiarla poggiato su un gomito, bello come non mai, e per un attimo Claire perse di nuovo la lucidità. Ma non durò a lungo. I sensi di colpa tornarono di lì a poco, convincendola a riprendere la ricerca dei suoi vestiti.

“Dove stai andando?” le chiese, vedendola affaccendarsi. “Non vuoi fare colazione?”

“Grazie, ma dovrei essere già al campo. Sono in super ritardo e so che Najat me ne farà pentire.” rispose in tono frettoloso, mentre si infilava al volo la casacca.

Prima che potesse passare ai pantaloni, però, Jamaal la prese per un braccio, invitandola a guardarlo.

“Rilassati. Nessuno ti dirà niente. Najat è in missione e anche se oggi dovessi saltare l’allenamento, viste le botte che hai preso, sarebbe più che comprensibile.”

Claire arricciò il naso. “È così evidente?”

“Beh, sarebbe stato un po’ difficile per me non notare quei lividi stanotte.” scherzò, sfiorandole la schiena con la mano. “Spero solo di non aver peggiorato le cose.”

Un brivido la percorse dalla testa ai piedi, ma cercò di ignorarlo. Deglutì, per fare in modo che le uscisse un tono fermo. “No…Tranquillo.” Niente. Era riuscita comunque a balbettare.

Ora più che mai era imperativo che se ne andasse, o non si sarebbe più trattenuta dal prendersi a schiaffi. Nonostante fosse ormai convinta della sorte toccata a Cedric, non poteva fare a meno di pensare che quanto successo quella notte fosse sbagliato.

“Jamaal, ascolta…” mormorò incerta. “Grazie per essermi stato vicino, davvero. Ne avevo un gran bisogno. Adesso però devo proprio andare. Ieri sera sono scappata via senza dire niente e a quest’ora Laurenne sarà preoccupata.”

In risposta lui annuì comprensivo. “Capisco, ma prendi almeno un caffè. Ti farà bene.”

A quel punto, anche per non risultare scortese, Claire decise di accettare. Un caffè non aveva mai fatto male a nessuno. Anzi, le sarebbe stato utile per smaltire la sbornia della sera prima. Lei e il suo maledetto vizio di ubriacarsi. Ogni volta perdeva completamente la percezione della realtà e si ritrovava in situazioni che da sobria avrebbe trovato inconcepibili.

Felice di averla convinta, Jamaal si sollevò sulle braccia, per poi lasciarle un bacio veloce sulla guancia e dirigersi completamente nudo in cucina.

D’istinto, Claire rivolse lo sguardo altrove, alquanto imbarazzata. Aveva dimenticato che tra gli Jurhaysh c’era molto meno senso del pudore che da loro in America.

Qualche minuto dopo, mentre beveva il suo caffè, fu grata che si fosse messo qualcosa addosso. “Comunque, mi dispiace per ieri sera.” esordì. “Ti ho costretto ad assistere a quella scena patetica…”

“Quale scena?” la interruppe lui, mettendosi a ridere subito dopo. Gradualmente poi tornò serio. “Adesso che ti sei calmata, te la senti di raccontarmi cos’è successo?”

Claire però non se la sentiva. Era sicura che confidarsi le avrebbe fatto bene, ma non le andava di coinvolgere anche lui in quella storia. “Sarebbe troppo lungo da spiegare…” sospirò.

Jamaal parve intuire il suo stato d’animo, così cambiò argomento. “E a proposito di stanotte? Non vuoi parlare neanche di questo?”

“Perché? Che è successo stanotte?” scherzò, fingendo anche lei di non ricordare. Non poteva certo dirgli che si era trattato di uno sbaglio, per quanto piacevole, causato solo dal suo bisogno di compagnia.

Preso in contropiede, Jamaal le sorrise, scuotendo la testa. “D’accordo, tutto chiaro.” disse, alzando le mani in segno di resa.

Finiti i loro caffè, Claire si decise una volta per tutte ad alzarsi da quel letto e togliere il disturbo. “Sarà meglio che vada ora. Grazie per il caff…”

Non fece in tempo a finire la frase, che Jamaal si era alzato con lei, trattenendola per una mano. “Non c’è nulla che io possa fare per farti cambiare idea, vero?” le chiese, sfoderando un ghigno malizioso.

Colta l’allusione, Claire gli rivolse un sorriso e scosse la testa, riflettendo su quanto fosse testardo.
In un gesto inaspettato, Jamaal si chinò per lasciarle un leggero bacio sulla mano, prima che lei la facesse scivolare via dalla sua presa.

Malgrado non volesse, aveva ancora le farfalle nello stomaco mentre percorreva la strada di casa. Aveva pensato che fosse il caso di passare prima da Laurenne per darsi una ripulita e poi andare all’allenamento, anche se la tentazione di saltarlo era molto forte, visto che era piena di dolori.
Lungo il tragitto, mille pensieri le frullavano per la testa e sentiva il disperato bisogno di confidarsi con qualcuno. Sarebbe stata disposta perfino a ingoiare il rospo con Rachel e passare sopra allo schiaffo, pur di liberarsi di quel peso. Certo, in una situazione simile avrebbe preferito parlarne con Juliet, perché non l’avrebbe giudicata come di sicuro avrebbe fatto lei, o almeno avrebbe cercato di capire. In mancanza d’altro, però, Rachel era l’unica amica a cui poteva rivolgersi.

Entrata in casa, stranamente la trovò ancora lì, che assestava colpi ai cuscini dove sedevano per mangiare per ridare loro la forma. Entrambe non riuscirono a nascondere una certa sorpresa nel vedersi.

“Ah, eccoti.” esordì Rachel per prima, lasciando cadere il cuscino in malo modo. “Si può sapere che fine avevi fatto? Ieri sera ero convinta che prima o poi saresti tornata, invece quando mi sono svegliata ancora non c’eri. Mi è preso un colpo!”

Aveva tutte le ragioni per essere arrabbiata e Claire lo capiva. Probabilmente al suo posto avrebbe reagito nello stesso modo. Inoltre, se voleva che l’ascoltasse, doveva rinunciare a tenere il punto sul loro litigio e provare a riconciliarsi con lei.

“Anche Laurenne era preoccupata. Dovresti scusarti.” continuò, mantenendo un tono stizzito.

Claire annuì. “Lo farò, promesso.” In effetti, ora che ci faceva caso né la sciamana né Cordelia erano in casa.
“Tu invece? Non dovresti essere al campo a quest’ora?” le chiese, cambiando discorso. Non si sentiva ancora pronta a confessare quello che aveva fatto.

“Ci sono stata al campo, se proprio vuoi saperlo, ma Najat non c’era. Kira mi ha detto che è andata in missione, quindi possiamo concederci un giorno di riposo.”

Solo allora Claire si ricordò di saperlo già. Dunque Jamaal aveva detto la verità, non era solo una scusa per trattenerla. “Ah, giusto.”

Rachel la guardò con sospetto, ma prima che potesse farle qualsiasi domanda, Claire disse di aver bisogno di un bagno e si defilò sul retro.
Rientrò che ormai Laurenne e Cordelia erano tornate. Dal mercato, a giudicare dalle ceste piene di cibo e generi di prima necessità.

Non appena la vide, il volto della sciamana si illuminò. “Dov’eri finita? Non va bene che tu sia sparita così. Ricorda che siete sotto la mia responsabilità e se dovesse accadervi qualcosa…”

“Hai ragione. Mi dispiace di averti fatta preoccupare.” la interruppe Claire contrita. In realtà, pensò che mai come quella notte avrebbe potuto essere più al sicuro, ma si guardò bene dal dirlo. “Non capiterà più.”

Laurenne la studiò diffidente per qualche secondo, prima di annuire e chinarsi sulle ceste. “Sarà meglio.” mormorò, mentre iniziava a tirare fuori i viveri, aiutata da Cordelia. Dopo un po’, la sua espressione mutò da severa ad amorevole, come quella di una madre che perdona il proprio figlio dopo una ragazzata. “Forza, siediti. Ti preparo un infuso per rilassare i muscoli.”

Claire obbedì e prese posto a fatica su uno dei cuscini. Eccome se ne aveva bisogno. Sentiva la schiena a pezzi e ogni piccolo movimento era una tortura.
Mentre beveva, Laurenne le informò dei suoi progressi sulla questione Juliet, ma Claire la ascoltava a malapena. Doveva assolutamente parlare a Rachel di quello che era successo, o sarebbe esplosa. Quindi, una volta finito il suo infuso e certa che Laurenne fosse a debita distanza, la prese da parte e la convinse a seguirla di sopra. Lì almeno sarebbero rimaste sole e tranquille.

Una volta in camera loro, Rachel si sedette sulla sua branda e incrociò le braccia, aspettando che si decidesse a parlare. Forse voleva chiederle scusa.

Claire si domandò se dopo la sua rivelazione avrebbe continuato ad essere così ben disposta. “Devo confessarti una cosa. Non ce la faccio più a tenermelo dentro.” iniziò, mentre la sua testa lavorava in cerca delle parole adatte.

Nonostante fosse arrabbiata, Rachel la conosceva troppo bene per non capire che le era successo qualcosa. Era nervosa e si torceva le mani, come faceva sempre quando aveva dei segreti da confessare. “Claire, dove sei stata stanotte?” le domandò, cominciando ad allarmarsi.

I loro sguardi si incrociarono nello stesso momento e Claire si rese conto di dover arrivare al sodo. Ormai era inutile tergiversare. “Sono andata…da Jamaal.” ammise infine, esitante.

Per qualcun altro quella frase non avrebbe significato niente di particolare, ma per Rachel fu chiarissima. Un po’ la sua notevole perspicacia, un po’ l’esperienza di anni che aveva con lei, la portarono subito alla conclusione giusta. “Tu cosa?”

“Lo so! So cosa stai pensando e hai ragione. Ma dopo aver saputo del plenilunio, dopo quello che ci siamo dette…Ero sconvolta e avevo bisogno di qualcuno che non mi giudicasse…” balbettò, tentando disperatamente di giustificarsi, prima che le sue accuse le piombassero addosso.

“E quindi hai pensato bene di andare a letto col primo che capita!” esclamò infatti Rachel di lì a poco,
fulminandola con lo sguardo. Era talmente sconcertata che si alzò istintivamente dalla branda, avvicinandosi a Claire.

“Non è il primo che capita, lui…” provò a dire, ma rinunciò quasi subito perché non voleva parlare del suo rapporto con Jamaal. Non era quello il punto. “E poi pensi che ci sia andata apposta per questo? Non volevo tornare qui e non avevo nessun altro posto. Abbiamo bevuto un paio di bicchieri e poi…poi è successo.”

“O mio Dio…” continuava a mormorare Rachel intanto, senza nemmeno ascoltarla. La mano sulla fronte e gli occhi fissi sul pavimento. Poco dopo, li sollevò di nuovo e la guardò, scuotendo lentamente la testa. Non l’avrebbe mai ritenuta capace di una simile superficialità. “Io non so che dire. Non so davvero cosa dire…”

Claire non pretendeva parole di conforto, sapeva di non meritarle, ma ormai il danno era fatto. Non c’era modo di tornare indietro. “Sto malissimo, Ray. So di aver commesso un errore…”

“E meno male che lo sai!” la aggredì. “Capisco che passato il plenilunio tu abbia pensato al peggio, ma da qui a cercare consolazione nel letto di un altro...E non venirmi a raccontare la scusa dell’alcol, perché non può giustificare ogni tua uscita di testa!”

“Sì, beh…” tentennò Claire. “Non sto usando l’alcol come scusa, però lo sai anche tu che quando bevo perdo il controllo.”

Rachel alzò gli occhi al cielo esasperata. “Appunto! Non dovresti farlo! Solo che ogni volta ci ricaschi e…” Poi si interruppe e la sua espressione cambiò, divenendo un misto tra rassegnazione e malinconia. “Ascolta, fai come vuoi. Va bene? Io sono stanca di sistemare i tuoi casini, d’ora in avanti sono affari tuoi.”

Quella reazione lasciò Claire alquanto sorpresa. Sapeva fin dall’inizio che Rachel si sarebbe infuriata e che l’avrebbe biasimata fino alla morte per quello che aveva fatto, ma poi era sicura che l’avrebbe anche consolata, che da buona amica avrebbe cercato di capire la situazione.

“A questo punto, però, penso che Cedric non avesse tutti i torti quella sera, nella stalla.” sputò di lì a poco velenosa.

Claire non aveva certo bisogno di una gran memoria per ricordare a cosa si stesse riferendo. Mai prima di allora si era sentita tanto umiliata e offesa. Mai fino a quel momento. “Se è questo che pensi di me, non abbiamo più niente da dirci.” concluse, prima di uscire dalla stanza.

Voleva andarsene da quella casa, non vedere più nessuno. Restare sola. Anche se ora sentiva di esserlo più che mai.

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Capitolo 14
*** Parte della famiglia ***


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Capitolo 9 - 
Parte della famiglia­
 

Nella tranquillità offerta dalla tenda adibita a laboratorio, Laurenne stava preparando l’occorrente per praticare l’iniezione giornaliera a Jamaal, che aspettava seduto dietro di lei.

Dopo aver studiato i suoi atteggiamenti e la sua espressione pensierosa, Jamaal si decise a indagare. “C’è qualcosa che ti preoccupa?” le chiese pacato.

Laurenne si voltò, lanciandogli una rapida occhiata, mentre riempiva la siringa di liquido. “Non voglio appesantirti con altri problemi.”

Lui però non gettò la spugna e poggiò gli avambracci sul tavolo, come per farle capire che la stava ascoltando. “Avanti, sono qui per questo. Sai che è meglio non nascondermi niente.”

“Sono in pensiero per le ragazze.” confessò allora Laurenne con un sospiro. “Le ho lasciate che stavano litigando, anche se cercavano di gridare a voce bassa per non farsi sentire.”

Jamaal rifletté un istante sulle sue parole. “Pensi che abbia a che fare con la storia di Bran?” le chiese poi.

La sciamana annuì. “Sono in angoscia per i loro amici prigionieri e l’attesa le sta logorando. Hai ricevuto qualche notizia?”

“No. Il primo e ultimo falco è arrivato qualche ora dopo la partenza di Tareq, per informarmi che erano arrivati e che tutto era tranquillo, almeno per il momento. Poi più niente.” rispose, assumendo un’aria preoccupata. “Sono passati giorni da allora e c’è stato anche il plenilunio. Non voglio fare il pessimista, ma comincio a temere il peggio.”

I loro sguardi si incontrarono ed entrambi vi lessero la stessa ansia. Comunque, nessuno dei due aggiunse altro, preferendo tenere per sé i cattivi pensieri.
Quando la siringa fu pronta, gli fece scoprire la schiena, tamponando prima la parte interessata con dell’ovatta imbevuta di alcol. “Ecco. Ora non muoverti.” si raccomandò.

Mentre l’ago penetrava nella carne, Jamaal fece una smorfia di dolore.

“Ancora non ti ci sei abituato?” gli chiese, fingendo disappunto. “Un guerriero forte e valoroso come te?”
Ultimata l’operazione, lo lasciò a rivestirsi, mettendosi a sistemare gli attrezzi del mestiere.

“Ho il braccio tutto intorpidito.” si lamentò lui, stiracchiandosi.

Laurenne arricciò le labbra, riflettendoci un momento. “Hai fatto qualche sforzo di recente?”

In risposta Jamaal abbozzò un mezzo sorriso imbarazzato.

“Ma davvero?” intuì lei, alzando un sopracciglio.

“Sì, beh…Non ho mica fatto voto di castità.”

Quell’affermazione provocò l’ilarità della sciamana. “Certo, scusami. È solo che dopo quello che è successo pensavo non fossi ancora pronto per quel genere di cose. Comunque, mi fa piacere. Sono contenta per te.” concluse, rivolgendogli un sorriso caloroso.

Jamaal ricambiò, anche se era evidente quanto il ricordo del passato lo mettesse ancora a disagio. “Le perdite subite sono state un duro colpo, per tutti noi.” ammise malinconico, poggiandole la mano sul braccio in un gesto di conforto. Gli occhi della donna si fecero lucidi. “Ma penso che sia arrivato il momento di andare avanti. Anche perché da quel giorno le responsabilità mi sono arrivate tra capo e collo e in tutto questo non ho avuto la possibilità di conoscere qualcuno che mi facesse stare bene.”

“Fino ad oggi.” precisò Laurenne.

Jamaal ridacchiò. “Adesso non cominciare. Non sto per sposarmi…”

“E invece dovresti.” lo redarguì, assumendo un cipiglio severo. “Nelle tue condizioni hai bisogno di un erede, o quando non ci sarai più la tribù finirà in mano a qualche mahwus alharb.”

Cogliendo l’allusione, lui sospirò paziente, guardandola storto. “Tareq non è un maniaco della guerra. È solo…”

“Uno convinto che brandire una spada e tagliare teste sia la soluzione a qualunque problema.” continuò la sciamana, completando la frase.

A quel punto, Jamaal sollevò la mano, facendole segno di tacere. “Se può farti stare tranquilla, ho in mente un’alternativa.”

Lei lo guardò confusa; poi il ragionamento la portò pian piano a capire e il suo volto si fece serio. “Sei sicuro di volerlo fare? Molti potrebbero non vedere di buon occhio questa tua decisione.”

“Che parlino pure. Scegliere chi dovrà sostituirmi è un mio diritto e nessuno potrà impedirmi di decidere da me.” ribatté risoluto. “Anzi, ho intenzione di dare l’annuncio proprio stasera.”
 
-o-
 
Era arrivata l’estate a Bran e finalmente si poteva godere di temperature più miti e stare fuori fino a tardo pomeriggio. A Elizabeth quel periodo dell’anno piaceva in modo particolare, molto più dei gelidi inverni che era costretta a trascorrere tra le mura del castello. Chiuse gli occhi e si godette i caldi raggi del sole sul viso, mentre Nickolaij legava i cavalli al tronco di un salice nelle vicinanze.

In seguito lo vide sistemarsi sotto la sua ombra, al riparo dal caldo, e gli rivolse un’occhiata interrogativa.
“Non amo molto la luce del sole.” le rispose, senza alcun bisogno che lei parlasse; poi le fece segno di raggiungerlo.

Elizabeth inclinò il volto da un lato, guardandolo con aria eloquente. Riusciva già a sentire la voce di Margaret che la rimproverava per essersi sporcata gli abiti di terra, ma quando lo vide rivolgerle uno dei suoi sorrisi, ogni timore scomparve con la stessa velocità con cui era sorto e andò a sedersi accanto a lui.

Per un po’ rimasero entrambi in silenzio, circondati solo dal frinire dei grilli e dallo scorrere lento del fiume. I rami sfioravano il pelo dell’acqua, mossi da una lieve brezza che ne increspava appena la superficie.
C’era dell’altro però a catturare l’attenzione di Elizabeth. I raggi del sole che filtravano tra le fronde andavano a posarsi sui capelli ramati di Nickolaij, creando splendidi giochi di luce. Restò a fissarli rapita, finché lui, sentendosi osservato, si voltò a guardarla.

“Che c’è?” le chiese curioso.


Elizabeth arrossì. “Nulla.” si affrettò a dire, volgendo lo sguardo da un’altra parte.

Divertito dal suo imbarazzo, Nickolaij si abbandonò a una risata. “Non mentire. Mi stavi fissando, ammettilo.” la incalzò.

Il fatto che le desse del tu contribuiva a metterla a disagio, anche se ormai erano arrivati a quel livello di confidenza da diverso tempo. Soltanto in pubblico si premuravano di mantenere un certo distacco, per non destare l’attenzione indesiderata dei curiosi. Tuttavia, doveva ancora abituarcisi. “Parola mia, non è così.” gli assicurò in tono altezzoso, scuotendo la testa. “Ammiravo le bellezze del paesaggio, nulla di più.”

Lui rise di nuovo, ma poi lasciò correre, tornando a guardare il fiume.

Sollevata, Elizabeth si lasciò andare a un sospiro. Erano rari i momenti in cui si sentiva del tutto spensierata e libera di essere se stessa. Nickolaij era l’unico capace di farle provare certe emozioni. “Detesto l’idea di dover tornare al castello.” si sfogò. “Quanto vorrei che il mondo si fermasse a questo istante per sempre.”

A quel punto, i loro occhi si incontrarono e poco dopo la mano di Nickolaij cercò la sua, fino a stringerla amorevolmente. “Mia adorata, sai bene quanto anch’io lo voglia. Ma se non ti riporto indietro ho idea che le tue sorelle mi darebbero la caccia per assicurarsi che la mia testa finisca infilzata su una picca.” scherzò.

Stavolta fu lei a ridere. “Dubito seriamente che Delia sarebbe mai capace di tanto.” –Piuttosto Margaret…-

Forse dal suo repentino cambio di espressione, Nickolaij dovette intuire i suoi pensieri. “No, hai ragione. È un’altra la nipote del principe che non sembra gradire la mia presenza.” Dicendo questo si fece scuro in volto e abbassò lo sguardo, colto improvvisamente da malumore.

Come spesso accadeva da quando aveva capito di amarlo, anche Elizabeth si sentì invasa dalle sue stesse emozioni. Dentro di sé provava rabbia mista a imbarazzo per l’atteggiamento di Margaret nei confronti dell’uomo che lei aveva ormai scelto come marito, ma tentò comunque di giustificare la sorella. “Lo fa solo per proteggermi. Si comporta come una madre sin da quando ero bambina e pensa che tu non sia adatto a me a causa delle tue origini.” gli spiegò; poi, vide l’espressione di Nickolaij farsi ancora più seria e sentì il legame tra le loro mani sciogliersi lentamente, così corse subito ai ripari, stringendogliela con più decisione.

“Io non la pensò affatto come lei.” lo rincuorò, assicurandosi che la guardasse negli occhi. “Te lo giuro, non lascerò mai che il suo giudizio influenzi i miei sentimenti per te. Alle mie sorelle non è stata concessa la libertà di scegliere chi sposare e ora pensano che anche a me debba toccare la stessa sorte, ma io ho la ferma intenzione di deluderli tutti.”


Di lì a poco, seppe di essere riuscita a convincerlo, perché con suo grande sollievo vide un sorriso dipingersi sul suo volto. Sorriso che ricambiò, rimanendo per un istante impietrita quando Nickolaij si fu avvicinato e, senza che potesse rendersene conto, le sfiorò le labbra con le sue. Un bacio casto, puro, ma pieno d’amore.

Come sempre stupita da tanta audacia, Elizabeth non rispose subito e si accorse di tremare solo quando sentì la sua mano toccarle la guancia per rassicurarla.

Lo sguardo che le rivolse subito dopo la lasciò senza fiato e non fu più in grado di parlare. Restò a guardarlo, mentre rivolgeva di nuovo l’attenzione al paesaggio.
“Lo sai, ho sempre parlato con franchezza e non mancherò di farlo neanche questa volta.” disse Nickolaij con un sospiro. “Trovo ipocrita da parte di tua sorella opporsi alla nostra unione per questioni di rango, quando il suo stesso matrimonio sarà fondato sulla disparità, anche se di altro genere.” le confessò. “Che senso ha parlare di titoli nobiliari se la nostra gente è continuamente costretta a mescolarsi con chi le è inferiore?”

Elizabeth lo ascoltava, come sempre rapita dalla capacità che aveva di esporre il suo punto di vista. Era a conoscenza delle opinioni di Nickolaij sul modo di vivere dei Danesti e del fatto che non condividesse la loro propensione a intrattenere rapporti con gli umani, spesso perfino a sposarli. Per quanto la riguardava, era abituata da sempre a vederli a corte e con alcuni aveva anche rapporti di amicizia, ma da quando lui aveva iniziato a farla riflettere sull’argomento, doveva ammettere di non essere più così sicura che mantenere segreta la loro vera natura agli occhi degli umani fosse davvero la cosa più giusta.

“Riesci a immaginarlo, Liz?” proseguì lui, mentre il suo sguardo si perdeva lontano. “Un mondo in cui potremmo essere liberi di essere ciò che siamo, senza più aver bisogno di nasconderci. Un mondo dove saremmo noi a dettare le regole, finalmente padroni di noi stessi…”

Man mano che continuava, la sua espressione si faceva più cupa e il suo tono di voce carico di risentimento.

Non lo aveva mai visto così e la cosa la spaventò. “Nickolaij?” lo chiamò per riportarlo alla realtà.


Lui allora si voltò, sbatté le palpebre un paio di volte e poi sembrò tornare lo stesso di sempre. “Perdonami, Liz.” si scusò, notando la sua aria preoccupata. “Faremmo meglio a rientrare. Non manca molto al tramonto.” Dopo essersi alzato, le porse la mano per aiutarla a tirarsi su; poi entrambi salirono a cavallo e si avviarono di nuovo verso il castello.

Elizabeth diede un leggero colpo di tacco e lo seguì, mentre avvertiva uno strano senso di inquietudine farsi strada dentro di sé...
 

Claire si svegliò con un peso sul petto. Stavolta non era stato un sogno come gli altri. Sembrava che la duchessa le avesse trasmesso il suo stato d’animo, una strana sensazione di disagio che non sapeva spiegare. Oltretutto, per la prima volta aveva avuto occasione di assistere alle reali capacità manipolatorie di Nickolaij, la sua incredibile abilità nel portare le persone a ragionare come lui senza darlo troppo a vedere. Era talmente impressionata dalla concretezza di quanto aveva appena visto che ci mise un po’ a riprendersi.

Doveva essere molto presto, perché sia Rachel che Cordelia dormivano ancora, così si preparò il più in fretta e silenziosamente possibile, per poi scendere di sotto. La cucina era deserta e semibuia, illuminata solo dal lieve chiarore che filtrava dalle fessure lasciate aperte dalla tenda.
Si sentì sollevata di essere sola. Dopo la discussione avuta con Rachel non aveva alcuna voglia di vedere né parlare con nessuno. In tanti anni che si conoscevano non era mai arrivata a un tale grado di insofferenza nei suoi confronti. Quasi la odiava per quello che le aveva detto.

–A questo punto, penso che Cedric non avesse tutti i torti nella stalla- Quella frase non faceva che risuonarle nella testa, dandole il tormento. Già era stata dura doverla sentire da lui, figurarsi da una delle sue migliori amiche. Era vero, aveva sbagliato ad andare da Jamaal, questo era innegabile, ma non meritava di essere trattata così. E senza aver fatto niente di tanto atroce, per di più. Se la mente di Rachel era troppo bigotta per accettarlo, pazienza. Per quanto la riguardava, avrebbe anche potuto fare a meno del suo parere sulla questione.

Sfogò la rabbia pestando i chicchi di caffè dentro il mortaio; poi mise dell’acqua a bollire in un pentolino e con un fiammifero accese il fuoco.

Di lì a qualche minuto, sentì i passi di qualcuno che scendeva dal piano di sopra e si sporse dalla cucina giusto quel poco per capire che si trattava di Rachel. Quindi tornò subito al suo caffè, decisa a non rivolgerle la parola. Colata la bevanda scura dentro una tazza, si avviò al tavolo proprio mentre lei stava arrivando e per fortuna a quel punto arrivò anche Laurenne, che impedì all’atmosfera di farsi tesa.

Finito di fare colazione, Claire ne approfittò subito per uscire di casa, salutando tutte tranne Rachel, che la raggiunse al campo qualche minuto più tardi. Con suo sollievo, quella mattina Najat decise di separarle, mettendole in coppia con altri due guerrieri, e la giornata sembrò già prendere una piega diversa.

Si stavano allenando ormai da qualche ora quando Claire vide arrivare Jamaal e per un attimo perse la concentrazione. Lo guardò mettersi seduto in un angolo all’ombra, da dove poteva godere di una visuale completa del campo di addestramento.

Anche Najat lo vide e gli andò incontro, ordinando loro di continuare da sole. Adorava impartire ordini, soprattutto perché sapeva che non avrebbero potuto ribattere. Se l’avessero sfidata in combattimento, infatti, non ci sarebbe stata partita.

Quando vide Jamaal, Rachel si trattenne dallo sbuffare scocciata. Era chiaro come il sole per chi fosse venuto. Non era la prima volta, ma da quando aveva saputo di lui e Claire la cosa le dava particolarmente fastidio.
Ripensando a quanto successo il giorno prima, doveva ammettere di essersi pentita di averle dato della ragazza facile, ma ancora non se la sentiva di scusarsi. In fondo, se l’era meritato dopo il suo comportamento.

In tutto questo, Najat doveva aver intuito che qualcosa non andava, probabilmente perché erano fredde l’una con l’altra, così ne aveva approfittato per divertirsi a loro spese. Aveva mandato a farsi una passeggiata i due guerrieri che si era portata per aiutarla e le aveva messe in coppia l’una contro l’altra. Per la prima volta da quando si allenavano con lei, le aveva fatte combattere con i bastoni, disciplina per cui non avevano tardato a dimostrare un’incapacità totale.

“Beh, state battendo la fiacca? Non vi avevo detto di continuare?” le incalzò di lì a poco. “Il capo vuole vedere come combattete. Forza!”

Cercando di trattenersi dal darglielo in testa, Rachel impugnò di nuovo il bastone a due mani, preparandosi al duello.
Dalla parte opposta Claire fece lo stesso.
Si studiarono per qualche secondo, faticando reciprocamente a guardarsi negli occhi, poi iniziò il combattimento vero. Nonostante fossero furiose l’una con l’altra, nessuna aveva il coraggio di colpire troppo forte, nel timore di ferire l’amica.

Najat se ne accorse e subito cominciò a spronarle, invitandole a metterci più energia e convinzione. Girava loro intorno, dando indicazioni su come muoversi e correggeva gli errori di postura, senza perdere occasione per prenderle in giro. “Che state facendo? Avanti, muovetevi! O avete paura di farvi male perché siete amichette?”

Intanto, dal suo posto appartato Jamaal sembrava divertito, mentre la guardava sfotterle.
A quel punto, Rachel capì che non poteva più rimandare e sferrò il primo attacco, che però Claire riuscì a schivare. Lei non si diede per vinta e con più violenza assestò un altro colpo con il bastone, che stavolta la prese di striscio, prima che riuscisse a scansarsi.

“Bene! Immaginavo che volessi picchiarmi dopo quello che ci siamo dette, ma non pensavo ne avresti avuto il coraggio.” commentò Claire in tono provocatorio. “D’altra parte, te la sei sempre cavata meglio con le parole che con i fatti.”

“Andiamo, meno chiacchiere!” la rimbeccò Najat.

Ignorandola, Rachel si concentrò sul fatto che Claire le avesse dato della codarda. All’istante perse ogni timore di ferirla e reagì. “Sempre meglio di te che preferisci infilarti nel letto del capo tribù, piuttosto che affrontare il problema.” Le parole le uscirono di bocca come un fiume in piena, senza curarsi della presenza di Jamaal.

Nel giro di pochi istanti, l’atmosfera intorno a loro cambiò e la tensione salì fino a farsi palpabile. Claire vide Najat restare di sasso; poi spostò lo sguardo su Jamaal, la cui espressione tradiva lo spaesamento più totale. A quel punto, sentì la rabbia salirle fino alla punta dei capelli. Come aveva potuto spifferare il suo segreto ai quattro venti? Qualcosa che le aveva confidato da amica, convinta che, nonostante le incomprensioni, sarebbe rimasta tra loro. E in quel modo poi. Fuori di sé, si scagliò contro Rachel, con tutta l’intenzione di farle male.

Lei sollevò il bastone giusto in tempo, tentando di parare il colpo, talmente inaspettato da farla finire con il sedere per terra. Completamente spiazzata, guardò Claire dal basso con gli occhi sgranati, incapace di credere a quello che aveva fatto.

Claire, dal canto suo, aveva il fiato grosso e il bastone ancora a mezz’aria, mentre gli occhi dell’amica la infilzavano come coltelli. Man mano che sentiva la rabbia sfumare, cominciò a rendersi conto di aver esagerato.

“D’accordo, può bastare per oggi!” L’arrivo provvidenziale di Jamaal impedì alla situazione di degenerare. Si avvicinò a Rachel e le offrì la mano per aiutarla a rialzarsi. “Tutto bene?” le chiese.

Evitando di guardarlo in faccia, lei annuì, prendendo a spolverarsi i vestiti. Dopodiché, senza rivolgere la parola a nessuno, girò i tacchi e si avviò verso casa. Era sicura che se fosse rimasta lì solo per un altro secondo non avrebbe risposto delle sue azioni.

“Me ne vado anch’io.” annunciò Najat subito dopo. “Ho altro da fare che stare qui a perdere tempo con delle incapaci.”

Nonostante i suoi modi non fossero poi così diversi dal solito, dallo sguardo che rivolse a Jamaal prima di andarsene Claire si accorse che stavolta qualcosa doveva averla turbata. Comunque, lui non fece in tempo a dirle nulla, che stava già lasciando il campo.
Con un sospiro frustrato, appoggiò le mani al recinto di legno che ne delimitava il perimetro, prendendo a fissare il suolo con aria pensierosa.

“Okay, mi sono persa qualcosa. Che le è preso?” gli chiese Claire confusa.

Lui non rispose subito, prendendosi ancora del tempo. Alla fine la guardò. “Credo di saperlo.”

L’espressione eloquente di Claire lo invitò a continuare.

“È una questione tra me e Najat.” spiegò sbrigativo. “Più tardi andrò a parlarle.”

A quel punto, lei intuì che non le avrebbe detto altro. In fondo, il loro non era un rapporto tale da poter pretendere chissà quale confidenza. Anzi, a dire la verità si conoscevano meglio da un punto di vista fisico che personale. Quindi decise di non insistere. Piuttosto, sentiva crescere il sospetto che tra quei due ci fosse qualcosa di irrisolto e che Najat avesse reagito in quel modo perché aveva saputo della sua quasi relazione con Jamaal. Che fosse gelosa? Ci mancava solo che si ritrovasse in un triangolo amoroso. Tutto quel casino per un paio di bicchieri di troppo.

“Mi dici cosa è successo poco fa?” le chiese invece lui, riferendosi al suo scontro con Rachel. “So che negli ultimi tempi avete avuto dei problemi, ma…”

“Lo sai?” reagì Claire, presa alla sprovvista. Non ci mise molto però a capire chi potesse avergliene parlato. “Laurenne ti ha detto qualcosa, vero?”

Lui non ebbe bisogno di confermarlo a voce. Bastò la sua faccia.

Claire sbuffò seccata, incrociando le braccia. “Poteva tenerlo per sé.”

“È solo preoccupata per voi.”

“Beh, non serve.” replicò, punta sul vivo. L’ultima cosa che le serviva in quel momento era un’altra madre che le stesse col fiato sul collo. C’era già Rachel per questo. “Se qui abbiamo finito, scusami ma…” Avvertendone l’impulso irrefrenabile, fece per andarsene, ma Jamaal glielo impedì, afferrandola per un braccio e riportandola davanti a sé.

“Ehi, ehi.” le sussurrò, costringendola a guardarlo negli occhi. “Non voglio litigare con te, perciò non ce ne andremo da qui senza aver chiarito.”

Claire rimase colpita dalla sua determinazione, ma ancor più dalla sensazione che questa suscitò in lei. Dove aveva già visto quello sguardo? Quella voglia di mettersi in discussione, senza paura di esprimere i propri sentimenti? Si spaventò per averci pensato e si chiese se quello fosse un chiaro segnale e come avrebbe dovuto interpretarlo.
Fu un attimo. Quei pensieri svanirono non appena la mano di Jamaal scivolò lentamente verso la sua, stringendola. Un brivido la colse.

“Scusa. Non è giusto che me la prenda con te. Tu non c’entri.” mormorò malinconica, abbassando lo sguardo.

Lui le sollevò il mento perché lo guardasse e la sua espressione si addolcì. “Non importa. Va tutto bene.” la rassicurò sorridente. “Voglio solo che tu sappia di poter contare su di me. Se hai bisogno di parlare, io ci sono.”

Claire ricambiò il sorriso e, commossa, annuì. Magari più avanti avrebbe colto l’invito, ora non se la sentiva.

“Bene. Ora che è tutto sistemato, volevo chiederti se ci sarai stasera.”

“Stasera?” domandò lei, alzando un sopracciglio.

“Festeggiamo l’anniversario della nascita della nostra tribù.” le spiegò. “Tu e le altre siete invitate. Di solito non concediamo agli stranieri di partecipare, a meno che non siano guerrieri di altre comunità, ma stavolta ho chiesto agli anziani di fare un’eccezione. Anche perché ormai siete parte della tribù” scherzò.

Claire abbozzò un sorriso. Per fortuna che gli Jurhaysh erano un popolo festaiolo e pensò che quella sarebbe stata una buona occasione per distrarsi, così non perse altro tempo a rimuginarci sopra. “D’accordo, ci sarò.” sentenziò infine decisa.

Visibilmente soddisfatto, Jamaal sfoderò un ghigno che la lasciò alquanto spaesata. “Perfetto. Così non ti perderai la mia sorpresa.”

“Che sorpresa?”

“Lo scoprirai stasera.” le disse, prima di baciarle la guancia e congedarsi, lasciandola senza una risposta.

Non appena si fu allontanato, la mente di Claire tornò a Rachel e alla sua uscita poco felice, così si diresse a passo svelto verso casa, decisa a dirgliene quattro. Non l’avrebbe passata liscia questa volta.

Al suo arrivo la trovò seduta al tavolo con una tazza di tè in mano. A malapena fece caso al fatto che era entrata e continuò a rivolgere lo sguardo da un’altra parte, facendole salire più rabbia di quanta non ne avesse già. Per attirare la sua attenzione, sbatté la porta alle sue spalle. “Come diavolo ti è venuto in mente di spifferare ai quattro venti quello che c’è stato tra me e Jamaal?” le chiese furiosa. “Ti rendi conto di averlo messo in imbarazzo?”

Evidentemente, però, la cosa non sembrava toccarla minimamente, perché Rachel continuò a ignorarla e a sorseggiare il suo tè.

A quel punto allora, Claire attraversò la stanza per potersi parare davanti a lei e costringerla a guardarla. “Ehi! Sto parlando con te!”

“Ti ho sentita.” replicò Rachel, senza scomporsi. “Comunque non capisco dove sia il problema. Visto che stai
per diventare la sua first lady, prima o poi verranno a saperlo tutti.” le fece notare ironica.

Claire distolse lo sguardo, sbuffando infastidita. “Hai mai pensato che magari non volessi farlo sapere in giro?”

“E tu hai mai pensato che se volevi tenerlo segreto è perché, magari, te ne vergogni?”

“Vergognarmi di cosa?” ribatté Claire esasperata. Perché continuava ad accusarla di aver commesso chissà quale crimine? Come se avesse ucciso qualcuno. Era davvero stanca di ascoltare le sue prediche. “Non ho fatto niente di male, Ray. È stato solo sesso.”

L’espressione di Rachel si tramutò in ghigno. Sembrava quasi cattiva. “Quindi tradire il tuo ragazzo con un altro per te non è niente di male. Bene, buono a sapersi. Non saresti potuta cadere più in basso.”

Stavolta, però, Claire ne aveva abbastanza. Che diritto aveva di trattarla così? Oltretutto, continuava a parlare di cose che non sapeva. “Adesso piantala, okay? Cedric non è il mio ragazzo, non lo è mai stato! Io non ho tradito nessuno.”

“Ma lui ti piaceva! C’è stato qualcosa tra voi, non negarlo.” replicò lei. “Come puoi comportarti così, senza provare un minimo di rimorso? Non pensi a quanto stia soffrendo rinchiuso là dentro?”

“Certo che ci penso! Ogni singolo giorno! Ma io e lui non siamo una coppia, vuoi mettertelo in testa? Noi non siamo come te e Mark. Quello che provo per Cedric è ben diverso da quello che c’è tra voi, quindi smettila di fare paragoni inesistenti.”

Quelle parole colpirono non poco Rachel, lasciandola interdetta. Per la prima volta si stava rendendo conto che, anche se inconsciamente, doveva aver fatto quel tipo di associazione mentale. Qualche strana ragione l’aveva portata a credere che Claire e Cedric sarebbero finiti come lei e Mark, forse perché voleva a tutti i costi vederla di nuovo felice, dopo quello che aveva sofferto. Ora il fatto che lo potesse essere davvero insieme a Jamaal la infastidiva. Dirsi invidiosa forse era troppo, ma non riusciva a sopportare l’idea che non condividesse con lei la sua angoscia e il suo dolore. Fino a quel momento era sempre stata convinta che le legasse lo stesso destino avverso, invece adesso scopriva che non era così.

“La verità è che voi mi avete sempre spinto tra le sue braccia, come se dovessi per forza innamorarmi di lui.” osservò Claire, distraendola da quei pensieri. “Beh, notizia dell’ultima ora: io non lo amo. Con lui stavo bene, è vero, e se non ci fossimo trovati in questa situazione di merda, magari avrei potuto dargli una possibilità. Ma ora è diverso…”

“Ah sì? E che cosa è cambiato esattamente?” le chiese. “Tu volevi dargliela una possibilità. Gliel’hai detto chiaro e tondo l’ultima volta che vi siete visti. Ero lì, ti ho sentita. Quindi perché ora sarebbe diverso? Ti sei innamorata di Jamaal?”

Per quanto inaspettata, Claire non si stupì di quella domanda. “No! Insomma…È troppo presto per dirlo.” tentennò.

“Supponi che Cedric torni domani e si presenti davanti a te.” insistette Rachel, ormai con il chiaro intento di metterla alle strette. “Che farai? Continuerai a tenerlo sulla corda, perché non sai mettere pace nella tua testa?”

Claire però non avrebbe saputo darle una risposta. Voleva solo finirla di parlare di Cedric. Aveva troppi pensieri che le frullavano nella mente e un senso di malessere alla bocca dello stomaco. “Non lo so, va bene? Non ho idea di quello che farei, non so niente!” svicolò, sulla difensiva. “Anzi, una cosa la so. Devi piantarla di darmi addosso e giudicare le mie scelte, Ray. È la mia vita, so io come gestirla. Tu restane fuori.”

Liquidandola in quel modo le aveva praticamente fatto capire che un’amicizia di anni non valeva niente per lei. Rachel pensava che ormai fossero una cosa sola, che si sarebbero sostenute a vicenda in quei momenti così difficili. Invece, ora la stava tagliando fuori dalla sua vita. Se non poteva intromettersi, infatti, non ne faceva nemmeno parte. Tentando di nascondere quanto fosse rimasta ferita dalle sue parole, assunse un’espressione neutra. “Tranquilla. Non mi avrai più tra i piedi.” concluse freddamente.

Il silenzio che si creò tra loro subito dopo fu spezzato solo dall’arrivo di Cordelia, che entrò proprio in quel momento. “Avete saputo della festa di stasera?” chiese allegra, senza curarsi delle loro espressioni cupe. “Evan mi ha appena invitata. Credo abbia un debole per me.” Lo disse in tono eccitato, ma in un certo senso sembrava come abituata alle avances maschili. “Non so se l’avete notato anche voi, ma qui c’è quasi una festa al giorno. È incredibile, non avrei mai immaginato che i cacciatori fossero un popolo così dedito al divertimento. Nelle storie che ci narravano su di loro apparivano sempre come esseri selvaggi e spietati. Ho dovuto ricredermi.”

Era un fiume in piena. Ormai aveva preso il via e loro non provarono minimamente a fermarla, talmente poco interessate a quello che stava dicendo, finché lei stessa non si accorse che qualcosa non andava.

“Cos’è accaduto?” chiese, mentre il suo entusiasmo andava spegnendosi. Poi sembrò realizzare. “Oh, cielo. Non ditemi che avete ricevuto cattive notizie sui ragazzi.” concluse spaventata, mettendosi una mano sul cuore.

Rachel avrebbe preferito continuare a ignorarla, ma si fece forza e finalmente la guardò. “No, loro non c’entrano stavolta. È una questione tra me e Claire. Ma abbiamo finito.”

Lei le rivolse un’occhiata eloquente, inclinando la testa da un lato. “Non avrete litigato di nuovo, spero.”

“Direi piuttosto che abbiamo chiarito.” precisò Claire glaciale. Con Rachel si scambiarono uno sguardo appena. C’era tristezza mista a risentimento nei loro occhi, il che confermò il fatto che fosse davvero finita.

Come prevedibile, però, Cordelia non colse la verità e si dimostrò entusiasta della cosa. “Meraviglioso! Sono felice che questa assurda faida tra voi si sia conclusa. Immagino che allora verrete alla festa stasera.”

Rachel le rispose con un mezzo sorriso, giusto per non essere scortese. In realtà, in quel momento era tutto fuorché in vena di festeggiamenti, ma del resto aveva bisogno di distrarsi ed evitare almeno per un po’ di rimanere a guardare la sua vita andare in pezzi. Quindi, perché no? “Sì, non vedo l’ora.” mentì.

Quando anche Claire le disse che sarebbe venuta, Cordelia non trattenne l’entusiasmo e iniziò subito a parlare delle modifiche che avrebbe apportato ai suoi vestiti per renderli più adatti e di quello che c’era da fare per rimediare alla "situazione disastrosa in cui si trovavano i loro".

La sua ingenuità era a dir poco invidiabile e Rachel non ebbe cuore di guastarla.
 
-o-
 
La serata era trascorsa come sempre all’insegna di musica e alcol nel villaggio degli Jurhaysh. L’anniversario della nascita della tribù era uno degli eventi più importanti e attesi dell’anno, e ogni cosa era stata organizzata nel migliore dei modi. Tutti ballavano e si divertivano, così quando circolò la voce che Jamaal avrebbe fatto un annuncio importante, la gente ci mise un po’ a radunarsi sotto il palco di legno allestito per l’occasione.

Anche Rachel era lì, accanto a Cordelia, aspettando che si facesse vivo. Per la verità, avrebbe voluto solo tornarsene a casa, ma ormai uscire dalla calca era praticamente impossibile. Durante l’intera serata, aveva tentato in tutti i modi di scacciare i cattivi pensieri, ma non ci era riuscita, al contrario di Cordelia che invece non aveva fatto altro che civettare con Evan e ridere a ogni sua battuta. A Rachel ricordava un tantino il Cedric prima maniera. Una volta arrivate, lo avevano incontrato insieme a Najat e i gemelli, e si erano unite al gruppo. Ma presto si era ritrovata in disparte, prestando a malapena attenzione a quello che dicevano.

L’unica consolazione era che anche Claire sembrava stare male. L’espressione vuota e distante sulla sua faccia gliene aveva dato conferma. Anche lei fingeva di partecipare, in realtà con la testa da un’altra parte. Che si fosse pentita di averla trattata in quel modo? Poteva essere, ma a Rachel non importava. Ormai le loro strade si erano divise.

La vista di Jamaal che saliva sul palco, sovrastando la folla, la distrasse da quei pensieri infelici. Dopo che un guerriero alle sue spalle gli ebbe passato una coppa di vino, la sollevò in alto e gridò qualcosa in arabo, come a voler fare un brindisi, e subito la gente lo imitò, ripetendo a gran voce la stessa parola. Vedere tutte quelle persone così unite nella loro cultura le fece uno strano effetto. Era qualcosa di raro, perlomeno nel mondo occidentale.

Finito il brindisi, Jamaal alzò le mani per ripristinare il silenzio. Poi parlò di nuovo. “Mia amata gente. Sono come sempre felice di trovarmi in mezzo a voi e ancora una volta ringrazio il dio Sole per avermi concesso l’onore di servirvi.

Per fortuna, lì accanto Kira provvedeva a tradurre per loro tutto quello che stava dicendo, altrimenti Rachel si sarebbe limitata a fissarlo come un pesce lesso, senza capire nulla. Nel frattempo, però, non si era accorta che un guerriero si era avvicinato a Najat, mormorandole qualcosa nell’orecchio e poi allontanandosi insieme a lei.

Questa sera ricordiamo e rendiamo grazie ai nostri antenati, che fondarono la tribù per difendere l’umanità dalla piaga degli algul, ma voglio cogliere l’occasione anche per fare un annuncio. Qualcosa per cui sono sicuro gioirete con me.” Detto questo, Jamaal fece un breve cenno con la mano a qualcuno che si trovava sotto al palco.

Non riuscirono a capire di chi si trattasse, finché Najat non lo ebbe raggiunto, affiancandosi a lui alquanto spaesata. Era evidente che neanche lei avesse idea di cosa sarebbe successo.
Intanto Kira traduceva le parole di Jamaal, che stava elogiando le abilità e il coraggio della ragazza, oltre che il grande valore dimostrato sul campo. Dopo un po’, la sua espressione si fece più cupa, mentre ricordava la perdita di numerosi guerrieri durante un grande battaglia di qualche tempo prima. Era chiaro che fosse un avvenimento rimasto nella mente di ogni membro della tribù, perché Rachel li vide rabbuiarsi dietro di lui. Qualcuno perfino piangere.

Jamaal parlava e la voce di Kira continuava a seguire la sua, quando d’un tratto si fermò e la guerriera rivolse un’espressione sgomenta al palco. Rachel la imitò, chiedendosi cosa potesse aver detto per farla restare di sasso.

Io non posso riportare indietro i nostri cari, ma posso rendere onore alla loro memoria. E intendo farlo concedendo a Najat di portare il mio nome. Se lo vorrà.” concluse Jamaal.

Accanto a lui, la ragazza gli stava rivolgendo uno sguardo allibito, lo stesso che avevano anche tutti gli altri.

Rachel sentì Cordelia chiedere a Kira: “Che cosa ha detto?”

La guerriera sbatté un paio di volte le palpebre per riprendersi dalla sorpresa, prima di rispondere. “L’ha riconosciuta come parte della sua famiglia.” spiegò, senza staccare gli occhi dal palco. “È come se ora lei fosse sua…figlia. E quindi sua erede di diritto.”

La rivelazione lasciò Rachel basita per un momento. E non fu l’unica.

“Figlia?” ripeté Cordelia, storcendo il naso. “Ma avranno quasi la stessa età.”

Il suo commento, però, rimase nel vuoto, perché l’attenzione generale si era già spostata su Najat. Ogni singola persona presente pendeva dalle sue labbra per vedere cosa avrebbe deciso.
Dal canto suo, lei non sembrava ancora essersi ripresa dallo shock. Continuava a guardare Jamaal, quasi ad aspettarsi che da un momento all’altro tutta la storia si rivelasse uno scherzo; invece, lui le sorrise benevolo.

Così, dopo aver realizzato che era tutto vero, annuì debolmente. “Ne sono onorata.

Per dimostrare la sua approvazione, Jamaal le mise una mano sulla spalla, mentre con l’altra sollevava la coppa, rivolgendosi alla gente. “Bene, allora. A Najat!” esclamò, invitandoli a brindare con lui.

A Najat!” rispose la folla, per poi esplodere in un coro di applausi e grida di giubilo.

Erano ancora in pieno festeggiamento, quando un guerriero armato di tutto punto cercò di farsi largo a spintoni per raggiungere il palco. Alle sue spalle, i suoi compagni trascinavano due sconosciuti con le mani legate e le teste coperte integralmente da cappucci di stoffa. Quello strano imprevisto non catturò da subito l’interesse della gente, ma ben presto tutti gli sguardi furono puntati sui nuovi arrivati.

Qayid!” gridò il guerriero, ormai al cospetto di Jamaal, che scese rapido dal palco per raggiungere i suoi uomini, seguito a ruota da Najat.

Giunto davanti ai prigionieri, rimase a studiarli, mentre ascoltava il breve resoconto del guerriero sull’accaduto.

Dopodiché, fece cenno agli altri due di togliere loro i cappucci, rivelandone così l’identità.
 

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Capitolo 15
*** Ritorno - Parte 1 ***


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Capitolo 10 - Ritorno (Parte 1)

L’arrivo inaspettato dei guerrieri non aveva tardato ad attirare la curiosità della gente, che si accalcava attorno al palco per cercare di capire cosa stesse succedendo.

Nel trambusto generale, Rachel allungava il collo alla ricerca di uno spiraglio che le consentisse di vedere oltre quel muro di teste, senza accorgersi di aver lasciato indietro Cordelia e gli altri. Non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma sentiva come un presentimento, così si affrettò a raggiungere il centro della piazza, anche se con qualche difficoltà.

All’inizio il chiacchiericcio della folla copriva le voci di Jamaal e dei suoi uomini, ancora seminascosti ai piedi del palco; poi però, man mano che si avvicinava, riuscì a distinguere più nettamente le loro sagome e a capire quello che dicevano.

“Da dove venite?” sentì chiedere Jamaal in inglese. “Come siete arrivati fin qui?”

Rachel avrebbe riconosciuto tra mille la voce che rispose subito dopo.

“Veniamo da Bran. Ci tenevano prigionieri, ma siamo riusciti a fuggire.” spiegò Dean, mantenendo il suo consueto sangue freddo.

Jamaal stava per continuare a interrogarlo, ma a quel punto l’arrivo di Rachel glielo impedì.

“Mark!” gridò, uscendo finalmente dalla calca e precipitandosi verso di loro. Nell’esatto momento in cui lo abbracciò, tutto il resto scomparve. Era come se stesse vivendo un sogno, dal quale aveva il terrore di svegliarsi. Con gli occhi colmi di lacrime, gli prese il viso tra le mani studiandone ogni dettaglio per paura di averlo dimenticato. Aveva la barba di settimane e l’aria emaciata, ma per il resto era tutto esattamente come lo ricordava. “Sei vivo…” mormorò, non più in sé dalla felicità.

Dal canto suo, Mark la guardava come se non l’avesse mai vista prima. L’espressione fissa e incredula di chi
non crede ai propri occhi.

“Sei vivo.” continuava a ripetere Rachel tra i singhiozzi, come per convincersi, affondando il viso contro il suo petto. Non le sembrava vero.

Era talmente persa in quella felicità che a malapena sentì Jamaal rivolgersi di nuovo a Dean. “Che è successo ai miei uomini? Perché non sono con voi?” Dalla reazione di Rachel aveva chiaramente intuito chi si trovava di fronte.

“È stato uno solo a liberarci. Poi ci ha aiutati a lasciare il castello.”  spiegò lui pacato, dopo aver passato in rassegna i volti di ognuno di loro. “Degli altri non so nulla.”

Quella risposta non sembrò bastare né a Jamaal né a Najat, perché entrambi si scambiarono un’occhiata poco convinta. Poi il capotribù si rivolse a uno dei guerrieri alle sue spalle e ordinò qualcosa in arabo. Forse di rimandare tutti a casa, visto che poco dopo la folla iniziò a disperdersi. “Sarà meglio spostarci nella mia tenda.” dispose in seguito. “Lì potremo parlare tranquilli.”

Senza staccarsi neanche per un secondo da Mark, Rachel fece per seguirli, ma l’arrivo di Claire li costrinse a fermarsi di nuovo.

“Ehi!” li richiamò, raggiungendoli trafelata, seguita dagli altri.

Non appena vide Cordelia, il volto di Dean si illuminò come Rachel non ricordava di aver mai visto. Era a dir poco scioccato, come se non si aspettasse affatto di trovarsela davanti. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, non era padrone di se stesso.

Claire ignorò la cosa e rimase ferma impalata a fissare lui e Mark, gli occhi che saettavano da uno all’altro come per accertarsi che fossero davvero solo in due. Non ci mise molto ad accorgersi che mancava qualcuno, finché alla fine non raccolse il coraggio e fece la domanda di cui temeva la risposta. “Dov’è Cedric?”

In effetti, solo in quel momento Rachel si rese conto che i ragazzi non erano al completo. Prima si era talmente concentrata su Mark che non ci aveva nemmeno fatto caso. D’istinto, si rivolse verso di lui e lo vide farsi malinconico. Abbassò lo sguardo, ma non disse niente, evidentemente scosso al solo sentire il nome dell’amico.

Incredula, Claire si coprì la bocca con le mani, già convinta di aver capito tutto, ma Jamaal le impedì di giungere a conclusioni affrettate. “Devono essere successe molte cose, ma preferirei discuterne nella mia tenda. Venite.” sentenziò, per poi congedare i guerrieri che avevano trovato i ragazzi e invitando gli altri a seguirlo.

Una volta arrivati, ordinò che venissero portati cibo e acqua per rifocillare Mark e Dean, chiaramente provati dagli ultimi eventi e dalla permanenza nel deserto; poi si appoggiò al tavolo e incrociò le braccia, attendendo qualche minuto per dare loro modo di riprendersi. Era scuro in volto e si intuiva facilmente quanto dovesse essere preoccupato. “Dunque…” rifletté. “Raccontatemi dall’inizio come sono andate le cose.”

Con pazienza, Dean ripercorse gli avvenimenti a partire da quando Tareq era comparso nella sua cella, rimanendo scarso di particolari, ma comunque fornendogli un quadro completo dell’accaduto.
Per avvalorare il suo racconto, Mark si frugò nella tasca ed estrasse un oggetto, per mostrarlo a Jamaal. “Aveva questa con sé.”

“È la mia collana.” chiarì Rachel, riconoscendola all’istante. “L’avevo data a Tareq prima che partisse, ricordi?”

Lui annuì debolmente, scambiandosi una breve occhiata con Najat. “Quindi è arrivato vivo al castello. E poi cos’è successo?”

“E cos’è successo a Cedric?” si intromise Claire, che a tutto stava pensando fuorché all’incolumità di Tareq. Subito dopo aver parlato, si accorse dell’espressione di gelo che Jamaal le stava riservando, ma la risposta di Dean catturò di nuovo la sua attenzione.

“Ce ne stavamo andando, ma qualcosa è andato storto.” disse, prendendosi poi un momento per riordinare le idee. “Si sono accorti quasi subito della nostra fuga e ci hanno inseguiti nella foresta. Stavamo correndo e non mancava molto al portale, poi Cedric è inciampato. Volevamo tornare indietro a prenderlo, ma era tardi. I vampiri ci stavano addosso. Tareq ha detto di andare avanti, che ci avrebbe raggiunti con Cedric, ma evidentemente non è andata come aveva previsto.” Una decisa nota cinica era percepibile nella sua voce e tutto del suo atteggiamento lasciava intendere una freddezza esagerata, perfino per lui. Sembrava come infastidito dal fatto che Cedric, cadendo, li avesse rallentati. “Li stavamo aspettando quando i tuoi uomini ci hanno trovati.” concluse.

“Quindi lo avete lasciato lì a morire!” constatò Claire, sempre più sconvolta; poi si avvicinò a loro, inchiodandoli con uno sguardo colmo di lacrime. “Avete pensato solo a mettervi in salvo, mentre lui poteva anche restare dov’era.”

La pesantezza delle sue accuse schiacciò Mark, che abbassò lo sguardo amareggiato. Rachel conosceva bene quella sensazione, perché era la stessa che aveva provato dopo essere fuggita senza aspettarlo. Avrebbe voluto dire a Claire di andarci piano, ma qualcosa la frenò. La sua reazione si addiceva proprio al tipo di atteggiamento che aveva tenuto in quegli ultimi giorni. Incoerente e completamente illogica. Fino a poche ore prima considerava scontato che Cedric fosse morto e aveva avuto ben pochi problemi a farsene una ragione, mentre adesso la vedeva in preda al panico perché era rimasto a Bran. Per quanto ancora pensava di riuscire a far credere di non provare nulla per lui? Tutto ciò aveva sempre meno senso.

Sentendosi sotto accusa, Dean ebbe una reazione che nessuno di loro si aspettava. Si alzò in piedi e con aria minacciosa si avvicinò a Claire. “Siamo stati costretti a farlo. Non avevamo scelta, o lui o noi.” replicò, visibilmente irritato e, per la prima volta da quando lo conoscevano, davvero offeso.

Le sue parole portarono il gelo nella tenda. Tutti gli occhi erano puntati su di lui.

Claire rimase qualche istante a fissarlo, quasi per capacitarsi di quello che aveva detto. “Sei proprio un bastardo.” mormorò poi a denti stretti, pronta a colpirlo con una sberla. Ma i riflessi di Dean furono più rapidi e le afferrò il polso prima che potesse anche solo sfiorargli il viso.

Claire provò a divincolarsi, ma la sua presa diventava sempre più salda, fin quasi a farle male. “Mollami, str…” stava per insultarlo di nuovo, quando incrociò il suo sguardo e un groppo le serrò la gola. C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Il modo in cui la guardava. Sembrava quasi…famelico. La rabbia che poco prima la invadeva lasciò spazio a un senso di paura primordiale, già provato in precedenza, ma solo in presenza di Nickolaij.

Tutto durò pochi attimi. Il tempo di realizzare e Jamaal aveva già sfoderato la lama, puntandola alla gola di Dean. “Toglile le mani di dosso, vampiro.” gli intimò minaccioso.

Alla parola vampiro la reazione generale fu immediata. Najat si alzò di scatto, mettendo mano alla spada, da cui non si separava mai. Gli altri guerrieri presenti la imitarono, sguainando fulminei le loro armi, pronti alla difesa.
Non furono tanto le lame a scuotere Dean quanto le stesse parole di Jamaal. Fu come se si fosse reso conto solo ora di quello che stava facendo e mollò all’istante la presa sul polso di Claire, tornando se stesso. Per dimostrare di non essere pericoloso, alzò le mani in segno di resa. Aveva davvero avuto l’istinto di azzannarla, ma era durato poco. Per fortuna, sembrava ancora essere padrone di sé, altrimenti non avrebbe esitato. Sapeva che la sua coscienza sarebbe venuta a riscuotere più tardi.

Claire gli si allontanò, massaggiandosi il polso dolorante, mentre Jamaal e i suoi uomini continuavano a tenerlo sotto tiro.

“Stai bene?” le chiese preoccupato, rinfoderando la daga.

“No.” ribatté secca e, lanciato uno sguardo di puro odio verso Dean, girò i tacchi e lasciò la tenda.

Jamaal la seguì con lo sguardo fino all’uscita, per poi tornare subito su Dean. Senza alcuna paura di una sua reazione, gli afferrò il polso, mostrando a tutti uno strano segno sul dorso della sua mano destra. Come un ghirigoro, forse una lettera, incisa sulla pelle. Con aria soddisfatta si rivolse a Rachel. “Dopo il vostro arrivo, ho chiesto a Laurenne di potenziare gli incantesimi di protezione intorno al villaggio, in modo da sapere subito se un vampiro attraversa il confine. A quanto pare ha funzionato. Dovrò congratularmi con lei per l’ottimo lavoro.” Detto ciò, con un cenno fece capire agli uomini la prossima mossa, così loro si diressero verso Dean e lo bloccarono, mettendogli le mani dietro la schiena per impedirgli di muoversi. Non che lui accennasse a opporre resistenza.

Rachel non sapeva cosa fare. Forse ingenuamente, aveva sempre sperato di riuscire a tenere nascosta la natura di Dean, anche una volta arrivato al villaggio. Se avesse saputo dell’esistenza di un incantesimo che lo avrebbe marchiato e reso riconoscibile, si sarebbe decisa prima a rivelare tutto e a convincerli che potevano fidarsi di lui. Invece ora la reazione che aveva avuto con Claire e il fatto stesso che lo avessero scoperto potevano solo aver peggiorato le cose. “Fermi! Non vi farà del male, è nostro amico!” tentò di difenderlo, ma inutilmente.

“Ma è anche un vampiro!” replicò Jamaal furioso. “Particolare che immagino debba esservi sfuggito.” Poi, senza più degnarla di uno sguardo, ordinò alle guardie di portare via Dean, proprio nello stesso momento in cui Laurenne e Cordelia, rimaste indietro a causa della confusione, entravano nella tenda. Avevano incrociato Claire mentre se ne andava in lacrime e si erano precipitate per capire cosa stava succedendo.
Prima che i guerrieri lo trascinassero fuori, lo sguardo di Dean incrociò quello di Cordelia, ma lei ricambiò a malapena.

“Che significa tutto questo?” chiese Laurenne spaesata.

Jamaal non esitò a imporre la propria visione dei fatti. “Significa che le tue protette hanno portato un algul nel villaggio. Mi hanno mentito, lasciando che mandassi i miei uomini a farsi massacrare per salvare un vampiro. Uno sporco succhiasangue!” esclamò fuori di sé, battendo il pugno sul tavolo con tanta veemenza da farlo tremare, e alcune delle carte sparpagliate sopra caddero a terra.

Dapprima incredula, Laurenne si rivolse a Rachel. “È la verità?”

Il suo sguardo di rimprovero le fece male al cuore. Avrebbe preferito che quel giorno non fosse mai arrivato, per non dover aggiungere altri sensi di colpa a quelli che già aveva. Vergognandosi profondamente, abbassò gli occhi e annuì.

“D’accordo, è un vampiro. Ma è diverso dagli altri!” intervenne Mark a quel punto. “Mi ha salvato la vita. Era libero, poteva andarsene e lasciarci lì a marcire, ma non l’ha fatto. Non è come pensate che sia.”

Najat però non volle sentire ragioni e si intromise subito per dare man forte a Jamaal. “Silenzio! Voi vi siete prese gioco della nostra buona fede.” accusò Rachel. “Dopo che vi abbiamo accolte qui e trattate come parte della tribù…”

“Ho sbagliato, me ne rendo conto.” La interruppe lei, tentando di giustificarsi. “Ma se vi avessi detto della sua vera natura, non ci avreste mai aiutate.”

“Di certo non avrei messo in pericolo la vita dei miei uomini per salvare quella di un algul!” ribadì Jamaal.

Stavolta però Rachel non si fece trovare impreparata. “Non era solo la sua di vita a dover essere salvata. C’erano anche Mark e Cedric, e loro sono umani. A quanto so voi avete il compito di proteggerli.” gli ricordò con una punta di saccenza nella voce.

Non fu ben chiaro se per il suo tono o per il fatto che avesse colto nel segno, ma quella risposta ebbe l’unico risultato di far arrabbiare Jamaal ancora di più. “Non è questo il punto!” replicò, battendo di nuovo il pugno sul tavolo, talmente forte che Rachel temette stesse per rompersi.

“Jamaal calmati…” cercò di placarlo Laurenne.

“Tu lo sapevi?” le chiese in arabo, interrompendola. “Anche quando ti ho confidato che avrei mandato Tareq, tu lo sapevi?”

Laurenne lo guardò indignata. “Certo che no! Ma se dicono che è loro amico, perché non crederci? Arrivati a questo punto, perché dovrebbero mentire?

Ormai però non c’era verso di convincerlo. La rabbia e il risentimento verso qualcuno che considerava suo nemico giurato gli avevano annebbiato la vista, rendendolo incapace di giudicare razionalmente. Lui e la sciamana presero a discutere animatamente nella loro lingua, finché la voce concitata di un uomo che cercava di convincere le guardie a lasciarlo entrare non li costrinse a smettere.
Jamaal gridò qualcosa e uno dei guerrieri si affacciò all’interno, spiegandogli in breve il problema. Alla fine lui annuì, ritrovando almeno un po’ di calma, e in arabo diede disposizioni affinché lo facessero aspettare.

“Ora andate.” comandò poi a Laurenne. “Ma torneremo sulla questione.”

Lei annuì e, senza osare aggiungere altro, si diresse all’uscita insieme a Rachel e gli altri.
Sulla soglia, ancora alle prese con le guardie, trovarono il ben poco affabile padre di Tareq, che per un momento smise di discutere per rivolgere loro un’occhiata indagatrice, ma limitandosi a seguirli con lo sguardo mentre si allontanavano.

“Avreste dovuto dirmelo.” disse Laurenne visibilmente irritata e anche delusa, una volta fuori portata d’orecchio.

Rachel non ne fu sorpresa. “Io volevo farlo, ma non sapevo come avreste reagito. So quanto detestiate i vampiri e avevo paura che vi sareste rifiutati di aiutarci. Non potevo correre il rischio.”

“Sì, ma pensavo che di me vi fidaste. Se solo lo avessi saputo prima, avrei potuto parlarne a Jamaal e prepararlo. Sono molto delusa Rachel.”

Forse la ferì più quella frase che tutto il resto. Non era abituata a sentirsi dire certe cose, ma si rendeva conto di non poter pretendere che Laurenne capisse le sue ragioni. Se mentire su Dean era stato l’unico modo per riavere Mark, allora non se ne sarebbe mai pentita.

Con aria stanca, la sciamana si portò una mano sugli occhi, cercando di riflettere. “Adesso tornate a casa. Il tuo ragazzo ha bisogno di riposo e Samir è solo. Si starà preoccupando.”

“Tu non vieni?” le chiese Cordelia.

Lei scosse la testa. “Ho altro da fare. Ci vediamo più tardi.” tagliò corto, tornando poi a passo svelto verso la tenda.

Rachel pensò che volesse parlare di nuovo con Jamaal, ma non era sicura se per appoggiare la loro causa o trovare il modo di sbarazzarsi dell’incomodo una volta per tutte. Per ora non c’era modo di scoprirlo, così si diresse insieme agli altri verso casa.

Mentre attraversavano il villaggio, con le sue casupole di sabbia e mattoni crudi e le sue botteghe, Mark si guardava intorno, piuttosto spaesato. “Carino qui. Rustico…” commentò.

Rachel gli sorrise di rimando, raggiante di averlo di nuovo con sé. Era pallido e parecchio denutrito, ma era vivo e questo bastò a scacciare via tutti i brutti pensieri.
Arrivati quasi davanti alla porta di casa, trovarono Samir ad accoglierli.

“Dov’è mia madre?” chiese subito, correndo loro incontro.

“Tranquillo piccolo, sarà qui tra poco.” rispose Rachel benevola, spingendolo dolcemente.

Il bambino però stava già studiando il nuovo arrivato da capo a piedi, squadrandolo con sospetto mentre si faceva riaccompagnare dentro. “Tu chi sei?” chiese dopo un po’.

Intenerito, Mark stava per rispondere, quando Rachel lo precedette. “È il mio fidanzato.” spiegò, con una punta di orgoglio nella voce. Subito dopo, si scambiò con lui un’occhiata d’intesa.

Samir annuì, continuando a scrutarlo con curiosità mista a diffidenza. “È così magro.” constatò, abituato com’era a vedere guerrieri alti e muscolosi.

“Proprio per questo ora preparerò un bel pasto sostanzioso e nutriente, così che possa riprendersi un po’.” annunciò Cordelia tutta convinta, iniziando poi a darsi da fare in cucina. Il fatto che le piacesse cucinare la rendeva simile a Juliet, anche se lo aveva scoperto solo di recente. Essendo stata una vampira in passato, non doveva certo preoccuparsi dei pasti.

Mark si sedette su uno dei cuscini attorno al tavolo, imitato da Rachel e da Samir, che non gli staccava gli occhi di dosso. Sentendosi osservato, lui abbozzò un sorriso, cercando di non curarsi della cosa. A dire la verità, sembrava più infastidito nel guardare Cordelia affettare le verdure in tutta tranquillità. “Certo, potevi anche fingere di essere contenta di rivederlo.” esordì d’un tratto, non riuscendo più a trattenersi.

Sentendosi chiamata in causa, lei alzò gli occhi dal tagliere, guardandolo confusa. “Scusami?”

“E pensare che Dean si è quasi fatto ammazzare per te. Come fai a fregartene così?”

Rachel stava per intervenire e spiegargli come stavano le cose, ma Cordelia le parlò sopra. “Un istante…Tu chi sei, Cedric o Mark?” gli chiese, l’espressione concentrata nello sforzo di ricordare chi dei due stesse con Rachel.

Il viso di Mark passò dal seccato al perplesso nel giro di pochi secondi; poi, senza parole, rivolse a Rachel un’occhiata piena di domande.

“Lascia stare, è una lunga storia. Poi ti spiego.” mormorò lei, sventolando la mano. “Comunque lui è Mark. E fa attenzione, è allergico alle cipolle.” disse subito dopo a Cordelia, accorgendosi che le aveva prese dal cesto della verdura.

Lentamente, lei le rimise a posto. “Oh, buono a sapersi. Ebbene, lieta di conoscerti Mark.” disse sorridente.

Dal canto suo, lui non smise di fissarla come se fosse impazzita. “Piacere…mio?” la assecondò, per poi voltarsi subito verso Rachel. “Che diavolo le prende?”

“Te l’ho detto, è una storia troppo lunga.” ribatté con un sospiro. “Adesso devi pensare solo a mangiare e riposarti. Più tardi parleremo di cosa è successo da quando ci siamo separati.” Riusciva a stento a immaginare cosa lui e Cedric dovessero aver passato. Anche per loro era stata dura, lontane da casa e con il pensiero costante che potessero essere morti, ma non avevano certo trascorso le ultime settimane prigioniere in quell’orribile castello.

Mark annuì, d’accordo con lei. “In effetti, mi sento come se mi fosse passata sopra una schiacciasassi.” scherzò, sorridendo debolmente. Sorriso che ben presto si spense, per lasciare il posto a un’espressione malinconica.

Per Rachel era chiaro come il sole quanto stesse soffrendo e con la mano cercò la sua, nel tentativo di trasmettergli calore e comprensione. “Ehi, non è stata colpa tua...”

“Com’è potuto succedere?” mormorò Mark nello stesso momento, continuando a fissare il vuoto come se stesse ricostruendo la scena nella mente. “Stavamo scappando, eravamo tutti insieme. Anche Ced…Lui era subito dietro di me. Poi mi sono girato ed era a terra. Il mio primo istinto è stato di raggiungerlo, ma quell’uomo, Tareq…Continuava a gridare di correre, che ci avrebbe pensato lui…” Preso dalla disperazione, poggiò i gomiti sul tavolo e affondò la testa nelle mani, coprendosi il volto per la vergogna.

Sentirlo singhiozzare sommessamente, le provocò un dolore enorme, quasi da non poter respirare. Senza riuscire a trattenere le lacrime, si avvicinò a lui e lo strinse. “Non è colpa tua.” ripeté in un sussurro. “Non è colpa tua.”

“Vi prego, non fate così.” disse Cordelia, che per poco non scoppiò in lacrime dietro di loro. “Vedrete che andrà tutto bene. Cedric starà bene…”

Come prevedibile, però, i suoi tentativi di risollevare il morale non sortirono gli effetti sperati. Credere che a quel punto Cedric fosse ancora vivo e stesse bene era da poveri ingenui.
Per un po’ rimasero così. Rachel stretta a lui nel tentativo di calmarlo, finché Mark stesso non decise di darsi un contegno e si tolse gli occhiali, per asciugarsi le lacrime.

Proprio in quel momento entrò Laurenne, subito accolta da Samir che corse ad abbracciarla. “Mami!” esclamò, felice di rivederla.

Lei si chinò, tenendolo stretto e sussurrandogli qualcosa per rassicurarlo. Poi intuirono dovesse avergli detto di salire in camera, che era arrivata l’ora di dormire.
Non aveva fatto in tempo ad assistere alla scena, ma dovette capire qualcosa dalle loro espressioni stravolte. Comunque non disse una parola, prendendo a trafficare con la dispensa dove teneva tutte le sue erbe; ne prese un paio e iniziò a sminuzzarle in silenzio.

Cordelia intanto aveva finito di preparare la cena per Mark e, sempre sorridente, gli mise il piatto davanti. “Spero ti piaccia. È una mia ricetta e ci ho messo tutto il mio impegno.”

Approfittando del fatto che Mark stesse mangiando, Rachel si avvicinò a Laurenne, cercando una scusa per parlarle. Il vigore con cui stava tagliando quelle povere erbette la mise sull’avviso. Era evidente che fosse ancora arrabbiata. “Sono veramente dispiaciuta. Ho fatto un casino.” esordì.

“Sì, lo hai fatto.” concordò lei secca.

Rachel si aspettava quella freddezza e non se la prese. “Perdonami per non averti detto di Dean, ho sbagliato. All’inizio non sapevo quanto potessi fidarmi di te, ma ora lo so e giuro che non ti nasconderò più nulla.” Detto questo, rimase in silenzio, aspettando un segno di benevolenza da parte della sciamana, che infatti non tardò ad arrivare.

Laurenne sembrò rilassarsi e il suo sguardo si addolcì. “Posso immaginare cosa stessi provando. Forse anch’io non mi sarei fidata. È che mi sono sentita tradita dopo quello che ho fatto per voi. Così come Jamaal.”

“Sei tornata da lui?”

“Ovviamente. Non potevo lasciarlo da solo ad affrontare Cassim, non dopo la storia del vampiro. Storia che si è guardato bene dal raccontargli.”

Questo colse Rachel di sorpresa. Era strano che Jamaal non avesse denunciato Dean dopo averlo scoperto e soprattutto credendo che potesse essere stato la causa della morte di Tareq e degli altri guerrieri.

“Comunque, quello che avete fatto è molto grave e non credo proprio che Jamaal sarà disposto a fidarsi del vostro amico. Per ora è confinato in una delle nostre prigioni, ma non so dirti quale sarà il suo destino.”
precisò Laurenne, mentre il decotto di erbe iniziava a bollire. A quel punto lo travasò in una tazza, filtrandolo dagli ultimi residui rimasti, e lo diede a Mark. “Tieni, bevilo tutto. Non sarà una pozione miracolosa, ma almeno ti tirerà un po’ su.”

Lui la ringraziò, mandando giù un sorso, sotto il suo sguardo soddisfatto. Poco dopo, li informò che era stanca e che avrebbe raggiunto Samir di sopra.

“Vengo anch’io. La giornata è stata davvero lunga.” disse Cordelia, rivolgendo un ultimo sorriso a Rachel, che intuì dovesse averlo fatto di proposito per lasciarli soli.

Per un po’ non parlarono e lei rimase a guardarlo mangiare, per concedergli un momento di pace. Nonostante avessero mille problemi ancora da risolvere, il solo fatto che fossero di nuovo insieme bastava a ridarle speranza. Ora sapeva che in qualche modo se la sarebbero cavata.

Come se le avesse letto nella mente, Mark fece scivolare la mano sotto al tavolo per prendere la sua.

Rachel rispose all’istante e le loro dita si intrecciarono. D’istinto lo guardò e gli sorrise. “Non posso credere che tu sia qui. Ho paura che questo sia solo un sogno e che da un momento all’altro mi sveglierò senza trovarti…”

Lui però la interruppe, mettendola a tacere con un bacio. Un bacio sentito, appassionato, che compensava tutto il tempo trascorso separati. Si erano scambiati altri baci prima di allora, ma mai nessuno avrebbe potuto essere paragonato a quello. Era tutto ciò che non si erano mai detti e anche oltre.

Dopo un’apparente eternità, Mark si scostò, guardandola intensamente negli occhi. “Sono qui. Sono reale.”

Con il cuore a mille, Rachel gli poggiò una mano sulla guancia, sentendola ispida. “Mi piace questo tuo nuovo look.” scherzò. “Ti dà un’aria da duro.”

Ridacchiando divertito, Mark le strinse la mano, accarezzandola con il pollice. Poi sembrò avere un’illuminazione. “Ah, quasi dimenticavo…” esordì, frugandosi nella tasca dei pantaloni. “Questa penso ti appartenga.”

Rachel lo osservò confusa, finché non lo vide tirare fuori la sua collana, facendogliela dondolare davanti agli occhi. Sorrise contenta nel rivederla. “Grazie, speravo tornasse anche lei.”

Lui le prese la mano e la girò sul palmo, per poi poggiarvi la collana e richiuderla sopra. “L’avrei difesa a costo della vita.”


 

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Capitolo 16
*** Ritorno - Parte 2 ***


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Ritorno (Parte 2)


La mattina seguente, Laurenne accettò di accompagnarli alla prigione dove tenevano Dean.

Mark e Rachel volevano accertarsi che stesse bene, oltre a discutere con lui delle prossime mosse da fare. La cosa più importante al momento era riuscire a convincere Jamaal a lasciarlo libero, ma Rachel sapeva che non sarebbe stato un compito facile. Laurenne aveva promesso il suo supporto, ma anche così non era sicura di ottenere qualche risultato.

Come se non bastasse Claire, l’unica a cui Jamaal avrebbe potuto dare retta, si era chiusa in se stessa dalla sera prima e di certo lei non l’avrebbe cercata. Era stata molto chiara quando le aveva detto di non intromettersi più nella sua vita. E poi la sua continua bipolarità l’aveva davvero stancata. Il giorno prima non le importava nulla di Cedric, se fosse vivo o morto, e il giorno dopo eccola a disperarsi per lui. Che si sentisse in colpa poteva anche capirlo, ma non intendeva assecondare le sue uscite di testa. Se avesse avuto bisogno, sapeva dove trovarla.

Arrivati alla prigione, la stessa dove le avevano rinchiuse al loro arrivo, trovarono un paio di guardie a sorvegliare l’ingresso. Come concordato prima di uscire di casa, Laurenne disse che il prigioniero era malato e chiese di poter entrare per visitarlo. Per fortuna, i guerrieri non avevano idea che fosse un vampiro. Gli unici ad esserne al corrente erano loro, Jamaal, Najat e i pochi uomini che erano nella tenda la sera prima, i quali ovviamente erano vincolati alla segretezza. Così, senza fare domande, i due li lasciarono passare.

All’inizio entrarono con cautela, non troppo sicuri che Dean fosse nelle condizioni di ricevere visite.

“Tranquilli. Non mordo.” li rassicurò poco dopo una voce ironica dalla penombra.

Rispetto alla luce accecante dell’esterno, dentro era molto più buio e gli occhi fecero fatica ad abituarsi.
Per ironia della sorte, Rachel si ritrovò in quello stanzone spoglio, privo di arredamento, a parte una panca e un giaciglio fatto di paglia. Alla fine riuscì a individuare Dean, in piedi in un angolo, perché alzò lo sguardo su di loro e i suoi occhi brillarono nella semioscurità. “Ehi.” mormorò sollevata, facendo per andargli incontro.

Laurenne però glielo impedì. “Aspetta, potrebbe essere pericoloso.”

“Non preoccuparti.” Scosse la testa, convinta del contrario e, raggiunto Dean, lo coinvolse in un abbraccio. Nonostante tutto, era davvero felice di rivederlo. “Come stai?”

Dean ricambiò, anche se in modo impacciato. “Considerando che non mi nutro a sufficienza da prima del plenilunio e che non faccio che passare da una prigione all’altra, potrei stare meglio.”

Rachel non poté fare a meno di sorridere. Le era mancata la sua ironia pungente. “Ti tireremo fuori.” gli disse, cercando di apparire risoluta.

Lui si sedette sulla panca, appoggiando i gomiti alle ginocchia e abbandonandosi a un sospiro. “A meno che non troviate qualcosa che mi permetta di nutrirmi, penso convenga a tutti che io resti qui.”

“Ma non esiste qualcos’altro che voi vampiri possiate bere al posto del sangue umano?” gli chiese Mark. “Che so, sangue di…capra? Di mucca?”

Il buio celava il volto di Dean, ma non serviva la luce per immaginare la sua espressione eloquente. “Vuoi  davvero che ti risponda?”

“Se è una vittima che cerchi non la troverai qui.” si intromise Laurenne piccata. “Dovrai andare altrove a sedare i tuoi istinti animali. Ammesso che tornerai di nuovo libero.”

Il tono della sua voce non lasciava spazio a dubbi su cosa pensasse riguardo a Dean e ai vampiri in generale, e Rachel ammise di esserne delusa. Credeva che almeno lei sarebbe riuscita a distinguere il singolo dalla massa, senza lasciarsi accecare dal pregiudizio, invece nelle sue parole c’era lo stesso disgusto e desiderio di vederlo morto che aveva letto nelle espressioni dei guerrieri nella tenda.
D’istinto spostò lo sguardo su Dean, meravigliandosi di scoprirlo per nulla risentito.

Lui infatti non rispose subito, limitandosi a osservare la sciamana come se la stesse studiando. Poi disse qualcosa di inaspettato. “Mi dispiace per qualunque danno ti abbiano arrecato i miei simili. Non ero presente, ma posso comunque immaginare e ti chiedo scusa. Spero un giorno di riuscire a farti capire chi sono, così che tu possa vedermi in maniera diversa.”

Quanto ebbero sentito li lasciò di stucco per alcuni istanti. Dal canto suo Rachel, dapprima spiazzata da quell’atteggiamento così insolito per il carattere algido e tirato di Dean, in seguito non poté fare a meno di pensare che potesse trattarsi di uno stratagemma per portare Laurenne dalla sua parte e convincerla della sua buona fede. Le suonava strano sentirlo scusarsi per azioni di cui non era direttamente responsabile, come se volesse espiare da solo tutte le colpe dei suoi simili.

Lei dovette sospettare la stessa cosa perché, dopo un’iniziale smarrimento, non diede segni di aver cambiato opinione. “Se pensi che questo basti a cancellare i vostri crimini…”

Dean però scosse la testa. “Neanche lontanamente.” la interruppe. “Ti sto solo chiedendo di non giudicare chi non hai avuto modo di conoscere.” concluse lapidario.

Detto ciò, seguì un altro momento di silenzio, prima che la sciamana replicasse: “Smetterò di giudicarti quando dimostrerai di non essere un mostro come gli altri. Fino ad allora, non ti aspettare fiducia da parte mia.” sentenziò, facendo poi per dirigersi all’uscita.

“Te ne vai?” le chiese Rachel.

“Ho dei veri pazienti da visitare. Sarò a casa per pranzo.” la informò impassibile.

Mark le rivolse un’occhiata insicura. “E le guardie?”

Una volta assicurato che ci avrebbe pensato lei, la donna abbandonò la casupola, lasciandoli soli con Dean.
Rachel gli si sedette accanto, abbandonandosi a un sospiro malinconico. “Mi dispiace per come ti ha trattato. Non ti conosce, non avrebbe dovuto…”

Lui però la fermò prima che andasse oltre. “Non pretendevo certo che mi accogliessero a braccia aperte. So cosa è stato fatto a questa gente, è normale che la pensino così.” la rassicurò.

“Credo che tu l’abbia colpita però.” osservò Mark riflessivo.

Dean abbozzò un sorriso di risposta.

“Non saresti dovuto finire qui. È andata decisamente in modo diverso da come avevo immaginato.” disse Rachel con una punta di frustrazione.

“Se pensavi di riuscire a tenerlo nascosto, sei stata ingenua.” replicò lui, senza mezzi termini; poi abbassò lo sguardo, con aria rassegnata. “Comunque, è probabile che glielo avrei detto io. Per come sono messo, non avrei potuto permettermi di girare tra la gente come se niente fosse. La verità sarebbe venuta a galla, prima o poi. Credetemi, è andata meglio così.”

“Che cosa ti hanno fatto?” gli chiese Mark a quel punto, intuendo che dovesse tenersi qualcosa dentro.
“Quando ti hanno portato via.”

Per l’ennesima volta da quando era lì, Dean riportò alla mente quanto accaduto dopo che lo avevano tolto dalla cella dove lo tenevano insieme a Mark e Cedric, ed ebbe un attimo di esitazione. Parlarne non avrebbe portato a niente e comunque non era mai stato tipo da melodrammi, ma alla fine si decise. “Quello che ho fatto…Intendo aiutarvi a fuggire da Bran, ribellarmi a Nickolaij, non poteva restare impunito. Sapevo che non mi avrebbe lasciato tranquillo a marcire in una cella.”

“Ti ha torturato?” chiese allora Rachel preoccupata, ricordando i lividi che aveva notato sulla sua faccia quando era arrivato.

Dean però non aveva voglia di continuare sull’argomento. Le ferite inferte dai colpi dei suoi aguzzini stavano ormai guarendo, molto più velocemente da quando Mary gli aveva fatto bere il sangue. Ora a tormentarlo era un diverso tipo di ferita. “Claire come sta?” chiese, cambiando discorso. “Il suo polso?”

“Lei sta bene.” rispose Rachel sbrigativa. “A parte il fatto che non rivolge la parola a nessuno da ieri.”

Dean annuì. Di certo non poteva biasimarla. “Mi dispiace di aver reagito in quel modo. Quasi non me ne sono reso conto. Quando mi ha aggredito, mi si è annebbiata la vista e non sono più stato in grado di ragionare.” si giustificò. La lunga prigionia, le percosse e la scarsa nutrizione dovevano aver inferto un duro colpo alla sua capacità di dominarsi. Capacità che comunque aveva conservato, altrimenti Claire a quel punto non sarebbe stata neanche più tra loro.

Rachel scosse la testa. “Tranquillo, vedrai che capirà.” minimizzò, tentando di deviare la conversazione da Claire. “Piuttosto, è a Jamaal che dobbiamo pensare. È vitale riuscire a convincerlo che non sei un pericolo pubblico.”

“Dovrete essere parecchio persuasivi. Non mi sembrava molto ben disposto.” ironizzò Dean.

Mark sospirò, incrociando le braccia. “Potrebbe convincersi della tua buona fede se gli spiegassi di persona chi sei e cosa hai fatto per noi.”

“Stai dando per scontato che voglia ascoltarmi.”

Rachel si intromise tra i due. “Conosco Jamaal. All’inizio non si fidava neanche di noi, per via della faccenda di Juliet. Voleva mandarci via, ma poi ci ha ascoltate…”

Dean però la interruppe. “La faccenda di Juliet?” ripeté senza capire. “Quale faccenda?”

La domanda la lasciò per un attimo interdetta. Era vero, lui non sapeva niente. “Giusto…” tentennò. Non sapeva da che parte cominciare, così decise di passare subito al sodo. “Juliet non è più Juliet. O meglio, è diventata un’altra persona.” disse in sintesi. Non che fosse la più esaustiva delle spiegazioni, ma di quello si trattava.

L’occhiata che Dean le rivolse era tutta un programma. Ovviamente non aveva idea di cosa stesse parlando e la squadrò come se avesse perso il cervello.

“Non so come sia successo, Laurenne ci sta lavorando.” Si affrettò ad aggiungere. “So solo che è così da quando siamo arrivate al villaggio.”

“Rachel che vuol dire che è un’altra persona? L’ho vista ieri sera ed era lei. Sono abbastanza sicuro di ricordare come fosse fatta…”

“Sì, sì fisicamente è lei, ma mentalmente è Cordelia Danesti. Una delle sorelle vampire che vivevano a Bran non so quanti secoli fa.” gli spiegò trafelata, lasciandosi trasportare dal suo stesso panico.

Quando Dean cercò conferma guardando Mark, lui annuì. “Lo so, anche a me sembrava assurdo all’inizio. Poi però le ho parlato e mi sono convinto.”

Dean allora tornò su Rachel. “Vuoi dire che Juliet è…”

“No, no! È ancora viva.” lo rassicurò, intuendo al volo dove volesse andare a parare. “Una delle poche cose che Laurenne è riuscita a stabilire è che l’anima di Cordelia ha preso possesso del corpo di Juliet, ma lei c’è ancora. Dobbiamo solo trovare il modo di farla uscire.”

Abbastanza sollevato, anche se non completamente convinto, Dean annuì; poi sembrò rifletterci sopra. “Hai detto che è successo dopo che siete arrivate qui…”

Quel discorso portò Rachel a un altro tipo di quesito. Era da parecchio che voleva saperlo, ma il fatto che lui non fosse lì per darle una risposta l’aveva costretta a restare nell’ignoranza. Ora però voleva sapere. “A proposito di questo. Potresti spiegarmi come abbiamo fatto a finire quaggiù, quando il portale avrebbe dovuto farci tornare a Greenwood?”

Con quella domanda sembrò cogliere nel segno, perché Dean smise di riflettere per conto suo e la guardò, in cerca della spiegazione migliore da darle.

Vederlo titubante la convinse definitivamente di quello che già sospettava. “Quindi tu lo sapevi.” constatò incredula. “Sapevi fin dall’inizio che quel portale non conduceva in America e ci hai mentito.”

Anche Mark interpretò il suo silenzio come una conferma. “Non posso crederci, hai detto che ci avresti riportato a casa! Lo hai giurato sulla tua vita!” esclamò sconcertato.

“Vero. Ma non ho mai specificato quando lo avrei fatto.”

Il suo cinismo e la sua faccia tosta li lasciarono esterrefatti.

“Se penso a tutto il tempo che io e Cedric abbiamo passato a tormentarci, mentre tu sapevi che le ragazze erano al sicuro e non hai proferito parola…”

A quel punto, però, Dean lo interruppe. “Aspetta un attimo, questo lo stai dicendo tu. Io non avevo idea che qualcuno le avesse trovate vive, tantomeno che fossero al sicuro.” precisò, punto sul vivo.

“Perfetto! Meglio ancora!” ribatté Mark, sempre più basito. “Ci stavi mandando completamente allo sbaraglio. Potevamo morire, te ne rendi conto?”

Dean annuì. “Tra una morte certa a Greenwood e una ipotetica nel deserto ho preferito la seconda opzione. Almeno avreste avuto una possibilità. La vostra città ormai sarà piena di vampiri, non potevo mandarvi di nuovo laggiù.” si giustificò.

Il suo ragionamento non faceva una piega, ma Rachel non sopportava il pensiero che avesse rischiato così tanto, giocando con le loro vite. “A questo avevo pensato anch’io. Ciò non toglie che avresti potuto dircelo.”

“Sì, avrei potuto.” confermò lui, restando calmo. “Ma poi avreste accettato di attraversare quel portale senza fare storie? Ricorderai la situazione in cui ci trovavamo. Non c’era proprio il tempo di stare a discutere.”

Come al solito aveva ragione e loro dovettero riconoscerlo, anche se a malincuore.

“L’unica cosa che rimpiango è non essere riuscito a farvi andare via tutti la prima volta.” disse con una punta di amarezza. “Forse a quest’ora sareste tutti qui.”

Mark dovette pensare che stesse insinuando qualcosa. “Con questo intendi dire che Cedric…” iniziò in tono preoccupato.

Dean però scosse la testa. “Sul momento ho creduto che si sarebbero sbarazzati di lui, ma poi ho avuto modo di riflettere a mente lucida.” Fece una pausa. “No, ho buoni motivi per pensare che sia ancora vivo.” concluse.

“E quali sarebbero questi motivi?” gli chiese Mark, che non sembrava sollevato.

Cercando di raccogliere i pensieri, Dean spiegò la sua teoria. “Quando Cedric è rimasto indietro e lo hanno raggiunto, ero certo che lo avrebbero ucciso lì, sul posto. A quel punto a cosa poteva servire ancora? Invece poi, riflettendo, ho capito che forse non è andata così.”

“Scusa, come fai a dirlo?” gli chiese Rachel confusa. “Non hai visto mentre lo catturavano.” Almeno questo lo aveva dedotto da quanto Mark le aveva raccontato. Lui e Dean erano scappati, lasciando che fosse Tareq a occuparsi di Cedric, e visto che nessuno dei due alla fine era tornato non c’era che da trarne le dovute conclusioni.

“Sì, invece.” replicò quindi Dean, rivolgendosi a Mark. “Stavamo per calarci nel pozzo, si è trattato di un attimo, ma l’ho visto. Un vampiro si è caricato Cedric in spalla, mentre Tareq menava fendenti. Nessuno gli ha fatto del male.”

Lui ci pensò su un istante. “Quindi secondo te Ced è di nuovo prigioniero?”

Dean annuì. “Se Nickolaij lo voleva vivo deve esserci una ragione. Lo conosco bene ormai, non lascia niente al caso.”

Anche a Rachel piaceva l’idea che Cedric fosse ancora vivo, ma non riusciva a trovarne la ragione. “Perché continuare a tenerlo in cella, consapevole che non potrà dirgli niente che non sappia già?” chiese confusa.

“Esatto. Di conseguenza, deve per forza servire a qualcos’altro.” Dean sapeva che stessero pendendo dalle sue labbra e poteva sentire gli sguardi di entrambi fissi su di sé. “Credo che durante la nostra prigionia Nickolaij abbia intuito in qualche modo la relazione tra Cedric e Claire, e che ora voglia sfruttare la cosa a suo vantaggio.” spiegò infine.

Rachel rimase interdetta. “Cosa c’entra Claire adesso?”

“Pensavo lo aveste capito quando l’ha rinchiusa da sola nella torre. È lei che vuole, non gli importa di nessun altro. Sospetto che Nickolaij intenda proporre uno scambio, è per questo che sta tenendo in vita Cedric.” Scambiare l’uno per l’altra. Questa era decisamente il genere di soluzione che Nickolaij avrebbe adottato. Senza porsi il problema delle ricadute psicologiche ed emotive, come se si trattasse di un semplice baratto tra oggetti, non tra persone.

Mark e Rachel rimasero a fissarlo per qualche secondo, ancora increduli.

“Ma non capisco il motivo. Perché quel pazzoide sarebbe così ossessionato da Claire? Cosa vuole…” Rachel non riuscì a completare la frase, che un’illuminazione la colse e in un attimo fu come aggiungere un nuovo tassello alla storia.

Mark si chinò verso di lei con aria preoccupata. “Ray?”

Rachel però non rispose, troppo occupata a raccogliere ed elaborare le idee che le vorticavano nella testa. Ripensò alle sorelle Danesti, a Cordelia e poi a Elizabeth, con cui sapevano Nickolaij aveva avuto una relazione a suo tempo. Ora lui voleva Claire, che guarda caso le somigliava in maniera incredibile. A quel punto, non fu difficile fare due più due.
Riemergendo dai suoi pensieri, rivolse un’occhiata allarmata a Dean, che pur nella penombra riuscì a notarla.

“Che c’è?” le chiese spaesato, ma non ci fu il tempo di dargli una risposta, perché di lì a poco uno degli uomini di guardia alla prigione si affacciò all’interno e ordinò perentorio qualcosa in arabo.

Non ci fu bisogno di sapere la lingua per capire che era da troppo che si trovavano lì e dovevano togliere il disturbo. Rachel rivolse un ultimo mezzo sorriso di conforto a Dean e poi si avviò all’uscita.

“D’accordo, ne riparleremo.” fece Mark, prima di seguirla. “Fino ad allora tu cerca di restare vivo.”

Dean annuì appena e, mentre lo guardava andare via, le sue labbra si piegarono in un sorriso sghembo.
Una volta fuori, si affrettarono ad allontanarsi, ansiosi di mettere quanta più distanza possibile tra loro e le guardie.
Quando furono abbastanza lontani, Mark si decise a chiedere chiarimenti. “Ora mi spieghi cosa ti è venuto in mente prima, quando parlavate di Claire? Stavi dicendo qualcosa e poi ti sei ammutolita.”

“Ricordi quando Claire non riusciva a dormire per via degli incubi?”

Lui annuì. Così iniziò a descrivergli quello che sapeva a proposito dei Danesti, una famiglia di vampiri vissuta secoli prima, acerrima nemica dei Draculesti, dinastia a cui invece apparteneva Nickolaij. Gli spiegò della sua storia con Elizabeth Danesti, di come l’avesse usata solo per arrivare a distruggere i suoi rivali e della somiglianza tra lei e Claire.

Man mano che raccontava, tutto iniziava a farsi più chiaro.
“Quindi mi stai dicendo che vuole Claire perché gli ricorda la donna con cui stava secoli fa.” constatò Mark alla fine. “Quel tipo è fuori di testa! Si somiglieranno anche, ma non sono la stessa persona. Come può pretendere che tra loro funzioni?”

Rachel scosse la testa, poco convinta. “Non lo so. Anche a me sembra assurdo, ma a quanto pare deve esserci di più della semplice somiglianza. E non riguarda solo Claire, altrimenti non si spiegherebbe neanche il cambiamento di Juliet. Ci sta sfuggendo qualcosa in questa storia, me lo sento. Il problema è cosa.” ragionò. Prima di venire interrotti, stava per parlarne con Dean, per vedere se ne sapesse di più.

“E che intendi fare con Claire? Le parlerai dello scambio e di tutto il resto?”

In cuor suo, Rachel si era già posta da sola questa domanda e al momento era molto poco propensa a guardare in faccia Claire, figurarsi parlarle. Nonostante si rendesse conto che lei aveva il diritto di conoscere la teoria di Dean sullo scambio, era anche vero che l’esperienza maturata in tanti anni di amicizia le aveva insegnato a diffidare delle sue reazioni, che spesso potevano essere imprevedibili. “No, lasciamo stare.” concluse infine. “In fondo, le nostre sono solo congetture. Per ora è meglio che questa storia rimanga tra noi, almeno finché Dean non sarà di nuovo libero. E poi in quest’ultimo periodo Claire è talmente fuori controllo che sarebbe capace di andare subito a Bran e farsi ammazzare.”

L’ultima frase le uscì con una punta di stizza, cosa che non sfuggì all’orecchio attento di Mark. “Colgo un leggero risentimento nella tua voce. È una mia impressione o tra voi è successo qualcosa?” chiese ironico.

Rachel arricciò le labbra in segno di disappunto. “Qualcosa è un eufemismo.”

Approfittò del tragitto rimanente per raccontargli in breve le varie discussioni avute con Claire, fino all’ultima che le aveva portate definitivamente a togliersi il saluto. Farlo fu liberatorio, in effetti, perché con Mark non aveva vincoli o freni di sorta, e poteva parlare liberamente di ogni cosa. Tranne naturalmente della tresca che Claire aveva avuto con Jamaal, segreto che, nonostante fosse arrabbiata con lei, non gli avrebbe mai rivelato. Così, quando alla fine arrivarono a casa, si sentì come svuotata.

Essendo quasi ora di pranzo, trovarono Cordelia impegnata ai fornelli, ma di Claire nessuna traccia. Mark le chiese che fine avesse fatto e lei rispose che per tutta la mattina era rimasta in camera, senza scendere neanche una volta per rassicurare che fosse viva.

“Sono ore che è rintanata là sopra da sola.” li informò Cordelia preoccupata. “Non ha voluto neanche mangiare.”

Il tono che usò era un modo evidente per far capire a Rachel che forse era il caso di andare a controllare, ma lei non ne aveva alcuna intenzione. L’ultima volta le aveva chiesto di restare fuori dalla sua vita e così avrebbe fatto. Con un gesto secco prese il proprio piatto e si sedette al tavolo. “Lasciala stare. Deciderà da sola quando è il momento di farsi vedere.”

Il pranzo andò avanti in silenzio; poi Rachel aiutò Cordelia a pulire e sparecchiare, come facevano sempre da quando erano lì. Laurenne era ancora fuori per il suo giro di visite ai malati e il minimo che potessero fare, dopo averle invaso la casa, era di aiutarla con le faccende domestiche.

La sciamana rientrò poco dopo, alquanto provata e stanca. Così Cordelia cercò di tirarla un po’ su facendole trovare il piatto pronto sul tavolo. Mentre mangiava, raccontò di essere stata da un’anziana signora del villaggio, le cui condizioni erano a dir poco critiche e che forse non avrebbe superato la notte.

Rachel la ascoltava, anche se in realtà era più preoccupata di qualcos’altro e a un certo punto la domanda le sorse spontanea. “E Dean? Anche lui non sta bene…”

“Ci ho pensato e forse ho trovato una soluzione al suo problema.” la interruppe Laurenne, rabbuiandosi di colpo al solo sentirlo nominare. “Ci lavorerò nel pomeriggio. Il vostro amico dovrà resistere un altro po’. E comunque non sono sicura che funzionerà.”

Il tono con cui lo disse era decisamente ostile, ma nessuno osò farglielo notare. Rachel non conosceva il vero motivo per cui Laurenne, sempre gentile e premurosa con tutti, fosse tanto prevenuta nei confronti di qualcuno che nemmeno conosceva. Gli Jurhaysh sembravano disprezzare Dean a prescindere, solo a causa di ciò che era. Un tempo anche lei la pensava così. Ora invece aveva imparato a distinguere il singolo dal resto del gruppo.

Tuttavia, non le andava di discutere anche con Laurenne, così pensò che la cosa migliore fosse uscire e lasciarla mangiare in pace, approfittandone per far visitare a Mark il villaggio. Con l’occasione avrebbe anche potuto comprargli dei vestiti che gli andassero bene, visto che quelli che indossava erano del defunto marito di Laurenne che, essendo stato un guerriero, portava almeno due taglie in più di lui.
Dopo aver girato per il mercato fino a tardi, fecero un salto veloce alle terme per permettergli di lavarsi come si deve e riprendersi un attimo da fatiche e preoccupazioni. Per fortuna, non c’era molta gente e non dovettero ignorare troppi occhi puntati addosso. Rachel ormai ci era abituata, lo facevano per curiosità più che per sospetto, ma per Mark sarebbe stato diverso.
Prima di rientrare, pensarono di fermarsi un po’ all’oasi a godersi il tramonto. Il sole non aveva ancora raggiunto il pelo dell’acqua, ma era già di un colore arancione intenso.

Lo sguardo di Mark si perse, mentre osservava il paesaggio davanti a sé. “Caspita. Se qualche mese fa qualcuno mi avesse detto che sarei finito in Arabia Saudita avrei chiamato il 911.” scherzò.

Rachel sorrise divertita e d’improvviso rasserenata dal suo immancabile ottimismo. “A dire la verità, mi sembra di vederlo solo ora.”

Lui le rivolse un’occhiata interrogativa.

“L’ultima volta che sono venuta qui ero con Claire e c’era un tramonto come questo.” si spiegò, dopo un sospiro. “Era bellissimo, proprio come adesso, ma non sono riuscita a godermelo perché ero troppo in ansia per te.” ammise malinconica.

Quando subito dopo Mark le prese la mano, avvertì un brivido lungo tutto il corpo e istintivamente abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate.
“Sono qui adesso e ti prometto che non ti lascerò mai più.”

Le sue parole le riportarono il sorriso. Doveva essere così, perché non avrebbe sopportato di stargli ancora lontana.
Rimasero così per un po’, in silenzio, guardandosi e basta; poi Rachel non ce la fece più e annullò la distanza che li separava. “Non sai quanto mi sei mancato.” mormorò, sospirando. 

Mark le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé. “Sì che lo so.” disse, mentre le posava un bacio tra i capelli.

“Ero così preoccupata. Saperti rinchiuso lì dentro, con la paura che avrebbero potuto…” Non riuscì a completare la frase perché il solo pensiero la fece rabbrividire.

Sollevandole il viso, lui la spinse a guardarlo negli occhi. “Anch’io ero terrorizzato, Ray. Non avevo idea di dove fossi e se stessi bene. Se dovessi elencare tutte le cose orrende che ho pensato potessero esserti capitate, non basterebbe una vita.” ironizzò. “Ma adesso siamo qui, insieme. L’avresti mai detto?”

Senza riuscire a smettere di sorridergli, dopo un po’ Rachel gli sfilò gli occhiali, per poterlo studiare meglio e riprendere confidenza con i tratti del suo viso. Alla luce del tramonto i suoi occhi erano di un color verde smeraldo stupendo. “Alla fine hai tenuto la barba.” constatò con piacere.

Il sorriso di Mark si trasformò in un ghigno soddisfatto, mentre la attirava a sé per i fianchi. “Sì beh, avevi detto che mi dava un’aria da duro…”

Rachel rise. Rise davvero. Forse per la prima volta da chissà quanto tempo. Sapeva che solo lui avrebbe potuto ridarle la gioia perduta. Gioia che arrivò al suo culmine quando la baciò. In quel momento esatto ogni preoccupazione svanì nel nulla e Rachel smise di pensare a qualunque altra cosa.
Quando Mark smise di baciarla, quasi ci rimase male e fece per protestare, ma non gliene diede il tempo.

Dopo averla guardata in un modo che non ricordava avesse mai fatto, la sorprese ancora una volta.
“Ti amo.” sussurrò, per poi restare in attesa della sua reazione.

Il suo cervello era quasi del tutto spento a causa del bacio, quindi Rachel impiegò del tempo per elaborare la cosa. Per diversi secondi rimase impalata a fissarlo come una perfetta idiota. Avrebbe voluto poter tornare indietro nel tempo a un attimo prima, per essere più preparata, ma ormai era fatta. La bomba era stata sganciata e ora toccava a lei. Per fortuna, Mark non sembrava offeso dal suo silenzio e continuò ad aspettare sorridente che si decidesse.

Sentendosi pronta, finalmente aprì la bocca per rispondere, anche se le parole le uscirono con più ritardo di quanto avesse previsto. “Anch’io ti amo.” Lo disse in tono un po’ traballante, ma non perché non ne fosse convinta, anzi.

Vederla così impacciata doveva essere molto divertente, oltre che raro, perché lui si mise a ridere, prima di chinarsi di nuovo per baciarla.
Stavolta Rachel non ebbe alcuna esitazione e lo lasciò fare, il cuore che le batteva all’impazzata. Felice come mai prima di allora, fece qualcosa che normalmente non le sarebbe passato neanche per la testa. Con un coraggio che neanche lei sapeva di avere, interruppe il bacio e si sedette sulla sabbia.
Senza smettere di guardarla, lui la seguì, come se le avesse letto nel pensiero e, una volta seduti l’uno accanto a l’altra, le loro labbra si unirono di nuovo, già stanche di stare separate.
In breve Rachel intuì cosa stesse per succedere, ma stranamente la cosa non le provocò nessuna ansia o ripensamento. Nemmeno quando la bocca di Mark si spostò sul suo collo. In quell’attimo tutto si fece confuso e sfocato, privo di ogni importanza. La sua presa sugli occhiali che gli aveva tolto si allentò, facendoli finire chissà dove accanto a sé.

Erano ormai sdraiati, quando lui si interruppe, guardandola adorante. Come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto. “Se vuoi che mi fermi…”

Rachel ricambiò lo sguardo, per un attimo incerta; poi fece segno di no con la testa e tornò a baciarlo. Era bastato quel momento di pausa perché la sua testa tornasse a lavorare frenetica. E se non fosse stata in grado? In fondo, per lei era la prima volta. E se fosse arrivato qualcuno? Mille paure nel giro di pochi secondi. Giusto il tempo di mandarsi al diavolo da sola e tornare al presente. Ci mise poco a rendersi conto che non le importava un fico secco di niente e di nessuno, a parte loro due.

 

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Capitolo 17
*** Mia carissima Claire ***


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Capitolo 11 - 
Mia carissima Claire


Era da poco passato mezzogiorno a Siviglia. Una giornata come tante, di comune vita cittadina, se non fosse stato che di comune non aveva nulla. Quella che fino a qualche ora prima era una ridente città spagnola, con i suoi colori, la sua luce e le sue architetture svettanti, adesso era ridotta a un unico, grande campo di battaglia. Lungo le strade c’era ancora chi combatteva, cercando strenuamente di difendere la posizione e portare in salvo qualche abitante, ma ormai era chiaro a tutti che la città era persa.
L’orda di vampiri aveva colpito nella notte, seminando il caos e sottomettendo gli abitanti, la maggior parte dei quali era già morta o fatta prigioniera. A nulla era servito l’intervento dei cacciatori, tardivo e poco efficace a parità di numeri.

Dal suo punto d’osservazione privilegiato sulla torre campanaria della Giralda, al riparo dalla poco amata luce del sole, Nickolaij posava lo sguardo sulla città, ormai ai suoi piedi. Le atmosfere dell’Andalusia lo avevano sempre affascinato ed era da tempo che progettava di assoggettarne la capitale. Un altro passo verso il compimento del suo destino. Presto il nome dei Draculesti si sarebbe impresso nella mente di ogni uomo, donna e bambino. L’era degli esseri umani stava tramontando, quella dei vampiri sorgeva.
Ora che finalmente Siviglia era in mano sua, però, avvertiva il solito senso di insoddisfazione, consapevole che nessuna delle sue conquiste avrebbe potuto compensare la perdita più importante. Con un gesto secco stappò la boccetta di vetro che portava sempre con sé e mandò giù tutto d’un fiato il suo contenuto. Il sapore era come sempre sgradevole, ma, come sempre, il suo corpo ne trasse beneficio e lui si sentì rinvigorito.
Rapito com’era da quei pensieri, prestò a malapena attenzione a ciò che gli diceva uno dei suoi, appena arrivato dalla piazza.

“Mio Signore.” Il vampiro s’inginocchiò al suo cospetto, nonostante gli desse ancora le spalle. “I cacciatori sono stati sopraffatti. La città è nostra.”

L’annuncio non lo toccò minimamente. Perché stupirsi di una cosa che già sapeva? Piuttosto, era altro che voleva sentirsi dire. Distolto lo sguardo dalla città, si voltò per potergli parlare direttamente. “Perdite?” chiese in tono piatto.

Non appena avvertì il suo sguardo su di lui, il vampiro abbassò gli occhi sul pavimento. “Minime da parte nostra. I cacciatori invece…”

Nickolaij vide un ghigno soddisfatto dipingersi su quel volto spigoloso, ma non ne fu compiaciuto. Anzi. “Le vite perse di quella feccia, anche se numerose, non valgono nulla in confronto a quelle dei nostri compagni. Manda qualcuno a raccogliere i loro corpi, voglio che tornino a casa con tutti gli onori.” dispose.

Il vampiro annuì, restando in attesa di altri ordini. Non l’aveva ancora congedato, perché restava da occuparsi dei superstiti tra le fila dei cacciatori. Quei selvaggi sfrontati andavano rimessi al loro posto.

“Mio Signore!”

Entrambi si voltarono, richiamati dalla voce di un altro vampiro, seguito subito dopo da due compagni che trascinavano per le braccia un prigioniero, di cui non fu difficile indovinare la provenienza per via del suo abbigliamento e dal colore della pelle. Tentava ancora di divincolarsi dalla loro presa, anche se invano. Ormai era troppo provato dalla battaglia e i vampiri troppo forti.

“Abbiamo il loro leader. Si nascondeva come un topo in una fogna.” lo schernì ghignante, buttandolo ai piedi di Nickolaij.

Il suo sguardo imperioso si posò su quella figura indifesa, che gli provocava più disgusto del pensiero di un plenilunio senza sangue. I cacciatori rimanevano l’unico ostacolo a frapporsi tra lui e il dominio totale, dunque l’odio che nutriva verso di loro era aumentato nel corso degli anni e non avrebbe potuto che aumentare ancora.
Inaspettatamente il guerriero non mostrò né paura né sottomissione, ma sollevò lo sguardo per incontrare il suo, affrontandolo con coraggio. Per un attimo si studiarono e basta; poi il prigioniero mormorò qualcosa in arabo, probabilmente un insulto, e sputò a terra.
La punizione fu immediata, senza che Nickolaij facesse o dicesse niente. Il vampiro che guidava gli altri due sferrò al prigioniero un colpo micidiale, tanto forte da mandarlo a sbattere con la faccia per terra.

Quando diede ordine di tirarlo su, aveva il naso grondante sangue e la parte destra del volto tumefatta, ma Nickolaij non mostrò il minimo segno di compassione. Senza scomporsi, si avvicinò all’uomo, mentre i suoi lo tenevano fermo, e si chinò verso di lui, sfilandosi gli occhiali da sole per poterlo osservare meglio. L’odore del sangue lo raggiunse subito, ma la sola idea di nutrirsene gli dava ribrezzo e non ebbe alcun tipo di reazione.

“Costui non è nessuno.” constatò, dopo averlo guardato negli occhi per qualche istante. Aveva paura. Anche se fingeva di non averne, lui poteva sentirla. “Forse era a capo di questa spedizione, ma non è il leader della tribù.”

Sentendosi sotto accusa, il vampiro iniziò a blaterare nervosamente giustificazioni che non gli interessavano, finché con un semplice gesto non gli impose di tacere. Quel misero essere umano non era di nessuna utilità e tenerlo in vita rappresentava solo uno spreco di spazio, così era rimasta una sola cosa da fare. Dopo avergli rivolto un’ultima occhiata di disprezzo, con un movimento fulmineo la sua mano penetrò nel petto del guerriero, strappandogli via il cuore prima ancora che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo.
Fu talmente rapido e improvviso da cogliere tutti di sorpresa. Per qualche secondo i vampiri rimasero paralizzati, mentre guardavano gli ultimi spasmi cogliere il corpo dell’uomo, che subito dopo si accasciò a terra inerte.

Restando impassibile, Nickolaij gettò il cuore in un angolo, per poi pulirsi sulla camicia del vampiro di fianco a sé. “Riservate agli altri lo stesso trattamento. Niente prigionieri. Questi animali non sono degni di entrare a far parte della mia Congrega.” Prima di dirigersi all’uscita, diede loro un ultimo ordine. “E radunate gli umani catturati. C’è una nuova casa che li aspetta.”
 
-o-
 

Era una splendida giornata di primavera, come se ne vedevano poche in Valacchia, e faceva anche stranamente caldo. I giardini iniziavano a coprirsi di fiori, mossi di tanto in tanto da una leggera brezza.

Cordelia chiuse gli occhi, lasciando che quel vento piacevole le accarezzasse il viso. Poco importava che avrebbe potuto scomporle l’acconciatura. Si sentiva troppo bene quella mattina per badare all’estetica.
Aveva convinto le sorelle a unirsi a lei per una passeggiata, visto che Margaret sarebbe partita da lì a poche ore.
“Quanto starai via questa volta?” le chiese, senza nascondere una punta di delusione. Aveva sperato che restasse almeno per l’arrivo del suo futuro cognato dall’Austria, oltre che per darle sostegno e infonderle coraggio in vista del matrimonio.

“Non so dirtelo con certezza.” rispose Margaret pacata. “Ciò a cui sto lavorando richiederà tempo e dedizione. Più del solito, a quanto sembra.”

Elizabeth storse il naso e sbuffò, come sempre annoiata da tutto quello che la sorella maggiore diceva o faceva. “Sai che novità.” borbottò, lasciando che soltanto Cordelia la sentisse. O almeno così credeva.

Margaret, infatti, fece finta di niente e continuò a passeggiare accanto a loro. “È vitale che io porti a termine la mia ricerca.”

A quel punto, Cordelia avvertì un moto di tristezza e si fermò, prendendole la mano. “Ogni volta che vai via sento un vuoto nel cuore, sorella. Vivo con la paura che possa accaderti qualcosa e che tu non faccia più ritorno.”

Rivolgendole uno sguardo amorevole, lei le strinse la mano. “Non devi temere per me. Io vi sono sempre accanto, anche da lontano. Le collane che vi ho donato sono come parte di noi e finché brilleranno ognuna saprà che l’altra sta bene.”

Cordelia ricambiò il sorriso, sentendosi quasi sul punto di piangere. L’amore che provava per le sorelle era immenso, impossibile da calcolare, ma il suo rapporto con Margaret era paragonabile a quello che si ha con una madre.

Con la solita aria scettica, Elizabeth prese tra le dita il ciondolo di zaffiro che aveva al collo. “Hai fatto una delle tue magie, non è vero?”

In risposta, Margaret spostò lo sguardo sulla sorella minore. “Diciamo che ho trovato un modo per rafforzare il nostro legame.” spiegò, mentre le sue labbra si piegavano in un ghigno leggero.
Di lì a poco, però, la sua soddisfazione lasciò il posto a un’espressione seria, accorgendosi di una figura che avanzava alle spalle della sorella.

“Cugine!” le chiamò, spingendo Elizabeth a voltarsi.

Cordelia riuscì a sentire Margaret sospirare di disappunto, prima di rivolgere un sorriso forzato al parente che meno gradiva. “Byron. Cosa ti porta qui?”

“Ho saputo della tua partenza imminente e volevo porgerti i miei saluti.” rispose, con il solito tono mellifluo. Sebbene si ostinasse a mascherare la sua pusillanimità con vestiti sontuosi e sgargianti, restava comunque il ramo più deludente della famiglia. Pur essendo figlio di sua sorella, perfino il Principe loro zio sosteneva che probabilmente Byron non avrebbe combinato molto nella vita. Non aveva alcun talento particolare, tantomeno prestanza fisica o valore in battaglia.
Nonostante ciò, i suoi modi di fare avevano sempre infuso un senso di inquietudine in Cordelia.

“La voce si è già diffusa vedo.” commentò Margaret, restando impassibile e altera come sempre in sua presenza.

“Come ben sai, cugina, nel castello è assai difficile mantenere un segreto. Ai nobili piacciono le chiacchiere, li distraggono dal dolce far nulla.”

-Come se tu non fossi uno di loro- pensò Cordelia annoiata; poi gli concesse un sorriso di cortesia, provvedendo a interrompere la conversazione sul nascere. “È stato un piacere vederti Byron. Ora perdonaci, ma vorremmo approfittare del poco tempo con nostra sorella prima che parta.” disse con il solito garbo, porgendo la mano in un gesto automatico.

Se pure si fosse risentito di quel rapido congedo, Byron non lo diede a vedere, chinandosi subito per baciarla. Alzato lo sguardo, i loro occhi si incontrarono e Cordelia provò una strana sensazione, quasi di paura.

In quel preciso istante, l’ambiente intorno divenne più scuro, come se il sole avesse abbandonato improvvisamente il giardino, sostituito dalle tenebre. Il cielo prese a vorticare, finché le sue sorelle non svanirono e lei si ritrovò da sola, faccia a faccia con Byron.
Il cugino le teneva ancora la mano, fissandola con un’espressione carica d’odio; poi, prima che potesse rendersene conto, la strattonò a sé, infilzandola dritta al cuore…
 
Seduta sulla sua branda nella camera immersa nel buio, ancora ansante e con la mano sul petto, Cordelia fissava il vuoto davanti a sé. Quell’incubo le aveva appena rischiarato le idee, riportandole alla mente quello che era successo secoli prima. Era stato suo cugino Byron, il suo stesso sangue, a colpirla a morte.

Dopo essersi accertata di stare bene, si voltò da una parte all’altra in cerca di Rachel, che dormiva profondamente a poca distanza da lei. Cercando di metterla a fuoco, Cordelia scese dalla branda, le gambe ancora tremanti per lo spavento, e la raggiunse.
Il ciondolo di rubino che portava al collo si alzava e si abbassava in sincrono col suo petto. Di colpo le balenò nella mente la voce di Margaret, così come altri dettagli del sogno, e provò l’impulso irrefrenabile di toccare la collana.
Come guidata dall’istinto, la sua mano si allungò verso Rachel e, non appena le dita entrarono in contatto con la pietra, una scarica elettrica pervase il suo corpo, mentre un bagliore rosso inondava la stanza. Spaventata, Cordelia ritrasse la mano e il bagliore scomparve, anche se la pietra continuò a brillare di una luce più fioca.

“Oh, cielo…” mormorò esterrefatta, portandosi la mano al petto. Senza stare a pensarci ancora, decise subito di svegliarla. “Rachel! Rachel!” la chiamò, scuotendola per una spalla.

Lei mugolò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi nella branda. Cordelia però continuava a darle il tormento, così alla fine fu costretta a svegliarsi.
“Che c’è?” chiese infastidita, tirandosi su a sedere. “Che diavolo ti prende?”

“Ho avuto un incubo.”

Rachel era talmente incredula da non riuscire nemmeno ad arrabbiarsi. E l’aveva svegliata per un incubo? Cosa aveva, cinque anni? “Torna a dormire, vedrai che ti passa…” le disse, facendo per rimettersi giù.

Cordelia però glielo impedì. “No, tu non capisci! Guarda la tua collana!” insistette, sempre più agitata, indicando l’oggetto che non smetteva di brillare.

Fu allora che Rachel se ne accorse. Senza riuscire a crederci, si stropicciò gli occhi e a tastoni cercò di recuperare gli occhiali per esserne più sicura. Inforcate le lenti, però, ebbe la conferma che non si trattava di uno scherzo della miopia. La pietra rossa della sua collana stava brillando, ma non come faceva di solito riflettendo la luce, anche perché lì dentro di luce non ce n’era. Sembrava più come se il bagliore venisse da dentro, dall’interno della pietra stessa.

Dopo essere rimasta impalata a fissarla per un po’, allungò il braccio e, molto poco gentilmente, prese a scuotere Mark, che dormiva della grossa accanto a lei.

Il ragazzo si svegliò di soprassalto. “No!” esclamò, riemergendo a sua volta da un incubo. “Non sono stato io, lo giuro…”

Le sue grida svegliarono anche Claire, che si mise a sedere di scatto. “Volete piantarla? Sto cercando di dormire!” Poi si accorse anche lei dello strano fenomeno e rimase a fissare la collana con aria spaesata.

A quel punto Rachel si rivolse a Cordelia. “Che significa tutto questo? È assurdo, com’è possibile che…”

“No, non è assurdo.” ribatté lei, cercando di mantenere la calma. “Stavo per dirtelo prima. Ho fatto un sogno…Anzi, a ben pensarci è probabile che fosse più un ricordo…”

“Cordelia…” mormorò Rachel a denti stretti.

“Giusto, scusami. Sto divagando.” si riscosse. “Nel sogno ero con le mie sorelle. Margaret ci stava spiegando come le collane che ci aveva donato fossero in qualche modo legate alle nostre stesse esistenze. Ora lo ricordo bene. Disse che fin quando avessero brillato, noi saremmo rimaste al sicuro.”

“Scusa, ma non riesco a trovare il nesso.” fece Mark, ancora poco lucido.

Cordelia sospirò frustrata. “Eppure è così semplice. Questa è la collana di mia sorella e sta brillando.” concluse, indicando Rachel.

Fu Claire ad arrivarci per prima. “Quindi Margaret…”

“Esatto! È ancora viva.”

Un silenzio tombale seguì quella rivelazione, all’apparenza tanto assurda, finché Rachel non si riscosse. “Ma che stai dicendo? Questa collana apparteneva a mia nonna, me l’ha regalata prima di morire. È nella mia famiglia da…praticamente da sempre. Come può essere legata a tua sorella?”

“Ecco, lo hai appena detto.” la interruppe Cordelia in tono trionfante. “Viene tramandata nella tua famiglia da generazioni, è fatta di un ottimo materiale e non si è mai rovinata in tutti questi anni.”

Rachel boccheggiò, ancora incredula. “Sì, ma…”

“Non so di preciso come sia giunta fino a te, ma di una cosa sono sicura. Quella è la collana di Meg.”

Mark però provvide subito a frenare il suo entusiasmo. “Aspetta un attimo. Io non l’ho mai vista brillare così, perché avrebbe cominciato proprio ora?”

“Perché l’ho toccata.” rispose lei, sicura di sé. “È l’ennesima prova che si tratta proprio della sua collana. Forse il legame che unisce me e mia sorella ha riattivato la magia. Non saprei…Non mi intendo affatto di queste cose, era Margaret la strega.”

Strega. Quella parola risuonò nella mente di Rachel senza che riuscisse ad attribuirle un significato razionale. Perché continuavano a bombardarla con magie, incantesimi con le rune, creature mitologiche, nonostante fosse da sempre convinta che tutto questo appartenesse alla fantasia? In un gesto istintivo, prese il ciondolo di sua nonna e lo rigirò tra le dita, studiandolo da vicino. Aveva sempre avvertito un forte legame con quell’oggetto. Era un ricordo, le dava conforto nei momenti difficili. Una delle poche cose che la teneva ancorata alla realtà. E ora se ne sentiva come tradita.

Tentando di raccogliere le idee, sospirò rassegnata. “D’accordo, facciamo conto che sia come dici tu. Che questa sia la collana di Margaret e che lei sia ancora viva. E con questo?”

Cordelia scosse la testa con aria sconsolata. “Potrebbe essere un suo piano per distruggere Nickolaij. Ha fatto in modo che la collana arrivasse fino a te perché vuole essere trovata. Vuole che la aiutiate.”

-Aiutarla in che modo?- si chiese Rachel, sempre più esausta. Cosa potevano loro contro quel mostro e il suo esercito di vampiri? Non avevano speranze. E poi perché proprio loro? Avrebbe potuto rivolgersi alla tribù, organizzare un attacco…Era tutto talmente assurdo che si stupì addirittura di averlo pensato.
 
“Un momento.” esordì Claire a quel punto. “Quando sognai la morte di Elizabeth, ricordo che lei disse a Nickolaij che lo avrebbe ucciso per vendicare le sue sorelle. Quindi Margaret era già morta da un pezzo…”

“No, non può essere.” Cordelia scosse la testa decisa. “Deve averlo ingannato. Meg era una strega potente, deve aver trovato un modo per sopravvivere. La collana non mente.” sentenziò risoluta.

Rachel, come gli altri, rimase in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Era la prima volta che la vedeva così sicura di sé e non aveva altri argomenti per ribattere. In quel momento nella sua testa regnava la confusione più totale.

Per fortuna, ci pensò Mark a riportare un po’ d’ordine. “Sentite, che ne pensate di tornare a ragionarci domattina? Avremo tutti la mente più lucida e riusciremo a venirne a capo.”

In effetti, quella sembrò a tutte la soluzione migliore, così ognuno tornò nella propria branda, cercando di godersi quelle ultime ore di sonno a disposizione.

Rachel si sdraiò di nuovo, senza smettere di stringere la collana e accoccolandosi di fianco a Mark, che sentiva già riaddormentarsi. Per quanto la riguardava, invece, era consapevole che non sarebbe stato altrettanto semplice.

Ne ebbe la conferma il mattino seguente, quando riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Si sentiva uno zombie. Per fortuna, quel giorno non avevano gli allenamenti.
Seminascosta dietro la tenda che separava il cucinino dalla stanza principale, prese dell’acqua dal secchio grande dove Laurenne teneva la riserva e la travasò in uno più piccolo, che poi utilizzò come lavabo per sciacquare le stoviglie della colazione. I primi tempi non era stato facile abituarsi all’assenza di acqua corrente ed energia elettrica, ma ormai era quasi del tutto normale. In fondo, poteva vantare già un po’ di esperienza dalle settimane di campeggio.
Aveva la mente così annebbiata che si accorse della presenza di Mark solo quando sentì la sua mano sfiorarle il braccio. Colta di sorpresa, trasalì leggermente, ma lui non sembrò accorgersene.

“Ti serve aiuto?” le chiese premuroso.

Rachel scosse la testa, accennando un sorriso. “No, ho quasi finito.”

Senza insistere, Mark appoggiò la schiena al bancone dove di solito cucinavano. “Hai l’aria stanca.” osservò. “Immagino che la storia della collana non ti abbia fatto dormire.”

Lei annuì, mentre asciugava una delle tazze con un panno.

“Non preoccuparti. Di sicuro ci sarà una spiegazione.”

Il suo ottimismo era come sempre da apprezzare, ma Rachel non ne era così convinta. L’unica cosa certa in tutta quella storia era il loro legame con le sorelle Danesti, che andava rafforzandosi sempre di più. Sembrava che tutto girasse intorno alla storia del loro passato, ma il motivo continuava ad esserle completamente oscuro. Non vedeva l’ora di poterne parlare con Dean, ammesso che Jamaal lo avesse fatto uscire da quella specie di prigione.

Il giorno prima lei e Mark avevano provato ad andare da lui per chiedergli ancora una volta di liberarlo, ma era stato loro risposto che era partito, in missione. Proprio il momento ideale. Intanto erano trascorsi due giorni e Dean era ancora là dentro, anche se per fortuna Laurenne gli aveva portato un intruglio miracoloso per tirarlo un po’ su. Una ricetta di sua ideazione, a sentire lei. Non era certa che fosse efficace, ma Rachel l’aveva comunque ringraziata, se non altro per l’interessamento. Il fatto che alla fine avesse deciso di aiutarlo, nonostante i suoi pregiudizi, era degno di Laurenne.

“Ray…” esordì Mark, riportandola alla realtà.

Persa in quelle riflessioni, non si era neanche accorta che tra loro era sceso il silenzio. Allora lo guardò.

“Riguardo a l’altra sera…” continuò esitante, ma serio. “Il fatto che non abbiamo più toccato l’argomento significa che va tutto bene?”

Quella domanda fatta così, sue due piedi, la spiazzò. Non era preparata. Tuttavia, conosceva già la risposta. “Sì, certo. Perché non dovrebbe?” Era la pura verità. Al solo ripensarci sentiva ancora le farfalle nello stomaco.

Il viso di Mark si rasserenò, probabilmente perché aveva percepito la sua sincerità. “È che non c’è stato modo di parlarne e volevo solo esserne sicuro. Allora torno di là…”

Rachel però non era soddisfatta di come si era conclusa la conversazione. Tutto troppo sbrigativo e lei ci teneva davvero a fargli capire l’importanza che attribuiva a quanto successo tra loro. La felicità che aveva provato era impossibile da descrivere. Senza dargli il tempo di andarsene, gli gettò le braccia al collo.

“No, resta qui.” sussurrò, quasi pregandolo; poi si sollevò sulle punte dei piedi, baciandolo con passione.

Nell’impeto Mark indietreggiò di qualche passo, ma rispose quasi all’istante, abbracciandola stretta. Le sue mani, dapprima salde intorno alla vita, percorsero i fianchi di Rachel fino alle scapole, finché non lo sentì attirarla a sé con una leggera pressione.

Averlo così vicino le dava un senso di pace e per un po’ rimasero incollati l’uno all’altra, completamente persi. Se non avesse dovuto respirare per forza, Rachel non si sarebbe mai staccata.
Pian piano il bacio si fece meno intenso, finché alla fine non si divisero, continuando però a guardarsi negli occhi. Mark le rivolse un sorriso bellissimo, ma non fecero in tempo a dirsi nulla perché qualcuno bussò alla porta, interrompendo il momento.

“E adesso chi è?” sentirono dire da Laurenne in tono un po’ ansioso.

Anche se a malincuore si separarono, cercando di ricomporsi, prima di andare a vedere.
Laurenne aveva appena aperto la porta e il volto serio di Najat fece capolino all’interno.

“Ma come, siete già tornati?” le chiese la sciamana, facendole segno di entrare.

-Perfetto. Quindi anche Jamaal è tornato- pensò Rachel trionfante. Anche Claire doveva aver avuto lo stesso pensiero, perché la vide d’improvviso farsi più attenta.

Najat annuì, restando impassibile. “Stamattina all’alba.”
Capendola al volo, Laurenne arricciò le labbra mentre la invitava a sedersi. “La tua faccia non lascia immaginare niente di buono.”

La ragazza però rifiutò l’invito. “Sono qui solo per portare un messaggio.” chiarì, per poi rivolgersi a Claire senza nascondere affatto il disappunto che provava nel farlo. “Jamaal vuole vederti. Ti deve parlare.”

La notizia le provocò un senso di agitazione. Non vedeva Jamaal né parlava con lui dalla sera dell’arrivo dei ragazzi. Chissà cosa voleva adesso. Comunque si alzò e Rachel fece subito per seguirla.

“Ottimo.” approvò decisa. “Anche noi dobbiamo parlargli e anche urgentemente.”

“Vengo con voi.” si aggiunse Laurenne, lasciando Samir con Cordelia e seguendo anche lei Najat fuori di casa.

Per tutto il villaggio si respirava una strana aria. Non c’era il solito va e vieni di gente e bambini chiassosi, ma un silenzio quasi totale. Solo qualcuno ogni tanto usciva nel cortile di casa per svuotare un secchio di becchime o dar da mangiare alle capre. Tutti però avevano la stessa espressione funerea di Najat, come se fosse successo qualcosa di brutto.

Arrivati al tendone di Jamaal, trovarono ad accoglierli uno spettacolo straziante. Una donna piangeva disperata, sostenendosi al braccio di un guerriero, mentre le figlie accanto a lei cercavano di farle coraggio. Laurenne ovviamente doveva conoscerla, perché le andò incontro per consolarla e al contempo cercare di capire cosa fosse accaduto. La donna riuscì solo a pronunciare un paio di parole in arabo, prima di accasciarsi in lacrime tra le braccia della sciamana.
Fu allora che videro scostarsi un lembo della tenda e Jamaal si affacciò all’esterno. Serio in volto, si avvicinò alla donna e, dopo averle posato la mano sulla spalla per consolarla, le mormorò qualcosa all’orecchio. Forse parole di conforto, perché lei si chinò subito a baciargli la mano, mentre Jamaal ordinava al guerriero di accompagnarla a casa insieme alle figlie.

Laurenne gli rivolse uno sguardo carico d’ansia e di domande, ma lui non si sbottonò più di tanto, facendo loro segno di seguirlo nella tenda. Dentro trovarono come sempre il fidato Abe, con Hati appollaiata su una spalla, e seduto poco distante qualcuno che non si sarebbero mai aspettati di vedere.

Quando li vide entrare, Tareq alzò lo sguardo, studiandoli uno a uno. Aveva due occhiaie profonde, ma l’aria ancora vigile, e la barba incolta. Si vedeva che non dormiva da parecchio e che era provato dalle disavventure di quei giorni. Accanto a lui c’era suo padre, probabilmente accorso subito dopo aver saputo del suo ritorno.

Cassim, posso chiederti di lasciarci?” esordì Jamaal in tono cortese, ma in realtà retorico.

Nonostante il suo carattere poco affabile, l’uomo sapeva riconoscere quando non era il caso di insistere, così diede un’ultima pacca sulla spalla al figlio e se ne andò.

Laurenne attese finché non fu uscito, poi non riuscì più a trattenersi. “Jamaal, che succede? Fareeda era sconvolta…”

“È stata una carneficina.la interruppe, abbandonandosi privo di forze sulla sua sedia. Gli algul hanno preso Siviglia e massacrato gli uomini che avevo mandato laggiù. Raakin era a capo della spedizione.” spiegò senza prendere fiato e continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé.

Non ebbe bisogno di essere più esaustivo, perché Laurenne parve afferrare al volo. Sconcertata, si coprì la bocca con la mano, incapace di credere a quanto aveva sentito.

“Comunque, non è per questo che vi ho fatti venire.” continuò lui, troncando il discorso sul nascere.

In cuor suo, Claire se ne sentì sollevata. Anche se quanto aveva sentito era terribile, l’ansia di sapere il perché Tareq fosse di nuovo lì e Cedric no la stava opprimendo. Il fatto che il guerriero fosse riuscito a scappare senza portarselo dietro non era un buon segno.

Era evidente che Mark stesse pensando esattamente la stessa cosa, perché la batté sul tempo. “Dov’è Cedric?” chiese allarmato a Tareq. Non l’aveva mai visto così scosso. “Avevi detto che avresti pensato tu a lui. Perché non è con te?”

“Frena, ragazzo.” lo bloccò Tareq, prima che potesse sommergerlo di domande. “È già un miracolo che io sia riuscito a cavarmela. Un altro giorno in quel posto e avrei perso la testa.”

“Sì, ma come hai fatto a fuggire?” intervenne Claire in tono accusatorio. “A quanto ne so ti avevano catturato. Ora come fai a essere di nuovo qui?” In qualche modo lo riteneva responsabile del fatto che Cedric fosse ancora prigioniero di quel mostro di Nickolaij.

Al guerriero sfuggì un ghigno di finto divertimento, come a volerla schernire. “Infatti non sono fuggito, mi hanno lasciato andare.” rivelò, tra lo stupore generale. Soltanto Jamaal e Najat non ne sembravano sorpresi, evidentemente già al corrente dell’accaduto. Poi Tareq si frugò in tasca alla ricerca di qualcosa, traendone poco dopo un rettangolo di carta ripiegata e porgendola a Claire. “Mi è stato detto di consegnarla a te.”

A dir poco spiazzata, lei impiegò qualche secondo a realizzare e, solo dopo aver capito che si trattava di una lettera, la prese con mano tremante. Quando la ebbe sotto gli occhi, vide che la busta era sigillata da un timbro di ceralacca con impressa la figura di un drago rampante e fu subito chiaro chi fosse a mandarla.
Senza riuscire a controllare il tremore delle mani, infilò il pollice nell’apertura, rompendo il sigillo e liberando il foglio di carta all’interno. Una volta dispiegato, lo mise alla giusta distanza e iniziò a leggere…

 
Mia carissima Claire,
sono trascorse diverse settimane dall’ultima volta che ci siamo visti e mi auguro con tutto il cuore che tu stia bene. Mi ha addolorato molto sapere della tua fuga, poiché credevo di aver chiarito che non fosse mia intenzione nuocerti in alcun modo. In ogni caso, se con il mio comportamento ti ho fatto intendere il contrario, ti prego di accettare le mie scuse più sincere.
I recenti avvenimenti sono stati per me fonte di grande riflessione. Mi sono reso conto di aver peccato di superbia ed eccessiva sicurezza nel pretendere da te ciò che non potevi darmi: la tua stima e la tua fiducia. Entrambe non sono qualcosa che si può ottenere senza la possibilità di conoscersi a fondo.
Ebbene è questo che ora desidero offrirti e intendo darti finalmente la vita che meriti. Una vita al mio fianco.
Per meglio invogliarti, propongo una soluzione equa e che spero ti soddisfi. Immagino che il giovane ragazzo attualmente mio ospite non significhi nulla per te, tuttavia non penso sia giusto farlo soffrire ancora. Così il modo migliore e meno doloroso per tutti di chiudere la questione ritengo debba essere lasciarlo libero. Questo naturalmente avverrà solo nel caso tu decida di accettare la mia offerta.

Con la speranza che ti sia gradita, attendo tue nuove. A presto.

N

P.S.: So di chiederti molto e che da questa scelta dipenderà il tuo futuro, dunque ti concedo una settimana di tempo per decidere cosa fare.

 


Terminata anche l’ultima riga, Claire lesse e rilesse la parte che riguardava Cedric, sperando ingenuamente di trovarci qualche informazione in più. Il contenuto della lettera però restava sempre lo stesso. Da sadico quale era, Nickolaij non aveva lasciato trapelare dettagli sul suo stato di salute, a parte quel “farlo soffrire ancora” che la riempiva d’angoscia. Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto anche essere un imbroglio, un modo per farla cadere nella sua trappola. Ciononostante non avrebbe potuto tirarsi indietro e rischiare così di perderlo veramente.

“Insomma, cosa dice?” le chiese Mark, fremente.

Claire non aveva la forza di ripeterlo a voce alta, quindi si limitò a passargli la lettera perché si facesse da solo un’idea.
I suoi occhi scorsero sulle righe scritte in una calligrafia elegante, mentre anche Rachel accanto a lui leggeva. Alla fine,

Mark alzò lo sguardo, visibilmente provato. “Quindi se non vai lo ucciderà.” concluse, rivolto a Claire. “Dean aveva ragione.”

Dalla sua espressione, però, Jamaal non sembrava aver afferrato. In effetti, lui non sapeva nulla dell’ossessione di Nickolaij per Claire, né dell’ipotesi avanzata da Dean a proposito dello scambio. “Che significa se non vai? Andare dove?”

“Mi sta ricattando.” rispose lei in tono piatto, guardando altrove. “Vuole che vada a Bran e mi consegni. In cambio lascerà libero Cedric…”

“Devi far uscire Dean!” intervenne Mark, praticamente parlandole sopra. Il fatto che si stesse rivolgendo a Jamaal dandogli degli ordini non sembrava preoccuparlo minimamente. “Lui è l’unico che sa come entrare in quel castello senza essere visti. La vita di Cedric dipende da questo!”

Il suo tono lo infastidì, già nervoso per la faccenda di Siviglia, e Claire lo vide trattenersi dal reagire in malo modo. Fu Najat alla fine a parlare al posto suo. “Con che faccia tosta pretendete che torniamo laggiù, quando due dei nostri hanno sacrificato le loro vite? E per salvare un vampiro poi! Per una volta potreste anche accontentarvi.” ribatté sconcertata.

“Cosa?” fece Tareq spaesato. “Stai dicendo che ho rischiato la pelle per un succhiasangue?” Il suo sguardo esterrefatto passò da Najat a Jamaal, che però rimase in silenzio a riflettere.

“Non esiste che io lasci il mio migliore amico in balia di quel pazzoide!” replicò Mark più deciso che mai. “Non volete aiutarci? Benissimo, possiamo cavarcela da soli. Liberate Dean, così ce ne andremo e non ci vedrete mai più.”

A quel punto Laurenne, che era rimasta a osservare in disparte, intervenne. “Non pensarci nemmeno! È una follia.” poi guardò Jamaal, quasi pregandolo. “Diglielo anche tu.”

Vedendolo esitante, ancora perso nei suoi pensieri, Najat tornò alla carica. “Sai che non possiamo fidarci. È un algul! Per quanto ancora gli lasceremo respirare la nostra stessa aria? Dobbiamo giustiziarlo subito!”

“No! Dean è diverso!” lo difese Rachel, spaventata dalla possibilità che Jamaal potesse darle ascolto. “Ve lo giuro, è dalla nostra parte. Ci ha salvato la vita più di una volta. Se non fosse stato per lui, a quest’ora non saremmo nemmeno qui a parlare con voi.”

Mise tutta sé stessa per trasmettere quanta più sincerità possibile in quelle parole. Voleva veramente che le credessero, perché se Dean avesse pagato con la vita solo per il fatto di essere quello che era non l’avrebbe sopportato. Non meritava una fine simile. Non dopo aver rischiato tutto per aiutarli.

La sua angoscia era evidente e anche Laurenne la percepì, intervenendo subito per darle man forte. “Jamaal, ascoltami. So cosa sono gli algul. Anch’io ho perso tanto a causa loro e non pretendo di farti cambiare idea proprio adesso. Ti sto solo chiedendo di pensarci bene. Noi non agiamo così, non condanniamo a morte qualcuno con tanta leggerezza e questo tu lo sai meglio di chiunque altro.”

Najat scosse la testa con disapprovazione.

“Perché darsi tanta pena per quel vampiro e i suoi amici?” le chiese Tareq, guardandola con sfida mista a sospetto. “Si direbbe quasi che tu stia dalla parte sbagliata.”

La sciamana lo fulminò con una semplice occhiata. “Io sto dalla parte degli innocenti, a qualunque natura appartengano.” ribatté, mettendolo a tacere.

A quel punto Jamaal, stanco di sentire tutti quei battibecchi, si decise a porvi fine.

“Basta così.” si impose alzandosi e ottenendo così il silenzio e l’attenzione di tutti. “Ho bisogno di riflettere da solo, perciò potete andare. Vi farò sapere quando avrò deciso.” li liquidò, senza lasciar intendere nulla sulla sua posizione in merito.

Tutti i presenti non se lo fecero ripetere e uscirono dal tendone. Prima di fare lo stesso, Rachel si voltò, soffermandosi un attimo sulla soglia. Jamaal era chino sul suo tavolo con la fronte bassa, senza accorgersi che fosse ancora lì.

“Ascolta, posso capire che per voi i vampiri siano spazzatura, qualcosa da cancellare dalla faccia della terra, ma pensa a questo: Dean conosce il castello di Bran come le sue tasche, è cresciuto in quel posto. So che è difficile, ma prova a considerarlo un alleato, non un nemico. Potrebbe essere la tua unica chance per impedire a Nickolaij di fare altro male.”

Non ricevette risposta, né lui alzò la testa per guardarla, ma sperò comunque che il messaggio fosse stato recepito.
Fuori dalla tenda trovò Mark e Claire ad aspettarla. Laurenne era tornata al villaggio insieme ad alcuni guerrieri per offrire supporto alle famiglie delle vittime. Claire non sembrava molto presente e a malapena stava a sentire Mark inveire contro Najat per aver proposto di giustiziare Dean.

“Non si rendono conto! Senza Dean non c’è speranza di riavere Ced vivo.” si sfogò, nervoso come non l’aveva mai visto. “Ma non mi interessa cosa pensano. A costo di farlo evadere stanotte stessa, giuro che lo farò uscire da lì!”

Rachel gli prese la mano per rassicurarlo. “Calmati adesso. È meglio mantenere i nervi saldi.”

Lui sospirò, per poi annuire brevemente. “Hai ragione, è che non ce la faccio più a starmene qui senza fare niente.”

Quelle parole sembrarono colpire Claire, che si riscosse dal torpore. “Scusate, ho bisogno di starmene per conto mio.” mormorò, tenendo gli occhi bassi, per poi allontanarsi chissà dove.

Dapprima Rachel provò l’impulso di fermarla, ma subito dopo ricordò che era ancora furiosa con lei e l’orgoglio prese il sopravvento. Il caso volle però che la voce della sua coscienza corrispondesse a quella di Mark.

“Dovresti raggiungerla.” le consigliò. “Sono sicuro che ha bisogno di parlare, anche se dimostra il contrario.”

Per tutta risposta, lei storse il naso e gli rivolse un’occhiata eloquente, molto poco propensa a fare la prima mossa. In fondo, era stata Claire a chiederle di non intromettersi più nella sua vita.

Mark sospirò paziente. “Lo so, avete discusso e tra voi si è rotto qualcosa. Però sei proprio sicura di voler chiudere definitivamente un’amicizia che dura da anni? Fossi in te cercherei di recuperare in tutti i modi, prima di darmi per vinto.”

Rachel si concesse un momento per riflettere. Aveva ragione, come sempre del resto, ma le parole dure che si erano scambiate lei e Claire le risuonavano ancora nella testa. Non poteva fare a meno di pensare che se la fosse cercata, ostinandosi a credere che Cedric fosse morto, e adesso doveva anche tirarla su di morale? Tuttavia, era pur vero che le cose erano cambiate con l’arrivo di quella lettera e non poteva voltarle le spalle proprio ora, così alla fine si decise ad andarle dietro.

La rincorse lungo il sentiero che portava al villaggio. Per fortuna, non era andata lontano e la trovò quasi subito.

“Ehi!” la chiamò, raggiungendola di corsa.

Alzando gli occhi al cielo, lei si fermò. “Non sono in vena di ramanzine, per favore.” ribatté schiva.

“Non voglio farti nessuna ramanzina. Voglio solo parlare.” le disse, cercando di apparire calma e disponibile. Poi si guardò intorno e, individuato il posto adatto, la prese gentilmente per un braccio e l’accompagnò dentro una casupola che fungeva da magazzino per merci varie. Là nessuno le avrebbe disturbate.

Ignorando la sua espressione seccata, Rachel passò subito al sodo. “Claire, capisco come ti senti. Sai che è così. Ma isolarti dal resto del mondo non risolverà i tuoi problemi…”

“No, non lo sai.” la interruppe. “Non puoi sapere come mi sento, perché non è te che Nickolaij vuole. Se non fossi scappata quella notte, se fossi rimasta ora lui sarebbe soddisfatto e Cedric...nessuno di voi sarebbe coinvolto in tutto questo.”

Incredula nel sentire tante sciocchezze, Rachel incrociò le braccia, guardandola storto. “Certo, perché secondo te avremmo continuato a vivere come se niente fosse, mentre tu eri prigioniera di quello psicopatico. Mi pare ovvio.” ironizzò.

Senza sapere cosa replicare, Claire si abbandonò a un sospiro, per poi sedersi lentamente su una cassa di legno, stringendosi i gomiti con le mani. “Non so che fare. Come faccio a uscire da questa situazione?”

Rachel allora si rilassò, ormai certa di essere riuscita ad ammorbidire le sue difese. “Ti riferisci alla storia dello scambio, o c’è dell’altro?” chiese paziente.

Lei la guardò. “Sai a cosa mi riferisco.” Poi abbassò di nuovo gli occhi, malinconica. “Cosa c’è che non va in me? Perché quando penso di sapere quello che voglio succede sempre qualcosa che rimescola le carte e manda il mio cervello in paranoia?”

“Beh, vista la reazione che hai avuto alla notizia di Cedric credevo che ormai l’avessi capito.” osservò Rachel.

Claire scosse la testa, come infastidita. “No, no, è proprio questo il punto! Perché credi che abbia passato gli ultimi due giorni a tormentarmi?”

La domanda aveva un che di retorico, ma Rachel non riuscì ad afferrare al volo la risposta. “Perché…” tentennò incerta, invitandola a proseguire.

“Perché non lo so!” ribatté lei esasperata. “Non so cosa provo. O almeno non esattamente…”

La tentazione di mollarle una sberla fu davvero forte. Così forse sarebbe riuscita a chiarirle le idee. Pur sforzandosi, non riusciva proprio a entrare nella sua mentalità e capire quale strano motivo la spingesse a ragionare in quel modo.

“Scusa, come fai a non saperlo?” le chiese, cercando di restare calma. “Se ami qualcuno lo sai, non puoi essere tanto confusa. O lo ami o non lo ami.” Per lei quella logica era ineluttabile. Con Mark era stato così. Non aveva mai dubitato dei suoi sentimenti una volta realizzato di esserne innamorata. Perché nel caso di Claire era tanto diverso?

“Io lo credevo morto. Sul serio, ero convinta che non l’avrei più rivisto. E ci sono stata male, Ray, anche se non lo davo a vedere. Per un po’ ho cercato di andare avanti, ma ora che so che è ancora vivo si è complicato di nuovo tutto.”

Ecco che tornava a contraddirsi da sola. La testa di Rachel era sempre più in panne. “Mi spieghi qual è il problema? Se stai così male per una persona può esserci solo una ragione di fondo. Ammettilo e basta.”

Claire scosse la testa. “Non è come pensi tu…”

“E allora com’è?” le chiese esasperata. “C’entra Jamaal per caso? Non sai chi scegliere tra i due?”

“No, è più complicato di così. Voglio bene a entrambi, ma la verità è che non me la sento di scegliere. Te l’ho già detto, con Jamaal è stato solo sesso, mentre Cedric…” A quel punto esitò. “Non nego che abbia un certo effetto su di me, però ho sempre sentito il mio rapporto con lui come una forzatura, non come qualcosa di spontaneo.”

Rachel annuì, credendo finalmente di capire. “Quindi stai così male perché ti senti in colpa, non perché provi dei sentimenti per lui.” La sua era più che altro una provocazione, per vedere come avrebbe reagito.

Claire le rivolse un’occhiata esausta. “Credimi, vorrei tanto sapere anch’io cosa provo. Al momento so solo che voglio tirarlo fuori da lì, perché non merita di morire a causa mia.”

Su quel punto erano d’accordo, anche se Rachel continuava a non capirla del tutto. Comunque decise di non rigirare il coltello nella piaga, visto che era già abbastanza provata senza che lei ci mettesse del suo. “Ovviamente è escluso che tu ceda al ricatto di quel mostro, quindi l’unico modo per salvare Cedric è elaborare un piano con l’aiuto di Dean.”

“Pensi che Jamaal abbia intenzione di liberarlo?” le chiese con aria un po’ scettica.

Rachel sospirò. “Lo spero, altrimenti Mark indosserà un passamontagna e lo farà uscire lo stesso. A essere sincera, preferirei evitare.” scherzò, strappandole un sorriso.

Tornata seria, Claire la guardò e si intuì chiaramente che aveva qualcosa di importante da dirle. “Ray…” esitò imbarazzata. Non era mai stata brava con le scuse. “Mi dispiace per come ti ho trattata. Quello che ti ho detto…Non voglio escluderti dalla mia vita. Il fatto è che mi sono sentita attaccata…”

“E ti sei difesa, lo so.” la interruppe, completando la frase. Conosceva bene quella reazione. Era lo stesso meccanismo che sentiva scattare quando qualcuno provava a contestare le sue convinzioni. Forse era anche per questo che lei e Claire spesso si scontravano. “In fondo, un po’ è stata anche colpa mia. Ero talmente concentrata sui miei problemi da non avere voglia di fermarmi e ragionare su quello che ti stava succedendo. Sono partita prevenuta e ti chiedo scusa. Avrei dovuto ascoltare di più e criticare di meno.” ammise.

Claire sorrise ancora e per qualche secondo si guardarono. Dentro di sé ognuna sapeva cosa fare, ma stava aspettando che l’altra lo facesse per prima. Alla fine, Rachel non riuscì più a trattenersi e le andò incontro.

Come mossa dallo stesso impulso, Claire si alzò e rispose all’abbraccio. “Mi dispiace tanto.” sussurrò, tirando su col naso per non piangere.

“Lo so, è tutto okay.” la rassicurò, cercando di fare lo stesso. Ora che finalmente si erano riconciliate, sentiva che anche tutto il resto avrebbe potuto sistemarsi.

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Capitolo 18
*** L'accordo ***


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Capitolo 12 - L’accordo
 

“Basta, io torno da Jamaal!” sentenziò Mark deciso, dopo che avevano aspettato tutta la mattina un segnale da parte sua, qualcosa che facesse loro capire le sue intenzioni.

“Aspettate ancora un po’. Sono certa che vi farà chiamare presto.” cercò di placarlo Laurenne, purtroppo senza successo.

Mark le aveva già voltato le spalle, dirigendosi alla porta. “Mi dispiace, ma non c’è più tempo.” Detto questo uscì, seguito a ruota da Rachel e Claire.

“Forse Laurenne ha ragione. Non penso che sia il caso di piombargli addosso così. Potrebbe essere controproducente.”

Lui allora si fermò, voltandosi per guardarla. “Ced ha le ore contate, Ray. Non me ne starò qui ad aspettare che lo uccidano e questa gente non può trattenerci contro la nostra volontà. Perciò io vado. Se non volete venire, non siete obbligate.”

Lo sguardo che le rivolse era più determinato che mai e le trasmise la stessa forza. “Non dire sciocchezze, certo che veniamo con te.” ribatté, altrettanto decisa.

Così, insieme si diressero verso il tendone, con il preciso intento di chiedere per l’ennesima volta a Jamaal di liberare
Dean e lasciarli partire. Stavolta non se ne sarebbero andati senza aver ottenuto quello che volevano.

All’ingresso trovarono come sempre un paio di uomini di guardia, che non appena li videro sbarrarono loro la strada. Provarono a farsi capire, cercando in tutti i modi di convincerli a farli passare, ma niente. Continuavano a pararsi davanti all’entrata, senza neanche provare a nascondersi dietro la scusa della lingua. Non volevano sentire ragioni.
Alla fine, perfino Jamaal doveva averli sentiti protestare, perché la sua voce tuonò dall’interno, probabilmente chiedendo cosa fosse quel trambusto. Uno dei guerrieri si affacciò per metterlo al corrente, mentre l’altro impediva loro approfittarne per sgattaiolare dentro.

Non passò molto che l’uomo si voltò verso il compagno, dicendogli qualcosa. Da quel poco che riuscirono a decifrare, doveva aver ottenuto il permesso di lasciarli entrare.

“Era ora!” commentò Mark infastidito, superandoli e irrompendo nella tenda.

“Jamaal! Dobbiamo parlare di…” esordì Rachel fomentata, bloccandosi nell’istante in cui si rese conto di chi ci fosse insieme al capo tribù. “Dean.” Lui era lì. Tutto si sarebbe aspettata fuorché vederlo libero e apparentemente tranquillo, in piedi di fronte a Jamaal. Ovviamente c’era anche Abe a fargli da guardia del corpo.

“Stavamo giusto discutendo del mio rilascio. Volete unirvi a noi?” li informò, mantenendo il suo solito contegno.

Mark, Rachel e Claire rimasero per un attimo impalati a fissare quello strano trio, senza sapere cosa dire né cosa pensare, finché Jamaal non congedò i guerrieri con un gesto della mano.

Claire lo guardò perplessa. “Che significa?”

“Sapete, mi ha colpito l’ostinazione con cui avete difeso questo vampiro.” disse, improvvisamente più calmo di come lo avevano lasciato. “Ho riflettuto sulle vostre parole e devo ammettere di essermi fatto accecare dal pregiudizio.”

Rachel fece per parlare, ma lui la zittì alzando la mano. “Con questo non sto dicendo che ho cambiato idea sugli algul.

Soltanto che forse la rabbia mi ha impedito di vedere con chiarezza. Così, sono andato a trovarlo dopo che ve ne siete andati e abbiamo fatto due chiacchiere. Non credo a quello che sto dicendo, ma siamo arrivati a un accordo.” concluse, quasi con ironia; poi guardò Dean, come per invitarlo a continuare al suo posto.

Lui ricambiò lo sguardo, rivelando una strana complicità tra loro. Si intuiva che si fossero confrontati a lungo ancora prima di quel momento. Dal canto suo, Rachel ne fu sollevata. Non aveva idea di come avesse fatto, ma Dean era riuscito a trovare il modo di guadagnarsi la sua fiducia, tirandosi fuori dai guai da solo.

“Organizzeremo una spedizione di salvataggio. Aiuterò gli Jurhaysh a entrare nel castello e a portare via Cedric, ma ci vorrà del tempo.” spiegò.

“Quanto di preciso?” si informò Mark preoccupato.

Dean assunse un’aria riflessiva. “Ammesso che riusciamo a pianificare in fretta il tutto, serviranno almeno due giorni e al momento non posso assicurare che rimarrò concentrato.” ammise senza problemi. “Ho bisogno di un altro po’ di quella miscela se voglio restare lucido.”

Anche Jamaal sembrò rifletterci sopra. “D’accordo.” disse infine. “Ti permetto di andare, sei libero. Ma ricorda che ti tengo d’occhio, vampiro. Un solo passo falso e la tua testa cadrà.” lo avvertì, non nascondendo una punta di minaccia nella voce.

Dean annuì ancora, serio in volto. Poi insieme agli altri si diresse all’uscita. Fuori incrociarono Najat, che invece stava entrando. La ragazza lanciò a Dean un’occhiata di disprezzo, ma non disse niente e subito dopo sparì nella tenda.

“Simpatica eh.” commentò Mark rivolto a Dean, che comunque non sembrò interessarsene.

Quando entrarono in casa, non si aspettavano di trovarla immersa nel buio, le tende abbassate a coprire le poche finestre. Si riusciva a malapena a vedere dove mettere i piedi e tutto intorno regnava il silenzio. Solo dopo un po’, tendendo le orecchie, riuscirono a sentire una sorta di cantilena provenire dalla cucina.

“Ma che diavolo…” mormorò Claire spaesata.

Sembrava la voce di Laurenne e quando arrivarono ne ebbero la conferma. La sciamana era in piedi, con gli occhi chiusi e le mani levate verso l’alto, mentre ai suoi piedi c’era una piccola massa informe circondata da sassi incisi, collegati tra loro da una scia di polvere rossa distribuita in modo da formare un cerchio. Cordelia le stava accanto e assisteva rapita al fenomeno delle rune che si illuminavano come per magia al canto di Laurenne.

Alla vista dell’animale, Rachel ebbe un moto di ribrezzo. “È un topo quello?” esordì, distraendola di colpo dal rituale.

Le palpebre di Laurenne si spalancarono nell’istante esatto in cui la sentì parlare. Davanti a lei, la creaturina emise uno spasmo, per poi restare immobile.

“Accidenti, c’ero quasi stavolta!” imprecò, abbandonando le braccia lungo il corpo.

A quel punto Rachel si rese conto di aver interrotto qualcosa di importante, ma non fece in tempo a scusarsi che la sciamana stava già raccogliendo le pietre e mettendo in ordine, aiutata da Cordelia.

“Scusa se te lo chiedo, ma che stavate facendo?” domandò Mark, il cui sguardo si spostò dal topo collassato a loro due nel giro di pochi istanti.

Laurenne sospirò seccata, mentre provvedeva a liberare le finestre per far entrare di nuovo la luce. “Sono giorni che studio il modo per far riemergere l’anima di Juliet, ma è una procedura pericolosa e prima di farlo su di lei ho pensato di esercitarmi su qualcos’altro.” spiegò pratica. “Ora però la cavia è morta e dovrò catturarne un'altra. Con l’ultimo topo ci abbiamo messo ore.”

Rachel non poté fare a meno di pensare a lei e Cordelia acquattate dietro i sacchi delle provviste che cercavano di attirare il topo in una trappola. L’immagine aveva un che di comico. “Mi dispiace, è stata colpa mia…”

La sciamana sventolò la mano, facendole segno di non preoccuparsi, e fu allora che si accorse di Dean. Chiaramente non si aspettava di vederlo e la sua espressione cambiò, facendosi scura. “Mi sono persa qualcosa, a quanto vedo.” mormorò, tenendosi a distanza. “Jamaal ne è al corrente, spero.”

“È stato lui a venire da me.” le rispose, senza scomporsi nel vederla così diffidente. In realtà, non si scandalizzava mai di niente, neanche quando lo insultavano o lo guardavano come se volessero la sua morte. Cosa che facevano dal momento in cui era arrivato. “In cambio della libertà gli ho offerto il mio aiuto per entrare a Bran.” spiegò in breve.

La notizia sembrò avere un certo impatto su Laurenne, che per un attimo si limitò a fissarlo pensierosa, come se stesse elaborando ciò che aveva sentito.

I suoi pensieri erano talmente rumorosi che non fu difficile per Dean capire cosa le passasse per la testa. Era preoccupata che si insediasse lì. “Non temere. Capisco che la mia presenza non sia gradita e che non posso pretendere di soggiornare in casa tua come se niente fosse, perciò ti faccio una proposta: io cercherò di essere invisibile, in questo riesco piuttosto bene, e tu proverai a darmi un po’ di fiducia. Cosa ne pensi?”

La sciamana ci rifletté ancora un attimo, prima di annuire. “Non sarà facile, ma tenterò.” accettò poi.

Dean si mostrò soddisfatto. “Bene, prima però ho un paio di favori da chiederti. Mi servirebbe un’altra dose della tua miscela e poi avrei bisogno di un posto per lavarmi e darmi una sistemata.”

Mentre Laurenne faceva un salto alla sua tenda-laboratorio per prendere l’intruglio miracoloso, Dean ne approfittò per rimettersi in sesto, dato che tra la prigionia a Bran e quella nella casupola era trascorso circa un mese dall’ultima volta che si era fatto un bagno.

Quando tornò dal retro pulito e sistemato, con indosso gli abiti forniti da Laurenne, Rachel vide chiaramente Cordelia lanciargli occhiatine interessate. “Sono lieta che alla fine non ti abbiano giustiziato. Sarebbe stato un vero peccato.” gli disse infatti di lì a poco.

Per tutta risposta, lui le rivolse qualcosa che chiunque avrebbe stentato a definire sorriso. “Grazie.”

“Ecco qua, vampiro. È l’ora della pappa.” annunciò Laurenne di ritorno, versando il liquido semi denso e verdastro di un’ampolla in un bicchiere e porgendolo a Dean.

Visibilmente poco entusiasta della cosa, lui lo portò alle labbra e, dopo un sospiro per farsi forza, mandò giù il tutto in pochi sorsi.

“Non ha l’aria di avere un buon sapore.” osservò Rachel di fronte alla sua espressione compostamente disgustata.

Dean non fece commenti, ma la sua faccia bastava a rendere l’idea. Con un ultimo atto di fatica deglutì, per poi poggiare il bicchiere sul tavolo davanti a sé. Sembrava non vedere l’ora di disfarsene.

“Dunque, ora che sei finalmente libero che ne dite di festeggiare?” propose Cordelia allegra, per poi dirigersi in cucina senza neanche aspettare la loro risposta e tornando poco dopo con una bottiglia ancora immacolata di liquore ai datteri.

“Vuoi bere quella roba adesso?” Rachel alzò un sopracciglio, guardandola perplessa.

Lei fece spallucce e iniziò a versarlo nei bicchieri. “Perché no?”

Claire la guardò riempire il suo, per la verità molto poco propensa a festeggiare alcunché. Le parole di quella lettera continuavano a risuonarle nella testa e fece un grosso sforzo per imitare gli altri quando Cordelia propose un brindisi.

Dopo quello schifo, il sapore del liquore ai datteri fu un sollievo per Dean, che, una volta finito di bere, non perse tempo. “Allora, cos’è questa storia di far riemergere l’anima?” chiese senza mezzi termini a Laurenne.

La sciamana gli spiegò in poche parole quello che aveva scoperto esaminando l’interiorità di Cordelia e la sua intenzione di riportare indietro l’anima di Juliet intrappolata. Attraverso un rituale runico avrebbe tentato di separare le due entità, facendo emergere quella a cui il corpo apparteneva. “Il problema è che finora ho sempre provato su creature dotate di una sola anima, quindi non posso essere sicura che funzioni anche con Juliet. Rischierei di scegliere l’anima sbagliata e l’altra scomparirebbe per sempre.”

Tutti la fissarono allo stesso modo, terrorizzati all’idea, ma solo Rachel ebbe il coraggio di parlare. “Scusa, ma tutto questo tempo passato a studiare quelle carte non doveva servire a trovare una soluzione?” Nel suo tono c’era un che di accusatorio che suo malgrado non riuscì a nascondere.

“E infatti l’ho trovata.” ribatté Laurenne, punta sul vivo. “Resta il fatto che la magia delle rune non è una scienza esatta, soprattutto quando c’è di mezzo una vita umana. Devo esercitarmi ancora per riuscire a entrare in contatto con un’anima ed estrarla dal corpo. Poi tenterò con quella di Juliet, anche se nemmeno allora potrò andare a colpo sicuro. Ve l’ho detto, è un caso delicato e io non ero preparata ad affrontarlo.”

La sua sincerità non servì a rassicurarli, anzi, ma almeno li mise in guardia dalle possibili conseguenze che quel rituale avrebbe potuto avere.

Nonostante fosse preoccupato, Dean non insistette. “Va bene, prenditi il tempo che ti serve. Intanto ne approfitteremo per elaborare un piano che ci permetta di entrare a Bran e uscirne vivi.”

“Quindi tu e Jamaal siete d’accordo? Andremo a salvare Cedric.” gli chiese Mark speranzoso. “Come intendete fare?”
“Ancora non lo so. Come ho detto, dobbiamo lavorarci.”

Lui annuì. “In fretta però. Ced non resisterà lì dentro ancora per molto.”

“Lo so bene questo, ma non avrai mica creduto che saremmo partiti domattina.” replicò Dean, sospirando paziente.

“Comunque non agitarti. Mi è stato concesso giusto il tempo di darmi una ripulita, cominceremo presto a elaborare una strategia.”

Presi com’erano, non si accorsero che nel frattempo Cordelia aveva mandato giù un altro paio di bicchieri e si apprestava a riempirne un terzo. “Questo sì che ha un ottimo sapore.” approvò soddisfatta e ormai brilla, mandando giù l’ennesimo sorso.

“Ehi, vacci piano.” la rimbeccò Laurenne, togliendole il bicchiere di mano. “Non sei più un vampiro. L’alcol ha effetto su di te.”

Lei la fissò spaesata. “Giusto. L’avevo dimenticat…” Un singhiozzo improvviso le mozzò il fiato e imbarazzata si portò una mano alla bocca.

Mentre Mark cercava di trattenersi dal ridere, a Rachel sembrò di avere un déjà-vu e alzò gli occhi al cielo, sbuffando snervata. Poi si offrì di accompagnarla di sopra a stendersi un po’, visto che a stento riusciva a camminare dritta e di sicuro da sola sarebbe rotolata giù dalle scale.

Non appena l’ebbe messa a letto, riscese di sotto. “Quando questa storia sarà finita, Juliet dovrà pagarmi l’analista.”

“Ricordami come siamo arrivati a questo punto.” disse Dean, ancora perplesso.

Rachel si abbandonò su una sedia, sospirando esausta. “Te l’ho detto, nel deserto era ancora se stessa. Poi è svenuta e quando ha ripreso conoscenza diceva di essere Cordelia Danesti. Così, di punto in bianco.” spiegò di nuovo. Quanto alla motivazione, non avrebbe saputo fornirgliene nessuna.

Più che sul fatto in sé, però, Dean sembrò concentrarsi sul nome. “Le duchesse Danesti…” mormorò, come riportando alla mente conoscenze pregresse. “Conosco la storia.”

“Come sarebbe?” L’espressione stupita di Claire si spostò repentina su di lui. “Quando vi ho parlato dei miei incubi e delle sorelle mi hai quasi preso per matta.”

“Non potevo immaginare che ti riferissi a questo. E poi in quel periodo ero in incognito e se mi fossi messo a raccontare la storia dei vampiri dalle origini ai giorni nostri sarebbe risultato un tantino sospetto, non trovi?” replicò con la solita aria da maestrino, strappando a Rachel un sorriso involontario.

“Comunque, per inciso, tutti i vampiri sanno dell’antica rivalità tra Danesti e Draculesti, clan di cui Nickolaij è l’ultimo esponente. Per anni gli è stata inculcata l’idea che i Danesti avessero usurpato il posto che spettava alla sua famiglia, finché finalmente non è riuscito a sterminarli e a ottenere il dominio sulla Valacchia.” Ormai avrebbe potuto recitare quella tiritera a memoria, visto che per l’intera durata del suo regno Nickolaij aveva fatto in modo che il racconto delle sue gesta si imprimesse in maniera permanente nelle menti dei suoi seguaci. L’obbiettivo naturalmente era incutere paura e sottomissione, ma anche legittimare il suo diritto a governare su di loro. Non avrebbe potuto rischiare che qualcun altro si ribellasse al suo potere e tentasse di usurparlo.

Laurenne annuì. “La guerra tra Danesti e Draculesti è parte anche della storia della nostra tribù. I primi temevano di perdere e chiesero l’aiuto dei nostri capi, che concessero l’alleanza. Per qualche tempo insieme riuscirono a tenere a bada il nemico e a far durare la pace, ma poi arrivò Nickolaij…”

Claire sapeva bene cosa fosse successo. L’aveva visto in uno dei suoi sogni arrivare al castello e inginocchiarsi, fingendo di chiedere asilo. Degli eventi successivi aveva una visione frammentata, ma, conoscendo il finale, sufficiente a ricostruire i fatti. “È chiaro che mirasse a questo quando ha sedotto Elizabeth. Si è guadagnato la sua fiducia e lei lo ha portato esattamente dove voleva. L’ha usata e poi, quando non gli serviva più, se n’è sbarazzato.” concluse, sentendo montare la rabbia. Per qualche strano motivo si sentiva personalmente coinvolta in quella storia, forse a causa del suo legame con la più giovane delle sorelle Danesti.

“Aspetta.” la fermò Dean, guardandola interdetto. “Stai dicendo che Nickolaij aveva una relazione con una Danesti?”

“Ah giusto, volevo dirtelo l’altro giorno, ma non ho fatto in tempo.” esordì Rachel, riportando alla mente la conversazione che avevano avuto nella casupola. “A questo punto, credo che Nickolaij sia così ossessionato da Claire perché è identica a Elizabeth. Anche Cordelia l’ha scambiata per sua sorella la prima volta che l’ha vista.”

Lui abbassò lo sguardo, rimuginando sulle sue parole. Questa parte gli mancava e ora che aveva tutti i pezzi non impiegò che pochi istanti a metterli insieme e completare il puzzle. “Ecco di cosa parlavano…” mormorò, lo sguardo fisso nel vuoto mentre la sua mente ripercorreva velocissima ciò che aveva sentito al castello settimane prima, nascosto dietro la porta dello studio di Nickolaij. Questo spiegava tutto. La sua ossessione per dei perfetti sconosciuti, il fatto che lo avesse mandato a cercarli, l’annuncio di volersi sposare…Che fosse con Claire era stato il suo primo pensiero, viste le particolari attenzioni che le aveva riservato, ma poi quello strano discorso sul novilunio e l’esperimento…

Fu Mark a interrompere i suoi voli pindarici. “Di cosa parlavano chi?” gli chiese impaziente e anche un po’ allarmato.

Dean si prese altro tempo, per essere sicuro. Alla fine però dovette arrendersi. Tutto coincideva. “Al castello, prima di andare a liberare Claire, ho ascoltato per caso una conversazione tra Nickolaij e Byron, il suo necromante.” spiegò. “Discutevano di noviluni e poi hanno detto qualcosa a proposito di un trasferimento di anima. Ho intuito che parlassero di lei, ma niente di più. Ora invece tutto sta acquistando sempre più senso...” D’un tratto si interruppe, guardandola eloquente.

Dopo un attimo di spaesamento totale, Rachel diede fiato ai suoi pensieri. “Scusa, questa conversazione l’hai sentita prima di venire a liberarci, giusto? Perché diamine non ce ne hai parlato subito?”

“Per lo stesso motivo per cui non vi ho detto del portale. Sarebbe servito solo a mettervi in allarme e l’ultima cosa che volevo era avere gente intorno che faceva domande inutili.” ribatté Dean cinico.

Quel ragionamento odiosamente da lui ebbe l’unico effetto di farla imbestialire. Possibile che ogni volta pensasse solo a evitarsi delle noie, mentre a rimetterci erano sempre e solo loro? “Oh, scusa se le nostre domande ti danno fastidio! Dopotutto, c’è solo uno psicopatico che ci perseguita, che sarà mai?”

Stavolta Claire non poté fare a meno di essere d’accordo con lei. “E non hai pensato che almeno io avessi il diritto di saperlo?” gli chiese in tono accusatorio. Solo adesso iniziava a capire le vere intenzioni di Nickolaij e perché la volesse a tutti i costi. Non era solo per la somiglianza con Elizabeth, voleva che lei stessa diventasse Elizabeth.

Dean sospirò, cominciando a innervosirsi. “Ripeto, non era il momento opportuno. Come vedi, adesso che la situazione lo permette te lo sto dicendo.”

“Riassumendo. Nickolaij vuole usare Claire per far tornare in vita Elizabeth?” constatò Mark sconcertato.

“E credo che per farlo userà lo stesso metodo con cui intendo liberare Juliet, solo al contrario.” aggiunse Laurenne, dopo un momento di riflessione. “Il problema è che di solito due anime non possono vivere nello stesso corpo, quindi…” Le parole le si bloccarono in gola, mentre il suo sguardo si spostava su Claire, che capì al volo cosa volesse dire. L’anima di Elizabeth avrebbe potuto vivere nel suo corpo solo a patto che la sua…

Anche Rachel afferrò il concetto nel giro di pochi secondi e sentì il panico salire. “Scusa, e Juliet allora?” chiese a Laurenne, cercando un po’ di rassicurazione nei suoi occhi. Anche la sua anima conviveva con quella di Cordelia, eppure era ancora viva.

“Ho detto di solito, infatti.” rispose la sciamana. “Lei è un’inspiegabile eccezione.”

A quel punto, Dean si intromise tra le due. “D’accordo, sentite. Il fatto che abbiamo scoperto le sue intenzioni è un punto a nostro favore. L’importante adesso è impedirgli in ogni modo di arrivare a Claire…”

“Magari fosse così semplice.” lo interruppe lei amara; poi, quando le rivolse un’occhiata interrogativa, si frugò nella tasca e gli mise davanti la lettera di Nickolaij. Non se n’era più separata da quando Tareq gliel’aveva consegnata.

Dean la aprì e iniziò a leggere. I suoi occhi di ghiaccio scorsero veloci sul foglio, fino a soffermarsi sulle ultime righe. “Merda.” mormorò infine, in tono frustrato.
 
 
 

 

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Capitolo 19
*** Esilio - Parte 1 ***


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Capitolo 13 - Esilio (Parte 1)
 
Claire non avrebbe potuto resistere un minuto di più ad ascoltarli mentre discutevano della sua vita senza nemmeno interpellarla. Come prevedibile, Dean si era dimostrato il più pratico, ma la sua idea di utilizzarla come esca per distrarre Nickolaij e liberare Cedric aveva sollevato la reazione indignata di Rachel nel giro di un secondo. Naturalmente non avrebbero rischiato di metterla in pericolo. Bisognava trovare un’altra soluzione, qualcosa che la escludesse a priori, come se alla fine non fosse lei la diretta interessata. Nessuno che si fosse preso la briga di chiedere il suo parere.

Tutte quelle chiacchiere la stavano stordendo, rendendola sempre più agitata. Troppe novità, troppe emozioni in un solo giorno. Di colpo si era sentita soffocare e, in preda a un attacco d’ansia, aveva deciso di uscire per prendere un po’ d’aria, ignorando completamente i richiami di Rachel. Non sapeva dove, ma in quel momento l’importante era andarsene, trovare un posto riparato che le permettesse di riflettere per conto suo.

Aveva lo sguardo basso mentre camminava tra la gente, così non si accorse di aver appena superato Jamaal.

Lui al contrario la vide e, intuendo il suo stato d’animo, la fermò afferrandola per un braccio. “Ehi!” Claire si voltò a guardarlo, accorgendosi solo allora che si trattasse di lui. Di tante persone che avrebbe potuto incontrare…

“Va tutto bene?” le chiese preoccupato.

A quella domanda avrebbe voluto rispondere che no, non andava per niente tutto bene, anzi, la sua vita era solo un enorme casino dietro l’altro. Ma non era il caso di coinvolgerlo ulteriormente, soprattutto sapendo di averlo già usato come valvola di sfogo nei giorni precedenti, quindi tentò di divincolarsi per svicolare via. “Non è niente.” mentì.

“Raccontalo a qualcun altro. È chiaro che sei sconvolta.” ribatté Jamaal. “Non posso lasciarti andare in giro così, vieni con me.”

Claire non fece alcuna resistenza, permettendo che la trascinasse fino alla sua tenda. Non avrebbe avuto la forza di opporsi e forse in fondo non voleva. Entrati dentro, avvertì subito la sensazione di frescura dovuta al fatto che non si trovavano più sotto al sole cocente e si sentì già meglio.

Jamaal la fece sedere, per poi darle un bicchiere d’acqua. “Allora, cosa è successo?” le chiese serio, mentre la guardava bere. “Se è colpa del vampiro, non ci metto niente a ordinare che venga giustiziato…”

Claire scosse la testa. “No, è più complicato di così. Dean c’entra, ma non direttamente.”

La sua espressione chiedeva risposte, e lei era consapevole che, se non gli avesse detto la verità, non l’avrebbe lasciata uscire da quella tenda. Così gli spiegò il motivo per cui Nickolaij voleva lo scambio. Non scese nel dettaglio riguardo ai suoi incubi per non dilungarsi troppo, ma alla fine gli fece capire che tra lei ed Elizabeth Danesti esisteva un legame e che lui voleva usarla per riportare in vita il suo antico amore. Minacciare di uccidere Cedric era un pretesto per attirarla al castello senza fare la fatica di venirla a prendere. Il punto era che non si trattava solo di una minaccia e anche Jamaal lo sapeva.

Per un po’ rimase in silenzio, riflettendo su quanto aveva sentito. “Una situazione a dir poco complicata, devo ammetterlo.” concluse infine. “È normale che tu sia nel panico, Claire. Chiunque al tuo posto lo sarebbe.”

Ancora una volta si dimostrava comprensivo, nonostante lo avesse in qualche modo illuso, e in un attimo tornarono tutti i sensi di colpa. Da quando Dean e Mark erano arrivati con la notizia di Cedric, non aveva avuto il coraggio di affrontare l’argomento direttamente con Jamaal, per evitare di dover stabilire cosa rappresentasse per lei, se l’avventura di una notte o qualcosa di più. Ma adesso quel momento sembrava essere arrivato e si sentiva più impacciata che mai. All’improvviso ogni parola racimolata a stento nei giorni precedenti scomparve dalla sua memoria.

“Ascolta…” iniziò titubante, provando a improvvisare. “Volevo ringraziarti per tutto quello che stai facendo. Aver accettato di collaborare con Dean nonostante tutto…So che per te è un grosso sforzo.”

“C’è in gioco la vita di un innocente, non potevo fare altro.” replicò Jamaal in tono piatto. Forse aveva capito dove volesse andare a parare e d’un tratto il suo atteggiamento si era fatto più freddo. “Abbandonarlo andrebbe contro il nostro codice. Senza contare che questa missione ci permetterà di saperne di più sul castello e pianificare un attacco definitivo. Se Shamash sarà benevolo, riuscirò a eliminare quel maledetto dalla faccia della terra.” La sua mano destra si strinse a pugno mentre lo diceva, l’odio infinito che provava nei confronti di Nickolaij era evidente.

Claire annuì appena. Sperava davvero che ci riuscisse, ma al momento non era quello che le interessava chiarire con lui. “Jamaal riguardo alla reazione che ho avuto l’altra sera, quando ho saputo di Cedric…” esordì ansiosa. “Ero sconvolta, è vero. Ma non vorrei che tu pensassi…”

Con un gesto della mano, lui la fermò prima che potesse dire altro. “Non devi darmi nessuna spiegazione. Il tuo ragazzo è ancora vivo e hai capito che quello che c’è stato tra noi in fondo non ha significato nulla.”

Ecco. Esattamente quello che non voleva gli passasse per la testa. “No! Non è così, il punto è un altro.” replicò.

Il suo sguardo si posò su di lei e Claire riuscì a scorgere la sua tristezza, oltre allo scetticismo. Detestava essere sempre la causa dell’infelicità di qualcuno. Anche con Cedric era stato così. Piena di vergogna verso se stessa, abbassò gli occhi per non vederla riflessa in quelli di Jamaal.

“Il punto è che quando ho saputo di Cedric mi sono resa conto che stavo vivendo in una bolla. Il tempo passato qui è stato come trovarsi in una realtà alternativa, dove tutti i problemi sparivano. Ho addirittura pensato di restare e lasciarmi alle spalle la mia vecchia vita, di iniziarne una nuova…” E pensando ciò aveva mentito a se stessa, illudendosi e illudendo anche lui. Nonostante questo, continuava ad essere confusa. Non sentiva di aver tradito Cedric, perché tra loro non c’era niente di stabile, allora perché quando Jamaal lo aveva chiamato “il suo ragazzo” non lo aveva smentito? Cos’era Cedric per lei? Avrebbe dato qualunque cosa per capirlo.

“Se c’è una cosa che so è che non si può fuggire dal passato. Bisogna farci i conti, prima o poi.” disse Jamaal in tono distaccato, lo sguardo fisso altrove, e a Claire sembrò che parlasse più a se stesso che a lei. “Comunque, non preoccuparti.” Tornò a rivolgerle uno sguardo serio, con il chiaro intento di troncare la conversazione. “Con l’aiuto del vampiro spero di riuscire a salvarlo senza coinvolgerti.”

In un certo senso Claire se lo aspettava. Non aveva pensato nemmeno per un attimo che Jamaal avrebbe accettato di portarla con loro, come del resto anche gli altri. Nonostante ciò, non si sarebbe lasciata convincere così facilmente.

“Aspetta, io voglio essere coinvolta.” protestò incredula. “Mi sono allenata duramente solo per questo momento e adesso vuoi tagliarmi fuori? Anche se è pericoloso, voglio venire lo stesso.”

Lui però scosse la testa, risoluto. “No, mi dispiace. È la mia ultima parola.”
 
-o-
 
Seduto sul bordo del tetto della casa di Laurenne, Dean si godeva la vista del cielo e delle dune di sabbia in lontananza, rese dorate dal sole appena sorto. Faceva già parecchio caldo, ma la sua pelle era resistente al calore intenso e comunque dopo settimane rinchiuso al buio non gli sembrava vero. Finalmente la prigionia era finita e non si riferiva solo a quella recente. La sua era una prigionia che durava da anni, da poco più di un secolo a essere precisi, e che qualche tempo prima non avrebbe sperato di veder finire.
Invece, ora Nickolaij non era più padrone della sua vita. Avrebbe dovuto sentirsi euforico e in parte lo era, tuttavia, adesso che avrebbe potuto disporne come voleva, l’unico pensiero fisso era lei. Sempre e solo Juliet, nonostante avesse altri mille problemi da risolvere. La sua assenza pesava ogni giorno di più.

Pieno di frustrazione, chiuse gli occhi, tentando di concentrarsi su altro. Sulla questione dello scambio, tanto per cominciare. Era scontato che Nickolaij l’avrebbe preteso, perché di una pretesa si trattava, non certo di una richiesta. Ora il destino di Cedric era segnato, a meno che Claire non si fosse consegnata o loro non avessero trovato un modo per evitarlo.
-Se dovesse succedermi qualcosa, non lasciare che lui la prenda- Le parole di Cedric risuonarono nella sua testa come se le stesse pronunciando in quel momento. Erano state le ultime, prima che lo perdesse di vista. –Promettimelo. Prometti che la proteggerai-.

Per quanto non gli fosse mai piaciuto, si sentiva in dovere di mantenere la promessa, non solo per proteggere Claire ma soprattutto perché dietro l’ossessione di Nickolaij si nascondeva sicuramente un secondo fine. Dopo cento anni aveva imparato a ragionare come lui e nessuno gli avrebbe fatto credere che volesse riportare in vita Elizabeth per amore, perché gli mancava e la voleva di nuovo con sé. Al solo pensarci gli veniva da ridere.
No, aveva qualcos’altro in mente e qualunque cosa fosse non era un bene. Doveva fermare il suo regime di terrore una volta per tutte, anche solo per impedire che un altro ragazzino di quindici anni passasse lo stesso inferno che aveva passato lui. Da solo era impensabile, ma sperava che con l’aiuto degli Jurhaysh ci sarebbe riuscito.

Quel pensiero gli rammentò che avrebbe dovuto recarsi dal capo tribù per iniziare a pianificare la missione e, visto a che altezza si trovava il sole, concluse che era il momento di avviarsi.
Attraversò il villaggio, cercando di attirare meno attenzione possibile. Nessuno, a parte una cerchia ristretta, era al corrente della sua natura e doveva continuare a essere così. Quando infine giunse al tendone, due voci stavano discutendo nella lingua della tribù.

Non capisco perché ti ostini a volerla durante le riunioni. Non è neanche uno dei generali.” protestò Tareq, probabilmente rivolto a Jamaal.

Ho i miei motivi e comunque non intendo discuterne adesso.” ribatté infatti lui, in tono fermo.

Che c’è T?” gli chiese Najat beffarda. “Hai paura che ti soffi il posto?” lo provocò.
Jamaal stava per zittirla, ma tutti e tre si ammutolirono quando Dean fece il suo ingresso. Evidentemente non volevano che li vedesse in disaccordo.

“Era ora, vampiro.” lo accolse Tareq, squadrandolo con sufficienza.

Dean ignorò la parvenza di sicurezza che voleva dare di sé e passò subito al sodo. “Vedo che avete già una planimetria.” osservò, indicando con un cenno del mento la mappa del castello sul tavolo.

Jamaal annuì. “Sì, anche se risale a diversi anni fa.”

“Già, ecco perché siamo stati catturati. Avevamo solo questo su cui basarci, ma qualcosa nel tempo sarà cambiato.” aggiunse Tareq.

Sul volto di Najat si dipinse un’espressione scettica. “Certo, di sicuro è stata colpa della mappa.” insinuò, facendo in modo che solo i due guerrieri la capissero.

Pur non afferrando, Dean vide Jamaal fulminarla con lo sguardo e subito dopo bastò la stessa occhiata per far desistere Tareq dal risponderle a tono.

A lui però le loro scaramucce non interessavano affatto, era lì per ben altri motivi. Prima di avvicinarsi, chiese il consenso di Jamaal, che annuendo brevemente gli permise di raggiungerlo dietro al tavolo. Con la coda dell’occhio vide Najat scansarsi non appena le fu vicino, ma non diede peso alla cosa. Il suo sguardo si soffermò sulla mappa che aveva davanti, studiandone i particolari. “Confermo, è alquanto datata. Mancano molti dei passaggi attuali, mentre quelli chiusi compaiono ancora.” sentenziò poco dopo.

“Bene. Sei qui per questo.” disse Jamaal. “Cosa suggerisci?”

Dean indicò sulla mappa le differenze principali, quali passaggi erano stati chiusi perché ritenuti troppo facili da individuare e quali erano rimasti aperti e avrebbero potuto sfruttare. Molto dipendeva dal punto in cui sarebbero entrati e a tal proposito aveva già pensato a una possibile soluzione.

“Quindi secondo te dove dovrebbe trovarsi il ragazzo?” chiese Jamaal, dopo averlo ascoltato attentamente insieme agli altri.

Dean ci rifletté un istante. “L’ultima volta lui e Mark erano prigionieri in una delle torri. Ciò non toglie che Nickolaij potrebbe averlo fatto spostare nei sotterranei, anche se non è certo il posto migliore per assicurarsi che resti vivo.”

Najat fece spallucce. “Perfetto, quindi non sappiamo neanche questo.” commentò sarcastica.

“Esiste un passaggio che pochi conoscono.” disse allora Dean, apprestandosi a esporre la sua idea. Con l’indice tracciò il tragitto sulla mappa, in modo che potessero seguirlo. “A prima vista potrebbe sembrare un semplice condotto di scarico, ma è abbastanza largo da farci passare in fila indiana. Una volta entrati dovremmo trovarci proprio sotto il castello, in corrispondenza dei sotterranei. Potremmo controllare prima lì e poi, se serve, passare ai piani superiori.” ragionò. In cuor suo sperava che Cedric si trovasse in una di quelle celle, così da salvarlo e tornarsene indietro, ma si trattava di una flebile speranza.

Jamaal seguiva il ragionamento con gli occhi. “Beh, è già un inizio. Resta il problema di raggiungere i piani alti senza rimetterci la pelle.” osservò saggiamente.

“Non siamo in periodo di plenilunio.” aggiunse Najat. “Magari il castello sarà poco sorvegliato.”

Dean però scosse la testa. “Nickolaij conosce le nostre intenzioni. È stato lui a invitarci quando ha proposto lo scambio, quindi si farà trovare preparato.” la smentì pratico. “L’unica speranza che abbiamo di avere successo è entrare e uscire, facendo meno rumore possibile.”

Tareq non sembrava convinto, glielo si leggeva in faccia. Aveva paura e non riusciva granché bene a nasconderlo. “Se non abbiamo alternative…” commentò, rivolgendosi poi a Jamaal. “Però ti avverto, io ci sono stato, abnem. Sarebbe da folli pensare di passare inosservati fino alla torre. In quel dannato posto anche i muri hanno gli occhi.”

Il suo riferirsi al castello e ai pericoli che avrebbero corso se si fossero addentrati laggiù fece sorgere diversi interrogativi nella mente di Dean, questioni a cui prima non aveva pensato perché preso da altro. Si rese conto solo allora di non sapere affatto come Tareq fosse riuscito a entrare e a raggiungere indisturbato i sotterranei, dove l’aveva trovato e liberato. Qual era la sua utilità se ora gli Jurhaysh avevano le conoscenze necessarie per muoversi da soli?
Pensò che prima di andare avanti con piani e progetti vari sarebbe stato meglio chiarire ogni dubbio, così, senza porsi particolari problemi, chiese a Tareq spiegazioni sulla sua impresa.

Dopo avergli rivolto un’occhiata indagatrice, forse perché preso in contropiede da domande tanto dirette, lui raccontò in breve quanto accaduto. Disse di essere riuscito a entrare insieme agli altri dal portone principale, approfittando della confusione creata dal gran numero di vampiri riunitisi per partecipare alla cerimonia del plenilunio.

“E nessuno ha fatto caso a voi?” si informò Dean dubbioso. Era assai improbabile che tre cacciatori, riconoscibili perché palesemente diversi nell’aspetto da qualsiasi membro della Congrega, fossero passati inosservati così a lungo. La risposta di Tareq, infatti, confermò le sue perplessità.

“Indossavamo abiti neri e cappucci per coprirci la testa, ma non è bastato.” spiegò il guerriero, assumendo tutto a un tratto un’aria meno fiera. “Siamo riusciti a entrare e in un primo tempo anche a confonderci in mezzo agli algul, ma ci hanno scoperto mentre cercavamo di arrivare alle prigioni. Non sapevamo dove andare, era scontato che prima o poi sarebbe successo.” Era evidentemente scosso per l’accaduto, anche se cercava di darsi un contegno. Così fece una breve pausa, per poi riprendere. Raccontò di aver lottato insieme ai compagni, che però erano caduti, di come lui invece fosse riuscito a fuggire e a nascondersi, aspettando finché le acque non si fossero calmate e riuscendo quasi per miracolo a raggiungere i sotterranei. Accanto Jamaal e Najat ascoltavano in silenzio, probabilmente già a conoscenza dei fatti.

Il resto della storia Dean lo conosceva già e non gli fece altre domande, ora che i suoi dubbi erano stati soddisfatti. Per quanto sommaria, la ricostruzione di Tareq era verosimile. “Mi scuso per l’interrogatorio, ma c’erano delle parti mancanti che dovevo colmare.”

Il viso di Jamaal si fece riflessivo, mentre posava ancora una volta lo sguardo sulle mappe. “Bene, è chiaro che provare a entrare di nuovo dalla porta principale sarebbe da stupidi, quindi siamo tutti d’accordo che seguire il piano del vampiro rimane la cosa più sensata da fare.”

Dean annuì. “Non dico che sarà una passeggiata. Sicuramente incontreremo qualcuno lungo la strada, è inevitabile, ma se limitiamo il numero dei guerrieri, una decina al massimo, dovremmo farcela.” L’eccessivo ottimismo non era mai stato tra le sue prerogative e in un caso diverso lui stesso avrebbe avuto seri dubbi, ma in quel momento non poteva rischiare di perdere altro tempo prezioso. Erano già passati due giorni dall’arrivo di Tareq con la lettera e ovviamente Nickolaij non si sarebbe fatto alcuno scrupolo a uccidere Cedric allo scadere della settimana.  

Najat esibì un ghigno di sfida. “Che vengano pure. Non vedo l’ora di fare fuori qualche succhiasangue.”

“Prima preoccupiamoci che non facciano fuori noi.” ribatté Jamaal, come sempre mantenendo i piedi per terra; poi si rivolse a Dean. “Bene. Abbiamo bisogno di tempo per studiare la tua strategia. Ti farò chiamare quando ci servirai di nuovo.” lo liquidò senza troppe cerimonie.

Lui annuì. Sapeva riconoscere quando era il momento di togliere il disturbo, così uscì dalla tenda, lasciando che si confrontassero quanto volevano. Era scontato che non gli avrebbero concesso l’ultima parola e non si sarebbe certo offeso per questo.

Dopo pochi passi, si vide venire incontro Mark e Cordelia.

“Che ci fate qui?” chiese spaesato.

“Ti cercavamo.” rispose lei sorridente.

“Da Laurenne non c’eri, così ho immaginato che fossi qui.” chiarì Mark, quando Dean lo guardò aggrottando la fronte in cerca di spiegazioni. “Ci sono novità? Avete concluso qualcosa?”

Lui annuì appena, evitando di apparire troppo ottimista. “Più o meno. Siamo ancora all’inizio.” tagliò corto.

“Beh, io devo fare un salto al mercato.” disse Cordelia allegra, prendendolo sottobraccio e continuando a sorridergli. “Vieni con noi. Ci racconterai tutto strada facendo.”

Dean le rivolse un’occhiata perplessa, più a disagio che mai. Dubitava che si sarebbe mai abituato a quella situazione. “Non credo sia una buona idea che io giri per il villaggio come se niente fosse.” replicò, sforzandosi di non pensarci.

Cordelia però sventolò la mano, minimizzando il problema. “Sciocchezze. Sei libero adesso, no?”

“Sì e vorrei rimanere tale.” ironizzò.

“Oh, suvvia. Non farti pregare.”

Alla fine, Dean dovette cedere e lasciare che praticamente lo trascinasse con loro al mercato. D’istinto l’occhio gli cadde sul dorso della mano, quasi temesse che il marchio lasciatogli dall’incantesimo della sciamana fosse ancora lì e potesse tradirlo, ma poi ricordò che era scomparso già qualche ora dopo la sua cattura. Perlomeno non avrebbe rischiato di scatenare il panico tra la gente del villaggio.

Nonostante quello che stavano passando, Cordelia aveva un’aria spensierata e i problemi che aveva intorno non sembravano toccarla minimamente. Era entusiasta di curiosare tra le botteghe, scoprendo ogni volta qualcosa di tipico che ancora non conosceva, e cercava di chiedere cosa fosse facendosi capire a gesti. A parte l’aspetto, per certi versi somigliava a Juliet, perché come lei trasmetteva positività e leggerezza, ma era come se fosse una sua versione enfatizzata.

“Oh, i datteri!” esclamò a un certo punto, individuando la bancarella della frutta in mezzo alle altre. “Li avete mai mangiati? Vado a prenderne un po’.”

“Mi fa ancora strano.” disse Mark ridacchiando, mentre la guardavano allontanarsi. “Ogni volta mi sembra di avere davanti Juliet, poi ci parlo e…”

Dean abbassò lo sguardo. “Già…”

Intuendo il suo stato d’animo, Mark gli mise una mano sulla spalla con fare consolatorio. “Scusa, non volevo infierire. Vedrai che troveremo il modo di riaverla con noi.”

Lui abbozzò un mezzo sorriso, annuendo appena. Lo confortava sapere che c’era qualcuno con cui confidarsi. Magari non lo avrebbe fatto, ma potenzialmente esisteva ed era la prima volta in vita sua che poteva contare su una tale sicurezza. Da quando aveva deciso di liberarsi dal giogo di Nickolaij, stava scoprendo un mondo fino ad ora sconosciuto.

Un po’ più rincuorato, continuò il giro, finché non si accorse di aver perso di vista Cordelia. La cercò con lo sguardo in mezzo alle botteghe, finché non individuò la sua chioma bionda, spiccante rispetto a quelle corvine delle altre donne. Era china sulla merce di un banco a poca distanza da loro, seminascosta tra la gente. Accanto a lei due uomini, guerrieri a giudicare dalla muscolatura e l’abbigliamento, le cui occhiate lasciavano ben poco spazio a equivoci.

“Oh, buongiorno.” li salutò Cordelia, sorridendo ingenua mentre prendeva il sacchetto dalle mani del negoziante.

Ringraziò e fece per allontanarsi, ma i due le sbarrarono la strada, impedendole di andare oltre.
Lei cercò di svicolare, ignorando le loro avances, anche perché non le capiva, finché uno dei guerrieri non passò alle vie di fatto trattenendola per un polso.

“Lasciami subito!” protestò, tentando di divincolarsi, ma non ottenendo altro risultato se non quello di farli ridere, divertiti dalla sua impetuosità.

Il guerriero fece per allungare la mano e toccarle un fianco, ma a quel punto Dean era già lì. In un attimo gli afferrò il braccio, serrando le dita in una morsa d’acciaio. “Lasciala.” mormorò a denti stretti, inchiodandolo con lo sguardo.

Per nulla impressionato, l’uomo gli rivolse un’occhiata di sfida e disse qualcosa in arabo che Dean non capì, ma che suonava molto come una provocazione. Fu allora che la mancanza di sangue tornò a farsi sentire e la rabbia fece quasi per prendere di nuovo il sopravvento. Per fortuna, riuscì comunque a mantenere il controllo quando la sua presa sul braccio del guerriero si fece più salda, pur evitando di staccarglielo. Sarebbe stato uno spettacolo alquanto spiacevole, oltre al fatto che in quel modo avrebbe rivelato la sua vera natura all’intero villaggio. Solo quando finalmente l’uomo lasciò andare Cordelia con un gemito di dolore, lui fece lo stesso.

“Che modi…” si lamentò lei, massaggiandosi il polso indolenzito.

Dean e il guerriero si stavano ancora scambiando occhiate poco amichevoli, così Mark intervenne per calmare gli animi. “Okay, direi che adesso possiamo andare.” gli disse, sperando di convincerlo a chiudere lì la questione.

Tornato padrone di sé, Dean si rese conto che era la cosa migliore, così si apprestò a seguire lui e Cordelia verso casa, ma evidentemente il guerriero non era della stessa opinione. Sentendosi in diritto di recriminare, lo prese per una spalla, costringendolo a voltarsi di nuovo e parandoglisi davanti con aria di sfida.

Nel frattempo, un gruppo di curiosi si era radunato per assistere alla scena e vide Dean rispondere con altrettanta fermezza. Nonostante il suo interlocutore fosse più alto di lui e decisamente ben piazzato, non diede il minimo segno di timore e sostenne il suo sguardo, restando in attesa. Avrebbe preferito non arrivare alle mani per non rischiare di farsi scoprire, ma se l’avesse colpito difendersi sarebbe stato inevitabile.

Per fortuna, l’arrivo di Najat impedì che accadesse il peggio. “Che sta succedendo qui?” chiese sbrigativa, riservando casualmente uno sguardo d’accusa a Dean.

“Perché non lo chiedi a quei due?” ribatté Mark, intervenendo in sua difesa.

Seguendo il consiglio, lei si rivolse ai due uomini, chiedendo spiegazioni in arabo, per poi tornare su di loro. “Dicono che non stavano facendo niente di male e che sei stato tu ad aggredirli.”

“Che faccia tosta!” esclamò Cordelia indignata. “Mi stavano importunando e se non fosse stato per Dean…”

Le sue proteste però vennero interrotte dall’arrivo di Tareq, che aveva riconosciuto i suoi compagni al centro delle attenzioni della folla. Najat gli spiegò in breve l’accaduto e le due diverse versioni, e anche lui si mostrò prevenuto.

“Come fai a sapere se la ragazza dice il vero? Magari è stata lei stessa a provocarli e ora vuole far ricadere la colpa su di loro.”

Un’espressione di incredulità si dipinse sul volto di Cordelia. “Come osi insinuare una cosa del genere, omuncolo!” esclamò fuori di sé.

Ancora una volta, Najat cercò di riportare la calma, mostrando un lato insolitamente razionale. “D’accordo, quindi cosa proponi?” chiese a Tareq. “A questo punto l’unico in grado di risolvere la questione è Jamaal.”

“Sciocchezze.” si intromise Cordelia, squadrando lui e i suoi amici dall’alto in basso. “Non hai bisogno del suo parere.
Quando diventerai capo tribù sarà a te che dovranno rendere conto.”

Non appena finì di parlare, un silenzio raggelante calò sui presenti, riempito solo dai rumori del mercato e dal vociare della gente. Nel giro di pochi istanti, lo sguardo inquisitorio di Tareq passò da Cordelia a Najat che, nonostante fosse rimasta paralizzata, cercò in tutti i modi di non darlo a vedere.

“Allora è questo…” mormorò il guerriero, realizzando pian piano la verità. “È questo che mi state nascondendo da quando sono tornato. Non è così, ragazzina?”

Per quanto le riuscisse, Najat sostenne il suo sguardo. “Non qui.” mormorò infine impassibile.

A quel punto, stabilire le ragioni di uno o dell’altro perse definitivamente di importanza e Najat lasciò il mercato, seguita da Tareq e dai due guerrieri.

Mark si abbandonò a un sospiro, mentre li guardava allontanarsi, per poi rivolgersi a Cordelia. “Ho idea che tu abbia appena combinato un casino.” osservò rassegnato.

“Beh, in fondo quell’insolente se l’è meritato.” ribatté lei risentita. “Avete sentito cosa ha osato dire di me? Che sono una poco di buono. Io! La duchessa Cordelia Danesti, erede del Principe Basarab IV Danesti, Signore di Valacchia. Ai miei tempi la sua testa avrebbe adornato le mura del castello conficcata su una picca!” D’improvviso tutta la sua amabilità era sparita, lasciando il posto a uno stizzoso atteggiamento da nobildonna.

Dopo essersi scambiato un’occhiata perplessa con Dean, Mark propose di tornare a casa. Non era il caso di continuare a dare spettacolo.

 

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Capitolo 20
*** Esilio - Parte 2 ***


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Esilio (Parte 2)

Rachel e Claire tornarono dagli allenamenti subito dopo l’ora di pranzo, Samir che le precedeva camminando vivace. Era la prima volta da diversi giorni che tornavano al campo, ma nonostante questo gli sforzi avevano dato i loro frutti e la fatica tendeva a farsi sentire sempre meno.

Poco prima di entrare in casa, scorsero Dean, come al solito seduto sul tetto in compagnia dei suoi pensieri. Da quando era libero, trascorreva la maggior parte del tempo nel tendone di Jamaal a pianificare strategie, mentre nei momenti morti preferiva starsene per conto suo, evitando di presentarsi in casa se non lo stretto necessario.

“Ma perché se ne sta sempre appollaiato lì sopra come un avvoltoio?” commentò Claire. “È inquietante.”

Rachel fece spallucce. “Dice che così riesce a pensare meglio, ma io credo che sia anche per non stare troppo in mezzo. Per Laurenne…Beh, lo sai com’è fatto.” tagliò corto.

Dentro vennero accolte dal sorriso di Cordelia, stranamente più stentato del consueto, ma entrambe non diedero peso alla cosa. Mark era seduto al tavolo, immerso nella lettura di uno dei pochi volumi in inglese disponibili nella libreria di Laurenne e, quando Rachel si avvicinò per salutarlo vide che era sulle piante. Abbastanza prevedibile, data la sua passione. “Ciao.” lo salutò, chinandosi per baciarlo.

“Ciao.” Lui sollevò lo sguardo appena la vide, rispondendo al bacio.

“Siete stanche?” chiese Cordelia in tono un po’ secco, quasi acido, dirigendosi in cucina prima che potessero aprire bocca. “Vi preparo una tisana.”

A quel punto era intuibile che qualcosa non andava e Rachel e Claire si rivolsero un’occhiata confusa, prima di chiedere spiegazioni.

“Niente di che. Stamattina al mercato Tareq l’ha insultata ed è ancora nervosa.” disse Mark pacato, sistemandosi gli occhiali sul naso.

“Come sarebbe insultata?” Claire sollevò un sopracciglio, alquanto perplessa. Intanto dalla cucina si sentiva Cordelia borbottare tra sé.

Lui allora raccontò in breve quello che era successo, limitando al minimo i dettagli, e quando ebbe finito Rachel lo fissò con gli occhi sgranati. “Scusa, fammi capire. Dean ha quasi fatto a botte con uno degli uomini di Tareq?” Quello era decisamente il genere di azione che Jamaal aveva definito come “passo falso” e a una manciata di ore da quando lo aveva liberato. Non c’era da stare tranquilli.

Mark annuì. “Non preoccuparti, poi è arrivata Najat e se l’è vista lei con quei due. È tutto a posto, almeno credo.”

Per qualche strano motivo però Rachel non si sentì affatto rassicurata. Se qualcuno di loro avesse informato Jamaal, non era scontato che avrebbe esposto i fatti senza far apparire Dean come il provocatore. C’era solo da sperare che tutto si risolvesse senza inconvenienti.

Cercando di non pensarci, si accasciò esausta su una sedia, mentre Claire annunciava che sarebbe andata sul retro a farsi un bagno. Cordelia doveva ancora tornare con la tisana, perciò ingannò l’attesa guardando Samir mostrare a Mark le ultime tecniche di combattimento che aveva imparato e, mentre il bambino saltellava a destra e sinistra tirando pugni, non poté fare a meno di sorridere. Per un attimo l’immagine idilliaca di loro due insieme circondati dai loro figli che giocavano le attraversò la mente, ma il tonfo secco della tazza appoggiata in malo modo sul tavolo la fece sobbalzare.

“Insomma, datti una calmata!” esclamò, lanciando un’occhiata esasperata a Cordelia.

Lei allora sembrò rendersi conto e le sedette accanto, sospirando affranta. “Perdonami, non faccio che pensare a stamane. È stato già abbastanza umiliante venire importunata da quei due individui, ma dover addirittura sopportare un epiteto di quel genere…” Si trattenne dall’andare oltre, cercando di darsi un contegno e reprimere la rabbia. “Grazie al cielo, Dean è arrivato in mio soccorso. Si è comportato da vero cavaliere.” concluse, lisciandosi gli abiti e assumendo in pochi istanti un’espressione trasognante.

La sua visione a dir poco antiquata del rapporto uomo-donna non stupì Rachel più di tanto. Dopotutto, veniva da un’altra epoca. “Beh, mi sarei meravigliata del contrario.” commentò distrattamente.

Quell’ultima osservazione però lasciò Cordelia alquanto stupita. “Ah sì?” le chiese, guardandola piena di interesse. “Pensi che io gli piaccia? È per questo che è accorso a salvarmi?”

Gli sguardi di Mark e Rachel si incrociarono ed entrambi riconobbero nell’altro la stessa perplessità. Alla fine, lei si prese il compito di spegnere le speranze di Cordelia. “Ascolta. Non vorrei deluderti, davvero, ma non sei tu a piacergli. O almeno non questa…versione di te.” le confessò, non senza difficoltà. Le dispiaceva essere così schietta, ma era meglio non lasciare che continuasse a illudersi.

Cordelia infatti abbassò gli occhi e annuì leggermente, dando segno di aver recepito il messaggio. “Capisco. È che da quando mi ha vista ho avuto l’impressione che volesse allontanarmi in tutti i modi. Perciò, quando stamane ha mostrato interesse per la mia incolumità, ho pensato che…”

Vedendola intristirsi, Mark provò a spiegarle meglio. “Non hai frainteso. Oggi è intervenuto perché eri in difficoltà, ma penso lo abbia fatto anche perché in te vede sempre Juliet. Potrà essere bravo a nasconderlo, ma questa situazione gli sta causando parecchi problemi a livello emotivo.”

Rachel non poté che essere d’accordo. In cuor suo, si rese conto dell’affinità che si era creata tra Mark e Dean, e ne restò piacevolmente colpita. Era contenta che fossero diventati amici. “Tra lui e Juliet è nato qualcosa molto prima del tuo arrivo, quindi non prendertela se a volte Dean si comporta in modo scostante. Non ce l’ha con te, è solo il suo modo di essere.” la rassicurò.

Mark concordò, annuendo con un ghigno. “È scostante anche con noi. E ci conosce da più tempo.” scherzò, facendole sorridere.

Di lì a poco Claire rientrò dal suo bagno molto più rilassata e stava per invitare Rachel a fare lo stesso, quando un gran vociare proveniente da fuori richiamò la loro attenzione. Non fecero in tempo a domandarsi cosa fosse che la porta d’ingresso si spalancò.

“Parecchia gente si sta radunando in piazza, credo che dovremmo andare a vedere.” li informò Dean, che doveva aver visto tutto dalla sua posizione sul tetto.

Così, senza farselo ripetere, lo seguirono fuori casa, accodandosi alle altre persone verso la piazza del villaggio. La calca era tale da rendere impossibile vedere qualcosa, tuttavia dal centro riuscirono a sentire una voce familiare che sbraitava in arabo.

Guardandosi intorno frustrata, Rachel scorse la figura di Laurenne e fece segno agli altri di seguirla mentre le andava incontro. Sicuramente lei ne sapeva di più.

“Che sta succedendo? Perché questo casino?” le domandò una volta arrivati, quasi gridando per sovrastare il chiacchiericcio della gente.

“Non lo so! Tareq ha radunato tutto il villaggio qui, ma non riesco ancora a capire perché!”

Decisi a saperne di più, si fecero largo a gomitate tra la folla e infine riuscirono ad arrivare in un punto che permettesse loro di vedere cosa stava accadendo. Tareq al centro della piazza inveiva contro Jamaal, che invano cercava di farlo ragionare.

Dillo!” gridò. “Dì a tutti il tuo segreto! È il momento di uscire allo scoperto!

Nonostante non capisse una parola, Rachel notò lo sgomento nello sguardo di Laurenne e intuì che doveva trattarsi di qualcosa di grave.

Abnem!” tuonò Jamaal di rimando. “Non costringermi a farti portare via con la forza!

Tareq però non sembrò affatto impressionato dalle sue minacce e continuò a fissarlo con astio, senza dare alcun segno di calmarsi. “Tu non sei degno del ruolo che rivesti.” sibilò fuori di sé, il petto che si alzava e si abbassava per il respiro ansante. “Hai avuto il coraggio di rinnegare il tuo stesso sangue. E per chi? Per una ragazzina inesperta. Ammettilo, se non fosse la sorella della tua puttan…” Ma il pugno che gli assestò Jamaal alla mascella gli impedì di continuare.

L’intero villaggio sembrò trattenere il respiro, incredulo.

Il colpo di Jamaal lo aveva colto di sorpresa, tanto da farlo barcollare all’indietro. Si portò una mano all’altezza della bocca e, quando la ritrasse sporca di sangue, gli lanciò uno sguardo di puro odio.

Claire avrebbe potuto giurare di non aver mai visto Jamaal così furioso. L’espressione sul suo volto lasciava trapelare offesa e profonda delusione allo stesso tempo. D’istinto, si rivolse a Laurenne, scoprendola sconvolta. “Che ha detto?” le chiese.

Dopo un attimo di esitazione, la sciamana tradusse per loro le parole di Tareq, riassumendone i concetti salienti; poi tornò a osservare la scena.

Questa volta hai superato il limite.” mormorò Jamaal, la voce tremante dalla rabbia. “Dovrai renderne conto.”

Sul volto tumefatto di Tareq spuntò allora un ghigno provocatore. “Come desideri, mio Qayid.” lo schernì, eseguendo subito dopo un rapido inchino e sfoderando la spada. Con foga la puntò in alto, rivolgendosi alla folla e gridando quella che chiaramente era una sfida.

A quel punto, il mormorio generale si fece più concitato e dalle reazioni riuscirono più o meno a capire per quale dei due parteggiasse la folla. Qualcuno rispose indignato alla provocazione di Tareq, altri invece lo incitavano, già convinti della sua superiorità. Tra la gente c’era anche Cassim, che però stranamente osservava la scena senza prendere parte alcuna.

D’improvviso, un grido si levò a sovrastare tutte le altre voci. “Tareq!” Najat si fece largo tra la folla, mentre tutta l’attenzione convergeva su di lei. “È con me che hai un problema! È contro di me che devi batterti!

Laurenne allora si coprì la bocca con le mani, scuotendo la testa. “No…” mormorò scioccata.

All’inizio spaesato, Tareq riacquistò subito sicurezza, anzi rise di tanta spavalderia. Una risata quasi isterica. “Sappiamo bene entrambi come andrebbe a finire, ragazzina. Risparmiati l’umiliazione.” ribatté, scatenando l’ilarità dei suoi sostenitori.

Nonostante ciò, Najat rimase di pietra, mostrandosi immune alle sue provocazioni. “Preoccupati della tua di umiliazione. Fossi in te, non sarei così sicuro di vincere.”

Basta così!” L’intervento di Jamaal pose fine alla diatriba. Con aria ferma si rivolse a Najat. “Fatti da parte. La questione riguarda noi due.” sentenziò, facendole capire che non avrebbe tollerato repliche.

Senza ombra di dubbio Najat recepì il messaggio e obbedì, anche se a malincuore, andando a posizionarsi accanto a Kira, che osservava la scena insieme al fratello.

L’ultima occhiata che Jamaal e Tareq si scambiarono si rivelò piena di disprezzo nel primo e di dispiacere nell’altro, ma durò un attimo, perché Jamaal ordinò qualcosa ai suoi uomini, che tornarono poco dopo con la sua spada.

Il cerchio creato dagli abitanti del villaggio si allargò abbastanza da permettere ai due contendenti di battersi più agevolmente. Impugnarono le armi, tenendole basse mentre si studiavano a vicenda. La tensione era palpabile.

Rachel li guardò fronteggiarsi, senza avere idea di come avessero potuto arrivare a quel punto. “Si può sapere che è successo? Perché tutto a un tratto vogliono uccidersi?”

“Da quanto ho capito, Tareq deve aver scoperto che Jamaal ha scelto Najat come suo successore e la cosa lo ha fatto infuriare, ma non mi spiego come l’abbia saputo.” rispose Laurenne preoccupata. “Non era presente durante l’annuncio e non mi risulta che Jamaal volesse dirglielo. Almeno non subito.”

Consapevole degli antefatti, Mark sospirò rassegnato. “Io credo di avercela un’idea.”

Quando lo sguardo interrogativo della sciamana si posò su di lui, Cordelia pensò bene di svelare l’arcano. “Sono stata io. Stamane al mercato mi sono lasciata sfuggire che Najat sarebbe stata il prossimo capo tribù, ma non credevo che…”

“Tu cosa?” boccheggiò Laurenne incredula, ma non riuscì ad aggiungere altro perché il forte rumore delle lame che si scontravano riportò l’attenzione di tutti al centro dell’arena.

Alla fine era stato Tareq ad attaccare per primo, avventandosi su Jamaal, che però era riuscito a parare il colpo con la spada e ora, nonostante l’avversario premesse con forza, non indietreggiava di un millimetro. Con uno scatto in avanti lo spinse via e le due lame si separarono, anche se solo per poco.
In breve, Tareq fu di nuovo in guardia e iniziò a menare fendenti, pur evitando di colpire con troppa violenza e calibrando così le proprie forze.

“Non è uno sprovveduto. Sta conservando le energie per il gran finale.” osservò Dean, concentrato sul duello.

Dall’altra parte Jamaal si limitava a parare i colpi, senza passare al contrattacco e Claire se ne chiese il motivo. Forse semplicemente non se la sentiva di attaccare Tareq, per paura di ferirlo. In quel modo però stava rischiando di perdere lo scontro, se non peggio. Non che se la cavasse male, anzi, in quanto a forza e agilità erano alla pari e sarebbe stato difficile stabilire chi dei due potesse avere la meglio. Uno colpiva e l’altro si difendeva, girando insieme come in una danza. Non le era mai capitato di assistere a niente del genere, nemmeno durante gli allenamenti. Sembrava più una questione di intelletto che di forza bruta.

Intanto la gente della tribù osservava il combattimento in un silenzio quasi reverenziale, sussultando ogni volta che uno dei due sembrava prevalere, ma evitando di incitare l’uno o l’altro. Eppure molti erano sembrati concordi quando Tareq aveva gridato allo scandalo, come se in fondo non trovassero poi così allettante la prospettiva di avere Najat come Qayid. Quello che non riusciva a spiegarsi era perché Jamaal, ancora giovane e potenzialmente in grado di avere dei figli a cui lasciare la sua eredità, si era intestardito a volerla nominare suo successore, scatenando quel putiferio.

“Sembra stanco.” constatò Dean. “Forse gli converrebbe iniziare a fare sul serio.”

Proprio in quel momento, infatti, Jamaal stava deviando l’ultimo colpo sferrato da Tareq, che però reagì, questa volta riuscendo a ferirlo alla coscia sinistra. La lama squarciò il tessuto, lasciando intravedere il sangue che fuoriusciva dal lungo taglio, e Jamaal represse un gemito di dolore, per poi finire con un ginocchio a terra.

Claire trasalì, in preda al terrore. A quel punto fu inevitabile per lei pensare al peggio e provò l’impulso di voltarsi dall’altra parte per non guardare, ma non lo fece. Vedere Jamaal rialzarsi la tenne con gli occhi incollati sulla scena. Forse non era ancora finita.
Tareq però non aspettò che fosse di nuovo in grado di difendersi e partì di nuovo all’attacco.

“Che individuo ignobile.” commentò Cordelia indignata.

Per fortuna, Jamaal sollevò di scatto la spada e riuscì a bloccare il fendente prima che fosse troppo tardi. Tra la folla si levarono le prime grida di incitamento per l’uno o per l’altro, che qualcuno non riusciva più a trattenere.
Tareq si preparò a un nuovo attacco, ma stavolta Jamaal non si mosse per evitarlo.

-Ma che fa?- pensò Claire, credendo volesse arrendersi.

All’ultimo momento, però, Jamaal sorprese tutti, chinandosi e passando sotto al braccio di Tareq. Rapidissimo si voltò e con un fendente gli aprì la casacca, procurandogli una lunga ferita obliqua dietro la schiena.

Tareq si inarcò, urlando di dolore, ma restando in piedi. Quando si girò verso l’avversario aveva un’espressione indecifrabile sul volto. Fuori di sé dalla rabbia, afferrò un lembo della casacca e con un gesto secco se la strappò di dosso, rivelando la ferita colante sangue. Immediatamente dopo, si scagliò contro Jamaal, che stavolta lo respinse, iniziando poi a rispondere agli attacchi. Ora le parti sembravano essersi invertite e il combattimento si fece più cruento, anche se nessuno dei due riusciva ancora a prevalere. Tareq però non era più così attento e adesso pensava solo a chiudere la questione, dando in un certo senso vantaggio all’avversario.

Jamaal infieriva contro di lui, colpendolo dall’alto in basso con la spada, senza dargli tregua.

“Sembra in difficoltà.” disse Rachel speranzosa guardando Laurenne, che però non si pronunciò in alcun modo.

Man mano che proseguivano con il duello, Tareq sembrava accusare più stanchezza, mentre dall’altra parte Jamaal era in evidente scarsità di fiato già da un po’. Nonostante questo, non accennava a fermarsi, continuando a tenere l’avversario sotto scacco.
Alla fine, tuttavia, commise un errore. Troppa violenza in un colpo e, quando Tareq lo respinse, l’attrito provocò un rimbalzo che lo fece sbilanciare all’indietro. Nella caduta perse la spada e con essa la possibilità di difendersi. Ora era scoperto e come prevedibile Tareq ne approfittò. Impugnata saldamente la lama a due mani, si avventò contro Jamaal, che riuscì a scansarsi per miracolo.

Tutto intorno, la folla si agitava in preda all’eccitazione, non riuscendo più a trattenere le emozioni.

“Non è leale! È disarmato!” gridò Cordelia, ma nella confusione generale le sue parole andarono perse.

Schivando un altro colpo, Jamaal riuscì a raggiungere la sua spada, giusto in tempo per parare l’ennesimo attacco dell’avversario. Ora erano uno sopra l’altro, con le lame a mezzo centimetro dalla faccia, ed entrambi spingevano per prevalere, senza nascondere la fatica che questo comportava.
Dopo un’impasse iniziale, con uno sforzo sovrumano Jamaal riuscì a colpirlo in pieno volto con l’impugnatura della spada, togliendoselo finalmente di dosso.
Lamentandosi per il dolore, Tareq lasciò cadere la spada, portando le mani al naso sanguinante.

A quel punto era fatta. Anche se a fatica, Jamaal si alzò in piedi e andò verso di lui, raccogliendo la sua arma e puntandogliele entrambe alla gola. Si scambiarono l’ultimo sguardo di risentimento, poi Tareq sollevò il mento in un ultimo gesto di sfida. “Fallo.” lo invitò sprezzante.

Jamaal però non si mosse, limitandosi a tenerlo sotto tiro.

“Che aspetta?” esordì Claire d’istinto. Avrebbe voluto vedere Tareq morto e stranamente non si vergognò di questo.

Come lei, l’intero villaggio attendeva col fiato sospeso che Jamaal lo finisse. In quanto vincitore era suo diritto. Invece, contro ogni previsione, lui lanciò lontano la spada di Tareq e abbassò la sua. “Tareq Alghamadi, io ti esilio. Da questo momento non sei più uno Jurhaysh, né un membro di questa tribù. Che la vergogna e il disonore si abbattano su di te e sulla tua discendenza.” mormorò ansante. Dopodiché impartì un ordine e due guerrieri si avvicinarono, afferrando Tareq per le braccia e tirandolo su. “Avrai il tempo di rimetterti, poi prendi le tue cose e vattene.” gli concesse, prima di lasciare che lo portassero via.

In preda all’esaltazione, la folla esplose in grida di giubilo, acclamando Jamaal e urlando il suo nome a ripetizione. In risposta, lui sorrise riconoscente e quando Abe arrivò per sostenerlo, si appoggiò al suo braccio, sollevando in alto la spada in segno di vittoria.
 
 
 

 

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Capitolo 21
*** Il riflesso dell'anima - Parte 1 ***


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Capitolo 14 - Il riflesso dell'anima (Parte 1)

Ferma davanti alla porta, Claire si arrovellava per capire se bussare o andarsene. Subito dopo il duello Laurenne era schizzata da Jamaal per occuparsi delle sue ferite e lei era stata tentata di seguirli, per accertarsi che stesse bene, ma poi aveva cambiato idea. Meglio non stargli troppo addosso e lasciarlo riposare.
Ora però era lì e il desiderio di vederlo superava il pensiero di una conversazione imbarazzante, così si fece coraggio e diede tre colpi leggeri sul legno. Tempo pochi minuti e Jamaal le comparve davanti, studiandola spaesato. Aveva l’aria stanca, come se nell’arco di quelle ore non si fosse riposato affatto, e l’ultima cosa che si aspettava era vederla.

Sentendo la tensione palpabile, Claire abbozzò un sorriso e si decise a rompere il ghiaccio. “Ciao.” mormorò incerta.

Lui aggrottò la fronte, visibilmente confuso. “È successo qualcosa?”

“No, niente. Volevo solo…” esitò, non riuscendo a nascondere la preoccupazione nella voce. “Volevo solo sapere come stavi.”

A quel punto, i tratti del viso di Jamaal si rilassarono. Rimase a guardarla ancora un istante, poi la sua bocca si piegò in un flebile sorriso e, senza dire nulla, si scostò per invitarla a entrare.

Mentre la porta si richiudeva alle sue spalle, con una breve occhiata complessiva Claire ripercorse quell’ambiente, che aveva visto solo una volta, quella fatidica sera.

“Cosa posso offrirti?” le chiese, dirigendosi zoppicante verso il tavolo. “Scusa se non resto in piedi.” Trattenendo una smorfia di dolore, si sedette a fatica sulla panca, appoggiandosi alla spalliera.

Claire vide che Laurenne gli aveva fasciato la parte alta della gamba, rimasta ferita nel combattimento. “Figurati, non c’è problema.” lo rassicurò. “Comunque niente, grazie. Sono a posto.”

Jamaal ghignò divertito. “Tranquilla, non era una scusa per farti abbassare la guardia. Anche se devo ammettere che l’ultima volta ha funzionato.” ironizzò, facendole segno di sedersi con lui.

Colta l’allusione, Claire ridacchiò, accettando l’invito a raggiungerlo sulla panca. Non intendeva riferirsi a quello, sapeva bene che da parte sua era stato tutto assolutamente volontario e che il liquore aveva solo reso le cose più facili.

“Sono contento che sei qui.” confessò Jamaal.

In quel momento, tutta la sua fragilità venne fuori e Claire ripensò a quanto raccontato da Laurenne sulla malattia che lo affliggeva da mesi. Una malattia del sangue di cui purtroppo non si erano accorti in tempo e che ora non era sicura di poter curare. Ecco spiegata la fretta nel nominare un successore, senza aspettare di avere dei figli propri.

“Promettetemi che ve lo terrete per voi.” aveva chiesto la sciamana. “Non avrei neanche dovuto parlarvene.” A quanto pareva nessuno, a parte lei e Tareq, era al corrente della cosa.

Claire era rimasta senza parole, così come gli altri, e ripensandoci perfino adesso faceva fatica a farsene una ragione, ma si sforzò di non apparire preoccupata o Jamaal le avrebbe chiesto spiegazioni. Saputo della malattia, non aveva potuto fare a meno di chiedersi perché non glielo avesse detto quando erano insieme, ma poi aveva concluso che la loro non era una relazione così salda e duratura da rivelare segreti intimi. Il fatto che fosse malato gravemente era qualcosa di troppo personale e riflettendo neanche lei se la sarebbe sentita di raccontarlo al primo estraneo che capitava.
Guardandolo adesso, però, più che malato le sembrava malinconico, come schiacciato da un enorme peso sulle spalle. Poteva percepire il suo bisogno di parlare con qualcuno e, anche se consolare le persone non era mai stato il suo forte, voleva rendersi utile. Lui c’era stato quando ne aveva bisogno e ora doveva ricambiare il favore.

“Mi dispiace per quello che è successo con Tareq. Se Cordelia avesse tenuto la bocca chiusa…”

Jamaal scosse la testa, fermandola prima che potesse andare avanti. “Lo avrebbe scoperto comunque, prima o poi. La colpa è mia. Non avrei dovuto aspettare a dirglielo.” Reprimendo un fremito di rabbia, strinse la mano a pugno sul tavolo. “Lo conosco meglio di chiunque altro. Sapevo bene che ambiva a prendere il mio posto, eppure non sono stato capace di prevedere la sua reazione.”

“Sì, ma che diritto aveva di pretendere che lo nominassi tuo successore?”

“Più diritto di chiunque altro, in effetti.” rispose lui in tono esausto, portandosi una mano sugli occhi e massaggiandosi le tempie.

Claire gli rivolse un’occhiata perplessa.

“Tareq è il mio abnem…” chiarì allora, cercando poi la parola giusta in inglese, perché potesse capire. “Come dite voi…Cugino? Cassim è il fratello minore di mio padre.”

“Ah.” disse lei interdetta, senza nascondere la sorpresa. “Quindi, scusa se te lo chiedo, perché avresti scelto Najat?”

Jamaal si prese un secondo, poi le spiegò. “Tareq è sempre stato troppo aggressivo. Un abile guerriero, è vero, ma non ha mai messo al primo posto il benessere del popolo. Per lui conta solo sterminare gli algul, non importa se il prezzo da pagare sono le vite dei suoi stessi uomini. La sua ambizione non lo avrebbe reso un degno capo.”

-E in cosa sarebbe tanto diverso da Najat?- Fu automatico per Claire porsi quella domanda, ma non diede fiato ai suoi pensieri perché in fin dei conti era convinta che Jamaal la conoscesse meglio di lei. Se l’aveva scelta non era stato certo a caso ed evidentemente la riteneva adatta al ruolo. Tuttavia, c’era un’altra cosa che le sarebbe piaciuto chiarire. “Ieri, prima del duello, ti ha accusato di aver scelto Najat solo perché è la sorella di qualcuno. Di chi stava parlando?” Si rendeva conto di sembrare un’impicciona, ma voleva solo capirne di più.

Dapprima Jamaal rimase interdetto, poi annuì con aria mesta. “Hope…” mormorò.

“Cosa?”

Lui non riprese subito. Era evidente che l’argomento lo toccasse particolarmente e che faceva una certa fatica a parlarne. “Hope era sua sorella maggiore. Io e lei…Dovevamo sposarci.” rivelò infine, lasciando Claire basita. “Lei era tutto il mio mondo, ero convinto che avremmo passato una lunga vita insieme. Ma poi c’è stata una grande battaglia contro i vampiri. Qualcosa di mai visto prima. Mio padre ci guidò, ma perse la vita nello scontro, così come Hope.”

Venire a conoscenza del passato di Jamaal, così pieno di perdite e di dolore, fu come una doccia ghiacciata. Claire non avrebbe mai potuto immaginare niente del genere e d’improvviso capì perché ce l’aveva a morte con i vampiri e soprattutto quale peso gravasse su di lui. Un ragazzo di pochi anni più grande di loro, che aveva visto morire il padre e la donna che amava, senza avere neanche il tempo di piangerli perché sulle sue spalle pesava la responsabilità di un intero popolo. Di colpo la tristezza le invase il cuore e a malapena riuscì a trattenere le lacrime. “Mi dispiace tanto…” mormorò.

“Per tutti questi anni non ho fatto altro che tentare di cancellare quel giorno dalla mia mente, ma farà sempre parte di me. Che lo voglia o no.” si sfogò Jamaal, apparendole per la prima volta davvero indifeso. “Credevo che fare di Najat il mio successore avrebbe onorato la memoria di sua sorella, ma adesso mi sto rendendo conto di aver messo i sentimenti prima dei miei doveri e questo non è giusto…”

“Ehi, ehi.” Prima che potesse farsi altro male, Claire fermò quel fiume in piena posandogli una mano sulla guancia e spingendolo a guardarla. “Non dire così. Se pensi davvero che Najat sia la scelta giusta, allora devi fidarti del tuo istinto. Nessuno più di te sa cos’è meglio per il tuo popolo, tutto il resto sono cretinate.” replicò decisa.

La sua determinazione si trasmise a Jamaal, che restò a fissarla per qualche istante, prima di aprirsi in un sorriso. “Sai, non ho mai avuto tanta voglia di baciarti come in questo momento.” confessò senza timore. “Ma non lo farò, perché ho rispetto di te.”

Claire ricambiò il sorriso. “Grazie.” Non lo disse solo per quel motivo. In quel grazie mise tutta la sua riconoscenza per ciò che aveva fatto e che era ancora disposto a fare per lei. Ora il minimo sarebbe stato lasciarlo riposare, così si alzò, facendo per andarsene. Prima di salutarlo, però, aggiunse: “Laurenne dice che ci sarà una festa per la tua vittoria. Ci vediamo più tardi, allora.”

Jamaal sospirò con aria stanca. “In realtà, non è che abbia tutta questa voglia di festeggiare, ma il popolo si aspetta che io partecipi e anche che finga di essere felice. Quindi fingerò.” concluse.

Claire annuì, abbozzando un sorriso, poi si diresse alla porta.
 
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Quella sera lei e gli altri accompagnarono Laurenne alla grande tenda allestita per l’occasione, in cui si erano riuniti tutti i guerrieri fedeli a Jamaal, ma anche coloro che avevano parteggiato per Tareq, a riprova che ormai avevano riconosciuto il proprio leader e ora gli rendevano omaggio. Il resto della popolazione si era radunata fuori e stava festeggiando con cibo, canti e balli il successo del suo amato Qayid.

Dal suo posto in fondo al tendone, Claire gli lanciò un’occhiata, vedendolo parlare fitto con la sciamana, seduta accanto a lui al tavolo d’onore, e si chiese se l’argomento riguardasse il suo stato di salute. Da quando lo aveva saputo era un chiodo fisso. Poi però lo vide accostarsi a un compagno, scoppiando a ridere subito dopo, e si tranquillizzò. Sembrava aver recuperato le energie, nonostante sapesse che si stava sforzando di apparire forte e fiero di sé. Cosa tutt’altro che facile quando sei stato costretto a esiliare qualcuno che consideravi un fratello.

Claire ci stava ancora pensando quando vide arrivare Evan al loro tavolo, pieno del solito buon umore. “Allora? Vi state godendo la serata?”

Rachel annuì e sorrise di rimando, mentre accanto a lei Mark era impegnato ad assaggiare un dolce tipico del posto.

“Che fine ha fatto Delia?” chiese poi il guerriero, cercandola con lo sguardo. “È da un po’ che non la vedo.”

A quel punto, Claire si accorse per la prima volta da quando erano arrivati che Cordelia era sparita. All’inizio era con loro, ma poi doveva essersi allontanata senza dire niente a nessuno. “Bella domanda.” commentò, cercandola a sua volta.

“Già.” concordò Rachel perplessa. “E i datteri sono ancora tutti qui. Non se li sarebbe mai persi.”

“Vado a cercarla.” Dean fece per alzarsi, ma non fece in tempo perché partì un suono di flauti e tamburelli, e subito dopo il tendone venne invaso da un gruppo di musicisti seguiti da una fila di ragazze vestite da odalische.

L’attenzione dei presenti si focalizzò sullo spettacolo e, dopo un attimo di spaesamento, partirono gli applausi, accompagnati di tanto in tanto da qualche fischio di apprezzamento tra i guerrieri. Anche Jamaal dal suo tavolo sembrò gradire la sorpresa e applaudì entusiasta quando le ballerine si radunarono in fila davanti a lui, prendendo a danzare sinuose in suo onore. Dopo avergli dedicato un inchino, si sparpagliarono tra i tavoli senza smettere di muoversi, in un fruscio di veli che lasciavano ben poco spazio all’immaginazione.

Quando una delle ragazze si avvicinò al loro tavolo, all’inizio Rachel non prestò molta attenzione ai tratti del suo viso, seminascosto dal velo che la copriva dal naso in giù, ma poi non fu difficile riconoscerla, anche perché era l’unica del gruppo con la pelle chiara e i capelli di un biondo inconfondibile.

Mon Dieu…” mormorò incredula, coprendosi gli occhi con la mano.

Quando riemerse, vide Cordelia che ancheggiava in modo sensuale e Mark osservare la scena, divertito e secondo lei anche troppo interessato. Boccheggiando allibita, gli afferrò un lembo di pelle del gomito e lo torse con violenza, facendolo trasalire.
Con un gemito di dolore, lui si portò la mano nello stesso punto, guardandola in cerca di spiegazioni, ma Rachel si limitò a lanciargli un’occhiata minacciosa che valeva più di mille parole.

L’apice dell’imbarazzo lo toccarono quando Cordelia cominciò a strofinarsi contro Dean, che rimase completamente di sasso mentre lei dimenava in fianchi e muoveva le braccia in gesti serpentini.
Continuò imperterrita, finché il ritmo della musica non cambiò e si fece ancora più incalzante. A quel punto, le ballerine si radunarono di nuovo al centro del tendone e lei le seguì, lasciandoli impietriti a scambiarsi occhiate l’uno con l’altro.

La coreografia si concluse con un ultimo omaggio a Jamaal, che scoppiò entusiasta in un applauso nel momento in cui la musica si interruppe, imitato subito dopo dagli altri.
Le ragazze fecero un ultimo suadente inchino, prima di uscire dal tendone in una fila ordinata.

Qualche minuto più tardi, Cordelia si ripresentò al tavolo, allegra come al solito e avvolta in uno scialle di lana pesante. “Allora, cosa ne pensate? Avete gradito la mia sorpresa?” chiese, ignorando le loro facce mentre si riempiva il piatto con quello che era rimasto.

Claire fu la prima a riaversi e rispose sghignazzando. “È stato davvero carino, Delia. Non sapevo sapessi ballare.”

“Modestamente, ai miei tempi avevo ben poca concorrenza. Certo, lo stile era un tantino diverso…” disse lei fiera, mantenendosi concentrata sul cibo.

Il primo sguardo che Claire incrociò fu quello di Mark di fronte a sé ed entrambi riuscirono a stento a trattenere le risate.

A quel punto, Dean si alzò. “Scusate.” esordì, per poi lasciare il tavolo senza guardare nessuno e facendo calare il silenzio tra loro.

“Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese Cordelia dopo un po’, studiandoli preoccupata.

Rachel allora rilassò le spalle, abbandonandosi a un sospiro affranto. “Forse il problema è più quello che hai fatto.”

Lei la guardò piuttosto confusa. “Non capisco cosa intendi dire…”

“Parlo della scena di poco fa, quando hai sfoggiato le tue doti nascoste di danzatrice del ventre con Dean.” chiarì allora sbuffando. “Dovevi proprio strofinartici addosso in quel modo?”

“Perché? A me sembrava un buon metodo di approccio.” ribatté Cordelia, continuando a non capire.

Rachel sospirò ancora, sempre più frustrata. “Certo, perché è evidente che non lo conosci.”

“Ora non farne un dramma. Cercavo solo di creare un legame con lui.”

“Sì, ma la prossima volta perché non provi con qualcosa di più semplice? Ad esempio, che so, parlarci?” ironizzò, affondando con poca grazia la forchetta nella carne che stava mangiando.

Per tutta risposta, Cordelia le rivolse un’occhiata sprezzante. “Ai miei tempi agli uomini non piaceva parlare. Preferivano i fatti alle parole.” dichiarò in tono da maestrina.

“Però adesso i tempi sono cambiati.” replicò Claire paziente. “Perciò forse è il caso di andare a vedere se è tutto a posto.”

Lei sembrò rifletterci su, soppesando il suggerimento; poi sbuffò seccata. “E va bene, gli parlerò. Anche se non credo che possa funzionare. E poi non è affatto divertente.” aggiunse, prima di uscire in cerca di Dean.

Lo trovò poco distante, in piedi, che osservava con aria pensierosa un punto imprecisato del cielo, così si avvicinò con discrezione, fino ad arrivargli accanto.

Dean sembrò accorgersi della sua presenza, ma non fece una piega. Così, dopo un iniziale momento di imbarazzo, Cordelia si decise a dar voce alla prima cosa che le venne in mente. “Serata deliziosa, non trovi?” esordì, stringendosi nello scialle più per coprire le sue nudità che per ripararsi dalle fresche temperature della notte.

Lui annuì, continuando a guardare il cielo.

“Cosa ci fai qui tutto solo?”

“Avevo bisogno d’aria e poi…” esitò d’un tratto. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma una volta fuori dal tendone aveva avvertito l’impulso irrefrenabile di alzare gli occhi al cielo. “Volevo guardare le stelle.” disse infine.

Cordelia alzò un sopracciglio confusa. “Le stelle? E perché?”

A quel punto, Dean la guardò e d’improvviso tutto divenne chiaro. Nella sua testa si delineò il ricordo di lui e Juliet sotto il portico di casa Weaver. Anche loro parlavano delle stelle, ma in quel caso i ruoli erano invertiti ed era lui lo scettico. Ripensandoci, forse era stato proprio in quel momento che aveva capito cosa provava per lei e ora, specchiandosi negli occhi di Cordelia, non ebbe difficoltà a spiegarsi perché l’istinto lo aveva condotto a compiere quel gesto, lì per lì quasi automatico. “Perché una volta qualcuno mi ha detto che se sei triste guardare le stelle può essere d’aiuto.” Lo spiegò in parole povere, anche se in realtà Juliet si era riferita alle persone che amava.

Dal canto suo, Cordelia sembrò soppesare quelle parole, cercando di trovarvi chissà quale significato nascosto; poi si arrese al fatto che probabilmente non l’avrebbe mai saputo e cambiò argomento. “Credo di doverti delle scuse.”

Dean si accigliò leggermente. “Per cosa?”

“Prima ti ho messo in imbarazzo con il mio comportamento.” rispose lei, abbassando gli occhi contrita. “Quel modo di danzare…E poi i miei abiti erano davvero troppo succinti.”

Lui a quel punto capì e si mise a ridere. Fu una sensazione piacevole dopo diverso tempo che non accadeva; poi scosse la testa. “No, tu sei bellissima. Il problema sono io.”

Stavolta fu Cordelia a restare perplessa.

“Stasera mi sono reso conto definitivamente che tu e Juliet non siete la stessa persona.” le spiegò allora. “Lo sapevo anche prima, ma in qualche modo faticavo ad accettarlo. È per questo che ho cercato di tenermi alla larga da te. Avevo paura che me ne dessi la conferma.”

“Cosa che a quanto pare ho fatto.” osservò lei, annuendo.

Dean sorrise, distogliendo lo sguardo. “Non fraintendermi. Vederti in quel modo non mi è dispiaciuto affatto, ma ho pensato che Juliet al tuo posto non avrebbe mai indossato quei vestiti e ballato in mezzo a decine di sconosciuti. A quel punto è stato come realizzare per la prima volta che lei non è davvero qui.”

“In altre parole stai dicendo che ti manca.” concluse Cordelia.

Lui non disse nulla, tornando a guardare le stelle, ma era chiaro che la risposta fosse affermativa.

“Dean, ascolta.” riprese allora. “Capisco che averla davanti agli occhi senza poterle parlare sia davvero terribile per te, ma ti assicuro che la mia permanenza qui è destinata a finire. Io sono solo di passaggio, mentre Juliet tornerà presto. È solo questione di tempo.”

“Perdonami. Non voglio che pensi di essere di troppo.”

Lei sorrise. “Però è così. Ne sono consapevole.” Poi, lentamente gli prese la mano e Dean, anche se sorpreso, non la ritrasse. “La ami, vero?”

Quella domanda se l’era posta almeno un milione di volte, per lo meno quando ancora non sapeva darsi una risposta, ma adesso che era tutto limpido come quel cielo sopra di loro annuì, brevemente ma con decisione.

“Allora devi dirglielo. Non appena sarà tornata. Subito.” disse Cordelia altrettanto sicura. “Non lasciar passare troppo tempo, altrimenti potresti non avere più alcuna occasione. Promettimi che lo farai.”

In cuor suo, Dean provò una strana sensazione di vergogna. Era come se Cordelia gli avesse letto dentro, percependo le sue remore nel rivelare a Juliet i suoi veri sentimenti e sapeva che, al momento opportuno, non avrebbe fatto eccezione. Solo che stavolta era deciso ad arrivare fino in fondo, perché era giusto e perché ne sentiva il bisogno. “Lo prometto.” assentì infine.

Cordelia gli sorrise ancora in segno di approvazione; poi gli lasciò la mano, assumendo tutto a un tratto un’aria malinconica. “So che cosa significa perdere la persona che si ama. Ero promessa a un giovane nobile austriaco, prima che Nickolaij strappasse me e la mia famiglia dalle nostre vite.” raccontò.

“L’ultima volta che lo vidi, Ludwig stava tornando a casa per organizzare le nozze e ci lasciammo con la promessa di ritrovarci di lì a qualche mese. Non ci conoscevamo da molto, eppure ero certa sarebbe stato lui l’unico uomo che avrei mai potuto amare. Si mostrava risoluto, ma in realtà nascondeva un cuore generoso e un animo artistico. Gli piaceva dedicarmi poesie, anche se preferiva farmele avere in privato, perché lo imbarazzava leggerle ad alta voce.” Sorridente, sembrò ripensare con piacere a quei ricordi. “Sai, tu me lo rammenti in un certo senso. Hai il suo stesso carattere forte e deciso, ma proprio come lui nascondi delle fragilità. Forse è per questo che mi sono sentita subito attratta da te, o forse perché Juliet influenza i miei stati d’animo. Non saprei dirlo.”

La sua sincerità contagiò anche Dean. Nonostante si sentisse a terra, era riuscita a sollevargli un po’ il morale e non poteva che esserle grato.

Insieme rientrarono nel tendone e stavano di nuovo per sedersi, quando d’improvviso dal villaggio arrivò un guerriero con la faccia stravolta. Gridando “Qayid!” raggiunse di corsa il tavolo di Jamaal, per poi avvicinarsi a lui e spiegargli l’accaduto. Intanto, la festa si era fermata e i presenti osservavano interdetti la scena.

Videro l’espressione di Jamaal cambiare radicalmente e l’allegria che poco prima occupava il suo volto fece spazio a un’espressione indecifrabile. Era evidente che quanto saputo lo avesse turbato profondamente.
Quando il guerriero smise di parlare, si concesse un momento per riprendersi; poi sembrò riscuotersi, diede un paio di ordini a un gruppo dei suoi, compresa Laurenne, e insieme si precipitarono in fretta e furia fuori dal tendone.

 

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Capitolo 22
*** Il riflesso dell'anima - Parte 2 ***


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Il riflesso dell'anima (Parte 2)

Era da poco passata l’ora di pranzo quando Claire lasciò il campo d’addestramento, ma non aveva voglia di tornare a casa. Gli altri erano in fermento con i preparativi per la partenza e lei preferiva stare alla larga da loro, visto che l’avevano esclusa. Decise così di andare all’oasi a farsi un bagno e poi riposarsi al sole.
L’acqua era magnifica e non vedeva l’ora di tuffarsi, ma si sentiva stanca, così si sedette all’ombra di una palma. Un debole venticello le soffiava tra i capelli, facendola rilassare a tal punto che pian piano si addormentò.

Convinta non fosse passato troppo tempo, si stiracchiò e aprì gli occhi, rendendosi conto solo dopo qualche istante di essere rimasta lì più del previsto.

Merda!” imprecò, alzandosi di scatto quando vide il tramonto. - Gli altri mi avranno dato per dispersa! – pensò. Doveva sbrigarsi a tornare.

Si stava ancora spolverando la sabbia dai pantaloni quando qualcosa attirò la sua attenzione. Una figura in lontananza si stava avvicinando sempre di più. Lì per lì era troppo lontano perché riuscisse a riconoscerlo e pensò fosse qualcuno mandato a cercarla. Quando però il ragazzo si fece più vicino i suoi lineamenti furono più chiari e il cuore di Claire perse un battito.

“Cedric?” mormorò, il corpo paralizzato dall’emozione. Non poteva crederci. Non poteva essere lì, ma più si avvicinava e più i dubbi si dissipavano. Quei capelli dorati, gli occhi azzurro mare e poi l’inconfondibile pizzetto.

A quel punto avvertì i battiti accelerare, talmente veloci che il suo cuore sembrava voler recuperare quelli persi poco prima. Riusciva a sentirlo martellare nel petto come impazzito.

Senza starci a pensare oltre, gli corse in contro per raggiungerlo e lui fece lo stesso. A meno di un metro di distanza l’uno dall’altra, Claire si fermò a guardarlo. Era lui, era lì, vivo. Cedric rispose al suo sguardo sfoderando un sorriso, al settimo cielo nel rivederla.

“Sei proprio tu…” Gli occhi di Claire si riempirono di lacrime e, presa da un impeto di passione, gli saltò al collo e lo baciò. Era un bacio sentito, appassionato, forse il più bello che Claire avesse mai scambiato con qualcuno.

Il distacco, quasi doloroso, avvenne per gradi e i due si guardarono intensamente negli occhi, beandosi l’uno dell’altra. In quel momento tutte le paure e le indecisioni di Claire sembrarono sparire. Il suo cuore era leggero e finalmente aveva capito. Era sicura dei suoi sentimenti, così non riuscì più a reprimere quelle parole che tanto le era costato dire e ammettere con se stessa. “Ti amo.”

Cedric reagì con un sorriso a trentadue denti; poi la sollevò e la fece girare. Lei rise, felice come non lo era da tempo e pensò che le cose finalmente stavano andando per il verso giusto. Quando la rimise a terra, l’abbracciò forte e Claire ricambiò la stretta, questa volta decisa a non lasciarlo più andare via.

Ancora stretto a lei, Cedric avvicinò le labbra al suo orecchio. “Lo so che mi hai abbandonato Claire.” mormorò, con un tono che le mise i brividi.

Spaventata, si scansò subito. “Cosa?” In quel momento si accorse che il sole era tramontato del tutto e che al suo posto era sorta una grande luna piena. L’aria si era fatta più fredda e si era anche alzato un forte vento.

Lo sguardo di Cedric era cambiato, era vitreo e la fissava con odio. “Come puoi dire di amarmi? Tu mi hai lasciato a marcire in quel castello per settimane. Andavi a divertirti, incurante del fatto che io stavo passando l’inferno.”

“Mi…mi dispiace. Io ho provato a…” Agitata, tentò di giustificarsi, ma le uscì solo un balbettio sconnesso.

“Bugiarda!”  le gridò in faccia, impedendole di continuare. “Tu hai mollato! Credevi fossi morto e non ci hai messo niente a rimpiazzarmi!”
 
Quelle parole furono come lame nel petto. Gli occhi di Claire tornarono a riempirsi di lacrime, questa volta di dolore. “Ho sbagliato, lo so, ma lascia che ti spieghi!”

Cedric, con lo sguardo amareggiato e deluso, nel frattempo indietreggiava verso la pozza d’acqua. “Non c’è molto da spiegare.” Ora l’acqua gli arrivava quasi alla vita.

Claire provò ad avvicinarsi, immersa fino alle ginocchia con una mano tesa verso di lui. “Per favore…” lo supplicò, mentre lacrime copiose le rigavano il viso.

“Non hai creduto in me, in noi. Guarda Mark e Rachel, lei non si è mai arresa. Sapeva che Mark era vivo perché lei lo ama davvero, non come te. Tu non mi ami davvero.” sputò velenoso. “Se morissi sarebbe meglio per te! Non avresti più preoccupazioni e potresti vivere in pace la tua vita con Jamaal…se ti vorrà ancora.” ghignò malevolo. Il vento gli sferzava i capelli, facendolo apparire ancora più cattivo.

Nonostante le sue parole l’avessero ferita, Claire non si diede per vinta. Voleva raggiungerlo, spiegargli com’erano andate realmente le cose. “Ced…ti prego…” supplicò ancora, la mano tesa nonostante l’acqua le arrivasse ormai alla gola.

Lui le rivolse un ultimo sguardo pieno di rancore, prima di inabissarsi del tutto.

“No!” Claire urlò, ma così facendo inghiottì una grande quantità d’acqua; poi avvertì qualcosa afferrarle una caviglia e trascinarla sempre più giù. Colta alla sprovvista, non ebbe il tempo di prendere aria, quindi dopo un po’ si sentì inevitabilmente soffocare.

Quando pensava che ormai fosse finita, i suoi piedi toccarono il fondo. Guardò in basso e vide che, più che un fondale, sembrava una lastra di vetro. D’istinto cominciò a battere i pugni cercando di romperla e infatti poco dopo vide crearsi delle crepe, così continuò a colpire finché, con un ultimo pugno, riuscì a spaccare il vetro e l’acqua cominciò a defluire, come se avessero tolto il tappo a una vasca da bagno. Claire venne trascinata dalla corrente e tutto si fece confuso.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò a faccia in giù su un pavimento bianco e liscio, nel silenzio più totale. Tossicchiò un po’ d’acqua, rabbrividendo nei vestiti fradici incollati al corpo. Si appoggiò sui gomiti, i capelli le gocciolavano davanti agli occhi mentre si guardava intorno alla ricerca di Cedric, ma di lui nessuna traccia. Decise di provare a cercarlo e si alzò in piedi, rimanendo basita nel vedere che era di nuovo perfettamente asciutta; poi tornando a guardarsi intorno notò come tutto fosse bianco e apparentemente senza fine. Dal pavimento al… soffitto? Cielo? Non avrebbe saputo come definirlo. La crepa che aveva creato nel vetro era sparita, così come l’acqua che si aspettava di trovare a terra. Non c’erano pareti e ovunque posasse lo sguardo lo spazio sembrava infinito, come se proseguisse per chilometri e chilometri nel nulla. E se fosse morta e quello fosse l’aldilà? - Almeno avrebbe un senso - pensò.

Provò a camminare senza una meta precisa, spaventata e confusa allo stesso tempo; non fece che pochi metri, quando si accorse di qualcosa che prima non aveva notato. Non molto lontano da lei c’era un oggetto, una specie di toletta per signore e la sua confusione non poté che aumentare. Era tutto così assurdo. Incuriosita si avvicinò al mobile antico di legno intarsiato, sovrastato da un imponente specchio con la cornice dorata.

Istintivamente Claire si sedette sullo sgabello dalle gambe arcuate imbottito e foderato di velluto, e quando alzò lo sguardo non vide se stessa riflessa nello specchio, bensì Elizabeth. La cosa non la sorprese poi molto, non era certo la prima volta che le capitava.

“Salve, Claire.”

Sbalordita, sobbalzò sullo sgabello, fissando a occhi sgranati il riflesso di Elizabeth. Con circospezione, sporse la testa al di là dello specchio, aspettandosi di trovarla lì dietro, ma quello che vide fu solo il retro della toletta.

Quando tornò a sedersi, Elizabeth era ancora lì che le sorrideva paziente. “Ecco il tuo vero aspetto, finalmente. È stupefacente vedere come mi somigli.” Portava uno dei suoi abiti migliori, di un bellissimo blu cobalto ricamato con fili d’oro. Una lunga treccia di capelli corvini le cadeva sinuosa su una spalla e la sua postura le dava un aspetto quasi regale.

Claire dubitava che in quel momento si somigliassero molto, visto che probabilmente la stava guardando con una faccia da ebete. Per apparire meno imbecille di quanto già non sembrasse, si ricompose schiarendosi la gola per darsi un contegno. “Già…” concordò, sempre più confusa. Aveva almeno mille domande che le affollavano la mente, ma prima c’era ancora una questione da chiarire. “Che posto è questo? Sono morta?”

Elizabeth scoppiò in una risata composta, portando una mano a coprire la bocca. “Niente affatto, cara. Siamo solo in uno dei miei sogni, creato da me apposta per poterti parlare.”

Questo almeno rassicurò Claire, soprattutto perché significava che l’incontro con Cedric era stato frutto di una fantasia, anche se incredibilmente realistica.

“Sentirgli dire quelle cose deve averti fatto molto male, non è così?”

Claire rimase ammutolita. Come poteva sapere quello che si erano detti?

“Io vivo dentro di te, Claire. Da quando mi sono risvegliata, so sempre ciò che pensi e vedo tutto quello che ti succede.”

La tranquillità con cui Elizabeth rispose alla sua muta domanda era la conferma di come le loro menti vivessero in simbiosi. Tutto ciò che Claire pensava o faceva riguardava anche lei. I pezzi del puzzle lentamente stavano tornando al loro posto.

“E comunque” proseguì Elizabeth “Ciò che hai visto non era altro che un’illusione dovuta ai tuoi sensi di colpa. Tuttavia sì, temo che con le tue azioni tu non abbia dimostrato quanto realmente tieni a lui.” concluse, senza peli sulla lingua.

Sentirsi fare la morale da una che aveva tradito la propria famiglia per fidanzarsi con Nickolaij non fece proprio piacere a Claire, ma lasciò perdere. Aveva ancora troppe domande da farle. “Che significa che vivi dentro di me? E che intendi per risvegliata?”

“Tutto ciò che posso dirti è che parte della mia anima era assopita all’interno del tuo corpo, fin quando tu e Nickolaij non vi siete incontrati durante quel ballo in maschera. Solo allora mi destai.”

Erano mesi che Claire non ripensava a quella dannata sera, l’inizio di tutti i suoi guai, e ricordò il brivido che aveva provato toccando la mano dello sconosciuto che le aveva chiesto di ballare. Solo in quel momento realizzò dovesse trattarsi proprio di Nickolaij.

Elizabeth le concesse qualche secondo per riflettere, prima di ricominciare a parlare. “Non potendo comunicare con te da sveglia, l’unico modo era farlo mentre dormivi…”

“Quindi eri tu la causa di quegli incubi!”

“Sì.” Elizabeth sospirò paziente. “Anche se non si trattava di incubi, ma di miei ricordi. Speravo che mostrandoti il passato saresti stata preparata e consapevole di chi avevi di fronte.”

Claire la guardò con aria confusa. “Come avrei mai potuto capire…” Era assurdo da parte sua pretendere che dei flash sporadici e per nulla chiari potessero essere sufficienti. Oltretutto, prima di vederlo in faccia a Bran, nei sogni il viso di Nickolaij le era apparso sempre sfocato, impossibile da riconoscere.

“In effetti è stata una mossa azzardata da parte mia, te lo concedo. Come ho detto, non avevo modo di parlarti apertamente.” ammise Elizabeth.

“E cosa è cambiato adesso?”

“Ora mi conosci.” spiegò lei. “Conosci la mia storia e quella della mia famiglia. Ciò mi ha resa più forte e in grado di generare una dimensione in cui fosse possibile incontrarci. Devo ringraziare anche mia sorella per questo. La sua vicinanza non ha fatto che rafforzare la magia che ci tiene unite.” Il pensiero di Cordelia la fece sorridere, un sorriso malinconico e nostalgico allo stesso tempo.

Stando alle sue parole, anche Juliet e Cordelia condividevano lo stesso legame, ma solo lei aveva potuto in qualche modo comunicare con Elizabeth, mentre a Juliet non era mai successo. “Perché?” non poté fare a meno di domandare Claire. “Perché le vostre anime vivono dentro di noi? E perché solo io posso parlare con te? Che fine ha fatto Juliet? Perché Cordelia si è manifestata, mentre tu…”

“Non posso spiegarti tutto, non ora, non c’è tempo.” Elizabeth interruppe bruscamente la sua raffica di domande, lasciandola con l’amaro in bocca. “Capisco che tu voglia sapere, ma non sono io la persona giusta per darti spiegazioni. È un argomento troppo delicato di cui non saprei fornire i dettagli. Ho creato questo sogno perché devo parlarti di cose più urgenti che riguardano Nickolaij.”

A quel punto Claire decise di ingoiare il rospo e aprire bene le orecchie. Se dopo tutto questo tempo Elizabeth si era decisa a parlarle doveva essere davvero importante.

La sua espressione attenta la spinse a proseguire. “Tempo fa ti mostrai la sera in cui venni uccisa e il mio ultimo disperato tentativo di difendermi pugnalandolo al cuore.”

Claire ricordava bene quel sogno. La sensazione di morire era stata così reale e terribile che difficilmente l’avrebbe dimenticata. “Solo che non funzionò.”

“Esatto.” confermò Elizabeth. “Devi sapere che prima che ciò avvenisse, Margaret entrò nella mia stanza per avvertirmi del pericolo. Non l’avevo mai vista così spaventata. Mi disse che un esercito stava assaltando il castello, che Cordelia e nostro zio erano morti, e che tutto questo era opera di Nickolaij, l’ultimo dei Draculesti venuto per vendicarsi. Lessi la sorpresa nei suoi occhi quando, nonostante l’evidenza, mi rifiutai di fuggire insieme a lei. I miei sentimenti mi avevano resa cieca e semplicemente non le credetti. Quella fu l’ultima volta che la vidi.”

C’erano amarezza e rammarico nella sua voce, e Claire non osò interromperla, curiosa di sapere tutti i particolari di quella storia.

“Uscii a cercare Nickolaij.” continuò infatti Elizabeth di lì a poco. “Volevo sentirlo da lui, guardarlo negli occhi mentre smentiva le accuse di mia sorella. Ero certa che non fosse in alcun modo responsabile di quanto stava accadendo, o almeno lo speravo. Anche quando i suoi uomini attaccarono Margaret, perfino dopo averla vista morire, una piccola parte di me si illudeva ancora che l’ordine venisse da qualcun altro. Così presi il pugnale dal cassetto e corsi da lui. Il resto della storia lo conosci.” concluse, tornando a guardarla.

“Quando mi resi conto che Margaret aveva sempre avuto ragione, rimasi sconvolta. Io l’amavo, ero pronta a rinunciare a tutto per lui, al titolo, alla mia terra, alla mia famiglia...” Mentre pronunciava quelle parole, Claire notò un fremito di rabbia nel suo sguardo. “Comunque mi ripresi alla svelta e non esitai un istante ad attaccarlo. Purtroppo, come sai, fallii miseramente nell’intento.”

“Sì, ma perché non ha funzionato? Lo hai pugnalato al cuore, sarebbe dovuto morire.” osservò Claire, sempre più confusa.

Lei scosse la testa. “Le linee dinastiche di Draculesti e Danesti hanno origine dai primi vampiri esistenti e nelle loro vene non scorre la minima quantità di sangue umano. Nessuna arma comune ha effetto su di noi, nemmeno se colpiti al cuore. Quando mi donò il pugnale, Margaret disse di averlo incantato e credevo che usandolo su di lui sarei riuscita a ucciderlo, ma evidentemente qualcosa nel piano di mia sorella non andò come doveva.”

“Fantastico. Quindi Nickolaij non può morire.” concluse Claire.

Elizabeth abbassò il capo in segno di assenso.
Se neanche un pugnale magico era servito a eliminarlo, significava che tutti gli sforzi di Dean e Jamaal erano inutili.

“Com’è possibile? Dovrà pur avere un punto debole, un tallone d’Achille, qualcosa!”

“Purtroppo no.” rispose Elizabeth in tono grave. “L’unica fortuna è che, essendo l’ultimo della sua stirpe e non avendo eredi, quando morirà si porterà il suo “dono” nella tomba.”

“Ma se hai appena detto che non c’è modo di ucciderlo…”

“Non con un’arma comune.” precisò. “Forse esiste un altro modo. Ai miei tempi circolavano voci riguardo a delle armi capaci di uccidere i vampiri dal sangue puro. Una sorta di paletti forgiati in un metallo mistico o qualcosa del genere. Non ne so molto, era Margaret l’esperta di magia, ma se Delia ha ragione sulla collana e mia sorella è ancora viva, anch’io vi consiglio di trovarla. Sarà sicuramente un aiuto prezioso.”

“Sì, ma come facciamo?” le chiese Claire. “Potrebbe essere ovunque.” Non avrebbero certo potuto setacciare l’intero pianeta palmo a palmo per trovare una sola persona nascosta chissà dove.

Elizabeth però aveva la risposta anche a quella domanda. “Le nostre collane. Riunite sono la chiave per arrivare da lei, anche se purtroppo non so dirti di più.”

Claire annuì. Trovare Margaret sarebbe stato il prossimo punto nella lista delle cose da fare, subito dopo il salvataggio di Cedric.

“A proposito di questo…” continuò Elizabeth, facendola restare di stucco. Incredibile come riuscisse a leggerle nella mente. “Sì, posso sentire i tuoi pensieri Claire, condividiamo lo stesso corpo.” Sogghignò di fronte alla sua espressione spaesata. “È chiaro che l’intento di Nickolaij sia quello di sacrificarti per riportarmi in vita. Lui e la sua cricca hanno fatto diversi tentativi nei secoli, ma quando sei comparsa tu si è convinto che fossi perfetta per lo scopo. Il fatto che siamo identiche deve aver contribuito senz’altro.”

Claire era a conoscenza degli obiettivi di Nickolaij e di cosa prevedesse di fare con lei. In fondo, era proprio per questo che gli altri avevano deciso di escluderla dalla gita a Bran.

“Non posso che essere d’accordo.” disse Elizabeth, indovinando di nuovo i suoi pensieri. “Ti pregherei di restare al villaggio durante la missione di recupero. A meno che tu non voglia morire. Questo per me significherebbe diventare la schiava di quello schifoso, pazzoide, doppiogiochista, ed è inutile dire che non ne ho la minima intenzione.”

Claire sbuffò frustrata. A quel punto era inevitabile per lei rimanere dov’era.

“Permettimi di avvisarti, però.” L’espressione di Elizabeth si fece d’un tratto seria. “Lui ti darà la caccia. Finché sarà vivo non smetterà di cercarti e se mai un giorno dovesse riuscire a prenderti, fa in modo che non possa usarti. Devi impedire ad ogni costo che mi riporti in vita.” Detto questo l’immagine nello specchio cominciò pian piano a sbiadire e il volto della duchessa si fece più opaco. “Il mio tempo è scaduto. Dipende tutto da te ora...”

No, non poteva andarsene, non proprio adesso! Claire aveva ancora un trilione di altre domande da farle. “Aspetta!” Si alzò in piedi e toccò lo specchio, come se così facendo potesse trattenerla, ma ormai era troppo tardi. La figura di Elizabeth stava pian piano scomparendo e più si dissolveva, più lo specchio si incrinava.

Claire ritrasse la mano spaventata, ma non fece in tempo ad allontanarsi che il vetro esplose, frantumandosi in mille pezzi e investendola in pieno…
 

Le sue urla terrorizzate risuonarono nella notte, svegliando gli altri di soprassalto.

Dean si sporse sottosopra, guardando nella stanza dalla sua postazione sul tetto. “Che sta succedendo?”

“Non lo so, ma ho quasi rischiato un infarto!” rispose Mark allarmato, la mano sul petto.

Intanto, Claire sentiva i battiti rallentare e provò a calmarsi. L’aveva vista di nuovo. Elizabeth. Solo che stavolta si erano trovate faccia a faccia.

“Hai avuto un altro dei tuoi incubi, vero?” le chiese Rachel in tono apprensivo, mentre accendeva una candela per fare luce nella stanza. “Sembra che tu abbia visto un fantasma.”

Claire annuì, ancora ansante. C’era andata molto vicina.

A quel punto, Dean si aggrappò alla tettoia e con un gesto atletico entrò dalla finestra. “Che cosa hai sognato?” domandò, concentrandosi su di lei.

“Ero all’oasi, addormentata sotto una palma.” iniziò a spiegare. Raccontò che era finita in acqua e di come avesse rischiato di annegare, fino a precipitare in quella sorta di limbo, omettendo però la parte di Cedric. “C’era solo uno specchio, con uno sgabello, e quando mi sono seduta ho visto riflessa l’immagine di Elizabeth.”

Cordelia sgranò gli occhi stupita. “Mia sorella?”

Claire annuì di nuovo. Nella testa risuonavano ancora le sue parole, ma in maniera confusa e ci mise un po’ a riordinare le idee. Le rivelazioni che le aveva fatto erano talmente scioccanti che tuttora stentava a crederci.

Rachel parlò, prima che potesse andare avanti. “A questo punto è chiaro che esiste un legame speciale tra voi. Come foste unite da una linea temporale che continua ancora oggi.”

“Tipo reincarnazioni.” ipotizzò Mark.

Dean spostò lo sguardo su di lui, attirato dall’idea. “Questo spiegherebbe la somiglianza.”

“No, anche Laurenne ci aveva pensato.” replicò Rachel. “Ma poi ha detto che è impossibile per due anime convivere nello stesso corpo. Se si trattasse di reincarnazione, Juliet sarebbe morta. Invece la sua anima esiste ancora.”

Tutte quelle chiacchiere le stavano facendo girare la testa, così Claire decise di arrivare al sodo. “Sentite, non so che tipo di legame ci sia tra noi e le sorelle. Direi che al momento è l’ultimo dei miei pensieri.” tagliò corto. “Elizabeth mi ha rivelato alcune cose su Nickolaij…”

“Ovvero?” esordì Dean, interrompendola.

Claire allora si rivolse direttamente a lui. “Sapevi che nessuna arma può ucciderlo?”

“Cosa?” Rachel la guardò sbigottita.

Ignorando le loro facce alla disperata ricerca di spiegazioni, Dean fece un sospiro e annuì. “È una delle tante dicerie che circolano sul suo conto. Stando a quanto si racconta, i Draculesti apparterrebbero a una dinastia leggendaria di vampiri del tutto invulnerabili.” confermò. Personalmente non aveva mai creduto a quelle storie, attribuendo la loro esistenza ai tentativi ben riusciti di Nickolaij di incutere paura e mantenere immutato il suo potere nel tempo. Come gli altri della sua specie, anche lui avrebbe potuto vivere per sempre, a meno che non fosse stato colpito al cuore o gli avessero tagliato la testa. Non vedeva in che modo avrebbe potuto sopravvivere a questo.

“Solo che a quanto pare non è una diceria.” lo smentì Claire. “Secondo Elizabeth è tutto vero. Danesti e Draculesti non possono essere uccisi da armi comuni, è una caratteristica che hanno dalla nascita. L’unica arma efficace contro di loro è una specie di paletto magico, ora non mi ricordo i dettagli…”

A quel punto, il viso di Cordelia sembrò illuminarsi. “Esatto!” confermò, colta dal fervore. Come se avesse appena ricordato qualcosa di fondamentale. “Io stessa sono stata uccisa con uno di quei paletti, ora che mi ci fate pensare. Non rammento chi sia stato, solo un acuto dolore nel petto…”

Forte del suo sostegno, Claire proseguì. “Inoltre, non ha fatto che chiarire quello che mi aveva mostrato in un altro dei miei incubi, quando aveva cercato di pugnalare al cuore Nickolaij, senza fargli neanche un graffio.”

“Un momento.” la fermò Rachel. “Stai dicendo che è stata la stessa Elizabeth a mandarti quelle visioni?”

Claire allora spiegò in breve cosa volesse ottenere facendole rivivere il passato. I suoi tentativi di metterla in guardia da Nickolaij e come tutto ciò avesse portato a incontrarsi. Ora Elizabeth voleva che trovassero sua sorella Margaret, la sola che forse avrebbe potuto aiutarli a eliminare Nickolaij una volta per tutte.

“Lo sapevo! Cosa vi avevo detto?” reagì Cordelia, esaltata da quanto aveva sentito; poi si voltò verso Rachel, seduta sulla branda accanto a lei, e le prese le mani. “Questa è l’ennesima prova a conferma del fatto che mia sorella è ancora viva. Lei saprà certamente come risolvere le cose.”

Mark, però, come sempre più razionale, provvide a calmare i suoi fervori. “Ma come faremo a trovarla? Non possiamo certo fare il giro del mondo alla sua ricerca.” osservò pratico.

Cordelia sembrò pensarci su un momento, prima che la soluzione le brillasse negli occhi. “La tua collana, Ray!” esordì a quel punto, entusiasta. “Dev’essere la chiave per arrivare a Margaret. Ecco il motivo per cui è stata tramandata fino a te.”

“Elizabeth ha detto la stessa cosa.” confermò Claire, ricordando quel passaggio della loro conversazione. “Per trovarla abbiamo bisogno di tutte e tre le collane.”

Per tutto il tempo Dean era rimasto in silenzio ad ascoltare, la mente ancora ferma a quando Claire aveva fatto crollare ogni sua certezza su Nickolaij e confermato la sua presunta invulnerabilità. Come se non bastasse, ora scopriva addirittura che una delle sorelle Danesti era ancora viva. “Un attimo. Quali collane? Di che cosa state parlando?” chiese confuso, cercando di rimettere insieme i pezzi.

Fu solo allora che Rachel si rese conto di non avergliene parlato. Si era ripromessa di farlo una volta che fosse stato libero, ma poi erano successe tante di quelle cose che le era passato di mente. Eppure era un dettaglio non da poco. “Il ciondolo di mia nonna, ricordi?” Lo tirò fuori dal bavero per mostrarglielo.

Dean annuì, rammentando quel giorno in campeggio, quando era quasi impazzita pensando di averlo perso.

“Una volta Cordelia lo ha toccato per sbaglio e si è messo a brillare. Secondo lei, questo significa che Margaret è ancora viva.”

“Sono certa di questo.” puntualizzò Cordelia, notando lo scetticismo di Dean. “Quel ciondolo apparteneva a mia sorella e anch’io ne possedevo uno uguale, così come Elizabeth. Fu Margaret a donarceli. È una strega potente e sicuramente avrà fatto un incantesimo su quegli oggetti per far sì che al momento opportuno capissimo come trovarla.”

“Pensi davvero che lei abbia quei paletti?” le chiese Mark.

La duchessa scosse la testa. “Purtroppo non posso esserne sicura. So che furono creati per distruggere i Draculesti e che i miei avi si allearono con le tribù di cacciatori, i quali erano in possesso di tali armi.” spiegò. “I Danesti infine prevalsero, ma poi temettero che un giorno i cacciatori avrebbero potuto usare i paletti contro di loro. Così li distrussero, uno ad uno.”

Quella rivelazione spense anche l’ultimo barlume di speranza nell’animo di Rachel. “Perfetto. Quindi tutta questa discussione è inutile. I paletti non ci sono più e Nickolaij non può essere ucciso. Fine.” concluse, ormai scoraggiata.

“No, invece. Non è finita.” ribatté Cordelia risoluta. “Ascoltate. Sebbene io per prima non riesca a spiegarmi come abbia fatto mia sorella a sopravvivere, sono certa che è così. C’è un motivo per cui vuole essere trovata e l’unico a cui riesco a pensare è che sia in possesso di un qualcosa che vi permetterà di eliminare Nickolaij.”

Dean ci rifletté su un istante, poi si mostrò d’accordo. “Bene, allora cercheremo Margaret, con la speranza che sappia cosa fare.” Per quanto fosse azzardato fare affidamento su una donna apparsa in un sogno, la quale aveva solo ipotizzato che la sorella potesse avere la soluzione ai loro problemi, quello sembrava essere l’unico gancio a cui aggrapparsi. Tanto valeva tentare.

Mark annuì. “Il problema è che al momento abbiamo solo una collana. Che fine hanno fatto le altre due?” chiese a Cordelia.

Lei ci rifletté un istante, prima di ricordare. “Diedi la mia a Ludwig prima che partisse per l’Austria, come pegno.”

“E quella di Elizabeth è al collo di Nickolaij.” li informò Claire di seguito. “Ho visto che la portava quando ero prigioniera a Bran.” Il pensiero di quel viscido che veniva a fissarla per ore attraverso le grate della cella le tornò alla mente e un brivido di disgusto le percorse la schiena.

“Perfetto.” commentò Rachel in tono cinico. “Una è in un altro continente, ammesso che si trovi ancora lì, e l’altra è al collo del mostro da cui cerchiamo di scappare. Meglio di così…”

A quel punto, Dean intervenne a riportare calma e raziocinio. “D’accordo, una cosa alla volta. A questo penseremo più avanti, prima occupiamoci di Cedric.”






 

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Capitolo 23
*** Addio e bentornata ***


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Capitolo 15 - Addio e bentornata
 
Laurenne poggiò in terra l’ultima pietra runica, chiudendo il cerchio che aveva creato nel giardino dietro casa, dove teneva l’orto con tutte le sue erbe medicinali. Il sole stava tramontando sul villaggio e la luce iniziava a scarseggiare, così avevano risolto il problema piantando delle fiaccole in punti strategici del cortile.

Restando in disparte, Dean la osservava preparare l’occorrente per il rituale che avrebbe dovuto risvegliare Juliet. Ancora una volta si era stupito della forza e del buon animo degli esseri umani quando la sciamana, nonostante la notte passata in bianco, aveva comunque deciso di mettere le loro esigenze al primo posto.
Non l’avevano più vista dal momento in cui lei e Jamaal avevano lasciato il tendone la sera prima ed era rientrata solo quella mattina, stanca e visibilmente provata. Cassim era stato trovato impiccato con una corda dentro casa sua. A causa della vergogna per la sconfitta e l’allontanamento del figlio, questa l’ipotesi più plausibile. Dopo aver tirato giù il corpo, avevano dovuto organizzare in fretta e furia dei funerali decorosi, visto che il padre di Tareq era un membro anziano e stimato della comunità, perciò non c’era stato neanche il tempo di riprendersi dallo shock.

Dean, che aveva intenzione di andare da Jamaal per informarlo delle ultime novità su Nickolaij, visti i fatti aveva deciso di rimandare a un momento migliore. Non doveva essere facile per lui, che probabilmente si riteneva responsabile del suicidio di suo zio.

“Aspetta! E se cambiasse idea e decidesse di non aiutarci più?” aveva obiettato Mark, quando Dean li aveva messi al corrente che ci sarebbe passato nel pomeriggio.

Lo aveva considerato, ma quanto scoperto da Claire nel suo sogno doveva essergli riferito. “Questa non sarà solo una missione di salvataggio, ma anche un primo tentativo di entrare nel castello in previsione di un attacco più grande in futuro. Cosa che dovrebbe concludersi con la morte di Nickolaij.” aveva illustrato paziente. “Il fatto che sia invulnerabile a qualsiasi arma conosciuta complica un tantino le cose, non credi? Quindi Jamaal deve saperlo, anche se questo dovesse mettere a rischio il recupero di Cedric.”

“Può essere ucciso, invece.” aveva replicato Claire, allarmata al pensiero che potesse saltare tutto.

Dean però si era dimostrato scettico. “Con un magico paletto scomparso? La vedo alquanto difficile…”

“Se sia Cordelia che Elizabeth ci hanno suggerito di trovare Margaret, dovrà pur esserci un motivo! Magari lei sa dove trovare quei paletti o meglio ancora ne ha uno con sé. Non possiamo saperlo.”

A quel punto, Dean aveva incrociato le braccia, pensando a quanto tutto ciò fosse ridicolo. “D’accordo, quindi cosa dovrei dirgli? Di non attaccare Bran finché non avremmo trovato una strega, in teoria morta almeno cinque secoli fa, che forse è in possesso dell’unica arma in grado di uccidere Nickolaij?”

Per un attimo il silenzio era sceso nella stanza, mentre tutti riflettevano sul da farsi; poi Rachel e Claire si rivolsero un’occhiata complice e subito dopo Rachel lo guardò. “Sì, è esattamente quello che gli dirai.”

Come prevedibile, Jamaal non aveva reagito con entusiasmo alla notizia, ma al di là delle aspettative si era dimostrato comunque lucido e razionale. I piani per il futuro andavano riconsiderati in virtù di ciò che sapevano ora, perciò ci avrebbe riflettuto sopra e lo avrebbe informato una volta presa la decisione.

Tornato a casa, Dean aveva trovato Laurenne sveglia e stranamente pimpante. A quanto pareva, la lunga dormita del pomeriggio aveva portato consiglio e adesso si sentiva finalmente pronta a tentare il rituale su Cordelia. Per farlo avrebbe avuto bisogno della semioscurità, perciò aveva deciso che quella sera sarebbe stata perfetta.

Qualche ora più tardi, quindi, si erano riuniti tutti nel cortile sul retro, in attesa del momento propizio. Una volta finito di preparare l’occorrente, la sciamana entrò in casa per cambiarsi e, quando tornò, indossava un caftano lungo fino alle caviglie e al collo diversi giri di collane fatte con pietre colorate e vari pendagli. A completare, sulla testa portava un vistoso copricapo di piume e il trucco bianco sul viso risaltava con la pelle scura.

“Wow…” commentò Rachel perplessa, vedendola conciata in quel modo. “Era davvero necessario tutto questo?”

Lei le lanciò un’occhiata di traverso. “Ovviamente.”

Dal canto suo, Cordelia nemmeno le ascoltava, torcendosi le mani agitata come non mai. “Dunque, ci siamo.” disse, tentando con scarso successo di mantenere l’autocontrollo. “Perdonami, potresti ripetermi cosa mi accadrà di preciso?” chiese a Laurenne.

“Grazie al potere delle rune cercherò dentro di te l’anima perduta di Juliet. Quando l’avrò trovata, tenterò di riportarla indietro e la tua sarà libera di tornare nell’aldilà. Sempre se tutto andrà come spero.” spiegò la sciamana.

Cordelia deglutì, per nulla rincuorata. “Sì, lo spero anch’io di cuore.”

“Stai dicendo che potrebbe non funzionare?” si intromise Rachel, preoccupata della scarsa sicurezza della donna.

“È un rituale molto complesso e purtroppo non ho mai avuto occasione di provarlo su un corpo umano, per di più con due anime all’interno. Quindi non posso assicurarvi che riesca.” rispose lei rammaricata.

Anche Claire non poté fare a meno di provare un certo disagio al pensiero che qualcosa potesse andare storto. “E cosa pensi che le succederà se non dovesse funzionare?”

Laurenne ci rifletté un istante. “Non ne sono certa…” esitò. “Nel peggiore dei casi il corpo non riuscirebbe a sopravvivere.”

“E nel migliore dei casi?”

“Beh, c’è pericolo che io prenda l’anima sbagliata. Nell’altra dimensione si fa tutto più confuso…Se questo accadesse, Cordelia rimarrebbe e Juliet non avrebbe più modo di tornare.” concluse.

La rivelazione li lasciò per un momento basiti, mentre soppesavano le sue parole nel tentativo di capire se alla fine fosse il caso o meno di andare avanti. Magari Laurenne avrebbe dovuto fare altre prove, per essere più sicura del risultato…Nessuno era convinto al cento per cento di quello che stavano per fare, ma solo Dean diede fiato ai propri pensieri.

“Facciamolo.” sentenziò infine risoluto.

Rachel lo fissò allibita. “E non ti importa di quello che potrebbe capitare a Juliet?” Poco dopo averlo detto se ne pentì, rendendosi conto di essere stata indelicata nei confronti di Cordelia, ma ormai era fatta.

L’occhiata raggelante che Dean le rivolse fu più eloquente delle parole e sembrava voler dire: - Secondo te come fa a non importarmi? – “L’unico modo per scoprire se funziona è provare.” replicò poi. Lui più di tutti avrebbe sentito il peso dei rimorsi nel caso fosse andata male, ma non assumersi quel rischio avrebbe potuto significare non rivedere più Juliet e trovava il solo pensiero insopportabile.

Forse per la prima volta da quando la conosceva, Rachel ingoiò il rospo, riconoscendo che aveva ragione, così, ottenuto il consenso di tutti, Laurenne si apprestò a eseguire il rituale. Dopo aver invitato Cordelia a posizionarsi al centro del cerchio di pietre runiche, si mise di fronte a lei e fece un respiro profondo.

“Ehi. Andrà tutto bene, vedrai.” disse Rachel con un sorriso, leggendo l’agitazione negli occhi di Cordelia.

Lei ricambiò, allungando la mano verso di loro perché la raggiungessero. Le sue dita si intrecciarono a quelle di Rachel, mentre anche il volto di Claire si apriva in un sorriso di incoraggiamento. “Durante queste settimane siete state come una seconda famiglia per me. Ovunque io stia andando, siate certe che non vi dimenticherò mai.”

Rachel non riuscì a impedire che una lacrima furtiva le scendesse lungo la guancia. Suo malgrado, si era affezionata a quella strana versione di Juliet e in fondo sapeva che le sarebbe mancata. “Neanche noi.” le assicurò, prima che lei le coinvolgesse tutte e due in un abbraccio di addio.

“Quando vedrete mia sorella, ditele che mi manca e che le vorrò sempre bene.” Il rimpianto di non poter essere presente era palpabile nella sua voce.

Rachel annuì, poi dovettero interrompere l’abbraccio e con Claire si allontanarono di nuovo, lasciando campo libero a Laurenne.

La sciamana si avvicinò a Cordelia e le toccò la fronte con il palmo della mano, chiudendo gli occhi. In quel modo, aveva spiegato loro prima di iniziare, si sarebbe messa in contatto diretto con la sua dimensione interiore, sperando così di riuscire a trovare l’anima di Juliet e scinderla da quella di Cordelia.
Sui loro volti si dipinsero espressioni perplesse quando Laurenne prese a recitare una strana litania, in una lingua sconosciuta. In un primo tempo sembrò non cambiare nulla, ma nessuno distolse l’attenzione dalla scena, convinto di assistere a qualcosa da un momento all’altro.
Di lì a poco, infatti, con l’aumentare d’intensità della cantilena, le incisioni sopra le pietre cominciarono a illuminarsi e Rachel sentì il suo scetticismo vacillare quando una ad una presero a vibrare, come mosse da un’energia invisibile.

Quando anche l’ultima pietra si illuminò, Cordelia cadde a terra in ginocchio, il viso rivolto al cielo e le pupille rovesciate all’indietro. Una visione inquietante che li fece trasalire per lo spavento.

Dean fece per muoversi, ma Laurenne lo fermò prima che potesse andare a soccorrerla. “No! Resta dove sei!” impose autoritaria. “Guardate!” esclamò poi, tornando su Cordelia.

Uno spasmo improvviso e violento la colse, mentre dalla bocca aperta e dagli occhi fuoriusciva una luce sempre più accecante, tanto da costringerli a ripararsi. Il petto si alzava e si abbassava frenetico, come se qualcosa dentro di lei stesse cercando di uscire, finché pian piano la luce non si affievolì e il retro della casa piombò nuovamente nella semioscurità. 

Quando tornarono a guardare, il corpo di Juliet era accasciato al suolo, circondato dalle pietre ormai spente e immobili.
 
-o-
 

Juliet si svegliò di soprassalto, agitata come dopo un brutto sogno. Era distesa su una sdraio, in spiaggia, con il costume da bagno e la piacevole sensazione del calore del sole sulla pelle. Il verso stridulo di un gabbiano di passaggio la portò ad alzare la testa, scoprendosi circondata da palme e vegetazione.
Si sentiva insolitamente bene, anche troppo visto che era appena stata accoltellata. D’istinto, si portò una mano al fianco e rimase di sasso. Della ferita inferta dal pugnale di Mary nessuna traccia. Niente, neanche la minima cicatrice.

“Juls, tutto okay?”

Rachel era sdraiata accanto a lei e la studiava preoccupata da dietro gli occhiali da sole.

La guardò a sua volta, stranita. “Io…credo di sì. È solo che…” Stava per dirle della ferita, quando Claire arrivò sorridente e grondante dal bagnasciuga.

“Ehi, belle addormentate! Che aspettate a venire in acqua? È fantastica.” Le schizzò per dispetto, prima di afferrare l’asciugamano dalla sdraio e usarlo per frizionarsi i capelli, che con somma sorpresa di Juliet erano corti come all’inizio dell’estate.

“Magari più tardi. Devo ancora abbronzarmi a dovere.” disse Rachel, tirando su gli occhiali e abbandonandosi di nuovo sul lettino.

Claire sbuffò, guardandola subito dopo. “Juls, che ti prende? Hai una faccia strana.”

Non le rispose subito, ancora troppo confusa da quella situazione. “Credo di aver fatto un sogno, o meglio un incubo.” spiegò infine. “Tutte e tre scappavamo da un castello abitato da vampiri. Sembrava così realistico…” In effetti, riflettendo a mente lucida non avrebbe potuto trattarsi che di un incubo.

Claire rise divertita. “Vedi? Ecco che succede a guardare troppe serie tv.” scherzò, prendendo un paio di bicchieri dal tavolino accanto e porgendogliene uno. “Beh, adesso sei sveglia. Tieni, beviti un Mai-Tai, o Tai-Mai…o quello che è.”

“Mai-Tai, Miss.” la corresse il cameriere in camicia hawaiana e pantaloni kaki.

Claire si voltò e gli sorrise. “Grazie, Nigel.”

Juliet però si sentiva ancora inquieta, anche se non sapeva spiegarsi perché. Ora era tra amici, al sicuro e in vacanza, cosa c’era da temere? Decisa a calmarsi, prese il cocktail e ne bevve un sorso, assaporandolo. “Accidenti Nigel, è davvero buono!”

Il cameriere le sorrise e la dentatura di un bianco splendente risaltò sulla pelle abbronzata. “La ringrazio Miss. Ora però deve svegliarsi.”

Presa alla sprovvista, rimase impalata a guardarlo. “Ma che dici? Io sono sveglia…” Non capiva di cosa stesse parlando.

Claire allora le mise una mano sulla spalla. “Ha ragione, Juls. Devi svegliarti.” ribadì, seria in volto.

Dentro di sé Juliet sentì crescere l’ansia. Che diavolo prendeva a tutti quanti?

“Svegliati, Juls.” disse ancora Rachel.

Le loro espressioni si fecero vitree, mentre incombevano su di lei, continuando a ripeterle di svegliarsi. Impaurita, si rannicchiò su se stessa, tappandosi le orecchie con le mani e chiudendo gli occhi. A poco a poco l’ambiente intorno si fece buio e confuso, finché rimase solo la cantilena formata dalle voci sovrapposte di Nigel e delle amiche.
Poi all’improvviso il silenzio.

Juliet aveva paura e non riuscì subito ad aprire gli occhi, ma quando lo fece si accorse che non si trovava più nello stesso luogo. La spiaggia aveva lasciato spazio a un nulla vuoto e nero, che le impediva di vedere più in là del suo naso.

“Rachel?” chiamò titubante. “Claire?” Ma la sua voce si perse in quel vuoto.

Raccolte le forze, si mise allora a camminare senza meta, brancolando nell’oscurità. Purtroppo però non riuscì ad andare lontano, perché si sentì confusa e stanca già qualche attimo dopo.
Disperata, si sedette, portando le ginocchia al petto. Ormai faceva fatica perfino a respirare, ma non poteva arrendersi. Doveva trovare un’uscita, ma non c’era niente che somigliasse a una porta. Era assurdo pensare di trovarne una in quel posto, se ne rendeva conto, ma doveva pur tentare qualcosa.

Stava quasi per perdere le speranze, quando d’un tratto avvertì un suono. Le arrivò all’orecchio dapprima come un sussurro, poi si fece sempre più intenso. Era come una specie di musica, un canto, anche se dalla lingua indecifrabile; poi, prestando più attenzione, si accorse che si trattava della voce di una donna, ma non avrebbe saputo attribuirla a nessuno di conosciuto o almeno familiare.
Pur non riuscendo a capire una parola, dentro di sé sentiva che doveva seguire quella voce, così si alzò e iniziò a camminare. Da quel momento fu come se sapesse dove andare, come se qualcuno l’avesse presa per mano e ora la stesse conducendo verso l’uscita.

Camminò per ore, o forse attimi, non ne aveva idea, ma più andava avanti più si accorgeva che il buio si stava diradando e l’aria si faceva meno opprimente. Intanto, la voce continuava a guidarla in direzione della luce, infondendole coraggio. –Non devo sparire- pensò istintivamente. –Non devo sparire-
Man mano che si convinceva, la luce si faceva più intensa, fino a inghiottirla completamente…
 

“Sarà viva?” chiese una voce diversa dalla precedente, ma che stavolta Juliet avrebbe potuto riconoscere tra mille. Non si sentiva ancora in grado di muoversi, ma dentro sorrise divertita. Claire era sempre la solita.

“Certo che è viva. Non vedi che respira?” ribatté seccata un’altra voce familiare. “Il punto è: sarà di nuovo lei?”

Una donna lì accanto rispose alla domanda e Juliet la riconobbe come la proprietaria della voce sconosciuta. “Non possiamo saperlo finché non si sveglia. L’unica cosa da fare è aspettare e pregare Shamash che sia andata come volevamo.”

Shamash? Chissà chi era. In realtà, non le interessava molto al momento. Voleva solo riuscire ad aprire gli occhi e capire finalmente dove si trovasse. Era stanca del buio, così con un ultimo sforzo riuscì nell’intento. Sentiva le palpebre pesanti, ma alla fine le dischiuse, tornando nel mondo reale.
Non vide subito perfettamente, le immagini erano ancora confuse, poi però mise a fuoco i volti delle persone vicino a lei. La guardavano apprensivi e li vide illuminarsi dallo stupore quando si accorsero che stava riprendendo conoscenza.

“Juls?” la chiamò Rachel in tono incerto. “Sei tu?”

Juliet ricambiò lo sguardo spaesata. -Che razza di domanda è?- pensò. “Direi di sì. Chi altri dovrei essere?” Pronunciò quelle parole senza quasi rendersene conto.

Li vide tutti sospirare di sollievo e Rachel represse un singhiozzo, mentre si gettava su di lei per coinvolgerla in un abbraccio sentito. Poco dopo anche Claire si unì a loro.

“Non posso crederci.” mormorò Rachel, la voce rotta dall’emozione. “Finalmente…”

Dal canto suo, non riusciva a capire il motivo di tutto ciò e nemmeno fece in tempo a chiedere niente, perché la donna di poco prima, dall’aspetto bizzarro e un altrettanto bizzarro copricapo di piume in testa, si intromise brusca, allontanando le amiche da lei.

“Via, su. Lasciatela respirare.”

Rachel e Claire si scansarono a malincuore, permettendole di verificare il suo stato di salute. La donna le sentì il polso per controllare i battiti, poi prese a esaminarle le pupille, e alla fine annuì soddisfatta. “Bene. Sembra tutto a posto.”

“Davvero?” volle assicurarsi Claire, ansiosa. “Vuoi dire che è andata? Insomma…Il rituale è riuscito? Lei sta bene?”

-Rituale? Ma di che stavano parlando?-
 
Lei ci rifletté un istante. “A un primo sguardo direi di sì. Certo, il suo corpo ha subito un grosso trauma e bisogna essere prudenti, ma al momento sono ottimista.” concluse infine.

Juliet avrebbe tanto voluto che le spiegassero, ma sia le amiche che la donna dallo strano abbigliamento cominciarono a discutere tra loro e anche Mark si unì alla conversazione. Un momento…Mark? E poi accanto a lui... Come aveva fatto a non accorgersene prima? Eppure doveva essere lì da quando si era svegliata. L’ultima volta che l’aveva visto era a Bran e credeva l’avessero catturato i vampiri. Cosa diavolo stava succedendo?

“Scusate…” La sua voce era ancora un po’ roca e gli altri non le prestarono attenzione. Tutti, a parte Dean. Lui non sembrava interessato al discorso, concentrato com’era a guardarla, e a quel punto anche per lei ogni altra cosa divenne secondaria.
Aveva la mente annebbiata a causa dell’emozione e per un attimo fu come se si trovassero da soli in quella stanza.
Fu solo quando le labbra di Dean si piegarono in un sorriso appena accennato che Juliet si riebbe. Fece per parlare, chiedergli spiegazioni, ma lui sembrò intuire la sua voglia di capire e le prese la mano prima che riuscisse a proferire parola. Appena la toccò, ogni intenzione di farsi sentire si spense.

“Ora devi pensare solo a riprenderti. Avremo tempo per le spiegazioni.” le disse in tono amorevole, mentre lei si perdeva nei suoi occhi di ghiaccio.

Abbozzando un sorriso un po’ ebete, Juliet annuì.

Pochi istanti dopo la voce tonante di un uomo risuonò dal piano di sotto. Era una lingua che non comprendeva, ma la strana donna sì, perché gli rispose nello stesso idioma, per poi uscire dalla stanza.

Rimasta sola con gli altri, Juliet si sentì un po’ a disagio ad avere tutti quegli occhi puntati addosso. Le loro espressioni erano entusiaste e sollevate, come se la vedessero per la prima volta dopo tanto tempo. Ovviamente era felice che fossero di nuovo tutti insieme, ma avrebbe voluto sapere il perché. Tutti insieme, a parte…Solo allora si rese conto che mancava qualcuno all’appello. “Dov’è Cedric?” chiese d’istinto.

I loro volti si rabbuiarono a quella domanda e si vedeva lontano un chilometro che non sapessero da che parte cominciare. Per fortuna, però, la donna con il cappello di piume tornò e li tolse, almeno temporaneamente, dall’impaccio.

“Jamaal vuole parlarti. Riguarda la missione.” comunicò a Dean, che annuì come se già se lo aspettasse.

Quando si voltò di nuovo a guardarla, Juliet capì dalla sua espressione quanto gli costasse andare via proprio in quel momento. Cogliendola di sorpresa, avvicinò la sua mano alle labbra per lasciarle un bacio leggero sul dorso, poi le sorrise ancora. I loro sguardi si incontrarono per un breve istante, prima che lui si dirigesse all’uscita.

“Vengo con te.” disse Mark, seguendolo fuori.

A quel punto, la donna sconosciuta le informò che sarebbe andata a cambiarsi e poi a prepararle qualcosa da mangiare, ma Juliet a malapena la sentì, ancora intontita dal baciamano. Perfino la voce di Rachel in un primo momento le arrivò poco definita.

“Come ti senti?” le chiese premurosa, mentre si adoperava per scostare la pesante tenda colorata che copriva la finestra, in modo da far entrare la luce del mattino. “Immagino tu stia morendo di fame.”

Quando i raggi del sole invasero l’ambiente, Juliet si ritrovò in una stanza già di per sé non grandissima, il cui spazio era ulteriormente limitato dalla presenza di altre brandine, oltre a quella dove era sdraiata lei, disposte a incastro una con l’altra. Accatastate negli angoli c’erano sacche di vestiti e cuscini colorati, come se avessero vissuto là dentro per giorni, ognuno ottimizzando gli spazi come meglio poteva.
Dove diavolo erano finiti? In effetti, sentiva un certo languore, ma il desiderio di sapere era così forte da mettere il cibo in secondo piano.

“Mi dite cos’è successo, per favore?” domandò allora, senza nascondere un certo fastidio nella voce. Fin da quando si era svegliata aveva avuto l’impressione che volessero tenerle nascosta la verità, rimandando all’infinito le spiegazioni. “Che cos’è questo posto? L’ultimo ricordo che ho è che eravamo nel deserto e mi sentivo malissimo…” Si interruppe per tastarsi il fianco in cerca della ferita, scoprendo di nuovo che era del tutto scomparsa. Un altro mistero su cui far luce.

Claire notò quel gesto e intuì cosa stesse pensando. “È una storia davvero lunga, Juls.”

“Tanto per ora sono bloccata in questo letto.” ribatté, mettendo in chiaro che non avrebbe ceduto facilmente.

Per loro non fu affatto semplice riordinare le idee in modo da riassumere in breve tutto quello che avevano passato dall’arrivo nel deserto fino a quel momento e videro lo sconcerto sul suo volto quando le dissero che era stato Dean ad architettare tutto, facendole finire in quel posto anziché a Greenwood. Anche se per proteggerle, aveva comunque mentito. –Tu non lo conosci neanche la metà di quanto lo conosco io- Le parole pronunciate da Mary prima che tentasse di ucciderla le risuonarono nella testa, nonostante la sua volontà. A quel punto, la domanda che prima era stata ignorata le sorse di nuovo spontanea. Se Dean e Mark erano riusciti a scappare dal castello e a raggiungerle, perché Cedric non era con loro?

Rachel e Claire si scambiarono occhiate incerte quando chiese di nuovo di lui, ma poi si decisero a raccontarle tutto, seppur evitando di sconvolgerla ancora di più con la storia dello scambio proposto da Nickolaij. Temevano che quella notizia potesse avere un brutto effetto su di lei, ancora debole per il trauma subito.

Alla fine del racconto, Juliet era senza parole. La sola idea che Cedric fosse rimasto da solo, in quel posto infernale e senza nemmeno il conforto di una persona amica la devastava. Neppure quando le dissero degli Jurhaysh e che insieme a loro stavano per partire per Bran con l’intenzione di salvarlo la sua ansia si acquietò. Non riusciva a credere di aver dormito per settimane, perdendosi tutto questo. “E io?” chiese allora d’istinto. “Cosa mi è successo?”

Aveva creduto per quel giorno di aver superato il confine dell’assurdo, ma capì di essersi sbagliata quando le dissero che per un periodo la sua anima si era scambiata con quella di Cordelia Danesti. Per tutto quel tempo aveva parlato e agito come un’altra persona, completamente diversa da lei. La cosa era talmente inconcepibile che dovette fare uno sforzo notevole anche solo per crederci.

Rachel lesse l’incredulità sul volto dell’amica e si rese conto di come dovesse sentirsi, così pensò subito a come sviare la conversazione. “Ah, dimenticavo.” esordì, cambiando argomento e riscuotendola dallo shock. Si allontanò di poco per andare a rovistare tra la sua roba in cerca di un piccolo quaderno, che poi le porse. “Questo appartiene a te.”

Il suo diario. Credeva di averlo perso nel deserto. Juliet lo prese, restando per un istante a osservare la copertina di pelle rilegata e rovinata in più punti. Anche lei mostrava i segni di quello che avevano passato. “Dove l’hai trovato?” chiese a Rachel, senza smettere di guardarlo.

“Era nella tasca dei tuoi shorts. Visto che non c’eri, mi sono presa la libertà di scrivere due righe. Ho pensato che potesse esserti utile al tuo ritorno.”

In quel momento, però, a Juliet venne in mente solo una cosa. “Quindi voi l’avete…”

“Letto?” Claire completò la frase. “Sì, ogni parola.”

Un silenzio imbarazzante scese su di loro e Juliet abbassò lo sguardo, non avendo il coraggio di guardare le amiche negli occhi. Si vergognava profondamente di tutti i pensieri maligni che aveva impresso su quelle pagine. “Mi dispiace. Non ero in me in quel periodo. Io…Ero accecata dalla gelosia. Non pensavo davvero quello che ho scritto.”

Al contrario di quanto si aspettasse, però, loro non erano arrabbiate, tantomeno Rachel, sulla quale aveva riversato la maggior parte delle sue frustrazioni d’amore. L’amica si sedette sul letto, accanto a lei, per poi coinvolgerla in un caloroso abbraccio.

Juliet ricambiò, anche se un po’ in ritardo, non riuscendo a trattenere qualche lacrima. “Scusa, Ray. Scusami tanto…” mormorò, sinceramente dispiaciuta.

“Non fa niente.” rispose lei, sorridendo commossa. “In un certo senso è stato come averti con noi.”

“È vero, Juls. I tuoi trip mentali ci hanno tenuto compagnia nei momenti più bui. Perciò tranquilla.” la rassicurò Claire.

Juliet rise di cuore, felice che tra loro fosse tutto a posto; finché un dubbio non le balenò nella mente e si irrigidì. “Aspettate. Non l’avrà mica letto anche…” L’ansia l’assalì di colpo al pensiero che lui sapesse delle sue mille paranoie.

Claire sventolò la mano, aggrottando la fronte. “Macché, non sa nemmeno della sua esistenza. Figurati.”

La notizia le riempì il cuore di sollievo e fu talmente evidente che poterono leggerglielo in faccia. Rachel e Claire si guardarono, per poi scoppiare a ridere, coinvolgendola subito dopo. Una risata genuina. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva riso così.

A un certo punto, Rachel fu costretta a togliersi gli occhiali per asciugarsi le lacrime. “Perché…perché stiamo ridendo?”

“Non lo so…” fece Claire, cercando di riprendersi. “Però era da tanto che non lo facevamo.”

Juliet annuì. “È vero. Sembra passata un’eternità.”

L’eco delle loro risate giunse alle orecchie di Laurenne, appena salita con la cena di Juliet. “Ah, vedo che ti sei ripresa.” constatò con piacere quando entrò nella stanza.

Lei le sorrise di rimando. “In effetti, mi sento bene.”

“Ne sono felice, ma ti consiglio comunque di non sforzarti.” si raccomandò la sciamana, appoggiando il piatto con il cibo sul suo grembo. “Tieni, mangia qualcosa. Devi rimetterti in forze.”

Juliet accettò di buon grado, assaporando quello che aveva preparato. Era un piatto strano, composto da carne e verdure, ma molto più speziato di quanto fosse abituata. Comunque non fece commenti e mangiò tutto. La smorfia di disgusto che fece quando assaggiò un dattero le lasciò tutte quante allibite. “No, questo è troppo dolce per me.” disse, rimettendolo nel piatto.

Ripensando a quanto invece Cordelia li adorasse, Claire non ebbe più dubbi riguardo alla riuscita definitiva del rituale.
“Certo che adesso fa quasi strano averti davanti.” rifletté. “Avrò l’impressione di parlare con Cordelia chissà per quanto ancora.”

Anche per Juliet era strano, ma per il motivo opposto. “Non posso credere di essere stata un’altra persona per tutto questo tempo.” Quando glielo avevano detto era rimasta basita, anche perché non conservava alcun ricordo di quel periodo. “Era come se vivessi in una dimensione parallela. C’eravamo noi tre, su una spiaggia, impegnate solo ad abbronzarci e bere cocktail.”

L’espressione di Rachel era tra il sognante e il disincantato. “Magari.” commentò.

“Bene, ora lasciatela riposare.” Laurenne riprese il piatto ormai vuoto e le invitò a seguirla fuori dalla stanza.

“A più tardi.” le disse Rachel con un sorriso.

Juliet ricambiò, approfittando dell’occasione per ringraziare Laurenne di tutto l’aiuto che le aveva dato, senza neppure conoscerla.

La sciamana le fece segno di non preoccuparsi, poi se ne andò insieme alle altre.

Rimasta sola, Juliet si stese di nuovo, aprendo il diario con l’intenzione di leggere quanto scritto da Rachel. A dire la verità, provava vergogna all’idea che l’amica sapesse dei suoi deliri, ma allo stesso tempo la cosa le dava sollievo. La faceva sentire come se fossero tornate ai vecchi tempi, quando confidavano l’una all’altra ogni segreto.

Nel frattempo, Dean e Mark erano già sulla via del ritorno, dopo aver incontrato Jamaal. Li aveva molto sollevati sapere che avesse comunque deciso di aiutarli e che, nonostante le novità su Nickolaij, la sua intenzione di mettere la vita di un innocente al primo posto fosse rimasta immutata. Sia lui che i suoi compagni più fidati avevano espresso i loro timori riguardo ai pericoli cui stavano andando incontro, ma in quel momento la priorità restava salvare Cedric.

“Caspita. Immaginavo che la partenza fosse imminente, ma non pensavo così imminente.” commentò Mark, riferendosi al fatto che Jamaal avesse stabilito che sarebbero partiti l’indomani, con il calare della notte. A ben pensare, non era il caso di rimandare oltre, visto che la settimana concessa da Nickolaij stava quasi per scadere e cercare di prenderlo alla sprovvista era uno dei fattori decisivi previsti dal piano, anche se Dean aveva già reso noti i suoi dubbi al riguardo.

“Beh, meglio così. Almeno tireremo fuori Ced da quella fogna. Non sopporto più di saperlo lì dentro.” continuò Mark, senza far caso alla sua distrazione.

In effetti, Dean lo stava a malapena ascoltando. Paradossalmente, ora i suoi pensieri erano concentrati tutti su una questione all’apparenza meno importante. Ci rimuginava da quando erano usciti da casa di Laurenne, anzi, a voler essere precisi dal momento esatto in cui aveva capito che Juliet era tornata. Nella testa continuava a rivivere la conversazione con Cordelia, quando le aveva promesso di confessarle i suoi veri sentimenti una volta che fossero stati di nuovo insieme. Ora quel momento era arrivato, solo che lui non sapeva nemmeno da che parte cominciare e si sentiva un idiota per questo. Possibile che, nonostante nella sua vita avesse affrontato prove decisamente più difficili, fosse spaventato dall’unica che gli avrebbe dato la felicità? In fondo, non era come battersi a mani nude o restare in astinenza da sangue per giorni, eppure quelle cose gli sembravano barzellette in confronto a ciò che doveva fare adesso.

Tutto questo nel giro di pochi minuti, il tempo di capire che stavolta non avrebbe potuto cavarsela da solo. Gli serviva un aiuto. Così, a qualche passo dalla porta di Laurenne, si fermò. “Aspetta.” disse a Mark, prima che potesse aprire la porta.

Lui rimase interdetto. “Cosa?”

Dean però ebbe un attimo di esitazione. “Io…” No. Doveva farcela. “Io ho bisogno di parlarti. Un secondo.” Dopo un altro momento di riflessione, in cui non disse nulla e Mark restò in attesa, finalmente si decise. “Ascolta, mi prenderei a pugni se penso a quello che sto per chiederti, ma mi serve un consiglio.”

Mark sollevò un sopracciglio, con aria confusa. Chiaramente il fatto che volesse un parere da lui doveva averlo sorpreso non poco. “Okay…Chiedi pure.” acconsentì infine.

“Hai presente Rachel?”

A quel punto, lo guardò davvero come si fa con uno squilibrato, ma rispose comunque. “Sì, direi di sì.”

Dean non fece caso alla sua espressione perplessa e andò dritto al punto. “Se ci fosse lei al posto di Juliet e tu ti trovassi nella mia stessa situazione, cosa faresti?” chiese d’un fiato, sperando di non dover ripetere la domanda.

Per sua fortuna, Mark non ebbe bisogno di ulteriori chiarimenti e intuì in fretta dove volesse arrivare. “Aspetta un attimo. Sbaglio o mi stai chiedendo consigli sulle donne?”

“No!” rispose d’istinto, per poi ritrattare. “Cioè…” Alla fine, convenne con se stesso che l’unico modo per venirne a capo era rinunciare a qualsiasi tentativo di non apparire ridicolo. “Sì.” cedette, provando poi a spiegarsi. “Ti sembrerà strano, vista la mia età, ma non ho molta esperienza di certe faccende e…So che non sono affari miei, ma sapere com’è iniziata tra te e Rachel potrebbe aiutarmi.”

Dall’altra parte, Mark faceva davvero fatica a trattenere le risate e Dean se ne accorse subito.

“Mi fa piacere che la cosa ti diverta.” disse in tono acido. Si sentiva già abbastanza patetico, anche senza il suo contributo.

Lui scosse la testa, cercando di darsi un contegno. “No, no. Scusa, è che tutta questa storia ha un che di ironico.” si giustificò. “Non avrei mai pensato di parlarne insieme un giorno, ma ormai ci siamo…Devi sapere che è iniziato tutto perché ero geloso di te.” confessò, non senza imbarazzo.

Dean gli rivolse un’occhiata interrogativa.

“Credevo che tra voi ci fosse qualcosa e a un certo punto non ce l’ho fatta più a tenermelo dentro.” chiarì allora. “Così l’ho confessato a Ray, che giustamente mi ha dato del cretino, e da lì è partito tutto.”

“Ah.” Nonostante quella storia non gli giungesse nuova, Dean rimase sorpreso dal fatto che anche lui avesse frainteso. Possibile che fossero tutti ossessionati dalla stessa idea? E cosa ancora più strana era che non aveva fatto assolutamente nulla per incoraggiarla. Almeno per quanto gli risultasse.

Mark annuì, visibilmente a disagio. “Già…” esitò. “Beh, in realtà non è che io abbia tutta questa esperienza nel campo. È Cedric il vero esperto. Comunque, al tuo posto proverei ad essere più sincero possibile. Se non mi fossi deciso quando era il momento, a quest’ora probabilmente sarei ancora a scervellarmi senza aver concluso nulla.”

“Quindi pensi che dovrei buttarmi e basta?” gli chiese Dean. Era ciò che temeva di più, ma anche quella che in fondo sapeva essere l’unica soluzione.

Lui fece spallucce. “Con Rachel ha funzionato e ci sono buone probabilità che funzioni anche con Juliet. Se c’è qualcosa che ho imparato in questi mesi è quanto conti la sincerità per le ragazze.”

Non c’era altro da aggiungere e Dean sapeva di doversi rassegnare a dar voce ai propri sentimenti, così abbassò gli occhi, accettando in silenzio il consiglio.

Per confortarlo e infondergli coraggio, Mark gli diede una pacca sulla spalla; poi insieme rientrarono in casa.

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Capitolo 24
*** Un passaggio nel deserto ***


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Capitolo 16 - Un passaggio nel deserto
 
Da quando aveva lasciato il letto quello stesso pomeriggio, Juliet si era data subito da fare per preparare il necessario per la partenza. Ormai si sentiva in forze e non voleva pesare ulteriormente sugli altri, tantomeno rallentarli, così si era offerta di dare il proprio contributo con la sua esperienza di pronto soccorso. Non essendo allenata a combattere come Rachel e Claire, al momento quello era l’unico aiuto che potesse fornire alla causa. Inoltre, aveva chiesto a Laurenne di istruirla su antidoti e rimedi erboristici, in modo da essere pronta a qualsiasi eventualità.
Ora era impegnata a riempire la sua sacca da viaggio con tutto ciò che le sarebbe servito nel caso ci fosse stato bisogno di curare delle ferite. Mancavano poche ore alla partenza e non voleva rischiare di dimenticare qualcosa.

Accanto a lei, Samir la guardava affaccendarsi incuriosito.

Juliet gli rivolse un sorriso. Le era simpatico quel bambino, anche se lo conosceva da poco.

“È strano che non sei più la ragazza di prima.” esordì d’un tratto.

“Già.” annuì, accorgendosi che la stava studiando con un’espressione concentrata. “Ti è dispiaciuto che Cordelia se ne sia andata?”

Samir ci pensò su un istante, poi rispose con un’alzatina di spalle. “No, non proprio. Mi piacete entrambe, ma si vede che tu sei diversa.”

L’osservazione la fece sorridere. Da quel poco che le avevano raccontato sulla duchessa, non poteva che essere d’accordo. Era dispiaciuta di non ricordare niente delle settimane precedenti e non era stato facile accontentarsi di un breve riassunto dei fatti, invece di viverli in prima persona. Grazie alle pagine scritte da Rachel aveva potuto assorbire un po’ di quei momenti, ma non sarebbe mai stata la stessa cosa.

“È vero che tu e il vampiro siete fidanzati?”

Quella domanda inaspettata la spiazzò. Non c’era malizia, solo la curiosità di un bambino, ma la fece comunque sentire strana. Non che si vergognasse di dirgli che era vero, ma la cosa era fresca e lei doveva ancora abituarcisi…
 

“Allora? Com’è andata?”

Juliet sentì la voce ansiosa di Rachel dal piano di sopra e intuì che Dean e Mark dovessero essere tornati.

“Tutto a posto. Domani partiamo per Bran.” rispose Mark.

Dal breve silenzio che ne seguì, fu chiaro che la notizia l’aveva presa alla sprovvista. “Ah. Bene…”

“E per la questione di Nickolaij? Cosa ne pensa?” sentì chiedere da Claire.

“Quando gliel’ho detto non ha nascosto la sorpresa, ma ora per lui la priorità è salvare Cedric.” spiegò Dean in breve.

Juliet cercò di affinare l’udito per sentire meglio cosa dicevano. La questione di Nickolaij? Quale questione? Di sicuro c’era qualcos’altro che non le avevano ancora raccontato.

“D’accordo, allora dovremmo iniziare a prepararci.” concluse Rachel pratica.

Dean però quasi le parlò sopra. “A questo proposito, penso sia il caso che voi ragazze restiate tutte qui al villaggio.”

Seduta sul letto, Juliet trasalì sentendo quelle parole. Avrebbe dovuto immaginarlo. Con un’energia infusa dalla rabbia riuscì ad alzarsi facendo leva sulle braccia, e si diresse fuori dalla stanza, intenzionata a dire la sua. Non glielo avrebbe lasciato fare.

Era in cima alle scale quando sentì Rachel protestare furiosa. “Scusa? Potresti ripetere?”

“Ha ragione lui, Ray. È troppo pericoloso…” si intromise Mark.

Lei però non lo fece finire e gli si avvicinò minacciosa. “Quindi sei d’accordo anche tu? Come se per te non fosse pericoloso.”

Dall’altra parte, lo vide sospirare paziente. “Ascolta, anche a me non fa impazzire l’idea di separarci, ma…”

“Perfetto! Perché non succederà.” sentenziò definitiva. “Non mi sono allenata per settimane per poi rimanere qui a fare la calza da brava mogliettina. Puoi scordartelo!”

Mark rivolse a Dean un’occhiata eloquente, come a dire: “te l’avevo detto”, e a quel punto Juliet pensò che fosse arrivato il momento di far sentire la sua opinione.

“Ovviamente sono d’accordo. Veniamo anche noi.” esordì, appoggiandosi alla parete per non cadere. Sentiva ancora le gambe deboli, ma non voleva dare a Dean il pretesto per pensare di avere ragione.

Dapprima sorpreso di vederla già in piedi, lui la guardò con disappunto. “Ti sei appena ripresa e dubito che sarai di nuovo in forze così presto. Dovresti riposare…”

“Mi sono riposata abbastanza.” replicò, infastidita da quelle premure inutili. Si sentiva bene, come glielo doveva dire? “E poi non userai questa scusa per tenermi in una campana di vetro. Non ci pensare neanche!” Detto questo, cercò di staccarsi dal muro e scendere le scale, ma a pochi gradini dalla fine le cedette un ginocchio e rischiò di ruzzolare a terra.

“Attenta!” esclamò Rachel allarmata.

I riflessi di Dean però furono più rapidi e la raggiunse prima che potesse cadere, cingendole la vita per sostenerla. “Sai, in fin dei conti l’idea della campana non mi sembra così sbagliata.” ironizzò, mentre Juliet si aggrappava a lui.

Gli rivolse un’occhiata intensa, cercando di apparire determinata. “Io vengo con voi.” ribadì, ignorando la battuta.

Proprio in quel momento, Laurenne rientrò dal cortile sul retro con un cesto carico di verdure e, vedendoli agitati, percepì che c’era qualcosa che non andava. “Che succede?” chiese, fissandoli interdetta.

“Niente di che. Juls ha fatto di testa sua, senza seguire i consigli del medico.” minimizzò Claire.

“Oh.” A quel punto la sciamana parve realizzare, ma il fatto che Juliet fosse in piedi non sembrò preoccuparla più di tanto. “Beh, doveva alzarsi prima o poi. Non c’è motivo per restare ancora a letto. Anzi, perché non la porti a fare due passi? Camminare la farà bene.” disse a Dean.

Lui rivolse a Juliet un’occhiata poco convinta. “Te la senti?”

Altroché. Non aspettava che poter rivedere il cielo. Così annuì e lasciò che l’accompagnasse fuori.

All’inizio gli occhi impiegarono un po’ di tempo per abituarsi alla luce del sole e poi faceva un gran caldo, ma un caldo diverso da quello a cui era abituata in Montana, durante quei pochi mesi estivi. L’aria era più torrida e non c’era traccia di vento. Tuttavia, non sentiva l’umidità, quindi tutto sommato l’ambiente era respirabile.
In ogni caso, però, si sentiva fuori posto. Non ricordava neanche come ci fosse arrivata. Sapeva solo che quella non era casa sua e un improvviso senso di tristezza la invase. Inevitabilmente ripensò alla sua famiglia, a quanto le mancassero, e non osava immaginare cosa potesse essere successo.

Con aria mesta appoggiò la fronte contro il petto di Dean, che la sosteneva ancora, senza riuscire a trattenere le lacrime. La sua unica consolazione era sapere che lui fosse lì. “Non litighiamo, ti prego.” mormorò. “Ne ho abbastanza.”

“Non stiamo litigando.”

Quella risposta la fece sorridere. Ma se non facevano altro da quando si erano conosciuti?

Nonostante fosse in piedi da poco, si era già stancata e sentiva le gambe pesanti, così si sedettero sotto la tettoia che sporgeva dalla casa per ripararsi dal sole. Rimasero abbracciati e in silenzio per un po’, finché Dean non sentì l’impulso di parlare per primo.

“C’è una cosa che devo dirti.”

Juliet sollevò il viso, limitandosi a guardarlo in attesa che proseguisse.

Lui però non lo fece e questo la inquietò. Di solito quando aveva qualcosa da dire non si creava troppi problemi.

“Se ti riferisci a poco fa, sappi che non ho cambiato idea. Verrò con voi con o senza il tuo benestare…”

“No, non è questo.” la interruppe a quel punto.

Ecco che si bloccava di nuovo. Perché aveva tanta paura di arrivare al sodo? Era sicura che volesse parlarle di qualcosa di importante, ma chissà per quale motivo non riusciva a esprimersi liberamente.

“Dean.” lo chiamò, dopo un altro interminabile momento di silenzio, spingendolo così a guardarla.

Solo allora sembrò realizzare che non poteva lasciarla in sospeso in quel modo e finalmente si decise.

“Quando eravamo al castello…” esitò ancora, forse in cerca delle parole giuste con cui proseguire. “Ricordi quello che ti ho detto nei sotterranei?”

Juliet annuì. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo, anzi, ripensarci le faceva male tuttora. Si era così arrabbiata… “Dicesti che forse mi amavi, ma non eri sicuro.” rispose mesta.

“Voglio che tu sappia che ora lo sono. Sono sicuro.” confessò più serio che mai, lasciandola senza fiato.

Dopo aver perso un battito, il suo cuore impiegò qualche istante per riprendersi, ma poi capì che per lei quella conversazione sarebbe anche potuta finire lì. Ora l’unica cosa di cui sentiva il bisogno erano i fatti, così non aspettò oltre. Lasciò da parte qualsiasi inutile paranoia e lo baciò. Era il primo bacio che si scambiavano da quando avevano capito di amarsi e niente le avrebbe impedito di goderselo a pieno.

Non si aspettava però che dall’altra parte Dean rispondesse con tanta rapidità ed entusiasmo. Le sue braccia le circondarono la vita, stringendola a sé, e Juliet pensò che nessuno dei suoi fidanzati precedenti baciasse bene quanto lui. Era deciso, ma allo stesso tempo le lasciava l’iniziativa.

Per un po’ si abbandonò completamente, finché a malincuore non fu costretta a interrompere il contatto per respirare. “In tutto ciò non me l’hai ancora detto esplicitamente.” scherzò, sorridendo a un centimetro dalle sue labbra. “Cos’altro deve succedere perché tu ti decida?”

Dean rise, sapendo che aveva ragione. Ciò nonostante, forse sempre per via degli stupidi timori che lo frenavano, continuò a tacere.

Intuendo la natura del problema, Juliet alzò gli occhi al cielo. “E va bene.” sbuffò, fingendosi seccata, per poi tornare a guardarlo. “Ti amo.” Lo sussurrò quasi in un fil di voce, sorridendo sincera.

Lui ricambiò il sorriso, prima di sfiorarle le labbra con le sue. “Ti amo.”
 

L’intervento di Laurenne la salvò dalla risposta. “Samir! Non essere invadente.” lo rimbeccò severa.

Juliet le fece segno di non preoccuparsi. “Ma no, figurati. Non mi dà nessun fastidio.”

Dopo aver spedito il figlio a giocare fuori, raccomandandosi di rientrare in tempo per la cena, la sciamana si offrì di aiutarla a raccogliere tutto l’occorrente, approfittandone per spiegarle le ultime cose; finché di lì a poco non arrivarono Dean, Mark e Rachel, di ritorno dal campo di addestramento.

Mark aveva insistito per imparare almeno le basi del corpo a corpo, nell’eventualità che avesse dovuto difendersi dall’attacco di un vampiro, così dopo pranzo erano andati al campo con i fratelli Cina ed Evan. Tutti e tre erano rimasti alquanto spaesati quando Juliet si era presentata, visto che in teoria già la conoscevano, ma in ogni caso si erano comportati in maniera gentile con lei e gli avevano fatto buona impressione.

“Peccato. Delia mi mancherà.” aveva commentato Evan in tono rammaricato e a Juliet era sembrato di vedere Dean aggrottare la fronte, senza tuttavia capire il perché.

“Sono a pezzi.” Mark si accasciò esausto sulla cassapanca dove Laurenne teneva i vestiti e la biancheria, massaggiandosi la spalla con aria dolorante. “Il corpo a corpo non fa per me, sarà meglio tornare alla chimica.”

Rachel ridacchiò divertita. “Dai, sei stato bravo.” cercò di incoraggiarlo.

“Che è successo?” chiese Juliet, vedendolo in quello stato.

“Niente, solo qualche livido.” minimizzò lui; poi si rivolse a Laurenne. “Non avresti un unguento da spalmarci sopra o roba simile?”

Quando la donna le rivolse un’occhiata eloquente, Juliet si mise subito a rovistare nella sacca, alla ricerca del rimedio adatto. Aveva capito che volesse metterla alla prova, per verificare che avesse assimilato a dovere i suoi insegnamenti, e infatti poco dopo trasse una scatolina di argilla, al cui interno c’era una specie di pomata pastosa dal colore verdastro.

“Tieni.” la porse a Mark, che la ringraziò.

“Ottimo.” approvò Laurenne soddisfatta, rivolgendole un sorriso di assenso.

A quel punto, Juliet si accorse che mancava qualcuno. “Che fine ha fatto Claire?”

“Adesso arriva. Si è fermata a ringraziare Jamaal per l’aiuto che ci sta dando.” mentì Rachel. In realtà, non era esattamente così, ma non le pareva il caso che Mark venisse a conoscenza dei trascorsi tra quei due e non se la sentiva nemmeno di raccontarlo a Juliet. Non spettava a lei farlo.

Intanto, Claire era ormai arrivata alla tenda, trovando Jamaal immerso nello studio di numerose cartine sparpagliate sul tavolo. Era talmente assorto da accorgersi del suo arrivo solo una volta che gli fu davanti.
Quando i loro sguardi si incontrarono, la fissò spaesato.

“Ciao.” disse lei in un fil di voce.

“Ehi.”

“Sei impegnato? Non voglio disturbarti.”

Jamaal però scosse la testa. “Non dire sciocchezze.”

Claire gli sorrise, raggiungendolo dietro al tavolo e d’istinto l’occhio le cadde sulle mappe. C’erano planimetrie del castello di Bran e della foresta circostante, il che le rammentò quanto la partenza fosse vicina. Inevitabilmente, sentì salire di nuovo il disappunto per essere stata esclusa dalla missione. “Quindi è tutto pronto.” constatò in tono piatto.

Gli occhi di Jamaal si posarono di nuovo sul tavolo. “Partiremo domani in serata, in modo da essere a Bran per le prime ore della notte. Approfittando del buio spero di riuscire a ottenere un minimo di effetto sorpresa.”

Claire annuì senza troppa convinzione e questo lo fece sospettare.

“Che hai?” le chiese preoccupato.

Non gli rispose subito, sapendo che sarebbe stato inutile insistere. “Sì…” tentennò. “È solo che mi fa rabbia non poter venire con voi.” si confidò infine.

Lui sembrava aspettarselo. “Claire…” sospirò paziente. “Sai bene i rischi che corri. Sarebbe un suicidio.”

Sì, lo sapeva perfettamente. Il punto era che non le importava più di tanto. Teneva alla sua vita, certo, e aveva ancora impresse nella mente le parole di Elizabeth –Non permettergli di usarti per i suoi scopi – Ma allo stesso tempo aveva paura che senza di lei non sarebbero riusciti nell’intento. Sentiva di essere la chiave per la salvezza di Cedric e che nascondersi non era la soluzione.

Jamaal la riscosse da quei pensieri. “Eri venuta per dirmi qualcosa?” domandò, cambiando discorso.

In realtà, l’intenzione iniziale era di provare nuovamente a convincerlo, ma si era resa conto quasi subito che non sarebbe stato possibile. “Volevo solo ringraziarti.” mentì allora. “So che l’ho già fatto e che è tuo dovere aiutare le persone, ma non eri obbligato a darti tanto da fare per Cedric.”

Lui sorrise mesto, abbassando lo sguardo. “Sai, mi sento un po’ in colpa, perché vorrei poterti dire che è così. Se ho scommesso sulla vita dei miei uomini, se sto rischiando così tanto, non è per Cedric. Credo che ormai tu lo abbia capito.” Detto questo, alzò gli occhi e la guardò intensamente.

Claire conosceva quello sguardo e i pensieri che vi si nascondevano, ma sapeva di non poter ricambiare i sentimenti di Jamaal ed era sicura che anche lui ne fosse consapevole. Si meritava molto più di quanto potesse dargli. “Fate attenzione laggiù.” si limitò a dire, sentendo dentro di sé una profonda tristezza.

“Tranquilla, sappiamo come muoverci.” la rassicurò. “E poi avremo il succhiasangue con noi.” aggiunse, sfoderando un ghigno di scherno.

Claire sorrise a sua volta, avvertendo la totale assenza di disprezzo in quel soprannome. A quel punto, pensò che fosse arrivato il momento di togliere il disturbo. “Sarà meglio che vada.”

“Ho detto qualcosa che ti ha offesa?”

Lei scosse la testa. “No, penso solo sia giusto così.” Poi si allontanò, avviandosi verso l’uscita.

Non fece che qualche passo, prima che Jamaal la raggiungesse di nuovo, trattenendola per una mano. Allora si voltò e i loro occhi tornarono a incontrarsi, mentre un brivido le percorreva la schiena e sentiva il battito del suo cuore accelerare. “Jamaal…” mormorò incerta. Per quanto le dispiacesse vederlo soffrire, doveva fargli capire che non potevano andare avanti così e che non avrebbe trovato in lei quello che stava cercando.

Non smetteva di fissarla e per un momento Claire non fu più certa di nulla. Stava per aprire bocca, ma le labbra di Jamaal si posarono sulle sue, senza dargliene il tempo.
Presa alla sprovvista, dapprima ebbe l’impulso di allontanarlo, ma poi rifletté che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta. Così lo lasciò fare, rispondendo al bacio, anche se un po’ in ritardo.

Quando si separarono Claire era senza fiato, mentre un silenzio imbarazzante calava su di loro.

“Perdonami se sono stato impulsivo, ma il modo in cui ci siamo lasciati non mi è piaciuto.” si scusò poco dopo. “Ciò che abbiamo condiviso è stato importante per me e volevo chiudere la nostra storia degnamente.”

Lei annuì appena. In fondo, riusciva a comprendere i suoi motivi e non poteva rimproverarlo, anzi, forse l’unica cosa sensata sarebbe stata dirgli grazie, perché l’aveva risollevata da un periodo terribile, ma soprattutto perché con quel bacio l’aveva aiutata a capire che ciò che provava per lui non era altro che attrazione fisica. “Mi dispiace tanto.” riuscì a mormorare. “Non mi pento di niente, credimi, ma ho capito di non poter più mentire a me stessa.” Da quando aveva sognato Cedric tutto si era fatto più chiaro nella sua testa. Avergli confessato di amarlo non era stata una cosa dettata dall’inconscio, ma la pura verità.

Dal canto suo, Jamaal sembrò aver intuito i suoi pensieri. “Quindi questo è un addio.” sospirò malinconico.

“Non lo è. Non per la nostra amicizia…”

“Claire.” la interruppe a quel punto con un mezzo sorriso. “Non preoccuparti.”

Bastò a farle capire che non ci fosse bisogno di aggiungere altro. Così, gli rivolse un ultimo sguardo e uscì.
 
-o-
 
 Il sole era quasi al tramonto quando si ritrovarono in pieno deserto. Jamaal aveva stabilito di lasciare il villaggio a pomeriggio inoltrato, in modo da arrivare a Bran che era già calata la notte. Sapevano ci fosse solo un’ora di scarto tra il loro fuso orario e quello della Romania, quindi alla fine tutto tornava.

Una volta pronti, si erano uniti a Jamaal, Najat e gli altri nelle stalle, dove li attendevano i loro cavalli e a Juliet era venuta l’ansia una volta resasi conto che avrebbe dovuto salirci sopra. L’avevano sempre spaventata. La vista dell’enorme stallone nero di Abe poi non aveva fatto che peggiorare le cose.

Per sua fortuna, almeno lei avrebbe diviso con Dean un animale di proporzioni decisamente più modeste, anche se l’idea che potesse imbizzarrirsi all’improvviso con lei sopra la terrorizzava. Uno dei guerrieri che li accompagnavano la aiutò a montare e, una volta in sella, si aggrappò a Dean con tutta la forza che aveva, mentre Rachel accanto a loro, paradossalmente senza aver paura dell’altezza, spronava il suo cavallo al trotto come se non avesse mai fatto altro nella vita. Sapeva che l’equitazione era forse l’unico sport che le piacesse praticare e che ogni estate, quando era in Francia dalla madre, la passava a prendere lezioni e a esercitarsi, ma non credeva fosse diventata così brava.

“Non smetti mai di stupirmi, lo sai?” le disse Mark quando lo superò, facendogli l’occhiolino.

Juliet era sollevata che ci fosse almeno lei, visto che avevano dovuto lasciare Claire al villaggio per non metterla in pericolo. Quando si erano decisi a dirle della lettera e della folle proposta di Nickolaij, si era mostrata subito d’accordo affinché restasse al sicuro e lontana dalle grinfie di quel mostro. Ripensò al suo sguardo malinconico quando si erano salutate prima della partenza e a quanto con Rachel avessero tentato di tirarla su di morale, promettendole che sarebbero tornati presto insieme a Cedric. In realtà, sapevano bene tutte e tre che sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi.

In sella a Sarie, la sua splendida puledra marrone il cui nome in lingua Jurhaysh significava “rapida”, Jamaal guidava il gruppo, precedendo di poco Najat e un altro guerriero, che aveva l’ordine di rimanere con Laurenne ad aspettare il loro ritorno. La sciamana, infatti, si sarebbe servita dei suoi poteri per aprire il portale che li avrebbe fatti entrare a Bran, senza però seguirli nella missione. Non avrebbe rischiato che le succedesse qualcosa e Samir rimanesse da solo.

D’un tratto, Jamaal rallentò, per poi voltarsi indietro. “Si avvicina una tempesta di sabbia!” li avvertì, quasi gridando per sovrastare il vento. “Tenete salde le redini e copritevi gli occhi!”

-Ci mancava solo la tempesta di sabbia – pensò Juliet dentro di sé, cercando di aggiustarsi meglio la sciarpa di tessuto pesante che le copriva la testa, con una mano sola perché l’altro braccio era avvinghiato alla vita di Dean e non osava staccarlo.

Quando alla fine il vortice li investì, sentì Evan dietro di loro imprecare, mentre cercava di ripararsi come poteva.
Fermarsi e aspettare che passasse però era fuori discussione, anche perché in giro non c’era la minima traccia di un riparo, così proseguirono a fatica, finché Jamaal non gridò qualcosa che li sollevò d’animo.

“Ci siamo! È quello il posto!”

Juliet aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, perciò non si era nemmeno resa conto che si stessero avvicinando alla meta. Tuttora non riusciva a vedere granché, coperta com’era dal turbante, ma sentì Dean incitare il cavallo ad aumentare l’andatura e insieme agli altri dirigersi verso qualcosa che sembrava un agglomerato di rocce in lontananza.

Arrivarono a destinazione che la tempesta era cessata e, con sua immensa gioia, Juliet poté scendere da cavallo.
“Finalmente sulle mie gambe.” commentò con un sospiro, mentre Dean la aiutava.

Accanto a loro, Evan e Qiang si scambiarono un’occhiata complice, ridendo poi della sua goffaggine.

“Che volete? Era la mia prima volta su un cavallo!” ribatté offesa, spolverandosi gli abiti dalla sabbia e liberando il viso infagottato.

Anche Dean ridacchiò, divertito dal modo in cui teneva loro testa. “Vedrai che al ritorno andrà meglio.”

Juliet ne dubitava, ma si limitò ad annuire.

Lasciati i cavalli, Jamaal e gli altri seguirono Laurenne verso un anfratto tra le rocce, ma Dean non li seguì subito, restando volutamente indietro in modo da rimanere soli.

“Stavo pensando…” iniziò, mentre legava le briglie a uno spuntone roccioso e lei ne approfittava per prendere una lunga sorsata dalla borraccia. “Sei proprio sicura di voler venire? Una volta aperto il portale, potresti restare qui con Laurenne.”

Per certi versi, Juliet aveva previsto che sarebbe tornato alla carica con quel discorso e si fece trovare preparata. “Ne abbiamo già discusso, mi sembra, e la mia risposta è sempre la stessa.” replicò infastidita, facendo per raggiungere gli altri.

Dean però glielo impedì, prendendole la mano e attirandola a sé. “Sono solo preoccupato per te. Quello che stiamo per fare è pericoloso.”

Il modo in cui la guardò avrebbe potuto farla sciogliere come neve al sole e in altri casi sarebbe stato davvero difficile per lei resistergli, ma stavolta no. Stavolta doveva tenere duro. “Lo so benissimo, non serve che me lo ricordi. E non pensare di riuscire a incantarmi con il tuo sguardo da bello e tenebroso, perché non attacca.” Quella era praticamente una menzogna, ma serviva allo scopo.

Di fronte a quegli epiteti, Dean non riuscì a restare serio. “Bello e tenebroso? È così che mi vedi?”

Sentirlo ridere le fece perdere lucidità per un attimo, ma realizzò subito dopo ciò che le era appena uscito di bocca. In quel momento avrebbe tanto voluto mordersi la lingua e poi seppellirsi sotto una di quelle rocce. Chissà perché quando era insieme a lui trovava sempre il modo di rendersi ridicola. “Non è questo il punto!” si riprese, cercando di darsi un contegno. “Vengo anch’io. Fine della storia.” sentenziò categorica.

Il discorso però sembrava finito solo per lei.

“Potrei non avere modo di proteggerti laggiù, te ne rendi conto?” insistette Dean.

Juliet allora raccolse tutta la pazienza che aveva in corpo e si fermò davanti a lui. “Okay, ascolta.” disse, assumendo un tono pacato per evitare che la discussione degenerasse. Non le andava di litigare proprio ora che avrebbero dovuto restare uniti. “Non puoi pensare di proteggermi sempre da tutto e tutti, perché arriverà il momento in cui non ci sarai e dovrò cavarmela da sola. Ti sorprenderà sapere che ne sono in grado.”

“Non ho mai detto il contrario.” replicò serio. “Sono io quello che non è in grado di essere lucido sapendoti in pericolo.”

A quel punto l’espressione di Juliet si addolcì. Vederlo ammettere una debolezza era insolito, ma allo stesso tempo piacevole. Era stanca di impersonare sempre la parte della fanciulla da difendere da ogni male, e sapere che la ritenesse capace di sopravvivere alle avversità senza il suo aiuto la rincuorava. Sollevò la mano, carezzandogli il viso amorevolmente. “Capisco le tue paure e mi fa piacere che ti preoccupi così tanto per me, davvero. Ma non sarò sola, ci saranno Abe e gli altri come abbiamo concordato. Io e Rachel resteremo in disparte e fuori pericolo, ma Cedric è mio amico e ci tengo molto. Perciò non chiedermi di starmene con le mani in mano ad aspettare il vostro ritorno.”

Dean sembrò soppesare le sue parole. “Quindi lo fai per lui?” chiese infine.

Il tono della domanda non era inquisitorio, ma Juliet avvertì comunque una leggera nota pungente e si rese conto di averlo fatto ingelosire. “Anche, ma non solo per questo.” rispose, abbassando lo sguardo. “Dopo quello che abbiamo passato, non ho più intenzione di separarmi da te. Mettitelo in testa.” puntualizzò determinata.

Ne seguì un breve momento di silenzio, in cui lei non lo guardò, nel timore di non essere riuscita a persuaderlo.
Nonostante volesse nasconderlo, la sua opinione era importante e impelagarsi in quella missione senza essere d’accordo avrebbe resto tutto più difficile.

Alla fine, si sentì sollevare il mento e i suoi occhi incontrarono di nuovo quelli di Dean.

“Va bene, Biondina. Mi hai convinto.” le disse, abbozzando un sorriso. Si avvicinò per posarle un bacio veloce sulla fronte; poi, continuando a tenersi per mano, raggiunsero il resto del gruppo.

Li trovarono in mezzo a delle rocce, Laurenne al centro di un cerchio fatto di pietre runiche che aveva portato con sé. Si erano attardati a parlare, quindi non avevano assistito all’apertura del portale, che ora vorticava nella parete rocciosa come un immenso mulinello. Usare quello del pozzo non era consigliabile, visto che a detta di Dean sarebbe stato sicuramente sorvegliato, quindi alla fine avevano optato per riaprirne uno utilizzato anticamente dalla tribù, ma che era rimasto chiuso per diversi anni.

Insieme agli altri, vennero investiti dal vento, talmente forte da costringerli a coprirsi gli occhi.

“Dov’eri finito?” gridò Jamaal a Dean, che però non rispose.

“Con i miei mezzi posso darvi un margine di circa otto ore.” li informò la sciamana. “Dopodiché il portale si chiuderà e dovrete trovare un altro passaggio per il ritorno.”

“E non potresti riaprirlo nello stesso modo?” le chiese Rachel preoccupata. L’idea di restare bloccata a Bran non era affatto allettante.

Laurenne scosse la testa. “Quella dei portali è una magia antica, la cui origine si è ormai persa nel tempo. Deriva dalle streghe e solo una strega potrebbe aprirne e chiuderne uno a piacimento. Io purtroppo non ho questo tipo di potere, il mio incantesimo può essere usato una volta sola.”

“Quindi se non arriviamo in tempo e il portale si chiude…” rifletté Evan.

“Siamo fottuti.” osservò Qiang, completando la frase.

“Ma che bella notizia.” disse Mark sarcastico. “Non solo sarà un’impresa salvare Ced, ma nel caso venissimo scoperti non è nemmeno assicurato che riusciremo a tornare indietro. Meraviglioso.”

La sciamana gli rivolse uno sguardo rammaricato. “Mi spiace, i poteri delle rune sono limitati. Comunque controllerò che tutto vada come previsto.”

A quel punto, Jamaal intervenne per risollevare gli animi. “Va bene così. Io e il vampiro abbiamo calcolato ogni dettaglio e il tempo che ci hai messo a disposizione è più che sufficiente.” sentenziò in tono pratico.

Quando lo guardò, in cerca di supporto, Dean annuì. Era vero, avevano pianificato tutto valutando attentamente ogni possibilità, ma in questo genere di cose nulla era certo. In linea teorica, otto ore sarebbero bastate a entrare nel castello, prendere Cedric e battere in ritirata, ma questo escludendo qualsiasi contrattempo. Comunque, al momento c’era bisogno di sicurezze, perciò non fece obiezioni.

Prima di andare, Jamaal si fece passare tre daghe, consegnandole a Mark, Rachel e Juliet. “Prendete queste. Spero che non dobbiate usarle, ma non si sa mai.” Poi rivolse a Dean un’occhiata decisa, indicando col mento il portale. “Dopo di te, vampiro.” gli disse, invitandolo a precederli.

Dean, che non aveva mollato la mano di Juliet neanche per un secondo, fece per lasciarla, ma lei gliela strinse più forte, per fargli capire che non l’avrebbe mandato da solo.

“Fate attenzione.”  riuscì a sentir dire da Laurenne, poco prima che insieme attraversassero il portale.

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Capitolo 25
*** Casa dolce casa ***


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Capitolo 17 - Casa dolce casa
 
Il castello sorgeva arroccato su un’altura circondata dalla foresta, imponente ed eterno esattamente come Dean l’aveva lasciato. Era esasperante vedere come più cercava di abbandonare quel luogo con il corpo e con la mente, più il destino continuava a portarlo lì. A volte pensava che non se ne sarebbe mai liberato.
Mentre lo osservava a distanza di sicurezza, nascosto tra la vegetazione insieme agli altri, si chiese un’ultima volta se fosse davvero così sicuro di quello che stavano per fare. Almeno per il momento, la dea fortuna sembrava aver deciso di favorirli, facendoli arrivare sani e salvi fino a quel punto, ma l’esperienza gli aveva insegnato che in certi casi non si poteva contare solo sulla buona sorte.

Il portale si era aperto al limitare della foresta, perciò erano bastati pochi passi per addentrarsi in quell’intricato labirinto di alberi e cespugli, talmente fitto che neanche la luce della luna riusciva a penetrarlo. Jamaal li aveva invitati ad accendere le torce, purché le mantenessero basse, in modo da non segnalare la loro presenza ad eventuali sentinelle sulle mura.

“Tenete gli occhi aperti.” si era raccomandato in seguito. “Potremmo avere compagnia.”

Dean ne dubitava. Era certo che Nickolaij li stesse aspettando, ma era altrettanto sicuro che non sapesse quando sarebbero arrivati né che avrebbero utilizzato un portale di cui nessun vampiro era a conoscenza. Per lui l’unico accesso possibile al castello restava il pozzo dall’altra parte della foresta e loro puntavano proprio sulla sua ignoranza per portare a termine la missione. Il fatto che non si vedesse anima viva facilitava le cose, anche se tutta quella calma lo rendeva più nervoso di quanto sarebbe stato se si fossero ritrovati addosso cento vampiri.

“Casa dolce casa.” lo provocò Najat ironica, quando i cespugli si diradarono per lasciare spazio alla vista completa del castello.

Dean però non le diede soddisfazione, ignorando il commento.

Intanto, accanto a lui Jamaal non nascose un’espressione affascinata ed euforica allo stesso tempo. Era la prima volta che vedeva il castello dal vivo e, dopo essere rimasto qualche istante a osservarlo, si voltò verso di loro. “Bene. Direi che è arrivato il momento.” sentenziò, per poi guardare Dean. “Guidaci.”

Lui obbedì, ma anziché portarli sotto le mura, li fece proseguire lungo il margine della foresta, per continuare a godere della protezione degli alberi mentre raggiungevano un punto non molto lontano e ben nascosto.

Arrivati davanti a quello che sembrava soltanto un cumulo di terriccio in cui affondavano le radici sovrastanti, Dean accennò un sorriso soddisfatto. Aveva scoperto quel passaggio anni prima, durante una delle sue fughe notturne per sfuggire alla cerimonia del plenilunio e, per quanto ne sapeva, era sconosciuto ai più, dunque con pochissime probabilità di essere sorvegliato. Come previsto, infatti, non c’era nessuno. Iniziò a darsi da fare per togliere le piante rampicanti che negli anni si erano accumulate, ostruendo l’entrata e, per velocizzare le cose, Jamaal andò ad aiutarlo, imitato subito dopo da Evan e Qiang.

Scavarono e sradicarono, fin quando l’imboccatura di una grossa tubazione si rivelò ai loro occhi. Era come un lungo tunnel buio che proseguiva sotto terra, del quale non si indovinava la fine.

“D’accordo, Abe, Evan e Kira resteranno con Mark e le ragazze.” ripeté allora Jamaal come già stabilito nei giorni precedenti. “Najat e Qiang con me e il vampiro.” Il piano concordato era di andare a prendere Cedric e poi tornare indietro per la stessa strada, sperando nel frattempo di non farsi scoprire. Gli altri invece sarebbero rimasti lì ad aspettarli. Insieme ai guerrieri, Dean aveva cercato una soluzione alternativa dal riscendere nei sotterranei, per di più con Cedric a carico, ma non l’aveva trovata. Quella era l’unica via abbastanza sicura, anche se la più lunga.

Lo sguardo di Evan passò dalla tubatura ad Abe, a cui diede poi una pacca sul braccio con fare consolatorio. “Mi dispiace, amico. Anche volendo, non saresti potuto venire.” L’apertura, infatti, era troppo stretta perché il mastodontico guerriero potesse sperare di entrarci, perfino a testa china.

Come al solito di poche parole, lui si limitò a storcere il naso per mostrare il suo disappunto. Jamaal lo aveva avvertito già prima di partire che non avrebbe potuto seguirlo nel castello, visto che data la sua mole avrebbe facilmente attirato l’attenzione, ma tuttora l’idea non sembrava entusiasmarlo.

Prima di incamminarsi nel tunnel, Jamaal si rivolse un’ultima volta ai guerrieri rimasti. “Se non ci facciamo vivi entro tre ore, voglio che torniate al portale senza aspettarci. Noi ce la caveremo.”

“Ma…” fece per protestare Kira, riluttante all’idea di fuggire e abbandonarli.

Lui però non le diede il tempo di andare oltre. “È un ordine.” le impose, inchiodandola con lo sguardo.

A quel punto, la guerriera dovette arrendersi e annuì, anche se malvolentieri. Poi lei e il fratello si abbracciarono, scambiandosi parole di incoraggiamento nella loro lingua.

Ora era arrivato davvero il momento e Dean sapeva già quanto sarebbe stato difficile. Così si concesse qualche istante in più, prima di precedere gli altri nella galleria.

Dal canto suo, per Juliet fu come leggergli nel pensiero e intuì immediatamente il suo stato d’animo, perché provava la stessa cosa. Sapeva benissimo quanto la sua presenza fosse fondamentale per la riuscita della missione, ma c’era comunque una parte di lei pronta a chiedergli di restare. Non voleva vederlo sparire in quel buco, con il terrore di separarsene per sempre. “Sta attento.” riuscì solo a mormorare, quando i loro sguardi carichi di incertezza si incontrarono.

Dean sollevò la mano per accarezzarle una guancia e le rivolse un sorriso per tranquillizzarla. “Non temere, tornerò presto.”

Per quanto si sforzasse, però, Juliet non riuscì a contraccambiare. “Sarà meglio per te.” lo ammonì, restando seria. “Ricorda quello che ti ho detto nel deserto.”

Lui annuì convinto, facendole capire che ricordava ogni singola parola; poi le voltò le spalle e fece per entrare, ma stranamente si bloccò ancor prima di aver messo piede nell’imboccatura.

Lei credette che ci stesse ripensando e rimase spaesata a guardarlo, ma durò un attimo. Subito dopo, Dean si voltò di nuovo, attirandola a sé e baciandola come se fosse l’ultima volta in vita sua. In quel bacio Juliet sentì tutta l’ansia che stava provando. C’era più impeto perché, pur sapendo che non lo avrebbe mai ammesso, anche lui era preoccupato. A tal punto da lasciarsi andare in quel modo, infischiandosene che ci fosse gente intorno a guardarli. Dapprima sorpresa, non ci mise molto ad assecondarlo, cercando per quanto potesse di trasmettergli forza e sicurezza.

“Dobbiamo andare.” gli disse Jamaal dopo un po’, dopo essersi schiarito la gola.

Juliet provò quasi un male fisico quando dovettero interrompere il bacio e intuì che anche per Dean era lo stesso.

La guardò ancora un istante, imprimendosi la sua immagine nella mente, poi si separò da lei e, senza aggiungere altro, guidò gli altri nel tunnel, sparendo in breve nel buio.

I suoi occhi si adattarono velocemente e riuscì ben presto a seguire il percorso davanti a sé senza l’aiuto della torcia.
Subito dietro di lui, Jamaal puntò la sua verso il pavimento della tubatura, permettendo così anche agli altri di vedere dove mettevano i piedi. Il cunicolo era freddo e l’aria che si respirava decisamente poco gradevole, ma nessuno fece commenti.
Rimasero in silenzio, finché Qiang, l’ultimo della fila, non toccò inavvertitamente la parete della galleria, imprecando per il disgusto e facendoli voltare allarmati.
Alla richiesta di spiegazioni da parte di Jamaal, disse che qualcosa di viscido e strisciante era entrato in contatto con la sua mano.
Dean pensò alle ragazze e alla reazione esagerata che avrebbero avuto se fossero venute anche loro, e non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una risata sommessa.

Najat gli lanciò un’occhiata di traverso. “La cosa ti diverte, vampiro?”

“A me per niente.” ribatté Qiang alle sue spalle. “Se solo ci fosse più luce…Almeno saprei cosa mi sta toccando.”

“Sono solo insetti. Abbiamo affrontato di peggio.” intervenne a quel punto Jamaal; poi guardò Dean, facendogli cenno di proseguire.

Dopo diversi minuti trascorsi nel silenzio, Najat non si trattenne dal dimostrare ancora una volta i suoi sospetti. “Sei sicuro di sapere dove stiamo andando?” chiese a Dean di punto in bianco, come se ancora faticasse ad affidarsi completamente a lui.

Dean ebbe un déjà-vu. Ogni volta che guidava una spedizione si sentiva rivolgere sempre la stessa domanda. Mai una volta che si fidassero e basta. “Non preoccuparti, so esattamente dove siamo.” rispose secco. Infatti, quando gli giunse alle orecchie il suono scrosciante dell’acqua che scorreva sopra le loro teste, seppe che non doveva mancare molto all’arrivo. Il rumore del fiume, più in superficie rispetto a dove si trovavano, era tuttavia più intenso di quanto si fosse aspettato e per un attimo ebbe quasi timore che la tubatura non reggesse e venissero investiti in pieno, ma poi si sforzò di accantonare l’idea. -Se finora ha resistito…- pensò.

Di lì a poco, infatti, iniziò a intravedere la fine della galleria. Verso il fondo, la tubazione si piegava, proseguendo verso l’alto con una scala a pioli di metallo. “Siamo arrivati.” li avvertì.

Jamaal annuì, scostandosi per lasciare a Najat lo spazio necessario a passare. “Prima le signore.”

Lei venne avanti a tentoni e fece fatica a trovare il primo piolo, così Dean le prese la mano con l’intento di guidarla verso la direzione giusta. Colta alla sprovvista, però, Najat trasalì, ritraendola di scatto.

“Tranquilla, voglio solo aiutarti.”

“Non mi serve il tuo aiuto, algul.” sentenziò velenosa.  

Nonostante avesse più volte dimostrato le sue buone intenzioni e credesse di aver ormai chiarito da che parte stava, lei continuava ancora a provare disprezzo nei suoi confronti. Ma Dean non si stupì di quell’atteggiamento e passò oltre, lasciando che lo precedesse su per la scala. “Prima di aprire la botola, ricorda di controllare che non ci sia nessuno dall’altra parte.” si raccomandò. “E sta attenta. Potresti scivolare.”

“Sì, sì.” rispose Najat sbrigativa, mentre iniziava a salire.

Erano già a metà percorso, quindi abbastanza in alto, quando per ironia della sorte mise un piede in fallo e sarebbe caduta di sotto se Dean prontamente non l’avesse afferrata, tenendola per la vita. D’istinto la ragazza si strinse a lui, senza pensare ad altro se non a restare tutta intera, ma ci mise poco a rendersi conto di cosa stava facendo. Confusa e allarmata si voltò a guardarlo, ritrovandosi a pochi centimetri dal suo viso.

“L’avevo detto che si scivola.” la provocò, sfoderando un ghigno beffardo.

Dopo un attimo di esitazione, la sentì irrigidirsi, prima di tornare padrona di sé e spingerlo via. “D’accordo, sto bene. Puoi lasciarmi adesso.” disse in tono piatto, riagganciandosi alla scala.

Dean sentì Jamaal sotto di lui chiederle qualcosa in arabo, probabilmente se stesse bene, e Najat rassicurarlo nella stessa lingua, per poi riprendere la salita.

Fu più lunga di quanto Dean ricordasse, probabilmente perché l’ultima volta che aveva percorso quella scala era da solo e andava più veloce, ma forse anche perché in cuor suo non era così ansioso di sbucare dall’altra parte. Nonostante di natura non fosse un sentimentale, a quel sotterraneo erano legati ricordi del suo recente passato a dir poco spiacevoli.
Capì di essere arrivato quando Najat si fermò sopra di lui, inducendolo a fare lo stesso. La sentì trafficare con la botola, nel tentativo di aprirla e per un attimo pensò di chiederle se le servisse una mano, ma desistette subito. Conosceva già la risposta e poi non fu necessario. Pochi istanti e il cigolio del legno fece loro capire che era fatta.

La luce calda delle torce appese alle pareti li investì in pieno mentre uno alla volta uscivano da quel buco e, dopo diverso tempo passato quasi al buio, gli occhi impiegarono qualche secondo per abituarsi.
Lì per lì non si mossero, temendo di non essere soli, ma ben presto constatarono che non c’era nessuno, almeno a una prima occhiata. Dean se l’aspettava, visto che secondo le previsioni nel sotterraneo non avrebbero dovuto esserci prigionieri, ma in certi casi era meglio non dare nulla per scontato. “Prima di salire, dovremmo comunque controllare le celle. Cedric potrebbe essere ancora qui.” propose.

Jamaal annuì concorde. “Facci strada.”

Quando lui e gli altri lo guardarono, in attesa delle prossime indicazioni, si concesse qualche minuto per decidere quale direzione prendere. Le opzioni erano diverse, ma bisognava scegliere la soluzione meno rischiosa, non quella più rapida.

“Di qua.” li esortò infine, imboccando un corridoio laterale.

Limitando al massimo il rumore, i guerrieri lo seguirono in quel labirinto di cunicoli, senza fare domande e aspettando pazientemente ogni volta che si fermava per scegliere dove andare. Ognuno di loro aveva i sensi all’erta, pronto ad affrontare chiunque gli si fosse parato davanti.

Arrivati al corridoio principale, dove si affacciavano le prigioni, diedero una rapida occhiata a ogni singola cella, confermando alla fine l’ipotesi di Dean. Di Cedric nessuna traccia.

“Avevi ragione, vampiro. Lo hanno spostato.” constatò Najat.

Jamaal guardò Dean. “Quindi dev’essere nella torre, come avevi detto.”

Lui annuì appena, in segno di risposta. In quei giorni trascorsi a studiare una strategia, avevano già avuto modo di riflettere su dove potesse trovarsi Cedric e l’ipotesi avanzata da Dean era che fosse nella torre ovest. La nord ospitava gli appartamenti di Nickolaij, mentre la torre est era la stessa in cui era stata rinchiusa Claire l’ultima volta. Delle tre quest’ultima era la più raggiungibile, dunque anche la meno probabile. Restava solo la torre ovest. Era lì che dovevano dirigersi.

“Andiamo, allora.” lo sollecitò Jamaal. “Non è prudente restare fermi troppo a lungo.”

Se la totale assenza di vampiri nei sotterranei non aveva sorpreso Dean più di tanto, era consapevole che una volta giunti al piano superiore non avrebbero avuto la stessa fortuna. Imboccato lo scalone che dava sull’atrio, procedettero lentamente, gradino per gradino, attenti al minimo rumore. Fin quando, arrivati in cima, non vennero raggiunti da due voci in avvicinamento. Con un paio di cenni brevi ma eloquenti, Jamaal indicò di dividersi in coppie e nascondersi, giusto in tempo per evitare di essere scoperti.

I due vampiri proprietari delle voci, infatti, erano già a pochi metri da loro. Appiattito contro la parete gelida al lato dello scalone, con Najat al fianco che tratteneva il respiro, Dean riconobbe subito quella lingua a lui familiare.

…e quindi l’ho lasciata fare.”

Sul serio? Hai lasciato che lo mordesse per prima?

E che dovevo fare? Mi ha praticamente minacciato di morte! Però poi…

Poi cosa?

Il vampiro lasciò il compagno sulle spine per un po’, prima di rispondere: “Diciamo solo che ci ho guadagnato anch’io.

Dean represse un moto di disgusto, mentre sentiva le loro risate sguaiate allontanarsi. –Idioti- pensò. Non li aveva riconosciuti dalla voce, ma era chiaro che avevano beccato solo due imbecilli qualunque. Per fortuna.

Una volta essersi accertato che fossero rimasti soli, con un altro cenno Jamaal li invitò a proseguire. Sapendo di non poter usare la scala principale senza rischiare seriamente la pelle, Dean li guidò lungo un’altra via, più lunga ma più sicura. Intrapresero una stretta rampa di scale seminascosta tra due corridoi e, dopo diverse serie di gradini, si ritrovarono all’aperto, in corrispondenza delle merlature percorribili che circondavano l’intero perimetro del castello e mettevano in comunicazione le torri con le varie ali. Per quanto anche a Bran fosse da poco finita l’estate, l’aria frizzante della notte li fece rabbrividire. A quell’altezza il vento era a dir poco tagliente e li investì in pieno, prima che si accucciassero dietro il muro che li separava dall’entrata della torre. In compenso, il panorama era splendido, con il bosco illuminato in superficie dalla luna alta nel cielo, ma in quel momento era l’ultima cosa che risaltò all’occhio attento di Dean.

Approfittando della protezione che offriva loro, sporse lo sguardo al di là del muro per controllare la situazione. Ovviamente era impensabile che la via fosse libera. Tre sentinelle presidiavano quel tratto di merlatura, frapponendosi tra loro e la torre.
Non si erano ancora accorti di niente, ma Dean non ebbe il tempo di elaborare un piano di attacco, che vide di sfuggita Jamaal e Qiang scambiarsi una rapida occhiata d’intesa.
Ricevuto un cenno di assenso dal capo, il guerriero cinese estrasse la sua balestra dal fodero che portava attaccato alla coscia e la puntò contro la schiena del vampiro più vicino.

Agì in maniera talmente rapida che Dean si rese conto troppo tardi di quello che stava per fare e non riuscì a fermarlo. Non appena premette il grilletto, la freccia si staccò dall’arma e saettò fulminea in direzione dell’obbiettivo, colpendo in pieno il vampiro e trapassandogli il cuore. Colta di sorpresa, la vittima emise un verso strozzato, restando in piedi per qualche istante prima di crollare a terra.
Allertati dal rumore, i suoi compagni si voltarono nella stessa direzione, ma non fecero in tempo a realizzare di cosa stesse succedendo che Qiang li aveva già trafitti entrambi.

Per un po’ rimasero in silenzio, cercando di capire se quelle azioni avessero provocato altre conseguenze. A un primo impatto sembrava di no.

Lì per lì Dean aveva pensato che fosse stato stupido da parte di Jamaal affidarsi al caso e sperare che Qiang riuscisse a ucciderli tutti al primo colpo. Evidentemente, però, aveva sottovalutato le sue notevoli abilità. “È stata una mossa azzardata.” commentò comunque, senza nascondere una nota di disappunto nella voce, mentre il guerriero riponeva l’arma e insieme agli altri uscivano dal loro nascondiglio. “Avresti potuto mancarli e allora cosa sarebbe successo?”

“Non c’è di che, figurati.” ironizzò lui, rivolgendogli di risposta un ghigno di scherno e recuperando la sua freccia dal cadavere fresco del primo vampiro colpito.

Muovendosi più rapidamente, proseguirono lungo la merlatura, fino a raggiungere l’entrata della torre. Salirono le scale più in fretta che poterono e in pochi minuti raggiunsero la cima, ritrovandosi davanti alla stanza in cui probabilmente era stato rinchiuso Cedric. A differenza della cella di Claire, chiusa da una grata, qui c’era una massiccia porta di legno e ferro a separare il prigioniero dal mondo esterno. Unico elemento di comunicazione era la stretta feritoia in basso, che serviva a far passare il cibo.

“È stato fin troppo facile. Pensavo che avremmo avuto più compagnia.” osservò Najat con una punta di delusione.

Anche Dean lo pensava, ma al contrario di lei trovava la cosa decisamente più allarmante. Non sapeva come interpretare il fatto che Nickolaij avesse messo così pochi uomini di guardia. Stava forse a significare che non sospettava minimamente di una loro possibile incursione nel castello, cosa assai improbabile, o c’era sotto dell’altro?

“Sarà meglio muoversi, finché nessuno sa che siamo qui.” disse a quel punto Jamaal, riscuotendolo dai suoi pensieri.

Dopo aver esaminato la porta blindata, Najat rivolse un’occhiata perplessa a Dean. “Sei sicuro di riuscire a forzarla? Sembra parecchio pesante.”

Lui le rivolse un leggero ghigno di sfida, poi serrò le dita attorno alla maniglia di ferro battuto che proseguiva in senso verticale lungo metà della porta. Prima di procedere, cercò un ultimo consenso nello sguardo di Jamaal, che in risposta sguainò la spada, imitato subito da Najat e Qiang. Per quanto ne sapevano, dall’altra parte avrebbe potuto esserci chiunque.

Quando furono tutti pronti, Dean diede un primo poderoso strattone alla maniglia, non ottenendo altro se non un leggero cedimento dei cardini. Il ferro cigolò di protesta, mentre polvere e calcinacci si staccavano dal muro e crollavano davanti all’entrata, costringendoli a indietreggiare.

Alle sue spalle sentì Najat tossire. “Ma bravo.” commentò, sventolando la mano davanti al naso per allontanare la polvere.

Senza perdersi d’animo, Dean ignorò l’ironia e tentò una seconda volta. Con un altro strattone, i cardini cedettero definitivamente e il legno si sgretolò, facendogli rimanere la porta praticamente in mano. Aiutato dagli altri, la sollevò e la mise da parte, per poi concentrare l’attenzione all’interno della cella.

Dovettero attendere che la polvere si diradasse per avere una visione d’insieme dell’ambiente, ma non impiegarono che pochi istanti per accorgersi di quello che mai si sarebbero aspettati. A parte un rozzo tavolo di legno al centro, un pagliericcio in un angolo e uno sgabello, la stanza era completamente vuota.

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Capitolo 26
*** Topi in trappola ***


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Capitolo 18 - Topi in trappola


Vuota. La cella era completamente vuota. Dean rimase a fissare per diversi secondi quell’ambiente scarno e inospitale, cercando di trovare possibili spiegazioni all’assenza di Cedric. L’unica che gli veniva in mente era di essersi sbagliato, di aver dato per scontato che fosse rinchiuso là dentro, senza in realtà averne alcuna certezza.

“Vuota.” disse Najat, sottolineando l’ovvio; poi la sua espressione spaesata si fece più dura e si spostò su Dean. “Non c’è anima viva. Come lo spieghi?”

Jamaal intervenne a darle man forte, vedendo che lui non accennava a rispondere. “Che significa, vampiro? Eri sicuro che lo avremmo trovato qui.”

Non era esatto. La sua era stata una semplice ipotesi basata sul calcolo delle probabilità, ma ora iniziava a farsi strada l’idea che Nickolaij avesse previsto anche questo. E poi la scarsità di guardie a ogni possibile entrata, i corridoi del castello semideserti…

Najat intanto era già sul piede di guerra. “Lo sapevo che non dovevamo fidarci di lui!” esclamò fomentata, rivolta a Jamaal. “Scommetto la testa che ci ha portati fin qui solo per farci cadere in trappola!”

“Quello che dici non ha senso.” replicò Dean, serrando la mascella nel tentativo di restare padrone di sé. L’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era doversi difendere da false accuse. La storia che si divertisse a organizzare complotti per trarre in inganno le persone iniziava davvero a stancarlo.

Ovviamente lei non lo stette a sentire, accecata com’era dai suoi pregiudizi, e mise mano alla spada, puntandogliela alla gola. Mosso dall’istinto, anche Qiang fece lo stesso, tenendolo sotto tiro con la balestra.

“Restiamo calmi!” Jamaal li richiamò all’ordine, facendo un passo avanti come per frapporsi tra loro. Poi il suo sguardo fermo si spostò su Dean. “Ti concedo un’ultima possibilità per convincerci che sei dalla nostra parte.”

Lui non diede il minimo segno di timore e continuò a guardarlo in faccia sicuro di sé, come era sempre stato. “Non vi ho ingannati. Sono sorpreso quanto voi che Cedric non sia qui. Ho fatto male i miei calcoli.” ammise. “E poi perché prendermi il disturbo di portarvi fin quassù, quando avrei potuto consegnarvi direttamente a Nickolaij?”

“Magari eravate già d’accordo e questo era solo un piano per prendere tempo mentre i tuoi amichetti si preparano a riceverci.” ribatté Najat, continuando a tenere l’arma puntata.

Dean alzò un sopracciglio, perplesso. “Siete solo in tre. Nickolaij non sprecherebbe tutti i suoi uomini per così poco.”

“Ma è di Jamaal che stiamo parlando.” insistette lei. “Il capo di tutte le tribù che si oppongono ai suoi piani. Sarebbe un bel colpo se riuscisse a catturarlo.”

Dean concordava, anche se non lo diede a vedere. Conosceva benissimo il valore che la cattura di Jamaal avrebbe significato da un punto di vista strategico, visto che aveva combattuto in prima linea per anni. Privare le tribù della loro guida ne avrebbe minato ancora di più l’unità, allo stato attuale già abbastanza scarsa. Era quasi certo che il progetto di Nickolaij di attirarli a Bran comprendesse anche questo, quindi doveva evitare a tutti i costi che accadesse e tutte quelle chiacchiere non gli stavano rendendo il compito facile. “Dobbiamo andarcene. In fretta.” sentenziò infine. Dovevano approfittare del poco tempo che ancora rimaneva, prima di ritrovarsi addosso l’intero castello. Perché a quel punto era chiaro che la facilità con cui avevano raggiunto la torre non fosse casuale.

Qiang lo guardò confuso. “E il ragazzo?”

Già, Cedric. Nonostante la scarsa simpatia che nutriva nei suoi confronti, si dispiaceva pensando alla fine che poteva aver fatto. Era perfino probabile che fosse morto da un pezzo e quella dello scambio nient’altro che una falsa promessa, una scusa per attirare Claire al castello e catturarla. Lei però non c’era, dunque Nickolaij non aveva ragioni per risparmiare le loro vite. “Penso che non sia mai stato qui. Era solo un trucco di Nickolaij e noi abbiamo abboccato all’amo.” ragionò ad alta voce.

“Come puoi esserne sicuro?” gli chiese Qiang. “Potremmo aver sbagliato cella. Forse è nell’altra torre…”

“Può darsi, ma comunque non ci sarebbe il tempo di arrivarci. Dovremmo attraversare mezzo castello e non è neanche detto che sia rinchiuso lì. Ormai è tardi, non ci resta che tornare indietro e sperare nella buona sorte.” Dean dubitava perfino che sarebbero riusciti a mettere piede fuori da quella torre, ma infierire non era d’aiuto in quel momento.

Dal canto suo, Jamaal però non sembrava convinto. “Ho dato la mia parola a Claire che l’avrei salvato e non intendo rimangiarmela. Sapevamo che era un azzardo venire qui, ma ormai le nostre vite sono in pericolo. Tanto vale tentare il tutto per tutto.”
 
-o-
 
Nascosta dalla fitta vegetazione, Juliet non riusciva a calmare i nervi, che sentiva sempre più tesi. Faceva avanti e indietro davanti all’imbocco della tubatura, cercando di distrarsi, ma servì a poco.

“Quanto tempo è passato?” domandò a Mark, l’unico a possedere un orologio, mordicchiandosi un’unghia. Non era certo la prima volta che gli rivolgeva quella domanda, ma lui le rispose come sempre in tono paziente. “Quasi due ore e mezza.”

Due ore e mezza da quando erano entrati nel castello e di Dean e gli altri ancora nessuna traccia. Poco più di mezzora e il limite di tre ore sarebbe scaduto, costringendoli a tornare al portale senza aspettarli, cosa che le faceva salire l’ansia al solo pensiero.
Non sapevano nemmeno se nel frattempo fosse andato tutto liscio, così Kira aveva mandato Abe in avanscoperta verso il ponte che collegava la foresta all’entrata del maniero, per controllare se ci fosse del movimento e poi tornare ad aggiornarli.

Nel disperato tentativo di calmarsi, Juliet si mise seduta accanto a Rachel con la schiena poggiata contro il tronco di un albero, cercando di scacciare ogni terribile ipotesi che affollava la sua mente, purtroppo senza risultato. L’angoscia per quello che poteva essere successo lì dentro era tale da rendere inutile qualsiasi tentativo di distrazione.
Per tutto il tempo aveva evitato di guardare Rachel, sapendo che sarebbe servito solo a peggiorare il suo stato d’animo e infonderle anche la sua ansia. La cosa migliore sarebbe stata prendere esempio da Kira, l’unica in grado di mantenere la calma, nonostante fosse in gioco anche la vita del fratello. Tutto il contrario di Evan, che invece se ne stava seduto su un tronco continuando a scuotere freneticamente la gamba per la tensione, finché Kira non provvide a interrompere quel balletto bloccandola con la mano. “Ehi, piantala. Mi innervosisci.” lo rimbeccò spazientita.

Lui la guardò, serio in volto. “Dovrebbero già essere qui.”

“Le tre ore non sono ancora passate. Arriveranno.”

Il tono fermo con cui lo disse non ebbe altro risultato se non di farlo irritare. “Come diavolo fai a essere così calma?” sbottò esasperato.

Juliet non poté fare a meno di rivedersi nella sua reazione e capiva perfettamente cosa stesse provando. Fu allora che vide lo sguardo di Kira infiammarsi per la prima volta.

“Mi sto sforzando di restare calma, perché so che dare di matto non serve a niente. Finché siamo qui non possiamo fare altro che aspettare e sperare, perciò armati di pazienza e risparmia le energie.” ribatté perentoria.

Evan non sembrava molto convinto, ma non ebbe modo di protestare oltre, perché l’inaspettato intervento di una voce finora sconosciuta pose fine alla discussione.

“Venite a vedere.”

Quando Abe tornò dall’angolo della foresta in cui si era appostato per avere una visuale più chiara del castello, si accorsero che era stato lui a parlare, rivelando per la prima volta un timbro di voce grave e profondo. Solo Evan e Kira non sembrarono particolarmente colpiti dalla cosa e si affrettarono subito a seguirlo, imitati all’istante da Juliet e gli altri.
Al limitare della boscaglia, cercarono di mimetizzarsi il più possibile tra i cespugli e il gigante indicò un punto al di là del ponte. I cancelli erano aperti e dentro si riusciva a intravedere un movimento di corpi che combattevano, quanto bastava per capire cosa stesse succedendo nel cortile del castello.

“Maledizione, li hanno scoperti!” esclamò Evan allarmato, per poi voltarsi verso Abe e Kira. “Dobbiamo andare ad aiutarli!”

“No.” ribatté lei, nonostante tutto ancora inspiegabilmente razionale. “Jamaal ci ha dato un ordine e dobbiamo rispettarlo. Torniamo al portale.”

A quel punto, però, Evan già non la ascoltava più. “Che si fottano gli ordini.” E, senza aspettare oltre, imbracciò il fucile e uscì dal loro nascondiglio, fiondandosi all’attacco.

Mosso dallo stesso sentimento, anche Abe sfoderò la sua enorme scimitarra e lo seguì lungo il ponte, lasciando per un momento Kira sola e spiazzata.

“Che aspetti? Vai con loro.” la incalzò Rachel. “Noi ce la caveremo.”

La guerriera la guardò spaesata. “Ma…E se dovessero attaccarvi?”

“Ci siamo allenati per questo, no? Possiamo affrontarli un paio di vampiri.”

Quando Kira cercò conferma negli occhi di Mark, lui annuì, convincendola definitivamente. Così, messo mano alle spade, si apprestò a seguire i compagni nella mischia. “Stupidi uomini.” mormorò seccata, prima di allontanarsi.
 
-o-
 
Sì, era sempre stata una trappola. La facilità con cui erano arrivati alla torre era stata già un campanello d’allarme e, in seguito, la cella trovata vuota aveva confermato i sospetti di Dean. Perciò non si stupì più di tanto quando, scesi nell’atrio, trovarono ad attenderli un nutrito gruppo di vampiri, almeno una trentina, capeggiati da Alecseij. In qualche modo, anche se non aveva idea di come, Nickolaij doveva essere stato al corrente delle loro intenzioni, divertendosi ad attirarli fin lassù per poi chiuderli in una morsa.

Individuato il suo obiettivo tra gli intrusi, il vampiro dai capelli ramati gli rivolse un ghigno compiaciuto, come se non vedesse l’ora di coglierli in flagrante.

“Guarda guarda chi è tornato all’ovile.” lo sfotté, mentre gli altri dietro di lui sghignazzavano divertiti.

“Alec.” rispose Dean a denti stretti, squadrandolo con disprezzo. Tra tutti, lui era decisamente l’ultimo che avrebbe voluto incontrare. Conoscendolo, di sicuro si era offerto di sua sponte per fermarlo, una volta saputo che sarebbe arrivato.

Gongolandosi del suo trionfo, Alecseij conservò quell’espressione di superbia mista a soddisfazione quando i suoi occhi azzurro slavato passarono da Dean ai guerrieri accanto a lui. “Vedo che il viaggio in terra esotica è andato bene. Ti sei fatto dei nuovi amici.”

Provocarlo era sempre stato il suo passatempo preferito e di solito Dean si limitava a ignorarlo, ma stavolta chissà perché non si sentiva particolarmente in vena. Ancor meno quando il vampiro diede una gomitata ammiccante a un compagno accanto a sé, dopo aver soffermato lo sguardo su Najat.

Per tutta risposta, la ragazza ricambiò implacabile e sputò a terra, non ottenendo altro risultato se non far aumentare il suo interesse. “Mi piacciono selvatiche.” commentò viscidamente.

“Sei qui solo per chiacchierare o passiamo ai fatti?” tagliò corto Dean, disgustato e annoiato da quel teatrino. “Facciamola finita. Una volta per tutte.”

Lui si ritrasse, fingendosi intimorito. “Sto morendo di paura.” lo provocò ancora, prima di rivolgere un rapido cenno del capo ai suoi per dare inizio allo scontro.

Dean ebbe a stento il tempo di sentire gli Jurhaysh sguainare le lame, pronti a difendersi, che si ritrovò Alecseij addosso. Mentre accanto a lui Najat faceva saltare la testa di un primo avversario, il vampiro lo afferrò per i vestiti e lo scaraventò dall’altro lato dell’atrio, mandandolo a sbattere contro il portone d’ingresso, prontamente chiuso per togliere loro qualsiasi via di fuga.

Riaperti gli occhi, Dean vide Alecseij tornare all’attacco e fece forza sulle gambe per rialzarsi. Doveva liberarsene il più in fretta possibile se voleva riuscire ad aprire il portone.

“Non potevi cadere più in basso. Protettore degli umani e compare dei cacciatori.” sibilò il vampiro, mentre avanzava verso di lui con le iridi fiammeggianti. “Traditore due volt...”

Ormai faccia a faccia, Dean gli rifilò una ginocchiata allo stomaco che gli mozzò le parole in bocca, facendolo barcollare, ma durò pochissimo perché si riprese subito e, ancora più furioso, gli colpì la mascella con un pugno, talmente forte che se fosse stato una persona normale gliel’avrebbe di certo spaccata.

Intontito, Dean indietreggiò, perdendo infine l’equilibrio e finendo faccia a terra. In quel modo era più vulnerabile e Alecseij ne approfittò immediatamente. In un attimo gli fu sopra, piantandogli un ginocchio nella schiena per tenerlo fermo. Dopodiché lo afferrò per i capelli, tirandogli la testa all’indietro e, avvicinando le labbra al suo orecchio, sussurrò malevolo: “Quando porterò la tua testa a Nickolaij, mi ricoprirà di onori.”

Dean era immobilizzato. Il vampiro tirava a tal punto che sentì quasi il collo spezzarsi e pensò che ormai fosse finita, che l’astinenza da sangue umano lo avesse indebolito più di quanto pensasse, finché all’improvviso Alecseij non si abbandonò a un urlo di dolore e sua la presa si allentò, liberandolo.
Confuso e dolorante, si girò di nuovo supino, cercando di capire cosa fosse successo e vide il retro di una freccia spuntare dalla spalla del vampiro. Pochi metri più in là, scorse Qiang con la balestra ancora a mezz’aria. Giusto il tempo di scambiarsi un rapido sguardo e l’attenzione del guerriero era già rivolta verso altri avversari, lasciandolo a vedersela con quella che ormai era la sua spina nel fianco. Sapeva che Alecseij non si sarebbe fermato finché non gli avesse staccato la testa e che quello scontro poteva finire in un solo modo: con la morte di uno dei due. Naturalmente non aveva intenzione di essere lui a morire, così non gli diede il tempo di riprendersi e andò di nuovo alla carica.

Il vampiro stava ancora cercando di strapparsi la freccia dalla spalla e venne preso in contropiede dall’attacco di Dean, che afferrandolo per il collo lo sbatté a terra. Lui si agitava e dibatteva, nel tentativo di liberarsi, ma questa volta si trovava in posizione di svantaggio. Dopo avergli rivolto un ultimo sguardo di odio, con un gesto secco il braccio di Dean penetrò nel suo petto, all’altezza del cuore, per poi ritrarsi rapido, strappandoglielo di netto.
Con lo stupore ancora dipinto negli occhi, Alecseij ebbe solo il tempo di un ultimo spasmo, prima che le sue membra si accasciassero contro il freddo pavimento di pietra.

Era morto, non c’erano dubbi, ciononostante Dean rimase immobile per qualche secondo, come a volersene assicurare. Ben presto, si ritrovò addosso altri avversarsi, tra cui molte facce conosciute, gente che fino al giorno prima lo considerava parte del gruppo e che ora non esitava ad attaccarlo. Li abbatté uno per uno, tenendoli a bada più che poté. Quando alla fine però diede uno sguardo intorno a sé, non ci mise molto a capire che la situazione cominciava a degenerare. Era arrivato il momento di togliere il disturbo.

Correndo in mezzo ai vampiri e stendendone diversi al suo passaggio, finalmente raggiunse Jamaal, che se la stava vedendo con quattro vampiri insieme. Mentre lui ne trafiggeva uno al cuore con la spada, Dean provvide a metterne un altro fuori combattimento, per poi ritrovarsi schiena contro schiena a fronteggiare il resto degli avversari.

“Dovremmo ritirarci!” gli gridò, per sovrastare i rumori degli scontri.

Aiutandosi con un piede, il guerriero sfilò la lama dal corpo di un vampiro che aveva appena trafitto da parte a parte, gemendo per lo sforzo. “Tu dici?” ironizzò poi.

Dean ghignò, divertito dal fatto che nonostante tutto avesse ancora voglia di scherzare. “Hanno sigillato il portone, ma ho bisogno di copertura mentre cerco di aprirlo!”

Jamaal annuì appena in segno di assenso, continuando a combattere. “Va! Ci pensiamo noi!” Subito dopo gridò agli altri di ripiegare verso l’ingresso dell’atrio, per poi riunirsi a formare come una barriera davanti a Dean, che lentamente riuscì a farsi strada di nuovo verso il portone.

L’asse di legno che sbarrava i battenti era molto pesante e fu quasi un’impresa tirarla su. Per fortuna, nel frattempo erano rimasti ben pochi vampiri a impedirglielo.
Quando finalmente, con un ultimo sforzo, liberò la porta, scagliò l’asse contro quelli rimasti, per dare un po’ di respiro a Jamaal e agli altri, e permettere loro di uscire.

Si ritrovarono nel cortile del castello, all’esterno ma tutt’altro che al sicuro. Come prevedibile, infatti, erano arrivati dei rinforzi. Non era ancora finita.

Jamaal imprecò, riuscendo per miracolo a trafiggere un vampiro che gli si era parato davanti non appena messo piede fuori.

“Non possiamo ucciderli tutti! Dobbiamo raggiungere il ponte!” gridò; poi con i compagni cercò di farsi strada, ma gli avversari erano davvero troppi e loro cominciavano ad accusare la fatica.

Najat era perfino rimasta ferita a un braccio durante uno scontro con un paio di vampiri muniti di pugnali e ora cercava di liberarsene, con scarsi risultati. Stavano prevalendo su di lei e a un certo punto, commise l’errore di voltare le spalle a uno di loro, senza accorgersi di quello che stava per fare.

Per fortuna, Dean aveva già capito le sue intenzioni e gli fu addosso ancor prima che potesse colpirla. Con un calcio lo allontanò da Najat, che intanto aveva già tagliato la testa al vampiro che aveva di fronte.

“Non c’è di che!” scherzò, sapendo che non si era accorta di nulla.

“Cosa?” gridò lei di rimando, troppo concentrata nell’intercettare altri attacchi.

Dean scosse la testa, come a dirle di lasciar perdere. Poi provvide subito a comunicarle la nuova decisione.
I nemici sembravano non finire mai. Più ne uccidevano, più ne arrivavano e ormai erano circondati. Si batterono tutti e quattro come forsennati, tentando di uscire dal cortile, ma gli avversari erano troppi e impedivano loro di avanzare.

Quando ormai ogni speranza sembrava persa, dal ponte sentirono arrivare degli spari, che crearono scompiglio tra i vampiri. Tutti, compresi loro, si voltarono allertati verso la fonte del rumore, e poco dopo Evan e Abe irruppero nella mischia, facendosi largo a colpi di fucile e di lama. La scimitarra dell’imponente guerriero si abbatteva sui nemici come un macete sugli arbusti secchi, falciando teste e liberando il passaggio verso l’uscita.

A quel punto, Dean intravide una possibilità di fuga e incitò gli altri a correre al ponte. Nel frattempo, anche Kira era arrivata a dare il suo contributo e per un attimo la paura che Juliet potesse essere rimasta senza protezione lo assalì. Ma non poté soffermarsi a lungo su quel pensiero. Dovevano andarsene.

Anche se a fatica, riuscirono a raggiungere i loro salvatori e, quando furono uno di fronte all’altra, Jamaal provvide subito a redarguire Kira. “Non vi avevo ordinato di andare al portale? Che diavolo ci fate qui?”

La guerriera fece una smorfia di disappunto, mentre abbatteva un vampiro con una delle sue spade. “Che si fottano gli ordini!” ribatté a voce alta, volutamente perché Evan la sentisse.

Lì accanto, infatti, il guerriero sogghignò beffardo, scaricando qualche altra pallottola sugli avversari.

Dopo quelle che sembravano ore, riuscirono finalmente a raggiungere l’uscita, mentre Jamaal restava ultimo per coprire loro la fuga.
Attraversarono il ponte a tutta velocità, cercando di allontanarsi il più possibile, convinti che i vampiri li avrebbero inseguiti. Invece, con suo grande stupore, Dean si accorse che si erano fermati sulla soglia, come se qualcosa li trattenesse all’interno. Qualcosa o qualcuno. La faccenda non gli quadrava, ma per una volta evitò di farsi troppi problemi e pensò solo a raggiungere la foresta, dove si trovava Juliet.

Erano a un passo dalla meta, quando un rumore secco trafisse l’aria, un fruscio seguito subito dopo da un tonfo sordo. D’istinto, Dean si voltò e in pochi istanti capì cosa fosse successo. Vide Jamaal, dietro di lui, bloccarsi all’improvviso e boccheggiare come colpito da un malore. In realtà, dal petto gli usciva la punta di una freccia, scoccata da chissà dove.
Il guerriero emise un lamento strozzato, per poi cadere in ginocchio e infine a terra.

Najat gridò, sconvolta dalla scena, e per diversi secondi nessuno fu capace di reagire, né di proferire parola. Finché la ragazza non gli andò incontro per prima, chinandosi su di lui per soccorrerlo. Tra le lacrime urlò il nome di Abe, mentre con mani tremanti cercava di toccare Jamaal senza però riuscirci.

Mentre il gigante si apprestava a tirarlo su per portarlo via, Dean alzò lo sguardo verso le merlature del castello, intuendo dalla traiettoria che la freccia dovesse provenire proprio da lì. Solo un tiratore eccezionale sarebbe riuscito a centrare il bersaglio da così in alto e a quella distanza, ma chi avrebbe mai potuto…
Quando però lo vide, lassù, in piedi, ancora con l’arco in mano, il suo cuore ebbe un sussulto e di colpo fu tutto chiaro. Tareq.

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Capitolo 27
*** Ultimatum ***


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Capitolo 19 - Ultimatum
 

Nell’istante in cui vide Jamaal accasciarsi a terra lo stato d’animo di Juliet cambiò totalmente e il sollievo che aveva provato nel vedere Dean sano e salvo si tramutò in orrore. Insieme a Rachel e Mark, stava seguendo lo sviluppo degli eventi, quando di colpo tutto era precipitato. Videro Kira strattonare Najat, ancora a terra, e gridarle di muoversi, che era un rischio restare allo scoperto. Quando alla fine Abe sollevò Jamaal per portarlo al riparo, Juliet si fiondò loro incontro, incurante del pericolo. Il suo sguardo si incrociò con quello di Dean per una frazione di secondo, prima di concentrarsi su ciò che doveva fare.

Di nuovo protetti, Abe aiutò Jamaal a sedersi per terra, stando attento a non scuoterlo troppo mentre lo metteva giù. Chinatasi su di lui per controllare lo stato della ferita, Juliet intuì alla prima occhiata che la situazione era grave. La freccia gli aveva trapassato il torace all’altezza del polmone destro e, quando spezzò la parte superiore, quella della punta, un fiotto di sangue fuoriuscì, imbrattandole in parte i vestiti. Senza badarci, tirò fuori rapidissima un panno pulito dalla sua sacca e lo premette forte contro la ferita per cercare almeno di rallentare l’emorragia. Jamaal ansimava, non riuscendo a respirare.

“Continua a premere.” disse a Najat, in ginocchio accanto a lei, lasciando che la sostituisse mentre afferrava l’altra estremità della freccia e lentamente la sfilava dalla schiena, stando attenta a non lacerare i contorni del foro d’entrata.

Jamaal serrò i denti, emettendo un gemito di dolore e stringendo con tutta la forza rimastagli la mano libera di Najat, che intanto gli sussurrava in arabo parole di conforto.

Juliet effettuò un bendaggio di fortuna per permettergli di sdraiarsi senza che la ferita entrasse a contatto con il terreno, poi prese a frugare freneticamente nella sacca e, una volta trovata l’ampolla che cercava, la stappò e gli sollevò la testa per aiutarlo a bere. Si trattava di un semplice antidolorifico ricavato da una mistura di erbe, ma a detta di Laurenne aveva anche proprietà coagulanti. Non sperava nel miracolo, ma almeno Jamaal avrebbe sentito meno dolore. Purtroppo, infatti, le bende con cui aveva fasciato la ferita erano già imbrattate e dubitava che quell’intruglio avrebbe fatto effetto in tempi abbastanza rapidi da salvargli la vita.

Ora che la situazione si era acquietata, per quanto possibile, Rachel riprese a respirare normalmente, tentando di riaversi dallo shock. “Che è successo?” chiese in un fil di voce a nessuno in particolare. La scarsa visuale di cui godeva dalla foresta le aveva impedito di capire da dove fosse arrivata la freccia e soprattutto chi l’avesse scoccata. L’unica cosa che aveva visto con chiarezza era stato il momento in cui Jamaal era caduto a terra trafitto e il panico generale scatenatosi in seguito.

“Tareq.” rispose Evan, anche lui sconvolto. “Ci ha traditi.” Il suo sguardo disorientato si posò su ciascuno dei compagni, che ricambiarono altrettanto incapaci di credere a quanto avevano assistito.

Da parte sua, anche Dean stentava a farsene una ragione e per la prima volta poteva dire davvero di essere stato preso alla sprovvista. Mentre Juliet si dava da fare per prestare soccorso a Jamaal, era rimasto in disparte per evitare che la vicinanza con tutto quel sangue provocasse in lui reazioni spiacevoli, ma anche per poter riflettere lontano dalla confusione. Naturalmente era dispiaciuto per il guerriero, che nonostante le cure di Juliet immaginava non sarebbe riuscito a sopravvivere. La ferita era troppo grave e i loro mezzi troppo scarsi anche solo per sperare di poterlo salvare.
Ripensando a quanto era successo, tutto si sarebbe aspettato fuorché vedere Tareq in cima alle mura con l’arco ancora in mano e un’espressione indecifrabile dipinta in volto. Se aveva colpito Jamaal non era stato certo per caso. Aveva programmato di ucciderlo, così come era certo fosse sceso a patti con Nickolaij dal momento in cui lo avevano catturato mentre li aiutava a scappare. Anzi, più ci pensava e più si convinceva che ogni singolo evento, a partire dalla loro fuga, fosse stato parte integrante di un piano magistralmente orchestrato da Nickolaij per far sì che arrivassero a quel punto. Un fremito di rabbia lo assalì. Si sentiva impotente di fronte a tutto ciò e mai nella sua lunga vita avrebbe immaginato di vedere Nickolaij allearsi con un cacciatore.

I singhiozzi di Najat lo distrassero da quei pensieri, riportando la sua attenzione sul corpo di Jamaal disteso a terra. Uno spasmo lo scosse e altro sangue gli uscì dalla bocca. Vide Juliet tentare di correre ai ripari, ma la situazione ormai era irrecuperabile.

Consapevole di questo, Jamaal poggiò la mano su quelle della ragazza, facendole debolmente segno di no con la testa. A quel punto, Juliet capì. Era finita. Non poteva fare più niente per lui. Sul suo viso cominciarono a scendere le lacrime, che non riuscì più a trattenere, mentre intorno a lei anche gli altri restavano ammutoliti a guardare. Perfino Kira stava piangendo.

Allo stremo delle forze, Jamaal rivolse lo sguardo su Najat e le sussurrò qualcosa che Juliet non comprese. Quelle parole però ebbero un certo effetto sulla ragazza, che all’improvviso scoppiò in lacrime, appoggiando la fronte contro il petto di Jamaal. Scossa dai singhiozzi, annuì mentre lui continuava a mormorare nella loro lingua.
Man mano la sua voce si fece sempre più fioca, fino a spegnersi del tutto, e un silenzio tombale scese sui presenti. Silenzio rotto soltanto dal pianto di Najat, che distrutta dal dolore stringeva a sé il corpo ormai senza vita di quello che per lei era stato come un fratello maggiore, l’unica famiglia che le era rimasta.

Juliet la vide serrare le dita a pugno, così forte che le nocche si schiarirono. Riusciva a stento a immaginare la rabbia che doveva provare in quel momento, anche se per certi versi la condivideva. Covare risentimento non aveva mai fatto parte della sua indole, ma ora non poteva fare a meno di desiderare il peggio per chi aveva commesso un’azione tanto crudele.

“Dean!”

D’improvviso una voce risuonò tonante nella notte, spezzando il silenzio che si era creato con la morte di Jamaal. Lo sguardo allarmato di Juliet saettò su Dean, che sembrava già aver capito a chi appartenesse.

Dopo una breve pausa, Nickolaij riprese. “È stato versato abbastanza sangue per stanotte! Basta con i combattimenti, sappiamo bene entrambi come andrebbe a finire! I miei uomini circondano la foresta, non avreste alcuna possibilità di uscire vivi da Bran! In un modo o nell’altro avrò ciò che voglio!”

Detto ciò, si interruppe, forse in attesa di risposta. Dean però rimase dov’era, gli occhi puntati sull’estremità opposta del ponte, da dove lui e gli altri erano venuti.

“Ho deciso di essere magnanimo con te, Dean!” riprese Nickolaij. “Consegnami la ragazza entro mezzora e vi permetterò di andarvene. È la mia ultima offerta, non avrai altre opportunità!”

Gli ingranaggi nella testa di Dean lavoravano come forsennati, in cerca di una soluzione. Soluzione che però non era a portata di mano. La promessa di lasciarli andare incolumi era ovviamente una menzogna, ma pur considerato ciò non cambiava nulla. Restava il fatto che Claire non era con loro e anche se ci fosse stata nessuno avrebbe accettato di consegnarla. Dunque si trovavano da capo.

“Che facciamo adesso?” gli chiese Mark, dando fiato al pensiero comune.

Lui impiegò qualche secondo a rispondere. “Dobbiamo provare a raggiungere il portale. Non vedo alternative.” sentenziò infine.  

“E Cedric?” ribatté lui incredulo. “Non vorrai abbandonarlo qui!”

Il suo tono insistente non riuscì a fare altro che innervosirlo ancora di più. Possibile non si rendesse conto che probabilmente il suo amico era già bello che morto? Per fortuna, Qiang intervenne prima che avesse modo di sbattergli in faccia la realtà.

“Lo hai sentito, non sarà per niente facile lasciare questo posto senza rischiare altre vite…”

“Parlerò con lui.” lo interruppe Dean. “Proverò a guadagnare un po’ di tempo, mentre voi andate.” Fu l’unica cosa che gli venne in mente, anche se per primo riconosceva la scarsa efficacia di quella soluzione.

Juliet avvertì un tuffo al cuore. “No! Non rimarrai qui da solo a fare da esca.”

“Non sarà solo.”

Tutti si voltarono verso Najat, che intanto si era alzata e si stava asciugando le lacrime, cercando di darsi un contegno. “Resterò io con lui.” si offrì in tono glaciale. Era evidente quanto la scomparsa di Jamaal fosse stata traumatica e che non vedesse l’ora di vendicarlo.

Kira però scosse la testa in segno di dissenso. “Non puoi rischiare, Nat. Sei il nuovo Qayid adesso. E poi qui nessuno farà l’eroe, resteremo tutti.”

“Concordo, sorella.” la appoggiò Qiang, ricaricando la balestra.

“Non fraintendetemi, anch’io vorrei sterminare quella feccia uno ad uno. Il fatto è che sono troppi anche per noi e se ci uccidono, cosa che probabilmente avverrà, poi loro saranno senza protezione.” disse Evan pratico, riferendosi a Mark e le ragazze.

Sia Najat che i gemelli sapevano che aveva ragione, ma visto che non potevano affrontare tutti quei vampiri, l’unica soluzione era cercare di raggiungere il portale il più in fretta possibile e senza farsi notare.

A quel punto, presero a discutere sull'andarsene o restare e combattere per vendicare la morte di Jamaal, lasciando Dean libero di ragionare per conto suo. Restava poco meno di mezzora per prendere una decisione e poi Nickolaij avrebbe dato l’ordine di attaccarli. Al momento non gli veniva in mente nessun altro modo che non fosse addentrarsi nella foresta e rischiare il tutto per tutto.

Stava ancora elaborando il piano di fuga, quando d’un tratto si sentì chiamare dall’interno della boscaglia. Dapprima fu un bisbiglio, per attirare la sua attenzione, poi udì distintamente qualcuno sussurrare il suo nome. Preso alla sprovvista, lì per lì non reagì; poi, accertatosi che gli altri stessero ancora discutendo senza badare a lui, si allontanò in direzione della voce.
Con i nervi a fior di pelle e i sensi all’erta, pronto a rispondere a un eventuale attacco, seguì il rumore dei passi che lo precedevano sulle foglie secche, finché non giunse in una piccola radura libera dagli arbusti.
La figura di uno sconosciuto coperto dal mantello si fermò, per poi voltarsi e rivelare la sua identità, aiutato dalla luce della luna.

Incredulo, Dean sgranò gli occhi, non riuscendo a capacitarsi di come potesse ritrovarsela davanti. “E tu che diavolo ci fai qui?” chiese, abbassando la guardia. Come aveva potuto seguirli fino a quel punto, senza che se ne accorgessero? “Avrei potuto ucciderti…”

“Volevo essere discreta.” ribatté Claire, togliendosi il cappuccio.

Dean sospirò, mettendosi le mani sui fianchi e guardando a terra. – Ci mancava solo questa – pensò frustrato. Dopo un attimo di esitazione in cui nessuno dei due parlò, le rivolse un’occhiata di sottecchi. “Come ti è saltato in mente di venire? Sai il pericolo che corri.”

Claire sostenne il suo sguardo, stranamente più risoluta che spaventata. Non aveva certo affrontato il deserto senza neanche conoscere la strada, per poi sentirsi dire che non era di alcuna utilità e poteva anche andarsene. La preoccupazione per la sorte di Cedric le aveva infuso un coraggio che non sapeva di avere, così era riuscita a rubare un cavallo dalle stalle e li aveva seguiti. Non senza difficoltà, visto il luogo ostile e la necessità di non farsi scoprire. A un certo punto, era stata perfino investita da una tempesta di sabbia e aveva temuto di perdere le loro tracce, ma alla fine era riuscita ad arrivare al portale, eludere la sorveglianza di Laurenne e del guerriero che era con lei e arrivare a Bran. Mentre si affrettava ad attraversarlo, le era parso di sentire la sciamana gridare qualcosa, probabilmente perché si era accorta di quanto stava succedendo, ma ormai si trovava già dall’altra parte.

Trovarsi da sola nella foresta era stato un po’ come quando era nel deserto, disorientata e confusa. Ogni direzione le sembrava identica alle altre. Era riuscita a raggiungerli soltanto grazie alle luci del castello, che le avevano indicato la strada. “Mi dispiace, ma non ce l’ho fatta a restare al villaggio sapendo quello che avreste rischiato a causa mia.”

“Se ci troviamo qui è per nostra scelta. Saremmo venuti in ogni caso a prendere Cedric.” replicò Dean a tono. “E poi così non hai fatto altro che peggiorare le cose, te ne rendi conto?”

Claire si affrettò a spiegare le sue ragioni. Nascosta tra i cespugli, aveva assistito a tutta la scena. Vedere Jamaal morire senza nemmeno poterlo piangere come si deve le aveva provocato un dolore indicibile e ora voleva solo poter dare il proprio contributo. Era stanca di sentirsi un inutile gingillo da tenere lontano dalle grinfie di Nickolaij. “No, invece è un bene che io sia qui.”

-Un bene? – ripeté lui dentro di sé. “Spiegami sotto quale punto di vista.” ironizzò, iniziando a irritarsi sul serio.

“Dovete consegnarmi.” disse lei allora, senza giri di parole.

Dean la guardò per qualche istante, totalmente spiazzato. Le due parole appena pronunciate da Claire gli risuonarono nella testa diverse volte, prima di realizzare che non stava scherzando. “Ti ha dato di volta il cervello?”

“Sai meglio di me che è l’unica soluzione possibile. Se non mi consegno lui vi ucciderà, primo fra tutti Cedric, e non posso permetterlo.”

In effetti, quella avrebbe potuto essere la via più semplice ed efficace per salvarsi, ma Dean si guardò bene dal riconoscerlo a voce alta. Rifiutava l’idea di avere un’altra morte sulla coscienza, oltre a quella di Jamaal e probabilmente anche di Cedric. Senza contare come l’avrebbe presa Juliet. No, doveva assolutamente distoglierla dai suoi propositi. Mostrandosi irremovibile, scosse la testa categorico. “Ascolta, troveremo un altro modo. Se non ti fai vedere, possiamo…”

“Ti stai arrampicando sugli specchi e lo sai.” lo interruppe Claire. “Okay, il tuo piano è mentire a Nickolaij. E poi? Come pensi che finirebbe? Da quello che so, non è uno stupido. Ci metterà un attimo a scoprire che in realtà io sono qui. Devi lasciare che vada da lui, così libererà Cedric…”

“Non sappiamo nemmeno se sia ancora vivo.” le fece notare spazientito. “E se ti consegnassi per poi scoprire che non lo è?” Quello era esattamente il genere di inganno che si sarebbe aspettato da Nickolaij.

Claire però non si lasciò incantare dai suoi tentativi di spaventarla. “Certo che lo è. Pensi che Nickolaij perderebbe di proposito la sua unica arma di ricatto nei miei confronti? Deve essere vivo.”

Il suo ragionamento non faceva una piega, ma Dean era comunque deciso a farle cambiare idea. Era disposto a tutto, anche a negare l’evidenza. “È chiaro che non ha solo intenzione di riportare in vita Elizabeth. Di sicuro lei gli serve a qualcosa e allora il tuo gesto avrà l’unico risultato di dargli più potere. È questo che vuoi?”

“Certo che no!” esclamò esasperata. Possibile che fossero ancora lì a perdersi in chiacchiere quando la vita dei loro amici era ancora in pericolo? “Ci ho pensato, cosa credi? Se anche non mi consegnassi adesso, lui continuerebbe a darmi la caccia e non ho nessuna intenzione di nascondermi per il resto della vita. È per questo che ho elaborato un piano.” ammise infine, lasciando Dean interdetto e anche un po’ incuriosito. Cosa aveva in mente che a lui era sfuggito?

Claire prese un respiro profondo, prima di andare avanti. “C’è un solo modo per impedire a Nickolaij di riportare in vita Elizabeth.” La soluzione si era presentata dopo aver sentito le parole della duchessa in sogno: “Se mai un giorno dovesse riuscire a prenderti, fa in modo che non possa usarti.” Per giorni quella frase aveva continuato a girarle e rigirarle nella testa, finché tutto non era diventato chiaro come il sole.

“Devi trasformarmi in un vampiro.” disse infine, tentando di non cedere all’emozione e mantenendo lo sguardo fisso in quello di Dean.

Sentendosi improvvisamente fiaccato, lui si portò una mano sugli occhi. Non poteva credere che l’avesse detto davvero. “Perché non chiedermi di ucciderti a questo punto? Almeno faremmo prima.”

“Non scherzare, sono seria.” ribatté Claire.

“E io no?” La sua insistenza iniziava davvero a esasperarlo. “Credi che sia una passeggiata di salute diventare come me? È un processo lungo e doloroso, e…” esitò un istante, reprimendo la frustrazione che sentiva pervaderlo. Forse stava solo cercando di opporsi per non dover fare ciò che gli aveva chiesto, più che per impedirle di rovinarsi l’esistenza. “No, Claire. Non lo farò.” concluse risoluto.

Lei però non avrebbe accettato un rifiuto come risposta. Ne andava della vita di Cedric e degli altri. “Ragiona un momento. Se diventassi un vampiro, il mio corpo non sarebbe più adatto a far tornare Elizabeth…”

“No, sei tu che non ragioni.” la interruppe, serrando la mascella per contenere la rabbia. “Hai una vaga idea di quello che succederebbe a te? Passeresti anni e anni a nutrirti di sangue umano, tanto per dirne una, e non è così facile vivere con se stessi quando tutti gli altri pensano che tu sia un mostro.” Era la prima volta che gli capitava di esternare ad alta voce quello che finora aveva soltanto pensato, ma la situazione richiedeva che fosse il più brutale possibile. Claire non si rendeva minimamente conto dell’inferno che l’avrebbe aspettata se davvero fosse riuscita nel suo intento.

“Non importa cosa mi succederà.” replicò lei a quel punto. “Non lascerò che Cedric resti là dentro un minuto di più, perciò se non vuoi aiutarmi andrò comunque da Nickolaij, anche da umana. Poi però dovrai essere tu ad assumerti la responsabilità delle conseguenze.”
 
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Rachel era in piedi accanto a Juliet quando Jamaal emise l’ultimo respiro, e il suo corpo rimase inerte. Vide il volto dell’amica farsi tirato, sconvolta come il resto dei presenti, ma forse ancor più perché sentiva addosso il peso di non essere riuscita a salvarlo. Scossa dai singhiozzi, Juliet si coprì la bocca con la mano, distogliendo lo sguardo per non scoppiare a piangere del tutto. Rachel avrebbe voluto abbracciarla, dirle che non era colpa sua. Jamaal era troppo grave perché i suoi sforzi servissero a qualcosa. Tuttavia, l’unica cosa che le riuscì di fare fu affondare il viso sulla spalla di Mark, che la strinse a sé rimanendo in silenzio. Non c’erano parole per descrivere la tristezza di quel momento.

Intanto, Kira stava ancora cercando di convincere Najat a evitare lo scontro e tornare al portale, visto che non mancava molto allo scadere della mezzora, ma la sua espressione trasudante rabbia indicava solo la voglia di attaccare di nuovo, trovare Tareq e trucidarlo con le sue stesse mani. “Cerca di ragionare.” insistette, dimostrandosi ancora una volta la più razionale tra loro. “Ora sei il capo, non puoi permetterti mosse azzardate. Pensa a cosa avrebbe fatto Jamaal.”

Nel sentire quel nome, Najat ebbe un sussulto e strinse le mani a pugno; poi Rachel la vide rilassarsi, forse cercando di incanalare la rabbia e pensare lucidamente. “Tu che dici, vampiro?” chiese infine seria, dando per scontato che Dean fosse ancora lì.

Solo allora si resero conto che era sparito. Fino a quel momento erano stati troppo impegnati a discutere per accorgersene. Rachel stava per esprimere ad alta voce ciò che tutti si stavano domandando, ma non fece in tempo, perché proprio nello stesso momento un volatile arrivò dall’alto e con un ultimo battito d’ali andò a posarsi sulla spalla di Abe. Era Hati, il suo falco, ma nessuno di loro si aspettava di vederlo, visto che il guerriero non l’aveva portato con sé dal deserto.
Kira si avvicinò per prima, accorgendosi del biglietto che l’uccello aveva legato alla zampa. Una volta preso, srotolò il rettangolo di carta e lesse in silenzio. Doveva contenere un messaggio dai toni abbastanza chiari e lapidari, perché dopo aver letto i suoi occhi carichi di preoccupazione si posarono di nuovo su Rachel e gli altri.

“Che succede?” chiese lei, già in ansia.

Kira si concesse un respiro profondo. L’espressione sul suo volto lasciava intendere che non fossero buone notizie e che stesse cercando il modo migliore per comunicargliele. “È da parte di Laurenne…”

A quel punto, però, venne interrotta da qualcosa che si era mosso nella boscaglia e pochi istanti dopo Dean ricomparve, stranamente non da solo. A causa della scarsa illuminazione, non misero subito a fuoco i tratti di chi lo accompagnava. Era una figura bassa, vestita di nero come loro, dalla sagoma familiare a dire la verità. Poi, quando entrambi li ebbero raggiunti, finalmente fu tutto chiaro.

Juliet strabuzzò gli occhi, incredula. “Ma che…” boccheggiò.

“Claire…” mormorò Rachel, altrettanto sconvolta. Che cosa ci faceva lì? Dapprima aveva pensato a un’allucinazione, tanto sembrava assurdo. Ora che ce l’aveva davanti, però, non c’erano dubbi. Quando le passò davanti, la vide rivolgere una breve occhiata a Jamaal disteso a terra, per poi spostare rapida lo sguardo altrove, stentando a trattenere una smorfia di dolore. “Dean, che succede?” gli chiese con un fil di voce.

Lui però non la degnò di uno sguardo, ignorando sia lei che Juliet e uscendo insieme a Claire dalla radura in cui si erano rifugiati, diretti al ponte. A quel punto, Rachel trasalì, d’improvviso colta da un bruttissimo presentimento, e così anche l’amica.

“Fermi!” esclamò, correndo loro dietro, seguita a ruota da Juliet e gli altri. “Che volete fare? Siete pazz…”

“Nickolaij!” Sforzandosi di mantenere un’espressione ferma e determinata, Claire volse lo sguardo all’estremità opposta del ponte, dove ormai aveva attirato l’attenzione generale su di sé.

Erano parecchio distanti per vederne con chiarezza i tratti, ma Dean riuscì lo stesso a distinguere il compiacimento e la soddisfazione dipinti sul volto di Nickolaij.

“Mia cara, sapevo che avresti fatto la scelta giusta.” disse ad alta voce perché potesse sentirlo, tendendo la mano verso di lei, come per invitarla a raggiungerlo. “Vieni, ti sto aspettando.”

“Prima devi assicurarmi che Cedric stia bene.” obiettò Claire. “Voglio vederlo. E lascerai andare anche i miei amici, altrimenti non verrò.”

“Mi sembra ragionevole.” Dopo aver rivolto un cenno eloquente a uno dei suoi, Nickolaij attese paziente che il ragazzo venisse portato da lui. Non doveva trovarsi molto lontano, perché poco dopo il vampiro tornò, portando Cedric con sé. Non aveva un bell’aspetto, si intuiva anche a quella distanza, ma se non altro era vivo.

Nel riconoscerlo, Claire ebbe un tuffo al cuore e fece per muovere il primo passo, ma Rachel le afferrò il braccio destro, impedendole di andare oltre. “No! Non farlo! Ti prego, Claire…”

Il suo era un tono disperato, che le fece male dentro, ma non poteva fermarsi. Ne andava delle loro vite. “Tranquilla, so quello che faccio.” cercò di rassicurarla, pur sapendo che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe risultata inutile. Non fu facile ignorare il dolore sia fisico che interiore, ma si sforzò comunque di non darlo a vedere. Delicatamente si divincolò dalla presa dell’amica, senza nemmeno guardarla in faccia.

Rachel però non si arrese. “No, invece! Se vai da lui ti ucciderà!”

“Non puoi fare sul serio…” mormorò Juliet quasi nello stesso momento, gli occhi colmi di lacrime; poi però, vedendo che le sue suppliche non sortivano alcun effetto, cercò appoggio negli occhi di Dean, scoprendolo altrettanto impassibile. “Dean…” singhiozzò, senza riuscire ad aggiungere altro.

“Tu e Rachel state indietro.”

Quella fu l’unica risposta che lo sentì darle, ma non poteva accettarla. “No! Spiegami cos’hai in mente. Non penserai sul serio…” Quasi in automatico la sua mente elaborò l’unica spiegazione possibile, ovvero che Dean avesse un piano. Un modo per uscire da quel casino senza perdere nessun altro. Senza perdere Claire.

Vicini com’erano, fece caso a un particolare che da una distanza maggiore non avrebbe notato. Le sue iridi grigio ghiaccio erano leggermente venate di rosso, ma non riuscì a spiegarsene la ragione. Lui dovette accorgersene, perché distolse rapido lo sguardo da lei, tornando a concentrarsi su ciò che li aspettava dall’altra parte.

Affiancato da Rosemary, Nickolaij aveva percorso qualche metro e ora li attendeva a metà del ponte, avendo cura di mettere ben in mostra Cedric. Per dimostrare le sue buone intenzioni, ordinò addirittura che gli venissero liberate le mani, che prima aveva legate dietro la schiena con delle corde.
A quel punto, sia Dean che Claire capirono di non poter più tergiversare e si diressero anche loro verso il punto d’incontro.

Juliet però non poteva sopportare tutto questo. Ogni parte di lei semplicemente si rifiutava di lasciar andare la sua migliore amica. Disperata, afferrò il braccio di Dean, nell’ultimo tentativo di fermarlo. Al suo tocco, lui repentinamente si voltò, inchiodandola con il solo sguardo. “Fidati di me.” le disse, risoluto come non l’aveva mai visto.

I loro occhi rimasero incollati gli uni agli altri ancora per un istante, prima che Juliet si convincesse a lasciarlo fare. –Sì, devo fidarmi – pensò tra sé. –Andrà tutto bene -. Così, sia lei che Rachel si fecero da parte.

“Che ha in mente?” chiese Mark spaesato e preoccupato allo stesso tempo, mentre lo guardavano avanzare lungo il ponte con Claire al fianco.

Rachel scosse la testa, stringendosi a lui in cerca di conforto. Come erano arrivati a quel punto?


 
.....................



Angolo delle autrici:

Ciao a tutti, cari lettori e lettrici! Con questo capitolo siamo a un passo dal finale della seconda parte della nostra storia. Il momento del tanto temuto scambio è arrivato, malgrado i tentativi dei protagonisti di evitarlo. Come andrà a finire? Claire sarà riuscita a convincere Dean? Scopritelo restando con noi fino all'ultimo capitolo e, se volete, lasciate un commento. I vostri pareri sono sempre ben accetti. Buona lettura!

A&L

 

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Capitolo 28
*** Spalle al muro ***


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Capitolo 20 - Spalle al muro
 

Claire era ancora in attesa che Dean prendesse una decisione. Aveva creduto di metterlo alle strette minacciandolo di consegnarsi da umana, ma a quanto pareva ci sarebbe voluto ben altro. Convincerlo si stava rivelando più complicato del previsto e purtroppo non aveva a disposizione tutto il tempo del mondo, perciò tentò di velocizzare i tempi.

“Devi deciderti. Nickolaij non aspetterà in eterno.” gli disse, senza mezzi termini.


Dean la guardò, per la prima volta dopo diversi minuti trascorsi a fissare il vuoto. “Mi stai mettendo in una posizione difficile, te ne rendi conto?”

“Lo so e mi dispiace, ma non vedo alternative. A meno che tu non abbia un’altra idea.” Claire ne dubitava, ma pensò che fare psicologia inversa fosse il modo migliore per fargli aprire gli occhi. Si ostinava a rifiutarsi di accettare la realtà dei fatti. “Dean…” insistette, fremendo per l’ansia. Poteva vederlo lottare contro se stesso, diviso tra la consapevolezza di dover fare quella scelta perché non aveva alternative e la repulsione che provava al solo pensiero.

Alla fine, conscio anche lui di non poter più temporeggiare, la fissò dritta negli occhi e, dopo aver preso un respiro profondo, annuì. “E sia.”

Sollevata, Claire riprese fiato e cominciò a srotolare la sciarpa che aveva usato per coprirsi la testa nel deserto.

“Che cosa fai?” le chiese in tono piatto.

Lei lo guardò spaesata. In effetti, si era trattato quasi di un riflesso condizionato. Forse per via dei tanti luoghi comuni sui vampiri, aveva dato per scontato che l’avrebbe morsa sul collo.

Dean sospirò di nuovo. “Sul collo si vedrebbe. Tirati su la manica.” disse poi, con un’espressione che non lasciava dubbi sul fatto che quella fosse l’ultima cosa al mondo che volesse fare.

Claire allora obbedì, offrendogli poco dopo il braccio nudo. Fece del suo meglio per calmare il tremore che l’assaliva e apparire tranquilla, ma d’improvviso tutta la sicurezza provata fino a quel momento era sparita e si sentì sul punto di ripensarci. Stava per prendere una strada dalla quale era impossibile tornare indietro. La sua vita sarebbe cambiata radicalmente e la prospettiva di restare intrappolata in quel posto per chissà quanto tempo era inconcepibile. – No, devi farlo. Per Cedric e per gli altri – rammentò a se stessa, cercando di infondersi coraggio ed evitare che Dean approfittasse dei suoi timori per tirarsi fuori dall’impaccio.

Più che di questo, però, lui sembrava preoccupato di ciò che stava per fare. Come per prepararsi psicologicamente, prese un respiro profondo a occhi chiusi, per poi riaprirli e guardarla. “Sarà doloroso.” le ripeté, forse in un ultimo tentativo di farle cambiare idea.

Claire però annuì, decisa a proseguire. Non avrebbe lasciato che le persone che amava soffrissero a causa sua. Continuare a nascondersi avrebbe significato usarle per salvarsi la vita e non poteva sopportarlo. Così chiuse gli occhi, restando ad aspettare con il braccio teso.
Dean ormai era davanti a lei, ne avvertiva la presenza, e quando le prese il polso ebbe un sussulto. Le sue mani erano gelide a contatto con la pelle. Ci fu un attimo in cui non successe nulla e le venne il dubbio che si fosse tirato indietro, finché non sentì le punte dei canini appoggiarsi dapprima lentamente, poi la pressione farsi sempre più intensa, man mano che i denti penetravano nel tessuto cutaneo fino a raggiungere le vene.

Dean aveva ragione. Fu doloroso, anche oltre quanto si era aspettata. Lo sforzo che fece per non urlare fu immane, ma non potevano rischiare che Nickolaij si accorgesse di qualcosa. Ne andava della riuscita del suo piano.
Per un momento le sembrò che le stesse risucchiando il sangue dalle vene, ma durò solo un istante. Il dolore vero arrivò di lì a poco, quando delle fitte costanti iniziarono a partirle dal braccio, irradiandosi per tutto il corpo insieme a una specie di formicolio. Per fortuna, il tutto si concluse in pochi minuti. Minuti che Claire trascorse con gli occhi chiusi, riaprendoli solo quando Dean si fu allontanato.
Sentendo le gambe cedere, si appoggiò con la schiena al tronco di un albero, cercando di restare in piedi. D’istinto portò la mano al polso ferito e vide il sangue uscire da due piccoli fori paralleli e regolari. Piuttosto sorpresa, vide che non ce n’era molto e il dolore si stava già affievolendo, riducendosi ora a un semplice bruciore tutto sommato sopportabile.

Il suo pensiero successivo andò a Dean e alzò subito lo sguardo per controllare come se la stesse passando. La prima cosa che notò furono i suoi occhi. Rossi e iniettati di sangue da far spavento, esattamente come nel fienile, quando aveva voluto dimostrare loro di essere un vampiro. Nonostante riuscisse a starle abbastanza vicino, era evidente che fosse provato dall’esperienza e respirava affannosamente. Per un attimo, Claire ebbe paura di una sua possibile reazione.

“Sto bene.” la rassicurò con una voce innaturalmente roca, piegato in due sulle ginocchia. “Solo…Dammi un momento. Resta dove sei.” Chiuse gli occhi e, quando li riaprì di lì a poco, sembrava aver ritrovato il pieno controllo di sé. O quasi. Il respiro si fece meno pesante e le iridi stavano già iniziando a riacquistare il loro colore naturale, anche se il rosso era ancora visibile.

Claire ci fece caso quando tornò a guardarla e, dopo aver lanciato un’occhiata al suo polso per accertarsi che non perdesse ancora sangue, le chiese: “Ce la fai a camminare?”
 

Persa tra i pensieri di quanto accaduto pochi momenti prima, Claire si rese conto di essere arrivata quasi a metà del ponte solo quando Cedric fu a pochi passi da lei, affiancato sia da Nickolaij che da Mary. La fissava come intontito, gli occhi incorniciati da occhiaie scure, la barba lunga di settimane e lo sguardo emaciato, incapace di darsi una spiegazione su ciò che stava vivendo.

Qualche metro prima di arrivare, Dean la fermò con un braccio, impedendole di andare oltre e restando così entrambi a distanza di sicurezza.

“Non avere paura.” la incoraggiò Nickolaij, accennando appena un sorriso. “Avvicinati.”

Claire però rimase dov’era, facendo di tutto per reprimere il dolore che era tornato a tormentarla e apparire padrona di sé. Lui la stava guardando intensamente e si sentì come se i suoi occhi fossero in grado di leggerle l’anima. Un movimento sospetto del viso o il minimo tremolio da parte sua e avrebbe mangiato la foglia. “Prima liberalo.” Con un cenno del mento indicò Cedric, riuscendo a restare impassibile nonostante dentro stesse provando una miriade di sensazioni diverse.

Dopo qualche altro istante trascorso a scrutarla, Nickolaij rivolse lo sguardo verso Mary, annuendo leggermente per autorizzarla ad accompagnare il prigioniero da loro. Lei afferrò Cedric per un braccio e insieme avanzarono, fino a ritrovarsi faccia a faccia con Dean e Claire.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Dean, sorrise con aria innocente e allo stesso tempo beffarda. “Ti trovo più in forma rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.” commentò. “Il sole del deserto ti fa bene.”

Per tutta risposta, lui rimase di pietra, deciso a non darle alcun tipo di soddisfazione.

“Noto con piacere che alla fine tu e la tua bella siete riusciti a ricongiungervi. Devi ringraziare Tareq per questo.” continuò Mary, affatto scoraggiata dal suo atteggiamento, lanciando un’occhiata di finto compiacimento a Juliet dall’altra parte del ponte.

Anche se velate, le sue parole gli diedero la conferma di ciò che già sospettava. Tareq si era alleato con Nickolaij ancor prima della loro fuga dal castello, fuga ovviamente programmata da Nickolaij stesso. Ora era tutto chiaro. Fin dall’inizio si era trattato di un suo piano per arrivare al punto in qui si trovavano adesso e prendersi Claire per forza. Peccato però che ancora una volta aveva commesso l’errore di sottovalutarlo.

“Resterei volentieri a chiacchierare con te, ma siamo qui per fare uno scambio, giusto?” Rosemary guardò Claire con aria eloquente, come a invitarla a farsi avanti, e così avanzò di qualche passo, fino a ritrovarsi a pochi centimetri da Cedric.
Tuttavia, il suo sguardo passò oltre, rivolgendosi a Nickolaij. “Posso avere un momento?” gli chiese, sforzandosi di mantenere un tono di voce normale.

Quando lui annuì, Mary sbuffò annoiata. “Beh, suppongo che l’ultimo desiderio non si neghi a nessuno. Sarebbe fin troppo crudele.” ironizzò, ignorando lo sguardo di puro odio che Dean le rivolse. Conoscendola, sapeva bene quanto tutto ciò le provocasse divertimento.

Claire però non la stava nemmeno ascoltando, talmente presa dagli occhi azzurri e disorientati di Cedric, che la fissava con un’espressione indecifrabile dipinta in volto. Era come se vederla in quella situazione gli procurasse un dolore fisico.

“Perché l’hai fatto?” mormorò con voce roca e malferma, quasi stesse per piangere. “Claire…Perché…”

Lei sollevò la mano per sfiorargli la guancia ispida e Cedric ci si appoggiò, coprendola poi con la sua. “È così che doveva andare.” gli disse, cercando per quanto potesse di mostrarsi serena, quando in realtà si sentiva morire dentro. Tutta quella fatica per ritrovarsi e ora avevano appena il tempo di dirsi addio. Probabilmente per sempre. Il suo più grande rimpianto sarebbe stato di aver avuto un’occasione, ma non averla sfruttata.

“Non saresti dovuta venire. Non ne valeva la pena.”

Claire sorrise di nuovo. “Sì, invece. Per te ne varrà sempre la pena. Non sarei riuscita a convivere con il pensiero di averti potuto salvare e non averlo fatto.” Con il pollice gli accarezzò la guancia, mentre le lacrime scendevano a rigarle il viso. “Va tutto bene…” cercò di rassicurarlo. Ma la sua espressione non si rasserenò, anzi.

Accanto a loro, intanto, Mary borbottava impaziente e Claire capì di non poter più procrastinare. Fece per abbassare la mano, ma Cedric la trattenne.

“Devi lasciarmi andare.” mormorò, guardandolo intensamente negli occhi. Ormai non riusciva più a nascondere la propria disperazione. Perfino il dolore fisico non reggeva il confronto con quello causato da quel distacco.

Lui scosse la testa. “No…”

Non c’erano dubbi che non lo avrebbe mai fatto, così Claire provvide di persona a mettere distanza tra loro. Lentamente fece scivolare via la mano dalla sua, fino a separarsi del tutto, e gli voltò le spalle, evitando di guardarlo per non rendere il tutto ancora più doloroso per entrambi. Poi, placida, lasciò che Mary l’accompagnasse da Nickolaij, rimasto immobile ad attenderle.

“Claire, aspetta…Fermati!” le gridò Cedric dietro, facendo per raggiungerla, ma Dean lo trattenne per un braccio. Furioso, si voltò, cercando di divincolarsi nonostante fosse troppo debole per contrastarlo. “Lasciami!” ringhiò minaccioso.

“Lo sta facendo per te e per tutti noi. Rispetta la sua decisione.” Dean mantenne lo sguardo fermo su di lui. Non avrebbe permesso alla sua impulsività di vanificare i suoi sforzi e quelli di Claire.

Cedric allora parve acquietarsi e la sua espressione si fece improvvisamente consapevole. Guardò prima Dean e poi di nuovo Claire, che gli dava le spalle, confuso e spaventato. “Ma lei deve sapere…” mormorò, il respiro ansante per l’agitazione. “Tornerò a prenderti! Mi hai sentito? Non ti abbandonerò, è una promessa!”

Lei però non diede segno di risposta, tantomeno si voltò e Dean capì quanto quel gesto dovesse avergli fatto male. Sembrava come pietrificato.

Fu la voce di Mary a riscuoterli entrambi qualche istante più tardi. “Che ti prende adesso?” La sua attenzione saettò allora su Claire, accasciata in ginocchio.

“Non riesco…a respirare…” riuscì a risponderle con uno sforzo immane.

Il tempo di scambiarsi una breve occhiata eloquente con Nickolaij, che lui era già lì. Scansò Mary in malo modo, chinandosi poi sulla ragazza per soccorrerla. L’afferrò per le spalle, cercando di farla alzare e lei si aggrappò alla sua giacca.

“Claire!”

Dean sentì Juliet gridare allarmata qualche metro dietro di loro, ma non le badò perché allo stesso tempo la sua attenzione venne attratta dal luccichio di qualcosa di metallico, che Claire aveva appena gettato in terra. Di lì a poco, però, dovette concentrarsi di nuovo su Cedric e bloccarlo prima che riuscisse a fare un altro passo. Lui protestò, agitandosi per liberarsi, ma quello che accadde subito dopo aveva talmente dell’incredibile da lasciare entrambi di stucco.

Claire ricadde a terra in ginocchio e, come colto da un raptus, il suo corpo iniziò a tremare. Quando la vide sollevare la testa e i suoi occhi rovesciarsi all’indietro, perfino Nickolaij rimase impressionato e arretrò, restando impietrito a osservare il fenomeno accanto a Mary, altrettanto spaventata. A quel punto, un fiotto di luce fuoriuscì dalla bocca della ragazza, a cui poi seguirono altri dal naso e dagli stessi occhi.
Dean e Cedric rimasero a guardare increduli, mentre la luce saliva in alto a illuminare a giorno l’ambiente circostante, abbagliandoli e costringendoli a schermarsi gli occhi. Poco a poco iniziò a tramutarsi in una sagoma umana, fino a prendere le sembianze di una donna vissuta diversi secoli prima.

Ormai libera dalla sua prigione, Elizabeth si abbandonò a un profondo respiro soddisfatto e, quasi non credesse a quanto stava succedendo, prese a osservarsi le mani e a fare piccoli gesti. “Finalmente.” mormorò poco dopo, visibilmente sollevata.

Nickolaij sembrava scioccato. Per la prima volta in vita sua, Dean poteva vederlo davvero sconvolto e completamente privo di qualsiasi controllo sulla situazione. Continuava a fissare la donna, senza capacitarsi di come fosse possibile. “Liz…”

Lei allora lo guardò e lentamente un ghigno compiaciuto iniziò a dipingersi sul suo viso.

“Sei proprio tu?” le chiese Nickolaij in un soffio.

Elizabeth continuò a sorridere, come se trovasse appagante la sua incredulità. “Sei felice di vedermi? Credi, io di più.” lo schernì.

“Ma…come…”

“Una parte della mia anima risiedeva nel corpo di questa giovane.” spiegò lei fredda. La sua voce amplificata rimbombava tutt’attorno. “Ma ora che finalmente è libera di ricongiungersi al resto potrò ritrovare la pace.”

Nickolaij aprì e richiuse gli occhi, come in cerca di una spiegazione plausibile a quanto appena sentito. “Liz, io…” esitò. “Ascolta, adesso ho la ragazza! Grazie a lei potrai tornare, potremmo stare di nuovo insieme…”

“Quanto sei patetico.” lo interruppe allora, con una nota di disprezzo misto a scherno nella voce. “Possibile che tu non abbia ancora capito, dopo tutti questi anni? Non sei mai riuscito a riportarmi in vita perché la mia anima era incompleta. Inoltre, avere il corpo giusto non basta. Necessita di essere puro perché la cerimonia funzioni e, oh ma tu guarda, non lo è più.” rivelò ironica, in tono canzonatorio.

Prendersi gioco di lui sembrava donarle un profondo senso di piacere e Nickolaij iniziò seriamente a irritarsi. Dean lo vide fremere, colmo di rabbia, e sapeva quanto tutto ciò non promettesse bene.
Guardò prima Claire, ancora a terra con lo sguardo assente e sembrò capire tutto, poi di nuovo Elizabeth. “Ci sei tu dietro a tutto questo.” la accusò con voce malferma.

Dall’alto della sua posizione, l’anima di Elizabeth lo guardò trionfante. “Pensavi davvero che ti avrei lasciato fare i tuoi comodi, dopo avermi usata per sterminare la mia famiglia? La sola idea di tornare in vita solo per soddisfare le tue perverse ambizioni mi disgustava, come ora mi disgusta avvertire il tuo sguardo su di me. Hai perso, Nickolaij. Sono libera e tu non mi avrai mai. Credo ti convenga accettarlo.” sentenziò infine.

Detto questo, la figura evanescente della donna iniziò a sfumare, confondendosi con la foschia che era scesa sulla notte, e il bagliore si affievolì sempre di più, fino a scomparire. Ben presto, tutto ripiombò nel silenzio e nell’oscurità.
Claire fu scossa ancora da qualche spasmo, prima di piegarsi in avanti e riprendere a respirare, anche se a fatica. L’aria rientrò nei suoi polmoni all’improvviso e lei annaspò, cercando di prenderne il più possibile.

Davanti a lei, Nickolaij non smetteva di fissarla, immobile come una statua, la mascella serrata e un’espressione indicibile sul volto. Al suo fianco Mary non osava muovere un muscolo, tantomeno parlare, ben consapevole che in quel momento l’unica cosa da fare era essere invisibile.
Dopo qualche istante trascorso nel silenzio più assoluto e nella meditazione, Nickolaij si riscosse, avvicinandosi a Claire. Sollevò la mano e, con una violenza raramente mostrata prima di allora, la colpì al viso, così forte che finì sbattuta a terra e svenne.

“No!” Cedric urlò fuori di sé, deciso a scagliarsi contro Nickolaij, ma Dean prontamente gli impedì di commettere una follia. Si agitava come un forsennato per divincolarsi dalla sua presa e per tenerlo fermo questa volta fu costretto a buttarlo a terra e sdraiarsi sopra di lui.

Dall’altra parte, Nickolaij aveva ancora la mano alzata tremante di rabbia, scrutando con odio il corpo esanime di Claire. Mary gli si avvicinò con cautela, sperando di non innescare una bomba. “Cosa ne facciamo di lei, mio Signore?” mormorò appena.

“Che marcisca nelle segrete.” ordinò Nickolaij asciutto, senza degnarla di uno sguardo.

La donna non se lo fece ripetere due volte, si chinò e sollevò il corpo di Claire da terra, allontanandosi poi verso il castello.

Anche se distratto dai continui tentativi di fuga di Cedric, Dean aveva osservato la scena, attanagliato da un senso di colpa che cercò per quanto possibile di reprimere. Ora non era davvero il momento. Per migliorare la presa su di lui, gli piantò un ginocchio dietro la schiena, tenendolo incollato a terra finché non sentì la voce di Mark sopra di sé, accorso a dargli una mano insieme a Qiang.

“Dean!”

Stava aiutando gli altri a trascinare via Cedric, quando la voce di Nickolaij lo fece voltare. I loro occhi si incontrarono e per un secondo un brivido freddo gli corse lungo la schiena. C’era un odio così profondo in quello sguardo che sembrava trapassargli l’anima.

“Questa è l’ultima volta che interferisci con i miei piani. Hai la mia parola.” lo minacciò; poi girò i tacchi e tornò verso il castello, dove un gruppo dei suoi si era radunato in attesa. “Uccideteli.” L’ordine gli uscì di getto non appena varcò la soglia e i vampiri non persero tempo.

Intuendo cosa stesse per succedere, Dean urlò agli altri di sbrigarsi a scappare. Affidò Cedric a Mark e Qiang, gridando di precederlo. Non poteva andarsene senza prima aver recuperato una cosa. Con uno scatto arrivò nel punto in cui Claire era caduta, pochi metri più avanti, prese ciò che cercava e corse via, mettendo quanta più distanza possibile tra sé e i vampiri, che aveva già praticamente alle calcagna.

“Ma che diavolo stavi facendo?” gli chiese Mark nel vederlo arrivare. Lui e Qiang sostenevano Cedric per le braccia, troppo debilitato per farcela da solo.

Dean però non si perse in chiacchiere. “Te lo spiego più tardi, ora correte!” glissò, lasciando che lo precedessero verso il resto del gruppo, già partito in direzione del portale. Più avanti trovò Juliet e Rachel, con le quali si scambiò un’occhiata fugace, talmente rapida che non fu in grado di captarvi odio né rancore. Un altro dei problemi che avrebbe dovuto affrontare in seguito.

“Forza, sbrigatevi!” le spronò Kira, mentre Abe passava in testa, trasportando il corpo di Jamaal. Dietro di lui Najat, che gli copriva le spalle.

“Siamo ancora in tempo per il portale?” le chiese Dean.

Lei non si girò a guardarlo, troppo preoccupata di ciò che avrebbero potuto incontrare davanti, ma alzando per un secondo gli occhi al cielo si accorse che era quasi l’alba. “Più o meno mezzora.” calcolò.

-Sempre mezzora – rifletté Dean. Sembrava che le loro vite quella notte dipendessero ogni volta da quei trenta minuti. - Non è molto. Però potremmo anche farcela se tutto va liscio…- Ma non fece in tempo a pensarlo, che un gruppo di vampiri li raggiunse circondandoli da ogni parte.

Con una rapidità impressionante, Kira sfoderò le due sciabole che portava sulla schiena e mozzò la testa di netto ai due che aveva davanti, aprendo un varco. Spronati da Najat, che si abbatteva sui vampiri con violenza inaudita, ripresero a correre. Mark, rimasto solo a occuparsi di Cedric, e le ragazze cercarono di tenersi lontano dalla mischia, pur tenendo le daghe sguainate e pronte.

All’improvviso un vampiro sbucò alle loro spalle e afferrò Rachel, circondandole il collo con un braccio e trattenendola in modo che non potesse scappare. La presa della sua mano si allentò e la daga finì a terra. D’istinto provò a urlare, ma la voce le si bloccò in gola e uscì solo un rantolio strozzato. Il panico la colse e per un momento oscurò ogni altro pensiero. Poi però capì che nessuno sarebbe arrivato a salvarla in tempi rapidi e che se voleva sopravvivere doveva reagire. Così non perse tempo e approfittò dell’unica parte del corpo ancora libera di muoversi. Con tutta la forza che aveva gli pestò un piede, sperando di fargli abbastanza male da indurlo a mollare la presa, e per fortuna raggiunse lo scopo. Gemente di dolore, il vampiro la lasciò andare, abbassando la guardia a sufficienza per permetterle di ribaltare la situazione. Pervasa da un coraggio che non credeva di avere, Rachel gli si avventò addosso, gettandolo per terra e, prima che potesse realizzare, gli premette un punto preciso del collo, paralizzandolo. Era una mossa che le aveva insegnato Kira durante gli allenamenti, ma non avrebbe mai pensato che le sarebbe tornata utile.

Nello stesso momento, sentì la voce di Juliet chiamarla spaventata, ma sollevò lo sguardo su di lei solo una volta certa di averlo immobilizzato. La trovò a poca distanza che la fissava con gli occhi sgranati, incapace di credere a ciò che stava vedendo. “Stai bene?” le chiese infine in un soffio.

Rachel annuì appena, mentre si alzava dal corpo inerte del vampiro e recuperava la sua daga. Con il cuore che ancora le batteva forte, si raddrizzò gli occhiali, mezzi storti sul naso a causa del combattimento.

Di lì a poco, arrivò anche Dean, tornato indietro non vedendole. “Andiamo, andiamo!” le esortò, afferrando la mano di Juliet e trascinandola con sé.

Lui e i guerrieri sembravano aver fatto piazza pulita del gruppo di vampiri che li stava inseguendo, ma era solo questione di tempo prima che ne arrivassero degli altri. Inoltre, il portale non sarebbe rimasto aperto ancora per molto e dovevano sbrigarsi se volevano avere qualche speranza di lasciare quel posto infernale.
Il sole aveva già superato la linea dell’orizzonte quando la vegetazione si diradò e loro furono in grado di intravedere il passaggio verso il deserto. Per fortuna era ancora attivo e vorticava luminoso come a voler segnalare la sua presenza. Tuttavia, non potevano ancora considerarsi al sicuro, perché ben presto vennero raggiunti da un altro gruppo di vampiri.

Giunti a destinazione, Abe riuscì ad attraversare il portale per primo, seguito a ruota da Mark e Qiang che portavano Cedric.
Intanto Dean, dopo aver detto a Juliet e Rachel di andare avanti, era rimasto indietro con Evan e Kira. Insieme rimasero a occuparsi dei vampiri, cercando di guadagnare tempo per permettere agli altri di mettersi in salvo.

“Datevi una mossa!” li spronò Najat, quando ormai non restavano che loro. A pochi passi dal vortice, ci si infilò dentro, imitata poco dopo da Kira, Evan e infine Dean.

Era fatta. Erano riusciti a fuggire e il portale stava quasi per richiudersi. Il piano aveva funzionato.
Dean lo attraversò, sicuro ormai di arrivare dall’altra parte, quando all’improvviso sentì una morsa d’acciaio afferrargli la gamba e tirarlo indietro, di nuovo nella foresta. Qualcosa doveva essere andato storto. Forse non avrebbe dovuto cantare vittoria troppo presto.

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


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Epilogo
 

Sento le grida di Cedric, ma non mi volterò. Lascio che le lacrime mi scendano sulle guance, mentre dentro sto di un male da non poter descrivere.

Anche Rachel e Juliet stanno gridando il mio nome, ma continuo ad andare dritta per la mia strada. Tutto questo è straziante. L’avevo messo in conto, certo, ma è più difficile di quanto immaginassi.

Sarei quasi tentata di voltarmi e tornare da loro, ma ormai è troppo tardi…

Sento che qualcosa dentro di me sta cambiando. È un dolore difficile da descrivere, ma lo sento lungo tutto il corpo come una scarica elettrica. Una fitta allo stomaco mi destabilizza, ma devo resistere… o li ucciderà.

Eccone un’altra. Questa era più forte della precedente, ma posso ancora farcela. Le gambe stanno per cedere, le forze mi stanno abbandonando, ma vado avanti lo stesso. Non posso permettere che lui mi scopra.

Terza fitta. Stavolta non ce la faccio. È così forte che mi mozza il fiato e cado a terra. Vedo Mary sopra di me con aria confusa. Dice qualcosa, ma quasi non l’ascolto. Ho un peso sul petto che mi schiaccia. “Non riesco…a respirare…” mormoro a fatica.

Un volto familiare mi si avvicina. Nickolaij. Cerca di aiutarmi, ma non lo sto a sentire. Il peso sul petto è sempre più opprimente… sarà un effetto collaterale? Morirò? È davvero così che morirò?

Poi vedo un luccichio uscire dalla sua camicia e un pensiero mi balena nella testa. Realizzo che non avremo mai un’occasione migliore di questa, così mi ci aggrappo e la catena si spezza. Non posso fare di più e spero che qualcuno dall’altra parte se ne accorga.

Poi un tremore mi assale e in un attimo tutto diventa nero…

…Non so quanto sia passato, un minuto, un’ora? Non saprei dire. Il silenzio intorno a me è tombale, sembra quasi che l’aria stessa della notte si sia fermata, aspettandosi una mia reazione. Gli occhi di tutti sono puntati su di me, ma i più sconvolti sono quelli di Nickolaij. Non so cosa sia successo, ma qualsiasi cosa fosse deve averlo scombussolato. Respiro a fatica e ogni movimento mi causa dolore, ma non posso fare a meno di reprime un ghigno di soddisfazione. Ti ho fregato.

Lui deve avermi letto nel pensiero perché con un movimento rapido mi si avvicina e tutto ciò che sento è il pulsare acuto nel punto in cui mi ha colpita.

Poi il nulla.

 

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Angolo delle autrici:

Ci siamo! Con l'epilogo si conclude questa seconda parte di Bloody Castle. Sembra proprio che per i nostri protagonisti la pace sia tutt'altro che a portata di mano. Dopo aver cercato in tutti i modi di ostacolarlo, il destino ha trovato il modo di condurli esattamente dove voleva.
Tante le questioni ancora in sospeso: esiste davvero un legame tra le ragazze e le tre sorelle Danesti? Margaret è davvero ancora viva dopo tutti questi secoli? Quale sarà la fine di Claire? Riuscirà Dean a superare il portale prima che si chiuda e a raggiungere gli altri, o rimarrà di nuovo prigioniero nel posto che più odia al mondo?
A queste e ad altre domande troverete risposta nella terza e ultima parte della nostra storia. Parte che, ahinoi, è work in progress e lo sarà ancora per diversi mesi. Nel frattempo, confidiamo che quanto pubblicato finora vi sia piaciuto e che continuerete a seguirci sia qui che sul nostro profilo Instagram @bloodycastleofficial. 
Pazientate amici, pazientate. Stiamo lavorando per voi! A presto e buona lettura!

Arianna e Livia

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