New Dawns

di louisismyhusband
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


È la notte del ventuno dicembre millenovecentonovantasei quando Sophia viene al mondo. 
Sua madre, Nadia, di cui ella conosce solamente il nome, si dice abbia sacrificato la sua stessa vita durante il parto, pertanto Sophia non ha mai potuto conoscerla. Nessun familiare si è mai fatto vivo dopo la sua nascita ed il duro destino che ha segnato la sua esistenza sin dal primo giorno la conduce a dover vivere per molti anni in un orfanotrofio, dove il suo carattere e le sue doti iniziano ad emergere spontaneamente.
Immensamente devota alla lettura e all'arte classica, da sempre trascorre le sue giornate dedicandosi al leggere, vogliosa di imparare e di apprendere quanto più possibile, bramando per lo più di raccontare ciò che le accadeva di giorno in giorno in quel posto che detestava con tutta se stessa.
La mancanza di un genitore, di una famiglia, è lampante nel cuore di Sophia che custodisce le sue tristezze nel profondo della sua anima, dedicandosi a vivere la sua vita trasmettendo, in ogni caso, allegria e solarità a qualsiasi persona la conosca.
Il suo destino cambia quando la famiglia White decide di adottarla, restando fortemente colpita dalla sua personalità che si distingue da quella degli altri bambini residenti in quell'orfanotrofio. 
Tutto cambierà quando Sophia inizierà ad avere a che fare con persone della sua stessa età, con delle famiglie, degli interessi e delle ambizioni. 
Tutto cambierà quando il mondo di Sophia si aprirà ad orizzonti nuovi, diversi dall'ordinario.
Riuscirà, perciò, a fronteggiarli?

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Capitolo 2
*** 1. ***


Casa White è da sempre uno dei luoghi più profumati che abbia mai conosciuto.
Mrs. White, o meglio, mia madre adottiva, è così attenta all'igiene che persino uno sconosciuto è stato messo al corrente dell’importanza del pulirsi le scarpe prima di entrare in casa o del fare attenzione a cosa o chi possa nuocere alla perfezione di questo posto. Sebbene la sua fissa sia evidente, Suzanne non ha mai assunto la parte della "padrona petulante ed insistente" che tartassa non solo i suoi ospiti o noi, effettivi residenti della casa ma, anzi, è sempre stata una persona estremamente tranquilla e dolce, esigente di rispetto e considerazione verso le regole che questo tetto ha da sempre imposto.
Essendo stata adottata alla tarda età di undici anni, sono diventata una White a tutti gli effetti da pochi mesi. Registrarmi all'anagrafe come Sophia Nadia White, modificare il mio cognome e diventare finalmente chi ho desiderato essere da molto tempo a tutti gli effetti è stata una bellissima sensazione di libertà che chiunque realizzi un importante desiderio può affermare di comprendere. 
Nadia, mia madre biologica, si sia stata una donna giovanile, solare, allegra, che avrebbe fatto di tutto per permettere a me, la sua unicogenita, di nascere, persino sacrificando la sua stessa vita. Io, però, non ho mai conosciuto né lei, né mio "padre". 
La mia esistenza è stata caratterizzata da vari episodi che custodisco e condivido solamente con me stessa: non potrei mai rivelare a nessuno i più segreti ricordi e pensieri che ho accumulato durante la mia esperienza di vita in orfanotrofio e, per questo motivo, ho finto ed ho provato da sempre ad essere chi non sono mai stata, almeno fino ad oggi.
Da quando vivo in casa White ho tentato di mettere da parte ogni brutto ricordo che ha abitato la mia mente per anni ed anni, lasciandomi persino coinvolgere da quella che dovrebbe essere una normale vita per una tutt'altro che normale ragazza della mia età. Il liceo, le nuove amicizie che ho instaurato, i miei interessi, contribuiscono a farmi sentire una semplice diciottenne che si rispetti e, soprattutto, di vivere a pieno la mia vita.
Iniziare a pensare al mio futuro, però, non è per niente facile in quanto sono estremamente decisa a non iscrivermi ad una facoltà di lettere. Seppur io abbia una grande passione per la scrittura, sono convinta di voler coltivare questa passione come un semplicissimo passatempo e, perciò, ho optato per una facoltà che possa darmi lo spazio che necessito per mettermi alla prova: la facoltà di giurisprudenza. Essere un avvocato, "l'avvocato White", suonerebbe bene?

Riuscirei a fantasticare ore ed ore su quale vorrei fosse il mio destino ma, essendo ancora una liceale che attende il giorno del diploma, aspetterò che l'estate mi dia il tempo di incamminarmi verso un capitolo completamente nuovo della mia vita. 
Gli ultimi giorni del liceo sono stati decisamente troppo intensi: le ultime prove d'esame e la sensazione di libertà che si sta avvicinando sempre di più, sembrano terrorizzare e tranquillizzare, allo stesso tempo, ogni studente, mentre altri, invece, sono esaltati all'idea di diventare "grandi".
Perché questo desiderio li fa sentire così felici? Da quando diventare adulti è un bene? Troppe responsabilità, troppe difficoltà da dover affrontare da soli e, soprattutto, l'intravedersi di un futuro buio, indecifrabile, impossibile da definire in quanto la società che ci circonda ci impone delle regole troppo ardue da rispettare con facilità. Cosa c'è di bello in tutto questo?
Crescere troppo velocemente è, ormai, lo stile di vita che mi porto dietro sin dalla mia nascita, ma questo scoglio, la fine del liceo, è realmente un passo troppo grande per me da affrontare adesso. Non credo di esser pronta a superarlo.
La mia vita mi piace così com’è ora: adoro mia madre adottiva, Suzanne, che ogni mattina mi sveglia con un dolce profumo di caffè appena preparato e poi adoro mio padre adottivo, Richard, che mi porta perennemente dei regali dai suoi viaggi lavorativi e mi fa sentire parte integrante della famiglia.
Un dettaglio che, invece, non amo particolarmente è mio fratello adottivo, Jason, che non fa altro che rompermi le scatole. Con Jason non siamo mai stati molto uniti, anzi, il "tipetto" è sempre stato geloso di me, a detta di Suzanne.
Lui non è stato adottato, ma, secondo i due White, io sembro essere caratterialmente più simile a loro, rispetto che a lui. Non molto più grande di me, Jason è un tipo sulle sue: cupo, distaccato, disinteressato e taciturno. Da bambina, spesso, mi chiedevo se parlasse, se mi sentisse… quando, poi, a tredici anni mi domandò finalmente, dopo un anno e mezzo, quale fosse il mio nome, capii che era semplicemente indifferente alla mia presenza ed il mio desiderio di avere un fratello maggiore in grado di proteggermi svanì assieme alle sue cose, che raccattò e portò in un'altra stanza per starmi lontano.
Il figlio unico, il primogenito, si sa, cerca sempre tutte le attenzioni dei genitori e quando il secondogenito arriva, tutta la felicità sparisce ed è come se un estraneo ti "rubasse" qualcosa, invadesse il tuo spazio ed il tuo ritmo e, con ciò, le attenzioni che ti sono sempre state dedicate.
Le mie intenzioni non sono mai state queste e Jason lo sa bene, ma ha comunque trovato il coraggio di accusarmi di aver distrutto l’equilibrio della loro famiglia ed io sono convinta che l’unica cosa che io abbia mai distrutto siano state le sue intenzioni di avere un monopolio sui suoi genitori, che non tratta poi così bene come, invece, dice di fare.
Così, mi sono rassegnata all’idea che non sarebbe mai stato un fratello geloso, un amico, e che io non sarei mai stata in grado di capire quale reale sentimento provi realmente per me.
Gli occhi ignavi di Jason mi hanno reso consapevole molte volte di quanto io sia diversa da lui. Sono una diciottenne dai capelli color della cenere, che però amo molto tingere di un color mogano e dagli occhi verdi. I White hanno tutti una carnagione chiarissima e perfetta, soprattutto Suzanne che, per i suoi cinquant’anni, dovrebbe ricevere un premio per essere così bella e curata. Richard sta perdendo i suoi capelli folti e castani ed i suoi occhi verdi mi ricordano degli smeraldi. Per fortuna, non somiglio nemmeno un po’ a Jason, visti i suoi capelli biondi ed i suoi occhi chiari, simili a quelli di suo nonno. Io e Suzanne siamo andate spesso dal parrucchiere insieme e lei ha deciso di tingere i suoi capelli dello stesso colore che io, ormai, sono solita usare da un paio d’anni. Questa somiglianza che c’è tra noi ora mi consola un po’, mi fa sentire più simile a lei, anche se so che saremo sempre e comunque provenienti da mondi diversi. Essere adottata, avere dei tratti fisici diversi dai loro, però, non mi fa sentire del tutto un'estranea.
I White sono stati la famiglia che pensavo di non poter avere mai, coloro che mi hanno tirato su, che mi hanno salvato da un tremendo destino. Mi hanno per messo di diventare chi sono ora, donandomi tutto ciò di cui avevo bisogno.
Sono stati la mia ancora di salvezza.
Sebbene sia stata, da sempre, un po' “particolare”, tutti quanti, soprattutto a scuola, mi hanno accettato inevitabilmente, un po' per dovere ed un po' perché fortunatamente mi hanno trovata simpatica.
Sin da bambina, mi sono accorta di essere leggermente fuori dall’ordinario.
La prima allucinazione si è presentata quando avevo sette anni: mi ero nascosta da alcune ragazze dell'orfanotrofio che si stavano divertendo ad appendermi a testa in giù in giardino. Essendo piccola, mingherlina e furbetta, non riuscivano sempre a catturarmi ma, quando lo facevano, il gioco diventava pesante ed io restavo rinchiusa in qualche armadio, sotto qualche mobile, ad aspettare che qualcuno arrivasse per salvarmi.
Un particolare giorno di ottobre mi ero nascosta in un armadietto nel bagno delle cuoche, dove nessuno mi avrebbe trovato prima di sera. Gli occhi bruciavano già da qualche giorno e la testa aveva iniziato a pulsare insistentemente. Continuavo, inoltre, a percepire un pensiero che, inconsciamente, mi stava convincendo che, se avessi fissato un mobile, un lavandino, insomma, qualcosa di solido, avrei potuto finalmente liberarmi dal dolore. Pensavo davvero di essere al sicuro in quel posto, ma non ero al sicuro da me stessa e dalle allucinazioni dolorose che, da qualche giorno, avevano iniziato a perseguitarmi. Fu quando sentii le voci stridule di quelle bullette che mi sporsi leggermente ed iniziaii ad osservare attraverso una piccola fessura il lavabo di fronte a me.
Quest’ultimo, dopo pochi secondi, aveva iniziato a rigettare acqua sporca, quasi come se fossi stata io a ordinarglielo. In pochi attimi, tutto era diventato completamente incomprensibile ed il mal di testa si trasformò in un dolore così forte che svenni, incapace di capire cosa fosse realmente successo.
Ancora oggi mi domando perché quel giorno stetti così male, ma ricordo semplicemente di essermi risvegliata in piena notte, di essere sgattaiolata nel dormitorio e di aver scampato l'ennesima tortura. 
Assieme alla mia famiglia, al mio migliore amico Harry ed alle persone conosciute a scuola sono riuscita a non pensare più alle allucinazioni e ad infischiarmene se in mia presenza fosse accaduto qualcosa di inspiegabile e strano. Ad ogni allucinazione, ormai, ho constatato che inevitabilmente mi ritrovo svenuta, priva di sensi e di spiegazioni per ciò che mi accade. Odio essere così fragile, così incapace di reagire agli orrori che si celano nella mia testa e, di tanto in tanto, che mi ritrovo davanti agli occhi senza volerlo.
So che c’è qualcosa di particolare in me, ma non è nulla che un medico possa risolvere. Sono in perfetta salute, ho sempre fame ed i miei svenimenti non si spiegano. Eppure, sono convinta che un giorno Suzanne deciderà di portarmi da un medico e da lì ci vorrà poco prima che mi rinchiudano in un manicomio.
 
Tornando ad oggi, mi sono accordata con Harry per una passeggiata per prepararci psicologicamente alla consegna dei diplomi che ci sarà tra due giorni. Ho conosciuto Harry al secondo anno, dopo aver passato il primo a crogiolarmi beatamente tra libri e solitudine, senza mai parlare con nessuno. Non sono mai stata definita "strana", ma semplicemente taciturna e solitaria rispetto alle mille diverse personalità presenti alla Holloway School, la mia scuola superiore.
Il giorno in cui ho conosciuto Harry mi sono accorta che anche io potevo essere una semplice ragazza con, almeno, un amico con cui condividere delle emozioni, delle esperienze ed è stato solo grazie a lui se durante gli anni del liceo sono riuscita a socializzare un po' di più con gli altri ed a smettere di usare gli occhiali da vista, per aggiunta finti, per evitare di sembrare più nerd di quanto già non fossi realmente. 
Ogni tanto è capitato che qualcuno mi abbia deriso o fatta sentire diversa solo perché orfana, adottata e con evidenti problemi di equilibrio mentale addizionati ad un look estremamente classico, ma Harry c’è sempre stato, pronto a sostenermi nonostante io non sia mai stata fiera di me stessa o delle mie potenzialità.
Sta di fatto che, questa mattina, non ho alcuna voglia di alzarmi, vestirmi e fare una passeggiata. Tutto sembra troppo lontano visto dal mio letto, io ho caldo e sono così stanca pur non avendo fatto nulla tutto il giorno. Sono circa dieci minuti che il mio cellulare, che è in carica sul comodino accanto al mio letto, sta squillando ininterrottamente. So di essere troppo pigra: non ho voglia nemmeno di allungarmi per afferrarlo e penso che osservarlo e desiderare che si catapulti “magicamente” da me sia estremamente inutile. Certe volte mi ritrovo a fantasticare su come sarebbe la mia vita se facessi parte di una delle tante serie tv che amo guardare. Spesso, quando mi sveglio al mattino, inizio ad elaborare una serie di idee per dei racconti brevi che scrivo. La mia mente è sempre stata ricca di idee, spesso venutemi in sogno. Mi piace pensare di saper volare, di respirare sott’acqua, di essere in un corpo di un animale o di guardare dall’alto ciò che succede in città, seduta da qualche parte nel cielo. Mi piace immaginare spesso di comandare gli oggetti con la mente ed è questo il sogno ricorrente che faccio. E, spesso, odio svegliarmi e non sapere quando ritornerò a sognare così.
I miei pensieri sono nuovamente interrotti dal mio cellulare che sta squillando ininterrottamente ed io decido di voltarmi e di afferrarlo per mettere fine a questo strazio, ma il telefono non c’è. Così, mi siedo velocemente sul letto e mi ritrovo a vedere qualcosa di totalmente inaspettato. Il mio cellulare è sospeso in aria e va a destra ed a sinistra, in alto ed in basso. Sono così spaventata che lancio un urlo e mi metto le mani sul volto, sperando che sia tutto uno scherzo. È come se il tempo si sia fermato per un momento. Tutto nella mia testa inizia ad avere un senso logico, come quando inizio a pensare ad una soluzione ai miei problemi, a quanto voglia essere effettivamente diversa dal resto del mondo, a quanto mi senta tale, ma non so sinceramente come definire questa distanza che percepisco nei confronti del genere umano, se non continuando ad indossare vestiti strani ed a pettinarmi i capelli con treccine o code di cavallo alte, nascondendomi dietro un paio di occhiali rotondi di ferro.
Seppur sia estremamente convinta che nulla di quello che è appena successo sia reale, apro gli occhi non appena il telefono cessa di squillare, come per magia, mi accorgo che tutto sta invece realmente accadendo. 
Il mio cellulare ha iniziato a digitare il numero di Harry mentre levita davanti al mio viso, le mie mani sono impresse sulla mia fronte pulsante di dolore.
Il mio iPhone resta sospeso in aria davanti a me e la voce di Harry è strepitante al telefono. Sono confusa, non capisco cosa stia succedendo.
"Un'altra allucinazione", penso, ma mi accorgo che tutto ciò che sto vivendo è reale. Non ho mai vissuto niente di simile.
In pochi secondi, il tempo ha ripreso a scorrere ed un dolore lancinante è scoppiato nella mia testa, stordendomi completamente. Niente è chiaro, niente è comprensibile, so solo che dopo questa allucinazione ed il cuore che non smette di palpitare velocemente nel mio petto, sono svenuta per l'ennesima volta.
 

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Capitolo 3
*** 2. ***


Svegliarsi dopo una sbornia è una delle sensazioni peggiori del mondo. Hai un mal di testa da capogiro, lo stomaco è sotto sopra e tutto intorno a te sembra non avere senso. Ed è questo ciò che mi è successo, no? Credo di essere uscita con Harry e di essermi ubriacata per poi risvegliarmi con un dopo-sbronza colossale. I pensieri frullano nella mia testa ed io mi ripeto che i ricordi impressi di ciò che è accaduto prima che svenissi facevano probabilmente parte di uno dei miei strani sogni. 
Mi faccio coraggio ed apro gli occhi, rendendomi conto di non essere nella mia stanza. Immediatamente cerco di mettere a fuoco ogni avvenimento fino ad arrivare al mio blackout, ma riesco solo a pensare di star impazzendo per l'ennesima volta.
Mi siedo sul letto sul quale sono stata stesa fino a pochi secondi fa e mi guardo intorno: la stanza è decisamente enorme ed il mio letto non è l'unico presente in quest'ambiente, grande quasi quanto tutta la mia casa. Non riesco a contarli, ma ci saranno almeno venti letti e mi sto meravigliando di come siano tutti perfettamente sistemati. La camera ha un soffitto altissimo e mi sembra di essere in un castello ottocentesco, con finestre enormi ed una puzza di vecchio che nemmeno la casa di mia zia novantenne Evelyn avrebbe potuto sormontare. Questo deve essere un ospedale davvero vecchio. E se fosse un manicomio? Suzanne e Richard devono avermi trovata svenuta ed aver deciso di lasciarmi a marcire in una casa per persone con problemi mentali...
Sto sperando di star ancora sognando. È l'unica opzione plausibile, l'unica giustificazione a questa follia che sento di star vivendo. 
Cerco immediatamente il mio telefono e lo trovo sul comodino accanto al letto, notando che sono passate ben sei ore da quando avrei dovuto vedermi con Harry e che, soprattutto, i suoi messaggi sono diventati da preoccupati ad arrabbiati e, poi, a preoccupati di nuovo.
Digito il suo numero e lo chiamo, sperando di capire cosa sia successo. Se è davvero un sogno, prima o poi mi sveglierò.
«Si può sapere che fine hai fatto?!» mi chiede. È arrabbiato, ma come biasimarlo?
«Se lo sapessi, te lo direi. Secondo me sto sognando. Tu me lo diresti se questo fosse un sogno, vero?»
«Sophia. Cosa hai fatto? Hai per caso sbattuto la testa e perso qualche neurone?» 
Non ricordo di essere caduta, ma qualcuno deve avermi drogata mentre dormivo, perché ho appena iniziato a sentire l'adrenalina salire nel mio corpo minuto, il cuore battermi forte nel petto.
«Non ho fatto niente del genere, Harry. Mi sono svegliata in una stanza, probabilmente di un edificio enorme ed antico, credo di essere in un manicomio... Sai, mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, forse nell'Ottocento?! Non lo so cosa sia successo, credimi. Non ho idea di cosa stia succedendo!»
«Sei seria? Mi stai prendendo in giro, dai. Dirmi che ti sei addormentata o che mi hai mollato qui ad aspettarti per qualche tua improvvisata sarebbe meglio, piuttosto che sentirti abbozzare così delle scuse assurde. Ci senti-» 
«Non mi credi? Allora ti invierò una foto o qualcosa del genere! Non so dove sono e, se i miei non sono qui probabilemente saranno allarmati, dì loro che sto bene, okay? Anzi! No, non dire niente... Probabilmente questo è un sogno ed ora devo solo aspettare di svegliarmi...»
«Sophia... sei seria? Non stai sognando, sei sveglia: te lo assicuro. Ora, dimmi dove sei che vengo a prenderti»
«Non lo sono mai stata di più, Harry! E non so dove sono... ora devo solo capire come andarmene... perché sono qui?!» dico, con un tono di voce supplicante, confuso. 
È mentre gli dico quelle parole che noto una figura avvicinarsi. È un ragazzo, giovane, sicuramente più grande di me. Indossa dei vestiti neri, larghi e anche un po' sporchi, forse di fango? 
«Harry, devo andare ora. Credo che stia arrivando un infermiere... malvestito, comunque. Ti richiamo, d'accordo?» improvviso, nervosa. Lui acconsente supplicante di ricevere mie notiezie ed io lo saluto terminando la telefonata. 
Prendo coraggio prima di mettermi in piedi. Mi dirigo spaesata verso quel ragazzo, poco più alto di me, ma non mi avvicino molto, non so cosa voglia farmi. Non è certamente un infermiere... sembra essere anche ferito su un occhio. Forse è un paziente? O forse sono io che sto viaggiando con la mia mente? Sta di fatto che stringo i pugni lungo i fianchi ed assumo un'espressione decisa e sicura o, almeno, ci provo.
«Scusami, dove mi trovo esattamente?» gli chiedo immediatamente. "Chi sei tu? Perché sono qui?" sono le prossime domande della mia lunga lista. 
Ora che gli sono più vicina, posso osservare il suo restarsene composto dinanzi la mia totale confusione. I suoi occhi chiari mi scrutano velocemente, come se stesse cercando di carpire in qualche modo le mie movenze. 
«Ti sei svegliata, finalmente» accenna, sorridendo con gentilezza. Non sembra "cattivo" «Io sono Brandon, Campbell se ti interessa saperlo, e sono stato incaricato di portarti qui sotto l'ordine del preside Halliwell».
Io sbianco. Ripeto le sue parole nella mia mente per cercare di ricordarmi di un eventuale preside che, però, non ho mai sentito nominare. Sono ancora più spaesata, ma la sua tranquillità mi secca. Questa sarebbe una scuola? Ma di che stiamo parlando?
«Questo è sequestro di persona, lo sai, Brandon Campbell? Io non ho idea di chi sia questo "preside Halliwell" e ti consiglio di lasciarmi andare prima che io chiami la polizia!» improvviso stringendo il cellulare tra le dita.
Non sono mai stata brava a fare la dura, ma spero che questa frase lo convinca a lasciarmi andare. Non so nemmeno dove mi trovo, ma sicuramente quando sarò fuori da questa situazione potrò trovare la strada per tornare a casa. 
Lui allarga le labbra in una risata, visibilmente divertito e compiaciuto dalle mie parole spropositate. Così, le mie aspettative di andare via si distruggono come la carta sul fuoco. 
«Suvvia, White. Calmati. Se avessimo voluto farti del male ti avremmo legata o, non so, ti avremmo lasciata svenuta in camera tua...» mi dice, infilandosi le mani in tasca. Conosce già il mio cognome: brutto segno.
« Non so chi siete e non so perché siate venuti in camera mia... sapevate che ero svenuta per– insomma... perché sono qui?» mi limito a chiedere.
«Ecco una domanda sensata! Te lo spiegherà il preside non appena lo vedrai ma, visto che sei così curiosa... in parole povere: mh, no, sono certo che non lo capirai. Non sta a me dirti tutto questo ma... sei qui perché sei un Augeo e, in quanto tale, sei diversa dal resto degli esseri umani. Ti abbiamo prelevata dalla tua stanza perché il nostro compito è quello di riuscire a radunare quanti più Augei possibili per poterli educare»
A quelle parole, la mia espressione diventa più ebete di quanto già non lo era finora e, come aveva già anticipato Brandon, mi rendo conto di non aver capito minimamente di cosa sa parlando. Cosa sarei io? E cosa sarebbero loro? Sconosciuti che vogliono farmi credere di essere chissà cosa per rinchiudermi, probabilmente, in qualche centro psichiatrico?
«Non sai cos'è un Augeo. Giusto» aggiunge.
«No. Non è scontato che io sappia cosa stia succedendo. Tu mi stai prendendo palesemente in giro ed io sto davvero iniziando a stancarmi di tutto questo. Posso tornarmene a casa? Che senso avrebbe educarmi, come dici tu? E cosa dovrebbe, esattamente, essere un Aug–eo? È una malattia degenerativa del cervello?» chiedo, tanto per capire quanto grave sia la situazione. Incrocio le braccia al petto nell'attesa di una sua risposta e, per un attimo, mi pento di averlo chiesto. 
Il ragazzo dalla chioma riccia e castana mi osserva, rassegnato, ed alza entrambe le spalle in segno di rinuncia. I suoi occhi blu mi guardano improvvisamente con pazienza, ma non m'importa dato che non so cosa stia succedendo e spero che quest'incubo termini presto.
«Un Augeo è una persona potenziata, in parole povere. Noi Augei siamo persone con un dna più complesso rispetto al resto del genere umano e nasciamo con particolari doti... ad esempio la telecinesi, il controllo degli elementi ossia terra, acqua, fuoco ed aria oppure con una forza sovraumana che ci permette di combattere contro qualsiasi tipo di essere umano o animale che sia» dice. È esaustivo e non mi aspettavo fosse così coinciso. I miei occhi si rilassano: sembra tutto estremamente affascinante, proprio come accade spesso nei miei sogni, finché non realizzo le sue parole di pochi minuti prima: "tu sei un Augeo"
«Ed io sarei un coso del genere?» mi sono espressa male? Sta parlando di questi Augei come se stesse parlando di Dio...
«Sì, sei un "coso" del genere» mima con le dita le virgolette «e sarà mio compito istruirti» dice, voltandosi ed incamminandosi verso la porta.
Faccio velocemente qualche passo verso di lui e lo blocco, prendendolo intrepidamente per il gomito sperando che non mi lanci una saetta dagli occhi o qualcosa del genere.
«Aspetta, cosa? Istruirmi? Come ci sono arrivata io qui e perché credi che ci rimarrò? Domani ho la consegna dei diplomi e devo studiare per i test universitari. Non so chi siete... non potete rapirmi e sottrarmi dalla mia vita, così, all'improvviso, senza neanche chiedermelo!» la mia è più esasperazione che disperazione, ma mi congratulo con me stessa per essere stata esaustiva come ha fatto lui prima.

«Non l'ho deciso io. So solo che questo è il tuo destino, Sophia, ed è nostro compito fare in modo che tu riesca a capirlo. So che sei destinata a questa scuola sin da quando tua madre ti ha messo al mondo... e non so altro, ma da ciò che mi è stato detto sul tuo conto, hai grandi potenzialità»
Tutto questo mi sciocca. È assurdo sentirsi dire di essere "speciale" e, soprattutto, è assurdo sentir parlare di mia madre. Qualcuno qui l'ha conosciuta? E sa qualcosa sulla sua vita? In tutti questi anni a chiunque abbia chiesto notizie di mia madre non sono mai riuscita ad estrapolar nulla, ho semplicemente ottenuto risposte vaghe, come notizie su di lei di quando fosse stata una brava donna, un'ottima lavoratrice ed una bellissima persona. Nessuno ha mai saputo raccontarmi dove sia nata, cos'abbia fatto durante la sua vita e, soprattutto, cosa le sia successo durante il parto. Non conosco nemmeno il suo cognome e fino ai diciotto anni ne ho dovuto portarne uno che mi hanno attribuito i gestori dell'orfanotrofio. Non conosco nemmeno quello di mio padre, in realtà di lui non mi è mai stato detto nemmeno il nome. 
Ciò che sta accadendo ora mi ha riportato alla mente tutto quello che ho sempre cercato di accantonare, ma voglio, devo saperne di più.
«Voglio parlare con la persona che mi ha voluta qui. Voglio parlare con la persona che ti ha detto queste cose su di me e su mia madre, altrimenti cercherò in ogni modo di scappare, ogni secondo in cui resterò qui» lo avverto.
Brandon Campbell sembra essersi fatto convincere, stavolta, dalle mie parole. Probabilmente il mio esser rimasta pietrificata dopo avergli sentito nominare mia madre lo ha convinto a darmi retta. So di aver stravolto i suoi piani, o meglio, quelli del suo "capo", ma non me ne starò qui ad ascoltare ancora storielle sugli Augei o su come la mia vita sia sempre stata predisposta ad essere particolarmente strana e confusa. 
Il ragazzo annuisce ed io lo seguo fuori dalla stanza, in un corridoio decisamente più moderno rispetto a quella specie di infermeria. 
La stanza dove mi sta conducendo non è poi così lontana e percepisco una sorta d'ansia che proviene dal suo corpo. C'è un mormorio nella mia testa, esclamazioni non chiare che man mano, mentre cammino, sembrano diventare meno ovattate, più chiare: c'è una voce che esprime pensieri frustrati, interrogazioni su cosa mi succederà e mi rendo conto che si tratta della voce del ragazzo che ho davanti.

Sgrano gli occhi.

«Un momento» mi blocco sul posto, mentre lo guardo voltarsi immediatamente verso di me «perché riesco a sentire ciò che stai pensando?» domando allarmata «che mi hai fatto?!» 
Per un attimo non sento più niente, ma mi accorgo che ha appena pensato di "voler somministrarmi un calmante". 
«Lo vedi? Te l'ho detto: sei un Augeo. Hai un potere fantastico, si chiama manipolazione mentale ed è lo stesso che posseggo io... OH! Ho parlato troppo! Non starò qui a spiegarti cos'è: lo farà il preside, la persona che vuoi conoscere tanto!» conclude assumendo un sorrisetto divertito dalla mia espressione spaesata, mentre io deglutisco mandando giù ogni domanda che avrei letteralmente sputato fuori dalla mia bocca. 
Riprendo, perciò, a seguirlo in un corridoio che si allarga man mano, apparentemente più nuovo rispetto all'infermeria. Arrivata a destinazione, dopo aver attraversato un corridoio almeno cento anni più nuovo, raggiungo con la mia nuova conoscenza l'ultima porta di quell'enorme androne e mi fermo.
Dietro questa porta troverò la fonte delle mie risposte, ma, prima di entrarci, prendo un lungo e profondo respiro. 
«Tu non vieni con me?» lo osservo, la mano posata sul pomello della porta.
«No, questa storia non mi riguarda. Il mio compito è un altro» pronuncia, severo.
Decido di non rispondere e picchio le nocche contro il legno massiccio per poi aprire la porta.

L'uomo che mi ritrovo davanti non ha più di cinquant'anni ed è seduto dietro una scrivania di legno sulla quale sono poggiati alcuni libri ed un portatile chiuso. Sta leggendo qualcosa su dei fogli che tiene tra le dita, ma non appena faccio un passo in avanti, lui alza lo sguardo verso di me e sorride immediatamente.
«Sophia White, benvenuta! Ti stavo aspettando...» esordisce, sfoggiando un sorriso smagliante.
Annuisco «Sophia Nadia White» preciso. 
Mi fa cenno con la mano di entrare ed io lo faccio, chiudendo la porta alle mie spalle. L'uomo sembra innocuo, ha un accenno di barba sul suo mento ed i suoi capelli biondo cenere sono arruffati. Lo sto osservando attentamente. Gli occhi sono azzurri, molto azzurri e la sua espressione è compiaciuta, come se stessi per portargli una delle notizie più belle della sua vita e lui lo sapesse già. 
Non riesco a captare i suoi pensieri come ho fatto con Brandon prima, inconsciamente aggiungerei, ed inizio a convincermi che questo Palazzo Halliwell debba per forza essere una casa di cura per persone mentalmente disturbate. 
L'ho sempre saputo che essere internata sarebbe stato il mio destino.
L'uomo mi fa accomodare su una poltrona ed io eseguo, sospirando. Voglio chiedergli perché sono qui, come ci sono arrivata e cosa significano le parole "vogliamo istruirti", ma lui mi precede ed inizia a parlare.
«So a cosa starai pensando: sei preoccupata perché non sai dove ti trovi, come ci sei arrivata e, soprattutto, il motivo della tua presenza qui. Lascia che mi presenti: io sono Rupert Halliwell, preside di questa scuola ed insegnante di una delle categorie della manipolazione mentale che riguarda, appunto, gli studenti che posseggono questo potenziamento. Come Brandon ti ha accennato prima, tu sei una di noi: un Augeo» il suo tono è così professionale che inizio a sentirmi come se fossi ad un colloquio di lavoro. Tutto si semplifica non appena riprende a parlare «Essere un Augeo è un dono che si possiede sin dalla nascita, impossibile da acquisire in altri modi. Può essere potenziato, migliorato, ma è unico e diverso in ogni singolo individuo, sviluppato in diverse sfaccettature e caratteristiche. Quasi nessuno è in grado di possedere un potenziamento totale, tranne alcuni rari soggetti più anziani o potenti che hanno lavorato sulle loro conoscenze e capacità per anni ed anni, diventando capaci di controllare il potere a trecentosessanta gradi»

Io lo sto guardando confusa: non capisco perché mi sta dicendo queste cose, non comprendo come mai debba essere proprio io a subire tutto questo. So che l'unica cosa che mi spinge a rimanere qui è la menzione che Brandon ha fatto a mia madre. Non mi interessa altro. Decido di lasciarlo terminare, anche se mi sono estraniata. Ho bisogno di risposte e, per ottenerle, so di non dovermi mostrare ostile.

«...ci sono varie categorie: la manipolazione mentale, ad esempio, che io insegno come ti dicevo prima. Ma ciò che più ti serve sapere è che ogni Augeo fa parte di un'unica e sola categoria, qualsiasi essa sia. Normalmente, si viene a conoscenza della dote intorno ai sei/sette anni ed, in base all'età ed al livello di potenziamento nel dna, si impara più velocemente o lentamente a gestirlo nella maniera migliore» 
Mentre lo ascolto qualcosa dentro di me muta. È come se, in questo momento, tutto nella mia mente si sia chiarito ed anche il più recondito dei ricordi, che credevo essere malvagi, si protella nella mia mente. Al contempo, tutto questo mi spiazza. Una considerazione che riesco a definire ora è che, se tutto quello che Rupert Halliwell dice è vero, dovrei attribuire le mie allucinazioni e tutte le cose strane che mi sono successe nel corso degli anni a questo mondo parallelo di esseri umani dotati di strane capacità?
«Come sa che io posseggo questo potere? E, soprattutto, da cosa deriva?» chiedo, allora, per far chiarezza, anche se in questo momento sono completamente disorientata.
«Coloro che lo posseggono sono solitamente persone sensibili ed altruiste, ma per la maggior parte di loro affrontare il cambiamento è semplice, perché provengono da famiglie di Augei che li spronano ad intraprendere gli studi qui una volta compiuti sedici anni. Ovviamente, nella maggior parte dei casi, il potenziamento si eredita...
Questo è un privilegio, Sophia, ed è bene utilizzarlo in modo corretto... è ciò che impariamo qui. Solamente in casi di estrema necessità utilizziamo le nostre capacità per combattere. Tua madre era una donna squisita. Sophia, e, probabilmente, hai acquisito questo potere perché anch'ella lo possedeva. Era una delle studentesse migliori di questa scuola»
«Conosceva mia madre?!» gli domando immediatamente, sporgendomi in avanti. La mia curiosità sta prendendo il sopravvento, il mio cuore tamburella nel petto ed io muoio dalla voglia di saperne di più.
Il preside Halliwell annuisce, ma non sembra voler ad aggiungere altro. Lo scongiuro con lo sguardo, ma lui sospira ed abbassa il capo per un secondo, per poi tornare a parlare, cambiando argomento. Vorrei urlare.
«Dopo il tuo ennesimo svenimento, abbiamo deciso di prelevarti da casa tua e portarti qui. I tuoi genitori non dovrebbero accorgersene... mi dispiace, ma abbiamo dovuto ricorrere a dei mezzi estremi: avevi bisogno di essere curata. Il non saper controllare il proprio potere è terribilmente dannoso per una ragazza dalle tue potenzialità, era nostro compito intervenire. Potrai ritornare da loro domani e, se vorrai, poi potrai venire qui ed iniziare a seguire i corsi che io, assieme ad altri insegnanti, teniamo» 
Tutto sta diventando assurdo. Lui, assieme ad altri, conoscono tutto di me. Mi hanno spiato per caso? Da quanto? Inoltre, ha parlato di mia madre, quindi deve sapere qualcosa su di lei ed io sono curiosa, così curiosa che farò di tutto pur di venire a capo della situazione.
«Non capisco...» Sbotto, alzandomi e scuotendo la testa «Tutto questo è ridicolo: soffro di allucinazioni da quando ho sette anni e voi lo avete sempre saputo?» chiedo, arrabbiata. 
Il preside annuisce, alimentando il mio nervosismo.
«Perché aspettare così tanto allora? Perché farmi credere di star diventando pazza? Perché farmi vivere undici anni in un orfanotrofio dove venivo continuamente picchiata, derisa e perseguitata da ragazzine senza un minimo di umanità? Arrivate ora ed avete il coraggio di dirmi che avete dovuto sottrarmi alle uniche persone che mi abbiano realmente voluta in tutta la mia vita?» sono furiosa. Non capisco la necessità di continuare a sottolinearmi di essere speciale, di essere una ragazza con poteri particolari. Non capisco la necessità di piombare nella mia vita e sconvolgerla nel giro di sei ore.
«So che sei praticamente sconvolta, Sophia, ma abbiamo dovuto aspettare evidenti segni della tua potenzialità. Era qualche mese che volevamo dirtelo, ma abbiamo aspettato che finissi la scuola e lo svenimento di questa mattina è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Hai una minima idea di cosa tu sia davvero? Lo hai detto prima: hai pensato di esser pazza perché stavano accadendo cose strane nella tua vita e, sinceramente, non ti biasimo se sei arrabbiata e vuoi andar via. Noi, però, possiamo aiutarti ad insegnarti a gestire quegli istinti che ti hanno fatto sentire cosi diversa in tutti questi anni e trasformarli nella tua più grande forza...»
Stento a comprendere il suo ragionamento, anche se non fa una piega. 
Mi prendo pochi secondi per decidere il da farsi, ma sapendo che c'è mia madre di mezzo, non posso fare a meno di aver voglia di scoprire la verità. Glielo devo. Mi sbrigherò, innanzitutto, a chiamare i miei, accettando poi di restare qui per stanotte, così da poter cercare di iniziare almeno a capirci qualcosa.
Non credo che riuscirei mai lasciare i miei genitori, Harry, e nemmeno quell'antipatico di Jason, non con così tanta facilità come sperano questi sconosciuto. Sebbene sia arrabbiata, nel profondo, sento che la proposta del preside sia comunque una possibilità per comprendere meglio chi io sia e quali siano le mie origini, nonostante dalla mia espressione traspaia tutt'altro.
Ho appurato di non star sognando, quindi devo a reagire ed agire.
«Resterò qui, stanotte. Voglio più spiegazioni e voglio sapere come fate a conoscere me e, soprattutto, cosa sapete sul conto di mia madre... lei non può nascondermi ciò che sa, ne è consapevole? Conoscevate mia madre, io non ho mai avuto la possibilità di conoscerla... dovrei conoscere tutta la sua storia, se ne rende conto?»
La cosa più importante per me è apprendere più informazioni possibili su di lei: da dove viene, chi era, il suo cognome, le sue passioni e, a quanto pare, il suo trascorso in questa scuola per persone strane.
Dopo averlo visto annuire, mi alzo e lo saluto cordialmente, paziente, sperando in una svolta. Spero solo che mi darà davvero tutte le informazioni che gli ho chiesto non appena si accorgerà che ho deciso di rimanere qui soltanto per venire a capo a questa situazione. Quando esco dal suo studio, trovo Brandon ad aspettarmi esattamente dove lo avevo lasciato prima. Ora sì che sono stranita.
«Hai avuto tutte le risposte che volevi?» mi domanda.
«Una parte...» faccio spallucce «Resterò qui, stanotte, ma dovrai spiegarmi come funziona tutto questo perché continuo a capirci poco e niente»
Brandon sta sorridendo e lo vedo annuire poco dopo: sicuramente riceverà un premio per avermi fatto da istruttore. Io sospiro. Nel frattempo, Harry mi ha scritto chiedendo mie notizie.  



Aspetto recensioni, commenti e quant'altro! Vi piace la caratterizzazione di Sophia? 

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