There'll be oceans for us to tread

di portamjviadate
(/viewuser.php?uid=1106910)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


C'è un qualcosa di particolarmente strano quel giorno 20 Giugno 2019 a New York. Forse è nell'aria, pensa Alec. O semplicemente non c'è nulla di strano ed è solo il suo orologio biologico che si è svegliato prima del solito e, per questo motivo, riesce a rendersi conto della tranquillità che sta traversando la città più grande del mondo a quell'ora. New York non dorme mai, o almeno così si dice. Però quella mattina è silenziosa. Molto silenziosa. E ad Alec questo silenzio piace. Lo rasserena. Per una volta, riesce a sentirsi compreso. Alec è una di quelle persone che parla poco, ma pensa tanto. La sua mente non è silenziosa, per niente. Non lo è nemmeno quando rientra nella sua piccola — ma confortevole — dimora alle tre di notte, reduce da un turno al bar di all'incirca otto ore. Da contratto dovrebbero esserne otto, ma può succedere che debba intrattenersi qualche minuto, o forse ora?, in più, per motivi non sempre chiari. Forse perché al proprietario del bar girano così ogni tanto, e Alec non se la sente di controbattere, perché in fondo la paga è più che ottima e non è costretto a spostarsi più in periferia per cercarsi una casa con un affitto un po' più vantaggioso. No, la sua mente non è silenziosa nemmeno quando ritorna tardi e l'unica cosa che vorrebbe fare equivarrebbe a gettarsi sotto il getto d'acqua caldo — perché Alec fa docce bollenti anche con cinquanta gradi all'ombra — e rifilarsi a letto per dormire almeno dodici ore. No, la sua mente non sa stare in silenzio. A volte è un bene, perché forse il suo casino mentale riesce a distrarlo dalla solitudine che si respira nella sua casa. Altre è un male, perché si rende conto di star impazzendo e vorrebbe solo un po' più di tregua e complicarsi un po' meno la vita. Ma in fondo no, lui la sua vita se l'è complicata sin da quando portava degli occhiali rotondi, orribili, suggerisce la sua dolce sorellina Isabelle. Erano così strambi, che spesso davano ad Alec l'aria di un pesce lesso. Stava continuamente ad alzarseli dal naso mentre si cimentava nelle lezioni di Trigonometria o di Matematica, o nella lettura di qualche romanzo che ha sempre adorato.

«Sempre stato un piccolo Einstein», suggerisce ancora Isabelle Lightwood. In fondo come darle torto? Alec era, ed è, davvero un piccolo Einstein. 

 

Maryse e Robert Lightwood avevano in mente un futuro brillante per il primogenito dei Lightwood, e Alec sperava altrettanto. Ma le loro idee non conciliavano, e non conciliano, per nulla. Non avrebbe mai fatto leggi. Non avrebbe mai preso parte nell'ambito della politica. Non saprebbe nemmeno da dove iniziare, nonostante avrebbe potuto seguire le orme del padre.

Alexander, nome di battesimo che ha sempre detestato — o meglio dire, gliel'hanno fatto detestare —, per quanto sia uno che parli poco, non significa che sia accondiscendente. Tutt'altro. Ha messo sin da subito in chiaro il fatto che lui con quell'ambito non c'entrasse nulla, prendendosi le sue responsabilità. Ne ha sentite dire di tutti i colori sul suo conto, ma la sua maturità gli ha permesso di capire che non ci fosse nulla di male nel non voler sottostare ai voleri degli altri. 

E proprio quel giorno, durante una terribile cena di famiglia, cui i peli del braccio di Alec si raddrizzano al solo pensiero, ha deciso di complicare ancora più le cose.

Complicarle ai presenti, però.

Lui si era sentito così maledettamente libero.

«Sono gay» ha annunciato improvvisamente, durante un tintinnio di calici di vino bianco. Lo sguardo di Isabelle fiero e orgoglioso di suo fratello probabilmente lo ricorderà fino al momento in cui cesserà di respirare.

Dio, se era orgogliosa di lui.

Izzy aveva capito tutto. A volte la maggiore tra i due sembrava proprio lei. 

Quelle due parole, apparentemente così semplici, erano il frutto di una lunga meditazione cominciata probabilmente sin da quando gli son iniziati a crescere i primi peli pubici. Ci ha impiegato qualche anno per prendere consapevolezza di sé stesso, per non nascondersi e per non colpevolizzarsi del fatto che non trovasse per niente attraente un seno. Poi ha capito. Ha capito che non c'era nulla di male. Che era sempre lui, maturato, ma era lui. Non era cambiato nulla. E Isabelle lo aveva capito prima di lui. Lei gli aveva teso la mano negli anni di confusione, e non gliel'aveva mai lasciata.

Alec sta sempre in silenzio, ma Dio, quanto avrebbe voluto dire a sua sorella che l'amava, così tanto che non riusciva nemmeno a quantificarlo. Però le parole gli si son sempre mozzate in gola. Allora ha sempre lasciato che parlassero le sue carezze sulla schiena, sui capelli, e il suo cuore che batte all'unisono con quello di Isabelle durante un abbraccio spacca ossa. 

O aggiusta cuore, vorrebbe dire.

 

Quella frase è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. O meglio dire, ha fatto traboccare la bottiglia di vino che Robert teneva con accuratezza tra le mani per versarne un po' ai presenti.

È stato un attimo che Alec si è ritrovato il mondo contro di lui. Tutti tranne Isabelle. E Isabelle era contro tutti. Tutti tranne Alec.

Avrebbe seguito suo fratello in capo al mondo. E lo faceva. Lo fa anche ora che vive ancora dall'altra parte della città per terminare la scuola di moda. Ma non appena ha un buco libero, prende le chiavi di scorta da sotto il tappeto — che Alec lascia appositamente per lei — ed entra a casa del suo amato fratellone. E quando Isabelle lo passa a trovare per il weekend, Alec può affermare di sentirsi a casa. Isabelle è casa. E Isabelle è l'unica casa in cui Alec vorrebbe abitare. 

 

Da quella cena, che doveva rappresentare un momento di unione della famiglia e che si è rivelato lo sfascio di una famiglia, sono passati già tre anni. Alec ora è sereno. Non è felice, perché ritiene che la felicità sia un momento, un attimo. Un attimo di cui vale la pena vivere a pieni polmoni. Adesso è sereno, e frequenta il terzo anno di un'università telematica. Non è proprio l'università dei suoi sogni, ma è l'unico modo per poter seguire un sogno e contemporaneamente per poter dedicarsi ad un lavoro che gli permetta di tenere un tetto sotto cui vivere. E parlandoci chiaramente, che gli permetta anche di pagare i suoi studi, visto che i soldi mica cadono dal cielo. 

Magari, pensa Alec con un sorriso, portando alle labbra una tazzina contenente del caffè nero. Gli occhi si assottigliano, la lingua fuoriesce flebilmente dalle labbra e la fronte si aggroviglia. Si è scottato. Dimentica sempre di soffiare un po' prima di portare la bevanda ale labbra. 

Non frequenta l'università dei suoi sogni, perché di certo quella telematica non equivale alla Columbia University, o alla Yale University. Però frequenta la facoltà dei suoi sogni. Psicologia. Perché in fondo ha sempre aspirato a questo. A scuola era bravo nelle materie scientifiche, ma mai nulla l'ha appassionato nel modo in cui lo ha appassionato la mente umana. E lui sorride ogni volta che pensa a quanto possa essere fantastica e tremendamente complicata. 

 

Adesso sorride, beandosi della pace che regna a Brooklyn per qualche strana ragione. Scrocchia il collo e si stropiccia l'occhio destro. È assonnato, e non ne ha idea di quante poche ore abbia dormito. Cerca il suo cellulare alla cieca, tentando di rimembrare dove l'ha lasciato stanotte, ma ad ogni tentativo sente le tempie pulsare. Tasta qualcosa di duro, e dalla grandezza riesce a collegare il fatto che sia il suo iPhone. Preme il tasto centrale. L'orologio digitale segna le sei e trentanove di Domenica mattina. Ha dormito a malapena tre ore e mezza. E adesso capisce il motivo per cui la città sia cullata da un silenzio benefico, che riesce quasi a tranquillizzarlo dai pensieri più tenebrosi. È presto, e in strada non c'è ancora lo smog tipico dell'ora di punta. 

Sa che potrebbe tentare all'infinito con tutte le tecniche possibili e immaginabili per cercare di farsi cullare nuovamente tra le braccia di Morfeo, ma sa anche che non ci riuscirebbe nemmeno con una canzone tipica del buddismo come sottofondo. 

Forse rimanere a contemplare la città non è una cattiva idea. È difficile sentire solo il fruscio del vento, senza vociari e auto che disturbano la natura. Ma è bello. Bello e appagante. E forse può essere anche un buon stimolo per prepararsi al suo prossimo esame. Ha ancora un po' di tempo per prepararsi a dovere, ma coincidere il lavoro e lo studio risulta sempre più complicato. E per questo quando riesce, approfitta delle ore di sonno mancate per poterle colmare con qualche ora di studio. E sicuramente il suo cervello è più produttivo all'alba che di notte. 

Si alza, scosta le tende color ghiaccio dalle finestre, e un pensiero non può non ricadere su Isabelle.

«Tetro» — aveva mormorato sua sorella, quando lo ha accompagnato per comprare gli arredi per la sua casa — «Ho un fratello tetro!». 

Alec ricorda quel giorno come uno dei più duri della sua esistenza, in cui la sua pazienza era probabilmente stata messa alla prova da qualcuno dall'alto. E la prova l'aveva superata a pieni voti. Era riuscito a non strangolare la sorella ad ogni commento che faceva sui suoi gusti. Che Alec avesse gusti un po' particolari, o abominevoli se vogliamo utilizzare un altro termine di Izzy, era risaputo. Ma non era necessario ripeterlo ogni volta che si avvicinava a qualcosa di grigio, blu o nero. 

Sorride, scuotendo il capo. Forse una chiamata gliel'avrebbe fatta. Quel weekend non è passata a trovarlo perché ha uno shooting importante da fare a Manhattan, e Alec sente la sua mancanza, ma decide che non glielo ammetterà mai perché non può risultare sdolcinato. Allora decide che rimane nella sua testa, da qualche parte nel suo emisfero celebrale, e probabilmente glielo comunicherà tramite un abbraccio non appena passerà a trovarlo. In cuor suo, spera che lo faccia il prossimo weekend... ma decide di non dire nemmeno questo. Trova il manuale che gli servirà per quest'esame se vuole davvero passarlo. 

E certo che Alec vuole passarlo. 

«E non vedo l'ora» — aggiunge nella sua mente. Ed è vero, non vede l'ora perché questa è la materia che meno lo entusiasma. Analisi dei dati. Ma se vuole un voto per cui ne valga la pena, è giusto che si impegni e cominci a fare qualcosa. 

Porta la mano alla bocca e sbadiglia. Beve il goccio di caffè, non più bollente oramai, che anima la tazzina, e apre la pagina sessantacinque del libro. Per essere un esame che dovrà sostenere il mese prossimo, deve ammettere di essersi portato avanti in maniera più che positiva. E sono queste le cose che riempiono di orgoglio Alec. Le piccole cose possono fare tanto. 

E sì, è sereno. È sereno nella sua piccola casa, con un libro aperto sulle sue gambe incrociate, con una tazza di caffè vuota sul suo comodino, e con il silenzio che lo circonda. 

Va bene così, pensa prima di cimentarsi in qualche ora di studio.

 

 

Spazio Autrice

Ciao a tutti! È la prima volta che mi cimento in una Fan Fiction sui Malec e spero tanto di esserne all'altezza. Spero che la storia possa entusiasmarvi. Cercherò di fare del mio meglio! Se mi lasciaste un commento per capire se come inizio è stato di vostro gradimento, ne sarei molto felice.

Un abbraccio!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


New York è bella con il cielo clemente, con le sue luci stroboscopiche già presenti di buon mattino e con i vociari indistinti delle persone che girano a quest'ora. Chi gira da solo, chi in compagnia della propria metà, chi con un gruppo di amici. E chi la compagnia se la passa con una bevanda zuccherata di Starbucks in una mano, o chi decide di andarci giù pesante e nella mano ha un drink o comunque qualcosa che possa sparare alcolico nell'endovena. Qualcuno potrebbe storcere il naso. Chi sano di mente berrebbe un alcolico alle nove del mattino? Eppure New York è anche questo. E non è detto che quello possa essere il primo alcolico della mattina. Nulla esclude che quello sia semplicemente il continuo di una nottata nei miglior locali della grande metropoli.
New York è bella sempre. E Magnus lo sa bene, e può confermarlo a chiunque non c'è mai stato nella sua città natia. In fondo non si stancherebbe mai di parlare del suo mondo. Eppure stamattina, secondo Magnus, c'è qualcosa in più che fa sembrare New York più bella che mai. E il pensiero gli scalda il cuore. Un po' come sta scaldando le persone questo sole che non è sempre facile riuscire a trovare. Bisognerebbe rendersi conto che è Giugno, e che sia più che logico che almeno un giorno su sette debba essere clemente. Ma Magnus si stupisce. Lui si stupisce di ogni cosa. Forse i suoi amici hanno ragione quando lo definiscono l'eterno Peter Pan. Non perché sia infantile, attenzione. Ma perché continua a guardare il mondo con gli occhi di un bambino.
Solo così il mondo può sembrare un posto meno brutto, spiega Magnus ogni volta che qualcuno gli chiede da dove tiri fuori il suo ottimismo e la sua voglia di vivere ogni giorno che passa. Non è per niente una di quelle persone che ha avuto tutto nella vita. Quello che ha, ha dovuto guadagnarselo con il tempo e asciugandosi il sudore sulla fronte. Però è riuscito a crearsi un futuro, senza l'aiuto di nessuno. E allora sì che ne vale la pena vivere.

Cammina distrattamente per le vie di Brooklyn, dando occhiate generose alle vetrine e storcendo il naso di tanto in tanto nel notare alcune delle borse e capi d'abbigliamento dell'ultima collezione di Gucci. Cosa avevano ingerito gli stilisti di Gucci quando hanno ben pensato di creare una gonna, lunga sino alle caviglie, divisa a metà tra l'arancione e il grigio, con le peggiori ornamentazioni che Magnus abbia mai visto in vita sua? O ancora, quella borsa rossa con su insetti e farfalle? 
«Ma perché mi hai deluso così tanto» — mormora l'imprenditore a nessuno in particolare. In realtà si riferisce al manichino costretto — poverino, pensa Magnus — a dover indossare un obbrobrio del genere, ma soprattutto alla persona che ha inventato una sciocchezza simile. Quanto poco gusto gira ultimamente in strada. E Magnus lo sa. E, purtroppo per lui, lo percepisce anche. Non è un caso se studia moda. Non vuole affermare che qualcosa lo ha imparato anche lui, grazie alla scuola, perché direbbe un'enorme stronzata. Non ci vuole certo un diploma per affermare che Gucci abbia sfornato la peggiore collezione di sempre. Sarebbe in grado di farlo anche un bambino di cinque anni, per intenderci. E poi, parlando chiaramente, non si è mica iscritto ad un'accademia di moda per imparare. Imparare cosa poi, se uno dei docenti sembra vestirsi ogni giorno con la luce spenta? Più volte Magnus si è chiesto come possa lavorare in quell'accademia un uomo che veste con il blu e il marrone senza nessun problema. 
Ma vestirsi bene, chiede continuamente Magnus nella sua testa, non c'era scritto nei requisiti richiesti per le assunzioni per prendere il posto in quell'accademia così tanto famosa? Evidentemente no, si risponde a sua volta. Perché se il vestirsi bene fosse stato uno dei requisiti richiesti nel curriculum, è certo, come lo è la morte, che il caro docente Sprouse sarebbe stato l'ultimo della lista, se vogliamo essere gentili. Altrimenti potremmo dire chiaramente che sarebbe stato sbattuto a calci in culo senza troppi complimenti, ma Magnus decide di non pensare troppo a quest'opzione o il suo futuro potrebbe andare in balia dello scirocco. Sogna di diventare uno stilista, tra i più grandi al mondo. Uno di quelli che possano essere ricordati nel tempo. Uno di quelli che, quando cammini per le vie della Fifth Avenue e ti imbatti con un manichino con un qualcosa disegnato da lui, ti faccia pensare Da oggi in poi, metterò due euro al giorno in un salvadanaio e a fine anno andrò a comprare quella borsa. O una maglietta. Quel che sia.

Ma una buona accademia richiede il giusto costo. Questo non è mai stato un grande problema per Magnus, grazie all'eredità dei suoi genitori. Ma i soldi prima o poi finiscono, e di certo se vuole avere un appartamento a Brooklyn, e non essere spedito sotto i ponti a far compagnia a qualche povera anima, è giusto che abbia anche lui qualcosa per mantenersi. Ed ecco perché quando il suo amico Ragnor gli ha parlato di aprirsi un locale, qualche anno addietro, Magnus si è subito mostrato super entusiasta dell'ideona avuta da uno dei suoi amici più cari. Una minima parte è stata investita anche nel rilevare il Pandemonium, ma in confronto al successo ottenuto dal locale, quei soldi è come se Magnus non li avesse mai spesi. Quindi va bene così. Certo, è un po' faticoso quando ha lezione alle nove del mattino e si ritira nel suo appartamento non appena scoccano le sei, ma è l'unico modo per tenere entrambe le cose. Quando riesce, dorme di pomeriggio. Altrimenti aspetta con ansia il Mercoledì, il Sabato e ovviamente la Domenica, poiché non ha lezione all'accademia.

Alza il capo. Qualcosa lo ha distratto dai suoi pensieri e dal suo cammino. Sorride però alla distrazione che gli si è posta dinanzi. Un enorme cartellone pubblicitario con su la sua compagna di studi, Isabelle Lightwood, e senza ombra di dubbio una delle ragazze più belle che ci siano sulla faccia della terra. Non che a Magnus importi, sia chiaro, ma ha gli occhi abbastanza aperti da poter affermare che Isabelle sia assolutamente una ragazza davvero attraente. Non esita a prendere il cellulare dalla sua tasca destra dei pantaloni rigorosamente in pelle, e cercare la dolce Lightwood nella sua chat Whatsapp. Scatta una foto all'annuncio pubblicitario e digita qualcosa sui tasti.
«Ma guarda un po' chi c'è!» — scrive, e invia. Isabelle visualizza dopo neanche un secondo.
Che velocità, pensa Magnus. 
Il suo breve pensiero viene disturbato dal suono del suo cellulare, ma non è Whatsapp. Isabelle lo sta chiamando.

«Scrivere non ti piace?» — dice Magnus, sogghignando flebilmente.

«Ma sei a Brooklyn?! Ho riconosciuto il negozio di intimo che si intravede dalla foto!» — urla fomentata la mora dall'altro capo. Magnus aggrotta il sopracciglio destro, lanciando l'occhio a destra e manca per rilevare quel dettaglio che la sua amica ha scovato. Come ha fatto ad intravederlo da un'impercettibile inquadratura, Magnus se lo farà dire prima o poi.

«Zuccherino, a Brooklyn ci vivo!» — risponde Magnus, con un sorriso divertito a dipingergli le labbra.

«Ci incontriamo? Sono a Brooklyn anch'io!»

«Se vuoi, cert...» — sta per dire il ragazzo, ma il tu tu del suo cellulare non gli permette di continuare la frase. Sposta il telefono dall'orecchio, dandogli un'occhiata. 
Isabelle ha attaccato. 
Scuote il capo, divertito e un po' scettico dalla pazzia che quella ragazza ha dentro di sé.

«Buongiorno Upper East Side!» — sente dire da dietro di lui. Voce inconfondibile, che ormai riconoscerebbe anche ad occhi chiusi. Sorride, voltandosi prima con il volto, e poi con il busto.

«E questo saluto?!» — chiede Magnus, dando due calorosi baci sulle guance alla ragazza. Anche oggi impeccabile nel suo crop top nero e nei suoi jeans che le fasciano perfettamente le gambe, con i capelli ricci e mori che le incorniciano il volto e la fanno sembrare ancora più bella di quel che effettivamente è.

«Sono reduce da una nottata piena di Gossip Girl!» — spiega lei, ridacchiando e mostrando i suoi denti bianchissimi e dritti, portando poi un ciuffo ribelle dietro l'orecchio.

«Cosa ci fa Isabelle Lightwood dall'altra parte della città, in giro alle nove del mattino?» — chiede Magnus, curioso dal conoscere la sua risposta. Conoscendo la follia della sua amica, potrebbe non stupirsi se Isabelle dovesse rispondergli che in realtà si è persa e si è ritrovata da Manhattan a Brooklyn in maniera a lei sconosciuta. Ma la risposta di Isabelle non tarda ad arrivare, e soprattutto non corrisponde a quel che lui ha pensato.

«Volevo fare una sorpresa a mio fratello, visto che questo weekend non sono passata. Ho preso l'autobus stamattina presto» — chiarisce la ragazza, gesticolando con le mani animate da qualche anellino presente sulla falange dell'indice e sul pollice sinistro, e sul medio della mano destra.

«Che sorella amorevole!» — scherza Magnus, pizzicandole la punta del naso, com'è solito fare.

«Dai! Se non hai nulla da fare, vieni con me che te lo faccio conoscere» — annuncia la ragazza, e Magnus non può che sorridere e annuire. Non ha nulla da fare. In realtà potrebbe andare a dormire per prepararsi alla serata al locale, ma perché perdere tempo con il sonno e non dedicare tempo prezioso ad una nuova conoscenza?

«Onorato di conoscere il primogenito dei Lightwood! Spero sia bello almeno quanto te» — dice sfacciatamente il ragazzo. Isabelle ridacchia.

«È più bello di me, credimi» — ammette la ragazza, sorridendo e sentendosi in un momento il cuore più leggero al pensiero di quei due occhioni azzurri che Isabelle sogna anche la notte. Quelli che sono sempre con lei, specialmente nelle sere in cui sente di non avere nessuno. Ma lei non è mai sola.
Io sono dietro a guardarti le spalle, le ha scritto Alec sull'ultimo biglietto di auguri per il suo compleanno. Non lo avrebbe mai detto a parole, e per questo motivo Isabelle ha sorriso a trentadue denti il giorno che ha trovato questo bigliettino, con la grafia elegante di suo fratello, accanto ad un pacchettino da scartare. Ed è vero. Alec è sempre dietro di lei, anche quando lei non lo vede. Ma sa che c'è sempre. Lo sa che i loro cuori sono sempre vicini tra di loro e che non c'è distanza che tenga.

«Non vedo allora perché stiamo perdendo tempo»

Spazio Autrice
Ecco il secondo capitolo di questa storia. È un po' un capitolo di passaggio per presentare Magnus, ma spero vi sia piaciuto ugualmente.
Mi farebbe molto piacere se lasciaste un commento, giusto per farmi rendere conto se posso continuare a scriverla o meno. 
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


c

Fingere sorrisi è una delle cose più complicate del lavoro di Alec. O meglio dire, forse è la più complicata. Senza forse. È davvero la cosa più difficile e più noiosa del suo lavoro. Okay, ora chiamarli sorrisi è troppo. Diciamo che stira le labbra. E se il cliente è gentile e non un rompiscatole, Alec riesce addirittura a mostrare i suoi denti bianchissimi e allineati tra loro. Ma possiamo affermare che questo capita una volta su diecimila, ma quella volta che capita è bene tenerla a mente perché non si sa quando potrebbe succedere nuovamente. Un po' come gli eventi scientifici, ad esempio un'eclissi lunare, che avviene ogni tot di anni. 
Strofina i palmi delle sue mani sul grembiule nero, tipico dei camerieri, e poi cerca di allentare la presa della camicia sui polsini con l'aiuto del pollice e dell'indice. Sono solo le nove del mattino e già si sente stressato. E il suo turno è ancora lungo.

«Ehi, amico!» — qualcuno interrompe la sua meditazione durata si e no tre secondi. Il tempo di sentire un po' di silenzio in quel bar sempre troppo affollato, complice il fatto di trovarsi in pieno centro. Alec riconoscerebbe la voce di quel qualcuno anche a distanza di migliaia di chilometri. Sorride, voltando il capo verso il suo interlocutore, lasciando perdere i secondi di pausa che si era preso autonomamente. Quei tre secondi gli erano bastati.

«Ciao Jace!» — lo saluta amichevolmente Alec, accorgendosi solo in quel momento della presenza di un'altra persona al suo fianco. — «Clary!» — saluta anche lei, che se ne sta con le braccia dietro la schiena, i capelli rossi perfettamente lisci, ed un sorriso dipinto sul volto. Cosa avrà da sorridere di primo mattino, ad Alec piacerebbe tanto saperlo.

«Ehi Alec!» — lo saluta la rossa, poggiando la mano sull'avambraccio di Jace scoperto dalla maglia nera a maniche corte. Alec decide di ignorare il brivido che gli ha attraversato la spina dorsale alla visione di quella pelle scoperta, e che gli colora lievemente le guance. Si schiarisce la voce con un secco colpo di tosse e poi si tocca la punta del naso.

«Cosa posso offrirvi?» — chiede con tutto l'autocontrollo di questo mondo. Non è un adolescente di tredici anni. Mica può permettersi di soffocarsi con la sua stessa saliva solo nel vedere un po' di braccio scoperto. Jace, per fortuna o per sfortuna — Alec non ha ancora capito se è una fortuna o no —, riesce a non rendersi conto della calata di una nota della voce del suo migliore amico, e si volta verso la rossa, la quale annuisce. 
Alec aggrotta le sopracciglia. Non crede di aver capito. Anzi, non lo crede. Non ha capito e basta.

«Un caffè macchiato per me» — risponde il suo amico, indicandosi con un cenno del palmo — «E un caffè con panna per lei» — continua Jace, indicando Clary. Alec si chiede come in un semplice sguardo si siano confermati le loro ordinazioni, ma decide di sorvolare anche su questo. Forse questo è uno dei segreti dell'essere innamorati. Forse amare qualcuno significa davvero riuscire a leggere dentro l'altro con un singolo sguardo. Da studente triennale di Psicologia dovrebbe saperle certe cose, ma in realtà l'amore è un argomento complicato anche per un Einstein come lui. E probabilmente anche non è l'espressione giusta da usare per il semplice fatto che l'amore è complicato solo per lui, da quello che crede.
Alec rimanda i suoi pensieri psicologici, che ormai riempiono la sua mente da che era un quindicenne, e tenta di concentrarsi sulle parole che sono fuoriuscite dalla bocca del suo amico. Annuisce, con qualche secondo di ritardo, e va dietro il bancone, armeggiando con la macchinetta del caffè.

«A che ora smonti?» — chiede Clary, appoggiando il gomito al bancone e il viso sul palmo della mano, mentre Jace si accomoda su uno sgabello accanto.

«Alle tre» — risponde Alec, continuando a dare le spalle ai suoi amici per preparare le loro bevande. In realtà, in cuor suo, pensa di dare le spalle al suo amico e alla fidanzata del suo amico, perché non è certo di considerare Clary come sua amica. Ma questo è meglio non dirlo troppo in giro. — «Come al solito» — aggiunge, spruzzando la panna sulla tazza contenente il caffè.

«Ti fanno lavorare troppo, amico. Hai bisogno di un po' di tregua» — commenta Jace, mentre Alec gli mette davanti un piattino con su il caffè macchiato richiesto poco prima. Rotea gli occhi, e poi passa la bevanda anche alla rossa.

«Non mi fanno lavorare troppo. È un turno giusto» — obietta occhi azzurri, grattandosi il leggero velo di barba che in realtà dovrebbe radere. Clary porta la bevanda alla bocca, e gli occhi sembrano accendersi di una luce particolare. Ho fatto un buon caffè, o ha visto la Madonna davanti ai suoi occhi? Chiede nella sua mente, magicamente curioso dalla risposta che potrebbero dargli.

«È fantastico questo caffè, Alec!» — si complimenta la ragazza. Risposta trovata, pensa Alec. Che culo, pensa ancora. Sorride flebilmente, perché effettivamente non sa cosa rispondere. In realtà basterebbe dire grazie, ma lui non ringrazia mai Clary. E non ha intenzione di farlo nemmeno stavolta.

«Hai ugualmente bisogno di una tregua!» — continua Jace, costringendo Alec ad alzare gli occhi al cielo. Le tregue di Jace non corrispondono mai a vere e proprie tregue, ma è curioso di sentire le sue fantastiche idee. 
Fantastiche si fa per dire, ovviamente.

«E sentiamo, cosa mi consiglieresti?» — cerca di provocarlo Alec, ma in fondo lui non è mai stato bravo nelle provocazioni. Jace sogghigna, bevendo un generoso sorso del suo caffè, ultimandolo, e quel ghigno lo fa pentire in un attimo della domanda che ha osato porgli.

«Sabato sera hai il turno?» — chiede il biondo. Clary sorride, e Alec si chiede ancora una volta che cosa abbia da sorridere.

«Ho perso il conto delle volte in cui ti ho ripetuto che faccio turni settimanali. Non è difficile: se ora sto lavorando, significa che tutta la settimana farò quest'orario» — risponde Alec, un po' piccato dal fatto che Jace faccia praticamente orecchie da mercante quando gli parla e lui, invece, sia costretto a subirsi i suoi commenti su Clary ogni volta che si vedono.

«Ha ragione, Jace» — commenta Clary. Certo che ho ragione, vorrebbe dire Alec, ma anche stavolta riesce a trattenersi.

«Dettagli» — risponde Jace, storcendo il muso e facendo un gesto con la mano per sorvolare sulla cosa — «Perché Sabato sera non esci con noi?» — chiede, mentre il moro si affretta a riporre le tazze — ormai vuote — nel lavandino.

«Per andare dove?» — chiede, facendosi già un'idea dei posti che potrebbe elencare che corrisponderebbero ad incontrare una moltitudine di esseri umani e no, Alec non ne ha per niente voglia. Strano anche questo per uno studente di Psicologia.

«In un locale. Dai, ti fai una birra, uno shottino che non fa mai male, ti fai una limonata con qualcuno e chi s'è visto, s'è visto!» — risponde Jace, ammiccando. Stavolta Alec non può ignorare il brivido che lo ha percorso non appena il biondo ha pronunciato qualcuno piuttosto che qualcuna. Una vocale può fare la differenza. Eccome se la può fare. 
Ormai aveva fatto coming out con quasi tutte le persone che conosceva, o almeno quelle a cui gli importava dirlo. Jace lo aveva immaginato, ma aveva aspettato comunque che glielo confermasse Alec di suo pugno. Quello che Jace non sa — o forse finge di non sapere, si è ritrovato a pensare Alec più volte — è che ha capito della sua omosessualità proprio grazie — o a causa, occhi azzurri non sa ancora stabilirlo — a lui. Al contrario invece di Clary che, per una volta, si è dimostrata troppo perspicace e ha espresso il suo dubbio ad Alec, il quale ovviamente ha dovuto mentire come un dannato pur di non far saltare tutto. Anni e anni di esperienza per celare i sentimenti verso il suo migliore amico stavano per essere smontati da una pel di carota qualsiasi. E Alec lo sa che in fondo Clary non ci è proprio cascata, seppur abbia dimostrato il contrario.

«Ma anche no!» — risponde Alec, con un tono un po' troppo distaccato, ma sotto questo punto di vista è un po' troppo impulsivo e non pensa per niente a come comportarsi in certe situazioni.

«Perché no? Sarebbe un modo diverso per passare la serata, e poi potresti incon...» — continua Jace con il suo sproloquio, mentre Clary annuisce con un cenno veloce del capo. Alec si trattiene dall'alzare gli occhi al cielo. Non sarebbe educato, pensa. Per una volta, l'angelo, il destino, qualsiasi entità superiore, sembra essere dalla sua parte perché un cliente entra nel bar, e Alec può finalmente sfuggire dalle chiacchiere inutili di Jace e di Clary sul costringerlo ad uscire dalla sua tana e non rinchiudersi come un monaco in convento.

Da quel cliente, ne sono arrivati almeno altri cinque, che inconsapevolmente sono riusciti a salvarlo dalle grinfie del suo migliore amico e della sua ragazza. Con tutto il bene, ma non riesce a reggere troppo il confronto con quei due e, specialmente, a parlare della sua misera vita sociale. Se anche volesse, Alec non ce la farebbe ugualmente a passare ore e ore in un locale con musica pompata a mille e con gente che ti si attacca addosso in ogni momento. Okay che ha ventidue anni e a volte se ne sente ottanta, ma i suoi amici dovrebbero anche rendersi conto del fatto che quando non lavora, studia. E quando non studia, lavora. E quando non fa le due cose, significa che è l'ora di farsi una doccia, di nutrirsi con qualcosa di commestibile e di lanciarsi a letto per dormire quelle poche ore. Pensa di meritarselo dopo giornate estenuanti. Stappa una lattina di coca cola al bambino che è seduto poco distante dal bancone, e la versa in un bicchiere di vetro, a cui al suo interno ha già gettato qualche cubotto di ghiaccio. Lo mette sul vassoio, e con la grazia acquisita con l'esperienza, riesce a portarlo al tavolino senza far traboccare nulla.

«Ecco a te» — dice Alec, mostrandosi cordiale e mettendo davanti al bambino il bicchiere con all'interno la coca cola. Il bambino si volta verso di lui, sorridendogli riconoscente. Questi sono i clienti che ad Alec piacciono.

«Grazie mille» — continua il bambino, passandogli i soldi richiesti dallo scontrino. Alec sta per ribattere, ma qualcosa interrompe le sue parole, lasciando che il Prego non diventi altro che un suono venuto male. Raddrizza la schiena e stavolta sorride. Non stira le labbra, né mostra i denti solo per dare il contentino al cliente. Sorride. E lo fa di cuore. Isabelle entra nel bar, come un raggio di sole, seguita da un ragazzo che Alec non ha ancora inquadrato.

«Perché me lo hai fatto conoscere solo ora e l'hai tenuto nascosto per tutto questo tempo?» — sussurra il ragazzo misterioso, stando attento a non farsi sentire da Alec. Izzy ridacchia, e salta tra le braccia di suo fratello, che — per fortuna, grazie ai suoi buoni riflessi — riesce ad evitare che il vassoio con su i soldi cada dritto per terra.

«Ciao fratello!» — dice entusiasta la ragazza, alzandosi sulle punte per scompigliare l'enorme ciuffo moro di Alec.

«Ciao Izzy!» — sorride Alec, stringendola e lasciando la presa — «Che ci fai qui?» — chiede, poggiando il vassoio su un tavolino libero, e mettendo poi le mani sulle spalle della ragazza.

«Non sono venuta questo weekend e ho deciso di rimediare prendendo l'autobus stamattina presto» — spiega Isabelle, sorridendo. — «A proposito, ti presento un amico!» — continua, voltandosi indietro con il capo e indicando il ragazzo che, nel frattempo, è rimasto dietro di lei a guardare la scena con un sorriso divertito sulle labbra. Alec alza finalmente lo sguardo sul ragazzo e rimane sconvolto ed estasiato alla visione dell'amico di Isabelle. 
E questo da dove salta fuori, pensa Alec.

«Ciao, io sono Magnus» — il ragazzo dai tratti asiatici sembra risvegliarlo dallo stato di trance da cui è stato avvolto. 
Che figura, pensa Alec, avrò fatto la figura dell'ebete.

«Ciao, Alec» — gli stringe la mano che l'asiatico gli ha gentilmente allungato. Rimane ancora più estasiato nel notare il contrasto tra la sua pelle lattea e la sua bronzea.

«Bene, ora che vi siete presentati, Alec ci prepari qualcosa? Sto morendo di fame» — chiede Isabelle, con le mani sui fianchi. Non ha potuto non trattenere un sorriso nel vedere il suo migliore amico e suo fratello fare conoscenza, ma questo né l'uno né l'altro lo ha notato. Troppo impegnati a conoscersi.

«Ehm, sì. Ovvio» — risponde Alec, un po' stordito dalla bellezza dell'asiatico e dalla sua altezza. Ha davvero trovato un altro essere umano alto quasi quanto lui. — «Cosa vi faccio?» — chiede, cercando di distogliere lo sguardo da Magnus, ma fallendo miseramente. Alec sente i suoi occhi addosso, e questo gli fa bruciare l'anima.

«Io voglio un cornetto al cioccolato. Ce ne sono ancora?» — chiede Isabelle, dando un'occhiata alla vetrina. Alec velocizza il passo, seguito da sua sorella e il suo amico.

«Sei fortunata, è rimasto solo questo» — dice Alec, prendendo l'unico superstite e per un attimo rimane scettico. 
E ora che devo fare?, si chiede Alec. 
E se lo volesse pure Magnus?, chiede ancora. 
«Magnus, ehm, cosa posso offrirti?» — chiede, un po' imbarazzato. Alec potrebbe giurare di aver visto gli angoli della bocca dell'altro ragazzo sollevarsi lievemente.

«Un cappuccino andrà più che bene, grazie mille» — risponde Magnus, e Alec finalmente può respirare. Passa il cornetto e un tovagliolo a sua sorella, e si dedica nel preparare il cappuccino all'amico di Izzy.
Amico? Alec lo spera. Non per qualcosa, per carità. Ma non sarebbe proprio carino se Alec stesse rimanendo ammaliato da una possibile fiamma di sua sorella. Potrebbe essere ammaliato da suo cognato. Nemmeno nelle peggiori storie di incesto. 
Il silenzio cala. Si sente solo una canzone che è passata alla radio, ma in maniera molto indistinta. Cerca di guardare sottecchi, e si gode la visione dell'asiatico che non stacca gli occhi di dosso dal moro. Gli verrebbe da sorridere, ma deve contenersi. 
Ultima il cappuccino e lo passa tra le mani di Magnus, che sorride.

«Grazie» — mormora, e Alec fa un veloce cenno del capo. Cerca di distogliere lo sguardo e di concentrarsi sul viso di sua sorella su cui è dipinto un'espressione di goduria, dovuto probabilmente al fatto che le sue papille gustative stiano esaltando.

«Oh, finalmente!» — esclama Izzy, poggiando meglio la schiena sullo schienale dell'alto sgabello. Alec getta via la carta ormai sporca e quando rialza lo sguardo, cerca di non farsi venire degli scompensi ormonali dovuti a come il ragazzo sta leccando gli angoli della bocca per togliere la schiuma superflua.
Un po' di rispetto, pensa Alec, un po' di rispetto per me e per la mia dignità.

Qualcosa lo distrae ancora una volta dai suoi pensieri. O meglio, una voce.
«Lightwood, consegna al negozio di caramelle qui accanto. Due mocaccini e un decaffeinato. Presto!» — annuncia il suo capo, mettendogli tra le mani un vassoio con su le ordinazioni. Alec rimane per un secondo imbambolato, poi annuisce energicamente.

«Ci vediamo dopo a casa» — mormora Alec, stampando un bacio sulla guancia a sua sorella. — «Ciao Magnus» — dice, mantenendo il vassoio con una sola mano per salutare con un cenno della mano il ragazzo.
Chissà quando ti rivedrò, vorrebbe dire Alec. Ma anche questa volta lascia che le parole gli si mozzino in gola.

«Ciao Alec»

Spazio Autrice
Ecco qui anche il terzo capitolo della Fan Fiction! :)


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


E

«Ma tu sei sicura che a tuo fratello non dia fastidio?» — chiede Magnus, probabilmente per la trentesima volta. Isabelle comincia a perdere la pazienza. Rimane accovacciata sulle sue ginocchia, mentre con la mano destra fruga sotto uno zerbino davanti ad una porta d'ingresso. Magnus potrebbe affermare ad occhi chiusi che quello sia l'ingresso della casa di Alec solo dopo tutte le infinite narrazioni di Isabelle. Se apre gli occhi, può esserne certo al 100% poiché lo zerbino rispecchia perfettamente le parole usate da Izzy. Tetro, ha usato più volte per descrivere gli arredi di suo fratello. E ora, vedendo già solo un semplice zerbino, non può mica darle torto.

«Ma esattamente, cosa dovrebbe dargli fastidio?» — chiede, voltando lievemente il capo verso il ragazzo, mentre continua la caccia al tesoro. O alla chiave, Magnus presuppone. — «Alec, ma dove cazzo l'hai messa!» — sbotta la mora, non parlando con nessuno in particolare.

«Che ne so, magari non gli fa piacere che un estraneo piombi all'improvviso a casa sua!» — risponde Magnus, facendo spallucce, e un po' imbarazzato dalla situazione. — «Anche se di questo passo, non credo riusciremo ad entrare!» — risponde divertito, mentre si guarda attorno per cercare la chiave.

«Ma non capisco dove l'abbia seppellita!» — mormora affranta, alzandosi dalla posizione scomoda. — «E comunque, non sei un estraneo. Sei il mio migliore amico. E poi ho raccontato spesso di te ad Alec» — dice poi, mentre continua la sua perlustrazione per il pianerottolo. Alla ricerca della chiave perduta, pensa Magnus, potrebbe essere un'idea per un prossimo film.

«Ah sì? E cosa gli racconti di me?» — chiede Magnus curioso e nel contempo divertito dal fatto che occhi blu sappia qualcosa di lui.

«Che rompi le palle dalla mattina alla sera!» — risponde Isabelle, sogghignando.

«Ehi! Ti regalo la gonna a quadroni della Evans» — la minaccia Magnus, puntandole l'indice contro. Gli angoli delle labbra si sollevano, così come quelli di Isabelle, fino a scoppiare contemporaneamente in una fragorosa risata. La Evans è una dei loro docenti in accademia e anche lei potrebbe vincere il premio "Peggior outfits di sempre", se solo esistesse. Una volta, quando Magnus e Izzy avevano lezione in comune in accademia, la docente si è presentata con un orribile gonna a quadroni con su abbinato un disgustoso maglioncino giallo, che sia lui che Isabelle sognano ancora la notte probabilmente nei peggiori incubi.

«Mi viene l'orticaria al solo pensiero» — mormora Isabelle, fingendo un conato di vomito. — «Ma la chiave dove sta?!» — ripete la ragazza, battendo il piede sullo zerbino e sbuffando lievemente dal naso. Magnus incrocia le mani dietro la schiena e continua a guardarsi attorno. Si avvicina ad una pianta posta su una piccola finestrella, venendo colpito da un dettaglio in acciaio. Una punta, per essere precisi.

«Credo che la chiave che cerchiamo sia qui» — indica Magnus, con un cenno del capo. Isabelle scuote la testa.

«Ma da quando mio fratello mette le chiavi dentro ad un vaso. Ma che è? Siamo in un film?» — chiede scettica e Magnus annuisce. Effettivamente, pensa. Sorride divertito, mentre Isabelle fruga qualcosa nella borsa che tiene sulla spalla. Estrae una pinzetta per le sopracciglia. Sul volto di Magnus si dipinge un'espressione interrogativa.

«Ti sembra il caso di metterti a fare le sopracciglia?» — chiede Magnus sconvolto, ma allo stesso tempo gli viene da ridere per la comicità della cosa.

«Ma sei scemo? Ti pare che la chiave la tiriamo fuori con le mani con tutta questa terra che c'è qui dentro?» — chiede disgustata la ragazza, rabbrividendo al solo pensiero del contatto con qualcosa di sporco. Scuote il capo e allarga i ferretti della pinzetta per recuperare la chiave smarrita.

«In un'altra vita facevi l'estetista quindi» — commenta Magnus, fingendosi sorpreso, con l'indice sulle labbra e il pollice sotto il mento. Isabelle estrae, finalmente, la chiave. Il ragazzo fa un finto applauso. — «Complimenti!»

«Toh! La mia bambina è utile per qualsiasi emergenza» — conclude soddisfatta, parlando con la sua pinzetta che nel frattempo continua a tenere tra le due punte la chiave. Estrae un pacchetto di fazzoletti, prendendone uno, e comincia a passarlo sulla chiave, in modo da eliminare del tutto i detriti della terra che c'era nel vaso. — «Bene, ce l'abbiamo fatta» — afferma, riponendo in borsa la pinzetta e il pacchetto di fazzoletti. 
Non devo dimenticare di disinfettarla, pensa la ragazza, leggermente disgustata dal pensiero della terra sulle sue amate sopracciglia. 
Sorride soddisfatta e infila la chiave nella serratura della porta. La porta si apre e Isabelle entra. — «Benvenuto a casa di mio fratello!»

Magnus esita prima di entrare. Solitamente è un tipo abbastanza loquace e che non si crea chissà quanti scrupoli, ma in questo momento un leggero velo di imbarazzo lo sta inebriando. Si guarda intorno, camminando lievemente e chiudendosi la porta alle sue spalle, mentre la sua amica lo incita ad entrare. 
Pensavo peggio, pensa Magnus nella sua testa. È evidente che Isabelle non abbia per niente ereditato il buongusto da suo fratello, ma deve ammettere di aver visto di peggio e, soprattutto, Isabelle lo ha fatto spaventare più volte per le descrizioni riguardanti la casa di Alec. Per un attimo ha creduto che potesse vivere in qualche casa degradata ai livelli del South Bronx. Non è grande, ma è giusta per due persone. L'ingresso è accompagnato da un breve tratto di corridoio, cui le pareti sono decorate da due quadri che, probabilmente, sono la cosa più colorata dell'intera casa. O almeno così Magnus riesce ad immaginare.

«Belli questi quadri» — si trova a dire Magnus ad alta voce. Doveva essere un pensiero nella sua testa, ma non ha potuto non esprimerlo e condividerlo con Izzy. Isabelle sorride, appoggiandosi con la schiena alla parete e annuendo.

«Sì, sai chi lo ha dipinto?» — chiede Isabelle e Magnus fa un no con un segno della testa. — «La fidanzata di Jace, Clary» — spiega, mentre lo sguardo di Magnus passa dal quadro a quello della ragazza.

«Jace?» — chiede interrogativo e Isabelle annuisce con il capo. — «Il ragazzo biondo che viene spesso al Pandemonium e che mi ha versato un Moscow Mule addosso?» — chiede Magnus, sentendo per un attimo una fitta colpirgli alla testa. Troppi collegamenti.

«Già, proprio lui» — conferma la ragazza. — «La ragazza rossa che lo accompagna, è Clary. Frequenta un'accademia di arte qui a Brooklyn»

«Quindi Jace è amico di tuo fratello?» — chiede Magnus per nessun motivo in particolare. Ma non saprebbe spiegare perché di tutta la storia che Isabelle gli ha raccontato, lui abbia voluto chiedere questo.

«Migliore amico, per l'esattezza» — lo corregge la mora. — «Hanno frequentato tutte le scuole insieme. Jace si è fermato con gli studi, mentre Alec ha continuato. Ora lui ha una palestra tutta sua e fa il personal trainer» — Magnus annuisce alle parole che fuoriescono dalla bocca di Isabelle e poi segue la ragazza, che lo esorta con il palmo della mano. Si guarda intorno, soffermando il suo sguardo su una libreria con una quantità industriale di libri che potrebbe far invidia ad una biblioteca.

«Tuo fratello adora leggere?» — dice, ma il suono con cui le parole fuoriescono dalla gola si rispecchiano più in un'esclamazione che in una domanda. Isabelle alza gli occhi al cielo, che per un attimo sembrano cambiare colore per quanto si illuminano. E Magnus sorride. Sorride perché quello è lo sguardo che contraddistingue Izzy da tutte le altre persone. La luce che c'è nei suoi occhi ogni volta che parla di Alec, è un qualcosa di inspiegabile. Se un estraneo sentisse parlare la ragazza di suo fratello, si innamorerebbe anche lui inconsapevolmente di Alec solo per il modo in cui Izzy lo descrive. E Magnus sa che la sua amica non esagera. Ha incrociato Alec qualche ora prima, e deve ammettere che la luce negli occhi di Izzy quando vede suo fratello, è la stessa che ha Alec quando vede sua sorella. Gli occhi azzurri sembrano risaltare ancor di più. E Magnus si sente folgorato al solo pensiero di quel ciuffo e da quegli occhi azzurri che ha incrociato in quei pochi minuti che è stato al bar.

«Sì, lo ha sempre adorato. Lui aspetta il suo compleanno solo perché sa che qualcuno gli regalerà dei libri. A me non piace aspettare il suo compleanno, è troppo tardi. A volte, se ne trovo qualcuno che mi colpisce, gliene prendo uno. Gliene compro sempre alla stazione vicino alla fermata degli autobus a Manhattan. C'è una casa editrice lì vicino» — spiega Izzy, sorridendo e dando un'occhiata all'ultimo libro che gli ha regalato ad Alec. Voleva leggere l'intero Decameron di Boccaccio, ma non riusciva mai a scovarlo. Un giorno il caso ha voluto che lo trovasse, unico superstite in libreria, e gliel'ha regalato. Ha dato di matto per una settimana. Si sarebbe lanciata nel vuoto per suo fratello, e vederlo così felice l'ha terribilmente gratificata. Ora sorride nel notare che il libro sia già a buon punto. Lo nota dalla matita che ha messo tra una pagina e l'altra per segnare la pagina a cui è arrivato.

Magnus sorride, non aggiungendo nulla, perché le parole di Isabelle sono state più che esaurienti e si sente anche in imbarazzo a dire o fare qualcosa. Volge il suo sguardo alle tende, da cui penetra un flebile raggio di sole, che si rispecchia perfettamente sul divano bianco. Avanti ad esso c'è un piccolo tavolino, con sopra poggiato un altro libro, che Magnus non riconosce e decide di non indagare. La televisione è poggiata su un mobiletto in legno rovere e al di sotto può notare ancora una sfilza di libri.
Ma quando li legge tutti questi libri se fa otto ore di turno al lavoro?, si ritrova a pensare Magnus. Poi pensa alle leggere occhiaie che ha potuto intravedere sotto quegli occhi azzurri, e gli viene da sorridere. Probabilmente farà le ore piccole per leggere. 
«Ci sono più libri qui che alla Brooklyn Public Library» — commenta Magnus, con un sorriso divertito, mentre Isabelle annuisce ridacchiando.

«Fra mezz'ora finisce il turno» — pensa Isabelle ad alta voce, volgendo uno sguardo all'orologio a muro posto sulla parete del salotto. Per un attimo gli viene da ridere se pensa che a casa sua l'unico orologio che ha, esclusi quelli da polso, sia viola e a forma di gatto, mentre questo è un semplicissimo orologio rotondo bianco con le lancette nere.

«Dai, allora tolgo il disturbo» — sta per dire Magnus, ma Isabelle lo frena poggiandogli la mano sul braccio.

«Rimani! Ora gli preparo qualcosa da mangiare. Quello stronzo del suo capo sicuramente non gli avrà dato dieci minuti di pausa neanche oggi» — dice con una punta di acidità nella sua voce, mentre si dirige in cucina. Magnus la segue, dando una veloce occhiata anche alla cucina. 
È carina, si ritrova ad ammettere il ragazzo asiatico. Non si aspettava sicuramente di trovarsi una cucina colorata, ma il legno già va bene, considerando che la maggior parte delle cose sia in questo materiale. Almeno Alec non abbina cose random.

«Fa dei turni massacranti?» — chiede Magnus, mentre Isabelle apre qualche anta per cercare qualcosa. Pentole, presume il ragazzo.

«Lui dice di no perché attualmente è l'unica cosa con cui riesce a mantenersi e non finire sotto i ponti» — risponde, prendendo una padella, mentre Magnus rimane un attimo sconvolto dalla precisione con cui siano allineate tutte le pentole sugli scaffali. Sicuri che abiti da solo e non ci sia qualche ragazza con lui? — «Ma in realtà è così. È capitato che ha addirittura fatto quasi undici ore. Lui spesso non me lo racconta perché sa come la penso, ma non è furbo perché io mi addormento solo quando vedo la sua ultima connessione su Whatsapp quando fa il turno serale e torna a notte fonda. Non sono psicopatica, sia chiaro» — ammette, poggiando la padella sul ripiano della cucina.

«Mai pensato questo!» — dice serio Magnus, alzando le mani in segno di resa.

«Non riesco a dormire tranquilla sapendo che da un certo orario inizino a girare teste di cazzo. Mio fratello sa difendersi, e anche bene, ma credo sia lecito avere un po' di paura per lui. Lui si preoccupa sempre di tutti e mai di sé stesso» — dice Isabelle, scuotendo il capo e sorridendo alla bontà di Alec. Magnus sorride complice. È bello sentire Izzy parlare di Alec. Prende delle uova dal frigo e Magnus storce il muso.

«Izzy.... ma devi seriamente cucinargli tu?» — chiede Magnus terrorizzato all'idea di Isabelle ai fornelli. La prima e l'ultima volta che Isabelle ha cucinato qualcosa per Magnus, quest'ultimo ha quasi rischiato di strozzarsi a furia di ingozzarsi di acqua fresca. Diciamo che Isabelle e cucina non possono stare nella stessa frase.

«Che fai? Ti preoccupi per lui?» — chiede Isabelle, alzando lo sguardo su di Magnus. Dovrebbe sentirsi offesa, ma in realtà il fatto che il suo amico si stia interessando, seppur indirettamente, a suo fratello, la rende così serena. Il viso di Magnus sembra colorirsi leggermente di rosa.

«Hai detto che nessuno si preoccupa mai per lui. Mi sto preoccupando per il suo stomaco, sinceramente» — controbatte, ridacchiando, e prendendo le uova dalle mani della ragazza.

Alec sospira. Si strofina l'occhio e si lascia andare un attimo sul sedile della sua auto. Che la scuola sia terminata lo si nota dal fatto che gli adolescenti, non sapendo cosa fare, si trascinano insieme ai loro amici nei bar. E questo significa andare avanti e indietro con adolescenti che non riescono a tenere un volume della voce regolare all'interno di un luogo pubblico. Slaccia la cintura ed esce dalla sua auto. Apre il portone e fa le scale a quattro. È così stanco che l'unica cosa che vorrebbe fare è mettersi a dormire, ma dovrà aspettare stasera per farlo. Lo squillo del suo cellulare quasi lo fa cadere sull'ultima rampa di scale. Lo estrae dalla tasca. Jace.

«Jace» — risponde, portando il cellulare all'orecchio e arrivando davanti alla sua bramata porta di casa.

«Amico, non mi hai ancora risposto per Dopodomani sera» — risponde Jace, e Alec lo conosce molto bene da poter dire che in questo momento stia ammiccando. Alec alza gli occhi al cielo, infilando le chiavi nella serratura.
Silenzio. Questo sente quando entra a casa sua. Ma se chiude gli occhi, riesce a sentire il profumo di Isabelle.

«Jace, ma che ne so. Lo sai che non mi piacciono i locali» — risponde, sorridendo nel sentire il profumo inconfondibile di sua sorella. — «Izzy!» — esclama non appena una figura dai capelli voluminosi mori e dal rossetto rosso sulle labbra fa capolino dalla cucina.

«Izzy? Sì, bravo. Viene anche lei» — risponde Jace, non capendo la situazione. Alec sbuffa lievemente.

«Ci sentiamo dopo, ok?» — dice Alec, attaccando e senza sentire alcuna risposta dall'altro capo. Ripone il telefono in tasca e si dirige in cucina. — «Sei ancora qui? Pensavo fossi andata via» — dice, mentre i suoi occhi si spostano da una parte all'altra. — «Oh, ciao Magnus!» — aggiunge poi, un po' imbarazzato, nel notare la figura asiatica seduta vicino il tavolo, mentre di fronte c'è un piatto con all'interno qualcosa da mangiare. Che ci fa il ragazzo qui? Non che ne sia deluso, anzi. Ma quando ha pensato "Chissà quando lo rivedrò, mica si aspettava di rivederlo nel pomeriggio a casa sua.

«Ciao Alec» — lo saluta Magnus, mentre l'altro approfitta per lavarsi le mani.

«Ti abbiamo preparato il pranzo, visto che sicuramente quel figlio di buona donna del tuo capo non ti ha fatto mangiare neanche oggi» — dice dura Isabelle, guardando male suo fratello. Alec tossisce.

«Izzy!» — la rimprovera. — «Grazie comunque» — dice sedendosi. Sta per infilzare la forchetta per addentare l'albume dell'uovo, poi fa una faccia terrorizzata e alza il viso dal piatto. — «Hai cucinato tu?» — chiede con la voce mezza affranta, riferendosi a sua sorella. Magnus ridacchia. 
Musica per le mie orecchie, pensa Alec.

«Sei salvo!» — risponde Magnus. — «Ti ho cucinato io. Sono sicuramente meglio di Isabelle» — aggiunge e Alec lo ringrazia con lo sguardo.

«Ma insomma! Un po' di bontà anche per me!» — dice Izzy, fingendosi offesa, portando teatralmente una mano sul petto. — «Vado a disinfettare la pinzetta» — si ricorda la ragazza, prima di sparire in bagno.

«La pinzetta? Disinfettare?» — chiede Alec leggermente confuso. — «Comunque sì, sei decisamente migliore di Izzy» — ammette il moro, mangiando. Magnus sorride.

«Lunga storia» — taglia corto Magnus. — «Ne sono contento, comunque. Una volta ha quasi rischiato di farmi strozzare per un semplice caffè. Ha messo il sale al posto dello zucchero» — dice Magnus, ripensando a quel giorno. Alec ridacchia.

«Tipico di Isabelle. Non so quante volte ho rischiato di avere un'intossicazione alimentare per colpa sua» — risponde Alec, stampandosi una mano sulla fronte e pensando a quante volte abbia scampato la morte per la cucina di Izzy. Magnus ridacchia a crepapelle.

«La smettete di parlare male di me?!» — urla Isabelle dal bagno. — «L'avessi saputo che vi sareste coalizzati contro di me, non vi avrei fatto conoscere»

Spazio Autrice

Ormai penso si sia capito che io adoro il rapporto Isabelle - Alec ed è per questo che tendo a menzionarli spesso. E poi mi piaceva l'idea che Izzy fosse un po' l'intermediaria tra Alec e Magnus. Inoltre, con i prossimi capitoli, si riuscirà anche a scoprire il motivo per cui Alec sia così tanto legato a sua sorella e idem per Magnus. Voi cosa vi aspettate?

Ci tengo anche a precisare che ho pensato di stravolgere un po' i personaggi di Alec e Magnus. Quest'ultimo non sarà così tanto sfacciato (se possiamo utilizzare questo termine), come lo è solitamente, e Alec non sarà così tanto innocuo (prendete questo termine con le pinze, visto che non me ne viene un altro in mente). Spero che per voi non sia un problema! Al prossimo capitolo, che in realtà è già pronto, ma sto aspettando qualche responso per capire se la storia vi interessa o meno e, soprattutto, per capire se ne sono all'altezza o no, visto che non ho mai scritto sui Malec. Grazie a chi ha speso qualche minuto del suo tempo per lasciarmi una recensione :) A presto!


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


5

Sabato sera è sinonimo di amici, di feste, di alcool. È sinonimo di spensieratezza. Certo, questa non è una cosa che è scritta sui vari tipi di dizionari, ma nel dizionario di Magnus il Sabato ha assolutamente come sinonimi queste cose. Se non si hanno queste, che Sabato sarebbe? Magnus ritiene che, probabilmente, il Sabato era sacro sin dall'antichità. Probabilmente pure gli Egizi si divertivano a suon di qualche canzone e balli vari. La tradizione di fare baldoria il Sabato sera deve essere per forza una tradizione tramandata da qualche generazione precedente. A lui piace pensarla così. Non è un incosciente e sa quando il passo per il coma etilico è vicino. E sa anche che se beve, non deve guidare, ma deve ficcarsi nel primo taxi che trova libero, o nella macchina dell'amico che non ha bevuto. Per questo, spesso, lui e il suo gruppo di amici fanno a turno. Non ne sono tanti: ne sono in quattro, compreso Magnus. Un sabato beve Ragnor, proprietario del Pandemonium, un altro beve Raphael, un Pablo Escobar resuscitato, lo descrive Magnus. Non perché sia un narcotrafficante o comunque faccia uso di sostanze stupefacenti. Semplicemente è la persona più antipatica che esista sulla faccia della Terra. Poi, è pure Messicano. E un altro Sabato ancora beve Catarina, che il novanta percento delle volte tende a cedere il suo turno di bevuta a uno dei tre. È un medico ed è assolutamente la più normale del gruppo. È quella che li tiene a bacchetta e che li rimprovera quando i tre stanno per combinare un enorme cazzata. È un po' la loro sorella maggiore, anche se spesso si comporta da madre. Questa sera, tuttavia, non è il turno di Magnus a darsi alla pazza gioia, ma è comunque contento per spassarsela un po' nel suo locale e per distrarsi dallo stress della settimana. Allenta i polsini della camicia blu, con su delle stampe floreali, e lascia sbottonati i primi tre bottoni, da cui fuoriescono vari tipi di collane. Fa un giro su sé stesso, osservando il suo outfit al completo e può dichiararsi soddisfatto da sé stesso e dall'outfit nel complesso.

Il Sabato tanto temuto da Alec, è arrivato. Forse è per questo che sente una stanchezza superiore a tutti gli altri giorni. Isabelle, ormai, essendo libera dall'accademia per un po', viste le vacanze estive, quasi si trasferisce a casa di suo fratello. Va a trovarlo più spesso, ma non c'è nulla da stupirsi perché son tre anni che Alec vive da solo e che Isabelle vive da pendolare nel momento in cui le sue lezioni sono sospese per un po'. E lui non può che esserne contento, ovviamente. È bello tornare a casa e vedere qualcuno ad aspettarti. È bello vedere un po' di disordine e non sentirlo solo nella sua testa. È un maniaco dell'ordine, per carità. Ma il disordine di Izzy lo rasserena. E per una volta, riesce ad accantonare la solitudine che lo pervade ogni volta che mette piede nella sua dimora. Sbadiglia per l'ennesima volta da quando ha finito il suo turno. Ormai non fa altro che sbadigliare. E si chiede come avrebbe fatto se avesse avuto il turno serale, visto che non riesce nemmeno a reggersi in piedi. Ma deve farlo. Deve tenere gli occhi aperti, a costo di incollarsi lo scotch sulle palpebre, ma deve rimanere sveglio. Ha una carriera universitaria da mandare avanti e non può proprio permettersi di fermarsi. E poi, deve approfittare ora che sta tornando ad orari decenti e non ad orari improponibili della notte. Si accascia sulla sedia, reduce da una doccia durata almeno mezz'ora. Ha quasi rischiato di addormentarsi sotto il getto dell'acqua bollente. E questo lo si può notare dal fatto che la sua pelle sia leggermente più colorata. Il viso non è arrossato, ma non è nemmeno cadaverico come suo solito. Le ginocchia, scoperte da un bermuda nero, sono ricoperte da alcune chiazze rosse, così come le sue caviglie un po' troppo sottili. Non sa neanche che ore sono. Si sente un po' smarrito. E spesso ha la sensazione di sentirsi una bussola in mezzo al mare aperto. Non sa come ritrovarsi. Poi guarda gli occhi di Isabelle. Castani, grandi, tenebrosi come la notte, ma anche vivi e innamorati. Gli occhi più sinceri che Alec abbia mai visto. E allora forse riesce a riprendere il suo vagare. Gli occhi di Isabelle gli guidano la strada, anche se dovrebbe essere lui a guidare la sorella. E lui lo fa, sempre. In ogni momento. Ma Isabelle sa che anche suo fratello ha bisogno di essere tirato fuori da qualcosa che nemmeno anni e anni di studi di Psicologia riescono ad identificare. E Alec sa che la mano e gli occhi di Isabelle li troverà sempre alla stessa parte, ovunque lui andrà. Scuote il capo, dandosi una botta alla testa mentalmente, e concentrandosi sulle prime righe del paragrafo di questo mattone che deve studiare. Essere iscritti ad un'università telematica è piuttosto comodo, ma allo stesso tempo è tremendamente faticoso. Non dovendo seguire le lezioni, deve concentrarsi il doppio quando qualcosa non riesce a capirlo. Spesso si aiuta con qualche slide trovata su Youtube, altre ci passa davvero le notti a cercare di comprendere i significati che celano quei maledetti libri di Analisi dei dati e di Statistica. Non è raro che Alec rimanga fino alle quattro del mattino seduto su una sedia, il computer poggiato sul tavolo e una borraccia contenente litri e litri di caffè per tenersi sveglio. E Isabelle dà di matto ogni volta che dorme a casa sua e si sveglia in piena notte per bere un po' d'acqua. 
Smettila di studiare così tanto, gli ripete la sorella ogni volta, Finirai per morire come Giacomo Leopardi. 
Alec non è superstizioso, ma ogni volta che Isabelle pronuncia quella frase, inizia a formulare tutte le opzioni contro le congiure. L'idea di crepare a 39 anni cieco e con la gobba sulla schiena, non lo elettrizza particolarmente. 
Dà un sorso alla sua camomilla. Ha evitato il caffè e il the perché la troppa caffeina gli sta fottendo il cervello nel vero senso della parola. Certo, la camomilla fumante non è proprio la cosa più ideale considerando i venticinque gradi che ci sono a New York, ma Alec decide di non pensarci più di tanto e di lasciar perdere lo stomaco in fiamme ad ogni sorso che manda giù.

«Alec?» — dice Isabelle, anche se il suo tono risulta più come una domanda che un'esclamazione. E Alec può giurare di sentire una leggera vena di preoccupazione in quelle quattro lettere fuoriuscite dalla sua bocca. Alza lo sguardo dal libro a sua sorella e fa un cenno del capo a sua sorella per esortarla a continuare, mentre sottolinea distrattamente con la matita qualche frase del libro che ha letto poco prima e che ritiene importante. — «Devi studiare molto?» — chiede, mettendosi dietro di lui e circondando il collo di suo fratello con un braccio. Dà una veloce occhiata ai vari fogli e libri sparsi sul tavolo, cercando di capirci qualcosa, ma invano.

«Uhm? Beh se non voglio prendere un diciotto a quest'esame, direi di sì» — risponde Alec, fermandosi un secondo e voltando il capo verso sua sorella. — «Tu dove vai?» — le chiede, notando il suo corpo fasciato in un vestitino nero e i capelli legati in una coda alta liscia.

«Dovrei uscire, ma..» — si allontana, sospirando, mettendosi sulla sedia accanto a quella di suo fratello.

«Ma?» — la esorta Alec a continuare, sfogliando le pagine del suo libro e sentendosi mancare per un attimo l'aria alla vista di quei grafici che gli si pongono davanti agli occhi.

«Penso che rimarrò con te» — conclude, poggiando il volto sul palmo della mano.

«E perché?» — chiede sconvolto Alec, fermando dita che continuano a sfogliare le pagine. — «Il Sabato sera è l'unico momento che puoi dedicarti»

«Non voglio che tu rimanga qui da solo a studiare. È Sabato e ti meriti un po' di pausa» — dice sbuffando. Alec alza gli occhi al cielo, poi li socchiude, e sorride flebilmente.

«Tu e Jace vi siete messi d'accordo per questa cosa che ho bisogno di una tregua? Sto bene, davvero» — risponde Alec gesticolando con le mani.

«Alec hai delle occhiaie che ti arrivano ai piedi tra un po'. Stai lavorando come un matto e stai studiando come un matto. Non sei indistruttibile» — confessa Isabelle, davvero preoccupata per suo fratello. Lui sorride. È vero, non è indistruttibile. Ma non può mostrarsi debole davanti a sua sorella. Non l'ha mai fatto e non lo farà mai. Nemmeno quando i loro genitori lo hanno affossato con le peggiori terminologie esistenti, circa il suo orientamento sessuale, si è mostrato debole.

«Ti voglio bene» — sussurra Alec, più a sé stesso che ad Izzy. Ma la ragazza lo ha sentito. E il cuore le è aumentato di una taglia. La avvolge in un abbraccio e lascia che Isabelle affondi la testa nell'incavo del suo collo, mentre i suoi capelli gli solleticano la mandibola. — «Divertiti stasera» — le dice, lasciando un bacio tra i capelli.

«Che palle che sei! Giochi sporco!» — risponde di rimando Isabelle con tono afflitto, mentre Alec fa una piccola risata. Lei gli da un leggero pugno sul petto, e scioglie l'abbraccio. Gli occhi di Izzy si fanno leggermente lucidi, ma Alec non ci dà peso. Si alza e accompagna sua sorella alla porta.

«Non tornare troppo tardi e non bere troppo. Attenta a chi si avvicina. Se qualcuno supera il tuo spazio prossemico..» — inizia Alec.

«Spazio prossemico?» — chiede Isabelle, interrompendo accigliata il flusso di parole di suo fratello.

«Sì, la distanza che deve esserci quando si comunica con l'altro. Da questa infatti si possono capire così tante cose, ad esempio...» — riprende Alec il suo sproloquio sull'argomento che ha studiato e che è soddisfatto di conoscere alla perfezione.

«Va bene, va bene, va bene» — lo interrompe di nuovo Izzy, scoppiando a ridere. — «Tu mi diventerai scemo uno di questi giorni» — mormora, pensando a quanto lo studio influenzi la vita di suo fratello.

«Ehi!» — la ammonisce lui. — «Davvero, però. Stai attenta» — ripete serio. Izzy annuisce. Si alza sulle punte e gli stampa un bacio sonoro sulla guancia. — «Izzy! Il rossetto!» — la rimprovera, mentre porta il dito sulla guancia per pulirsi.

«È matte. Non sporca!» — spiega lei ridendo e chiudendosi la porta alle spalle senza sentire la risposta di suo fratello. Sobbalza quando sente la porta chiudersi, e rimane imbambolato per una frazione di qualche secondo. 
Silenzio. 
Sono solo di nuovo, pensa nella sua mente. 

Al Pandemonium, nel frattempo, la serata si svolge come di routine. Gente di ogni età. I minorenni fuori a fare la fila con documenti palesemente falsi, divertono particolarmente Magnus. Anni e anni di esperienza ormai sono serviti a differenziare un documento originale da uno falso. Magnus saprebbe riconoscerli ad occhi chiusi. La serata procede in maniera del tutto spensierata, eppure c'è qualcosa che a Magnus sfugge, ma non riesce a capacitarsi cosa effettivamente gli stia sfuggendo di mano. Porta la cannuccia alle labbra e le schiude leggermente per far entrare il Gin tonic all'interno del suo corpo. Socchiude gli occhi quando sente l'alcool soffermarsi sulla gola e scendere lentamente lungo la faringe e si bea della sensazione del ghiaccio sulla punta della sua lingua.

«Amigo, ricorda che questo non è il tuo turno» — dice Raphael, sbucando da dietro le sue spalle con un cocktail, che Magnus identifica come un Sex on the Beach, tra le mani. Ridacchia e si volta dal suo amico.

«Tranquillo che me lo ricordo. Hai visto Isabelle?» — chiede Magnus, guardandosi intorno. Ha perso la mora di vista, e una leggera tachicardia lo sta travolgendo. Le luci stroboscopiche non permettono di mettere i visi a fuoco e il remix di varie canzoni sparate a mille non aiuta per niente.

«Qué? Non capisco» — urla Raphael per cercare di sovrastare la musica alta, avvicinando le dita alle orecchie per indicare che non ha capito ciò che Magnus ha chiesto.

«Isabelle, dov'è? L'hai vista?» — ripete Magnus, avvicinandosi all'orecchio di Raphael.

«L'ho vista prima che si dirigeva verso i bagni, aveva una faccia un po' strana» — dice Raphael. — «Forse qualcuno le ha toccato il culo, no tengo idea» — aggiunge e Magnus sgrana gli occhi.

«Come toccato il culo?» — urla Magnus con il fumo che gli esce dalle orecchie, prendendosela anche con Raphael.

«Ma perché ti scaldi? Con tutta 'sta gente addosso, non c'è così tanto da cui sconvolgersi» — spiega il Messicano accigliato dalla reazione del suo amico. Magnus non lo ha neanche ascoltato, se deve essere sincero. Piazza tra le mani di Raphael il suo Gin tonic e senza aggiungere altro inizia a fare slalom tra la folla, cercando di raggiungere i bagni. 
Potrebbe giurare di aver sentito Raphael borbottare qualche insulto in spagnolo, ma non ritiene sia il caso pensarci e controbattere. Alza le mani in alto e oscilla con i fianchi per farsi spazio. La gola sembra essersi fatta più secca e le gambe sembrano camminare da sole per quanto formicolano. Dalla fronte qualche goccia di sudore sembra ricadere prepotentemente sul suo volto ambrato, ma non se ne cura. Non è questo il momento. Mormora uno scusa quando, facendosi spazio tra le persone, riversa il drink, che una ragazza teneva tra le mani, su un top ricoperto di paillettes di un'altra ragazza. Si becca qualche insulto da parte di queste due, ma ha mente troppo disconnessa per porvici attenzione. E non che gli interessi il parere di due sconosciute. Riesce a raggiungere i bagni e si affretta a dirigersi verso quello delle donne. È solitario. Non c'è nemmeno una ragazza a sistemarsi il make up davanti allo specchio. Il mondo sembra essersi bloccato. Si guarda intorno e percorre alcune delle porte dei bagni. 
Silenzio. Tutto tace.
Ma dentro di lui, non tace proprio un bel niente. Si pizzica nervoso la punta del naso, fino a quando il suo respiro sembra strozzarsi del tutto. 
Un pianto. 
E Magnus riconoscerebbe tra mille il pianto di quella persona.

Spazio Autrice
Ahia, ahia! Che succede?! 
È un capitolo di passaggio, ma mi auguro vi sia piaciuto ugualmente! Baci :)


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6

Ritorno al passato
«Avanti, Isabelle. Metti una mano qui» — sussurra pacatamente il ragazzo, prendendo le mani della ragazzina e portandole sui suoi fianchi. — «Non aver paura. Sai che sei la più brava» — mormora al suo orecchio, cercando di essere più seducente possibile. Ma no, non è seducente. Ad Izzy fa ribrezzo. E fanno ribrezzo le sue mani sul suo corpo. E gli fanno vomitare le sue labbra che percorrono il lobo del suo orecchio.

«Per favore» — sussurra Isabelle, supplicandolo con la voce che trema e gli occhi che pizzicano. Due semplici parole per esprimere il dissenso. Due parole che urlano un no che è grande quanto una casa. Ma non ce la fa. Non riesce a dire quelle due paroline. Non ce la fa ad opporsi. E sente che le forze la stanno abbandonando. La vista si fa sempre più nitida. Il cuore sembra martellarle nel petto. E non ha più la salivazione. Le mani tremano e le gambe cedono tra meno di dieci secondi. Il ragazzo continua a vagare le sue mani sul suo corpo. E Isabelle continua a sentire la terra mancarle sotto i piedi.
Alec, dove sei, per favore, riesce a pensare solo nella sua testa, con la speranza che suo fratello possa salvarla come la salva la sera quando fa gli incubi e si rifugia nel suo letto e Alec le racconta storie mitologiche per distrarla. Ad Isabelle non piace la mitologia, però Alec sa distrarla. E allora le va bene anche sentire la storia del Minotauro, basta che Alec allontani i brutti pensieri da lei. 
Qualcuno allontana Isabelle dal ragazzo. Sente una forte presa sui suoi fianchi, ma stavolta regge. Non si spaventa. Conosce quelle mani. E anche se sono possenti, sono le mani più buone che esistano al mondo.

«Alec» — riesce a sussurrare, con le lacrime che percorrono le sue guance, mentre si piega in due e si accovaccia sulle ginocchia. L'anima le brucia. E sente un fuoco ardere dentro di lei. Non capisce ciò che la sta circondando. Riesce a sentire da lontano il rumore di uno schiaffo, quelli forti, e che le fanno girare la testa al solo pensiero. No, non ce la fa. 
Schiaffi. Si tappa le orecchie con le mani per sfuggire a quel suono disgustoso. E non sa se sono le orecchie otturate o sta davvero cedendo, perché non riesce a sentire altro che delle voci che urlano il suo nome. 
Sente di nuovo delle mani sui fianchi, e si rilassa nuovamente quando riconosce il proprietario di quelle mani. Poi, lo stordimento prende il sopravvento, e Isabelle non sente altro che un eco di voci e gli occhi farsi sempre più pesanti.

*** Ritorno al presente
«Izzy» — sussurra di nuovo Magnus, dando dei colpi alla porta con la mano. La testa gli gira, ma non può cedere proprio adesso che la sua amica ha bisogno di lui. — «Izzy, sono Magnus, per favore» — la supplica, posando la testa sulla porta e ascoltando i singhiozzi strozzati di Isabelle.

«Ma.. Magnus» — bofonchia la ragazza per la prima volta da quando Magnus è lì. Gli occhi gli si fanno lucidi nel sentire la sua amica stare male.

«Mi fai entrare, per favore? Non preoccuparti se non sei del tutto vestita. Lo sai che per me non c'è problema» — dice Magnus, con la voce che gli trema, tentando di sdrammatizzare la situazione così drammatica. Sente Isabelle schioccare le labbra in un piccolo sorriso, e il cuore gli diventa più leggero, anche se continua a pompare come un matto.

«Sono vestita» — mormora dall'altra parte. Sente la chiave girare nella serratura della porta, e poi uno scatto, segno che la porta è aperta. La spalanca, richiudendola con un calcio alle sue spalle e sente l'ossigeno non arrivare al cervello quando vede la figura di Isabelle accovacciata su sé stessa e il trucco completamente sciolto. 
Chi cazzo ti ha ridotta così, pensa, e istintivamente sferra i pugni. La vena del collo gli dà un fastidio cane per quanto pulsa, ma deve lasciar scorrere un attimo gli istinti omicidi verso chi l'abbia ridotta in questo modo e deve concentrarsi sulla sua amica.

«Ehi» — sussurra Magnus, piegandosi sulle ginocchia e permettendo ad Izzy di fiondarsi completamente nelle sue braccia. Sente la camicia bagnarsi e stropicciarsi tra le dita di Isabelle, ma non ci dà peso. Porta dei ciuffi, che son scesi dall'elastico, dietro l'orecchio, e le accarezza la schiena con movimenti circolatori. Non si sente di chiedere cosa sia successo, perché può immaginarlo. Conosce bene la sua amica e sa quando c'è bisogno di usare il tatto e quando può parlare liberamente con lei.

«Io, ehm, mi dispiace» — mormora sulla sua spalla, mentre Magnus continua a tenerla stretta. Il ragazzo socchiude gli occhi, e poi le prende il viso tra le guance, attento a non spaventarla troppo.

«Non devi dispiacerti, okay? Non è colpa tua» — sussurra Magnus. — «Non è colpa tua»

«Per favore, chiama Alec» — sussurra Isabelle, sciogliendo l'abbraccio e portandosi una mano sul petto. Il cuore batte troppo forte e la tachicardia le sta provocando un dolore lancinante alla testa. Magnus la guarda.

«Sei sicura?» — chiede timoroso. Sa quanto vuole proteggere suo fratello quando le crisi sopravvengono. Isabelle annuisce solamente, respirando a fatica.

«Tu tranquilla, okay? Ci sono io. Respira Izzy» — le dice Magnus, controllando il respiro insieme a lei. Le stringe la mano, mentre con quella libera cerca di frugare nella borsa abbandonata sul lavandino. Riesce a trovare il cellulare e si catapulta nella rubrica della ragazza. 
Alec <3. 
Sorride flebilmente nel vedere la foto che ha con lui nel suo contatto di rubrica. È un selfie di Isabelle che gli bacia la guancia, mentre Alec scatta e ha su un cappello di Babbo Natale. Scuote la testa e preme sul numero. 

Alec abbandona la sua testa sul tavolo, godendosi di letteralmente tre secondi di pace, prima di dover cimentarsi in una ripetizione di tutta la pappardella che ha studiato fino ad ora. Addenta un biscotto che Izzy gli ha rimasto sul piatto accanto al suo libro prima di uscire, ma lo sputa alquanto disgustato.
«Seriamente Izzy?» — chiede con tono alto, pur essendo solo in casa. — «Biscotti allo zenzero?» — continua amareggiato da quanto provato. Chi è che crea i biscotti allo zenzero? Sono legali? Si pizzica un pelo della barba e chiude il libro, pronto per mettersi a ripetere e vedere quanto effettivamente ha capito di quello che ha studiato. Il sedere sembra essergli fatto quadrato per tutto il tempo che sta passando su quella sedia. Quante ore sono che studia? Alec non sa nemmeno spiegarselo. Sta per aprire bocca, ma il suono del cellulare interrompe la sua ripetizione.
Isabelle. 
Aggrotta la fronte e porta il cellulare all'orecchio, dopo aver risposto.

«Izzy per piacere, sto studiando. Non ho tempo di sentire musica ad alto vol...»

«Alec» — mormora Magnus con un po' di imbarazzo nella voce.

«Magnus?» — chiede Alec scettico. — «È successo qualcosa ad Isabelle?» — chiede, cominciando a sentire caldo. Slaccia il bottone della maglia bianca e cerca di regolarizzare il respiro.

«Do... dovesti venire qui» — dice solamente e Alec sente il sangue nelle vene raggelarsi.

«Metto le scarpe e arrivo» — borbotta Alec, mentre la testa gli pulsa e le gambe si muovono da sole per la casa.

«Ti giro la posizione su Whatsapp» — dice, prima di chiudere, ma Alec non lo ha nemmeno ascoltato probabilmente.

«Dove cazzo sono le scarpe» — urla disperato, sbattendo l'armadio in cui tiene le scarpe. Riesce a trovare il primo paio che gli capitano sott'occhio. Se le allaccia come meglio riesce e si fionda in strada solo dopo aver preso le chiavi. Il suono di un messaggio lo distrae dai pensieri e apre il messaggio solo perché capisce che è Magnus che gli ha inviato la posizione del luogo in cui si trovano. Si carica in macchina e parte a tutto gas. 
Salta i semafori, schiva i pedoni e cerca di arrivare sano e salvo a destinazione. Riceverà sicuramente qualche multa a casa e gli toglieranno qualche punto dalla patente, ma non gli interessa minimamente in questo momento. Sente una morsa allo stomaco e un conato di vomito salirgli alla gola, che Alec cerca di mandar giù con tutte le sue forze. La testa sembra non farlo ragionare per quanto fa male, ma Alec deve rimanere lucido e soprattutto non deve incutere energie negative a sua sorella. 
Rilassati, Alec. Stai studiando per questo. Non puoi permetterti di crollare. Ma Alec crolla sempre quando si tratta di sua sorella. Fa una manovra di parcheggio, una delle peggiori che abbia mai fatto, ed esce dall'auto correndo come un disperato verso l'ingresso del locale. Corre tra le persone, con qualcuno che gli grida Testa di cazzo o Ma dove vai, cretino, e altri amorevoli nomignoli, ma Alec continua a scavalcare la fila. Arriva davanti a due omoni, che fanno resistenza per farlo entrare.
Che cazzo faccio, vorrebbe gridare, ma non può farlo. Cerca di regolarizzare il suo respiro e, con un minimo di freddezza che gli è rimasta, chiama di nuovo al numero di Isabelle.

«Alec» — risponde Magnus dopo neanche uno squillo.

«Magnus sono qui fuori, ma non mi fanno entrare» — risponde Alec nel panico totale. Magnus, dall'altra parte, scuote il capo. Non aveva pensato ad informare Alec.

«Dì che sei qui per Magnus Bane. Siamo nei bagni delle ragazze» — dice Magnus e attacca senza aggiungere altro. Alec fissa lo schermo del cellulare, scurirsi sempre di più, e poi ripone il telefono in tasca. Fa come detto da Magnus e finalmente i bodyguard gli danno il via libera. Corre come un dannato tra le persone, facendo slalom tra i vari drink e le persone che gli si incollano addosso, e segue le indicazioni per i bagni. Sussurra uno scusa ad un ragazzo per avergli pestato il piede e continua la sua lunga corsa nel locale. Si ferma quando vede una porta socchiusa e bussa con un cenno della mano. La porta si spalanca e sente il mondo crollare addosso quando vede Isabelle con il trucco completamente sciolto e il respiro non del tutto regolare. Guarda Magnus che le tiene stretta la mano, e istintivamente porta la mano al suo petto. 
Tranquillo, Alec, ripete nella sua testa, Non puoi farti vedere agitato da Izzy, o si agiterà di più.

«Izzy, ehi» — sussurra Alec, risvegliandosi dal suo stato di trance. Si abbassa sulle ginocchia e si mette davanti a sua sorella. Le prende il polso tra le mani, cercando di contare i battiti.

«Alec» — sussurra Izzy, posando la mano sulla guancia di suo fratello. Alec si morde l'interno guancia per evitare di crollare davanti a lei. — «Scusa, scusa, scusa. Non volevo chiamarti ma...» — continua la ragazza, mentre le lacrime ricominciano a scenderle dagli occhi.

«Ehi, ehi, no. È tutto ok. Hai fatto bene» — dice Alec, sorridendo lievemente. — «Ora ci sono qui io, ok?» — sussurra ancora, abbracciandola, mentre Magnus fa qualche passo indietro per lasciare i due fratelli.

«Io... Io non so cosa mi sia preso. Un ragazzo mi ha offerto da bere, ma non c'era nessuna malizia nei suoi occhi, davvero. Ad un certo punto ha posato la mano sulla mia, ma con tutta la tranquillità del mondo, e io ho iniziato a sentirmi male» — racconta Izzy, mentre Alec le esercita dei movimenti circolatori per aiutare a regolarizzare il suo respiro. Si ferma nuovamente, prendendo un lungo respiro, e Alec le accarezza la gote con il polpastrello.

«Se non ce la fai a raccontare, non importa. Ti porto a casa, ok?» — sorride Alec, tentando di trasmetterle fiducia e lei annuisce. Alec si alza dalle sue ginocchia e le porge il palmo per aiutare sua sorella a rialzarsi. — «Magnus, vieni anche tu?» — chiede Alec, voltando lo sguardo verso di lui. Il castano sobbalza sentendosi interpellato, e annuisce con il capo, mostrando gratitudine ad Alec con il suo sguardo. Alec deve riuscire a coglierlo, perché gli volge un sorriso. Poi si affretta a prendere Isabelle per mano e trascinarla fuori da quel calvario.

Il viaggio in auto si svolge in un assoluto silenzio che, mai come questa volta, Alec sente un fastidio enorme nel non sentire neanche una mosca volare. Pagherebbe oro per sentire la sorella parlare di moda in questo momento. Izzy socchiude gli occhi e si accascia sul sedile dell'auto di Alec. Magnus guarda la città scorrere dal finestrino. E Alec tiene lo sguardo sulla strada, lanciando qualche occhiata ogni tanto al suo fianco per controllare Izzy. Poi volge qualche sguardo sullo specchietto retrovisore per guardare Magnus, che sembra essere della stessa idea di Alec. Stira le labbra in un sorriso, e occhi blu ricambia, abbassando di nuovo gli occhi sulla strada. Arrivano fuori il condominio di Alec e quest'ultimo spegne il motore. I due ragazzi escono dall'auto in contemporanea. Alec si affretta per aprire il portone, mentre Magnus si dedica ad Izzy.

«Ce la fai, tesoro?» — chiede Magnus ad Isabelle, che annuisce solamente. Magnus cinge le spalle della ragazza, e i tre si dirigono all'interno della casa di Alec.

«Vado a prepararti una camomilla» — le dice Alec, lasciandole una carezza sulla gamba, e poi dirigendosi in cucina. Si pizzica nervosamente il mento, combattendo contro l'istinto di scoppiare a piangere. Si muove per la cucina prendendo il bollitore e una tazza, mentre muove freneticamente la gamba destra. È nervoso, tanto. E non riesce nemmeno a formulare un pensiero sensato. Si stringe nelle sue spalle e si morde il labbro inferiore.

«Alec» — sussurra una voce maschile che riscuote occhi azzurri dai suoi pensieri. Volta il capo e osserva la figura appoggiata allo stipite della porta.

«Ehi, entra» — gli dice, mentre Magnus si appoggia al ripiano della cucina.

«Si è addormentata» — sussurra Magnus, strofinandosi il palmo sulla sua guancia. Alec annuisce, guardando l'infuso della camomilla davanti a lui.

«Vorrà dire che la berrò io. Ne vuoi anche tu?» — chiede, girando distrattamente l'infuso all'interno della sua tazza. Magnus sospira.

«No, grazie» — risponde lui. — «Era da un po' che non succedeva» — ammette Magnus, guardando il soffitto. Alec si scotta con la camomilla, che sembra bruciargli in gola. Tossisce lievemente per non svegliare Izzy.

«Sai tutto?» — chiede Alec, socchiudendo gli occhi. Magnus annuisce semplicemente. — «Si fida tanto di te. È una cosa che non racconta a nessuno, nemmeno a Jace l'ha mai raccontato» — continua Alec, guardando un punto indefinito davanti a sè. Alec si siede davanti al tavolo e invia Magnus a fare lo stesso.

«Quando l'ho scoperto, ho cercato informazioni su di lui perché volevo mettergli le mani addosso. Poi, per mia gioia, ho saputo che è a marcire in carcere» — dice Magnus, giocherellando con i suoi anelli. Alec si morde nuovamente il labbro inferiore.

«È stata dura, ma almeno ci rimarrà per un bel po' di tempo. Quando chiudo gli occhi, penso a quello stronzo che tocca mia sorella e mi viene voglia di ammazzarlo con le mie stesse mani. Ci è mancato poco che lo ammazzassi davvero» — ammette Alec, incrociando le gambe sotto il tavolo. Magnus annuisce, sorridendo leggermente.

«Sì, Isabelle me l'ha raccontato. Lei parla sempre di te» — aggiunge il castano e Alec scuote il capo, sorridendo. — «È bello sentirla parlare di te»

«Spero dica cose belle su di me» — sorride Alec, bevendo un altro sorso di camomilla. È la seconda della giornata e il suo stomaco sta andando in fiamme.

«Esclusi i tuoi gusti in arredi e abbigliamento, sì. Dice sempre cose meravigliose» — dice ridacchiando, mentre Alec rotea gli occhi divertito. — «Siete sempre stati così legati?» — chiede curioso.

«Uhm, sì. Ma il nostro rapporto si è rafforzato prima con questo» — dice tristemente,
riferendosi alla violenza subita da Izzy. — «E poi, quando ho confessato ai miei genitori che.. uhm..» — si ferma, mentre Magnus lo guarda interrogativo. — «Ecco, sì. Quando ho fatto coming out. Sono gay» — mormora, bevendo un altro sorso di camomilla. Lo sguardo di Magnus quasi lo fa strozzare. — «C'è qualche problema?» — chiede accigliato.

«Secondo te?» — chiede Magnus.

«Non pensavo che fossi un etero così... suscettibile» — mormora Alec infastidito. O omofobo, vorrebbe dire. Magnus rotea gli occhi stupito, scoppiando poi a ridere.

«Io ti sembro etero?» — chiede Magnus, ridendo ancora. Alec rischia di strozzarsi ancora una volta con la sua stessa saliva ed è costretto a bere come un dannato la camomilla, scottandosi nuovamente la lingua, mentre le guance si dipingono di rosa.

«Ah» — mormora Alec, ridacchiando. — «Quindi uhm, puoi capirmi» — dice semplicemente, mentre Magnus annuisce.

«Beh, direi di sì»

«Tu e Isabelle siete molto legati, vero? A volte mi ha parlato di te» — confessa Alec, cambiando discorso.

«Sì, molto. Izzy è davvero una persona fantastica. Senza di lei, le lezioni all'accademia non sarebbero lo stesso» — ammette Magnus, con un sorriso sghembo sul volto. Alec annuisce, con gli occhi illuminati, e consapevoli di quanto sua sorella sia speciale. — «E tu?»

«Io cosa?» — chiede Alec, leggermente confuso.

«Isabelle mi ha raccontato più volte che lavori per mantenerti gli studi. Cosa frequenti?» — chiede Magnus interessato.

«Sono iscritto ad un'università telematica. Studio Psicologia» — dice Alec, e Magnus allarga la bocca. E Alec può giurare di aver visto gli occhi verdi dell'altro farsi leggermente lucidi.

«Studi...» — si schiarisce la voce. — «Ehm, studi Psicologia per Isabelle o..?» — chiede Magnus imbarazzato. Alec sorride, lasciando perdere la sua tazza.

«Sì, diciamo di sì. Sono sempre stato appassionato dalle materie umanistiche, ma quando è successa la cosa ad Isabelle, uhm, sentendo l'esigenza di starle accanto, ho capito che la strada della Psicologia mi piacesse. E anche tanto» — aggiunge, torturandosi le mani per l'imbarazzo. Magnus posa una mano sulla sua spalla, costringendo l'altro a guardarlo.

«È una cosa davvero bella» — mormora occhi verdi, e Alec per un attimo sente che quegli siano gli occhi più belli che abbia mai visto, dopo quelli di Isabelle. — «Isabelle è fortunata ad avere te come fratello» — ammette, dandogli una leggera pacca sulla spalla per allietare la situazione. E Alec gli sorride riconoscente.

«È fortunata ad avere te come amico» — mormora di rimando, mentre le guance gli si colorano leggermente. — «Posso chiederti una cosa?»

«Certo»

«Perché mi hai detto di dire il tuo nome al bodyguard?» — chiede Alec. Magnus ridacchia, sistemandosi sulla sedia.

«Potrei o non potrei essere uno dei proprietari del Pandemonium» — risponde grattandosi il mento, mentre Alec lo guarda sgranando gli occhi.

«Scusa, ma non hai l'età di Isabelle?»

«No» — risponde Magnus. — «Ne ho ventitré, ma grazie per avermi fatto sentire più giovane di qualche anno» — continua, ridendo. Alec sta per ribattere, ma Magnus fa un veloce cenno della mano. — «Tu ventidue»

«Ah, Isabelle ti dice proprio tutto» — dice Alec ridendo.

«So anche il tuo vero nome. E so anche che ti da fastidio essere chiamato così» — dice Magnus. — «Alexander» — conclude. E il modo sinuoso con cui Magnus pronuncia il suo nome, lo fa vergognare per un attimo per i pensieri impuri che stanno facendo largo nella sua mente.

«È... pesante come nome» — mormora Alec, completamente estasiato dal suono del suo nome dalla bocca di Magnus. 

«È particolare. A me piace, Alexander» — ripete ancora.


Spazio Autrice

Eccoci qui anche con il sesto capitolo in cui abbiamo conosciuto perché i due siano così tanto legati alla ragazza. Vi chiedo scusa per essermi dilungata più del solito, ma ho cercato il più possibile di non essere superficiale e di dare il più spazio possibile alla vicenda. Spero tanto vi sia piaciuto. A presto :)


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7

«Alec?» — sussurra una voce, scuotendogli leggermente il braccio. Alec vorrebbe interrompere il suo sonno, ma non ce la fa. E non riesce nemmeno a dare un cenno di vita, se non emettendo dei respiri regolari. Le palpebre sono pesanti e la sensazione di dormire ancora un altro po' lo rasserena tremendamente, nonostante effettivamente non ci stia capendo niente visto che sta solo dormendo. — «Alec, svegliati. Sembri il Gobbo di Notre Dame» — continua la voce, stavolta un po' più alta, continuando ad esercitare una pressione sul suo braccio. Alec non sa se è arrivato il momento di alzare gli occhi, o se la sua mente si è leggermente spaventata a sentire quella frase fuoriuscire dalla bocca di sua sorella. E prima Leopardi, ora il Gobbo di Notre Dame. Deve essere proprio messo male. Fatto sta che comincia a smuoversi e ad aprire lentamente gli occhi. Li riapre e li richiude, sbattendo le ciglia più volte, per cercare di mettere a fuoco quello che c'è davanti a lui. È curvo sulla sedia, e il suo cervello finalmente gli permette di collegare il motivo per cui Izzy lo abbia paragonato a quel personaggio della Disney che, per carità e con tutto il rispetto, ma non ama particolarmente essere paragonato a lui. Gli fa tanta tristezza quel personaggio. Si volta, un po' stordito e con la schiena che chiede pietà, verso sinistra, e incrocia lo sguardo di Isabelle. Riabbassa le palpebre, sentendole pesanti, e poi le riapre ancora una volta. Finalmente l'ossigeno sembra arrivargli al cervello, e mette a fuoco il fatto che si sia addormentato su un quaderno aperto, con qualche penna e appunti sparsi per il tavolo.

«No, porca troia!» — urla, passando una mano nel ciuffo moro, leggermente stizzito dalla cosa. Il No e la parolaccia gli escono così forte dalla bocca, che Isabelle non può fare a meno di sobbalzare. — «Mi sono addormentato come un cretino» — risponde afflitto, gettando la testa sul suo quaderno di preparazione agli esami. Quello che mi salva il culo, pensa nella sua mente. Ed effettivamente è così.

«Mi sembrava anche il caso che ti addormentassi un po'. Ti rendi conto che non sei una macchina?» — lo rimprovera Isabelle, costringendo suo fratello ad alzarsi per sedersi sul divano. Che sia chiaro, non che Izzy sia super Hulk e per questo riesce a trascinare Alec con la semplicità di questo mondo. Izzy è forte, senza ombra di dubbio, ma l'altezza di Alec e il fatto che, quando riesce, dedichi un'oretta del suo tempo per far visita a Jace in palestra e dedicarsi alla boxe o al tiro all'arco, non permette ad Isabelle di prendere il fratello come se niente fosse. Se ci riesce, è solo perché Alec è ancora sotto i postumi del sonno e non ha le forze né la voglia di controbattere.

«Non urlare, ti prego» — lo supplica lui, portando istintivamente una mano sulla fronte. — «Ma così, non sono andato avanti con l'argomento» — continua, appoggiando la schiena allo schienale del divano. Isabelle si siede accanto a lui, poggiando la mano sulla sua spalla.

«Hai l'esame tra più di venti giorni e ti stai portando avanti già da un po'. Non puoi smettere di campare solo per prendere un trenta, Alec» — gli dice la sorella, stavolta più calma. Il ragazzo alza gli occhi al cielo, storcendo le labbra in un'espressione alquanto contorta. Fa spallucce.

«Non si tratta di prendere solo un trenta, Izzy» — tenta di spiegare lui, grattandosi leggermente il mento. — «Si tratta del sentirmi soddisfatto di me stesso, pensare "Cazzo, qualcosa di buono nella mia vita lo sto facendo". L'università è l'unica strada che riesce a farmi sentire per una volta soddisfatto e in pace con me stesso» — confessa, continuando a torturarsi il mento.
Ed è vero. Alec non sente il bisogno del trenta e lode per vantarsi. Anzi, il vanto non è una caratteristica che gli appartiene. Alec sente il bisogno del trenta come conferma al fatto che lo studio sia l'unica cosa che gli viene bene. E il trenta è la conseguenza di questo. Se studia bene, significa che una sola cosa la sa fare. Isabelle lo guarda, con un leggero luccichio negli occhi, e Alec non saprebbe dire se è un luccichio di commozione, o è un luccichio di compassione.

«Alec, tu non sei uno stupido trenta o uno stupido diciotto. Tu non sei un voto» — dice Isabelle, mentre Alec emette una vocale per interrompere la sorella. Izzy lo liquida con un gesto della mano, segno che deve ammutolirai e lasciar parlare lei. — «Sei Alec, mio fratello, e sei tu quando ti fai in quattro per aiutare ogni singola persona che c'è al tuo fianco. Sei tu quando sbuffi, o rispondi male perché hai la luna storta per motivi che nemmeno a te stesso riesci a spiegare. Sei tu quando mi abbracci perché non sai cosa dirmi, e a modo tuo mi dici che mi vuoi bene. Sei tu che ti fai un culo ogni giorno, per conciliare lo studio con il lavoro, nonostante tu faccia degli orari di merda» — Alec sta per ribattere, ma Isabelle lo ferma nuovamente. — «E lo so che lo pensi anche tu ogni tanto. Credi che io non ti abbia sentito, qualche notte, reduce dal turno serale, in cui sbuffavi e ti lamentavi per esserti rotto le palle?» — Alec sospira, stropicciandosi l'occhio destro. Colto in flagrante. — «Sei tu che dalla mattina alla sera, hai preso la decisione di sbattere la porta di casa, con le cicatrici nell'anima di chi te l'ha scalfita, per essere te stesso. E non c'è niente di male nell'esserlo. Sei uscito di casa consapevole che forse, lì fuori, avresti rischiato le botte. E purtroppo le rischi ancora. Però sei te, sei Alec. E credimi, non c'è cosa più bella di essere come te» — dice tutto d'un fiato Isabelle, mentre Alec cerca di assimilare mentalmente tutto quello che la sorella gli ha sputato in pieno viso. Gli occhi azzurri si volgono al soffitto, mentre la gola sembra talmente secca da non riuscire ad emettere neanche un suono gutturale. Si inumidisce le labbra con la lingua, e poi riporta il suo sguardo su quello di Izzy, che le sorride, consapevole che suo fratello non abbia nemmeno una parola e che la sua mente stia divagando del tutto.

«Isabelle» — mormora, schiarendosi leggermente la voce. — «Ti... ti voglio bene» — dice semplicemente. Forse un'altra persona sarebbe rimasta male nel vedere la così poca considerazione che hanno ricevuto le parole dette prima, ma Izzy no. Izzy conosce suo fratello più di sé stessa e più di quanto forse si conosce Alec stesso, e sa che anche un Ti voglio bene detto da Alec contiene tante sfumature impercettibili che vanno colte lentamente. Lo abbraccia, appoggiando la testa sulla sua spalla, mentre Alec la stringe più forte, dandole un bacio tra i capelli.

«Vieni con me?» — chiede Isabelle, sciogliendo l'abbraccio. Sul volto di Alec si dipinge un'espressione interrogativa, con un sopracciglio inarcato e la fronte corrugata.

«Dove?» — chiede, non ricordando minimamente dove la sorella debba andare. Izzy rotea gli occhi e scoppia a ridere. Tutto ciò, continua ad alimentare le domande mentali di Alec.

«Clary ti sta così tanto simpatica che nemmeno la ascolti quando parla» — dice, continuando a ridere.

«Ma Clary mi sta... simpatica» — cerca di controbattere lui, leggermente offeso dall'accusa riguardante Clary, ma lo sguardo di Isabelle gli fa capire che non sa neanche mentire. — «Okay, uhm. Diciamo che non ci ritroviamo su alcune cose»

«Sì, come il fatto di contendersi la stessa persona. Brutta storia» — allude Isabelle divertita, mentre Alec quasi rischia di strozzarsi con la sua stessa saliva.

«Farò finta di non aver capito» — borbotta. — «Comunque, cosa c'entra Clary con il posto in cui dove dovremmo andare?»

«C'è una mostra dei suoi quadri. Jace ha perfino chiuso la palestra due ore prima solo per andarci» — risponde Isabelle, alzandosi dal divano. Alec si ritrova a scuotere il capo.
Ma cos'hai nel cervello, chiede nella sua mente, per chiudere un luogo di lavoro due ore prima solo per vedere qualche schizzo qua e là di una ragazza qualsiasi? 
Si ritrova a passare ancora una volta la mano nel ciuffo. Cretino, la parte razionale gli dice, è la sua ragazza, non una qualsiasi. Anche tu lo faresti per amore. 
Uhm, beh. Forse sì.

«Fantastico» — risponde con una punta di acidità nella sua voce. — «E io cosa c'entro con la coppietta felice e i quadri della rossa?» — chiede, picchiettando ripetutamente l'indice sul labbro. Isabelle alza gli occhi al cielo esasperata.

«Oddio Alec, non è che per ogni cosa è necessario c'entrarci. Ti distrai, stacchi un po' da quei quaderni e quei libri che ti stanno fondendo il cervello, passiamo un po' di tempo insieme, e poi...» — dice facendo una pausa di qualche secondo, mentre Alec si alza per prendere una bottiglietta d'acqua naturale dal frigo e per portarla alla bocca. — «E poi ho chiesto a Mags se volesse venire anche lui» — conclude, e la reazione di Alec è quasi immediata. L'acqua gli va di traverso e non può non iniziare a tossire come un dannato. — «Oh, Alec» — dice Isabelle, dandogli qualche pugnetto dietro la schiena. Alec sente che l'acqua gli sia arrivata al naso. Soffia da quest'ultimo e cerca di far prendere al suo viso il colore pallido che gli appartiene, e non questo rosso dovuto ad un quasi strozzamento. — «La prossima volta che devo dirti qualcosa su Mags, verificherò prima che non stai né bevendo né mangiando» — commenta Isabelle divertita dalla situazione.

«Magnus?» — chiede, schiarendosi la voce e riponendo la bottiglietta d'acqua al suo posto.

«Proprio lui» — conferma Isabelle, con un sorriso malizioso sul viso che Alec decide di ignorare.

«Ah, uhm. E... e che fa?» — chiede. — «Cioè non... non che mi interessi, ecco. Ma che fa? Viene?» — chiede tutto d'un fiato e Izzy cerca con tutte le sue forze di mandare giù la risata che si ostina a voler uscire per forza dalla sua gola.

«Sì, viene» — risponde. — «Quindi, tu che fai? Vieni con me o vuoi continuare ad analizzare quante persone su cento hanno problemi mentali?»

«Non sto studiando questo» — chiede Alec scettico.

«Vieni o no?» — ripete Isabelle, ignorando la risposta di suo fratello.

«Direi di sì. Non sai che adoro i quadri di Clary? Mica me li ritrovo in casa così, a caso. Sono il suo fan numero uno» — risponde Alec ironico, correndo in bagno, mentre Isabelle scoppia in una fragorosa risata. 


«Idiota!» — urla il Messicano per la centesima volta in tre giorni nei confronti di Magnus.

«Oddio, che palle. Qualcuno lo riprendi, per piacere» — sbotta Magnus esasperato, andando avanti e indietro, infilando una gamba nei pantaloni. — «Ti ho detto che è stata un'emergenza!»

«Emergenza un cuerno! Ci hai lasciati al locale per andartene con qualcuno» — continua, mentre Magnus alza gli occhi al cielo sbuffando rumorosamente. Raphael è piuttosto rancoroso, e questo è un dato di fatto, ma possibile che non riesce a mettersi in testa che quando Sabato è scappato dal locale senza avvisare è stata per un'emergenza reale?

«Ti ho detto che Isabelle è stata male e ho seguito lei e il fratello» — dice, toccandosi istintivamente la punta del naso — «Ragazzi, vi prego, mi aiutate voi a togliermi questo deficiente dalle orecchie?» — supplica Magnus, riferendosi a Ragnor e Catarina che se ne stanno beatamente sul divano in pelle di Magnus a sentire i battibecchi dei due.

«Raphael, davvero, basta» — dice Catarina e Magnus sospira per esprimere un finalmente.

«Umani, razza che no puedo entender» — borbotta il Messicano, sbattendo la porta del loft di Magnus.

«Qualcuno mi spiega come faccia ad essere ancora amico nostro?!» — chiede Magnus esasperato.

«Dai, Mags» — dice Ragnor ridendo e alzandosi per posargli una mano sulla spalla. — «Sai che è fatto così» — lo giustifica lui.

«Eh, è fatto male» — borbotta l'asiatico. — «Voi che fate?» — cambia discorso, aggiustandosi i bracciali sul polso destro.

«Io mi preparo per il turno notturno» — risponde Catarina, sbadigliando.

«Io contemplo Presidente Miao» — risponde Ragnor, e il gatto — sentendosi interpellato — drizza le orecchie, per poi abbassarle di nuovo. — «Grazie sempre per la considerazione» — mormora Ragnor offeso dal trattamento ricevuto da quella palla di pelo.

«Presidente sembri Raphael!» — lo rimprovera Magnus, invano. — «Vabbè, ci vediamo più tardi» — continua, avviandosi verso la porta, non prima di essersi dato qualche altra specchiata.

«Senti un po'» — mormora Catarina, prendendolo sottobraccio mentre si avvia alla porta. — «C'è pure il fratello di Isabelle?» — ammicca lei.

«Non so sinceramente. Isabelle mi ha detto che glielo chiedeva, ma non sono così tanto sicuro» — risponde, sistemandosi l'helix.

«Fammi sapere» — dice Catarina. Gli fa l'occhiolino e, senza aspettare risposta, chiude la porta di casa. Magnus sorride divertito e si affretta a scendere di casa. Si è dato appuntamento con Isabelle alla fermata dell'autobus, ma rimane un po' scettico quando nota un'auto parcheggiata proprio fuori il suo portone. E se la memoria non lo inganna, riesce a ricordare il proprietario di quell'auto.

«Magnus!» — scende dall'auto Izzy, baciandogli la guancia.

«Ehi! Non dovevamo vederci alla fermata dell'autobus?» — chiede divertito, mentre anche Alec esce dall'auto. — «Ehi Alec!» — si affretta a salutarlo Magnus.
E mo, che devo fare? Devo dare i baci sulle guance anche a lui, una pacca, o devo starmene impalato?, si chiede nella sua testa. Alec, probabilmente, si sta facendo le sue stesse paranoie.

«Ciao Magnus» — risponde Alec, avvicinandosi a lui per scoccare guancia e guancia. 
Complimenti occhi azzurri, pensa nella sua mente, ottima mossa. Magnus decide di ignorare la scossa che ha sentito nella spina dorsale nel contatto con la pelle liscia dell'altro, perché non può proprio permettersi di arrossire o di farsi venire uno scompenso ormonale. Però deve ammettere che è piuttosto piacevole. Deve essersi raso poco fa. I tre entrano nell'auto di Alec e, in contemporanea, allacciano le cinture.

«Ma dov'è la mostra?» — chiede Alec improvvisamente, pensando al fatto che stia vagando senza una meta.

«Allo stesso posto dell'altra volta» — spiega Izzy.

«Perché secondo te io mi ricordo i luoghi in cui Clary fa le mostre» — mormora Alec, per niente ironico, poggiando un braccio sul finestrino, mentre l'altra mano resta sul volante. Magnus ridacchia.

«Si trova nei pressi del bar in cui lavori» — spiega Isabelle, sistemandosi meglio sul sedile e Alec si ritrova ad annuire, tamburellando le dita sul volante. — «Sai Magnus ha la patente, ma non guida?» — dice Izzy ridendo, guardando Magnus dallo specchietto in avanti. Alec sorride divertito, guardando l'altro dallo specchietto retrovisore.

«Ehi, non c'è bisogno di sputtanarmi così tanto» — mormora l'asiatico, ridacchiando.

«Come mai non guidi?» — chiede Alec interessato.

«Non so neanche perché mi abbiano dato la patente» — risponde Magnus, visibilmente imbarazzato, e Alec preferisce non aggiungere altro.

«Siamo arrivati, comunque» — annuncia Alec, parcheggiando di fronte alla struttura.

Magnus scende dall'auto, seguito da Isabelle e poi Alec che inserisce l'antifurto all'auto. I due fratelli camminano in avanti, e Magnus cerca di non pensare al fatto che in quei pantaloni neri del ragazzo ci sia nascosto un ben di Dio che tasterebbe volentieri. Si fermano davanti alla struttura e vengono accolti da un ragazzo biondo, una ragazza rossa e un ragazzo dai capelli mori con degli strani occhiali da vista. Magnus può giurare di aver visto Alec alzare gli occhi al cielo. Non che sia una novità, ma gli piacerebbe sapere il motivo.

«Ciao ragazzi! Benvenuti!» — esclama Clary, contenta nell'avere qualcuno interessato ai suoi quadri. Alec saluta con un gesto veloce della mano, mentre Isabelle spalanca gli occhi nel notare il ragazzo con gli occhiali. — «Entriamo» — esorta Clary, facendo strada nella struttura. Isabelle, Magnus e Alec rimangono per un attimo fermi.

«Izzy, c'è qualche problema?» — chiedono all'unisono Alec e Magnus. Entrambi si guardano negli occhi, sorridendo di istinto per la telepatia.

«Oddio ora vi preoccupate insieme» — dice Izzy un po' scettica. — «Comunque no, quello con gli occhiali è il ragazzo che mi ha offerto da bere Sabato» — risponde, inumidendosi le labbra. — «Ecco io ehm, vado a scusarmi con lui. Voi girate, fate quello che volete» — si affretta a dire, prima di correre all'interno della struttura. Alec e Magnus si guardano, un po' scettici.

«Non penso fosse uno stronzo, no?» — chiede Alec, toccandosi la gote.

«No, anzi. Mi sembra a posto» — mormora Magnus. — «Mi sembra un po' troppo...»

«Nerd» — dicono all'unisono, per la seconda volta in neanche cinque minuti. Si guardano e scoppiano a ridere.

«Sì, direi che sia il termine giusto» — risponde Alec, ridacchiando. — «Entriamo? Non che ne abbia così tanta voglia, ma non vorrei sentire Jace nelle orecchie» — Magnus annuisce ed entrambi cominciano a camminare all'interno della struttura. Non sanno dove siano finiti gli altri, e né ad Alec né a Magnus interessa. Si guardano intorno, volgendo qualche sguardo ai quadri che decorano le mura, e Magnus scatta qualche foto.

«Ti piacciono i quadri?» — chiede Alec improvvisamente, nel notare l'attenzione da parte di Magnus. Lui annuisce.

«Uhm sì, mi piace quando sono particolari. E mi piace i significati che possono celarsi dietro ognuno di esso» — risponde, spostando lo sguardo su Alec. — «Clary è brava»

«Sì, lo è» — ammette Alec in maniera del tutto oggettiva, posando le mani dietro la schiena.

«Perché ce l'hai con lei?» — chiede Magnus, stando al passo con Alec. Quest'ultimo fa spallucce e si schiarisce la voce.

«Non... non ce l'ho con lei. Ma non è una persona che mi dà così tanta fiducia» — mormora, guardando in avanti, arrossendo leggermente fino alla punta delle orecchie. Magnus schiocca le labbra in un sorriso.

«E io?» — chiede, mettendosi davanti a lui, per costringere Alec a guardarlo. — «Io ti ispiro fiducia?» — chiede ancora, stavolta con un leggero imbarazzo nella sua voce. Alec lo guarda, e Magnus sente che all'interno di quegli occhi azzurri ci sia un mondo da scoprire. Isabelle ha ragione. Alec sente la stessa cosa. Gli occhi verdi, assottigliati, di Magnus, gli fanno bruciare l'anima. Dopo qualche secondo sorride flebilmente e fa sì col capo.

«Sì» — risponde. — «Mi ispiri fiducia»


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3844897