Guardami come se fossi Dante Alighieri

di Recchan8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prologo (S) ***
Capitolo 3: *** Fatalità ***
Capitolo 4: *** Lunedì - Un coreano sul divano ***
Capitolo 5: *** Lunedì - Fuga con imprevisto ***
Capitolo 6: *** Lunedì - Missione di recupero ***
Capitolo 7: *** Martedì - Pisa: Preparazione ***
Capitolo 8: *** Martedì - Pisa: Preparazione (S) ***
Capitolo 9: *** Martedì - Pisa: Perché? ***
Capitolo 10: *** Martedì - Pisa: Perché? (S) ***
Capitolo 11: *** Mercoledì - La mia preoccupazione ***
Capitolo 12: *** Mercoledì - La mia preoccupazione (S) ***
Capitolo 13: *** Mercoledì - Marina di Pisa: Sincerità ***
Capitolo 14: *** Mercoledì - Marina di Pisa: Sincerità (S) ***
Capitolo 15: *** Giovedì - Rapimento ***
Capitolo 16: *** Giovedì - Rapimento (S) ***
Capitolo 17: *** Giovedì - Colazione da Yoongi ***
Capitolo 18: *** Giovedì - Colazione da Yoongi (S) ***
Capitolo 19: *** Giovedì - Lucca: Do you know BTS? ***
Capitolo 20: *** Giovedì - Lucca: Do you know BTS? (S) ***
Capitolo 21: *** Giovedì - Aperitivo ***
Capitolo 22: *** Giovedì - Aperitivo (S) ***
Capitolo 23: *** Venerdì - Mi dispiace ***
Capitolo 24: *** Venerdì - Mi dispiace (S) ***
Capitolo 25: *** Venerdì - Livorno: Apriti cielo, spalancati cuore ***
Capitolo 26: *** Venerdì - Livorno: Apriti cielo, spalancati cuore (S) ***
Capitolo 27: *** Sabato - Firenze: Maestro ***
Capitolo 28: *** Sabato - Firenze: Maestro (S) ***
Capitolo 29: *** Sabato - Firenze: Epifania (S) ***
Capitolo 30: *** Domenica - Ultimo giorno ***
Capitolo 31: *** Domenica - Ultimo giorno (S) ***
Capitolo 32: *** Addio ***
Capitolo 33: *** Addio (S) ***
Capitolo 34: *** Una ragazza dai capelli rosso mogano ***
Capitolo 35: *** Bugia bianca ***
Capitolo 36: *** La novella Arianna ***
Capitolo 37: *** Guardami come se fossi Dante Alighieri ***
Capitolo 38: *** Confronto inutile ***
Capitolo 39: *** Deus ex machina ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quando sei una studentessa universitaria sull'orlo di una crisi di nervi e rimasta quasi al verde, sei disposta a tutto pur di salvarti quello che viene volgarmente chiamato “culo”.

 

Finito il liceo e concluso l'Esame di Maturità, la bellezza di ormai tre anni fa, durante un caldissimo giorno di luglio, i miei genitori decisero di dare inizio a un “esperimento sociale”: mi cacciarono di casa e mi mandarono ad abitare in un piccolo appartamento che un parente di mia madre ci aveva lasciato, sola e completamente allo sbaraglio.
-”Devi imparare a vivere”- mi dissero con la stessa delicatezza di uno spartano pronto a gettare dalla rupe un infante.

Avrebbero provveduto alla retta universitaria, quella sì, ma fin da subito furono chiari: vitto e bollette sarebbero state a mio carico dopo il quarto mese di università. Arrivato ottobre, mi sono così vista costretta a correre ai ripari e a cercare qualche lavoretto part-time che potesse incastrarsi al meglio con l'orario dei corsi universitari. Con un misero diploma di liceo scientifico non riuscii a trovare niente. Allo scadere del secondo mese pagato e concessomi dai miei, ebbi la brillante idea di cercarmi un coinquilino. Nella mia testa tutto funzionava: coi soldi dell'affitto e il costo delle bollette dimezzato, ero certa di aver finalmente trovato la soluzione definitiva al mio problema.
Purtroppo mi resi conto di non poter tollerare una presenza estranea in casa mia per più di due settimane.
Litigai con tutti i coinquilini che riuscii a trovare, uno dopo l'altro li cacciai, rovinando un sacco di amicizie, e presto mi ritrovai sola, squattrinata e, puntualmente, in piena sessione d'esame.
Nella primavera del secondo anno di università, ormai rassegnata a dare forfait e a urlare coi pugni al cielo “Vita, che t'ho fatto?!”, origliai per caso due ragazze parlare del viaggio di una di loro in Spagna.
-”Sono stata una settimana a Barcellona e l'alloggio mi è costato pochissimo perché ho deciso di provare l'home sharing”-.
-”Il che?”-.
-”Come, non lo conosci? Praticamente si condivide casa con i turisti, funziona che...”-.
Quel poco che sentii mi bastò per rinascere dalle mie ceneri, come una fenice, e ritrovare la speranza (quasi perduta) nel mio futuro. Mi fiondai a casa, mi informai sull'home sharing e, senza pensarci su due volte, mi iscrissi a una piattaforma dedicata a questo tipo di alloggiamento. Il mio appartamento, grazie alla sua posizione strategica, attirò fin da subito molti turisti provenienti da tutto il mondo. Avendo a disposizione un solo divano letto non potei mai ospitare più di due persone alla volta, ma ciò, per me, era un bene. Migliorai il mio inglese e qualche volta mi improvvisai anche guida turistica per la mia città e per quelle nei dintorni. Le valutazioni che ricevevo erano positive, dalla prima all'ultima, e presto il mio appartamento divenne uno dei più gettonati della regione.
Finalmente sentivo tra i miei capelli soffiare un vento favorevole, e il clima di serenità, tranquillità e stabilità che si venne a creare ebbe riscontri positivi sulla mia carriera universitaria.
Insomma, tutto sembrava finalmente andare per il verso giusto.
Così era, in effetti, finché un maledetto click sul pulsante sbagliato mi incasinò la vita.










NOTE DELL'AUTRICE:
Salve a tutti! Sono Recchan e questa è la prima fanfic sui BTS che scrivo :> Prima di decidermi a metterla "su carta" ho aspettato molti giorni, sia perché non avevo la più pallida idea di come cominciarla, sia perché, fondamentalmente, si tratta di una storia, a mio avviso, difficile da raccontare; molte dinamiche e vari svolgimenti mi sono ancora oscuri.
Ci tengo a dire fin da subito che la pubblicazione dei capitoli non sarà regolare perché la sottoscritta tra poco inizierà la sessione estiva ;__;
Come ho scritto nella descrizione, il titolo è provvisorio, anche se, in realtà, ha un suo perché e mi piacerebbe mantenerlo :) Vedremo se tra qualche settimana continuerò a pensarla in questo modo.
Spero che il prologo vi abbia incuriosito e che troverete piacevole la lettura della mia storia <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 2
*** Prologo (S) ***


Quante volte aveva già premuto quel tasto del pianoforte elettrico?
Si guardò l'indice e, senza darsi una risposta, ripeté quel gesto meccanico e alienato. La nota acuta si riverberò nell'aria e il suo suono gli fece venire in mente l'immagine della punta di un ago che penetra la pelle. Alzò l'indice e lo abbassò, di nuovo, come una ghigliottina. L'ago mentale affondò di più nella pelle. Dal piccolissimo e quasi invisibile foro uscì del sangue.
Suga mise le mani sulle ginocchia e si abbandonò sullo schienale della poltrona girevole. Guardò il grigio soffitto del Genius Lab e chiuse gli occhi a mandorla. Nonostante l'eco della nota fastidiosamente acuta se ne fosse andata, l'ago argentato era ancora davanti ai suoi occhi. Immaginò di afferrarlo e di rigirarselo tra le dita, attento a non bucarsi e a non fare uscire altro sangue.
Il campanello del Genius Lab suonò. Suga sollevò piano una palpebra; la riabbassò subito e fece finta di non aver sentito. Intrecciò le dita sulla pancia e sospirò con forza: magari in quel modo tutta quella negatività che aveva accumulato nell'ultimo periodo se ne sarebbe andata. Il campanello suonò di nuovo e Suga, purtroppo, non riuscì a ignorarlo. Si alzò a fatica e, strascicando i piedi, socchiuse un poco la porta.
-”Ceni con noi?”- gli domandò Jimin.
Sorrideva, il giovane Jimin, probabilmente contento dei piatti che Jin aveva cucinato. Suga strinse le labbra.
-”No”- si limitò a dire, e chiuse la porta in faccia all'amico.
Jimin rimase deluso dalla risposta secca e lapidaria di Suga, ma in realtà già sapeva che le cose sarebbero andate a finire così; del resto, erano ormai due settimane che Min Yoongi, il Genio, sembrava aver perso le sue doti musicali. Non scriveva più niente, e quelle poche note e pochissime parole che riuscivano a essere scritte a fatica su un foglio venivano poi brutalmente gettate via, con rabbia e frustrazione.
-”Capita a tutti di avere un periodo no”- aveva detto qualche giorno prima Namjoon. -”Dobbiamo solo dargli spazio e, al tempo stesso, fargli sentire il nostro supporto”-.
Come se fosse facile sostenere una persona che vive barricata nel proprio studio e che ha la cattiva abitudine di sbattere le porte in faccia a tutti”, pensò Jimin dopo l'ennesimo rifiuto da parte di Suga.
-”Non è andata bene, vero?”- chiese J-Hope raggiungendo Jimin e indicando la porta del Genius Lab con un cenno del capo.
Jimin scosse la testa.
-”Sai cosa gli servirebbe?”- disse il rapper pensoso.

 

Cambiare aria.
Sdraiato sul divanetto con le mani dietro la nuca, Suga si rese conto di avvertire l'impellente bisogno di cambiare aria, di spostarsi, di fare un viaggio di qualche giorno. Se la sua ispirazione se n'era andata, non doveva fare altro che inseguirla. Da qualche parte doveva pur essere scappata, ritrovarla era un suo dovere. Si tirò su a sedere e si guardò i piedi. Dove poteva andare? Ma, prima di tutto, gli avrebbero concesso di andarsene per qualche giorno? RM tempo addietro era andato in Italia con la famiglia, e se lui c'era andato, probabilmente lo avrebbero permesso anche a lui.
Ah, l'Italia...”.
Non gli dispiaceva l'idea di visitare l'Italia; Namjoon gliene aveva parlato bene. Dov'è che era andato? Costa Amalfitana? Si sedette sulla poltrona girevole e si avvicinò alla scrivania, andando a cercare sul web qualche informazione sulla Costa Amalfitana.
Sole, mare e caldo.
Storse il naso. Non era quello che stava cercando. Voleva un posto capace di fargli tornare l'ispirazione, qualcosa che avesse su di lui lo stesso impatto di un treno in corsa, qualcosa che portasse una ventata di aria fresca sulla sua musica appassita.
Roma?
Troppo grande, caotica; un classico intramontabile e una tappa immancabile, ma no, nemmeno Roma faceva al caso suo.
Venezia?
La città della laguna, patrimonio dell'umanità. Si resse il mento con una mano e iniziò a scorrere la pagina Wikipedia. L'idea di un viaggio a Venezia lo intrigava, ma dovette riconoscere che l'enorme e inquietante numero di turisti presenti ogni giorno costituiva un grosso difetto. Stava cercando calma e tranquillità, non caos e dinamicità.
Per qualche assurdo motivo gli venne in mente il video di Blood, Sweat & Tears e si ricordò di quella volta in cui V, in uno dei suoi momenti non molto brillanti, aveva detto che gli sarebbe piaciuto vedere Jin baciare il David di Michelangelo al posto della statua alata.
Dov'è che stava il David?
Una rapida ricerca sul web rispose alla sua domanda: Firenze.
Suga incrociò le braccia al petto e fissò il monitor. La culla del Rinascimento Italiano, una città turistica ma non troppo, famosa per i suoi illustri personaggi e per le opere d'arte. Bella città, l'avrebbe sicuramente visitata, ma sentì di non voler alloggiare lì. Ancora, si mise alla ricerca di una città più piccola, possibilmente non troppo lontano da Firenze e che avesse un minimo di interesse culturale. Quando finalmente ne trovò una che rispondeva ai suoi requisiti sorrise, e per un attimo si sentì leggero e privo di qualunque preoccupazione. Restava solo da trovare un alloggio, organizzare il viaggio e, soprattutto, domandare una settimana di “ferie”.

 

 















NOTE DELL'AUTRICE:
Questa storia presenterà, per alcune vicende, due punti di vista: quello di Delia, raccontato in prima persona, e quello di Suga, in terza persona. Spesso un capitolo conterrà entrambi i pov; ad alcuni avvenimenti, invece, saranno riservati due capitoli, uno raccontato dal pov di Delia e l'altro da quello di Suga. I capitoli contenenti il punto di vista di Suga saranno segnati da una S tra parentesi. Spero di essermi spiegata bene ^^
Onestamente non so come funzionino le vacanze per i BTS. Non so se debbano chiedere dei permessi, se siano liberi di fare quello che vogliono, se abbiano delle restrizioni... Non ne ho la più pallida idea. Ho immaginato però che ci fosse un sistema simile alle ferie. Ormai la mia storia ha questo incipit e si basa sulla mia supposizione, però se qualcuno sa come funzionino queste cose per i BTS è liberissimo di comunicarmelo; mi farebbe molto piacere <3
Spero nuovamente di aver stuzzicato la vostra curiosità >:)
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 3
*** Fatalità ***


La lezione durò meno del previsto. La professoressa si mangiò un quarto d'ora e spense il microfono alle tre e mezza del pomeriggio. Si raccomandò di stampare, per la prossima lezione, il materiale che da lì a breve avrebbe caricato sulla pagina web del corso. Mentre infilavo nello zaino il quaderno degli appunti pensai alla stampante che avevo a casa e mi ricordai di aver da poco finito la risma di fogli di carta.
-”Fai un pezzo di strada con noi?”- mi domandò Vanessa cercando di sovrastare il chiacchiericcio degli studenti che si riversavano fuori dall'aula.
-”Oggi no”- scossi la testa mettendomi lo zaino in spalla. -”Devo passare in copisteria a comprare dei fogli per la stampante”-.
Uscii dall'aula seguita a ruota da Vanessa e Michela, due ragazze che seguivano il mio stesso corso di Letteratura Inglese e con cui avevo stretto amicizia, e, davanti al portone dell'edificio universitario, le salutai. Le guardai allontanarsi e destra, lungo Via Santa Maria, parlottando tra di loro e, immaginai, lamentandosi della prolissità della professoressa.
Entrai nella prima copisteria che trovai lungo la via del ritorno e, con mia grande sorpresa, la trovai piuttosto affollata. Fui tentata di provare con un'altra, ma mi sentii subito in colpa al solo pensiero di tradire la mia copisteria di fiducia. Così, cellulare alla mano, attesi pazientemente il mio turno. Entrai su Instagram e diedi una rapida controllata alle Stories. Vidi che Arianna aveva caricato altre foto del suo cane, un bulldog francese, e che Chiara, invece di studiare, si era messa a prendere il sole in giardino; Azzurra, per l'ennesima volta, aveva messo una foto del suo gruppo k-pop preferito.
Bah, mi sembrano tutti uguali...”, pensai guardando i volti dei sette cantanti.
Avevo appena chiuso Instagram quando mi arrivò una notifica dall'app dell'home sharing. Andai sul mio profilo e vidi che si trattava di una richiesta di pernottamento: una settimana, da lunedì a lunedì, per una sola persona. Strinsi le labbra quando mi accorsi che il lunedì indicatomi dall'ospite era tra tre giorni.
Oggi è venerdì...”.
Allegato vi era un messaggio da parte dell'ospite. Strabuzzai gli occhi quando vidi che era scritto in coreano.
-”Prego”- disse la signora dietro al bancone.
Alzai gli occhi dallo schermo e incrociai lo sguardo della signora bionda, la quale, riconoscendomi, mi salutò come se non mi avesse vista da mesi.
-”Mi servirebbe una risma di fogli per stampante”-.
Costanza (così si chiamava la signora della copisteria) sparì nel retro. In attesa del suo ritorno riguardai la richiesta di prenotazione e mi domandai cosa diamine potesse esserci scritto nel messaggio. Poco importava: in realtà avevo deciso di prendermi una piccola pausa dall'home sharing e di rendere il mio appartamento off-limits per circa un mesetto. Qualche giorno prima se n'era andata una coppia di spagnoli e, vista l'esperienza movimentata e gli imminenti esami, mi servivano proprio un po' di ferie. Scorsi la pagina della richiesta fino a trovare il pulsante “Rifiuta richiesta”, fatalmente accanto a “Accetta richiesta”.
Mi dispiace amico, o amica, qualunque cosa tu sia”, pensai con un'alzata di spalle.
Fu allora che una combinazione di banalissimi eventi contribuì a dare inizio a quella che sarebbe diventata la settimana più assurda della mia vita.
Il mio indice era a pochi centimetri dallo schermo touch del cellulare. Costanza riemerse dal retro con in mano due risme, domandandomi quale preferissi, se quella di carta riciclata o quella classica. Alzai lo sguardo nello stesso momento in cui avvertii un imminente starnuto pizzicarmi il naso. Feci appena in tempo a dire a Costanza di darmi la carta riciclata quando starnutii e, contemporaneamente, un ragazzo alla mia destra mi scontrò con la spalla.
In tutto ciò sentii il mio indice toccare lo schermo.
Il ragazzo si scusò, Costanza mise la risma in un sacchetto di plastica e io, assolutamente tranquilla e convinta di aver rifiutato la richiesta, pagai la risma e uscii dalla copisteria come se non fosse successo niente.
Perché, in effetti, per me era proprio così: non era assolutamente successo niente.

 

-”Fai buon viaggio, Min Suga!”- esclamò J-Hope dandogli una pacca sulla spalla dal sedile posteriore.
Suga indossò una mascherina nera, si calò sugli occhi il berretto nero da baseball e si voltò, fulminando i suoi compagni con un'occhiataccia.
-”Vi avevo chiesto di non venire”- li rimproverò. -”Così attirerete l'attenzione e non me ne potrò andare in tranquillità”-.
-”Sembra un discorso da eroe che si sta per sacrificare per gli amici”- sghignazzò Jin.
-”Amen”- disse un V distratto, intento in una qualche attività al cellulare.
Suga sospirò. Fece per aprire la portiera scorrevole del van quando RM, scavalcando tutti gli altri, con mosse da contorsionista raggiunse il sedile di fianco a quello di Suga. Gli sorrise e per Suga quel gesto così naturale e spontaneo fu come una panacea. Si sentì sollevato, più leggero, e, stranamente, persino la paura del viaggio parve scemare. I suoi colleghi, compagni e amici erano lì per lui, lo sostenevano e credevano in lui, cosa che Suga stesso aveva smesso di fare.
-”Va' e pensa solo a te stesso”- gli disse il suo leader.
Namjoon non poté vederlo, ma sotto la mascherina nera Suga sorrise a sua volta.
-”Bene, me ne vado. Ci vediamo tra una settimana”- disse poi frettolosamente.
-”Fai tante foto e mandacele!”- lo pregò Jungkook.
Spalancò la portiera e trovò un assistente con le sue valigie. Le prese dalle sue mani, si voltò a guardare un'ultima volta i suoi amici che lo salutavano dalla portiera aperta del van dai vetri oscurati e, a passo spedito ed emozionato, entrò nell'aeroporto.
RM chiuse la portiera prima che qualcuno potesse vederli e si accasciò sul sedile.
-”Ci vuole coraggio”- commentò Jungkook, seduto accanto a V.
-”Coraggio e volontà di riscatto”- annuì il leader. -”Tranquilli, starà bene”-.


 

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Capitolo 4
*** Lunedì - Un coreano sul divano ***


Tre giorni dopo, lunedì, mi svegliai alle nove e feci colazione con una tazza di tè e dei biscotti con gocce di cioccolato. La mia cucina aveva un balconcino che dava sullo spiazzo che il condominio in cui abitavo condivideva con altri due palazzetti. Una parte dello spiazzo era stato adibito a parcheggio privato. Con la tazza in mano, guardai la mia Fiat Panda nera del 2006 e sospirai. Sarei mai riuscita a comprare una macchina nuova che non andasse a benzina?
Appoggiai la tazza sulla ringhiera, in equilibrio precario, e presi dalla tasca dei pantaloni della tuta la mia debolezza: il pacchetto di sigarette.
Più volte avevo provato a smettere, ma puntualmente, dopo qualche mese, la voglia si faceva irresistibile e la mia volontà fragile. Combattevo e cedevo da anni, ormai. Alla fine mi ero arresa. Di qualcosa si deve pur morire, no?
Ripresi in mano la tazza, la portai in cucina e la lasciai sul lavabo. Presi il posacenere di vetro verde dal tavolo e tornai sul terrazzo. Accostai la portafinestra alle mie spalle e mi accesi una sigaretta, la prima della giornata.
Il lunedì, per mia grande fortuna, non avevo corsi da seguire. Ero solita trascorrere quel giorno a sistemare gli appunti, studiare, guardare serie tv e leggere. Era il giorno della settimana che, contrariamente all'opinione pubblica, amavo maggiormente (ovviamente dopo il sabato).
Appoggiata coi gomiti alla ringhiera del balcone, guardai il fumo della sigaretta arricciarsi svogliatamente verso l'alto. Da qualche tempo avevo preso a domandarmi per quale motivo quel fumo fosse bicolore, grigio e azzurro. Forse, però, era solo una mia impressione.
Vidi, sulla via nella quale lo spiazzo si apriva, arrivare quasi a passo d'uomo un taxi. Il conducente fermò la vettura proprio all'inizio dello spazio, vicino al paletto che, simbolicamente, rappresentava l'inizio della proprietà privata. L'uomo aprì la portiera e scese, imitato da una strana figura che era seduta sul sedile anteriore del passeggero. Smicciai la sigaretta nel posacenere e, incuriosita, li guardai. Il passeggero, che riconobbi essere di genere maschile, indossava un giacchetto di jeans e dei pantaloni neri; il suo viso era nascosto da un cappello da baseball nero e una mascherina, accessorio che mi fece capire subito che si trattava di un asiatico. Il tassista aprì il bagagliaio e gli porse un grosso trolley e un borsone a due manici. L'asiatico ringraziò il tassista con un breve inchino e, come feci io, guardò la macchina bianca allontanarsi.
Espirai l'ultima boccata di fumo, spensi la sigaretta nel posacenere e rientrai in casa. Andai in bagno e iniziai la mia solita routine del mattino, questa volta chiedendomi perché gli asiatici avessero la fissa delle mascherine. Mi lavai il viso e i denti, sostituii gli asciugamani sporchi con quelli puliti e, canticchiando, mi diressi in camera, pronta a dare inizio a una sessione di studio di un paio d'ore.
Il citofono del portone del condominio suonò. Un breve trillo, timido e indeciso. Guardai il cellulare: a quell'ora non poteva che essere il postino. Senza chiedere chi fosse premetti il pulsante di apertura del portone e me ne tornai in camera. Mi sedetti alla scrivania in disordine e, dando un'occhiata agli appunti svolazzanti, ai libri aperti e alle penne rovinosamente riversate, decisi che era arrivato il momento di mettere un po' in ordine. Raggruppai gli appunti in base al corso, chiusi i libri mettendo tra le pagine dei segnalibri e infilai tutte le penne nel grosso astuccio grigio che avevo comprato durante il primo anno di università. Sgomberata la scrivania, aprii il portatile e lo accesi.
Un secondo trillo mi fece sobbalzare. Questa volta si trattava del campanello del mio appartamento.
Il corriere?”.
Avevo recentemente ordinato qualcosa? Non ne ero sicura. Andai ad aprire e corrugai la fronte quando mi trovai davanti l'asiatico del taxi. Inquietantemente nascosto sotto al suo berretto e alla mascherina, teneva stretto in mano un foglio. Ci guardammo per qualche secondo, io spaesata e lui, apparentemente, confuso. Abbassò lo sguardo sul pezzo di carta e, come se se ne fosse appena ricordato, me lo porse. Lo presi titubante e lessi le parole scritte con grafi latini. Era l'indirizzo di casa mia.
-”Yes, that's the place”- annuii con un filo di voce. Gli restituii il foglietto, mi schiarii la gola e avvertii un brivido corrermi lungo la schiena. Un campanellino d'allarme mi suonò in testa e, all'improvviso, mi sentii mancare.
Il ragazzo si grattò a disagio la nuca.
-”Can I...?”- borbottò gesticolando e facendomi intendere di voler entrare.
Spalancai gli occhi e serrai le labbra, shockata dall'improvvisa rivelazione. Ripensai a quando, qualche giorno prima, mentre ero in copisteria mi era successa quella serie di cose strambe poco prima di rifiutare la richiesta dello sconosciuto coreano; in un lampo capii di aver combinato un guaio enorme.
Agitata e in preda all'ansia, chiesi al ragazzo se poteva farmi vedere la mail di conferma. Non afferrò al volo le mie parole, ma quando capì annuì e, dopo una breve ricerca sul suo telefono, mi mostrò la risposta generata automaticamente (in inglese) in caso di risposta affermativa da parte dell'host.
-”Porca puttana...!”- mormorai. -”Io... Non... Cazzo”- balbettai passandomi una mano sul volto. Guardai l'asiatico, fermo sulla soglia come un soldatino di piombo. Era chiaro come il sole che non avesse la più pallida idea di quel che era successo e del colossale fraintendimento avvenuto.
-”Come in”- dissi accompagnando l'invito con un gesto della mano e un sorriso tiratissimo.
Ora come glielo spiego tutto 'sto casino?”.
Lo feci accomodare in salotto, dicendogli di lasciare pure le valigie vicino al divano e di aspettare un momento. Corsi in cucina, mi infilai i guanti di gomma e, nervosa, iniziai a lavare la tazza della colazione. Come avevo potuto commettere un errore così grave? Perché non mi era venuto in mente di ricontrollare la risposta? Sciacquai la stoviglia e la riposi nello scolapiatti. Sul tavolo dietro di me, il posacenere mi stava fissando. Dovevo lavare anche quello. Annusai l'aria e, sentendo odore di fumo, serrai la mascella. Avevo ancora il deodorante per ambiente o gli spagnoli me l'avevano finito? Mi tolsi i guanti e li gettai nel lavandino della cucina. Mi passai una mano sul viso e mi strinsi il setto nasale tra due dite.
Calma, stai calma”.
Era davvero necessario dire al coreano che il suo arrivo non era previsto e che c'era stato un colossale fraintendimento? No, assolutamente no. Cosa ne sarebbe stata della serie di recensioni positive dell'appartamento? Non potevo permettere che si interrompesse; tenevo particolarmente al mio record.
La casa non era in perfetto ordine: vero.
La dispensa lasciava a desiderare: vero.
La sessione estiva sarebbe iniziata tra poco più di un mese: vero.
Il coreano era sul divano del salotto: vero.
Purtroppo non c'era più niente da fare.
Mi palesai in salotto cercando di mostrarmi tranquilla e affidabile. Giustificai il poco ordine dicendogli che pensavo sarebbe arrivato nel pomeriggio e che non avevo ancora messo a posto dopo la partenza degli ultimi ospiti.
-”Anyway, I'm Delia. Nice to meet you”- gli tesi una mano.
Il coreano si alzò a fatica e mi strinse la mano con non tanta enfasi, come se quell'insignificante contatto fisico gli desse fastidio.

-”I'm... Min Yoongi”- borbottò sotto la mascherina.
-”Min Yoongi? E' tutto...?”- domandai mimando con le mani un insieme.
-”Yoongi. It's my name”-.
Annuii e gli sorrisi. Yoongi abbassò lo sguardo e guardò le sue valigie. Me le indicò e mi chiese dove potesse metterle. Tentennai. Parecchio a disagio spiegai che per il momento poteva lasciarle dov'erano e che mi sarei subito messa all'opera per pulire e sistemare l'appartamento. Gli feci fare un veloce giro della casa, mostrandogli la cucina col balcone, il bagno (fortunatamente pulito), il ripostiglio adibito a dispensa e la porta di camera mia (un disastro, non gliela feci vedere); gli dissi che avrebbe dormito nel divano-letto e che, fondamentalmente, il salotto sarebbe diventato il suo spazio. Per essere certa che avesse afferrato il discorso principale, gli ripetei che dovevo ancora mettere a posto e domandai scusa per il disordine.
Dopo avergli dato le chiavi dell'appartamento e la password del WiFi, andai in camera a cambiarmi. Non potevo farmi vedere in tuta, non subito; dovevo assumere l'immagine della simpatica (e soprattutto presentabile) padrona di casa. Mentre mi infilavo i jeans mi maledissi per l'ennesima volta per non aver ricontrollato la risposta alla richiesta di pernottamento.
Alla fine si tratta solo di una settimana, me la caverò”, cercai di consolarmi.
Uscii da camera mia con in braccio un cuscino, una federa e un coprimaterasso, intenzionata a far vedere al mio ospite come aprire il divano-letto, ma mi bloccai sulla porta: Yoongi era collassato sul divano. Seduto scomposto, aveva la testa ciondoloni e gli occhi pesantemente chiusi. Non si era spogliato, in testa aveva ancora il berretto e non si era nemmeno tolto la mascherina dalla bocca. Il lunghissimo volo doveva averlo distrutto.
Riposi ciò che avevo in braccio accanto a lui e, cercando di fare meno rumore possibile, iniziai a pulire casa.

 

Gli occhi di Yoongi sembravano intenzionati a starsene chiusi ancora per molto. Era crollato di lato, con la testa fortunatamente accolta dal cuscino che avevo lasciato sul divano. Mi chinai sulle ginocchia, osservando il mio misterioso ospite dormire profondamente.
Era ormai l'una, l'ora di pranzo, e non avevo la più pallida idea di cosa fare. Avevo pulito l'appartamento e fatto la spesa, tirato fuori tutto ciò che potesse servire a Yoongi (lenzuoli, asciugamani e via dicendo) e lasciato sul tavolino del salotto una cartina della città con segnate le fermate degli autobus. Il mio compito era finito, ma l'asiatico non era nelle facoltà fisiche adatte a ringraziarmi.
Dovrei svegliarlo?”, pensai.
Non sapevo quando avesse preso l'aereo dalla Corea, né tanto meno quanto fosse durato il viaggio. Aveva mangiato? Aveva fame?
Sorrisi tra me e me, paragonandomi a una nonna preoccupata per la salute del nipote.
Guardando Yoongi non potei fare a meno di domandarmi cosa avesse spinto un coreano a intraprendere un viaggio da solo. Onestamente ero molto curiosa a riguardo. Mi ripromisi di domandarglielo una volta che si fosse svegliato.
Lo schermo del suo cellulare, che teneva debolmente in mano, si illuminò e il dispositivo prese a vibrare più volte, come una cicala estiva. Iniziò ad arrivare una quantità impressionante di messaggi; qualcuno stava provando a contattarlo con insistenza. Preoccupata che potesse trattarsi di qualcosa di importante, gli posai una mano sulla spalla e lo scossi delicatamente.
-”Yoongi?”- lo chiamai.
Yoongi si mosse e mugugnò qualcosa. Intanto il cellulare stava impazzendo.
-”Yoongi, wake up”- dissi scrollandolo con un po' più di decisione.
Il suo occhio destro si socchiuse un poco, imitato, poco dopo, dal sinistro. Yoongi mi guardò confuso e disse qualcosa in coreano.
-”Are you okay?”- gli chiesi. -”I'm sorry, but your phone...”-.
Abbassò lo sguardo sul cellulare ed espirò rumorosamente dal naso. Pareva seccato.
-”Thank you”- borbottò.
-”Is something wrong?”-.
Si stiracchiò le braccia, sbadigliò e scosse la testa.
-”My friends”- disse con un'alzata di spalle.
Gettò il cellulare sul divano e si guardò intorno, osservando il salotto soffermando poi lo sguardo su di me. Ci guardammo in silenzio per qualche attimo, evidentemente ostacolati dalla barriera linguistica.
-”Are you hungry?”- gli domandai.
-”I have to text back and... and have a shower”- disse distogliendo gli occhi dai miei e gesticolando.
Presi la sua risposta come un no e gli sorrisi, dicendogli poi che in bagno poteva trovare un asciugamano da doccia e il necessario per lavarsi. Mi ringraziò timidamente.
-”Okay, bene”- dissi, e me ne andai in cucina a preparare il pranzo per una persona.
Chiusi la porta, presi una pentola e la riempii d'acqua; la misi sul fornello e accesi il gas. Aprii la portafinestra, intenzionata a fumare una sigaretta in attesa che l'acqua bollisse, ma mi venne in mente che mi ero dimenticata di chiedere a Yoongi se gli desse noia il fumo.
Potrò fumare sul terrazzo?”.
Per evitare spiacevoli situazioni decisi di rimandare la sigaretta. Presi una padella, ci misi dentro un filo d'olio, uno spicchio d'aglio e la passata di pomodoro che tenevo nel frigorifero; accesi il secondo fornello e lo feci andare per un po', rigirando ogni tanto il sugo con un mestolo di legno. Quando sentii l'acqua bollire la salai e ci buttai dentro ottanta grammi di penne. Impostai il timer, spensi il fornello sotto alla padella col sugo e apparecchiai la tavola. Impiegai il tempo d'attesa a scorrere le foto su Instagram e a controllare i messaggi su WhatsApp. Nessuno mi aveva cercata e nessuno aveva caricato foto su cui sparlare: perfetto.
Lanciai un'occhiata lasciva al pacchetto di sigarette che avevo lasciato sul tavolo e mi feci forza.
Sono una brava padrona di casa, sono una brava padrona di casa...”, mi ripetei.
Finalmente il timer suonò. Scolai la pasta e la condii col sugo, rovesciandomela poi nel piatto. Presi una bottiglia d'acqua dal frigorifero e mi sedetti a tavola a mangiare in silenzio il mio piatto di penne al pomodoro.
Stavo lavando le stoviglie nel lavabo quando, con la coda dell'occhio, vidi la porta della cucina aprirsi lentamente. Mi voltai alla mia destra e vidi Yoongi in t-shirt e pantaloncini al ginocchio con un asciugamano in mano e i capelli umidi.
-”Finally I can see your face!”- esclamai sorridendogli.
Yoongi si scarruffò i capelli nerissimi e distolse lo sguardo. Temendo di averlo messo in imbarazzo, mi scusai subito e gli domandai se gli servisse qualcosa. Mimò con le mani un phon.
Devo averlo lasciato in camera mia”, pensai levandomi i guanti di gomma.
Gli passai accanto per uscire dalla cucina e sentii un buonissimo profumo che non riconobbi come quello del mio bagnoschiuma; Yoongi doveva aver usato il suo. Presi il phon (che trovai, per qualche strano motivo, buttato nell'armadio) e tornai dal mio ospite, porgendoglielo.
-”Thanks”- mormorò. Mi diede subito le spalle e si rintanò in bagno.
Mi rimisi i guanti e ripresi a pulire il piatto, sorridendo tra me e me. Sicuramente anche io, se mi fossi trovata nella sua stessa situazione, avrei avuto non poche difficoltà a interagire con un'altra persona. La barriera linguistica era evidente e si stagliava in maniera massiccia tra di noi; in più Yoongi non sembrava per niente un tipo estroverso.
Chissà quanti anni ha...”.

 

C'era una cosa strana in bagno, accanto al wc. Non aveva mai visto un sanitario del genere. Si annotò mentalmente di chiedere alla padrona di casa che cosa fosse. Come aveva detto di chiamarsi? Se l'era già dimenticato. Lei, invece, ci aveva messo pochissimo a memorizzare il suo nome.
Che figura di merda”, pensò, sforzandosi di ricordarsi il nome della ragazza.
Quanti anni poteva avere? Sembrava giovane. Forse sulla scheda web dell'appartamento c'era scritto ma lui, distratto, non l'aveva letto.
Attaccò il phon alla presa della corrente e iniziò ad asciugarsi i capelli che precedentemente aveva tamponato con l'asciugamano gentilmente datogli da...
Come cazzo si chiama?”.
No, c'era poco da fare: oltre alle spiegazioni sul misterioso sanitario avrebbe dovuto richiedere il nome alla ragazza.
Si asciugò i capelli in poco tempo, arrotolò il filo del phon attorno al manico e lo ripose momentaneamente sopra quello che identificò come il cesto dei panni sporchi. Guardò il cellulare che aveva messo sul lavandino e, controvoglia, prese a leggere la miriade di messaggi che i suoi amici gli avevano mandato. Rispose a Namjoon, chiedendogli la cortesia di fare da portavoce.
- Sono arrivato, ora sono a casa. Forse più tardi esco. Di' agli altri di non intasarmi il telefono di messaggi. Sto bene.
Uscì dal bagno portandosi dietro il phon. La porta della cucina era aperta e Yoongi intravide la giovane ragazza seduta al tavolo a scrivere al cellulare. Quando gli aveva aperto la porta di casa era rimasto spiazzato dalla sua altezza; ancora non si era abituato alle ragazze occidentali. A occhio e croce doveva essere sul metro e settanta, poco, pochissimo più bassa di lui. Anche se nascoste da un paio di pantaloni grigi, Yoongi aveva notato che aveva delle gambe lunghe e snelle.
Fece schioccare la lingua.
Ma cosa andava a pensare?
La ragazza finalmente si accorse della sua presenza e alzò gli occhi dallo schermo del telefono. Gli sorrise, come faceva sempre. Quel gesto lo infastidì; era come se lo stesse prendendo in giro, come se lo stesse trattando da povero decerebrato.
Non riesco più a comporre e a scrivere musica. E allora? Per questo mi stai prendendo per il culo?”.
Strinse con forza la mano attorno all'impugnatura del phon. Espirò e cercò di calmarsi. Quella povera ragazza non poteva essere a conoscenza del suo blocco creativo, non c'era alcun valido motivo per prendersela con lei. Gli sorrideva perché era gentile, tutto qui.
-”Where should I...?”- le domandò agitando in aria il phon. Come si diceva “lasciare”? Quanto avrebbe voluto essere Namjoon...!
-”Don't worry, give it to me”- rispose lei alzandosi e prendendogli il phon dalle mani. Gli passò accanto e Yoongi la vide entrare nella sua stanza, lanciare il phon sul letto e riuscire, chiudendosi la porta alle spalle.
-”Have you seen your wardrobe?”- gli domandò.
Cos'è un wardrobe?”, pensò Yoongi spaventato.
La padrona di casa gli fece cenno di entrare nel salotto e gli indicò un guardaroba in tessuto nero. Aprì la grande cerniera e gli mostrò l'interno, facendogli capire che quello, per i prossimi giorni, sarebbe stato il suo armadio. Yoongi lanciò un'occhiata alle valigie e pensò che, molto probabilmente, non sarebbe riuscito a farci entrare tutta la sua roba. Le annuì, facendole intendere di aver capito, e, esausto, si sedette sul divano. Notò che la ragazza stava continuando a fissarlo. Yoongi si sentì a disagio. Prese il borsone a due manici e fece finta di essere cercare qualcosa. Non riusciva a sostenere il suo sguardo senza avvertire una fastidiosa sensazione all'altezza dello stomaco.
-”How old are you?”- gli domandò appoggiandosi al muro con una spalla e incrociando le braccia al petto.
-”I'm 26”- rispose col viso nascosto dal borsone.
-”So you were born in...”-. Fece qualche calcolo con le dita, pensosa. -”1992”-.
Yoongi scosse la testa. Come poteva spiegarle che in Corea l'età si contava in maniera diversa rispetto al mondo occidentale? Era un concetto troppo difficile da esprimere. Strinse le labbra e optò per una soluzione alternativa, una piccola bugia.
-”I'm 25”- disse.
-”Understood”- annuì lei lanciandogli una strana occhiata. -”Now I have to study. If you need something, call me. Okay? I'll be there”- disse indicandogli la porta della sua stanza che dava sul salotto.
Lo saluto con un cenno della mano e, come aveva detto, si chiuse in camera. Yoongi posò il borsone per terra e si appoggiò allo schienale del divano. Chiuse gli occhi e sospirò. Sentiva il cuore battergli a mille dall'ansia. Cercò a tentoni il cellulare e quando lo trovò lo strinse nel palmo della mano, come se fosse stato un talismano su cui fare affidamento.
Devo dormire. Devo dormire e calmarmi”.
Si sdraiò su di un fianco, si portò le ginocchia al petto e infilò le mani tra le gambe. Si concentrò sui battiti del suo cuore e prese a contarli. Impiegò una decina di minuti ad addormentarsi nuovamente sul divano-letto di una ragazza italiana di cui continuava a non ricordare il nome.

 

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Capitolo 5
*** Lunedì - Fuga con imprevisto ***


Erano le cinque passate quando un delicato “toc toc” sfiorò la porta della mia camera. Inizialmente pensai si trattasse di un'allucinazione uditiva, ma quando quel suono ovattato e quasi pauroso si ripeté capii di non essermelo immaginato.
-”Come in!”- dissi posando la matita sul fascicolo di appunti di Storia della Letteratura Italiana.
Yoongi aprì la porta. Notai che si era cambiato: indossava un paio di jeans chiari con degli squarci sulle ginocchia, una t-shirt bianca infilata dentro ai pantaloni e delle scarpe nere simili a delle Converse; i suoi occhi erano a malapena visibili a causa della frangia nera e, mi resi conto, aveva alle orecchie degli orecchini ad anello. Per un attimo rimasi spiazzata: non mi aspettavo che fosse così... carino.
Mi schiarii la gola, imbarazzata e terrorizzata all'idea di poter essere arrossita, e gli domandai se avesse bisogno di qualcosa.
Yoongi fece un respiro profondo. Socchiuse le labbra, borbottò qualcosa e le serrò subito. Arricciò il naso e si grattò la nuca. La sua difficoltà con l'inglese mi intenerì non poco. Prese il cellulare dalla tasca dei jeans, ci aggeggiò un po' e poi, con passi titubanti, si avvicinò a me e me lo porse. Gli lanciai un'occhiata interrogativa, ma i miei occhi non riuscirono a incontrare quelli a mandorla di Yoongi. Guardai lo schermo e lessi quello che il mio ospite aveva scritto e tradotto in italiano grazie all'aiuto di un traduttore online.
-”Mi piacerebbe visitare la città. Puoi farmi da guida?”-. Guardai il ragazzo moro e, dispiaciuta, scossi la testa. -”I'm sorry, I have to study”- mi scusai facendogli vedere la mia scrivania disastrata.

-”Ah, sorry”- mi fece eco lui chinando il capo, imbarazzato.
Fece per andarsene ma io lo richiamai. Mi alzai in piedi, coprii la breve distanza che ci separava e mi presi la libertà di dargli una lieve pacca sulla spalla, gesto che lo colse in contropiede: si irrigidì.
-”I'm going to give you my number”- gli dissi indicando il suo cellulare. -”Call me if you have any problem”-.
Yoongi annuì poco convinto ma si segnò comunque il mio numero. Al momento di salvarlo nella rubrica si fermò. Sorrise impacciato e mi guardò, chiedendomi evidentemente scusa con lo sguardo.

-”I don't remember your name...”-.
-”No problem!”- lo tranquillizzai subito. -”It's Delia”-.
Yoongi se lo annotò subito e salvò il mio contatto in rubrica. Si rimise il cellulare in tasca, strinse le labbra e annuì.
-So, see you later”- lo salutai facendo ondeggiare la mano.
-”Bye”- mormorò lui, e uscì da camera mia.

 

E così si chiamava Delia. Era un nome facile, corto e per niente complesso; come aveva fatto a dimenticarlo?
Prese in mano il cellulare e guardò la schermata del nuovo contatto salvato in rubrica.
Non credo mi servirà a qualcosa”, pensò facendo spallucce.
Dall'armadio di tessuto prese uno zaino di tela nero che Jin gli aveva infilato a tradimento nella valigia.
-”E' comodissimo!”- si era giustificato quando Suga lo aveva scoperto, qualche minuto prima di salire a bordo del van dai vetri oscurati.
Aprì la cerniera grigia e ci buttò dentro il portafoglio, la cartina della città che Delia gli aveva dato, il cellulare, una penna e un taccuino dalla copertina blu mare che aveva deciso di utilizzare in caso di ispirazioni e idee fulminanti. Si mise al collo la macchina fotografica di Jungkook, il quale, stranamente e contro ogni aspettativa, aveva deciso di separarsi dal suo tesoro e aveva supplicato Suga di utilizzarlo.
-”Anche se non sei un bravo fotografo non importa, tanto a editarle ci penso io!”-.
Farò delle foto talmente brutte che neppure lui riuscirà a salvarle”, pensò con un ghigno stampato sul volto.
Indossò il berretto nero con la visiera e fu a lungo indeciso sulla mascherina. Da un lato aveva paura che qualcuno potesse riconoscerlo e, in realtà, era una sorta di coperta di Linus, lo faceva sentire a proprio agio; dall'altro, però, c'erano i quasi 26 gradi di quell'insolitamente caldo pomeriggio di inizio maggio.
La metto nello zaino”, decise alla fine.
Prese le chiavi dell'appartamento e uscì, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Scese un paio di rampe di scale ed ecco che, una manciata di secondi dopo, si ritrovò nello stesso spiazzo in cui il tassista che lo aveva prelevato all'aeroporto l'aveva lasciato quella mattina. Accese la macchina fotografica e scattò la prima foto del suo viaggio alla facciata del condominio di Delia. Guardò la foto sul display.
Ho un futuro da fotografo”, si pavoneggiò.
Zaino in spalla e macchina fotografica alla mano, Yoongi percorse una cinquantina di metri, svoltando un angolo, e arrivò a un incrocio con un'ampia via che, stando a quanto riportava la cartina, si chiamava Via Guglielmo Oberdan o, per gli abitanti della città, Borgo Largo. La pavimentazione era composta da ampie lastre grigie posizionate a lisca di pesce. Ai margini della strada vi erano molti negozi, la maggior parte di abbigliamento femminile. A sinistra dell'incrocio la via proseguiva ma, stringendosi drasticamente, cambiava nome.
Ah, per di qua dovrei arrivare dritto dritto in Piazza dei Miracoli”, ragionò tracciando con l'indice il percorso sulla cartina.
Yoongi si incamminò lungo Via Giosuè Carducci, il proseguo di Borgo Largo, una viuzza perfettamente dritta costellata da una moltitudine di bar e locali. Il cielo era limpido, nemmeno una piccolissima nuvola sembrava intenzionata a palesarsi. Yoongi si maledì per essersi dimenticato gli occhiali da sole; nonostante avesse la visiera del cappello avvertiva un certo fastidio agli occhi.
Fece un paio di foto allo strano monumento cadente in mattoni rossi che si trovava in fondo alla via, in un largo. In mezzo a un praticello delimitato da un muretto, il monumento era abbandonato a se stesso; tra un mattone e l'altro si intravedevano dei rampicanti.
Che roba è?”, si domandò poi storcendo il naso.
Lo fissò per qualche minuto, sperando che quel rudere, in qualche maniera, lo ispirasse. Prese il taccuino dallo zaino e scrisse sulla prima pagina la sua prima annotazione.
- C'è un agglomerato informe di mattoni rossi e non capisco cosa sia.
Sospirò rumorosamente e con frustrazione, dandosi dello stupido. Doveva sapere che l'ispirazione viene quando meno ci si aspetta, e più la si cerca meno la si trova.
Si lasciò il monumento alle spalle e svoltò a sinistra, in Via Cardinale Pietro Maffi, e lì, in mezzo alla strada, si bloccò: in lontananza una cattedrale bianca lo stava fissando dalla fine della via. Non c'erano dubbi: si trattava del duomo della città.
Si spostò sul marciapiede all'ombra e a passo spedito si diresse verso quella cattedrale che sembrava aver risvegliato in lui qualcosa. La via sembrava infinita, dritta, piena di persone e turisti e quasi asfissiante. Quando Yoongi mise piede in Piazza dei Miracoli, si sentì rinascere. L'incredibile spazio aperto che si trovò di fronte lo fece restare senza fiato. Lì, nel bel mezzo di un prato curato e verdissimo, talmente verde da sembrare finto, si stagliavano il duomo di Santa Maria Assunta, la famosissima Torre Pendente, il battistero di San Giovanni e il Campo Santo. Alla sua sinistra la torreggiante figura del campanile incombeva su di lui.
Pende davvero!”, pensò sbalordito.
Iniziò a vagare per Piazza dei Miracoli con lo sguardo alto e la bocca spalancata, come un bambino. Lo spettacolo era meraviglioso; i monumenti, talmente bianchi da risplendere, lo lasciarono senza parole. Frettolosamente scrisse i suoi pensieri sul taccuino. Si era ripromesso di annotare tutto, senza farsi sfuggire nemmeno la più piccola e, apparentemente, insignificante idea. Nello stupore ed estasi totale riuscì a ricordarsi della promessa fatta a Jungkook: fece alcune foto col suo cellulare e poi prese in mano la macchina fotografica. Si fermò accanto a una statua che raffigurava tre putti reggenti uno stemma con al centro la sigla “SPQP”. Accese la macchina fotografica e, come gli aveva insegnato il maknae, scelse la modalità più adatta.
-”Hai visto la nuova live?”- sentì dire in coreano a una ragazza alle sue spalle.
-”No! Chi l'ha fatta?”- rispose un'altra, sempre in coreano.
-”RM!”-.
Yoongi sussultò e si sentì mancare. Gli si gelò il sangue nelle vene e si immobilizzò col display della macchina fotografica vicino al viso.
-”Non è durata molto perché pare che V e Jimin stessero cercando di fare qualcosa che a RM non andava a genio”- spiegò la prima. -”Credo di aver capito che volessero entrare nel Genius Lab”-.
Due sentimenti si fecero largo nell'animo di Yoongi: rabbia e paura. Rabbia per il rispetto della privacy che continuava a mancare in Jimin e V, paura per la possibilità di essere riconosciuto dalle due fan coreane che stavano continuando a parlottare alle sue spalle. Lentamente, come se avesse avuto una pistola puntata alla tempia, Yoongi spense la macchina fotografica e tirò fuori dallo zaino la mascherina. Nel farlo, però, scontrò col gomito la schiena di una delle ragazze. Istintivamente si voltò per domandarle scusa, e il breve scambio di sguardi che ci fu tra lui e la connazionale gli fece capire di aver appena commesso un errore madornale. Gli occhi della ragazza, prima fuggevoli e incuranti, si spalancarono; la giovane socchiuse le labbra rosa e aggrottò la fronte, ma, prima che potesse dire qualcosa, Yoongi indossò la mascherina e si allontanò a passo spedito verso una via stretta che si apriva una cinquantina di metri alle spalle della ragazza.
-”M-Ma quello...?”- balbettò lei indicando la schiena di Yoongi all'amica.
-”Sembrava Suga. No, è impossibile”- scosse la testa.
Cazzo”, pensava Yoongi quasi correndo a perdifiato. “Cazzo!”.
Gli parve che tutte le persone che incontrò nella sua fuga lo guardassero male; con il cappello calato sugli occhi, la mascherina a nascondere mezza faccia e un'andatura tutto fuorché tranquilla, sembrava una persona poco raccomandabile. Era naturale che lo guardassero diffidenti.
Non aveva la più pallida idea di dove stesse andando. L'unica cosa che gli importava era di allontanarsi il più possibile da Piazza dei Miracoli ed evitare di farsi riconoscere. Non sapeva quanti fan italiani avessero i BTS, ma si era ritenuto già abbastanza fortunato nel constatare che Delia non avesse la più pallida idea di chi lui fosse.
Si fermò solo quando arrivò al fiume che attraversava la città. Non sapeva che ne fosse uno. Si appoggiò alle spallette dell'argine e riprese fiato, scostando un poco la mascherina nera dalla bocca. Il suo cellulare segnava le sei e mezza del pomeriggio. Non si sentiva più a suo agio, doveva tornare all'appartamento e, perché no, mangiare qualcosa e dormire. Guardò da dove era venuto e si accertò che nessuno l'avesse seguito. Il suo cuore, tra ansia e corsa, non smetteva di battere all'impazzata.
Appena arrivo a casa quei due mi sentono...!”, pensò già preparandosi a fare una lavata di capo a V e a Jimin.
Quando si fu un po' calmato, si tolse lo zaino dalle spalle e ci frugò dentro alla ricerca della cartina della città. Sentì un vuoto allo stomaco quando si rese conto di averla persa. Perse la presa sullo zaino, il quale finì per terra, e le ginocchia gli si fecero di gelatina. Non sapeva dove fosse finito, né tanto meno da che parte potesse essere l'appartamento. Si accovacciò e si strinse la testa tra le mani.
Mai avrebbe pensato di potersi perdere a Pisa.














NOTE DELL'AUTRICE:
Salve a tutti e grazie per aver letto anche questo capitolo! <3
Ci tenevo a dirvi che da qui in poi gli aggiornamenti si faranno meno frequenti, molto meno; sta per iniziare la sessione d'esame e non credo riuscirò ad avere molto tempo per scrivere. Mi impegnerò comunque a portare avanti la mia storia :>
Grazie ancora e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 6
*** Lunedì - Missione di recupero ***


Il display si illuminò. Misi la penna nell'astuccio, presi il cellulare in mano e corrugai la fronte quando vidi uno strano sms mandatomi da un numero sconosciuto.
- I'm lost.
Doveva per forza trattarsi di Yoongi; la sequenza numerica non sembrava per niente italiana. Digitai rapidamente il messaggio di risposta, già pronta a mollare lo studio e a cambiarmi.
- You're Yoongi, right? Where are you?
- Yes, I'm Yoongi. I don't know.
Mi diedi della stupida. Ovviamente non sapeva dove fosse, altrimenti non mi avrebbe scritto che si era perso. Mi passai una mano sul volto e sospirai. Gli avevo anche dato la cartina della città! Come aveva fatto a perdersi?
Continuare a messaggiare non avrebbe risolto la situazione. Decisi di chiamarlo e di chiedergli cosa vedesse attorno a lui, se ci fosse una targa, il nome di una via o qualcosa di simile. Dopo qualche squillo a vuoto Yoongi mi buttò giù. Indignata, guardai lo schermo del cellulare nell'esatto momento in cui mi arrivò un altro messaggio.
- I can't speak English. My English is bad.
-”Dio, non ci posso credere”- sibilai a denti stretti. -”Come cazzo pensa che io possa aiutarlo allora?”- mi domandai esasperata.
Mi infilai di corsa i jeans, misi una maglietta grigia a maniche corte e un paio di Vans rosse e iniziai a cercare nelle varie borse le chiavi della macchina. Qualcosa mi diceva che Yoongi non era nelle vicinanze.
- I'm near a bridge.
-”Wow, utilissimo! Ci sono dieci ponti a Pisa!”- esclamai sarcastica.
Scrissi a Yoongi di non muoversi e di aspettarmi. Trovai le chiavi della Panda, presi cellulare, portafoglio e chiavi di casa, e uscii. Salii in macchina, mi allacciai la cintura di sicurezza e inserii la chiave nella toppa, senza girarla. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo. Dei dieci ponti quali potevo escludere? Vicino a quale Yoongi non poteva sicuramente trovarsi? Esclusi subito quelli più lontani dal centro, ovvero il Ponte dell'autostrada A12 e quello del CEP; per lo stesso ragionamento tagliai fuori il Ponte delle Bocchette e il Ponte dell'Aurelia.
Dev'essere sicuramente passato per Piazza dei Miracoli”, pensai.
Che strada poteva aver fatto? Era a piedi, non poteva aver coperto chissà quale distanza.
Rassegnata, misi in moto la macchina e partii. Non c'era nient'altro da fare: avrei dovuto fare il giro dei Lungarni e sperare di riconoscere il mio ospite in mezzo a una miriade di persone.

 

Era stato scortese? Forse avrebbe dovuto rispondere alla telefonata di Delia... Scosse la testa. Si convinse di aver fatto la scelta giusta. Non era per niente sicuro del suo inglese e non ci teneva per niente a fare una figura di merda con Delia.
Ne ho già fatta una dimenticandomi il suo nome”, si ricordò imbarazzato.
Maledette ragazze. Se non fosse stato per loro non sarebbe scappato e, di conseguenza, non si sarebbe perso! Maledette ragazze e maledetto RM: proprio quel giorno doveva fare una live? Non poteva aspettare? E poi, che cosa avrà avuto da dire di così importante?
-”Gli avevo chiesto di tenermi d'occhio lo studio”- ringhiò tra sé e sé.
Senza pensarci su due volte chiamò Taehyung. Non sapeva che ora fosse in Corea e non gliene importava: voleva solo ricordare a V che entrare nel Genius Lab non era permesso, mai.
-”Hyung...”- biascicò dall'altro capo del telefono la voce assonnata di V. -”Sono contento di sentirti...!”-.
-”Se scopro che tu, Jimin o chiunque altro cerca di farsi gli affari miei mentre io non ci sono, vi ammazzo”-.
-”Taehyung, spegni quel telefono!”- sentì dire a RM in sottofondo.
-”Ah, sì, passami Namjoon”- ordinò a V.
-”Suga, noi non...”-.
-”Passami Namjoon!”- disse nuovamente, alzando la voce e iniziando a perdere la pazienza.
-”Suga? Che succede? Qui è l'una di notte passata!”- disse RM a metà tra lo scocciato e il preoccupato.
Suga sospirò. Si sentì un poco in colpa per aver svegliato i suoi amici.
-”Nella live che hai fatto oggi si capisce che Tae e Jimin vogliono entrare nel mio studio. Gli Army sanno benissimo che non è possibile farlo quando io sono in casa, perciò, sicuramente, avranno già iniziato a domandarsi dove io fossi. Vi avevo chiesto la massima discrezione”-.
-”Hai ragione”- disse Namjoon dopo qualche secondo di silenzio. Sbadigliò. -”Ti chiedo scusa. Per il resto stai bene? Cosa stai facendo?”-.
Yoongi fece per raccontargli della sua disavventura ma all'ultimo ci ripensò. Non voleva far preoccupare i ragazzi e, soprattutto, non voleva farsi prendere in giro. Mentì a Namjoon: gli disse di essersi seduto a un bar a prendere un caffè dopo aver visitato Piazza dei Miracoli e che, tra una mezz'oretta, sarebbe tornato a casa.
-”Mandaci qualche foto quando ti capita!”- rispose RM iniziando ad abbandonare l'intorpidimento del sonno.
-”Va bene, va bene. Adesso ti saluto, devo... pagare il conto”-.
Salutò Namjoon, chiuse la chiamata e sospirò.
Chissà se Delia sarebbe riuscito a trovarlo.

 

Dopo più di quarantacinque minuti passati nel traffico pisano a cantare a squarciagola le canzoni che passavano in radio e a insultare i pedoni intraprendenti, appena passato Ponte Solferino e girato a destra, vidi Yoongi seduto sulle spallette dell'Arno coi piedi penzoloni e il cellulare in mano. Lo riconobbi grazie al cappello e alla mascherina. Inchiodai, beccandomi una discreta quantità di clacson infuriati, e, togliendomi la cintura di sicurezza, mi allungai sul sedile del passeggero per aprire la portiera.
-”Yoongi, datti una mossa ed entra, altrimenti mi ammazzano!”- dissi in italiano. La fretta mi aveva fatto dimenticare che Yoongi non poteva capire la mia lingua madre.
Per mia fortuna il mio ospite afferrò ugualmente il concetto e si fiondò in macchina, stringendo tra le braccia il suo zaino. Ripartii subito e, dopo aver controllato la situazione alle mie spalle guardando lo specchietto retrovisore, mi rilassai. Guardai Yoongi seduto accanto a me e sospirai di sollievo.
-”Are you okay?”- gli chiesi.
Annuì. Si tolse mascherina e cappello e li mise nello zaino. Si passò una mano tra i capelli e si abbandonò sullo schienale. Con la coda dell'occhio lo vidi serrare le labbra.
-”I'm sorry”- riuscì a dire alla fine.
-”No problem. I'm happy that you're fine. I was worried”-.
-”Me too”-.
-”You were worried?”-.
-”For me
”-.
Dopo un secondo di silenzio scoppiai a ridere. Yoongi sorrise e si voltò dall'altra parte, facendo finta di voler guardare il finestrino, e nascose la bocca con una mano. Dalle sue spalle capii che stava ridendo silenziosamente.
Durante il viaggio di ritorno pensai a quello che era appena successo. Sicuramente Yoongi non si sarebbe perso se ci fossi stata io con lui. Sapevo benissimo cosa si provava in situazioni del genere e non avrei mai augurato a nessuno di avvertire quel micidiale nodo allo stomaco, il sudore freddo e, in certi casi, il panico e l'ansia. Yoongi sembrava stare bene; constatarlo mi alleggerì il corpo. Per quanto lo avessi mandato a quel paese per essersi perso, sotto sotto ero davvero in pensiero per lui.
Era venuto in Italia da solo, completamente allo sbaraglio e senza una guida.
Potevo davvero abbandonarlo?
-”Una settimana di studio intenso in meno non pensò cambierà qualcosa”- mormorai.
Yoongi mi lanciò un'occhiata interrogativa.
Con le mani sul volante e lo sguardo fisso sulla strada, sorrisi.
-”I want to be your tourist guide. Let me show you some beautiful places”-.











NOTE DELL'AUTRICE:
...Ed è da adesso che Yoongi e Delia inizieranno a conoscersi >:) Delia non ha la più pallida idea che Yoongi è un idol e ancora non sa per quale motivo è venuto in Italia da solo; ha una sessione d'esame che l'aspetta dietro l'angolo, ma ha deciso di dedicarsi allo svampito e spaesato ragazzo coreano. Suga, invece, continua a trascorrere le ore con la paura costante di essere riconosciuto e il terrore e l'ansia di non riuscire a ritrovare l'ispirazione perduta.
In che modo interagiranno i due?
Lo scoprirete prossimamente <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 7
*** Martedì - Pisa: Preparazione ***


Presi molto sul serio ciò che avevo detto a Yoongi e il ruolo che per i successivi giorni avrei ricoperto. Fare da guida turistica non mi risultava per niente difficile: avevo un carattere piuttosto solare, ero aperta al dialogo e disponibile, cercavo di capire e di farmi capire e, particolare non indifferente, erano anni che campavo grazie a quella attività.
Per farla breve, sapevo il fatto mio.
Martedì mattina mi svegliai alle 8. Uscii da camera con addosso la maglietta del pigiama e i pantaloni della tuta con cui stavo in casa; in punta di piedi passai accanto al divano-letto di Yoongi e mi chiusi in cucina. Purtroppo la conformazione dell'appartamento prevedeva che da camera mia si dovesse per forza attraversare il salotto per andare in cucina o in bagno. Misi su il caffè e, come da programma, andai a svegliare Yoongi. Lo trovai raggomitolato e avvolto nel lenzuolo. Quello strano groviglio di carne e tessuto si alzava e abbassava secondo un ritmo lento e regolare. Posai una mano sulla sua spalla e lo scossi con veemenza. Mi ci volle un po' per svegliarlo; quando ci riuscii mi beccai un'occhiataccia irritata da parte sua.
-”You can't sleep forever, Sleeping Beauty”- lo punzecchiai.
Biascicò qualcosa in coreano e si voltò dall'altra parte, facendomi intendere di non avere alcuna intenzione di alzarsi. Continuai a chiamarlo e a scuoterlo finché non si girò di scatto. Il suo sguardo mi trapassò da parte a parte ma io sfoderai il mio asso nella manica e, con un sorrisetto sghembo, gli indicai la cucina.
-”Do you know what this smell is?”- chiesi compiaciuta.
Yoongi annusò l'aria e i suoi occhi si spalancarono. Annuii lentamente e indietreggiai di qualche passo senza distogliere lo sguardo da lui.
-”Coffee?”- disse in un sussurro.
-”Italian coffee”- lo corressi. -”The best”- sillabai sparendo in cucina.
Sentii Yoongi scendere dal letto, indossare le sue pantofole e ciabattare in cucina. Quando comparve sulla soglia lo accolsi con una tazzina di caffè. Lo invitai a sedersi e gli porsi la tazzina. Yoongi mi ringraziò sottovoce e la prese, rigirandosela tra le mani come se non ne avesse mai vista una in vita sua.
-”Sugar?”- gli chiesi.
La mia domanda ebbe uno strano effetto su di lui. Mi guardò sconvolto e pallido in volto, quasi come se avesse udito un fantasma parlare. Balbettò qualcosa ma non riuscii a capire niente.
-”Would you like some sugar?”- riformulai la domanda facendogli vedere il barattolo dello zucchero.
Yoongi, dopo un attimo di quello che a me parve panico, fece un sorriso tesissimo e annuì. Ne prese un cucchiaino e lo versò nella tazzina. Gli diedi un altro cucchiaino e stetti a guardarlo mentre rigirava il caffè cercando di evitare il mio sguardo. Mi strinsi nelle spalle: mi era bastato un giorno per capire che Yoongi era un tipo molto riservato e che non riusciva a sostenere lo sguardo delle persone.
-”Did you like it?”- mi informai quando ebbe finito di bere il caffè.
Dalla sua espressione capii che non ne era molto convinto. Mi domandai in che modo facessero il caffè in Corea e sperai con tutta me stessa che fosse lontano anni luce da quello americano.
Chiesi a Yoongi se volesse mangiare qualcosa per colazione o se gli bastasse il caffè. Mi rispose che era a posto così, che non aveva fame; mi domandò con difficoltà dove avessi intenzione di portarlo.
-”Nice question!”- esclamai andando su di giri. -”I'm going to take you to two places that I love!”-.
Spedii Yoongi a lavarsi e a cambiarsi mentre io facevo colazione e sistemavo la cucina; ottimizzare i tempi era una delle mie specialità. Finii il caffè che avevo preparato, mangiai un paio di biscotti e bevvi un bicchiere d'acqua. Pulii la caffettiera e passai una spugnetta bagnata sul tavolo: mi infastidiva vedere sulla sua superficie delle briciole. Il posacenere verde mi ricordò che non fumavo una sigaretta da ormai ventiquattro ore. Per qualche strano motivo continuavo a dimenticarmi di chiedere a Yoongi se gli desse noia il fumo.
Corsi in camera a scegliere i vestiti da indossare, in attesa che Yoongi liberasse il bagno. Aprii le ante dell'armadio e iniziai a passare in rassegna le bluse e le camiciette. Arricciai il naso. Passai alle camicie e, quasi senza pensarci, afferrai e tirai fuori una camicia leggera di jeans chiaro a maniche lunghe. Indossata con un paio di jeans scuri, delle Superga bianche e il giacchetto di pelle nero era perfetta.
Benissimo, pensai adagiando i vestiti scelti sul letto sfatto.
Sentii la porta del bagno aprirsi e chiudersi. Prima che Yoongi iniziasse a cambiarsi, mi fiondai fuori dalla mia stanza e corsi in bagno. Spaventai Yoongi, il quale, avvolto in quello che mi parve un accappatoio non fornito da me, si lasciò sfuggire un'imprecazione in coreano.
-”Sorry, sorry!”- dissi in fretta.
Imitai il mio ospite e mi feci una doccia veloce. Mi lavai i denti e mi truccai. Prima di uscire dal bagno chiesi a Yoongi se si fosse vestito. Mi rispose di sì. Attraversai il salotto in accappatoio sotto il suo sguardo stralunato e, rientrata in camera, mi vestii.
Finalmente, dopo una mezz'ora buona, eravamo entrambi pronti a uscire.
Stavo per aprire la porta di casa quando mi accorsi che Yoongi si era messo la solita mascherina nera e il solito cappello da baseball. Gli lanciai un'occhiata contrariata alla quale lui rispose passandosi una mano tra i capelli e interrompendo il contatto visivo.
-”I need them”- si giustificò pacato.
-”Both?”- chiesi scettica facendo ondeggiare l'indice tra la mascherina e il cappello.
Annuì. Sospirai e scossi la testa. Non sapevo per quale motivo Yoongi fosse così attaccato a quei due accessori, né perché si ostinasse ad andare in giro come un bandito, col volto quasi completamente coperto e lo sguardo sfuggente.
-”Che peccato...”- dissi tra me e me. -”Let's go!”- esclamai poi rivolta a Yoongi e aprendo la porta. -”Pisa ci aspetta!”-.



 

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Capitolo 8
*** Martedì - Pisa: Preparazione (S) ***


Il divano-letto di Delia era più comodo di quanto si aspettasse. Era convinto che avrebbe impiegato qualche notte ad abituarsi al sottile materasso e alle lenzuola troppo grandi, ma non appena si infilò sotto la leggera coperta e appoggiò la testa sul cuscino si ricredette. Prima di spegnere la lampada del comodino posizionato accanto al bracciolo destro del divano-letto guardò il cellulare. L'orologio digitale del display segnava la mezzanotte passata. Che ore erano in Sud Corea? Circa le sette del mattino. Mandò un messaggio a sua madre, mise il telefono in carica, lo appoggiò sul comodino, spense la luce e chiuse gli occhi, pregustandosi l'idea di un tanto agognato e meritato riposo.

 

Un terremoto?
Qualcuno lo stava scuotendo con poco tatto. Quante volte aveva ripetuto ai ragazzi di non disturbarlo quando stava dormendo e, soprattutto, di non svegliarlo in malo modo?
Sollevò le palpebre pesanti e impiegò qualche secondo a mettere a fuoco il viso di Delia, struccata e in pigiama. Ecco un'altra persona che non aveva il minimo rispetto del riposo altrui. Le lanciò un'occhiataccia, irritato e nervoso.
Se il buongiorno si vede dal mattino, oggi sarà una giornata di merda”, pensò.
-”You can't sleep forever, Sleeping Beauty”- lo punzecchiò Delia.
-”Non rompere i coglioni...”- biascicò, e le diede le spalle.
Si coprì il capo col lenzuolo e si raggomitolò, sperando e pregando che la ragazza lo lasciasse stare. Aveva fatto un viaggio di quasi dodici ore per cercare serenità, tranquillità e ispirazione, non seccature e rotture di scatole; voleva poter dormire liberamente, per quanto tempo desiderava.
Stava forse chiedendo troppo?
L'ispirazione e le migliori idee vengono nel sonno, cazzo”, si lamentò mentalmente.
Delia non demordé e mostrò un'ostinazione che Suga non credeva potesse esistere: continuò a chiamarlo e a scuoterlo per un paio di minuti, ininterrottamente e in maniera quasi aggressiva, finché il ragazzo, raggiunto ormai il limite di sopportazione, si girò e le lanciò un'occhiata assassina. Delia parve immune alla mal velata minaccia di morte e, in tutta risposta, sfoderò un sorriso sghembo indicandogli la cucina.
-”Do you know what this smell is?”- gli domandò.
Suga sospirò e chiuse gli occhi, esasperato. Annusò l'aria e notò un odore familiare e molto conosciuto. Il forte e intenso profumo attivò il suo cervello e, con esso, le facoltà intellettive. Spalancò gli occhi e guardò Delia. Quello che sentiva era...
-”...Coffee?”- sussurrò.
-”Italian coffee”- lo corresse lei. -”The best”- sillabò lasciando il suo capezzale e sparendo in cucina.
Come aveva fatto a non arrivarci subito?
Namjoon, tornato dall'Italia, aveva passato due settimane buone a osannare il caffè italiano; era persino quasi riuscito a farlo provare a Taehyung, e il che è tutto dire. Aveva messo addosso a tutti una curiosità enorme, e i ragazzi avevano finito per invidiarlo e sognare la bevanda scura di notte.
-”Se mai doveste andare in Italia, il caffè è una delle prime cose che dovete assolutamente assaggiare!”- aveva detto RM.
Come guidato dal dolce suono di un flauto, si alzò dal letto, si mise le pantofole ai piedi e seguì Delia in cucina. La trovò in piedi sulla soglia ad aspettarlo; con un gesto della mano lo invitò a sedersi al tavolo. Suga obbedì e si vide comparire sotto al naso una tazzina di caffè.
-”Thanks”- mormorò prendendo la tazzina bianca e rigirandosela tra le mani. L'odore pungente risalì lungo le sue narici. Socchiuse gli occhi, respirando a pieni polmoni l'aria impregnata di caffè.
Forse ho fatto bene ad alzarmi”, pensò.
-”Suga?”- lo chiamò Delia.
Suga, con la tazzina avvolta in entrambe le mani, si irrigidì. Il suo volto, riflesso nel caffè, era una maschera sconvolta, la personificazione del terrore.
Aveva sentito bene? Lo aveva davvero chiamato col suo stage name?
I battiti del suo cuore si erano improvvisamene fatti forti come cannonate. Si sentì mancare; era certo di essere impallidito. Si fece coraggio e alzò lo sguardo, incrociando gli occhi confusi della ragazza.
-”I... You... How is... Don't...”- balbettò in preda al panico.
Delia, stranita, gli mostrò un barattolo di ceramica.
-”Would you like some sugar?”- gli chiese.
Sugar.
Zucchero.
Non Suga.
Sugar.
Gli aveva chiesto se volesse dello zucchero.
Porca puttana, pensò sentendosi un cretino.
Era convinto che lo avesse chiamato per nome, invece gli aveva semplicemente chiesto se volesse dello zucchero nel caffè.
Le sorrise, teso e imbarazzato, e annuì. Mise un cucchiaino di zucchero nel caffè e prese a rigirarlo, cercando in tutti i modi di non alzare gli occhi e incontrare quelli di Delia. Sicuramente la ragazza aveva iniziato a pensare che il suo ospite non fosse del tutto sano di mente.
Maledetto inglese!”.
Sentiva il peso del suo sguardo su di sé. Per quanto ci provasse, gli risultava difficile sostenere lo sguardo di uno sconosciuto, di qualcuno con cui non avesse un certo grado di confidenza. Quella ragazza italiana lo metteva un po' a disagio. Era solare, disponibile e spigliata nei modi; a essere onesti, troppo esuberante per i suoi gusti.
Non appena finì l'ultima goccia di caffè, Delia gli chiese se gli fosse piaciuto. Suga annuì con non troppo entusiasmo, ancora scosso per il precedente fraintendimento unilaterale. Da brava italiana che si rispetti, gli chiese se avesse fame e se volesse magiare qualcosa. Suga scosse la testa: gli si era chiuso lo stomaco, probabilmente a causa del caffè e del panico.
Doveva smetterla di preoccuparsi quando era con Delia; ormai era chiaro che lei non seguisse né i BTS né il k-pop in generale. Con lei era al sicuro.
Provò a cambiare argomento e a distogliere l'attenzione di lei dal cibo e la sua dall'ansia. Le domandò a fatica, con un inglese che lasciava molto a desiderare, dove avesse intenzione di portarlo, che posti volesse fargli vedere. Delia andò su di giri e gli disse che lo avrebbe portato in due luoghi che lei amava e che sperava avrebbe apprezzato. Lo esortò ad andarsi a preparare. Suga non se lo fece ripetere due volte: tutto pur di stare da solo qualche minuto, giusto il tempo di calmarsi e di tornare a pensare razionalmente. Prese dall'armadio di tessuto il suo accappatoio e una piccola trousse da viaggio, staccò il cellulare dal caricatore e lo portò con sé in bagno. Mise la trousse sul lavandino e appese l'accappatoio dietro la porta, su un gancio a forma di stella marina. Prima di farsi la doccia lesse la risposta di sua madre al messaggio che le aveva mandato prima di andare a dormire. Si lasciò sfuggire un sorriso. Lasciò il telefono sopra al cesto dei panni sporchi, si spogliò ed entrò nel box doccia, iniziando a lavarsi. L'acqua calda scorreva sulla sua pelle, quasi lo scottava. Con gli occhi chiusi, fece un respiro profondo ed espirò lentamente.
Va tutto bene”.

 

Era da poco uscito dal bagno quando Delia spalancò la porta della sua stanza e attraversò di corsa il salotto. Suga, avvolto nel suo accappatoio ma con una mano pronta a sciogliere la cinta, si pietrificò.
-”Ma che cazzo...?!”- esclamò sorpreso.
-”Sorry, sorry!”- disse la ragazza in fretta entrando in bagno e chiudendosi a chiave.
Suga fissò la porta per qualche secondo, basito dall'improvvisa apparizione. Si guardò intorno e arricciò il naso. Doveva escogitare un modo per evitare spiacevoli e imbarazzanti incontri con la padrona di casa. Non aveva un separé, un'altra stanza in cui potersi cambiare senza mostrare al mondo italiano la sua mercanzia? Guardò lo sgabuzzino ma si ricordò del caos al suo interno. Strinse le labbra e decise che da quel momento in avanti si sarebbe cambiato in bagno.
Perché non sono andato in albergo?”.
Perché aveva deciso di immergersi il più possibile nella cultura italiana. Namjoon gli aveva consigliato di prenotare una guida turistica, ma Suga aveva rifiutato il consiglio. Non cercava una figura fredda e professionale che gli facesse vedere i classici luoghi turistici; aveva bisogno di qualcuno che gli mostrasse la vera faccia della Toscana e delle sue città, qualcuno che lo trattasse da pari, che non conoscesse la sua identità e che non si facesse influenzare dalla sua fama; aveva bisogno di qualcuno di genuino e spontaneo, proprio come Delia.
Era buffo come Delia avesse una personalità totalmente contrastante con la sua ma, al tempo stesso, fosse la persona più adatta ad accompagnarlo nel suo viaggio alla ricerca dell'ispirazione.
-”E' una enantiodromia...”- mormorò pensoso.
Gli si accese una lampadina in testa. Era un'idea quella che aveva appena avuto?
-”Cazzo!”-.
Con indosso solo una maglietta e un paio di mutande, si gettò sullo zaino, prese il taccuino e si annotò ciò che aveva appena pensato. Chiuse il libretto con soddisfazione, sentendosi improvvisamente carico e, soprattutto, positivo. Si era dato una settimana di tempo per scavare dentro di sé, osservare un mondo diverso da un'altra prospettiva e tornare a essere il Genio Min Suga: era pronto a tutto pur di far pace con se stesso.
Si vestì in fretta, ricordandosi della possibilità che da lì a qualche momento Delia avrebbe potuto fare capolino dal bagno. Su una t-shirt blu scuro a righe bianche mise una camicia a maniche corte nera a fantasia floreale bianca; cercò e trovò i pantaloni neri. Prese gli orecchini ad anello e se li rigirò tra le mani, indeciso se metterseli o meno. Si ricordò del giorno prima e di come Delia lo aveva guardato quando era entrato in camera sua, ma non riuscì a capire se quella della ragazza fosse stata un'occhiata compiaciuta o, addirittura, disgustata: in realtà gli era sembrata semplicemente sorpresa.
-”I like them”- sentì dire alle sue spalle.
Si voltò spaventato e si ritrovò a guardare in faccia una Delia sorridente e magicamente vestita. Quando era uscita dal bagno? Quando era rientrata in camera e si era cambiata? Lo aveva visto cambiarsi?
Suga avvampò e spalancò gli occhi. Quella ragazza era un ninja!
-”I like your earrings”- ripeté indicandoli.
-”T-T-Thanks...”- riuscì a stento a dire, imbarazzato.
Gli sorrise e gli disse che una volta truccatasi sarebbe stata pronta per uscire. Suga annuì, si mise gli orecchini e, in tutta fretta, iniziò a riempire lo zaino e, come sempre, nascose il volto dentro di esso. Delia andò in bagno ma lasciò la porta aperta. La vide avvicinarsi allo specchio e iniziare a truccarsi. Seduto sul divano-letto ancora aperto, appoggiò lentamente lo zaino per terra e osservò la ragazza. Stava canticchiando qualcosa, muovendo i fianchi a tempo e mettendosi il mascara sulle ciglia. Si accorse del suo sguardo e lo guardò, sorridendogli scoprendo i denti. Gli domandò se avesse mai visto una ragazza truccarsi. Le rispose di no, che era la prima volta.
Vedo solo ragazzi farsi truccare da altre persone”, avrebbe voluto dirle.
-”How old are you?”- le chiese.
-”I'm 22”- rispose la ragazza mettendo via i trucchi e ravvivandosi i capelli allo specchio.
Ventidue anni. Era più giovane di lui di tre anni.
-”Shall we go?”- gli disse andando a prendere la borsa in camera.
Suga riempì in fretta lo zaino, si mise il cappello con la visiera e indossò anche la mascherina. Sulla soglia di casa Delia lo guardò palesemente contrariata.
-”I need them”- si giustificò pacato.
-”Both?”- disse scettica.
Suga annuì. La ragazza non poteva sapere che gli servivano davvero, sia come supporto psicologico che come mezzo di prevenzione.
Delia borbottò qualcosa tra sé e sé e poi, finalmente aprì la porta.
-”Let's go!”- esclamò.











NOTE DELL'AUTRICE:
Ed ecco qua il primo capitolo side Suga (escludendo il prologo) :> Ho deciso che, a partire da questo capitolo, ogni giorno della settimana sarà suddiviso in tot parti (pari), alternando il pov di Delia con quello di Suga e mostrando le stesse situazioni viste e vissute da punti di vista diversi. Spero che l'idea di piaccia ^^
I testi dei dialoghi e delle battute sono solitamente in corsivo; quando vedete un testo o una battuta non in corsivo è perché il personaggio sta parlando nella sua lingua madre, ovvero nella lingua del suo pensiero.
Grazie a tutti per le vostre letture e, se avete qualche domanda o se volete farmi notare qualcosa, non peritatevi a scrivermi <3 
Fatemi sapere con qualche recensione cosa ne pensate!
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 9
*** Martedì - Pisa: Perché? ***


Camminai con Yoongi al mio fianco per una mezz'ora buona prima di raggiungere il primo dei due posti che avevo deciso di mostrargli.
Aveva un incedere tranquillo e, oserei dire, un po' buffo: tendeva a strascicare i piedi e le ginocchia erano lievemente piegate verso l'esterno. Più volte sghignazzai tra me e me pensando che avesse la tipica camminata da rapper. Contrariamente alle mie aspettative, teneva il naso per aria e osservava attentamente tutto quello che gli indicavo. Aveva una macchina fotografica appesa al collo e in mano teneva un taccuino su cui scribacchiava in continuazione, a volte in maniera quasi furiosa ed estatica. A un certo punto, quasi senza rendermene conto, gli avevo persino fatto una foto col cellulare. C'era qualcosa nel suo modo di scrivere che mi intrigava; sembrava fosse per lui un'azione necessaria e insostituibile, quasi come respirare.
-”Here we are”- dissi fermandomi e posando le mani sui fianchi. Gli indicai il cancello di fronte a noi e gli spiegai che ci trovavamo davanti a uno degli ingressi del Giardino Scotto, un'antica fortezza della città al cui interno si trova un meraviglioso parco.
Lo invitai a seguirmi all'interno. Annuì, mi raggiunse e, compiaciuta, lo vidi spalancare gli occhi e guardarsi attorno come un bambino. Si spostò la mascherina sotto al mento e sussurrò un “Wow”. Mi superò, si piazzò in mezzo al sentiero che portava all'anfiteatro naturale e scattò qualche foto alle siepi di alloro, ai colorati tavoli da studio situati dentro a quelle che un tempo erano gabbie per i pavoni del giardino, alle statue raffiguranti dei piccoli angioletti...
Divertita dalla sua meraviglia, invadetti il campo della sua macchina fotografica e mi feci fotografare. Yoongi mi lanciò una strana occhiata e mi sorrise.
-”Not bad”- commentai guardando con lui la mia foto.
Entrambi alzammo gli occhi dallo schermo e i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi a mandorla si ridussero a due fessure strettissime. Fece un passo indietro, poi un altro e ancora un altro. Lo guardai curiosa, non capendo cosa volesse fare. Alzò la mano sinistra e indicò qualcosa. Mi girai a guardare quello che Yoongi mi aveva indicato e sentii un lievissimo clic: il suono di uno scatto.
-”Did you take a photo of me?”- gli domandai divertita e sorpresa.
Si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo sulla macchina fotografica. In tutta risposta presi il mio cellulare e gli scattai una foto.
-”Now we're even”- cinguettai sventolandogli il cellulare sotto al naso.
Trascorremmo più di un'ora a zonzo per il Giardino Scotto.
Yoongi volle vederne e fotografarne ogni angolo. Mi seguiva come un anatroccolo, destreggiandosi tra fido taccuino e macchina fotografica. Non lo vidi mai prendere in mano il cellulare, non so se per mancanza di mani libere o per meraviglia di fronte a tutto ciò che gli mostravo. Era pazzesco: si aggirava in preda alla frenesia, fotografava e si annotava anche il più insignificante elemento; sembrava un bambino che vedeva per la prima volta il mondo. Ripeteva come un disco rotto un'unica frase: What is this?”.
La sua meraviglia era tenerissima.

 

Erano le undici passate quando, finalmente, ci sedemmo a uno dei tavolini esterni del bar che si trovava all'inizio del Viale delle Piagge. Dal piccolo soppalco esterno si aveva una perfetta visuale del fiume e delle sue sponde. Gli alberi attorno, dei grossi tigli, proiettavano la loro ombra su di noi.
Chiusi gli occhi appoggiando la schiena allo schienale di finta paglia della sedia su cui, un attimo prima, mi ero seduta con poca grazia. Le mie gambe erano distrutte, non ne potevo più di stare in piedi e di camminare. Socchiusi una palpebra e guardai di sottecchi Yoongi mentre sbocconcellava il panino cotto e fontina che si era comprato. Si era tolto la mascherina e l'aveva infilata nello zaino; il cappello, invece, era stato posato sul tavolo, accanto alla mia lattina di Coca-Cola ancora intonsa.
Dopo un po' il suo silenzio iniziò a mettermi a disagio.
Presi il pacchetto di sigarette dalla borsa, allungai la mano sull'altro tavolo, presi il posacenere e mi accesi una sigaretta. Yoongi, nel rendersi conto di ciò che avevo appena fatto, smise per un attimo di masticare e mi lanciò un'occhiata che a me parve sorpresa e contrariata.
-”I know, I know...”- alzai gli occhi al cielo. -”It will kill me”-.
Notai che mi stava guardando le mani. Le guardai anche io, domandandomi se avessi qualcosa o se mi si fossero sporcate. Non trovando niente che non andasse, mi schiarii la gola, cercando di attirare l'attenzione di Yoongi. Sbatté le palpebre un paio di volte, spostando lo sguardo su di me e guardandomi con aria assente.
-”Are you okay?”- gli domandai dopo aver preso una boccata di fumo.
Annuì, distogliendo lo sguardo da me e gettandolo a terra, e posò quel poco che restava del suo panino sul piattino. Si pulì le mani alla buona, strofinandole tra loro; vedendolo in difficoltà gli porsi un fazzoletto di carta. Mi ringraziò con un cenno del capo e io stetti a fissarlo finché non riprese a mangiare.
Mi appoggiai allo schienale della sedia e, con la sigaretta stretta tra due dita, incrociai le braccia al petto. C'era qualcosa in Yoongi che non quadrava; avevo una strana sensazione addosso, una serie di piccoli interrogativi che, messi insieme, componevano un enorme dubbio: per quale motivo un giovane ragazzo coreano ha deciso di affrontare un viaggio da solo, in Italia, senza avere un'ottima conoscenza della lingua o per lo meno dell'inglese? Cosa aveva spinto Yoongi ad allontanarsi dalla sua terra natia?
-”Yoongi...”- iniziai quando vidi che aveva finito di mangiare. -”Can I ask you a question?”- dissi spegnendo la sigaretta nel posacenere di plastica.
I suoi occhi a mandorla mi squadrarono sospettosi; nonostante ciò, annuì.
-”Well, why are you here? Why did you come to Italy?”-.
Le sue labbra si socchiusero e il suo sguardo iniziò a vagare per aria. Yoongi si mosse a disagio sulla sedia e prese a massaggiarsi il lobo dell'orecchio. Il ritardo della sua risposta mi fece pensare di aver toccato un tasto dolente o di aver posto una domanda troppo personale. Mi scusai, dicendogli che non era obbligato a rispondere e che mi dispiaceva se gli avevo fatto una domanda scomoda. Il mio ospite abbozzò un sorriso imbarazzato e, col suo solito inglese incerto, disse che era venuto in Italia perché aveva perso qualcosa.
-”I lost my inspiration”- concluse stringendosi nelle spalle.
Disse quella frase con tristezza e frustrazione. Vidi nel suo sguardo distante del forte dispiacere e, per un momento, avvertii l'impulso di stringergli una mano e di rassicurarlo.
-”So, you're an artist”- mi limitai invece a dire accendendomi un'altra sigaretta.
Yoongi mi guardò e, reazione per me incomprensibile, si lasciò sfuggire una brevissima risata. Per qualche strano motivo mi sentii presa in giro. Mi scrollai di dosso quella bruttissima sensazione e interrogai Yoongi con lo sguardo, continuando a non capire cosa lo avesse fatto reagire in quel modo.
-”I'm...”-.
Il discorso morì sul nascere perché il suo cellulare prese a vibrare. Yoongi lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni, guardò il display e si scusò, facendomi capire che si sarebbe allontanato per rispondere alla telefonata. Lo guardai alzarsi dal tavolo e allontanarsi, avvicinandosi alla spalletta che dava sul fiume alle spalle del bar e portandosi il cellulare all'orecchio.
Tenendo sotto controllo il mio ospite come una madre che non perde di vista il figlioletto, appoggiai i gomiti sul tavolino e mi sorressi la testa con una mano mentre con l'altra mi portavo la sigaretta alle labbra, pensosa e ancora un poco turbata dalla strana e quasi ironica risata di Yoongi.

 

 










NOTE DELL'AUTRICE:
Ho finito la sessione estiva e sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo! Vi chiedo scusa per l'attesa ma non ho potuto fare altrimenti ><
Anche se ad agosto dovrò riprendere a studiare in vista della sessione di settembre, è molto probabile che io riesca a portare avanti la storia. Posso contare sul vostro supporto e sulla vostra pazienza? <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^


 

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Capitolo 10
*** Martedì - Pisa: Perché? (S) ***


Se si trattava di una semplicissima strada di negozi, perché era così su di giri?
Quella che la sua improvvisata guida turistica aveva chiamato “Borgo Stretto” era una via stretta costeggiata da due logge sotto alle quali fiorivano principalmente bar, caffetterie e negozi di abiti. Nelle grandi e brillanti vetrine venivano sfoggiati appariscenti vestiti dai prezzi altissimi. Delia gli spiegò che, trovandosi nel centro storico di Pisa, era normalissimo incappare in boutique di alta moda.
Ah, il capitalismo”, pensò allontanandosi dall'ennesima e ricca vetrina.
I palazzi che si affacciavano su Borgo Stretto erano molto diversi dagli edifici a cui era abituato. Era impossibile vedere delle strutture del genere a Seoul e generalmente in Sud Corea. Sembravano dei bellissimi palazzi medievali. Chissà, forse da quel balconcino una volta era solita affacciarsi una dama importante e bellissima!
Delia parlava a ruota, muovendo l'indice per aria e indicandogli prima quello stemma poi quella colonna, una targa particolare e un negozio. Suga venne investito e sommerso da una miriade di informazioni, sia uditive che visive; si sentì scoppiare la testa, ma in senso buono. Era come se il vento dell'ispirazione avesse momentaneamente ripreso a soffiare.
Cazzo...!”, pensò estatico tracciando velocemente parole e concetti sul suo quadernino. Sentiva gli occhi di Delia addosso ma non ci fece tanto caso: aveva cose più importanti a cui pensare, come palazzi da fotografare e frasi da imprimere su carta.
Camminarono sul Lungarno e, dopo una mezz'ora di cammino, raggiunsero una fortezza in mattoni rossi nei pressi dell'Arno. Il grande cancello in ferro davanti a loro era aperto e al suo interno Suga riuscì a intravedere un giardino e un'area giochi per bambini.
-”Here we are”- disse Delia soddisfatta. Gli descrisse brevemente il luogo, il Giardino Scotto, e lo invitò a seguirla al suo interno.
D'accordo, vediamo che posto è”, pensò annuendo e raggiungendo la ragazza che nel frattempo aveva varcato il cancello.
Una volta entrato, Suga rimase imbambolato di fronte a tutto quel verde che non si sarebbe mai aspettato di trovare dentro una fortezza. C'era un sentiero grigiastro che, snodandosi parallelamente a un muro di siepi di alloro, svoltava a destra e portava Dio solo sa dove. A sinistra del sentiero, all'altezza di una grande scalinata in pietra dall'altra parte della piccola strada, vi erano dei tavolini colorati posti sotto a una specie di cupola di ferro intrecciato. Suga infilò il quadernino nello zaino e sentì le proprie mani scivolare sulla macchina fotografica di Jungkook. Poteva forse lasciarsi sfuggire uno spettacolo del genere? Certo che no.
Prese a fare foto a destra e a manca, non prestando particolare attenzione alla luce, alla posizione, all'inclinazione. Jungkook e V avrebbero potuto ucciderlo per la sua noncuranza, soprattutto il maknae. Si girò verso la siepe di alloro e, per la gioia dei suoi amici, si sforzò di fare una foto decente. Si piegò sulle ginocchia e inquadrò nell'obbiettivo la panchina di pietra con alle spalle la siepe verde. Pochi secondi prima di premere il pulsante dello scatto, Delia si gettò sulla panchina. Suga scattò la foto e strabuzzò gli occhi quando vide che quel ciclone italiano era riuscito a entrare nella foto. Alzò lo sguardo dallo schermo della macchina fotografica e guardò Delia. La faccia divertita della ragazza lo fece sorridere di riflesso. Gli si avvicinò e lui le porse la macchina fotografica, facendole vedere lo scatto.
-”Not bad”- commentò Delia annuendo.
Alzarono entrambi gli occhi e i loro sguardi si incrociarono.
Un momento...”.

Suga socchiuse gli occhi. Dietro Delia gli alberi ai lati del sentiero formavano una specie di arco naturale, una sorta di architettura verde di rami e foglie intrecciati; il sole filtrava attraverso le fronde e si tramutava in piccole gocce di pioggia dorata costellate per terra. Senza rifletterci troppo, Suga si allontanò da Delia di qualche passo. L'espressione confusa dipinta sul volto della ragazza era impagabile; nascosto dietro la grossa macchina fotografica professionale, Suga abbozzò un sorriso. Per completare la sua opera artistica, alzò un dito e indicò un oggetto non ben definito alle spalle di Delia. La ragazza si girò di scatto, curiosa di scoprire cosa Yoongi stesse cercando di fare.
...Perfetto”, pensò Suga scattando la foto.
-”Did you take a photo of me?”- gli chiese subito Delia, tra il divertito e il sorpreso.
Suga si strinse nelle spalle e abbassò lo sguardo sulla macchina fotografica, entrando nella galleria per controllare la foto appena fatta. Non fece in tempo a guardarla che sentì Delia sghignazzare. La guardò e si vide penzolare sotto al naso il cellulare della ragazza.
-”Now we're even
”- gli disse su di giri.
Non fece in tempo a chiederle cosa avesse appena detto che Delia si allontanò e lo esortò a sbrigarsi a raggiungerla. Esasperato dal brio della padrona di casa ma, allo stesso tempo, divertito dalla sua gioia, lanciò un'ultima occhiata allo schermo della macchina fotografica prima di tornare alla modalità fotografo.
Quello scatto rubato, quella foto fatta a una ignara Delia di spalle, si impresse in maniera indelebile nella sua retina.

 

 

Per qualche assurdo motivo non riusciva a togliersi dalla mente la foto che aveva scattato a tradimento a Delia. Era come se qualcuno gliel'avesse marchiata a fuoco nel cervello. Abbassava le palpebre e tutto quello che riusciva a vedere erano le spalle della ragazza e i suoi capelli mossi e palesemente tinti. Si fece coraggio e, addentando in maniera poco convinta il panino che aveva appena comprato al bar, spostò il suo sguardo sfuggevole su Delia, seduta di fronte a lui. La luce del sole pareva danzare sui suoi capelli rosso mogano e la pelle chiarissima del viso si era un poco arrossata per colpa del sole e del caldo. Per la prima volta notò che gli occhi della ragazza, dal taglio lievemente all'ingiù, erano di uno strano verde: sembravano due nocciole adagiate su un letto di muschio.
I suoi vaneggianti pensieri vennero interrotti da un odore asfissiante e pungente. Suga sbatté le palpebre e notò del fumo grigiastro elevarsi dalle mani di Delia. Guardò la ragazza e smise immediatamente di mangiare. Delia stava... fumando? Quella ragazza fumava? Le scoccò un'occhiataccia.
-”I know, I know”- disse subito lei alzando gli occhi al cielo. Probabilmente non era la prima volta che qualcuno la giudicava per il suo vizio. -”It will kill me”-.
Ovviamente l'avrebbe uccisa! Di certo non le avrebbe allungato la vita o fatto vincere un sacco di soldi alla lotteria! Suga scosse impercettibilmente la testa, un po' deluso da Delia. Non si sarebbe mai aspettato che fumasse.
A un tratto gli occhi gli caddero sulle mani della ragazza e ne rimase folgorato. Aveva mai visto delle mani così belle? Candide quasi come la neve, dalle unghie lunghe ma curate e laccate di azzurro, e dalle dita eleganti e affusolate. Gli balenò in mente l'immagine di Delia che suonava un pianoforte e si sentì un cretino nel pensare che gli sarebbe piaciuto fare un duetto con lei.
Ma per favore”, si riprese subito. “Suga fa duetti solo con Min Yoongi”.
Irrigidì il volto e fece schioccare la lingua. Perdere tempo dietro a pensieri inutili non era nel suo stile. L'astinenza da idee creative si faceva sentire...
Delia si schiarì la gola e solo allora Suga si accorse di aver passato tutto il tempo a fissarle le mani. Gli chiese se stesse bene e Suga, imbarazzato dalla figuraccia appena fatta, annuì rapidamente e distolse lo sguardo, posando il panino sul piatto e iniziando a sfregarsi le mani. L'unto e le briciole del pane sembravano intenzionati a non togliersi di dosso.
Porca puttana!”, pensò esasperato.
Delia venne in suo soccorse e gli porse un fazzoletto di carta. La ringraziò brevemente e, quasi con rabbia, si strofinò le mani, guardando compiaciuto quelle briciole bastarde che scivolavano via dalle sue mani. Appallottolò il fazzoletto e lo lasciò nel piattino. Riprese il panino in mano e, stando attento a non guardare Delia, si adoperò per finire di mangiare il suo pranzo anticipato.
Delia lo stava fissando, ne era sicurissimo. Sentiva il peso del suo sguardo su di sé, penetrante e fisso come un ago, come quell'ago che giorni prima gli aveva torturato il cervello. Chiuse per un momento gli occhi, sentendosi parecchio a disagio, e si lasciò scappare una silenziosa imprecazione quando gli si parò davanti, per l'ennesima volta, l'immagine della foto che aveva scattato a Delia al Giardino Scotto.
Ora mi cavo gli occhi, cazzo”.
Finì di mangiare in fretta e furia, desideroso di tornare in appartamento e di nascondersi dietro allo schermo del suo computer portatile.
-”Yoongi, can I ask you a question?”- disse Delia dopo dei pesantissimi minuti di silenzio.
E ti pareva?”, pensò Suga irritato. La guardò con sospetto, notando un po' di nervosismo nei suoi occhi verdastri. Annuì controvoglia.
-”Well, why are you here? Why did you come to Italy?”-.
Perché era venuto in Italia? Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione. Delia era una ragazza alquanto impicciona, era certo che presto sarebbe giunto il momento della fatidica domanda. Per grazia divina lei non era una fan del k-pop e pareva totalmente estranea a quel mondo. Avrebbe potuto dirle la verità, che era un cantante, un idol di fama mondiale, ma a che scopo? A mandare a puttane la sua vacanza?
Non sapeva proprio cosa risponderle.
Delia notò la sua esitazione e si scusò subito, ma Suga scosse la testa. Raccolse un po' di coraggio e si buttò in una lacunosa spiegazione in inglese, cercando di essere il più chiaro possibile. Le disse che aveva bisogno di tempo per stare con se stesso e i suoi pensieri, che aveva perso qualcosa di molto importante e che era intenzionato a fare di tutto per ritrovarla: la sua ispirazione.
-”So, you're an artist”-.
L'innocente affermazione dell'ignara Delia fece ridere Suga. Era come se qualcuno, dopo aver incontrato George Clooney, gli avesse detto “Ah, sei un attore”. Suga rise, beccandosi un'occhiataccia da parte di Delia, ma si ricompose subito. In fondo, che colpa aveva Delia se non era una fan dei BTS?
Provando quasi dispiacere per la sua ingenuità, Suga decise di dirle che era un artista, un compositore. Aprì bocca per risponderle quando avvertì chiaramente la vibrazione del suo cellulare.
-”Excuse me”- disse alzandosi dal tavolo e indicando il cellulare.
Si allontanò dal bar in tutta fretta e rispose al telefono prima che smettesse di vibrare. La voce acuta di Jimin lo costrinse ad allontanare un poco l'apparecchio dall'orecchio.
-”Hyung! Disturbiamo?”- domandò l'amico.
-”Jimin, ti sento anche se non urli”- borbottò Suga infastidito. -”Disturbiamo? Chi è con te?”- gli chiese accigliato.
-”La Maknae Line!”-.
Certo, è chiaro: chi se non i ragazzetti avrebbe potuto pensare di disturbarlo? Si passò una mano sul volto e sospirò. Nel farlo chiuse gli occhi e, nuovamente, vide l'immagine-fantasma di Delia.
-”Jimin”- disse colto da un'improvvisa idea. -”Passami Jungkook”-.
-”Non vuoi parlare con me?”-.
-”Ti chiami Jungkook?”-.
-”No...”-.
-”Ecco, ti sei risposto da solo. Muoviti, non ho molto tempo”-.
Sentì Jimin sbuffare e lamentarsi dall'altro capo del telefono. Il ballerino chiamò il Golden Maknae e gli passò il cellulare.
-”Hyung, hai qualche problema con la macchina fotografica?”- domandò Jungkook allarmato.
Suga strinse le labbra.
-”Non proprio. Avrei bisogno di parlare con un... fotografo. Ho fatto una foto qualche ora fa e non riesco a togliermela dalla testa”- spiegò.
Passarono alcuni secondi prima che Jungkook rispondesse.
-”...E quindi?”- chiese confuso.
No, l'animo pragmatico di Jungkook non andava bene. Gli serviva qualcuno con un occhio più artistico e meno realistico, qualcuno che, se avesse potuto, avrebbe trascorso la vita a inseguire fate, alieni e unicorni.
-”Passami Taehyung”- ordinò a Jungkook con un sospiro esasperato.
-”Sono già qui!”- gridò la voce profonda di V. -”Fammi parlare in privato con lui”- disse a Jungkook. -”Hyung, eccomi. Hai qualcosa da dirmi? Sei stato da Gucci?”-.
-”Zitto e ascoltami”- ringhiò Suga. Per un momento si pentì di aver risposto alla chiamata. -”Quando scatti una foto, ti capita mai di continuare a vederla anche se non ce l'hai sotto mano?”-.
-”Certo”- rispose V come se fosse una cosa ovvia.
-”Quindi mi capisci. Allora sai dirmi perché? Perché la vedo ovunque?”- lo incalzò Suga, desideroso di conoscere il motivo.
-”Be', non è chiaro? Perché ti piace”-.

 

 

Taehyung si scostò il cellulare di Jimin dall'orecchio e guardò accigliato il display.
-”Cos'è successo?”- domandò Jimin notando la strana espressione dell'amico.
-”Mi ha buttato giù”- borbottò V offeso. -”Solo perché gli ho detto che gli piace una foto”-.

 

 













NOTE DELL'AUTRICE:
Non se l'aspettava nessuno il nuovo capitolo, vero? >:) Credevate che avrei impiegato un'eternità ad aggiornare, eh? E INVECE! Le vostre recensioni positive mi hanno caricata e mi hanno spinta a scrivere subito il capitolo; vi devo ringraziare tantissimo <3
Devo ammettere che, di tutti i capitoli che ho scritto fin'ora, questo è per il momento il mio preferito.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 11
*** Mercoledì - La mia preoccupazione ***


Mi erano bastati un paio di giorni per capire che per Yoongi il sonno era più prezioso di un sacchetto di diamanti. Lo agognava, lo desiderava con tutto se stesso. Io dipendevo dalla nicotina, lui da cuscini e materassi. L'unica differenza era che la mia dipendenza, a lungo andare, mi avrebbe uccisa, mentre la sua poteva solamente fargli del bene.
Perciò, conscia di quanto dormire gli servisse e gli piacesse, mercoledì mattina non lo svegliai subito. Uscii da camera mia in punta di piedi e, rapida come un ratto, mi infilai in cucina, socchiudendo con cura la porta. Feci una piroetta, afferrai al volo il posacenere di vetro verde e uscii sul terrazzo, sorridendo come un'ebete e spalancando le braccia, pronta a fare un meraviglioso comizio al pubblico composto da due gatti intenti nella loro toeletta mattutina.
Mi vergogno ad ammetterlo, ma ero su di giri perché sentivo di aver ricevuto il tacito consenso da parte di Yoongi per fumare in casa.
Per rispetto nei suoi confronti avevo deciso di designare il terrazzo “Area fumatori”, perciò, da un certo punto di vista, non stavo dando fastidio a nessuno. Certo, molto probabilmente la puzza di fumo sarebbe entrata in cucina, ma, in quel caso, sarebbe semplicemente bastato accendere per qualche minuto la ventola della cappa.
-”...E puff, problema risolto!”- sogghignai accendendomi la prima sigaretta della giornata.
Mi appoggiai coi gomiti alla ringhiera e, piegandomi un poco in avanti, feci penzolare gli avambracci nel vuoto. Il cielo azzurro chiaro presagiva un'altra splendida giornata di sole. Mi ficcai la sigaretta in bocca e corrugai la fronte, iniziando a pensare a dove avrei potuto portare Yoongi.
Sempre che non voglia dormire per tutto il giorno”.
Per quanto amassi la mia città e fossi sempre pronta a farle pubblicità, dovetti ammettere di aver giocato tutte le mie carte; era perciò giunto il momento di cambiare location. Dove avrei potuto portare Yoongi? Cosa avrei potuto fargli vedere?
Alzai nuovamente lo sguardo al cielo e, come ispirata da una luce divina, la risposta al mio interrogativo mi giunse alle orecchie, delicata e pacata come la voce di un angelo.
-”Nedo, ti voi move? Ci s'ha ir busse da prende, mi'a c'aspettano velli lì!”-.
-”T'ho detto n'attimo, maremma 'mpestata! Guarda che Marina un scappa!”-.
Spensi la sigaretta nel posacenere e presi una boccata d'aria fresca a pieni polmoni, continuando a udire le urla della coppia di vecchietti che, alle nove di mattina, aveva deciso di andare a Marina di Pisa e di farlo sapere a tutto il quartiere. Sicuramente a nessuno interessava quell'informazione, ma a me allettò parecchio, perché quella simpatica e pimpante coppietta mi aveva appena suggerito la prossima meta del viaggio turistico di Yoongi.
Contenta e soddisfatta, rientrai in cucina, posai il posacenere sul tavolo e mi sedetti su una sedia, mandando un messaggio alla mia compagna di corso Michela dicendole che sarei mancata alle lezioni; le chiesi inoltre se potesse, a fine giornata, mandarmi gli appunti della lezione di Letteratura Inglese, un corso per cui avevo deciso di dare l'esame nel primo appello di giugno.
Con mia grande sorpresa, Michela, invece di rispondere al messaggio, mi chiamò.
-”Miche?”- risposi preoccupata. Da quando ci eravamo conosciute, due anni prima, Michela non mi aveva mai telefonato. -”E' successo qualcosa?”-.
-”Questo me lo devi dire tu”- rispose lei con voce squillante. -”Non è da te saltare Letteratura Inglese”-.
Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
-”Ho un ospite a cui sto facendo da guida turistica”- le spiegai.
-”Ah, soldi!”- esclamò Michela. -”Sei giustificata. Quanto si trattiene il fenomeno?”-.
-”Una settimana”- risposi riempiendo il bricco del tè di acqua. -”Lunedì torna a casa”-.
-”Dove?”- chiese curiosa.
-”Sud Corea”-.
Michela scoppiò a ridere e sentii che era in arrivo una delle sue solite squallidissime battute.
-”Attenta a non perderlo in Piazza dei Miracoli! Ti servirebbe un miracolo per ritrovare quello giusto!”-.
Scossi la testa rassegnata e accesi il fornello sotto al bricco. Liquidai Michela prima che potesse uscirsene con un'altra battuta e mi infilai il cellulare nella tasca dei pantaloncini. Tornai a sedermi sulla sedia pieghevole di legno e accavallai le gambe, riflettendo su Marina di Pisa e augurandomi che Yoongi si svegliasse presto.

 

 

11:47, ora italiana.
Di Min Yoongi ancora nessuna traccia.
Dopo aver fatto colazione e pulito la cucina, mi ero chiusa in camera mia, spinta dai sensi di colpa nei confronti dell'università, e avevo tentato di mettermi in pari col programma di Linguistica Generale.
Ho detto bene: avevo tentato.
Avevo notato, sfogliando le pagine del libro e prendendo appunti sul quaderno, di avvertire uno strano senso di fastidio; c'era qualcosa che mi stava urtando i nervi e che mi rendeva perciò difficile concentrarmi.
Chiusi il libro con un tonfo secco e gettai la penna sul tavolo, come se mi stesse ustionando le mani. Pacchetto di sigarette alla mano, uscii da camera mia e sentii gli occhi ridursi a due fessure incattivite quando vidi quel fagotto informe di Yoongi ancora steso sul divano-letto. Capii improvvisamente quale fosse la causa del mio fastidio e, istintivamente, feci schioccare la lingua.
Ero infastidita, parecchio infastidita, dall'accidia del mio ospite; sembrava che fosse nato per poltrire. D'accordo, lui era in vacanza, a quanto mi aveva detto il giorno prima ne aveva bisogno... Ma io no. Io, con un'impegnativa sessione estiva in agguato, non potevo permettermi di perdere tempo, di dormire dalla mattina alla sera e di fare da balia a un coreano con la voglia di vivere pari a quella di un sasso. Per anni avevo lottato contro la vita (e contro i miei genitori) per sopravvivere e restare a galla. Il primo anno universitario mi aveva dato una batosta micidiale; mi aveva presa a calci e a pugni e mi aveva guardata dall'alto, sputandomi addosso. Paradossalmente, un'attività distraente e dispersiva come l'home sharing mi aveva dato la forza di reagire e di tornare ad affrontare la vita con serenità e ottimismo.
Dopo la notte il sole sorge sempre”.
Vedere Yoongi lasciarsi dominare dal sonno e non curarsi minimamente della mia persona mi fece girare le scatole, e non poco.
Con rabbia mi ficcai la sigaretta in bocca e serrai la mascella.
-”Come se io non avessi un cazzo da fare”- sibilai a denti stretti.
Yoongi, a un tratto, si mosse. Ancora addormentato, si rigirò un po' nel letto finché non si mise su di un fianco, rivolto verso di me. Vidi le sue sopracciglia inarcarsi e aggrottarsi. Le sue labbra tremolarono, la punta del naso si arricciò per un attimo.
Sta sognando?”, pensai avvicinandomi a lui in punta di piedi.
La mia rabbia scemò e lasciò il posto al dispiacere e al senso di colpa quando vidi, dalle sue palpebre abbassate, fuoriuscire una lacrima.
-”Yoongi!”- lo chiamai togliendomi di bocca la sigaretta e mettendomela su un orecchio.
Yoongi aprì di scatto gli occhi. Mi guardò con sguardo vitreo, assente; dopo che mi ebbe messa a fuoco si tirò su a sedere, si passò il dorso della mano sugli occhi e volse il capo dall'altra parte, chiaramente per evitare di guardarmi.
-”Are you okay?”- gli domandai posandogli una mano sulla spalla.
-”Yes”- disse con voce dura. Si scrollò di dosso la mia mano, si alzò dal letto e, senza dire una parola, entrò in bagno, chiudendosi a chiave.
Fissai la porta del bagno per un minuto buono, ferma e immobile come un soldatino di piombo.
Nel giro di pochissimo tempo mi resi conto di non conoscere per niente Yoongi e di non avere il diritto di giudicare la motivazione che stava dietro al suo viaggio.
Il mio problema e la mia preoccupazione principale era l'università; quella di Yoongi, invece, quale era?



















ANGOLO AUTRICE
Come alcuni di voi già sanno, in questi ultimi giorni sto avendo dei seri problemi di connessione col modem di casa, per cui tutte le mie attività (lettura, recensioni, aggiornamenti e, soprattutto, studio universitario) stanno procedendo a rilento (troppo a rilento, oserei dire) >:(
Questo breve capitolo non reca il nome della prossima città che i due protagonisti visiteranno per il semplice fatto che, come si evince dal testo, la "coppia che scoppia" si trova ancora in casa :>
Nella speranza che i tecnici riescano a risolvere il problema asap (son tre giorni che sto senza una connessione stabile), mi auguro che la mia storia vi stia piacendo e vi esorto a non fare i timidi e a dirmi cosa ne pensate <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

 

 

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Capitolo 12
*** Mercoledì - La mia preoccupazione (S) ***


C'era un'altissima siepe che si stagliava dinnanzi ai suoi occhi.
Alzò lo sguardo, reclinando la testa all'indietro e, con una mano, si parò gli occhi dalla luce del sole rovente. L'enorme muro verde sembrava insormontabile. Suga ci si avvicinò; con mano malferma accarezzò una foglia dalla forma ogivale e dalla nervatura centrale bianchissima. La staccò dalla siepe e se la portò al naso, annusandola.
Alloro.
Si rigirò la foglia tra le dita per qualche secondo, finché questa, in principio verde brillante, sfumò il suo colore: divenne marrone, si seccò e si sgretolò tra le mani da pianista di Suga. Il ragazzo dai capelli neri fece un passo indietro e vide le foglie di alloro seccarsi, una a una. Presto della rigogliosa siepe rimase solo uno scheletro aggrovigliato composto da rami sottili e glabri. La caduta delle foglie permise a Suga di vedere ciò che la siepe stava celando: un piccolo giardino lastricato dalla pianta quadrata, con al centro un elegante tavolo rotondo in ferro laccato di bianco e numerose sedie occupate da losche figure avvolte da un soprabito nero; i loro volti erano nascosti da dei cappucci.
-”Non trovate che sia penoso?”- disse una delle persone lì riunite. Aveva una voce calma, dotata di un tono autorevole e deciso. -”Siate onesti”- esortò i compagni.
-”Fastidioso”- sentenziò la persona alla sinistra della prima.
-”Maleducato”- sputò una terza.
-”Perdente”- sospirò la quarta, di fronte alla seconda.
-”Noioso”- affermò la quinta scuotendo il capo lentamente.
-”Inutile”- giudicò la sesta.
-”Un fallito”- dissero in coro la settima e l'ottava. Queste ultime stavano sedute l'una accanto all'altra a distanza ravvicinata.
La prima persona ad aver parlato si alzò in piedi e si portò entrambe le mani al cappuccio. Lo tirò indietro, rivelando il proprio volto.
-”Oggettivamente parlando, è il peggiore della Rap Line”- disse Namjoon soffermando lo sguardo su ognuno dei presenti.

-”...Il tuo rap fa schifo...”- sussurrò una voce non ben definita alle orecchie di Suga.

La seconda e la terza persona si alzarono in piedi simultaneamente, imitando Namjoon e scoprendo il viso.
-”Non sa nemmeno ballare”- disse Hoseok portandosi una mano alla fronte.
-”Peggio di me, davvero!”- sghignazzò Seokjin.

-”...Sei un idol mediocre...”-.

La quarta persona incrociò le caviglie sul tavolo e si abbassò il cappuccio. Si passò una mano tra i capelli e guardò i compagni.
-”Vogliamo parlare del fatto che non stia più né componendo né scrivendo canzoni? E' l'unica cosa che sa fare e non la sta facendo”- sbottò Jimin irritato.

-”... Qual è la tua utilità...?”-.

-”Mi è sempre stato antipatico. Non sa scherzare, non sa divertirsi!”- si lamentò la quinta persona, rivelandosi come Taehyung.

-”...Sei un morto che cammina...”-.

La sesta persona si alzò in piedi, come per primo aveva fatto Namjoon, e sul suo volto, ora scoperto, si dipinse un'espressione disgustata.
-”Adesso che non è più in grado di mettere in fila due note, cosa ce lo teniamo a fare? Scommetto che senza di lui avremmo più successo”- disse Jungkook. Le sue parole furono seguite da un mormorio di consenso.

-”...Sei un inetto, un insignificante inetto...”-.

Le ultime due figure, le persone sedute accanto, non si alzarono. Si tolsero i cappucci e si presero per mano.
-”Noi glielo abbiamo sempre detto di lasciar perdere, che la carriera da musicista non era la strada giusta”- dissero in coro i genitori di Suga.

-”...Hai sbagliato tutto...”-.

Poi, come se si fossero improvvisamente accorti della presenza di Suga oltre la scheletrica siepe, voltarono tutti il capo nella sua direzione.
-”Faresti meglio a morire, Yoongi!”- scoppiarono a ridere sguaiatamente.

 

 

Suga si svegliò bruscamente dal sonno. Spalancò gli occhi e gli si parò dinnanzi la faccia struccata e preoccupata di Delia.
Ancora lei, di nuovo lei, sempre lei.
Lo stava guardando con ansia e apprensione. Si era raccolta i capelli in un alto chignon scomposto dal quale qualche ciocca ribelle stava lottando per gridare fuori dal coro. Il suo sguardo preoccupato era accentuato da un lieve accenno di occhiaie, le classiche occhiaie da studente in piena sessione di studio.
Suga distolse gli occhi da Delia, si tirò su a sedere e sbatté le palpebre, più e più volte; aveva la vista annebbiata dalle lacrime. Si asciugò le guance e gli occhi con il dorso delle mani e girò il capo dall'altra parte. Ne aveva abbastanza di essere giudicato dagli occhi silvestri di Delia.
-”Are you okay?”- gli domandò la ragazza posandogli una mano sulla spalla.
Stava bene? No, per niente.
Suga, il Genio Min Suga, stava letteralmente morendo.
Le rispose di sì, le disse che stava bene. Si scrollò di dosso la di lei bellissima mano da pianista e, senza aggiungere altro, si alzò dal letto ed entrò nel bagno, chiudendosi a chiave.
Si appoggiò con la schiena alla porta e scivolò lentamente a sedere per terra. Si portò le ginocchia al petto e poggiò la fronte sulle gambe, chiudendo con forza gli occhi e mordendosi il labbro inferiore. Il ricordo del sogno, dell'incubo, lo colpì con forza e fece riaffiorare in lui tutti i timori e le paure contro cui, nel corso di ormai cinque anni, aveva lottato: l'ansia sociale, la depressione e l'ansia da prestazione.
Delia non poteva essere a conoscenza delle sue preoccupazioni, eppure, per qualche assurdo motivo, Suga si ritrovò ad avercela con lei.
Tirò su col naso e si asciugò con rabbia la lacrima appena sgorgata dal suo occhio sinistro.
Si rese conto di aver inconsciamente fatto affidamento su di lei, sulla sua disponibilità e sulla sua gentilezza; si era convinto che Delia si stesse comportando in quella maniera perché aveva capito e si era accorta del suo disagio e dei suoi problemi; credeva fermamente che la ragazza italiana, senza spiegazioni, colta da un'improvvisa e folgorante illuminazione, avesse compreso cosa lo stesse affliggendo e si fosse subito messa all'opera per aiutarlo a uscire da quella merda di impasse in cui si trovava.
Strinse la mano destra a pugno e la batté sul pavimento.
Credeva davvero che la soluzione alla sua preoccupazione sarebbe arrivata dall'esterno?
Credeva davvero che Delia e l'Italia sarebbero state in grado di aiutarlo?
-”Sono sbagliato...?”- sussurrò Suga portandosi le mani alla testa e soffocando un singhiozzo. -”Am I wrong...?”- canticchiò con ironia e con voce rotta dal pianto.
-”You're not wrong. You are you, and that's what matters”- disse dolcemente Delia da dietro la porta.
Suga alzò il capo e guardò il soffitto. Un debole sorriso si fece largo sulle sue labbra e i suoi occhi a mandorla si ridussero a due fessure.
Forse aveva davvero trovato un modo per salvare il Genio Min Suga.

 

 










ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti!
Sfrutto quel poco di connessione traballante che ho per pubblicare questo nuovo (e piccolo) capitolo in cui veniamo a conoscenza del motivo che si nascondeva dietro la lacrima di Suga vista da Delia nel capitolo precedente. Fondamentalmente, il nostro Min Suga ha il terrore di non riuscire a riprendersi dal suo impasse creativo, e teme che questa sua impotenza avrà ripercussioni gravissime sulla sua vita.
Il capitolo successivo è già in fase di scrittura, per cui non penso che tarderà molto ad arrivare (connessione del cavolo permettendo) :>
Grazie a tutti per il supporto che mi state dando <3
Ciao e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 13
*** Mercoledì - Marina di Pisa: Sincerità ***


Dopo un silenziosissimo pranzo e un altrettanto muto primo pomeriggio trascorso in casa a oziare, stufa di quel clima teso e imbarazzante, intorno alle 16 ordinai a Yoongi di vestirsi.
Distolse gli occhi dallo schermo del computer portatile e mi guardò, scettico. Uno sguardo sfuggente e veloce, quasi sofferto, come se gli pesasse e gli desse fastidio soffermare gli occhi su di me.
-”Where are we going?”- mi domandò svogliato togliendosi gli occhiali da vista e riponendoli con cura nella loro custodia.
Mi strinsi nelle spalle e non gli risposi. Non mi piaceva essere trattata con sufficienza.
-”Don't you trust me?”- lo sfidai dalla cucina. Aprii l'anta del frigo e presi due bottigliette di acqua naturale, una per me e una per Yoongi.
Yoongi inclinò la testa di lato e fece un mezzo sorriso; una reazione enigmatica a cui non riuscii a trovare un'interpretazione plausibile. Mi accadeva spesso di trovarmi in difficoltà davanti alle strane reazioni di Yoongi. C'era sempre qualcosa nelle sue occhiate, nelle sue espressioni, che mi dava da pensare. Essendo un ragazzo di poche parole ostacolato dalla barriera linguistica, non ero mai riuscita ad avere con lui un dialogo aperto e illuminante.
-”Something's wrong?”- mi chiese notando il mio sguardo perso per aria.
Scossi la testa e gli sorrisi impacciata. Gli passai davanti e lo esortai ad alzarsi dal divano e a iniziare a prepararsi. Sbuffò, chiudendo il portatile con un gesto seccato. Vidi, aperto accanto a lui, il suo inseparabile quadernino. Aguzzai la vista, ma tutti i miei sforzi si rivelarono inutili dal momento che, ovviamente, le pagine erano coperte di scritte coreane.
Chissà cosa c'è scritto”, mi domandai.
Yoongi si schiarì la voce e posò tatticamente una mano sul taccuino. Lo guardai negli occhi e alzai un sopracciglio, divertita.
-”I can't read korean”-.
-”I know”- mormorò con sguardo sfuggente.
Si alzò dal divano, computer sotto braccio, e mi chiese cortesemente di permettergli di vestirsi e di andare in bagno. La sua micidiale freddezza mi lasciò di sasso. Tentennai per qualche secondo, presa in contropiede, ma poi mi ripresi, feci un sorriso tirato e mi eclissai, andando a chiudermi in camera.
Posai le due bottigliette sulla scrivania e mi sedetti sul bordo del letto, pensosa e confusa. Quella mattina Yoongi mi aveva mostrato un lato di sé che mai avrei pensato di poter vedere. Non era normale mettersi a piangere all'improvviso di fronte a un estraneo...
Un quasi estraneo”, mi corressi.
Per quanto fossero passati solamente due giorni, sentivo di non potermi definire una completa estranea nei confronti del ragazzo coreano. Trascorrere ventiquattro ore su ventiquattro a stretto contatto con una persona comporta varie cose, tra cui l'abbassamento delle barriere difensive. Quanti ospiti prima di lui si erano rivelati degli individui meravigliosi ed erano diventati miei cari amici!
Con Yoongi, però, le cose avevano fin da subito preso una piega leggermente diversa.
Fin dall'esatto momento in cui, per la prima volta, si era instaurato tra noi un contatto visivo, mi ero accorta che c'era qualcosa che non andava in quel ragazzo dai capelli neri. Era una sensazione, un'impressione a pelle, ma ferma e costante: era come se fosse circondato da una scura e cupa aura. Quella mattina, sentendolo piangere dentro al bagno, mi ero resa conto che la mia non era solo una supposizione.
Seduta a gambe incrociate sul letto sfatto della mia stanza, arrivai alla conclusione che Yoongi stesse portando dentro di sé un peso, un macigno troppo grande perché le sue spalle riuscissero a sostenerlo senza schiacciare il corpo intero.
-”Yoongi!”- quasi gridai spalancando la porta ed entrando nel salotto come un tornado. -”I want you to know that you have to tell me the truth!”- dissi puntandogli un dito contro. Mi richiusi immediatamente nella mia stanza e, in fretta e furia, infilai le mie cose nello zainetto di finta pelle nera, mi vestii e andai in bagno a truccarmi.
E' giunto il momento che tu mi dica la verità, Min Yoongi”.

 

Parcheggiai la mia mitica Panda nera in uno dei parcheggi di Via Francesco Barbolani, vicino al Porto Turistico e allo spocchioso Yacht Club, un locale che si ergeva su una piattaforma di cemento in mezzo a grandi barche a vela e a decine di yacht di qualche riccone. Come al solito non ricordavo se il parcheggio andasse pagato o meno. Ordinai a Yoongi di non muoversi e, seguendo i cartelli, mi avvicinai al parchimetro. Lessi rapidamente la descrizione delle tariffe ed esultai quando appresi che non dovevo sborsare un euro. Tornai alla macchina trotterellando e la chiusi. Misi le chiavi nello zainetto e mi calai sul naso gli occhiali da sole viola, un mio accessorio amatissimo regalatomi da me medesima in uno dei miei vari momenti di egocentrismo.
-”What's up?”- domandai a Yoongi tirandogli una gomitata amichevole. Mi guardò stralunato, come se gli avessi gettato un sacco dell'immondizia addosso, e lo vidi fare un piccolissimo passo laterale.
-”Are you afraid?”- gli chiesi alzando un sopracciglio.
-”Afraid of...?”-.
-”Of what I said before”- dissi riferendomi alla mia volontà di conoscere la verità su di lui e sulle sue preoccupazioni.
Non potei vedere i suoi occhi, nascosti dietro a un paio di grossi occhiali da sole neri, ma sono pronta a scommettere che in quel momento, dentro di sé, imprecò. Si mise la solita mascherina nera sulla bocca e sospirò.
-”Keeping emotions hurts, Yoongi”- dissi facendo spallucce.
-”Life hurts”- borbottò impugnando la macchina fotografica e dandomi le spalle.
Scoppiai a ridere e, senza dirgli niente, gli feci una foto col cellulare. Non contenta, ne feci un'altra, un selfie: la mia bellissima faccia in primo piano e Yoongi dietro di me, di spalle, chino sulla macchina fotografica e vestito completamente di nero.
Io e la Morte”, sghignazzai tra me e me riguardando il selfie.
-”Is it the sea?”- mi chiese indicando il lungomare che si intravedeva alla fine di Via Barbolani.
-”Yes”- annuii affiancandolo. -”The sea and the famous Sassiny Beach”- spiegai con orgoglio.
Yoongi storse il naso.
-”Sass...?”-.
Lo portai sul lungomare e gli mostrai la distesa di sassi rotondi e bianchi che componeva la spiaggia di Marina di Pisa. I sassi erano stati riversati sulla spiaggia un paio di anni prima per volere del sindaco, apparentemente senza motivo. I pisani, divertiti dall'apparente spassionato amore del sindaco per quei sassi rotondi, avevano preso a chiamare la spiaggia “Sassiny Beach”, sulla scia delle più famose spiagge americane. Tra il marciapiede e la spiaggia vi era una barriera di scogli, una specie di separé simbolico. Vidi Yoongi fissarli intensamente, quasi volesse spostarli col pensiero.
-”You can cross them”- dissi accompagnando il messaggio con un gesto della mano esplicativo. -”Come on!”-.
Salii su uno scoglio e in un baleno, saltellando come uno stambecco sulle rocce di una montagna, posai i piedi sulla spiaggia. Yoongi guardò preoccupato la macchina fotografica. Mi offrii di tenergliela ma lui scosse la testa, dicendo che valeva più della sua vita perché gli era stata prestata da un amico.
-”He's... strong”- disse raggiungendomi e lanciando un'occhiata curiosa agli scogli dietro di sé. Mi disse che il suo amico l'avrebbe picchiato se fosse successo qualcosa alla macchina fotografica.
Ci sedemmo a pochi metri dalle languide onde del mare, uno accanto all'altro, con gli zaini adagiati dietro di noi. Yoongi si guardò attorno, iniziando a scattare le sue solite foto ossessivo-compulsive. Decisi di concedergli un po' di tempo per le sue cose; non avevo fretta. Desideravo parlare con lui, certamente, ma volevo che fosse messo più a suo agio possibile. La sua natura schiva e diffidente mi era ormai fin troppo chiara.
Guardai il lungomare, osservando i genitori che portavano i figlioletti a prendere un gelato, gli anziani che giocavano a carte ai tavolini dei bar, le coppiette di ragazzi che, come me e Yoongi, avevano deciso di sedersi in spiaggia e di passare del tempo in tranquillità. Mi sentii arrossire un poco quando mi domandai se le persone che ci vedevano dall'esterno pensassero che fossimo una coppia. D'istinto guardai il mio ospite.
Click.
-”Yoongi!”- lo rimproverai avvampando. -”Another photo of me?!”-.
-”I wanted to try the macro”- disse con tranquillità.
-”Te lo do' io il macro”- borbottai indispettita. Tirai fuori il mio fidato cellulare e gli feci una bruttissima foto ravvicinata.
-”Hey!”- esclamò indignato ma divertito. -”Stop it!”-.
Mi presi la libertà di fare un'altra serie di selfie e mi ritrovai a sorridere teneramente quando, dopo una decina di foto scattate una dietro l'altra, finalmente Yoongi si mise in posa: si abbassò la mascherina, fece il segno della vittoria con la mano destra e sorrise.
-”This is... cute”- mormorai riguardandola sullo schermo del cellulare e mettendomi gli occhiali da sole a mo' di cerchietto.
Alzai gli occhi e cercai quelli di Yoongi. I suoi occhiali da sole rifletterono il mio sguardo, uno sguardo talmente strano che lì per lì non riconobbi come mio. Non era il momento di farsi distrarre da dettagli insignificanti. Scossi lievemente la testa e, dopo aver rimesso il telefono nello zainetto, senza chiedere il permesso a Yoongi, gli tolsi gli occhiali dal naso.
-”Can we talk now?”- gli domandai alzando un sopracciglio e facendogli capire che non erano ammesse risposte negative.
Alzò gli occhi al cielo e si ritirò su la mascherina. Si toccò nervosamente la frangia e mi disse che, in realtà, non aveva niente da dirmi.
Aveva di nuovo eretto un muro tra noi.
Era incredibile quanto poco gli ci volesse ad allontanarmi, a farmi sentire un'estranea indesiderata.
Mi armai di pazienza e presi nuovamente in mano il cellulare. Attivai la connessione dati e andai su Internet, aprendo un traduttore online. A mali estremi, estremi rimedi. Incrociai le dita e sperai che la traduzione fosse per lo meno decente; passai il mio cellulare a Yoongi e attesi la sua risposta. Lesse ciò che avevo scritto, mi lanciò un'occhiata di sottecchi e scosse la testa.
-”Sì, come no”- borbottai riprendendomi il telefonino e scrivendo un altro messaggio.
-”I had a nightmare”- si giustificò, questa volta senza guardarmi.
Continuai a scrivere sul cellulare, affidandomi a un traduttore italiano-coreano. Gli domandai se volesse parlarne e gli dissi che mi ero accorta che aveva qualcosa che non andava, che era ormai chiaro come l'acqua. Yoongi, testardo e orgoglioso, non voleva sputare il rospo: sfuggevole come un soffione mosso dal vento, mi disse che la sua condizione era difficile da spiegare e che io non sarei stata in grado di capirlo.
Le ultime parole che il traduttore tradusse per me gli fecero spalancare gli occhi. Titubante, dopo vari attimi di tentennamento e indecisione, lo vidi rufolare nel suo zaino e prendere in mano il cellulare. Anche lui andò su Internet e aprì la pagina di un traduttore online.
Fu allora che capii di aver finalmente fatto breccia nel grande muro che ci separava.












ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti!
Parto subito col dirvi che, molto probabilmente, la pubblicazione dei capitoli tornerà presto a essere quella che era all'inizio, ovvero terribilmente incostante :< Ho due esami che mi aspettano a settembre e ho poco più di due settimane per prepararli *sospira* Spero possiate perdonarmi :( Ho comunque intenzione di scrivere e caricare il prima possibile il prossimo capitolo, così da non lasciarvi del tutto col fiato sospeso >:)
Il prossimo capitolo non narrerà esattamente gli stessi eventi raccontati in questo: salterà la parte iniziale, quella in cui Delia intima a Yoongi di prepararsi, e ci farà assistere alla confessione di Yoongi (parte non messa in questo capitolo). Spero non vi dispiaccia :>
Ringrazio tutti voi lettori e commentatori per il supporto (sia esplicito che silente) che mi state dando <3
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 14
*** Mercoledì - Marina di Pisa: Sincerità (S) ***


Non riuscì a spiegarsi per quale motivo, quando vide le mani di Delia allungarsi verso il suo viso, non si fosse tirato indietro. Odiava che qualcuno invadesse il suo spazio personale, che toccasse le sue cose senza permesso e, soprattutto, che si prendesse troppa confidenza. Forse perché si trattava di una ragazza, di una straniera, della sua padrona di casa... Fatto sta che Suga permise a Delia di togliergli gli occhiali da sole e di guardarlo direttamente negli occhi.
Fece un respiro profondo, inspirando a pieni polmoni l'aria salmastra. Sapeva cosa stava per dirgli.
-”Can we talk now?”- gli domandò. Era sicura di sé, quasi aggressiva.
Suga alzò gli occhi al cielo, guardò il mare che si estendeva di fronte a loro e si tirò su la mascherina. Prese a toccarsi nervosamente i capelli e a tartassarsi i lobi delle orecchie. I suoi polpastrelli incontrarono il freddo metallo degli orecchini e indugiarono un poco, accarezzando i gioielli argentati; si ricordò di quando, il giorno prima, Delia gli aveva detto che le piacevano.
Le piacevano gli orecchini o le piaceva lui con gli orecchini?
-”I have nothing to say”- disse con la gola improvvisamente secca.
Non si voltò a guardare Delia; non aveva voglia di incontrare i suoi occhi di quel fastidiosissimo colore, costantemente indeciso tra il marrone e il verde. Con la coda dell'occhio la vide cercare qualcosa nello zaino. Dopo un paio di minuti si ritrovò in mano il cellulare di Delia. Sullo schermo era aperta la pagina di un traduttore online.

 

- E' successo qualcosa?

 

Per la prima volta da quando si erano incontrati, la ragazza aveva deciso di fare a meno dell'inglese e di avvalersi di quello che, in effetti, appariva come il mezzo più efficace per comunicare con una persona che parlava un'altra lingua.
Che si fosse stufata di parlare in inglese?
Suga guardò Delia di sfuggita e scosse la testa, rispondendo così alla sua domanda. Delia aggrottò le sopracciglia, borbottò qualcosa in italiano e, dopo essersi ripresa il cellulare, glielo ripassò.

 

- Se, come dici tu, non è successo niente, perché stamattina hai pianto?

 

Suga si irrigidì, sia per la sfacciataggine di Delia che per il ricordo dell'angosciante sogno. Sentiva lo sguardo di lei addosso, insistente e penetrante; fastidioso. Istintivamente rabbrividì, quasi come a scrollarsi di dosso l'orribile sensazione che l'occhiata di Delia e la rievocazione del sogno gli avevano trasmesso.
-”I had a nightmare”- si giustificò evitando nuovamente il contatto visivo.
Delia, testarda come un mulo, continuò.

 

- Vuoi parlarne? So che c'è qualcosa che ti affligge, non sono scema, me ne sono accorta.

 

Suga sospirò mestamente e si passò pesantemente una mano sul volto. Per un attimo avvertì l'impulso di alzarsi da quegli odiosi sassini che gli stavano maciullando il culo, di mandare Delia a quel paese e di scappare il più lontano possibile; sicuramente si sarebbe perso per Marina di Pisa, come era successo lunedì a Pisa, ma, contrariamente a qualche giorno prima, si sarebbe sentito meglio. Delia si stava mostrando dannatamente insistente, al limite dell'educazione. Suga si domandò se fosse una “qualità” prettamente italiana.
Stizzito, le disse che la situazione era complessa e che, inoltre, sarebbe stato inutile provare a spiegargliela perché era sicurissimo che lei non fosse in grado di capirlo.
Il volto della ragazza era spaventosamente impassibile ma una brillante e speranzosa luce le passò negli occhi, rapida e fulminea. Le dita dalle unghie blu di Delia scivolarono sul touchscreen del cellulare.
La frase che Suga lesse, per quanto banale, gli procurò una fitta all'altezza della bocca dello stomaco.

 

- Non capirei? Io voglio farlo. Voglio capire per poterti aiutare.

 

Sentì gli occhi spalancarsi; era certo di aver persino aperto la bocca dallo stupore. Delia era lì, accanto a lui, e gli aveva appena teso metaforicamente una mano. Non riusciva a credere alle semplici parole che i suoi occhi sconvolti avevano letto. Sentì un groppo in gola e deglutì a vuoto un paio di volte.
Nell'arido giardino in cui era stato relegato e rinchiuso per settimane era appena comparsa una piccola porticina, stretta e minuscola, come quella che Alice incontrò nel suo viaggio nel Paese delle Meraviglie. Alice, per oltrepassarla, avrebbe dovuto rimpicciolirsi; a Suga, invece, sarebbe bastato afferrare la graziosa mano dalle unghie blu che faceva capolino dallo stipite.
Suga restituì l'apparecchio a Delia e si mise sulle ginocchia lo zaino di Jin. Aprì la cerniera, muto come un pesce, e recuperò il proprio cellulare. Sbloccò lo schermo, attivò la navigazione su Internet e cercò il suo traduttore online di fiducia. Guardò Delia e la vide sorridere teneramente: lo stava incoraggiando.

 

- Va bene, lo ammetto: c'è qualcosa che mi turba.

- Parlamene. Ti ascolto. Cioè, ti leggo.

 

Era troppo presto perché Delia sapesse la verità; in realtà Suga non sapeva ancora se rivelargliela prima di tornare in Sud Corea o meno. In fin dei conti, non era importante che Delia sapesse che era un idol di ormai fama mondiale; bastava che sapesse qual era il problema principale. Si trattava solo di omettere qualche dettaglio e di...
Mentirle”.
Le dita di Suga indugiarono un poco sulla tastiera digitale dello smartphone.
E' inevitabile”, si disse.

 

- Io e dei miei amici anni fa abbiamo formato una band, sia per divertimento che per provare a guadagnare qualche soldo per pagarci gli studi. Io mi occupo delle canzoni: scrivo i testi e compongo la musica.

- Allora ieri ho detto bene quando ti ho chiamato “artista”! Perché sei scoppiato a ridere?

- Ci tieni davvero così tanto a saperlo?

- In realtà no, ti volevo solo stuzzicare. Continua a raccontare, dai.

- La nostra band stava andando piuttosto bene: ci siamo esibiti in vari locali e in diverse piazze e abbiamo racimolato qualche soldo. Tra un paio di mesi si terrà un evento importante per cui è previsto che si faccia qualcosa. Tutti hanno riposto le loro aspettative in me, ma io non ci riesco.

- Non riesci a fare cosa?

- Non so più comporre, non so scrivere. Mi sento vuoto, inaridito, completamente prosciugato. Io ho paura. Non posso lasciare i miei amici proprio ora, non dopo tutto il successo che abbiamo avuto.

- Secondo me-

 

Un fiume in piena: ecco cos'era diventato.
Delia aveva abbattuto la diga e aveva permesso al fiume di riversarsi in maniera disastrosa lungo la valle, devastando e travolgendo tutto ciò che incontrava.
Scriveva in maniera furiosa e insaziabile. Sentiva le parole lottare dentro la sua testa e fare a botte le une con le altre per vincere il privilegio di essere scritte per prime. Non aveva nemmeno dato il tempo a Delia di rispondergli. Tutto ciò che Suga, in quel momento, desiderava, era semplicemente di essere ascoltato.

 

- L'evento è importante, tutti hanno gli occhi puntati su di noi e su di me. Sono venuto in Italia per ritrovare la mia ispirazione. Senza di lei io non posso vivere. Mi capisci? Se non dovessi più riuscire a scrivere musica, per me non avrebbe più senso vivere. Procurerei anche dei grandissimi danni ai miei amici e alla mia famiglia.

- Lo sai che più ci si sforza di trovare qualcosa e meno possibilità si hanno di trovarla?

- E' un detto italiano?

- Universale, direi.

 

Le scoccò un'occhiata scettica. Delia fece spallucce e strinse le labbra, come a dire “Non è colpa mia le cose funzionano in questo modo”.

 

- Ti faccio un esempio: più cerco di prendere la laurea e meno ci riesco.

- Forse non ti stai impegnando abbastanza nello studio?

 

Adesso fu il turno di Delia di guardare male l'altro. Gli rispose con una smorfia stizzita e, come ciliegina sulla torta, gli fece la linguaccia. Suga, da sotto la mascherina, sorrise.

 

- D'accordo, ho sbagliato esempio, ma il messaggio non cambia. Non puoi cercare di recuperare qualcosa che non hai più se prima non capisci per quale motivo lo hai perduto. Capisci cosa voglio dire?

- Non credo, no.

- C'è sempre un perché.

 

Suga adagiò il cellulare su di un piccolo sasso dalla superficie piana. Abbassò lo sguardo sul punto in cui il mare tentava di risalire lungo la spiaggia e si passò la lingua sulle labbra. Erano un po' salate.
Il motivo della sua perdita d'ispirazione? Come faceva a sapere quale fosse? Era successo e basta! Una mattina si era svegliato e puff, tutto sparito. Ah, la faceva facile lei! Cosa poteva saperne una studentessa della dura vita di un idol?
Sentì l'indice di Delia picchiettare con insistenza sulla sua spalla e, in un attimo, si ritrovò il cellulare della ragazza sotto al naso.

 

- Alzati in piedi.

 

Alzarmi?”.
Delia riafferrò il proprio cellulare e si tirò su in piedi. Guardò Suga dall'alto e lo invitò con ampi gesti delle mani a fare lo stesso. Suga strinse gli occhi, infastidito dalla luce del sole e dall'inspiegabile e assurdo ordine della ragazza dai capelli rossi.
Cosa vorrà fare ora questa pazza?”, si domandò alzandosi controvoglia.
Sospirò. Eccolo lì, in piedi di fronte alla sua giovane padrona di casa, una pimpante ragazza italiana dai capelli tinti e dal sorriso sempre pronto. Suga si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e interrogò Delia con lo sguardo, continuando a non capire le intenzioni della ragazza. Gli angoli della bocca di Delia si incurvarono verso l'alto e, all'improvviso, spalancò le braccia. Suga la guardò torvo.
-”Come”- disse lei piegando le dita e invitandolo verso di lei. -”Hug me”-.
Hug? Voleva che l'abbracciasse?
Oddio”.
Come Delia mosse un passo in avanti, Suga ne fece uno indietro, alzando subito le mani e frapponendole tra di loro.
-”Please, don't”- disse col tono più gentile che riuscì a tirare fuori. La sola idea di abbracciare una ragazza praticamente sconosciuta gli metteva ansia. A malapena si faceva abbracciare dai suoi amici, figurarsi da Delia!
L'entusiasmo scemò dallo sguardo verdastro di Delia e la ragazza, con un tirato sorriso di cortesia sulle labbra, abbassò lentamente le braccia lungo i fianchi. Non ci voleva un genio per capire che ci era rimasta male. Suga si chinò sulla spiaggia e si affrettò a recuperare il cellulare.

 

- Non è colpa tua, è che noi coreani non siamo abituati al contatto fisico con persone che non conosciamo.

 

Il tentativo di conforto di Suga parve sortire l'effetto desiderato. Delia annuì più volte e tornò a sorridere come prima. Allargò nuovamente le braccia e rise.
-”In that case... Wireless Hug!”-.
Suga si mise il cellulare in tasca, si abbassò la mascherina e imitò Delia. In circostanze normali non avrebbe mai fatto una cosa del genere, così imbarazzante, ma lì, su quella stranissima spiaggia di Marina di Pisa, in compagnia di Delia, si sentiva stranamente a proprio agio.
-”Wireless Hug”- ripeté sorridendo.
Delia gli strizzò l'occhio e si chinò a recuperare lo zaino, spezzando bruscamente quella strana atmosfera che si era creata tra i due ragazzi. Suga venne violentemente recuperato dal mentale Paese delle Meraviglie in cui era stato catapultato. Guardò Delia stralunato, rendendosi conto di come quella ragazza fosse inspiegabilmente in grado di fargli fare cose che Min Yoongi non si sarebbe mai sognato di fare.
Come quella stramaledetta foto al Giardino Scotto”.
Delia aveva ragione: a tutto c'era un perché. Nonostante lei non si fosse espressa più di tanto, Suga aveva apprezzato lo strano dialogo avuto con lei. Sentiva di essere riuscito a liberarsi di un peso.
-”The answers is inside of you”- esordì a un tratto Delia con lo zainetto in spalla e una sigaretta tra le labbra. Prese lo zaino di Suga e glielo porse. -”Love yourself”- disse semplicemente guardandolo negli occhi.















ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti! Finalmente sono riuscita a finire di scrivere il nuovo capitolo! Spero vi piaccia :>
Avete capito a quale evento Suga si sta riferendo? EHEHEHEH.
Vorrei tantissimo scrivere di più in questo angolo autrice ma tra poco devo andare a cena e già sento mia madre mandarmi gli accidenti dalla cucina *ride*
Nella speranza che anche questo capitolo vi sia piaciuto, mando un bacino volante a tutti <3
Ciao e alla prossima! ^^
E NON DIMENTICATE DI RECENSIRE CHE MI VIENE L'ANSIA QUANDO NON HO FEEDBACK

 

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Capitolo 15
*** Giovedì - Rapimento ***


Giovedì mattina mi svegliai con la gola particolarmente irritata. Mi stropicciai gli occhi nella penombra e sospirai, abbandonando le braccia sopra la testa. Il giorno prima mi ero data alla pazza gioia col fumo e adesso ne stavo pagando le conseguenze. Da quando Yoongi era arrivato in casa mia avevo ridotto il consumo di sigarette per rispetto nei suoi confronti. Ricordavo benissimo la sua espressione contrariata quando mi aveva vista per la prima volta con la sigaretta in mano. La sera dopo cena, il momento della giornata che più mi “ispirava fumo”, andavo sul terrazzo e mi chiudevo lì, guardando attraverso il vetro Yoongi seduto al tavolo della cucina col PC davanti agli occhi.
Allungai una mano sul comodino e procedetti a tentoni, finché le mie dita non sfiorarono la sveglia digitale. Premetti il pulsante e spostai gli occhi assonnati sul soffitto, aspettando che la sveglia proiettasse l'ora. Quando le cifre rosse brillanti apparvero, spalancai gli occhi e mi tirai di scatto su a sedere. L'improvviso movimento mi annebbiò la vista e mi procurò una leggera e brevissima nausea.
-”Come è possibile?”- sussurrai incredula.
Presi in mano la sveglia e mi resi conto di essermi dimenticata di impostarla. Come avevo potuto scordarmi un'azione così basilare e dannatamente ripetitiva? Era una cosa che facevo tutte le sere prima di andare a letto, da ormai undici anni!
-”Questa è la vecchiaia che avanza”- mi schernii togliendomi il lenzuolo di dosso e posando i piedi per terra.
Andai ad aprire tende, finestre e persiane. Guardai il cielo, solcato da qualche grossa nuvola bianca. Stando alle previsioni del tempo, tra giovedì e venerdì una breve perturbazione avrebbe interessato Pisa e le zone limitrofe. Pregai con tutta me stessa che i rovesciamenti si presentassero di notte; ci tenevo tanto a rendere il soggiorno di Yoongi il più piacevole e divertente possibile.
Chiusi le ante della finestra e sentii un sorriso amaro fare capolino dalle mie labbra.
Un soggiorno piacevole e divertente? Yoongi stava davvero vivendo la sua vacanza in quel modo? La risposta era ovvia e mi era persino stata data da Yoongi stesso il pomeriggio precedente. Il ricordo del suo volto inespressivo, sofferentemente apatico, mi tornava in mente ogni volta che chiudevo gli occhi. Yoongi stava soffrendo immensamente a causa del suo blocco artistico, e io, semplice e banale studentessa universitaria, cosa potevo fare per aiutarlo? Quando avevo lanciato il mio appartamento nel mondo dell'home sharing, mi ero ripromessa di fare il possibile affinché i miei ospiti tornassero a casa con dei bellissimi ricordi del soggiorno e della città; la tristezza del ragazzo coreano era forse indice di una mia carenza?
Mi infilai i pantaloni della tuta, mi cambiai maglia e uscii da camera mia con lo sguardo basso e la testa ingombra di pensieri e preoccupazioni. Alleggerii il passo quando, attraversando il salotto, passai accanto al divano-letto. Mi fermai a pochi metri dalla cucina con un groppo in gola. Lentamente, come una di quelle ragazze che in un film horror sentono un rumore provenire da dietro una porta cigolante, mi voltai a guardare Yoongi. Avevo paura, avevo il terrore di vederlo e sentirlo piangere nuovamente, perché avrebbe significato che le mie parole del giorno prima, dette col cuore, non lo avevano raggiunto.
Fa' che stia bene!”, mi ritrovai a pensare avvicinandomi di soppiatto al groviglio di lenzuola e cuscini.
Mi ci volle qualche secondo per rendermi conto che il divano-letto fosse vuoto. Mi guardai attorno, sorpresa e, in realtà, un po' confusa. Non era da Yoongi svegliarsi così presto. Pensai che, molto probabilmente, si fosse alzato per andare in bagno. Bussai alla piccola porta bianca ma non ottenni risposta.
Oddio, è scappato!”.
Corsi in camera a prendere il cellulare e, presa dal panico e spaventata dall'idea di aver fatto fuggire con la coda tra le gambe un mio ospite, cercai il numero del ragazzo in rubrica e, senza rifletterci su più di tanto, lo chiamai. Camminai per la stanza in cerchio, nervosa e tesa come una corda di violino; arrivai persino a mordicchiarmi le unghie, gesto che avevo smesso di fare da un sacco di tempo. Dall'altro capo della linea il cellulare di Yoongi prese a squillare.
-”Non fare come lunedì e rispondimi”- mormorai con l'unghia dell'indice tra i denti.
Ero passata al dito medio quando udii provenire dalla cucina una suoneria a me sconosciuta. Staccai il cellulare dall'orecchio e sbarrai gli occhi. Scoppiai a ridere fragorosamente, dandomi più volte della stupida e della rintronata.
Come diamine avevo fatto a non rendermene conto prima?
-”Yoongi, sorry!”- esclamai attraversando il salotto e continuando a ridere tra me e me. Posai la mano sulla maniglia della porta della cucina e la aprii. -”I didn't know you were here!”-.
C'era la mia caffettiera su uno dei fornelli; il fuoco, debole, era acceso, e la moca stava borbottando. Il pacco del caffè, aperto e con accanto un cucchiaino sporco, stava sul ripiano della cucina, in equilibrio precario. Due tazzine vuote erano sul lavabo e, sul tavolo, solitario come una zattera nell'oceano, c'era il cellulare di Yoongi. Il sorriso scemò dalle mie labbra e il mio stomaco venne attanagliato da una strettissima morsa. Presi il cellulare in mano e, sbloccando lo schermo senza PIN, mi si aprì quella che riconobbi come la schermata di un sistema di messaggistica istantanea. La tastiera digitale era lì, così come il messaggio che Yoongi stava componendo. Colpita da una folle e tragica illuminazione, mi coprii la bocca con una mano e mi lasciai sfuggire un gridolino disperato.

-”L'hanno rapito!”- boccheggiai accasciandomi su una sedia.










ANGOLO AUTRICE
Eccomi tornata con un capitolo molto più corto del solito :O
Lo so: probabilmente, dopo i vari colpi al cuore che vi ha causato il capitolo precedente, vi aspettavate qualcosa di "più". Ebbene, abbiate fiducia in me; vi prometto che non vi deluderò <3
Gira e rigira, mi sono da poco resa conto che siamo già arrivati a giovedì! Suga è in Italia da tre giorni (quattro con giovedì), e ormai gliene restano solo tre (senza contare lunedì, il giorno della partenza). Ho in serbo grandi cose per i nostri protagonisti e non vedo l'ora di rendervi partecipi del mio entusiasmo >:D
Come sempre ringrazio tutti voi lettori e recensori <3
Ciao e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 16
*** Giovedì - Rapimento (S) ***


Quando Suga mise piede in cucina si sorprese nel constatare che Delia non fosse lì. Si era abituato a svegliarsi con l'odore del caffè misto a un leggero sentore di fumo. Sapeva che Delia era solita preparare la caffettiera, metterla sul fornello e, nell'attesa, fumare una sigaretta sul terrazzo.
Eppure, quella mattina, la caffettiera non era sul fornello e Delia, contro ogni aspettativa, non era dove avrebbe dovuto essere.
Suga si grattò la nuca, arricciando il naso e stringendo le labbra. Che si fosse svegliato troppo presto? Tornò in salotto a prendere il cellulare lasciato sul comodino e controllò l'ora: erano quasi le dieci. Si infilò il dispositivo nella tasca dei pantaloncini e si sedette sul divano-letto, indeciso sul da farsi. Da un lato la sua accidia lo stava chiamando, seducendolo come il suono di un dolce flauto e suggerendogli di rimettersi a dormire; dall'altro, invece, una strana vocina coscienziosa stava insistentemente bussando e stava facendo di tutto per farsi notare.
Lei ti ha sempre preparato la colazione!”, gli fece notare.
Suga guardò la porta della camera di Delia, chiusa forse a chiave. Vero, da giorni quella ragazza, tutte le mattine, si adoperava per fargli trovare pronta la colazione.
Be', è il suo lavoro”, pensò con una strafottente alzata di spalle.
Eh no”, ribatté prontamente la vocina di prima. “Questa casa non è un Bed&Breakfast!”.
Era vero, la vocina sentenziosa aveva ragione. Delia non era obbligata da nessun vincolo o contratto a preparargli la colazione, tanto meno a fargli da guida, a occuparsi di tutti i pasti, a...
...Preoccuparsi di me”.
Suga posò i gomiti sulle ginocchia e si guardò le mani. Si rese conto che, contrariamente a Delia, lui, in tre giorni, non aveva mai fatto niente per la sua temporanea coinquilina. La ragazza dai capelli rossi si era fatta in quattro per aiutarlo; era persino andata a cercarlo quando si era perso come uno scemo per Pisa! Era stata ad ascoltarlo il pomeriggio precedente, gli aveva offerto conforto e supporto, e lui... Lui, spaventato dalla barriera linguistica e culturale, l'aveva freddamente respinta.
Devo ringraziarla”, decise alzandosi in piedi.
Sapeva cosa doveva fare: semplicemente ripagarla con la stessa moneta (positivamente parlando).
Entrò in cucina e alzò lo sguardo verso le credenze. La caffettiera doveva essere lì da qualche parte. Aprì una serie di sportelli finché non trovò la moka.
Smontata.
Non credo serva un ingegnere per fare il caffè”, pensò iniziando ad armeggiare coi vari pezzi.
Prese in mano la caldaia e il serbatoio, guardando prima l'uno e poi l'altro. Non aveva la più pallida idea di dove andasse messa la polvere di caffè. Su Internet avrebbe trovato qualche tutorial?
Non posso essere io l'unico scemo”, si disse aprendo l'app di YouTube dal telefono.
Appoggiò il cellulare sul tavolo della cucina e, dopo aver radunato tutti i pezzi della moka, premette play. Osservò il video con attenzione e, al suo termine, si rese conto di avere appena trascorso i due minuti più illuminanti della sua vita. Guardò la moka smontata e si domandò per quale motivo non ne avessero una a casa loro.
Perché Namjoon non ne ha comprata una quando è andato in Italia?”.
Seguendo le istruzioni del tutorial, Suga mise l'acqua nella caldaia, appena sotto alla valvola; riempì il serbatoio del caffè e lo incastrò sopra la caldaia; prese il bricco e lo avvitò sul serbatoio. A lavoro ultimato, osservò soddisfatto la moka assemblata, con lo stesso orgoglio con cui Jungkook guarda i suoi G.C.F. a fine montaggio. Si compiacque molto del successo della sua impresa e, senza ulteriori indugi, si apprestò ad accendere il fornello. Mise la caffettiera sopra al fornello e, impettito e soddisfatto, scattò una foto.
-”Così vedranno che non ho passato tutta la vacanza a non fare un cazzo”- mormorò sghignazzando. La inviò nella chat di gruppo che aveva con gli altri membri dei BTS e attese che qualcuno visualizzasse e rispondesse.
La prime risposte arrivarono dopo pochissimi secondi.

- Hobie: Caffè italiano? Che invidia!

- Nam: Spero tu abbia anche un cornetto!

Suga lesse il messaggio di Namjoon e aggrottò le sopracciglia. Un cornetto? Cos'era? Digitò la domanda.

- Nam: La base della colazione italiana!

-”Grazie al cazzo, ma cos'è? Che forma ha?”- borbottò Suga cercando su Internet delle immagini di questo famoso “cornetto”. -”Ah, è questo...”- mormorò.
Delia non gliene aveva mai fatto trovare uno per colazione; gli aveva sempre proposto biscotti, fette biscottate e cereali.
Forse non le piacciono”.
Nella chat di gruppo Namjoon stava insistendo. Voleva a tutti i costi che Suga andasse a comprarne uno.

- Nam: Li trovi in qualunque bar, ce ne sono un sacco!

Probabilmente Namjoon aveva ragione. Se stava insistendo così tanto, una ragione doveva esserci. Guardò l'ora, la caffettiera e la porta della cucina. Sarebbe riuscito a vestirsi, uscire, comprare 'sti benedetti cornetti e rientrare prima che Delia si svegliasse?
Tentar non nuoce”, si disse.
Iniziò a scrivere un messaggio di ringraziamento per Namjoon ma lo lasciò a metà, reputandolo, per il momento, una perdita di tempo. Uscì dalla cucina, aprì l'armadio di tessuto e si infilò la prima maglietta che trovò a portata di mano. Si ricordò di un bar vicino casa, appena svoltato l'angolo, lì all'incrocio con Borgo Largo; non così lontano da costringerlo a vestirsi di tutto punto e impeccabilmente, com'era solito fare. Si infilò un paio di jeans neri, indossò le scarpe rapidamente, senza allacciarsi le stringhe, e afferrò portafoglio e mascherina. Prese le chiavi di casa e uscì di corsa, pregando con tutto se stesso che Delia non si svegliasse.
Mentre scendeva le scale e usciva in strada si ritrovò a sorridere come un ebete: quella storia della piccola sorpresa per Delia lo stava elettrizzando.













ANGOLO AUTRICE
Mistero risolto >:) Yoongi voleva semplicemente fare una sorpresa a Delia e, nella fretta, ha lasciato tutto così com'era. Delia, conoscendo il carattere schivo e poco avventuriero di Suga, non avrebbe mai detto che fosse uscito di propria iniziativa, soprattutto non lasciando tutto in disordine :O Vedrete, nel prossimo capitolo, la sua pacata reazione *ride*
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 17
*** Giovedì - Colazione da Yoongi ***


-”In che senso l'hanno rapito?”- domandò la voce sbigottita di mia madre.
Feci un gesto vago e spazientito con la mano, facendola poi ricadere lungo il fianco e rischiando di bruciarmi i pantaloni con la sigaretta accesa.
-”Non è in casa! E lui è uno che non si sposta nemmeno con una ruspa!”- dissi esagitata incollandomi il cellulare all'orecchio.
-”Delia, andiamo, credi davvero che...?”-.
-”Mamma”- la interruppi dopo aver espirato fumo dalle narici. Sembravo un drago, un'ansiosa e spaventatissima mamma drago. -”Tutte le sue cose sono qui, ha persino lasciato il cellulare in cucina e il fornello acceso sotto alla caffettiera. Cosa dovrei pensare?”-.
-”Che sia uscito a sbrigare una commissione?”- rispose con semplicità. La sentii sospirare e la immaginai massaggiarsi il setto nasale con due dita, esasperata dalla mia (secondo lei) inutile preoccupazione. -”La sparizione di un ospite, comunque, non è di tua competenza”-.
La boccata di fumo che avevo appena preso mi strozzò. Iniziai a tossire convulsamente mentre mia madre, dall'altro capo della linea, continuava a dirmi di stare tranquilla.
-”Che cazzo dici, ma'?!”- gracchiai una volta riacquistato il controllo delle mie vie respiratorie. -”Stiamo parlando di una persona scomparsa! Di uno straniero che a malapena sa mettere in fila due parole in inglese!”-.
L'inaspettato cinismo e il terribile pragmatismo di mia madre non mi stavano per niente aiutando. Credevo di poter trovare conforto in lei, ma a quanto pare mi ero sbagliata. Yoongi era sparito e io ero nel panico più totale, al telefono con una madre cinica e alla terza sigaretta della giornata. Da minuti interi continuavo a lanciare occhiate per strada, nella probabilmente vana speranza di vedere Yoongi spuntare da dietro l'angolo della via.
-”Sono sicura che non sia successo niente di grave. Non fasciarti troppo la testa, pensa piuttosto allo studio”-.
-”Mamma, tu non lo conosci”- insistetti a denti stretti. -”Non sarebbe mai uscito da solo”-.
-”E invece, guarda un po', l'ha fatto! Comunque, una persona viene considerata scomparsa dopo ventiquattro ore dal suo ultimo avvistamento. Quando hai notato che non era in casa?”-.
-”Mezz'ora fa”-.
Mia madre si zittì. Anche il sottofondo di stoviglie che fino a quel momento aveva accompagnato le sue parole si chetò. La sentii sospirare e borbottare qualcosa, probabilmente un'imprecazione.
-”Delia, per l'ennesima volta, stai tranquilla. Tornerà”- disse sfinita. -”Se entro stasera non si è fatto vivo, sei autorizzata a chiamarmi. Va bene?”-.
Pestai un piede per terra e mi premetti il dorso della mano sulla fronte. Sentii un moto di ira e impotenza pervadermi il corpo; mi ritrovai a digrignare i denti per impedirmi di urlare contro mia madre.
-”Stai sottovalutando la gravità della situazione”- riuscii a dire a stento.
-”Dio, Delia!”- alzò la voce. Dovetti scostare il cellulare dall'orecchio per non rischiare di rimetterci un timpano. -”Manco fosse il tuo fidanzato!”- quasi gridò, e attaccò.
Il mio fidanzato?!”, ripetei mentalmente mentre fissavo allibita lo schermo nero del mio telefono.
Splendida idea quella di cercare aiuto e conforto in mia madre; una splendida, splendida idea! La mia condizione mentale, invece di migliorare, era peggiorata. Mi ero rivolta a lei, alla mia adorata figura materna, ma ero stata brutalmente respinta e beffeggiata. Del resto, cosa ci si poteva aspettare dalla donna che circa tre anni prima mi aveva buttata fuori di casa per insegnarmi a vivere?
Spensi con rabbia la sigaretta nel posacenere verde e rientrai in cucina, lasciando aperta la portafinestra del terrazzo; avevo bisogno di aria. Il cellulare di Yoongi era ancora sul tavolo, e continuavano ad arrivargli una marea di messaggi da quella che avevo identificato come una chat di gruppo. Forse erano i suoi amici, quelli con cui aveva formato una band. Prima di telefonare a mia madre avevo pensato di mandare un messaggio in quella chat, non so bene per quale motivo; forse solo per rendere qualcun altro partecipe della mia ansia. Ci ripensai quando la mia parte razionale mi fece notare che, quasi sicuramente, nessuno di quei ragazzi conosceva l'inglese.
-”Porca puttana!”- sospirai sedendomi su una sedia e scaraventando sul tavolo il posacenere, il quale traballò pericolosamente e rischiò di rovesciarsi sulla tovaglia. Mi coprii il viso con una mano, chiudendo gli occhi e cercando di placare tutti quei pensieri negativi che avevano preso a farsi largo nella mia mente. Non riuscivo a immaginare un valido motivo per cui Yoongi potesse essersi allontanato senza dire niente, senza lasciare nemmeno uno straccio di biglietto. Eppure, onestamente, non avevo nemmeno la più pallida idea di chi, e soprattutto per quale motivo, potesse averlo rapito. Possibile che, invece, fosse fuggito? E allora perché lasciare i propri effetti personali e i vestiti in casa?
Sentii il mio cellulare vibrare. Immediatamente rizzai la schiena, prendendolo in mano e sbloccando lo schermo. Mi ci vollero pochi secondi per rendermi conto che, ovviamente, non si trattava di Yoongi.
Il suo cellulare è qui davanti a me”, mi ricordai.
Azzurra, con un inutilissimo e lunghissimo messaggio vocale, mi chiedeva se fossi libera quella sera per un aperitivo. Le sembrava il momento opportuno per invitarmi a un evento mondano così frivolo?
Mantieni la calma, Delia. Azzu non sa niente, è inutile prendersela con lei”, tentai di placarmi.
-”Se non mi arrestano sì”- mormorai componendo il messaggio di risposta. Le spiegai che il mio ospite era sparito e che non sapevo dove mettere le mani, che ero molto preoccupata e che mi stavo preparando al peggio. Con mia grande ed enorme sorpresa, anche Azzurra, come mia madre, mi trattò con quasi sufficienza, dicendomi di stare tranquilla perché sicuramente sarebbe tornato.
Mollai con poca cura il cellulare sul tavolo, come avevo fatto qualche minuto prima col posacenere, irritata dalle parole di Azzurra. Come potevano lei e mia mamma essere così tranquille? Ovvio, non conoscevano Yoongi, non sapevano quanto quella sparizione fosse strana e insolita da parte sua. Come si erano permesse di mettere bocca e di sparare sentenze su qualcuno che non conoscevano?
Perché, tu lo conosci?”.
Alzai un sopracciglio, interrompendo la mia arringa mentale e soffermandomi su quel piccolo e fastidioso pensiero che era appena sopraggiunto. Per quanto scomodo e irriverente, dovetti ammettere che era vero: potevo effettivamente affermare di conoscere il mio ospite? Sapevo il suo nome, la sua nazionalità, la sua età (circa, non mi era ancora molto chiaro quanti anni avesse) e il suo status lavorativo; recentemente mi aveva permesso di avvicinarmi a lui di qualche passo, ma poi, subito dopo, aveva alzato nuovamente le barriere. Perciò, a conti fatti, su una scala da 1 a 10, quanto conoscevo Yoongi?
Il rumore della porta di casa che si apriva mi riportò bruscamente alla realtà. Voltai la testa verso il salotto e scattai in piedi, facendo rovesciare la sedia pieghevole di legno.
-”Oddio!”- esclamai col cuore che mi batteva a mille.
Mi fiondai fuori dalla cucina, correndo attraverso il piccolo salotto e piazzandomi di fronte alla porta di casa, appena chiusa da Yoongi. Il ragazzo mi guardò, si tirò giù la mascherina e aggrottò le sopracciglia.
-”Oddio...”-.
La testa prese a pulsarmi e sentii gli occhi pizzicarmi. Tirai su col naso e feci di tutto per non scoppiargli a piangere davanti. La tensione accumulata fino a quel momento esplose sotto forma di lacrime.
-”Where have you been?”- mugugnai. Sbattei le palpebre più e più volte, il tutto per cercare in ogni modo di non far scendere le lacrime.
Yoongi, immobile come un palo, boccheggiò. Era evidente che il mio comportamento, stranissimo persino per me, l'avesse colto alla sprovvista. Impacciato e confuso, mi allungò un sacchetto bianco di carta.
-”B-Breakfast”- balbettò. -”I bought breakfast”-.
Guardai all'interno del sacchetto e vidi quattro cornetti, tutti di ripieni diversi. Spostai il mio sguardo offuscato su Yoongi e, dopo aver tirato su col naso, gli sorrisi.
-”Don't do it again. Don't...”-.
Come si diceva “sparire”? Spesso mi capitava di avere dei vuoti di memoria nei momenti meno opportuni. Sospirai e alzai gli occhi al cielo. Dal momento che il termine giusto continuava a non venirmi in mente, optai per una specie di perifrasi. -”...Don't leave me”- dissi con gli occhi lucidi.
Gli occhi di Yoongi si spalancarono lentamente. Le sue labbra si socchiusero un poco e le sue guance, rotonde e solitamente chiare, si spolverarono di rosso. Si tirò sul naso la mascherina nera, lasciando visibili solo gli occhi a mandorla, e distolse lo sguardo, gettandolo a terra. Prese a toccarsi nervosamente il lobo dell'orecchio sinistro, tossicchiando con quello che a me parve imbarazzo.
-”Did I say something wrong?”- gli chiesi preoccupata.
Scosse la testa con veemenza e mi superò a testa bassa, dirigendosi in cucina.
-”I... I made coffee”- disse dall'altra stanza.
-”I know”- risposi seguendolo come un cagnolino. Mi appoggiai allo stipite della porta, con il sacchetto dei cornetti stretto al petto e gli occhi fissi su di lui. -”Why?”-.
Il ragazzo coreano prese a camminare in maniera confusa e agitata per la cucina. Sembrava partire con l'intento di fare qualcosa, convinto, per poi ripensarci all'ultimo e cambiare traiettoria e obiettivo. Si avvicinò alla moka, poi si voltò vero il tavolo, come se la caffettiera l'avesse scottato; andò a chiudere la portafinestra del terrazzo ma poi, mezzo secondo dopo, eccolo lì che tornava ad aprirla. Girava per la cucina come una trottola, con gli occhi strategicamente lontani da me e un continuo borbottio che proveniva dalle sue labbra.
-”Nevermind”- dissi dopo un po'. Invitai Yoongi con un cenno del capo ad accomodarsi al tavolo. Gli dissi di mettersi comodo e che gli avrei versato una tazzina del caffè fatto da lui “con tanto amore”.
-”Thanks for these”- sorrisi indicando il sacchetto coi cornetti.
Yoongi strinse le labbra e annuì con dei rapidi e brevi cenni del capo. Allungò il braccio e afferrò il cellulare, nascondendo il viso dietro lo schermo. Mi lasciai sfuggire un sorriso compassionevole e gli diedi le spalle per versare il caffè nelle tazzine che prima di uscire di casa aveva predisposto sul ripiano. Non ricordavo quanto zucchero volesse, per cui mi limitai a portare in tavola il barattolo e a invitare Yoongi a servirsi. I cornetti che aveva comprato al bar vicino casa emanavano un profumo delicato e fragrante: sicuramente erano stati sfornati da poco.
-”Which one do you prefer?”- gli chiesi sedendomi e porgendogli il sacchetto.
Yoongi, tornato al suo solito colorito chiaro, arricciò le labbra e corrugò la fronte. Mi fece capire, più a gesti che a parole, di voler concedere a me la prima scelta.
-”They're all different”- spiegò. -”Because...”-.
Non proseguì. Si strinse nelle spalle e aprì il barattolo dello zucchero, versando un cucchiaino nel caffè. Non riuscendo a comprendere il suo comportamento ed essendo già abbastanza grata e soddisfatta del ritorno del mio ospite, non feci domande. Aprii il sacchetto e scelsi il cornetto all'albicocca.
Mangiammo un cornetto a testa e bevemmo le nostre tazzine di caffè. Al termine della colazione andai a fumare un'altra sigaretta in terrazzo, sotto lo sguardo contrariato di Yoongi. Da dietro il vetro della portafinestra gli feci la linguaccia e gli mostrai orgogliosa la mia sigaretta. Lui scosse la testa e mi diede le spalle, tornando a occuparsi dei suoi affari al cellulare. Con l'arma di distruzione di massa tra le labbra, inviai un messaggio a mia madre.

 

- Avevi ragione. E' tornato, sta bene.

- Che ti avevo detto? Ma ti capisco: è un bel dramma senza mamma!

 

Maledetta me quando le ho fatto vedere Rapunzel”, pensai sospirando e alzando gli occhi al cielo.

 

 





 

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Capitolo 18
*** Giovedì - Colazione da Yoongi (S) ***


Suga, fermo dall'altra parte della strada, guardava preoccupato l'ingresso del bar.
L'entrata era ostacolata da una serie di tavolini contornati da sedie nere e adornati di posacenere e portatovaglioli. Probabilmente doveva trattarsi dell'ora di punta visto che tutti i tavoli erano occupati. Il cameriere, un giovane ragazzo dai corti capelli castani, faticava a muoversi tra un tavolo e l'altro.
Suga serrò la mascella. Possibile che dovesse per forza passare lì in mezzo per entrare nel locale? Guardò meglio e si accorse di un sottilissimo spazio tra il marciapiede e la piattaforma che ospitava i tavolini esterni. Si fece coraggio e attraversò la strada, raggirando i tavoli ed entrando nel bar, il tutto tenendo una mano premuta contro la mascherina. Provava per quell'accessorio un attaccamento al limite del patologico. Fuori casa si sentiva nudo senza di essa, completamente esposto e in balia degli altri, oggetto dei loro giudizi crudeli. Non si trattava solo di un espediente per fronteggiare la possibilità di essere riconosciuto da qualche fan, era anche uno strumento di difesa contro le sue insicurezze.
Il bar era un piccolo locale che si sviluppava in lunghezza, con il bancone e la cassa a destra, e un ripiano di marmo con qualche sgabello a sinistra. Sopra al ripiano, la parete a specchio rifletteva il bancone dall'altro lato del locale. Il cameriere che qualche minuto prima si destreggiava tra i tavoli esterni fece la sua comparsa alle spalle di Suga. Chiedendo scusa e portando un vassoio in mano, prese l'idol per una spalla e lo spostò di lato per rientrare nel bar e correre dietro al bancone. Suga rimase sconvolto dall'inaspettato contatto fisico e per un attimo fu tentato di girare i tacchi e scappare. Ancora non si era abituato al così diverso stile di vita europeo, e, soprattutto, alla leggerezza con cui gli italiani erano soliti toccare gli sconosciuti. Gli era bastato osservare Delia qualche giorno per capire che per gli italiani lo spazio personale era qualcosa di sconosciuto. A Seoul nessun cameriere si sarebbe sognato di toccare un cliente; nessuna persona per bene si sarebbe presa la libertà di invadere lo spazio vitale di qualcun altro.
-”Welcome!”- sentì dire da una ragazza con una maglietta nera.
Suga alzò lo sguardo e incontrò il sorriso di cortesia della giovane, una finta bionda coi capelli legati in una coda bassa. Si avvicinò titubante alla vetrina e iniziò la sua nervosa ricerca dei cornetti. Li individuò quasi subito e, con incertezza, ne indicò uno alla barista. La ragazza alzò un dito e chiese se ne volesse uno solo e con quale ripieno.
Ah, ci sono più ripieni?”, pensò Suga osservando i cornetti che la ragazza gli stava descrivendo.
Cioccolato, crema, albicocca e vuoto: quale avrebbe dovuto prendere? Non conosceva i gusti di Delia e non voleva acquistare qualcosa che rischiasse di non essere di suo gradimento. Guardò di sfuggita la barista e, con un cenno della mano, le fece capire di volerli prendere tutti.
-”One of each flavour?”- chiese la ragazza per conferma.
Suga annuì. Una volta Namjoon gli aveva detto che gli antichi abitanti d'Italia erano soliti dire che fosse meglio abbondare piuttosto che fare i tirchi. Era così il detto? Non ne era sicuro.
Potrei chiederglielo”, pensò prendendo dalle mani della ragazza il sacchetto di carta e pagando con una banconota da dieci euro. Si domandò se Delia conoscesse il proverbio citato da RM.
Intascò il resto e si eclissò dal bar alla velocità della luce. A passi svelti si diresse verso casa, cercando di togliersi dalla mente la fastidiosa sensazione degli occhi curiosi dello staff del bar puntati addosso. Non avevano mai visto un asiatico?
Giunse al portone del piccolo condominio. La vernice con cui era stato spennellato stava iniziando a sgretolarsi. Inserì la chiave nella toppa, entrò nell'atrio e salì le scale. Il sacchetto dei cornetti emanava una lieve sensazione di dolce calore.
Speriamo che le piacciano”, si augurò aprendo la porta e rientrando nell'appartamento.
Delia gli si parò davanti, i capelli mossi arruffati e delle lievi occhiaie violacee sotto gli occhi. Suga chiuse piano la porta e la guardò con aria interrogativa. Era successo qualcosa durante la sua assenza? Si mise la mascherina nera sotto al mento e aggrottò le sopracciglia. Il volto pallido di Delia riprese pian piano colore. I suoi occhi verdastri divennero lucidi e la ragazza tirò su col naso. Distolse lo sguardo da lui, alzandolo verso il soffitto e sbattendo le palpebre numerose volte nel vano tentativo di impedire alle lacrime di rigarle le guance. Con voce soffocata gli chiese dove fosse stato. Suga avrebbe voluto risponderle ma le parole gli morirono in gola. Non riuscì ad aprire le labbra, sconvolto dal silenzioso pianto della padrona di casa. L'unica cosa che gli venne in mente di fare fu di porgerle il sacchetto coi cornetti.
-”B-Breakfast”- balbettò. -”I bought breakfast”-.
Delia lo prese il sacchetto dalle mani di Suga e sbirciò al suo interno. Spostò gli occhi lucidi sul ragazzo e gli sorrise, impacciata.
-”Don't do it again. Don't...”-. Fece una pausa, sforzandosi di esprimere in inglese l'apparente difficile concetto che le stava frullando in testa. -”Don't leave me”-.
Mai avrebbe pensato che una frase così semplice potesse scombussolarlo in quel modo. Suga avvertì improvvisamente caldo e sentì gli occhi spalancarsi a poco a poco. Le orecchie erano bollenti, così come le sue guance. Si sentì a un tratto vulnerabile e privo di salde difese. Alzò la mascherina su metà del viso, la sua amata copertina di Linus. Gli occhi di Delia erano su di lui, puntati come due fari della polizia.
-”Did I say something wrong?”- gli chiese preoccupata.
Che razza di domanda era? Ma si era resa conto di cosa avesse appena detto? Suga non le rispose; la sua gola, così come la sua bocca, si era seccata; se avesse provato a spiccicare parola sarebbe uscito solo un flebile e imbarazzante gracchio. Scosse la testa con veemenza, come a scrollarsi di dosso le maledette parole di Delia. La superò a testa bassa e si diresse in cucina.
-”I... I made coffee”- disse dopo essersi schiarito la voce. Voleva a tutti i costi cambiare argomento e distogliere l'attenzione di Delia dal suo viso paonazzo. Gli venne in mente tutte le volte che, insieme agli altri ragazzi, aveva preso in giro Jin per la facilità con la quale arrossiva.
Quindi è così che ci si sente, eh? Che merda”, pensò.
Delia gli corse dietro a piccoli passi, come un cucciolo di cocker.
-”Why?”- gli chiese una volta che lo ebbe raggiunto.
Suga, che si era appoggiato al tavolo, sussultò al solo udire quella parola. Alzò lo sguardo per aria e si grattò la nuca. Perché sorprendersi tanto? Lo sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata; Delia era un'impicciona, e in quanto tale era solita chiedere spesso il motivo che spingeva le persone a compiere anche la più piccola e banale azione. Più volte Suga si era chiesto se lo facesse per pura e semplice curiosità o se, in realtà, si divertisse a vedere gli altri andare nel pallone; andare nel pallone esattamente come Suga in quel momento: il ragazzo, non sapendo come eludere la domanda in maniera naturale e spontanea, prese a muoversi a disagio per la cucina.
Cazzo!”, pensò nervoso.
Poteva far finta di non averla sentita o, addirittura, capita.
Che idea geniale!”.
Si avvicinò alla moka con l'intento di versare il caffè nelle due tazzine che, prima di uscire di casa, aveva tirato giù dalla credenza. All'ultimo ci ripensò. La sua tattica faceva acqua da tutte le parti: non esisteva essere umano sulla faccia della terra che non sapesse il significato della banalissima parola inglese “Why”.
Che idea del cazzo”.
Si voltò verso il tavolo stringendo le mani a pugno. Sentì un lieve odore di fumo propagarsi nell'aria. Delia doveva aver fumato in sua assenza. La portafinestra era aperta: forse l'odore fastidioso veniva da fuori. Non ci pensò su molto e la chiuse.
Delia, appoggiata allo stipite della porta, lo stava fissando con uno sguardo a metà tra il divertito e il confuso. Era sicurissimo che stesse ancora aspettando una risposta alla sua domanda. Suga strinse le labbra, ormai a un passo dal panico. Come poteva dirle che aveva deciso di prepararle la colazione per ringraziarla di ciò che negli ultimi giorni aveva fatto per lui? Il suo orgoglio ne avrebbe risentito.
L'agitazione che aveva in corpo aumentò ulteriormente la sua temperatura. Quanto faceva caldo? Tornò alla portafinestra e la spalancò.
Vide con la coda dell'occhio Delia muoversi.
-”Nevermind”- gli disse.
Suga si voltò lentamente a guardarla. Si sentì un poco sollevato quando capì che la ragazza aveva mollato l'osso. Col cuore che continuava a martellargli nel petto come un martello pneumatico, seguì le indicazioni di Delia: si sedette al tavolo e attese pazientemente che gli servisse il caffè. Gli occhi gli scivolarono sul suo cellulare abbandonato in mezzo al tavolo con lo schermo rivolto verso l'alto.
-”Thanks for these”- lo ringraziò Delia indicando il sacchetto dei cornetti posato vicino al telefonino.
Suga annuì brevemente. Allungò una mano e si rimpossessò del suo cellulare. Nella fretta di uscire e prima che Delia si svegliasse se l'era dimenticato in cucina. Sbloccò lo schermo e vide che nella chat di gruppo coi ragazzi si era scatenato il panico. Si stavano tutti domandando per quale motivo Suga visualizzasse tutti i messaggi e non rispondesse a manco mezzo.

 

- Sono uscito e ho lasciato il cellulare a casa, tranquilli...

 

La pacatissima risposta non sortì l'effetto desiderato. Hoseok prese a tartassarlo di brevi e sequenziali messaggi, domandando cosa fosse successo di così straordinario da fargli dimenticare di portare con sé il telefono. Jungkook e Taehyung, totalmente incuranti dell'argomento principale della conversazione, gli chiesero se stesse facendo delle belle foto.

 

- Ci sto provando. Spero vi piacciano.

 

Seokjin, ignorando tutto e tutti, gli chiedeva invece come fosse il cibo in Italia, se stesse mangiando abbastanza e se stesse riposando bene. Suga si lasciò sfuggire un timido sorriso mentre rispondeva ai messaggi preoccupati dell'amico. Hoseok, imperterrito, continuava a ficcare il naso nei suoi affari.

 

- Hobie: Non è da te!

- ChimChim: Sono curioso anche io!

- Kookie: Ricordati che ti ho dato anche un'altra scheda di memoria! Nel caso in cui dovessi finire la prima...

- Nam: Ragazzi, non dovremmo prepararci per uscire?

- TaeTae: Io sono già pronto, lumache!

- Jin: A quanto è quotato il ritardo di Hobie?

 

-”Which one do you prefer?”- gli chiese Delia ripescandolo dal vortice delle inutili chiacchiere dei suoi amici.
La ragazza gli indicò i cornetti e Suga si strinse nelle spalle. Le disse che per lui non faceva differenza, che voleva che fosse lei la prima a scegliere. Stava per spiegarle il motivo per il quale ne avesse preso uno di ogni gusto quando il suo orgoglio, solido come una roccia e rigido come una lastra di acciaio, lo agguantò per i capelli e gli sbatté la testa contro il muro. Dirle che lo aveva fatto perché non sapeva quale ripieno preferisse e non voleva dispiacerla?
Farai bene a tenere la bocca chiusa, mammoletta!”, gli ordinò il suo orgoglio.
Suga sigillò le labbra e non terminò il discorso. Il signor orgoglio era stato fin troppo chiaro. Prese un cucchiaino di zucchero e lo versò nella tazzina che Delia gli aveva passato. La ragazza, fortunatamente, non insistette. Ringraziò Suga e prese il cornetto all'albicocca. Per quanto si trattasse semplicemente di un pezzo di pasta sfoglia ripieno di marmellata di albicocche, Delia sembrava esserne contentissima. Sorrideva mentre lo mangiava a piccoli bocconi, ticchettando le unghie blu sul display del cellulare e sorseggiando il caffè che Suga aveva preparato seguendo uno stupido tutorial su YouTube.
Probabilmente si sentì osservata, perché a un tratto alzò gli occhi e guardò Suga. Il ragazzo distolse subito lo sguardo e fece schioccare la lingua. Il signor orgoglio poteva dirgli quello che gli pareva, ma, vedendo come la sua missione aveva condotto a un esito positivo, Suga sorrise nel constatare di sentirsi disposto a ripeterla altre cento volte.






















ANGOLO AUTRICE
RAGAZZI, SONO VERAMENTE EUFORICA! Ho finalmente concluso la sessione autunnale e fino a ottobre sarò libera come un fringuello primaverile (?). Cercherò di rendere gli aggiornamenti un pochino più regolari, ma, come al solito, non vi posso promettere niente :< Avendo altre fanfiction da seguire (e due piattaforme da gestire), sono ancora poco organizzata :/
La storia, come potete vedere, sta procedendo e, rispetto ai primi capitoli, la relazione tra Yoongi e Delia ha subito diversi cambiamenti. Nel prossimo capitolo la mirabolante coppia visiterà un'altra città e qualcuno potrebbe decidere di fare a qualcun altro una certa domanda...
Vi lascio con questa piccolissima anticipazione >:)
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

 

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Capitolo 19
*** Giovedì - Lucca: Do you know BTS? ***


Yoongi non sembrò particolarmente entusiasta mentre gli comunicavo che saremmo andati a fare un giro a Lucca, una città vicina, e che avremmo preso il treno. Mi chiese perché non volessi prendere la macchina e io, con sincerità disarmante, gli spiegai che, nonostante avessi la patente da ormai quattro anni, ancora non mi sentivo sicura a viaggiare su superstrade e autostrade.
-”There”- dissi passandogli i nostri biglietti. Mi chinai a raccogliere il resto dalla bocchetta della biglietteria automatica e mi infilai gli spiccioli in tasca.
L'atrio della Stazione Centrale non era molto affollato. Essendo giorno feriale e non ancora ora di fine lavoro, erano poche le persone che ci sfilavano davanti trainandosi dietro valigie, zaini e trolley. Vedendo Yoongi spaesato, gli indicai il tabellone delle partenze, a sinistra del grande orologio analogico che controllava l'atrio dall'alto come una vedetta.
-”Can you read it?”-. Non sapevo se fosse in grado di leggere e comprendere i glifi latini. Mi offrii di leggere il tabellone al suo posto, ma Yoongi scosse la testa. C'era un leggero sorriso divertito sulle labbra, una debole incurvatura che sembrava sussurrare “Questa sfida la vinco io”.
-”That”- disse deciso indicando una riga del tabellone. -”Bin...Binario four”-.
-”Correct!”- esclamai battendo le mani.
Il treno per Lucca sarebbe partito tra un quarto d'ora, perciò feci cenno a Yoongi di seguirmi. Attraversammo l'atrio in fila indiana, io davanti e lui dietro, silenzioso ma dal passo pesante; sembrava gli facesse fatica alzare i piedi dal pavimento. Sorrisi tra me e me, ricordando di quando, qualche sera prima, era inciampato in casa e finito quasi per terra. Quella sera l'avevo rimproverato dicendogli di non strascicare i piedi, e lui mi aveva risposto con un sorriso sghembo.
-”You're not my mother”- mi aveva detto poi sghignazzando.
Scendemmo una breve scalinata e percorremmo un tratto del lungo sottopassaggio che dal binario 1 conduceva a tutti gli altri binari, fino al tredicesimo. Risalimmo al binario 4 e, constatando che oltre a noi non ci fosse nessun altro, indicai a Yoongi la panchina situata sotto a un piccolo monitor sopra al quale era possibile visionare in tempo reale lo stato dei treni in arrivo. Yoongi si sedette e si abbassò la mascherina. Mi guardò con uno strano cipiglio a cui io risposi con un'occhiata interrogativa.
-”Your hair...”- iniziò gesticolando e indicando i miei capelli. -”What colour is your hair?”-.
Presi una ciocca di capelli tra le dita e me la portai davanti agli occhi. Sorrisi, imbarazzata e presa alla sprovvista. Si vedeva così tanto che il mio colore non era naturale? Quando andai a farmi la tinta, mi raccomandai col parrucchiere affinché il colore fosse il più naturale possibile. Il risultato ottenuto fu per me eccellente, ma evidentemente agli occhi di Yoongi così non doveva essere.
Sospirai e presi in mano il cellulare. Aprii la galleria e andai a cercare una foto di quando ancora non mi ero tinta di rosso mogano. Passai il cellulare a Yoongi e gli dissi che, sinceramente parlando, non amavo molto il mio colore naturale; lo trovavo piatto e anonimo. Il suo sguardo andò più volte dalla foto a me e viceversa. Si tocchicchiò il lobo dell'orecchio e mi restituì il telefono, annuendo con le labbra strette. Cosa voleva dire? Che anche a lui facevano schifo i miei capelli castani?
-”I was once mint-colored”- disse.
-”Really?!”- esclamai incredula.
Yoongi annuì nuovamente, con gli occhi chiusi e le labbra leggermente protratte in avanti.
-”Do you have a pic?”- gli chiesi. Ero curiosissima di vederlo coi capelli color menta.
Yoongi ci pensò su un po'.
-”I don't know...”- bofonchiò prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans neri. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e incurvò la schiena, chinando il capo sul display del telefono.
Mentre il mio ospite era completamente assorto nella ricerca del Santo Graal, il treno per Lucca arrivò al binario. Lo stridio dei freni e delle ruote sulle rotaie mi costrinse a tapparmi le orecchie e ad arricciare il naso; Yoongi, come una statua di cera, restò impassibile, gli occhi a mandorla incollati al cellulare. Salimmo a bordo e ci sedemmo sui primi due posti liberi che trovammo, uno di fronte all'altro ed entrambi dal lato del finestrino. Quando il treno, dopo qualche minuto, ripartì, Yoongi mi porse suo il cellulare.
-”Mint”- disse indicandolo con un cenno del mento.
La foto che Yoongi mi stava facendo vedere lo ritraeva in mezzo a quello che sembrava un parco; non riuscii a identificarlo bene perché lo sfondo era sfuocato. Yoongi indossava una maglietta col logo dei Rolling Stones, un giacchetto di pelle nera e delle bretelle bianche, e alle orecchie aveva degli orecchini neri. I capelli, come mi era stato anticipato, erano color menta, freddi e lisci, con un accenno di rasatura vicino alle tempie e alle orecchie. Soffermai il mio sguardo sulle sue labbra socchiuse e sulla sua espressione rilassata e quasi sognante. Mi vennero i brividi.
-”Geez...”- fu tutto quello che riuscii a dire. Gli passai il cellulare e voltai il capo verso il finestrino. Sentivo di essere arrossita un po'.
-”How long does it take?”- mi chiese con noncuranza.
-”A half hour”- risposi con gli occhi incollati al finestrino.
Quella foto di Yoongi mi aveva letteralmente folgorata. Non lo credevo capace di trasmettere un'aura del genere, effimera ma al tempo stesso travolgente. Lo guardai di sottecchi per assicurarmi che il ragazzo della foto e quello seduto di fronte a me fossero la stessa persona.
-”Yoongi, can I...?”-. Stavo per chiedergli di mostrarmi di nuovo la foto quando, repentina, una strana constatazione venne a bussare alla mia porta.
Quello scatto è terribilmente professionale”.


 

I viali alberati che costituivano la parte alta delle antiche mura di Lucca piacquero molto a Yoongi; in realtà piacevano un sacco anche a me. Molti si recavano a Lucca per la cittadella interna alle mura, ricca di negozi di stilisti ricercati e di viuzze intriganti, io lo facevo principalmente per le mura. L'ampio viale che abbracciava dall'alto la città mi aveva sempre trasmesso calma e tranquillità.
Dopo aver fatto un giro completo della cinta muraria, Yoongi volle fermarsi a riposare sotto il porticato superiore di Porta Santa Maria.
-”Can we stop here?”- mi chiese indicando il muretto.
-”Ci mancherebbe”- risposi in italiano. Avevo le gambe a pezzi e mi faceva male la schiena. Constatai con una punta di rammarico di non essere più abituata a camminare ininterrottamente per più di un'ora.
Yoongi si sedette sul muretto e appoggiò lo zaino nero accanto a sé. Si tolse la macchina fotografica dal collo e la ripose all'interno dello zaino. Si stiracchiò le braccia e per un attimo mi ricordò tantissimo un gatto. Sorrisi, ficcandomi una sigaretta in bocca e accendendola.
Sentii il cellulare vibrare all'interno della borsa.
-”Pronto?”- risposi senza guardare il nome sul display.
-”Creatura angelica, disturbo?”- mi chiese Azzurra dall'altro capo della linea.
Feci cenno a Yoongi di starmi per allontanare per qualche minuto. Lui annuì e si sistemò la mascherina sul volto.
-”No, dimmi pure!”- dissi dando le spalle al mio ospite e uscendo dal porticato sotto al quale Yoongi aveva voluto fermarsi.
-”Volevo solo metterci d'accordo per stasera. Non so se tu abbia in mente un posto preciso, ma c'è questo locale vicino a Piazza delle Vettovaglie che mi dicono sia molto carino”-.
Giusto, l'aperitivo con Azzurra: me n'ero quasi dimenticata.
-”Hai carta bianca. Lo sai che non sono molto pratica di queste cose”-.
-”Benissimo, ci penso io!”- trillò Azzurra entusiasta. -”Per che ora prenoto?”-.
-”Fai pure le otto. Adesso sono fuori casa e non so di preciso quando rientreremo”- spiegai lanciando un'occhiata a Yoongi. Aveva ripreso in mano la macchina fotografica e stava facendo qualche foto completamente a casaccio. Lo sorpresi a fotografare una foglia sul pavimento del porticato.
-”Rientreremo?”- ripeté Azzurra sospettosa. -”Con chi sei?”-.
-”Col mio ospite, scema”- risposi alzando gli occhi al cielo. -”Quello che stamattina pensavo avessero rapito e che lunedì si è perso”-.
Azzurra rise e mi disse che dovevo essere proprio fusa per andare a pensare una cosa del genere.
-”Scusami se tengo ai miei ospiti! E quando mai gli asiatici hanno un ottimo senso dell'orientamento?”- borbottai in mia difesa.
Mi resi conto troppo tardi di aver appena pronunciato una delle poche parole in grado di catturare completamente l'attenzione di Azzurra e di attivare un interruttore difficilissimo da spegnere. Pregai con tutta me stessa che non mi avesse sentita, ma il buon Dio scelse il momento sbagliato per distogliere gli occhi da me.
-”Di dov'è?”- mi domandò subito.
-”...Sud Corea”- risposi afflitta.
-”Oddio!”- esclamò Azzurra. -”Chiedigli se vuole uscire con noi stasera! Ti prego!”-.
-”Non credo sia una buona idea. Non è una persona molto socievole, ecco... Preferisce stare sulle sue”- iniziai sperando di farla desistere.
-”Ma no, ma no! Tu chiediglielo lo stesso! Mi piacerebbe tanto conoscerlo!”-.
-”Solo perché è coreano?”- chiesi arricciando il naso.
-”Ah, devo andare”- mi ignorò. -”Più tardi ti scrivo un messaggio e ti faccio sapere orario e luogo per stasera. Senti, posso chiederti un piccolissimo favore?”-.

 

Tornai da Yoongi con le gambe pesanti e doloranti e il capo che mi scoppiava. Azzurra mi aveva rintontita per bene, riempiendomi la testa di chiacchiere inutili sulle sue strane fisse. Yoongi mi guardò e mi interrogò con lo sguardo, vedendomi visibilmente provata. Mi sedetti accanto a lui sul muretto e gli sorrisi facendo spallucce. Gli dissi che la mia migliore amica mi aveva telefonato per metterci d'accordo sull'aperitivo di quella sera. Yoongi aggrottò le sopracciglia e mi disse che non sapeva cosa fosse un aperitivo.
-”Don't you know?”- gli chiesi sorpresa.
Si passò una mano tra i capelli neri e scosse la testa.
Gli spiegai brevemente in cosa consisteva un aperitivo italiano; dai suoi occhi sembrò che l'idea non gli dispiacesse per niente.
-”You can come with us”- dissi.
Ci pensò su un attimo ma poi scosse la testa, declinando gentilmente l'invito. Come avevo anticipato ad Azzurra, Yoongi non era persona da eventi mondani.
Memore del favore chiestomi dalla mia carissima amica, mi schiarii la voce; dissi a Yoongi che Azzurra aveva insistito tanto affinché gli facessi una certa domanda. Il suo sguardo si fece attento e intravidi al suo interno una traccia di curiosità.
-”Do you know BTS?”-.
Yoongi non rispose subito; i suoi occhi scurissimi mi scrutarono con intensità e mi misero parecchio a disagio. Mi alzai in piedi, convinta di aver detto o chiesto qualcosa di sbagliato. Mi giustificai subito dando tutta la colpa ad Azzurra, dicendo che di k-pop non sapevo un accidente e che io 'sti BTS non li avevo mai sentiti nominare.
-”Neither I”- disse Yoongi con un tono di voce piatto. La sua voce era quasi graffiante, come se gli si fosse seccata la gola.
-”Really, I don't know who they are!”- esclamai. -”Sono talmente ignorante che anche se me ne trovassi davanti uno non saprei riconoscerlo!”- aggiunsi tra me e me, ridacchiando.
















ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo che spero vi piacerà come gli altri :>
In questo capitolo entra finalmente in gioco Azzurra, nominata più volte ma mai sentita "vicina" come i due personaggi principali. Azzurra è un'ARMY, e appena ha saputo che l'ospite di Delia era sudcoreano è partita in quarta.
Riuscirà Yoongi a mantenere il proprio segreto o Azzurra scoprirà la sua identità? >:)
Alla prossimaaa! ^^

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Capitolo 20
*** Giovedì - Lucca: Do you know BTS? (S) ***


Suga aveva appena posato una mano sulla maniglia della portiera anteriore della Panda nera di Delia quando la ragazza aveva scosso la testa e aveva indicato un punto non ben definito alle proprie spalle. Gli disse che per andare a Lucca avrebbero preso il treno.
-”Why the train?”- le aveva chiesto un po' scocciato. Se possedeva la macchina, perché scomodarsi per prendere un orribile mezzo pubblico? Suga, prima di partire, si era un po' informato sui vari mezzi di spostamento italiani ed era rimasto spiacevolmente sorpreso nel leggere le innumerevoli recensioni negative sulla linea ferroviaria.
Delia aveva fatto spallucce e gli aveva detto che, fondamentalmente, aveva paura delle strade extra-urbane.
-”Do you want to die?”- aveva concluso dopo aver commentato negativamente la propria guida.
Suga si era arreso e non aveva ribattuto; si era limitato a seguire Delia lungo Borgo Largo, Borgo Stretto e Corso Italia, attraversando poi Piazza Vittorio Emanuele II.
Il grande atrio della Stazione Centrale li aveva accolti relativamente silenziosamente; c'erano molte meno persone di quanto Suga si aspettasse. Si guardò attorno facendo vagare lo sguardo per aria, mentre Delia litigava con la biglietteria automatica. Lo schermo touch della macchinetta sembrava non voler collaborare con la ragazza. Suga, alle spalle di Delia, si lasciò sfuggire un sorrisetto. Non glielo aveva mai detto, ma gli piaceva un sacco sentirla parlare e borbottare in italiano.
-”There”- disse la ragazza dopo l'estenuante lotta con la biglietteria. Gli passò i due biglietti del treno e si chinò a raccogliere gli spiccioli che la macchinetta aveva sprezzantemente sputato.
Delia, nonostante le varie imprecazioni, appariva tranquilla e rilassata. Sorrise a Suga e gli indicò il tabellone delle partenze, chiedendogli se fosse in grado di leggerlo. Il sopracciglio sinistro di Suga scattò verso l'alto e il giovane idol squadrò Delia da capo a piedi. Lo aveva appena sfidato? Certo che sapeva leggere il tabellone! A scuola aveva studiato inglese e con esso l'alfabeto latino. Aveva qualche problema nella scrittura (del resto i glifi latini non facevano parte della sua normale routine), ma, per quanto riguardava la lettura, se la cavava alla grande.
-”I can read it for you if you...”-.
-”I can do it”- la interruppe prima che potesse finire di parlare.
Strizzò gli occhi e mise a fuoco le lettere arancioni brillanti che spiccavano sullo sfondo nero del tabellone. Individuò la scritta “Lucca” e immaginò che il numero singolo che compariva nella colonna a fianco fosse quello del binario.
-”That. Bin... Binario four”-.
-”Correct!”- esclamò Delia.
La ragazza, dopo averlo messo al corrente dell'orario della partenza del treno, lo esortò a seguirla e a dirigersi al binario 4. Delia camminava davanti a lui con un passo leggero e deciso. Più volte si girò verso di lui per controllare che le fosse vicino e che non si fosse perso. L'esperienza traumatica di quella mattina doveva averla in qualche modo segnata. Suga si sentì in colpa per non averle lasciato un biglietto; mai si sarebbe aspettato che la forte e solare Delia avrebbe reagito in un modo così fragile e tenero.
Don't leave me”, gli aveva detto con gli occhi lucidi e il viso arrossato.
Più Suga ci ripensava e più sentiva il petto soffocato da una morsa attanagliante. Non era proprio senso di colpa, era qualcosa di più simile a...
A cosa?
Dopo aver percorso qualche metro nel sottopassaggio, riemersero sulla banchina del binario 4. Suga, sotto suggerimento di Delia, si sedette su una panchina vuota. Non si tolse lo zaino nero dalle spalle; sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato il treno. Delia restò in piedi, avvolgendosi il busto tra le braccia e guardando con insistenza la direzione da cui, a quanto pareva, sarebbe comparso il tanto odiato mezzo di trasporto. Suga non poté fare a meno di constatare che la sua padrona di casa avesse dei bellissimi capelli. Naturalmente mossi, le ricadevano in sinuose onde lungo le spalle, arrivandole fino alle scapole. Anche il colore non era male: un classico rosso mogano dai riflessi brillanti. Suga aveva subito capito che non si trattava di un colore naturale ma di una tinta; del resto era da un sacco di tempo che aveva a che fare con le tinte per capelli.
Delia, dopo un po', si accorse dello sguardo fisso di Suga e gli lanciò un'occhiata interrogativa.
-”Your hair... What colour is your hair?”- le chiese curioso.
Delia spalancò un poco gli occhi verdastri e si attorcigliò una ciocca attorno all'indice della mano sinistra. La esaminò e sorrise imbarazzata. Forse non avrebbe dovuto chiederglielo. Suga si pentì di averle fatto quella domanda. La ragazza, dopo aver sospirato, prese il cellulare e sbloccò lo schermo. Dopo qualche attimo lo porse a Suga.
-”I don't really like my natural colour”- gli spiegò.
Suga prese con cautela il cellulare dalle mani bianche di Delia e osservò la foto che ritraeva la giovane in compagnia di un'amica. In quell'immagine i suoi capelli erano castani, lievemente più chiari sulle punte. Nonostante il suo sorriso fosse smagliante, i suoi occhi lasciavano trapelare una leggera nota di tristezza. Guardò Delia, quella reale, e poi nuovamente la foto. Qualcosa, a parte il colore dei capelli, era cambiato. La Delia che stava in piedi di fronte a lui, nonostante le labbra contratte in una smorfia di disapprovazione, aveva degli occhi diversi.
Adesso sembra davvero felice”, pensò annuendo e restituendo il cellulare alla proprietaria.
-”I was once mint-colored”- le disse.
-”Really?!”- esclamò lei incredula.
Suga annuì e Delia gli chiese se avesse una foto da farle vedere. Suga strinse le labbra e ci pensò un po' su. Da quando aveva detto addio al verde menta aveva cambiato cellulare, perciò non era sicuro di avere ancora qualche foto. Ispezionò la galleria del telefono, barcamenandosi tra i suoi selfie, le immagini cretine che i ragazzi mandavano in chat, diversi screenshot e varie immagini che salvava dai social. Nonostante la miriade di foto, del vecchio Suga dai capelli verde menta non c'era alcuna traccia. Stava per comunicare l'esito negativo della sua ricerca a Delia quando, come un rapidissimo lampo, gli passò davanti agli occhi il volto sorridente ed entusiasta della ragazza. Poteva davvero permettersi di deluderla dopo aver visto il suo sorriso? In realtà la soluzione alla mancanza di una foto era semplicissima.
Semplice quanto rischiosa.
Cercare su Internet una sua foto voleva dire esporsi direttamente al rischio di essere scoperto. Come avrebbe potuto spiegare a Delia la presenza di migliaia di sue immagini sul web?
Vabbè”, pensò alla fine digitando il proprio nome sulla barra di ricerca del browser. “Tanto è impossibile che mi scopra”.

 

-”Can we stop there?”- le chiese indicando il muretto del porticato superiore di Porta Santa Maria.
Delia rispose in italiano ma Suga comprese ugualmente le sue parole di assenso. Era distrutta, si vedeva lontano un miglio; a malapena si reggeva in piedi e con una mano si massaggiava la schiena, come una vecchietta costretta ad alzarsi dalla poltrona davanti alla televisione. Suga si sedette sul muretto e si tolse lo zaino dalle spalle, appoggiandolo accanto a sé. La macchina fotografica di Jungkook, appesa al collo, era piuttosto pesante. La ripose all'interno dello zaino e si stiracchiò le braccia, stringendo gli occhi e godendosi il lieve calore del sole sulla pelle. Socchiuse un occhio e vide che Delia lo stava guardando. Non fece in tempo a chiederle se ci fosse qualcosa che non andava perché Delia gli sorrise e si voltò dall'altra parte, accendendosi una sigaretta. Un attimo dopo il cellulare di Delia comparve tra le sue mani e la voce della ragazza, leggermente roca a causa del fumo, raggiunse le sue orecchie. Delia, dopo aver risposto alla chiamata, si girò verso Suga e, con un cenno della mano, gli fece capire che si sarebbe allontanata per qualche minuto.
Vuole lasciarmi qui?”, pensò Suga con un po' di nervosismo. Annuì e si coprì il volto con la mascherina nera, prendendo lo zaino e stringendoselo al petto, come uno scudo infrangibile. Guardò la sua padrona di casa scostarsi di una decina di metri, uscendo dal porticato e gesticolando come un italiano degno del suo nome avrebbe fatto. Agitava la sigaretta in aria, stringendosi nelle spalle, alzando gli occhi al cielo, scoppiando a ridere, prendendo a calci qualche sassolino e, ogni tanto, guardando di sottecchi Suga. Il ragazzo era come ipnotizzato dai movimenti irregolari di Delia e dal tono della sua voce, completamente diverso da quello a cui si era abituato. Aveva iniziato a notarlo sentendo Namjoon parlare in inglese: quando le persone parlano una lingua diversa da quella madre, assumono un tono diverso. La “voce inglese” di Delia era pacata, molto dolce e, a tratti, timida e composta; spesso gli era sembrato di parlare con un automa. Quella “italiana”, invece, quella originale, era spontanea e brillante, come del resto era Delia stessa. Suga si dispiacque di non essere abbastanza vicino alla ragazza per poter udire in maniera ottimale il suono della sua voce. Riprese in mano la fotocamera di Jungkook e cercò di distrarsi scattando qualche foto a caso, come agli alberi, alla strada sotto la Porta, al viale alberato, alle foglie...
Dopo minuti che a Suga parvero ore, finalmente Delia concluse la telefonata e tornò da lui. Aveva una strana espressione sul viso, un misto tra felicità, esasperazione, fastidio e divertimento. Si sedette accanto a lui, provata ed esausta. Rispondendo alle occhiate interrogative di Suga, Delia lo aggiornò sulla situazione e gli spiegò che la sua migliore amica l'aveva chiamata per organizzare un “aperitivo”.
-”Aperitivo?”- ripeté il ragazzo con difficoltà. -”What is it?”-.
-”Don't you know?”- disse sorpresa Delia spalancando gli occhi.
Suga si passò una mano tra i capelli neri e scosse la testa. Delia, con la sua intramontabile pazienza, gli spiegò in che cosa consistesse un aperitivo italiano.
Bere alcolici mangiando in compagnia? Mica male!”, pensò sorridendo.
-”You can come with us”- gli disse Delia vedendo l'entusiasmo sul suo volto.
Per quanto l'idea di un aperitivo lo interessasse (e non poco), Suga rifiutò l'invito. Non gli andava molto di trovarsi obbligato a conversare malamente con una sconosciuta. L'amica di Delia pareva una ragazza alquanto loquace, e a Suga Delia bastava e avanzava.
Delia, dopo un po', si schiarì la voce e si passò una mano tra i capelli mossi. Suga spostò lo sguardo su di lei.
-”I'm sorry, but...”-. Gli disse con un velo di rossore sul viso che Azzurra, la sua amica, aveva insistito tantissimo perché gli ponesse una certa domanda. Suga alzò entrambe le sopracciglia, chiedendosi cosa questa Azzurra potesse mai voler sapere. Delia sorrise.
-”Do you know BTS?”-.
Suga sentì perfettamente i rimbombi sordi e funebri del suo cuore. Il muscolo involontario, appena udito quel semplicissimo acronimo, si spaventò e iniziò a pompare il sangue a velocità raddoppiata, se non triplicata. Le sue gambe fremevano per scappare; volevano alzarsi e percorrere il viale alberato a grandi passi, a rapide falcate, divorando metro dopo metro come un leone. Delia si era accorta del rivolo di sudore freddo che stava lentamente scivolando lungo la sua tempia destra? Il volto di Suga era una maschera impassibile di terrore e di rassegnata sconfitta.
Mi ha scoperto”.
Guardò Delia, convinto di trovare nella sua faccia l'espressione di chi era finalmente riuscito a mettere il nemico nel sacco, l'estasiata soddisfazione di Zenigata di fronte alla definitiva cattura di Lupin III, ma tutto ciò che i suoi occhi scuri incontrarono fu il sincero turbamento di Delia e la sua curiosità. I muscoli del collo di Suga si rilassarono un poco, le gambe smisero di fremere e il cuore, un cavallo imbizzarrito, si acquietò. La ragazza italiana scattò in piedi, preoccupata dal lungo silenzio di Suga, e si affrettò a scusarsi per l'insolita domanda e a dare la colpa ad Azzurra. Disse di non sapere niente né sul k-pop né sui BTS.
-”Neither I”- gracchiò Suga senza guardarla negli occhi.
Delia scoppiò a ridere e disse qualcosa, ma le sue orecchie non la sentirono. Suga fissò il pavimento di pietra e intrecciò le dita tra loro, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Le chiacchiere inutili di Delia si disperdevano nell'aria, trasportate lontano dal vento.
Se dovesse incontrare Azzurra, per la mia vacanza sarebbe la fine”, pensò con grande preoccupazione. “Non deve incontrarla”.















ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti! :D
In queste ultime due settimane non sono stata per niente attiva perché sono andata (finalmente) in vacanza :D Se non ho letto, aggiornato e/o recensito è per questo motivo >< Pian piano riprenderò tutte le mie attività, promesso <3
Come vi avevo già anticipato, nel prossimo capitolo conosceremo finalmente Azzurra, l'amica ARMY di Delia; sinceramente non so se quello che ho in mente vi piacerà :O Speriamo in bene! *risatina nervosa*
Alla prossima! ^^


 

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Capitolo 21
*** Giovedì - Aperitivo ***


Era da un sacco di tempo che non uscivo con qualcuno per un aperitivo.
Da quando avevo messo al primo posto la carriera universitaria e al secondo il “lavoro”, avevo iniziato a trascurare quelle poche amicizie che erano riuscite a mantenersi nel tempo. Le persone a me vicine ne erano a conoscenza: sapevano benissimo quali fossero le mie priorità e, soprattutto, quanto mi desse fastidio l'idea di essere costretta a contattare qualcuno solo ed esclusivamente per non venir meno alle convenzioni sociali. Azzurra era l'unica in grado di fregarsene altamente dei miei paletti e di riuscire a scavalcarli senza essere fucilata un secondo dopo. Glielo lasciavo fare, semplicemente perché, nel corso della nostra lunga amicizia, avevo capito che di lei potevo fidarmi ciecamente.
Misi a soqquadro il mio armadio, prendendo qualunque tipo di vestito che mi capitasse per le mani e gettandolo alle mie spalle sul letto a due piazze. Quando il mobile di legno fu svuotato completamente, mi girai verso il letto e misi le mani sui fianchi, scandendo con occhio critico tutti i miei vestiti, dalle magliette, camicie, bluse, maglioni, ai pantaloni, gonne, mini gonne e pantaloni-palazzo. Avevo aperto anche l'altra anta dell'armadio, quella a sinistra, ovvero la parte riservata ai vestitini per le occasioni importanti, come compleanni, feste di lauree, cene e, appunto, aperitivi.
-”Perché non so mai cosa mettermi?”- mugugnai frustrata.
Guardai il mio orologio da polso e mi prese un colpo quando vidi che mancava solo mezz'ora all'orario stabilito per l'appuntamento.
-”D'accordo, okay, ce la posso fare”- mi spronai.
Eliminai pantaloni e mini gonne, cestinai magliette e maglioni; mi concentrai su bluse e camicie, facendo qualche abbinamento di prova con delle gonne e dei pantaloni-palazzo. Dopo l'ennesimo tentativo fallito, guardai gli abiti “speciali” e serrai la mascella.
-”Vada per la fanteria pesante”- decisi.
C'era un vestitino nero a motivi floreali rosati che non indossavo da una vita. Aveva le maniche di tulle nero a sbuffo e la gonna svolazzante era lunga fino a sopra il ginocchio. Lo presi per le spalline, innalzandolo sopra al mare degli abiti scartati, e sorrisi compiaciuta. Ci avevo messo un po' a trovare quello giusto, ma l'importante era che, finalmente, ci fossi riuscita. Per evitare qualunque tipo di ripensamento, lo indossai subito, cambiandomi alla velocità della luce. Nonostante fossero i primi giorni di maggio, spesso la sera le temperature non erano ottimali, perciò frugai all'interno di uno dei cassettoni dell'armadio in cerca di un paio di collant.
Devo ricordarmi di comprarne di nuovi”, pensai dopo aver tirato fuori il secondo paio bucato.
Il quarto tentativo andò a buon fine. Misi i collant con molta cautela, facendo attenzione a non tirarne i fili e a sfarne la trama sottile. Presi da sotto il letto la scatola dei mocassini neri col tacco e me li infilai in fretta e furia. Dopo essermi ravvivata i capelli spalancai la porta e attraversai il salotto impettita, non degnando nemmeno di uno sguardo Yoongi steso sul divano-letto chiuso. Entrai in bagno e, come mio solito, lasciai la porta aperta; dovevo solo truccarmi, non c'era bisogno che la chiudessi.
-”I won't be late”- dissi a voce alta per farmi sentire da Yoongi. -”You can go out, if you want. Just remember the apartment key, okay?”-.
Guardai il mio riflesso allo specchio e giudicai la mia immagine accettabile. Si trattava di un semplice aperitivo con Azzurra, niente di più. Non ero solita mettermi tanto in ghingheri per un'uscita tra amiche, ma quella sera, dopo una miriade di giornate trascorse al servizio dei clienti dell'appartamento, avevo voglia di sentirmi carina, anche solo per me stessa.
Yoongi non rispose alle mie parole. Immaginai si fosse limitato ad annuire in silenzio, come sempre. Una volta che ebbi finito di truccarmi, uscii dal bagno e attraversai nuovamente il salotto. Il rumore dei miei tacchi era ansioso, come me: ero ormai certa che avrei fatto tardi e che mi sarei perciò beccata una pesante ramanzina da Azzurra. Afferrai al volo il mio zainetto di finta pelle nera, ci buttai dentro lo stretto indispensabile e, col giacchetto di pelle in braccio, mi fiondai alla porta, pronta a uscire e a ricongiungermi alla mia vecchia fiamma: il moscow mule.
Un pesante fruscio alle mie spalle, lento e sofferente come un orso ferito, mi bloccò la mano sulla maniglia della porta di casa.
-”Mr. Stark...”- mormorò la voce graffiante di Yoongi. -”I don't feel so good”-.
Steso sul divano, la testa dai capelli arruffati appoggiata su un cuscino, Yoongi mi guardò con occhi doloranti. Strinse le labbra e scosse lievemente il capo, come a ribadire il concetto appena espresso tramite la citazione cinematografica.
-”What's wrong?”- domandai subito allarmata. Tornai sui miei passi e mi misi in ginocchio accanto al divano, adagiando zaino e giacchetto per terra.
Le palpebre si abbassarono sui suoi occhi a mandorla.
-”My head...”- mormorò.
Prontamente gli posai il dorso della mano sulla fronte. Aggrottai le sopracciglia, sorpresa dalla temperatura che, al mio tocco, sembrava normale. Gli scostai la frangia e mi chinai su di lui, sfiorandogli la pelle della fronte con le labbra, come faceva mia madre per capire se avessi la febbre o meno.
-”I don't know...”- dissi pensosa guardando il suo volto rosso. Il colorito era quello febbrile, eppure la sua temperatura corporea mi pareva perfettamente nella norma.
Il mio orologio da polso, ligio al dovere come il Bianconiglio, premeva con insistenza contro il mio polso sinistro. Formata da anni e anni di trattamenti spartani, cresciuta da genitori che hanno fatto il possibile per rendermi una persona indipendente, donna dal pragmatismo letale, senza dire una parola andai in camera mia e presi la cassettina dei medicinali dall'armadio. Presi il mio antidolorifico di fiducia e tornai da Yoongi, mettendogli in mano la bustina salvifica.
-”This is a painkiller”- gli spiegai lentamente, in modo che riuscisse a capirmi. -”You don't have a fever, it's just tiredness”-.
Vidi gli occhi di Yoongi spalancarsi e la sua bocca tentare di dire qualcosa, ma il pensiero di Azzurra infuriata per il mio ritardo mi fece scattare in piedi. Raccattai da terra zaino e giacchetto e corsi via, raccomandandomi col mio ospite di chiamarmi nel caso in cui le sue condizioni fossero peggiorate.
-”See you later!”- lo salutai, e corsi giù per le scale.


 

-”Sei giustificata”- annuì Azzurra dopo che le ebbi spiegato il motivo del mio lieve ritardo.
Sorridendo, mi appoggiai allo schienale della sedia e mi lasciai scappare un sospiro di sollievo. Azzurra era simpatica, gentile e alla mano, ma quando si trattava di ritardi non faceva sconti a nessuno: si trasformava in una Furia. La nazionalità di Yoongi e il suo stato di salute mi avevano salvata da morte certa.
-”Insomma”- esordì la mia amica scostandosi una ciocca di capelli mori dal viso. -”Che mi dici di questo coreano?”-.
-”Non dovremmo ordinare prima?”- cercai di svicolare.
Azzurra ridusse gli occhi a due fessure e sorrise sornionamente.
-”Già fatto”- sussurrò compiaciuta. Prese uno specchietto fucsia dalla borsetta e controllò lo stato del rossetto violaceo, un po' troppo appariscente per i miei gusti. -”Due moscow mule”-.
Annuii compiaciuta. Tirai fuori il pacchetto di sigarette e lo posai in mezzo al tavolino, in modo che anche Azzurra potesse prenderlo. Lei, leggendomi nel pensiero, mise vicino al posacenere un accendino.
-”Quando smettiamo?”- domandai soffocando una risata.
Azzurra spalancò gli occhi e alzò le spalle.
-”Quando la vita e il buon Dio decideranno di essere più carini nei nostri confronti”- rispose alzando gli occhi al cielo e scoccando un'occhiataccia alle nuvole.
Il locale preferito di Azzurra si trovava in Piazza S. Omobono, a pochissimi minuti a piedi da casa mia. Assiduamente frequentato nelle sere del fine settimana, nei giorni feriali era il posto ideale per prendere un aperitivo in tranquillità. I numerosi tavolini esterni, posti sotto a grandi tende verdi, non erano tutti occupati; oltre a noi c'erano un quartetto di ragazze, due o tre coppie e un gruppetto di ragazzi appena tornati da una partita di calcetto.
-”Com'è?”- disse Azzurra accendendosi una delle mie sigarette. Mi passò l'accendino e mi porse il pacchetto di carta.
-”Cosa?”-.
-”Il coreano”-.
-”Non saprei”- risposi dopo aver espirato la prima boccata di fumo. -”Hai presente quando senti di essere riuscita a inquadrare una persona ma, al tempo stesso, continua a sfuggirti qualcosa?”-.
-”E' normale, gli asiatici tendono a essere molto riservati”-.
Annuii, concordando con Azzurra. Avevo notato questo aspetto con Yoongi, perennemente silenzioso e mal disposto a parlare di sé.
-”E' carino?”- mi domandò a bruciapelo.
Riuscii a guadagnare qualche secondo grazie al cameriere appena arrivato coi drink e il vassoio degli stuzzichini. Odiavo le domande indiscrete di Azzurra, così come il suo essere tremendamente diretta e poco sensibile.
-”E' un dettaglio importante?”- chiesi di rimando buttandomi sul moscow mule.
Azzurra iniziò a gesticolare e ad agitare la sigaretta per aria, attaccandomi una filippica su quanto fosse effettivamente importante avere una descrizione del mio ospite visto che io, “da cattivissima amica” quale ero, non ero riuscita a convincerlo a partecipare all'aperitivo.
-”Azzu, capiscilo”- sospirai buttandole addosso una nuvola di fumo. -”Non si sarebbe sentito per niente a suo agio; e io non potevo di certo rompergli le scatole pregandolo di venire con me”- le feci notare.
-”Ho capito, ho capito”- borbottò spegnendo la sigaretta nel posacenere. -”Rispondi comunque alla mia domanda: è carino?”- insistette.
Girai il ghiaccio del mio drink con la cannuccia e strinsi le labbra, scoccando ad Azzurra un'occhiataccia.
-”Sì”- mi arresi. -”Sì, è carino. Molto carino”-.
-”E...?”- mi incalzò con una bruschetta al pomodoro in mano.
-”E... gentile”- mormorai ripensando alla colazione di quella stessa mattina. -”Sembra rude e menefreghista, ma in realtà è molto gentile. E' come se si fosse avvolto in una pesante cotta di maglia per evitare di essere ferito, ma quando se la toglie è davvero una persona meravigliosa. Anche se ha dei problemi con l'inglese mi ascolta e cerca sempre di farsi capire. I primi giorni è stata dura, non te lo nascondo, ma adesso sento di essere riuscita a instaurare un legame con lui”- dissi con un sorriso sulle labbra che non riconobbi come mio. Mi sfiorai una guancia con una mano e sussultai un poco quando mi resi conto di essere arrossita al solo pensiero di Yoongi.
Azzurra parve non rendersene conto e, fortunatamente per me, approfittò del mio brevissimo monologo per cambiare discorso e iniziare a parlare del suo argomento preferito.
-”Proprio come Suga!”- esclamò andando su di giri.
-”Chi è Suga?”- le andai dietro. Tutto pur di non farle notare le mie guance paonazze. Perché diamine ero arrossita?
-”Un genio”- rispose Azzurra alzando il bicchiere per aria e tracciando un arcobaleno immaginario. -”Uno dei rapper dei BTS, uno che ti stende con la sua tongue technology”-.
-”Con la sua che?”-.
Trascorsi i successivi venti minuti ad ascoltare Azzurra parlare e osannare questo tale di nome Suga, fumando un'altra sigaretta e cercando di annegare nel moscow mule quella stranissima sensazione che avevo iniziato a provare da quando avevo rievocato i ricordi di quella mattina. Inizialmente avevo pensato si trattasse della vodka: non bevendo alcolici da un sacco di tempo, credetti fosse normale provare un po' di fastidio; iniziai a ricredermi quando mi accorsi che quelle piccole e fulminee fitte mi assalivano solo quando pensavo a Yoongi.
-”...Poi c'è V, Kim Taehyung all'anagrafe!”- continuò Azzurra, ormai persa dietro ai BTS. -”Ha una voce bellissima!”-.
La lasciai parlare. Avevo bisogno di distrarmi, di mangiare, di fumare e di lasciare perdere Yoongi per un po'. Sicuramente il giorno dopo sarei stata meglio, non c'era alcun bisogno di preoccuparsi. Quando finii il moscow mule ne ordinai un altro. Il mio corpo e la mia mente richiedevano inspiegabilmente alcool, come se, inconsciamente, stessero cercando di farmi dimenticare qualcosa.
-”Vai così, ragazza!”- esclamò Azzurra quando mi vide alzare una mano per chiamare il cameriere. -”Ti seguo a ruota! Si vive una volta sola!”- quasi gridò con il bicchiere vuoto in una mano e una sigaretta accesa nell'altra.
Ma sì, ha ragione”, pensai infilandomi in bocca un salatino. “Che vuoi che mi faccia un altro drink?”.
 














ANGOLO AUTRICE
Buonaserissima a tutti! <3
Finalmente sono riuscita a scrivere il nuovo capitolo, il penultimo di questa lunga giornata che è stata giovedì :D So già che Azzurra non ha rispettato le vostre aspettative, e di questo mi scuso subito >< Sono certa che pensavate che avrebbe fatto chissà cosa, magari mostrando a Delia una foto di Suga/Yoongi, oppure chiedendole il nome dell'ospite e andare in iperventilazione dopo aver fatto due più due; ecco, ci tengo a dirvi che, nonostante il poco contributo che il suo personaggio ha apportato a questo capitolo, il breve monologo su Yoongi che è riuscita a far dire a Delia avrà delle graaandi conseguenze (così come il secondo moscow mule) >:) Abbiate fiducia in Azzurra e nei "effetti per osmosi" ;)
Parlando appunto del monologo di Delia, finalmente si iniziano a intravedere dei pensieri strani sul suo ospite, delle osservazioni e degli apprezzamenti che mai aveva fatto sui precedenti coinquilini momentanei... EHEHEH.
E ora? Secondo voi cosa succederà? Largo alle supposizioni!
Ringrazio come sempre tutti i lettori, i silenti e i recensori; senza il vostro supporto probabilmente non sarei riuscita a proseguire con questo folle e impegnativo progetto che è questa storia <3
Ciao a tutti, buon fine settimana e alla prossima! ^^

 

 

 

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Capitolo 22
*** Giovedì - Aperitivo (S) ***


Delia si era chiusa in camera da una ventina di minuti e Suga, seduto sul divano-letto con ai propri piedi lo zaino nero di Seokjin, stava cercando di trovare una soluzione all'enorme problema piovutogli addosso come un meteorite: Delia aveva un'amica ARMY che non avrebbe impiegato molto a fare due più due e a scoprire la sua identità, rivelandola alla ragazza e mandando così a puttane la sua vacanza. Cosa sarebbe accaduto se la stampa avesse scoperto che Min Yoongi era partito da solo per l'Italia e stava trascorrendo una settimana coabitando con una ragazza del posto? Persino la Big-Hit e i suoi amici non sapevano che nell'appartamento che aveva affittato viveva un'altra persona: erano tutti convinti che Suga si fosse semplicemente preso una casa per passare una settimana in tranquillità.
Si passò entrambe le mani sul volto e si abbandonò al divano, posando la schiena sul morbido rivestimento di tessuto e reclinando la testa all'indietro. Il soffitto bianco del salotto presentava qualche crepa, proprio come la cinta muraria che aveva costruito attorno alla sua vera identità. Possibile che fosse tutto destinato a finire così? Il futuro della sua carriera si trovava un'altra volta in pericolo, minacciato da un possibile scandalo causato da un'ARMY inaspettata. Suga non se la sentiva di dare fiducia ad Azzurra perché, nel corso degli anni, aveva sviluppato una sorta di velatissima misantropia nei confronti delle ARMY. Lui, più degli altri, era stato vittima di stalking, aggressioni e bullismo psicologico. Forse i fan non lo sapevano, ma Suga, all'apparenza menefreghista, strafottente e forte, era in realtà il più fragile di tutti, delicato ed effimero come la neve. Certo, sapeva che non tutti i fan erano uguali e che il mondo pullulava di ARMY meravigliose, rispettose e supportive, ma non riusciva ugualmente a uccidere il tarlo del dubbio e del timore.
Finì col pensare che l'unico modo che avesse per salvarsi fosse impedire a Delia di uscire con Azzurra. Doveva inventarsi qualcosa, una ragione per costringerla a non uscire, un motivo che l'avrebbe obbligata a restare a casa, sotto la sua vigile supervisione. Sapeva che quello che aveva appena pensato non gli avrebbe fatto molto onore, ma il tempo stringeva e, al momento, quella sembrava l'unica idea concretamente realizzabile: decise di far pressione sull'istinto materno della ragazza e sulla sua forte preoccupazione nei confronti dello stato di Suga, sentimenti ampiamente dimostrati quella mattina. L'avrebbe imbrogliata andando a toccarla nel profondo: quanto doveva essere disperato per ricorrere a un trucchetto così sleale?
A un tratto sentì Delia avvicinarsi alla porta della sua camera.
Il fine giustifica i mezzi”, si disse sobbalzando e attuando immediatamente il piano. Si sdraiò sul divano e incrociò le dita sulla pancia, chiudendo gli occhi e sospirando rumorosamente. Delia non lo degnò di uno sguardo e si diresse in bagno, lasciando la porta aperta come faceva sempre quando doveva semplicemente truccarsi. Suga alzò lentamente le palpebre e, imbronciato, guardò Delia. Era così presa dai preparativi da non essersi accorta di aver lasciato aperta la sottilissima cerniera del vestito nero a motivi floreali. Si protrasse in avanti, avvicinando il viso allo specchio; nel farlo le si scoprì parte della coscia, lasciando ben poco all'immaginazione.
Vuole uscire di casa così?!”, si ritrovò a pensare Suga sbigottito. Si era talmente abituato a vedere Delia in felpa e tuta che girava per casa da non riuscire a immaginarla con un capo d'abbigliamento che non fosse una blusa o un paio di jeans; eppure eccola lì, con ai piedi dei mocassini neri col tacco e con indosso un adorabile vestitino nero dalla pericolosissima gonna a ruota.
-”I won't be late”- disse lei con in mano un rossetto e gli occhi puntati sul proprio riflesso. -”You can go out, if you want. Just remeber the apartment key, okay?”-.
-”Yes...”- mormorò, troppo preso dalle gambe della ragazza per poterle rispondere in maniera esaustiva.
Si riscosse e si riprese quando Delia uscì dal bagno per tornare momentaneamente in camera. Bene, era arrivato il momento di montare il teatrino, imbrogliarla, convincerla a non uscire e salvarsi il culo. Riapparve pochi istanti dopo con uno zainetto e il giacchetto di pelle, visibilmente su di giri per l'uscita con l'amica.
Si va in scena”.
Suga si mosse sul divano nella maniera più rumorosa possibile; emise anche qualche mugolio soffocato, giusto per farle capire fin dal principio che non stava bene. Si preparò alla chicca che aveva abilmente pensato qualche istante prima, memore di quanto alla sua padrona di casa piacessero i film dell'MCU.
-”Mr. Stark... I don't feel so good”-.
Delia cadde nel tranello. Si allontanò dalla porta e raggiunse a rapidi passi il divano.
-”What's wrong?”- gli domandò allarmata.
Suga chiuse gli occhi e corrugò la fronte in un'espressione di lancinante dolore. Sapeva che prima o poi le stupide lezioni di recitazioni improvvisate da Taehyung sarebbero servite a qualcosa!
-”My head...”- mormorò. Come si diceva “Fa male” in inglese? Poco importava: Delia avrebbe capito ugualmente.
La ragazza gli posò il dorso della mano sulla fronte. Dal suo sguardo confuso Suga capì che qualcosa non le dovesse tornare; infatti, poco dopo, si chinò su di lui e gli premette le labbra contro la fronte. D'un tratto, come se qualcuno avesse premuto il pulsante di un macchinario ad accensione immediata, Suga avvampò. L'inatteso contatto con le piccole e morbide labbra di Delia lo mandò in confusione, aumentando l'afflusso sanguigno sulle suo volto.
-”I don't know...”- disse Delia pensosa, scambiando il rossore di Suga per sintomo febbrile.
Dopo qualche attimo di esitazione, si girò di scatto verso la sua destra e sparì all'interno di camera sua, riemergendo poco dopo con in mano una bustina bianca. Gliela porse e gli disse frettolosamente che si trattava di un antidolorifico. Gli consigliò di prenderlo per precauzione e di assicurarsi di assumerlo a stomaco pieno. Purtroppo nel foglietto illustrativo mancava la lingua coreana, per cui, se gli fosse venuto in mente qualche dubbio, avrebbe dovuto fare qualche ricerca su Internet. Suga, prendendo coscienza del fatto che il suo piano era miseramente fallito, spalancò gli occhi. Fece per ribattere, per supplicarla di non uscire, ma Delia scattò in piedi e girò i tacchi. Prese da terra il giacchetto di pelle e lo zainetto, corse verso la porta dell'appartamento e lo salutò. Il tonfo pesante della porta che si richiudeva alle sue spalle riecheggiò nell'aria e Suga, sconvolto, disperato e spaventato, gettò a terra con rabbia l'antidolorifico.
Era la sua fine.


 

Non riuscì a cenare. L'ansia gli aveva chiuso lo stomaco e lo stava rodendo dall'interno, come un topo intrappolato in una forma di formaggio. Verso le nove aveva aperto il divano-letto e si era sdraiato sopra le coperte, col busto rialzato, il portatile sulle ginocchia e gli occhiali sul naso. Aveva provato a distogliere l'attenzione dall'imminente tragedia, ma non ci era riuscito: il suo pensiero, testardo come un mulo, tornava sempre ad Azzurra e allo scandalo che di lì a poco sarebbe scoppiato.
Per un momento fu tentato di chiamare Namjoon e di vuotare il sacco, giusto per preparare gli amici e l'agenzia allo scoop. Si sentì terribilmente in colpa per essere stato così poco previdente e per aver commesso l'errore madornale di affidarsi all'home sharing.
Se solo non avessi perso l'ispirazione...!”, pensò con frustrazione.
Il cellulare era lì, a pochissimi centimetri da lui, adagiato sul letto con lo schermo rivolto verso al basso, come se anche quel dispositivo tecnologico avesse paura e stesse cercando di nascondersi. Namjoon l'avrebbe capito o si sarebbe schierato dalla parte della BigHit, facendogli una ramanzina memorabile? Si tolse gli occhiali e li gettò sul materasso. Si massaggiò il setto nasale e chiuse gli occhi, serrando la mascella e scuotendo disperatamente la testa.
Trascorse la successiva ora con le braccia incrociate al petto e lo sguardo incollato allo schermo del computer, sforzandosi di seguire quel drama scadente che V gli aveva consigliato qualche settimana prima. Per quanto i suoi occhi fossero puntati sul monitor, la sua mente continuava a vagare e a immaginare lo scenario peggiore che gli si sarebbe mostrato una volta che Delia sarebbe rientrata.
Lo scattare della serratura della porta dell'appartamento lo fece sobbalzare.
No, cazzo!”.
Chiuse di scatto il portatile, si tolse gli occhiali lanciandoli sul comodino e si alzò, schiarendosi la voce e torturandosi le mani. Cosa avrebbe dovuto dirle? “Mi dispiace”? “Scusa se ti ho mentito”? Aveva la testa nel pallone, non aveva la più pallida idea di che cosa avrebbe dovuto fare.
Delia entrò, mosse qualche passo in avanti e...
E cadde a terra, scoppiando a ridere.
-”Mamma mia!”- esclamò togliendosi i mocassini e lanciandoli alle proprie spalle. Cercò con lo sguardo Suga e quando lo trovò gli mostrò il pollice alzato, annuendo a occhi chiusi.
-”You feel better!”- disse a voce un po' troppo alta. Si alzò in piedi a fatica e si scostò una ciocca di capelli rossi dal volto, sbuffando e guardando la ciocca in questione come se avesse voluto ucciderla.
Suga rimase a bocca aperta. La sua proprietaria di casa era appena tornata... ubriaca? La guardò camminare traballando fino al divano-letto e poi crollare come un peso morto su di esso, col viso rivolto verso il basso.
-”Madonna santissima...”- bofonchiò.
-”Are you okay?”- le chiese esitante.
Delia non aprì bocca. In tutta risposta, invece, ricevette uno strano movimento di gambe, come se la ragazza stesse nuotando a stile libero in una piscina.
-”I bet you don't know who Dante Alighieri is”- gli disse sollevando il capo e guardandolo dritto negli occhi. Il suo inglese si era sporcato, mostrando un terribile accento italiano che Suga non riuscì a ignorare. Si era così abituato al quasi perfetto accento inglese di Delia che sentire quella variante maccheronica lo fece rabbrividire.
-”Dante...?”- ripeté perplesso.
Delia sbuffò e si tirò su, cambiando posizione e sedendosi sul bordo del divano-letto con le lunghe gambe accavallate. Aveva il rossetto sbavato lungo l'angolo sinistro delle labbra e, inspiegabilmente, delle leggere macchiette nere sotto l'occhio destro, probabilmente del mascara colato. Alzò un sopracciglio, sfidando Suga con lo sguardo. Fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo quando non ricevette una risposta affermativa.
-”Really? C'mon, Dante Alighieri! La Commedia, La Vita Nova, De Monarchia, Il Convivio...”- iniziò a elencare contando con le dita di una mano. -”This is serious, Yoongi”- concluse con gravità.
Suga boccheggiò, non sapendo come ribattere. Non aveva la più pallida idea di chi fosse questo Dante Alighieri e non aveva nemmeno capito cosa fosse quell'elenco di nomi biascicato dalla ragazza, una sfilza di termini oscuri e incomprensibili. Si massaggiò il lobo dell'orecchio stringendolo tra l'indice e il pollice e guardò Delia da capo a piedi, scuotendo impercettibilmente il capo. Si ritrovò a sospirare sollevato: a quanto pareva Azzurra non le aveva detto niente e la sua identità era ancora al sicuro; se così non fosse stato, Delia gli avrebbe sicuramente chiesto spiegazioni, sia da sobria che da ubriaca.
-”Did you study literature at school?”- continuò scandalizzata.
-”Of course”-.
-”So why don't you know Dante Alighieri?!”- gesticolò indignata.
Se Delia aveva tirato in ballo la letteratura doveva significare che il tanto citato signor Alighieri dovesse essere uno scrittore italiano. Le scoccò un'occhiataccia e non le rispose, sperando e aspettando che arrivasse da sola alla risposta. Delia socchiuse gli occhi, fissando Suga in cagnesco, poi scoppiò a ridere, rovesciando la testa all'indietro e perdendo l'equilibrio, cadendo sul divano-letto. Si rialzò immediatamente, sistemandosi la gonna e ravvivandosi i capelli mossi. Si schiarì la voce e, puntando un dito contro di lui, gli si avvicinò a passi incerti.
-”I have to be honest”- borbottò.
Tentò di premere l'indice contro il suo petto, ma Suga, prima che potesse farlo, le afferrò il polso e la bloccò. Delia guardò la mano del suo ospite e uno strano ghigno le si dipinse sul volto. Prima che Suga potesse rendersene conto, si sentì attirare con forza verso Delia; la sua fronte finì contro quella della ragazza e in men che non si dica si ritrovò a guardare da vicinissimo i suoi occhi verdastri. La distanza era così ravvicinata che, se avesse voluto, avrebbe potuto contare una a una le lentiggini sul naso di lei.
-”You're cute”- sussurrarono le labbra rosate di Delia.
Questo è troppo”.
Suga si liberò con uno strattone dalla presa di Delia. La afferrò per le spalle, la rigirò e la guidò verso la sua camera da letto. Le chiese gentilmente di cambiarsi e di mettersi sotto le coperte mentre lui le preparava qualcosa da bere, qualcosa che l'avrebbe aiutata a stare meglio il giorno seguente. Non era la prima volta che aveva a che fare con dei pivelli ubriachi: Jungkook e Hoseok avevano spesso avuto bisogno della sua esperienza nel campo dell'alcool.
-”Not a moscow mule, please”- disse Delia congiungendo le mani davanti alla faccia. -”I've already have two”- mormorò guardandosi furtivamente intorno, come se gli avesse appena rivelato un segreto.
Due moscow mule: ecco cosa l'aveva ridotta in quello stato. La rassicurò dicendole che le avrebbe portato altro. Delia gli passò un braccio attorno ai fianchi e si avvicinò al suo orecchio, coprendo il lato esterno del viso con una mano.
-”I know. There's no vodka in this house”- sussurrò. Il suo respiro gli fece il solletico e Suga rabbrividì un poco. -”My dachshund stole it”-. Lo guardò in faccia e annuì con gravità, indicando il pavimento e mimando con le mani le zampette di un bassotto.
Suga non capì ma dissimulò, annuendo e sorridendo. Le aprì la porta e la accompagnò fino al letto ingombro di vestiti. Le ante dell'armadio erano spalancate, per cui pensò che la ragazza, prima di uscire, avesse passato in rassegna tutti i suoi abiti, indecisa su quale indossare per l'aperitivo con l'amica.
-”I'll be right back”- le disse, e camminò velocemente attraverso il salotto.
Prese un bicchiere di vetro dalla credenza sopra il lavandino e lo posò sul tavolo. Decise di non prendere la bottiglia che stava nel frigorifero per paura che l'acqua fredda potesse in qualche modo dare fastidio a Delia, per cui aprì una di quelle che si trovavano nel ripostiglio che fungeva da dispensa. Riempì metà bicchiere e tornò da Delia, bussando alla porta chiusa e chiedendole se potesse entrare. Non udendo alcuna risposta, pensò che si fosse addormentata, ma quando sentì singhiozzare si spaventò. Aprì la porta e trovò Delia dove l'aveva lasciata, sul letto con indosso la maglia oversize del pigiama al contrario e un paio di collant squarciati tra le mani. La ragazza tirò su col naso e guardò Suga con gli occhi pieni di lacrime.
-”I broke it!”- disse disperata porgendogli i collant. -”My beloved!”- frignò stringendoli al petto e piangendo disperata.
Suga sospirò. Posò il bicchiere sul comodino vicino al letto e si piegò sulle ginocchia, di fronte a Delia. Le prese le mani tra le sue e, con un leggerissimo strattone, le fece capire che doveva guardarlo.
-”It's okay”- le disse piano. -”You'll buy another one”-.
Le sfilò dalle mani i collant trinciati e li nascose sotto al letto, vicino alla scatola dei mocassini. Vide che Delia aveva ammassato tutti i vestiti sulla scrivania, creando una montagna che gli fece venire in mente l'MV di Spring Day. La aiutò a infilarsi sotto le coperte e le porse il bicchiere d'acqua, cercando di farle capire di berla a piccoli sorsi.
-”Grazie”- biascicò portandosi le coperte fin sopra il naso e chiudendo gli occhi. Un attimo dopo li spalancò e fece un respiro profondo. -”Oddio”- sussurrò.
-”What's wrong?”-.
-”If I close my eyes I see... I see some dancing moscow mule”-.
Dei moscow mule danzanti? Suga scosse la testa e sorrise. Si allontanò dal letto a due piazze e prese la sedia della scrivania, avvicinandola al capezzale della povera ubriaca. Ci si sedette e incrociò le braccia al petto, guardandola con disappunto e, in realtà, divertimento. Quanto poco doveva reggere l'alcool per finire KO con soli due drink? Suga poteva bere come una spugna e non subirne per niente gli effetti. Forse perché era un uomo, forse perché il suo fegato era abituato al whisky, forse perché, semplicemente, il suo corpo era fatto così.
-”Yoongi, tell me a story”- disse Delia dopo una breve risatina nata dal nulla.
-”My English isn't good enough”-.
Delia alzò gli occhi al cielo. Borbottò qualcosa in italiano, una frase piuttosto complessa, poi si rigirò su di un fianco e guardò Suga negli occhi.
-”Sing”- gli ordinò.
Suga trattenne a stento una risata.
-”I can't sing!”-.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando si domandò per quale motivo Delia gli avesse chiesto proprio di cantare. Se non ricordava male, quando gli aveva parlato vagamente del gruppo, non le aveva detto che anche lui cantava, ma si era limitato a dirle che si occupava delle canzoni.
-”Neither I”- disse Delia con una scomposta alzata di spalle. -”But you have a band, so you must know something”- spiegò agitando le mani a casaccio. Un punto particolare del pavimento attirò la sua attenzione e le sue sopracciglia si aggrottarono. -”Maledetto bassotto”- ringhiò.
-”Stay calm, please”- disse piano spingendola dolcemente a sdraiarsi. -”Sleep”-.
Delia assecondò gli ordini di Suga e si rimise supina, chiudendo gli occhi e sospirando. Era stanca, piena d'alcool e sfiancata dalla giornata impegnativa appena avuta. Suga sapeva che, molto probabilmente, la notte era ancora lunga e che si sarebbe dovuto preparare ad assistere la ragazza finché Morfeo non l'avrebbe reclamata. Si sistemò sulla sedia, cercando una posizione comoda e dicendo a Delia di dirgli se avesse sentito qualcosa di strano all'altezza dello stomaco.
-”Yoongi”- ruppe il silenzio dopo una decina di minuti. La sua voce era flebile e impastata: stava per addormentarsi. -”Can you hold my hand?”-.
Lo fece.
Non le rispose, la prese e basta, senza pensarci e senza riempirsi la testa con le solite paturnie. Strinse la sua mano dalle dita affusolate, bianca come la sua.
Aveva pianificato di restare con lei finché non si fosse addormentata, per poi tornarsene in salotto a continuare il drama, col cuore leggero e la certezza che Azzurra non aveva aperto bocca; ma il sonno lo colpì a tradimento, facendolo crollare sul letto di Delia con ancora la mano della ragazza stretta nella sua.













ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti e ben trovati! :D
Nonostante il capitolo fosse pronto da ben due giorni, ho aspettato a pubblicarlo perché a ogni rilettura ho trovato qualcosina che non mi piaceva, per cui ha subito vari piccoli interventi prima di soffisfarmi pienamente >:)
Delia ubriaca è più saccente che molesta. Mi sembra giusto dirvi la verità: il suo comportamento si ispira a due vicende realmente accadute, una riguardante (ahimé) la sottoscritta e l'altra una mia cara amica. Mentre io, una volta, ho iniziato a importunare degli amici raccontando loro la vicenda di Verga e Mascagni (da cui mi sono ispirata per far parlare Delia di Dante), questa mia amica, un'altra sera di molti anni prima, era convinta che i bassotti del nostro amico da cui eravamo a festeggiare il compleanno avessero rubato la vodka. Che dire... L'alcool gioca davvero bruttissimi scherzi, ahahah! In realtà Delia che parla di Dante è anche un piccolo anticipo di una certa cosa che accadrà in futuro, una particolare scena che finalmente svelerà la storia che si cela dietro al titolo della fanfiction ;)
Nella speranza che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, proclamo finalmente terminato l'arco narrativo del giovedì (durato ben 8 capitoli!) :D
Grazie a tutti e alla prossima! ^^

 

 

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Capitolo 23
*** Venerdì - Mi dispiace ***


Le gocce di pioggia battevano insistentemente contro il vetro della portafinestra del terrazzo, chiedendomi disperatamente di lasciarle entrare; graffiavano la liscia superficie trasparente come gli artigli di un gatto. Il suono di ogni goccia mi perforava i timpani, insinuandosi violentemente nella mia testa.
Abbandonai nel posacenere verde la sigaretta che avevo da poco iniziato a fumare e mi accasciai sul tavolo della cucina, nascondendo il viso tra le braccia incrociate. Le gocce di pioggia alle mie orecchie sembravano spari di cannoni. Se ne avessi avuto la forza mi sarei maledetta per quei due moscow mule che, la sera prima, mi avevano mandata fuori di testa. Purtroppo ricordavo piuttosto bene gli eventi accaduti prima che mi addormentassi: la mia molestia nei confronti del mio ospite, il presunto bassotto fantasma e i collant strappati. I miei ricordi presentavano qualche falla, non tutti i pezzi erano al loro posto, ma, a grandi linee, ricordavo più o meno tutto.
Mi tirai su lentamente e mi passai una mano sul volto, desiderando che quelle cazzo di cannonate smettessero di fare rumore. Ogni suono proveniente attorno a me giungeva alle mie orecchie amplificato di dieci volte. Mi toccai con mani tremanti i padiglioni auricolari, temendo che avessero iniziato a sanguinare.
La sigaretta abbandonata si era spenta e mi stava fissando con aria di rimprovero.
Hai fatto una bella figura di merda, eh?”, constatò.
-”Vaffanculo”- bofonchiai prendendola e buttandola nel cestino vicino alla portafinestra.
Quando mi ero svegliata nel mio letto, felice ma sofferente, la prima cosa che i miei occhi avevano messo a fuoco era stata una mano bianca intrecciata alla mia. La testa mi faceva un male cane, ma il dolore non mi aveva comunque impedito di collegare la testa nera riversa sul letto con la mano candida e piena di anelli.
-”Cazzo...”- mormorai avvampando al solo ricordo.
Mi alzai dal tavolo e barcollai per qualche passo. Mi fermai in mezzo alla cucina e i miei occhi scivolarono sulla mia mano sinistra. La guardai in silenzio, avvertendo una stranissima sensazione al petto, una morsa rapida, dolorosa ma, da un certo punto di vista, piacevole. Come gli era saltato in mente di prendermi per mano? Non riuscivo a spiegarmelo. Feci appello alla mia memoria lacunosa ma, ovviamente, nei confusionari spezzoni della serata precedente non riuscii a trovare una risposta al mio insistente interrogativo.
-”Goodmorning”- gracchiò una voce alla mia sinistra.
Sobbalzai, portandomi le mani al petto e lasciandomi scappare un gridolino che ebbe bruttissime ripercussioni sul mio alterato apparato uditivo. Stringendo i denti, mi avvicinai una sedia e mi ci sedetti lentamente, posandomi una mano su un orecchio e pregando la Madonna di farmi morire subito, senza ulteriori sofferenze. La mano di Yoongi entrò nel mio campo visivo e mi sventolò sotto agli occhi una bustina del mio antidolorifico. Non disse niente, si limitò a lasciarla sul tavolo e a iniziare a prepararsi la colazione. Il rumore della pioggia era più forte di lui: si muoveva per la cucina come un fantasma, sfiorando piano le tazze e aprendo con cura le ante delle credenze. Per la prima volta da quando era ospite di quella casa, lo vidi alzare i piedi da terra, camminando come una persona normale e non come un ragazzo che aveva il male di vivere addosso. Il suo braccio comparve dietro la mia spalla per adagiarmi sotto al naso un bicchiere d'acqua. Non feci in tempo a ringraziarlo che, silenzioso come una creatura eterea, si sedette al tavolo; in mano aveva una tazza con dentro non so cosa, sembrava intenzionato a non mangiare niente.
-”You should take it”- disse piano dopo qualche secondo di troppo di silenzio.
Se non avessi avuto un mal di testa allucinante gli avrei sicuramente chiesto dove avesse trovato quell'antidolorifico, se avesse frugato tra le mie cose o se, addirittura, quella bustina fosse la stessa che gli avevo dato io prima di uscire con Azzurra; ma stando male, anzi, malissimo, non gli domandai niente. Versai il granulato bianco nell'acqua, guardandolo sciogliersi. Sentivo gli occhi affilati di Yoongi addosso, penetranti e insistenti come quelli di una lince. Per la prima volta mi sentii veramente a disagio. Sapevo di essere nel torto, di aver mancato ai miei doveri di buona padrona di casa e di avergli causato non pochi problemi, ma le mie labbra, così come la mia gola, erano secche e sigillate. Non riuscivo a spiccicare parola, eppure ne avevo tante da dire. Una mi premeva più delle altre, e non mi sarei mai perdonata se non fossi riuscita a pronunciarla; forse Yoongi stava proprio aspettando quella.
Strinsi entrambe le mani attorno al bicchiere di vetro e alzai titubante lo sguardo. Gli occhi a mandorla del mio ospite, stretti come due fessure, erano chinati sulla sua tazza colorata.
Il senso di colpa mi travolse come un tir sull'autostrada.
Bevvi in un sorso l'antidolorifico, mi alzai dalla sedia a fatica e strinsi gli occhi, facendo il possibile affinché le lacrime di mortificazione rimanessero al loro posto.
-”I need to sleep”- riuscii a dire prima di scappare letteralmente dalla cucina e di rintanarmi in camera mia, rannicchiandomi sotto alle coperte e cercando di togliermi dalla testa l'immagine dello sfuggevole e contrariato sguardo di Yoongi.


 

Erano le undici passate quando i miei occhi si aprirono per la seconda volta e le mie orecchie captarono nuovamente il rumore della pioggia, ma questa volta le gocce picchiettavano dolcemente contro la finestra, timide ed educate. La testa non mi faceva più male, ma il petto era pesante.
Ancora.
Nel buio soffuso della mia stanza, sdraiata supina sul letto, mi diedi quattro volte della cretina, due dell'imbecille e una della pessima. Nonostante il riposo ristoratore e il miracolo dell'antidolorifico, sentivo ancora dolore per il mio comportamento della sera precedente, soprattutto per il disturbo che avevo causato a Yoongi. L'avevo visto come mi guardava qualche ora prima, li avevo notati i suoi occhi pieni di disappunto e di fastidio, sfuggenti e seccati come quelli che lunedì mi ero ritrovata a guardare nel volto di un ragazzo coreano sconosciuto.
Mi tolsi le coperte di dosso con uno strattone che celava malamente una bella dose di rabbia repressa. Misi i piedi per terra e mi infilai le infradito. Mi legai i capelli nella mia solita crocchia scomposta, ignorando i riccioli ribelli e pensando che, quasi sicuramente, dovessi avere un aspetto terribile.
Non mi sono nemmeno struccata”, mi ricordai con disgusto.
Basta, dovevo smetterla di piangermi addosso, di vergognarmi e di temporeggiare: dovevo uscire da quella topaia che era camera mia, chiedere scusa a Yoongi e trovare un modo per farmi perdonare. Cazzo, ne andava anche della futura recensione che avrebbe lasciato al mio appartamento!
-”Chi si butta giù è perduto”- mi spronai.
Avevo appena posato la mano sulla maniglia quando, oltre la porta, sentii una melodia provenire dal salotto: un paio di tocchi su quello che sembrava un pianoforte e poi, quasi a cappella, una voce graffiante. Premetti il corpo contro la porta, avvicinandomi il più possibile alla fonte dell'improvvisa musica. I singoli tocchi sull'apparente pianoforte si ripetevano con tonalità diversa a intervalli di silenzio più o meno regolari, mentre la voce sembrava provare tristezza. Riuscii a captare la parola “piano” e la frase, ripetuta, “I feel so nice”; non potei fare a meno di pensare che, pronunciata con quel tono e con quella base musicale, non potesse che essere malinconica, riferendosi magari a un passato svanito. Un climax ascendente pervadeva la musica, il testo e l'intonazione della voce. Prima che me ne potessi accorgere, mi ritrovai a tremare e a contenere a stento le lacrime. C'era sofferenza nella voce, frustrazione e rancore. Ci misi un po' a capirlo, ma alla fine ci riuscii: quella canzone era una richiesta d'aiuto e a cantarla con disperazione era Yoongi.
Aprii la porta con gli occhi lucidi dal pianto. Yoongi era seduto sul divano-letto chiuso col computer portatile sulle ginocchia. Appena mi vide si zittì e abbassò di botto lo schermo del PC, interrompendo così la base musicale. Mi guardò sconvolto e sorpreso, arrossendo di botto e boccheggiando. Posò il portatile accanto a lui, poi si alzò in piedi e si grattò la nuca a disagio e con evidente imbarazzo. Fece per dire qualcosa ma io non ressi più: scoppiai a piangere e lo abbracciai, fregandomene altamente delle abitudini dei coreani. Strinsi il corpo di Yoongi a me, nascondendo il viso tra la sua spalla e il collo. Avrei tanto voluto chiedergli scusa per la molesta Delia ubriaca, ma in quel momento tutto quello a cui riuscii a pensare fu il suo dolore. Mi tornò in mente il pomeriggio trascorso a Marina di Pisa, quando, dopo giorni di sforzi, ero finalmente riuscita a farlo aprire e a farmi raccontarmi quale fosse la sua preoccupazione. Ricollegai le sue parole all'andamento melodico della canzone e tutto quel pathos, così violento e intenso, mi mandò in tilt, facendomi perdere il controllo e permettendo alle emozioni di prendere il sopravvento.
Sentii le sue mani avvolgermi con esitazione i fianchi, indecise tra lo spingermi via e l'attirarmi a sé. Riacquistai quel poco di autocontrollo che mi permise di prendere una decisione al suo posto. Mi staccai da Yoongi e feci un passo indietro, asciugandomi gli occhi col dorso della mano.
-”I'm sorry”- dicemmo all'unisono.
Sorridemmo entrambi imbarazzati.
-”It's okay”- continuammo, nuovamente in sincrono.
Gli scoccai una finta occhiataccia e Yoongi sogghignò, facendo saltellare le spalle. Si chinò a prendere qualcosa dal suo zaino di tela nero e mi porse un pacchetto di fazzoletti. Mi disse che non era sua intenzione svegliarmi e si scusò per non aver usato le cuffie e, soprattutto, per aver cantato.
-”It was yours, right? You wrote it”- dissi appallottolando il fazzoletto usato e infilandomelo alla buona nella tasca dei pantaloni della tuta.
Yoongi annuì.
Sentii le lacrime pizzicarmi nuovamente gli occhi e mi chiesi per quale motivo, nonostante non avessi capito un accidente del testo, quella canzone mi stesse facendo piangere così tanto.
-”You told me you couldn't sing”- mi lamentai.
Yoongi ridacchiò e mi allungò un altro fazzoletto.
-”You remember”- constatò.
-”I'm so sorry for yesterday night!”- scoppiai a piangere a dirotto. -”I was... I was...!”-.
-”You were funny”- disse con un'alzata di spalle. -”And...”-. Fece per aggiungere qualcosa ma all'ultimo ci ripensò. Vidi la sua mano destra chiudersi a pugno.
Lo interrogai con lo sguardo ma non ottenni risposta. Cambiò argomento, chiedendomi se stessi meglio, se avessi ancora mal di testa e se potesse fare qualcosa per aiutarmi in qualche modo. Sollevata dal ritorno dell'amichevole Yoongi, liberatomi il cuore dal peso delle scuse, gli dissi che sì, in effetti c'era qualcosa che poteva fare: farmi ascoltare altre sue canzoni. Si mosse un po' a disagio, facendo vagare lo sguardo per il salotto e mormorando qualcosa sottovoce, visibilmente indeciso sul da farsi. Insistetti un po', dicendogli che la canzone di prima mi aveva toccata nel profondo e che era un capolavoro; gli dissi inoltre che ero sicura che dentro al suo computer ci fossero altri diamanti.
-”What's the title?”- gli domandai curiosa.
Il suo sguardo guizzante si fermò improvvisamente e, come attratto da una calamita, si piantò sui miei occhi.
-”First Love”-.
Il mio cuore perse un battito.

 

 

 








ANGOLO AUTRICE
Oddio, stiamo per avvicinarci al fine settimana, ovvero al termine della vacanza di Yoongi :O Ci sono ancora così tante cose che devono accadere e che devo scrivere; non sto più nella pelle, non vedo l'ora di scrivere il gran finale :D Spero possa piacere anche a voi, perché nella mia testa è una bomba assurda >:)
Come avrete capito, Delia e Yoongi passeranno il venerdì mattina in casa, sia per colpa della pioggia che per i postumi di Delia. Nel pomeriggio è prevista una gitarella in una nuova città toscana :>
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

 

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Capitolo 24
*** Venerdì - Mi dispiace (S) ***


Socchiuse lentamente gli occhi, mettendo pian piano a fuoco il letto vuoto di fronte a sé. La sua mano destra era tesa in avanti, come protesa a tentare di sfiorare un oggetto irraggiungibile. La chiuse a pugno, stringendo tra le dita il lenzuolo color carta da zucchero. Il suo pesante sospiro riempì per un attimo il silenzio, riuscendo persino a sovrastare la pioggia insistente che picchiettava contro il vetro della finestra. Suga raddrizzò la schiena, stiracchiandosi le spalle e le braccia; strinse gli occhi e sorrise quando sentì le vertebre e le scapole scricchiolare gioiosamente. Inclinò la testa di lato, prima a destra e poi a sinistra. Il collo gli faceva un po' male. Si alzò dalla sedia e si guardò attorno, corrugando la fronte. Gli occhi gli scivolarono sulla montagna di vestiti accatastata su una confusionaria scrivania e, in un lampo, come colpito da un fulmine, ricordò il motivo per cui quella notte non aveva dormito nel divano-letto in salotto.
Cazzo!”, pensò portandosi davanti agli occhi spalancati la mano destra.
Si girò istintivamente a guardare la porta della camera di Delia. Doveva essere in cucina a fare colazione, magari a sghignazzare con una sigaretta in una mano e una tazza di caffè nell'altra, chiedendosi perché si sia svegliata mano nella mano con lui!
Che figura di merda!”.
L'ansia durò pochissimo, meno del previsto. Suga si mise entrambe le mani sui fianchi e serrò le labbra, pensando che ci fossero buone probabilità che Delia, durante il sonno, si fosse mossa e avesse lasciato la sua mano. Non aveva la più pallida idea di che tipo lei fosse, ma sì, era molto probabile che, essendo una ragazza così piena d'energia, fosse una di quelle persone che durante il sonno si rigirano da una parte del letto all'altra.
Rincuorato dal suo impeccabile ragionamento, si diresse in cucina a dare il buongiorno all'ubriacona. Passò accanto al comodino vicino al divano-letto e vide la bustina di antidolorifico che Delia gli aveva dato prima di uscire con Azzurra. Sapeva benissimo come ci si sentiva dopo una sbronza, aveva più volte avuto modo di testarlo sulla propria pelle. La prese, infilandosela in tasca ed entrò nella cucina dalla porta aperta.
-”Goodmorning”- disse.
Delia, in piedi tra il tavolo e i fornelli, sobbalzò e gridò dalla sorpresa, sbarrando gli occhi e puntandoli come due fari su Suga. Annuì brevemente, strinse i denti e, visibilmente sofferente, si sedette con cautela su una sedia; si tappò le orecchie con le mani e serrò le palpebre, mormorando qualche parola in italiano.
Nonostante la situazione, il ragazzo si ritrovò a sorridere: per qualche strano motivo lo faceva ridere constatare che, in ogni parte del mondo, i postumi della sbornia erano pressoché gli stessi. Delia doveva star provando un fortissimo mal di testa, intensificato da ogni rumore i cui decibel superassero quelli del battito d'ali di una farfalla. Le si avvicinò e le mise sotto al naso l'antidolorifico. Lo lasciò cadere sul tavolo e, senza dire niente, si apprestò a prepararsi la colazione. Non aveva molta fame, per cui pensò di ripiegare su una semplicissima tazza di tè, la bevanda più giusta da gustare in un'uggiosa mattina di pioggia. Prestò particolare attenzione a fare meno rumore possibile, avendo cura di non far sbattere le ante dei pensili e di non far scontrare tra loro le stoviglie di ceramica; compì persino l'enorme sforzo di alzare i piedi da terra. Non voleva che Delia provasse troppo dolore.
Il bricco con l'acqua per il tè iniziò a borbottare. Suga spense il fornello, agguantò la tazza con le decorazioni a mosaico bizantino e vi versò l'acqua bollente. Delia amava l'Earl Grey e lui, non intendendosi molto di tè, aveva deciso di adattarsi alla scelta della padrona di casa. Versò dell'acqua fresca in un bicchiere di vetro e, sovrastando Delia seduta, lo appoggiò vicino alla bustina di antidolorifico, ancora intonsa. Si sedette al tavolo e, con un movimento secco del collo, si scostò la frangia nera dagli occhi. Socchiuse le labbra, fissando Delia; all'ultimo, quando ormai le parole stavano per uscirgli dalla bocca, serrò le labbra e abbassò lo sguardo sulla tazza di tè. Forse era il caso di chiederle scusa per aver invaso la sua sfera personale e aver dormito nella sua stanza. Certo, era stata lei a chiedergli di stare con lui e di tenerle la mano, ma si trattavano delle chiacchiere senza senso di una ragazza ubriaca.
-”You should take it”- disse piano dopo qualche secondo di troppo di silenzio. L'imbarazzo generale era palpabile.
Delia seguì il suo consiglio in silenzio. Fissava il granulato bianco come se si fosse trattato di un dipinto di Monet, scrutandolo intensamente. Il messaggio arrivò a Suga fin troppo chiaro: “Non voglio vederti”. L'ansia tornò a fargli visita, suonando insistentemente alla sua porta. Fece scivolare gli occhi sulla tazza colorata, serrando le labbra e chinando il capo. I capelli gli coprirono un poco il viso, e a lui andò benissimo così. Si sentiva tremendamente in colpa per aver invaso lo spazio personale di Delia. Prenderle la mano? Seriamente, cosa gli era saltato in mente?
Avrei dovuto impostare una sveglia e andarmene da quella stanza”.
Il suono di una sedia che graffiava il pavimento della cucina gli fece alzare di scatto la testa. Incrociò gli occhi di Delia per una frazione di secondo, quel poco che bastava per farsi consumare ancora di più dal senso di colpa.
-”I need to sleep”- mormorò la ragazza.
Le lunghe falcate e i passi accelerati erano più simili a una fuga che a un incedere. Delia abbandonò Suga in cucina e andò a chiudersi in camera. Il tonfo della porta sancì il distacco tra i due.


 

Stava fissando il monitor del computer da una decina di minuti, indeciso tra il riprendere il drama consigliatogli da Taehyung o lo sforzarsi di buttare giù qualche idea per una nuova canzone. Dall'interno dello zaino nero di tela il quadernino azzurro faceva capolino, lottando contro il berretto da baseball per emergere e vedere la luce del sole. Suga lo vide, notando il suo desiderio di ribalta. Si piegò in avanti e si chinò a salvare il suo compagno di viaggio, prendendolo tra le mani e avvertendo il peso che, inconsciamente, gli aveva donato già a partire dal primo giorno di quella stramba vacanza. Aveva deciso di appuntare sulle sue pagine qualunque genere di idea gli balenasse in mente, anche solo per un secondo; vi aveva scarabocchiato di tutto, parole, frasi, note, disegnini senza senso. A volte, senza rendersene veramente conto, lo aveva utilizzato a mo' di diario.
“L'Italiana ruba le frasi delle nostre canzoni e manco se ne rende conto”, c'era scritto su una pagina.
Era così che Suga chiamava Delia: l'Italiana. Le sue labbra non l'avevano mai chiamata. C'era qualcosa nel pronunciare il suo nome che lo inquietava e lo disturbava profondamente. Non aveva mai indagato a riguardo, aveva sempre preferito arrendersi al suo istinto e seguirlo senza fiatare.
Chiuse il quadernino con un gesto secco e lo infilò nuovamente nello zaino, lasciando che se la sbrigasse da solo contro il cappellino da baseball. Reclinò la testa all'indietro e sospirò disperatamente. I problemi continuavano ad accavallarsi uno sopra l'altro, a spuntare come funghi e a rafforzarsi come patelle sulla chiglia di una barca. Cosa aveva fatto di male per incappare in un periodo della vita così problematico?
Mandò un messaggio nella chat di gruppo coi ragazzi, chiedendo chi fosse disponibile per una breve videochiamata; in quel momento sentì di avere il disperato bisogno di parlare coi suoi amici e di distrarsi un po'. Risposero Jin e J-Hope, dicendo che, purtroppo, prima delle ventuno (ora coreana) nessuno era libero. Suga serrò la mascella e gettò il cellulare di lato, facendolo rimbalzare sul divano-letto. Dimenticava sempre la noiosa esistenza del fuso orario.
Il monitor del computer portatile si oscurò e gli fece capire di star continuando a perdere tempo inutilmente.
Abbandonato dalla propria ispirazione e dagli amici, divorato da un senso di colpa grande e ingordo quanto un cane infernale, Suga, come ultimo gesto disperato, decise di provare a fare affidamento su quella persona che, mai e poi mai, l'avrebbe tradito: se stesso. Sbloccò lo schermo del computer e aprì la cartella che conteneva tutte le sue canzoni. Fece doppio clic su una di esse e avviò il player. Si abbandonò sullo schienale del divano-letto, chiuse gli occhi e cantò insieme al Genio Min Suga. Era una cosa che faceva spesso quando si trovava all'impasse e non sapeva più dove mettere le mani. Ascoltare le sue canzoni e rivivere i ricordi che vivevano dentro di esse lo faceva sentire più vivo del solito.
Avvertì una presenza alla sua sinistra. Socchiuse un occhio e gettò una rapidissima occhiata in quella direzione. Gli si gelò il sangue nelle vene quando vide Delia sulla soglia della propria camera. Si zittì immediatamente, protrasse le mani in avanti e abbassò con violenza e paura lo schermo del computer, producendo un suono secco che si propagò nell'aria. La musica si interruppe di colpo. Guardò Delia e boccheggiò, non sapendo né che dire né cosa fare. Gli occhi della ragazza erano arrossati ed era più che evidente che stesse per scoppiare a piangere da un momento all'altro. Cos'era successo? Suga si spaventò, non sapendo quale fosse la causa delle lacrime di Delia e pensando immediatamente di aver commesso un errore imperdonabile. Posò il PC accanto a sé, si alzò in piedi e si grattò la nuca a disagio, con gli occhi a mandorla conficcati nel pavimento. Possibile che l'unica cosa se sapesse fare fosse farla piangere? Risollevò lo sguardo a fatica, deglutì e, sforzandosi come mai in vita sua, si preparò a chiederle umilmente scusa.
Le parole gli morirono sulle labbra perché, in un battito di ciglia, si ritrovò Delia avvinghiata al suo corpo, piangente e scossa dai singhiozzi. Le esili braccia della ragazza erano strette attorno al suo collo e il suo corpo magro stava implorando affetto e perdono. Suga sbatté le palpebre un paio di volte, sconvolto e colto alla sprovvista dall'improvviso contatto fisico. Sentiva il respiro mozzato di Delia nell'orecchio, disperato e mortificato. Posò con esitazione le mani sui suoi fianchi: mentre la sinistra stava gridando scandalizzata e voleva spingere via l'irriverente e irrispettosa italiana, la destra non voleva fare altro che attirare Delia a sé, abbracciarla forte e tranquillizzarla.
Non poteva dare retta alla mano destra, non voleva: se l'avesse fatto non sarebbe più riuscito a tornare indietro.
Fortunatamente, Delia decise al suo posto e si staccò, facendo un passo indietro. Si asciugò gli occhi, tirò su col naso e si schiarì la gola, tentando di darsi un contegno ma fallendo miseramente.
-”I'm sorry”- dissero all'unisono.
Entrambi si scambiarono una veloce occhiata e sorrisero con imbarazzo.
-”It's okay”- continuarono, nuovamente in sincrono.
Delia gli scoccò un'occhiata di rimprovero e Suga, col cuore finalmente più leggero, sogghignò. Si chinò sullo zaino di Seokjin, ci frugò dentro e poi porse alla padrona di casa un pacchetto di fazzoletti, guardandola mentre ne prendeva uno ringraziandolo con un timido cenno del capo.
-”I didn't want to wake you up”- le disse. -”I'm sorry for...”-. Si bloccò, non sapendo come chiederle scusa per non aver usato le cuffie e per aver cantato.
Delia agitò una mano per aria, facendogli intendere di aver capito cosa volesse dire e di lasciar stare, di non chiedere scusa.
-”It was yours, right? You wrote it”- disse appallottolando il fazzoletto usato e infilandoselo nella tasca dei pantaloni della tuta.
Suga annuì imbarazzato. Non amava vantarsi troppo dei propri lavori.
-”You told me you couldn't sing”- si lamentò la ragazza ricominciando a piangere.
Ridacchiò e le allungò un altro fazzoletto. Ormai aveva capito come comportarsi quando Delia piangeva: doveva semplicemente stare ad ascoltarla e fornirle fazzoletti su fazzoletti. La prese in giro, sorprendendosi falsamente della sua memoria circa gli eventi della sera prima. Lei si scusò subito e di nuovo, dicendo di essere terribilmente dispiaciuta.
-”You were funny”- la interruppe con un'alzata di spalle. -”And...”-.
“E” cosa? Delia non aveva accennato nemmeno mezza volta alla questione della mano, nemmeno per sbaglio; si era solamente scusata per essere tornata a casa ubriaca e per avergli causato del disagio, tutto qui. Se non l'aveva citata, significava che non l'aveva vista, che durante il sonno aveva sfilato la propria mano dalla sua e che si era svegliata rivolta verso la finestra, con entrambe le mani al loro posto. Certo, sicuramente si era sorpresa nel vederlo collassato sul materasso, ma, ricordando praticamente tutto, si era subito data una risposta alla sua presenza nella camera da letto.
Delia sembrava rimembrare tutto, tutto tranne la richiesta della mano.
Era davvero necessario tirarla fuori e causare ulteriore disagio e imbarazzo?
Suga serrò le labbra e strinse la mano destra a pugno, zittendosi e decidendo di non concludere la frase. Delia si accorse del repentino cambio di decisione e lo interrogò con lo sguardo, senza ottenere una risposta. Il giovane idol cambiò subito argomento, chiedendo alla padrona di casa se stesse meglio, se avesse ancora mal di testa e se potesse fare qualcosa per aiutarla in qualche modo.
-”Well...”- iniziò pensosa. -”You could make me listen to some other song”- disse con un sorrisetto sulle labbra.
Suga sussultò lievemente, colto alla sprovvista. Voleva davvero ascoltare altre sue canzoni? Rischioso, molto rischioso. La figura di Azzurra era diventata un fantasma onnipresente nella sua mente, un essere spaventoso pronto in ogni momento a terrorizzarlo e a rivelare al mondo la sua identità. Quante probabilità c'erano che Azzurra avesse fatto ascoltare a Delia qualche canzone dei BTS?
La ragazza italiana, completamente ignara del rischio che stava correndo il suo ospite, continuava a insistere. Suga, con una mano affondata nei capelli, faceva vagare lo sguardo per aria, deciso a non guardare Delia per paura di finire col cedere alle sue richieste.
-”What's the title?”- gli chiese con curiosità, riferendosi alla canzone che stava cantando una decina di minuti prima.
La formulazione mentale del titolo gli procurò un formicolio all'altezza dello stomaco. Fu la prima volta che avvertì quella sensazione dopo aver pensato a quel nome. Spostò di scatto lo sguardo su Delia e, dopo averla guardata negli occhi, pensò nuovamente al titolo della canzone.
Di nuovo il formicolio.
Suga non capiva.
Si passò la punta della lingua sulle labbra.
-”First Love”- quasi sussurrò, gli occhi scuri incatenati a quelli verdastri della ragazza.
Nel dirlo, il suo cuore perse un battito.











ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti! 
Scommetto che questo aggiornamento avrà sorpreso molti di voi! Ebbene, la stessa cosa vale per me *ride* Credevo che avrei impiegato più tempo a scrivere questo capitolo, ma evidentemente mi sbagliavo :> Spero di non aver, come si dice dalle mie parti, "tirato via" e che anche il nuovo capitolo vi piaccia come i precedenti ^^
Alla base delle scuse dei nostri protagonisti c'è una delle loro solite incomprensioni: quando Delia sorprende Yoongi a cantare "First Love" e lui le chiede scusa, la ragazza pensa che le scuse siano riferite all'averla svegliata e all'aver fatto troppo rumore; in realtà l'istintivo "I'm sorry" di Suga fa riferimento all'averla presa per mano la sera prima e all'aver invaso il suo spazio personale. Successivamente, credendo che Delia non ricordi niente di quel fatto, Yoongi decide di omettere quel "piccolo" particolare e di non rievocare l'episodio. Come avete avuto modo di leggere, in realtà tutti e due sanno benissimo cos'è successo >:)
Vorrei spendere due parole anche per la parte in cui Yoongi si trova a dover "scegliere" tra l'abbracciare Delia e il respingerla. Le sue mani sono adagiate sui fianchi di lei, ma non la abbraccia: le mani sono lì, quasi sospese, al limite del contatto fisico. In questo capitolo (che segue il punto di vista di Suga) viene più o meno spiegata la sua esitazione. Ho volutamente lasciato lì una frase alquanto ambigua ("Non poteva dare retta alla mano destra, non voleva: se l'avesse fatto non sarebbe più riuscito a tornare indietro") perché sono curiosa di vedere cosa voi lettori pensate a riguardo, come l'avete interpretata alla luce degli eventi accaduti fino a ora :>
Per quanto riguarda la frase finale del capitolo, dovete sapere che amo i collegamenti interletterari e altri "giochetti" di questo tipo :D
Grazie a tutti per star seguendo la mia storia e per il supporto che mi state dando <3
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 25
*** Venerdì - Livorno: Apriti cielo, spalancati cuore ***


Dopo pranzo smise finalmente di piovere.
Le nuvole plumbee, divenute biancastre, si diradarono e lasciarono lo spazio al sole brillante. Controllai le previsioni del meteo sul cellulare, giusto per evitare spiacevoli inconvenienti: sole, sole e ancora sole. La perturbazione della mattina aveva rappresentato un singolo e fulmineo episodio.
Comunicai la lieta novella a Yoongi, seduto in cucina col cellulare tra le mani. Annuì e mi chiese se avessi intenzione di uscire.
-”Of course”- risposi spalancando le braccia e sollevando entrambe le sopracciglia.
-”So...”- disse girando il busto nella mia direzione e sorreggendosi la testa con una mano. -”Where are we going?”-.
Socchiusi gli occhi e sorrisi maliziosamente, pregustandomi la certamente confusa espressione di Yoongi in reazione alle mie parole volutamente misteriose.
-”In the land of the enemy”-.



 

Mi servì tutto il tempo del viaggio in macchina per spiegare a Yoongi per quale motivo tra pisani e livornesi non sia mai corso buon sangue.
Il mio lessico specifico era troppo elevato per i suoi standard e, a forza di ricorrere a perifrasi e giri di parole, il brodo si era allungato notevolmente. Una spiegazione che, in media, sarebbe dovuta durare al massimo dieci minuti divenne un racconto storico di mezz'ora. Ogni volta che facevo una pausa, Yoongi stringeva le labbra, annuiva, faceva passare qualche attimo di silenzio e poi si girava a guardarmi gracchiando un “Why?”.
-”How old are you? Five?”- lo avevo preso in giro al terzo semaforo rosso.
-”I'm just curious”- sbottava offeso.
Arrivammo a Livorno intorno alle quattro e mezza del pomeriggio. Viale Italia, la strada che corre parallela al lungomare livornese, era meno trafficata di quanto avessi pensato. Trovammo parcheggio per la macchina in una traversa di Viale Italia, Via Forte dei Cavalleggeri.
-”The sea?”- mi chiese Yoongi chiudendo la portiera della Panda e guardando dietro di me, verso la Terrazza Mascagni.
-”Yes, but no”- risposi prendendolo per le spalle e facendolo voltare con la forza. Avevo deciso che avremmo trascorso il pomeriggio a zonzo per la città, prendendo verso le sette un aperitivo nel quartiere Venezia Nuova; avremmo poi concluso la nostra uscita andando a guardare il tramonto sulla Terrazza Mascagni.
Yoongi non si oppose alla mia spinta. Mi assecondò, munendosi subito di macchina fotografica al collo e taccuino nella tasca dei pantaloni. Aveva lasciato il cappello da baseball a casa, ma la fida mascherina nera era tornata al suo posto. Con mia immensa gioia, i lobi delle sue orecchie erano tempestati di orecchini ad anello, i miei preferiti. Si era messo una maglia a righe bianche e nere a maniche lunghe, un paio di pantaloni neri e una giacca che emulava una felpa con cappuccio e cerniera. Su mio consiglio si era portato dietro una sciarpa grigia che aveva infilato nello zaino.
-”Converse”- disse vedendo che stavo fissando le sue scarpe.
-”Yes, I know”-.
Dai suoi occhi e dagli zigomi capii che le sue labbra, sotto la mascherina, si erano incurvate in un ampio sorriso.
-”Converse, Converse, I really hate Converse!”- canticchiò camminando davanti a me sul marciapiede.
-”What do you mean?”- gli chiesi curiosa affiancandolo.
-”Nothing”- rispose facendo spallucce.
Ignorai la sua piccola follia e lo superai, rientrando nel ruolo di guida turistica.
Lo guidai attraverso le strade di Livorno come meglio potei, ricorrendo a volte all'aiuto del navigatore del cellulare. Era da parecchio tempo che non andavo a Livorno, completamente assorbita dalla vita studentesca e dal lavoro. Un paio di mie compagne dell'università erano livornesi e mi avevano più volte invitata a uscire nella loro città. Io avevo sempre rifiutato gentilmente, più per mancanza di voglia che per altro.
Yoongi rispettò perfettamente lo stereotipo del turista asiatico, come era solito fare quando lo portavo a visitare una nuova città: foto a destra, foto a sinistra, foto in alto, foto in basso.
-”Yoongi, your notebook”- gli dissi quando ci fermammo nel bel mezzo di una piazza: aveva visto un insolito agglomerato di piccioni e si era impuntato nel voler fare una serie di inutilissime foto. Gli feci notare che il quadernino stava per cadergli dalla tasca dei pantaloni per la quarta volta nel giro di cinque minuti.
Vedendolo in evidente difficoltà, mi offrii di tenerlo io al posto suo; sapevo che non voleva metterlo nello zaino per non dover ogni volta rufolare al suo interno per ripescarlo. Yoongi esitò un poco, poi accettò il mio aiuto e mi ringraziò. Sorrisi divertiva quando lo vidi mettersi la penna sull'orecchio, a mo' di architetto.
Le successive tre ore trascorsero rapidamente.
Andammo a fare aperitivo in un locale nei dintorni della Terrazza. Yoongi cercava di non darlo a vedere ma non stava più nella pelle all'idea di provare finalmente l'aperitivo italiano. Ricordavo benissimo come gli si erano illuminati gli occhi quando, durante la nostra passeggiata a Lucca, glielo avevo descritto. Ci accomodammo a uno dei tavolini esterni, così io potei alternare una boccata di fumo a un sorso di Spritz. Lo aiutai a scegliere un drink adatto all'occasione, lottando contro la sua assurda voglia di whisky.
-”No”- continuavo a ripetere ogni volta che vedevo i suoi occhi scivolare nella pagina dei distillati e degli amari del menù.
Lui mi sfidava con lo sguardo e sogghignava, cambiando pagina e tornando ai drink da aperitivo.
Per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti ed era iniziata la nostra strana convivenza, Yoongi mi sembrò veramente sereno.



 

Ho sempre pensato che il tramonto visto dalla Terrazza Mascagni fosse qualcosa di straordinario.
La piazza, la cui spianata è impreziosita da un piccolo sito erboso e da un gazebo simile a un tempietto dalla pianta rotonda, è delimitata verso il mare da una balaustra con colonnine in bianco cemento armato. Mi appoggiai a essa coi gomiti e mi accesi una sigaretta, inspirando a pieni polmoni fumo e aria salmastra. Quella mattina aveva piovuto anche a Livorno, ma adesso, per nostra fortuna, il cielo si era scoperto e le nuvole erano state trascinate via dal vento.
Feci perno sul gomito sinistro e mi girai, dando le spalle al mare. Yoongi era a qualche metro da me con la macchina fotografica rivolta verso il basso.
Lo sapevo”, pensai alzando gli occhi al cielo. “Sta fotografando il pavimento”.
La pavimentazione a scacchi aveva fin da subito attirato la sua attenzione. Mi aveva chiesto chi l'avesse fatta in quel modo e per quale motivo. Purtroppo non seppi rispondergli.
Alzò lo sguardo dallo schermo della macchina fotografica e mi guardò. Lo salutai con un cenno della mano e lui mi scattò una foto. Abbassai la mano e roteai gli occhi.
-”Again?”- sbottai esasperata. Nonostante ciò mi scappò una breve risata divertita.
Un'improvvisa brezza si alzò dal mare e a un tratto mi trovai ad agitare la sigaretta per aria e a cercare di togliermi i capelli dalla faccia. Una serie di clic e una risatina malvagia accompagnarono lo scherzetto del vento.
-”I will have my revenge!”- lo ammonii quando fui riuscita a liberarmi dall'abbraccio non voluto dei miei capelli.
Si strinse delle spalle, reputando le mie parole un'inutile minaccia. Mi indicò il Gazebo e mi chiese se potessi scattargli qualche foto col cellulare: voleva farle vedere ai suoi amici. Acconsentii volentieri e lo seguì fino alla struttura architettonica. Mi consegnò il suo cellulare dopo qualche attimo di esitazione.
-”I will not steal it!”- lo rassicurai.
Mormorò qualcosa e mi diede le spalle, andando a mettersi in posa sotto la calotta del Gazebo. Gli feci un paio di foto col suo caro cellulare e, approfittando di un suo attimo di distrazione, anche qualcuna col mio. Zoomai sulla sua faccia, riempiendomi la galleria di primi piani di Yoongi imbarazzanti.
-”Why are you laughing?”- mi domandò sospettoso vedendo che a stento stavo trattenendo le risate.
-”Nothing!”- risposi subito scuotendo la testa.
Strinse gli occhi e, non fidandosi, scese di corsa gli scalini del Gazebo e mi raggiunse, strappandomi di mano i due cellulari e scorrendo le numerose immagini con gli occhi spalancati. Mi fulminò con un'occhiataccia.
-”I love this, I love this!”- quasi gridai quando lo vidi iniziare a cancellarle brutalmente una dietro l'altra. Mi strinsi a lui, appoggiando entrambe le mani sulla sua spalla destra e quasi arrivando a toccare con la mia guancia la sua.
-”I'm ugly”- ribatté indicando il mio telefono.
-”No, please!”-.
Tese il braccio verso l'alto e indietreggiò di un passo. Lo guardai alzando un sopracciglio e facendogli notare che era inutile alzare la mano per non farmi prendere il cellulare, visto che avevamo entrambi più o meno la stessa altezza. Lui ignorò il mio appunto e mi sfidò con un cenno del mento.
-”I used to play volleyball”- gli comunicai, sicura delle mie doti da saltatrice.
-”I used to play basketball”- rispose scimmiottandomi. Scattò in avanti, ruotò su se stesso e mi passò oltre, correndo verso la balaustra e lasciandomi indietro. La sua corsa era accompagnata da acuti gridolini di vittoria.
-”That's not fair!”- gli urlai dietro, lamentandomi del successo del suo effetto sorpresa.
Abbandonai le braccia lungo i fianchi e sbuffai. Come avevo fatto a farmi raggirare in quel modo da quel ragazzo? Lo raggiunsi a passo spedito e, dentro di me, pregai che non avesse eliminato tutte le foto: per quanto fossero veramente brutte, mi piaceva l'idea di avere una parte di lui con me, un frammento di...
...Di?”.
Mi fermai a pochi passi da Yoongi. Corrugai la fronte, pensosa e improvvisamente assalita da un dubbio che fino ad allora non mi aveva mai sfiorata. Guardai il ragazzo di fronte a me, appoggiato con la schiena alla balaustra e intento a commentare tra sé e sé le foto del mio cellulare. Il cielo tendente all'arancio incorniciava la sua figura scura e la stessa brezza contro cui qualche minuto prima avevo ingaggiato un feroce combattimento gli stava dolcemente accarezzando i capelli. Con una mano piena di anelli si abbassò distrattamente la mascherina nera, facendo finalmente prendere aria alle sue piccole labbra rosee.
Il mio sguardo era pesante e insistente, confuso e in cerca della risposta a un interrogativo sorto spontaneamente e a bruciapelo: cos'era Yoongi per me?
Lunedì era un estraneo, un fastidioso problema da risolvere.
Martedì un silenzioso ospite, una statua impassibile.
Mercoledì una persona ferita e afflitta da forti preoccupazioni.
Giovedì un amico, un fantastico amico su cui fare affidamento.
E adesso? Arrivati a venerdì sera, cos'era per me Min Yoongi?
-”I left one”- sentii dire in lontananza dalla sua voce.
Mi ripresi, scossa e sorpresa dai pensieri che avevano iniziato a ronzarmi in testa, fastidiosi come uno sciame di mosche e potenti come una cascata. Accettai titubante il cellulare che Yoongi mi stava tendendo e lo presi tra le mani con cautela.
-”Are you okay?”-.
Manco per un cazzo”, avrei voluto rispondergli.
Annuii con forza, più per convincere me stessa che lui. Sentii i suoi occhi preoccupati analizzarmi più e più volte, con insistenza.
-”Thanks for the X-ray plate, doctor”- lo presi in giro cercando di sdrammatizzare. Mi accesi in fretta una sigaretta e feci un passo indietro, aumentando la distanza tra noi.
Yoongi mi guardò senza capire; probabilmente non sapeva nemmeno cosa significasse “X-ray plate”. Si passò la punta della lingua sulle labbra, pensoso.
-”Are you angry?”-.
Sorrisi, portandomi alla testa la mano che teneva la sigaretta. Davvero aveva pensato che me la fossi presa per la disputa amichevole sulle foto? Per un attimo il mio cuore si contrasse con forza, provocandomi una fitta al limite tra il piacere e il dolore. Per quanto stessi lottando contro l'evidenza, conoscevo benissimo quella sensazione; era innegabile.
-”No”- risposi.
Cercai di tranquillizzarlo dicendogli che lo Spritz mi era un po' salito alla testa e che presto il malessere momentaneo mi sarebbe passato.
-”Can I help you?”- insistette.
Espirai un'ultima boccata di fumo. La nuvola grigiastra si disperdette nell'aria, salendo verso il cielo e arricciandosi su se stessa. Buttai la sigaretta per terra e la calpestai con la punta del piede destro, premendola contro il terreno con lo stesso disgusto con cui si schiaccia un orrendo insetto. Guardai Yoongi, illuminato come un santo dal disco solare dorato alle sue spalle; tra poco la grande stella si sarebbe rifugiata sotto al mare, lontana da sguardi indiscreti e finalmente in grado di riposare.
Sei proprio una stupida, Delia”, pensai autocommiserandomi.
Avevo trascorso cinque giorni con Yoongi e solo in quel momento, prossimi allo scadere del quinto, una scomoda realtà era venuta a bussare alla mia porta. Come frame di una pellicola cinematografica, mi passarono davanti agli occhi gli avvenimenti degli ultimi giorni, a partire dalla confessione di Yoongi di mercoledì, a Marina di Pisa: le nostre incomprensioni, le nostre strane discussioni, i nostri pomeriggi trascorsi a cercare di insegnare all'altro i vocaboli più assurdi nelle rispettive lingue madri, le nostre gite...
Una semplice domanda, sorta in maniera ingenua, era riuscita a farmi cadere nel baratro della confusione e della successiva triste realizzazione, in meno di dieci minuti: tra l'Italia e la Corea del Sud ci sono 9141 chilometri.
-”No. I'm fine”- riuscii finalmente a rispondere.
Affiancai Yoongi, mi appoggiai alla balaustra e lo pregai di riprendere l'ultima lezione di coreano che avevamo lasciato in sospeso da giovedì pomeriggio. Sbuffò, fintamente irritato, e iniziò a spiegarmi nuovamente i diversi tipi di onorifici, gesticolando e facendo il possibile per farsi capire.
Cos'è Yoongi per me?”, mi domandai nuovamente guardando i suoi occhi, scivolando lungo il suo profilo e inciampando sulle sue labbra.
Una cotta che deve finire adesso”, mi risposi con un amaro sorriso.

 

 












ANGOLO AUTRICE
Miei cari lettori, non so come vi sentirete dopo aver letto questo capitolo, ma, insolitamente, ci tengo a dirvi come io, l'autrice, mi sento al momento: tristemente orgogliosa.
Ho scritto il capitolo in un giorno, colta da un improvviso attacco di ispirazione, e l'ho controllato più e più volte, maniacalmente cercando la perfezione; ho tentato di descrivere al meglio la fulminea realizzazione di Delia e l'immediata conseguente auto-mazzata che si è data. Al contrario di Yoongi, Delia non ha avuto problemi ad ammettere i propri sentimenti perché, essendo una ragazza poco romantica e con la testa sulle spalle, sa che un'ipotetica relazione col suo ospite sarebbe impossibile; in più è del tutto ignara del turbamento emotivo che sta affliggendo Yoongi, per cui, per lei, non esiste alcuna ragione per seguire i suoi sentimenti e, per così dire, curarli. "Ah, ho una cotta per lui? Pazienza, non posso farci niente e non mi serve a niente. La eliminerò": è questo, in soldoni, il suo ragionamento.
Spero che il capitolo sia piaciuto anche a voi perché, al momento, è senza dubbio il mio preferito. Nonostante l'abbia scritto in poco tempo, sento che mi ha portato via molte energie creative, per cui ci tengo ad avvertirvi che il prossimo aggiornamento non sarà veloce come gli ultimi >< Vi lascerò agonizzare nella tristezza per un pochetto, eheheh >:)
Grazie a tutti per le letture, le recensioni e il supporto <3
Alla prossima! ^^

 

 

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Capitolo 26
*** Venerdì - Livorno: Apriti cielo, spalancati cuore (S) ***


- Jin: Qualcosa nel frigorifero è andato a male

- TaeTae: Buono a sapersi

- Hobie: Eeew, che schifo! Cos'era?

- ChimChim: Spero non la mia torta di riso!

 

Dove Seokjin trovasse la forza e la pazienza di gestire sei scapestrati era un mistero. Suga se l'era sempre domandato, anche se, dentro di sé, non si reputava né un peso né un fastidio per il membro più grande dei BTS; sapeva di non essere nemmeno lontanamente allo stesso livello di Taehyung o di Hoseok. A lui piaceva sprofondare sulle poltrone, chiudere gli occhi e riposare.
Mangiare, comporre, dormire: questa era la sua vita ideale.

 

- Kookie: Qualunque cosa sia, buttala via

- Jin: Non è roba mia

- Nam: Puzza tanto?

- Jin: Vuoi venire a sentire?

- Nam: Non ci tengo, no

- Jin: Be', qualcuno dovrà occuparsene!

- Kookie: Tipo tu

- Jin: Bada a come parli, ragazzino irriverente!

- TaeTae: Namjoon ha detto che ci pensa lui

- Nam: Quando l'avrei detto?!

- ChimChim: Io sono in bagno, fate come se non ci fossi

- Jin: Ragazzi, qualcuno si assuma le proprie responsabilità!

- Hobie: Che ne dite di fare una live serale?

 

Era assurdo come, anche per il più piccolo problema domestico, quei ragazzi riuscissero a sollevare un polverone e a non trovare una soluzione nel giro di pochi minuti.
-”Yoongi”- si sentì chiamare.
Distolse gli occhi dal cellulare e girò il capo a sinistra. Delia era comparsa sulla porta della cucina e, dal suo sorriso, capì che avesse una buona notizia da dargli.
-”Good news!”- esordì infatti. -”This afternoon it won't rain!”-.
Guardò brevemente fuori dalla finestra e annuì compiaciuto. Normalmente avrebbe preferito avere una scusa per restare chiuso in casa, ma, dati i recenti avvenimenti, Suga sapeva che sarebbe stato meglio per lui uscire dalle mura domestiche e prendere un bel po' di aria fresca, giusto per schiarirsi le idee.
-”You want to go out, I guess”- disse bloccando lo schermo del cellulare e lasciando che i ragazzi se la sbrigassero per conto loro col problema dell'alimento marcio.
Delia spalancò le braccia, alzò le sopracciglia e confermò il suo pensiero.
-”So... Where are we going?”-.
La ragazza socchiuse gli occhi e gli angoli della sua bocca si incurvarono lievemente verso l'alto, in un ambiguo e stranissimo sorriso che non fece presagire a Suga niente di buono.
-”In the land of the enemy”- gli rispose con fare sibillino.


 

Riconobbe la cittadina marittima che stavano costeggiando viaggiando spediti percorrendo il lungomare: si trattava di Marina di Pisa. La distesa di piccoli sassi bianchi gli sorrise, salutandolo. Il mare era una piatta e calma distesa, uno specchio più scuro di un cielo chiaro e quasi sgombero dalle nubi temporalesche. Prima di perderla di vista, notò che la spiaggia era vuota: tutti i possibili visitatori erano stati scoraggiati dalla pioggia mattutina.
Il lungomare, una lunghissima strada dritta, collegava Marina di Pisa, Tirrenia e Livorno; forse proseguiva persino oltre quest'ultima città, ma Suga non ne aveva idea e, in realtà, non gli importava saperlo. Ciò che al momento gli premeva scoprire era perché i livornesi fossero considerati nemici dai pisani.
-”It's a long story”- esordì Delia fermandosi a una rotonda per dare la precedenza a una macchina.
Alla loro destra si ergeva una strana struttura, una specie di torii blu e bianco con una grande insegna riportante a grandi caratteri un nome italiano.
-”Private beach”- disse lei notando la sua curiosità. Aggiunse che da lì in avanti ne avrebbe viste a bizzeffe di quelle insegne monumentali e pompose.
Ripartirono quando la rotonda si fu svuotata e la Panda, dopo aver ingranato la quarta, viaggiò in direzione Livorno. Delia non riprese subito a parlare; probabilmente stava cercando le parole giuste per raccontargli la tanto attesa storia della famosa rivalità.
-”Everyone hates Pisa”- ridacchiò dopo un po'.
Pisa era una potente città, una delle quattro Repubbliche Marinare. Il suo porto era importante e, grazie a esso, per qualche tempo monopolizzò le tratte commerciali della Toscana (per questo Firenze, città interna senza sbocco sul mare, la odia). Prima di allora, però, ai pisani piaceva prendere di mira la zona collinare a est della Toscana, saccheggiandola e derubandola di ogni bene; in quelle terre sorgeva e sorge tutt'ora Lucca (per questo anche i lucchesi odiano Pisa).
-”Nice city”- commentò con sarcasmo.
Delia si strinse nelle spalle e riprese a spiegare. Disse che, in seguito a una battaglia navale contro i genovesi, il porto di Pisa perse il suo lustro e il suo posto da porto principale venne preso da quello appena costruito di Livorno. Fondamentalmente il motivo dell'odio reciproco tra Pisa e Livorno è proprio il porto.
La lunga e difficile spiegazione lo appagò. Mentre la ragazza parlava, Suga si annotava le parti migliori sul taccuino azzurro, giusto per essere sicuro di non dimenticarsi niente. Gli sembrava una storia interessante, ed era sicuro che ai ragazzi sarebbe piaciuto ascoltarla.
Arrivarono a Livorno intorno alle quattro e mezzo del pomeriggio. Lo sguardo scuro di Suga venne subito catturato dall'ennesimo lungomare che, però, era molto diverso da quello di Marina o di Tirrenia: arrivato a un certo punto si allargava, avvicinandosi drasticamente al mare, come a volerlo raggiungere a tutti i costi. Quando parcheggiarono e scesero dalla vettura, si accorse di non riuscire a distogliere gli occhi da quello spettacolo, da quella strana terrazza con tanto di palme, tempietto greco e una pavimentazione insolita. Voleva andarci subito. La macchina fotografica di Jungkook era già pronta, così come il suo cellulare e il quadernino. Delia lo prese per le spalle e lo fece voltare con la forza, costringendolo a dare le spalle alla magnifica terrazza.
-”Why not?”- le domandò con un accenno di broncio.
La ragazza dai capelli rossi gli spiegò che aveva programmato tutto il pomeriggio e che, stando alla scaletta mentale che aveva stilato in macchina, non era ancora arrivato il momento di andare sulla Terrazza Mascagni.
L'importante è che mi ci porti”, pensò il rapper senza più opporsi alla spinta di Delia.
Presero a camminare l'uno di fianco all'altra, in un insolito silenzio spezzato ogni tanto dalle vetture che passavano per la strada. Suga alzò gli occhi per aria e notò che le case di Livorno erano un po' diverse da quelle di Pisa. Si vedeva subito che si trovava in un'altra città, ma se qualcuno gli avesse chiesto da cosa lo deduceva, non sarebbe stato in grado di rispondere. Delia, qualche passo dietro di lui, lo stava fissando con sguardo pensoso. Il suo giacchetto di pelle nero aveva la cerniera aperta e mostrava la camicia di tulle a stampa floreale, gentilmente infilata dentro i jeans a vita alta; gli anfibi neri le donavano quella manciata di centimetri in più che le bastava per essere alta quanto Suga. Il ragazzo vide gli occhi di lei scivolare sulle sue scarpe.
-”Converse”- le disse, pensando che il suo sguardo insistente fosse dovuto al fatto che non riuscisse a ricordarsi il nome del modello.
-”Yes, I know”- rispose riscuotendosi.
Converse, eh?”, pensò Suga. Si ricordò di quando, dopo l'uscita della loro canzone “Converse High”, Jin l'aveva preso in giro vedendolo con un paio di Converse ai piedi. Una brevissima risata sfuggì al suo controllo.
-”Converse, Converse, I really hate Converse!”- canticchiò continuando a pensare alla faccia dell'amico.
-”What do you mean?”- gli domandò curiosa la sua padrona di casa.
Suga si schiarì la voce e scosse la testa, cercando di darsi un contegno. Avrebbe tanto voluto spiegarle il motivo della sua allegria, ma era conscio che, per farlo, avrebbe dovuto tirare in ballo “Converse High” e il famoso gruppo “sconosciuto” BTS.
-”Nothing”- rispose stringendosi nelle spalle.
Guardò Delia accontentarsi della risposta sbrigativa e reimmergersi completamente nel ruolo di guida turistica. Le riusciva così bene che spesso Suga aveva pensato di consigliarle di mollare gli studi per dedicarsi anima e corpo a quel lavoro. Sapeva benissimo dove andare e come muoversi, che posti visitare, cosa dire e quando dirlo; non era mai pesante e riusciva sempre, in un modo o in un altro, a strappare un sorriso. Sotto un certo punto di vista, la invidiava per la sua capacità di rapportarsi positivamente con le persone.
E non si abbatte mai”.
La macchina fotografica, ondeggiando, lo colpì lievemente allo stomaco, ricordandogli per quale motivo stesse dondolando appesa al suo collo da un'eternità.
D'accordo, bando alle ciance: facciamo qualche foto per il maknae”.


 

I quadrati della pavimentazione a scacchiera erano più grandi di quanto avesse pensato. Si alzò in punta di piedi e sollevò la macchina fotografica, scattando una foto di prova. Strinse le labbra, insoddisfatto del risultato ottenuto, e ritentò.
Ci teneva moltissimo a fare una foto più che decente, sia per il suo orgoglio che per Namjoon: sapeva che nella pentola del suo leader bolliva da un po' l'idea per un nuovo mixtape, e sapeva anche che c'erano molte probabilità che Namjoon volesse una copertina in bianco e nero.
-”Io li avrei fatti più grandi...”- borbottò sarcastico, irritato dalle insolite e fastidiose dimensioni dei quadrati.
Guardò le quattro foto che aveva fatto al pavimento e storse il naso, ancora per niente soddisfatto del proprio operato. Fece schioccare la lingua, pensando a quanto poco sarebbe bastato a Jungkook per scattare una foto e renderla un capolavoro.
Alla sua destra, appoggiata alla balaustra bianca, Delia lo stava guardando con aria scettica. Teneva l'ennesima sigaretta stretta tra l'indice e il medio della mano destra, aveva i gomiti sulla balaustra e le lunghe gambe fasciate dai jeans attillati accavallate sulle caviglie sottili. Il sole alle sue spalle aveva indirizzato gli ultimi raggi di luce sui suoi capelli rossastri, rendendola simile a una divinità del fuoco. La dea in questione alzò una mano e la fece ondeggiare elegantemente, benedicendo Suga con un lieve sorriso. In una manciata di secondi, Suga si trovò la macchina fotografica davanti agli occhi e l'indice premuto sul pulsante dello scatto. Niente al mondo gli avrebbe impedito di immortalare quella scena surreale ma al tempo stesso quotidiana.
-”Again?”- sbottò Delia facendo roteare gli occhi. La sua successiva e genuina risata venne bruscamente interrotta da un'improvvisa brezza marina che si accanì con foga sui suoi capelli fiammeggianti.
Suga, di fronte a quella disastrosa quanto divertente visione, sentì l'impellente bisogno di imprimerla nel rullino digitale della macchina fotografica. Scattò una foto dietro l'altra, a ripetizione, come una mitragliatrice. Ogni clic era un colpo al cuore perché sapeva benissimo che presto non sarebbe più stato in grado di trascorrere del tempo con Delia.
-”I will have my revenge!”- lo ammonì quando fu riuscita a liberarsi dall'abbraccio non voluto dei propri capelli.
Sì, come no!”, pensò Suga stringendosi nelle spalle e mettendo la fotocamera in stand-by.
Con la coda dell'occhio notò che il gruppetto di ragazzi che si era appostato sotto al Gazebo se n'era andato. Immediatamente lo indicò a Delia e le chiese se potesse scattargli qualche foto col cellulare.
-”For my friends”- spiegò.
-”Okay, sure”- rispose subito lei.
Si precipitò al Gazebo e mise un piede sopra al primo gradino, bloccando subito il suo incedere entusiasta. Si tastò le tasche dei pantaloni e si irrigidì per un momento quando si rese conto di dover dare a Delia il proprio cellulare. Era una cosa che odiava tremendamente: vedere il telefonino in mano ad altre persone. Per quanto gli duolesse ammetterlo, in quello stupido dispositivo elettronico era racchiusa tutta la sua vita, sia quella professionale che quella privata. Guardò il touchscreen oscurato e il riflesso del suo viso tirato lo spronò a darsi una mossa e a consegnare il cellulare a Delia.
-”I will not steal it!”- lo rassicurò la ragazza una volta che lo ebbe tra le mani.
-”Ci mancherebbe!”- borbottò Suga crucciato.
Le diede le spalle e andò a mettersi in posa sotto la calotta del Gazebo: spostò il peso su una gamba e alzò una mano all'altezza del viso, mettendo in evidenza l'indice e il medio. Il sole basso premeva sui suoi occhi, costringendolo a sbattere le palpebre molto spesso. Abbassò lo sguardo, sentendo gli occhi iniziare a lacrimare, e si sistemò la zazzera nera con una rapida smossa della mano. Delia, sotto di lui, era incollata allo schermo del cellulare; le sue spalle stavano sussultando lievemente e il suono di una risata strozzata arrivò alle orecchie di Suga.
-”Why are you laughing?”- le domandò sospettoso vedendo che a stento stava trattenendo le risate.
-”Nothing!”- rispose subito scuotendo la testa.
Suga strinse gli occhi, guardingo. Conosceva benissimo l'espressione da “Ti ho scattato una foto di merda e la terrò con me per sempre”: vivendo da anni con Taehyung e Jungkook, aveva imparato a riconoscerla e ad agire subito per arginare i danni. Dichiarato lo stato di allerta, scese di corsa gli scalini e raggiunse Delia, strappandole di mano due cellulari e iniziando a scorrere le gallerie di entrambi con gli occhi spalancati. Quanti orrendi primi piani gli aveva fatto? C'era qualche foto decente? Si infilò il proprio cellulare in tasca e si concentrò su quello della ragazza (ironia della sorte, un Samsung): ogni immagine che finiva sotto i suoi occhi e il suo dito veniva cestinata all'istante.
-”I love this, I love this!”- quasi gridò Delia assistendo allo sterminio.
La sentì avvicinarsi, appoggiando entrambe le mani sulla sua spalla e avvertendo la guancia sfiorare quella di lei. Era talmente preso dalla cancellazione di massa che non si rese conto di trovarsi a stretto contatto con una ragazza italiana conosciuta poco meno di una settimana prima.
Come facevano a piacerle quelle foto? Erano terribili!
-”I'm ugly”- ribatté indicandole lo schermo del telefono e inorridendo di fronte a un primo piano che lo aveva colto con gli occhi socchiusi.
Delia era insistente come una bambina dell'asilo. Cocciuta come suo solito, sembrava intenzionata a fare il possibile per salvare almeno una delle sue opere di arte contemporanea. Suga tese il braccio verso l'alto, si allontanò di un passo e ridusse gli occhi a due fessure, intimando silenziosamente la ragazza a non muoversi. Delia non riuscì a cogliere la minaccia del suo sguardo e scosse la testa, facendogli notare che, avendo più o meno la stessa altezza, per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi riappropriarsi del cellulare.
Ah sì?”, pensò Suga sfidandola con un cenno del mento.
-”I used to play volleyball”- disse con una nota d'orgoglio.
-”I used to play basketball”- le rispose a tono.
Scattò in avanti, andando incontro a Delia, ruotò su se stesso e, dandosi la spinta col piede sinistro, le passò oltre, correndo verso la balaustra e lasciandola indietro.
Stupidi superbi pallavolisti”, pensò tra sé e sé mentre esultava per la riuscita della sua fuga.
Le foto orrende sembravano non finire mai. Ogni volta che ne eliminava una ne spuntavano altre due, peggiori della precedente. Delia era rimasta indietro, sicuramente ferita nell'orgoglio. Sogghignò, compiacendosi della sua bravura. C'era un motivo se, nonostante la carriera da idol, il suo stage name era legato alla pallacanestro.
Dopo un'attenta e sofferente analisi, decise di accontentare le assillanti richieste della padrona di casa, lasciandole in galleria un'unica foto. Per qualche strano motivo, Delia sembrava tenerci moltissimo...
-”I left one”- le disse porgendole il Samsung color oro rosa.
Delia non rispose subito all'input. Era distratta, stava pensando a qualcos'altro.
Qualcosa di per niente allegro.
I suoi occhi erano tristi, lo sguardo spento e le labbra tirate; riprese possesso del proprio cellulare senza guardare Suga, evitando persino di sfiorare le sue mani.
-”Are you okay?”- le domandò.
Annuì con vigore, smuovendo la massa rossa di capelli. La frettolosa risposta non convinse Suga, il quale, iniziando a preoccuparsi, prese a fissare la ragazza con insistenza, come a cercare di intercettare i suoi pensieri. Delia se ne accorse e ridacchiò senza gioia, dicendo qualcosa che Suga non riuscì a comprendere.
-”Are you angry?”- le chiese dopo averla osservata per un po' mentre si accendeva una sigaretta.
Forse, prima, si era preso troppa confidenza: strapparle il cellulare dalle mani, andare nella sua galleria, prenderla in giro... Probabilmente aveva involontariamente oltrepassato il limite; eppure, qualche minuto prima, Delia non sembrava per niente infastidita o irritata. Doveva scavare, andare a fondo, scoprire...!
Perché vuoi farlo?”, gli chiese la sua rigida coscienza. “Tra tre giorni non la vedrai più, che t'importa di lei?”.
-”No”- rispose Delia sovrastando la voce della coscienza. Iniziò a gesticolare, come suo solito, spiegandogli che la bevuta dell'aperitivo le stava dando un po' di fastidio ma che presto sarebbe tutto passato.
Le sue parole sbrigative non lo convinsero del tutto.
-”Can I help you?”- provò per l'ennesima volta.
Delia espirò un'ultima boccata di fumo. Il suo volto tristemente apatico non si mosse. Spense la sigaretta per terra, fissando qualche secondo di troppo gli occhi sul mozzicone schiacciato; era come se, all'improvviso, non riuscisse più a guardarlo in faccia. Possibile che il gioco del cellulare l'avesse spinta fino a quel punto?
-”No, I'm fine”- disse piano alla fine.
Gli venne incontro, si appoggiò come lui alla balaustra e, con un inaspettato sorriso smagliante, lo pregò di riprendere l'ultima lezione di coreano lasciata in sospeso. Suga, da un lato, avrebbe voluto opporsi e respingere la richiesta della ragazza, per poter così indagare sulla fonte del suo malessere; da un altro, però, dovette ammettere che la sua inflessibile coscienza avesse pienamente ragione.
E' solo una ragazza che non incontrerò mai più”.
Eppure, quel pensiero gli fece inspiegabilmente male.

 

 












ANGOLO AUTRICE:
Mamma mia, ho impiegato un'eternità a terminare il capitolo e a pubblicarlo! D: Il treno della voglia e dell'ispirazione si era fermato subito dopo Lucca Comics, sicché mi è stato difficile riprendere in mano il capitolo e concluderlo ><
Contrariamente al precedente, in questo capitolo non succede praticamente niente: Yoongi ancora si rifiuta di farsi una bell'analisi interiore e di dare un nome a quegli strani sentimenti che prova per Delia, per cui ha deciso di godersi il pomeriggio senza troppe preoccupazioni.
Volete uno spoilerino (che, se ben interpretato e collegato potrebbe diventare uno spoilerone)? La città che i nostri protagonisti visiteranno nei prossimi capitoli, quelli dedicati al sabato, è Firenze >:)
Spero di poter scrivere e aggiornare presto :>
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 27
*** Sabato - Firenze: Maestro ***


Sono sempre stata brava a soffocare i miei sentimenti. Non avevo idea di quale fosse l'origine di questa mia comodissima capacità, ma non passava giorno che non ringraziassi mia madre per avermi donato un cuore di ferro in grado di tarpare le ali alle emozioni che, in determinati momenti della vita, costituivano per me un ostacolo. Era come avere un interruttore protetto da un rivestimento di vetro: mi bastava aprirlo, premere il pulsante e bam, problema risolto. Il mio spirito di sopravvivenza, forgiato dall'educazione spartana datami dai miei genitori, doveva sicuramente trovarsi alla base del mio fantastico potere.
Nell'esatto momento in cui mi resi conto di provare qualcosa per Yoongi, corsi ai ripari. Un'eventuale relazione con quel ragazzo sarebbe stata praticamente impossibile, soprattutto per la distanza che separava i nostri luoghi natali. Chi aveva voglia di perdere tempo dietro a un sentimento fugace nato all'improvviso e, con molta probabilità, non corrisposto? Io non di certo.
Venerdì pomeriggio, col tramonto alle spalle e Yoongi al mio fianco, premetti il pulsante: uccisi i miei sentimenti, mi misi l'animo in pace e mi apprestai a godermi gli ultimi giorni in compagnia del mio ospite, pianificando l'uscita a Firenze.


 

Guardando gli occhi spalancati e ingordi di Yoongi capii perché il suo passo, una volta scesi dal treno, fosse diventato tremendamente lento e impacciato. Ormai, frequentando da anni la città, mi ero abituata al caos regnante nella stazione di Santa Maria Novella, ai negozi costantemente pieni e al lungo atrio traboccante di persone e valige. La macchina fotografica dell'amico di Yoongi, un modello che a occhio e croce doveva costare una fortuna, era già nelle sue mani.
-”Oh, c'mon!”- alzai gli occhi al cielo, esasperata.
Afferrai Yoongi per un gomito e lo trascinai via con me, iniziando a percorrere la banchina e immettendomi poi al centro dell'atrio. Yoongi, dopo avermi assecondata per un po', piantò i piedi per terra e alzò un dito, indicandomi l'ambiente e facendomi capire di voler scattare delle foto; non aprì bocca perché sapeva che, dato lo stridio delle rotaie e il continuo vociare delle persone, non sarei stata in grado di sentirlo.
-”As you wish”- mi arresi allargando le braccia e lasciandole ricadere lungo i fianchi. Mi raccomandai di non allontanarsi troppo perché, vista la calca, avrebbe impiegato un attimo a perdersi.
Annuì e mi diede le spalle, iniziando a fare qualche foto. Nell'attesa, spulciai le stories di Instagram e controllai i messaggi su WhatsApp, chiedendo alle mie compagne di corso aggiornamenti sulle lezioni che avevo perso in quell'ultima settimana. Lanciai un'occhiata a Yoongi, giusto per controllare che fosse ancora dove l'avevo lasciato, e mi scappò un sorriso quando constatai che, per l'ennesima volta, si era vestito principalmente di nero.
Incredibile!”, pensai scuotendo la testa.
Il maglioncino nero che indossava lasciava intravedere la maglietta bianca che portava sotto di esso; i jeans chiari, con squarci e trinci sulle ginocchia e lungo le cosce, erano senza risvolti, andando a nascondersi dietro le lingue delle scarpe nere; la sua fida mascherina, scura come la morte, gli nascondeva metà viso. Era assurdo come gli piacesse annientarsi in quella maniera, schermandosi e appiattendosi dietro un velo di buia tristezza cromatica. Mi tornò in mente la foto che mi fece vedere giovedì pomeriggio, quella in cui portava una maglietta dei Rolling Stones e aveva i capelli verde menta: lì sì che sembrava una persona contenta della vita!
-”Done”- disse tornando da me. Spense la macchina fotografica e mi guardò, in attesa di nuove direttive. Mi persi per qualche attimo nei suoi occhi, seguendo la linea dei margini delle palpebre e meravigliandomi di quanto le sue iridi fossero calde e scure.
-”Okay, let's go”- tossicchiai girando i tacchi e incamminandomi verso l'uscita che portava in Piazza della Stazione.
Yoongi mi venne prontamente dietro, ormai abituato a seguirmi ovunque, silenzioso e reattivo; sapeva che, visto il mio senso dell'orientamento non sempre infallibile, avevo la tendenza a cambiare direzione di marcia molto spesso. Oltrepassammo la zona taxi di corsa e attraversammo un paio di strisce pedonali all'ultimo, col semaforo arancione che ci intimava di darci una mossa.
-”Forget Pisa”- gli dissi camminando lungo il marciapiede che costeggiava la fiancata della basilica di Santa Maria Novella. -”Firenze is another type of city, much more... chaotic”-. Il che è proprio vero: non ho mai conosciuto una persona che non si fosse lamentata della vita da pedoni a Firenze e del malo modo in cui è gestito il traffico automobilistico all'interno della città.
Tralasciando i luoghi canonici fiorentini, c'era un posto particolare in cui volevo assolutamente portare Yoongi; in realtà, più che per lui, volevo farlo per me. Era per me una tappa obbligatoria ogni volta che andavo a Firenze, e il motivo era semplice: c'era una persona che dovevo salutare e a cui dovevo porgere i miei omaggi. Permisi a Yoongi di prendersela comoda per un po', assecondando il suo incedere tranquillo e pacato; risposi anche alle sue domande circa i nomi degli edifici e delle chiese, ma dopo un po', non stando più nella pelle e volendo a tutti i costi far conoscere a Yoongi il mio spirito guida, lo afferrai per un polso e gli ordinai di seguirmi. Il freddo metallo dei suoi braccialetti argentati mi accarezzò il palmo della mano, facendomi scivolare gli occhi sulle mie dita avvinghiate attorno alla sua pelle.
-”Okay”- disse lui facendomi rialzare lo sguardo.
Mollai immediatamente la presa e mi voltai, dandogli le spalle. Avevo premuto il pulsante, lo avevo proprio fatto: ormai non c'era più modo di tornare indietro. Mi dissi che andava bene così e che arrossire per un banalissimo contatto istintivo e amichevole era proprio da stupidi. Riacquistai la lucidità perduta in una frazione di secondo, come era abituata a fare. Rivolsi a Yoongi un sorriso accompagnato da un cenno del capo che lo invitava a seguirmi.
-”Where are we going?”- mi domandò incuriosito dal mio chiaro entusiasmo.
-”I'd like to introduce you to a person”- risposi.
Mi guardò accigliato. Vidi il suo sguardo passare dall'incomprensione al terrore. Si fermò di botto e mi guardò con gli occhi spalancati. Inclinai la testa di lato, non capendo il motivo della sua improvvisa paura.
-”A friend?”- chiese agitato.
Mi misi le mani sui fianchi e sospirai, riservandogli un sorriso d'incoraggiamento. Grazie alle numerose uscite e al tempo trascorso insieme, avevo capito che, oltre a una scarsissima fiducia nelle proprie capacità, Yoongi aveva anche dei problemi a relazionarsi con gli sconosciuti e a muoversi in ambienti a lui non familiari. Finii con l'essere sicura che la mascherina e il cappello da baseball (questa volta lasciato a casa) rappresentassero la sua armatura contro quelle che ai suoi occhi apparivano come minacce esterne.
-”Not a friend”- lo tranquillizzai. -”It's hard to explain”-. Vedendolo ancora titubante, gli tesi una mano. -”Don't you trust me?”-.
Yoongi fissò la mia mano per qualche secondo, poi spostò lo sguardo su di me.
-”Aniyo”- rispose.
Aggrottai le sopracciglia, non capendo cosa avesse appena detto. I suoi zigomi si mostrarono, facendomi capire che, sotto la mascherina, le sue labbra stavano sorridendo divertite.
-”It's 'no' in korean”-.
-”Worse for you!”- risposi indispettita.
Lo sentii per un po' ridacchiare dietro di me, continuando a seguirmi a distanza ravvicinata. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a tenergli il broncio: era più forte di me. Dopo un po' abbandonai la posizione da ragazza offesa e gli permisi di camminare al mio fianco, riservandogli però un bel colpetto su una spalla.
Quando finalmente arrivammo a destinazione, non potei fare a meno di sorridere come una bambina: amavo quella piazza con tutta me stessa. Yoongi si fermò vicino a me e mi guardò senza capire quale fosse la causa di così tanta gioia. Gli passai un braccio attorno alle spalle e lo attirai a me, tendendo l'altro braccio in avanti e mostrandogli la bellissima piazza che si estendeva di fronte a noi.
-”Piazza Santa Croce!”- proclamai con più italianità possibile. -”Isn't it beautiful?”- sospirai cercando la sua approvazione.
Gli occhi attenti di Yoongi percorsero la piazza, soffermandosi sugli edifici storici che adornavano il suo perimetro e, in particolare, sulla basilica neogotica di Santa Croce, posizionata sul lato est della piazza, esattamente di fronte a noi.
-”It's big”- disse con semplicità, come se la sua bellezza non l'avesse colpito per niente.
-”Come”- gli dissi saltellando in avanti e facendogli capire di dover venire con me. Non stavo più nella pelle all'idea di fargli conoscere quella persona.
Passammo in mezzo alla piazza diretti verso la basilica, io spedita come un treno, Yoongi confuso ma curioso dal mio strano comportamento. Mi piazzai sotto al basamento della statua e mi portai le mani al petto, emozionata come la prima volta che la vidi, anni e anni prima. Volsi il capo verso Yoongi e gli indicai il mio maestro, il mio spirito guida, il poeta italiano per antonomasia.
-”Yoongi, let me introduce you to Dante Alighieri, the greatest Italian poet”-.
Yoongi guardò prima me, poi la statua, poi di nuovo me. I suoi occhi guizzavano dal mio volto rosato a quello marmoreo di Dante in continuazione, come palline di un flipper. Corrugò la fronte, evidentemente non capendo perché avessi insistito così tanto per fargli vedere una statua.
-”Really? You don't know who he is?”- dissi sorpresa. -”Oh, c'mon! Dante Alighieri! This is serious, Yoongi!”- esclamai con gravità, dimenticandomi che, essendo il mio ospite coreano, non poteva aver studiato la letteratura italiana a scuola.
Andai improvvisamente su di giri, avvertendo l'impellente bisogno di raccontare a Yoongi la vita di Dante e la genesi delle sue opere; nella foga e nell'agitazione del momento, presa com'ero dall'elogio al mio poeta preferito, dimenticai di parlare in inglese e attaccai uno spiegone infinito in italiano, con gli occhi ammiranti fissi sulla statua scolpita da Enrico Pazzi.
-”...Io adoro quest'uomo!”- conclusi nella mia lingua indicando per l'ennesima volta la statua e, finalmente, guardando il mio ospite.
Yoongi era rimasto per tutto il tempo a qualche passo da me, in religioso silenzio e con un'espressione del volto indecifrabile. Arrossii d'imbarazzo e di vergogna quando mi resi conto di avergli appena mostrato il mio lato da fangirl accanita. Mi passai una mano tra i capelli e mi infilai in fretta e furia una sigaretta in bocca.
-”I'm sorry, I should'nt...!”-.
-”It's okay”- mi interruppe subito con uno stranissimo tono di voce. -”It's... okay”- ripeté con meno sicurezza di prima.
Feci per chiedergli se stesse bene ma ci ripensai quando lo vidi prendere in mano il quadernino azzurro e affondare il naso tra le sue pagine, prendendo a scrivere qualcosa alla velocità della luce. Mi strinsi nelle spalle e lanciai un'ultima occhiata a Dante, facendogli l'occhiolino.
-”Forse gli abbiamo dato qualche spunto per una nuova canzone!”- mi complimentai col Sommo poeta.

 













ANGOLO AUTRICE:
Nessuno si aspettava un aggiornamento così improvviso, vero? >:) Be', nemmeno io, AHAHAHAH! Oggi pomeriggio mi sono messa a scrivere il capitolo e wow, le parole hanno preso a uscire da sole, una dopo l'altra, quasi in maniera spontanea :O Era da tempo che volevo scrivere questa parte della storia, da quando l'ho ideata; si vede che l'emozione di essere arrivata a questo punto mi ha dato la forza di completare il capitolo in un pomeriggio :')
I capitoli del sabato (che, contando anche questo, saranno quattro) rappresentano un importantissimo punto di svolta nella trama della storia. Vorrei dire di più, ma non posso permettermi di fare spoiler ><
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che abbiate apprezzato l'ammmmoreh che Delia prova nei confronti di Dante *ride*
Grazie a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 28
*** Sabato - Firenze: Maestro (S) ***


-”We're arrived”- disse la voce di Delia alle sue orecchie. La ragazza, seduta accanto a lui, si alzò per prima e lo incitò a fare lo stesso. Suga annuì, mettendosi lo zaino in spalla e seguendola fino alla porta del vagone del treno.
C'erano molte persone attorno a loro, la maggior parte giovani ragazzi che avevano deciso di approfittare del bel tempo per trascorrere un pomeriggio a Firenze. Non lo aveva mai detto a Delia, ma non vedeva l'ora di visitare la città. L'aveva sempre vista attraverso fotografie, immagini sul web e resoconti di altri; non aveva mai avuto modo di viverla in prima persona.
Finalmente era arrivato il suo momento.
Anche solo la banchina del binario aveva un che di diverso rispetto a Pisa. Suga scese dal treno e avanzò lentamente, guardandosi attorno meravigliato. Delia alzò gli occhi al cielo e lo afferrò con decisione per un gomito, incitandolo a camminare. Non oppose resistenza e non sussultò: ormai si era abituato ai suoi modi quasi burberi. Si fece trascinare fino all'atrio della stazione di Santa Maria Novella e lì, impuntandosi come un bambino, piantò i piedi per terra. Voleva scattare qualche foto da far vedere agli altri ragazzi: Delia avrebbe dovuto farsene una ragione.
-”As you wish”- si arrese allargando le braccia e facendole ricadere lungo i fianchi.
La macchina fotografica di Jungkook, per quanto fosse complicata da usare, era come un dono dal cielo: era in grado di rendere qualunque fotografia, anche la più brutta, simile a un capolavoro. Suga, durante i primi giorni, si era impegnato nello scattare immagini orrende e dalle inquadrature più assurde, ma, per quanto si fosse adoperato, la macchina fotografica, testarda come il suo proprietario, era sempre riuscita ad avere la meglio.
-”Done”- annunciò dopo qualche minuto.
Guardò Delia e attese i nuovi ordini che, stranamente, tardarono ad arrivare. Lo stava fissando dritto negli occhi, con le sopracciglia lievemente aggrottate e le labbra socchiuse. A cosa stesse pensando era un mistero. Suga inclinò la testa di lato e la interrogò con lo sguardo.
-”Okay, let's go”- si riprese d'un tratto dandogli subito le spalle.
Le andò dietro come un anatroccolo e, appena usciti dalla stazione, rivolse gli occhi al cielo azzurro.
Finalmente sono a Firenze!”, pensò, ignaro del fatto che quella giornata gli avrebbe cambiato la vita.

 

Delia lo superò di corsa e si fermò qualche passo avanti a lui, spalancando le braccia ed esultando. La affiancò e si guardò attorno, senza capire il motivo della sua esplosiva allegria. Nelle ultime due ore Delia si era mostrata irrequieta e insoddisfatta, come se non stesse più nella pelle all'idea di fare qualcosa che, per colpa di Suga, non poteva fare in quel momento.
Gli passò un braccio attorno alle spalle e lo attirò a sé. Le loro spalle si scontrarono e solo allora Suga si rese finalmente conto e accettò che Delia fosse alta quasi quanto lui. La ragazza tese in avanti il braccio libero e sospirò di ammirazione.
-”Piazza Santa Croce!”- proclamò marcando le Z e la R. -”Isn't it beautiful?”- disse cercando la sua approvazione.
Suga guardò il volto di Delia con la coda dell'occhio. Davvero le piaceva quella banalissima piazza? Certo, era grande e completamente sgombra, la chiesa dall'altra parte non era male, ma... Cosa c'era di bello in un rettangolo di pavimentazione vuota?
-”It's big”- le rispose con semplicità. Che altro avrebbe dovuto dirle?
Le sue parole rimbalzarono contro il muro di entusiasmo di Delia. La ragazza saltellò in avanti e lo incitò a seguirla, iniziando a camminare in mezzo alla piazza a passo spedito. Suga la assecondò restando però qualche passo più indietro, deciso a scoprire cosa stesse succedendo alla padrona di casa.
Delia si fermò sotto al basamento di una statua eretta a sinistra della facciata della chiesa. Alzò il viso, si portò le mani al petto e sorrise gentilmente. Guardò Suga e gli indicò la statua, il debole sorriso divenuto una fonte di amorevole calore.
-”Yoongi, let me introduce you to Dante Alighieri, the greatest Italian poet”-.
Suga seguì l'indice di Delia e guardò la persona raffigurata, un uomo dall'espressione arcigna e dal capo sormontato da una corona di alloro; il corpo era avvolto da una cappa che l'uomo stringeva a sé in maniera quasi gelosa; ai suoi piedi un'aquila cercava insistentemente di incrociare il suo sguardo.
Dante Alighieri? Dove ho già sentito questo nome?”.
Sentiva di star dimenticando qualcosa di importante, ma non riusciva a capire cosa.
-”Really?”- si intromise Delia nel suo silenzioso ragionamento. -”You don't know who he is?”-.
Suga scosse la testa, seriamente dispiaciuto.
-”Oh, c'mon! Dante Alighieri! This is serious, Yoongi!”- esclamò con gravità.
L'ultima frase, sputata con altezzosità e con fare maestrino, illuminò di colpo la mente di Suga, ripescando nei suoi ricordi confusi il particolare e comico episodio di giovedì sera, quando un'ubriaca Delia gli aveva chiesto di punto in bianco se conoscesse Dante Alighieri. Anche allora, di fronte alla sua risposta negativa, si era lamentata e gli aveva fatto notare la gravità della sua ignoranza con “This is serious, Yoongi!”.
-”Ah, you already...”- iniziò, ma Delia non lo stava più ascoltando. La ragazza dai capelli rossi era tornata a rivolgersi alla statua. Aveva incrociato le caviglie e, in quella traballante posizione precaria, aveva preso a gesticolare animatamente, ondeggiando pericolosamente ogniqualvolta i movimenti delle sue braccia risultassero troppo ampi. Stava parlando in italiano a ruota libera, senza freni e senza preoccupazioni. Suga non aveva la più pallida idea di che cosa stesse dicendo, ma in quel momento, completamente tagliato fuori e isolato dalla scena, gli sembrò di trovarsi di fronte alla contemplazione di un'opera d'arte. Delia, nella sua naturalezza, era ipnotica. I suoi occhi erano fissi sul volto marmoreo di Dante Alighieri, come in cerca di un ricambio e di una risposta. La statua la stava ignorando e Suga, guardando l'altezzoso Dante, avvertì una punta di odio. Come si permetteva quel poetastro da strapazzo di ignorare Delia? Chi mai avrebbe avuto il coraggio di non apprezzare la sua ammirazione? Spostò nuovamente gli occhi su Delia e, nel vederla così presa e in totale devozione, si sentì... strano.
Fu allora che Suga, spettatore di uno sguardo d'amore non corrisposto e rivolto a un uomo morto secoli fa, se ne rese finalmente conto.
Fece un piccolo passo indietro, sbarrando gli occhi scuri e scuotendo lievemente la testa. Non poteva essere vero, no, assolutamente. Sentì una tremenda fitta allo stomaco e una pesantissima morsa al petto. Scosse nuovamente la testa, come a volersi levare di dosso le terribili sensazione che stava provando in quel momento, ma fu tutto inutile.
Delia disse qualcosa con un tono leggermente diverso: doveva aver finito di elogiare Dante. Suga, cereo in volto, non rispose. La ragazza, resasi conto di aver parlato in italiano per tutto il tempo, si mosse a disagio e si passò una mano tra i capelli, infilandosi tra le labbra una sigaretta e cercando l'accendino nella borsa.
-”I'm sorry, I souldn't...!”-.
-”It's okay”- la interruppe con voce gutturale. Guardò Dante e le sue strane sensazioni si intensificarono. -”It's... okay”- ribadì con meno sicurezza di prima.
Si armò immediatamente di quadernino azzurro e penna. Diede le spalle a Delia e nascose il volto tra le pagine, facendo vedere alla ragazza dietro di sé che stava scrivendo come un pazzo. In realtà la penna si muoveva a pochi millimetri dal foglio, semplicemente simulando la scrittura.
Quella realizzazione lo aveva preso in contropiede.
Fissò le pagine bianche, profondamente turbato, e si sentì per un attimo mancare.
Non è possibile”, pensò chiudendo con incredulità il quadernino. “Non è possibile!”.

 










ANGOLO AUTRICE
Stranamente non ho molto da dire: il capitolo parla relativamente da sé >:)
Il prossimo capitolo sarà anomalo, nel senso che non ci sarà il solito sdoppiamento tra pov-Delia e pov-Suga. Il punto di vista protagonista sarà quello di Yoongi.
Mamma mia, ragazzi, ci stiamo avvicinando sempre più alla fine :'(
Buon fine settimana a tutti e alla prossima! ^^

 

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Capitolo 29
*** Sabato - Firenze: Epifania (S) ***


Sapeva benissimo che avrebbe dovuto godersi la vista mozzafiato di Firenze che Piazzale Michelangelo regalava, ma non ci riusciva. Il suo sguardo, ostinatamente puntato in quel lembo di pavimentazione delimitato dai suoi piedi, era perso nel vuoto. Il vociare dei turisti e il continuo chiacchiericcio dei ragazzi seduti attorno a lui non arrivavano alle sue orecchie. Si era isolato, nascosto dietro a una barriera invisibile di ansia e negazione.
Le sue narici captarono un forte odore di fumo.
Doveva trattarsi di lei.
Voleva guardarla ma, dopo quanto gli era successo in Piazza Santa Croce, non ci era più riuscito. L'aveva seguita a debita distanza, usando il taccuino azzurro come scudo difensivo e facendo il possibile per evitare di incrociare il suo sguardo verdastro. Non aveva fiatato quando gli aveva detto che lo avrebbe portato in un posto sopraelevato e che avrebbero dovuto camminare parecchio. Gli andava bene qualunque cosa; tutto pur di dimenticare e cancellare quelle fastidiose sensazioni. Avevano raggiunto Piazzale Michelangelo e si erano seduti sui gradini della scalinata, rivolti verso il panorama di Firenze e dell'Arno.
-”Does it bother you?”- gli domandò.
Scosse la testa, in un gesto automatico e istintivo.
Si era abituato a scegliere la risposta più conveniente per lei al fine di risparmiarle il più possibile seccature e dispiaceri. Non gli piaceva vederla in difficoltà e in imbarazzo; se avesse potuto, avrebbe fatto di tutto per semplificarle la vita. Nell'ultima settimana trascorsa insieme aveva avuto di modo di osservare da vicino la sua coinquilina e padrona di casa, notando quanto tenesse all'università e quanto si impegnasse affinché chi le stava intorno stesse bene. Nessuno esigeva o chiedeva trattamenti speciali, eppure lei teneva molto alla felicità altrui e si adoperava in suo favore, anche se raramente lo dava a vedere.
Sotto questo aspetto erano molto simili.
Alzò lo sguardo da terra e si sforzò di guardare la città. Non riuscì a instaurare un legame empatico col panorama, e i suoi occhi, dopo aver indugiato un poco sulla cupola di Santa Maria del Fiore, scivolarono nuovamente verso il basso, fermandosi sulla balaustra della terrazza.
-”Are you thirsty?”-.
Subito scosse la testa, anche se in realtà stava morendo di sete. Lei parve capirlo e, con la coda dell'occhio, la vide alzarsi in piedi.
-”I'm going to buy something to drink. I leave you here, don't move”- si raccomandò.
Prese il portafoglio dalla borsa e lasciò quest'ultima accanto a lui. Quando fu certo che si fosse allontanata abbastanza, si voltò a guardare la sua schiena fare lo slalom tra la marea di turisti ai piedi del David, proprio quella statua che lo aveva spinto a scegliere la Toscana come meta per la sua vacanza.
Prima di girarsi nuovamente, guardò il monumento in bronzo, una replica, e si lasciò scappare un sospiro. Probabilmente, se non avesse voluto così tanto vedere il David, a quell'ora non si sarebbe trovato in quella scomoda situazione.
Anzi, sicuramente.
Ne era certo perché trovare un'altra ragazza come lei era impossibile: il perfetto connubio tra espansività e rispetto, il primo raggio di sole dopo la pioggia, il porto sicuro del triste marinaio. Si era guadagnata la sua fiducia semplicemente vivendo al suo fianco. In una settimana era riuscita a farlo aprire e a farlo parlare delle sue paure. Quando era con lei si sentiva a casa. Lo aveva accettato per quello che era, per la semplice persona che era. Erano alla pari, una ragazza italiana e un ragazzo coreano.
Si passò una mano tra i capelli neri, soffermandola sulla nuca e facendola scivolare sul collo. Posò le mani dietro di sé, reclinando lievemente la testa all'indietro e chiudendo gli occhi. Sentiva il calore intrappolato nella mascherina nera propagarsi sul suo viso, scaldandolo senza però riuscire ad arrivare al petto. La seccante morsa non lo aveva ancora lasciato, e ogni volta che ripensava alla statua del grande poeta italiano si intensificava, prendendolo alla sprovvista e lasciandolo basito.
-”Here I am”- si annunciò la ragazza tornando a sedersi. Gli allungò una bottiglietta d'acqua naturale, aspettando pazientemente che la prendesse.
Le guardò le mani dalle dita affusolate e dalle unghie rosa camelia, le stesse mani che quasi due ore prima si erano disperatamente protese verso la rappresentazione statuaria di un uomo del Medioevo. Lui, una volta, ne aveva stretta una.
Dante Alighieri non avrebbe mai potuto farlo.
Sorrise tra sé e sé e ringraziò la sua padrona di casa con un cenno del capo. Prese la bottiglietta e svitò il tappo bianco con calma, come se quella semplice azione avesse richiesto tutte le sue facoltà psico-motorie. Si aspettò che l'acqua fresca avrebbe portato via come un torrente le sue insolite sensazioni, ma non lo fece. Deluso, mise la bottiglietta nello zaino nero.
La ragazza dai capelli rossi, dopo qualche attimo di pausa, iniziò a parlare.
Incurvò la schiena in avanti e circondò le ginocchia con le braccia, chiudendo gli occhi e concentrandosi sulla sua voce. Gli piaceva nonostante non fosse delicata e flebile come quella delle sue connazionali. Quando l'aveva sentita per la prima volta parlare in italiano ne era rimasto incantato. Namjoon aveva ragione a sostenere che l'italiano fosse una bellissima lingua musicale. Non sapeva se lei sapesse cantare o meno, ma avrebbe pagato oro per sentirglielo fare. Sarebbe rimasto ore ad ascoltarla.
Dante Alighieri non avrebbe mai potuto farlo.
-”You fell asleep?”- gli disse tirandogli un colpetto al gomito.
Sollevò le palpebre e, finalmente, si decise a guardarla. Le piantò gli occhi addosso, godendo di quella visione che per ore si era precluso. L'aveva vista in tutte le salse: struccata, in pigiama, vestita per un aperitivo, in tuta, in camicia, col rossetto... Eppure non l'aveva mai vista così bella. Gli si strinse il cuore nel ricordare che l'indomani sarebbe stato il loro ultimo giorno insieme.
Dante Alighieri non ne aveva trascorso con lei nemmeno uno.
-”Something's wrong?”- gli chiese lei in un sussurro.
Guardò le sue labbra e chiuse nuovamente gli occhi, espirando rumorosamente. In un lampo avvertì l'impulso di intrecciare le dita coi suoi capelli rossi e di attirarla a sé. Chiuse le mani a pugno e, sotto la mascherina, serrò le labbra.
Sentì i suoi occhi puntati addosso, indagatori e insistenti.
Scosse impercettibilmente la testa e un improvviso moto di rabbia lo pervase. Quegli occhi non dovevano rivolgersi a lui in quel modo; sembravano carichi di preoccupazione e di pena.
Non era così che voleva essere guardato.
Si ricordò del modo in cui quella stupidissima statua, senza muovere un dito, era riuscita ad attirare su di sé tutta la sua attenzione, venendo sommersa da una valanga di amore e ammirazione che non avrebbe mai ricambiato.
-”Cazzo...”- mormorò sorridendo con amarezza.
Dante Alighieri era proprio uno stronzo fortunato, e per questo lo invidiava con tutto se stesso.










ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti!
Stamattina sono andata dal dentista per rimuovere un dente del giudizio; l'operazione non è stata una passeggiata e al momento mi trovo imbottita di antidolorifici e antibiotico. Per farla breve, sono un po' rincoglionita e vi chiedo perciò scusa in anticipo se scriverò (sia come concetti che come typo) cose senza senso ><
Signori miei, parliamoci chiaro: questo capitolo, così come i due precedenti, costituiscono le idee da cui è partita tutta la storia. Ho immaginato Yoongi in Italia, a Firenze, davanti alla statua di Dante provare invidia e gelosia e arrabbiarsi molto per questo; da questa scena ho sviluppato la storia e creato il personaggio di Delia. Non vedevo l'ora di scrivere questa parte da una vita, giuro :')
Come avrete notato, Delia non viene mai nominata: quando Suga si riferisce a lei, ricorre semplicemente al pronome femminile. Perché? Ho voluto richiamare uno dei capitoli precedenti in cui, se ricordate, è stato spiegato che Yoongi non ha mai chiamato Delia per nome e si è sempre rivolta a lei, dentro di lui, con altri appellativi per paura di affezionarsi troppo. Essendo questo capitolo un tuffo nei suoi pensieri, mi è sembrata una buona scelta quella di non nominare mai la sua padrona di casa :>
Ed è qui che finalmente viene più o meno spiegato il titolo della storia ;)
Mamma mia, ne hanno fatta di strada Delia e Yoongi prima di arrivare fino a qui!
Grazie a tutti per il sostegno e le recensioni: siete meravigliosi <3
Ci vediamo al prossimo capitolo, il primo della domenica! ^^

 

 

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Capitolo 30
*** Domenica - Ultimo giorno ***


Quando l'indomani mi svegliai e mi resi conto di che giorno fosse, desiderai non aver mai aperto gli occhi.
Stetti una mezz'ora buona sotto le coperte a fissare la plafoniera, con le labbra serrate e il cuore che mi batteva all'impazzata nel petto. Nella mia mente aleggiava un solo pensiero; girava in tondo, lento e triste: “Il mio ultimo giorno con Yoongi”. Era la prima volta che io, perfetta e professionale padrona di casa, mi ritrovavo a provare qualcosa per uno dei miei ospiti. Nonostante il pulsante per le emergenze fosse stato premuto, i miei sentimenti per Yoongi erano alquanto duri a morire; ciò non fece altro che peggiorare la situazione.
Non avevo piani per la giornata, non avevo preparato niente: volevo che fosse il mio ospite a dirmi come preferisse trascorrere le ventiquattro ore che gli erano rimaste.
Ci incontrammo intorno alle nove del mattino in cucina, io ai fornelli e lui al tavolo. Il caffè era diventata una routine anche per Yoongi, per cui non mi peritai a prepararlo per due. Diedi le spalle al piano cottura e mi ci appoggiai con la schiena. Yoongi teneva lo sguardo incollato al cellulare, digitando lentamente qualcosa sulla tastiera virtuale. I suoi occhi, ancora assonnati, erano più sottili del solito. Sorrisi tra me e me dopo averlo paragonato a un gatto paffuto, ma la mia lieve allegria scemò rapidamente quando mi ricordai che presto non sarei più stata in grado di vedere quell'esilarante felino.
-”What do you want to do?”- gli domandai con un filo di voce.
Appoggiò il cellulare sul tavolo e incrociò le dita sulla pancia, continuando a non guardarmi. Fece spallucce, protendendo le labbra in avanti.
-”You... You can study”- borbottò.
-”What do you mean?”-.
Mi disse di non voler uscire di casa. Nel corso della settimana aveva raccolto un sacco di idee e voleva provare a buttare giù qualcosa. Gli risposi che per me non c'erano problemi ma che anzi, ero ben contenta di poter rimettermi a studiare.
Mentivo.
Mi sarebbe piaciuto tantissimo fare con lui un ultimo giro della città, ma decisi comunque di rispettare la sua decisione; del resto, l'ospite, come il cliente, ha sempre ragione.
Dopo colazione assecondai il suo volere e lo lasciai in cucina, tornando in camera mia con l'umore a terra. I libri sulla scrivania, non più toccati da ormai una settimana, avevano sulle copertine un leggerissimo strato di polvere. Ne presi uno in mano e iniziai a sfogliarlo distrattamente, fino ad arrivare a una pagina in particolare, segnata da un post-it giallo ripiegato in due: era il segno che lunedì avevo lasciato poco prima di uscire di casa per andare a recuperare Yoongi.
Che vita del cazzo”, pensai lanciando il libro sul letto.
Guardai il mio riflesso allo specchio vicino alla finestra e mi sorpresi non poco della mia espressione affranta da cane bastonato.
Davvero mi stavo facendo mille paranoie per una persona conosciuta da una settimana? Dov'era finita la Delia combattiva, ligia al dovere e sempre con lo sguardo fisso sul proprio obiettivo?
Mi schiaffeggiai con foga le guance, cercando di riportarmi coi piedi per terra e ricordandomi che la sessione estiva si stava avvicinando sempre più. Mi voltai di scatto, recuperai il libro e mi sedetti alla scrivania. Aprii l'astuccio, presi matita e gomma e feci un respiro profondo.
Ultimo giorno o no, qui c'è da studiare”.
Controllai l'ora sul cellulare e decisi che non mi sarei alzata da quella scrivania prima delle undici. Dovevo trovare il modo di rimettermi sui binari giusti, di ricordarmi che la mia vita era a Pisa e non Dio solo sa dove insieme a uno strambo coreano. Per me la carriera universitaria e la conseguente laurea erano tutto. Il mio futuro dipendeva dai miei esami.
Questo era ciò che mia madre mi aveva sempre detto.
Attivai il timer sul cellulare e lo posai vicino all'astuccio, pronta a una delle mie dure sessioni di studio.
La vecchia Delia è tornata”.


 

Bussai alla porta della cucina e un debolissimo “Come in” mi invitò a entrare. Mi misi la sigaretta dietro l'orecchio e feci capolino dalla porta, sorridendo a Yoongi e indicandogli con l'indice il balcone. Mi riservò una rapidissima occhiata e annuì, tornando poi a fissare il monitor del computer. Si sistemò gli occhiali sul naso e prese a borbottare qualcosa tra sé e sé: probabilmente stava ripetendo qualcosa.
Attraversai la cucina, presi il posacenere dal tavolo e uscii in terrazzo, accostando la portafinestra alle mie spalle. Rimasi a fissarla per qualche secondo, sapendo benissimo che, nonostante la mia accortezza, il fumo sarebbe comunque riuscito a entrare.
-”Yoongi, I close the door. Open it when I knock, okay?”- gli dissi aprendo un breve spiraglio.
La sua testa si mosse su e giù, confermando di aver capito.
Potresti anche guardarmi, disgraziato”, pensai seccata chiudendomi sul terrazzo e dando le spalle alla portafinestra.
Appoggiai il posacenere sulla ringhiera, mi infilai la sigaretta in bocca e frugai nella tasca dei pantaloni in cerca di un accendino. Non trovandolo, mi chinai e rovistai intorno ai vasi pieni di terriccio; sapevo che quella simpaticona di Azzurra aveva il brutto vizio di nascondere degli accendini tra i vasi per farmi delle sorprese.
-”E' come avere un calendario dell'Avvento tutto l'anno!”- mi aveva spiegato una volta.
La portafinestra si aprì e avvertii la presenza di Yoongi alle mie spalle. Scattai in piedi, spiaccicando la schiena contro la ringhiera e protendendomi un poco all'indietro. Il mio terrazzo era molto piccolo, a stento ci stavano tre persone l'una accanto all'altra, e, per quanto riguarda la profondità, aveva una capienza veramente ridotta.
-”Y-Yes?”- balbettai con la sigaretta che saltellava sulle mie labbra.
Notai che Yoongi teneva una mano in tasca, come a voler nascondere qualcosa. Vide che gli stavo fissando i pantaloni e fece un breve colpo di tosse per riguadagnare la mia attenzione. Spostai gli occhi sul suo volto e alzai un sopracciglio, non capendo cosa stesse succedendo. Yoongi non disse nulla. Allungò la mano visibile verso il mio viso e, lentamente, mi sfilò la sigaretta dalle labbra. Immediatamente mi porse un lollipop e mi fece un mezzo sorriso.
Mi sentii avvampare.
Non riuscii a ribattere. Solitamente mi arrabbiavo come una bestia quando qualcuno si permetteva di rubarmi una delle mie sigarette, ma in quel momento tutto quello che riuscii a fare fu accettare silenziosamente il lecca-lecca e fissare la schiena di Yoongi che tornava a sedersi al tavolo in cucina, portando con sé la mia risolutezza, la mia testardaggine e la mia sigaretta.
Non scherzo quando dico che da quella volta non fumai più.


 

La nostra ultima cena fu esilarante.
Nel pomeriggio feci un rapido salto al supermercato e comprai di tutto, non sapendo bene cosa cucinare. Yoongi mi aiutò a disfare i sacchi della spesa e, dopo aver passato in rassegna i miei acquisti, affermò con una punta di orgoglio di poter cucinare qualcosa che potesse di gran lunga superare la cucina italiana. Accettai la sfida senza pensarci due volte, iniziando così quello che visto dall'esterno sembrava un duello di Masterchef.
Non avevo idea che il mio ospite sapesse cucinare; nella settimana trascorsa insieme non lo avevo mai visto con un coltello in mano. Rimasi molto colpita dalle sue abilità. Notò le mie occhiate ammirate e mi spiegò che sua madre aveva un ristorante e che un suo caro amico, un membro della sua band, amava cucinare. Non mi feci scoraggiare dai suoi illustri mentori e gli feci notare che, dal momento che vivevo da sola da ormai tre anni, avevo imparato tutti i trucchi della cucina italiana.
-”Well, good luck”- mi rispose stringendosi nelle spalle.
Trafficammo in cucina insieme, l'uno accanto all'altra, scambiandoci i posti, rubandoci le padelle, minacciandoci coi coltelli e ridendo dei rispettivi sbagli.
Nonostante stessi maneggiando delle potenziali armi del delitto, mi sentivo leggera.
Presentammo le nostre creazioni insieme, quasi nello stesso momento. Avevamo stabilito che ognuno avrebbe cenato col piatto preparato dall'altro e che, alla fine, avremmo dato dei giudizi imparziali. Ci sedemmo a tavola con ancora i grembiuli addosso, il mio rosa confetto e quello di Yoongi bianco con una scritta ricamata in rosso, “Chef terrible”, un regalo di mia zia. Ci scambiammo i piatti in religioso silenzio, già entrando nei panni dei giudici più severi del mondo. Guardai Yoongi di sottecchi e scoppiai a ridere quando lo vidi sgranare gli occhi di fronte alla mia creazione.
-”What?”- esclamò guardando prima il piatto e poi me.
-”Hope you like it!”- cinguettai.
-”Ladies first”- ribatté posando il cucchiaio e invitandomi ad assaggiare la mia cena.
Non capii il nome della pietanza preparatami da Yoongi (nonostante me l'avesse ripetuto più volte), ma, da quello che avevo potuto vedere e assaggiare, si trattava di straccetti di manzo in salsa piccante accompagnati da varie verdure saltate. Malgrado gli ingredienti italiani, era riuscito a conferire al piatto un sapore orientale. Mi piacque molto e lo mangiai tutto di buon grado. Yoongi, invece, rimase molto colpito dalla mia acquacotta. Mi disse che l'aspetto non era un granché e che non rendeva giustizia al sapore. Sorrisi in silenzio mentre lo guardavo mangiare la minestra ed esibirsi nei più disparati apprezzamenti. Non glielo dissi, ma avevo scelto di cucinare l'acquacotta perché era un piatto tipico toscano che, da un certo punto di vista, mi ricordava lui: anonimo e incomprensibile all'esterno, buono e saporito una volta assaggiato.
Terminata la cena e conclusa la sfida con un meritatissimo pareggio, pulimmo la cucina; dopodiché, con una certa dose di tristezza che iniziava a salirmi in corpo, lo aiutai a preparare la valigia. Nel pomeriggio Yoongi aveva controllato i dettagli del volo; seppi così che l'indomani l'aereo sarebbe partito alle 6:40.
Orario tremendo”, pensai mentre, seduta sul divano-letto, guardavo Yoongi svuotare l'armadio di tessuto.
Feci un rapido calcolo mentale e decisi di impostare la sveglia per le quattro del mattino. A quell'ora le strade della città erano praticamente vuote e, da quel che avevo capito, Yoongi aveva già fatto il check-in online. Dalla mia camera, con la sveglia in mano, comunicai al mio ospite la decisione sull'orario e lui annuì, concordando con me.
Tornai in salotto e mi accasciai sul divano-letto. Ancora non riuscivo a credere che dopo quella sera non avrei più visto Yoongi. Lo seguii con lo sguardo per tutta la casa, cercando, per quanto mi era possibile, di memorizzare il suo volto, i suoi lineamenti, i suoi movimenti e le sue espressioni.
Quando chiuse la valigia, sentii il mio cuore dichiarare forfait.
-”Done”- disse rialzandosi in piedi.
-”Yes...”- sospirai.
Feci per spostarmi dal divano-letto e andarmene in camera a prendere a testate il cuscino quando vidi il suo portatile sul comodino. Una stupidissima e balzana idea mi balenò in testa, cadutami addosso dal ventisettesimo piano di un grattacielo. Il mio sguardo emozionato ed eccitato scattò su Yoongi, spaventandolo.
-”Would you like to watch something together?”- gli domandai a bruciapelo.
I suoi occhi si spalancarono e le sue labbra si socchiusero. Ero pronta a una risposta negativa e, dentro di me, già lo giustificavo. Boccheggiò, come non era solito fare da tempo, e alla fine, con mia enorme sorpresa, annuì. Sembrava si fosse tolto un peso dal petto. Mi sorrise, un sorriso che non credevo un tipo tenebroso come lui fosse in grado di fare, e prese il computer, sedendosi poi accanto a me. Alzò lo schermo e accese il portatile. Non avevo idea di dove si potesse trovare un film italiano sottotitolato in coreano o uno coreano coi sottotitoli italiani; in realtà mi andava benissimo anche l'inglese ma, sotto sotto, un po' ci tenevo a fargli vedere qualcosa di italiano. Dopo un'estenuante ricerca e un acceso dibattito, ci accordammo per vedere una commedia coreana sottotitolata in italiano. Mi meravigliai nel constatare che il web fosse pieno di forum che si adoperavano per fornire i sottotitoli ai film del mondo asiatico.
-”Ready?”- mi chiese Yoongi col portatile sulle ginocchia.
Annuii e lui fece partire il film, mettendo il player a tutto schermo. Incrociai le braccia al petto e mi avvicinai a Yoongi, fino a sfiorare la sua spalla con la mia. Sapevo quanto fosse contrario al contatto fisico, per cui prestai molta attenzione a come mi muovevo sul divano; inoltre, da come guardava attentamente lo schermo, sembrava particolarmente preso dal film.
Dopo una mezz'oretta abbandonai tutti i buoni propositi e decisi di trovare una posizione comoda. La schiena aveva iniziato a farmi male e il collo stava per irrigidirsi irreperibilmente. Portai i piedi sul divano e mi rannicchiai contro Yoongi, posando la fronte contro la sua spalla.
-”What are you doing?”- disse subito.
-”I'm sorry, but...”- iniziai.
Non riuscii a finire di parlare perché il mio ospite fece una cosa che mai mi sarei aspettata: sentii la sua spalla scivolarmi sotto al mento e in un attimo mi ritrovai molto vicina a lui, con la testa appoggiata contro il suo collo e avvolta dal suo profumo. Sorrisi come una scema e borbottai un timidissimo e impacciato “Thanks”. Non riuscii a vedere la faccia di Yoongi ma avrei dato via tutti i miei risparmi per sapere che espressione avesse in quel momento.
Rannicchiata contro Yoongi, tirai fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare e, inconsciamente, presi a rigirarmelo tra le mani mentre guardavo con poco trasporto il film. Non capivo un accidente e i sottotitoli erano stati fatti con poca cura; si vedeva lontano un miglio che erano stati tradotti dall'inglese con un traduttore automatico, senza alcuna cura per la sintassi.
Trovandomi finalmente in una posizione comoda, ogni secondo che passava le palpebre mi si facevano sempre più pesanti. Mi ero ripromessa di non addormentarmi, di restare sveglia il più possibile e di fare compagnia a Yoongi. Sorrisi debolmente, constatando che in realtà non ci stavo provando per lui ma per me stessa.
Quella era la nostra ultima notte insieme.
Sentii la testa pesante come un masso e le palpebre si abbassarono come delle saracinesche sui miei occhi stanchi e lucidi. In quello stato di triste dormiveglia, mi portai le mani al petto e strinsi con affetto il mio cellulare, la piccola scatola magica che avrebbe per sempre custodito i miei ricordi con Yoongi.










ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti, amici lettori!
Contrariamente al solito, ho deciso di raccontare la domenica in soli due capitoli, uno per ogni pov. Come avete letto, si tratta di una giornata calma, senza imprevisti e avventure; è il giorno prima della partenza, le ultime ventiquattro ore che Delia e Yoongi passeranno insieme. Siete tristi? Avete ansia per il finale? Mi domando che tipo di conclusione vi stiate aspettando :>
Non credo ci sia bisogno di spiegarlo (anche se verrà ampiamente fatto nel capitolo successivo), ma, ovviamente, lo strano gesto compiuto da Suga sul terrazzo è un chiaro riferimento a una certa cosetta che immagino voi conosciate bene >:) Dato che Delia era una fumatrice, non sono riuscita a resistere alla tentazione di inserirla :D
Ciao a tutti e alla prossima! ^^

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Capitolo 31
*** Domenica - Ultimo giorno (S) ***


Le disse che voleva trascorrere l'ultimo giorno in casa perché non aveva le forze di uscire e perché, in realtà, si era dato un compito ben preciso: immortalare per sempre nella sua retina le immagini di vita quotidiana che per una settimana gli erano passate davanti agli occhi. Non le avrebbe più riviste, lo sapeva bene. La piccola cucina di Delia, il balconcino troppo piccolo per contenere tre persone, il bagno col sanitario tipicamente italiano, il salotto che si era trasformato nella sua camera temporanea, l'orribile armadio di tessuto, lo sgabuzzino stracolmo di scatolette di tonno e di barattoli di pomodori... Anche quei luoghi tranquilli presto se ne sarebbero andati.
Sullo schermo del portatile spiccava la pagina bianca di un editor di testo. La barra verticale, sottile come un filo d'erba, manifestava la sua presenza a intermittenza, incitando Suga a scrivere qualcosa. Non era proprio quello il motivo ufficiale per cui aveva mandato via Delia ed era rimasto da solo in cucina?
Il taccuino azzurro era aperto sulle sue ginocchia. Suga ne sfogliò distrattamente le pagine, soffermandosi ogni tanto a leggere qualche frase o a guardare senza divertimento i suoi orribili scarabocchi. L'ultima pagina scritta conteneva una serie di ghirigori senza senso: il suo teatrino, la farsa che aveva messo in atto per evitare di incrociare gli occhi di Delia sotto la statua di Dante Alighieri. La penna, che inizialmente si era contorta a pochi centimetri dal foglio, aveva poi deciso di piombare con violenza sul taccuino e di sfregiarlo con irriverenza e menefreghismo, esattamente come Delia aveva fatto con Suga.
Preferire un uomo morto a lui? Com'era possibile?
Più Suga ci pensava e più sentiva salire dentro di lui un orribile sentimento di gelosia e di invidia.
Che merda”, pensò abbandonandosi sullo schienale della sedia e prendendo in mano il cellulare. Doveva distrarsi, trovare il modo di togliersi dalla mente il ricordo dello sguardo adorante della ragazza rivolto alla persona sbagliata.

 

- Domani prendo l'aereo.

 

Jungkook rispose qualche minuto dopo dicendo che lo sapevano e che Namjoon aveva già guardato l'orario d'atterraggio previsto. Suga ignorò le risposte degli altri ragazzi perché i suoi occhi vennero catturati dalla frase scritta da se stesso, quel triste e lapidario “Domani prendo l'aereo”. Nonostante lo sapesse perfettamente, vederlo scritto gli aveva fatto un altro effetto, uno schifosissimo effetto. Alzò la testa e guardò istintivamente la porta della cucina, sperando con tutto se stesso di vedere Delia fare un'entrata trionfale, prenderlo per il polso e dirgli che lo avrebbe trascinato fuori casa perché c'erano ancora tantissimi posti che voleva fargli vedere.
L'avrebbe seguita senza fiatare.
Si grattò la nuca, arricciò il naso e posò il cellulare sul tavolo. Lo rigirò, in modo da nascondere lo schermo, e tornò a concentrarsi sulla pagina bianca, rimasta fedelmente in sua attesa. La barra verticale continuava a lampeggiare con silenziosa pazienza. Prese il quadernino azzurro, tornò alla prima pagina e, dopo un breve e sofferto sospiro, si spronò a dare un senso ai suoi appunti sparsi e visionari.
Accavallò le gambe e nel farlo sentì un rumore secco. Aggrottò le sopracciglia, stupito dall'insolito suono. Guardò ai piedi della sedia e gli si illuminò il viso quando si accorse cosa fosse appena caduto dalle sue tasche. Allungò la mano e raccolse il lollipop rosa incartato in una carinissima carta trasparente e glitterata. Lo aveva visto in un negozio di caramelle a Firenze e non aveva resistito alla tentazione di comprarlo insieme ad altri dolciumi che avrebbe cercato di portare con sé in Sud Corea. Non era sicuro di poterli trasportare nei bagagli, ma ci avrebbe provato lo stesso.
Si rigirò il lollipop rosa tra le dita, appoggiando il mento sul palmo della mano. Lo aveva preso perché sapeva che a Delia piacevano il rosa e le cose brillantinate. Non aveva avuto modo di darglielo perché la sconvolgente rivelazione (e la conseguente accettazione) dei sentimenti che provava per lei lo aveva sconvolto; aveva addirittura pensato di buttarlo via. Se lo rinfilò in tasca e si rimise al lavoro, aspettando il momento giusto per darglielo.
L'occasione perfetta si presentò circa un'ora dopo, quando Suga sentì bussare alla porta.
-”Come in”- disse piano col cuore in gola.
La testa rossa di Delia fece capolino dalla porta. Suga vide una sigaretta spiccare sul suo orecchio, portata a mo' di matita di un architetto. Gli indicò la portafinestra della cucina e Suga intuì le sue intenzioni: voleva andare a fumare. Distolse rapidamente gli occhi da lei e li ripuntò sul computer, annuendo. Fece un respiro profondo e serrò le labbra, facendo fuoriuscire l'aria ansiosa dalle narici.
-”Forse dovrei...”- mormorò pensoso.
Delia gli passò accanto, prese il posacenere verde dal tavolo e uscì sul terrazzo, accostando la portafinestra. Dopo pochissimi secondi ci ripensò e aprì un piccolo spiraglio, quanto bastava per permettere alla sua voce di raggiungere le orecchie di Suga.
-”Yoongi, I close the door. Open it when I knock, okay?”-.
Suga annuì in silenzio, senza voltarsi a guardare la fonte della tenera voce. La sua mano destra lasciò la tastiera e scivolò lentamente sulla tasca dei pantaloni, tastando con timore la silhouette del lecca-lecca rotondo. Delia era in terrazzo e non era occupata: quale migliore occasione per darle il suo stupido regalo?
Ma voleva davvero farlo?
Cosa avrebbe pensato la sua padrona di casa nel vedersi regalare un insignificante dolciume?
Proprio perché è un semplice dolce non dovrei preoccuparmi”, si spronò battendo una mano sul tavolo e scattando in
piedi come una molla.

Si avvicinò alla portafinestra, mise una mano sulla maniglia e guardò incuriosito Delia china sui vasi del terrazzo. Non capiva cosa stesse facendo. Rovistava furiosamente tra un vaso e l'altro, col viso corrucciato e la sigaretta spenta tra le labbra. Suga guardò la mensola della cucina alla sua sinistra e vide che l'accendino che era solito accompagnare il posacenere si trovava lì, solo e abbandonato; capì perciò la causa dell'agitazione della sua padrona di casa.
Le darò il mio lollipop, così, per una volta, invece di fumare si...”.
Gli si gelò istantaneamente il sangue nelle vene quando si rese conto dell'idea che aveva appena formulato. Si portò una mano alla fronte e le sue labbra si incurvarono in un sorriso incredulo. Non poteva crederci, aveva davvero pensato di trasportare nella realtà la sua scena dell'Highlight Reel? Nel video una ragazza gli rubava l'accendino e barattava la sua sigaretta per un lecca-lecca giallo, il tutto per spronarlo a smettere di fumare.
Ma che cazzo...!”, pensò scuotendo la testa.
Aprì la portafinestra e fece irruzione nel terrazzo, rapido e violento, come a voler lasciare dietro di sé le sue scomode riflessioni. Era stufo di fasciarsi costantemente la testa, di pensare e ragionare su ogni minima cosa che gli accadeva. Delia sobbalzò e si spiaccicò contro la ringhiera. Suga vide con la coda dell'occhio il posacenere posato sulla ringhiera traballare. Guardò Delia, i suoi occhi occidentali spalancati dalla sorpresa e le labbra rosee strette attorno alla sigaretta dal filtro giallastro.
-”Y-Yes?”-.
Suga si rigirò il lollipop nella mano, ancora nascosto dentro la tasca. Delia abbassò lo sguardo e guardò proprio lì. Le sue sopracciglia si aggrottarono: sicuramente si stava chiedendo cosa tenesse in tasca. Richiamò l'attenzione della ragazza con un piccolo colpo di tosse.
Non si torna più indietro”, si disse.
Allungò una mano verso il viso di Delia e, avvolto da un innaturale silenzio, le sfilò con cura la sigaretta dalle labbra. Sentiva il cuore battergli a mille ed era sicuro che di lì a poco sarebbe scoppiato a riderle in faccia dalla tensione. Delia era confusa, non capiva cosa stesse succedendo: i suoi occhi cercavano disperati una risposta da Suga. Finalmente le porse il lollipop rosa e le sorrise timidamente.
Le diede le spalle subito, rientrando in cucina e tornando a sedersi davanti al portatile. Posò la sigaretta accanto al cellulare e si coprì gli occhi col palmo di una mano.
Era diventato rosso.


 

Aveva capito bene?
Delia gli aveva chiesto di guardare un film insieme?
Guardò la ragazza negli occhi e non vide alcuna traccia di esitazione o di ripensamento in essi: era seria, seria fino al midollo. Suga si sentì una fitta allo stomaco, uno sciame di farfalle che battevano le ali contro le pareti. Voleva dirle di sì, che lo avrebbe fatto più che volentieri, ma una parte di lui lo stava supplicando di rifiutare la proposta. Guardare con lei un film, sedersi vicini sul divano, accorciare le distanze... Poteva permetterselo? E se non fosse riuscito a tornare indietro? Se, in futuro, ricordando quella sera avrebbe provato solo un'infinita tristezza?
Gli occhi verdastri di Delia lo trapassarono da parte a parte, supplicandolo inconsciamente di dirle di sì.
Suga boccheggiò, preso in contropiede e ancora profondamente combattuto. Alla fine si ricordò del buono proposito stabilito poco prima di dare a Delia il lecca-lecca e, lentamente, annuì. Le sorrise, prima debolmente e poi con più energia.
A un tratto si sentì bene.
Prese al volo il computer e si sedette sul divano accanto a Delia. Non riusciva a credere che un'attività così banale, se fatta insieme a lei, potesse renderlo così felice. Impiegarono un po' a scegliere che film vedere e, soprattutto, in quale lingua. Raggiunsero un accordo su una commedia coreana coi sottotitoli in italiano, trovata per pura fortuna su un forum gestito da ragazze che si occupavano di aggiungere i sottotitoli ai drama e ai film che andavano per la maggiore in Asia.
-”Ready?”- le chiese una volta messo il player dello streaming a tutto schermo.
Delia annuì e Suga fece partire il film. Incrociò le braccia al petto e appoggiò la schiena contro il divano. Tenne il portatile perfettamente in equilibrio sulle proprie ginocchia, scegliendo una posizione comoda e non muovendosi più per paura di far cadere il computer. Delia era accanto a lui, più o meno nella sua stessa posizione. Si sforzò e fece il possibile per non voltarsi a guardarla, ma il desiderio di vedere la sua espressione di fronte alla mediocre recitazione di quel film era piuttosto forte.
Era trascorsa circa mezz'ora dall'inizio del film quando Delia si mosse: portò i piedi sul divano e si rannicchiò contro Suga, posando la fronte contro la sua spalla. Suga si irrigidì, sorpreso dallo strano contatto.
-”What are you doing?”- le chiese subito, in un riflesso incondizionato. Era solito saltare su tutte le volte che qualcuno invadeva senza preavviso il suo spazio personale.
Si pentì subito delle dure parole che le aveva rivolto; in fondo non aveva fatto niente di male. Probabilmente stava solamente cercando una posizione più comoda per guardare il film. Sentì Delia farfugliare qualcosa ma non ci prestò attenzione. Fece scivolare la spalla sotto al mento di lei e la attirò cortesemente a sé. Inspirò a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli e serrò la mascella. Puntò gli occhi nel monitor del computer e decise che da quel momento fino alla fine del film non avrebbe incrociato lo sguardo della sua padrona di casa, per nessun motivo al mondo. Sapeva di aver appena compiuto un gesto azzardato, per niente da lui e compromettente, e non se la sentiva di incontrare gli occhi sorpresi e forse contrariati di Delia. Aveva forse invaso anche il suo di spazio vitale?
-”Thanks”- disse lei invece.
I dubbi di Suga, grazie a una banalissima parola, vennero spazzati via.
Si godette il resto del film con uno stupidissimo sorriso sulle labbra. Le scene scorrevano davanti a lui e gli attori piangevano, sbuffavano e ridevano. La storia non era niente male, ma la mente di Suga era distante, vagava per conto suo. Avere Delia così vicina gli faceva battere il cuore come un adolescente.
Mancavano dieci minuti alla fine del film quando Suga si accorse dal respiro lento e regolare di Delia che la ragazza si era addormentata. Le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé con tenerezza. Vide che teneva stretto a sé il proprio cellulare, come una bambina avvinghiata a un orsetto di peluche. Suga ricordava bene le innumerevoli foto che la ragazza gli aveva scattato a tradimento e i selfie che avevano fatto insieme, prima con riluttanza e quasi fastidio, poi con immensa gioia e divertimento. Pensandoci, non aveva mai avuto modo di vedere quelle immagini; non era mai riuscito a chiedere a Delia di fargliele vedere, più per vergogna e timidezza che per altro.
Spero non le dispiaccia se ci do' un'occhiata”, pensò mentre le sfilava il telefono dalla debole gabbia formata dalle sua dita intrecciate.
Le mani di Delia, persa la presa sull'oggetto, si contrassero e subito dopo si rilassarono. Suga la guardò col fiato sospeso: se si fosse svegliata non avrebbe saputo spiegarle perché le avesse preso il cellulare. Il suo timore non si realizzò e il giovane idol, dopo aver sospirato di sollievo, sbloccò lo schermo del dispositivo. Aprì la galleria, rappresentata da un'icona raffigurante un fiore giallo, e vide che Delia aveva raggruppato tutte le loro foto in un album chiamato “Yoongi”.
Si ritrovò a sorridere scorrendo in silenzio una foto dopo l'altra. Riconobbe tutti i luoghi e ricordò ogni momento. C'erano molti scatti rubati, foto mosse e selfie fatti a tradimento. Delia era un raggio di sole, il sorriso non aveva mai lasciato le sue labbra.
Più proseguiva nell'analisi delle foto e più la tristezza compensava e raggiungeva l'alto tasso di caldo affetto che Suga stava provando.
In una delle ultime foto scattate insieme i loro volti erano vicini ed entrambi stavano sorridendo. I capelli rossi di Delia erano lievemente mossi dal vento e Suga era senza mascherina e senza berretto. Per un attimo pensò che chiunque avesse avuto la possibilità di vedere quel selfie, avrebbe sicuramente pensato che i due ragazzi immortalati stessero insieme.
E' proprio il tipo di foto che rovinerebbe la mia carriera”, pensò sghignazzando e beffeggiandosi. “Menomale che lei non sa chi sono!”.
La silenziosa risata morì sulle sue labbra, uccisa repentinamente da un nome che si era prepotentemente fatto strada nei suoi pensieri: Azzurra.
Azzurra era un'ARMY, e in quanto tale sapeva perfettamente che il nome Min Yoongi poteva significare una cosa sola. Quando Delia avrebbe parlato all'amica del suo ospite appena partito per il Sud Corea e le avrebbe fatto vedere quelle foto, Azzurra non avrebbe impiegato più di cinque secondi a fare due più due e a riconoscerlo. Si sarebbe fomentata, esaltata a livelli fuori dal comune, e avrebbe pregato Delia di passarle le foto; poi le avrebbe caricate online e si sarebbe vantata con gli ARMY di tutto il mondo scrivendo cose del tipo “La mia migliore amica ha trascorso una settimana romantica con Min Yoongi! Ecco le prove!”, e a quel punto lui sarebbe stato nei guai.
In grossi, enormi cazzutissimi guai.
Delia non poteva saperlo, ma il contenuto del suo smartphone costituiva per Suga un'arma di distruzione di massa. Come se le foto non fossero già abbastanza, la ragazza era in possesso anche del suo numero di cellulare.
Suga sbiancò. Il catastrofico scenario che aveva immaginato lo portò a un passo dallo svenimento. Si sentì mancare e per un attimo temette di dare di stomaco. Chiuse gli occhi e cercò di regolare il respiro. Il cuore gli batteva nel petto all'impazzata, come se volesse sfondare la gabbia toracica e darsela a gambe.
Delia era accoccolata contro il suo petto e stava dormendo profondamente: se doveva fare qualcosa, quello era il momento giusto. Non c'erano molte alternative, Suga lo sapeva bene. In realtà non ce n'erano affatto: la soluzione era una sola. Allungò la mano sul comodino alla sua destra e prese il proprio cellulare. Con una maschera cerea e apatica calata sul volto, Suga attivò la connessione Bluetooth di entrambi i dispositivi che teneva in mano e iniziò a trasferire tutte le immagini dal cellulare di Delia al suo. L'operazione richiese pochi minuti e, al suo termine, Suga selezionò la cartella “Yoongi”. Aiutandosi col traduttore online, premette il pulsante “Elimina”.
La sua maschera si incrinò.
Continuando ad avvalersi del traduttore, cercò il suo numero nella rubrica di Delia e lo cancellò, ripetendo la stessa operazione sul registro delle chiamate e dei messaggi. Spulciò un po' più in profondità il dispositivo alla ricerca di foto, video, qualunque sua traccia rimasta.
Vuoto. Era pulito.
Delia non doveva accorgersi di quelle violente operazioni, non in sua presenza. Finché Suga si trovava ancora sul suolo italiano, la sua padrona di casa doveva credere che il suo cellulare non avesse perso alcun dato, che nessuno lo avesse manomesso. La batteria del Samsung oro rosa segnava fortunatamente il 15%. Suga mise la luminosità al massimo, attivò la connessione dati e la torcia. In pochi minuti la percentuale scese sotto il 10% e Suga, dopo aver riportato le varie impostazioni alla normalità, spense il dispositivo. Se la mattina dopo Delia avesse provato ad accenderlo, non ci sarebbe riuscita.
Posò i due cellulari sul divano e, con occhi vitrei, fissò lo schermo del computer che da qualche minuto mostrava i titoli di coda del film.
La sua maschera si infranse.
Chiuse gli occhi brucianti e con la mano destra accarezzò i capelli rossastri dell'ignara padrona di casa. La baciò sulla fronte, col suo stramaledetto orgoglio che lottava contro le lacrime.
-”Mi dispiace”- mormorò, le labbra tristemente premute contro la bianca pelle di Delia.

 

 







 

ANGOLO AUTRICE
Ho finito di scrivere questo capitolo ieri sera. Non l'ho caricato subito perché mi sembrava troppo tardi per un aggiornamento e perché mi sono commossa nel comporre l'ultima parte. Non è la prima volta che mi viene da piangere scrivendo/leggendo una scena fatta da me, sarò sincera ><
Aspettavo questo momento da tantissimo tempo. Vi ho sempre detto che sia le foto che Azzurra avrebbero avuto un ruolo importante anche se non da protagonisti: mi stavo riferendo proprio a questo capitolo. Azzurra, vista di persona una volta sola, solamente con la sua presenza è stata una grande forza motrice.
Ho omesso dal racconto di Yoongi la parte sulla cena perché ho voluto dare spazio alla sua "violazione della privacy giustificata", ovvero alla cancellazione della sua esistenza dal cellulare di Delia. Se io che ne sono l'autrice ho il cuoricino a pezzi, non oso immaginare voi lettori come stiate. Vi aspettavate che Yoongi avrebbe fatto una cosa del genere? Sono curiosa dei vostri pareri :)
Grazie a tutti e al prossimo capitolo (che spero di pubblicare presto!) ^^

 

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Capitolo 32
*** Addio ***


Uscimmo di casa di corsa, io struccata e con indosso le prime cose che i miei occhi assonnati e sconvolti avevano incontrato, Yoongi con la mascherina nera che gli pendeva da un orecchio e il berretto da baseball calato sugli occhi. Scendemmo gli scalini due a due, facendo sbatacchiare la valigia contro il muro. Feci uscire Yoongi per primo e chiusi il portone che dava sulla strada con troppa foga. Sussultai e pregai con tutta me stessa che il rumore non avesse svegliato qualcuno.
-”This way!”- indicai prendendogli dalle mani il borsone a due manici e iniziando a correre verso sinistra.
Eravamo in ritardo? Assolutamente sì.
La sera prima ci eravamo entrambi addormentati sul divano e, trovandosi la sveglia in camera mia, il suo suono fastidioso era arrivato alle nostre orecchie solo alla sua terza chiamata. Ci eravamo svegliati di soprassalto e avevamo iniziato a prepararci rapidamente scambiandoci i turni in bagno a intervalli regolari di due minuti. Ci eravamo trovati costretti a saltare la colazione, eppure allora, mentre correvo disperatamente verso la mia macchina con un arrancante Yoongi alle spalle, il mio stomaco non si ribellò al pasto mancato: soffriva, soffriva terribilmente, ma per un altro motivo.
Aprii la Panda e spalancai la portiera posteriore, lanciando il borsone sui sedili. Purtroppo il bagagliaio era troppo piccolo per quello stramaledetto trolley.
-”Cazzo, Yoongi, sei lento come mia nonna!”- sbottai esasperata in italiano andandogli incontro e appropriandomi del suo bagaglio ingombrante.
Nonostante il peso, riuscii a metterlo sui sedili insieme al borsone senza farmi aiutare dal coreano assonnato e non tanto presente. Mi presi la libertà di dargli un paio di schiaffetti sulle guance per svegliarlo. Yoongi si riprese subito e mi guardò con gli occhi spalancati.
-”Don't sleep”- gli ordinai puntandogli l'indice contro la punta del naso.
Non puoi dormire durante i nostri ultimi momenti insieme!”.
Montai in macchina e strinsi le labbra, avvolgendo il volante con tutte le dita. Avevo lo stomaco sottosopra da quando mi ero svegliata: ero in ansia per il volo e dannatamente triste per l'imminenza partenza di Yoongi. Inserii la chiave nella toppa e misi in moto senza nemmeno aspettare che Yoongi si mettesse la cintura di sicurezza: aveva un aereo da prendere e noi eravamo in ritardo. Per quanto, sotto sotto, desiderassi che perdesse l'aereo, sapevo bene che quel mio pensiero non era per niente professionale e che, perciò, dovevo fare il possibile perché arrivassimo all'aeroporto in tempo.
Le strade erano praticamente vuote e, per fortuna, trovammo tutti i semafori verdi.
-”Odio questo parcheggio”- sibilai a denti stretti mentre prendevo con fastidio il biglietto dalla macchinetta automatica. -”Se mi chiedono più di cinque euro, vado a rompere i coglioni al sindaco”-.
La barra orizzontale si alzò e, con una sgommata degna di “Fast & Furious”, infilai la macchina nel posto più vicino all'ingresso dell'aeroporto. Lanciai una rapida occhiata a Yoongi mentre mi sganciavo la cintura: era bianchissimo. Alzai gli occhi al cielo e non gli dissi nulla; sicuramente non si aspettava che una leggiadra fanciulla come me potesse dare del filo da torcere a Vin Diesel.
Recuperammo i suoi bagagli e corremmo verso le porte automatiche delle Partenze dell'Aeroporto Galileo Galilei di Pisa. Esultai dentro di me quando vidi che agli sportelli per il check-in non c'era nessuno. Presi Yoongi per un polso e lo trascinai con me verso la cordialissima hostess che ci accolse con un sorriso di cortesia che avrebbe fatto invidia alle migliori presentatrici televisive.
-”Buongiorno, abbiamo un bagaglio da mandare in stiva”- le dissi frettolosamente mentre esortavo Yoongi a posare il trolley sul nastro trasportatore.
-”Posso vedere il biglietto?”-.
-”Ticket”- mi rivolsi a Yoongi con la stessa prontezza e freddezza di un chirurgo che chiede il bisturi all'assistente. Passai il biglietto aereo alla donna dai capelli castani e la aiutai a compilare i campi richiesti dal check-in al posto di Yoongi.
-”Perfetto. Il signor Min può dirigersi verso i controlli”- disse l'hostess restituendomi il biglietto e indicando alla sua destra.
La ringraziai, le augurai una buona giornata e riagguantai il mio ospite per un polso, trascinandolo attraverso l'aeroporto fino alla gimcana dei controlli. Mi misi le mani sui fianchi e sospirai, spostandomi in malo modo una ciocca di capelli che, durante la corsa, mi era finita sul viso. Mi tastai le tasche dei pantaloni in cerca del cellulare e mi battei una mano sulla fronte quando mi ricordai di averlo lasciato a casa perché scarico. Guardai Yoongi posare il borsone per terra e lanciarsi occhiate attorno visibilmente agitato. I suoi occhi guizzavano da destra a sinistra, attratti per qualche strano motivo dal pavimento marmorizzato dell'aeroporto. Sorrisi teneramente e gli indicai la mascherina penzolante. Yoongi sussultò e se la sistemò, facendola aderire perfettamente al suo viso.
Tremavo. Il mio corpo era scosso da impercettibili ma costanti tremiti. Nascosi le mani dietro la schiena e intrecciai le dita tra loro, nella vana speranza di riuscire a fermare lo spasmodico moto dei miei arti. Non era rimasto più molto tempo prima della chiusura del gate: Yoongi doveva fare la gimcana, passare i controlli e correre al gate del suo volo. Ce l'avrebbe fatta senza il mio aiuto?
-”You should go. It's late”- constatai cercando di apparire serena e per niente turbata dall'imminente separazione.
Yoongi annuì lentamente.
-”Thank you”- mi ringraziò senza guardarmi mentre si chinava a prendere il borsone nero.
-”No”- scossi la testa buttando giù il groppo che mi si era formato in gola. -”Thank you for being my guest”-.
Gli tesi una mano; quando la strinse, lo sorpresi tirandolo verso di me e abbracciandolo. Avvolsi le mie braccia attorno al suo collo e lo strinsi a me con affetto e tristezza. Sentii il borsone cadere per terra e le mani di Yoongi aggrapparsi alla mia felpa. Chiusi gli occhi e affondai il viso nella sua spalla, inspirando a pieni polmoni il suo profumo. Senza nemmeno accorgermene iniziai a contare; una volta avevo letto che, se un abbraccio durava più di sette secondi, nascondeva un certo sentimento che andava oltre l'amicizia e il semplice affetto.
Uno, due, tre, quattro...”.
-”I'll miss you”- dissi piano.
...Cinque...”.
-”Me too”- rispose dopo un sofferto sospiro.
...Sei...”.
Yoongi si staccò da me poco prima che potessi arrivare al sette. Sbattei le palpebre un paio di volte per ricacciare indietro le lacrime. Misi il borsone in mano a Yoongi e, con una spinta amichevole, lo esortai a darsi una mossa e a mettersi in fila per i controlli. Annuì, mi guardò negli occhi un'ultima volta, fece un breve inchino e mi diede le spalle, allontanandosi da me col suo solito passo pesante e svogliato. Nascosi un sorriso nostalgico dietro il dorso della mano e premetti le labbra contro la mia pelle, soffocando un singhiozzo e arrendendomi alle lacrime contro cui stavo lottando da minuti interi.
Una parte di me, quella stupidamente masochista, voleva restare a guardarlo finché poteva, finché non fosse sparito dietro i controlli, fagocitato dalla folla di passeggeri; un'altra, quella decisamente più sana, mi stava animatamente invitando ad andarmene.
Non lo vedrai mai più!”, diceva la prima.
Hai i suoi contatti e le sue foto!”, ribatteva la seconda. “Non ti azzardare a piangere in pubblico!”.
Non impiegai molto a decidere di dare ascolto alla mia parte sana.
Guardai un'ultima volta la schiena di Yoongi e gli diedi le spalle, fuggendo dall'aeroporto a passo spedito e col cuore distrutto che, nonostante tutto, stava continuando a battere. Una volta entrata in macchina mi ripromisi di mettere subito il cellulare in carica e di inviare a Yoongi un messaggio una ventina d'ore dopo, per sapere se fosse tutto a posto e se fosse arrivato a casa sano e salvo.
Se mi dà il suo indirizzo potrei mandargli qualche pacco ogni tanto”, pensai ridendo e, al tempo stesso, piangendo con la fronte premuta contro il volante.









ANGOLO AUTRICE
Sono sparita dalla circolazione per quasi mese per via delle vacanze di Natale e della sessione invernale (che, purtroppo, è solo all'inizio); in più negli ultimi giorni ho avuto un problemone col computer che però è stato prontamente risolto. Per cui eccomi qui col nuovo capitolo concluso ieri sera in un bagno di lacrime. Lo so, sono un po' patetica a piangere per le mie stesse storie ><
Delia ha cercato di mantenere una certa facciata e si è consolata ricordandosi di avere molte cose di Yoongi sul cellulare. Noi sappiamo che così non è, però >:) Il prossimo capitolo sarà l'addio dal punto di vista di Yoongi, e poi... E poi si vedrà >:)
Scusatemi per l'assenza prolungata!
Grazie a tutti per il sostegno, le letture e le recensioni. Fatemi sapere che "sentori" avete per la fine di questa storia, eheheh!
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 33
*** Addio (S) ***


Quando Delia prese in mano il cellulare e provò ad accenderlo, sentì il cuore triplicare i battiti. Non voleva che la sua padrona di casa scoprisse proprio in quel momento, a nemmeno un'ora dalla partenza del suo volo per il Sud Corea, ciò che la sera prima aveva fatto, violando la sua privacy con un gesto da vero codardo.
-”C'mon!”- lo sollecitò Delia facendogli cenno con una mano di sbrigarsi.
Suga agguantò la mascherina nera e se la appese a un orecchio, indossò il berretto da baseball, prese il borsone e afferrò il manico del trolley. Uscì dal piccolo appartamento che per una settimana era stato la sua casa e, con Delia alle calcagna, scese le scale. Sentiva la presenza della ragazza alle proprie spalle, irrequieta e agitata. Uscirono in strada e Delia, nella foga, chiuse il portone con troppa forza.
-”This way!”- esclamò passandogli accanto e prendendogli il borsone dalle mani. Iniziò a correre verso sinistra e Suga, rimasto col suo trolley, le andò dietro arrancando e sbuffando.
Si era svegliato di soprassalto, i sensi di colpa lo stavano divorando dalla sera prima e, come se ciò non fosse già abbastanza, stava morendo di fame perché Delia lo aveva obbligato a saltare la colazione a causa del poco tempo che avevano a disposizione. Non glielo avrebbe mai detto, nemmeno sotto tortura, ma in realtà l'idea di perdere l'aereo non gli dispiaceva più di tanto. Delia si era rivelata una perfetta compagnia di viaggio, una persona meravigliosa, solare e rispettosa; una ragazza fantastica con un unico grandissimo difetto: non essere coreana.
Una lamentela in italiano giunse alle sue orecchie, spezzando il silenzio che aleggiava attorno a loro e minando la tranquillità della via. Delia gli si gettò contro come un cocker infuriato. Gli strappò dalle mani il trolley, lo buttò con poco garbo e tanta fatica sui sedili posteriori della Panda nera e, non contenta, si girò verso Suga e gli diede un paio di schiaffetti. Suga sobbalzò e la guardò con tanto d'occhi. Si portò una mano alla guancia colpita e interrogò Delia con lo sguardo, domandandole cosa avesse fatto di male per meritarsi di essere colpito.
-”Don't sleep”- gli ordinò lei puntandogli l'indice contro il naso.
Gli diede le spalle e montò in macchina. Aveva i nervi a fior di pelle, era evidente. Il volto di Suga si rabbuiò quando il ragazzo finì col pensare che la causa del cattivo umore di Delia fosse proprio lui: probabilmente la sua padrona di casa si era pentita di essersi offerta di accompagnarlo all'aeroporto.
La girano le scatole perché avrebbe preferito dormire”.
L'irrequieta Delia mise subito in moto la Panda. Sembrava voler sfondare il pedale dell'acceleratore da quanto andavano veloci e da come imprecava a bassa voce di fronte a qualunque tipo di rallentamento. Era talmente nervosa che si mise persino a litigare con la macchinetta automatica del parcheggio dell'aeroporto.
Una spaventosa manovra alla Vin Diesel gli diede il colpo di grazia: alla tristezza, al dispiacere, ai sensi di colpa e alla fame si aggiunse la nausea causata dalla spericolata guida di Delia. Suga si sentì messo KO, ma non fece in tempo ad alzare un braccio e a segnalare il suo malessere che Delia aveva già recuperato i bagagli e gli stava urlando contro qualcosa.
Mi ammazzo”, pensò prendendo il trolley, affidando il borsone a Delia e iniziando a correre dietro alla padrona di casa completamente fuori di sé.
Attraversarono le porte automatiche dell'aeroporto e Suga non fece in tempo a guardarsi attorno che Delia, con la stessa ferocia di un ghepardo, gli strinse il polso tra le dita sottili e lo spinse via con sé, dirigendosi a voraci falcate verso lo sportello del check-in. Non disse niente; lasciò che fosse la ragazza a sbrigarsi delle pratiche per la registrazione dei bagagli. Gli sembrava giusto che fosse proprio Delia a firmare metaforicamente le carte della loro separazione.
C'era qualcosa dentro di lui che lo stava supplicando di darsela a gambe, di tornare in città e di chiudersi dentro l'appartamento. Perché non restare un'altra settimana?
Perché sono un maledettissimo idol”.
Si sentì ribollire il sangue nelle vene al solo pensiero di come, ai tempi dell'audizione per i Bangtan Sonyeondan, fosse dovuto scendere a compromessi per avere la possibilità di scrivere e comporre canzoni. Avrebbe fatto volentieri a meno di coreografie difficili, trucchi androgini e vestiti sfarzosi, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro: la normalità era un lusso che non si sarebbe mai più potuto permettere.
Sentì Delia ringraziare l'hostess e poi, come da copione, lo prese nuovamente per un polso, come se fosse convinta che senza la sua spinta non si sarebbe mosso. Che si fosse accorta della sua reticenza nei confronti della partenza? Sotto sotto Suga lo sperava: era troppo orgoglioso per dirle in maniera chiara che gli sarebbe piaciuto restare un altro po' con lei.
Arrivarono davanti alla gimcana dei controlli che mancava poco più di una decina di minuti alla chiusura del gate. Delia era in ansia, si torturava con mani tremanti i capelli rossastri. Suga, le ginocchia, i piedi, le mani, tutto il corpo pesante come un masso, fece vagare lo sguardo per aria, abbassandolo di scatto ogni volta che incrociava gli occhi con una persona. Si domandò cosa stessero pensando i viaggiatori che li vedevano lì, uno di fronte all'altra in religioso e teso silenzio. A un certo punto Delia gli indicò la mascherina. Suga sussultò e si ricordò solo allora di non averla messa correttamente. La fretta della partenza era riuscita a fargli mettere da parte quel cupo timore che lo aveva accompagnato per tutto il soggiorno in Italia.
-”You should go. It's late”- disse Delia.
Sapeva che non c'entrava niente, che doveva smetterla di cercare “metamessaggi” nelle parole della sua ormai ex padrona di casa, ma Suga non riuscì a fare a meno di recepire le parole di Delia come una sorta di rifiuto: stava respingendo i suoi sentimenti e lo stava gentilmente esortando a tornarsene da dove era venuto.
Con un groppo in gola che minacciava di soffocarlo da un momento all'altro, Suga annuì lentamente. Non riuscì a guardarla negli occhi.
-”Thank you”- la ringraziò con un triste mormorio mentre si chinava a prendere il borsone che aveva precedentemente posato per terra.
-”No, thank you for being my guest”-.
L'amaro sorriso che incurvò le labbra di Suga sfuggì agli occhi di Delia.
Per lei sono solo un ospite”.
La ragazza italiana gli tese una mano. Suga la guardò per un attimo, quasi indignato nel constatare che il loro ultimo saluto sarebbe stato così tremendamente formale. Strinse la mano di lei, dentro di sé rassegnato e ferito, ma i suoi occhi a mandorla si spalancarono di colpo quando Delia, con un impeto che aveva già avuto modo di dimostrare in diverse occasioni, lo attirò a sé e lo abbracciò forte. Gli passò le braccia esili attorno al collo e lo strinse con affetto. Suga perse la presa sul borsone; il tonfo che seguì la sua caduta venne ignorato da entrambi. Sentì gli occhi iniziare a bruciargli, disobbedendo così ai rigidi ordini dell'orgoglio. Aveva pianto in diretta nazionale, poteva permettersi di commuoversi in un aeroporto! Si aggrappò a Delia, pensando a lei come alla sua ancora di salvezza; perché sì, in quei pochi giorni trascorsi insieme, Delia era riuscito a salvarlo.
Sospirò di tristezza quando nella sua mente, richiamati dal momento, risuonarono i suoi versi in “Hold Me Tight”.

 

Il tuo volto freddo mi dice tutto senza bisogno di parole
Riesco a vedere una rottura che cresce
come l'alta marea
So che presto sarà la nostra ultima volta
ma non posso lasciarti andare
Non parlare, non andare
Stringimi silenziosamente e basta”

 

-”I'll miss you”- disse Delia piano.
-”Me too”- sussurrò.
Non le avrebbe permesso di lasciarlo andare: sarebbe stato lui a compiere quel passo importante. La spinse via con delicatezza, nascondendo gli occhi leggermente arrossati sotto la visiera del berretto. Delia batté le palpebre più volte, commossa. Gli mise in mano il borsone e, ridendo, lo incitò a sbrigarsi a superare i controlli. Suga annuì e la guardò negli occhi un'ultima volta: non si sarebbe mai perdonato se avesse finito col dimenticarseli. Fece un breve inchino e le voltò le spalle. Ogni passo che muoveva in avanti e che metteva distanza tra lui e Delia era intriso di bellissimi ricordi, di sensi di colpa e di rimpianti.
Ogni passo era una pugnalata al cuore.
Mi mancherà...”.
Fu un attimo.
Fu necessario un solo secondo per realizzare che le sue labbra non avevano mai chiamato la ragazza per nome. Non lo aveva mai fatto. Consciamente, si era imposto di non chiamarla mai perché dare un nome significa affezionarsi, e lui, una settimana prima, non voleva lasciare una parte di sé in Italia; ma adesso le cose erano cambiate.
Suga fermò la sua avanzata lungo la gimcana, si voltò e cercò con lo sguardo la sua padrona di casa. La vide incamminarsi lentamente verso l'uscita dell'aeroporto. Il cuore prese a battergli all'impazzata, spaventato quanto lui all'idea di quello che stava per fare. Mandò all'aria tutti i buoni propositi di mantenere un basso profilo, alzò un braccio e riempì i polmoni d'aria.
-”De...!”-.
-”Sir”-. Una mano pesante si abbatté sulla sua spalla come una mannaia. La voce di Suga, smorzata dall'inaspettato impatto, si spense. L'aria fuoriuscì dalla sua bocca in un mesto sospiro e il nome della ragazza, tre semplici e dolcissime sillabe, morì insieme alle speranze di Suga. -”You can't stop. You're blocking the queue”-.
Gli occhi pieni di lacrime di Suga guardarono impotenti Delia uscire dall'aeroporto e, così facendo, dalla sua vita.

 

Una cosa Min Yoongi e Dante Alighieri avevano in comune: nessuno dei due era mai riuscito a chiamare Delia per nome.
















 

ANGOLO AUTRICE
Vi sono mancata? ;)
Mi sono accorta che non mettevo piede su EFP da quasi un mese. Ho trascorso questo ultimo periodo a barcamenarmi tra tirocinio (che non ho ancora finito) ed esami, l'ultimo dei quali ho dovuto lasciar perdere perché non ce l'avrei fatta :/ Ma adesso sono tornata, ho più tempo libero e sono intenzionata a recuperare tutto quello che avevo lasciato in sospeso: scrittura di capitoli, lettura di storie e recensioni.
Vorrei spendere qualche parola per questo capitolo. Ammetto che sia stato difficile per me scriverlo, sia per l'argomento trattato, ovvero la separazione dei due protagonisti, sia per quello che, in origine, doveva rappresentare: la fine della storia. Vi svelerò questo "piccolo" particolare: quando ho ideato "Guardami come se fossi Dante Alighieri", volevo che la storia di Yoongi e Delia finisse così, con un sofferto saluto all'aeroporto. Durante la stesura dei primi capitoli, però, mi sono resa conto di voler scrivere qualcosa di più, di voler provare a trasmettere più emozioni; così ho deciso di andare oltre l'addio all'aeroporto. Perciò, per chi se lo sta chiedendo, attenzione perché la storia di Yoongi e Delia non è ancora finita ^^
Grazie a tutti per il supporto, le recensioni e, soprattutto, per la pazienza <3
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 34
*** Una ragazza dai capelli rosso mogano ***


Min Suga era stato fin troppo chiaro: nessuno di loro doveva presentarsi all'aeroporto. Da quel suo messaggio era trasparita un'autorità talmente dittatoriale che nessuno, neppure Jin e Namjoon, avevano osato contraddirlo.
-”Ehi Kookie, quanto manca?”- domandò Hoseok all'amico, seduto insieme a lui sul divano del soggiorno.
Jungkook alzò lo sguardo dal cellulare e cercò di incrociare gli occhi con Namjoon.
-”Huyng!”- lo chiamò quando vide che era inutile tentare di contattarlo telepaticamente. Purtroppo sua madre gli aveva donato tutto (bravura, bellezza, talento, simpatia) tranne dei poteri psichici.
-”Che c'è?”- si girarono tutti a guardarlo.
Seokjin arrivò a passo spedito dalla cucina. Agitò le bacchette di metallo per aria, indignato.
-”Questa storia va avanti da più di cinque anni, te ne rendi conto?”- rimproverò il maknae.
Jungkook sprofondò nel divano e sghignazzò.
-”Lo so, ma è divertente!”-.
Jin fece roteare gli occhi e tornò in cucina a finire di preparare la colazione per tutti. Ricordava che Yoongi sarebbe tornato verso le otto e mezza, per cui aveva contato anche lui per il primo pasto della giornata.
-”English-hyung”- riprovò Jungkook, questa volta riuscendo a ottenere l'attenzione di Namjoon. -”Quanto manca?”-.
RM controllò l'ora sul cellulare.
-”Tra poco dovrebbe arrivare”- rispose. -”Non saltategli addosso e lasciategli i suoi spazi. Sapete com'è fatto e sapete pure quanto pesi sul fisico di una persona il jet lag”- si raccomandò guardando i compagni uno a uno.
Jimin e Taehyung annuirono e risposero che ci avrebbero provato; iniziarono a confabulare tra loro, architettando chissà quale scherzo per l'amico in arrivo. Namjoon saltò su e cercò di dissuadere la 95 Line dal far infuriare Yoongi.
-”Vado a dare una mano a Jin”- disse Hoseok dopo aver riso alle spalle del leader per un po'. Guardò Jungkook e gli chiese cosa avesse intenzione di fare.
-”Aspetterò qui sul divano”-.
L'accesa discussione del terzetto lasciò l'ambiente comune e si spostò al piano di sopra. Le risate di Jimin e Taehyung superavano le pareti, così come le grida disperate di Namjoon e i suoi sospiri esasperati. Jungkook si tirò su il cappuccio della felpa e, occhi incollati al cellulare, sorrise.
Non passava giorno in cui non ripetesse a se stesso quanto fosse stato fortunato a incontrare degli amici del genere.
Teneva molto ai suoi sei fratelli maggiori, nonostante fosse risaputo che si divertisse un mondo a far saltare i nervi a tutti loro. Quando Yoongi aveva iniziato a mostrare segni di aridità artistica, Jungkook, contrariamente a quel che dava a vedere, si era preoccupato. Non aveva confidato i suoi timori a nessuno, decidendo di rimanere in disparte e di non mettere pressione al frustrato Suga. Sperava davvero che il viaggio in Italia avesse giovato al suo hyung.
Dei sei ragazzi in trepidante attesa, sparpagliati per tutta la casa e agitati come trottole, solo il “piccolo” Jungkook, rimasto da solo in soggiorno, si accorse della silenziosa apertura della porta d'ingresso. Lanciò il cellulare sul divano e scattò in piedi, pronto a richiamare gli altri e a dare un caloroso bentornato a Yoongi, ma lo sguardo inspiegabilmente tagliente di quest'ultimo gli sigillò le labbra. Suga chiuse la porta una delicatezza che scozzava pesantemente con la sua espressione furiosa; sembrava essere arrabbiato col mondo intero.
-”Hyung...”- boccheggiò Jungkook, incapace di comprendere il volto tristemente adirato di Yoongi.
Il continuo vociare degli altri ragazzi era perfettamente udibile; si riverberava per tutta la casa come un'eco allegra, ma la sua gioia pareva rimbalzare contro l'alone cupo che ricopriva la figura dell'idol appena arrivato. Suga, lasciando i propri bagagli sull'uscio, si avvicinò a Jungkook. I suoi passi erano più pesanti del solito, intrisi di un intenso male di vivere. Gli restituì la preziosa fotocamera, non prima di averle riservato una lunga occhiata sofferente.
-”Ho fatto delle foto. Facci cosa ti pare”- mormorò il rapper senza guardare l'amico negli occhi. Recuperò i bagagli e si diresse come un'anima in pena verso il Genius Lab. Non aprì bocca, non disse niente; non si annunciò e non chiese a Jungkook di chiamare gli altri: si chiuse nel suo spazio privato innalzando un'altissima muraglia tra sé stesso e il mondo circostante.
-”Allora siamo d'accordo!”- ridacchiò Taehyung scendendo le scale seguito a ruota da Jimin. Vide Jungkook in piedi con la macchina fotografica in mano e un'espressione confusa sul volto. -”JK?”- lo chiamò.
-”Qui abbiamo finito!”- disse J-Hope facendo capolino dalla cucina. -”La colazione è pronta, manca solo Min Suga”-.
Il maknae abbassò gli occhi pensosi sulla fotocamera. Yoongi gliel'aveva restituita con disprezzo ma, allo stesso tempo, con rammarico, come se separarsi da essa avesse costituito per lui un'enorme difficoltà.
-”Quella non è l'avevi data a Yoongi?”- gli chiese Seokjin manifestandosi alle spalle di Hoseok con il grembiule da cucina ancora addosso e indicando con un cenno del capo la macchina fotografica. Gli altri quattro si voltarono di scatto simultaneamente a guardare il dispositivo stretto tra le mani di Jungkook.
-”Yoongi è tornato e nessuno di voi l'ha sentito?!”- quasi gridò il più grande.
-”Perché te la prendi con noi?”- si lamentò V. -”Nemmeno tu te ne sei accorto”- gli fece notare. -”JK, potevi chiamarci!”-.
Jungkook, sentendosi chiamare in causa, sussultò e alzò lo sguardo, spezzando il contatto visivo con la macchina fotografica e, di conseguenza, interrompendo il suo flusso di pensieri. Si schiarì la voce e sorrise; mentire contemporaneamente a cinque dei suoi hyung non era una passeggiata.
-”Volevo farlo, ma Suga-hyung me l'ha impedito”- spiegò stringendosi nelle spalle. -”Mi ha detto che voleva andare a riposarsi. Adesso scusatemi ma voglio vedere che foto ha fatto”- tentò poi di eclissarsi.
Sfrecciò davanti a tutti gli altri e salì le scale facendo due gradini alla volta. Sentì Taehyung chiamarlo e chiedergli di aspettarlo perché voleva anche lui vedere le foto fatte da Yoongi, ma Jungkook fece finta di non averlo sentito. Raggiunse la sua postazione davanti al fidato computer e, dopo essersi assicurato di aver chiuso a chiave la porta, iniziò a trasferire tutte le immagini dalla fotocamera al computer. Suga non glielo aveva detto esplicitamente, ma il fatto che si fosse fatto vedere ridotto in quello stato solo da lui poteva significare una cosa sola, e il maknae aveva recepito il messaggio forte e chiaro: “Coprimi finché non mi farò vedere di mia spontanea iniziativa”.
Ma perché Suga non voleva interagire con gli amici che non vedeva da una settimana?
Cos'era successo in Italia?
Le risposte a queste e ad altre domande che svolazzavano come farfalle impazzite nella testa di Jungkook risiedevano nelle foto scattate da Yoongi in Toscana; Jungkook ne ere certo.
Il messaggio di avviso che apparve sulla schermata del computer notificò a Jungkook il termine dell'operazione di importazione. Aprì la cartella di immagini appena creata e iniziò a guardare i file uno a uno. La prima foto che catturò la sua attenzione ritraeva una ragazza dai capelli rossicci presa praticamente di spalle, con la chioma rosso mogano che seguiva il rapido movimento appena compiuto dal capo e dal corpo, scattata in mezzo a delle intricate ma bellissime fronde verdeggianti. La foto era stata fatta talmente vicino al soggetto che era impossibile pensare che la ragazza fosse una perfetta sconosciuta: Yoongi doveva sicuramente conoscerla.
Jungkook aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se avesse mai sentito il compagno parlare di una qualche amicizia in Italia. Non sovvenendogli niente, riprese a scorrere le immagini.
Restò a bocca aperta quando si rese conto che quella ragazza misteriosa era una costante presenza nelle foto di Yoongi.
Batté le mani sulla scrivania e si protese in avanti, avvicinando il viso allo schermo del computer. Non poteva credere ai suoi occhi. Guardò più e più volte le foto, cercando di capire chi potesse essere quella ragazza dai capelli tinti e dal brillante sorriso, un sorriso talmente brioso da essere riuscito a contagiare quel cadavere ambulante di Suga.
L'ultima foto raffigurante la ragazza era un capolavoro: Jungkook dovette allontanarsi dal computer qualche secondo perché non riusciva a credere che una foto del genere fosse stata scattata da Yoongi, il quale a malapena sapeva quale fosse il pulsante dello scatto di una fotocamera. La ragazza era appoggiata a una balaustra bianca, le caviglie intrecciate su un'insolita pavimentazione a scacchi e il tramonto alle sue spalle che incendiava i suoi capelli rossi danzanti nella brezza marina; in mano aveva una sigaretta accesa e l'altra, sollevata all'altezza della testa, cercava di liberare il volto dai capelli che il vento aveva spostato; rideva la ragazza, rideva di cuore, e Jungkook era sicuro che così avesse fatto anche Yoongi mentre scattava quella foto.
Chi fosse stata per lui quella ragazza era un enigma, ma il maknae sapeva che, qualunque ruolo avesse essa giocato nella sua vita, Yoongi soffriva per la sua mancanza.
Qualcuno bussò alla porta, chiedendogli se avesse intenzione di fare colazione. Jungkook spense il computer il più velocemente possibile, avendo cura di eliminare tutte le foto dalla memoria della macchina fotografica.
-”Sì, arrivo subito!”-.
Lasciò la stanza seguendo Jimin e tornando così al piano terra.
-”Come sono le foto di Suga?”- gli domandò curioso.
Jungkook si passò una mano tra i capelli e si lasciò scappare un sospiro deluso.
-”Uno schifo. Non sono sicuro di riuscire a salvarne qualcuna”- mentì.
-”Peccato! Mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa di decente!”- si lamentò Jimin.
Jungkook sorrise e concordò con lui.
Raggiunsero gli altri in cucina e si sedettero al grande tavolo, iniziando a fare colazione mentre, ridendo e scherzando, si auguravano tutti di vedere e poter parlare con Yoongi il prima possibile.
Stai tranquillo, huyng”, pensò Jungkook. “Il tuo segreto è al sicuro”.
Dall'altra parte del tavolo, Namjoon, gli occhi fissi sul maknae, strinse le labbra.

 

 










 

ANGOLO AUTRICE
Si vede che ho finito gli esami e che per il momento sono libera, ahahah!
Yoongi è atterrato e il suo umore non è dei migliori: noi sappiamo il perché, ma gli altri ragazzi ne ignorano il motivo; anzi, non sanno nemmeno che ha qualcosa che non va! L'unico che ha avuto modo di rendersene conto è Jungkook, al quale Yoongi ha restituito la macchina fotografica contenente alcune foto di Delia: lo avrà fatto di proposito o si è dimenticato di quelle immagini? Ad ogni modo, Jungkook ha deciso di non rivelare a nessuno l'esistenza di quella ragazza dai capelli rosso mogano, nonostante gli sia fin troppo chiaro che è proprio a causa sua se Suga non è al top della forma. Crede di poter mantenere il segreto senza problemi, ma è troppo ingenuo: Namjoon sospetta qualcosa.
Grazie a tutti per il supporto <3
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 35
*** Bugia bianca ***


Non era necessario essere un genio per capire che Yoongi avesse qualcosa che non andava e che quell'omertoso di Jungkook lo stesse coprendo; eppure Namjoon non capiva come facessero gli altri a non rendersene conto.
Yoongi presenziava a tutti gli appuntamenti previsti per i BTS, dalle prove alle riunioni. La sua soglia dell'attenzione era minima, ma, ormai avvezzo ai segreti del mestiere, riusciva sempre a risultare attento e partecipe agli occhi di tutti. Evitava di rispondere a domande troppo precise sul viaggio in Italia e, quando poteva, si limitava a ridere insieme agli altri e a fingere di essere interessato alle loro conversazioni.
-”No, perché? Yoongi è un morto che cammina, lo sappiamo da anni”- aveva riso Jin quando RM gli aveva chiesto se avesse notato qualcosa di strano nel comportamento dell'incriminato.
Il giovane leader, dopo un primo momento di titubanza in cui aveva finito col pensare di essersi immaginato tutto, ottenne la conferma definitiva ai suoi dubbi osservando Jungkook: il maknae era solito lanciare continuamente insistenti e preoccupate occhiate di sottecchi a Yoongi; era come se cercasse di dirgli qualcosa ma, per qualche misterioso e sospettoso motivo, non potesse farlo.
O forse aveva paura.
Che tipo di segreto stava sigillando la bocca di Jungkook, infondendo nel suo animo ansia e, al tempo stesso, timore?
Gli altri ragazzi erano troppo presi dal comeback e dai piani per la BTS Festa per prestare attenzione ai minimi dettagli, ma Namjoon, che esercitava la professione di leader e tutore metaforico di quella banda di scalmanati da ormai sei anni, aveva appreso e fatta sua la nobile arte del multitasking mentale, riuscendo così, nello stesso momento, a organizzare un'uscita, programmare un'intervista, rimproverare Taehyung, leggere qualche articolo sul surriscaldamento globale e preoccuparsi per tutti e sei i suoi fratelli; perciò, con anni e anni di allenamento ed esperienza alle spalle, le strane occhiate di Jungkook vennero subito notate da Namjoon e registrate come elemento insolito e allarmante.
All'interno della casa era scoppiata una silente guerra psicologica: Namjoon sapeva che Jungkook era al corrente del segreto di Yoongi, e Jungkook, dal canto suo, si era ormai rassegnato all'idea che il loro leader fosse troppo intelligente per non accorgersi della sua condizione di complice nei confronti di Yoongi. Nonostante ciò, il Golden Maknae, in previsione di un eventuale scontro diretto con RM, era pronto a negare l'evidenza e ad arrampicarsi sugli specchi, ma non sapeva dire con certezza per quanto tempo sarebbe riuscito a resistere: Namjoon era un eccellente e testardo manipolatore mentale, machiavellico e fin troppo bravo con le parole; lo avrebbe raggirato in meno di ventiquattro ore. Per questo cercava di tenersi il più alla larga possibile da lui.
Alla vigilia del quarto giorno dal rientro di Yoongi, da poco passata la mezzanotte, Namjoon decise di mettere da parte la scacchiera e di scendere in campo in prima persona.
Aveva più volte pensato di placcare Jungkook e di costringerlo a sputare il rospo, ma sapeva che fare una cosa del genere, soprattutto nel clima teso che si era andato a creare tra loro, non avrebbe condotto a buoni esiti. Jungkook, in quella situazione, era solo una “vittima”; il problema andava risolto alla radice.
Uscì dalla sua stanza in punta di piedi, percorrendo i corridoi della casa come un ninja. Era certo che, dato il periodo pre-comeback, nessuno dei suoi amici fosse ancora sveglio a quell'ora. Con un comeback importante come quello che li attendeva, il sonno era un bene preziosissimo a cui solamente un folle avrebbe potuto rinunciare. Proprio per questa ragione Namjoon non si sorprese minimamente quando intravide una luce soffusa brillare timidamente oltre il vetro temperato del Genius Lab.
Min Suga era ancora sveglio e Dio solo sapeva cosa lo stesse tenendo occupato.
Le nocche di Namjoon sfiorarono la porta, leggere ma allo stesso tempo decise. Dopo essere rimasto in vana attesa per un minuto buono, ci provò nuovamente, questa volta mettendo più enfasi. La flebile luce si smorzò per un attimo, segnalando un movimento di fronte a essa. Dopo quello che a RM parve un tempo interminabile, la serratura scattò e la porta del Genius Lab si aprì lentamente, giusto di uno spiraglio. Nel buio che regnava sovrano, Namjoon riuscì a malapena a scorgere l'occhio felino di Yoongi che lo scrutava nell'oscurità. Si schiarì piano la voce, turbato da quel pesante alone di energia negativa che volteggiava attorno alla misteriosa e funesta figura di Yoongi, appena visibile e illuminata dalla lampada da scrivania alle sue spalle.
-”E' tardi”- gli fece notare, saltando i convenevoli.
-”Lo so”- ribatté piano Suga.
-”Cosa stai facendo?”-.
-”Niente di importante”- rispose dopo un attimo di esitazione.
-”Posso entrare?”-.
Suga sbuffò e, dopo essersi passato una mano tra i capelli, annuì brevemente, controvoglia. Lasciò l'uscio e sparì nel buio, permettendo a Namjoon di entrare nel suo studio. Il leader si chiuse la porta alle spalle con delicatezza, cercando di fare meno rumore possibile. Nonostante la scarsa illuminazione, si rese conto che il pavimento era ricoperto di fogli di carta accartocciati, stracciati e, semplicemente, gettati per terra. Suga camminò con noncuranza sopra il mare di carta e andò a sedersi sulla poltrona girevole. Riaccese il monitor del computer e, dando le spalle a Namjoon, riprese il lavoro che aveva interrotto per andare ad aprirgli la porta.
-”Cosa c'è?”- gli chiese con gli occhi incollati al computer e la mano destra spiaccicata sul mouse.
Namjoon si avvicinò alla scrivania e, dopo aver notato una bottiglia di vino aperta e un bicchiere dal fondo rossastro, spalancò gli occhi quando si rese conto di cosa Yoongi stesse facendo.
-”Stai componendo?!”- esclamò incredulo.
Suga gli lanciò un'occhiata contrariata e lo invitò ad abbassare la voce. Si abbandonò contro lo schienale e incrociò le dita sulla pancia, annuendo.
-”Sei sorpreso?”- lo punzecchiò con una punta di malizia.
-”Sinceramente? Sì”- ammise Namjoon non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla schermata del computer.
Suga si fece un po' da parte e permise all'amico di avvicinarsi al monitor, invitandolo con un cenno della mano a osservare il suo lavoro da più vicino.
-”Io... Non capisco”- sussurrò Namjoon dopo qualche minuto di ammirazione. Si voltò verso Yoongi, il quale gli rispose con una scomposta alzata di spalle. -”Se hai ritrovato l'ispirazione, perché sei così?”-.
-”Così come?”- domandò Yoongi curioso.
-”Morto dentro”-.
Il rapper maggiore alzò un sopracciglio e sbuffò divertito. Scosse la testa e, reggendosi alla scrivania, si spinse in avanti, posizionandosi nuovamente di fronte al grande monitor acceso. Sfiorò il mouse con le dita, poi, ripensandoci, ruotò la sedia e guardò Namjoon negli occhi.
-”Lo sono dalla nascita, Nam”- gli ricordò con finto tono di rimprovero.
Namjoon sarebbe stato disposto a credergli se nei suoi occhi insolitamente lucidi non avesse intravisto uno strano sentimento, qualcosa che mal si addiceva alla costruita freddezza con cui il rapper era solito proteggersi dagli attacchi esterni. C'era una crepa sulla sua maschera, una sottile frattura che, se ben premuta, poteva mandare in frantumi il suo travestimento.
-”Cos'è successo in Italia?”- gli domandò debolmente, con delicatezza e premura, come se avesse avuto paura che la sua voce potesse romperlo da un momento all'altro.
Suga, che nel frattempo era tornato a concentrarsi sul suo lavoro, inclinò per un momento la testa di lato, emettendo un flebile sospiro. I tasti della tastiera ticchettavano frenetici sotto la pressione delle sue dita.
-”Preferisco non parlarne”- rispose dopo aver premuto con una strana soddisfazione la barra spaziatrice. Girò nuovamente la poltrona e riservò a Namjoon un'occhiata indecifrabile che mandò quest'ultimo ancora più in confusione. -”Mi prenderesti per il culo”- spiegò vedendo le sopracciglia di Namjoon aggrottarsi.
-”Quindi qualcosa è successo”- constatò RM. -”Cazzo, Yoongi, credi davvero che ti prenderei in giro vedendo in che stato sei ridotto?”- sbottò irritato e ferito dalla bassa considerazione che l'amico aveva per lui.
Suga sghignazzò sottovoce e si strinse nelle spalle. Sospirò pesantemente e chiuse gli occhi.
-”Se ti metti a ridere ti ammazzo”-.
-”Non lo farò. Hai la mia parola”-.
Yoongi, dopo aver lanciato a Namjoon un'occhiata minacciosa, si strofinò l'occhio sinistro e si schiarì la voce. Il suo sguardo prese a saettare per tutto il Genius Lab, nervoso e, al tempo stesso, imbarazzato. Namjoon decise di dargli un po' di spazio e di spostarsi sul divanetto. Si sedette coi gomiti appoggiati alle ginocchia e la schiena protesa in avanti in trepidante attesa. Non riusciva a credere di essere riuscito a convincere Yoongi a vuotare il sacco.
-”Cazzo”- lo sentì borbottare con una mano spiaccicata sulla faccia.
La sua difficoltà nell'esprimersi era evidente. I suoi occhi felini, scattanti come saette, erano la manifestazione del suo flusso di pensieri frammentario e incoerente a cui si andava ad aggiungere una manifesta difficoltà nel pronunciare e trovare le parole giuste; tutto ciò era il sintomo più lampante di una pesante stanchezza, più mentale che fisica. Yoongi stava lavorando ininterrottamente da giorni, alternando prove di ballo, registrazioni, riunioni e quant'altro a sessioni notturne di composizione.
Di questo passo sarebbe collassato in poco tempo.
-”Vicino all'appartamento che ho affittato abitava un anziano signore”- riuscì finalmente a iniziare il suo racconto. -”Mi è capitato spesso di incrociarlo e così ho avuto modo di conoscerlo e di... fare amicizia col suo cane. Li vedevo tutte le mattine. Il cane di questo signore era molto simpatico. Mi piaceva tanto. Sai, per certi versi mi ha ricordato Holly. Anche io piacevo a lui, mi saltava addosso ogni volta che mi vedeva”-. Si fermò un attimo, mandando giù il groppo che gli si era formato in gola. Tirò su col naso e si affrettò a strofinarsi gli occhi. -”La sera prima del mio rientro ho saputo che il cagnolino era morto. L'hanno investito”-.
Yoongi si zittì e non aprì più bocca. Attese la reazione di Namjoon che non tardò troppo ad arrivare. RM si passò una mano tra i capelli e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Sentire che Yoongi era giù di morale per la morte di un cane, per quanto si trattasse di un argomento triste, lo fece sentire meglio. L'amico doveva aver accusato pesantemente il colpo per via del paragone che aveva fatto con Min Holly; doveva essersi immedesimato nell'anziano padrone e chiestosi come avrebbe reagito se fosse stata la sua cagnolina a essere investita.
-”Mi dispiace tantissimo”- disse non riuscendo a togliersi dalla faccia un flebile sorriso di sollievo. La situazione era molto meno grave di quanto pensasse. Con la giusta dose di riposo, Yoongi sarebbe tornato come nuovo entro qualche giorno.
-”Già”- annuì l'altro. -”Ma è così che funziona il cerchio della vita, no?”-. Namjoon concordò. -”Me ne farò una ragione”- chiuse l'argomento. Si spinse verso la scrivania e posizionò le mani sulla tastiera. -”Ora puoi andare a dormire sereno. Buonanotte, Nam. Se scopro che l'hai detto a qualcuno non ti aspetterà una bella fine”- lo minacciò cercando di nascondere, senza successo, una risata.
L'ottimismo e il buonumore di Suga furono abbastanza convincenti per Namjoon. Lo tranquillizzò dicendo che con lui il suo segreto era al sicuro e si raccomandò che non facesse troppo tardi e che andasse a riposarsi presto.
-”Non vedo l'ora di ascoltare le tue nuove creazioni”- gli disse prima di congedarsi definitivamente.
Le sue dita avevano appena sfiorato la maniglia quando il cigolio della poltrona girevole lo fece voltare verso il lato opposto della stanza.
-”A questo proposito... Dovremmo incidere dei solo, noi della Rap Line”- disse Suga con lo sguardo perso sul soffitto. -”Per il prossimo album. Sì, una trilogia sull'amore”-.
Namjoon corrugò la fronte. Quando mai Yoongi aveva espresso il desiderio di scrivere una canzone sull'amore? Solitamente prediligeva temi del tutto differenti, principalmente di natura sociale.
-”Sull'amore?”- ripeté RM sorpreso.
-”Non è questo lo spirito di Love Yourself? L'amore in tutte le sue forme. La gioia dell'innamorarsi, l'amore come un ballo, la sua semplicità e la sua naturalezza...”-.
-”Aspetta, aspetta”- lo interruppe Namjoon agitando le mani e stringendo gli occhi. -”Vorresti scrivere una canzone del genere sull'amore? Tu?”-.
In quel momento, pochi attimi prima di rispondere, Yoongi si mostrò a Namjoon per quel che era davvero: un uomo divorato dai sensi di colpa, dal rimpianto e dalla consapevolezza di aver lasciato dall'altra parte del mondo un pezzo di sé. RM sussultò nell'ombra e si domandò se fosse davvero possibile provare dei sentimenti così tormentati per un cane.
-”Sarebbe bello riuscire a farlo, sì”- sorrise mestamente Min Suga col cuore in mano.











ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti!
Non mi vedete da tanto tempo, lo so, e di ciò me ne dispiaccio tantissimo :( In questo ultimo mese ho avuto tantissimo da fare e, in realtà, non sono ancora del tutto libera :/ Tutte le mie attività hanno subito un forte rallentamento (scrittura dei miei capitoli, letture, recensioni...), ma conto, pian piano, di recuperare tutto. Sono fiduciosa!
Ma passiamo alla storia >:)
Namjoon, dopo aver notato che c'era qualcosa che non andava in Yoongi e in quel malcapitato di Jungkook, si è fatto abbindolare dalla storiella strappalacrime di Yoongi. Be', capiamolo: ha ricevuto una risposta apparentemente esaustiva al suo interrogativo e, quasi più per convenienza e fiducia che per altro, ci ha creduto subito. Nessuno in quella casa sa cosa sia davvero successo in Italia, neppure JK che, nonostante possegga le foto di Suga, non può far altro che andare avanti a supposizioni.
Vi anticipo subito che nel prossimo capitolo ritroveremo la nostra Delia, momentaneamente lasciata da parte >:)
Grazie a tutti per il vostro supporto! <3
Alla prossima! ^^

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Capitolo 36
*** La novella Arianna ***


Dopo essermi sfogata nel parcheggio dell'aeroporto, liberandomi della maggior parte dei pensieri tragici e negativi, trovai la forza di mettere in moto la macchina e di lasciarmi alle spalle il ricordo della schiena di Yoongi che si mescolava in mezzo alla folla della gimcana. Guidai per le strade di Pisa con calma, alternando una lacrima a un sorriso. Continuavo a pensare all'ultima settimana trascorsa insieme a quel pacato coreano, chiedendomi come diamine avesse fatto a mandare in tilt me, una persona profondamente razionale e pragmatica.
Arrivai a casa con l'abitacolo della Panda invaso da umidi fazzoletti appallottolati; ero riuscita a finire un pacchetto intero di Tempo. Aprii il portone e salii le scale; ogni passo mi preannunciava crudelmente quel che mi attendeva dietro la porta dell'appartamento: il nulla. Yoongi non c'era più, eppure il suo fantasma vagava per casa sotto forma di lenzuola sfatte, tazze sporche, sedie spostate e porte socchiuse. Corsi in camera a mettere in carica il cellulare. Non appena si sarebbe riacceso avrei trasferito sul computer la cartella contenente le foto e i video di Yoongi. Fremevo durante l'attesa perché avevo una paura matta di perdere l'ultimo lascito del mio ospite.
Mentre aspettavo che il cellulare recuperasse un po' di energia, presi a fissare con insistenza il suo schermo nero, come se con solo la forza del mio sguardo potessi accelerare il processo di ricarica.
Devo fare qualcosa”, stabilii dopo qualche minuto.
Scattai in piedi, presi il portatile e mi spostai in cucina. Stare al capezzale del cellulare era un'agonia. Mi sedetti al tavolo e aprii subito il computer. Dovevo trovare un modo per ingannare l'attesa. Pensai di iniziare a sistemare casa, ma l'idea di cancellare le tracce fisiche di Yoongi mi faceva male. Non ero ancora pronta a dire addio al suo profumo.
Vuoi che la tua casa sia un macello per i prossimi mesi?”, mi domandò la mia parte razionale.
Magari non per mesi, ma per qualche giorno sì. L'assenza di Yoongi stava avendo un effetto disastroso su di me, inaspettato e... terrificante. Mi accasciai contro lo schienale della sedia e abbassai lo sguardo sulle mie ginocchia. Corrugai la fronte, chiedendomi per quale maledetto motivo il mio pulsante ammazza-emozioni non avesse funzionato. Cosa aveva Yoongi di diverso rispetto ad altri ragazzi? Come aveva fatto a stravolgere la mia vita in una sola settimana?
Perché ero certa che, insieme ai suoi vestiti e alla macchina fotografica dell'amico, nella sua valigia avesse infilato anche una parte di me?
Sospirai esasperata e chinai il capo sul tavolo, premendo la fronte contro la sua superficie. Strinsi le palpebre e intimai alle lacrime di non azzardarsi a tornare.
Non siete le benvenute”.
Rizzai la schiena e mi schiarii la voce, passandomi il dorso della mano destra sugli occhi e tirando su col naso. Cercai con gli occhi il pacchetto di sigarette, ma quando mi ricordai della tacita promessa che avevo fatto a Yoongi crollai nuovamente sul tavolo, battendo i pugni con mal velata sofferenza. Ero preda di una vera e propria crisi di astinenza, solo che la mia droga non era la nicotina: aveva un nome diverso.
Erano da poco passate le sette e trenta quando stabilii che il cellulare fosse rimasto in carica fin troppo per i miei gusti. Lo staccai dalla presa con eccitata decisione e corsi letteralmente in cucina portando con me anche il cavo bianco del caricatore. Tempo prima un mio compagno dell'università mi aveva detto che utilizzando il cavo al posto della connessione Bluetooth il tempo di trasferimento dei file dal cellulare al computer si riduceva drasticamente. Mi fiondai sulla sedia, collegai i due dispositivi e, col cuore martellante, attesi che si aprisse la finestra rappresentante il mio cellulare come un dispositivo di archiviazione. Cliccai sull'icona a forma di telefonino e navigai velocemente tra le cartelle fino a quella del mio Samsung.
Nel mio petto avvertivo uno strano peso, qualcosa di simile a una rete appesa a una sottile corda che racchiudeva una miriade di sassolini. Una mano bianca dagli anelli argentati impugnò una scimitarra e, con un gesto deciso e senza scrupoli, tagliò la debole corda che sosteneva la rete di sassi, i quali, attirati verso il basso dall'inesorabile forza di gravità, caddero sulle mie viscere come una pioggia di piombo.
Socchiusi le labbra e spalancai gli occhi, allontanandomi dal monitor del computer portatile con incredulità. La mia mano si allungò immediatamente verso il cellulare, sbloccando lo schermo e premendo con disperata forza l'icona della galleria.
-”Ci dev'essere un'errore di comunicazione”- sussurrai con le labbra incurvate in un sorriso nervoso.
La cartella con le immagini e i video miei e di Yoongi era svanita. Strinsi il cellulare con entrambe le mani e lo rivoltai come un calzino, navigando tra la memoria interna e quella esterna. Lacrime di nervoso dispiacere iniziarono a bruciarmi gli occhi, ma io ero troppo impegnata a cercare il mio tesoro perduto per rendermene conto.
Forse Yoongi ha qualche foto nel suo telefono!”, pensai a un tratto.
Il mio volto si illuminò di speranza e per qualche minuto riuscii a tranquillizzarmi. Certo, la perdita di tutte le nostre immagini mi indisponeva parecchio, ma non tutto era perduto: Yoongi aveva una macchina fotografica e ricordavo benissimo di aver scattato qualche selfie improvvisato proprio con quella.
Gli mando subito un messaggio e gli chiedo di inviarmele per mail appena può”.
Mi bastò notare l'assenza del numero di Yoongi dalla rubrica per collegare i fatti e capire cosa fosse successo. La possente zampa di un orso mi sferrò un colpo sullo stomaco. Mi artigliò il ventre, premendo con forza e godendo nel vedere gli spessi artigli trinciare le mie carni. Questo è quello che provai non appena scoprii che Yoongi, quel meraviglioso ragazzo con cui avevo trascorso la settimana più bella della mia vita, aveva cancellato le prove della sua esistenza dal mio cellulare.
Foto, video, messaggi, registro delle chiamate e numero in rubrica: tutto sparito.
Il sorriso scemò dalle mie labbra e si tramutò in una dolorosa smorfia di incomprensione. La mia mente era troppo sconvolta per cercare di pensare a una spiegazione plausibile al comportamento del mio ospite. Ero sotto shock, basita e spaesata. Mi alzai lentamente in piedi, col cervello andato completamente in tilt; ero talmente scossa da non riuscire a elaborare un pensiero di senso compiuto. Lasciai la cucina con passo incerto e mi fermai di fronte al divano-letto. Con gesti meccanici e automatici lo aprii e presi a sfarlo, togliendo con cura le lenzuola dal sottile materasso e la federa dal piccolo cuscino. Il lieve profumo che dalla biancheria si innalzò fino alle mie narici colpì il mio cervello alienato come un montante ben assestato. Le mie dita si irrigidirono e, in uno scatto di rabbia, appallottolai le lenzuola e le gettai a terra con disprezzo. Guardai dall'alto il misero cumulo di stoffa e mi morsi l'interno della guancia per impedirmi di scoppiare a piangere di fronte a delle stupide lenzuola.
Perché l'hai fatto?”.
Il più grande tradimento della storia dopo le Idi di Marzo: ecco cos'era per me il colpo basso di Yoongi. Lo avevo assistito per un'intera settimana, fatto sentire a casa, ascoltato, compreso e capito, considerato un amico e anche qualcosa di più; gli avevo permesso di avvicinarsi a me e io, a modo mio, gli avevo mostrato dei lati di me che solo le persone a me più care avevano avuto il privilegio di conoscere. Lui mi aveva assecondata, o meglio, raggirata: aveva finto di apprezzare la mia compagnia e mi aveva sfruttata per i suoi tornaconti personali. Chi non approfitterebbe di una guida turistica gratuita e di una povera cretina pronta a scarrozzarti ovunque? Si era mostrato gentile e premuroso; aveva messo su una recita per guadagnarsi i miei favori.
Come Arianna ero stata sedotta e abbandonata.
Bastò quel pensiero, quel paragone mitologico per spingermi a reagire e a dare finalmente ascolto alla mia parte razionale.
Trascorsi la successiva ora a cancellare le tracce di Yoongi dal mio appartamento. Buttai le lenzuola in un sacco di plastica e lo riservai per la lavanderia; pulii le tazze della colazione e la caffettiera, passai l'aspirapolvere sul pavimento, preparai i sacchi della spazzatura da buttare nei bidoni in Piazza Santa Caterina. Da novella Arianna mi ero trasformata in novella Cenerentola, ma i miei aiutanti, invece di chiamarsi Gas-Gas e Giac, si chiamavano Odio e Delusione.
Ricordandomi che quello stronzo di Yoongi non aveva messo a posto il phon, entrai in bagno col piede di guerra. Accesi la luce e i miei occhi bellicosi vennero catturati da un inatteso scintillio proveniente dal bordo del lavandino: due paia di orecchini ad anello erano stati abbandonati nel mio bagno, solitari nella loro esistenza di coppia. Li riconobbi subito perché fin dal primo giorno in cui li avevo visti addosso a Yoongi avevo pensato che gli donassero parecchio. La mia mano rabbiosa li afferrò e il mio piede infuriato premette con decisione il pedalino della pattumiera del bagno, ma il mio cuore gridò disperato.
Non loro!”.
No, non loro. Ero disposta a buttare tutto, ma non i suoi orecchini.
Abbassai la mano e, lentamente, come neve al sole, scivolai sul pavimento del bagno. Mi portai le ginocchia al petto e chinai il capo, mordendomi il labbro inferiore e coprendomi gli occhi con la mano libera. Nonostante i singulti sempre più forti, alzai il capo e volsi un ultimo sguardo agli orecchini.
-”Ti odio, Min Yoongi”- mormorai col viso rigato dalle lacrime mentre li infilavo nei lobi delle mie orecchie.












ANGOLO AUTRICE
WOW! Sono finalmente riuscita a scrivere e pubblicare il nuovo capitolo! :D Vi ho fatto aspettare tanto, lo so :( Con l'esame finalmente dato (e passato, eheheh) ho avuto il tempo di mettermi sotto e di concludere questo capitolo iniziato praticamente un mese fa :>
Delia è distrutta, come era logico immaginare: si è sentita tradita da Yoongi, sfruttata e usata. Non può neanche lontanamente immaginare quale sia il vero motivo dietro il gesto di Yoongi >:(
Non so ancora che forma avrà il prossimo capitolo (se sarà un Delia pov o uno Yoongi o, addirittura, uno misto), però conto di mettermi all'opera il prima possibile.
Spero di avervi fatto un bel regalo di Pasqua con questo capitolo <3
Buone vacanze a tutti e, come sempre, un enorme grazie per il vostro supporto! <3
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 37
*** Guardami come se fossi Dante Alighieri ***


Era trascorso un mese da quando Yoongi aveva deciso di uscire dalla mia vita.
Animata da rabbia e orgoglio ferito, avevo reso l'appartamento non disponibile per tutta la stagione estiva, decidendo di sfruttare il periodo di pausa per mettermi in pari con gli esami e tentare il tutto per laurearmi entro novembre. Mia madre, da brava donna in carriera qual è, aveva tentato di dissuadermi.
-”Come pensi di vivere senza le entrate dell'home sharing?”-.
-”Morirò, che ti devo dire?”-.
Azzurra, dopo avermi consolata ed essermi stata accanto come solo una migliore amica sa fare, aveva più volte cercato di farmi sputare il rospo e di farmi parlare del “misterioso stronzo coreano”, ma la mia bocca era cucita, saldata con la fiamma ossidrica. Il solo pensare alle lettere che compongono il nome di Yoongi mi dava il voltastomaco e provocava l'apertura di una disastrosa voragine nel mio petto.
Trascorrevo le giornate chiusa in casa o in aula studio, focalizzandomi sui libri e sul futuro della mia carriera universitaria. Erano rare le volte in cui Azzurra, l'unica che conosceva a grandi linee la ragione della mia sofferenza e della mia chiusura, riusciva a trascinarmi fuori casa per un aperitivo o un semplice pomeriggio di svago. Il malumore mi accompagnava ovunque io andassi, come una triste e perseverante ombra. Le radio e i telegiornali, poi, non mi aiutavano: da quel che avevo capito, il gruppo preferito di Azzurra, i BTS, si erano esibiti ai Billboard Music Awards e avevano persino vinto un premio, segnando così il loro ingresso ufficiale nelle classifiche occidentali. Stavano iniziando a spopolare e la title del loro ultimo album, “Fake Love”, sembrava la personificazione dei miei sentimenti per Yoongi.
Non passava giorno in cui io non maledicessi Yoongi per aver causato la rottura del mio pulsante anti-emozioni. Nonostante ciò, i suoi orecchini pendevano costantemente dai miei lobi.


 

Quel giorno Azzurra era venuta a studiare a casa mia. Stanca di sapermi sola come un cane e accompagnata da un pesante miasma, si era presentata sotto casa intorno alle dieci di mattina proclamando che non se ne sarebbe andata per nessuna ragione al mondo.
-”Studiamo!”- quasi gridò quando mi vide affacciarmi dal terrazzo con un sopracciglio alzato. Mi mostrò lo zaino sulle sue spalle, tutta orgogliosa.
-”Me lo giuri?”- le domandai scettica. Sapevo che il suo era, tra le tante cose, un tentativo di scoprire qualcosa di più sul “culone coreano”.
-”Non sei l'unica che si deve laureare, cosa credi?”-.
La feci entrare con un misto di contentezza e paura, apprezzando il suo gesto altruista ma temendo un interrogatorio in piena regola. Azzurra si precipitò nell'appartamento come un uragano gioioso, regalandomi un abbraccio non richiesto e lamentandosi subito per il caldo. Attraversò il salotto con noncuranza e si diresse in cucina, dove lasciò cadere lo zaino pesante per terra. Si mise le mani sui fianchi e inspirò a pieni polmoni l'aria non tanto fresca che entrava dalla portafinestra che avevo lasciato aperta.
-”Mi stupisco sempre di quanto casa tua sia così pulita”-.
-”Wow, grazie”- borbottai aprendo il frigorifero e piazzando sul tavolo una bottiglia d'acqua naturale. -”Non so cosa ci sia per pranzo”- la avvisai subito. -”Non faccio la spesa da un po'”-.
-”Lo immaginavo”- rispose Azzurra con un sorriso furbo sulle labbra. Si chinò sullo zaino, lo aprì e ne estrasse un barattolo di ragù, un pacco di pasta e una confezione di plastica contenente due donuts al cioccolato.
-”Mi hai salvato il culo, lo devo ammettere”- ridacchiai ringraziandola.
-”Che ci vuoi fare? Mamma mi ha fatta premurosa”-.
Spostai libri, quaderno e astuccio in cucina. Purtroppo la scrivania in camera era troppo piccola per poter offrire il giusto supporto a due universitarie in crisi come me e Azzurra.
-”Posso fumare in casa o preferisci che esca in terrazzo?”- mi chiese dopo aver disposto sul tavolo l'astuccio rosa holo.
Lanciai una veloce occhiata al mio posacenere pulito. Quello stupido oggetto di plastica verde non vedeva della cenere da un mese.
Ho mantenuto la mia promessa, non come te”, pensai rivolgendomi a Yoongi.
Gli angoli della mia bocca si incurvarono verso il basso mentre porgevo ad Azzurra il posacenere con un gesto stizzito.
-”Se non vuoi vado fuori”- disse guardandomi con gli occhi pieni di colpa.
-”No, non ce l'ho con te”- mormorai sedendomi sulla sedia con poca eleganza.
-”Ce l'hai col tuo amico”- annuì accendendosi una sigaretta. -”E' comprensibile”-.
-”E' ovvio”- la corressi. -”Come è ovvio il fatto che io abbia ragione”-.
-”Vuoi parlarne?”-.
Scossi la testa tenendo lo sguardo sul quaderno chiuso.
-”Puoi almeno dirmi come si chiama? Non posso continuare a chiamarlo “Stronzo Coreano”, “Maledetto Coreano”, “Teseo Coreano”...!”-.
-”E' carino l'ultimo soprannome”- sorrisi debolmente, ironizzando sulla mia condizione.
Azzurra, orgogliosa della sua nomenclatura acculturata, impiegò i successivi minuti, il tempo di terminare la sigaretta, a pavoneggiarsi e a lanciare qualche insulto al mio vecchio ospite (giusto per farmi capire che sarebbe per sempre stata al mio fianco).
-”A volte penso che lui, in realtà, non abbia colpa”- dissi piano.
-”Stronzate”- sentenziò Azzurra legandosi i capelli in una coda alta. -”Cosa te lo fa credere?”-.
-”Magari sono stata io a fraintendere tutto”- bisbigliai tormentandomi le mani. -”Ho visto la sua gentilezza, l'ho interpretata male e ho iniziato a viaggiare con la fantasia...”-.
-”Delia”- mi chiamò Azzurra con voce ferma. -”Ha rotto il tuo pulsante. Hai perso la testa per quel nano asiatico e ti sei ridotta a uno straccio di preoccupazioni e debolezze. Ti ha manipolata per bene!”-.
Le parole della mia migliore amica riflettevano perfettamente i pensieri che avevano affollato la mia testa nelle ultime settimane. Tendevo a dare la colpa a Yoongi, arrabbiandomi con lui fino allo sfinimento e sognando i modi più atroci per vendicarmi del torto subìto; ma le note della sua canzone, “First Love”, risuonavano nelle mie orecchie come una dolce ninnananna, riuscendo ogni volta a farmi addormentare con un debole e nostalgico sorriso sulle labbra.
Sospirai rumorosamente e annuii tra me e me. Aprii libro e quaderno, mi armai di penna ed evidenziatori e mi misi sotto con lo studio, bacchettando Azzurra ogni volta che la vedevo allungare una mano verso il proprio cellulare.
-”Sono una Twitter-dipendente, lasciami in pace!”-.
Per pranzo sfruttammo la pasta e il sugo che Azzurra aveva portato, concludendo il pasto con una tazzina di caffè e un donut al cioccolato. Riprendemmo subito a studiare e tirammo dritto fino a che non sentii Azzurra buttare per aria il quaderno e imprecare ad alta voce.
-”Porca puttana! Perché non mi è arrivata la notifica?!”- esclamò schiacciandosi contro lo schienale della sedia e avvicinando il cellulare agli occhi. La guardai stralunata mentre scorreva il monitor del telefono a una velocità sorprendente.
-”Che succede?”- le chiesi allarmata.
-”Come cazzo si permette?!”- squittì chinandosi a rufolare nello zaino. -”Da solo, poi!”-.
-”Ma chi?!”-.
-”Suga! Ha pubblicato una canzone, un solo!”-.
-”Ah, wow”- commentai con scarsissimo entusiasmo.
Scossi la testa e sospirai, domandandomi per quanto tempo ancora Azzurra sarebbe rimasta intrappolata in quell'inferno chiamato K-Pop e, in particolare, BTS. Li aveva scoperti da dicembre e da allora non aveva fatto altro che parlare di loro, della loro musica, della loro bravura e del loro talento; tutte informazioni che, regolarmente, mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro. Fissai la mia amica mentre, armata di cellulare e auricolari rosa, ascoltava la canzone e, dati i movimenti dei suoi occhi, dedussi che stesse anche leggendo la traduzione.
-”Sono... confusa”- disse dopo qualche minuto. Aggrottò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore. -”E' un testo strano”-.
-”Non sta scritto da nessuna parte che i testi delle canzoni debbano essere chiarissimi”- dissi con un'alzata di spalle.
-”Certo, lo so”- rispose alzando gli occhi al cielo. -”E' che... Non pensavo che uno come lui potesse scrivere una canzone del genere. Vuoi ascoltarla?”-.
-”Oh, no, ti ringrazio”- risposi agitando una mano. -”Non ho nemmeno ascoltato “Fake Love”, ricordi?”-.
-”Leggerò il testo come se fosse una poesia”- mi scimmiottò rievocando il momento in cui aveva provato a farmi ascoltare una canzone dei BTS dopo la loro (a detta sua) brillante esibizione ai Billboard. -”Allora vuoi leggere il testo?”- insistette. -”Dai, mi serve un parere esterno al fandom!”-.
Abbassai lo sguardo sulle dispense di Letteratura Inglese, aspettandomi di veder comparire Keats armato fino ai denti e disposto a tutto per salvarmi dalle grinfie di quella pazza di Azzurra. Keats non arrivò e la mia migliore amica ebbe la meglio. Fece scivolare il cellulare verso di me e posò i gomiti sul tavolo, attendendo pazientemente la mia reazione.
Dieci minuti dopo avevo il cuore in gola e il corpo scosso da brividi gelati.
-”E' strano, vero?”- disse Azzurra riprendendosi il cellulare e, fortunatamente, non notando il mio sbigottimento.
Il testo poteva risultare strano per chiunque, ma non per me. Ero riuscita a cogliere ogni riferimento e ogni citazione perché avevo capito chi la misteriosa figura citata nella canzone, “la nativa di Delo che aveva tenuto fede al suo nome”, rappresentava; una ragazza che, stando a quanto era scritto nel testo, aveva preso l'autore per mano e gli aveva mostrato quanta bellezza ci fosse nel mondo. Una strofa in particolare si era andata a incidere con forza nella mia testa:

 

Anche io sono una creatura del mondo,

Eppure non mi hai mai guardato con gli stessi occhi

con cui guardavi la tua stella.

Guardami, ti prego, guardami

Guardami come se fossi Dante Alighieri”

 

Non è possibile”, continuavo a ripetermi.
-”E il titolo, scusa? Tra l'altro riprende un verso della canzone”- continuò Azzurra.
-”Q-Qual è il titolo? Non l'ho visto”- le chiesi a un passo dallo svenimento.
-”Guardami come se fossi Dante Alighieri”- lesse Azzurra con cipiglio confuso. -”Non sembra proprio una canzone nello stile di Yoongi”-.
Temetti di lasciare il mondo da un momento all'altro. Mi ero ridotta a un ammasso informe accartocciato sulla sedia, con un volto cereo su cui spiccavano i miei occhi spalancati.
Avevo sentito bene?
Azzurra aveva davvero pronunciato quel nome?
-”C-Come, scusa?”- gracchiai tentando di darmi un contegno e di apparire un essere umano e non una spugna.
-”Cosa?”-.
-”L'ultimo nome che hai detto”-.
-”Hai ragione, scusa”- sorrise lei. -”Solitamente li chiamo coi loro stage name e non coi loro veri nomi. Mi ci devo ancora abituare! E' Suga”-.
-”Chi?”- la incalzai.
-”Yoongi”-.
-”Yoongi...?”-.
-”Min Yoongi. E' un membro dei BTS”-.










ANGOLO AUTRICE
Ebbene sì: il momento tanto atteso è finalmente arrivato! Delia ha scoperto che il suo ospite altri non è che Suga dei BTS! Ve l'avevo detto che Azzurra non aveva ancora esaurito il suo compito >:)
Qualche verso in più della canzone e qualche parafrasi e spiegazioni del testo verranno inseriti nel prossimo capitolo, quando vedremo come reagirà il sospettoso Namjoon all'uscita di questa stramba canzone.
Grazie a tutti per il sostegno e la pazienza <3
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

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Capitolo 38
*** Confronto inutile ***


I noodles istantanei erano più buoni del solito.
Immerse la punta di una bacchetta nel brodo e se la portò alle labbra. Annuì compiaciuto, complimentandosi con se stesso. Qualcuno prima o poi avrebbe dovuto sfatare il mito secondo cui i BTS, senza Kim Seokjin, non sarebbero riusciti a nutrirsi.
Jungkook, appollaiato su uno sgabello in cucina, si scostò una ciocca di capelli neri dal viso e iniziò a pranzare da solo. La frangia continuava a finirgli sugli occhi. Sorrise tra sé e sé nel pensare che da lì a un paio di settimane si sarebbe tinto i capelli di un colore che avrebbe sicuramente mandato i fans in visibilio.
-”Ciliegia”- mormorò infilandosi in bocca dei noodles e risucchiandoli come un aspirapolvere.
Del brodo schizzò dalle sue labbra e andò a finire sullo schermo del cellulare. Jungkook passò un pollice sul display e lo pulì sfregandolo contro il vetro protettivo; poi, improvvisamente ricordatosi di una certa questione, rigirò il telefono dall'altra parte e si lasciò scappare un breve sospiro accompagnato da un cenno scocciato del capo.
In quel tanto agognato giorno di pausa, Jungkook era stato il primo dei sette ragazzi a svegliarsi. Era andato a correre, aveva fatto un salto in palestra e aveva dedicato la mattinata ai suoi hobby. Aveva deciso di pranzare presto (e solo) per ottimizzare i tempi.
Prima mangio e prima posso uscire”, aveva pensato afferrando una ciotola di ramen istantaneo.
Uno strano rumore proveniente dal piano superiore fece alzare lo sguardo al Golden Maknae. Posò le bacchette sul tavolo e reclinò un poco la schiena, sporgendosi oltre lo stipite della porta per vedere cosa stesse succedendo. Il suono, simile a dei profondi tonfi regolari, si spostò verso le scale e iniziò ad aumentare d'intensità e di frequenza, arrivando alle orecchie di Jungkook come un inquietante fracasso incalzante. Un'ombra minacciosa si palesò per un attimo e il più giovane non fece in tempo a comprendere la natura della “cosa” che aveva appena fatto una breve e rabbiosa apparizione sull'uscio della cucina.
Con la stessa rapidità di un fulmine, Namjoon, gli occhi ridotti a due fessure taglienti, constatò l'assenza del suo obiettivo e si precipitò a passo furioso verso l'interno dell'abitazione.
Jungkook sussultò nel riconoscere il leader e sbiancò. I suoi occhi spalancati scivolarono sul cellulare e un brivido terrorizzato gli scosse le ossa.
L'ha saputo”.
-”Hyung!”- lo chiamò subito mollando i noodles. Nella fretta inciampò sulle gambe dello sgabello e per poco non cadde rovinosamente a terra. -”Hyung, aspetta!”-.
RM, continuando a camminare a rapidissime falcate, alzò un braccio e intimò a Jungkook di zittirsi. In quel momento ascoltare le sue scuse e le sue spiegazioni non era in cima alla lista delle priorità.
-”Non è con te che voglio parlare”- lo freddò senza guardarlo negli occhi.
-”Posso spiegare!”-.
Namjoon si fermò di botto e fulminò il maknae con un'occhiata piena di rabbia e delusione.
-”Sei pronto a spiegare solo dopo che siete stati scoperti: ti sembra una bella cosa?”-.
-”Io...”-.
-”Siete dei codardi irresponsabili”- sibilò riprendendo la marcia bellicosa.
Nonostante fosse fisicamente più prestante, Jungkook faticava a stare dietro a Namjoon. Avrebbe voluto mettergli una mano sulla spalla e costringerlo a voltarsi e ad ascoltarlo, ma l'aura autoritaria e profondamente furiosa del leader lo convinse a starsene al suo posto. Piano piano rallentò l'andatura e gettò la spugna, piantando i piedi per terra e fissando la schiena di RM sfrecciare nei meandri della casa. Si posò una mano sulla nuca ed espirò rumorosamente dalle narici.
Prima o poi doveva succedere”, pensò con triste fatalismo.



 

-”Fammi entrare!”- ordinò Namjoon battendo il pugno contro la porta del Genius Lab. -”So che sei qui dentro e sveglio!”-.
Nessuno rispose e quel silenzio lo fece innervosire ancora di più. Agguantò la maniglia della porta e la spinse verso il basso. Con sua grande sorpresa si rese conto che il Genius Lab, il bunker impenetrabile di Min Suga, era aperto. La rabbia evaporò dal suo corpo in un attimo, sostituita da freddi brividi di sgomento. Namjoon si precipitò nello studio, già prefigurandosi chissà quale scenario catastrofico, ma rimase di sasso quando trovò l'amico seduto sul divano col cellulare in mano. Suga voltò il capo nella sua direzione e lo inclinò lievemente in avanti.
-”Buongiorno”- gracchiò.
Un nucleo bollente, dopo il brevissimo minuto di gelo, scoppiò nel petto di Namjoon. Si chiuse la porta alle spalle con forza, godendo nell'udire il suo tonfo propagarsi nell'aria. In quel momento avrebbe voluto fare la stessa cosa con la testa dell'amico.
-”Un cane!”- tuonò allargando le braccia. -”Un fottutissimo cane!”-. Si passò una mano tra i capelli e se li afferrò, stringendo le dita e serrando con forza la mascella. -”Seriamente?!”-.
Non sapeva cosa aspettarsi di preciso da Yoongi, se una moscia e flemmatica reazione, un pianto pentito o una risposta a tono. In realtà non gli importava più di tanto; l'unica cosa che in quel momento Namjoon aveva a cuore era far capire a quel deficiente patentato che si ritrovava davanti la gravità della situazione in cui la sua maledetta canzone li aveva cacciati.
Gli occhi un poco assonnati di Yoongi sostennero lo sguardo bellicoso del leader e si ridussero a due fessure sornione quando le sue labbra si incurvarono in un sorriso stranamente sereno.
-”Ci sei cascato”- sghignazzò.
RM, incredulo, seguì con gli occhi sbarrati le spalle dell'amico che saltellavano. Lo guardò mentre gettava il cellulare sul divano e, con un cenno della mano, lo invitava a sedersi sulla poltrona.
-”...No!”- rispose sconvolto dall'atteggiamento tranquillo di Suga. Agitò le mani per aria e si guardò attorno in preda a un disperato attacco d'ansia. -”Si può sapere cosa ti ha detto il cervello?!”- scoppiò piantando i piedi a terra e portandosi una mano alla tempia.
-”Assolutamente niente”- rispose Yoongi accavallando le gambe. -”Ammetto di non averlo ascoltato”-.
-”Ah, benissimo!”-.
Min Suga non solo aveva messo in pericolo l'immagine del gruppo ma lo aveva fatto di proposito, conscio di ciò che la sua canzone avrebbe potuto far pensare agli ARMY. Le persone non sono stupide (non tutte); fare due più due è un attimo, un fatale momento.
-”Un cane...”- mormorò Namjoon con l'avvilito palmo della mano premuto contro le labbra. -”E io ti ho creduto!”-.
-”Effettivamente non è da te”- annuì Suga.
-”Ho voluto darti fiducia”- lo seccò. -”Ho creduto alla tua storiella più per convenienza che per altro, e alla fine mi sono convinto che fosse la verità”-.
-”Volevo proteggerti, Nam”-.
-”Proteggermi da cosa? Hai solo ritardato l'inevitabile. Davvero hai creduto di poterla fare franca?”-.
Suga sospirò enigmaticamente e abbassò lo sguardo. I cellulari dei due ragazzi continuavano a vibrare ininterrottamente. Namjoon prese il proprio e lo buttò con disprezzo sul divano, accanto a Yoongi. Glielo indicò, ma Suga non seguì il suo indice.
-”Hai letto i commenti e i tweet degli ARMY?”-.
-”E' una canzone. Non è niente di che. Succede per qualunque cosa pubblichiamo, lo sai”-.
RM perse la pazienza e si lanciò su Yoongi. Si chinò in avanti, lo afferrò per le spalle e le strinse con forza. Suga, istintivamente, incassò il capo e inclinò la schiena all'indietro, cercando di allontanarsi dal leader furioso.
-”Non è una semplice canzone! E' una dichiarazione d'amore!”- quasi gridò, enfatizzando ogni parola con uno scossone.
-”Oh, andiamo!”- rispose Suga con una risatina nervosa che faceva capolino dalle sue labbra. -”Molte delle nostre opere sono dichiarazioni d'amore!”-.
-”Questa non lo è”- ringhiò sommessamente il leader.
Staccò le mani dalle spalle dell'amico e le alzò all'altezza della testa, abbassando con forza le palpebre e chinando il capo. Yoongi si ricompose, sprimacciando il divano e schiarendosi la voce.
-”Chi è?”- gli domandò stancamente Namjoon dopo quasi un intero minuto di silenzio.
Yoongi non rispose. Si guardò le mani candide e serrò le labbra, deciso a non aprire bocca. RM notò la sua reticenza e alzò un sopracciglio. Le aveva dedicato una canzone, rischiando di infangare la reputazione dei BTS, e adesso, di fronte al suo leader e caro amico, si peritava a parlarne?
-”Sei proprio un coglione”- si lasciò sfuggire.
Gli occhi scuri di Yoongi saettarono verso il volto tirato di Namjoon e il rapper più grande si lasciò scappare un sorriso rassegnato.
-”Puoi dirlo forte”- mormorò.
Nuovamente, com'era solito fare da una vita, Yoongi eresse un muro tra sé e l'esterno. Namjoon si sentì respinto; quasi avvertì il suono delle sue spalle che scontravano contro i mattoni della barriera di Suga. Strinse i pugni lungo i fianchi e, col petto che si alzava e si abbassava, contò fino a dieci. Doveva calmarsi, altrimenti non sarebbe riuscito a prendere lucidamente decisioni importanti.
Di fronte a sé aveva il genio Min Suga ridotto a uno straccio e incapace di sostenere una conversazione degna di tale nome; su SoundCloud c'era una canzone apparsa all'improvviso, una dichiarazione d'amore in piena regola firmata “Min Yoongi”. I piani alti lo avevano già contattato chiedendogli chiarimenti a riguardo, spiegazioni che nemmeno lui era in grado di fornire, dato che la causa dello scandalo mediatico si rifiutava di parlare.
RM recuperò il cellulare e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata a Yoongi, gli diede le spalle e si diresse verso l'uscita della stanza. Posò una mano sulla maniglia e la abbassò caricandola di quasi tutto il proprio peso.
-”Dove vai?”- gli chiese Yoongi con voce atona.
-”A cercare di contenere i tuoi danni”- rispose secco.
Aprì la porta e lasciò che si richiudesse alle proprie spalle. Fece un respiro profondo e nascose il volto tra le mani, iniziando a domandarsi come avrebbe dovuto gestire un'emergenza di quel genere. Era la prima volta che in casa Bangtan capitava un evento del genere; lo aveva colto alla sprovvista.
Chi sarà la nativa di Delo?”, si chiese con nervosismo.
Sperò con tutto se stesso che non si trattasse di un'ARMY.
-”...Cazzo”- mormorò preoccupato.
In fondo al corridoio, il suono ovattato di un paio di ciabatte si fermò di colpo.
-”Hyung”- lo chiamò Jungkook.
Namjoon girò il capo nella sua direzione e alzò gli occhi al cielo, sbuffando esasperato.
-”Non è il momento, Kookie”-.
Gli passò accanto ma la presa forte del maknae lo immobilizzò sul posto. Namjoon sbarrò gli occhi, sorpreso sia per la forza del più piccolo che per il suo gesto quasi irrispettoso. Jungkook vide lo sguardo spaesato e sorpreso del leader ma non mollò la presa.
-”Devo farti vedere una cosa”- disse a bassa voce.
-”Cosa?”-.
-”La ragazza di Delo”-.

 

 

 











ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti!
Che piacere tornare dopo più di un mese di silenzio >< Mi dispiace molto aver messo da parte le mie attività qui su EFP, ma questa sessione estiva d'esami è molto importante, perché dal suo esito dipende la mia laurea :> Spero possiate perciò comprendermi se aggiorno e recensisco una volta ogni morte di papa :(
Ho impiegato molto a scrivere questo capitolo, sia per mancanza di tempo che per indecisione nei confronti della reazione di Namjoon. Secondo voi è azzeccata o pensavate che, alla scoperta della canzone di Yoongi, avrebbe reagito in altro modo?
Nella speranza che anche questo nuovo capitolo possa essere di vostro gradimento, mando a tutti voi lettori e sostenitori un grande abbraccio <3
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 39
*** Deus ex machina ***


Jungkook aprì la porta della stanza come se sentisse sulle proprie spalle il peso di mille occhi. In realtà dietro di lui incombeva solo la figura di Namjoon con la schiena ricurva in avanti e il carnoso labbro inferiore stretto tra i denti.
Jungkook aveva pronunciato l'epiteto maledetto in un sussurro, un soffio caldo che aveva fatto rabbrividire il leader dei BTS.
-”La ragazza di Delo”- aveva mormorato con lo stesso timore con cui si lancia una maledizione di cui non si conoscono gli effetti.
Namjoon, udite quelle parole, aveva ordinato al maknae di fargli strada e di non perdere altro tempo. Lo aveva seguito al piano superiore con un rivolo di sudore che gli correva lungo la tempia sinistra, chiaro segno di nervosismo.
Il più giovane sgattaiolò dentro la stanza e Namjoon lo imitò, richiudendo subito la porta. Si voltò verso il centro della camera e sobbalzò quando si ritrovò Jungkook a nemmeno un metro di distanza.
-”Huyng, ci tengo a porgerti le mie scuse”- disse questo con occhi seriamente dispiaciuti.
-”Stai invadendo il mio spazio vitale, Kookie”- gli fece notare Namjoon. Quella tremenda situazione causata dall'incoscienza di Yoongi lo aveva reso particolarmente e facilmente irritabile.

Il maknae si irrigidì e si spostò di lato, sciorinando una serie di scuse borbottate.
-”...Avrei dovuto dirtelo subito”- sospirò alla fine passandosi una mano tra i capelli neri.
-”Sì, avresti dovuto”- concordò il rapper. -”Perché non lo hai fatto?”-.
Jungkook strinse le labbra e abbassò lo sguardo. Namjoon spalancò gli occhi, arrivando subito alla conclusione sbagliata. 
-”Suga ti ha minacciato?”- si informò incredulo.
Jungkook scosse la testa ma non argomentò. Andò a sedersi alla scrivania e, dopo aver riattivato il monitor, sfogliò le cartelle del computer in religioso ma teso silenzio. RM, sempre più convinto che Yoongi avesse perso del tutto la ragione, lo affiancò. Incrociò le caviglie e posò una mano sullo schienale della sedia. I lineamenti dei due ragazzi venivano messi in evidenza dalla brillante luce azzurrognola dei led del monitor. Il puntatore del mouse, dopo qualche minuto di folle ricerca, si fermò sopra una cartella che il maknae aveva chiamato “111”.
-”Che cos'è?”-.
-”Sono le foto che lo hyung ha fatto in Italia”- spiegò Jungkook guardando la mascella serrata di Namjoon.
Si alzò e invitò l'amico a prendere il suo posto. RM, dopo un attimo di titubanza, accettò il timoroso invito e si piazzò sulla poltrona girevole. Puntò i piedi per terra e si avvicinò al computer. I suoi occhi affilati scivolarono sul mouse nero, ma la sua mano destra non si mosse. Artigliò i braccioli e allargò le narici, respirando a pieni polmoni l'aria scura della stanza. Jungkook, in piedi dietro di lui, era un fascio di nervi tesi.
-”Devi vederle”- disse nervosamente.
Spinto dall'ansiosa esortazione di Jungkook, Namjoon annuì: la sua mano cadde come una mannaia sul mouse e il ticchettio del doppio clic si riverberò nell'aria come funerei colpi di cannone. La cartella “111” si aprì e sciorinò una dietro l'altra le foto di Yoongi, mostrandole fieramente agli occhi attenti del rapper. Namjoon le scorse una dopo l'altra, rimanendo del tutto indifferente di fronte ai paesaggi e agli scorci toscani. A un tratto il suo sopracciglio sinistro scattò verso l'alto. Jungkook sussultò nell'ombra, già sapendo quale foto avesse catturato l'attenzione del leader. RM aprì l'immagine e la fissò in silenzio per qualche attimo, lo sguardo torvo intrappolato in un lucente reticolo rossastro. Aprì la bocca per dire qualcosa ma ci ripensò subito, tappandosi le labbra carnose col dorso della mano sinistra.
-”E' lei”- dichiarò Jungkook confermando i suoi pensieri.
Più scendeva verso il fondo della cartella e più i paesaggi lasciavano spazio a folli ritratti e primi piani di una ragazza dai capelli rosso mogano. Ritenere che fosse una semplice e sconosciuta ragazza del posto era da sciocchi: era fin troppo chiaro che lei e Suga avessero un certo grado di confidenza.
Namjoon si accasciò contro lo schienale e puntellò i gomiti sui braccioli, intrecciando le dita e premendo i pollici contro le labbra. Il braccio tonico e muscoloso di Jungkook invase da destra il suo campo visivo e la mano del maknae si impadronì del mouse.
-”Guarda questa”- gli disse aprendo una delle ultime foto.
Entrambi i ragazzi fissarono l'immagine in silenzio, uno con rinnovata meraviglia e ammirazione, l'altro con sorpresa e incomprensione. Namjoon alzò il capo e guardò Jungkook, aspettandosi una spiegazione.
-”Adesso hai capito, hyung?”- si strinse nelle spalle indietreggiando di qualche passo e indicando il monitor con un cenno della mano. -”Non so chi sia questa ragazza, ma Suga-hyung doveva volerle molto bene. Non fai delle foto del genere a delle persone a caso. Non fai una foto come questa a uno sconosciuto”-.
-”Cazzo”- fu tutto quello che RM riuscì a dire. Si alzò dalla poltrona e prese a camminare nervosamente avanti e indietro. Jungkook lo seguiva con lo sguardo, indeciso sul da farsi.
Che quella ragazza fosse una precedente conoscenza di Yoongi era da escludere. In più di cinque anni di convivenza non aveva mai nominato un contatto in Italia, neppure al momento dell'annuncio del viaggio, per cui la ragazza di Delo era entrata nella sua vita proprio in quella settimana all'estero.
Ma come?
Come aveva fatto Yoongi a entrare così in confidenza con una ragazza occidentale?
-”Probabilmente c'è un'altra cosa che non sai”- disse Jungkook dopo un po'.
Namjoon si sentì mancare. Yoongi aveva scritto, composto e pubblicato una dichiarazione d'amore per una ragazza conosciuta in vacanza: poteva andare peggio?
-”...Viv...no ins...m...”- mormorò Jungkook.
-”Non ho capito, Kookie. Alza la voce”-.
Il Golden Maknae si schiarì la gola. Aveva il sentore che non sarebbe andata a finire bene.
-”Vivevano insieme”-.
Gli occhi di Namjoon si spalancarono e il suo incarnato sbiancò. Jungkook poté giurare di aver sentito il suono secco della mascella di Namjoon che si irrigidiva.
-”Loro cosa?!”- gridò.
-”Vivevano insieme!”- ripeté Jungkook ad alta voce, in automatica risposta al duro tono del leader.
-”Lo sapevo!”- esclamò una voce profonda spalancando la porta della camera.
Jungkook e Namjoon sobbalzarono e si voltarono a guardare sorpresi Taehyung, il quale entrò nella stanza e, sorridendo tra sé e sé, andò diretto ad aprire le tende. La luce del giorno inondò l'ambiente buio e fece strizzare gli occhi ai due ragazzi che fino a quel momento avevano fatto affidamento solo e unicamente sulla luce artificiale del computer.
-”Molto meglio, no?”- domandò soddisfatto.
RM e Jungkook si scambiarono un'occhiata spaesata. Taehyung incrociò le braccia al petto e indicò il monitor con un cenno del mento.
-”Sarebbe lei la ragazza di Delo?”-.
Jungkook boccheggiò, non sapendo se buttarsi sul computer per nascondere le foto di Suga o se arrendersi e spifferare tutto a tutti. Fortunatamente per lui, ci pensò Namjoon a prendere in mano le redini della situazione.
-”Sì”- confermò il leader. -”Ci stavi origliando, vero?”-.
V scosse la testa.
-”Sono passato davanti alla porta giusta nel momento... giusto”-.
Namjoon gonfiò il petto ed espirò rumorosamente. Le incredibili doti recitative di Taehyung erano famosissime in casa Bangtan, così come la sua impenetrabile faccia da poker. Stabilire se Kim Taehyung stesse mentendo o meno era paragonabile a una delle Dodici Fatiche di Ercole.
-”Sembra carina!”- esclamò il bugiardo professionista fiondandosi verso il computer. Diede una veloce occhiata a tutte le foto, dilungandosi in entusiasti apprezzamenti sull'architettura italiana e sui paesaggi toscani. -”Ah, ecco le foto della casa”-.
Namjoon, richiamato dalla terra dell'ansia, scattò e affiancò immediatamente Taehyung, temendo di incappare in qualche scatto spaventosamente compromettente. Le immagini, fortunatamente, non erano niente di che, ma confermavano ciò che Jungkook aveva detto qualche minuto prima, ovvero che Yoongi e la ragazza di Delo avevano convissuto.
-”Che cucina piccola!”- si meravigliò V indicando una foto in cui la famosa giovane, coi capelli legati in una coda alta, stava montando la moka sul tavolo della cucina.

-”Si può sapere cosa cazzo ha combinato Suga in Italia?!”- ringhiò RM, più a se stesso che ai suoi due compagni.
Per la prima volta nella sua carriera da leader si sentì perso.
La situazione stava peggiorando minuto dopo minuto; era come se a ogni suo respiro dovesse prepararsi a incassare un nuovo e sempre più forte pugno nello stomaco. La canzone era già stata pubblicata, per cui era troppo tardi per rimuoverla e far finta che non fosse mai esistita. Internet ricorda, così come i fans. I piani alti della BigHit lo avevano contattato a pochissimi minuti dall'uscita della canzone, chiedendogli spiegazioni sull'inattesa e per niente programmata pubblicazione di Suga. Probabilmente trovare una scusa per il suo colpo di testa sarebbe stato facilissimo, sapendo come Min Yoongi era fatto: il suo sogno era quello di diventare un produttore, non un idol, perciò era del tutto naturale che producesse e pubblicasse canzoni a sorpresa. Quello che invece costituiva il problema maggiore e potenzialmente più distruttivo di tutti era il testo di quella maledetta canzone.
-”Perché sei così preoccupato, Namjoon?”- gli chiese Taehyung dopo averlo osservato durante il suo arrovellamento. -”Finché queste foto non saltano fuori, Suga-hyung può fare quello che vuole. Guarda il lato positivo: la ragazza di Delo vive dall'altra parte del mondo, per cui le probabilità che lo hyung sia stato spottato in sua compagnia sono veramente basse”-.
Mai avrebbe pensato che sarebbe stato proprio Taehyung, il ragazzo sognatore con la testa tra le nuvole, a servirgli su un meraviglioso piatto d'argento le basi per un pacato punto di vista oggettivo. Namjoon si passò una mano sulla nuca e sbuffò, domandandosi come avesse fatto a perdere la sua caratteristica calma e a finire con lo sbraitare contro Yoongi e Jungkook. Si coprì gli occhi e scosse la testa.
-”Ragazzi, scusatemi”- mormorò. Allargò le braccia e si strinse nelle spalle. Un velo di vergogna gli imporporò le guance. -”Non so cosa mi sia preso. Kookie, davvero, ti chiedo scusa per come ti ho trattato”-.
Jungkook scosse la testa e sorrise, visibilmente sollevato nel vedere il leader tornare in possesso delle proprie brillanti capacità mentali.
-”Basterà far finta di niente”- continuò V senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle foto di Suga. -”O potremmo addirittura chiedere agli ARMY cosa pensano della canzone, mostrare supporto ed entusiasmo per il lavoro dello hyung... Insomma, le solite cose che facciamo ogni volta che qualcuno di noi pubblica un proprio lavoro”-.
-”Hai perfettamente ragione”- concordò Namjoon. -”Faremo... Sì, faremo così”- annuì. Indicò a Jungkook il computer. -”Inutile che ti dica che quelle foto non dovranno mai vedere la luce del sole, vero?”-.
-”Che cosa losca da dire!”- rise Taehyung lasciando la propria postazione e dirigendosi verso la porta con le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni della tuta.
Fece per andarsene ma all'ultimo ci ripensò. Si appoggiò allo stipite della porta e rimase per qualche minuto a osservare RM e Jungkook mettersi d'accordo sul destino delle immagini e chiedersi scusa in continuazione. Il repentino cambiamento d'umore da parte del suo leader lo aveva allo stesso tempo rasserenato e preoccupato. Taehyung, compagno di stanza di Namjoon da anni, aveva imparato a conoscere RM sotto vari aspetti, e uno di questi concerneva la delusione: Kim Namjoon veniva ferocemente assalito dalla rabbia solo ed esclusivamente quando si sentiva tradito da una persona amica.
-”Dove vai?”- sentì dire da Jungkook. V riemerse dal fiume dei suoi pensieri e sbatté le palpebre un paio di volte. Seguì con lo sguardo Namjoon mentre gli passava di fianco e si fermava sulla soglia della camera a salutare frettolosamente i due amici.
-”A fare una passeggiata. Devo schiarirmi le idee”-.
-”Non chiedi scusa a Suga?”- gli domandò V affacciandosi nel corridoio per poter continuare a vederlo.
-”Non lo so. A più tardi”-.
Taehyung e Jungkook si scambiarono un'occhiata perplessa, poi il secondo si affrettò a chiudere la cartella “111” e a fare finta che non fosse successo niente; consigliò a V di fare altrettanto, di tornare a svolgere le solite mansioni, di non dire niente agli altri e di archiviare per sempre la questione della ragazza di Delo.
Taehyung l'avrebbe fatto più che volentieri se non avesse ricevuto qualche ora dopo uno strano messaggio da parte di Namjoon.

 

- Se lo merita, non credi?

 

Digitò la risposta con un sorrisone a illuminargli il volto. Non credeva che Namjoon sarebbe giunto alla sua stessa conclusione, non dopo averlo visto così arrabbiato.

 

- Sarà divertente!

 















 

ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti!
Dopo un silenzio durato più di un mese, eccomi tornata col nuovissimo capitolo! Credo (ma potrei sbagliarmi) di avervi già anticipato che nel periodo estivo e, più o meno, fino a novembre le pubblicazioni avranno un ritmo molto irregolare a causa dei miei ultimi esami e della scrittura della tesi di laurea :< Vero è che non so se gli aggiornamenti arriveranno fino a novembre, visto che, secondo i miei calcoli, mancano DUE O TRE capitoli alla fine della storia >:)
EHEHEHEHEH!
Grazie a tutti per il supporto e l'amore che avete dato e date a questa fanfiction <3
Ci vediamo al prossimo capitolo! ^^

 

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