Scie di cenere

di Amantide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


ANGOLO DELL'AUTRICE: Finalmente torno a scrivere una fanfiction e per la prima volta mi dedico a questo fandom. Ho fantasticato tanto su Newt e Leta ad Hogwarts e questa FF non è altro che uno sprazzo di tutto quello che immagino abbiano potuto combinare a scuola. Inizialmente doveva trattarsi di una semplice one-shot ma poi ho capito che forse la soluzione ideale era spezzarla in due parti. Spero che il racconto sia di vostro gradimento e che la lettura sia scorrevole, sono un po' fuori forma in termini di scrittura ma spero che abbiate ugualmente voglia di farmi sapere la vostra commentando e dandomi la giusta carica per proseguire!



SCIE DI CENERE

PARTE I
 

 

La bibliotecaria era una strega sulla sessantina con i capelli di un bianco quasi abbagliante e l’espressione tagliente addolcita da un paio di occhiali dalla montatura bizzarra. Lavorava a Hogwarts da trent’anni e in tutto quel tempo aveva visto la sua preziosa biblioteca popolata da studenti di ogni genere. Ultimamente a catturare la sua attenzione era uno studente del sesto anno, un Tassorosso a giudicare dai colori della sua divisa e dal suo temperamento. 
Era un tipo solitario, longilineo, con i capelli castano rossiccio e un ciuffo spettinato che finiva per coprirgli parte del viso cosparso di lentiggini, ed era un peccato perché i suoi lineamenti erano belli e delicati. Aveva un portamento un po’ goffo e una camminata buffa che lo rendevano inconfondibile agli occhi di chiunque l’osservasse per più di cinque secondi. 
In un paio di occasioni le aveva chiesto aiuto in merito ad alcuni testi particolarmente datati e, nonostante la sua timidezza, la bibliotecaria aveva costatato con piacere che il giovane era gentile e ben educato. 
Quel giorno, esattamente come tutti gli altri da una settimana a quella parte, il ragazzo si presentò in biblioteca subito dopo le lezioni; aveva il solito aspetto scompigliato, una stringa slacciata e qualche occhiaia di troppo, ma non mancò di rivolgerle un timido sorriso non appena varcò la porta della biblioteca.
La donna lo vide sistemarsi in fondo alla sala e occupare, com’era solito fare, l’intero banco con pergamene, taccuini, e volumi di ogni forma e dimensione. 
Qualche ora più tardi il ragazzo chiuse con un rumore sordo un grosso volume dalla copertina logora e impolverata sospirando affranto. L’orologio in cima alla libreria di fronte a lui segnava quasi le nove e il ragazzo si rese conto di aver saltato la cena per la terza sera consecutiva mentre un brontolio sommesso si levava dal suo stomaco in forma di protesta.
Il giovane si passò una mano tra i capelli spettinati, aveva l’aria sciatta e un po’ trascurata di chi non dormiva da troppo tempo e cominciava ad essere stufo di sentirselo dire da compagni e professori.
Sopraffatto dalla delusione sistemò le sue cose e lasciò la biblioteca domandandosi se avesse senso tornarci l’indomani. Le vacanze di Natale erano sempre più vicine e lui non aveva nessuna intenzione di rimandare a gennaio un progetto per cui si stava documentando da inizio anno. 
Camminando tutto storto sotto il peso della sua borsa attraversò il corridoio principale assorto nei suoi pensieri, urtò involontariamente un paio di studenti a cui mormorò un impacciato “scusa” e poi riprese il suo cammino scendendo le scale diretto alla sala comune dei Tassorosso. 
Nei pressi della cucina un profumino invitante risvegliò il suo appetito ricordandogli che non aveva cenato; ignorando i brontolii del suo stomaco svoltò a destra e continuò a camminare fino ad una parete in cui erano ammucchiate decine e decine di botti di vino. Istintivamente, quasi senza pensarci, il ragazzo tamburellò una melodia ritmata sui coperchi delle botti e subito queste si mobilitarono aprendo un passaggio che rivelava l’ingresso della sala comune dei Tassorosso. L’interno era gremito di studenti che s’intrattenevano chiacchierando davanti al fuoco scoppiettante del caminetto sotto immensi stendardi che riportavano i colori della casa di appartenenza. Alcuni giocavano a scacchi magici vicino alle ampie finestre rotonde ornate da tende giallonere e altri ancora si dilettavano nella lettura in un angolo della sala. Il ragazzo rivolse loro uno dei suoi timidi sorrisi accompagnato da un impacciato cenno del capo in segno di saluto e i compagni gli sorrisero di rimando. Sebbene non fosse nell’indole di un Tassorosso emarginare un compagno solo perché diverso o incompreso, il ragazzo sapeva di non aver stabilito dei veri e propri legami. Percepiva fin dal primo anno la fatica dei compagni nel rapportarsi con lui ma la cosa non lo stupiva poiché era lui il primo a ritenersi incapace di relazionarsi con i suoi simili. 
Imboccò rapidamente il tunnel che conduceva ai dormitori, gettò la borsa sul letto e recuperò una stecca di liquerizia dal cassetto del comodino. Ogni volta che gli capitava di saltare la cena ripiegava sulle stecche di liquerizia e, dal momento che capitava sempre più frequentemente, aveva approfittato dell’ultima gita ad Hogsmeade per fare scorta da Mielandia.
Tornò nuovamente in sala comune sperando che nessuno facesse commenti sul suo via vai; era tardi, mancava meno di un’ora al coprifuoco e non aveva nessuna intenzione di farsi trovare fuori stanza oltre l’orario, non di nuovo. 
La coppa delle case era ancora un lontano miraggio ma i suoi compagni non avrebbero certo gradito la perdita di altri punti per colpa sua.
Per sua fortuna nessuno dei ragazzi sembrò interessarsi a lui così imboccò il corridoio felice di non dover dare spiegazioni, non era un gran bugiardo e quando tentava di mentire finiva sempre per peggiorare la situazione.
Salì le scale a due a due nella speranza di recuperare un po’ di tempo ma queste cambiarono assetto un paio di volte obbligandolo ad allungare il percorso finché raggiunse il settimo piano con le gambe stanche e un accenno di fiatone.
Fu proprio in cima all’ultima rampa che fece un incontro inaspettato.
“Newt!” Esclamò sorpresa una voce femminile.
Il ragazzo sussultò, raddrizzò la schiena deciso a mascherare la fatica e rivolse un sorriso alla ragazza che si avvicinava dal fondo del corridoio, la stecca di liquerizia stretta in una mano ben nascosta dietro la schiena.
“Ciao Leta” mormorò Newt senza riuscire a concentrare lo sguardo troppo a lungo su di lei. 
“Non hai cenato neanche stasera?” domandò lei con l’aria di chi conosceva già la risposta.
“No” mentì Newt con molta poca convinzione.
Leta lo guardò con dolcezza e scosse il capo lievemente, allungò una mano e afferrò la stecca di liquerizia che Newt le teneva nascosta. La studiò con attenzione per un attimo poi, come se volesse accertarsi che i suoi sospetti fossero fondati, ne morse un’estremità.
“Liquerizia” decretò soddisfatta, “profumi di liquerizia, e di solito la mangi quando salti i pasti, non credere che non lo sappia” aggiunse a un palmo dal suo naso.
Newt sentì un brivido percorrerlo da capo a piedi, Leta gli faceva sempre quell’effetto e lui non ci si era ancora abituato.
“E poi in Sala Grande non c’eri, rivolgo sempre un’occhiata al tuo tavolo, lo sai.” Spiegò la ragazza restituendogli la stecca di liquerizia e posandogli un bacio sulla guancia che lo fece immediatamente arrossire.
“Ho… ho fatto tardi in biblioteca” spiegò Newt ritrovando a fatica l’uso della parola.
“E io che credevo che il topo di biblioteca della famiglia fosse Theseus…” ridacchiò Leta.
“Io e mio fratello frequentiamo le biblioteche per motivi molto diversi…” precisò Newt.
“Non ti starai documentando in merito a qualche altra creatura bizzarra, vero?”
“Non sono solo le creature bizzarre a destare il mio interesse ultimamente” buttò lì senza sapere bene nemmeno lui cosa intendesse di preciso con quella frase. Probabilmente era solo il suo ennesimo tentativo di manifestare a Leta i suoi sentimenti.
“E cosa ti porta al settimo piano?” chiese lei divertita dal suo imbarazzo e da quel pessimo tentativo di flirtare.
“Potrei chiederti la stessa cosa”
“Il Barone Sanguinario” ammise Leta scrollando le spalle.
Newt si accigliò, qualcosa non quadrava.
“E da quando tutto questo interesse per il Barone Sanguinario?” chiese Newt confuso.
Leta roteò gli occhi al cielo e minimizzò il tutto dicendo: “È solo uno stupido gioco.”
Newt aggrottò le sopracciglia, era Leta ad essere volutamente così criptica o era lui a non capire mai un accidenti?
Dal fondo del corridoio un paio di Serpeverde chiamarono la compagna a gran voce.
“Ti sei fatta nuovi amici vedo” osservò Newt sapendo che Leta, esattamente come lui, non aveva mai legato veramente con i suoi compagni di casa. 
Lei si volse a guardare i compagni, poi tornò a concentrare le sue attenzioni su Newt.
“È sempre bello vederti fuori dalle aule, Newt” disse come se stesse pensando ad alta voce mentre gli sistemava il nodo della cravatta giallonera che a Newt sembrò improvvisamente troppo stretto. 
Senza aggiungere altro, Leta si allontanò lungo il corridoio e Newt seguì con lo sguardo la sua figura finché l’eco dei suoi passi non si perse nel silenzio del castello.
Appena Leta sparì dalla sua vista Newt sentì l’improvviso bisogno di allentare il nodo della cravatta, poi tirò un sospiro di sollievo e riprese a camminare fino all’arazzo di Barnaba il babbeo. Era fondamentale che la sua mente fosse sgombra affinché riuscisse a focalizzare ciò di cui aveva bisogno. Incominciò a camminare avanti e indietro davanti all’arazzo mettendo a fuoco il luogo che desiderava raggiungere, qualcosa cominciò ad affiorare dal nulla mentre Newt sentiva il cuore accelerare i battiti. Dinanzi a lui, esattamente dove prima si trovava l’arazzo, si stagliava un antico portone in legno dall’aspetto un po’ sderenato e abbandonato a sé stesso avvolto da radici grandi come boa. Con il cuore a mille Newt abbassò la maniglia della porta e i suoi occhi s’illuminarono.
 
L’indomani Leta raggiunse l’aula di storia della magia un istante prima del suono della campanella sotto lo sguardo severo del professor Rüf che sembrò dispiacersi all’idea di non poterla redarguire per il ritardo. Con l’aria soddisfatta e molta poca voglia di seguire la lezione Leta prese posto in fondo all’aula dove Newt lottava contro il sonno e aveva l’aria di chi avrebbe preferito essere altrove.
“Se non ti conoscessi bene, direi che hai passato tutta la notte sveglio” bisbigliò Leta osservando l’amico soffocare uno sbadiglio.
“Sai bene che non ci è concesso stare fuori dalle sale comuni oltre l’orario” le ricordò Newt.
“Ho detto sveglio, non fuori dalla sala comune, e poi lo dici come se non l’avessimo mai fatto” osservò Leta con un ghigno.
“È proprio perché l’abbiamo fatto e siamo finiti in punizione che me lo ricordo così bene!”
Leta sorrise ricordando la loro prima punizione condivisa, per essere una punizione non era stata poi così male, anzi, in un certo senso lo considerava l’inizio della loro amicizia.
“Continui a non dirmi cosa ci facevi ieri al settimo piano” gli fece notare Leta.
“Qualcosa che finirà per mettermi nei guai suppongo” ammise Newt con un sospiro. Quell’affermazione non fece altro che incuriosire ancora di più Leta che senza riuscire a trattenersi disse: “Sono le cose che preferisco.”
“Scamander, Lestrange, entrambe le vostre case hanno un punteggio talmente basso da rasentare i minimi storici, e io di storia me ne intendo, volete veramente che vi tolga altri punti per non essere stati in grado di fare silenzio?” Li riprese il professore visibilmente scocciato per il loro continuo bisbigliare.
Leta si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia al petto mentre Newt si fece piccolo piccolo sul banco ignorando gli sguardi di rimprovero dei compagni che lo fissavano scuotendo il capo. Nessuno dei due rispose e il professore sembrò accontentarsi del silenzio per riprendere la sua noiosissima cantilena sulla storia dei Goblin.
 
“Non ho intenzione di metterti in mezzo” spiegò Newt al cambio dell’ora mentre si dirigevano nell’aula di difesa contro le arti oscure.
“Non avresti dovuto parlarmene allora” replicò Leta con finta innocenza.
“Non l’ho fatto” si difese il ragazzo.
“Ma qualcosa mi dice che finirai per farlo” Azzardò Leta divertita, ben conscia dell’influenza che aveva su di lui. Amava vedere Newt in difficoltà, quando cominciava a balbettare e incespicava nelle parole era così dannatamente irresistibile.
“Senti, dimentica quello che ho detto” fece Newt nel tentativo disperato di contenere Leta e la sua curiosità, “anche perché senza polvere volante tutto questo non può funzionare.” Aggiunse tra sé e sé.
“Polvere volante hai detto?”
“Shh” l’ammonì il ragazzo sperando che nessuno stesse ascoltando i loro discorsi.
“Scusa” fece lei abbassando la voce, “sbaglio o hai detto polvere volante?”
“Non l’ho detto” mentì Newt che come suo solito per rimediare ad un casino ne stava generando un altro.
“Leta siamo in ritardo, il professor Silente è comprensivo ma questo non significa che possiamo permetterci di arrivare in ritardo alla sua lezione.” Aggiunse prima che lei potesse fare altre domande mentre affrettava il passo.
“E se ti dicessi che so dove trovare della polvere volante?” fece lei certa di essersi giocata l’asso nella manica.
Leta vide Newt esitare, si morsicò il labbro inferiore e poi si rivolse nuovamente a lei. “Potrebbe essere pericoloso” sussurrò facendo vagare lo sguardo tra i compagni, preoccupato all’idea che qualcuno di loro potesse udire sprazzi di conversazione.
“Mi avevi già convinta quando hai detto che saremmo potuti finire nei guai, ora muoviti.” E così dicendo Leta afferrò il polso di Newt e lo trascinò fino all’aula di difesa contro le arti oscure.  Fu in quel momento che Newt capì di aver appena sugellato un tacito accordo da cui non sarebbe più potuto tornare indietro.
 
“Quindi dove la troviamo della polvere volante?” domandò Newt alla fine delle lezioni mentre attraversavano il cortile innevato.
“Nell’ufficio del preside Dippet naturalmente” rispose Leta come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Newt strabuzzò gli occhi e si lasciò sfuggire una risata nervosa. “E secondo te come diavolo la prendiamo?”
“Non ne ho idea, io ho detto che sapevo dove trovarla non come prenderla!”
Newt scrollò le spalle affranto, la situazione andava complicandosi.
In quel momento un gruppetto di Serpeverde li superò schiamazzando e uno di loro assestò volutamente una spallata a Newt che barcollò nella neve sotto lo sguardo divertito di Leta.
“Forse ho un’idea” disse lei fissando i compagni, improvvisamente colta da quella che sembrava un’idea geniale.
“La cosa mi fa paura…”
“Di recente tra noi Serpeverde è nata una stupida moda… ogni sera uno di noi propone una prova di coraggio a cui devono prendere parte tre compagni.”
Newt ascoltava in silenzio, i Serpeverde erano bizzarri e quando si annoiavano erano capaci di inventarsele tutte.
“Ha forse qualcosa a che fare con il Barone Sanguinario?” domandò Newt ripensando alle parole di Leta la sera prima.
“Beh, quella era la prova di ieri… si dà il caso che oggi sia io a doverne proporre una… e recuperare un po’ di polvere volante dallo studio del preside mi sembra sufficientemente audace come proposta.”
“E tu pensi che qualcuno accetterà una prova del genere?” fece Newt incredulo.
“Ho compagni abbastanza stupidi da rischiare un’espulsione pur di essere ricoperti di gloria per una manciata di minuti.”
“Beh, in questo caso la loro stupidità ci farà comodo”
“Domani avrai la tua polvere volante, Newt!”
 
La mattina seguente Newt raggiunse la sala grande per colazione sperando di incrociare Leta e scoprire se i suoi compagni avevano avuto successo. Era talmente elettrizzato all’idea di riuscire nel suo intento che aveva passato la notte in bianco e la sua faccia ne era la prova più lampante.
Appena raggiunta la sala grande lanciò subito un’occhiata alla tavolata dei Serpeverde, Leta di solito sedeva in fondo, ma quella mattina non c’era.
Newt sospirò abbacchiato e si sedette accanto agli altri Tassorosso, fu proprio in quel momento che Leta giunse alle sue spalle e lo fece sobbalzare.
“Leta!” esclamò lui e prima che potesse aggiungere qualsiasi tipo di domanda lei gli mostrò un piccolo sacchetto di cuoio che poi nascose subito.
“Mangia” gli disse con fare quasi materno, “ne hai proprio bisogno, ci vediamo alla prima ora.” E così dicendo sparì dalla vista di Newt mescolandosi alla folla di studenti.
 
Tre ore più tardi, dopo la lezione di erbologia, Newt affiancò Leta all’uscita della serra numero quattro.
“Newt non ti consegnerò la polvere senza prima sapere a cosa ti serve” dichiarò lei riconoscendo il suono dei suoi passi prima ancora che lui potesse aprire bocca.
“È solo un esperimento…” si difese Newt che bramava quel piccolo borsello tanto quanto un bambino desidera una confezione di cioccorane. 
“C’è di mezzo un altro dei tuoi animali, vero?” azzardò Leta studiando attentamente l’espressione dell’amico nella speranza che si tradisse.
“No… beh, cioè forse sì, ma non c’è bisogno che ti preoccupi per me” balbettò Newt cercando di sottrarle la polvere volante.
“Ieri hai detto che poteva essere pericoloso” gli ricordò Leta.
“Si ma… mi riferivo al recuperare la polvere volante e visto che ci hanno già pensato i tuoi compagni cosa ne dici di darmela?”
Leta non sembrò credere neanche per un secondo alle parole di Newt, era troppo sincero per riuscire a mentire bene.
“Di che animale si tratta questa volta?”
“Nulla che io non sia in grado di controllare” dichiarò Newt con molta poca convinzione.
“C’è bisogno che ti ricordi cos’è successo l’ultima volta con i pixie?”
Newt ridacchiò. “Sono creature dispettose… è nella loro natura generare un po’ di trambusto.”
“O con i plimpy che hai recuperato nel lago nero l’anno scorso…”
“Avevano bisogno d’aiuto!” Si giustificò Newt toccato sul vivo.
“Sì, e tu hai ancora le cicatrici sulle mani” osservò Leta.
“Guariranno” minimizzò lui nascondendole.
“Vuoi dirmi di cosa si tratta o no?” insisté lei.
“In effetti preferirei di no” borbottò Newt stringendosi nelle spalle.
“Ok, visto che sei così testardo lo scoprirò da sola” minacciò lei sottraendo un taccuino dalla borsa dell’amico con un gesto fulmineo.
“Leta!” La redarguì lui tentando invano di recuperare i suoi preziosi appunti.
“Ashwinder!?” Esclamò lei dopo aver sfogliato qualche pagina. “Fai sul serio?”
“Non vedo perché no” brontolò lui impossessandosi nuovamente del suo taccuino e riponendolo con cura nella borsa.
“Li abbiamo studiati l’anno scorso e…”
“Studiati?” ripeté lui in tono denigrante, “sentirli nominare a lezione di cura delle creature magiche e leggere cinque misere pagine sul libro di testo tu lo definisci studiare?”
“Sì se è sufficiente a superare un esame” replicò Leta da perfetta Serpeverde.
Newt scrollò le spalle e roteò gli occhi.
“Leta qui non si tratta di passare uno stupido esame, conoscere e comprendere le creature che popolano il nostro mondo è fondamentale. Come possiamo pretendere di vivere in sintonia con ciò che ci circonda se non siamo mossi dalla curiosità di saperne di più?”
Leta guardò Newt con compassione. I suoi occhi brillavano e trasmettevano sincerità, com’era possibile che un animo puro e genuino come quello di Newt fosse tanto in sintonia con uno ribelle e tormentato come il suo?
“Perché proprio l’ashwinder?” domandò Leta.
“Cosa ti ricordi sul suo conto?”
“Poco e niente” ammise la ragazza.
“L’Ashwinder si genera quando un fuoco magico viene lasciato bruciare senza sorveglianza per troppo tempo.” Spiegò Newt entusiasta mentre cominciava a nevicare. “Ha l’aspetto di un sottile serpente verde pallido con occhi di un rosso ardente e lascia una scia di cenere dietro di sé quando si muove.” Continuò il ragazzo con entusiasmo crescente. “Ma la cosa più affascinante è che questa creatura vive solo un’ora e la trascorre alla ricerca del luogo ideale per deporre le uova, dopodiché s’incenerisce. Le uova sono rosso brillante e pare che emanino un intenso calore, per questo è fondamentale trovarle e congelarle subito. Inoltre le uova congelate sono un prezioso ingrediente per la preparazione di vari filtri d’amore.”
“Filtri d’amore?” domandò Leta incerta, “a chi devi rifilare un filtro d’amore?”
“Io… cos… non me ne frega niente dei filtri d’amore” spiegò sconcertato dal fatto che Leta si fosse concentrata sull’unica caratteristica di quella creatura che a lui non interessava più di tanto. “È una delle sue proprietà ma questo non vuol dire che io voglia catturare un ashwinder per preparare un filtro d’amore.” 
“Quindi vuoi catturare un ashwinder? È questo che stai tramando?”
Newt abbassò lo sguardo e prese a fissarsi le scarpe, il tono di Leta suonava come un’accusa ma lui era troppo determinato ad approfondire le sue conoscenze su quella creatura per rinunciare. Neanche Leta sarebbe riuscita a fargli cambiare idea.
“In realtà non è proprio così… la mia idea è quella di osservare il momento in cui si genera, monitorarlo nel corso della sua breve esistenza per verificare dove depone le uova e, una volta che si sarà incenerito, congelarle per poterle studiare, e questo è il motivo per cui ho pensato di fare tutto questo nelle vacanze di Natale…” spiegò Newt alludendo al fitto strato di neve che avvolgeva il castello.
“Hai detto che ci vuole un fuoco magico…”
“Ecco perché ho bisogno di questa” fece Newt approfittando di un momento di distrazione per sottrarre a Leta la polvere volante.
“… e che va lasciato bruciare incustodito. Non puoi accendere un fuoco magico in sala comune e andartene come se nulla fosse, te ne rendi conto?”
“A questo ho già pensato” precisò Newt, “ho un posto sicuro” aggiunse in risposta allo sguardo dell’amica.
“E quale sarebbe?”
“Diciamo che ha qualcosa a che fare con il settimo piano.”
Leta si accigliò. “C’è qualcosa che io possa fare per convincerti che non è una buona idea?”
“In effetti no… mi conosci abbastanza bene da sapere che lo farò comunque”
“Ogni tanto mi domando se il cappello parlante era ubriaco quando ti smistò in Tassorosso.” Concluse lei senza riuscire a trattenere un ghigno.
Newt sorrise.

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Capitolo 2
*** Parte II ***


Angolo dell'autrice: Ciao a tutti, volevo avvisarvi che questa seconda parte esce con immenso ritardo a causa di una lunghissima riflessione che mi ha portato a capire che non sarebbe stata l'ultima parte. Ebbene sì, ci sarà una terza parte perchè man mano che lo scrivevo trovavo cose carine da inserire nella storia e mi sembrava un peccato non svilupparle. Spero che questa mia decisione di prolungare la storia possa in qualche modo farmi perdonare per l'immenso ritardo con cui l'aggiorno. Intanto grazie a chi si è espresso in merito alla prima parte. Adoro sapere cosa pensate di quello che riesco a mettere nero su bianco e oggi più che mai ho bisogno di sentire la vostra opinione.



 
PARTE II


Newt uscì di soppiatto dalla finestra della serra numero tre cercando di fare meno rumore possibile. Nelle vicinanze non sembrava esserci nessuno; era il crepuscolo e la maggior parte degli studenti erano già rientrati a casa dalle famiglie per trascorrere le vacanze natalizie, ma era meglio essere prudenti. 
Nei suoi pomeriggi trascorsi in biblioteca alla ricerca d’informazioni sull’Ashwinder, Newt si era casualmente imbattuto in un’altra creatura bizzarra che sfortunatamente non aveva trovato posto nel programma scolastico: il Dugbog. Stando a quanto sapeva sul suo conto era molto facile trovarli sotto le foglie delle mandragole e si dava il caso che ce ne fosse una florida coltivazione proprio nella serra numero tre. La tentazione era stata troppo forte; con sua grande sorpresa aveva scoperto che il numero di Dugbog presenti nella serra era sorprendente ed era immensamente soddisfatto di averli potuti studiare da vicino indisturbato per qualche ora. Quando erano immobili era facile scambiarli per dei pezzi di legno marcescenti ma, osservandoli più da vicino, si potevano riconoscere delle piccole zampe e dei denti parecchio aguzzi.
Quello su cui non era riuscito a documentarsi a sufficienza era la loro terribile aggressività; ad un occhio inesperto potevano sembrare innocui ma essere disturbati mentre si nutrivano del loro cibo preferito li rendeva improvvisamente aggressivi e fu così che Newt, sottovalutando la creatura che si accingeva a studiare, rimediò un bel morso sul fianco destro che cominciò a sanguinare copiosamente impedendogli di proseguire i suoi studi sul campo. Tamponandosi la ferita con la sciarpa giallonera rientrò nel castello alla ricerca di un luogo sicuro in cui medicarsi. 
Gratta e netta” sussurrò notando qualche goccia di sangue sul pavimento mentre proseguiva sperando di non incontrare nessuno.
Fortunatamente, fantasmi a parte, la strada sembrava essere sgombra. Riconobbe la porta di uno sgabuzzino delle scope e ci si chiuse dentro sperando di risolvere la situazione rapidamente.
Lumus” sussurrò illuminando a giorno l’angusto stanzino. Newt sollevò la camicia per osservare l’entità del morso e, non appena scostò la sciarpa, la ferita riprese a sanguinare, ci volevano dei punti e anche dell’essenza di dittamo possibilmente.
Ecco, gli sarebbe toccato andare di nuovo a rubare nella dispesa di pozioni… e pensare che aveva giurato di non farlo mai più.
Uscì dallo stanzino tutto trafelato e per poco non travolse Leta che attraversava il corridoio.
“Newt”
“Leta” fece lui strabuzzando gli occhi.
“Cosa ci facevi nello sgabuzzino delle scope?” domandò lei sospettosa.
“Niente” rispose frettolosamente lui.
“Gli studenti ci vanno per pomiciare…”
“Decisamente non pomiciavo” chiarì lui tenendo ben stretta la sciarpa sulla ferita sotto alla camicia.
Leta buttò l’occhio dentro lo sgabuzzino. “Anche perché con un manico di scopa saresti decisamente sprecato” aggiunse sorridente dopo aver verificato che non ci fosse nessun’altro nello stanzino. 
“Va tutto bene?” domandò la serpeverde, “sei un po’ pallido.”
Newt guardò Leta e capì che oltre ad essere l’unica a poterlo aiutare era anche una delle pochissime persone di cui si fidava.
“In effetti, avrei bisogno d’aiuto…” ammise Newt controllando che fossero soli, “come te la cavi con gli incantesimi di primo soccorso?”
Leta sgranò gli occhi.
“Newt! Credevo che avremmo gestito l’Ashwinder insieme!” protestò cercando di moderare il tono di voce.
“Shhhh” le intimò lui. “Non si tratta dell’Ashwinder”
“Un altro? Quindi c’è un altro animale, perfetto! E dove sarebbe?” 
“Nelle serre di erbologia”
“Hai sguinzagliato animali pericolosi nelle serre di erbologia? Ma sei impazzito?”
“Non esistono animali pericolosi” sottolineò il ragazzo toccato sul vivo.
“…solo persone miopi” concluse Leta ricordando le parole dell’amico che l’anno precedente si era meritato un mese di punizione per aver sottolineato la cosa ad un professore.
“E poi non ho sguinzagliato proprio niente, vivono lì da chissà quanto tempo” continuò Newt più che mai deciso a difendere se stesso e quelle povere creature, “non sono in grado di stimarne l’età perché non ho avuto modo di contare i loro…”
“Ok, ok, ma mi dici che ti hanno fatto?”
“Niente per cui allarmarsi, è solo un piccolo morso…” minimizzò Newt sollevando leggermente la camicia per mostrare a Leta la ferita.
“Per la barba di Merlino!” esclamò lei, “stai sanguinando!”
“Shhh” fece di nuovo lui, “arriva qualcuno!” e così dicendo entrambi si richiusero dentro lo sgabuzzino delle scope.
“Devi andare in infermeria!” decretò lei piuttosto preoccupata monitorando il corridoio attraverso il buco della serratura.
Newt sollevò gli occhi al cielo.
“Leta, ragiona, non posso andare in infermeria perché vorrebbe dire ammettere quello che ho fatto, far perdere punti alla mia casa e finire in punizione.”
“Sai una cosa?” chiese lei improvvisamente divertita dalla situazione. 
“Cosa?”
“Sembra una barzelletta, una serpeverde che rimprovera un tassorosso!”
Risero insieme. 
La loro era un’amicizia insolita, non solo perché appartenevano a due case diametralmente opposte ma perché i loro spiriti ribelli finivano sempre per farsi da parte quando si trattava di proteggere l’altro. Mai come in quel momento Newt se ne rese conto. Leta era incompresa dalla maggior parte dei suoi compagni, insofferente a qualsiasi tipo di disciplina e tremendamente ostinata, ma allo stesso tempo riusciva ad essere incredibilmente protettiva nei confronti delle persone a cui teneva. Nonostante non sapesse spiegarsi come fosse possibile, Newt sapeva di essere compreso in quest’ultima categoria e ne era lusingato.
“Ho un’idea, andrò in infermeria fingendo di non sentirmi bene e una volta lì prenderò dell’essenza di dittamo, tu aspettami qui e cerca di non perdere troppo sangue.”
“Va bene” si arrese lui non vedendo nessun’altra possibilità.
“Finirai per farmi espellere lo sai?” domandò lei posandogli un bacio a fior di labbra che gli intorpidì i sensi. Non era certo la prima volta che Leta gli riservava un bacio di quella tipologia, il fatto era che a Newt non era ancora ben chiaro il significato di quel gesto. Leta uscì e Newt si sedette per terra con la schiena appoggiata al muro. La ferita gli faceva male, pulsava e bruciava terribilmente e, non avendo di meglio da fare, decise di appuntarsi i sintomi del morso di un Dugbog sul taccuino. Un giorno, se mai fosse riuscito a raccogliere abbastanza informazioni, gli sarebbe piaciuto scrivere un libro su tutto quello che i maghi ignoravano delle creature magiche.
L’attesa sembrò interminabile ma Leta riuscì nel suo intento e portò a Newt l’essenza di dittamo che finalmente sanò la ferita e bloccò l’emorragia.
“Tornerai a casa per le vacanze?” domandò lui cercando d’ignorare il dolore che l’incantesimo di sutura gli stava provocando.
“Non ho ancora deciso, i miei mi hanno già mandato due strillettere a riguardo…”
Newt ridacchiò. “A me non hanno mandato neanche quelle.”
“Finito!” decretò lei riponendo la bacchetta un attimo prima di riaprire la porta per uscire dallo stanzino.
“Non so come ringraziati” mormorò Newt una volta in corridoio.
“Non devi ringraziarmi” rispose lei con una lieve alzata di spalle incamminandosi verso i sotterranei.
Newt la seguì con lo sguardo fin quando una voce non lo fece trasalire. “Scamander, è tardi, faresti bene a rientrare nel tuo dormitorio.” Era il caposcuola, un corvonero del settimo anno nonché migliore del suo corso.
“Ma certo” balbettò Newt ancora stordito dall’effetto di Leta, prima di voltarsi e dirigersi verso la sala comune dei tassorosso.
 
L’indomani Hogwarts si svegliò sotto una fitta coltre di neve che diede definitivamente inizio all’atmosfera natalizia; la sala grande era addobbata in piena regola e molti degli studenti rimasti sfoggiavano i tipici maglioni con renne e fiocchi di neve.
Newt sedeva sotto il portico appoggiato ad una colonna fissando la neve scendere fitta e silenziosa stretto nel suo maglione che, a differenza di quello dei compagni, era anonimo e privo di disegni. Il cortile interno era completamente imbiancato e trasmetteva una preziosa sensazione di quiete.
Proprio mentre era assorto nei suoi pensieri, una palla di neve lo colpì sulla nuca accompagnata da una risata familiare che gli scaldò il cuore.
Colto di sorpresa il ragazzo prese a scompigliarsi i capelli nel tentativo di rimuovere la neve che ormai si era infilata nella sciarpa e nel collo mentre Leta gli si affiancava sorridendo.
“Credevo che alla fine fossi tornata a casa per le vacanze” disse Newt un po’ imbarazzato ma ben felice di costatare il contrario.
“Anch’io pensavo di non trovarti qui” ammise lei.
“Nessuno sente la mancanza della pecora nera della famiglia a quanto pare” fece sapere Newt mentre scioglieva il nodo della sciarpa per rimuovere gli ultimi fiocchi di neve.
“Vale lo stesso per me, e poi sai che ci tengo a farti compagnia quando si tratta di finire in punizione…”
“Non finiremo in punizione” la rassicurò Newt certo che non ci fossero falle nel suo piano, “in primo luogo perché ho pensato a tutto nei minimi particolari…”
“Come con il Dugbog?” lo schernì lei.
Lui ignorò la provocazione e continuò come se lei non avesse aperto bocca: “e poi perché non voglio farti prendere parte a questa cosa.”
Leta sbuffò sonoramente.
“Sei proprio come Theseus, sempre pronto a dirmi cosa posso e non posso fare… si può sapere perché entrambi siete così ossessionati all’idea di proteggermi?”
Newt si rabbuiò improvvisamente, quel paragone con Theseus fatto proprio da Leta gli stava parecchio scomodo.
“Theseus era un prefetto, era uno dei suoi compiti quello di assicurarsi che gli studenti non si cacciassero nei guai…” mormorò passandosi la sciarpa dietro la nuca con l’intenzione di annodarsela nuovamente al collo.
“…ma tu non lo sei” sottolineò Leta prendendo posto accanto al compagno per allacciargli la sciarpa al collo, “ed è per questo che ti preferisco”. Nonostante la temperatura fosse nettamente sotto zero il giovane tassorosso sentì un’improvvisa vampata di calore avvolgerlo e per un attimo si aspettò un altro di quegli ambigui baci che Leta era solita regalargli nei momenti più inaspettati.
“Tu non sei come lui…” proseguì lei prendendo nuovamente le distanze, “nei suoi anni qui a scuola Theseus è sempre stato molto ligio alle regole e orientato al futuro, pensi avesse già in mente che carriera intraprendere?”
“Possiamo smetterla di parlare di mio fratello?” domandò educatamente Newt senza però nascondere il suo disappunto.
“Preferisci parlarmi del luogo misterioso in cui intendi mettere in pratica il tuo piano?”
“In effetti no…”
“Vorrà dire che lo farai domani davanti ad una burrobirra durante l’uscita a Hogsmeade” concluse Leta con il sorriso di chi la sapeva lunga. “Ci verrai non è vero?” domandò con il vago timore che lui potesse rispondere di no.
Colto alla sprovvista Newt balbettò qualcosa d’indefinito che poi diventò un “sai che non amo stare in mezzo alla gente”.
“Sì, ma io apprezzo la tua compagnia e poi nessuno ci obbliga a stare con gli altri.”
Leta lo fissava con gli occhi carichi di aspettativa.
Newt deglutì vistosamente, in un attimo tutte le sue convinzioni crollarono.
“Ci penserò” mormorò con il vago timore che quella proposta potesse essere una sorta di appuntamento.
Leta gli posò un bacio sulla guancia e lui si sentì immediatamente arrossire, poi corse su per le scale e Newt tornò ad osservare la neve che vorticava nel cielo e che non dava il minimo segnale di volersi arrestare. Leta non era una da appuntamenti e a ben rifletterci nemmeno lui.
 
Dopo l’ennesimo pomeriggio trascorso in biblioteca, Newt rientrò in sala comune e subito dedicò una rapida occhiata alla comunicazione riguardo la gita a Hogsmeade affissa in bacheca. Nel corso dei suoi anni a scuola aveva visitato il villaggio di Hogsmeade più volte e l’idea di passare un intero pomeriggio a stretto contatto con i suoi compagni non lo entusiasmava particolarmente, preferiva nettamente godersi la tranquillità del castello semideserto, o per lo meno questo era quello che pensava prima che Leta manifestasse la sua voglia di andarci.
Senza pensarci troppo su decise di apporre una X in concomitanza del suo nome poco prima che il foglio fosse ritarato dal prefetto per essere consegnato in segreteria sotto lo sguardo attonito dei compagni che per giorni avevano tentato di convincerlo con scarsi risultati. Poi si chiuse in dormitorio dando modo a questi ultimi di aprire un’accesa discussione circa il motivo che lo avesse spinto a cambiare idea.
“Avrà finito le sue scorte di liquerizia” suggerì un ragazzo del secondo anno che, a giudicare dalla dimensione della sua pancia, doveva saperla lunga in fatto di dolciumi.
“Ma quale liquerizia! Secondo me c’è di mezzo un altro dei suoi animali” ipotizzò uno del sesto anno, “quando gli sono scappate le acromantule nel dormitorio ci abbiamo messo tre giorni a ritrovarle e una mi si era infilata nei calzini!” rivelò rabbrividendo.
“Ragazzi, siete fuori strada” intervenne una studentessa dal fondo della sala. “Scamander non prende parte ad una gita ad Hogsmeade dal quarto anno, è evidente che me c’è di mezzo una ragazza…” 
“Una ragazza?” ridacchiò un’altra dal divano, “ma se Elodie gli ha chiesto di uscire almeno tre volte lo scorso anno e non ha fatto altro che accampare scuse, non è vero?” chiese all’amica che sedeva al suo fianco.
“Ammetto di aver pensato che fosse gay” rivelò quest’ultima sbucando dall’ultimo numero della sua rivista preferita.
“Ma fatemi il piacere!” s’intromise un’altra, “è ovvio che non lo è!”
“E tu che ne sai?”
“Oh ma per favore, non ditemi che non vi siete mai accorte di come guarda la Lestrange!”
“Chi?” borbottò un’altra improvvisamente interessata alla conversazione.
“È una serpeverde, tra le più perfide a dire il vero, una di quelle che è in punizione un giorno si e l’altro pure.”
“In effetti anche Newt è spesso in punizione…” rifletté un’altra.
“Tutto questo gossip mi sta facendo venire il mal di testa” ammise il ragazzo del secondo anno a quello che si era ritrovato l’acromantula nei calzini.
“Concordo” convenne il più grande mentre entrambi di accingevano a lasciare la sala comune lasciando le ragazze al loro chiacchiericcio.
 
L’indomani, a colazione, Newt si rese conto che la maggior parte dei suoi compagni era stata decisamente più mattiniera di lui e che probabilmente si erano incamminati di buonora in direzione del villaggio di Hogsmeade con l’intenzione di trascorrerci tutta la giornata, cosa che lui non avrebbe fatto neanche sotto tortura.
Solo dopo un pranzo trascorso in compagnia del frate grasso, il fantasma della sua casa di appartenenza, si decise a uscire dal castello con l’intenzione di raggiungere Hogsmeade. Leta non aveva specificato se avrebbe passato l’intera giornata al villaggio o se si fosse limitata ad una capatina, e lui si era guardato bene dal chiederglielo. Conversare con Leta non era mai una cosa facile, soprattutto quando si trattava di farle domande troppo dirette. Era una ragazza enigmatica e forse era proprio questo l’aspetto che lo stregava più di tutti.
Riflettendo sulle sue scarse possibilità di incontrare Leta, Newt raggiunse la via principale di Hogsmeade dove riconobbe qualche compagno impegnato in una battaglia di palle di neve che finì per coinvolgere inevitabilmente degli sfortunati passanti. Mentre la battaglia imperversava lui deviò in un vicolo laterale, ben deciso ad evitare il casino del centro e a rifugiarsi in un posto tranquillo. Fu così che nel giro di qualche minuto si ritrovò davanti all’ingresso della Testa di porco e ne varcò la soglia desideroso di trovare riparo dalla morsa del freddo che da qualche giorno attanagliava tutto il nord dell’Inghilterra.
“E così il signor Scamander si è deciso a mettere il naso fuori dal castello” disse una voce familiare non appena Newt mosse i primi passi dentro al pub.
In un angolo della sala, Newt vide il professor Silente seduto ad un tavolo alle prese con una copia della gazzetta del profeta e un bicchiere di whiskey incendiario.
“Così pare” mormorò facendo qualche passo verso il professore che aveva saggiamente scelto un tavolo vicino al camino.
“Questo inverno è uno dei più freddi che io riesca a ricordare” fece sapere Silente guardando fuori dalla finestra, “ti offrirei del whiskey incendiario se solo avessi l’età giusta per berlo, quindi… forse è meglio una burrobirra?”
“Qualcuno potrebbe pensare che ha un occhio di riguardo nei miei confronti…” osservò il tassorosso con un lieve sorriso.
“E tu lascia che lo pensino” gli suggerì il professore ordinando per lui una burrobirra e scostando una sedia facendogli cenno di accomodarsi.
“La ringrazio professore, è gentile da parte sua.”
“Come mai la Testa di porco e non Il manico di scopa? Ho sempre pensato che fosse quello il pub preferito dagli studenti.”
“In effetti lo è ma… io non sono a mio agio in mezzo alla gente” ammise Newt nonostante avesse la netta sensazione che Silente conoscesse già la risposta a quella domanda.
“Non rammaricarti per quello che sei, giovane Scamander” lo rassicurò Silente percependo il suo disagio nell’ammettere la verità. “Fingere di essere qualcosa di diverso da quello che in realtà siamo può darci l’illusione di sentirci accettati, ma finisce per distruggerci” osservò fissando intensamente il suo bicchiere di whiskey un attimo prima di berne l’ultimo sorso.
Newt notò lo sguardo del professore rabbuiarsi ed ebbe come l’impressione che quello che stava ripetendo fosse più che altro un monito per sé stesso piuttosto che uno dei suoi insegnamenti, ciononostante non mancò di farne tesoro.
“Se sei più tipo da Testa di porco, è giusto che tu sia qui e non altrove” concluse Silente con ritrovato entusiasmo mentre Newt beveva la sua burrobirra.
Il ragazzo si limitò ad annuire, un po’ imbarazzato dalla situazione.
“Non tornerai a casa per Natale neanche quest’anno?” domandò Silente in tono amichevole.
Newt scosse la testa e si strinse nelle spalle, non aveva troppa voglia di raccontare anche a Silente il perché della sua scelta.
“A quanto pare la presenza di mio fratello basta e avanza” si lasciò scappare con un velo di delusione nella voce.
“Capisco” mormorò il professore, “le relazioni familiari possono essere difficili ma, se mi permetti uno spassionato consiglio, non privarti di nulla che un giorno tu possa rimpiangere.”
Per la seconda volta nel corso di quella conversazione Newt ebbe la sensazione che Silente non stesse parlando solo ed esclusivamente a lui e, imbarazzato dalla cosa, si trovò ad annuire ancora una volta.
“È giunto il momento che io vada” annunciò il professore dopo aver consultato il suo orologio da taschino, “mi resta giusto il tempo di passare da Mielandia… le mie scorte di api frizzole sono quasi esaurite.” Aggiunse indossando il cappotto.
“Lo sapeva che pare che il loro gusto caratteristico sia ottenuto dai pungiglioni secchi di Billywig?” esordì Newt felice di poter snocciolare qualcuna delle nozioni apprese nelle ultime settimane sulle creature magiche.
“Ne avevo sentito parlare e non mi stupisco che tu lo sappia, mi è stato detto che passi molto tempo tra gli scaffali della biblioteca.” Spiegò il professore facendogli un occhiolino.
Newt sorrise, fin dal primo anno aveva sempre avuto la sensazione che Silente fosse uno dei pochi a capirlo fino in fondo.
“È ben informato” confermò Newt.
“Beh, sono sicuro che il tuo interesse non si limita ai tomi della biblioteca, esattamente come sono sicuro che non sei venuto qui per chiacchierare con un professore impiccione, quindi ora ti lascio ai tuoi coetanei” disse Silente accennando all’ingresso del pub in cui stava entrando un gruppetto di ragazzi tra cui Newt identificò subito Leta.
“Penso che la signorina Lestrange prenderà il mio posto molto volentieri” aggiunse Silente salutando la studentessa con un gesto della mano, rivelando a al giovane Scamander di avere decisamente parecchio fiuto per le faccende sentimentali.
Newt osservò Silente raggiungere l’uscita e togliersi il cappello davanti a Leta in segno di saluto. Lei, al contrario dei compagni, contraccambiò educatamente e poi si avvicinò al bancone.
Deciso a passare il resto del pomeriggio con lei, Newt si alzò per raggiungerla ma qualcuno fu più veloce di lui e occupò lo sgabello libero proprio accanto a Leta. Colto alla sprovvista da quell’imprevisto Newt finse di sistemare il cappotto sullo schienale della sedia e osservò meglio il ragazzo che ora stava passando un braccio intorno alle spalle di Leta. Se la memoria non lo ingannava quello era uno dei due battitori di Serpeverde, come confermavano la sua corporatura massiccia e i suoi modi grezzi. Newt osservò i due ridere insieme e dopo un paio di minuti vide Leta appoggiare il capo sulla spalla del compagno, cosa che lo convinse a lasciare immediatamente il pub dopo aver ingurgitato quello che restava della sua burrobirra.

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Capitolo 3
*** Parte III ***


Angolo dell'autrice: anche questa storia volge al termine e come sempre molte cose non sono andate come mi ero prefissata all'inizio. Dovevo chiuderla molto più rapidamente di come ho fatto, erano previsti due capitoli e ne ho scritti tre e tante scene hanno trovato una strada che non era quella che avevo in mente per loro, ma il bello di scrivere è anche questo e alla fine sono contenta del risultato. Il mio momento di tediarvi però è finito, vi lascio al finale di questa breve storia che spero sia di vostro gradimento.




 
PARTE III



Steso sul letto a pancia in giù, Newt sfogliava il suo taccuino di appunti con aria svogliata. Era consapevole di essere ad un punto morto; aveva già passato in rassegna tutti i reparti della biblioteca più volte, dal punto di vista teorico non c’era più nessun dato o informazione che potesse acquisire, quello che gli mancava era la pratica e cominciava a pensare di aver già aspettato troppo. 
“Ehi Newt!” Lo chiamò il suo vicino di letto inserendo la testa tra le tende del baldacchino in cui si era rintanato. “È l’ora del tè, che ne dici di scendere in sala comune per una merenda con gli altri?” chiese con i tipici modi cortesi che ben si addicono a un tassorosso.
Newt si voltò quanto bastava per incrociare lo sguardo del compagno: “Ti ringrazio del pensiero Mike, ma sto bene qui.” 
Il ragazzo sembrò accontentarsi del sorriso che Newt gli dedicò perché annuì e la sua testa sparì oltre le tende senza provare ad insistere, poi i suoi passi si allontanarono dal letto e Newt li sentì perdersi oltre la porta del dormitorio.
Qualche minuto più tardi il ragazzo si costrinse a chiudere il taccuino (ne sapeva praticamente a memoria il contenuto) e nel riporlo tra le sue cose si trovò tra le mani una vecchia pergamena ingiallita, era la bozza di un vecchio lavoro di gruppo di erbologia, lo sguardo di Newt si posò sulle firme in basso, erano due, accanto alla sua c’era quella fine ed elegante di Leta.
Newt sentì una stretta allo stomaco, le immagini del pomeriggio precedente ad Hogsmeade gli invasero la mente e in un impeto di rabbia accartocciò la pergamena e la gettò in fondo al baule.
 
L’indomani nelle prime ore del pomeriggio Newt raggiunse il settimo piano con l’intenzione di cominciare a mettere in atto il suo piano. Aveva passato l’intera nottata sveglio, e non solo perché due dei suoi cinque compagni di dormitorio russavano sonoramente, ma perché si sentiva pervaso dall’adrenalina, come sempre ogni volta che si preparava a fare qualcosa che avrebbe potuto cacciarlo nei guai. Giunto al suo sesto anno ad Hogwarts ormai conosceva bene quella sensazione. 
Aveva con sé la sua solita borsa logora da cui traboccavano tutti i taccuini e le pergamene su cui aveva preso nota di ogni minima informazione sull’ashwinder fosse riuscito a recuperare in quei mesi di ricerca, mentre il sacchetto con la polvere volante era sigillato e al sicuro all’interno di una delle tasche interne. 
Dopo quanto era avvenuto alla Testa di porco si era guardato bene dal coinvolgere Leta anche perché, com’era convinto fin dall’inizio, sarebbe stato meglio fare tutto da solo. Newt sapeva bene che quando si aveva a che fare con creature magiche c’erano sempre una serie d’imprevisti che bisognava mettere in conto; soprattutto se ciò che si sa della creatura in questione è un resoconto neanche troppo dettagliato del suo aspetto e di parte delle sue proprietà magiche. Tante erano le lacune circa il suo temperamento e la sua indole, infinite le domande circa la sua evoluzione e le sue sottospecie. Lacune che Newt sperava di poter almeno parzialmente colmare con l’esperimento che stava per mettere in pratica.
Raggiunse l’arazzo di Barnaba il babbeo e, dopo aver rivolto un’occhiata al fondo del corridoio per accertarsi di essere solo, cominciò a camminarci davanti con il cuore che palpitava. C’era quasi, l’ingresso della stanza delle necessità gli si palesò davanti con il solito aspetto che aveva ogni volta che la evocava: un portone di legno piuttosto sgangherato avvolto da enormi e intricate radici secolari.
Improvvisamente un rumore di passi lo fece trasalire, qualcuno stava arrivando. Guardò la porta che si stava ancora formando, la maniglia era sempre l’ultima ad apparire e quando capì che non sarebbe comparsa in tempo decise di allontanarsi e di camminare verso la figura in avvicinamento come se fosse semplicemente di passaggio. Non ci mise molto a riconoscere la sagoma di Leta, dopotutto l’avrebbe riconosciuta tra mille. Accelerò il passo nella speranza di raggiungerla prima che notasse la porta misteriosa alle sue spalle e a due passi da lei finse di rovesciare accidentalmente la borsa. Subito si abbassò per raccogliere pergamene e appunti vari sperando che lei facesse altrettanto dando quindi il tempo alla porta magica di scomparire del tutto.
“Newt!” esclamò lei chinandosi per aiutarlo “è tutto il giorno che ti cerco!”
Lui sollevò un istante lo sguardo come se fosse tentato di replicare, poi riprese a riordinare le sue cose a testa bassa senza dire una parola.
“Dopo che ieri non sei venuto a Hogsmeade avevo voglia di vederti…” spiegò la ragazza cercando insistentemente il suo sguardo.
“Chi ha detto che non ci sono venuto?” sbottò Newt toccato sul vivo.
“Ho visto i tuoi compagni che attraversavano in gruppo la strada principale diretti al Manico di scopa ma tu non c’eri, e non ti ho visto nemmeno dopo, quando li ho incrociati da Mielandia.”
“Il fatto che non girovagassi con gli altri tassorosso non significa che non ci fossi, sai fin troppo bene che non amo passare il tempo con i miei compagni di casa.”
“Beh, mi spiace non averti incrociato allora, avrei passato volentieri del tempo con te.”
Newt sentì le viscere contorcersi, Leta gli faceva sempre quell’effetto ma adesso sentiva anche una punta di rabbia che non aveva mai provato prima.
“In tutta sincerità quando ti ho vista alla Testa di porco mi sembravi troppo impegnata per passare del tempo con me… e forse anche per accorgerti della mia presenza” concluse il ragazzo con il suo tono più educato mentre richiudeva la borsa e la caricava in spalla con gesto fulmineo. “Ma dopotutto io non sono un campione del quidditch, quindi mi chiedo perché mai avresti dovuto notarmi.” Aggiunse con un velo di tristezza nella voce.
Leta accusò il colpo in silenzio, poi aprì la bocca per ribattere ma Newt le aveva voltato le spalle e mosse un passo per andarsene.
“Lo farai oggi non è vero?” domandò prima che potesse allontanarsi.
Newt rimase un momento interdetto poi scosse il capo. Non aveva altro da aggiungere.
“E allora cosa ci fai al settimo piano?”
“Camminare mi aiuta a pensare” rispose Newt guardandola di sbieco da sotto il suo ciuffo di capelli arruffati, ma nella sua voce c’era poca convinzione. 
“Con una borsa carica di libri e appunti…” osservò Leta incrociando le braccia al petto e lasciandosi sfuggire un sorriso. “Te l’ho già detto che sei pessimo a mentire?” Azzardò sperando in una reazione, ma il ragazzo si chiuse ancora di più e chinò il capo in segno di sconfitta. Prima di allontanarsi però trovò la forza di replicare: “beh, dovresti darmi ripetizioni allora, perché al contrario tu sei molto brava.”
Con quell’ultima frase si allontanò definitivamente da Leta, sapeva che lei aveva colto l’antifona ma non era certo di cosa desiderasse ottenere veramente. Per quanto non si sentisse portato per le relazioni, con Leta aveva stretto un legame speciale e pensare di perderlo per via di uno stupido battitore del settimo anno aveva messo sottosopra le sue convinzioni.
Cercò di scacciare tutti i pensieri inerenti a Leta, non aveva dimenticato il motivo della sua visita al settimo piano ed era deciso più che mai a portare a termine il suo piano. Concentrarsi sull’ashwinder l’avrebbe aiutato a non rimuginare su Leta. 
Scese le scale e percorse un paio di corridoi del sesto piano, conosceva Leta abbastanza bene da sapere che non avrebbe mollato il colpo facilmente quindi decise di farle credere di aver fatto ritorno al dormitorio per poi salire nuovamente al settimo piano e tornare alla stanza segreta.
Sostò per un quarto d’ora abbondante nel bagno dei ragazzi al sesto piano, appoggiato ad un lavandino tirò fuori uno dei suoi taccuini e cominciò a rileggere le informazioni essenziali come se si stesse preparando ad un interrogazione. Fortunatamente gli studenti rimasti ad Hogwarts durante le vacanze erano veramente pochi quindi nessuno disturbò il suo nascondiglio per tutto il tempo che vi trascorse.
Dopo aver consultato l’orologio un paio di volte, Newt uscì a passo spedito dal bagno e tornò al settimo piano davanti all’arazzo incrociando solo una coppia di corvonero e un paio di fantasmi. Cinque minuti più tardi riuscì finalmente ad entrare nella stanza e a richiudersi la porta alle spalle.
Appena dentro tirò un sospiro di sollievo e non riuscì a trattenere un sorriso. Si trovava all’interno di una sala stipata di attrezzature di ogni genere, c’erano gabbie, ceste di vimini, funi, attrezzi da giardinaggio, secchi e contenitori di vetro di ogni forma e dimensione ricolmi di acqua più o meno stagnante. 
Camminò a passo spedito tra gli oggetti accatastati in modo precario e dopo una svolta a destra e una a sinistra raggiunse un piccolo spiazzo in cui troneggiava un grosso camino. Posò la borsa a terra e come prima cosa accese il fuoco con un colpo di bacchetta, era pur sempre dicembre e la temperatura era piuttosto rigida, poi prese dalla borsa il sacchettino che conteneva la polvere volante e senza pensarci più di mezzo secondo la svuotò tra le fiamme che ardevano nel camino provocando una fiammata improvvisa che lo costrinse ad arretrare di qualche passo.
Rimase qualche istante a fissare il fuoco, incantato dalle fiamme che danzavano proiettando strane ombre sul soffitto, poi si sfilò il maglione e cominciò a gironzolare per la stanza controllando che tutto fosse in ordine. Come prima cosa si avvicinò ad una grossa cassa contrassegnata con una X rossa e ci sbirciò all’interno quanto bastava per controllare che le sue due acromantule stessero bene, dopo l’incidente nel dormitorio sarebbe stato troppo rischioso continuare a nasconderle sotto al letto, quindi aveva provveduto a trovargli una sistemazione più adeguata. Verificò che tutto fosse in ordine, i pixie e gli avvincini erano nei loro acquari-stagno e sembravano stare bene. Si appuntò il tutto sul diario che portava sempre con sé e mentre proseguiva il giro sentì un rumore alle sue spalle.
Si voltò di scatto pronto a correre dietro a qualunque delle sue creature fosse responsabile di quel trambusto e si ritrovò a fissare Leta che cercava di liberarsi da un rete da pesca che le era caduta addosso insieme ad un vaso, adesso in frantumi sul pavimento, e ad un paio di cesti di vimini.
“Leta!” Esclamò lui totalmente sconvolto dalla presenza dell’amica, il cuore che palpitava improvvisamente.
“Ti dispiacerebbe darmi una mano?” sibilò lei mentre cercava di liberare il fermaglio che aveva tra i capelli dalle maglie della rete in cui si era impigliato.
“Come hai fatto ad entrare?” domandò avvicinandosi con passo impacciato schivando con maestria tutti gli oggetti che ingombravano il pavimento.
“Seguendoti ovviamente”
Newt le si avvicinò titubante, il suo luogo più segreto e privato era appena stato scoperto, e il fatto che fosse stata proprio Leta a violarlo lo fece sentire tremendamente combattuto tra l’esserne arrabbiato e l’esserne felice. Afferrò i lembi della rete e le scoprì il capo come fosse la sua sposa e dopo averle sorriso timidamente l’aiutò a liberarsene del tutto.
“Sei ferita” le disse notando un taglio sulla fronte dove probabilmente il vaso l’aveva colpita.
“Che cos’è questo posto?” domandò lei ignorando le premure dell’amico e guardandosi intorno.
“Il luogo in cui accumulo tutto ciò che non posso tenere sotto al letto…” spiegò il ragazzo riponendo la rete con cura in una cassa di legno, “tranquilla, ho quello che ci serve” la rassicurò estraendo un piccolo kit di pronto soccorso da un armadio sgangherato.
“Questo lo vedo” mormorò Leta continuando a far vagare lo sguardo per la stanza che era talmente stipata di cose da rendere impossibile vederne i confini, “… intendevo che parte della scuola è? Com’è possibile che nessuno sappia di questo posto? Io stessa non credo di aver mai notato quella porta prima di oggi.”
“Oh, questo conferma che non siamo in molti a conoscere l’esistenza e le potenzialità della stanza va e vieni, adesso sta ferma” disse tamponandole la ferita con dell’ovatta imbevuta di qualche strano intruglio.
“La cosa?”
“La stanza va e vieni, ma alcuni la chiamano la stanza delle necessità, giuro di aver sentito qualcuno chiamarla anche occorristanza o qualcosa del genere.”
“Ma com’è possibile che gli studenti e i professori non l’abbiano mai scoperta?” Leta sembrava sempre più confusa e affascinata allo stesso tempo.
“E chi ha detto che non l’hanno scoperta?” Newt fece un sorriso sghembo gettando l’ovatta in un cestino.
“Veramente i professori sanno di questa stanza e ti lasciano tenere qui le tue bestie?”
“Preferisco il termine creature” puntualizzò lui “e no, certo che nessuno sa cosa c’è qui dentro… la stanza va e vieni appare diversa a chiunque la trovi e, per la cronaca, mi avrebbero espulso già al quarto anno se solo sapessero cosa faccio qui dentro, motivo per cui devo chiederti di non riferire quello che hai visto.”
“Quindi è dal quarto anno che sgattaioli qui dentro?” Leta era incredula “Perché non mi hai mai parlato di questo posto?”
“Ho pensato di farlo tante volte in realtà…” Newt abbandonò la frase a metà e un silenzio carico di parole non dette riempì la stanza.
“Non ti fidavi di me” mugugnò lei con la tristezza negli occhi, “dopo tutti questi anni…”
“Certo che mi fido di te, sai che sei l’unica…” ancora una volta Newt non riuscì a terminare la frase.
Leta prese a camminare nervosamente per la stanza, incuriosita da tutto quello che la circondava e improvvisamente, nel caos più totale di quel luogo giunse in un angolo accogliente, ordinato, quasi… romantico. C’era un meraviglioso camino in cui scoppiettava un fuoco caldo, dei pouf e dei tappeti che, visti i colori, probabilmente Newt aveva “preso in prestito” dalla sua sala comune. In cima al camino Leta notò un servizio da tè con tanto di zuccheriera coordinata, una clessidra e qualche strano aggeggio a cui non sapeva dare un nome. Lo sguardo di Leta si posò sulla trave di legno che sovrastava il camino dove Newt aveva inciso più volte i loro nomi, li sfiorò con le dita in un gesto delicato, poi la voce del ragazzo ruppe il silenzio.
“Ho pensato di portarti qui tante volte” ammise a capo chino.
“Avrei voluto che tu l’avessi fatto” sussurrò lei, gli occhi lucidi e un lieve carico di delusione nella voce.
Newt non ebbe la forza di alzare lo sguardo, il pavimento sembrava improvvisamente così interessante.
“Ho giocato male le mie carte” ammise lui con aria triste, “e suppongo che ora sia tardi” concluse cominciando a rimboccarsi le maniche della camicia mentre le immagini di Leta con il battitore di Serpeverde gli invadevano prepotentemente la mente.
“Scusa, ora ho da fare” e così dicendo sparì tra casse di legno e vecchie scaffalature.
“Newt!”
Ma lui non riapparve e Leta fu costretta ad andargli dietro. Lo trovò alle prese con dei secchi di alluminio impilati uno dentro l’altro.
“A cosa ti servono quelli?”
“Lascia stare” replicò lui tornando verso il camino e deponendo a terra i secchi che riempì d’acqua con un incantesimo, poi prese a scrivere freneticamente sul suo taccuino mentre riprendeva a camminare per la stanza.
Leta lo seguiva come un’ombra senza avere la minima idea di cosa stesse facendo.
“Newt!” gridò di nuovo pestando i piedi a terra nel tentativo disperato di ricevere attenzioni.
Lui si bloccò di scatto e si voltò a guardarla.
“Perché non me l’hai detto?” chiese accennando ai loro nomi incisi sul camino.
“Perché tu non sei una con cui funzionano le parole” si giustificò lui come se fosse la cosa più ovvia del mondo, “a te piacciono le persone che agiscono non quelle che parlano.”
Leta si rispecchiò perfettamente nelle parole del ragazzo e la cosa la fece arrabbiare ancora di più, la conosceva abbastanza bene da riassumerla con una frase eppure non aveva saputo lottare a sufficienza per conquistarla.
“Avresti dovuto agire allora”
“Credimi, a modo mio l’ho fatto” Newt sospirò, “semplicemente non l’hai colto”
“Certo che l’ho colto, credi che vada in giro a baciare tutti gli studenti di Hogwarts forse?” Adesso Leta aveva la voce spezzata e gli occhi lucidi.
“Ho sempre pensato che quei baci non significassero quello che speravo” ammise Newt in un sussurro. 
“Quindi è per questo che non li ricambiavi?”
Newt restò in silenzio, incapace di rispondere a quella domanda. La verità era che in presenza di Leta non sapeva spiegare la maggior parte delle sue azioni e delle sue emozioni. Erano anni che aveva quell’effetto su di lui, lo travolgeva e allo stesso tempo lo lasciava inerme, come una bufera che passava e di cui restava solo la conta dei danni.
“Almeno Matt mi bacia!” insisté lei con una punta di cattiveria nella voce.
Newt sentì un groppo in gola, una fitta al petto e il respiro che veniva a mancare.
“Colpito e affondato” dichiarò ponendo fine al discorso, il capo chino e gli occhi tristi nascosti dal ciuffo di capelli disordinati.
“Newt”
“Possiamo non parlarne più per favore?” la pregò, quella conversazione lo metteva tremendamente a disagio. Ma Leta non sembrava minimamente intenzionata ad andarsene.
In quel momento il fuoco emise un leggero sibilo e subito dopo una serie di fiammate poderose li colsero di sorpresa e costringendoli ad arretrare dal camino.
“Ci siamo” esclamò Newt con un fremito nella voce, gli occhi che brillavano per l’emozione. “Via, potrebbe essere pericoloso!” aggiunse afferrando Leta per un polso e costringendola a seguirlo dietro una serie di lamiere che, Leta lo capì solo in quel momento, Newt aveva messo lì apposta per fungere da riparo.
“Ok, ti avviso, questa è la fase del piano che non ho minimamente sotto controllo”
“Quando mai hai avuto qualcosa sotto controllo?” lo schernì lei felice di essere nuovamente al suo fianco.
Newt non rispose, era troppo concentrato sul fuoco magico che continuava ad ardere gettando lapilli che brillavano come lucciole e poi si spegnevano sul pavimento.
“Tieniti pronta” le disse Newt assestandole una gomitata. “Non appena l’ashwinder si sarà generato, dobbiamo essere bravi a seguirlo per vedere dove deporrà le uova.”
“Ti rendi conto che in un luogo incasinato come questo sarà come cercare un ago in un pagliaio?”
“Lo sarebbe se io non avessi saltato la cena per tre giorni consecutivi in cerca di più informazioni possibile su questa creatura” spiegò lui cedendo a Leta il suo prezioso taccuino senza mai staccare gli occhi dal fuoco.
Leta lo sfogliò rapidamente; quando aveva tante cose per la testa e cercava di appuntarsele tutte Newt scriveva peggio di un troll, la sua calligrafia era a tratti illeggibile. In quel delirio di scarabocchi, frecce e pseudo disegni Leta riuscì ad individuare qualcosa che Newt aveva elencato per punti. 
Accucciata dietro la lamiera si sforzò di leggere il primo.
“Secondo alcune antiche credenze la nascita di un ashwinder è in realtà una fuga dal fuoco degli inferi, per questa ragione si pensa che la creatura tenda ad allontanarsi il più possibile dalle fonti di calore e cerchi riparo in luoghi più freschi e umidi.”
“Aguamenti” Esclamò Newt puntando la bacchetta verso il tappeto le cui frange avevano appena preso fuoco a causa dell’ennesimo lapillo che era sfuggito alla bocca del camino.
Leta abbassò nuovamente il capo e continuo a leggere.
“Un magizoologo di origine asiatica che ha studiato e tentato di allevare gli ashwinder nella Cina sudorientale sostiene che essi siano in grado di fiutare le correnti d’aria e di sfruttarle per abbassare la loro temperatura corporea che appena generati dalle fiamme sfiora gli ottanta gradi centigradi.”
“Cosa diavolo hai scritto al punto tre?” domandò Leta che non riusciva più ad interpretare la grafia del ragazzo.
“Tre diverse fonti riportano che l’ashwinder sembra essere attratto dal veleno di billywig, pare che contenga una sostanza in grado di fortificare il guscio delle loro uova.” Recitò il tassorosso a memoria.
“Ecco, ecco, ci siamo!” Con quelle parole Newt strattonò l’amica in preda all’eccitazione e la costrinse a guardare in direzione del camino, dove una creatura verde pallido stava strisciando fuori dalle fiamme che sembravano ormai sul punto di esaurirsi.
“Guarda, guarda, procede per torsione laterale, ci avrei scommesso!”
“Che cosa?” Nonostante avrebbe dovuto concentrare la sua attenzione sull’ashwinder, Leta non poté fare a meno di spostare lo sguardo su Newt, lo fissava come se fosse completamente matto.
“Che c’è?” borbottò lui dedicandole un’occhiata che durò meno di una frazione di secondo.
“Cosa stai dicendo?”
“Sto osservando il modo in cui si sposta” spiegò Newt come se fosse più che evidente, “esistono quattro modi differenti secondo cui le creature con l’aspetto di un serpente tendono a spostarsi, in modo rettilineo, a fisarmonica, per torsione laterale e…” Newt stava contando sulla punta delle dita.
“Ok, ok, ma adesso cosa facciamo?”
“Controlliamo se i miei studi sono serviti a qualcosa… vieni!” E così dicendo prese Leta per mano e con lei al suo fianco sgattaiolò furtivo dietro le scaffalature vicine e poi dietro ad una pila di vecchie casse.
Leta aveva rinunciato a capire cosa passava per la testa di Newt e si limitava a seguire ogni suo movimento senza porre domande.
“Ho creato il nido perfetto” si vantò Newt spiando il serpente strisciare sul pavimento su cui lasciava una marcatissima scia di cenere.
“Wow, se fossi un ashwinder ti sposerei” lo canzonò la serpeverde strappandogli un sorriso.
“Sì, sì, prendimi pure in giro intanto guarda un po’ lì!” fece il ragazzo tirando ancora più a sé l’amica per mostrarle che la creatura stava andando esattamente dove lui l’aspettava.
Leta osservò l’ashwinder precedere oltre il loro nascondiglio e strisciare fino ad un ammasso di terra umida che Newt aveva posizionato stile vulcano all’estremità opposta della stanza, quella più lontana dal fuoco, poco più in alto un vecchio ventilatore creava una leggera brezza.
“Nella terra ho aggiunto un concime particolare che ho creato tritando i pungiglioni secchi di billywig” spiegò Newt orgoglioso.
“E dove hai preso dei pungiglioni di billywig?”
“Meglio che tu non lo sappia”
“Il nido perfetto eh?” fece Leta osservando la creatura acciambellarsi in cima alla montagna di terra e godersi l’aria del ventilatore.
“Nessuna creatura può resistere ai miei nidi” scherzò Newt passandosi una mano tra i capelli arruffati.
“A proposito di nidi… mi piace quello che hai creato per noi” ammise Leta, le gote leggermente arrossate.
Newt si sentì avvampare.
“Non credi che ora abbia bisogno di un po’ di privacy?” domandò lei cingendogli un braccio e posandogli la testa sulla spalla.
“Ma sta deponendo le uova…” replicò lui con il cuore che martellava nel petto e la salivazione completamente azzerata.
“Appunto”
“Io, io devo…” balbettò il ragazzo incerto, “…segnare quanto tempo… e se il corpo dovesse mutare colore come alcuni sostengono allora…”
“Newt” l’azzittì lei premendogli un dito sulle labbra, “gradirei una tazza di tè”
“tè” fece Newt un po’ sconvolto, “non è l’ora del tè” protestò lui voltandosi ancora una volta a guardare l’ashwinder mentre Leta lo trascinava verso il camino.
“Solo le persone ordinarie bevono il tè alle cinque, e fidati che qui non c’è niente e nessuno di ordinario.”
“Le persone ordinarie e gli inglesi” si affrettò a correggerla Newt.
“Dimentichi che io ho origini francesi” 
“Ma io non voglio il tè” si lagnò Newt che sembrava ancora troppo concentrato sull’ashwinder per prestare la giusta attenzione a Leta.
“Io lo desidero tanto invece” continuò lei trascinandolo davanti al camino e accendendo nuovamente il fuoco con la bacchetta.
“Quindi devo fare il tè?” chiese Newt confuso e un po’ affannato.
Lei non riuscì a trattenere una risata, la confusione di Newt era pari solo alla sua tenerezza.
“Perché ridi adesso? Mi stai prendendo in giro?”
“Mi stai facendo diventare matta” sorrise lei sedendosi a terra e appoggiandosi ad un pouf color senape, “sei incredibilmente bravo a farti desiderare Newt Scamander”
“Io… cosa, non mi sto facendo desiderare… e comunque dovrei andare a controllare se l’ashwinder ha fatto le…” così dicendo Newt fece per andarsene ma Leta fu più veloce; strattonò il tappeto sotto ai suoi piedi facendo franare l’amico a terra, lui si mise a sedere massaggiandosi la testa che aveva cozzato sonoramente contro il pavimento e senza che avesse il tempo di rendersene conto si trovò faccia a faccia con Leta che lo fissava ad un palmo dal suo naso.
Gli si avvicinò quanto bastava perché i loro nasi si toccassero, avvertì le sue gote colorarsi di un rosso vivace e soddisfatta di quel risultato sorrise a pochi centimetri dalle sue labbra.
Lui la guardava, finalmente concentrato al cento per cento su di lei, l’ashwinder e le sue uova sembravano ormai un lontano ricordo. Lo vide chiudere gli occhi in attesa di un bacio e quando si rese conto che non arrivava li riaprì e vide Leta che gli sorrideva.
“Non mi baci ma pretendi di essere baciato” scherzò lei felice di averlo finalmente messo davanti all’evidenza.
“Cosa?” prese tempo Newt.
“Non sarò io a baciarti questa volta”
Newt trattenne una risata nervosa e spostò lo sguardo di lato passandosi una mano tra i capelli, il cuore che martellava nel petto totalmente fuori controllo. Guardò nuovamente Leta e si fece più vicino, i suoi occhi scuri e profondi che brillavano alla luce del fuoco riflettendone ogni fiamma. Profumava di rosa. I loro nasi si toccarono di nuovo e in uno slancio d’audacia Newt colmò anche lo spazio che separava le loro labbra, al diavolo il battitore di serpeverde. Contrariamente a quanto aveva sempre fatto lui, Leta rispose immediatamente al suo bacio e poco dopo si abbandonò al suo abbraccio. Nel silenzio della stanza si udiva soltanto la legna che ardeva nel camino e di tanto in tanto il verso di qualche misteriosa creatura.
Passarono parecchi minuti prima che i due riprendessero rispettivamente possesso delle proprie labbra. Newt aveva i capelli più arruffati di prima, il fiato corto e il rossore delle gote che si estendeva fino alle orecchie. Dall’altra parte Leta non riusciva a smettere di sorridere. Vederlo così era impagabile, per certi versi quasi un privilegio e Merlino solo sapeva quanta fatica le era costata condurlo fino a quel momento.
“Leta uno, ashwinder zero” decretò la ragazza spazzando via l’imbarazzo con una risata.
Newt trasalì improvvisamente “le uova!” esclamò come se ricordasse solo in quel momento quale fosse il suo obiettivo iniziale.
Mentre correvano verso il nido una fiammata si alzò improvvisamente dal lato opposto della stanza e quando arrivarono trovarono solo una montagna di cenere.
“Cos’è stato?” fece Leta spaventata.
“L’ashwinder vive solo un’ora, si è appena incenerito… e io me lo sono perso” spiegò Newt con una punta di tristezza nella voce. 
Leta sospirò mentre il ragazzo, ora accucciato a fianco al nido, spostava delicatamente la cenere con la punta delle dita nella speranza di trovare almeno le uova.
“Ok, prometto di recuperare un’altra manciata di polvere volante se adesso lasci perdere quelle uova e torniamo di là” propose Leta mentre Newt portava alla luce due uova e le guardava come se fossero la cosa più preziosa del mondo.
Leta si schiarì la voce. “Hai sentito cosa ho detto?”
“Ma devo congelarle” si giustificò Newt come se ne andasse della sua stessa vita.
In risposta a quell’affermazione Leta lanciò un incantesimo che avvolse le uova in un fitto strato di ghiaccio. “Questo dovrebbe tenerle al fresco per un po’” dichiarò guardando soddisfatta il risultato del suo incantesimo.
Newt guardò compiaciuto le sue uova racchiuse nel guscio di ghiaccio e Leta ne approfitto per gettargli le braccia al collo e baciarlo di nuovo.
“Non mi è ancora chiara una cosa…” fece Newt tra un bacio e l’altro, “il tè lo volevi veramente oppure no?”
Leta diede un’occhiata all’orologio: erano le cinque in punto.



Angolo dell'autrice: grazie infinite a tutti voi che avete speso il vostro tempo per leggere fino a qui. Scrivere questa storia è stato per me molto divertente e stimolante. Tornare ad Hogwarts è sempre magico ma farlo con dei personaggi che non siano quelli della saga di Harry Potter (o per lo meno la maggior parte) è  stata una nuova sfida. Sono felice di aver dato spazio ad una ship che è stata finora poco sfruttata, io ci ho vistro grosse potenzialità e forse è stata in primis la mia curiosità e la mia voglia di saperne di più che ha originato questa FF. Grazie ancora a chiunque sia incappato in questa storia e un enorme grazie a chi vorrà farmi sapere la sua personale opinione con un commento o un messaggio privato. Vi abbraccio.

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