Come Il Sole Al Tramonto

di Kakashi_Haibara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Solo Ottobre ***
Capitolo 3: *** Inglese Nevrotico ***
Capitolo 4: *** Tra Risate e Azzuffate ***
Capitolo 5: *** Una Famiglia Inaspettata ***
Capitolo 6: *** AVVISO! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Quella sera l'aria era tesa ed inusuale a villa Kirkland.

Arthur poteva capirlo benissimo nonostante fosse solo un bimbo di otto anni. Lo intendeva da come il padre, William Kirkland, un grandissimo e famosissimo uomo d'affari che lavorava ovunque e con chiunque, camminava nervosamente avanti e indietro per il lungo salone del pian terreno della grande villa. Fumava una sigaretta, come era solito fare quando pensava o doveva riflettere in fretta, strisciando i lucidi e costosi mocassini di pelle nera sul pavimento di marmo altrettanto lucido e pulito.

Come di consueto, indossava uno smoking elegante nero. Di solito ad Arthur piaceva il suo outfit così formale, ma quella sera lo inquietava, soprattutto per il fatto che il padre era pallidissimo e che il suo viso era talmente tirato da marcare ancora di più i suoi lineamenti facciali già di per sé duri e severi. I suoi occhi di un colore verde brillante avevano una vena di isteria che sarebbe sicuramente scoppiata se qualcuno gli avesse parlato.

Il bambino non aveva mai visto il padre così agitato: era sempre stato un uomo calmo di natura, persino nelle situazioni più disastrose o movimentate.

Sì. Quella era decisamente una serata inusuale.

Fuori pioveva a dirotto, una di quelle piogge intense ed incessanti, tipiche dell'autunno inglese, che tanto davano fastidio al piccolo Kirkland per il fatto che non poteva giocare a fare il corsaro nel grande giardino della villa.

Per questo motivo erano tutti rinchiusi in un inconsueto silenzio nel salone mentre aspettavano che il lunghissimo tavolo di vetro venisse apparecchiato dai domestici.

La madre di Arthur, Lizabeth Kirkland, cullava con fare frenetico e disattento, più interessata ad osservare il marito che camminava per la stanza, il nuovo arrivato in famiglia, Peter. Anche lei era taciturna, lei che aveva sempre qualcosa da dire, sempre un argomento di cui parlare pur di non piombare in un silenzio stressante, come invece stava succedendo quella sera. I suoi biondissimi e lunghi capelli erano legati in uno chignon ordinato, ad eccezione di una ciocca che era sfuggita dalla retina e che la donna continuava a portarsi dietro l'orecchio.

Arthur era seduto sul pavimento marmoreo e giocava con i suoi soldatini di piombo inglesi, dando ogni tanto un'occhiata a suo padre e al neonato che dormiva beato senza notare la tensione di quella sera. Persino i suoi fratelli maggiori erano silenziosi, cosa assai inusuale, dato che quei tre amavano fargli dispetti di ogni tipo e prenderlo in giro per ogni minima cosa, essendo il più piccolo, ma sempre il più amato in famiglia e quindi provocando l'invidia dei maggiori. Prima dell'arrivo di Peter ovviamente.

Allistor, il più grande, un ventenne in forma, dai capelli rosso fuoco e gli occhi di un verde scuro, era stravaccato su una poltrona di pelle nera. Anche lui stava fumando come il padre e batteva il piede destro sul pavimento, inquieto. Arthur si sarebbe aspettato da lui almeno una battuta sul proprio conto, essendo sempre il primo ad iniziare una guerra con il minore solo per divertimento, ma ciò non avvenne. E se Allistor se ne stava zitto, gli altri due lo seguivano a ruota. Dylan, il secondogenito di quindici anni, era intento ad osservare con i suoi grandi occhi azzurri i pochi domestici che stavano velocemente apparecchiando la tavola. Se anche lui stava intuendo la strana tensione di quella sera, non lo dava affatto a vedere. Era pacato, per niente agitato, ma forse non era una novità. Non si preoccupava mai di nulla, non trasparivano mai emozioni sul suo viso, poteva sembrare quasi apatico da quanto era inflessibile in qualunque situazione.

Invece Colin aveva capito eccome la situazione e lo dava a vedere fin troppo bene. Qualcosa non andava, qualcosa stava turbando il loro padre e sicuramente non poteva essere un fatto positivo. Era seduto sul tavolo di vetro, sul lato che non veniva apparecchiato, e dondolava convulsamente le gambe magroline. Gli occhi, di un colore insolito, tra il verde e l'azzurro, erano incollati al pavimento e non sorrideva. Non sorrideva affatto, cosa assolutamente rara per lui che era un ragazzino con un perenne sorriso sbarazzino stampato sul volto. Sentiva che il padre era turbato per qualcosa, ma non si spiegava come mai stesse in silenzio, invece che rivelare alla sua famiglia il perché di quell'agitazione. L'ansia saliva ancora di più se pensava che in dodici anni della sua breve esistenza non aveva mai visto suo padre ridotto così.

Dopo un paio di minuti di puro silenzio, intervallato soltanto dal rumore delle scarpe di William e Allistor, l'unica donna della famiglia decise di rompere il silenzio.

– Perché non ci sediamo a tavola? Altrimenti la cena si fredda... – la sua voce era un lieve sussurro, forse per paura di far innervosire ulteriormente il marito. Ma fortunatamente, lui non sembrò irritato. Si limitò ad annuire, sedendosi a capotavola.

I ragazzi fecero lo stesso, prendendo i loro soliti posti. Nessuno però sembrò avere molta voglia di mangiare.

L'ultima a sedersi fu Lizabeth, che, una volta messo il neonato nella sua culla, portata eccezionalmente per quella sera in sala, si sedette a destra del marito elargendo un sorriso tirato ai propri figli.

Passarono altri silenziosi minuti, che al piccolo Arthur parvero ore, scanditi dal battito delle lancette del grande e vecchio orologio da parete in legno.

Allistor a quel punto si esasperò, scaraventando letteralmente la forchetta sul suo piatto e battendo un pugno sul tavolo, rivolto al padre. – Allora, si può sapere cosa sta succedendo?! – sbraitò assottigliando lo sguardo. Era sempre stato un ragazzo facilmente incline all'ira, ma quella sera la sua impazienza era salita alle stelle.

Il padre non si scompose, ma gli diede ad intendere che era innervosito da quella reazione con uno sguardo lacerante che Arthur sembrò quasi sentire su di lui. – Non sta succedendo proprio niente e non voglio che manifesti questi modi così bruschi, lo sai, Allistor. – Il tono era calmo, ma faceva trasparire una lieve irritazione nella voce.

I due si scontrarono con lo sguardo in una lotta muta, nessuno dei due sembrava voler cedere, ma alla fine fu Allistor a dover abbassare lo sguardo, incoraggiato dalle parole preoccupate della madre che gli intimava di smetterla e di continuare a mangiare.

Ad Arthur gli si stringeva lo stomaco dall'ansia. Non aveva mai visto Allistor così arrabbiato con il padre, lui che lo venerava pressapoco pari ad un dio. Era quasi tentato di lasciare a metà il suo piatto a causa di quel dolore allo stomaco, ma temeva una sfuriata del padre, che sicuramente non voleva ricevere, quindi diede altre forchettate alla sua carne seppur controvoglia.

Sperava tanto che nessuno volesse più entrare nell'argomento a lui ignoto che però al capofamiglia dava tanto fastidio, ma le sue preghiere purtroppo non vennero ascoltate. Infatti la madre prese la mano del marito, visibilmente preoccupata. – William, caro, se c'è qualcosa che ti turba dovresti dircelo, siamo la tua famiglia e ci stiamo seriamente preoccupando per te. – cercò con lo sguardo quello dei figli per trovare qualche segno di appoggio. Di risposta tutti e quattro annuirono, chi poco convinto, chi invece con energia, poiché davvero preoccupati, come Colin ed Arthur.

William strinse i pugni e rispose alla moglie con una punta di acidità, tipica di ogni membro della famiglia Kirkland. – Ho detto che non c'è niente di cui preoccuparsi, sei sorda? – ringhiò irritato, ma vedendo gli sguardi insistenti ed ansiosi di Lizabeth e dei suoi figli, si pentì di aver utilizzato quel tono così brusco.

Fece un lungo sospiro, passandosi una mano sui capelli neri cosparsi di gel. Prima di parlare deglutì appena e strinse la mano della moglie. – Credo... Io credo di essermi messo nei guai, amore mio. E questo potrebbe mettere in mezzo anche voi. – per la prima volta la sua sicurezza e la sua calma vacillarono, dando spazio nel suo viso ad un pizzico di paura.

Lizabeth impallidì e il labbro inferiore cominciò a tremarle.

William non diede né a lei né ad Allistor il tempo di replicare, che subito continuò. – Ho ricevuto una telefonata oggi pomeriggio. Completamente muta. Credo di aver capito di chi si tratti... E' tutto legato all'ultimo lavoro che ho compiuto insieme ad un mio collega, me lo sento. Mi dispiace, ho messo in pericolo anche voi con ciò che ho fatto... – la sua voce tremava appena e i suoi occhi verdi non avevano il coraggio di incontrarsi con quelli dei suoi familiari.

Arthur non capì di cosa stesse parlando e non fu l'unico. Anche i suoi fratelli e sua madre avevano lo sguardo confuso e non sapevano cosa dire. Fu Allistor, ovviamente, a parlare per primo, scattando in piedi e facendo in questo modo cadere a terra la sedia rumorosamente.  – Cosa significa che hai messo in pericolo anche noi, eh vecchio?! – era davvero infuriato e ad Arthur fece quasi paura. – Sei solo un semplice uomo d'affari, non ti puoi mettere in pericolo! Che cosa mai potresti aver fatto per essere così preoccupato?! –.

Ma lo sguardo del padre non lo rassicurò affatto. Gli si leggeva negli occhi che era seriamente dispiaciuto e pentito per qualunque cosa avesse fatto.

Stette per parlare quando l'allarme del cancello principale della villa rimbombò per tutta la stanza. Era un suono che avvertiva se vi era movimento in quell'area. E sicuramente a quell'ora della sera e soprattutto in quel giorno di pioggia era insolito che ci fosse qualcuno al cancello.

Arthur si irrigidì di colpo. Tutto ciò era davvero strano. Il padre parlava di un lavoro probabilmente finito male e l'allarme casualmente scattava? No, non era decisamente una casualità.

Cercò conforto negli occhi del padre, ma ciò che vide fu solo un lampo di terrore il che lo fece quasi andare nel panico.

Per la prima volta in quella serata, Arthur parlò. – Papà... Non è lui, vero? – chiese il piccolo, preoccupato.

A William si strinse il cuore a vedere il suo bambino così impaurito. Si alzò avviandosi verso lo schermo che proiettava le immagini riprese dalle telecamere del cancello. Guardò ogni immagine attentamente, tentando di scorgere ogni minimo movimento nel buio della sera, ma non gli sembrò di vedere niente. Solo nell'ultima immagine in basso a destra intravide ad un certo punto una figura vestita di nero che si dirigeva velocemente verso la villa.

Si voltò preoccupato verso i suoi familiari che lo guardavano confusi ed intimoriti. Non perse tempo. Si avvicinò rapidamente al tavolo prendendo poi in braccio il piccolo Arthur e riferendosi agli altri tre figli. – Presto, seguitemi, devo mettervi al sicuro prima che arrivi. Lizabeth, prendi Peter e speriamo non si svegli. Fate il più piano possibile e non fiatate. – disse tutto questo con voce agitata, facendo però intendere che non voleva essere contraddetto.

Strinse a sé Arthur e attraversò di corsa il salone, dirigendosi verso il retro della villa, seguito a ruota dai tre maggiori e la moglie, la quale stringeva tra le sue calde braccia il neonato che ancora dormiva.

Arrivati in fondo ad un lungo corridoio, talmente buio, impolverato e silenzioso che era chiaro capire che nessuno ci aveva più fatto visita da un bel pezzo, vi era un tappeto che William scostò velocemente, mostrando così una botola. Si inginocchiò facendo leva con forza e riuscendo dopo vari tentativi ad aprirla. Vi era una scala a pioli che scendeva nell'oscurità. Arthur cinse forte le braccia attorno al collo del padre. Non sopportava il buio e quella situazione gli metteva più paura. Ma William non si fece intenerire dal gesto del piccolo e cominciò a scendere imperterrito, tenendo stretto con un braccio il bambino per non farlo cadere. Arthur si accorse che la cavità non era poi così profonda.

Il padre lo posò a terra per aiutare Colin, il più magro e fragile tra i figli, a scendere. Dopo che fecero lo stesso anche i due maggiori, aiutò Lizabeth con il piccolo Peter.

– Che cos'è questo posto? – chiese lei con un filo di voce, spaventata e preoccupata per la sorte dei suoi figli e del marito.

William le accarezzò dolcemente il viso, accennando un sorriso teso. – E' una villa antica, questo tunnel serviva per sfuggire alle bombe durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine del tunnel c'è un'uscita, lontana dalla villa, percorrete la strada e fuggite. – sussurrò indicando un punto imprecisato nell'oscurità.

Arthur strinse le braccine attorno alla gamba del padre. – Vieni anche tu! –  esclamò con le lacrime agli occhi.

Colin gli diede man forte, probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita. – Sì, papà, fuggiamo insieme, ti prego! – tremava più di tutti e probabilmente stava già versando qualche lacrima. Non era mai stato un bambino coraggioso come i suoi fratelli e se ne vergognava da morire.

L'uomo sentì che tutta la sua sicurezza si stava pian piano affievolendo e si impietosì alla visione dei suoi figli così spaventati.

Prese tra le mani il viso bagnato di lacrime di Colin e appoggiò la propria fronte su quella piccola e calda del figlio. – Sei un ragazzo forte, non dubitarlo mai. Io non posso venire con voi, ma farò il possibile. – nonostante il tono dolce, dava a vedere di avere fretta. Spostò lo sguardo cercando quello di Dylan. Sapeva benissimo che suo figlio si mostrava sempre indifferente in ogni situazione, ma poteva scommettere che non avrebbe retto tutta quella tensione. Come da conferma ai suoi pensieri, nonostante il buio, riuscì ad intravedere il secondogenito tremare. Lo abbracciò il più forte possibile, ricambiato dal giovane che dava l'idea di non volerlo più lasciare. – Prendi Arthur e non lasciarlo mai fino a che tutto questo non sarà finito, siamo intesi? – William non ne fu sicuro, ma gli sembrò che il figlio avesse annuito.

Con rammarico, sciolse l'abbraccio e andò a stringere forte le spalle di Allistor. In quel momento non poté non pensare al fatto che loro due fossero davvero molto simili. Il figlio si era costruito una maschera di cera sul viso pur di non mostrare la sua paura. – Tocca a te, d'ora in avanti prenditi cura della mamma e dei tuoi fratellini, per favore. Se non vuoi farlo per me, allora... – con sua sorpresa, Allistor gli cinse forte le braccia attorno al collo, lasciando così a metà la sua frase. Sentì le labbra del figlio premute sulla sua spalla pronunciare qualcosa, che purtroppo non sentì.

In quel momento si udì un forte sparo che rimbombò per tutta la villa fino a quel momento silenziosa e il portone principale che si apriva, lentamente. William capì di doversi muovere ed estrasse la pistola dalla tasca della giacca, lasciando interdetti i propri figli. Non avrebbero mai pensato che loro padre potesse avere una pistola.

L'uomo fissò nel buio Lizabeth, notando quasi impercettibilmente che anche il suo sguardo era puntato su di lui. Le accarezzò i capelli ed il viso con entrambe le mani, notando che era completamente bagnato dalle lacrime. Avvicinò le proprie labbra a quelle della moglie sussurrando parole di scuse.

Lei singhiozzò, accarezzandogli la guancia con le dita fragili e sottili. – Cosa hai fatto, William? Perché? – la sua voce era rotta dal pianto e l'uomo si lasciò sfuggire una lacrima. La baciò nuovamente, diede anche un bacio sulla fronte del suo piccolo Peter, che probabilmente non avrebbe mai visto e ricordato il viso del suo papà e si voltò, intento a risalire la scala, ma sentì l'orlo dei pantaloni tirato da qualcuno e una vocina che lo chiamava singhiozzante. – Papà, non andare! Io ti voglio qui con me! – era Arthur, che ormai non aveva più retto la situazione ed era scoppiato in un pianto disperato, contagiando anche Dylan e Colin.

William dovette prendere tra le mani tutta la propria forza di volontà per non piangere. Si inginocchiò di fronte al bimbo e gli accarezzò la testa, scompigliandogli i capelli. – Sei un piccolo ometto, Arthie. Sei forte ed intelligente e devi esserlo sempre anche in futuro! Sono davvero molto orgoglioso di te, vedrai che andrà tutto per il meglio. Ti voglio bene. – gli baciò la piccola fronte dolcemente ed infine si alzò.

Diede un ultimo e veloce sguardo alla sua famiglia che doveva assolutamente proteggere, salì le scale e chiuse la botola, correndo di nuovo nel salone.

Arthur udì i suoi passi che si facevano via via più lontani. Non poté resistere: salì le scalette e sollevò lievemente la botola. Non riusciva a vedere granché, solo l'ombra del padre in fondo al corridoio.

Ad un certo punto una voce rauca e tagliente come la lama di un grosso coltello da cucina, sconosciuta alle orecchie di Arthur, rimbombò per tutta la sala. – Kirkland!! Come sono felice di aver trovato così facilmente la tua casa! Bella villa, sai? – la risata fragorosa dell'uomo si insinuò invadente nelle orecchie del bambino. – Ma non sono venuto qui per questo e tu lo sai. Voglio uccidere la tua dolce famiglia come tu e quello sporco di un tuo amico avete fatto con la mia!! – il tono della sua voce era disperato e pietoso.

Colin emise un gemito a sentire quelle parole. E nessuno poteva biasimarlo, mai si sarebbero aspettati una frase simile sul conto del loro padre.

La voce acida di William rispose all'uomo. – E' stata l'unica cosa da fare per farti smettere, Winter! Non serve a niente vendicarti! Verrai arrestato! – quel discorso pareva giusto per perdere tempo e l'uomo chiamato Winter lo capì benissimo, tanto che scoppiò a ridere non curante delle parole dell'altro uomo.

– Non mi incanti, Kirkland. Allora, dove tieni i mocciosi e la tua bella moglie? Voglio farti vivere le stesse atrocità che ho dovuto subire io per colpa tua! – l'eco della sua orribile e gracchiante voce risuonò fortissimo per tutta la casa, seguito da un lungo silenzio.

La sua voce così alta e malvagia, però, svegliò il neonato, il quale emise un gemito che si trasformò piano piano in un pianto innocente.

Purtroppo l'uomo lo sentì, come anche William, che impallidì dal terrore.

Winter scoppiò in un'altra disgustosa risata. – Direi che la sorte è dalla mia parte stasera! Proviene dal corridoio, no? –.

William vide passarsi davanti agli occhi le orribili immagini della sua famiglia uccisa (o peggio) e divenne cieco dalla rabbia. Si scaraventò contro l'uomo buttandolo a terra e uno sparo squarciò l'aria, facendo ammutolire tutti coloro che erano sotto la botola.

Soltanto quando diversi attimi più tardi l'orribile risata di Winter si insinuò nuovamente nelle orecchie di Arthur, il bambino cacciò fuori un urlo straziante. – Papà!! – fece per uscire dal nascondiglio, ma Dylan prontamente lo afferrò per i fianchi e lo prese in braccio, stringendolo forte a sé.

– Presto, andiamo!! – gridò terrorizzato Allistor, il quale intanto aveva preso tra le braccia Colin, svenuto per il trauma. Cominciò a correre con tutte le forze che aveva in corpo e si sentì sollevato quando notò che anche la madre e Dylan con in braccio Arthur lo stavano seguendo. 

Gli si gelò il sangue quando sentì ancora quella risata molto più vicina del previsto. All'interno del tunnel completamente immerso nell'oscurità. Solo allora si bloccò, girandosi di scatto.

Il cuore gli batteva talmente forte che gli pareva di poter sentire l'eco del suo rimbombo all'interno del tunnel. No. Non era il suo cuore. Erano passi.

Allistor era completamente paralizzato dalla paura. Non capiva perché non riuscisse più a muoversi e scappare per portare in salvo la sua famiglia. Stringeva a sé il corpo del suo fratellino, cominciando a sentirlo sempre più pesante.

Riusciva a sentire alla sua destra Dylan che ansimava per la fatica e i singhiozzi di Arthur, probabilmente ancora abbracciato a lui, e poco dietro di lui il piccolo Peter che piangeva senza sosta tra le braccia di sua madre.

Solo quando sentì nell'oscurità più totale la presenza di qualcuno davanti a sé, dovette raccogliere tutte le sue forze per non svenire dal terrore. Chi non sarebbe stato terrorizzato in una situazione simile, debole e disarmato?

– Ah, che aura forte che emani, giovane Kirkland. – ora quella voce poteva sentirla chiaramente a qualche metro davanti a sé. Era sicuro che stesse ghignando.

– Cosa hai fatto a papà, brutto orco?! Te la farò pagare! – esclamò ad un certo punto Arthur esasperato.

– Sta' zitto, Arthur! – gridò allarmato Allistor.

L'uomo rise di gusto e lo sentì fare qualche passo nella direzione dei suoi due fratelli, ma il maggiore lo bloccò parandosi davanti a lui.

– Arthur... Siete proprio divertenti voi ragazzi, è un vero peccato dovervi uccidere. – fece una lunga pausa, come se stesse pensando al da farsi. Poi ricominciò a parlare con un tono ancora più inquietante. – Ma ormai il vostro papà non c'è più e non posso torturare la sua famiglia davanti a lui per farlo soffrire atrocemente... Quindi aspetterò. Oh, sì, non vedo l'ora di vedere quando voi diventerete padri per poter uccidere la vostra famiglia come vostro padre ed il suo lurido collega hanno fatto con la mia e compiere finalmente la mia vendetta! – sbottò in un'altra risata sguaiata prima di avvicinare le proprie labbra all'orecchio di Allistor e sussurrare. – Ed ora correte o ammazzo a caso uno di voi. –.

Il rosso non se lo fece ripetere due volte. I suoi piedi scattarono tornando a correre verso l'uscita, seguito da Dylan e la madre.

Non si fermò. Non aveva la minima intenzione di fermarsi. Avrebbe portato in salvo i suoi fratelli e sua madre, anche a costo di perdere la vita, se quell'uomo si fosse ripresentato di fronte a lui.

L'ultima cosa che sentirono prima della fine del tunnel fu ancora quell'orribile risata del mostro che nessuno di loro avrebbe mai scordato.

Dopo aver corso per almeno cinque minuti buoni, arrivarono finalmente alla fine del tunnel. Fece uscire fuori tutti ed infine salì anche lui insieme a Colin, ancora privo di sensi.

Guardandosi intorno si accorse di essere immerso da un campo di granoturco bagnato dalla pioggia e molto lontano dalla villa, al sicuro, ma che sarebbe stato meglio mettere qualcosa di pesante su quella botola che li aveva appena portati all'esterno, per sicurezza. Fece sdraiare per terra il fratello minore e spostò un pesante masso sopra la botola di legno.

Ansimò per qualche attimo, sotto shock e con ancora l'adrenalina al massimo. Solo quando realizzò cosa fosse successo si accasciò a terra, abbandonandosi in un pianto disperato, che fino a quel momento aveva trattenuto.

Anche Dylan era a terra che piangeva e stringeva al petto il piccolo Arthur, il quale per tutto il tempo non aveva smesso di singhiozzare.

Sua madre abbracciava forte Peter che piangeva per tutto quel movimento inatteso.

Allistor si avvicinò singhiozzante a Colin per accertarsi che non stesse troppo male. Per sua fortuna, respirava ancora e sembrava solo svenuto. Si sdraiò di fianco a lui, abbracciandolo più forte che poté, lasciando che la pioggia cadesse completamente sul proprio corpo.

In quel momento di silenzio, rotto soltanto dal pianto e dai singhiozzi della sua famiglia, Arthur stava fissando irato la villa, la propria casa, promettendosi che un giorno l'avrebbe fatta pagare a quell'uomo. Non gli importava cosa avesse fatto suo padre a lui, Arthur non avrebbe permesso che la facesse franca.

Si ripromise che, una volta cresciuto e diventato più forte, gliela avrebbe fatta pagare. Avrebbe scoperto la verità, anche sul conto di suo padre, per dimostrare che quell’uomo aveva torto e che William Kirkland non era un assassino. Non sarebbe più stato il bambino debole ed impotente. Suo padre credeva in lui. Avrebbe riscattato il suo nome.

 

 

– Mi dispiace, nell'arco di chilometri non abbiamo trovato nessuno che corrisponda al cognome “Winter”, aru. – annunciò a Lizabeth Kirkland l'ancora giovane investigatore Yao Wang che ormai da tre giorni, quelli trascorsi dalla morte del padre di Arthur, si stava occupando del caso della famiglia Kirkland.

Ad Arthur piaceva molto l'investigatore cinese: all'apparenza poteva sembrare gracile e sensibile, ma per quel caso aveva tirato fuori una tenacia eccezionale, che il bambino non aveva mai visto in nessun uomo prima d'ora. Metteva tutta la sua anima nel suo lavoro e nonostante la giovane età, solo vent'anni, era già salito al rango di investigatore della centrale di polizia della città. Era famoso per la sua mente estremamente acuta.

Quel giorno pareva più fiacco del solito, la sua rigidità era quasi inesistente per la stanchezza, la coda di cavallo era stata fatta molto velocemente, diversamente dal solito che invece era ben curata, e le grandi borse sotto agli occhi color nocciola erano ben visibili.

Erano tutti e tre seduti sulle poltrone del salone, lo stesso in cui era avvenuto l'omicidio di suo padre.

Quei pochi giorni erano stati molto confusi per il bambino.

Il dolore per la morte del padre persisteva ancora, ovviamente, ma si era ormai trasformato in pura rabbia, che manifestava non mangiando e avendo un atteggiamento brusco con chiunque. Per questo motivo sua madre aveva preferito portarlo quotidianamente da una psicologa che potesse aiutarlo a superare la morte del padre.

Anche Colin era sottoposto alle sue stesse sedute, ma dal letto dell'ospedale della cittadina: il trauma per la morte del padre lo aveva portato ad un breve coma di due giorni. Dopo essersi svegliato, però, non sembrò stare affatto bene moralmente, quindi la dottoressa consigliò alla povera signora Kirkland di lasciargli fare qualche seduta con un bravo psicologo, al fine di farlo riprendere.

Allistor e Dylan sembravano stare meglio dei fratelli. Dicevano costantemente che non avevano affatto bisogno di uno psicologo e che si sarebbero ripresi da soli.

Quindi Arthur in quei tre giorni vide soltanto la madre, la psicologa e l'investigatore che giornalmente veniva a riferire alla famiglia i procedimenti della polizia.

Ma le notizie che portava non erano mai positive per Arthur. Non si conosceva ancora l'identità dell'uomo che aveva ucciso il suo papà e le telecamere del giardino non avevano favorito un'identificazione facciale.

Si conosceva soltanto, grazie al proiettile ancora nel petto di William Kirkland, l'arma che era stata usata, mai ritrovata: una pistola semiautomatica Beretta M9.

Arthur non avrebbe mai dimenticato quel nome. Era l'arma che aveva portato via da lui il suo adorato padre, il suo punto di riferimento, il suo appoggio.

Quella fatidica sera non sarebbe mai stata dimenticata da nessun componente della famiglia Kirkland.

 

 

 

Spazio dell’Autrice:

Salve a tutti, cari lettori!

Questa é la prima storia a capitoli che scrivo e sono emozionata! Ho sempre desiderato pubblicare le idee su Hetalia che avevo in mente (e sono talmente tante che in una sola vita non potrei mai pubblicarle tutte) e con un po’ di impegno (e tempo libero, che non ho, ma dettagli) riuscirò a concludere questa fanfiction.

Seppur il tema del prologo sia cosi cupo ed infelice, il resto della storia dovrebbe essere più leggero. Solo verso la fine comincerà a riprendere le tematiche del prologo. Ma, nonostante si ambienti nell’universo della scuola e quindi più piacevole e delicato, la trama di sottofondo sarà sempre legata al prologo.

Spero abbiate capito, ma soprattutto spero che queste cose non vi facciano stare male o disgusto (faccio presente che non appoggio assolutamente la vendetta con le armi). In ogni caso, metto il rate arancione.

(Nota: Allistor=Scozia, Dylan=Galles, Colin=Irlanda. I due genitori e "Winter" non sono nessuna nazione in particolare, i primi sono di mia invenzione, il secondo è il Generale Winter che è stato nominato a volte da Russia sia nell'anime che nel comic.)

Grazie a tutti per aver letto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, ci rivediamo al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 2
*** Solo Ottobre ***


Capitolo 1

Solo Ottobre

 


Quel giorno pioveva.

Ma non era una novità: in Inghilterra pioveva sempre.

Ottobre però era il mese che odiava di più in assoluto. Arrivava l'autunno che si portava dietro giornate di freddo e piogge perenni alternate ad altre soleggiate ed inspiegabilmente calde.

Non sapevi più nemmeno come vestirti! E Arthur odiava non sapere.

A dir la verità, odiava molte cose – e persone –, ma l'autunno si piazzava sul podio nella sua classifica delle cose odiate.

Preferiva di gran lunga l'estate. L'estate della sua bellissima, amatissima e ammiratissima Inghilterra. Certo, pioveva sempre anche in quella stagione, ma non era una pioggia insistente accompagnata dal vento rigido che porta solo il tanto odiato raffreddore, era più che altro una pioggerellina leggera e gradevole, che ti punzecchiava il viso senza ostinazione, come se volesse accarezzarti.

Ma purtroppo non era estate e quella che aveva davanti al suo naso, al di là della finestra della sua aula di scuola, non era la pioggerella estiva che tanto desiderava.

Lo scrosciare incessante dell'acqua che batteva sui vetri si sentiva ovattato in tutta l'aula accompagnato soltanto dalla voce stridula della vecchia insegnante di letteratura inglese e dal mormorio, che per il momento ignorava, di qualche suo compagno che si era stufato di ascoltare la lezione e che aveva preferito iniziare a chiacchierare con il vicino di banco.

Arthur non sapeva esattamente da quanto fosse immerso nei suoi pensieri, ma gli piaceva. Era tutto così calmo nella sua mente, un posto in cui regnava la quiete totale, ignorando del tutto il mondo esterno, quello reale che tanto lo annoiava.

– Kirkland, tieni gli occhi sulla poesia! – lo richiamò dai suoi pensieri la voce gracchiante della sua professoressa.
Il ragazzo staccò i suoi occhi verdi dalla finestra, annuendo seccato. – Sì, Mrs. Collins. – rispose acidamente. Odiava essere interrotto, sia quando parlava che quando pensava, quindi quella risposta fu più che gentile da parte sua.
L'insegnante fece finta di non aver sentito il tono brusco del giovane studente e continuò con la sua barbosa analisi della poesia di un certo John Donne.

Arthur odiava profondamente letteratura inglese e tutto ciò che riguardava l'arte o che comunque non era pratico e matematico. Non le capiva proprio quelle cose! Non avevano alcun senso logico e doveva scervellarsi per capire il significato di una stupida poesia scritta da un autore sicuramente depresso e con manie suicide.
Quelli scrivevano i loro sentimenti. Ma cosa poteva fregargliene dei sentimenti di qualcun altro? Specialmente se morto secoli prima? Non lo riusciva proprio a capire.
Suo malgrado, si sforzò di restare attento, dopotutto non voleva ritrovarsi una bellissima F scritta in rosso nel suo futuro compito, purtroppo assegnato per la settimana successiva.

Ma la sua concentrazione scemava in continuazione a causa di un brusio che si insinuava nel suo orecchio destro. Cercò in tutti i modi di ignorarlo, ma, dopo ben cinque minuti di chiacchiere continue, non ne poteva davvero più, la sua pazienza stava diminuendo precipitosamente e si voltò di scatto verso i diretti interessati con uno sguardo omicida: erano Francis Bonnefoy e il suo fidato amico Antonio Fernandez Carriedo, due idioti megalomani che parlavano incessantemente ad ogni lezione. Si chiedeva come mai i professori non li avessero ancora separati, sarebbe sicuramente stata l'idea migliore sia per la classe che non avrebbe più avuto quel fastidiosissimo parlottio di sottofondo sia per Antonio che, dopotutto, non era un asso a scuola e stare attento alle lezioni una volta tanto non gli avrebbe fatto sicuramente male. Per Francis invece era diverso, nonostante non stesse per niente attento durante tutte le lezioni, riusciva a prendere voti decenti. Forse era per questo che non lo richiamavano mai.

Ecco perché era una delle persone che non sopportava di più al mondo e si posizionava anche lui sul podio, più precisamente al secondo posto, insieme all'autunno, piazzato al terzo posto. Andava bene a scuola nonostante fosse completamente assente con la testa, infatti aveva sempre uno sguardo pensoso, come se avesse cose più importanti della scuola a cui pensare. Arthur sperava soltanto che i suoi non fossero tutti pensieri perversi, come le sue stupide battute.

Ma non erano ovviamente solo quelle le ragioni per cui non lo sopportava.
Innanzitutto era francese, una cosa che assolutamente non gli andava e che non gli sarebbe mai andata giù . Dopotutto si sa che inglesi e francesi non vanno d'amore e d'accordo. In più il suo orribile accento era talmente fastidioso che Arthur gli avrebbe tappato la bocca con un sasso pur di farlo stare zitto. Aveva una sorella, Monique Bonnefoy, ma il suo accento a confronto con quello del fratello era molto più grazioso. Anzi, grazioso è un aggettivo fin troppo gentile. L'accento di Monique era... Meno insopportabile!

Per continuare la lista delle cose che più odiava di Francis, vi erano i suoi capelli biondi e mossi tagliati lunghi fino alle spalle e tenuti talmente bene che Arthur avrebbe scommesso che alla mattina stava a pettinarli per un'ora intera. Odiava i suoi profondi occhi blu che sembravano letteralmente leggerti e scrutarti l'anima, per questo ti sentivi a disagio, nudo davanti a lui.

Poi lo urtava seriamente il suo carattere: parlava sempre con nonchalance e un tono melenso da dare il voltastomaco, in più flirtava con tutti i possibili studenti della scuola, femmine o maschi che fossero. Chiunque sosteneva fortemente che fosse un bel ragazzo. Il suo fisico da ballerino di danza classica, spruzzato da una valanga di Chanel N°5, lo aiutava a far cadere ai suoi piedi gran parte degli studenti, completamente vulnerabili alla sua innata bellezza. “Perfetto”. Era questo l’aggettivo che usavano.

Infine aveva sempre un sorriso malizioso stampato in faccia e ogni volta che ti rivolgeva uno sguardo, finiva col farti l'occhiolino. Odioso. Davvero odioso.

– La volete piantare voi due oche?! – sibilò nervosamente per non farsi sentire dall'insegnante e il resto della classe.
Interrotti, si voltarono a guardarlo con un'espressione stupita sul volto. Probabilmente non si aspettavano che qualcuno gli parlasse in modo così brusco.
Francis ridacchiò con la sua solita fredda risatina da nobili dei salotti parigini che vedeva nei film e che gli metteva il nervoso ogni volta. Suonava così falsa. Ora che ci pensava gli ricordava il gracidio di una viscida rana. – Guarda come si arrabbia l'inglesino! – disse, facendo il finto sorpreso con il puro intento di dargli fastidio, riferendosi poi ad Antonio, mentre continuava a ridacchiare. – Hai notato che il suo enorme sopracciglio destro quando si arrabbia trema? –.

Lo spagnolo di tutta risposta rise divertito, come suo solito. La sua risata era solare e piena di allegria. In effetti Antonio sorrideva sempre, in ogni occasione. Non l'aveva mai visto senza quell'espressione gioiosa sul viso. Il più delle volte gli dava seriamente fastidio: cosa aveva da ridere e sorridere per tutto?

– Smettila di fare l'idiota, Bonnefoy. Sto cercando di seguire la lezione! – esclamò brusco Arthur stringendo forte la penna che aveva in mano per il nervoso. L'avrebbe ficcata dritta in fronte a quel dannato francese se solo avesse potuto senza finire in galera.
Quello di tutta risposta, come se non avesse minimamente ascoltato le minacce dell'inglese, si sporse il più possibile verso di lui, quel tanto che bastava per arrivare a pochi centimetri dal suo viso. Aveva i suoi profondi occhi blu puntati su di lui e lo mettevano seriamente a disagio. – Sei sicuro di non essere geloso per il fatto che io non parli anche con te, chéri? – Chiese con un tono decisamente irritante per le orecchie dell'inglese.
Lo spinse lontano da sè, senza preoccuparsi di essere troppo brusco. Odiava quando quel mangia lumache si comportava in quel modo. Ma non si vergognava neanche un po' ad essere così “aperto” con tutti?
– Smettila subito, stupida rana! La prossima volta ti stacco quella dannata lingua a morsi! –.
Il francese si limitò a ridacchiare e a fare spallucce, per niente toccato dalla minaccia del ragazzo, e si voltò di nuovo verso Antonio per scambiarsi ancora qualche stupida battuta.
Arthur odiava molte cose, già, ma più di tutti odiava quel dannato francese. E se lo sarebbe dovuto sorbire per tutto l'anno.
Sapeva che non avrebbe resistito a stare vicino a lui per un anno intero. Sarebbe stato un anno odioso.
Per il resto della lezione tentò in tutti i modi di stare attento alle parole della professoressa, ma dall'ultimo banco sentiva solamente il chiacchiericcio incessante dei due compagni alla sua destra, il che lo rese nervoso.
Non che di solito non lo fosse, ma quel giorno lo era sicuramente mille volte di più.
Ed era solo ottobre.

 

 

 

Il suono della campanella che annunciava l'ora del pranzo lo liberò dalla noiosissima lezione di letteratura inglese e dai discorsi senza alcun apparente senso logico dei suoi due vicini di banco.

Arthur restava sempre in classe a mangiare il proprio pranzo portato da casa (non si sarebbe mai sognato di mangiare troppo spesso il terribile cibo della mensa scolastica! Il suo era decisamente più buono, anche se Francis sosteneva fermamente il contrario).

Di solito invece Francis ed Antonio scendevano in mensa per mangiare insieme all'ultimo membro del trio di rompiscatole, Gilbert Beilschmidt, un tedesco albino dell'altra sezione, chiassoso e dalla risata talmente sguaiata che ogni volta rimbombava in ogni angolo della scuola.

Come richiamato dai suoi pensieri, appena suonata la campana, Gilbert fece capolino nell'aula con la sua risata assordante, sbattendo rumorosamente la porta.

– Andiamo a mangiare che ho una fame tremenda! – urlò senza avere la minima intenzione di tenere un tono di voce moderato e consueto al luogo. – Se non ci muoviamo ci beccheremo la fila! –.

Antonio rise di gusto a quell'entrata scenica. – Anche io muoio di fame! Spero non finiscano subito i panini con i pomodori! – esclamò tirando fuori dal portafoglio la tessera per il pranzo.

Chiunque avrebbe scommesso che fosse spagnolo: nonostante abitasse in Inghilterra da quasi tutta la vita, il suo accento non ne voleva proprio sapere di andarsene. Probabilmente in famiglia parlavano spesso nella loro lingua nativa. Anche lui era un bel ragazzo muscoloso, dalla pelle ambrata e gli occhi di un verde brillante. Era carino, peccato fosse irritante come i suoi due amici.

Gilbert scoppiò in una risata ancora più forte di quella di prima che spaccò i timpani di Arthur. – Tranquillo che non finiranno! Sono talmente disgustosi che rimarranno in quel frigorifero per altri trent'anni! Hey! Perché stasera non mangiamo insieme qualcosa di buono nel nuovo ristorante italiano del centro? – chiese di punto in bianco spostando lo sguardo da un amico all'altro.

Antonio divenne improvvisamente tutto rosso, mentre Francis scosse la testa dicendo che quella sera avrebbe dovuto lavorare.

Arthur era interdetto, lavorava anche! Come faceva allora a studiare e prendere bei voti? Non lo invidiava, ovviamente, figuriamoci! Lui, un inglese, invidiare un lurido francese? Mai! Semplicemente non lo trovava logicamente possibile. Dove lo trovava il tempo? Per di più Francis proveniva da una famiglia benestante, non aveva affatto bisogno di lavorare per ricevere soldi.

Arthur addentò il suo sandwich cercando di non pensarci troppo o sarebbe diventato ancora più nervoso. Con una smorfia notò che il pane era completamente bruciato.

Il sorriso di Gilbert scemò in una smorfia di delusione. - Hai ragione... Beh! Per una volta potresti darti una pausa, no? -

Francis rise scuotendo la testa. Era una risata sincera, completamente diversa a quella che rivolgeva ad Arthur. Probabilmente stava davvero bene con i suoi due inseparabili amici.

Antonio intervenne, appoggiando gentilmente le mani sulle spalle degli altri due. – Allora facciamo domani sera! Staccherai prima dell'ora di cena, giusto? Io e Gilbert potremmo comprare la cena per tutti e mangiarla a casa tua, Francis. –

– Perfetto! Ma non comprate schifezze! Solo una cena degna del mio raffinatissimo palato francese! –. Uscirono tutti e tre dall'aula facendo risuonare le loro risate in tutto il corridoio.

Arthur quasi invidiava la loro amicizia. Era così sincera e spontanea. Lui invece non aveva mai avuto amici proprio perchè era lui stesso a non volerli. In più non sarebbe mai riuscito ad essere così spontaneo con qualcuno e gettare via la maschera di compostezza, freddezza e rigidità che si era creato e che era impenetrabile persino per i suoi familiari.

Quei tre invece si volevano bene come se fossero fratelli. Così diversi, ma così uniti. Tutto il contrario di Arthur ed i suoi fratelli di sangue: a momenti non si parlavano neanche.

Forse l'amicizia del trio era tanto salda per il fatto che si conoscevano ormai da molto tempo. Francis ed Antonio erano amici sin dalle elementari ed erano di un anno più grandi di Gilbert ed Arthur. Francis poco prima di frequentare il suo quarto anno si era ritirato dalla scuola per motivi di salute (o almeno così si diceva in giro) ed Antonio si era fatto bocciare apposta per non rimanere senza il suo amico. Un'azione stupida secondo Arthur, ma mostrava sicuramente un grandissimo segno di affetto.

Gilbert, che si era unito ai due ragazzi durante gli anni delle medie dopo una bravata compiuta da tutti e tre, di cui Arthur, fortunatamente, non conosceva i dettagli, aveva sperato di poterli avere nella stessa sezione, ma sfortunatamente per l'inglese se li era beccati lui.

Risvegliatosi dai propri pensieri, Arthur si accorse di essere rimasto solo in classe e di aver già finito il suo disgustoso pranzo.

Per un attimo, senza il rumoroso trio di fianco a lui, provò uno strano senso di solitudine, che scacciò subito scuotendo velocemente la testa.

Non si sentiva solo. Non gli era mai pesato il fatto che non avesse ancora amici o una fidanzata. Anzi, preferiva quella situazione. Non doveva fingere di essere sincero ed esternare i propri sentimenti con un possibile “amico” o in perfino una relazione.

Sì. Gli andava bene così.

 

 

 

Erano solo le sei del pomeriggio, ma ormai il sole era calato da un pezzo. La pioggia della mattina aveva lasciato delle grandi pozze d'acqua sull'asfalto della cittadina.

Arthur camminava per il vialetto che conduceva alla villa di famiglia con la borsa di scuola a tracolla e sulla spalla il grande borsone che conteneva tutto il necessario per la lezione di karate che praticava ogni giorno a scuola dopo l'orario scolastico.

Quel giorno fu particolarmente pesante. L'istruttore Adnan non diede neanche un attimo di pausa ai suoi allievi ed Arthur sentiva letteralmente le sue gambe cedere ad ogni passo a causa degli sforzi compiuti. Per di più sentiva ancora le rumorosissime risate di Gilbert ed Antonio rimbombargli nella testa. Esatto, non solo se li sorbiva durante le lezioni o le ricreazioni, ma persino nelle attività pomeridiane!

Ormai praticavano tutti e tre quel corso da molti anni, ma l'inglese pensava che negli ultimi tempi quei due fossero diventati ancora più chiassosi. Erano eccezionali nelle arti marziali, ma davvero troppo rumorosi per i suoi gusti.

Per fortuna era già venerdì, pensò. Aveva due giorni di completo riposo.

No, forse non completo. Doveva mettersi assolutamente a studiare per il test di letteratura inglese. Il solo pensiero gli fece venire ancora più mal di testa.

Tirò un grande sospiro di frustrazione. L'unica cosa che voleva in quel momento era riposare, avrebbe pensato a studiare il giorno seguente.

Finalmente varcò l'enorme cancello di ferro della villa. Ad accoglierlo ci fu King, il pastore tedesco che avevano preso qualche anno prima come cane da guardia. Arthur si inginocchiò per accarezzargli il muso, mentre quello si dimenava e scodinzolava per la felicità. Almeno qualcuno era felice di vederlo, disse tra sé e sé Arthur con una vena di tristezza.

In effetti, non c'era nessuno in casa che potesse essere felice di vederlo proprio perché il weekend la villa diveniva più deserta del solito. I suoi fratelli tuttavia non stavano a casa neanche durante la settimana. Allistor spesso andava a dormire nel suo appartamento a Londra, dove lavorava in occasioni speciali. Dylan e Colin invece facevano di tutto pur di non restare in quella villa: uscire a cena, andare a qualunque festa possibile, dormire a casa di amici o delle fidanzate. Arthur pensava che facessero tutto questo pur di non vederlo. Finivano sempre per litigare quando si incontravano, quindi a lui andava più che bene.

Gli dispiaceva molto invece non vedere in giro sua madre o il suo fratellino Peter, probabilmente l'unico con cui aveva un legame più “affettuoso”. Purtroppo la madre lavorava spesso a Londra o a Brighton, quindi non sapeva esattamente quando sarebbe tornata, mentre Peter probabilmente era a dormire da un amichetto, come ogni venerdì.

Arthur si guardò intorno chiudendosi il portone della casa alle spalle. Il salone era talmente buio e silenzioso che gli mise i brividi. Si affrettò ad accendere più luci possibili pur di non dare spazio alla sua immaginazione di vedere cose inesistenti, ma comunque spaventose, nascoste nell'oscurità.

Troppi ricordi lo assalivano in quel salone. Bruttissimi ricordi.

Si stravaccò sulla poltrona posta davanti al camino spento. Era davvero triste, quella casa. Troppo grande per contenere quelle poche persone che qualche volta ci abitavano.

La testa continuò a girargli senza sosta, non riusciva nemmeno a pensare da quanto gli faceva male e, senza accorgersene, si addormentò.




Spazio dell'Autrice:

Bentornati miei carissimi lettori!

Innanzitutto ringrazio tantissimo coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite, preferite e a colei che ha recensito. Purtroppo siete davvero tanti e non posso elencarvi tutti qui. Ma in ogni caso sappiate che sono davvero felice.

Poi volevo scusarmi per aver aggiornato la storia dopo così tanto tempo, ma non ho avuto abbastanza tempo per correggere il capitolo tutto in una volta ed ogni volta che lo prendevo in mano mi sembrava sempre o troppo lungo o troppo corto o pieno di errori. in ogni caso, fatemi sapere se ho commesso eventuali errori!

Nel primo capitolo della storia facciamo finalmente conoscenza di altri personaggi importanti della storia. Arthur ci va pesante con gli insulti contro Francis, non cambierà mai! Nemmeno in questa fanfiction XD So che può sembrare scontato il Best Friends Trio, ma io lo adoro da morire e non potevo non aggiungerlo!

(Nota: Sadiq Adnan è l'attuale nome di Turchia, in questa fanfiction l'istruttore di karate di Arthur, Antonio e Gilbert. Mrs Collins invece non è nessun personaggio particolare,è di mia invenzione)

Spero che questo capitolo di introduzione e descrizione vi sia comunque piaciuto, mi piacerebbe sentire cosa ne pensate! Noi ci rivediamo alla prossima! Bye bye, Aru! :3

 

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Capitolo 3
*** Inglese Nevrotico ***


Capitolo 2
Inglese Nevrotico

 

Lunedì.

Ah, Francis odiava il lunedì. Ricominciava la solita routine tra la scuola, il lavoro e lo studio. Tutto ciò lo stancava davvero molto, dal momento che persino il sabato aveva il turno al lavoro, in un locale poco lontano dal suo appartamento. Nessuno conosceva il posto in cui lavorava (tranne Antonio e Gilbert, ovviamente), si vergognava a farsi vedere da qualcuno della scuola con la divisa da cameriere. Dopotutto lui proveniva da una famiglia benestante, la gente non si spiegava come mai un ragazzo così giovane dovesse cominciare a lavorare pur potendo ricevere tutti i soldi che voleva dal paparino. Ma loro non sapevano. Loro non potevano sapere.

Quel giorno era arrivato a scuola più stanco del solito. Non aveva avuto nemmeno la forza di flirtare con qualche ragazza del terzo anno adocchiata nei corridoi! Il che era parecchio strano per il re del corteggiamento.

Anche in classe era stato più distratto del solito. Aveva tante cose a cui pensare, davvero troppe per un ragazzo della sua età.

Si rianimò soltanto durante la lezione di letteratura inglese quando l'insegnante rimproverò per la centesima volta nell'arco di due settimane Arthur Kirkland, il suo vicino di banco. Era così divertente vederlo innervosirsi e diventare tutto rosso per la vergogna di essere stato ripreso di fronte a tutta la classe.

Ma Francis non lo sopportava affatto, specialmente dopo le premesse di quando aveva messo piede in quella classe per la prima volta, l'anno dopo essersi ritirato dalla scuola. Era il primo giorno, eppure il damerino inglese si era sicuramente alzato con la luna storta (ormai non la considerava più una novità, Arthur sembrava perennemente infastidito da qualunque cosa accadesse che non fosse perfetta), difatti dopo solo una piccola e involontaria spinta da parte del francese, aveva cominciato a dare di matto. Letteralmente! Certo, Francis scontrandosi con lui gli aveva fatto versare il thè ancora bollente sulla divisa, ma perché farne una tragedia? E meno male che gli inglesi erano considerati educati, rispettosi e dei veri "gentlemen”. Al diavolo le dicerie su quegli ingordi di thè! Da quell'insulso momento i toni tra di loro erano rimasti decisamente tesi.

In pratica, Arthur era troppo rigido e preciso in tutto, non sorrideva mai se non per ghignare per le sue stesse battute sarcastiche che gli rivolgeva spesso, ma non aveva affatto il senso dell'umorismo, a meno che non fosse quello pungente inglese. In pubblico, in particolare davanti ai professori, non si scomponeva mai nella postura, la sua divisa era sempre ben stirata e perfettamente aderente al suo corpo magro. I lineamenti marcati del viso gli conferivano un'aria fredda e tenace. Peccato si innervosisse per qualunque cosa e ciò poteva essere davvero irritante per chiunque gli stesse a fianco.

C'era solo una cosa di lui che Francis adorava follemente. Gli smeraldi che letteralmente aveva al posto degli occhi. Duri, ma brillanti, dentro di essi ardeva un fuoco verde che attirava intensamente il francese. Ogni volta che quell'inglesino gli lanciava uno sguardo, il cervello gli andava letteralmente in tilt, troppo impegnato a contemplare quel colore così vivo che mai aveva visto in vita sua. Nemmeno gli occhi di Antonio erano di un verde così intenso da sembrare finto.

Proprio in quel momento, mentre rifletteva sulla bellezza dei suoi occhi, Arthur si voltò verso di lui ancora rosso per la figuraccia di qualche attimo prima. Se possibile, arrossì ancora di più quando notò che Francis lo stava guardando.

- Che diavolo hai da fissare?! - sibilò a denti stretti.

Francis lo ignorò, come al solito. Appoggiò la propria guancia sul palmo della mano, alzando un sopracciglio. - Fai proprio schifo in letteratura, eh, Mr. sourcils? - ridacchiò divertito.

- Ah, sta' zitto! Non so che cosa voglia dire quella parola, ma se è un insulto, vedrai! - detto questo, puntò di nuovo gli occhi sul suo libro e non li alzò più per il resto della lezione, lasciando Francis senza alcuna possibilità di ribattere.

 

Per qualche ragione che lui ignorava, ma decisamente straordinaria, quel giorno le attività pomeridiane a scuola erano state sospese, per cui avrebbe avuto più di tre ore libere prima di correre al lavoro.

Mentre cercava il proprio portafoglio nella borsa scolastica per poter comprare il pranzo alla mensa, Antonio e Gilbert erano ormai entrati in una delle loro conversazioni senza senso che nemmeno lui riusciva a capire, probabilmente riguardo alle arti marziali, decisamente non l'argomento preferito del francese.

Dopo averlo finalmente trovato, si alzò trionfante pronto ad andare a mangiare, ma venne attirato da una cosa. Qualcosa che ormai aveva notato da tempo, ma a cui non aveva mai dato troppo peso: Arthur stava pranzando da solo, di nuovo.

In quel momento gli fece... Pena? Forse non era la parola giusta, ma comunque gli dispiaceva. Non gli sembrava di averlo mai visto pranzare o parlare con qualcuno.

Francis non si sarebbe mai perdonato per il gesto che stava per fare, ma tanto valeva tentare.

Si sedette sul banco dell'inglese senza tanti complimenti e gli rivolse un sorriso decisamente forzato, ma gentile il più possibile.

- Vieni a mangiare con noi? - gli chiese.

In quel momento poté chiaramente sentire un acutissimo e stupitissimo “coooosa?!” da parte di Gilbert. E Arthur era forse più stupito di lui, tanto che si era pure dimenticato di insultarlo per essersi seduto sul suo banco.

- Come... Scusa? - la sua espressione era impagabile in quel momento, ma Francis si sforzò di non ridergli in faccia e rispondere ironicamente, come invece faceva sempre.

- Sei sempre solo, perché non vieni a mangiare con noi? Ti facciamo un po' di compagnia! - si spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, sfoggiando il sorriso più caloroso possibile, capace di persuadere chiunque. Solitamente. Infatti, con Arthur non ebbe il risultato sperato. Anzi, sembrò innervosirsi.

- Te lo scordi, rana! Perché dovrei venire con voi megalomani casinisti? - rispose acido l'inglese.

Francis storse le labbra. Non aveva mai ricevuto un rifiuto, tutti cadevano ai suoi piedi grazie al suo incredibile fascino e ne era pienamente consapevole. Anche se da bambino non se ne vantava e non lo usava come mezzo di persuasione, aveva sempre saputo di essere un giovane dalla straordinaria bellezza: lineamenti delicati inusuali per uomo, occhi di un blu profondo e un buon fisico da ballerino. Insomma, per le ragazze della scuola era considerato “perfetto” e se questo poteva servirgli per ottenere ciò che voleva, sfoggiava la sua bellezza molto volentieri.

Ma a quell'inglese il suo fascino non toccava minimamente, sembrava quasi lo trovasse l'essere più ripugnante sulla faccia della terra! (Impossibile... Vero?)

- Allez! Non farti pregare! - usò il tono più supplicante possibile, ma l'inglese non cedette.

Dopo qualche attimo di riflessione, Francis continuò. - Se tu mi fai il favore di venire con noi a mangiare, ti prometto che domani prenderai più del 60% nel test di letteratura! Fermati con me dopo scuola, dopotutto le attività extrascolastiche sono state sospese e avrai sicuramente tempo, n'est-ce pas?

Arthur assottigliò lo sguardo. - Perché dovrei stare da solo con un pervertito come te? Non ci penso nemmeno! - incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della sedia e guardando il francese con aria di sufficienza.

Francis fece finta di non ascoltare l'insulto del ragazzo e continuò. - Sono la tua unica speranza per prendere un bel voto e non essere più torturato dai richiami di Mrs. Collins.

Questo sembrò smuovere appena l'inglese, che tornò nella posizione ritta e composta di prima.

- Me lo assicuri? - il tono era incerto, non si fidava del tutto di Francis.

L'altro annuì trionfante e scese dal banco, raggiungendo i suoi due amici. Si allontanarono tutti e tre dall'aula seguiti a ruota da Arthur, il quale si portò dietro il suo solito sandwich bruciacchiato fatto a casa.

 

 

 

Pessima idea ascoltare quel dannato francese.

Ora Arthur si trovava spiaccicato tra mille altri studenti in coda per prendere il pranzo. Si sentiva seriamente a disagio. Odiava stare in mezzo a troppa gente, lo faceva sentire vulnerabile. Francis e gli altri due invece sembravano abituati a tutta quella calca e non se ne curavano più di tanto. Ridevano e chiacchieravano, ignorando miseramente l'inglese.

Probabilmente Arthur assunse un'aria più nervosa di quanto credesse, perché Francis, quando lo notò, gli chiese subito se stesse bene. - Tranquillo, ormai siamo arrivati. - rise con la sua solita risatina da odiosi nobili parigini dei film ed aprì il portafoglio per tirare fuori i soldi per il panino.

Forse Arthur non avrebbe dovuto, ma sbirciò per qualche attimo all'interno del suo portafoglio. Lo attirò una foto coperta quasi del tutto dal dito del francese che riportava due bambini biondi, che potevano essere lui e sua sorella, immersi in un paesaggio innevato. L'altra foto invece era ben visibile: Francis che teneva in braccio una bambina dai lunghi capelli castani legati in due code e dalla pelle ambrata. Gli stava dando un tenero bacio sulla guancia e Francis sorrideva come mai lo aveva visto fare.

Francis chiuse velocemente il portafoglio non appena si accorse che Arthur stava fissando le foto al suo interno. - Sono cose private, mon cher. - disse sorridendogli, ma con una vena di irritazione.

L'inglese si chiese come mai quelle foto così belle per un tipo come Francis fossero considerate “private”, ma non gli sembrò opportuno porre la domanda al ragazzo.

Mangiare con i tre ragazzi non fu così traumatico. Arthur si era limitato ad ascoltare i loro discorsi idioti in silenzio e certe volte a tirare frecciatine a Francis, la sua specialità, prontamente ricambiate. L'argomento preferito di Gilbert era “quante ragazze sono cadute ai miei piedi nell'arco di una sola giornata” e per il momento si riteneva il migliore (come sempre). Dopo dieci minuti buoni passati a sentire il tedesco descrivere accuratamente ogni ragazza della scuola che trovasse carina, finalmente Antonio ebbe il coraggio di cambiare argomento abbracciando con fare fin troppo amichevole Francis, seduto accanto a lui. - Allora, usignolo, perché non ci canti qualcosa? Non lo fai da tanto!

Francis arrossì vistosamente alla proposta dello spagnolo e se lo scrollò di dosso. - Lo sai che mi vergogno! Non canterò mai davanti a qualcuno! - scoppiò a ridere dando delle occhiate nervose ad Arthur.

Ora che ci pensava, Francis non aveva mai frequentato il corso di arti marziali con i suoi due amici. Invece faceva parte del corso di canto, danza e strumento. Gli venne quasi da ridere ad immaginare Francis ballare, ma si ricredette subito pensando che entrare in quel corso non era affatto facile. Questo stava a significare che il francese aveva grandi capacità. Diamine! Un altro motivo per inv- odiarlo.

Proprio nel momento in cui Arthur stava per essere interpellato da Gilbert, la campanella suonò, salvando il ragazzo da possibili domande altamente imbarazzanti.

 

 

 

Arthur aprì la porta della biblioteca scolastica e sbirciò dentro per controllare chi ci fosse. Sembrava vuota, probabilmente ogni studente della scuola, approfittando della mancanza dei corsi pomeridiani, era uscito a fare qualunque cosa che fosse più invitante di passare il tempo in biblioteca.

- Allora, cominciamo? - la voce di Francis alle sue spalle gli fece prendere il primo infarto della giornata. Il francese entrò senza troppi complimenti, occupando uno dei tanti tavoli della stanza, invitando l'inglese a sedersi di fianco a lui.

Stranamente per Arthur, il francese non fece nulla di perverso, al contrario di quanto era accaduto in tutti i suoi film mentali. Anzi, era stato impeccabile nella spiegazione, nemmeno in cinque anni di scuola aveva sentito un professore spiegare così bene e soprattutto aveva avuto pazienza. Arthur doveva ammetterlo, quando non capiva qualcosa sembrava un ebete.

Lo metteva solo un po' a disagio il fatto che Francis gli stesse così vicino senza vergogna, che gli toccasse la mano quando voleva prendere la penna o che gli desse dei colpetti sulla spalla ogni volta che l'inglese riusciva a comprendere il significato di una poesia. Decisamente troppo invadente.

Ad un certo punto Francis diede un'occhiata al suo orologio da polso e scattò in piedi mettendosi velocemente il cappotto. - Mon Dieu, quanto è tardi! Scusami, Kirkland, devo andare. Ah! Devo avvertire Monique! Sei stato bravissimo, vedrai che domani prenderai un bellissimo voto e tutto grazie a me! - prese la borsa a tracolla della scuola e si precipitò fuori dalla stanza lasciando Arthur ridicolmente solo nella biblioteca completamente vuota.

Erano solo le cinque del pomeriggio, quali impegni poteva avere un ragazzo a quell'ora? Di solito finivano le attività e gli studenti tornavano a casa.

Arthur non stette troppo a pensarci. Sospirò per la stanchezza, prese tutti i suoi libri e si diresse verso l'uscita della scuola. Fu solo in quel momento che notò lo schermo del proprio cellulare e per poco non gli venne il secondo infarto della giornata.

- Cosa?! Dieci chiamate perse da mamma? Oh mio Dio... - quasi non ebbe il coraggio di richiamarla, tutte quelle chiamate non promettevano nulla di buono, e sua madre arrabbiata era la cosa più terrificante che avesse mai visto o sentito nell'arco della sua breve vita. Ma meglio tardi che mai... No?

Stette per parlare non appena sentì la cornetta alzarsi dall'altro lato, ma venne interrotto dalla voce alzata di due ottave della madre che chiamava il suo nome, il che lo costrinse ad allontanare il cellulare dal suo povero orecchio.

- Arthur William Kirkland!! Cosa stavi facendo?? Non hai visto che ti stavo chiamando?! Devi andare a prendere tuo fratello da scuola, muoviti! Sei in ritardo di mezz'ora! - e così gli chiuse il telefono in faccia. Tipico, dopotutto non era la prima volta che succedeva.

Tirò un sospiro di frustrazione e si avviò verso la scuola elementare del suo fratellino. Accadeva spesso che la madre non potesse andare a prendere Peter a causa del lavoro e che l'unico disponibile fosse Arthur, ma sentirla sbraitare così nonostante lui non avesse alcuna colpa era snervante. Adorava sua madre, era gentile con lui, ma alle volte avrebbe voluto che fosse un po' meno... agitata.

Finalmente arrivò davanti al portone della scuola. Sapeva già dove andare, di solito tutti i bambini che non potevano essere portati a casa dai genitori durante l'orario di uscita regolare giocavano nel grande giardino della scuola fino a che qualcuno non li veniva a prendere.

- Sei solo un mocciosetto di tre anni! -

Poco prima di svoltare l'angolo dell'edificio, Arthur riuscì a sentire questa frase pronunciata da una voce a lui inconfondibile. Era la tipica vocina di un bambino troppo allegro e gradasso, che aveva tanta voglia di crescere e fare lo spaccone con i bimbi più piccoli, nonostante fosse il primo ad essere un nano da giardino.

Ed infatti il suo udito non si sbagliava.

Svoltato l'angolo vide davanti a sé girato di schiena e con le mani sui fianchi il suo fratellino Peter: un bambino biondo dagli occhi azzurri di otto anni, vestito con pantaloncini, maglietta e cappellino bianchi e blu, la tipica divisa maschile della sua scuola elementare. Chiunque avrebbe notato che erano palesemente fratelli: nonostante il viso del più piccolo fosse più rotondo e dai tratti più delicati, avevano un taglio di capelli simile ed erano riconoscibili dalle loro enormi sopracciglia, solo che tutti sostenevano che calzavano in modo più grazioso a Peter. Arthur non sapeva ancora se lo dicessero perché ai loro occhi il suo fratellino era un dolce pulcino oppure per prendere in giro il maggiore.

- Non ho tre anni! - rispose grintoso il bimbo con cui Peter si stava fronteggiando. - Ne ho tre e tre quarti! Manca poco ai quattro, sono grande!

- Che diavolo vuol dire tre e tre quarti?! Sei comunque un mocciosetto! - ribatté Peter con altrettanta grinta, incrociando le braccia.

- Va bene, ora basta. Guarda che anche tu, Tappetto, sei poco più di un moccioso. - intervenne Arthur, temendo che da un momento all'altro i due si sarebbero azzuffati come se non ci fosse stato un domani. Era meglio prevenire, soprattutto se il più piccolo diceva la verità sostenendo di avere poco meno di quattro anni, sarebbe stato schiacciato dal peso di Peter, ben più grande di lui.

Questo si voltò non appena si sentì chiamato in causa dalla voce del fratello maggiore. - Hey, Arthur!! Ti avevo detto di non chiamarmi più Tappetto! E poi lui è molto più moccioso di me! - esclamò indicando il bambino che aveva davanti a sé: aveva due grandi occhi azzurri, talmente luminosi e carichi di vitalità che Arthur temette che, guardandolo per troppo tempo, sarebbe diventato cieco. I capelli biondo cenere erano piuttosto spettinati ed il suo grembiulino blu era tutto stropicciato, forse per via di una corsa o di una precedente azzuffata.

Il piccolo strinse i pugnetti e gli rispose a tono, ignorando del tutto l'arrivo di Arthur. - Ti ho detto che ho quasi quattro anni! Sono un grande eroe, salvo i miei fratelli dai cattivi, sono più forte di te! - batté il piede a terra e le guance paffute gli diventarono tutte rosse per la rabbia. Faceva tenerezza in quello stato, non avrebbe intimorito neanche un coniglietto.

Prima che Peter potesse ribattere con qualcosa di offensivo o di stupido, Arthur gli tappò velocemente la bocca con la mano e si chinò appena verso il bimbo, sfoderando un sorriso più o meno caloroso.

- Ma certo che sei un grandissimo eroe! Guarda che muscoli che hai! - era il tono più falso che avesse mai potuto usare, ma sembrò avere un buon effetto sul bambino, che sorrise e gonfiò il petto, fiero più che mai.

- Sì, sono un eroe! - esclamò con un tono ancora più energico di quello usato poco prima, accompagnato da una fragorosissima e fierissima risata.

Peter si dimenò a tal punto da riuscire a sfuggire alla presa del fratello, ma non disse niente e si limitò a mettere il broncio ed incrociare le braccia: sapeva benissimo quanto Arthur si potesse arrabbiare se faceva troppi capricci.

Arthur continuò così la conversazione con il bimbo, inginocchiandosi davanti a lui. - Come ti chiami, grande eroe dell'Inghilterra?

- Non dell'Inghilterra! È troppo piccola e fredda! Io voglio essere l'eroe... - ci pensò su per qualche attimo, poi il suo volto si illuminò. - Dell'America! Sì, sarò l'eroe della grandissima America! E comunque mi chiamo Alfred!

Arthur pensò che ce n'erano fin troppi di eroi americani con tutti i fumetti della Marvel che giravano in quegli anni, ma fece finta di niente e resse il gioco al bambino.

- E' un piacere conoscerti, grande eroe dell'America Alfred. - disse in tono solenne, come se dovesse incoronarlo re di qualche terra importante. - Ti prego di perdonare la maleducazione del mio fratellino, certe volte non sa bene quel che dice... - fulminò con lo sguardo Peter: nella strada verso casa gli avrebbe fatto una bella ramanzina. - Perché non ti scusi con lui, Peter? - suonava come una domanda, ma era chiaramente un ordine.

Il fratello si limitò a grugnire, senza dire assolutamente niente per non infrangere il suo orgoglio da bambino grande. In questo anche erano molto simili i due fratelli: l'orgoglio inglese era una delle cose più preziose che avevano, da difendere ad ogni costo! Solo al secondo richiamo, molto più irritato ed insistente, di Arthur dovette mormorare un “scusami” non troppo convinto.

Alfred non sembrò notare il clima teso tra i due fratelli e annuì energicamente. - L'eroe accetta le tue scuse! Ma solo perché me l'ha chiesto questo vecchietto. - disse indicando con il piccolo dito affusolato Arthur, il quale al sentirsi chiamare così pulsò una vena sulla fronte per l'irritazione.

- Come... Scusa?! Vecchietto a me?? Ma come ti permetti...! -.

L'appellativo provocò l'ilarità di Peter, che faceva da sfondo musicale con la sua risata sguaiata e divertita.

Arthur si sentì profondamente ferito da quell'insinuazione. E da chi? Da un bambino! Oh, di certo lo avrebbe riempito di frasi poco carine, ma lo trattenne il fatto che era troppo piccolo per sentirle. Eppure quella sensazione non gli era nuova. Non era l'unico che lo faceva sentire così irritato per una semplice frase. C'era anche... Francis. Ah! Quel maledetto francese! Perché gli veniva in mente proprio in quel momento?! Si sforzò di non pensarci, tentando di cambiare discorso. - Non ti viene a prendere nessuno, Alfred? - marcò volontariamente il suo nome, come se pronunciare quello invece che un brutto nomignolo gli suonasse difficile.

- Deve venire papà! - rispose lui con nuova energia, dimentico del discorso di pochi attimi prima. Dimenticava e si concentrava su qualcosa di nuovo ad una velocità impressionante, pensò Arthur. - Ma viene sempre molto tardi perché lavora.

- Capisco... Ma la mamma o altri parenti non possono venire? - chiese. Non che fosse davvero interessato, ma era un discorso che serviva giusto per non farsi più prendere in giro da Peter.

Alfred scosse la testa, facendo spallucce. - Viene solo papà. – disse spostando lo sguardo ai giochi del cortile della scuola.

In quel momento quell'espressione pensierosa, forse troppo per un bambino così piccolo, così diversa da quella allegra di qualche istante prima, gli ricordò una persona che già conosceva... E in effetti, facendo più attenzione, anche i lineamenti del viso così delicati gli ricordavano tanto qualcuno... Specialmente lo sguardo aveva un non so che di familiare, ma proprio non riusciva a ricordare chi fosse. Decise di non darci peso per non arrovellarsi troppo il cervello.

Si alzò annuendo alla risposta secca del bambino che stava a sottolineare che il discorso era ufficialmente chiuso. Magari voleva soltanto andare a giocare con gli altri bambini rimasti invece che parlare con lui ed Arthur si stava facendo sicuramente troppi problemi.

- Va bene, Alfred. Allora io e Peter adesso andiamo. Ci vediamo e non metterti nei guai facendo l'eroe! - disse prendendo per mano il fratello e salutando il piccolino con la mano libera, mentre si allontanava.

Solo quando Alfred si voltò per raggiungere i giochi del giardino, Arthur notò che c'era un altro bambino che lo seguiva. Sgranò gli occhi domandandosi se fosse stato dietro di lui per tutto il tempo o se fosse arrivato in quel momento. In ogni caso, non l'aveva notato affatto. Aveva anche lui i capelli biondo cenere, solo un po' più lunghi, e gli occhi violetti. Era suo fratello senza ombra di dubbio. Sembrava un bimbo tranquillo e silenzioso, tutto il contrario di Alfred. Possibile che tutta la sua energia offuscasse la presenza del suo stesso fratello?

Arthur ridacchiò un po' sconcertato al pensiero e, dando un ultimo saluto al bambino, si diresse verso casa. Sperava tanto di poterlo rivedere un altro giorno, era un bimbo buffo ed era divertente sentirlo parlare, magari cercando di rimediare con il fratellino, parlando anche con lui.

 

 

 

 

Seduto alla scrivania di camera sua, davanti al libro di inglese, al momento il suo acerrimo nemico, Francis sbuffò esasperato. Era sui libri solo da un'ora, ma era talmente esausto da non riuscire a concentrarsi.

Guardò l'ora sul suo orologio da polso: le 22:50. Non era neanche troppo tardi, ma la giornata era stata davvero sfiancante: cinque ore di scuola, tre di pura esasperazione con quel cocciuto di Kirkland ed altre tre di lavoro in quel maledetto locale.

Non aveva avuto tempo per niente e per nessuno, era a malapena riuscito a cucinare qualcosa per cena e si sentiva spossato più che mai. Ed era solo ottobre. Come avrebbe fatto a continuare così per altri sette mesi di scuola? Piuttosto un discorso eterno di Gilbert sul “Meraviglioso Lui”!

Proprio nel momento in cui stava per scaraventare la penna contro il muro per la frustrazione, sentì bussare alla porta e vide entrare sua sorella, il che lo fece calmare all'istante.

- Scusa se ti disturbo, Francis, ma io adesso tornerei a casa... - si sistemò i grandi occhiali rotondi sul naso e socchiuse la porta, avvicinandosi al fratello.

Francis annuì. - Va bene. Grazie mille, Monique, per tutto ciò che fai. Spero non ti abbiano causato troppi problemi e che invece ti abbiano lasciato studiare almeno un po'...

- Oh, sì! Ho studiato un pochino, non avevo molto da fare, dopotutto. - accennò una risatina appoggiando la sua lunga treccia sulla spalla.

Francis le sorrise dandole un bacio affettuoso sulla fronte.

La porta della camera cigolò appena, attirando l'attenzione dei due fratelli. - Papà... - Francis abbassò lo sguardo, cercando nella penombra la figura che lo chiamava con quella vocina femminile inconfondibile alle sue orecchie. - Non riusciamo a dormire, ci canti la tua ninna nanna? -. Francis sorrise intenerito e si inginocchiò. Subito tre bambini gli circondarono il collo con le loro braccia minuscole accompagnando il gesto con delle risatine gioiose. Il ragazzo si alzò in piedi e fece una piroetta con i bambini in braccio, scatenando i gridolini e le risate dei tre piccoli, poi li rimise a terra ridendo.

- Allora, papà, vieni?? - gli chiese Shell, l'unica femmina dei suoi tre gemelli, tirandogli insistentemente l'orlo della camicia. Aveva la pelle color caffelatte e due bellissimi occhi ambrati, proprio la copia in forma mignon della sua mamma. Al solo pensiero, venne travolto da un forte senso di malinconia che cercò di oscurare mostrando un altro grandissimo sorriso verso la sua bambina.

Saran era il suo nome. Una ragazza delle Seychelles dolcissima, dai capelli castani perennemente raccolti da due inconfondibili fiocchi rossi. Era morta dando alla luce i tre gemelli. Francis da quel giorno si era sempre dato la colpa della sua morte, non riusciva a sopportare il fatto che per un suo sbaglio da ragazzino immaturo una ragazza di soli diciotto anni fosse morta. La sua ragazza. La sua Saran.

Ma ormai doveva lasciare al passato questi orribili pensieri e pensare al presente e soprattutto al futuro. Doveva garantire una vita sana ai suoi bambini, istruzione e felicità. Per questo lavorava nonstop ogni giorno, solo per il loro bene.

- Sì, la ninna nanna francese... Per favore. - questo era Matthew, il più tranquillo dei tre. Sentì a malapena la sua voce, infatti dovette chinarsi per poterlo sentire.

- Certo, Mattie, se ti fa piacere, ve la canterò. - rispose dolcemente il suo papà.

- No! Io voglio la storia dell'eroe!! - gridò Alfred saltando e muovendo le braccia in alto per farsi notare. Ma come non notarlo? Solo dal tono di voce riusciva ad ottenere l'attenzione di tutti.

- Quella ve l'ho già raccontata ieri, oggi tocca alla canzone. - esordì Francis con tono autoritario. Doveva tenere duro con quelle tre pesti, specialmente con Alfred. Ognuno aveva dei gusti differenti, doveva accontentare tutti a turno.

Se Shell era la copia della madre, Alfred e Matthew avevano preso quasi tutti i tratti dal padre: la carnagione rosea, gli occhi chiari ed i capelli biondi, solo un po' più scuri. Erano gemelli, ma avevano sia tratti comuni che differenti. Ad esempio, Matthew era l'unico silenzioso, gli altri due invece erano dei tornado fatti bambini, carattere preso da Saran. Avevano tutti e tre il viso tondo e paffuto, solo Matthew era più magro e deboluccio dei fratelli.

Francis li amava più di qualunque altra persona al mondo, non sarebbe mai tornato indietro per riavere la sua vecchia vita da liceale spensierato. Forse solo per salvare quella di Saran.

- Bambini, il papà per domani ha molto da studiare, non disturbatelo... - disse Monique, ma Francis la rassicurò posandole una mano sulla spalla.

- Ci metterò un attimo, non appena si addormentano mi rimetto a studiare. - disse prendendo in braccio Shell ed uscendo dalla sua camera. - Piuttosto, vuoi che ti accompagni? Ormai è buio...

- No, papà mi verrà a prendere. - disse con tono incerto, come se l'argomento “genitori” non fosse ben accetto in quel momento. E in effetti era così. Francis non aveva più un buon rapporto con i suoi genitori dalla nascita dei tre figli. Sin da quando avevano scoperto che il loro primogenito (erede del patrimonio Bonnefoy) aveva messo incinta una ragazza a soli sedici anni l'avevano considerato un reietto. Anzi, non l'avevano proprio più considerato. L'avevano cacciato di casa e Francis aveva detto molto volentieri addio a tutto ciò che lo legava alla casa dei suoi genitori ed era andato a vivere con Saran nell'appartamento in cui ormai viveva senza di lei, ma con i bambini.

Non riusciva proprio a capire cosa spingesse quei due a rifiutare l'esistenza dei loro nipoti. Specialmente quell'arpia di sua madre. Una gallina che pensava solamente ai soldi e al futuro promettente dei suoi figli, o meglio, della figlia: dopotutto quello di Francis era già rovinato.

Cacciò via quei pensieri prima che gli venisse un attacco di isteria davanti ai bambini e salutò la sorella che stava uscendo dalla porta d'ingresso. Poi entrò nella camera dei bambini e li mise uno ad uno sotto le coperte del letto matrimoniale. Purtroppo non aveva ancora comprato un letto singolo per ciascuno, ma il letto matrimoniale era risultato la soluzione più economica. Era costato molto meno di quanto sarebbero costati tre letti singoli e i bambini riuscivano a dormirci bene, dato che erano ancora piccoli.

- Papà, papà! - esclamò Alfred che di dormire proprio non ne voleva sapere. - Sai che oggi ho fatto a botte con un bambino che ha preso in giro Mattie?? Alla fine ho vinto io, quindi sono un eroe!

- Ecco perché il tuo grembiule era tutto sporco! Alfie, lo sai che non voglio che picchi gli altri bambini. Sei forte e potresti fare molto male.

- Ma diceva che era anor... anorittico e nessuno può dire queste cose al mio fratellino!

Francis sospirò amareggiato. - Non sai nemmeno cosa voglia dire anoressico. Comunque, Mattie. - diede una carezza alla guancia dell'altro figlio, accennando un sorriso. - Non ascoltare ciò che ti dicono gli altri bambini, non sanno quello che dicono. E soprattutto sono troppo piccoli per dire certe cose! Domani mi direte chi è questo bambino cattivo, va bene?

Il piccolo annuì un po' in imbarazzo per tutte quelle attenzioni.

- Anche Xiao Mei e Li Xiao Chun hanno aiutato Alfred! Siamo amici, sai papà? - aggiunse Shell tirando la manica della camicia di Francis.

- Sì e poi stavo anche per fare a botte con Peter, quello della scorsa volta, ma poi è arrivato suo fratello e non mi ha più preso in giro! Era molto simpatico, anche se sembrava vecchissimo! Aveva delle enormi so-

- Va bene, ho capito, Alfie, ma adesso dovete andare a dormire. - lo interruppe Francis prima che cominciasse la filippica sui suoi nuovi amici. - Domani dovete svegliarvi presto per andare all'asilo!

- Ora ci puoi cantare la ninna nanna francese? - chiese con un filo di voce Matthew, il quale stringeva a sé l'orsetto di peluche che Francis gli aveva regalato al compleanno precedente e da cui non si era mai separato. Si sentiva fiero per questo, voleva dire che a lui ci teneva davvero e Francis ne era grato.

Suo padre gli diede un bacio sulla fronte e cominciò a cantare, a voce bassa per favorire il sonno. Come previsto, non ci volle molto prima che tutti e tre si addormentassero. Non appena fu sicuro che stessero davvero dormendo, li rimboccò per bene con le coperte e tornò a sedersi alla sua scrivania, non ancora psicologicamente pronto ad affrontare il test di inglese del giorno successivo.


Spazio dell'Autrice
Ciao a tutti!
Pubblicare il capitolo entro novembre??? Bella battuta!! Chiedo umilmente perdono a tutti quei poveri cristi che seguono la mia fanfiction, sono una frana in tempistiche! Ma gli studi non si completano da soli, no? (eh, magari!)
Comunque sono finalmente spuntati gli altri tre personaggi principali!! America, Canada e Seychelles! Aka figli di Francis! E' una storia deprimente la loro, lo so, ma ce l'avevo in mente da tantissimo e desideravo metterla in una fanfiction!
Poi Xiao Mei e Li Xiao Chun sono i nomi (ufficiali? Fanon? Non ne ho idea, sinceramente li ho scelti perchè sembravano dolcissimi) rispettivamente di Taiwan e Hong Kong, in questa fanfiction sono gemelli e fratellini di Cina ^^
Non ho molto altro da dire. Dal prossimo capitolo la storia comincerà a formarsi! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (è lungo, perdonatemi!), mi piacerebbe sapere cosa ne pensate per magari migliorare qualcosa!
Bye bye, Aru! <3

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Capitolo 4
*** Tra Risate e Azzuffate ***


Capitolo 3

Tra risate e azzuffate

 

- Che cosa?!

Un grido di sorpresa si levò in aria facendo ammutolire tutti i presenti nella classe, che smisero di fare ciò in cui erano occupati poco prima per girare lo sguardo verso colui che aveva appena urlato. Per pochissimi attimi aleggiò il silenzio per tutta l'aula.

- C-come diavolo è possibile?! Ho... Ho preso 75% al test di letteratura inglese! - esclamò Arthur con la voce tremolante per l'eccitazione e la meraviglia. Anche le mani che stringevano il foglio del test che avevano fatto due settimane prima tremavano tutte.

Francis scoppiò immediatamente in una fragorosa risata andando a cingere il collo dell'inglese con il braccio. Arthur era talmente estasiato dalla bellezza del voto che non si preoccupò nemmeno di togliersi di dosso il francese. - Hai visto? Tutto grazie ai miei preziosi insegnamenti!

- Sei stato bravo, Kirkland. Cerca di non abbassarti il voto con i prossimi test. - lo schernì Mrs. Collins, guardando poi Francis. - E tu non ridere troppo, Bonnefoy! Ti sei rovinato la media! - e gli lasciò tra le mani il suo compito.

Ah, un 60% al pelo... Beh, non c'era da meravigliarsi. Non aveva studiato un granché per quel compito da quanto era stanco la sera precedente. Si era addormentato sul libro cinque minuti dopo aver messo a letto i bambini e se n'era accorto soltanto la mattina del giorno seguente. Tutto ciò che gli rimaneva in testa era solo quello che aveva spiegato ad Arthur in biblioteca.

Antonio gli diede una gomitata affettuosa sul fianco, ridendo. - Coraggio, Francés! Non ti demoralizzare. Sei comunque andato meglio di me! - e gli mise davanti al naso il suo bellissimo 36% scritto in penna rossa sul lato destro del foglio.

I due amici scoppiarono a ridere divertiti. - Tonio, sapevo che facevi schifo, ma non avrei mai pensato che potessi prendere un voto così basso!

Francis diede un'occhiata alla figura di Arthur che era ancora rimasto imbambolato a fissare il proprio voto. Era buffo in quello stato. Sicuramente diecimila volte meglio di quando lo insultava o lo criticava per qualunque cosa. Quando era felice sembrava quasi che mettesse da parte i problemi che gli affollavano la mente durante il giorno e quel cipiglio arrabbiato che tanto lo faceva sembrare un uomo di mezza età con un grande e triste passato alle spalle. Alzò le spalle sorridendo a quell'insolito paragone che gli era venuto in mente e tornò a sedersi al proprio posto.

 

 

Al suono della campanella che segnava l'inizio dell'intervallo, Francis ed Antonio schizzarono fuori dall'aula per raggiungere Gilbert, la cui classe era in fondo al corridoio, proprio davanti alle scale. Questo non appena li vide, corse incontro ad Antonio, serrandogli il  braccio intorno al collo in una morsa energica. - Finalmente oggi mi fai vedere in quale classe si trova il famoso “Mi amor Romano Vargas”! - lo prese in giro mentre scendevano le scale, imitando una delle solite frasi dello spagnolo di quando fantasticava sull'italiano.

- Non scherzare, Gil! Se ci vede quello ci ammazza! -. Antonio era arrossito tutto d'un colpo solo a sentire il nome dell' “uomo della sua vita”, come lo chiamava lui.

Francis lo giudicò semplicemente adorabile.

Quei due si conoscevano da una vita ed Antonio era da sempre innamorato di lui, ma non era mai riuscito a confessare alcun sentimento. Un po' era colpa del caratteraccio di Romano, che nessuno riusciva a spiegarsi come Antonio riuscisse a sopportare, ma soprattutto lo spagnolo diventava timidissimo in sua presenza, cosa assai rara essendo sempre estroverso con tutti.

Finite le scale, percorsero il corridoio delle classi del quarto anno fino ad arrivare a quella dell'italiano. Si sporsero mettendosi uno sopra l'altro, affacciandosi il meno possibile dalla porta per non farsi notare.

- Eccolo! - bisbigliò Antonio indicando con lo sguardo la figura di un ragazzo che era intento a chiacchierare con delle compagne. Dall'espressione non sembrava molto interessato all'argomento, sembrava più che altro che lo avessero costretto a conversare.

Era magro, molto magro. Francis conosceva bene i suoi due fratelli minori e rispetto a loro, Romano sembrava non mangiasse da giorni. A parte questo, aveva due bellissimi occhi tra il verde chiaro e l'ambra, i capelli castani con un buffo ciuffo sul lato destro (tipico della famiglia Vargas) e due orecchini neri ai lobi delle orecchie.

Il suo viso era perennemente corrucciato e ce l'aveva letteralmente con il mondo intero. Sarebbe potuto essere carino come i suoi fratelli se solo avesse migliorato il carattere e l'alimentazione.

In quel momento gli si avvicinò Mikael Maes*. Era l'esatto opposto di Romano: un ragazzo alto e biondo, decisamente di bell'aspetto, un dongiovanni come Francis che rubava cuori a qualunque ragazza incontrasse. Era di animo mite e sempre disponibile con tutti, nessuno lo aveva mai visto arrabbiarsi, al contrario di Romano, il suo migliore amico. Non si separavano mai. Mikael conosceva tutto di Romano e questo tutto di Mikael. Insomma, un bell'avversario per Antonio! Ma Francis non credeva che l'italiano avrebbe mai distrutto la sua amicizia con il biondo per mettersi con lui. Ammesso che a Romano piacessero gli uomini...

Non appena la sua testa accennò a girarsi dalla loro parte, i tre ragazzi si tirarono indietro contemporaneamente, attenti a non farsi vedere.

Francis si mise una mano davanti alla bocca nascondendo un ghigno. - Ti piace proprio, eh Tonio?

Gilbert scompigliò i capelli all'amico, elargendogli un grande sorriso. - Vai da lui e farai colpo in un attimo!

Antonio si sentì piuttosto in imbarazzo in quella situazione e non poté nascondere il viso che piano piano si stava imporporando. - Non adesso, dobbiamo tornare in classe! E poi magari è impegnato con Mikael! O peggio! Magari è etero!

- Chi è impegnato con chi? - disse una voce alle loro spalle.

Per poco Antonio non urlò per lo spavento e, non appena si voltò, il suo viso, se possibile, diventò ancora più rosso nel vedere la minuta figura di Romano davanti a lui, accompagnato da Mikael. - Romano! Stavamo proprio per andarcene... 

- Devi smetterla di pedinarmi, bastardo! E' la terza volta in una settimana che ti vedo! - sbraitò l'italiano tirando un pugno in testa al povero Antonio.

Dopodiché li superò tutti e tre, dirigendosi verso il fondo del corridoio, probabilmente per andare in bagno, insieme a Mikael, il quale rivolse un sorriso ai tre amici per scusarsi dell'atteggiamento brusco dell'amico.

- Ah, quanto è bello... - aggiunse Antonio estasiato massaggiandosi la testa con la mano, seguendo la figura di Romano che si allontanava con lo sguardo.

Francis scosse il capo ridendo ed incamminandosi per le scale per tornare in classe.

- Non ti capirò mai, Antonio! Quel ragazzo ti tratta malissimo e tu lo assecondi come un cagnolino. - borbottò Gilbert alzando gli occhi al cielo.

- E' l'amore, Gil, non sottovalutare il suo potere! - gli disse Francis continuando a ridacchiare.

Francis però non sapeva propriamente cosa volesse dire amare qualcuno. I sentimenti che aveva provato per Saran erano stati forti, ma non sapeva se fosse amore. Anche per le altre ragazze che aveva avuto aveva provato un sentimento, ma non amore. L'ultima a cui aveva dimostrato tutto il suo affetto era stata Lien Chung, una ragazza cinese* della classe di Gilbert. Era dolcissima, ma dopo due mesi si erano dovuti lasciare per... Problemi personali di entrambi.

Invece quello di Antonio poteva essere definito amore. Quel ragazzo avrebbe fatto qualunque cosa per Romano pur di farlo felice.

Francis non sapeva se sarebbe mai arrivato a quel livello.

- Guarda che so cos'è l'amore! - sbottò Gilbert facendo un salto per finire gli ultimi gradini della rampa. - E ce l'ho proprio davanti. - ed indicò con lo sguardo la professoressa di storia Elizabeta Hèdervàry. Una donna affascinante, sui ventiquattro anni, dai lunghi e morbidi capelli castani, lievemente ondulati, e due occhioni verdi che ispiravano dolcezza. Nonostante l'apparente aria pacata, però, sapeva essere terrificante quando si arrabbiava e Gilbert lo sapeva bene. Si conoscevano da quando erano bambini e certe volte gli era difficile considerarla la sua professoressa invece che l'amica d'infanzia di cui era perdutamente invaghito.

Non appena i tre ragazzi incrociarono il suo sguardo, si fermò sorridendogli dolcemente. - Buongiorno, Gilbert. Spero tu abbia studiato per il test di storia... Perché hai studiato, vero?

Gilbert fece schioccare la lingua sul palato. - Vedrà! Per lei studio sempre, Mrs Hèdervàry.

- Non mi sembra dai tuoi voti passati...

- Ah! Quelli sono una vecchia storia! Non contano! Giorno nuovo, vita nuova, no? E poi sono comunque dei voti magnifici, come me! Piuttosto, stasera esci con me per una birra! Non lo facciamo da tanto!

Elizabeta sospirò, come se quello fosse un argomento discusso più e più volte. - Gilbert, ora sono una tua insegnante, non posso più fare le cose che facevo un tempo insieme a te da ragazzina.

- Dai, non farti pregare! Possiamo uscire ancora un'ultima volta! Per divertirci!

- Tu, Gilbert, non farai proprio niente. - si aggiunse una voce placida, ma che velava una vena di irritazione. - La campanella è appena suonata, sbaglio o dovresti essere in classe? - si avvicinò al gruppo Roderich Beildschmidt*, professore e direttore del corso musicale della scuola, marito di Elizabeta e fratello maggiore di Gilbert. Questo non appena lo vide fece una smorfia di disgusto mista a rassegnazione. Ormai il passatempo del fratello era diventato quello di rompergli l'anima ogni santo giorno a scuola.

I due sembravano odiarsi a morte, erano talmente diversi che non riuscivano ad andare d'accordo. Erano come l'acqua e l'olio. Roderich era calmo e rigido, non si scomponeva mai se non per mettersi a posto gli occhiali sul naso, mentre Gilbert era l'esatto opposto, chiassoso e in perenne movimento.

- Sì, professore. - grugnì il minore cacciandosi le mani nelle tasche dei pantaloni ed avviandosi verso la propria classe, seguito poco dopo da Elizabeta.

Roderich spostò lo sguardo sui due rimasti. - Anche voi. E Francis, oggi pomeriggio devi esserci alle prove, d'accordo? Sei un componente importante per la classe.

Il francese annuì e tornò in classe con Antonio.

Questo cercò in tutti i modi di sorvolare la questione di Gilbert e suo fratello e di tornare a parlare della sua disperata situazione con Romano. - Allora, re dell'amore, cosa mi consigli di fare con lui? Vorrei dichiararmi, ma mi vergogno! - disse un po' sconsolato, appoggiandosi al proprio banco.

La classe era ancora quasi vuota, gli studenti rimasti in bagno o alle macchinette sarebbero tornati da lì a poco.

- Antonio! Sei sempre stato estroverso con tutti, com'è possibile che con lui diventi un coniglietto? Non avere paura, chiediglielo con calma. - gli rispose il francese dandogli una pacca sulla spalla.

- Quindi... Sei gay. - la voce lievemente sorpresa di Arthur interruppe la loro discussione. Era entrato in classe proprio in quel momento.

Fu Francis a rispondere, conosceva Antonio, non gli piaceva rivelare la sua omosessualità ai quattro venti. - E anche se fosse? Ti crea problemi? - forse il suo tono risultò un po' troppo aggressivo, ma non gli importava più di tanto se era per difendere il suo amico.

Arthur non avrebbe mai voluto rispondere male per una faccenda così delicata, anche perché non aveva assolutamente alcun problema, gli faceva solo strano sapere che un suo compagno fosse omosessuale, ma il tono di Francis non gli piacque affatto e rispose involontariamente a tono. - Potrebbe crearmi problemi. - disse aspramente avvicinandosi al francese.

- Beh, allora fatteli passare, perché Antonio non cambierà solo per te.

- Perché non fai parlare lui e ti scaldi così tanto? Per caso lo sei anche tu?

Francis ghignò. - Potrebbe e comunque non verrei a dirlo ad un dannato razzista inglese e per giunta scemo!

Eh, no. Questo era troppo per Arthur. Poteva insultarlo quanto voleva, quel maledetto francese, ma distruggere il suo onore da inglese? No, non l'avrebbe permesso. Per di più non era affatto razzista, che diamine! Prese Francis per il colletto della camicia avvicinandolo al proprio viso adirato. Francis era più alto, ma Arthur era più forte. - Ripetilo, se hai il coraggio, lurido, viscido, pervertito mangia lumache.

- Sei un dannato razzista ingl-

Non riuscì a terminare la frase che gli arrivò un pugno dritto sullo zigomo che gli fece voltare la testa di lato. Non si aspettava una mossa simile, non da Arthur. Era sempre stato un po' nevrotico, ma arrivare addirittura alla violenza!

Si tastò con le dita la guancia dolorante, notando poi con disgusto che era riuscito persino a farlo sanguinare. - M-mi hai colpito... Mi hai colpito la faccia! - balbettò scrollandosi di dosso le mani dell'inglese.

- Te lo sei meritato, brutto cretino! Così la prossima volta imp-

Non fu concesso neanche a lui di finire la frase che subito incassò un pugno dritto sull'occhio sinistro. Arthur barcollò all'indietro andando a sbattere contro il proprio banco.

- Ah! Allora non sei così debole, francesino!

I due ragazzi diventarono subito un groviglio di mani, braccia e gambe che si scontravano senza tregua sotto gli sguardi perplessi dei, fortunatamente, pochi presenti.

Antonio cercò in tutti i modi di separarli, ma proprio non ne volevano sapere di smetterla: Arthur, ben più forte e allenato del francese, riuscì a buttarlo a terra e a mettersi a cavalcioni su di lui, pronto ad assestargli qualche colpo. Francis dal suo canto non seppe come schivare tutti i pugni, ma per lo meno riuscì a levarsi di dosso l'inglese con una gomitata dritta allo stomaco.

Soltanto l'intervento di Antonio e di un altro compagno di classe riuscì a fermare la loro lotta.

Il compagno, Abel Maes*, prese per le spalle Arthur togliendolo dal corpo di Francis, il quale intanto era stato bloccato dall'amico.

- Smettetela subito! Verrete sospesi se vi vede un insegnante! - Abel strattonò bruscamente Arthur che non ne voleva sapere di smetterla di darne di santa ragione al francese.

Francis invece sembrò calmarsi, evidentemente più stanco e più ferito di Arthur per poter continuare. Ma questo non gli impedì di lanciare all'inglese delle occhiate di fuoco per avergli sfregiato il viso e soprattutto per aver giudicato Antonio.

Dopo qualche attimo di silenzio, Arthur riuscì a liberarsi dalla morsa di Abel, ma non si fiondò di nuovo su Francis. Si diresse furibondo, sbattendo la porta dell'aula, verso il bagno per sciacquarsi il viso e soprattutto per non vedere più la brutta faccia di quel dannato francese.

- Francis, hai esagerato... Non te la dovevi prendere così tanto – disse Antonio, sentendosi un po' a disagio per il fatto che i due ragazzi avessero litigato per colpa sua.

- Non ho esagerato! Lui ti ha insultato! - però quella frase suonò strana anche a lui. Effettivamente, Arthur non aveva detto nulla di male contro Antonio, aveva risposto a tono soltanto all'intimidazione di Francis. Si massaggiò una guancia sospirando affranto.

- Sarebbe stato terribile se mi avesse detto “Che schifo che fai!” “Sei proprio la feccia dell'umanità!” lanciandomi addosso acqua santa chiedendo perdono per i miei gravi peccati, ma non l'ha fatto. Anzi, è stato... Gentile fino a che non l'hai provocato. - lo spagnolo gli posò una mano sulla spalla. - Dovresti andare a scusarti.

Francis fece una smorfia di disappunto. - Neanche morto! Ha cominciato lui, che venga a scusarsi per primo! - sbuffò un'altra volta incamminandosi verso la porta. - Vado in infermeria.

 

 

L'occhio sinistro di Arthur continuò a pulsargli e a fargli male per tutto l'arco della giornata. Non poteva nemmeno toccarlo da quanto gli faceva male. E non aveva nemmeno avuto tempo di posarci sopra un po' di ghiaccio, dato che in infermeria c'era Francis che non voleva assolutamente vedere.

Diamine, perché li avevano fermati? Avrebbe continuato a pestare quel francese per tutto il giorno solo per togliergli quell'orribile sorriso malizioso che aveva sempre stampato sulla faccia! E che cosa aveva avuto il coraggio di dire dopo il primo pugno? “Mi hai colpito la faccia”!! Non poteva essere serio! Era talmente idiota da preoccuparsi solo della faccia?! Roba da matti! E si era pure permesso di lamentarsi di non aver cominciato lui! Ah, se se lo fosse ritrovato di nuovo davanti...

- Maledetto francese dei miei stivali!! - Arthur diede un ultimo calcio circolare con il tallone al suo avversario, mandandolo definitamente al tappeto.

L'istruttore Sadiq Adnan soffiò nel suo fischietto indicando con la mano il giovane inglese. - Vince Arthur! Wow! Che grinta! A cosa pensavi per scatenare tutta quella forza? Sei stato bravo, ma nelle prossime settimane miglioreremo quel calcio.

Arthur annuì tornando a sedersi con la schiena contro il muro e bevve qualche sorso dalla sua bottiglietta d'acqua.

I ragazzi si stavano allenando per i campionati autunnali di karate che si sarebbero svolti nel mese di novembre, così un giorno alla settimana creavano dei tornei “amichevoli” tra di loro per dimostrare le proprie capacità e vedere cosa migliorare. In realtà non erano del tutto amichevoli. Per i ragazzi era l'ora giusta per potersele dare di santa ragione, specialmente se vi erano dispute in sospeso. Arthur quel giorno aveva superato i quarti di finale ed era ormai in semifinale. Il prossimo avversario sarebbe stato Antonio. Lanciò un'occhiata allo spagnolo che si stava asciugando il viso sudato con il suo asciugamano. Stava sorridendo, magari si era completamente dimenticato della lotta di quella mattina tra lui e Francis. Questo dubbio venne immediatamente confutato non appena i loro sguardi si incrociarono per un attimo ed Antonio si affrettò a distoglierlo da quello glaciale dell'inglese.

Non era arrabbiato con Antonio, no di certo, la colpa era solo dell'idiota francese, ma il fatto che quei due fossero amici non aiutava Arthur a non essere arrabbiato anche con lui.

- Siamo alle semifinali! Arthur, Antonio, forza! - urlò l'istruttore Adnan richiamandoli dalla loro breve pausa.

I due ragazzi si misero uno davanti all'altro, fecero il saluto inchinandosi e non appena videro il segnale che dava il via alla lotta, misero davanti a sé i pugni, saltellando sul posto, pronti ad attaccare o a difendersi.

Dopo un paio di finte e tentativi di attacco andati a vuoto, Antonio cominciò a parlargli. - Mi scuso a nome di Francis. Non voleva essere così maleducato...

Arthur rispose freddamente. - Non mi serve che lo faccia tu. Voglio sentire la sua voce mentre si scusa. Magari in ginocchio, sarebbe stupendo!

- Arthur, ascoltami, conosco Francis, è un bravo ragazzo, ha reagito così solo perché voleva aiutarmi, non voleva realmente offender-

In un solo istante Antonio si ritrovò con la schiena a terra ed il braccio di Arthur, chinato su di lui, sul suo collo. L'istruttore fischiò di nuovo indicando Arthur come vincitore. Questo fece un lieve sospiro. - So cosa vuoi dire e lo capisco. Ma finché non sarà lui a scusarsi, non lo farò nemmeno io. - si alzò e gli porse una mano per poterlo rialzare. Lo spagnolo la afferrò con forza facendo leva con l'altro braccio posato sul pavimento per alzarsi.

Arthur sbuffò sonoramente per la stanchezza, ma la dovette accantonare per un attimo non appena si ritrovò davanti il suo avversario finalista: Gilbert. Diamine! Quel ragazzo era un mostro di forza! Specialmente quando era arrabbiato e in quel momento... Sì, sembrava decisamente arrabbiato e proprio con Arthur. Sembrava che le sue iridi rosse volessero prendere fuoco.

Non appena l'istruttore fischiò, il tedesco partì all'attacco come una furia. - Hai ferito il bel faccino di Francis, ma adesso te la vedrai con me!! - e un calcio frontale con il tallone dritto sull'occhio sinistro già dolorante lo mise al tappeto in un modo vergognoso.

 

Non prese il ghiaccio per l'occhio. Non ne aveva avuto il tempo, di nuovo. Difatti, sua madre gli aveva telefonato pregandolo, in un modo un po' più gentile della volta prima, di andare a prendere Peter a scuola.

Una volta arrivato, gli fece un po' dispiacere non aver trovato il bambino della volta scorsa. Il suo nome era... Alfred, esatto. Gli sarebbe piaciuto rallegrarsi la giornata con i modi buffi del bimbo. Avrebbe tanto voluto anche scusarsi con il suo eventuale fratellino per non averlo minimamente considerato.

Ma forse era meglio così, perché da come rideva il fratello per i lividi che aveva sulla faccia, Arthur avrebbe scommesso che anche quel piccoletto pestifero lo avrebbe deriso senza esitazione.

- Sei ancora più brutto così, lo sai?? - esclamò Peter ridendo a crepapelle.

- Ma la vuoi smettere?! Vorrei vedere te in un corso di karate con un energumeno fatto solo di muscoli e niente cervello!

Arthur era esasperato, non ce l'avrebbe fatta a sopportarlo per altri dieci minuti di camminata per arrivare a casa.

Chissà se avevano dei medicinali da qualche parte... Magari in bagno. Ne dubitava. Nessuno si preoccupava più di vedere cosa ci fosse e cosa non ci fosse in quella villa. Sbuffò spostandosi con il palmo della mano una ciocca di frangia dal viso.

Poco prima di svoltare l'angolo gli penetrò nelle orecchie una vocina assordante. - Mi dispiace, papà! Non mi ricordavo di averlo lasciato in classe!

- Come si fa a dimenticarsi dello zainetto? Ah, non fa niente, lo andiamo a riprendere, ma tu devi stare più attento! - questa voce era più grave, adulta. Aveva un non so che di familiare. Anzi tutte e due gli sembravano familiari, eppure l'ultima... L'ultima la conosceva bene! Ma non poteva essere...

Svoltato l'angolo, sentì tutto il sangue scendergli dalla testa fin sotto i piedi alla vista di ciò che si presentò davanti ai suoi occhi a seguito delle parole appena sentite.

- Tu?!

- A-Arthur? - la voce di Francis Bonnefoy si incrinò appena per la sorpresa e probabilmente la sua espressione era mille volte più scioccata di quella dell'inglese, pietrificato davanti a lui. E ci credeva!

Arthur non poteva credere a quello che si stava stagliando davanti ai suoi occhi: Francis Bonnefoy, il suo compagno di classe diciannovenne, il suo acerrimo nemico, se così lo si poteva definire, il ragazzo più bello della scuola che tutti reputavano perfetto, con più relazioni alle spalle che anni di vita, con una famiglia e vita perfetta, la ricchezza, fama e bellezza fatte persona, ora era esattamente a sessanta centimetri davanti a lui con una bimba e un bambino in braccio ed un altro che gli tirava il bordo del cappotto per attirare la sua attenzione, completamente rivolta in quel momento all'inglese. Il fatto più eclatante era che quegli stessi bambini lo avevano appena chiamato “papà”.




Angolo Dell'Autrice
Buongiornissimo cari lettori!
Mi sono divertita un mondo a scrivere questo capitolo! Credo sia il migliore scritto fino ad ora xD
Comunque, come avrete potuto notare, 1)Sono di una lentezza esasperante a pubblicare, 2)non capisco proprio una ceppa di karate e ho letteralmente sparato parole e movimenti a caso per la scena del "combattimento". Se qualcuno ne sa meglio di me, mi dia ripetizioni, vi prego! T^T
*I nuovi personaggi sono tanti! Abel e Mikael Maes sono rispettivamente Olanda e Lussemburgo (adoro quest'ultimo, è il mio personaggio preferito dopo Francia), Lien Chung sarebbe Vietnam, ma dato che è la sorella di Cina ho dovuto trasformarla in cinese! xD e poi Austria ha il cognome di Gilbert perchè sono fratelli... Obviously.
Va bene! Come al solito questo spazio è più lungo del capitolo stesso, quindi ora mi dileguo!
Mi scuso per il ritardo e alla prossima! Bye, aru! ^^

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Capitolo 5
*** Una Famiglia Inaspettata ***


Capitolo 4
Una Famiglia Inaspettata


Un silenzio carico di tensione era calato tra i due giovani mentre sedevano su una panchina di un parco, osservando distrattamente i quattro bambini che giocavano sulla “nave dei pirati”, così la chiamavano, del parco giochi.

Arthur non sapeva cosa dire, era troppo imbarazzato e sconcertato per poter formulare una frase realmente sensata ed il fatto che Francis si stesse mordicchiando insistentemente le pellicine delle dita non era affatto d'aiuto. Era stata un'idea del francese sedersi per parlare, ma da ben cinque minuti non aveva ancora spiccicato una parola.

L'inglese dal canto suo doveva ancora elaborare ciò che aveva appena scoperto.

 

- Francis... Tu sei p.. padr- balbettò Arthur non riuscendo nemmeno a finire decentemente la frase per quanto assurda gli suonasse.

- Ti prego, prima di dire qualunque cosa, fammi spiegare! - eppure non c'era nulla da spiegare. La realtà era quella, proprio davanti agli occhi dell’ultima persona che Francis avesse mai pensato di incontrare mentre era insieme ai propri figli.

- Arthur!! - trillò la vocina di Alfred che si fiondò tra le braccia dell'inglese, il quale si riscosse dallo stato di shock per la sorpresa.

Francis aggrottò un sopracciglio rivolgendosi al bimbo. - Voi vi conoscete?

Il bimbo annuì stringendo la vita del ragazzo in una morsa solida. - E' il vecchietto di cui ti parlavo! Il fratello di Peter! - il ragazzino chiamato in causa gli fece subito la linguaccia.

- Hey piccoletto, te l’ho già detto, non sono vecchio. - Arthur squadrò prima Alfred e poi diresse lo sguardo verso l'altro bambino identico a lui. Sì, era proprio il piccolo che aveva visto due settimane prima con Alfred. Sembrava molto tranquillo e particolarmente attaccato a Francis, gli stringeva forte la mano e sembrava non avesse assolutamente intenzione di lasciarla. Aveva i capelli un po' più lunghi del fratello ed era di corporatura molto più esile, forse era per quello che non l'aveva notato la prima volta. Poi spostò lo sguardo verso l'altra figurina, che era appena stata messa a terra e che si stava avvicinando per osservare meglio la scena. A prima vista, non avrebbe mai detto che fosse figlia di Francis, era completamente diversa dal padre e i due maschietti: aveva la carnagione lievemente più scura, gli occhi color ambra e i capelli neri legati in due code. Ma guardandola meglio man mano che si avvicinava, poté notare qualche tratto in comune con gli altri, quali il viso rotondo e dai lineamenti delicati, gli occhi grandi e curiosi proprio come quelli di Francis e un neo sotto il labbro inferiore che accomunava sia Francis che i suoi tre figli. Arthur si ritrovò a pensare che fosse una caratteristica carina da condividere.

Intuì che quella era la bimba della foto che Francis teneva nel suo portafoglio.

In quel momento capì tutto. Comprese come mai Francis non volesse mostrare quelle foto, perché lavorasse ogni giorno nonostante fosse solo un ragazzo e soprattutto benestante e perché spesso saltava le lezioni pomeridiane per uscire prima.

- Possiamo... Possiamo parlarne in un posto più tranquillo? Il parco andrebbe bene... - Francis sembrava seriamente che stesse per vomitare. Era pallido, anzi, era proprio verde. Arthur non l'aveva mai visto in quello stato, di solito intuiva che mascherasse bene le sue reali emozioni con un sorriso falso, ma convincente. Ad Arthur fece quasi pena. - Tu siediti, - continuò. - Io devo recuperare lo zainetto di Alfred.

 

E così adesso si trovavano lì seduti senza il coraggio di iniziare la conversazione.

Solo quando il silenzio divenne troppo insopportabile, Francis sospirò alzando lo sguardo al cielo. - Se vuoi ridere, puoi farlo. Posso capire, chi non lo farebbe?

Ma ad Arthur non veniva affatto da ridere, non per una situazione così seria e delicata.

Solo quando gli fu chiaro che l'inglese non avrebbe né riso né pronunciato alcuna parola, Francis continuò. - Insomma, metto incinta una ragazza a soli sedici anni e qual è la sorpresa? Non arriva un solo bambino, ma tre! C’est drole, non? - buttò fuori una risata amara, per niente divertito.

Arthur non disse nulla nemmeno in quel momento, lo ascoltava in silenzio, anche perché non avrebbe saputo cosa dire. Probabilmente quel ragazzo aveva soltanto bisogno di sfogarsi e confidarsi, non l'avrebbe preso in giro per la prima volta da quando si erano conosciuti.

- Si chiamava Saran. - aggiunse Francis dopo qualche istante. - I suoi genitori venivano dalle Seychelles. Era la ragazza più dolce che abbia mai incontrato nella mia vita, devi credermi, sarebbe piaciuta persino a te se l'avessi vista. La mia bambina, Shell, le assomiglia molto. Stessa vitalità, stesso aspetto… - rimase in silenzio per qualche attimo, poi continuò. - Ci volevamo molto bene. Ma io ero troppo preso a deludere i miei genitori per accorgermi del mio grande sbaglio quella notte di luglio. Eravamo tutti e due ubriachi dopo una festa e... E niente, puoi immaginare. - nascose il volto tra le mani, sbuffando. Appoggiò i gomiti sulle gambe e stette di nuovo in silenzio, affogato nei rimorsi del passato.

Arthur si guardò intorno sentendosi completamente inutile, non sapeva che dire o cosa fare. Ma notò con insolito dispiacere che Francis quando non sorrideva non aveva le stesse ammirabili caratteristiche che lo avevano fatto diventare famoso in tutta la scuola. Era silenzioso, non faceva alcuna battuta squallida e il pallore lo rendeva simile ad un morto. Arthur deglutì a vuoto, schiarendosi la voce. - Se ti fa così male, non c'è bisogno di continuare la storia. Ho capito...

- Papà!! - In quel momento, la vocina di Shell che gli correva incontro li distrasse dal discorso. Francis si sfregò una mano sul viso e si affrettò a mostrare un grandissimo sorriso alla sua bambina. Questa gli saltò sulle gambe prendendogli le guance tra le mani e scuotendogli la testa. - Papà, non mi fanno giocare ai pirati solo perché sono una femmina!

- Ma che cattivi! Ora andiamo a sgridarli. Ma prima saluta Arthur, prima non l'hai fatto, devi sempre essere gentile, Shellie. - Francis le fece il solletico sulla pancia prendendola poi in braccio e voltandosi verso l'inglese.

Shell divenne tutta rossa e strusciò la testolina sulla spalla del padre, salutando timidamente con la manina il ragazzo. Arthur sorrise intenerito e ricambiò il saluto.

Poi osservò Francis che si avvicinava alla nave dei pirati per fare la ramanzina ai tre maschietti. Non appena ritornò al suo posto sulla panchina, la situazione tra i bambini era già cambiata e Shell comandava con grinta e fierezza.

- E' un bel peperino. - ridacchiò Arthur.

Francis rise divertito. - Sì, è furba. Anche Alfred non scherza però! L'unico che mi dà un po' di pace è Matthew. - si incantò a guardare i suoi figli giocare con Peter e solo dopo qualche attimo continuò a parlare, voltando lo sguardo verso Arthur. - Questi bambini sono la mia felicità, sono l'unica cosa che mi ha fatto andare avanti dopo la perdita di Saran. Loro mi donano tutto il loro amore ogni giorno e io non potrei essere più felice. Per questo devo garantirgli il meglio, affinché crescano sani, buoni e intelligenti. Mi basta questo.

Arthur per la prima volta lo guardò con ammirazione, era esterrefatto da tutta quella tenacia, non se lo sarebbe mai aspettato da uno come Francis, un ragazzo all’apparenza svogliato e che faceva sempre il minimo indispensabile in tutto.

Quella magia si spezzò non appena notò che Francis aveva cominciato a fissarlo insistentemente. Arthur si senti immediatamente in soggezione e stette per rispondergli bruscamente, ma venne zittito dal gesto del francese, che sfiorò l'occhio dolorante di Arthur con le sue dita calde, morbide e dal tocco delicato. - E' diventato tutto nero, ti fa male?

Arthur si ritirò dalla mano di Francis, rosso in viso. - Certo che fa male, scemo! Gilbert mi ha dato il colpo di grazia a karate, è un miracolo che non si sia gonfiato!

- Ma si è gonfiato…

- Beh, allora non sono affari tuoi e non toccarmi mai più in questo modo o ti trancio la mano! - replicò incrociando le braccia.

- Se vuoi a casa ho del ghiaccio e anche del disinfettante.

Arthur fece schioccare la lingua sul palato in segno di disapprovazione. - Ah! Te lo scordi, non verrò mai a casa tua, maniaco!

- Non potrei mai fare il “maniaco” davanti ai bambini, non credi? - Francis ghignò divertito. - E poi io sono passionale, non un pervertito!

Non importava se non sarebbero stati soli, non sarebbe mai andato a casa sua.

Eppure l'occhio gli pulsava talmente forte che forse un po' di ghiaccio non gli avrebbe fatto male e la sua villa era ancora troppo lontana... Che diamine! Non riusciva mai a vincere con quel dannato francese!

Si alzò di scatto infastidito, battendo un piede per terra. - E va bene, ma facciamo in fretta!

Francis sorrise vittorioso e si mise in piedi pure lui. Richiamò i bambini e, una volta arrivati, prese per mano Matthew e Shell e si incamminarono, con Arthur, Peter ed Alfred a pochi passi dietro di loro, che discutevano sul motivo della grandezza delle sopracciglia dei fratelli Kirkland.

 

 


La casa di Francis non era per niente come Arthur l’era immaginata nei suoi peggior incubi.

Era un semplice appartamento con una piccola cucina, una sala da pranzo collegata al salotto e lungo il corridoio vi erano due camere da letto e un bagno. Molto sobria e troppo poco da Francis. Al contrario, si era immaginato una villa sfarzosa, tre volte più grande della sua, più simile al labirinto del Minotauro che ad una casa.

Francis sembrò capire i pensieri dell’inglese dal solo sguardo e aggrottò la fronte. - Vivo da solo rinnegato dai miei genitori da quando ho diciassette anni, non credo di possedere i soldi necessari per vivere in una villa degna della regina Elisabetta! - Ridacchiò mentre sistemava il cappotto sull’appendiabiti. - Però la villa di famiglia in Francia può essere paragonata a quella.

Arthur fece una smorfia: se lo aspettava.

Alfred si aggrappò alla divisa scolastica di Arthur e cominciò a saltellare. - Giochi con noi?? Puoi stare nella mia squadra, tanto io sono il più bravo! Mattie, Shellie e Peter possono stare insieme!

L’inglese si ritrovò lusingato per quella proposta, ma non era bravo con i bambini e soprattutto non aveva alcuna voglia di giocare, specialmente davanti a Francis, sarebbe stato troppo imbarazzante.

Francis intervenne prendendo in braccio il figlio. - Arthur non può adesso, giocate in salotto voi bambini. - gli diede un bacio sulla guancia e lo rimise a terra. - Se fate i bravi stasera cucino lo stufato di carne, che ne dite?

Gli occhi dei tre figli si illuminarono all’istante ed esultarono correndo verso il salotto, seguiti da Peter.

Francis sorrise e fece segno ad Arthur di seguirlo in cucina. L'idea di dover stare solo con Francis improvvisamente gli fece rimpiangere la proposta di Alfred.

Il francese aprì uno sportello tirando fuori una boccetta di disinfettante e del cotone, poi prese dal freezer del ghiaccio in busta e si voltò verso Arthur sorridendo beato. - Siediti, mio caro paziente!

- Scordatelo, faccio da solo. E il disinfettante non serve. - Arthur incrociò le braccia guardando con aria di sufficienza il francese.

Francis scosse la testa contrariato. - Allez! Non fare il bambino, sarà più veloce e delicato se lo faccio io, considerando il tuo tocco da elefante.

Nonostante il commento provocatorio, Arthur dovette arrendersi come sempre e si sedette di peso sulla prima sedia che trovò vicino a lui.

Francis versò un po’ di disinfettante sul cotone e si chinò appena per tamponare qualche graffio che si era formato attorno all’occhio di Arthur a causa delle botte ricevute.

L'inglese trattenne un gemito per il bruciore molto poco virile, ma dovette ammettere che il tocco di Francis era davvero leggero come diceva. Il francese passò il cotone bagnato anche su alcune ferite sul naso e sul labbro inferiore, il tutto con calma e tranquillità. Tutto in quel ragazzo era tranquillo: il colore degli occhi dava l'impressione di affacciarsi davanti al mare dopo una tempesta, l’espressione del viso era rilassata, i movimenti e persino il tono della voce inspiravano tranquillità. Sarebbe stato bello, pensava Arthur, avere quella calma in ogni occasione. Invece lui non faceva altro che pensare, pensare al futuro e ricordare il passato. Il suo animo non trovava pace, non riusciva a trovare equilibrio e calma. Nel suo vocabolario non esisteva la parola “tranquillità”.

Gli occhi di Francis si posavano spesso su quelli verdi dell’inglese e per questo Arthur distoglieva lo sguardo, a disagio, trattenendosi il più possibile per non rivolgergli qualche commento poco gradevole davanti ai suoi figli.

Figli. Se ci pensava gli sembrava ancora così assurdo. Francis padre di tre gemelli, chi se lo sarebbe aspettato? Assolutamente nessuno, era talmente bravo che era riuscito a nascondere il suo segreto a tutti per quasi quattro anni. O quasi tutti...

- Chi altro lo sa oltre a me? - Chiese puntando lo sguardo curioso su quello pacato del francese.

Questo si fermò per guardarlo a sua volta, sorpreso per quella domanda improvvisa. Alzò lo sguardo come per rifletterci su, poi fece spallucce sorridendo. - Credi di essere il solo, eh? Non, mon amour, non sei così speciale. Non molti però conoscono i bambini. Gilbert ed Antonio sono stati tra i primi, sono i miei più cari amici, mi hanno aiutato molto e lo fanno tutt’ora. Anche mia sorella mi aiuta nonostante la scuola. Nessuno di loro ha avuto una brutta reazione, tranne i miei genitori… - fece una pausa e strinse la boccetta di disinfettante come se volesse spezzarla in due. Quando si accorse dello sguardo turbato di Arthur, riprese a sorridere come se non fosse successo niente, posò la boccetta sul bancone della cucina e prese il ghiaccio in busta porgendolo al ragazzo. - Loro non l’hanno presa bene purtroppo, mi hanno cacciato di casa come se non fossi mai stato loro figlio. Secondo loro ho disonorato l'antica e ricca famiglia Bonnefoy. Non hanno nemmeno voluto vedere i bambini. Beh, peggio per loro, sono davvero dei bimbi dolcissimi, li avrebbero amati senza ombra di dubbio. Ma non sempre le cose vanno nel verso giusto. Specialmente in queste situazioni

Arthur annuì e prese tra le mani la busta di ghiaccio posandola poi sull’occhio. Aveva ancora molte domande da fargli, era curioso, quella situazione lo aveva scioccato ma allo stesso tempo affascinato. Forse porre fine a tutte le sue curiosità sarebbe stato inopportuno, ma tanto valeva tentare. - Immagino non sia stato facile... - aggiunse qualche attimo dopo, guardando i quattro bambini che saltavano sui divani e correvano attorno al tavolo con quella vivacità che nessun adulto riusciva ad avere.

Francis sospirò appoggiandosi con la schiena al bancone. - Non, pas du tout. Specialmente all’inizio, dopo la morte di Saran. Non sapevo che fare, ero disperato, tenere tre bambini da solo non era un’impresa facile e mi spaventava. Ero così giovane e lei aveva scelto di non abortire solo perché era certa che saremmo stati insieme... - lanciò uno sguardo al ragazzo per poi scuotere la testa. - Ma fortunatamente le persone che mi hanno davvero voluto bene sono rimaste e di nuove sono giunte per aiutarmi... C’è stata una donna tra queste a cui sarò sempre grato. Una donna cinese dolce come il miele. Si era trasferita in Inghilterra dodici anni prima con i suoi primi tre figli. All'epoca della morte di Saran e quindi la nascita dei bambini, aveva anche lei avuto da poco dei gemelli e si è presa cura anche dei miei figli. E’ stato un caso aver incontrato lei e il suo figlio maggiore, Yao, nella sala d’aspetto dell’ospedale...

Si interruppe non appena notò l’espressione sorpresa di Arthur. - Yao? Yao Wang, l’investigatore della centrale di polizia?

Francis sorrise. - Proprio lui, mon ami! Anche tu lo conosci? Come?

Arthur ammutolì. Non poteva rivelare il vero motivo per cui conosceva l’investigatore cinese. Il caso di suo padre non era stato reso pubblico proprio per non rovinare la vita dei figli. Non avrebbe rovinato anni e anni di ricerche e di silenzio per un errore. Alzò le spalle sistemandosi meglio il ghiaccio sull’occhio e cercando di mascherare le sue emozioni. - Lo conoscono tutti in città, è una specie di leggenda. La persona più giovane ad essere entrata nel corpo di polizia. Specialmente come investigatore. E' davvero intelligente!

Il francese approvò annuendo. - Proprio come sua madre. E' stato lui il primo a parlarmi, voleva rassicurarmi. Aveva sentito la mia storia da qualche infermiera e il suo senso della giustizia, come diceva lui (o qualcosa del genere, era un tipo un po' particolare in effetti), gli imponeva di aiutarmi. Senza il loro aiuto non so se sarei riuscito a trovare la forza per andare avanti. Ancora oggi ci aiutiamo a vicenda. I bambini si sentono quasi come fratelli con loro.

L’inglese annuì riflettendo sulle sue parole. Poi aggrottò le sopracciglia. - Aspetta... Fino a un mese fa non eri fidanzato con Lien Chung, la sorella di Yao? Ma hai appena detto che siete come parenti ormai!

- Sì, ma non di sangue. - Rispose lui alzando le spalle. - Ed è stata anche una bella relazione se è per questo. - Fece l’occhiolino ghignando, cosa che innervosì non poco l’inglese.

Prima che potesse cominciare una lite su quanto il francese potesse fare schifo secondo i canoni mentali dell'inglese, Francis sospirò e cambiò argomento. - Mi dispiace averti insultato. E poi anche colpito, anche se quella è stata colpa tua. Non penso affatto quelle cose. E non te le avrei mai dette, ma sono giunto a conclusioni affrettate e non ho ragionato... Mi perdoni?

Arthur rimase un po’ scettico. Gli occhi da cerbiatto di Francis non gli facevano alcun effetto, più che altro lo stupiva il fatto che si stesse scusando per primo.

Magari lo avrebbe perdonato per i colpi ricevuti, ma gli insulti... Non era una cosa da Francis insultare così ferocemente qualcuno e se era giunto a farlo probabilmente era stata proprio colpa delle poche parole dell’inglese. Ma questo non lo giustificava.

- Vedrò se accettare o meno le tue scuse. E comunque lotti peggio di una ragazzina. Non mi hai fatto niente, mentre io ti ho conciato per le feste. - disse indicando il cerotto sullo zigomo di Francis e i vari lividi sparsi sulla faccia.

Francis incrocio le braccia. - Ah! S'il vous plaît, Arthur, e quei bernoccoli che io ti ho fatto dove li metti?

Arthur ghignò in tono di sfida. - Tutto merito di Gilbert, tu non hai fatto nulla debole come sei.

Prima che potessero iniziare a lanciarsi pentole e utensili da cucina, la vocina di Matthew li interruppe.

- Papà... Peter e Arthur possono restare per cena? - Parlava con un tono talmente basso che l'inglese dovette piegarsi per sentirlo.

Francis, che invece lo sentì anche senza avvicinarsi, probabilmente perché era abituato, sorrise dolcemente. - Non possiamo, Mattie, papà deve studiare tanto. E tu devi andare a dormire presto per riprenderti meglio dalla brutta febbre che hai avuto nell'ultima settimana!

Prese in braccio il figlio e gli fece il solletico sotto il mento, gesto che suscitò la risata acuta del bambino.

Guardandoli così felici insieme, Arthur si ritrovò a pensare a tutti gli attimi perduti con suo padre. Quando lui era molto piccolo, non lo vedeva spesso a causa del lavoro impegnativo che lo tratteneva anche diversi mesi all'estero. Poi era avvenuta quella fatidica notte, in cui aveva perso per sempre il padre, perdendo con lui tutti i momenti di gioia che un bambino dovrebbe poter passare con il proprio genitore. Si sentì felice per Matthew e gli altri bambini, avevano un padre che li amava e che sacrificava tutto per essere presente il più possibile.

Francis dovette notare l'aria assorta di Arthur, perché subito intervenne. - Non vi sto cacciando, ovviamente, se vi fa piacere restare, posso preparare dello stufato per tutti...

Arthur si risvegliò dai propri pensieri. - E rischiare di essere avvelenati dalla tua cucina? No grazie, toglieremo il disturbo più che volentieri!

- Non sono mica inglese, mon cher.

- Bonnefoy, attento a quello che dici, non vorrei picchiarti davanti ai tuoi figli...

Matthew li interruppe, di nuovo, salvando la situazione. - Allora possiamo giocare al gioco delle storie tutti insieme! - Disse accarezzando la barbetta del papà.

A quanto pare, Francis non ne era entusiasta e probabilmente doveva studiare come aveva detto, dal momento che erano in vista altri test per le settimane a venire. Arthur intuì che gli dispiaceva dover dire di no ancora una volta a suo figlio, quindi decise che sarebbe stato meglio intervenire di persona.

- Matthew, ci piacerebbe tanto, ma io e Peter dobbiamo tornare subito a casa. Anche noi dobbiamo preparare la nostra cena. - Cercò di usare il tono più dolce possibile, il che lo mise un po' in imbarazzo.

A quanto pare, Matthew era un bimbo educato e per niente capriccioso, infatti annuì rassegnato. - E va bene... - Abbassò lo sguardo e mise su il broncio, ma si rallegrò subito e continuò. - Allora giochiamo la prossima volta che venite!

Arthur avrebbe quasi voluto ribattere che non avrebbe mai più rimesso piede nella casa di quel francese scaltro e senza scrupoli, ma il tono di Matthew e il suo sorriso debole, ma sincero gli sciolsero il cuore e tutti i commenti acidi che aveva in mente. Si ritrovò ad annuire e lasciargli un buffetto sulla guancia. - Alla prossima, dunque.

Matthew esplose in un gridolino di gioia che divertì l'inglese. Soltanto quando notò lo sguardo interessato e sorpreso di Francis, riprese ad aggrottare le sopracciglia e si allontanò il più velocemente possibile verso la sala, fuggendo da quegli occhi penetranti. Chiamò il fratello che non aveva alcuna intenzione di andarsene e quasi a forza lo costrinse a mettersi il cappotto.

Quando furono sulla soglia di casa, Francis lo afferrò per un polso, cosa che Arthur non gradì molto. - Mi prometti di non dirlo a nessuno a scuola, vero? E' una questione seria, se le persone sbagliate lo venissero a sapere... - Qualunque cosa stesse pensando, la tenne per sé. - Devi dimostrarmi che mi posso fidare.

Francis gli puntava gli occhi blu addosso e Arthur dovette ancora una volta allontanare lo sguardo per non sentirsi troppo a disagio. - Hai la mia parola, non lo rivelerò a nessuno. Anzi, se c'è qualcosa... Qualcosa che posso fare... - quelle ultime parole gli uscirono a fatica, ma era sincero. Quei bambini lo avevano conquistato. Ovviamente avrebbe offerto il suo aiuto a loro, non a quella rana fritta di Francis.

Di rimando, il francese lo guardò con fare divertito. - Ah, quindi hai un cuore sotto questa corazza di diamante. Non l'avrei mai detto!

- Vai al diavolo, Bonnefoy! - Arthur grugnì, voltandosi e cominciando a scendere le scale impettito.

Francis rise di gusto. - Ci vediamo a scuola, dolce Kirkland! - E si chiuse la porta alle spalle.







Spazio dell'Autrice
Buongiorno popolo!
Eh già, sono scomparsa per mesi e ritorno magicamente e all'improvviso. Sono peggio di Togashi lol (l'autore di HxH *momento nerd*)
La quarantena forse mi ha dato alla testa oppure semplicemente ho ritrovato l'ispirazione per correggere questi capitoli e pubblicarli.
Non voglio rinunciare a questa storia, è troppo carina e l'ho pensata talmente tanto nella mia testa che non continuarla sarebbe uno sbaglio. Però devo ammettere che sarà piuttosto complicato scrivere i prossimi capitoli. Sono quelli in cui si cominciano a conoscere tutti i personaggi e devo ragionarci tanto, tutto deve coincidere con come andrà avanti la storia. (+ Sto scrivendo una nuova fanfiction sempre su Hetalia e mi sta prendendo talmente tanto che in soli 3 mesi ho scritto 6 capitoli *u* voglio arrivare almeno al decimo così da essere sicura di pubblicarla in tranquillità, ma ora mi metterò d'impegno a continuare anche "Come Il Sole Al Tramonto". Ah e in più ho 4 esami da dare T^T)
Detto questo, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e lasciate una recensione se vi fa piacere.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** AVVISO! ***


Ciao Hetalians! Come state, ragazzi? Tutti carichi per la nuova stagione? Io sono veramente euforica! (Cogliete la citazione ^^) 

Perdonate la lunga attesa, davvero.
Purtroppo in questo periodo di caos generale, pandemia, università online, no amici, no famiglia e problemi personali non ho proprio avuto l'ispirazione per continuare la storia. Fissavo la pagina bianca del computer e le dita non toccavano i tasti.
Eppure l'idea dell'intera fanfiction è tutta nella mia testa, è pronta da anni.
Quindi sono qui per avvertirvi che dovrete pazientare ancora qualche tempo. Spero non troppo lungo. Lavoro all'abbozzo di questa storia ormai dal 2017, non voglio assolutamente abbandonarla. Ma mi serve tempo, se a voi non dispiace!

Comunque, non scomparirò! Perchè al momento sto lavorando su un'altra fanfiction: ho già scritto 8 capitoli e sono pronta a pubblicarla! Forse questa è ancora più importante per me di "Come Il Sole Al Tramonto", perchè tratta un AU (alternate universe) che a me ha sempre fatto impazzire sin da bambina!
Piccolo spoiler: Sovrannaturale. E i protagonisti saranno i cosiddetti mutanti, che lottano contro gli umani (sì esatto, ispirato all'universo degli X-men). Ci sarà amore, lotte, dolore, lontananza, sofferenza, amicizia, sacrificio... Tutti temi che personalmente adoro.
Spero possa piacervi pure quella e che non ve la prendiate troppo per la pausa di "Come Il Sole Al Tramonto", ancora una volta, mi scuso davvero tanto. 

Ciao ciao, Hetalians! Alla prossima! ^^❤

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