Tutto per la gloria

di Biker
(/viewuser.php?uid=1037094)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Padre vi odio ***
Capitolo 2: *** Ho fatto solo il mio dovere di padre ***
Capitolo 3: *** Il mondo è un posto pericoloso ***
Capitolo 4: *** Di nuovo insieme ***



Capitolo 1
*** Padre vi odio ***


Robin mask camminava difilato nel corridoio dal parquet lucido del suo immenso magione. Avava tra le mani la lettera consegnatagli dal suo fedele maggiordomo che per una vita aveva servito la famiglia Mask. Vedendo nascere e crescere lo stesso Robin. E anche suo figlio, Kevin. Arrivato davanti ad una porta si fermò. Un breve momento di raccoglimento. Un attimo per riprendere fiato e prepararsi a ciò che lo aspettava al di là dell ingresso. Abbassò la maniglia e spingendo la porta in avanti una leggera luce soffusa lo colpì sulla maschera, facendo luccicare il metallo e i suoi occhi vermigli come sangue fresco. Il salotto era ampio con due vetrate in fondo alla parete, in mezzo un ampio camino acceso, vicino ad esso due poltrone con un tavolino al centro, un tappeto che ricopriva quasi tutto il pavimento al centro della stanza. Una piccola donna era china su se stessa. I capelli calati le coprivano il viso che teneva tra le mani tremanti. Continui singhiozzi e sussulti provenivano dalla sua bocca piegata in una smorfia di atroce dolore. Quando alzò lo sguardo, due occhi piccoli di azzurro chiaro come il cielo terso di una giornata di maggio, gonfi per le continue lacrime, si puntarono freddi su Robin che si sentì pungere come se un pezzo di ghiaccio gli si conficcasse nella carne calda. Mai aveva visto tanto risentimento in quei occhi. Ella, infine, si voltò, fissando il fuoco che scoppiettava vicino a lei. Forse per cercare un po' di calore perso, per sciogliere il freddo e l'odio dei suoi occhi. Robin continuava a guardarla... Alisa... Nascosto in un lato della stanza, dietro ad una credenza, c'era il maggiordomo. Intento ad osservare quella scena silenziosa ma carica di risentimenti non detti. «Signore, il fatto è avvenuto questa sera: il signorino è stato chiamato per la cena con insistenza poiché non si presentava, La governante è andata nelle sue stanze a cercarlo. Trovata la lettera è iniziata una caccia al topo. Ogni angolo delle casa e stata controllata. Persino la cantina e la soffitta. Ma niente. Più volte sono stati perlustrati i terreni intorno. Anche nei dirupi e nei fiumi. Mi dispiace signore ma non c'è traccia di suo figlio.» Sospirò e continuò con voce lenta e strascicata. « Quella lettera trovata dalla governante è l'unica cosa che si è lasciato dietro. Ho mandato un garzone a chiamarla immediatamente.» Mentre l'anziano servitore diceva ciò, Robin guardava la lettera incriminata, solo una frase era scritta sopra: padre vi odio. Quando ebbe finito di parlare uscì di scena nascondendosi di nuovo dietro la credenza. Robin si sedette vicino alla sua amata e bellissima moglie. « È colpa tua. Sei stato tu. L'hai costretto ad andare via da questa casa. Via da me» stringeva con forza il fazzoletto tra le mani. Riggettando la sua rabbia su quel piccolo oggetto. « Ti avevo pregato. Supplicato persino. Ma tu non hai voluto ascoltare. Hai ignorato i segnali.» L'uomo ascoltava quelle parlare di accusa, incassando senza provare a difendersi. « Il mio bambino, tu me l'hai portato via! Non potrò mai perdonarti per ciò che hai fatto. Hai rovinato la mia vita e quella di tuo figlio. Solo per il tuo ego, per il tuo orgoglio e il tuo onore.» adesso urlava con tutta la voce che aveva. Calde lacrime le bruciavano gli occhi. Il fazzoletto completamente stracciato a terra. Robin provava una fitta nel vedere sua moglie in quelle condizioni e sapere che la causa del suo dolore fosse lui. Aveva sempre cercato di dargli tutto ciò che aveva. Di accontentare ogni suo capriccio. Perché alcune volte, Alisa, sapeva essere veramente una bambina capace di mettergli il broncio. E lui adorava quel musetto. Quello era il suo modo di darle attenzioni e dirle che l'amava. E lei lo sapeva. Ma adesso non vi era nulla che poteva fare per placare i suoi fremiti. Non era mai stato un uomo incline a mostrare i suoi sentimenti. Ma in quel momento avrebbe voluto prenderla tra le sue forti braccia. E dirle che andava tutto bene. Che l'avrebbero ritrovato. Ma restava immobile sulla poltrona, senza lasciar trasparire nessuna emozione. Dopotutto Robin non poteva farci niente, questo era il modo in cui era stato educato fin da piccolo da suo padre, come lui aveva cercato di fare a sua volta con suo figlio. Non aveva pensato che quel modo così militaresco non poteva andar bene. Era l'unico che conosceva per far diventare Kevin il degno erede della famiglia Mask. Un educazione improntata sulla disciplina e sulla sofferenza. - non esiste la gloria senza sofferenza e dolore. E lui lo sapeva bene. Quanto sangue aveva versato sul ring. Dietro quel vestito da signore dell'alta società si nascondeva un soldato addestrato alla guerra. Alisa uscì dal salotto. Il maggiordomo la seguì lasciando Robin solo, immerso nei suoi pensieri.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ho fatto solo il mio dovere di padre ***


Il sole sorgeva su quella giornata uggiosa di novembre. Il cielo plumbeo preannunciava pioggia e il vento sferzava insistente sugli alberi e sulla terra fredda. Lo si sentiva soffiare attraverso le finestre, agli angoli della casa e battere forte sul tetto. In questi momenti la casa tradiva la sua età, rivelando fessure nascoste, pavimenti cigolanti, corridoi freddi. Il fuoco era stato acceso dalle prime luci dell'alba per cacciar via l'umidità della notte. Alisa ascoltava, in un silenzio quasi religioso, la pioggia che iniziava a scrosciare. Tutto era immobile. Persino lei, tanto da sembrare un pezzo di arredamento in quella stanza. Una statua di freddo marmo. Solo gli occhi infossati erano segno di vita e il suo lento respiro. A rompere quel silenzio ovattato fu una porta aperta con forza e una voce di donna troppo alta che gridava in direzione della povera giovane: « oh piccola mia! Piccola mia! » la madre, una signora piccola di statura, con i capelli biondi accuratamente sistemati in un abito lungo ed elegante, la portò a sé, accarezzandogli i capelli mentre le baciava le guance. Lei cadde di nuovo in un pianto ininterrotto. Un uomo apparve all'uscio, aveva una figura slanciata con capelli bianchi brizzolati tirati all'indietro. Le prese la mano nella sua stringendo con delicatezza. Lei piagnucolò « padre » « Bambina, mia principessa. Non piangere.» Sopraggiunse Robin avvisato dell'arrivo dei suoceri dal maggiordomo. Un atmosfera di ghiaccio si creò quando le due parti si incontrarono. Nessun gesto cortese di benvenuto, solo un profondo silenzio. La madre di Alisa guardava quell'uomo con sdegno, prese la figlia sotto braccio e la portò via con sé. La donna finse indifferenza nel passargli accanto come se lì non ci fosse nessuno. I due uomini rimasti soli si fissavano con astio. Non avevano mai potuto sopportasi. I rapporti con il tempo erano andati sempre peggiorando. Da quel momento in poi sarebbero stati definitivamente irrecuperabili. « Ho sempre pensato che tu non fossi adatto a mia figlia... ti ho sempre visto come un villano che cerca di ostentare un eleganza e una vita che non ti appartiene.» «Sei stato capace di farti odiare da tutti: da tua moglie e da tuo figlio persino. Con mio sommo piacere vedo che avevo ragione sul tuo conto.» «Come posso biasimare quel povero ragazzo, anch'io scapperei di casa se avessi un padre spregevole come te. Ritorna dai tuoi amici, specialmente da quel Warsman o come diavolo si chiama. Solo uno come te può avere come amico un animale, una bestia.> Robin lanciava saette dagli occhi ridotti a fessure. Stringeva i pugni per non avventarsi sul piccolo uomo che li stava davanti. Ancora abbastanza lucido da sapere di non dover far nulla: « la questione non ti riguarda. Questa è casa mia e comando io. In quanto padre educo mio figlio come ritengo opportuno. Non provare a mettere Alisa contro di me. Ricordati che lei è mia moglie.» Si girò e andò via prima che la situazione gli sfuggisse di mano. Lasciò la casa. Aveva bisogno di respirare. Camminò a lungo per le strade di Londra e quando si fermò in un bar era calato già il buio. Bevve molto provando a stordirsi con l'alcool. Ma non funzionò, finì solo per ubriacarsi. Le parole iniziarono a vorticargli nella testa. Continuava a sentire la voce di quell'uomo. La rabbia ribboliva dentro di lui. Si diresse alla palestra della M.L. si spogliò e scaricò tutta la tensione sui sacchi. Immerso nell'allenamento non sentii l'amico avvicinarsi dietro di lui. Solo quando ebbe finito si accorse della sua presenza. « Robin, amico mio, ho saputo. Ne sono veramente dispiaciuto. Sai quanto affetto provo per tuo figlio.» « Sono stato informato dal vecchio maggiordomo. Sapevo che ti avrei trovato qui.» « Warsman io ho fatto solo il mio dovere di padre.» anche Robin piangeva tutto il dolore accumulato. Aveva trascorso tutta la notte fuori. Quando rientrò seppe che Alisa era andata via insieme ai genitori a vivere nella casa paterna. Robin si abbandonò su una poltrona, percepì il vuoto intorno a lui. Era solo. Si tolse la maschera, la lasciò a terra ai suoi piedi. chi non avesse mai visto il suo viso, non avrebbe mai immaginato che dietro a quel elmo medievale ci fossero due occhi color nocciola profondi e dal taglio dolce e delicato. Ancora una volta quegli stessi occhi erano immersi nelle lacrime, silenziose come la casa che lo circondava.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il mondo è un posto pericoloso ***


Il piccolo Kevin era rannicchiato per terra in un vicolo cercando riparo dalla pioggia insistente di Londra. Infreddolito e affamato non sapeva dove andare, a chi chiedere aiuto. Li mancava la mamma. I suoi baci, i suoi abbracci caldi. Provò una fitta di intenso odio verso quel padre che l'aveva costretto a quelle condizioni, che l'aveva privato di tutto ciò. Era colpa sua. Digrignava i denti dalla rabbia. Sentiva lo stomaco contorcersi per quel sentimento così violento oltre alla mancanza di cibo. Vedeva la gente passare di fretta sotto gli ombrelli, chiusi nei cappotti. Le macchine sfrecciavano sull'asfalto bagnato illuminato dalle luci dei lampioni e dalle insegne accese dei negozi. Un brulichio continuo di persone che andava e veniva come una colonia di formiche in continuo lavoro. Ma nessuno sembrava badare a lui, ai suoi bisogni. Alle sue necessità di bambino. Dopotutto aveva solo otto anni. Anche se sembrava più grande della sua età per la corporatura notevolmente sviluppata. Non sapendo cosa fare si abbandonò su se stesso. Stringendo le ginocchia al petto restò lì aspettando senza sapere esattamente cosa. Ad un tratto una voce lo ridestò. < Ciao bimbo. Cosa ci fai qui tutto solo? Dove sono mamma e papà? Ti sei perso forse? > Kevin guardava quell'uomo con aria sospetta. Egli li sorrideva. < Sì mi sono perso> rispose. Tenendo la testa nascosta tra le ginocchia. < Povero piccolo. Vieni che ti aiuto a ritrovare i tuoi genitori.> lì allungò una mano nella sua direzione ma Kevin restava lì a fissarlo. < Non ti fidi eh. Va bene. > Iniziò a dire con aria affabile < sarai sicuramente affamato vero? Resta qui. Aspetta che arrivo. > Li fece l'occhiolino e si allontanò lasciando solo Kevin. Dopo alcuni minuti ricomparve con un sacchetto in mano. < Tieni piccolo. Mangia. Devi rimetterti in forze. Poi sei proprio un bel bambino. Hai un fisico davvero invidiabile sai. Magari l'avessi io vedi che pancia che ho.> disse scherzando. Kevin era leggermente divertito dal quel signore che sembrava essere simpatico e gentile, mentre mangiava con avidità ciò che li era stato offerto. < Io mi alleno tanto sai> disse con la sua voce da bambino. < Mio padre ci ha sempre tenuto. Più che a me.> < Tuo padre?> Domandò curioso < Sì, Robin Mask> disse continuando a mangiare. < Ah, Robin Mask. Sei suo figlio. Ma che piacevole sorpresa. Vieni su. Che ti porto in in posto caldo dove starai meglio. > Kevin questa volta si alzò e prese nella sua mano quella dell'uomo. Mentre camminavano Kevin lo guardava dal basso. < Come ti chiami?> Ma non sembrava aver stentito e continuava a camminare senza prestargli più attenzione. Arrivati in un parco l'uomo accelerò, Kevin riusciva a stargli a fatica a passo. Si inoltrarono arrivando sotto un albero in una zona buia dove non vi era nessuno. Lo strattonò con forza fecendolo cadere a terra. Kevin lo guardò senza capire il perché, cosa avesse fatto di male per farlo arrabbiare. L'uomo prese a sbottonarsi i pantaloni avvicinandosi piano < non avere paura, non ti farò male. Vedrai che ti piacerà > La sua voce era roca e minacciosa. Lo prese dalle gambe tirando giù i pantaloni del piccolo. Kevin restò immobile, spaventato. Ma quando l'uomo lo toccò un forte rigetto e disgusto lo fece ribellare a quelle attenzioni perverse. Scalciò con forza colpendolo in pieno viso. Del sangue fuoriuscì dal naso. L'uomo lo prese con forza dal colletto e lo teneva giù. Kevin tirava pugni, calciava. I suoi occhi erano spalancati dal terrore. Lo sguardo dell'uomo era quasi animalesco. Come un predatore che si avventa sulla sua preda. Kevin lo morse sulla mano con forza. Fu costretto a lasciarlo per via del dolore intenso. Kevin con uno scatto fulmineo lo colpì di nuovo in pieno viso con un pugno. L'uomo si tirò indietro. Non avrebbe mai immaginato che un bambino così piccolo potesse essere così forte. Kevin si alzò e corse via senza fermarsi un attimo e senza sapere dove andava. Quando si fermò aveva il cuore che batteva forte e la testa che li girava, il corpo scosso tremava violentemente da solo, gli occhi ancora spalancati per l'orrore. Non sapeva di preciso a cosa fosse scappato ma qualcosa dentro di lui cambiò per sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Di nuovo insieme ***


Aprì gli occhi svegliandosi da un sonno privo di sogni. Il posto accanto a lui era vuoto da diversi anni ormai. Freddo come la notte appena trascorsa. Alisa non c'era più. Portata via da quel profondo dolore che l'aveva consumata dentro e fuori. Non aveva vissuto abbastanza per rivedere suo figlio tornare, se mai fosse successo. Robin era un buco nero. Un essere senza vita pieno di rabbia repressa pronta ad esplodere. Sapeva di essere la causa. I giorni trascorrevano identici uno dietro l'altro. Verso una fine inesorabile, la sua. Solo alcool poteva lenire la sua sofferenza, ancora portava i postumi dell'ultima sbronza. La testa li girava e una forte nausea lo costrinse a raggiungere il bagno. Si guardò allo specchio e per la prima volta in vita sua ebbe pena per se stesso. Il viso pallido incavato, gli occhi circondati da due occhiaie violacee, labbra secche e anch'esse pallide. Sembrava la brutta copia di se stesso. Provò a darsi un tono lavandosi e mettendo abiti puliti. Almeno il viso poteva celarlo sotto la maschera. Un'amara consolazione, essa era sempre stata segno di onore, adesso invece la usava per nascondere la vergogna che provava. Sentiva di aver fallito non solo come padre ma anche come uomo. I sensi di colpa lo divoravano, mentalmente e fisicamente. Tutta la sua prestanza fisica era scomparsa. A malapena si reggeva in piedi, si trascinava da una stanza all'altra senza uno scopo. Si concedeva il piacere del fuoco, mentre la sua mente andava a sua moglie sotto la terra fredda e il sole che non l'avrebbe mai più riscaldata. Pensò al suo viso sul suo petto, le mani nelle sue, ai suoi occhi, al suo profumo, al suo corpo mentre faceva l'amore. E Kevin, quel figlio che non aveva mai provato a comprendere. Testardo come la madre, sempre pronto a ribattere su tutto ciò che diceva. Quanto si assomigliavano, non solo nel carattere. Il piccolo volto di Kevin aveva gli stessi tratti gentili e gli stessi occhi azzurri. Molto più sensibile di quanto lui avesse mai voluto ammettere. Lo vedeva correre e allungare le sue piccole braccia verso di lui, voleva vedere il mondo sulle sue spalle e ogni volta si meravigliava di quanto fosse diverso, sentiva la sua voce chiedergli se fosse mai diventato alto quanto lui. Che voleva essere forte come lui. Robin piangeva, sapeva nel profondo che anche suo figlio non c'era più, che non sarebbe mai diventato grande, troppo piccolo per sopravvivere al mondo. Forse si erano ritrovati in quello vita promessa e giocavano come sempre, solo che non c'era lui a guardali dalla grande finestra che si affacciava sul giardino. Lui voleva ritornare da loro, chiedere scusa e riabbracciare l'amore della sua vita e suo figlio. Quella fu l'ultima notte di Robin mask. Fu ritrovato il giorno dopo vicino al fuoco spento, con le lacrime agli occhi e il sorriso sulle labbra.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3847061