This is my kingdome come.

di Pachiderma Anarchico
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I morti non parlano. ***
Capitolo 2: *** "Kto volk?" Chi è il lupo? ***
Capitolo 3: *** Il Fuoco non muore mai. ***
Capitolo 4: *** Il carattere è il Destino. ***
Capitolo 5: *** Innocenza perduta. ***
Capitolo 6: *** Scommessa. (Pt.1) ***
Capitolo 7: *** Scommessa. (Pt.2) ***
Capitolo 8: *** Festa o Tempesta ***



Capitolo 1
*** I morti non parlano. ***


This is my kingdome come.

 




 

1. 

I morti non parlano.



 

 

-Sai cosa dice la leggenda, Vorkov?-

L'uomo di nome Vorkov osservò il ragazzo, in attesa. Non era famoso per la sua pazienza, ma aspettò comunque che il giovane prendesse posto dinnanzi a lui, concedendogli quei momenti di teatralità che gli piacevano tanto.
Doveva saperlo. 
Se le antiche voci fossero state vere, lui, sedici anni fa, aveva commesso l'errore più grande della sua vita.
Non che avesse potuto prevederlo, era chiaro. Doveva mostrarsi indulgente verso se stesso e l'aver sottovalutato i lupi che lui in persona aveva affamato e nutrito con l'odio e la forza. 
-Brooklyn, dimmi cosa sai.-
Il ragazzo sorrise appena di quella scintilla criptica e misteriosa che non abbandonava mai. Non sembrava triste, né felice o preoccupato. 
Afferrò tranquillamente una ciocca di capelli del colore del tramonto rigirandosela tra pollice e indice -una piccola forma maniacale di ossessione a cui non aveva mai rinunciato- e guardò l'uomo dritto negli occhi neri come il nulla.

So che il vento è più inclemente quando il ghiaccio è più spesso.
So che il fuoco vestito di bianco e il ghiaccio baciato dal fuoco s'incontreranno nella notte che precede il fulmine.
E l'Erede chiamerà a sé ali risorte dal Passato e la neve si tingerà non della porpora dei re, ma del sangue dei soldati;
allora i lupi ululeranno alla bufera, e la bufera risponderà. 
Zanne e artigli danzeranno nelle tempeste d'Inverno, richiamati da antiche voci d'azzurro. 

Vorkov ascoltò in silenzio, inchiodando al muro la preoccupazione come ali di una farfalla morta.
Il ticchettio continuo e rassicurante della pioggia banchettava sul mondo dormiente, e pareva dirgli di usare i mezzi che aveva, senza incertezza, senza remore.  
-Credi che siano loro?-
-Sai cosa credo.- rispose il ragazzo dagli occhi d'acqua. -Credo che nessuno potrà recarti danno, tu che hai le tre, sole armi degne di essere possedute: il potere, il controllo e la paura. Cosa potrà mai fare il bagliore di un fuoco nell'infinità delle tenebre? O una lieve brezza al cospetto della tempesta? O ancora… un fiocco di neve contro la luce del sole?- Brooklyn scosse la testa, sorridendo, questa volta apertamente. -Però… credo anche che sia molto meglio prevenire che curare. L'erbaccia va estirpata subito, prima che contagi le piante sane. Il cavallo indomito va eliminato prima che irrequieti i cavalli mansueti.-
L'uomo si sollevò, e la sua ombra oscurò una vistosa porzione del pavimento in pietra. Annuì, come a volersi liberare in fretta di una macchia sul muro, di una piccola discordanza di colore fra il bianco e l'avorio. 
-Manda qualcuno. Che li uccidano. Che li uccidano tutti.-

. . . 

 

La sensazione di essere seguito lo assalì di colpo, assestandogli un calcio in pieno petto. 
La luce dei lampioni di Toronto brillava nostalgica sulla stradina d'asfalto, illuminando il respiro teso del ragazzo.
Nessuno era fra quelle strade a quell'ora della notte, nessuno lo avrebbe colpito alle spalle, a nessuno interessava avere rogne senza motivo. 
Lui lo sapeva.
Ma sapeva anche che la pelle dei muscoli si era improvvisamente tirata e i sensi in allerta captavano i sussurri del vento.
Continuò a camminare, testardo, razionale.
Nessuno ti segue… nessuno ti segue…
La busta della spesa gli sbatacchiava contro la coscia mentre la luna dominava con la sua cenere d'argento le onde del mare.
Il ragazzo non la guardò nemmeno.
S'inoltrò in un vicolo, testa bassa e passo veloce, sognando ad occhi aperti il cuscino sul quale avrebbe adagiato la testa dolorante
della musica del locale in cui lavorava. 
Fu allora che accadde. 
Una presa sul viso, un urlo: "occhi di ghiaccio", e il ragazzo scattò, come se non avesse aspettato altro. 
L'uomo si ritrovò a terra in pochi secondi.
Lo stomaco del giovane si contrasse, ma caricò il secondo e il terzo pugno verso gli altri due con una spontaneità inquietante.
Erano passati sei anni dall'ultima volta che quel tipo di adrenalina gli aveva incendiato le vene, ma quella notte, in una stradina sperduta nel cuore di una delle più popolose metropoli del mondo, sembrò non essere passato neanche un giorno. 
Erano sei anni, ma sarebbero potuti essere stati dieci, venti, mille, il suo corpo evitava i colpi come se li prevedesse e i riflessi erano squali affamati in un mare di sangue.
Una ciocca di lisci capelli neri gli ricadde sul viso mentre i tre uomini cercavano di rialzarsi. 
Uno, due, tre sputarono nel buio, provarono a varcare le sue difese. 
Impossibile. 
Quel ragazzo aveva lo sguardo stranito dell'animale braccato e la luce perversa del predatore.
Quella notte, sulle nocche di Yuriy Ivanov, il sangue ebbe l'odore del passato.

 

. . .

 

Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto. 
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve. 
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente. 
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto. 
Ma non lui. 
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta. 
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo. 
Sospirò e passò le mani tra i capelli corvini, dimenticandosi che in altri tempi e in altri luoghi erano stati di un altro colore, dimenticando che sei anni prima non sarebbe bastata un'emicrania a farlo impazzire.
Presenza. 
La presenza di qualcun altro in casa. Alle sue spalle. 
Afferrò il primo coltello che gli capitò a tiro con la consapevolezza istantanea che la lama non era abbastanza affilata, che avrebbe dovuto spingere nella carne, che avrebbe sporcato tutto il pavimento, che l'intruso deviò il suo colpo con una prontezza inaspettata, ma non per Yuriy, che con un salto gli si gettò contro facendolo sbattere allo spigolo del tavolo. Gli puntò il coltello alla gola e…
-Merda Yuriy! Non ti sei dimenticato vedo.-
Yuriy quasi non barcollò al suono di quella voce, e le parole gli uscirono di bocca prima che la mente se ne rendesse conto.
-Serjei, fottuto bestione che non sei altro!!- 
Buttò il coltello nel lavello e lo fulminò con lo sguardo. 
-Che cazzo ci fai qui.-
-Questa domanda dovrei farla io visto come ci siamo lasciati l'ultima volta.-
Serjei si raddrizzò, massaggiandosi il fondoschiena dove era stato infilzato con il tavolo. 
-Mi sembrava di essere stato chiaro,- disse Yuriy con voce ferma, -io sono morto.-
-I morti non puntano coltelli da cucina alla gola delle persone.- ribatte il biondo, con la sua perenne sagoma di gelida compostezza. 
Yuriy sembrò vederci doppio dal nervosismo. -Sai benissimo cosa intendo.-
-Sì, e ricordo benissimo che ci incazzammo così tanto da non volerti rivedere mai più, ma eccomi qui Yuriy.- Serjey fece un passo avanti, il
tono improvvisamente serio. -Come ai vecchi tempi.-
-Le cose sono cambiate.- sibilò Yuriy.
-Certe cose non cambiano mai.- decretò Serjei. 
Si guardò intorno, cercando Yuriy fra gli angoli puliti di quell'appartamento, perlustrandolo con gli occhi alla ricerca di un dettaglio, un segno, una crepatura che suggerisse che lì ci viveva il suo ex capitano. Il lupo della steppa. 
Nulla. Non c'era nulla.
-Così è qui che vivi.-
-Serjei cosa vuoi.- ripeté Yuriy.
-Boris avrebbe detto che dovrebbero averti dato cinquanta gatti compresi nel pacchetto…-
-Serjei.-
Fu un suono basso, gutturale, cavernoso come un antro oscuro. 
Serjey si zittì all'istante, irrigidendosi, e la piccola ruga d'espressione che gli increspò un angolo delle labbra poteva essere un sorriso, e aveva il sapore della vittoria. 
-Lo sapevo. Lo sapevo che sei ancora tu. Pensi che basti tingere i capelli di nero, cambiare nazione e nome per cancellare chi sei? Ricordi come dicevamo un tempo?
"Proshloye nikogda ne prokhodit. Vy budete poseshchat', gde by vy ni nakhodilis'. On budet presledovat' vas, kak volk, on budet padat' na vas, kak yastreb, on utonet vas volnami kita, u nego budet ukus gadyuki."-
Yuriy sbattè le palpebre, le lunghe ciglia parevano voler sottolineare il suo disappunto perché quelle erano parole di quel bastardo, le sillabe sdrucciolevoli e melodiose che pronunciava quando voleva aizzarli, spingerli oltre i limiti, rompere ogni osso del corpo fino a decomporsi, per poi rinascere e ricostruirsi, pezzo per pezzo, pelle per pelle, occhio per occhio.
"Il passato non passa mai. Ti verrà a trovare, ovunque tu sia. Ti inseguirà come un lupo, piomberà su di te come un falco, ti affogherà con le onde della balena, avrà il morso della vipera."
-Non osare Serjei.- Yuriy lo guardò negli occhi. -Sai perché l'ho fatto.-
-Sì, lo so.- rispose l'altro, tradendo la malinconia tra i denti che sgusciò fuori come una traditrice. -E sono qui per questo. Vogliamo riprenderci Mosca. Vogliamo tornare a casa.-

Il "voi siete pazzi" di Yuriy giunse alle orecchie di Serjei come uno schiaffo. 
Tra tutti, quello che credeva non avrebbe avuto bisogno di persuasione era proprio Yuiriy, eppure stava incontrando una resistenza ferrea. Come un muro di ghiaccio.
-Come puoi lasciar perdere tutto?- Esordì il biondo, con la sensazione che ogni certezza gli si stesse sbriciolando tra le dita. -Come puoi arrenderti così? Proprio tu che porti le cicatrici più profonde, tu che sei stato sempre il primo su ogni campo di battaglia, vuoi far finta che non sia mai successo?-
-E' davvero così sbagliato Serjei?- Yuriy alzò la voce solo per sovrastare l'incredulità nella voce del suo ex compagno. -Voler fingere di essere un'altra persona? Qualcuno che non è mai stato ferito, che non ha mai sanguinato, qualcuno che non è costretto a fuggire dai ricordi?-
Serjei non era Boris, testardo e travolgente come un fiume in piena, concentrato su se stesso; lui capiva quanto doveva essergli costato quell'inizio, ricominciare, fuggire dalla sua terra come un ladro, nel cuore della notte, perché Vladimir Vorkov era tornato al comando, e lasciare che lo cacciassero dalla sua stessa città e nascondersi in una nuova realtà, senza adrenalina, pugni, armi e brividi. 
Normale e deliziosamente banale. 
Sì, Serjei capiva. -E ci riesci, Yuriy?- 
Ma questo non gli avrebbe impedito di infilare la lama e girarla nella ferita mai davvero guarita. Erano fatti così. 
-A dormire quattro ore consecutive senza che gli incubi ti facciano urlare nel cuscino? Riesci a guardarti allo specchio senza contare ogni cicatrice sotto ai vestiti? Riesci ad avvicinarti alle persone senza diffidenza e sospetto, ad interessarti ai loro stupidi discorsi su quanto sia ingiusta la vita, quando l'unico ostacolo che abbiano mai affrontato è stato essersi alzati dal letto con una sbronza?-
-Basta.-
-Riesci a vedere un'arma senza smontarla e rimontarla nella mente?-
-Ho detto: basta.-
Ma Serjei non si zittì, suo malgrado, perché non aveva detto abbastanza, perché per la prima volta non avrebbe ascoltato il suo capitano, non avrebbe ascoltato gli ordini, ma solo se stesso. 
-Riesci a fingere di non essere Yuriy Ivanov?-
-Yuriy Ivanov non esiste più.-
La voce con cui lo disse fu pacata, semplice, leggera. Tintinnante come un fiocco di neve troppo pesante per gli alberi da reggere. 
Serjei rimase lì a fissarlo, sgomento. 
-Boris aveva ragione… non so più chi sei.-
-No, infatti, non lo sapete. Non più. State cercando la persona sbagliata, non c'è più nessuno che possa interessarvi qui.-
Serjei era sul punto di esplodere. Ma Yuriy sapeva che non l'avrebbe mai fatto. In fin dei conti lo rispettava, e avrebbe rispettato
anche le sue scelte.
Gettò un pezzo di carta sul tavolo dinnanzi a lui, proprio sotto agli occhi del più giovane. 
-Prendi questo aereo domattina alle 9.00, se dovessi cambiare idea. Qualcuno che conosci vorrebbe parlarti, c'è qualcosa di molto più grande in ballo stavolta.-

. . .

 

"Non andrò. Non andrò… se lo possono scordare. Perché dovrei? Chi è Serjey per venire qui, da un giorno all'altro, e dirmi cosa devo o non devo fare? Il passato non si può cancellare… stronzate. Il passato è passato e nessuno lo riporterà indietro. Io non lo permetterò."
Yuriy se l'era ripetuto per tutta la notte, brancolando nel letto, calciando le lenzuola, dimenticandosi del sonno. Ne era fermamente, assolutamente, incontrovertibilmente convinto: non sarebbe andato, non avrebbe preso quell'aereo per chi sa dove soltanto perché le ceneri di un vecchio fuoco si erano ripresentate alla porta della sua nuova vita, bruciandone i cardini. Avrebbe cambiato nome un'altra volta, altre cento volte se necessario, sino a dimenticarsi quello con cui era nato. 
Stai mentendo. Bugiardo.
Ma se c'era una parte di lui che bramava l'oblio e la fuga, l'altra parte, la parte indomita, vendicativa, selvaggiamente orgogliosa, ululava come un lupo siberiano alla luna di ghiaccio, in attesa che il freddo vento del Nord tornasse a soffiare.
E poi, alle prime luci dell'alba, prese un borsone e, con gesti secchi e meccanici lo scaraventò sul letto e lo riempì dei vestiti e dello stretto indispensabile. 
Aveva intenzione di tornare presto, aveva intenzione di mandarli tutti al diavolo. 

 

. . .

 

Una lucida auto nera lo venne a prendere all'aeroporto. 
Non appena aveva messo piede a terra e aveva scorto il consueto trambusto addossarglisi sulla pelle, l'affettata lingua autoctona intrecciata a quelle esotiche di milioni di turisti e l'infinito labirinto di moderni grattacieli specchiati al di là delle immense vetrate, non aveva fatto altro che imprecare sottovoce, accompagnando all'insulto un nome: Kai. fottuto. Hiwatari.
Perché Tokyo e il volo di lusso, e la costosa macchina nera, e l'autista silenzioso e austero che, vestito da pinguino, si rifiutava di rivelargli dove fossero diretti, tutto quello trasudava "Hiwatari" da ogni poro.
"Eppure sono qui." pensòosservandosi le mani posate sulle cosce. "Nonostante gli anni, nonostante la promessa di sparire per sempre." 
Le sue mani non erano mai state così bianche. 
"Una volta ero più bravo a mantenere le promesse. Ma una volta mantenere le promesse significava restare in vita."
Lo sguardo limpido come il ghiaccio delle sorgenti rifletteva il bagliore del cielo.
Riconoscibili come poche cose, si poteva davvero svanire nel nulla con due occhi così?
-Signore, siamo arrivati.-
Il russo rifiutò categoricamente l'offerta dell'uomo di portargli il bagaglio, e con un atono "Ci penso io, grazie" liquidò lui e la sua aria pomposa, come qualsiasi cosa circondasse quelli lì.
Farlo volare in fretta e furia dall'altra parte del globo per ritrovarsi incastrato nella casa del vecchio, bastardo Hito. 
"Lo ammazzo, questa volta lo ammazzo. Prima il nipote e poi il nonno."
Si guardò attorno, restando immobile nell'atrio deserto. 
Un'enorme scalinata in legno pregiato conduceva ai piani superiori, abbelliti da balconcini a palloncino bordati d'oro e intagli nelle colonne; vetrate ad arco conducevano direttamente nell'immenso parco che circondava la villa, e sontuosi lampadari in oro e ottone gettavano l'ambiente in un freddo bagliore dorato.
Yuriy osservò attentamente il tappeto color porpora di foggia orientale sul quale aveva poggiato i piedi, poi il pavimento. 
Fece qualche passo avanti, quel tanto che bastò perché il borsone, gettato malamente a terra, finisse con un tonfo sul prezioso parquet. 
"Bene, non vieni? Vengo a stanarti io."
Spalancò porte, aprì finestre, fece scattare serrature e imprecò ogni cinque minuti d'orologio con la precisione di un pendolo, ma del padrone di casa neanche l'ombra. 
-Fanculo Kai, me ne vado.- mormorò, quando una strana musica si propagò nel corridoio con forza. 
Latina. 
Gli ci vollero poco meno di due secondi per realizzare che non avrebbe trovato il Signor Hiwatari fra le mura di quella stanza, ma tanto valeva accertarsi che ci fosse una qualsivoglia forma di vita in quella villa. 
Abbassò la maniglia e la melodia si fece più intensa, travolgendo l'aria. 
Spinse la porta. 
Sembrò che un fiume fosse stato fatto prigioniero e ballando cercasse di liberarsi. 
Yuriy non seppe mai se furono prima le flessuose gambe color della sabbia a catturare la sua attenzione, i piedi nudi che si muovevano veloci seguendo il ritmo come farfalle di bronzo, le piroette morbide che sollevavano il vestito sottile, o la testa abbandonata alle cadenze della musica, gettata all'indietro, come a perdersi nel suono della canción.
I lunghi capelli di miele le sfioravano il fondoschiena in onde disordinate, che lei contribuiva a scompigliare passandoci le mani attraverso. 
Yuriy, fermo come una statua di sale, impassibile come solo lui poteva, lasciò che le pupille si stringessero sulla libertà spontanea che bagnava il collo della ragazza in minuscole gocce di sudore, come cosparso di brillantini. 
Come il deserto bagnato dal sole. 
Nessuno lo avrebbe notato, ma Yuriy aveva stretto impercettibilmente le dita attorno la maniglia, quando la ragazza, fermando la sua danza impetuosa, si accorse di lui e si voltò, rivelando due occhi verdi come le foglie d'Estate. 
Una vivace luce di bambina le si posò sulle labbra sorridenti.
Il cantante diceva cose che il russo non capiva, ma ebbe l'impressione che parlasse di caldo, e mare, e spiagge assolate a ridosso dell'azzurro, perché tutto quello che si avvertiva di quella ragazza trasmetteva luce, calore e sudore che si attaccava alla pelle. 
E Yuriy iniziò ad irritarsi dinnanzi al suono incomprensibile quella lingua piena di "s" e fonemi che scivolavano sulla lingua di lei mentre ne ripeteva le parole, continuando a muoversi, e a guardarlo per quelli che parvero giorni, forse anni. 

Una vez más no por favor que estoy cansada y no puedo con el corazón. 
Una vez más no mi amor por favor, 
no grites que los niños duermen. 

Voy a volverme como el fuego 
voy a quemar tu puño de acero 
y del morao de mis mejillas saldrá el valor 
para cobrarme las heridas. 
Malo, malo, malo eres 
no se daña quien se quiere, no 
tonto, tonto, tonto eres 
no te pienses mejor que las mujeres 
Malo, malo, malo eres 
no se daña quien se quiere, no 
tonto, tonto, tonto eres 
no te pienses mejor que las mujeres.. *

 

La canzone finì e la ragazza si portò le mani tra i capelli un'altra volta, senza distogliere gli occhi dal volto del russo.
-Hola.- disse, continuando a sorridere.
-Priviet.-
-Yo soy Julia Fernandez.-
-Menya zovut Yuriy Ivanov.-
-Hahaha!- la spagnola si alzò i capelli in una coda scomposta, sollevandoli dal collo. -Non capisco.-
-Beh, neanche io.-
-Ma mi hai risposto.-
-Solitamente quando due persone si incontrano si presentano, o nel mondo del sol funziona diversamente?-
-Beh- iniziò lei, imitando il tono asciutto della voce con cui Yuriy aveva parlato poco prima, -io non vedo nessun Yuriy in questa stanza.-
Yuriy assottigliò lo sguardo, ma non con quella scintilla aggressiva che avrebbe sfoggiato un tempo in risposta a tutto e tutti e che sapeva d'Inferno; era piuttosto al confine tra il perplesso e il disinteressato.
-Quindi anche tu mi hai capito.-
-Ho sentito che hai detto "Yuriy", ma non lo vedo qui intorno. Yuriy Ivanov ha i capelli rossi. Anzi- Yulia gli passò accanto, ammiccando, -rosso fuoco.-
La madrilena si sforzò di assecondare quel suo cipiglio freddo e distante, ma era difficile farlo quando la sua indole espansiva ed esuberante avrebbe voluto soltanto far ripartire la musica e sentirsi quei suoi occhi da predatore addosso. 
Le piaceva attirare l'attenzione ed era maledettamente brava nel farlo, non si sarebbe certo lasciata intimorire da due occhi azzurri qualunque. 
-Yuriy ha cambiato colore di capelli.- disse lui, ferreo.
-Strano, Yuriy non mi sembrava tipo da tinte ai capelli.-
-Le cose cambiano.- 
Le diede le spalle, mostrando apertamente che la conversazione era finita. Si incamminò nel lungo corridoio, seccato da Kai e dalle sue celebri sparizioni. Non avrebbe ammesso repliche. 
Ma Julia era una variante nel sistema, un'incognita nel codice, e replicò. 
La voce limpida della spagnola gli sbatte alle spalle, dispettosa e perfetta
-Certe cose non cambiano mai, querido.-
Il russo non fece cenno di aver sentito, nonostante le sue parole gli scavarono dentro come macigni, trascinandolo sul fondo di un abisso del quale non voleva vedere il fondo. Ma prima che potesse anche solo immergersi in quel lago oscuro al di sotto del suo cuore, la madrilena l'aveva preso per mano e lo trascinava su per le scale e attraverso il lusso degli Hiwatari, leggera sui piedi nudi quanto lui era pesante con gli anfibi.
Quando si fermò, piantandosi improvvisamente a terra, Yuriy ritrasse bruscamente la mano dalla sua. La spagnola se ne accorse dal modo in cui si le linee dei bicipiti divennero più visibili attraverso la felpa, e di come le clavicole si delinearono dal collo della maglietta.
-Ti stai prendendo un po' troppe confidenze, querida.-
Non vi era traccia d'ironia nella sua voce, neanche in quel "tesoro" con cui la stava beffeggiando. 
La spagnola allora fece un passo indietro, scosse la lunga chioma di capelli e aprì una grande porta a due battenti. Yuriy fece per entrare, ma lei gli scivolò accanto con un movimento veloce del bacino e gli passò davanti, precedendolo dispettosamente nella sala da pranzo.
-Il lupo della steppa è qui.- annunciò con leggerezza mentre si dirigeva verso il posto libero di fronte ad una bottiglia di vino rosso. 
Una presa ferrea la afferrò dal braccio, trattenendola. 
Le dita di Yuriy le si strinsero tra polso e gomito prima che anche lui potesse volerlo. 
-Come mi hai chiamato?- sussurrò. 
Julia avvertiva la pressione salda della mano del russo. 
Notò che sarebbe stato impossibile liberarsene, ma che non le faceva male. E notò anche, con un brivido, che il calore della pelle di Yuriy a contatto con la sua era troppo intensa attraverso la stoffa sottile della manica, troppo leggera per qualcuno che ha il ghiaccio nelle ossa. 
Lo guardò, e come se niente fosse rispose: "Sei chiamato in tanti modi Yuriy Ivanov. Io ho solo scelto quello che mi piace di più."
Mentre si sedeva lo osservò di sottecchi. Era incuriosita dal suo modo di fare, da come dissimulò la sorpresa per quell'appellativo risorto dal passato in un tempo che per chiunque altro sarebbe stato impossibile, ma non per lui, che tornò alla sua facciata impassibile come si torna da una vecchia amante.
Nel frattempo il russo aveva adocchiato Kai. I suoi occhi si erano accesi di un bagliore sinistro non appena aveva posato lo sguardo sul più piccolo della discendenza Hiwatari, e sull'ultimo degli eredi di una delle più facoltose società al mondo. 
Julia non era stupida e, soprattutto, non era cieca. Aveva notato, da come Yuriy si era avvicinato all'altro e lo aveva messo alle strette con domande minacciose che somigliavano più ai sibili di una vipera inferocita piuttosto che alla voce di un essere umano un tantinoalterato, che neanche il superbo, distaccato, arrogante Kai Hiwatari sarebbe uscito indenne dal terzo grado di quell'inquietante sovietico. 
La spagnola accavallò le belle gambe e si fece schioccare le dita delle mani, godendosi la scena sulla sua poltrona preferita del salotto della villa. 
Non conosceva Yuriy e non poteva certo dire di conoscere Kai, ma aveva combattuto contro il russo durante i campionati del mondo di Beyblade di sei anni prima, e suo fratello aveva fatto lo stesso con il nippo-russo, ed entrambi avevano concordato sulle medesime considerazioni: quei due parevano essere nati dalla stessa pianta, sembravano treni in corsa che correvano sullo stesso binario, due gocce di pioggia della stessa nuvola, ma la realtà era un'altra. In comune non avevano altro che la freddezza, l'autocontrollo, la determinazione e la certezza di possedere i denti più appuntini, niente più. 
Simili come possono esserlo ghiaccio e fuoco. 
Eppure qualcos altro in comune dovevano averla… qualcosa che condividevano insieme e che custodivano gelosamente nei recessi di quegli sguardi affilati e nei modi distanti. 
L'aveva capito allora e lo vedeva anche adesso, seduta lì, a sorridere impercettibilmente mentre quei due si sfilettavano in russo chi sa quali belle parole, che nell'occhio del ciclone si sarebbero sempre cercati a vicenda.
E sorrideva perché, por Dios!, era chiaro come il sole che stessero parlando di lei.
-Teper' vy ob"yasnite mne, chto ona zdes' delayet.-
-Ona vas bespokoit?-
-Yesli vy tak bespokoite menya. Vy so svoim vozdukhom, chtoby uznat' obo mne obo mne, chto ya khotel by uznat' sam, yesli vy ne..-
-Discùlpeme…- s'intromise la ragazza, alzando una mano. -Ma vorrei capire ciò che dite quando parlate di me, se non vi dispiace.- 
Kai accennò un sorriso alzando una mano verso il russo.
-Yuriy vuole sapere che cosa ci fai qui, e cosa sta succedendo.-
-Ah, quel fiume di parole funeste era solo questo?- ridacchiò la madrilena. -Caliente, riesce sempre a far sembrare tutto una dichiarazione di guerra?-
-Il più delle volte.-
Julia allora si alzò e, ignorando bellamente la seconda questione, disse, senza smettere di adocchiare Yuriy: -Perchè vuole sapere cosa ci faccio qui? E' geloso forse?- 
Yuriy, se possibile, si irritò ancor di più. Lo avevano fatto arrivare in fretta e furia per assistere al pietoso spettacolino di Kai e della sua… beh, qualsiasi cosa fosse la Fernandez per lui. 
Cosa era saltato in mente a Serjei? Erano diventati tutti pazzi o stavano giocando con la sua già labile sanità mentale?
-Senza offesa Fernandez, ma non me ne frega un accidenti di quello che tu e Hiwatari fate sotto le lenzuola, io voglio sapere cosa ci faccio qui e perché ancora non vi abbia mandato a quel paese e, soprattutto, voglio saperlo ora, prima che decida di averne abbastanza e inizi a prenderla sul personale.-
Julia alzò le mani con un cipiglio ironico stampato in volto, indietreggiando. -Hai una capacità di linguaggio notevole. Ma, se proprio lo vuoi sapere, io sono qui porque, evidentemente, devo esserci, e non porque mi faccio Kai ce-l'ho-di-platino Hiwatari.- Kai spalancò gli occhi e cercò di trovare un varco per inserirsi nella parlata determinata della spagnola, ma ella continuò come un pezzo di piombo in caduta libera. -Pensavo che lui fosse il re degli stronzi strafottenti ma tu gli fai una degna concorrenza per la corona, Ivanov. E poi- si scostò la lunga chioma di capelli dalle spalle, avviandosi verso l'uscita come se qualcuno l'avesse appena chiamata per incoronare lei regina dell'universo, -ci sono anche Ralph Jürgens e Andrew McGregor in giro, mi hanno detto che sono tuoi grandi amici, querido.-
Seppe di aver fatto centro ancor prima di essersi chiusa la porta alle spalle. Yuriy aveva spalancato gli occhi e si era avvicinato a Kai come se avesse voluto strangolarlo. 
Probabilmente ci sarebbe riuscito.

 

. . .

 

Un'ora dopo e tre bottiglie di Vodka alla pesca in meno, Kai Hiwatari era riuscito a spiegare ad uno spazientito, nervoso e stanco Yuriy Ivanov la situazione senza che questi cercasse di buttarlo nel camino… una seconda volta.
Sprofondati nei cuscini delle poltrone che il giovane Hiwatari faceva sprimacciare ogni settimana e bagnati dalla luce rovente delle fiamme, non avevano altro che il crepitio del fuoco ad origliare quella che sembrava l'alba di una nuova era.
-Tu mi stai dicendo… che potremmo riuscire a controllare il ghiaccio e il fuoco? E che Takao potrebbe ritrovarsi un drago a scorrazzare per casa e tu un'aquila o una Fenice o quel che è in giardino?-
-In linea di massima… sì.-
Il russo si passò le mani sul viso, sospirando e soffocando il respiro in una mano. Scosse la testa.
-Ripeto: voi siete pazzi.-
-Hilary e Kappa sono stati pedinati da due tizi con un cappuccio tre giorni fa, probabilmente per ricavare informazioni su Takao. Rei è in Cina ed è ossessionato dall'idea che possano far del male a Mao a causa sua, perché nel villaggio stanno accadendo strane cose e tu, in Canada, vieni assalito da tre energumeni, e tutto accade quasi nello stesso momento. Non credi che stiano tentando di ucciderci?-
Yuriy sbuffò, al limite del sarcasmo non offensivo. -Ma davvero?-
-E tu sai anche chi.-
Il russo chiuse gli occhi e lentamente si morse il labbro inferiore. 
E il passato gli si ripresentò davanti in tutto il suo mortale pallore, danzando sulle note di un destino già scritto. Si costrinse a mantenersi saldo, a razionalizzare le parole dell'ex-compagno di squadra, parole che rimbombavano assordanti negli spazi vuoti della sua anima.
-Perchè?-
Kai si sta sbagliando.
-Perchè ci considera una minaccia alla sua ritrovata supremazia su Mosca.-
Yuriy si portò la bottiglia alle labbra come se ne fosse dipesa la sua vita. Si sentiva opprimere, schiacciare dalle ombre che, dagli angoli più polverosi, stavano marciando inesorabili al centro della stanza. 
-Sono scappato, siamo scappati, gli ho lasciato carta bianca, ho cambiato paese, città e nome, ho chiuso Wolborg in un cassetto e non ho più parlato russo per sei anni..-
-Non è abbastanza.- lo interruppe Kai, sedendosi meglio sulla poltrona e continuando ad osservarlo, con quella pelle bianca come la neve e i lisci capelli corvini gettati indietro. 
Erano passati anni dall'ultima volta che l'aveva visto, ma ricordava perfettamente il leader della Borg prima e della Neoborg dopo come se ce l'avesse avuto accanto per tutto quel tempo. Ci aveva combattuto contro, ci aveva combattuto assieme e conosceva bene la sua innaturale resistenza e l'incredibile tenacia fiera. Eppure mai avrebbe pensato che, a distanza di anni, se lo sarebbe ritrovato di fronte esattamente come prima, a rispolverare il passato e ad aprire cassetti chiusi da tempo. Poteva avvertire le serrature arrugginite dei ricordi di Yuriy scricchiolare, restii ad aprirsi. 
"Ma è davvero come prima?"
Quanto erano cambiati in quei sei anni? Kai conosceva realmente il ragazzo seduto nel suo lussuoso soggiorno a ingurgitare Vodka come fosse stata acqua fresca? 
Sembrava lui, Yuriy, nonostante il tempo avesse reso il suo corpo più adulto e i tratti del viso più maturi, nonostante i celebri capelli color del fuoco non facessero più parte di quel quadro che avevano caratterizzato per così tanto tempo, scalzati da ciocche d'ebano che non gli carezzavano più gli zigomi alti. 
Adesso, i capelli gli lasciavano completamente scoperta la fronte, donando al suo viso un'aria più giovane e più anonima.
"Per quanto possa sembrare anonimo uno con l'Inverno incastonato fra le palpebre e la pelle di neve," pensò Kai, ma era come se mancasse qualcosa. 
Come un dipinto incompleto, quella particolare sfumatura degli occhi era più vivida, ma meno tagliente. 
Erano come ghiaccio baciato dal sole, e Kai si trovò a pensare che il sole, in quel dipinto, non c'entrava proprio niente.
-E' stato mio nonno a parlarmi della leggenda, e questa è probabilmente l'unica cosa decente che abbia mai fatto nella sua vita. Oltre a mio padre, che ha contribuito a fare me, ovvio. Diciamo che questa è la seconda cosa decente che abbia mai fatto.-
-Dranzer ti ha preso in testa ultimamente?- sbottò, scettico. -Io, io Kai, dovrei fidarmi delle parole di Hito Hiwatari?!-
-No Yuriy, dannazione, devi fidarti di me.-
Nella stanza calò il silenzio. 
Come una coltre gelida si posò sui mobili, sul calore, sui loro visi, avvolgendo ogni cosa. La penombra si tinse dei colori del fuoco. 
Kai sapeva che Yuriy non lo avrebbe fatto, ma quando lo vide scuotere la testa, Dio! non l'avrebbe mai ammesso, fece male lo stesso.
-Ascoltami. Mio nonno è egoista, arrivista ed è un vecchio bastardo megalomane, ma questa volta è diverso. E' rimasto in silenzio per tutto questo tempo perché non era sicuro riguardasse noi, ma alla luce dei fatti deve aver capito che, in effetti, Vorkov potrebbe aver ragione.- Kai si versò una considerevole dose di Vodka, facendola girare nel bicchiere con un movimento pigro del polso. 
-Sono riuscito ad ottenere ulteriori informazioni grazie a Ralph ed Andrew. Le loro famiglie sono molto antiche, hanno a che fare con i Bit Power da molto tempo e si sono messi in contatto con alcuni… conoscitori di questi vecchi miti. Questi conoscitori vengono chiamati "Memori", perché a loro viene tramandato il sapere degli antichi sulle creature dei bey e sempre loro possiedono la facoltà di vedere cose che gli altri non vedono. Ma questa è una storia che Ralph riesce a rendere molto più interessante di me con quel suo tono da "so-tutto-io". Quello che voglio farti capire è che..-
-Tu credi che siamo noi, non è così?- Yuriy guardava dritto Kai in faccia, senza se e senza ma. Senza ironia o sarcasmo. Impassibile come una maschera senza volto.
Preludio di tempesta.
-Sì, lo credo.- Kai sostenne il suo sguardo, ancora e ancora. 
-Perchè sei un egocentrico del cazzo, ecco perché!- sbottò Yuriy, sbattendo la bottiglia sul tavolino. -Sono stronzate in cui tu vuoi credere perché ti piacerebbe tanto avere quel potere!-
-Vorkov ha cercato di ucciderti per queste stronzate!- Kai raddrizzò la schiena.
-Vorkov si sbaglia.- Il lupo ringhiò, e fu un ringhio basso e rauco, un suono ruvido a metà fra la calma e l'apocalisse. 
-E se invece avesse ragione?- mormorò Kai, specchiandosi nell'azzurro dei suoi occhi. -Pensaci Yuriy, pensaci. Ti ho visto prevedere una bufera di neve una volta.-
-Una bufera di neve in Russia, sai che grande scoperta.-
-Ci è capitato in passato di riuscire a fare cose diverse, cose che gli altri blader neanche si sarebbero sognati di fare. Io, tu, Takao, Rei e chi sa chi altro. Sai cosa mi ha detto Hitoshi?- disse, continuando a guardarlo. Yuriy notò che il porpora nei suoi occhi era denso come liquore. -Mi ha detto che lui ci guarda e vede occhi di fuoco e di ghiaccio, capelli rossi e d'argento… io non ho mai tinto i miei capelli, Yuriy. Il blu è tinta, ma non l'argento, e non lo sa nessuno. E ha detto che persino la nostra personalità ricorda l'Elemento e l'Animale Sacro che custodiamo. E quel pezzo di merda di Vladimir Vorkov la pensa come noi, altrimenti non si sarebbe scomodato a toglierci di mezzo. Voleva spazzarci via prima che venissimo a conoscenza di tutto questo. L'abbiamo battuto per un soffio.-
-Non lo batterete mai.- un sussurro.
-Come?-
-Ho detto- e questa volta Yuriy alzò la voce, -che non lo batterete mai. Non lo capite? Ci troverà, sempre e ovunque, ogni suo capriccio significa lotta, fuga, sparizione. Ci perseguiterà fino alla fine dei nostri giorni.-
-E' per questo che dobbiamo combattere.- Kai poggiò il palmo delle mani sul legno del tavolo, sporgendosi in avanti. -Perchè ha trovato Takao, ha trovato me, ha trovato Rei in Cina e ha trovato te in Canada, con un'identità diversa e sei anni di fottuto silenzio. Anche se tu non ci credi, lui invece la pensa diversamente e farà tutto ciò che è in suo potere per distruggerci.- Kai fece una pausa, soppesando le parole che avrebbe detto per la prima volta nella sua vita. 
No, decisamente non erano gli stessi ragazzi di un tempo, e nonostante l'incessante ambizione che gli faceva prudere le mani e il desiderio di spingersi di più, sempre di più oltre ogni limite, non era per il potere di controllare il fuoco, o per la Fenice, o per qualsiasi altro motivo che avrebbe spinto il Kai Hiwatari di una vita fa ad accettare la sfida e incoccare la freccia. 
-Inoltre...- sospirò. -Io non ho alcuna intenzione di vivere nascosto per il resto della mia vita, sperando che Vorkov smetta di tormentarmi per un qualcosa che ho avuto troppa paura di controllare. Se è fuoco che dovrò essere, fuoco sarò.-
La porta si aprì e un'ombra gigante oscurò la luce proveniente dal camino. 
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato. 
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti. 
-…Non starete dicendo sul serio.-
-In realtà è già in atto.- Serjei lanciò un'occhiata al giovane Hiwatari, poi continuò. -Sai com'è Ivan..- 
-Non riesce a farsi i cazzi suoi?- suggerì Kai, ridacchiando poi della sua stessa strabiliante sagacia. 
-Esattamente, e grazie a degli informatori è venuto a conoscenza di questa rivoluzione che cova sotto la cenere. E' pronta ad esplodere Yuriy, Vorkov è al potere da troppo tempo, ha messo le mani dovunque, tra i vicoli, nelle strade… non si può più parlare, ci sono pericoli ovunque, e non detiene più soltanto il monopolio del beyblade in Russia, ma controlla i blader più promettenti in ogni angolo del globo grazie alle sue spie. Chiunque mostri un briciolo di talento in più, chiunque possieda un Animale Sacro più forte, o chiunque possa diventare un buon soldato finisce al Monastero, svanendo nel nulla e ricomparendo anni dopo più potente, più spietato e al servizio di quel bastardo. Siamo in pericolo e lo siamo tutti, ma anche nel suo sistema apparentemente inespugnabile iniziano ad aprirsi delle crepe… noi vogliamo entrare da lì.-
Yuriy aveva ascoltato tutto quel bel discorso ridondante con una mano spalmata sulla fronte e l'avambraccio sinistro accartocciato sul bracciolo, annuendo di tanto in tanto giusto per far intendere all'altro che lo stava sentendo. 
Da quando Serjei parlava di sommosse e insurrezioni? Da quando non era più lui a guidare i passi della disobbedienza? Chi erano diventati senza di lui, e chi era diventato lui senza di loro?
-Perchè dovremmo riuscire a far crollare un sistema che va avanti da anni?- chiese, arrendendosi all'evidenza che quei due non si sarebbero fermati.
Fu a quel punto che Kai e Serjei si guardarono davvero, senza colpi d'occhio furtivi o sguardi sfuggenti, ma apertamente, preoccupati e frementi allo stesso tempo. Yury poté scorgere le mani di Kai artigliare i braccioli della poltrona per spingersi più avanti e sedersi proprio sulla punta del cuscino. Serjei dal canto suo, stette a guardare, e sperò che il tuono avrebbe ceduto il posto ad un velo di leggera pioggia. 
-Perchè ti seguirebbero, Yuriy. Se mostrerai la tua forza, loro si fideranno di te. L'hai sfidato una volta, sono certi che tu possa farlo di nuovo. Sono disposti a morire, ma solo se sarà il Figlio della Neve a guidarli. Tu, Yuriy.-
Serjei ricordò proprio in quell'attimo -fra lo spegnersi della voce di Kai e l'inizio di quella di Yuriy- il perché non osava mai essere ottimista quando si trattava del suo ex capitano. 
Perché Yuriy non era pioggia leggera e non lo sarebbe mai stato. 
Yuriy era sangue e cicatrici, pesante come una valanga di neve e rancore, corrosivo come acido sulla pelle e la pioggia, lieve, rinfrescante, innocua non sarebbe mai stata abbastanza per chi aveva il sangue nelle vene che correva al ritmo dei venti del Nord.
Si alzò con uno scatto furibondo, spingendo indietro la poltrona di qualche metro, e si diresse a passo di marcia verso la porta. Non appena Kai emise un flebile respiro, segno che stava per parlare di nuovo, si voltò, fulminandolo con due occhi di pura ferocia e inchiodandolo lì dov'era. 
Serjei non aveva mai visto Kai Hiwatari rinunciare a dire ciò che pensava, rinunciare a rigirare coltelli nelle ferite già sanguinanti. 
Ma quella volta, a notte fonda, nel soggiorno della sua immensa dimora, Kai capì che se solo un'altra sillaba avesse lasciato la sua bocca liberandosi nell'aria aperta, si sarebbe trovato con la schiena a terra e Yuriy addosso, e non era certo che Serjei sarebbe riuscito a trattenerlo. 
Aveva visto personalmente di cosa era capace quando le emozioni, che rinchiudeva fra gabbie di ossa e muscoli dentro di lui, riuscivano a liberarsi, offuscandogli la ragione. Avrebbe fatto qualsiasi cosa. 
Yuriy Ivanov non perdeva mai il controllo, ma quando, per un ridicolo secondo esso abbassava il freno, il lupo mostrava i denti e il sangue schizzava dappertutto. 

. . . 

 

 

-Oddio! Che hai fatto?? Quasi non ti riconoscevo!-
Takao si mise una mano all'altezza del cuore, scimmiottando Olivier seduto poco più distante.
-Ho fatto all'uncinetto. Che significa "cosa hai fatto"? Ho cambiato colore di capelli. Ho fatto la muta come i serpenti.- rispose Yuriy versando il caffè in una tazza.
-Ah mai io l'ho riconosciuto benissimo.- sottolineò Ralph, diventato immobile come un gargoyle da quando il russo aveva varcato la soglia della stanza da pranzo. -Ha sempre quell'arroganza presuntuosa e il cinismo ferino di basso livello stampato in faccia.-
Yuriy per tutta risposta prese anche la caraffa con l'acqua calda. -Kai hai della camomilla?-
Daichi soffocò il sorriso nei cereali, cacciandosene un cucchiaio stracolmo in bocca. 
-L'ho finita tutta in questi giorni. Ultimamente ne sto facendo un uso spropositato, chi sa perché…- commentò Kai, con l'aria di uno che avrebbe preferito sotterrarsi per l'eternità. -E' per questo che ti ho fatto venire, sapevo che anche tu avresti apprezzato gli effetti benefici della camomilla..- e lanciò un'occhiata eloquente agli europei, per poi concentrarsi sul sedicenne dai capelli di rame seduto proprio alla sua destra. -Tu che ci fai ancora qui? Ti avevo detto "due notti, poi sloggia da Takao" ed è la quarta mattina che ti trovo seduto al mio tavolo ad ingozzarti di cereali.-
-Ehi! Se ospiti il francese ospiti anche me.- ribattè Daichi, svuotando il resto dei cereali nel latte. 
-Ha ragione sai.- disse Yuriy portandosi la tazza di caffè alle labbra e guardando Kai come se fosse tutta colpa sua.
Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo. 
Il russo guardò Serjei, che fino a quell'istante era rimasto in silenzio e in disparte a spalmare la marmellata di fichi su una fetta di pane tostato. 
Ma ignorare la pesantezza dello sguardo di Yuriy era sempre stato difficile, il biondo lo sapeva bene. Ti si attaccava addosso come uno spillo, stringeva la presa fino a soffocarti. 
Poi quando ci aggiungeva anche quel piccolo movimento, inclinando la testa di lato come in quel momento, c'era veramente poco da fare. 
-Sì, Ivan ha contattato Boris e gli ha comunicato il tuo messaggio e…-
Yuriy inarcò le sopracciglia. 
-E…?-
-E… Boris ha risposto affermando che non riconosce più alcuna autorità da parte tua, e che non farà quanto hai ordinato.- Serjei posò la fetta di pane, passandosi le dita fra i capelli. 
Julia, che che se n'era stata zitta e per conto suo almeno quanto Serjei, avvertì il cambiamento nell'aria ancor prima di vederlo, come se un vento da ponente avesse spazzato via l'intorpidimento mattutino per lasciare il posto all'allarme di una sirena. 
Serjei e Kai si scambiarono uno sguardo che la spagnola avrebbe definito grave, consapevoli di quel qualcosa che a lei sfuggiva; Gianni, l'italiano, e il francese Olivier tenevano il naso abbassato nel piatto e Andrew fece finta di trovare il suo tea estremamente interessante. 
Cosa diamine stava succedendo?
Perché la Primavera era stata spodestata così improvvisamente dal suo trono al suono di quella notizia?
E poi, finalmente, Julia capì. 
La Primavera, che lei tanto amava come una bimba ama la mattina di Natale, non avrebbe mai potuto vincere contro quegli strani russi e l'Inverno che si portavano dietro ovunque andassero, con le loro regole e quel passato che non avrebbe mai capito davvero. 
Non vi era Primavera in Yuriy quando Serjei smise di parlare, e non vi fu neanche quando posò lentamente la tazza sul tavolo e si passò il pollice sulle labbra, guardando davanti a sè.
-Serjei- chiese con calma, -dov'è Boris adesso?- 
Una calma estenuante.
-A Mosca.- 
-A Mosca?! Dove è più probabile che lo scoprano? Vuole morire?? Ma è impazzito! - esclamò Andrew, incapace di trattenersi oltre.
-Prenota il primo volo per Mosca.- riprese Ivanov, come se nessuno avesse parlato. -Quel figlio di puttana me lo dirà in faccia.-








* dal testo della canzone Malo (in spagnolo "Cattivo") della cantante spagnola Bebe 


NdASalve a tutti belli e brutti! (di certo non si riferisce a me NdKai)
Manco in questo fandom da molto tempo, ma è sempre nel mio cuoricino, e da qualche settimana sono ricomparsa e ho letto tutte le storie nuove e/o aggiornate, anche se non ne ho recensito nemmeno una perchè sono la regina indiscussa del procrastinaggio potente.
Noto con piacere che stiamo tornando, io (purtroppo per voi) sicuramente con questa perla di illuminazione che mi è balzata in mente alcuni giorni fa. 
Perdonate eventuali errori, di qualsiasi svista vi accorgiate potete avvisarmi tranquillamente (visto e considerato che scrivi in modo contorto che neanche l'inglese di Max NdKai).
Spero che questo primo capitolo non vi abbia terrorizzati (se non l'hanno fatto i capelli neri, NERI di Yuriy nostro non so cosa possa riuscirci NdBoris) e se così fosse, non aprite proprio il secondo capitolo, perchè tendo a divertirmi troppo con i nostri uomini (Daichi è compreso? NdTakao) (da quanto in qua Daichi è un uomo? NdHilary)

Grazie a tutti, e qualunque recensione, commento, insulto saranno ben accetti!

PS: all'inizio del prossimo capitolo vi farò vedere come mi immagino alcuni dei personaggi (se ricorda come inserire le immagini NdTakao) (casomai posso sempre chiedere al professor Kappa Ndme) 
(e tanti auguri di buone feste e felice anno nuovo! NdMax) (in alto i calici! NdBoris) (non aspettavi altro, vero? NdRei) 
 

Pachiderma Anarchico

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Capitolo 2
*** "Kto volk?" Chi è il lupo? ***


Ehilà! Eccomi qui con il secondo capitolo.
Spero sia di vostro gradimento e spero anche che non vi abbia fatto attendere troppo, anzi, vista e considerata la velocità dei miei soliti aggiornamenti (uno ogni volta che si scioglie un ghiacciaio) direi di essere stata anche piuttosto veloce!
No? No.
Bado alle ciance e ciance alle bando (ma se prima era "bando", ora perchè si ritrova senza una n?) sotto troverete le risposte alle vostre recensioni (grazie, grazie, grazie! e un sacco di grazie anche ai lettori silenziosi, a coloro i quali hanno messo la mia storia fra le ricordate, preferite e seguite) e le immagini\gif di come io m'immagino Yuriy (perchè prima Yuriy, scusa? NdKaieRei) (Perchè è il primo che ho trovato, su, non fate i gelosi, nel mio cuore c'è spazio per tutti. Tranne per la tinta dei capelli di Olivier, quella ve la tenete. NdIo).
P.S.: Perdonate eventuali errori di distrazione.
P.S.S.: Tutte le frasi e le parole straniere che non ho tradotto o di cui non ho fatto capire il senso son lasciate lì apposta per creare confusione, allarme e\o realismo di trovarsi in un paese straniero in situzioni delicate e non conoscerne la lingua.



 




This is my kingdome come.

 


 

2. 

Kto volk? 
Chi è il lupo?






Dall’altra parte del mondo, nella Russia occidentale, un elicottero privato atterrò nelle sterminate distese della steppa.
Un ragazzo e una ragazza scesero velocemente nel cuore del mondo slavo, dopo essersi lasciati indietro una manciata di chilometri e una realtà nettamente diversa.
Julia non era mai stata in Russia, ma avrebbe capito che non si trovava più in Giappone anche se avesse tenuto gli occhi chiusi per tutto il viaggio, o se l’avessero drogata per confonderle i sensi.
L’aria che le sbattè in faccia non appena uscì dall’abitacolo non aveva niente a che vedere con il fascino caldo dell’Oriente, l’autunno colorato che aveva appena abbandonato per addentrarsi nel mondo in cui il freddo non chiede mai permesso.
-Mierda.- bonfonchiò, avvolgendosi meglio la grossa sciarpa color caramello che portava al collo, stretta come se si ci volesse impiccare.
-Che ti aspettavi, l’Egitto? O forse la tua Spagna caliente?- la schernì il ragazzo dai capelli biondi al suo fianco.
Julia fece una smorfia male proprio mentre un fiocco di neve cercava di insinuarsi nel suo lungo cappotto.
-Ti ricordo che questa è stata un tua scelta.-
-Me lo ricordo.-
-Allora non lamentarti.-
-Senti, non so se in questo momento sia più insopportabile il freddo o tu, ma se evitassi di commentare ogni mio commento riusciremmo ad arrivare dove dobbiamo arrivare molto più in fretta.-
-Notevole gioco di parole.-
Julia, onestamente, non capiva.
Aveva insistito per accompagnarlo, aveva sbattuto i piedi e inarcato sopracciglia per far sì che la ragione danzasse con lei.
“Se proprio vuole morire almeno non diamo al monaco squilibrato il 100% di possibilità di riuscirci mandandolo lì con una faccia conosciuta come Sergej o Kai, si aspetteranno di vederlo con loro. E no Takao, non provare neanche ad insediare il tuo protagonismo patologico nella questione questa volta, tutti voi fate parte della 'vecchia guardia' tranne la sottoscritta, Hilary e Daichi. Se Yuriy comparisse a Mosca con uno di voi inizierebbero a lampeggiare le sirene. 
Con me invece..."
"Con me invece cosa, esattamente? Cosa? Che non so neanche camminare sulla neve?"
Era la terza volta che il russo l'afferrava per un braccio prima che il suo bel visino dorato sprofondasse in due metri di acqua e ghiaccio.
La ragazza si guardò intorno, perplessa. Tutto ciò che vedeva era un’infinita distesa di mare bianco, tanto lieve da non fare rumore, tanto prepotente da soffocare qualsiasi altro colore.
Era la terza volta che Julia gli rivolgeva la stessa, stizzita domanda.
-Dove troveremo quel carciofo ammuffito, nei cassonetti della spazzatura?-
Yuriy l’aveva ammonita di non chiamare assolutamente e per nessuna ragione al mondo -neanche in punto di morte- lui Boris con i loro nomi.
Come se i capelli di un biondo così chiaro da diventare bianco al sole non fossero bastati a mimetizzarlo in mezzo all'orda infinita di russi con quella stessa caratteristica.
Ma quando Yuriy si volse verso di lei, con quel suo modo affilato e fluido di muoversi, come il vento Buran che soffia nella tundra, e gli occhi di un azzurro che niente aveva a che vedere con il cielo sopra di loro, Julia pensò che forse neanche tutti i colori dell'arcobaleno sarebbero mai bastati a nasconderlo.
-Sai, sarebbe di grande aiuto se la smettessi di lamentarti e mettessi un piede davanti all'altro senza cadere.-
La spagnola sbuffò, stringendosi nel cappotto.
-Sai, vorrei farti notare che stiamo camminando da mezz'ora in questo labirinto di vicoli sporchi.-
-E lo faremo fino a quando lo dirò io. Cammina.-
Si ferma. Semplicemente. Come una giumenta testarda.
Come la falla nel piano.
-Non stai parlando con uno della tua banda Ivanov, io non eseguo gli ordini a comando solo perché riesci a fare il vocione o perché fai quella cosa con gli occhi che mette i brividi.-
Julia se ne accorse, di star superando il confine.
Che lei non sapeva nulla, che Takao l'aveva avvisata di abbassare il freno dell'auto in corsa perché avrebbe potuto investire qualcuno.
Che la strada era sterrata e le voragini si inabissavano a vista d'occhio.
Che il passato era solo lontanamente limpido quanto Rei, con la sua proverbiale pazienza e il tono tranquillo, le aveva fatto credere.
E continuò, con il calore della Spagna che le bruciava nelle ossa.
-Non so cosa vi abbiano fatto credere a voi altri, ma non costringermi a dar ragione a Ralph e Andrew quando dicono che siete dei disadattati instabili con problemi di controllo della rabbia cresciuti in gabbia come le belve che devono diventare feroci.-
Un confine che non aveva visto, una linea invisibile tra ciò che si tollera e ciò che è abbastanza.
Tra ciò che è pace e ciò che è guerra.
Perché Yuriy in tre passi piantò il viso ad una manciata di centimetri dal suo, incurante del fatto che le stesse ringhiando praticamente addosso.
E Julia si rese conto che, forse, l’aveva fatto apposta.
Che forse, e dico forse, l’aveva provocato con quel puntiglio vuoto e illogico solo per vederlo scricchiolare, per veder crollare quei muri d’impassibilità che, ai suoi occhi, lo avevano sempre reso inaccessibile, e incomprensibile.
-Ascoltami Fernandez. Ascoltami bene perché non lo ripeterò una seconda volta.
Se ti dico di scappare senza guardarti indietro, tu lo fai; se ti dico di nasconderti, qualunque cosa succeda, anche fosse la fine del mondo, tu ti nascondi.
Se ti dico di afferrare saldamente una pistola e spararmi un colpo in testa tu lo fai senza. battere. ciglio. É chiaro?-
Julia si era scavata la fossa da sola e ne era consapevole, ma non avrebbe mai creduto di non riuscire a ribattere.
Non ebbe paura di Yuriy.
Lei non aveva paura di niente.
Ebbe paura di ciò che vide nei suoi occhi.
E se davvero l'aria di Mosca li volesse morti?
Che avesse ragione?
Era lei a non capire le note ruvide nella voce dell'altro? Il peso del suo respiro in quella fredda aria nordica?
C'era altro. C'era di più.
C'erano cose nascoste nel buio, cose che minacciavano di saltarti addosso non appena muovevi un passo nella stanza del passato.
Neanche Rei avrebbe potuto smussarne gli angoli.
E per la prima volta nella sua vita Julia Fernandez si morse la lingua.
Il petto le si sgonfiò, le parole che avrebbe voluto dire si persero nelle tonsille.
Ma non si diede per vinta e sussurrò, come chi pretende comunque l'ultima parola:
-Se pensi che possa riuscire a sparare a qualcuno stai sbagliando persona, Ivanov. Forse farei un’eccezione se quel qualcuno fossi tu.-
Yuriy strinse le palpebre, ma dagli angoli della bocca scomparve quella luce tagliente.
Un passante avrebbe potuto scambiarlo per divertimento, colpa probabilmente dell’ombra della stradina e del bianco lampeggiante della neve.
Alzò una mano.
-Dopo di te.-
La madrilena lo superò senza proferir altro suono se non quello del suo respiro, greve come pezzi di ghiaccio.
Rimase in silenzio almeno per una decina di passi, poi dovette per forza borbottare qualcosa, qualsiasi cosa, perché quel mondo straniero era già abbastanza ovattato e monocolore per i suoi gusti.
-Allora… dove dobbiamo arrivare?-
-In realtà?- Yurij alzò le spalle, scuotendo la testa. –Non ne ho idea.-
-…Estàs scherzando??-
-No querida, non estò scherzando.-
-Ma…- Julia strofinò gli scarponcini a terra, cercando di scaldarsi. –Mi spieghi, di graziacomo dovremmo fare ora?!-
Yuriy la guardò per un lungo, interminabile momento, serio e impassibile come non mai e Julia si sentì sprofondare nelle viscere di quel terreno indurito dal gelo. Sentiva già le ossa sbriciolarsi una a una per ogni spiffero che le banchettava sulla pelle; avrebbe preferito avvertire il calor bollente del sangue sulle mani piuttosto che camminare alla cieca sotto quel cielo grigio e fra quelle erbacce nere e scricchiolanti e… la risata di Yuriy la colpì in pieno petto come un pugno ben assestato.
Così, di bello e di buono, prese a sghignazzarle accanto, sguaiatamente come solo chi gode della disperazione altrui può fare.
-Mi… mi hai preso in giro!-
Il russo scosse la testa ma continuò a ridacchiare e lei lo spinse, corrucciandosi in volto.
O almeno tentò di farlo, perché non lo mosse di un millimetro.
Yuriy rimase ben piazzato a terra nel cappotto lungo e nero dal taglio classico, così diverso dall’abbigliamento che era solito indossare.
Un prestito di Kai.
E si stava davvero divertendo alle sue spalle, anzi! Le stava apertamente ghignando in faccia!
Come si permetteva quel cosacco di ridere di Julia Fernandez?
-Ah querida… si vede che non mi conosci affatto. Credevi davvero che sarei venuto qui, con una che viene dritta dritta da Madrid e ha il sole appiccicato ai bulbi oculari come un francobollo sgualcito e che il solo Inverno che abbia mai  avuto l’onore di vedere probabilmente era di 20 gradi centigradi, senza avere idea di dove andare, brancolando magari fino a sera e aspettando che gli scagnozzi di Vorkov ci trovino e ci portino da lui?-
Julia stava per ribattere che in Spagna gli inverni non erano per niente di 20 centigradi, determinata a sottolineare una volta per tutte che non viveva nel deserto, quando il russo la guardò di nuovo, senza avvicinarsi.
-Sai cosa farebbe Vorkov col tuo viso?-
Non c’era traccia di tristezza nella sua voce, né malinconia.
Ma quando il russo la guardò in quel modo, Julia si sentì strana.
Non voleva chiederlo, non voleva conoscerne la risposta, ma le parole le sgusciarono testarde dalle labbra gelide.
-Cos’ha fatto a te?-
Non capiva perché si sentisse come se qualcuno le stesse stritolando il cuore, infilandovi le unghie come lei volle fare d’un tratto, improvvisamente, nelle guance di Yuriy, trasfigurato da quei colori che non erano i suoi, e urlargli che sarebbe andato tutto bene.
Ma lei non lo sapeva se sarebbe andato tuto bene, lei non ne sapeva abbastanza per promettere al vento finali incerti di storie mai raccontate.
Eppure, forse, avrebbe mentito se necessario, se fosse servito.
Yuriy si guardò intorno, poi s’inoltrò nell’ennesima stradina incolore.
-Andiamo.-
-Quanto è pericoloso quello che stiamo per fare?-
Troppo sveglia.
Yuriy strinse i denti, tornò accanto a lei con il dieci percento di pazienza in meno, recisa di netto dalla caparbietà della latina.
-E’ pericoloso stare qui e io non avrei alcun rimorso a lasciarti indietro. Riuscirei comunque a dormire stanotte, te lo garantisco.-
E ricominciò a camminare per davvero, come se Julia non gli stesse dietro con un persuasivo formicolio alle mani che la implorava di prenderlo a schiaffi.
Stava giusto per formulare la quindicesima domanda degli ultimi cinquantacinque minuti, sentendosi mostruosamente come Takao, o Hilary nei suoi momenti migliori, quando il sole la colpì in faccia vestito delle più sfolgoranti tonalità di rosso, blu e oro, sfaccettato come le facce di un diamante in caduta libera dal cielo.
Aveva visto tanti posti meravigliosi nella sua vita, tra un’esibizione col nastro e un volo sul trapezio, ma nessuno mai le aveva reciso in due il respiro come la Piazza Rossa di Mosca.
Un intrico di sfumature sgargianti, edifici dalle forme neoclassiche, barocche e bizantine si appoggiavano l’un l’atro come spalle su cui piangere, o si contendevano l’immensità della piazza sotto ad una coltre di candida neve.
Il bianco pareva quasi un vestito leggero sui tetti dalle forme come caramelle, un velo da sposa sul Cremlino, una fredda carezza sulle caratteristiche cupole della chiesa di San Basilio, e il bianco, sdraiato sul rosso, era quasi accecante.
Lo sguardo le cadde su uno strano disco di pasta dolce che un gruppo di turisti giapponesi reggeva in mano, con l'espressione beata di Gianni dopo che una ragazza gli dava il suo numero di telefono.
-Cosa mangiano quelli?-
-Vatrushka.-
Julia alzò gli occhi al cielo.
-Sai, quando uno pone una domanda è perché vuole una risposta.-
-Ti ho risposto.-
-Con un incomprensibile nome russo?-
-Vuoi la ricetta?-
-Sei... sei..-
-Il tuo ragazzo, da questo momento.-
Ci mancò poco che Julia non si schiaffasse una mano sulla coscia destra, mandandola in frantumi.
-Se questa è la nuova frontiera del flirt devi allenarti di più Iva-
Ma la ragazza non ebbe il tempo di finire che le ultime sillabe le morirono sulla lingua come cubetti di ghiaccio in una fornace.
Era una fornace anche il respiro di Yuriy, caldo come l'Inferno nel freddo tagliente, rosso come il sangue sulla neve, molto più vicino di quanto non fosse mai stato.
Julia avvertí la pressione decisa di due dita piegarle il viso, gli occhi del moscovita celarsi fra le ciglia arcuate come le ali degli angeli e lo sentí, l'orgoglio indirizzarle la mano.
La sentí la dignità scorrerle nel polso.
Lo schiaffo gli arrivò dritto in faccia, tra la mandibola e lo zigomo.
Preciso come un proiettile.
E questa volta Yuriy fu impreparato.
Questa volta la testa gli scattó di lato e la sorpresa gli laceró a metà il respiro.
-¿cómo te osar?!-
Julia fece un passo indietro, i denti stretti come un felino e i pugni serrati a sentire le mezzelune delle unghie scavarle nei palmi della mano abissi di carne.
Yuriy raddrizzó il volto, lentamente, tornò a guardarla.
Indecifrabile come una maschera di cera.
Ma l'azzurro delle sue iridi saettó agli angoli degli occhi per una breve frazione di tempo, infinitamente veloce.
E Julia capì.
Qualcuno li stava seguendo.
E ci avrebbe scommesso i suoi lunghi capelli di miele con tanto di boccoli alle punte che quei due con la macchina fotografica non erano una semplice coppia felice in luna di miele.
Erano fermi dinnanzi allo stesso monumento da dieci minuti, e non si rivolsero mai la parola.
Si schiarí la voce, gonfió il petto, aggiustó il tiro.
-Miguel, se ti trovo di nuovo a parlare con quella vacca ti prendo a calci fino a casa di tua madre!- Puntó le mani sui fianchi, scosse la mano come a volerlo strangolare. -E non fingere di non capire o me ne torno da Carlos, che quello sì che era un grande uomo!-
Yuriy, che di spagnolo conosceva venti parole in croce, non stava fingendo affatto di non capirci un accidenti di quello che la ragazza andava decantando ad alta voce, con buona premura di far voltare nella loro direzione tutti i presenti nel raggio di cinquecento metri.
Ma la madrilena era stata furba, dovette ammetterlo, e terribilmente sveglia.
Troppo sveglia.
Ma Yuriy aveva un alfabeto di piani in testa ed ebbe la risposta pronta.
-Lo siento.. Mi amor por favor, disculpe. Mi ojos son solo por ti, tu lo se bien.-
-Dici siempre così, ma so bene che mi tradisci con quella prostituta di poco conto. Cos'ha lei che io non ho, eh?!-
E continuò, perché tanto si stava divertendo, perché Yuriy aveva rigurgitato quelle parole con una pronuncia notevole, perché le fu chiaro che non avrebbe potuto continuare oltre.
E allora giù d'insulti, di rancore, di tradimento mistificatore e amanti gelosi, e quel -Il mio ex era molto più dotato di te!- che combinazione Yuriy comprese perfettamente, mormorando un "vigliacca" a mezza voce, con il sarcasmo sui denti e il profilo slavo celato il più possibile dal cappuccio.
Se la tiró in una strada secondaria con la scusa di implorarne il perdono e invece, non appena il cielo aperto della Piazza Rossa smise di renderli due facili bersagli, s’irrigidì.
-Ma cosa ti salta in mente? Diamine, so quel che faccio.-
-Mi sei saltato addosso, pensavo volessi...-
-Non l'avrei fatto per niente al mondo, Fernandez.-
Julia si ritrovò a bocca spalancata ad inghiottire a sorsi troppo grandi la voglia che l'assalì di sbattergli la testa al muro.
-E questo cosa vorrebbe dire?-
-Che preferirei baciare Daichi e Takao insieme piuttosto.-
-È questo il tuo modo di ringraziarmi per averti salvato il fondoschiena Iva… Miguel?-
-Se tu non mi avessi preso a schiaffi come una mentecatta non ci sarebbe stato niente da salvare.-
-Mi perdoni Sua Maestà se non avevo idea che il suo piano comprendesse lo slinguazzarmi!-
-Ti ripeto per l'ennesima volta che non. l'avrei. fatto.-
-Ovvio...vuoi uomini siete tutti uguali, pensate sempre a..-
-Brava.-
-E non dirmi... come?-
Yuriy si fermò, puntando quelle due spille di ghiaccio nei grandi occhi della ragazza.
Occhi di smeraldo.
-Brava. Prima.-
A Julia per poco non caddero le braccia a terra.
Fino a quattro secondi prima una parola gentile nel vocabolario di quel sovietico rasentava l'utopia, un complimento sembrava del tutto inammissibile.
E invece non solo la voce non gli graffiava più in gola, ma fu un vero complimento quello.
Julia sollevò il mento.
-Bueno, bueno, bueno...-
-Non ti ci abituare Fernandez.-
-E se lo..-
Una fitta alla spalla sinistra.
Julia si voltó proprio quando una montagna su due piedi le si faceva più vicino, sovrastandola con i suoi due metri e mezzo d'altezza e lo sguardo incupito da cane rabbioso.
-Ma guarda un po' cos'abbiamo qui... Che ci fa una bambolina come te in un posto come questo?-
La pronuncia era larga e lasciva, le lettere si scioglievano su loro stesse come plastica sul fuoco, il lungo tatuaggio di un serpente strisciava del giubbotto sul collo taurino e le braccia immense reggevano due spalle altrettanto poderose.
Julia avrebbe risposto, eccome se avrebbe risposto, se non fosse stato per il puzzo di alcol e qualcosa che sapeva di fumo non bene identificato nei capelli di un biondo sporco, gettati alla rinfusa sulla faccia quadrata. La stava osservando dall'alto in basso carezzando la chewing gum che aveva in bocca con la lingua ad ogni battito di ciglia della spagnola.
-Yo...-
-Problemi?-
La vista del biondo venne parzialmente coperta da un'altra figura, che per l'occasione era bionda anch'essa, ma diversa nella stazza quanto nei modi.
Non ostentó nulla di fronte al gigante, piazzandovisi davanti con la nonchalance di uno che si trova  lì per caso.
Non ci fu un sopracciglio inarcato, né un tendine più rigido visibile nell'incavo del polso; persino le schegge di ghiaccio nei suoi occhi sembravano essersi liquefatte, a lasciar intravedere l'acqua di un mare celeste.
Un mare in cui Yuriy sembró suggerigli di non addentrarsi, un mare con cui l'avrebbe annientato se solo avesse provato a rendere realtà ciò che la sua mente gli suggeriva di fare.
"Dai retta a me, non ai tuoi pensieri" voleva dirgli, "perché loro non ti uccideranno."
Il tipo era di una spanna più alto, un suo pugno era grande quanto la sua faccia, un piede gli avrebbe fracassato tre costole e il suo visetto bianco e aristocratico si sarebbe colorato di sangue scarlatto e globuli rossi, schizzando da un taglierino piantato nello sterno.
Eppure qualcosa gli disse che era meglio tenere le mani in tasca.
-Chi è la scommessa corrente?-
-Non farmi ridere, non dureresti neanche cinque minuti.- rispose il tipo.
Era incredibile e inquietante come le parole degli altri parevano avere su Yuriy l’effetto di una selezione naturale, immediata e involontaria, quasi come se solo alcune parole -poche in verità- avessero il privilegio di restargli nei padiglioni auricolari, mentre il resto di loro scivolava sul collo e sulle spalle senza lasciarvi tracce.
Aveva una mente rigorosa, e lo si capiva dal modo in cui non guardava mai la stessa cosa per ben due volte.
-E se ci riuscissi?- ribattè Yuriy a mezza voce, tranquillamente come si parla del tempo.
-Non ci riuscirai… hahaha scordatelo. Ma… se sei così deciso a romperti qualche osso non avrai problemi a rendere le cose più… eccitanti.- e gli occhi scuri e lascivi si acquattarono nuovamente su Julia, con la pesantezza di un macellaio.
La ragazza non riuscì a nascondere il disgusto.
-Se duri giusto cinque minuti mi sganci 10000.00 Rubli. Se ti ritrovi steso anche prima me ne dai 10000.00 e la bambolina. Se vuoi entrare questo è il prezzo.-
Il cuore di Julia si fermò.
E riprese a battere all’impazzata non appena scorse il cenno di assenso di Yuriy.
Lo afferrò malamente per un braccio.
-Por Dios, che stai facendo? Non sono un oggetto da vendere!-
Già se le figurava quelle dita tozze e umide di Vodka andata male spalmarglisi sulle cosce.
Gli uomini erano da sempre fissati con quelle specifiche curve del suo corpo.
-Stai calma.-
-Stare calma?!- e lo spinse bruscamente, -sei un selvaggio!-
E lo era davvero, ma non nel modo in cui pensava lei a quel tempo.
Lo era perché non si era fatto scrupoli a guardarla negli occhi dopo averla messa in palio come un biglietto da venti dollari in una partita di Poker, perché affrontava le conseguenze delle sue azioni, anche quelle più sfrontate, anche quelle più distruttive, come solo un selvaggio sa fare.
O un leader.
-Non ti toccherà.- mormorò, mentre la montagna umana si faceva da parte per lasciarli entrare in una stanza buia.
-Come… lo prenderò a calci Yuriy, e prenderò a calci anche te se solo mi…
Por qué dovrei fidarmi di te?!-
-Perché se venuta fin qui con me e non credo saresti stata così sciocca da farlo se mi avessi considerato uno sprovveduto.-
-Uno sprovveduto? AH! Piuttosto un porco schifo..-
-Hai la mia parola Julia.-
La spagnola lo guardò come si guardano le espressioni matematiche, quelle con l’incognita nascosta, quelle con le parentesi dentro altre parentesi e i numeri dentro numeri più grandi. Come le scatole cinesi.
Come le Matrioske.
Dinnanzi alle quali sospiri e ti arrendi, perché diverresti pazzo a rifletterci un minuto di più.
-Sono comunque incazzata come una bestia Iv… Miguel. E fa che la tua parola conti qualcosa o sarà peggio per te.-
E andò avanti, inoltrandosi nell’antro oscuro e sbottonando il cappotto perché faceva improvvisamente caldo.
Yuriy la seguì scuotendo la testa.
L’attimo prima era terrorizzata, l’attimo dopo se ne andava senza avere la benchè minima idea di cos’avrebbe trovato sulla sua strada.
Lui, invece, lo sapeva benissimo.
Dopo aver attraversato fianco a fianco il piccolo soggiorno di una casa ombrosa, uscirono dal retro ritrovandosi in un tunnel in pietra, di quelle vecchio tipo in cui si respira il passato.
E dopo di esso… il ring.
Era così che si rivolvevano le cose da quelle parti: combattimenti corpo a corpo, sudore, soldi, sangue e scommesse.
Clandestini fino al midollo.
Il “ring” non era altro che uno sprazzo di terra e polvere concavo dove un giovane uomo veniva incitato dagli schiamazzi esaltati degli spettatori.
Un uomo dal singolare colore di capelli e un enorme falco nero tatuato sui pettorali.
-Quello è…-
-Un pezzo di merda con la faccia tosta come uno scalino.- la interruppe Yuriy, stringendo le parole fra i denti. –Stare così davanti a tutti, al centro dell’attenzione a Mosca. E’ tanto se non l’abbiano già scannato come un agnello.-
-Chi è il prossimo?- ruggì il combattente, con il corpo possente bagnato di sudore e la mente travolta dall’adrenalina indomita dell’invincibilità.
-Yastreb*, divertiti un attimo con questo gioiellino. Ho fatto una scommessa, eliminalo subito così mi faccio un giro sulla troia che si è portato appresso.-
Julia strinse i denti e selezionò velocemente in testa la raffica di insulti con cui l’avrebbe soffocato da un secondo all’altro, se Yuriy non l’avesse guardata di scatto, facendole segno di non aizzarlo.
Poi inarcò un sopracciglio nella sua direzione.
Il bestione alzò le mani.
-Ah vai tranquillo gioiellino, non la sfioro neanche con un’unghia fino a quando non ti vedrò con la faccia spiaccicata nella polvere. Sono un uomo di parola io.- e si affiancò a Julia, mentre il “gioiellino” si toglieva di dosso il giubbotto visibilmente costoso di Kai –così in contrasto con quel luogo- e il maglione, rimanendo con una sottile t-shirt bianca.
Julia poteva sentire il fianco dell’altro sfiorarle la parte destra del corpo.
-Vedrai tesorino, io durerò più del biondino in campo, ci puoi battere con una mazza.-
L’unica cosa che Julia avrebbe voluto “battere con una mazza” era la sua testa.
-Però aspetterò, porque ya un dzhentl'men i porque un patto è un patto.- masticò in una macedonia scadente di spagnolo e russo.
Fu subito evidente che si sbagliava.
Julia non ne sapeva molto di “agnelli” e “gioiellini”, ma era chiaro che quei due non erano né l’uno, né l’altro.
Quello chiamato Yastreb non aveva neanche degnato di uno sguardo lo sfidante dopo il primo e il secondo pugno, sicuro di fare centro, sghignazzando a bocca larga.
Ma quando l’avversario li bloccò entrambi senza sforzo, fu costretto a farlo.
Julia non dimenticherà mai il modo in cui Boris Kuznestov spalancò gli occhi non appena lo vide.
Fu come se un travolgente vento del Nord avesse travolto via ogni residuo di spavalderia goliardica e scherno, per lasciare il posto a un’incredulità sorda e sì, anche a rabbia, a un assoluto rispetto e… timore, forse?
Non fisico, quello Boris non l’avrebbe provato neanche contro un esercito.
Timore per come si erano lasciati, per come Boris non aveva risposto al richiamo degli altri, per come antiche promesse erano state infrante, per come sedici anni di conoscenza si materializzarono lì, in quell’arena stantia, con tutto il peso dei ricordi.
-Cosa ci fai qui?- sussurrò in russo.
-Dovevo ricordarti chi sono, perché temo che tu te lo sia dimenticato.- rispose Yuriy.
-Sei tu che hai fatto in modo che accadesse, o no? Non eri tu che diceva di essere morto? Allora con te è morta anche la mia lealtà.-
Julia aveva smesso di capirli, e con lei tutti gli altri che neanche notarono come si stessero ringhiando a vicenda, spazientiti dalla mancanza di azione.
Ma poi uno dei due bisbigliò un Fatti sotto- e nessuno capì più niente.
Non si capì cos’avessero al posto dei corpi, non si capì chi avesse iniziato, ma sembrava non potesse finire.
Scattarono come se al posto dei muscoli avessero delle molle ben oliate, senza bisogno di studiarsi, senza bisogno di guardarsi.
Si conoscevano a memoria.
Ogni passo, ogni finta, ogni caratterstica del loro stile era marchiata a fuoco nella loro memoria, scavata a forza nei recessi delle loro anime scheggiate.
Il bestione realizzò velocemente che le cose non sarebbero affatto andate come previsto.
Quel biondo, non era un gioiellino, era un’arma di muscoli e ossa.
Julia vedeva i pugni, i calci, i respiri sincronizzati; vedeva i tendini come vipere al di sotto della pelle accaldata, una preparazione marmorea e due tecniche caotiche e inespugnabili che dovevano essere costate a quei due anni e anni di chi sa quali sacrifici.
E vento e ghiaccio.
Boris aveva cambiato stile non appena Yuriy gli si era presentato davanti, non più quei colpi disimpegnati e scialbi che avevano sconfitto facilmente i precedenti sfidanti.
Con Yuriy dovevi dare tutto te stesso, ridurti all’osso cercando la strategia migliore per varcare le sue difese, se mai ne fosse esistita una.
E giocare d’intelligenza, perché il rosso, o il biondo o di qualunque colore volesse tingersi i capelli non lo battevi solo con la forza bruta.
Con lui non era mai una rissa.
Era una battaglia navale.
-Vieni via con me…- ansimò Yuriy, schivando l’ennesimo pugno al collo. –Ti ammazzeranno da un giorno… all’altro se resti.-
Per tutta risposta Boris si piegò con un’azione secca, mirando con la tibia spessa al suo fianco sinistro. E lo prese.
I presenti urlarono di giubilo.
Yuriy si destabilizzò per un secondo.
-Non scapperò via come un ratto.- caricò di nuovo. –Tu non hai idea di com’è la situazione qui con quel pezzo di merda a comandare su vita, morte e miracoli.-
-Io non ne ho… idea?-
Yuriy scartò di lato e i presenti si unirono in un unico OOOOH, perché quella era stata una mossa davvero difficile da evitare, Boris era stato velocissimo.
Ma a Yuriy salì l’acredine dentro.
-Hai dimenticato proprio tutto vedo, anche il fatto che quello che sta facendo ora a Mosca l’ha fatto prima al sottoscritto.-
Boris annuì, spostandosi verso destra.
-Infatti proprio tu dovresti essere in prima fila.-
-In prima fila per cosa? Vuoi una guerra?!-
-Voglio morire con lui che mi guarda negli occhi. Non lo capisci?! Tanto ci ammazzerà comunque…e se vuole ucciderci, che ci uccida a testa alta e dispiegando tutti i mezzi che ha a disposizione, e non nascosti in un fetido buco di fogna.-
Yuriy quasi lo vide lo spostamento d’aria a due millimetri dal viso, segno che c’era mancato poco e l’ex compagno gli avrebbe spaccato in due la guancia.
Non era arrabbiato, Boris era furioso.
E quando Boris era furioso era come se le mani gli si rivestissero di una coltre di metallo e collera.
Non avevano mai risparmiato colpi fra di loro e anche questa volta non fecero eccezione, ma entrambi sapevano che non si sarebbero mai uccisi a vicenda.
Questo però non aveva mai impedito loro di farsi molto male.
Erano fatti così.
Ghiaccio e vento.
Cicatrici e sangue sulle cicatrici.
Animali feroci nati nell’Inverno.
-D’accordo.- acconsentì infine Yuriy. –Torneremo. Ma per ora… vieni via con me.-
Boris scoprì i canini in un ghigno di pura estasi.
-E quando torneremo sarà per togliere il trono da sotto il culo di quel bastardo?-
L’altro annuì.
-E allora sia.-
Yuriy gli tirò una ginocchiata nell’addome e Boris si fece travolgere in pieno, piegandosi dal dolore (estremamente reale) e fingendo di non riuscire a proseguire. Sputò un grumo di saliva accanto a sé, urlando con voce roca un..
–Basta! Non ce la faccio più.-
Il bestione era sgomento.
Yuriy sapeva perché l’aveva fatto.
Non c’era stato neanche bisogno di concordarlo.
Chi avesse sconfitto un lottatore imbattuto da giorni (conoscendo Boris anche da settimane) avrebbe attirato l’attenzione del capo delle scommesse.
E Yuriy aveva bisogno di parlare con lui.
-Sledovat za mnoy.- esclamò uno dei suoi uomini, facendogli intendere che avrebbe dovuto seguirlo.
-Sta’ con lei.- Yuriy spinse Boris accanto a Julia.
-Con chi dovre… Hola.- disse Boris, raddrizzando la schiena e impiegando più del dovuto per infilare la maglietta.
Julia non era certa se volesse ridere, piangere o prendere a schiaffi entrambi e scommettere quanto tempo sarebbe passato prima che i bulbi oculari saltassero fuori dalle orbite
Lanciò un’occhiata a Boris -che adesso fingeva di stiracchiarsi per flettere ogni singolo muscolo del suo corpo, e ce n’erano tanti- per niente convinta.
-Boris è tranquillo. Pravda Borja?-
-Eto pravda, eto pravdae fece alla madrilena una radiografia completa con tanto di ossa e sistema linfatico dalla punta delle orecchie fino alla punta degli scarponcini imbottiti.
Julia divenne, se possibile, ancora più scettica.
-Senti, bastardo de un ruso que no eres otra cosa, non so cosa sembri ai tuoi occhi il tuo compare qui, pero no me inspira toda esta tranquilidad.-
Boris, che doveva aver inteso i dubbi della spagnola sulla sua integrità morale borbottò, tra un sorso di birra e un altro, uno svogliato –Ringrazia che sono leale a… Miguel- e si trattenne a stento dal ridere e annaffiare tutti con l’alcolico che non aveva ancora mandato giù –altrimenti ti avrei fatta cadere ai miei piedi.-
-A me sta solo cadendo il latte alle ginocchia in este momento.-
Julia gli sfilò con stizza la bottiglia dalle mani e ne ingurgitò l’intero contenuto in tre o quattro sorsi.
I due ragazzi la fissarono, immobili come statue di sale.
Le sopracciglia di Yuriy schizzarono fin sulle stelle, a Boris avevano appena comunicato che Babbo Natale esiste.
-Ma sei la donna dei mei sogni! Un giorno faremo una gara, se perdi me la dai.-
-Non ti fare strane idee in testa, l’ho finita solo per spaccarti la bottiglia in testa se solo azzardi un passo verso di me.-
-E anche violenta…! Dove sei stata tutto questo tempo?!-
-Lontana da te.-
Yuriy finalmente raggiunse il ragazzo corpulento che ancora lo aspettava sulle scale di ferro che conducevano alla stanza dalla quale il capo osservava i combattimenti, e che aveva tutta l’aria di volerlo prendere a testate.
Che solo ci provasse.
Se i suoi calcoli erano esatti, l’ultimo capo, sei anni fa, era stato Donat Vasil'ko, discendente dalla nobiltà decaduta di una delle famiglie più vicine alla corte dell’ultimo Zar Nicola II, e di cui si diceva che avesse informatori e spie dovunque -anche nei tombini- dopo un “incidente” mortale in cui era stato coinvolto il precedente capo, suo fratello Egor, “l’invisibile”.
I circoli clandestini andavano in mano a chi, come loro, avevano intessuto una fitta rete di relazioni sociali in ogni strato della società, dai bassifondi più squallidi con le prostitute sfruttate ai lati delle strade e i ladruncoli da quattro soldi nei torrenti di sporcizia, passando per i mondi dei ricchi e degli imprenditori, con le vecchie signore dal naso incipriato e i bambini infiocchettati, fino ad infiltrarsi nel tessuto cruciale della politica e della criminalità.
Ed erano di estrema importanza per tutti quegli esseri umani, così diversi per classe ed estrazione, accomunati dal desiderio di fare soldi facili, illudendosi che una notte e un paio di pugni dati nel modo giusto avrebbero potuto cambiato la loro condizione.
E la persona più propensa ad imbrigliare le spie dei cunicoli e dei viottoli dimenticati, dopo Donat, sarebbe stata certamente…
-Iviania.-
-Yuriy!- esclamò una voce femminile non appena la porta si fu richiusa, e una ragazza lo ebbe sotterrato in un abbraccio.
-Sapevo che con un lupo in giro era solo questione di tempo prima che arrivasse anche il branco. Quanto mi hai fatto aspettare?-
-Sei anni, ufficialmente. Ufficiosamente... ci siamo visti sotto ai vestiti diverse volte o sbaglio? L'ultima due anni fa.-
Iviania, detta Iva Papov, sorella maggiore di Ivan, più grande di otto anni: gli stessi capelli lisci, la stessa tinta color verde petrolio, la stessa lingua affilata e la stessa schiettezza nel colpire e affondare.
Bella come le volpi artiche e sfuggente altrettanto.
-E meno male, altrimenti avrei creduto a quel monaco di merda quando ha diffuso la notizia della tua morte.- quasi non sputò per terra.
-È questo che dice?- Yuriy non riuscì a capire perché, ma il saperlo gli crucciò qualcosa nel petto: come la testa di un fiore strappata bruscamente dal suo stelo.
-Ah, se dovessi tener conto di tutte le schifezze che dice...- Iva si gettò su un vecchio divano rossastro al cospetto di una grande finestra rettangolare, opaca e polverosa.  -Ma per un attimo a questa ci ho creduto. Non ti vedevo da due anni... è stato orribile pensare che fosse riuscito ad ucciderti. Credevo che dopo la tua fuga ti avrebbe lasciato perdere una volta per tutte.-
Yuriy si sedette accanto a lei, osservando come il tempo non l'avesse affatto cambiata, come le lentiggini sul naso alla francese -così in contrasto con il resto del suo essere- fulgevano come macchie di leopardo, e come i capelli fossero ancora più corti dell'ultima volta.
Un taglio da maschiaccio che metteva in bella vista il viso dai contorni definiti e gli occhi brillanti di un castano chiaro.
-Non è mai venuto a prenderti?-
-No. Non ancora almeno. Sai come gli sono sfuggita da sotto il naso la prima volta, quando prese Ivan.-
Come dimenticarlo.
Il piccolo Yuriy Ivanov di sei anni, già da un anno un animale in gabbia fra le spesse mura del monastero, ricorderà per sempre la notte che portarono Ivan Papov in quell’Inferno, e origliò involontariamente le voci concitate di alcuni uomini a guardia della sua cella (non era stato abbastanza veloce nella corsa della sera ed era stato punito) del nuovo arrivato e della sorella, venduti dalla zia che non poteva più tenerli con sé.
La sorella era scappata.
E chiunque avrebbe preso il primo treno, il primo pullman, persino un cavallo per andarsene il più lontano possibile da lì, dove per giorni la cercarono invano.
Ma lei era rimasta.
E Mosca aveva premiato la sua fedeltà.
S'era inserita negli ambienti in cui giravano i soldi sporchi, si era guadagnata la fiducia di persone più importanti di lei: capi di bande, escort di lusso, gioiellieri dalle dubbie attività, sino a ottenere la protezione di Egor l’Invisibile, il re di tutte le scommesse clandestine dell'epoca.
E quando siedi alla destra di chi detiene il monopolio dei combattimenti a Mosca... diventi un bersaglio difficile da puntare.
E Vorkov rinunciò al suo uccellino scaltro pensando che non ne valeva la pena, che mettersi contro i sobborghi di Mosca per una ragazza qualunque sarebbe stato sciocco e infantile.
Un cruccio che gli sarebbe passato col tempo, quello di essersela lasciata scappare come un teppistello alle prime armi, e doverla sapere comunque a gironzolare nella sua città.
Un cruccio che, Iva ne era certa, Vorkov non aveva mai dimenticato.
-Verrá. Non so quando né come, nè come farà a non scatenare una sommossa, visto che questo è il circolo clandestino più numeroso di Mosca, ma lo farà.-
Si alzó, aprí un piccolo frigorifero e ne tiró fuori due bottiglie di birra al limone.
-È tutto quello che ho, almeno fino a quando non riusciranno a far passare le nuove provviste.-
Yuriy prese la birra, ma continuò a seguirla con lo sguardo.
I Jeans neri attorno alle gambe sode erano sbiaditi e rotti, e non per un vezzo modaiolo. Ci avrebbe scommesso che era stata costretta a dileguarsi in fretta e furia più di una volta.
-Controlla il cibo?-
-Controlla qualsiasi cosa. Sacchi di patate, scatole di scarpe, buste di vestiti... E ne fa passare la metà. Qualunque cosa sia sospetta finisce al Monastero e chi la vede più, è un buco nero quell’ammasso di stronzi e pietra. Crede che ci siano nascoste armi all'interno.-
Le labbra screpolate di un rosa tenue come l'alba si chiusero attorno al collo verde della bottiglia.
-Ha ragione a crederlo, Iva?-
La ragazza si poggiò allo schienale, disegnando cerchi nell'aria.
-Probabile...- e sorrise, di quei sorrisi che il russo non era mai riuscito a fare, quelli larghi e sinceri di chi non ha nulla da nascondere. -È crudele e sadico e tutti i lati negativi che un essere umano può racchiudere in un unico corpo, ma non è stupido. Sa bene che qualcuno tenterà da un momento all'altro di rovesciare il suo regime. Sperava solo che quel qualcuno non fossi tu.-
Si inclinò in avanti e Yuriy potè contarle le lentiggini, scorgere i seni dalla scollatura della maglia larga.
-Mosca ricorda. Ed è pronta a saltargli al collo. C'è bisogno solo di una piccola spinta, di un obiettivo concreto. Di un leader.- I grandi occhi castani percorrono il viso del russo. Un orecchino danzò lievemente ad un lobo.
-Iva...-
-So cosa vuoi fare. So chi sei. Cazzo ti ho scopato più volte di quante ne possa ammettere.- ghignò, ma la leggerezza non raggiunse gli occhi. -E Dio solo sa quanto vorrei che fossi tu, Dio solo lo sa.- Strinse tra le mani la croce d'oro incastonata tra le clavicole.
-Iva, quanto è reale la possibilità di una rivolta?-
-Se Vorkov continua con questa simpatia... sarà realtà molto molto presto. Le cose sono cambiate.- continuò, abbassando la voce di qualche tacca come se i muri si fossero sporti per ascoltarla. -Sono peggiori dell'ultima volta. Bambini che scompaiono, persone che muoiono misteriosamente da un giorno all'altro, reclute sempre più numerose e più crudeli. Devi stare attento a ciò che dici, a ciò che fai… giri di malaffare con altri paesi passano tutti dalle sue mani, diffidenza che si diffonde come la Peste. Nessuno si fida più di nessuno, i fratelli denunciano i fratelli e i figli rinnegano i padri, tutti in cerca della salvezza o di uno sputo di potere aiutando gli scagnozzi di Vorkov o riunendosi in piccoli gruppi segreti per allentarne la presa. Ma non ci riusciranno.- Bevve un sorso di birra quasi con stizza, quasi che il retrogusto aspro del  limone potesse cancellare tutto lo schifo attorno.
-Siamo in un casino totale, ognuno pensa per sé e per il gruppetto fidato di cinque, sei persone, le rivalità interne fra i circoli impediscono qualunque collaborazione e non c'è n'è uno che riesca ad imporsi, a fare la voce grossa e a mettere d'accordo tutte queste teste di cazzo. Non hanno capito che l'unico motivo per il quale sono ancora in possesso dei loro giri di soldi è perché Vorkov glielo permette, e non perché sono tanto bravi a nasconderlo.-
Yuriy rimase in silenzio per degli attimi che sembravano già protendersi all'infinito.
Le dita affusolate ticchettarono sul collo della bottiglia con velocità meccanica e i suoi occhi riflessero un pensiero.
Un'ipotesi, che li oscurò.
-E se ci riuscissi io?-
-A fare cosa?-
-A metterli d'accordo.-
La ragazza mancò della prontezza che Yuriy si sarebbe aspettato da una che era riuscita a vivere dignitosamente da fuggiasca per quasi tutti i suoi 24 anni, ma non gliene fece una colpa.
Anche lui si era reso conto un attimo dopo averlo detto, di ciò che era uscito dalla sua bocca.
Di ciò che significava.
-Se le antiche storie fossero vere... potremmo avere una possibilità.-
E quando Iva si raddrizzó, scollandosi dallo schienale del divano con la consapevolezza che le rovinava nelle vene, seppe che l'aveva capito anche lei.
-Yuriy... stronzo di un lupo, quella leggenda sul fuoco, sul vento e sul ghiaccio e altre schifezzuole simili gira a Mosca da un po' di tempo. Crediamo che Vorkov abbia tentato di uccidervi quando ne è venuto a conoscenza. Potrebbe essere vera? Potresti essere tu??-
Iva posò a terra la bottiglia, alzandosi in un impeto febbrile.
-Sono cosa vuoi fare. So chi sei. Cazzo ti ho scopato più volte di quante ne possa ammettere.- ghignò, ma l'ironia non raggiunse gli occhi. -E Dio solo sa quanto vorrei che fossi tu. Dio solo lo sa.- strinse tra le mani la croce d'oro incastonata tra le clavicole sporgenti.
-Ma pensaci bene. Molto bene Yuriy. C'è gente fedele al suo servizio, gente a cui ho visto fare cose atroci in nome delle promesse di Vorkov. Gente che persino io riesco solo a immaginare cosa farebbe con la tua testa, se le cose andassero male.-
-Hai paura Papov?- rispose il ragazzo, sollevandosi a sua volta. Un angolo delle labbra tentò di evocare un mezzo sorriso, che si accartocciò su se stesso.
Come si allentava una tensione del genere?
-Per te, Yuriy. Ho una fottutissima paura che appenda la tua testa sopra al camino come si fa con gli animali selvatici.-
-Borja ha ragione.- disse, e il mento si sollevò involontariamente, la testa si fece più ferma e la vena sul collo si mostrò in rilievo. -Ha tentato di uccidermi, lo farà ancora. Ma se vuole la testa del lupo della steppa dovrà impegnarsi di più, e dovrà sudare per averla.-
E allora Iva ricordò perché.
Perché suo fratello lo ammirava più di qualsiasi altra persone, perché Boris e Serjei sarebbero morti per lui, perché nei vicoli di Mosca il vento sussurrava il suo nome.
Perché aveva quell'aria di assoluta certezza, la determinazione che accendeva micce alle bombe nella sua testa e lo sguardo risoluto di chi è stato spinto a forza tra i lupi e ne è tornato capobranco.
Nonostante gli anni in fuga, nonostante Vladimir Vorkov tenesse in scacco il mondo, non era facile dimenticare occhi come i suoi.
Non lo faceva apposta, non era come quell'altro, quell'Hiwatari, naturalmente incline alla teatralità della forza; Yuriy non voleva attenzione, né responsabilità. Non avrebbe voluto neanche questa guerra.
Ma alla fine era stato forgiato per questo, per la guerra, per la grandezza che non aveva mai saputo indossare, ma che lo seguiva come un'amante gelosa.
E se la leggenda fosse stata vera... Vorkov avrebbe fatto meglio a gettarlo in pasto ai serpenti che teneva nascosti nelle profondità del Monastero molti anni fa.
Iva annuì.
-Mosca ricorda. Ed è pronta a saltargli al collo.- I grandi occhi castani percorsero il viso del russo. -È pronta a seguirti.-
-Tu lo farai?-
Un orecchino le dondolò lievemente a un lobo.
-Do kontsa zimy.-
“Fino alla fine dell’Inverno”
Così si faceva da quelle parti per giurare lealtà, fino alla fine dellInverno
poichè si diceva che in Russia l’Inverno non finisse mai.
Lei fece un passo avanti.
-Devo diffondere la voce che i lupi sono tornati?-
-No, non ancora. Potremmo avere la necessità di fare altre cose in segreto in città. Per il momento limitati a capire di chi possiamo fidarci. Cerca tra chi ha perso qualcosa a causa di Vorkov, punta su chi vuole vendetta. Sai bene che non c'è nulla più potente di questo.-
-Mmm...- Iva prese mentalmente nota, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla cicatrice sulla clavicola destra del ragazzo, una sottile linea traslucida di sette centimetri.
Ricordava che era sempre stata lì, ma adesso ammiccò con più prepotenza, come se anche lei volesse spingersi più in là, oltre la linea di non ritorno.
Come se volesse ricordare loro cosa Vladimir Vorkov era capace di fare.
-E puoi dire ad Ivan di farsi vivo? Se i lupi sono tornati è bene che torni anche lui. Lo aspetto nel covo del vecchio pennuto, tu digli così, capirà.- disse, con l’ironia in gola.
-Il covo... guarda, non ti chiedo neanche spiegazioni. Conoscendo te e mio fratello avrei gl'incubi fino alla fine del mondo.-
E stava per aggiungere qualcosa, su come la fine del mondo sembrasse molto meno una canzone di Lana del Rey e molto più un qualcosa che poteva avverarsi da un giorno all'altro.
La ragazza osservò il profilo di Yuiry e ne seguì le fattezze; prese tra le dita una ciocca di capelli e la fece ricadere davanti al viso, come era solito portarli in altri tempi.
-Mi piaci biondo. Certo, non è la stessa cosa, ma... ti scoperei ugualmente.-
Questa volta gli angoli della bocca di Yuriy si curvarono davvero all'insù.
E stava per aggiungere qualcosa quando la porta venne spalancata violentemente, soffrendo sui cardini.
Sulla soglia stava Boris.
-Speravo proprio di non trovarvi impegnati di una delle impossibili posizioni del Kamasutra che sapete fare solo voi, dobbiamo muoverci.-

 
***


-Lyubov'!-
Julia capí che non era stata una mossa astuta nell'attimo in cui una voce, chiaramente maschile, chiaramente impaziente, la chiamò da lontano, come si farebbe con un cane.
La madrilena non sapeva cosa significasse, né perché la lingua russa le sembrasse improvvisamente rozza e cavernosa, ma accelerò il passo, d'istinto come d'istinto avrebbe fatto una cerva con un fucile puntato al cuore.
-Kukla...- il cuore in gola era lo stesso. L'occhio che prendeva la mira, lo stesso.
-Kukla ne ubegayte!-
Strinse i pugni ma allungó le gambe.
Sperava solo che questo suo accenno di orgoglio non fosse la fierezza della preda prima di venire abbattuta.
Julia Fernandez non era abituata a essere preda.
Julia Fernandez credeva di poter dominare Mosca e le sue strade nascoste, dove persino le lame di vento tagliente cessavano di spaccarti la pelle perché a raffreddare gli animi ci pensavano occhi di uomini famelici e affari loschi malcelati.
Julia Fernandez si sbagliava.
Un secondo uomo le comparve davanti, sbucando come un ratto grosso e affamato da un'insenatura laterale.
"Come ha fatto a passare da lì? È impossibile!" sbraitarono i pensieri della ragazza mentre indietreggiava.
Ma sembrava che i moscoviti avessero un modo tutto loro per muoversi in questa cittá nata dal gelo.
-Privet ... eto ne russkiy.- e sorrise, mostrandole i denti giallastri.
Julia sentí altri passi ostacolarle la fuga e il respiro.
Non osò voltarsi indietro.
-Mozhet, eto kubintsy? Ili frantsuzskaya devushka ...-
-Vy kubintsy?-
Se avesse potuto urlare, l'avrebbe fatto.
L'avevano circondata e stretta al muro alle sue spalle, su quei vecchi ciottoli dimenticati da Dio.
Ma Julia non era una che urlava.
E se lo faceva, era per insultarti.
-Fuck off piece of shit!- strepitò, come una lince dal pelo ritto e i denti in mostra.
Ma si sa, neanche una lince può avere la meglio su un branco di iene a digiuno.
Due... tre... forse quattro.
E quello con gli occhi grigi le ghermì il viso con le unghie, tenendolo come si tiene una noce di cocco prima di spaccarla in due.
E Julia reagì mollandogli un calcio in mezzo alle gambe e spaccando non una, ma ben due noci di cocco.
L'uomo si prostrò a terra dal dolore, tirando pugni all'aria, guaendo e ringhiando con egual impeto.
-Suka...- soffiò tra gli incisivi, -shlyukha chertova shlyukha.-
"Troia, fottuta troia."
L'avrebbe pagata cara.
Se ne accorse quando un braccio la sbattè al muro, una mano giovane le afferró un polso e lei, nella foga di respingerlo e lui in quello di trattenerla, lo taglió contro la pietra grezza, strisciandocelo come se fosse stato uno strofinaccio e non la sua carne.
Aveva il respiro del ragazzo sulla faccia, caldo e ansante, preludio di quello che stava per succedere.
I suoi occhi scuri la vedevano già nuda.
Julia lo guardò con disprezzo e il giovane sorrise, afferrandole una ciocca di capelli e annusandola come un mastino.
Una delle sue mani era quasi sulla sua bocca, un'altra più grossa e venosa spuntata da chi sa dove le strappó il cappotto in due, facendo saltare tutti i bottoni.
-Teper'..-
-..delat dobro'-
-Stop it.-
I tre si voltarono.
Il più giovane che la teneva inchiodata al muro abbassó la mano con cui non era arrivato a zittirla, ma non si volse subito. Si premuró di imprimersi nella mente il viso di lei, del colore esotico e lontano delle dune di sabbia baciate dal sole, e di come gli occhi verdi le si spalancarono al suono di quella voce.
-Who is he? Your boyfriend?-
L’uomo con la mano ancora fra le cosce era livido.
Se la sarebbe fatta, in un modo o nell'altro avrebbe dimostrato a questa sgualdrina che il suo calcio non era servito a renderlo "inutilizzabile", che la sua virilità non avrebbe potuto scalfirla una zoccola qualunque.
Ma Julia non ne era più così sicura.
Il corpo del nuovo arrivato non aveva niente di ciò che la postura degli esseri umani diventa quando avvertono il pericolo, e nei suoi occhi non vi era la più piccola traccia di quel Settembre, troppo mite, troppo clemente.
Troppo caldo.
Non c'era vento in quel vicolo ma Julia avvertì inaspettatamente freddo.
Un freddo in cui avrebbe danzato per l'eternità.
-Who the fuck are you?-
-The question is... who do you think you are to hunting a lady like that?-
 in un americano perfetto.*
I quattro sghignazzarono sguaiatamente.
-Noi siamo i padroni di questo quartiere. Scappa puttanella, e nessuno ti farà del male.-
Il loro accento russo gravava sulle parole come una mannaia.
-Siamo i lupi della città.-
Ma il più piccolo si allontanò da Julia, meno ironico degli altri tre.
-Tornatene nel paese da dove sei venuto. Questo non è posto per fighette delicate come te.-
Gli occhi di Julia erano palline da tennis, volavano dall'uno all'altro con velocità supersonica.
-Oppure?-
-Oppure ti prendiamo a calci fino alla foresta e lasciamo che i lupi facciano il resto.-
Nulla lasciava intendere che stesse per succedere qualcosa, tranne il modo in cui Yuriy inarcò il sopracciglio.
Sul suo viso tagliente, parve ancora più delicato. 
Come i coltelli di ceramica che la nonna di Julia chiudeva nella cristalliera quando era piccola.
Lei aveva sempre pensato che fossero lì solo per la loro bellezza, per la raffinatezza delle rose che vi erano dipinte a mano sopra, una per una, con cura.
Fino a quando non ne aveva toccato uno, il più bello, il più lucido di tutti, e aveva scoperto che la sua lama tagliava più in profondità di qualsiasi altro coltello da cucina.
Alla spagnola venne spontaneo dirlo.
Immobile, braccata, tesa come la corda di un violino, la schiena rigida e le gambe di sale, schiuse le labbra e quello che disse le sembrò la cosa più naturale del mondo.
-I lupi non uccidono i lupi.-
-Che cazzo stai dice..-
E un’altra voce.
-Ma i lupi uccidono le pecore.-
Gli fu addosso, in un attimo.
Il tempo di un respiro e il giovane stava belando come una pecora, con un rivolo di sangue a imbrattargli l’occhio.
Forse ci aveva infilato le dita dentro.
Il grosso dagli occhi grigi cercò di sorprenderlo da dietro, Yuriy gli torse il braccio con la freddezza di un sicario.
-Kto volk?- chiese, e un inquietante "crack" fece da colonna sonora alle sue parole.
Lo stesso crack del naso di quello che aveva tentato di colpirlo alla nuca, lo stesso squarcio che disegnava giochi concentrici sullo zigomo del terzo.
Quattro contro uno ma uno era un lupo, e aveva le nocche sporche della loro strafottenza.
Un altro pugno. Un altro lamento.
Occhi Grigi lo abbracciò, serrandogli le braccia contro il corpo. Era il doppio del ragazzo.
Yuriy sorrise.
Julia sì, ora urlò.
Lui scattò con la testa all'indietro, il cranio cozzò con violenza contro il volto dell'uomo riducendogli il setto nasale ad una poltiglia sanguinolenta.
Quello barcollò, ruggendo di dolore e Yuriy gli afferrò nuovamente il braccio, nello stesso punto, torcendolo come prima. E pose la stessa domanda.
-Kto volk?-
"Chi è il lupo?"
L'uomo sputò qualcosa tra i denti e lui gli portò il braccio ancora più dietro, piegandogli la schiena.
-Net... net pozhaluysta...- piagnucolò. -...ti prego..-
Gli altri fecero un passo indietro.
Julia, in quel momento, avrebbe voluto che lo lasciasse.
Il tipo era un porco, gli altri dei maiali, ma quello che vide negli occhi di Yuriy e nel sangue incastrato sotto le unghie e nella voce dura che sembrò provenire da un altro tempo la spaventarono di più.
Il russo strinse ancor di più la presa sul braccio, vi affondò i polpastrelli, sollevò gli occhi, guardò gli altri tre dritti in faccia… e glielo spezzò.
Quelli trasalirono.
Julia sussultò.
Nessuno, in quel vicolo sporco, ebbe più dubbi su "chi fosse il lupo."
L'attimo dopo non c'erano già più.
L'attimo dopo ancora anche il quarto era scomparso, con un braccio ciondolante e inerme, le guance umide di lacrime e lo sguardo attonito.
-Vieni. Veloce. Abbiamo attirato troppo l'attenzione.-
Ma la ragazza non si mosse.
-Julia.- la guardò.
Julia era ancorata al muro, come se fosse stato l'unica casella del prato fiorito a non nascondere una bomba.
Come se il ghiaccio si potesse spezzare anche a camminarci sopra in punta di piedi.
Un clacson suonò alla fine della stradina, fermandosi con una sgommata su quella principale.
Attraverso la strettoia tra i due muri si scorgeva una porzione di finestrino.
La spagnola si riscosse e si raddrizzò, stringendosi sul corpo il cappotto ormai impossibile da abbottonare.
S’incamminò verso l'auto e aprì lo sportello posteriore, ricordandosi solo allora del polso martoriato.
Si issò sui sedili e Yuriy entrò velocemente dietro di lei.
Boris partì a tutto gas.
-Beh, non mi dite niente? Guardate con che gioiellino vi sono venuto a prendere. E in fretta e furia aggiungerei, considerando il modo in cui "io non dovevo farmi riconoscere".-
-Ho... non...- Julia prese un respiro, stringendo le mani sulle cosce. -Non... sarei dovuta andare in giro da sola... credevo di aver sentito qualcosa... di utile ecco. Qualcuno parlava di te... Boris.-
La tensione era ancora condensata a grappoli nel suo petto, le mani non smettevano di tremare e il respiro si perdeva da qualche parte fra stomaco, polmoni e tonsille, ma per il resto si rese conto che l’episodio non l’aveva prostrata più di quanto avesse dovuto.
Non aveva conati di vomito, né emicranie da capogiro.
Non guardava oltre la propria spalla per accertarsi che nessuno la stesse seguendo.
Non avrebbe dormito per un paio di notti, ecco tutto.
Sarebbe andata giù di quegli intrugli rilassanti che Mao le dettava maniacalmente dalla Cina attraverso Skype per una settimana, sarebbe uscita in compagnia per i prossimi tre giorni e poi niente, come al solito.
Vivere una vita da soli, crescere da soli, vagare nel cuore dell’Europa con la sola presenza certa di tuo fratello e poche altre persone scelte e essere incappata in esperienze simili più di una volta in città diverse con uomini tutti uguali avevano dato i loro frutti.
Imparare a vivere o imparare ad accettare la vita.
Osservò distrattamente gli interni in pelle beige della macchina, una Volvo ultimo modello, e commentò con un -L'hai comprata?- carico di aspettative.
-L'ho rubata.-
-Ah.-
Appunto.
-Tu, in ogni caso, non avresti dovuto perderla di vista.- disse Yuriy, con la faccia verso il finestrino. Neanche con il vetro a schiacciargli il respiro si attenuò quella lastra di gelo che stava al di sotto delle sue parole.
-Eh, lo so Yuriy. Fatto sta che la signorinella qui presente è sgattaiolata via come un'ombra, capiscimi. Ah.- mise le mani nelle tasche dei jeans scuri e ne tirò fuori una spessa mazzetta di banconote. Fece a metà e ne lanciò una al compagno continuando a guardare la strada.
-I soldi del combattimento.-
Yuriy li mise in una delle tasche del giaccone di Kai senza guardarli.
Non guardava mai due volte la stessa cosa.
Altre, neanche una.
Ma guardò Julia, e fu la terza volta della giornata.
E poi il suo polso.
-Sanguini.-
Anche lei lo guardò, realizzando solo allora che bruciava un botto.
-Non è niente.-
I primi due strati di pelle erano praticamente svaniti dove il tipo le aveva sfregato il polso nel tentativo di immobilizzarla e polvere e sporco si annidavano tra il sangue e la ferita come piccoli insetti neri.
-Se non la disinfetti si formerà un'infezione.-
-Come faccio? Non ho disinfettante nella borsetta. Anzi, non ho neanche la borsetta.-
-Borja, accelera. Troviamo una farmacia prima di uscire da Mosca poi andiamo di filato verso il lato ovest del fiume, quello dove ci facevano allenare, aggiriamolo e fermiamoci sulla sinistra, accanto agli alberi. Lì ci mettiamo sul jet di Jürgens e voliamo via da qui il prima possibile.-
Boris fece il cenno dei soldati sulla fronte, spingendo sull'acceleratore.
-Ralph Jürgens eh... quel simpaticone. Come mai cotanto galantomismo?- chiese, ridendosela allegramente.
-Perchè altrimenti Daichi gli avrebbe messo la tinta per capelli di Olivier nel tubetto dello shampoo.-
-HAHAHAHAHAHAHAHA!- questa volta Boris spalancò le fauci per mostrare il suo signorile giubilo.
Julia, suo malgrado, accennò un sorriso.
-Comunque, bentornato Yura. In realtà era da un po’ che ti aspettavo, quasi quasi temevo che fossi diventato davvero un agnellino impaurito.-
-Un agnellino io, Borja? Se ci fossi riuscito probabilmente non ci avrebbero definito un… com’è che hanno detto il tedesco e lo scozzese?
-Jürgens e McGregor? Cito fedelmente…- Julia si schiarì la gola con aria solenne, - “sono dei disadattati instabili con problemi di controllo della rabbia cresciuti in gabbia come le belve che devono diventare feroci.”-
-Carino.- Boris sorrise. –Quanti complimenti tutti in una volta, potrei arrossire.-
-Frena la furia omicida orca assassina, quei due tizi ci serviranno se vogliamo andare fino in fondo, purtroppo.- osservò l'altro.
-Che cazzo… oh no, oh no, dannazione non ci avevo mica pensato! Che palle megagalattiche…-
Julia sentì il suono di uno squarcio e si voltò, notando che Yuriy aveva strappato una striscia di stoffa dalla sua maglietta e che stava per afferrarle il polso.
Ma si fermò a metà strada.
Lei alzò lo sguardo, ma lui non fece lo stesso.
Allora la ragazza lo avvicinò alle sue mani e lui lo avvolse nella benda improvvisata.
Nella mente di Julia le immagini di poco prima si affollavano ancora l'una sull'altra, accavallandosi e scontrandosi, restituendole brevi sprazzi di gemiti, pugni e sangue.
E il sorriso di Yuriy, dell'uomo che le stava fermando lo stesso sangue, con il volto impassibile e le dita leggere.
Le stesse dita che avevano artigliato quel braccio come le unghie di un'aquila.
La fasció in modo rapido, con gesti meccanici e precisi, annodandola saldamente, come chi è abituato a farlo.
Quel sorriso non lo avrebbe mai scordato.
Non era stato feroce come i suoi calci, né impietoso come la sua voce, ma del più assoluto godimento.
Come un orgasmo.
Come se non avesse aspettato altro che uno di loro riuscisse a toccarlo, a placcarlo, per mostrare cosa succede quando si cerca di mettere il collare a un predatore.
Però doveva dirglielo.
Perché se non fosse stato per lui ora non sarebbe stata lí a pensarci.
- Spasibo.*-
Yuriy annuì una volta, tornando a fissare il vuoto oltre il finestrino.



 


 
 *Yastreb (
ястреб): Falco in russo.

*Spasibo (спасибо): Grazie

*In un americano perfetto perché, ricordo, Yuriy è rimasto 6 anni a Toronto, in Canada, nel lasso di tempo tra la fine della terza stagione (scontro con Vorkov e la BEGA) e l'inizio della mia fanfiction.


//SPAZIO AUTORE:
pin: Ciao pin, sono Pachiderma Anarchico, come va? Sono lieta che tu abbia voluto lasciarmi una recensione, fa sempre piacere sapere che la storia piace. 
Mi auguro che continui ad essere di tuo gradimento in questo "futuro post apocalittico", come l'hai definito perfettamente tu. 
Alla prossima, e grazie!
Pachiderma Anarchico

 
BenHuznestova: Ciao BenHuznestova, sono io che devo ringraziare te che hai trovato il tempo e la voglia di scrivere una recensione. 
Già, i temi cupi, tragici, problematici e nei quali non vedi la felicità neanche a guardarla con il cannocchiale sono decisamente i miei pilastri portanti, assieme allo stile di scrittura contorto che non facilità affatto il tutto, ma spero ti possa entusiasmare ancora con i prossimi capitoli.
Grazie e a presto!
Pachiderma Anarchico

 

Che ne pensate di Bill Skarsgård per Yuriy?
Non avrei mai creduto di trovare una persona reale per uno dei miei personaggi preferiti in assoluto di tutti gli anime, ma ecco che compare l'attore svedese a venirmi in soccorso.
Non so, probabilmente per il suo sembrare ermetico, aggressivo e vulnerabile allo stesso tempo e per il visino nordico e elegante. 
Fate un po' voi.
Ho modificato le foto sotto per farvelo immaginare con i capelli rossi e gli occhi di ghiaccio, un "photoshop" molto blando perchè non sono capace di altro.
Ovviamente voi pensatevelo come volete, se Bill non vi piace per Yuriy o vi destabilizzo l'immaginazione ignorate pure quest'ultima parte. :D

Se invece volete vederlo in versione anime scorrete giù.
 






Questo disegno l'ho trovato su Tumblr e non è di mia proprietà nè tantomeno di mia creazione (sapessi disegnare), sull'immagini trovate tutti i crediti.

Mi riservo il diritto di far crescere o tagliare capelli, fare tatuaggi e\o piercing ai personaggi nella storia e, come ben sapete, cambiare colore ai capelli dei nostri eroi. xD
Okay, vi ho rimbambiti a sufficienza, ho inserito un trilione di immagini, scappo. (Mi auguro che tutto ciò non pesi come un macigno sulla memoria del server di EFP.) 
Ai prossimi capitoli!
(Sperando di avere un governo nel frattempo.)

Pachiderma Anarchico.
 
 

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Capitolo 3
*** Il Fuoco non muore mai. ***


Sono tornata!
No, non è uno scherzo, né un miraggio, né un malfunzionamento di EFP, questo è davvero il terzo capitolo! (Questo entusiasmo l'hai acquistato ad un mercatino dell'usato da quattro soldi? ndOlivier) (Sì sì, ridi tu, ricorda solo che questa è la mia storia e per quanto mi riguarda detengo il potere assoluto, potrei farti anche cadere la Tour Eiffel in testa. ndAutrice) (Ma se al momento siamo in Giappone! ndOlivier) (Io può. Io può tutto. Io metto la Statua della Libertà in mezzo al soggiorno di Kai se continui. ndAutrice) (Ah, non ti è ancora bastato quello che sta subendo la mia casa con questa invasione barbarica in atto?! ndKai)
Sappiate che il prossimo è già pronto, ergo non dovrei impiegare quelle tre-quattro ere geologiche a pubblicare.
Sotto trovate come sempre le risposte alle recensioni e le foto di come m'immagino Mariam in carne e ossa, scorrete giù per vederla.
Perdonate eventuali errori, ricontrollo con "attenzione" ma qualcosa mi sfugge sempre.
Grazie infinite volte per ogni visita, ogni lettore e ogni recensione, mi fanno sempre tanto tanto piacere.
Mi auguro che questo capitolo sia di vostro gradimento, alla prossima!
Pachiderma Anarchico







 

This is my kingdome come.



 

3. 

Il Fuoco non muore mai.



 





-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!-
Un urlo disumano, simile a quello di uno sciamano in piena crisi epilettica, echeggiò in ogni angolo del maniero Hiwatari come una sirena anti incendio.
Seguirono un tonfo (Daichi era caduto dal letto al piano superiore), un paio di porte che sbatterono con impeto (Boris aveva abbandonato persino il videochiamata porno con una Svizzera sul cellulare per inneggiare ad una rissa di cui neanche aveva la certezza; Olivier aveva gettato all’aria un libro, compreso ben presto che in quel posto non si poteva stare cinque minuti in pace senza che qualcuno cercasse di buttare qualcun altro fuori dalla finestra; Takao, curioso e al contempo terrorizzato dal ritrovarsi incastrato nel frigorifero come l’ultima volta in cui si era ritrovato al centro della discussione sbagliata al momento sbagliatissimo, spiò nel corridoio al primo piano) e un rapido strisciare di sedie sul pavimento.
Alla fine Daichi si ritrovò con un bernoccolo grande quanto il Connecticut in fronte, Bori trasferì l’eccitazione dal porno alla visione celestiale che gli si apriva davanti (meglio dell’interno coscia di qualunque donna), Olivier avrebbe preferito trovarsi dovunque tranne che lì -ma era proprio lì che si trovava- nella grande cucina di Kai a comporre di nascosto il numero di un bravo psichiatra nelle vicinanze, e la curiosità di Takao ebbe la meglio, facendolo comparire sulla soglia con un soprammobile di nonno Hiwatari nella mano destra e un reggiseno nella sinistra.
-Cosasuccedecosasuccede?!-
E quello che era successo non era nulla rispetto a ciò che sarebbe accaduto di lì a cinque secondi.
-Max, ti avverto, questa è l’ultima volta che me la fai sotto al naso!-
-Ma non volevo fartela sotto al naso… eddai Rei, fai il bravo…-
Per tutta risposta il cinese si avventò contro il biondino, facendolo saltare dall’altro lato del tavolo.
Max sembrava un cucciolo di foca in via d’estinzione.
-Rei!-
Una sedia finì per terra.
-Vieni qui, Max, vieni qui o giuro sulla frangetta liscia di Kappa che ti faccio fuori!-
Boris si frugò nelle tasche. –Dove cazzo è il telefono quando mi serve…-
-Rei… alright… daccordo, avrei dovuto stare più attento… Ma tu non puoi fare così per un po’ di maionese negli spaghetti di soia...-
Rei ululò come un Orangun Tango, Takao sventolò le coppe del reggiseno a mo’ di frusta, Max si precipitò alla porta ma il cinese gli sbarrò la strada, eruttando come un toro imbufalito.
-Fra poco dovremo aprire la cappa per quanto sta fumando dalle orecchie..- fu l’utile commento di Boris.
-Dove l’hai messa ancora… dove?-
-Da nessuna parte Rei… solo lì…- Max si morse la lingua.
-E…?
-Eh?
-E poi?-
-Ma no… una sciocchezza…-
-Max!-
-Involtini primavera!-
-Te la infilo nelle orecchie!-
Rei afferò un mestolo e glielo lanciò addosso, Max quasi non si schiantò su Olivier per scansarlo e il francese si accasciò contro la parete, tenendosi le mani strette sul petto.
-Moin Deu.-
-Sorry…-
Un secondo mestolo.
-Sorry sorry sorry!- squittì l’americano, piegandosi proprio quando il proiettile improvvisato di Rei gli sfilettava sulla testa.
Il cinese prese di mira il cestino di frutta (grassa e lucida, come il padrone di casa richiedeva di acquistarla) e iniziò a giocare al tiro a segno con l’americano.
Daichi prese al volo una mela, a Takao quasi non finì in testa il melograno più grosso che avesse mai visto e utilizzò una coppa del reggiseno come elmetto.
-Tutti giù per terra!-
-Non siamo in guerra Takao.- disse Boris, soddisfatto da come si erano messe le cose.
-Quando ti arriverà una padella in testa me lo dirai di nuovo.- rispose quello, nascondendo il naso dietro al soprammobile.
-Cosa state facendo?-
Per Max fu come vedere la Madonna.
Una Madonna dallo sguardo infuocato, minacciosa, contrariata e con un cipiglio da sicario incallito, ma il biondo avvertì la salvezza irrorargli nuovamente i polmoni.
Kai Hiwatari stava lì, in mezzo ad arance e pere ammaccate, con gli occhi che scintillavano di luce sinistra.
Max gli corse incontro e si ci rifugiò dietro, poichè al momento Rei era decisamente più preoccupante.
-Per quale valida ragione una delle sedie è svenuta, la cucina è diventata il bancone di un ortofrutta e il francese è prossimo al trapasso?-
-Non ho il tempo di partecipare a un funerale.- intervenne Gianni, sbucando dalla seconda porta all’altro lato della stanza. –Ho un appuntamento.-
-Ho messo la maionese negli spaghetti Kai… ho messo la maionese negli spaghetti di soia…- sussurrò Max alle spalle del nippo-russo, con le gote in fiamme e un fremente tic nervoso nella voce.
Kai alzò gli occhi al cielo sbuffando vistosamente, segno che quella non era la prima volta che assisteva ad un teatrino del genere e che si stava profilando una classica scena alla “Bladebreakers”.
-Perché lo fai ogni santa volta Max? Sai che da’ di matto quando succede, più di Lai durante l’ultimo campionato mondiale.-
-E mi è scappata…-
-Rei, tu potresti evitare di demolirmi la cucina, se non ti crea troppo disturbo?-
-Tu vuoi dirmi… che sarebbe bastata un po’ di maionese in un involtino per farli uccidere tra di loro?- esordì Yuriy, poggiando una spalla allo stipite della porta e lanciando un’occhiata a Kai.
Quest’ultimo gli fece un seccato cenno con il braccio e si mise le mani sui fianchi, in una posa che ricordava così fedelmente il rosso da far paura.
Yuriy lo guardò tra lo scettico e il divertito, indeciso se prenderlo a pugni o meno.
-Gianni, rianima il tuo amico, Daichi smettila di rubare banane, Max vai a cercare Kappa, è chiuso con Daitenji nella sede della BBA da una settimana e mi sono rotto le palle di aspettare che qualcuno si degni di sputare il rospo su quello che dobbiamo fare, se dobbiamo farlo e come.
O sono coinvolti in una tresca o faranno meglio a portare qui le chiappe prima che inizi a lanciarvi anche io cose in aria. Mao arriverà in aeroporto fra dieci minuti Rei, vai a sbollentare con lei e Takao… cosa diamine ci fai con un re..-
-COSA DIAMINE CI FAI CON IL MIO REGGISENO IN MANO!??-
Se esisteva qualcuno più allarmante di Rai in cucina e più intimidatorio di Kai in ogni altro momento della giornata, quel qualcuno era decisamente, irrimediabilmente, paurosamente Hilary Jay Tachibana.
Un metro e sessantatré di concentrata forza distruttrice, campionessa indiscussa di ordini random e picchi di voce da soprano, accomunati ad una cascata di lisci capelli color cioccolato, un viso a forma di cuore e l’istinto omicida, solitamente indirizzato verso il suo ragazzo.
Oh, l’avrebbe preso a calci questa volta.
-Hilary!- la chiamò Takao con un verso strozzato, come se invece di vedere la sua fidanzata avesse scorto un barracuda affamato. –Tesoro… stavo solo… ho preso la prima cosa che mi è capitata a tiro… era una questione di vita o di morte! Pensavo che qualcuno fosse morto.-
-Io sono morto.- mormorò Olivier, con lo sguardo rivolto al soffitto e il tono di uno che esalava il suo ultimo respiro.
-E la morte di Olivier ti sembra un motivo valido per sbandierare la mia lingerie ai quattro venti?!-
-Beh… ecco…- balbettò Takao.
-Si dice LIINGEEEERIIE…-
Olivier si pentì subito di aver aperto bocca.
Rei parve improvvisamente una docile pecorella se paragonato al petto della soave fanciulla che iniziava a gonfiarsi come un vulcano in escandescenza di lava bollente.
-Che cosa?-
-E’ colpa mia Hilary, colpa mia, ho esagerato con Max e la sua maionese, scusatemi tutti! Non vogliamo morti.- disse Rei, alzando le mani in un gesto di calma e tornando nella ragionevole e saggia versione di sé.
 -Anche perché il sangue macchia i tappeti più del vino e non ho intenzione di pulire le vostre budella dal mio pavimento.-
-Sei ancor più delicato di quanto ricordassi Kai.- commentò Gianni.
-Ehi, giapponesina, bella la tua lingerì comunque.- Boris le fece un sorriso osceno.
Hilary si volse verso Olivier. –A lui non lo correggi, eh?-
-Non voglio mica morire mademoiselle.-
-Però… intelligente il francese.- Boris sfilò dalla tasca di Daichi il suo cellulare.
-In ogni caso- Hilary improvvisò un’orrenda mossa di Yoga, respirando e inspirando vistosamente, -Mao è arrivata. Quindi Kon, abbandoniamo la nave che affonda e andiamocene.-
Girò sui tacchi e, con grande sollievo di Takao, uscì dalla cucina, per poi tornarci di nuovo a passo di marcia e fermarsi ad una manciata di millimetri da lui.
–Io e te facciamo i conti dopo.- sibilò, gli strappò il reggiseno di mano e si volatilizzò in corridoio, seguita da Rei.
Takao si lasciò cadere su una sedia con l’aria di un condannato a morte.
-Che appuntamento hai che non puoi partecipare al funerale di Olivier?- chiese Daichi a Gianni, sbucciando la quinta banana e parlando come se davvero Olivier fosse spirato.
-Donne Daichi, donne.- il romano si raddrizzò con aria solenne. –Non posso mancare, hai visto come sono, no? Passano dall’essere confettini fruttati a squali con tre file di denti nell’arco di sei secondi.-
-Anche cinque o sette file.- puntualizzò una voce limpida come un diamante, e dura altrettanto.
Comparvero prima le lunghe gambe, poi un’attraente vita a clessidra e in fine un viso di luna, che faceva pensare alla notte dalle mille stelle dei paesi arabi.
Capelli nero-blu lunghi fino alle cosce e mossi come le onde del mare, occhi di giada, eyeliner nero come il buio e fitto come quello delle maschere veneziane e orecchini d’oro agli innumerevoli buchi disseminati sulla cartilagine delle orecchie, come tante costellazioni danzanti.
Mariam era di un’innegabile sensualità, profumava di cannella e zenzero e aveva negli occhi il velluto dei gigli blu che crescono sulle sponde del Nilo. Eppure, a uno sguardo un po’ più attento, un bagliore ferino denunciava il predatore che si celava sotto ai petali.
Un piercing d'argento brillava sul carnoso labbro inferiore.
-E tu che ci fai qui?- chiese Takao, sussultando per lo spavento.
Erano ormai mesi che il giapponese, non appena una voce più acuta di qualche ottava si materializzava nel giro di un chilometro, credeva sempre che fosse Hilary a reclamare vendetta.
-Daitenji e Kappa non vi hanno detto proprio niente eh?-
-Oggi lo faranno.- Kai le puntò un dito contro, ricordandosi in quel momento che era ancora irritato per quella mancanza.
Non si teneva Kai Hiwatari allo scuro come un essere umano qualunque, e che diamine!
-Beh, nel frattempo… come hai detto che sono queste ragazze?-
-Bellissime, ovviamente.- risposte Gianni, che s’era inconsapevolmente avvicinato alla nuova arrivata come se una calamita lo attraesse irresistibilmente a qualunque esemplare di sesso femminile gli si parasse davanti agli occhi.
-Sono… come si suol dire… uno che ci sa fare con le fanciulle in difficoltà.-
-Chi ti dice che siano in difficoltà?-
-Tutte le fanciulle sono in difficoltà prima d’incontrare Gianni!-
Boris scosse la testa e spalancò il frigorifero.
–Non so proprio come possano caderti ai piedi. Se io fossi una ragazza scapperei urlando.-
-Un po’ di moine, qualche promessa, un vestito di qua, una collana di la, un buon bicchiere di Champagne, un sorriso alla Gianni, una mano fra i miei spettacolari ricci biondi e il gioco è fatto. Ma che ne volete sapere voi? Tu e… com’è che ti chiamano? Il Lupo di non-so-chè di come si ci approccia con il gentil sesso?-
-Non è tanto gentile…- borbottò Takao.
-Non ne abbiamo mai avuto bisogno: o si spaventano a priori e neanche si avvicinano o si avvicinano e diventano ossessionate. Semplice, chi ha il fegato di farlo avrà la migliore scopata della sua vita.-
Olivier era certo che un funerale ci sarebbe stato.
Gianni fece pat pat sulla spalla del compagno, osservando Boris come se fosse una blatta disgustosa, con quella sua espressione falsamente cordiale e tanto, tanto schifata.
-Ah. Bene. Ehm… onestamente non ho idea del perché debbano avvicinarsi a voi, ma…-
-Non ne hai idea? Hahaha, questa è buona bel romano, li hai guardati bene? Vediamo di farti capire… guarda le spalle di Boris, guarda le gambe di Yuriy. Senza contare il resto. Io me li farei seduta stante e non hanno avuto bisogno neanche di aprir bocca. E mi farei anche Hiwatari se è per questo. Mi farei tutta la squadra al comple..-
-Okay! Abbiamo capito.- bofonchiò Daichi, inscenando una battaglia all’ultimo sangue con Boris che non era minimamente intenzionato a mollare il suo cellulare. –La smetti di chattare con la svizzera dal mio telefono??-
-Ma che ci posso fare? Mica è colpa mia se qui gironzolano orde di ragazze e io non ne posso sfiorare neanche una.-
-Puoi sfiorare me.- Mariam fece il giro del tavolo, passando volutamente verso Boris e ostentando un visino innocente che non le riuscì granchè.
Negli occhi le danzava una ninfa dagli occhi da cobra.
Gli sfiorò il petto con l’indice.
-Peccato però che ora sia impegnata con il re del broncio a fare un giro per il castello.- Si diresse alla porta che dava sul corridoio principale e abbozzò la caricatura di un inchino.
-Sua Altezza, dopo di lei.-
Kai li passò in rassegna uno ad uno, come se volesse bruciarli vivi con il solo effetto delle sue pupille.
-Se sento un altro urlo, schiamazzo, guaito, sussurro o respiro oggi sarà la volta buona che vi butto nel camino. Volete uccidervi? Perfetto. Anzi, nulla mi darebbe più gioia. Ma fatelo in silenzio.-
E precedette la ragazza con l’aria di chi ha davvero una corona invisibile in equilibrio sulla testa.
Mariam si rivolse a Yuriy, accanto a lei.
-L’ha mica capito che se si rivolge a me così lo apro in due come una noce di cocco?-
Il russo la guardò dall’alto in basso, senza fretta, con le braccia incrociate sul petto e un velo di compiacimento sulle labbra.
-Non hai peli sulla lingua eh?-
-Neanche tu a quanto dicono.- rispose.
-Chi lo dice?-
-Mmh… diversa gente. Gente che ti ama e gente che ti odia.-
-E tu da che parte stai?- Yuriy inarcò un sopracciglio ma senza neanche l’ombra di una minaccia.
-Dalla parte dove sorge il sole, ovviamente.- rispose Mariam, con un sorriso da Sfinge.
Fece l’occhiolino a Boris e scomparve anche lei.

 
                                                                                   ***



Sulle pareti erano appesi quadri di silenzio.
La lucciole del chiarore lunare volteggiavano nella stanza come accendini nella notte, gareggiando con il bagliore del fuoco nel camino.
Lotta impari, avrebbe detto l’uomo appena entrato, con lo sguardo rivolto verso una delle due poltrone.
Il fuoco le avrebbe bruciate vive.
Certo del suo pensiero -inconfutabile come l’alternarsi del giorno e della sera- si fece avanti per scoprire che negli occhi di chi occupava la seduta non albergava la stessa certezza.
Il fuoco era solo braci.
Ardenti, rosse, ma pur sempre braci.
E le braci non sono fumo, ma neanche fiamma.
-A cosa stai pensando?-
Non fu una domanda, quella dell’uomo che nella sua mente aveva già dato le lucciole per spacciate.
Fu una consapevolezza.
E questa, per davvero, innegabile.
Il ragazzo sulla poltrona però non stava pensando.
Era solo un ricordo quello che gli si era insinuato fra cellula e cellula, un funambolo malfermo sulle corde psichiche.
Troppo incerto per proseguire, ma senza ali per volare.
Un ricordo, come tanti altri, emerso dai tempi in cui si poteva ancora credere che le parole restassero tali. Parole.
 
Rosso è il tappeto.
Rossi sono i tendaggi del letto a baldacchino.
Rosse sono le candele accese tuttintorno.
Rosso, blu e argento.
Sono questi i colori della sua vita, da sempre.
-Avvicinati bambino.-
Una mano si tende nelle ombre.
Kai non ha bisogno di domandarsi a chi appartiene, né di distinguere bene i contorni del viso che lo sta aspettando.
Li riconoscerebbe anche nelloscurità. Anche nei suoi sogni.
-Come stai, bambino?-
-Dicono che morirai.- è la risposta del ragazzino, la piccola mano stretta a quella più grande.
-Ah, la schiettezza di tuo nonno.- La donna sorride, un sorriso che diviene presto tosse.
-Linnata indigesta schiettezza degli Hiwatari.- mormora fra i colpi rochi della gola. -La vedo già in te, dolce Kai.-
-E vero?-
-Sì, temo di sì.-
Per un poco regna solo il silenzio, e i rintocchi dellorologio al muro che rimbomba nellanimo del piccolo.
E da sempre una prerogativa di questa casa, lasciare che le cose vadano al loro posto senza interferire.
Chi crede nel sangue crede anche in un ordine naturale, inviolabile.
Ma non c’è più molto tempo.
La donna osserva le linee giovani sul volto tanto amato del ragazzino, la pelle liscia come il legno lucido ma chiara come lavorio delle spose, le gote piene come i frutti dellEstate -tanto amato-, e sa che sarà lultima volta.
-Bambino mio sarai forte?-
-Non voglio che tu vada via, non voglio essere forte da solo.-
-Oh dolce Kai lo sarai. E questa sarà la tua salvezza o la tua condanna.-
Kai stringe ancora le dita che tante volte lo hanno accarezzato, e ascolta la voce che cantava le ninna nanne per farlo addormentare quando quegli orribili incubi tornavano a fargli visita nel cuore della notte.
Incubi in cui i corridoi erano bui e infiniti e dove la pietra dei muri era sempre macchiata di sangue.
Ma lei era più forte, con i lunghi capelli dargento che sinanellano alle punte e gli occhi di quello che a prima vista pare mogano, e invece sono di rubino, come i suoi.
Largento freme anche adesso, quando lei sposta la testa sul cuscino per essergli più vicino.
-Le aquile volano da sole, Kai. Purtroppo è così… e ho cercato di proteggerti anima mia, per quanto mi è stato concesso, ma ora sento che il Fuoco sta bruciando le sue ultime ceneri-
-Il Fuoco non muore mai.-
Strana, come conversazione su un letto di morte.
Ma è questo tutto ciò che di vero sa, tutto ciò che gli è stato ordinato di credere, lunica verità possibile.
-Infatti, bambino mio.- i cerini le accarezzano gli occhi. Non sono marroni.
Il Fuoco non muore mai.-
Kai non è sicuro di capire, ma annuisce lo stesso e con decisione, perché è così che gli è stato insegnato.
-Ho fatto di tutto per proteggerti di tutto. Ma ci sono persone che farebbero persino di più… per averti.-
Il tono è pacato, a tratti flebile, ma non c’è timore o rabbia nella voce della donna.
Solo unindicibile amarezza.
E scritto nel sangue, dopotutto, nel suo e in quello del suo bambino.
E scritto nei lampadari di cristallo del maniero, persino nel cielo sopra di esso.
E le cose scritte nel sangue e nel cielo non possono essere cambiate.
A nulla valgono gli strepiti e le urla, non servono angosciose ribellione e fervidi rifiuti.
Lui ti trova.
Il sangue ti trova sempre.
Li aveva conosciuti a sue spese, quando era ancora molto giovane e molto esile, i due pilastri scomodi su cui si reggeva la sua esistenza.
Il primo: il Fuoco non muore mai.
Il secondo: il Sangue è cosa tua.
Più profondo di qualsiasi altra cosa, forse più in basso del cuore, scrive la tua storia primancora che tu sia al mondo.
Ma questo Kai lo sa già.
Ciò che non sa è che lunico modo per sfuggirgli è cavarselo tutto di corpo, vomitarlo sino allultima goccia, rinnegare se stessi.
E il corpo della donna, un tempo così florido, così in salute, e quel volto, un tempo così conteso, così ammirato, ora non sono altro che il disfacimento e lagonia.
-Sei ancora così giovane c’è tempo.-
-Tempo per cosa?-
-Per scegliere. Sì… ma un giorno, non molto lontano, dovrai compierla. Dovrai scegliere fra ciò che sei, e ciò che puoi essere. E ciò che puoi essere ci sono persone che ucciderebbero per ciò che puoi essere.-
La voce sempre più fioca, le mani sempre più fredde.
-.perché?-
Questa volta Kai tentenna.
La donna no.
-Perché sei un Hiwatari.-
Una fiamma si spegne, ma gli occhi sono sempre più rossi.
Lei solleva una mano e gli scosta un sottile filo dargento dagli occhi grandi.
-Tu hai scelto? Dimmi hai scelto?-
Lei annuisce, piano.
-Ho scelto e ho pagato per questo. Vedi esistono solo due strade possibili per gli Hiwatari: Fuoco o Sangue. E una contraddizione ma è così che siamo, ci diamo fuoco con la nostra stessa fiamma. Non sappiamo possedere entrambe le cose. Ma io ho scelto una terza strada. Una strada che non mi era concessa.-
-Quale?-
-Quella che mi ha condotto a te.- La donna gli sfiora una guancia. E bollente a contatto con le sue membra oramai inservibili. Ho scelto te.-
Una seconda fiamma si spegne.
Due candele piombano nelloscurità.
Kai quasi non se ne accorge.
-Ho pagato per questo sto pagando anche adesso. Dovermene andare senza poter più vegliare su di te sapendo quello che dovrai affrontare-
-Cosa co..-
-Sssh anima mia non pensarci ora hai tempo hai tempo-
Kai poggia la testa sul suo petto, che si solleva impercettibilmente.
E stanca e probabilmente lo verranno a cacciare prima che accada, ma lui non vuole andarsene, non vuole.
E se tornano i brutti sogni?
E se il nonno lo guarda di nuovo male, proibendogli di aver paura del buio perché è una cosa stupida e infantile, e lui è un Hiwatari e non può essere né luno né laltro?
Tutte le fiamme si spengono.
Ma Kai aveva solo nove anni quando Sofya Hiwatari morì.
 
-A niente.- rispose.
Kai non guardò la nuova arrivato, non ne ebbe bisogno.
Mariam era l’unico essere umano sulla faccia del pianeta, assieme a Hitoshi Kinomiya, a comparirti accanto senza il minimo rumore, né spostamento d’aria alcuno.
Come lo spostamento delle dune di sabbia nel deserto.
Kai si chiese cos'altro sapesse fare, quante stranezze nascoste negli angoli reconditi del mondo avesse visto, cosa gli uomini erano disposti a fare per assaggiare il potere, per guardare negli occhi il sole.
E lo fece continuando a fissare le fiamme.
-Desideravi dirmi qualcosa?-
Se Mariam non fosse stata Mariam probabilmente si sarebbe preoccupata.
Kai si muoveva appena, quasi temesse che al solo battito di ciglia gli ultimi resti delle braci svanissero per sempre, e continuava imperterrito a scrutarle.
A contemplarle.
Sì, questo è il termine esatto, contemplarle.
Il suo non era un guardare normale, era un mangiarsele, divorarsele con gli occhi, fino a sentirne l’acre odore e il fumo pungente in gola.
Ma dal canto suo la ragazza non era una di facili paranoie, e aveva cose ben più urgenti da sbrigare.
-Ti sarai chiesto di cosa vi stiamo tenendo all’oscuro.-
-Sì, me lo sono chiesto.-
-E…?-
-E sono giunto alla conclusione: credete che la verità sia troppo dura.
Che ci possa “turbare”.- Finalmente piegò il collo nella sua direzione, battendo distrattamente un’unghia sull’anello d’oro che portava al medio.
-Credimi Kai, potrebbe farlo.-
-Credimi, non lo farà. Le frasi in sospeso mi turbano. I sussurri mi turbano. Le cose non dette, lasciate a penzolare nel passato, mi turbano. La Verità potrebbe uccidermi, ma non turbarmi.-
Mariam annuì e sospirò lungamente, passandosi le mani sulle ginocchia.
Kai attese.
Attese tutto il tempo.
E alla fine la più grande disse: -E’ sbucata fuori una nuova profezia, recente, probabilmente recentissima, di pochi giorni fa e… al Monastero ne sono già al corrente.-
-Tutta per intero?-
-Per intero.-
-Noi cosa sappiamo?-
-Della profezia? Al momento meno di niente, tranne una cosa.-
-Cosa?-
Mariam lanciò un’occhiata ai liquori sul tavolino. Le sarebbe proprio servito un goccio di brandy.
-Poche ore dopo che Vorkov ne è venuto a conoscenza, ovvero nella notte tra l’8 e il 9 Settembre, Hito Hiwatari è evaso di prigione.-
-Mio nonno era rinchiuso in Giappone.-
-Esatto.-
-Quindi sono qui.-
-Sono qui. O sostenitori, o infiltrati o alleati, ma sono qui. Non possiamo fidarci di nessuno, neanche delle nostre stesse ombre. Sembra uno dei soliti discorsi del cazzo da allenatore ma è così, sul campo e nella vita vera: dobbiamo stare uniti.-
Kai si attorcigliò una ciocca di capelli tra le dita.
Se la verità l’avesse turbato o ucciso il linguaggio del suo corpo non ne fece parola.
-Sei sorpreso?-
-Che mio nonno sia evaso da una cella d’isolamento di una prigione di massima sicurezza?-
Mariam annuì.
-No. Dopotutto... è fuoco anche lui.- gli costa dirlo.
–E il fuoco non muore mai.-
 
 
***
 
 
L’esplosione arrivò come previsto.
Gli uomini di Vorkov si erano riversati nei sobborghi di Mosca come avvoltoi sulle carcasse dei suoi cittadini.
Vicoli, piazze, sentieri che portavano dritti alla foresta, tutto venne setacciato, tutti interrogati, tutti avevano qualcosa da dire per entrare nelle grazie del “padrone” e tutti biascicavano parole forzate, disgustati dall’ondata di violenti scagnozzi serpeggianti nelle strade, simbolo del suo potere.
Chi non rispondeva veniva picchiato, chi faticava ad essere sincero veniva “sollecitato” all’onestà, chi tentava di sottrarsi semplicemente svaniva nel nulla, e basta.
Erano penetrati nei locali a luci rosse, nei night club, nei bordelli e nelle birrerie, avevano risalito i sagrati delle chiese e bisbigliato domande ai fedeli seduti in preghiera.
Non vi era stato un solo ciottolo di Mosca in cui Vorkov non aveva insinuato i suoi artigli.
Nessuno sembrava avere qualcosa di rilevante da dire ma tutti dicevano qualcosa, per paura o per coraggio, per vergogna o semplice desiderio di caos.
I circoli clandestini erano stati i più difficili da agguantare, protetti dalle loro reti d’affari, ma Vorkov aveva conoscenze tali da permettergli di disturbare anche loro, se lo voleva.
E finalmente, l’epilogo di quella che era diventata una caccia alla verità lunga sette giorni consecutivi, dall’alba al tramonto, si presentò nel suo studio la terza domenica di Settembre, al sorgere del sole.
-Vorkov Signore, quattro ragazzi ritengono di avere informazioni utili. Desiderano parlare con lei.-
Egli se ne stette di spalle, con lo sguardo rivolto oltre il vetro della lunga finestra, ad ammirare il malinconico sole russo muovere i primi passi nel mondo.
La sua ancor pallida sfera incandescente ammiccava dagli alberi con pudica sfrontatezza, gettando sulla neve intatta piccole stelle di cielo.
-Molto bene, che entrino.-
“Sono tutto orecchi”, pensò.
Il piccolo gruppo fece il suo ingresso nella stanza con poca grazia: palesemente dei tipi impegnati in spaccio o droga, il tipico branco di periferia.
Uno indossava un paio di occhiali scuri e pareva si sforzasse a tenere la testa dritta, un secondo zoppicava un po’, quello più imponente aveva un braccio stretto in una fasciatura e il più giovane e smilzo se ne stava rigido ai margini della scena.
-Ragazzi miei.- tuonò Vorkov benevolmente. –Cos’avete di bello da dirmi?-
I ragazzi si guardarono tra loro, indecisi su chi dovesse cominciare.
Poi iniziò il più giovane, con gli occhi di un denso color ferro.
-Non ne siamo sicuri… ma pensiamo di aver avuto a che fare con Ivanov.-
 La notizia non suscitò in Vorkov neanche l’ombra di quel boato su cui avrebbero scommesso la vita.
Probabilmente avevano incontrato l’uomo per cui stava crivellando la città, rivoltandola come un calzino sgualcito da una settimana e agognando la più blasfema traccia di informazione, e lui se ne stette con le grandi mani giunte, imperscrutabilmente calmo.
Quegli idioti si sentivano speciali, ovviamente.
Come se non si fosse sorbito ogni giorno teppistelli da quattro soldi che si esibivano in scenette patetiche di scadente valore e discutibile ingegno, blaterando di aver visto Ivanov dovunque: sui tetti, nelle case, dietro una tenda, sulle sponde del lago, tra i rami degli alberi, nelle fontane, nelle zuppe di carne e nei bicchieri d’acqua.
Cercavano solo un modo di mettersi in mostra, di entrare nelle sue cerchie ristrette per stringere tra le mani un briciolo di autorità.
Non avevano proprio nulla da mostrare, se non la loro becera stoltezza.
Ma Vorkov aveva bisogno anche di queste persone, degli affamati di prestigio, dei cacciatori di ambizione per tenere in vita il suo regno.
Erano le fondamenta su cui si costruivano da sempre i castelli più maestosi, e il suo avrebbe superato qualsiasi altro.
-Se aveste avuto a che fare con lui ve ne sareste accorti.- fece notare.
Garland sgusciò dietro di loro andando ad appollaiarsi su un divano color castagna sospinto contro una delle quattro pareti in pietra.
Faceva spesso di testa sua, entrava e usciva e vagava con quell’aria superba da principe per la maggior parte del tempo, ma Vorkov volentieri faceva finta di niente.
Chi ha il potere ne vuole sempre di più.
Garland era una fetta di potere alla quale non poteva rinunciare.
-Lui… ecco… ci abbiamo lottato.- proseguì lo zoppo. –All’inizio sembrava un turista, parlava bene in inglese… era con una ragazza, una straniera… forse meridionale. Cioè, noi eravamo con lei in un vicolo e quando ci siamo avvicinati lui è comparso.-
-Biondo, alto…-
Biondo.
Gli dissero che l’ultima volta, quando era sfuggito ai suoi uomini a Toronto, i suoi capelli erano completamente neri.
-Cos’ha fatto?-
-Noi gli abbiamo detto di andarsene, che quello non era posto per gente come lui, che… ma sembrava un turista, dannazione, un turista…-
Garland sbuffò sommessamente ma senza sforzarsi troppo per nasconderlo.
-Ci ha attaccati ma eravamo in quattro, stiamo in mezzo a fottute risse tutti i giorni e solo una delle mie cosce è più grossa di lui.- disse quello dalle sembianze di un piccolo rinoceronte. La stizza gli gracchiava ancora nella voce.
-…ma?- Vorkov adesso lo osservava con attenzione.
-Ma non c’è stato verso. Niente. Scattava come un serpente, tirava calci, pugni, gomitate, testate, qualsiasi cosa… preciso e veloce, non siamo riusciti a fare niente. Ha ferito lui alla gamba, a me ha spezzato il braccio… e avrebbe continuato. Aveva fretta ma avrebbe continuato, ne sono sicuro cazzo.-
Certo che avrebbe continuato.
Vorkov si sedette meglio sulla sedia.
-Ha detto qualcosa di particolare?-
-Non… ricordo…-
-Sì- riprese un altro. -Sì una cosa l’ha detta, anzi più di una, sempre intorno alla stessa cosa.-
-Cosa?-
-I lupi.-
Vorkov si sollevò lentamente mentre il ragazzo proseguiva, senza dare a vedere che le loro parole iniziavano a formicolargli nella pelle.
–All’inizio ha detto una roba come… i lupi uccidono le pecore,- guardò gli altri, in cerca di conferme.
–E poi ha chiesto un paio di volte chi è il lupo?-
Garland si versò da bere.
Vorkov annuì piano, come se un solo respiro, un po’ più profondo, un po’ più vero avesse potuto far vacillare la sublime immagine che andava figurandosi nella sua mente.
-Cos’ha fatto a te?- si rivolse a quello con gli occhiali da sole, rimasto in silenzio fino ad allora. Non sembrava aver molta voglia di parlare.
-Mi ha colpito gli occhi.-
-Come.-
-Ci ha… premuto le dita…-
Vorkov annuì di nuovo, questa volta chiudendo i suoi di occhi, e sentendo sulla lingua il sapore dolciastro del compiacimento.
Era opera sua.
Quella forza, quella velocità, quella precisione, quei riflessi erano opera dei suoi insegnamenti.
Quella violenza, quell’efferatezza… opere di anni e anni di affinamento fisico, morale e psicologico.
Opere di torture, nate dalla crudeltà, dalle privazioni, dallo spingere i confini della resistenza e della tolleranza oltre i limiti concessi all’essere umano.
Per creare qualcosa di più.
Per creare qualcosa che non si rompe, che non si pente.
Era perfetto.
-Vi è sembrato usasse la mano destra o la sinistra?-
-Non sappiamo… la destra forse…-
-Ma che dici? Usava entrambe allo stesso modo… ti ha preso a cazzotti prima con una mano e poi con l’altra.-
Certo, perché Yuriy era ambidestro.
Si era preoccupato personalmente, non appena aveva messo piede nel monastero, di impedirgli di concentrare le sue capacità motorie su un solo lato del corpo.
Tutto può diventare unarma, gli ripeteva in continuazione, come una preghiera, come una ninna nanna, da quando aveva sei anni.
Quindi anche ogni parte di te dovrà essere unarma.
-Gli occhi. Ditemi dei suoi occhi e poi andatevene. Che colore?-
-Chiari.- rispose uno.
-Azzurri.- un altro.
-Non basta.- li sollecitò Vorkov, con un cenno impaziente delle dita.
Il più giovane aggrottò le sopracciglia.
-Diversi. Come… come… erano come…- cercò negli altri la parola, ma fu Vorkov a trovare ciò che stava cercando.
-Come ghiaccio.-
Garland, per poco, non sollevò gli occhi al cielo.
Tutti questi stronzi inetti stavano solo alimentando la mistica voce che Yuriy Ivanov entrava e usciva da Mosca quando e come voleva, nonostante gli pendesse sulla testa una mannaia.
Nonostante fosse stato solo un misero colpo di fortuna, dovuto a guardie distratte e informatori insignificanti che non assaggiavano la frusta da troppo tempo.
-E… quando mi ha guardato, un secondo prima di attaccare… è stato come se… come se uno guardasse negli occhi una valanga di neve che sta per ucciderlo.-
Vorkov li congedò con un gesto veloce della mano.
Non aveva bisogno di sentire altro, era tutto fin troppo chiaro.
-La nostra spia si è rivelata più utile del previsto avvertendoci della piccola gita che Yuriy avrebbe fatto fin qui.-
-Io lo dicevo che avremmo fatto meglio a occuparci di Kuznestov, che era a Mosca, e che Ivanov sarebbe venuto a cercarlo.- ribattè Gargland, con durezza.
-Ed infatti io ti ho creduto caro mio, ma questo non ha mutato in alcun modo la mia decisione. Vedi Garland,- Vorkov giunse le mani dietro la schiena, misurando con passi lievi il perimetro dinnanzi alla scrivania, -tu sei persuaso dall’idea di riuscire a risolvere la questione in quattro e quattr’otto, magari anche da solo, convinto delle tue capacità individuali e della forza della tua linea dinastica.-
-Non è un’idea, è un fatto.- Garland alzò il mento.
-La mia dinastia è una delle più antiche mai esistite e il nostro sangue non è acqua di sorgente. Io non sarei stato capace di fare ciò che faccio se non avessi avuto nelle vene secoli, millenni di nobili Siebald alle spalle a reggermi il gioco. Non so tu, ma io ho una gran voglia di dimostrare a questi illustri sconosciuti chi è che è destinato ad avere in mano il timone della barca.-
-La barca non naviga in acque sconosciute, Garland- rispose Vorkov, guardandolo. –Conosco questo mare, e anche se al momento ne abbiamo l’assoluto dominio, conosco i pesci che ci stanno dentro. Non sono delfini.-
Ma Garland gettò indietro la testa, in una candida espressione di scetticismo, e le punte dei capelli gli sfiorarono la parte alta delle cosce.
-La tua non è l’unica linea di sangue pulita- insistette l’uomo, con un tono che non ammetteva repliche. –E non sei affatto l’unico ad avere il potere.-
-Abbiamo il potere. Su tutto. Su ogni singolo abitante di questa città; abbiamo infiltrati nelle sedi del governo, il sindaco è uno squallido burattino nelle nostre mani, la Russia è nelle nostre mani e presto lo sarà anche tutto il resto. Dobbiamo solo volerlo Vorkov.- il ragazzo si alzò di scatto, allargando le braccia. I muscoli dell’addome si contrassero.
-Volerlo di più, ancora di più. Ivanov che entra ed esce da Mosca è inamissibile, alimenta un genere di sciocchezze che dobbiamo eliminare. Sai cosa dicono? Che si è trasformato in un lupo ed è svanito nella neve.- commentò con un aspro falsetto. -Un fottutissimo lupo… perché è successo?-
-Perché io ho voluto così.-
-Tu… cosa?-
-Pensi davvero che non l’abbia fatto di proposito? Che non sapessi che le guardie e il servizio d’ordine non sarebbero state abbastanza per tenere Ivanov fuori da Mosca? O che Kuneztsov non se ne fosse mai andato via, e che era da qualche parte nei bassifondi?- scosse la testa.
–Ho semplicemente dato loro l’illusione che sia facile varcare le mie difese. Ci riproveranno. E sarà la fine.-
Garland chiuse la bocca.
Vorkov non aveva mai incontrato nessuno più ambizioso di potere quanto quel Siebald, forse neanche Kai.
Kai puntava alla perfezione di se stesso, un’ossessione per cui gli Hiwatari si logoravano spesso, non di rado sino alla pazzia; Garland era diverso.
Garland voleva tutto.
E Vorkov era sicuro di poterglielo dare, se non avesse avuto la testa tanto dura da distruggere una parete in titanio e tanto cieco da notare solo le proprie ali, dimenticando spesso di non essere l’unico uccello in cielo, e che i rapaci hanno unghie più affilate della luce.
Con i capelli lunghi da ricordare una cascata di liscia seta grigia e gli occhi del colore del cielo nei giorni di pioggia, aveva una perenne attitudine trionfale, come se camminasse su un tappeto rosso comparso apposta per lui.
Incredibile lottatore, esperto di arti marziali e agile come un tamburo battente, era estremamente pericoloso, una mina sepolta da qualche parte, in attesa del piede sotto cui scoppiare in frammenti letali: e Vorkov non aveva intenzione di sprecare neanche un briciolo di questo potere.
Ultimo di cinque figli, il più giovane degli eredi Siebald era l’unico ad aver ereditato il Potere, e non abbassava mai la testa.
-Sai qual è la prima cosa che insegno ai miei ragazzi?- riprese a parlare improvvisamente il monaco, con il tono di un amorevole padre di famiglia.
–Vuoi essere forte, Garland? Vuoi essere invincibile?- chiese retoricamente. –Riconosci la grandezza negli altri. Solo allora potrai annientarla.-
Il venticinquenne non rispose subito.
I lineamenti asiatici si contrassero e tesero più volte, increspandosi come la riva estrema del Gange su cui sorgeva Varanasi, la capitale spirituale d’India dov’era era nato.
Si sforzò di cercare una via di fuga dal torto, dal vagare in quel labirinto dove esperienza e forza si scontravano spesso, scagliandosi l’una contro l’altra come animali selvaggi.
Decise di spostarsi su terreni più sicuri.
-L’operazione è riuscita: Hito Hiwatari è fuori di prigione, nascosto in qualche luogo segreto di cui solo Mystel è a conoscenza.-
“E che non ha voluto rivelarmi, lo stronzo” avrebbe voluto aggiungere.
Si trattenne dal farlo.
-Ottimo, i complici nel carcere verranno adeguatamente ricompensati. Nel frattempo…-
-Il giovane Hiwatari,- lo interruppe di punto in bianco il ragazzo, –fonti attendibili affermano che non ha il minimo controllo del fuoco, neanche una punta di quanto dicono le leggende che trasuda il suo cognome- e proseguì, con la punta della lingua che schioccava velenosa contro gli incisivi.
–Che l’aquilotto sia nato zoppo?-
-L’aquilotto affilerà il becco molto presto e sarà all’altezza della ferocia della sua famiglia. Che non abbia il controllo del fuoco? Impossibile. Gli Hiwatari ce l’hanno scritto nel sangue e ti assicuro che Kai non farà eccezione.-
Vorkov sembrò perdersi nei recessi della sua mente, da qualche parte nell’infinito volgo del passato, fra le pagine consunte di vecchi segreti.
A Garland parve un lasso di tempo troppo lungo, troppo sfibrante, e proprio quando stava per dire qualcosa l’uomo tornò a parlare, come se avesse decretato, nel frattempo, che quello non era il momento adatto per risvegliare i ricordi.
-Ci sono cose che tu non sai… cose di cui ti informerò a tempo debito.
Per il momento sappi che è solo una questione di tempo prima che Kai chiami e che il fuoco risponda. E a quel punto faremo bene a essere pronti.-
Garland sentì le viscere annodarsi come serpi irrequiete.
Le antiche rivalità tra famiglie gli scorrevano sottopelle come arterie, una ciocca di capelli color dell’acciaio sfuggì alla stretta coda.
I capelli così simili ai suoi.
Perché Luce e Fuoco non sono così diversi.
Perché nelle vene di Kai scorreva ciò che gli apparteneva di diritto, e questa volta non aveva intenzione di lasciarglielo.
Non importava se dovesse strappargli ogni singola vena dal corpo, o cavargli gli occhi con un uncino di ferro.
Questa volta l’avrebbe aspettato alle porte dell’Ade, e avrebbe vinto.


 




 
 
//SPAZIO AUTORE:

Aky ivanov: Ciao!
No, non credo tu abbia mai recensito una mia storia ma cosa c'è di meglio da fare in una mattinata insonne che recensire e fare felice un autore? (Ehm, dormire forse? ndKai) (No. ndAutrice) 
(prepararsi una fumante tisana alle erbe di campo e violetta? ndOlivier) (Ovviamente no. ndAutrice) (Cercare su internet a che distanza arriva a sputare un lama? ndDaichi) (….)
COMUNQUE, con un nickname come il tuo puoi scrivermi QUALSIASI cosa. 
Sono contenta che la storia ti stia piacendo, spero che sarà di tuo gradimento anche questo capitolo e quelli che seguiranno.
II pairing Yuriy \ Julia l'ho pensato dopo aver frenato i bollenti spiriti delle mie ovaie sul fronte Yuriy \ Kai e yaoi vari che in Beyblade piovono come pioggia radioattiva, e aprendo gli occhi a nuove esperienza (fa già ridere così) mi sono resa conto che è una coppia che va alla grande. 
Abbiamo pensato tutti la stessa cosa: con Yuriy o una tosta o uno della sua squadra perché chi altri riuscirebbe a gestirlo? 
Poi il fatto che Julia sia spagnola, energica, estroversa ecc. ecc. crea un bell'effetto da "gli opposti si attraggono", FORSE.
Non dare per scontato niente in ciò che scrivo, faccio vedere il sole e poi abbasso le persiane. (Che caspio di metafora è questa?! ndBoris) (Una intelligente. ndAutrice) (In quale universo? ndTutti)
Inutile dire che Yuriy piace molto anche alla sottoscritta (Definisci "molto". -.^ ndYuriy) (Non osare guardarmi in quel modo, io non sono una delle tante fangirl che assale te e quell'altro beduino-) (Sarei io? ndKai) (-come ti creo ti distruggo, amore mio. ndAutrice) e spero di rendergli giustizia, a lui e a tutti gli altri.

Grazie ancora,
Pachiderma Anarchico


Per Mariam mi sembra adatta Johanna Herrstedt, una modella.
Come detto nel capitolo precedente, se non siete d'accordo o semplicemente preferite immaginarvela come nell'Anime o in modo differente, ignorate pure questo passaggio.




 

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Capitolo 4
*** Il carattere è il Destino. ***


Buonsalve a tutti e buon anno! 
Da queste parti il mondo è stato coperto da una poetica coltre di neve e io sono in casa, acciambellata sul divano a pubblicare il quarto capitolo di questa storia che in tanti state apprezzando. Grazie mille a tutti. 
In questo capitolo succedono un bel po' di cose, ma non preoccupatevi se non capite, a tempo debito tutto verrà svelato, mi piace solo seminare suspense in giro. 
Perdonate ogni svista ed errore, rileggo troppo velocemente e pensando a mille cose differenti, come al solito.
Detto ciò, un caro saluto a tutti, riprendetevi dalle feste e al quinto capitolo (il quale dovrebbe arrivare a breve).
Sotto, come sempre, trovate le risposte alle recensioni (grazie grazie grazie).
Pachiderma Anarchico






This is my kingdome come.



 

4. 

Il carattere è il Destino.






-Non dovremmo essere qui- borbottò Gianni per la quindicesima volta, con lo stesso, petulante tono di voce di Kappa, il quale li aveva lasciati andare sulla porta di casa con le stesse parole.
“Non dovreste andare”.
E per la quindicesima volta Max gli aveva dato qualche colpetto sulla spalla, annuendo come da copione.
-Hai ragione.-
E tutti proseguivano imperterriti, senza rallentare il passo neanche per guardarsi attorno, con la testa bassa come “sciagurate teste di zucca” (a detta di Hilary nel momento esatto in cui anche il dolce, equilibrato, fiducioso Max aveva messo in moto la macchina e aveva esortato tutti a salire a bordo con un ampio gesto del braccio).
A nulla erano valsi i piagnucolii (ragionevoli) di Kappa, né le proteste di Andrew sul “non dare assolutamente a Kai il monopolio dell’aria calda, altrimenti l’avrebbe alzata al massimo come faceva sempre con il camino di casa sua e questa volta non avrebbe risposto delle sue azioni”; alla fine Mariam era balzata in auto, sedendosi sul sedile anteriore accanto a Max, e casualmente la sua mano era scivolata sul cambio proprio quando Max inseriva la marcia.
Daichi proprio non capiva perché la ragazza ebbe tutta questa fretta di accaparrarsi proprio quel posto.
Per la prima volta Gianni e Kei si guardarono di loro spontanea volontà in faccia, scambiandosi un’occhiata ironica.
E, sempre casualmente, Kai se n’era andato in macchina con Takao, Boris, Yuriy e Daichi perché il solo respirare lo stesso ossigeno di quello scozzese tronfio di se stesso pareva un sacrificio a cui mai avrebbe sottoposto la sua preziosissima sanità mentale.
Ma si rese ben presto conto che restare in uno spazio ristretto con Daichi e Takao per più di cinque minuti sarebbe stato molto peggio.
Ed erano in viaggio già da un’ora.
-Takao, potresti guardare la strada per cortesia?- bofonchiò Kai all’ennesima curva che Takao percorreva in linea retta.
-Se magari il pidocchio la smettesse di premere ognipulsantedellaradio DAICHI!-
-Devo familiarizzare con questo coso, devo o non devo prendere la patente?!-
-Uno, hai ancora sedici anni. Due, non ti serve a niente sapere come alzare e abbassare il volume!-
-E poi prima che tu prenda la patente avranno inventato le auto volanti.-
rincarò Boris, seduto su uno dei sedili posteriori accanto a Kai.
-Ma come ti permetti?!- sbottò Daichi, in un modo che parve un mostruoso ibrido fra Takao e Hilary, e cercò qualcosa da lanciargli contro.
-Comunque- Boris lanciò il pacchetto di sigarette a Yuriy, che lo afferrò al volo, dopo essere volato oltre la testa di Kai. -Chi è questa tipa che dovrebbe conoscere anche la taglia di mutande che portiamo?-
-Com’è che si chiamano? Memori?- chiese Takao, schiaffando lontano dal tasto dei tergicristalli la mano insidiosa di Daichi.
-Sono tizi inquietanti sparsi per il globo e che conoscono tutto.-
-Tutto?-
-Tutto.-
Tutti i presenti presero a fissare Kai con insistenza, fino a quando quest’ultimo non fu costretto a ricominciare a parlare.
-Tutto, cazzo. Tutto. Tutto ciò che è stato detto, fatto, nascosto. Qualsiasi cosa riguardi alberi genealogici e bit, la nascita delle dinastie, tutto.-
-Tutto quello che quel vecchio bavoso di tuo nonno ti ha nascosto in pratica.-
commentò Boris mentre sollevava una mano per prendere l’accendino lanciatogli da Yuriy, che sfiorò il naso di Kai.
-Mio nonno…- il nippo-russo si passo le dita sulla fronte. –Merda.-
Boris sussultò. -MERDA!-
Daichi aveva finalmente trovato l’arma da scagliare contro Boris che si rivelò essere niente poco di meno che Dragoon, scovato scandagliando il cruscotto dell’auto di Hitoshi, volato a due millimetri di distanza dall’orecchio sinistro di Kai come una libellula gigante.
Kai iniziò a fischiare come una pentola a pressione.
-Se vedo…- inizò.
-…un solo granello di polvere…- continuò Boris.
-…avvicinarsi nella mia direzione…- riprese Takao.
-…vi taglio la testa…- aggiunse Daichi.
-…e l’attacco su un palo di legno a cui darò fuoco.- concluse Yuriy.
Kai incrociò le braccia al petto e sollevò una gamba sull’altra, nella classica posa alla “non siete neanche degni del mio disprezzo.
-Capito.- dissero in coro Takao e Yuriy.

 
Alla fine erano arrivati insieme a destinazione, con Andrew che aveva iniziato a lamentarsi non appena aveva scorto Kai mettere un piede fuori dall’abitacolo, ricordandosi allora che l’aveva fatto morire di caldo con quel maledetto camino!
E Kai offriva puntualmente allo scozzese la rosea possibilità di trovare alloggio da qualche parte che non fosse casa sua, con parole calde e gentili.
-Andrew, sei ricco da far schifo o sbaglio? Sloggia il didietro fuori da casa mia.-
Julia si guardò attorno. –Dove siamo?-
-Sono già stata qui- irruppe Mariam, sbattendo lo sportello con un tale impeto che Max andò a controllare che non gli avesse distrutto la portiera. -Siamo nella valle del Kiso, no?-
-Esatto- rispose Takao, fingendo di aggiustarsi sul viso un paio d’occhiali invisibili, in un ritratto sarcastico di Kappa. –Siamo all’entrata del villaggio Magome, sulla via Nakasendo.-
-Una volta mi sono allenato qui, ci sono locande dove si mangia benissimo- disse Daichi.
Per quanto disperata fosse la situazione il tempo di abbuffarsi l’avrebbe sempre trovato.
-Non stiamo andando a fare un picnic Daichi, anzi, togliamoci da qui prima che qualcuno ci veda.- Max iniziò a camminare, varcando l’ingresso del paesino e superando una maestosa torre in pietra che denotava l’inizio di uno dei più bei borghi giapponesi.
-Restiamo uniti, non fate i turisti, non percorriamo la via principale e tenete per mano Takao e Daichi prima che si chiudano in qualche ristorante- disse Boris.
Marian scoppiò a ridere rumorosamente, una risata energica e squillante che
s’impadronì inaspettatamente del suo ferreo autocontrollo, scuotendole le spalle con leggerezza.
-Sssssssh!- le intimò Takao, più per la stizza che per il timore di un reale pericolo.
-Scu-scusate.- Finse di asciugare una lacrima e fece una smorfia al ragazzo.
Avanzarono con passo veloce su per una stradina acciottolata, passando attraverso antiche case dai tetti spioventi e i pannelli bianchi, tipicamente nipponiche. Nell’aria si respirava il vento dell’antico Oriente, una terra fantastica e misteriosa popolata da samurai e dinastie imperiali.
Passarono dinnanzi ad una vecchia macina per cereali, una grande ruota in legno addossata al muro di una casupola, e s’inoltrarono nella salita silenziosa, costellata da rigogliose piante verdi e sentieri che si perdevano nel fitto della vegetazione.
-Il freddo non è ancora arrivato- commentò Max mentre oltrepassava la chioma di alcuni ciliegi, i caratteristici alberi che d’estate si agghindano di un lussureggiante manto lilla e avorio e che, con i loro fiori, donano al paese del Sol levante un immenso tappeto di colore.
Gianni e Andrew, in barba al “non fate i turisti”, roteavano gli occhi come pesci rossi e le teste come gufi reali e parlottando di una possibile casa per le vacanze da acquistare.
Takao non era da meno.
Era stato a Magome molte volte quando era piccolo, suo nonno lo portava spesso a visitare gli storici luoghi del Giappone, ma la Nakasendo, che collegava Kyoto con Edo, l’attuale Tokyo, era sempre stata la sua preferita: serpeggiando tra i vari villaggi e danzando fra le montagne, poche cose al mondo la eguagliavano per il fascino che suscitava agli antichi viandanti.
Definita la strada dei Samurai, Takao aveva sempre subito un impellente desiderio di ritrovarsi su questa strada, e di sfiorare con le proprie dita proprio la meraviglia senza tempo di Magome, con cui sentiva un legame particolare da quando suo nonno gli aveva indicato per la prima volta l’entrata del paesino, con le tradizionali abitazioni in bambù, legno, paglia e carta, le sue botteghe dai nomi scritti in pittura bianca e il canto del fiume in lontananza.
Solo dopo Hitoshi gli aveva raccontato che non solo i Kynomia affondavano le proprie radici nel sangue Samurai, ma anche che i suoi trisarcavoli, quintavoli o arcibisavoli –lui ignorava fieramente qualsiasi cosa ci fosse oltre al trisnonno- vivevano qui.
E lui, sin dalla prima partenza del padre e poi del fratello, e ogni qual volta era costretto a dir loro addio si faceva trascinare qui, sorridendo ai pochi abitanti e venendo per sbaglio nelle foto dei turisti. 
Era il suo posto tranquillo, l’oasi felice e senza tempo in cui rifugiarsi quando il mondo sembrava troppo greve, memore di tempi più lieti, in cui l’unica preoccupazione era che il bey restasse in piedi
Adesso, qualcuno incaricato di ucciderlo poteva materializzarsi improvvisamente dinnanzi a lui da un momento all’altro.
“Non può accadere a Magome”, pensò Takao con forza, “dovunque ma non qui.”
-Come sappiamo qual è la casa giusta?- bisbigliò Boris, voltandosi per seguire una turista greca con lo sguardo.
Mariam alzò lo sguardo, rendendosi conto solo allora che se rallentava un po’ aveva una visuale perfetta dei fondoschiena dei russi e di Hiwatari.
-Kappa mi ha detto che si trova sulla sinistra e che è l’ultima casa prima del grande verde, ma francamente non ho idea di cosa voglia dire.- rispose.
-Io sì- intervenne Takao, bloccandosi sul posto.
Qualcosa iniziò a farsi spazio dentro di lui, come una pietruzza lanciata in uno stagno, una pesantezza improvvisa e inaspettata tra le costole.
Perché Kappa non ne aveva parlato con lui?
-Seguitemi.-
Si mise in testa al gruppo, affrettando il passo.
Mariam sbuffò. –Proprio ora che iniziavo a divertirmi?- sussurrò a se stessa, restando alle spalle dei russi.
Julia, poco distante da lei, sentì cosa avesse bisbigliato e incuriosita seguì lo sguardo dell’egiziana, chiedendosi quale fosse questo gran divertimento, per poi realizzare che se avesse smesso prima di fissare i monti in lontananza e si fosse concentrata su altri monti -decisamente più vicini- si sarebbe divertita anche lei.
Diede una spinta all’altra ed entrambe ridacchiarono sfacciatamente.
Quando Daichi notò le scintille negli occhi delle due e volle informarsi a tutti i costi cosa avessero visto di tanto soddisfacente, le due risposero con un laconico –montagne tondeggianti- ed evitarono di guardarsi ancora fino a quando Takao non si fermò davanti all’ultima casa del sentiero, sulla sinistra.
-Ecco il grande verde.-
Era vero.
Oltre l’abitazione non vi erano più case, locande o botteghe e neanche antichi sentieri nascosti da una fitta rete di rami, ma un’immensa valle verde smeraldo e giada che si perdeva a vista d’occhio, il cui numero di alberi pareva infinito, sormontato dalle punte acuminate della catena montuosa.
Sullo sfondo echeggiava lo scrosciare incessante di una cascata invisibile.
-E’ questa, ne sono sicuro.-
Kai e Max salirono le scale in pietra e si avvicinarono alla porta.
-Sono passato da qui un paio di volte- mormorò il biondo. –Non avevo idea che… non sarei riuscito a immaginare tutto questo- e guardò Kai, come forse non lo guardava da tempo, come forse non aveva mai fatto.
I tempi cambiano, e noi con essi.
-Se me l’avessero detto allora, non ci avrei creduto.-
-E probabilmente avresti fatto bene.- Kai non guardava più Max.
I suoi occhi ametista vagabondavano, assorti dalle mille sfaccettature di verde.
–Non siamo sempre stati queste persone, e magari un tempo non saremmo stati capaci di elevarci a certe altezze. I nostri obbiettivi erano altri, ci perdevamo fra le cose da niente del mondo. Ora è diverso.-
-Ora ne siamo all’altezza Kai?- il tono di Max era urgente, l’accento americano avvolse prepotentemente le parole del ragazzo, come accadeva ogni qual volta il biondo era consapevole che le parole da dire sarebbero state troppo ingombranti. –Siamo pronti per dichiarare una guerra?-
Kai non lo sapeva.
Da che mondo e mondo mai Kai Hito Hiwatari era rimasto a bocca asciutta.
Non parlava spesso, ma quando lo faceva era sempre qualcosa di cruciale, tagliente, impervio, ridondante, troppo limpido o troppo fosco.
Era risaputo.
Mai era stato preso alla sprovvista, incapace di ribattere, mai si era mimetizzato dietro al dubbio del silenzio, mai aveva dato agli altri la possibilità di avere ragione, quando poteva averla lui.
Eppure quella volta, in un Giappone appartenuto ad antichi guerrieri di secoli lontani, su una terra sospesa tra mito e realtà, Kai non seppe rispondere.
Disse invece, con gli occhi immersi in quelli acquamarina del compagno:
-Forse non ne siamo ancora all’altezza, Max, e forse non lo saremo mai. Ma so che ci sono voci che stanno parlando di noi, e vecchie storie dove ci sono i nostri nomi scritti col nostro sangue, e voglio sapere perché.-
Bussò alla porta, mentre gli altri si fermavano alle loro spalle.
Per un attimo fu come se in casa non ci fosse nessuno.
Non un rumore, né un bisbiglio, nè l’ombra di passi sul legno del pavimento.
Poi, d’un tratto, la porta venne spalancata.
Max ebbe l’impulso di fare un passo indietro, ma non si mosse.
Kai rimase imperturbabile e chiese: -E’ lei la Memore?- alla donna più strana che avesse mai visto.
Ed ella, confermando che a volte, solo a volte, l’essere combacia perfettamente con l’apparire, non rispose.
Anzi, non parve neppure averlo sentito.
Guardava un punto fisso dinnanzi a sè, in mezzo alle teste dei due ragazzi, come se l’orizzonte le stesse parlando.
Ma aveva sentito, eccome.
Solo che non era la sua voce a interessarle.
Ci fu appena il tempo per Boris di mormorare –Questa è suonata forte- che la donna afferrò le mani di Kai stringendole tra le sue e, altrettanto velocemente, le lasciò andare.
-Entrate- disse solo, e si diresse all’interno della casa continuando a tenere quegli occhi vividi puntati sull’avvenire.
Non poteva essere più grande di Sergej, eppure i suoi capelli erano bianchi come gli abiti delle spose; un collo nodoso e sottile, ossa sporgenti e una magrezza ambigua, diversa, come se non si nutrisse delle cose di questo mondo.
Di pelle scura, con i filamenti candidi dei capelli che le si attorcigliavano sulle clavicole come le zampe di un ragno albino, vagava per la casa come uno spettro più consistente, accendendo e spegnendo candele dagli aromi speziati con un criterio del tutto sconosciuto.
Non sembrava vecchia ma neppure giovane, turca ma anche belga, indiana e thailandese, una danza fra mondi diversi di diverse epoche.
I ragazzi la seguirono, Kai maniacalmente attento a non toccare nulla e Boris cercando con lo sguardo una qualche traccia di eroina perché, ci avrebbe scommesso, si faceva come una zucca.
La donna li condusse nel soggiorno pieno zeppo di cianfrusaglie, sul quale si affacciava una seconda stanza più piccola e circolare, entrambe sommerse da lampade e vetri colorati simili a quelli delle chiese, che gettavano una soffusa luce verde acqua sull’ambiente.
I muri erano stipati di gingilli libici e malesi, del nord America o del Perù, dovunque mettessero i piedi vi era una poltrona color avorio a impedire il passaggio, e Daichi giurò che gli strambi quadri appesi ai muri lo seguissero con lo sguardo.
Mariam gettò un’occhiata ai tappeti porpora e oro che non lasciavano neanche un buco libero sul pavimento, e Max riflettè che quella era non era affatto una casa giapponese; pareva un’accozzaglia di lingue e di culture, un connubio caotico tra Oriente e Occidente, fra Vecchio e Nuovo mondo, come se avesse vissuto milioni di vite e di ognuna ne avesse conservato un souvenir, per ricordarsi che il Presente e il Passato possono bisticciare e non rivolgersi la parola per secoli, ma alla fine trovano sempre il modo di ricongiungersi.
Come due amanti che periscono se stanno insieme, ma non vivono l’uno senza l’altro, concepiscono il Futuro.
Quando la donna si sedette nella stanzetta circolare, Julia notò che non sbatteva le palpebre, così che il singolare colore dei suoi occhi –una macedonia di cromature che avrebbe associato all’oro vecchio, al verde oliva, miele e alle foglie di the- brillava sul viso scuro.
-Mi chiedevo quando saresti venuto da me, Kai Hito di sangue Hiwatari.-
Kai sollevò un sopracciglio.
-Come fa a conoscermi?-
-Non ho bisogno di conoscerti.- rispose subito lei. –Lo sento.-
Piegò leggermente la testa, lasciando gli occhi nell’immobilità più assoluta.
-E sento altre forze vitali… mmmh…. Siete in dieci, o sbaglio?-
Max e Takao si guardarono, Mariam pareva più affascinata che intimorita, gli unici due totalmente in pace con loro stessi erano Gianni e Andrew.
Le loro famiglie avevano a che fare con questi uomini e queste donne da generazioni, e loro avevano già avuto modo di conoscerne i poteri e di strabuzzare gli occhi dinnanzi ad essi.
-Sì- risposte Kai lentamente. –Siamo in dieci.-
-E’ cieca.- sussurrò Julia.
La Memore sorrise appena. Le sue labbra erano piccole e rosee.
-Non sono cieca, cara ragazza. I miei occhi sono avvolti nel buio, ma non mi servono per vedere.- e allungò una mano, con il palmo rivolto verso di lei, aspettando che la spagnola la prendesse.
Julia guardò Andrew –l’unico che sembrava capirci qualcosa- e quello annuì. L’aveva già visto fare.
Allora si avvicinò alla Memore e le prese la mano.
Quella gliela strinse.
All’inizio il freddo delle sue dita le percorse i nervi sotto la pelle, ma mano a mano che i secondi scorrevano la pelle della donna divenne via via più calda, fin quasi a scottare.
Come se l’energia di Julia, forse persino il suo sangue, confluisse in lei, risalendole per i tendini e riempiendole le ossa.
-Sì… ah sì. Julia Fernandez, nata nel Solstizio d’Estate, senza ombra di dubbio.- Fece per lasciarla, ma d’improvviso le strinse la mano così fortemente che Julia si morse il labbro inferiore per non urlare.
Takao e Max erano già balzati avanti, ma la donna sollevò la mano libera.
Aveva ricominciato a parlare.
-Interessante… il gioco che fai è pericoloso, ma la tua forza è tutta qui… c’è… c’è, la sento. E’ una forza terrena, carnale, passionale… non sei fatta per gli dei, Julia Fernandez. Il Futuro ha in serbo un posto cruciale per te, ma il Destino non è sicuro che tu possa sopravvivergli.-
Julia si guardò attorno, incontrando la stessa perplessità fra le palpebre sbarrate degli altri.
Boris scosse la testa, facendole segno che aveva le rotelle fuori posto.
La Memore scattò con il mento verso di lui.
Come se anche i loro respiri avessero un respiro.
-So chi sei... Vento di Settentrione.-
-Come mi hai chiamato?- sbuffò il russo, che iniziava ad averne abbastanza di strampalati trucchi di magia.
-Vento…?- bisbigliò Takao, ma Kai lo zittì, osservando la scena.
Se non avesse sbattuto le palpebre di tanto in tanto sarebbe parso anche lui un Memore.
-Lo capirete quando i tempi saranno giunti.-
-Noi crediamo…- iniziò Kai con cautela, -che i tempi siano già giunti.-
La donna scosse la testa, con un velo di altezzosa compassione fra le pieghe del volto.
Kai odiò l’espressione di dolce arroganza su cui si accartocciò il suo volto.
Non l’avrebbe definita “bella”, ma per qualche strana ragione non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
Giovane e vecchia.
-Se i tempi fossero giunti, i Venti avrebbero soffiato tutti nella stessa direzione.-
Mariam aggrottò le sopracciglia e la fronte chiara le si incrinò in piccole rughe d’espressione, mentre la Memore aggiungeva: -Non è vero, Boris di sangue Kuznestov?-
-Come cazzo hai fatto? Chi cazzo ti ha detto chi sono?- Il russo strinse i pugni, diffidente.
-Non ho bisogno che qualcuno mi dica chi sei, lo sento.- ripetè.
Chiuse gli occhi per la prima volta, con il rapimento estasiato di chi ascolta la sua musica preferita, per poi aprirli di colpo, puntandoli su qualcuno che era al fianco di Boris.
-E d’altronde… i lupi camminano sempre insieme. Non è vero, Yuriy di sangue Ivanov?-
Yuriy non reagì come Boris, né come Julia.
I suoi occhi, che assorbivano totalmente il verde della stanza senza rifletterla, non possedevano nulla di perplesso o ironico; neanche la più piccola venatura di scetticismo.
Solo un’infinita inquietudine.
-Perché di sangue?- e la sua mente analitica prese il sopravvento, in mezzo a tutto quel sapore di arcano. –Non hai detto la stessa cosa a Julia, mentre a me, Boris e Kai sì. Perché?-
-E lo direi anche ad Andrew di sangue McGregor e a Giancarlo di sangue Tornatore e a Takao Jay di sangue Kynomia, ma non a Mariam Nasser degli Scudi Sacri né a Daichi Sumeragi, così come non lo direi neanche a Max Mizuhara.- Piegò il volto verso il biondo. –Il tuo sangue è lieve, ma il tuo ruolo non è stato ancora scritto.-
Max attese prima di parlare; sapeva che c’era dell’altro, che qualcosa stava scivolando via dalla sua comprensione come olio sulle dita.
Poi ripetè la stessa domanda di Yuriy, con un’inflessione rigida nella voce che non pensava potesse appartenergli.
-Perché “di sangue”?-
-Ah… il sangue non è acqua…-
-Il nostro- ribattè Yuriy, indicando se stesso e Boris, -è più annacquato del tè.-
-Il vostro…- la donna pareva trattenuta da catene invisibili che le impedivano di dire troppo e tormente che le sottraevano il silenzio. –E più pesante del piombo e più denso del petrolio.-
I due si guardarono, ma il FalkonBlaider non aveva più quella ruga di sospetto in mezzo alle sopracciglia.
-Fammi vedere- ordinò la Memore, porgendo la mano a Yuriy.
Brividi carichi di attesa scossero Mariam nel profondo delle viscere, lasciandole in bocca la consueta percezione dell’inusuale.
Ne aveva viste di cose straordinarie nel corso della sua giovane vita da guardiana delle creature sacre, fra i ghiacciai nordici e le soleggiate coste del Mediterraneo, ma mai si era sentita così viva vicino alla fine.
Doveva essere la stessa sensazione di chi assiste all’eruzione di un vulcano dalla finestra della propria casa, e attende che la lava giunga a toccargli i piedi per scoprire se vivrà ancora.
Il russo non cercò incoraggiamenti, nonostante scorgesse all’angolo del suo campo visivo Gianni e Andrew sbracciarsi nel tentativo di fargli accettare l’invito della tipa.
Yuriy rimase fermamente ancorato al suolo.
-Ha detto qualcosa a Garland Siebald. Vogliamo sapere cosa.-
-Vorremmo- rettificò una voce ossequiosa che mai si sarebbe detto appartenesse ad Andrew McGregor, –voleva dire vorremmo sapere, mia Signora.-
La donna non guardava nessuno in particolare, le sue pupille vagavano cieche, ma tutti sapevano che si sarebbe rivolta nuovamente a lui.
-Ti esaudirò, Yuriy del sangue Ivanov, dopo averti sentito.-
Boris gli sfiorò lievemente un braccio. –Secondo me intende altro- bisbigliò, tossicchiando subito dopo per celare un risolino.
Yuriy gli mostrò elegantemente il dito medio.
Si fece avanti e la Memore intrecciò le sottilissime dita alle sue.
-Sì… avevano ragione… per tutti gli spiriti se avevano ragione…-
-Chi? Chi aveva ragione?- fu Takao a parlare.
-I sussurri.-
-Le cose di cui parla la gente- aggiunse Mariam.
I due grossi orecchini a forma di rombo che ondeggiavano draccoglievano l’oro dei vetri. I suoi occhi erano più verdi che mai.
–Sono più attendibili delle profezie ufficiali.-
-Non le cose di cui parla- la corresse la donna. - Le cose di cui la gente sussurra.-
-Ooh, per tutti i bigodini di mia nonna!- guaì Gianni, passandosi una mano tra le morbide onde dei capelli perfettamente pettinati.
-Che cazzo d’imprecazione è?– sbottò Boris, che aveva il cervello in pappa e i fumi delle candele profumate negli occhi.
Gianni allargò le braccia. -Non facevo tutta questa fatica da quando mi sono iscritto ad Architettura e ho dovuto studiare per l’esame di Analisi 1.-
-Com’è andata?- chiese Max dall’altro lato della stanza, come se fossero nel bel mezzo dell’ora del tè.
-Beh, mi servirebbe proprio qualche sussurro che mi suggerisca le risposte…-
-Possiamo concentrarci por favor?!- li interruppe Julia, che come Kai non aveva distolto un secondo lo sguardo dalle mani intrecciate di Yuriy e della Memore, sulle quali erano comparsi segni bianchi e opalescenti, come venature di madre-perla che s’insinuavano nel suo incarnato di caffè, dissipando il nero e arrancando sino al gomito con la fluidità dell’acqua.
La mano di Yuriy era rimasta completamente immacolata.
-I sussurri sono ciò che c’è di più vero al mondo, perché le cose che si sussurrano sono le cose che gli uomini hanno troppa paura di urlare, perché sono verità. Le profezie possono essere cambiate nel corso del tempo, perchè nascono dal Passato e si proiettano nel Futuro. -
Le pupille della donna si dilatarono.
-I sussurri non cambiano mai- con lo scatto di un serpente guardò il russo dritto negli occhi, come se li vedesse, con le palpebre immobili e fisse delle mummie, -perché stanno già accadendo.-
E strinse la presa.
-Io non ho alcuna dote particolare. Sono solo uno che è stato allevato tutta la vita per diventare un pezzo di merda senza scrupoli, bravo a tirare pugni e a giocare ai giochi di logica. Non sono chi dicono.-
Ma Yuriy non ne era più così sicuro.
Guardando in quegli occhi cangianti gli parve che due finestre si spalancassero spalancassero sul passato, come una terrazza a strapiombo su una distesa di mare cristallino, bagnato di sole.
Ma non era il mare che vide, né il sole, ma se stesso, sul principio di una bufera di neve, da solo nel cortile del Monastero, perché tutti erano rientrati.
Anche i russi ad un certo punto hanno freddo.
Ma non lui.
Lui non sembrava neanche un russo, a malapena un essere umano.
Pareva uscito da qualche fiaba per bambini, da un qualche castello nato nel freddo di papaveri sanguigni.
Piccolo, inerme, non aveva ancora sotto le unghie il sapore del sangue, non aveva ancora grattato i muri di una cella di pietra fino a consumarsi le dita, non aveva ancora preso a calci un altro bambino fino a farlo svenire, non aveva mai tenuto in mano un beyblade, non aveva mai visto un’arma, non era ancora un lupo, né un leader.
Yuriy era certo che quel bambino dall’aria così fragile, così vana, fosse ancora in grado di piangere, che potesse ancora aver paura, cercare sollievo negli occhi di qualcun altro.
Non lo ricordava.
Non ricordava il peso delle lacrime sulle guance, non ricordava cosa si provasse a provare emozioni, a provare qualcosa di diverso da rabbia, rancore, diffidenza, odio e ansia di vedere il sole sorgere un altro giorno.
Quel bambino non era ancora niente, e la parte marcia del suo corpo ne è disgustata, da lui e dalla sua pelle di porcellana senza cicatrici e dal mondo in cui regge il ghiaccio in mano, come un gioco.
Non è un gioco.
Il ghiaccio è un’arma.
Come te.
Anche tu sarai unarma, bambino dai capelli di fuoco, gli sussurra Yuriy, con una voce diversa, anche tu sarai come gli altri pezzi dei suoi scacchi. Per un po. Fino a quando scoprirai che non sarai mai come tutti gli altri.
Perché per la prima volta la neve è nata dal fuoco.
Quando il bambino alzò la testa c’era già un altro paio di occhi di ghiaccio a guardarlo.
-Basta!- un urlo di donna che lo frastornò.
Perse l’equilibrio, le vertigini lo colsero alla sprovvista e barcollò all’indietro, Boris era gli posò prontamente due mani sulle spalle.
Il cappuccio della felpa nera cadde all’indietro, rivelando una chioma di capelli lisci. Rosso fuoco.
-Lei ha… lei ha fatto…- borbottò Boris, incredulo.
-Gli ho dato io un prodotto per lavare via la tinta, ieri sera.- Julia stava fissando il polso destro del rosso, come assente. Ed era stata lei ad urlare.
-Già, lei non ha fatto nessun fottuto trucco di magia- rispose Yuriy con un’aggressività che gli rovinò nel petto come un tuono.
-Cos’hai visto attraverso di me, Yuriy di sangue Ivanov?-
-Niente, non ho visto niente- ringhiò, incapace di ripulire il tono da quell’acredine che non avvertiva da anni e che adesso gli si riversava fra i denti come una mareggiata.
Non ne aveva mai dimenticato il sapore.
Lei lo osservò ancora nel modo fisso dei serpenti a sonagli.
Quando parlò, non vi era traccia d’incertezza.
-Tu hai paura.-
Boris sghignazzò all’istante.
–Che cosa? Yuriy non ha mai avuto paura di ciò che c’è là fuori.-
-Oh…- mormorò lei come se le dispiacesse, con i modi cortesi di chi deve annunciare la morte di un familiare.
–Ma lui non ha paura di ciò che c’è fuori.- sollevò un dito, indicando con l’indice scheletrico il punto esatto in cui batteva il cuore di Yuriy. –Ha paura di ciò che è dentro.-
Boris era sul punto di cantargliele, che non importava quanto i confini fossero inconsistenti e le gocce di pioggia troppo pesanti, ci sono cose che semplicemente non possono essere, e una di queste era Yuriy Ivanov che ha paura di qualcosa. Qualsiasi cosa.
L’aveva visto in piedi in mezzo alla tormenta, in piedi sul margine del dolore, in piedi a guardare in faccia Vorkov con una frusta in mano.
E l’aveva visto anche a terra, spesso, forse molto più spesso, con il sangue coagularsi sulle ferite e il vuoto negli occhi, con le parola ti prego sulle labbra, sempre pronte a vomitarle fuori e sempre capace di inghiottirle, anche a costo di ferirsi la gola, anche al prezzo di aprirsi una strada a forza tra le tonsille.
Ma poi guardò Kai e Takao, che si guardavano, che sapevano e no, assolutamente no, Takao non sapeva, non lo conosceva abbastanza, non lo conosceva affatto.
Ma Kai…
Kai sapeva.
-Hai paura di ciò che potresti diventare se ti abbandonassi al tuo potenziale. Hai paura che i mostri non solo non ti lascino andare, ma che ti abbiano reso uno di loro.-
E allora Boris si costrinse a guardare il compagno, finalmente, nel momento esatto in cui lo fece anche Julia.
Boris, per la prima volta, ammise a se stesso che ci sono cose che non conosceva, cose che il suo migliore amico, il suo capo, suo fratello non avevano mai rivelato a nessuno, neanche a lui.
Yuriy non era suo alleato, né amico, né tantomeno suo fratello.
Era parte della sua anima, perché solo insieme lui poteva formarne una intera.
Era in questo che Vorkov sarebbe stato sempre un passo avanti a loro?
Davvero li aveva resi tanto soli, tanto guardinghi, tanto infetti da non lasciare spazio a nient’altro?
Aveva spinto Yuriy a non fidarsi di nessuno, neanche del bastardo che gli aveva ricucito le ferite?
Quante cose non conosceva delle persone a cui aveva giurato fedeltà eterna?
Il profilo di Yuriy era cenere.
-E’ vero?- chiese allora, atono.
Julia li osservò mentre il rosso inclinava appena la testa nella sua direzione, senza voltarsi.
Non sapeva cosa ne pensassero gli altri, cosa Kai e Sergej vedessero in Yuriy, nell’attimo in cui i fantasmi del passato minacciavano di piombare loro addosso, ma lei lo vide avvolto soltanto di un mantello d’impenetrabile malinconia.
Non di quella lieve dei poeti né di quella inconsolabile degli amanti.
Era qualcosa di più, uno strazio più profondo, più intimo.
Se avesse dovuto immaginarsela, avrebbe pensato a un branco di alti e scheletrici cani neri, come ombre in una notte senza luna, che emergono dall’oscurità e attorniano un solo lupo bianco, che non scapperà via, ma che non sopravviverà neppure.
Se fosse stata una parola, sarebbe stata russa.
Toska, lo strazio nell’anima, lo struggimento che consuma e non da tregua.
Quello che ti rode fino allo scheletro, ti lascia sull’asfalto come un mucchietto di ossa che prima erano, e poi non sono più.
E Julia lo pensò quella volta, troppo presto e prima che fosse troppo tardi, che sarebbe stato un peccato.
Non per la rivolta, non per le profezie e le leggende, non per la salvezza di ragazzini innocenti dalle grinfie di Vorkov, ma perché quello che c’era oltre il russo, e le sue ossa, i muscoli, la pelle, gli occhi ostili e quel colore di capelli che non lei non ricordava mai quanto fosse vivo, non potevano celare solo buio e cani spettrali e notte.
La natura non crea qualcosa che è così difficile da dimenticare, per poi piantarvi dentro i semi della brutalità.
E quando la Memore riprese il suo discorso, indirizzandolo come una barca la verso mari diversi, Julia si concesse un ultimo, delirante pensiero: Ivanov era l’uomo più complicato che avesse mai incontrato, ma anche il più bello che avesse mai visto.
Non di quella bellezza romantica dei libri di fiabe, né di quella stereotipata dei calendari in edicola, ma quella che se non stai attento ti taglia in due, che ti si conficca dentro come una freccia scagliata per uccidere.
-Allora vi dirò cos’ho detto a Garland del sangue Siebald.
Kai Hito Hiwatari, secondo quadro a destra.-
Il secondo quadro, appeso alla parete di destra, ritraeva l’immagine di un uomo dai lunghi capelli color dell’acciaio, in disordine sulle spalle; scalzo e a torso nudo, era coperto dalla vita in giù da piume d’aquila del colore dell’oro fuso, e dal torace spuntavano tre paia di braccia, ognuno più fulgido ed etereo dell’altro, la carne sempre meno carne e sempre più rossa, sino a diventare fiamma.
-Konstantin Hiwatari, detto Il Predone- mormorò Kai, ammirando quel ritratto come se stesse guardando la foto di un suo vecchio amico. –Sottrasse una parte del potere della Luce ai Siebald. Grazie all’alchimia riuscì a scindere la Luce dal Fuoco, e a controllarlo.-
Anche Takao e Max si avvicinarono a Kai.
Le braccia di Konstantin Il Predone sembravano bruciare davvero.
-Raffigurato con tre paia di braccia perché con uno rubò il fuoco, con un altro lo dominò e con l’altro si congiunse ad un’aquila trasformatasi in fanciulla per un’ora.-
-Esatto.- La Memore parve soddisfatta della spiegazione. –E generarono i primi Hiwatari dal grembo dell’Aquila e dalla cenere del Fuoco.-
-Grazie al sapere millenario degli Scudi Sacri d’Egitto.- continuò Kai.
-Che cosa?- Mariam si voltò di scatto.
-Sì, Mariam Nasser degli Scudi Sacri. I tuoi antenati hanno permesso a Konstantin Hiwatari di congiungersi con la donna-alata poiché ricordavano com’era il potere dei Siebald prima del furto, e sapevano che se il Fuoco fosse tornato a loro, avrebbero dominato su tutto.-
Mariam e Kai non poterono fare a meno di guardarsi, nella luce soffusa di quello spazio angusto, e chiedersi se anche i loro padri e le loro madri si erano guardati così, all’alba di una nuova era.
-Konstantin Hiwatari aveva finalmente la prole dal sangue giusto, ma non la protezione delle aquile. Ci volle la terza generazione, con Kazimir, perché le aquile ritenessero la dinastia Hiwatari degna della loro forza e ne diventassero le protettrici.-
-Cosa fece… questo Kazimir per ottenere la protezione delle aquile?- chiese Takao, osservando un quadro più lontano dal precedente, dai contorni più rossi e dall’aspetto più feroce. L’uomo che vi era raffigurato… non era affatto un uomo, anche se a primo acchito non l’avrebbe mai detto.
Polpacci torniti, muscoli evidenti, uno sguardo fiero e bestiale al tempo stesso, un bellissimo volto di donna dagli occhi rossi e i lunghi capelli d’argento da un lato, un ammasso di carne informe e una corta chioma annerita dall’altro.
-Era in corso la guerra fra le grandi famiglie… storia lunga di vecchi bacucchi che si giocavano a dadi il mondo, e Kazimir Hiwatari -conosciuta dopo la sua morte come La Prima Aquila-  ebbe un importante ruolo nell’aizzare la rivolta contro i Siebald fra i capi delle grandi dinastie. Battaglie, sangue, uccisioni, tradimenti, schifezze varie sino a quando Gangadhar LAssetato Sielbald non catturò la giovane Hiwatari –ripeto, tradimenti vari- e cercò di persuaderla a sposarlo e ad avere i suoi figli. L’obiettivo di Gangadhar era chiaro: voleva unire la Luce e il Fuoco al loro stato originario, prima del furto. Kazimir si rifiutò di cedere e lui la fece torturare per avere informazioni sui patti segreti fra le famiglie, che l’avevano allontanato dal Circolo a causa delle sue brame di potere, arrivando a bruciarle la faccia. Ma Kazimir non si arrese neanche a questo e non rivelò nulla. Si narra che, a questo punto, un’aquila abbia cantato per lei fuori dalla finestra della sua cella, onorando il suo sacrificio con la promessa che, se fosse riuscita a sopravvivere e a continuare la discendenza, essa sarebbe stata immune al fuoco e forgiata dalla fierezza delle aquile.
Kazimir riuscirà a scappare dai Siebald e di lei non si seppe più nulla, tranne di un figlio che fu tratto in salvo da un contadino e portato ai genitori di lei.
Non si sa tutt’ora chi fu il padre di questo bambino, ma una cosa è certa: il ambino era un Hiwatari.-
-Ma queste storie le conosciamo già. Voglio dire, impariamo prima i racconti delle nostre dinastie che il nostro nome, e Garland con una famiglia come la sua non farà eccezione.- Gianni si massaggiò un braccio, a disagio, chiedendosi se l’unico apporto utile che aveva dato alla giornata l’avrebbe pagato perdendo la testa.
Ma la Memore si azò, facendo tintinnare qualche grosso bracciale d’ottone ai polsi ossuti.
-E’ esatto.-
-Allora perché hanno fatto evadere mio nonno di prigione non appena hanno ascoltato una profezia vecchia di millenni?-
Boris inchiodò Kai con lo sguardo, il verde foglia dei suoi occhi si piazzò nel suo petto come una lancia di quarzo.
Tuo nonno è evaso di prigione?-
Il cuore di Takao perse un battito. Guardò la Memore.
-Non gli ha detto questo. A Garland non ha raccontato la storia degli Hiwatari. Lui la conosceva già.-
-Infatti.- Sorrise al giapponese.
E per qualche strana ragione, Takao non voleva sentire altro.
-Vedete… la Luce è sempre stata più forte del Fuoco, senza se e senza ma. Il Fuoco è un suo derivato, è una sua estensione, non può competere. Gli Hiwatari sono stati solo furbi a tenerselo stretto, ma tutti hanno sempre saputo che in uno scontro diretto non ci sarebbe stata storia. Fino ad ora. Ora le cose sono cambiate.-
-Perché...?-
Non era una domanda.
Non era un ordine.
Era l’attesa della tempesta.
Il tonfo della cascata.
Il rumore delle nuvole che collassano su loro stesse.
Eppure la voce di Max era tornata quella di sempre, gioiosa e fanciullesca, in pace con l’universo.
Era l’universo a non essere in pace.
-Perché…- le sillabe le si attorcigliarono fra gli incisivi come una spirale di fumo. –Questa volta il fuoco è nato dalla neve.-
Non ci fu tempo di alzare lo sguardo né d’imprecare.
Quando i pugnali volarono nell’aria non ci fu neanche il tempo di morire.
Solo di prendere a calci il destino.
A Kai gli si mozzò il respiro in gola quando evitò per un soffio la lama scaraventata alla velocità di un proiettile contro la sua gola.
Julia si piegò mentre la porta esplodeva, Mariam la spinse a terra con tutto il peso del suo corpo mentre una pioggia di frammenti di legno pioveva sui loro corpi ammassati.
La donna afferrò un altro coltello e Takao le si gettò addosso; cozzarono contro il muro, un quadro si fracassò al suolo.
Lei possedeva la forza di cento eserciti, di tutte le vite e di tutte le morti e lo spinse brutalmente, inchiodandolo sul tavolo con una mano sulla gola.
-Takao!-
Max si lanciò in avanti ma Boris lo afferrò da un braccio, scaraventandolo senza sforzo dietro al divano. L’americano rotolò sul tappeto proprio quando un vero proiettile si schiantò nella parete di fronte.
Qualcuno gridò, Gianni s’immobilizzò nell’atto di afferrare qualsiasi cosa gli offrisse scudo, Yuriy venne sbilanciato violentemente e si ritrovò con la faccia a terra e il battito del cuore nelle orecchie.
Nascosto da una trincea di poltrone in disordine, con gli occhi al livello del pavimento, vide una moltitudine di scarpe che s’inoltravano nella stanza, con la pesantezza dei soldati e la lentezza di chi sa di essere ad un passo dalla vittoria. Guardò in alto.
Boris l’aveva spinto, e Boris non voleva sentire ragione.
Perché è così che fanno i lupi ed è così che facevano pure loro.
Si difende sempre il capobranco, anche a costo della vita.
Anche quando il capobranco non vuole.
Boris fissava un punto oltre il suo campo visivo, oltre il rigagnolo di fumo che ancora fuoriusciva dal buco nella parete.
-Buonasera ragazzi. Sapete… ci stavamo giusto chiedendo quanti di voi avremmo trovato. Beh, direi che siamo stati fortunati.-
Quella voce l’avrebbero sentita anche i sordi per il modo in cui ti faceva desiderare di metterla a tacere per sempre.
–Non lo credi anche tu, Boris? Non ero affatto sicuro di trovarti qui… vedo che hai una certa inclinazione nel perdonare i vigliacchi.-
Non perdere le staffe Boris, non perdere le staffe…” pregò Yuriy mentalmente.
Ma Boris ricordava bene come si stava sul campo di battaglia, che il serpente attacca se ti muovi, che i nemici hanno un fiuto particolare per la paura.
-Puntate delle pistole addosso a degli uomini disarmati e noi saremmo i vigliacchi?- Sorrise, con calma, allargando maggiormente le dita per mostrare i palmi vuoti.
Non erano disarmati.
Non lo erano mai.
E Garland lo sapeva.
Persino l’italiano Tornatore, con quell’antico sangue che si ritrovava nelle vene, poteva uscirsene con qualche bravata.
E lui gli avrebbe fatto saltare la testa.
-Ciao Aleksej, Petrov…- li conosceva tutti quei ragazzi. O li aveva presi a pugni in qualche combattimento o ci aveva bevuto vodka di nascosto nelle celle del monastero. Vederli schierati contro di lui non gli fece alcun effetto, solo voglia di combattere ancora: fino a distruggerli.
-Vedo con piacere che da quando il gatto non c’è, i topi ballano parecchio- commentò Boris con un tono sprezzante.
Garland Siebald sorrise amabilmente. Ricordava schifosamente Vorkov. –I gatti sareste voi? Ma non eravate lupi? Oh… aspetta… ormai non siete neanche gattini. A Mosca ci sono dei nuovi re.-
Accanto a lui comparve una figura più discreta, quasi lieve, come un fiore appena sbocciato.
Gli occhi limpidi come il cielo d’Agosto, il sorriso ermetico della Monnalisa, sembrava essere capitato lì per caso, nella sua lunga giacca blu e nei larghi pantaloni d’artista. Reggeva una pistola ma non la puntava contro nessuno in particolare, con l’aria da buon samaritano e il naso sottile a baciare un volto appena scolpito dalle nuvole.
-A proposito Boris… dov’è Hiwatari? Io qui ho un rosso- Garland fece un cenno con il capo verso Brooklyn, –ma non è l’esatta gradazione di rosso che stiamo cercando.
-L’unico rosso che conosco io è quello del sangue- inchiodò Boris.
-E il rosso fuoco invece? Quello lo conosci? E’ lui che sto cercando. Mi deve qualcosa, ed è ora che me lo restituisca.-
Fu in quel secondo, fra lo spegnersi della voce di Boris e l’inizio dell’insofferenza di Kai, che Yuriy capì che Boris non avrebbe costituito un dilemma.
Il compagno era molto meno impulsivo di quello che dava a vedere, la sua mente era un calcolatore automatico di percentuali e tattiche di gioco e non avrebbe perso la testa.
Ma Kai?
Kai la testa la perdeva spesso e volentieri, fra l’arroganza altrui e quella che gli ballava in pancia.
Kai, che aveva il no in bocca e il fuoco negli occhi.
Con Takao sotto minaccia della vecchia megera, la metà di loro dietro a dei cuscini come ratti in una fogna e l’altra metà sotto schiaffo, no, Kai non sarebbe durato ancora per molto.
Boris ricominciò a parlare.
-Garland, perchè lo fai? Vladimir Vorkov vuole usarvi per le sue ambizioni di gloria, non gliele fotte niente di te e degli altri pagliacci che ti porti dietro.-
Garland osservò la scena con calma, prima di rispondere. La canna della pistola puntata verso Boris, ma gli occhi puntati sugli europei.
-Tornatore e McGregor, non è così? Lieto di fare la vostra conoscenza. Vi stringerei la mano, ma non avete idea di quanto subdoli possano essere questi qui.- Soffocò una risata di scherno indicando con il ferro dell’arma il russo.
-Comunque, io sono Garland Siebald e lui Brooklyn Masefield, sicuramente ne avrete sentito parlare: saremo i padroni del nuovo mondo.-
-E io sono Kai Hiwatari. Credo che anche tu ne abbia sentito parlare.-
Yuriy mancò tanto così dallo sbattere un pugno a terra, mandando tutto a puttane. Eccolo, il pomposo, incontenibile, orgoglioso Kai Hiwatari che non aspetta neanche il vento per fare terra bruciata attorno a sé.
Garland fremette, la pistola quasi non gli cadde di mano.
Eccolo il suo Fuoco.
Il braccio ardente di cui il suo potere era stato privato tanti secoli fa, amputato da un altro schifoso bastardo Hiwatari.
Il sangue di quel ladro gli scorreva nelle vene fetide.
Era lì, tutto lì, nel corpo di quel parassita che aveva fatto delle fiamme la sua bandiera come se fosse nato nel fuoco, e non nel fango.
-Ti conviene seguirci Kai.- disse Brooklyn, con una dolcezza disgustosa.
-O il draghetto finisce male.- completò Garland.
Kai non ebbe bisogno di voltarsi.
Sapeva che Takao era in pericolo e che per niente al mondo avrebbe lasciato che gli accadesse qualcosa; ma sapeva anche -e la consapevolezza fu un macigno nello stomaco- che per niente al mondo avrebbe lasciato il suo fuoco nelle mani di qualcun altro.
Serviva qualcosa.
Serviva un diversivo, per quanto stupido e folle, serviva una scintilla d’irrazionalità che scollasse l’acciaio dei suoi occhi dal suo corpo.
-Kai. Non lo ripeterò una terza volta.-
Takao trattenne il respiro, Max spinse con un piede uno dei pugnali caduto sul pavimento nella foga dell’assalto.
Una mano bianca sbucò da una delle poltrone e lo afferrò.
Brooklyn non se lo perse.
-Hahahahahaha… ma allora siete davvero pazzi…- e ordinò a uno dei ragazzi di andare a controllare, con quel sorriso sornione stampato in faccia.
Il tipo, invece, era molto meno allegro.
Fa che non sia lui fa che non sia lui…” pensò disperatamente.
Ma chi mai avrebbe potuto essere così pazzo da assalire un uomo armato di pistola?
Yuriy gli saltò alla gola, lo sbattè a terra, il ragazzo lascio andare l’arma e il russo ringhiò come un animale nello sforzo di mantenergli gli arti ancorati al suolo mentre gli piantava il coltello in una gamba.
Il ragazzo strillò.
Garland premette il grilletto.
Julia perse un battito.
Ma proprio allora dal camino alle sue spalle una figura avvolta su se stessa come una palla da demolizione lo travolse in pieno, mandandogli l’equilibrio fuori fase e la mira chi sa dove.
Ivan Papov era appena sbucato dal camino con la velocità di un treno in corsa,
e fu il caos.
-Kai!-
Julia arraffò la pistola e la lanciò al ragazzo, il quale la artigliò al volo, centrando bersagli come fosse al tirassegn, mentre Andrew e Gianni iniziavano a lanciare soprammobili e lampade addosso agli intrusi, usando il divano come scudo; Max caricò alla volta di Takao ma venne placcato da due uomini e sbattè la testa allo spigolo di una credenza. I capelli si appiccicarono l’un l’altro con il sangue, le immagini divennero sfocate, il dolore era un martello pneumatico fra collo e nuca.
Forse uno dei nemici aveva alzato un braccio, questa era la fine e non sarebbe riuscito neanche a guardarlo negli occhi perché il suo mondo vorticava furiosamente.
Ma la fine non arrivò.
La salvezza ebbe i riflessi blu del mare di notte, gli occhi di uno sfolgorante verde guerriero e la capacità di stendere due uomini con l’agilità di due muscolose gambe da amazzone.
Mariam gli tese la mano ma Max non riuscì ad afferrarla, allora gli si piegò accanto, sorreggendogli la testa e la schiena con le braccia.
-Max, Max mi senti?!- Si piegò per evitare un altro proiettile, i corpi degli uomini che aveva messo K.O. stesi al suo fianco. –Ragazzi cazzo aiutatemi!-
Gianni e Andrew le scivolarono accanto a testa china mentre qualche centimetro più su infuriava la bufera.
-Come lo portiamo via di qui?!- urlò Andrew per farsi sentire al di sopra delle armi da fuoco e dei vetri che si frantumavano.
-Boris! Dobbiamo andarcene!- gridò lei, coprendosi la testa con le mani quando l’ennesimo soprammobile in porcellana esplose in mille pezzi.
Boris allora si apprestò a chiudere la partita.
Fece un cenno a Kai che gli lanciò immediatamente la pistola senza aprir bocca, come un gioco di cui solo loro conoscevano le regole.
Si avvicinò alla Memore e a Takao, ancora avvinghiati in un combattimento mortale, il pugnale di lei a un millimetro dal cuore di lui, che Takao teneva disperatamente lontano con la forza delle sue mani.
Ma non per molto.
Mostrava già i primi segni di cedimento, i denti digrignati fino allo spasimo, il sudore freddo, i muscoli in un’apnea tremante.
Boris sparò.
La donna evitò il colpo gettandosi di lato, quello colpì un quadro sulla sua testa e la cornice le ferì un occhio.
-Takao! Ora o mai più.-
E Takao, col guizzo di un’anguilla che sguscia fuori dalla rete, prima ancora di rendersene conto, prima ancora di volerlo, la trafisse da parte a parte.
Indietreggiò.
La donna rantolò qualche parola, colta di sorpresa, un rivolo di sangue dall’occhio cieco, un fiume di sangue dal petto pugnalato.
Il corpo tremò per un attimo, le mani artigliarono l’aria, il sangue schizzò ancora in un ultimo spasimo.
Poi cadde, cadavere.
Non sono stato io.
Il ragazzo guardò il corpo immobile come estraniato, le sue mani sporche di rosso odoravano di ferro, ma non le riconobbe.
Però tremava.
Tremava da impazzire.
Boris dovette trascinarlo via, ma anche le sue gambe gli sembravano aliene.
Cos’aveva fatto?
Ho ucciso un essere umano. Ho ucciso un essere umano. Ho ucciso un essere umano. Ho ucciso un essere umano. Ho ucciso
Boom.
Un’esplosione di schegge taglienti si propagò nella stanza semidistrutta con la forza di un tuono, rimbalzando su mura e cuscini e su corpi caldi.
Il vetro più grande era andando in pezzi.
-Veloci, di qua, di qua!-
Yuriy avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.
Garland e Brooklyn erano spariti.
Senza neanche pensarci Boris spinse Takao attraverso la finestra e lo seguì non appena il moro era atterrato sulla pietra all’esterno.
Mariam, Andrew e Gianni aiutarono il corpo debole di Max a oltrepassare il varco, Ivan lo tenne dai pieni e riuscirono a farlo arrivare dall’altra parte senza volteggi. Lo seguirono a ruota.
Kai afferrò Julia dalla vita e con un balzo a testa furono fuori.
Yuriy non ci pensò due volte prima di saltare.
-Aspettate… Daichi… dov’è Daichi…- biascicò Max flebilmente.
-Eh sì, buonanotte fiorellino. Saltate a bordo, aspettate che cresca l’erba?!-
Il sedicenne dai capelli ramati era piazzato sul sedile anteriore di una delle macchine, sorridente e privo di un granello di polvere.
Si riversarono nelle auto, addentrandosi in una strada secondaria il più velocemente possibile, chi sorreggendo l’uno, chi trainando l’altro, chi sanguinando copiosamente. Ivan al volante nell’auto in testa.
-Hai la patente per guidarla?- Daichi guardò il russo accanto a lui.
-Ovviamente no.- Iavan alzò le spalle.
-Figo- annuì Daichi. -Altrimenti sai che noia.-
-Ivan…!- Yuriy si lasciò cadere sul sedile con un sospiro attonito.
–Che cazzo ci fai qui?-
-Come che cazzoci faccio qui? Vi salvo il culo, è chiaro. Tu chiami, io arrivo. Non c’è di che.-
 







 //SPAZIO AUTORE:

Aky ivanov: se non erro ti avevo risposto alla recensione stessa, ma colgo l'occasione per ringraziare ancora la costanza con cui stai seguendo la mia storia. (Ho una domanda... chi è Costanza? E perchè segue la fanfiction cn lei? o.O ndDaichi)
Sono felice di averti fatto ridere con la prima parte del capitolo, non so mai se i miei siparietti comici sono davvero comici o fanno ridere solo me. (Egocentrica fino al midollo. ndKai) (Ha parlato.. ndAutrice).
Guarda, non discutiamo di Garland e di cosa ha fatto a Yurij altrimenti non ne usciamo più da ora fino a domattina, e desisto dal futuro che ho in mente per la trama. (Nel senso che sarà tutto molto carino, con prati di margherite e unicorni arcobaleno? ndMathilda) (Ehm Ehm, andiamo avanti ndAutrice)
Pachiderma Anarchico


Chocolate_senpai: Privet! Trovare la tua recensione mi ha fatto tanto piacere (Vedi?! Te lo dicevo io che era importante sapere a che distanza sputa un lama! ndDaichi)
Comunque, sono affogata negli impegni come un budino è affogato nel cioccolato, ho un'organizzazione a dir poco ridicola del mio tempo e sono un'inguaribile perfezionista del cavolo (tranne per gli errori di distrazione, quelli riescono sempre a farla franca, maledetti). 
Oddio, grazie infinite per i complimenti, non c'è niente che mi faccia più piacere degli apprezzamenti nei confronti delle mie parole, sono super contenta che ti stia piacendo.
Per quanto riguarda la caratterizzazione dei russi, (e in genere di tutti i personaggi), tendo a partire dalla base originale e letamente adarmene verso le evoluzioni del caso, cercando comunque di non uscire troppo fuori le righe, proprio perchè io sono la prima ad apprezzare chi riesce a scrivere di tutto e di più di personaggi complessi, difficili, freddi, schivi, diffidenti, pericolosi, segnati, indomiti, traumatizzati, inclementi (Hai finito? ndYurij), facendo provare loro emozioni differenti e restando comunque lontani (per quanto possibile) l' OC.
E' una sfida, diciamo.
Comunque, detto tra noi (e altri 374892994422003949 lettori ndKappa) (Io non mi spiego perchè mi ostino ancora a metterti nelle mie storie ndAutrice) se io me li trovassi sull'autobus potrei non risponere delle mie azioni. 
Ah! Cinque ore per mettere lo smalto alle unghie! Che bello incontrare gente come te, sei una perfezionista anche tu? Prendi gli adesivi con le pinzette per sopracciglia per attaccarli sull'unghia nella posizione più adatta? Conti i giorni per fare due passate di smalto trasparente al giorno? Controlli gli angoli per vedere se devi limarne la forma o meno? 
Ripeto: sono un danno. 
Ma un danno serio.
Alla prossima e grazie ancora,
Pachiderma Anarchico

 

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Capitolo 5
*** Innocenza perduta. ***


Eccomi con il quarto capitolo!
Momento di passaggio, decisamente più rilassato di quello precedente, ma iniziamo ad entrare nel vivo della storia.
Perdonate eventuali errori e grazie a tutti, come sempre.



 


This is my kingdome come.



 

4. 

Ecco dov'era sotterrato il cane.





 
 
Kai sentiva di potersi rilassare, finalmente dopo giorni di tormentose voci concitate e persone invadenti nel suo raggio d'azione solitamente silenzioso, completamente incuranti della privacy altrui e del lieve bisogno di alcune persone di arrivare ad un certo punto della giornata con la propria sanità mentale intatta.
Era disteso su un lettino candido in una stanza ombreggiata da tende color miele, le quali donavano ai raggi del sole un confortevole bagliore dorato, l'aria profumava di sandalo e resina e un rilassante motivetto orientale contribuiva a rendere quella visitina alle terme Nature Daikanyama la scelta migliore che avesse compiuto da parecchio tempo.
Il fuoco continuava ad ustionargli la pelle come a chiunque altro sulla faccia della terra, quella pazza bislacca di una Memore li aveva quasi consegnati dritti nelle mani di Vorkov e nessuno gli aveva ancora spiegato perché dovessero stare tutti a casa sua come nei peggiori film horror.
Ma andava tutto bene, in fin dei conti era ancora in possesso delle sue lucide falcoltá intellettive, le azioni dell'azienda Hiwatari andavano a gonfie e vele e lui poteva permettersi tutti i vizi a cui la sua esistenza agiata l'aveva ormai abituato.
'Va tutto bene' si ripeté, mentre il melodioso flauto del motivetto andava inabissandosi sotto la voce della creatura di cui in quel momento avrebbe volentieri fatto a meno.
"Non dovevate andare da soli e per giunta impreparati. Potevate morire, o peggio."
"Ce ne siamo accorti Rei, grazie tante."
"Dovete capire che non tutti sanno lottare a mani nude o impugnare un'arma o uscirsene dalla finestra dopo averla fatta saltare in aria."
"Quella è stata un'idea di Daichi."
Rei si sedette su una panca in legno, prendendosi la testa tra le mani.
"Non potete coinvolgere gente che non ha idea di come ci si comporti nel peggiore dei casi Kai."
Kai cercò di concentrarsi sul torpore dei fumi aromatici che fuoriuscivano da congegni appositi.
Poi rispose, in tutta calma: "Non sono la balia di nessuno."
Rei sospirò.
"Allora dobbiamo perlomeno imparare le tecniche di base per difenderci e... spiegare a Takao che potrebbe capitare ancora di vedere le persone farsi del male davanti ai nostri occhi."
"Potrebbe? Capiterà certamente. Glielo spieghi tu? Cosa dice Daitenji?"
"Che ha già allertato le autorità della questione e sullo stato dall'allarme. Vorkov è un terrorista ricercato in non so quanti stati, ma adesso è chiuso lì dentro e quel Monastero è come un bunker inaccessibile, e con il regime di terrore che ha instaurato non si può certo andare a bussare alla sua porta e chiedergli di-"
"Rei, io ti ringrazio per questo riassunto breve e conciso, ma non potresti andartene a pascolare in qualche altro prato per un'ora?"
Il cinese si alzò di scatto, iniziando a misurare il perimetro della stanza con la testa bassa e le mani giunte dietro la schiena.
"Come fai ad essere così calmo sapendo che qualcuno potrebbe venire ad ucciderci in questo preciso momento?" Lo guardò per un secondo. "E sul tuo corpo ci sarebbe solo un'asciugamano in spugna a coprirlo."
"Esiste modo migliore di andarsene?"
"Per non parlare di Max che si ritrova un taglio dietro la testa lungo quanto la Muraglia Cinese e la voglia di prendere a pugni qualcuno, non si è ben capito chi."
"É perfettamente normale il risentimento dopo essere stati stesi come un defic-"
"Non dirlo." Rei scosse la testa, sollevó un una pietra profumata e la annusó. "Sai, credo di aver frequentato troppo Takao, sto diventando vagamente logorroico."
"Ah lo stai diventando giusto ora?"
Kai poggió il mento sulle mani intrecciate, schiudendo una palpebra soltanto per lanciare un'occhiata alla porta e accertarsi che la massaggiatrice non si fosse persa, lasciandolo in balia di Rei.
"Ma poi cosa significa che Lai mi dica: 'Caro Rei, tu sei come un fratello per me, ci conosciamo da quando eravamo così piccoli da non ricordarlo'", si mise a pavoneggiarsi in giro imitando la voce seriosa di Lai e il suo cipiglio severo. "Ti voglio così bene da non riuscire a esprimerlo a parole, non c'è persona al mondo di cui mi fidi di più ed è per questo che te lo confesso, da fratello a fratello: spero che mia sorella si fidanzi ufficialmente con Michelle, le fa la corte da mesi ed è un bravo ragazzo, con la testa apposto, nessun grillo per la mente, lavoratore..' capisci? Me lo dice perché mi vuole bene!" e irruppe in una risatina nervosa.
Kai annuì, non per l'entusiasmo di partecipare a quella conversazione, ma perché almeno iniziava a scorgere all'orizzonte il vero problema.
"E sai chi è la sorella di Lai? Mao."
Il nippo-russo fece un cenno sarcastico con gli occhi chiusi. "Davvero?"
"Sì, sì. E sai Mao con chi sta? Eh? Lo sai?"
Kai lasciò che i secondi scorressero nel silenzio, prima di alzare le spalle.
"Non ne ho idea."
"Con me! 'Le fa la corte'... ma in che cazzo di epoca pensa di trovarsi Lai?!"
Kai a quel punto dovette scollarle per forza le ciglia le une dalle altre, giusto per non perdersi l'opportunità di vedere Rei in balia di una crisi di nervi.
L'amico non parlava mai a quel modo, padrone di una tranquillità zen quasi insopportabile, ma evidentemente gli affari di cuore (e la maionese di Max) mandavano a farsi benedire anche i monaci thaoisti dentro di lui.
"Ma voi due avete già pensato al modo di dirlo a Lai, vero?"
Il cinese si specchió negli occhi ametista del compagno, improvvisamente perso, con il chiaro atteggiamento di chi non aveva preso neanche in considerazione l'opzione.
Annuì velocemente.
"Certo. Che domande? Ne parliamo tutte le sere."
"Immagino."
"Ci abbiamo già pensato. Certo."
"Bene."
E per Kai la conversazione poteva anche finire lì, su quella tacita concordanza di intenti, su quel fingere pigramente che Rei non andasse nel panico al solo pensiero che la sera facessero ben altro che parlare di Lai.
Chiuse gli occhi e i passi del cinese si avvicinarono alla porta.
'Sí... vai... vai...'
La porta si aprì.
'Vai così... un altro po'...'
"Mi ucciderà."
“Anche io Rei, anche io.”
"Come dovrei fare secondo te? Chiamarlo con Skype e dirglielo attraverso una webcam? O chiamarlo al telefono? O meglio: scrivergli una lettera e poi sparire."
'Ti farei sparire io.' pensò sfinito Kai.
"Mi darò alla macchia."
'Ti darò un pugno."
"Potrei semplicemente-"
"Farla finita."
"Ma-"
"Rei, giuro sul mio onore di marmotta che stasera, dopo che avrò ristabilito un contatto pacifico con il mondo e tutti i suoi fastidiosi abitanti, troveremo una soluzione. Stasera. Riesci a resistere fino a stasera?"
Il cinese schiuse le labbra, inspirò, fece per parlare e...
"Non è una domanda. Resisti. Altrimenti chiedi aiuto a Mao. Di' a Mao che te la fai sotto al solo pensiero di dire al fratello che vuoi stare con lei."
Rei questa volta non proferì parola. Ma fece qualcosa che nessuno, in anni di esistenza, avrebbe mai pensato di poter vedere.
Non da lui.
Sollevó una mano, lentamente, come se neanche lui ci credesse. Chiuse le dita, ne rimase solo uno alzato, e proprio quello decandava un gesto inconfondibile.
Il medio.
Rei Kon gli fece il medio.
Poi scomparve dalla stanza.
Kai si passò due dita sulla fronte, un sorriso tirato a increspargli le labbra piene.
Era ancora l’inizio e ne aveva già abbastanza.
 
 
***
 
 
-Sei impazzito?-
-In che altro modo dovremmo fare?-
-Ma ti pare che io vada a dirgli una cosa del genere!?-
-Come dovremmo fare?-
-Oh andiamo, sembra che tu debba giocare a palla con un porcospino.-
-Non è questo il punto, non so cosa dirgli.-
-Qualsiasi cosa per scollarlo dalla finestra?-
-Da quando lo conosco non è mai stato fermo per così tanto tempo.-
-Anche per noi che lo conosciamo da prima di te è uno shock, credimi.-
-Come dovremmo fare?-
-Daichi! Ci stiamo arrivando!-
-Non mi pare.-
-Max no, Daichi no...- il ragazzino pestò un piede per terra e colpì in pieno quello di Kappa.
-Perché no?!-
-Per questo motivo- rispose Hilary, indicando con un eloquente gesto Kappa, il quale saltellava dal dolore sul posto reggendosi il piede con le mani. -Per la tua innata delicatezza.-
-Che palle.-
-Vado io. Sono la sua ragazza dopotutto… no?-
Hilary li guardò tutti, quasi augurandosi che qualcuno protestasse platealmente con un "ma io l'ho sempre amato!" per salvarla dai doveri della fidanzata leale.
Con quale faccia avrebbe detto al suo ragazzo che la morte di una donna non avrebbe dovuto tenerlo sveglio la notte se quella aveva ripetutamente tentato di ucciderlo, quando lei non era stata neanche presente all'accaduto?
Non aveva visto il corpo cadere, la vita spegnersi come il sole al tramonto, il sangue scorrere, gli occhi chiudersi per sempre.
Scosse la testa.
-Max tu hai visto cos'è successo, va' la dentro e fai l'uomo.-
-Io sono ferito. E poi Rei è più uomo di me. Vero Rei?-
-Io non c'ero nemmeno, a malapena ho capito com'è successo dalle parole di Gianni. Vi lascio immaginare.-
Il nippo-americano fece per replicare, ma Rei alzò una mano, proseguendo.
-Il racconto è andato più o meno così- si schiarí la voce, allargò le gambe, inspirò profondamente e... -"Botti, vetri rotti, schianti, urla, soprammobili e pallottole vaganti, quadri spezzati e BOOM!"- si spalmò due mani sulle guance, le labbra articolate in una "O" perfetta.
Max, Hilary, Kappa e Daichi lo fissarono per cinque secondi buoni prima che uno dei quattro si decidesse a risvegliarlo dalla catalessi.
-Eh?- lo spronò Kappa.
-E... niente, questo è stato tutto ciò che mi ha detto.-
-Ho sempre sospettato che in quelle università da ricconi si fanno di qualcosa di veramente ma veramente forte.- commentò Max, accarezzandosi il mento glabro con aria pensierosa.
-Concentrazione ragazzi!- sbottò la brunetta.
-Sembra facile a dirsi Hil.- Kappa si aggiustò gli occhiali sulla fronte.
La frangetta del colore delle foglie autunnali era tagliata più corta e, finalmente, il volto rotondo rivelava un paio di brillanti occhi castani incastonati nel suo incarnato olivastro.
Più maturi dell'ultima volta.
Meno propensi all'ottimismo, alle sfide infinite e alle scommesse sui campi di battaglia.
Più adulti, più sfuggenti, più logorati.
Volevano chiuderli i conti, una volta per tutte.
-Okay, facciamo così.-
-Fate cosa?-
Un affascinante viso a forma di cuore dai tratti felini si affacciò nel lungo corridoio sul quale si era riunito il piccolo gruppo.
Gli occhi di denso miele scintillavano come monete d'oro colpite dai raggi del sole.
Hilary si puntò le mani sui fianchi.
-Decidiamo se in questa casa CI SONO leoni o conigli.-
-Io tecnicamente sarei una tigre.- puntualizzò Rei con il tono di chi la sa lunga e il solito cipiglio superbo che sfoggiava quando qualcuno metteva in dubbio il suo coraggio.
-Ehi! Fino a prova contraria nessuno è niente, non sappiamo ancora se in tutta questa storia c'è qualcosa di vero.-
Daichi puntò l'indice contro Max.
-Dici così solo perché tu sei una tartaruga!-
-Io non sono una tartaruga... e poi che ca- tutti si voltarono -..volo c'entra.-
Mao sospirò.
-Credevo che stessi per dire la parola con la "C". Temo che dopo non sarei stata più la stessa.-
-Credo che abbiamo ancora molto da temere.- Rei la prese per mano, sfiorandole il dorso con le labbra.
-Ma noi saremo insieme ad affrontarlo, vero?- La ragazza lo guardò negli occhi dorati, splendidi come sempre.
-Non sarai mai sola.-
Hilary si prese la fronte tra le mani, Kappa si guardò intorno con aria imbarazzata, Max li osservò estasiato, Daichi urlò, in barba a imbarazzo e buona educazione: –Prendetevi una stanza!-
Rei sorrise sfiorando la fronte della ragazza con la propria, poi si allontanò.
-Davvero ragazzi, che state combinando?- riprese Mao.
-Takao ha fatto fuori una tipa invasata che ha tentato di far fuori lui prima che lui la... facesse fuori.-
Mao si strinse la mano libera sulla bocca, inorridita.
-Non l'avrà...-
-Sí- annuì Daichi, allegro che avesse afferrato subito.
-No, no, no, non è come pensi!- cercò di rimediare Hilary. -...Ha cercato di farlo fuori!-
-Questo l'avevo capito. Ma com’è successo? Rei,- Mao inarcò un sopracciglio sottile e affilato come gli artigli di un gatto, -cos'è successo?-
Il cinese questa volta alzò entrambe le mani, mostrando i palmi in assoluto segno di resa, mentre la ragazza gli pesava addosso con il suo sguardo acuto. -Per l'ennesima volta: io non c'ero.- 
-Okay- proruppe Kappa, e strinse il nodo del cravattino che indossava ventiquattr'ore su ventiquattro, sette giorni su sette, trecentosessantacinque giorni l'anno con una convinzione che stonava con il suo amichevole viso da Golden Retriever.
Max giurava da anni di avergli visto addosso un pigiama con lo stesso cravattino disegnato sopra, ma la leggenda narrava che Kappa non lo mostrasse neanche a sua madre e che nessuno era realmente certo della sua esistenza. Tranne Max.
-Facciamogli una premessa...-
-Qui non si fanno promesse. Sperate di non aver distrutto qualcos'altro in casa mia perché vi incollo un francobollo in fronte e vi rispedisco da dove siete venuti. Qual è il problema stavolta?-
-Il problema- ridacchiò Max, passandosi una mano tra i capelli d’oro zecchino, -qual è il problema chiede lui.-
-Il problema, Kai- rispose Hilary, -é che Takao è diventato la rappresentazione vivente di Tutankhamon. Gli manca solo il sarcofago e poi potrebbe venire esposto in un museo e nessuno si accorgerebbe della differenza.-
-Non è stato un incidente, se ho capito bene.-  Mao guardó Hilary, notando la preoccupazione nei suoi occhi scuri, e le sfioró un braccio con affetto.
La sua amica non riusciva a nascondere mai niente con quello sguardo da cerbiatta, da quando la conosceva le emozioni le schizzavano da pupilla a pupilla come un freesbe incontrollabile.
-No, non lo è stato... Beh, veramente sì, quella ci ha quasi fatti ammazzare, tutte quelle parole per tenerci lì fino all'arrivo di Brooklyn e Garland.- Max incrociò le braccia.
-Brok... merda.-
-Esatto. E ora Taka..-
-Aaah! Spostatevi.- Kai si fece largo con stizza. -Facciamola finita con questa riunione di condominio. Gli parlo io.-
I sei ragazzi si scambiarono un'occhiata più allarmante di una sirena rossa, lampeggiante e nel bel mezzo di un incendio, ma fu Rei a parlare.
Come sempre quando si doveva trattare con un Kai al limite della sopportazione ed evitare un'imminente catastrofe.
-Ne sei sicuro? Voglio dire, non ho dubbi sulle tue capacità oratorie,- (-come fa a non avere dubbi se l'abbiamo sentito parlare sì e no due volte?- bisbigliò Daichi), -ma non credi che il tuo essere avvezzo a... tutto quello, possa risultare un tantino troppo.. sincero?-
Kai aggrottò le sorpacciglia. -Vuoi addolcire la pillola, fammi capire.-
-Tu non brilli per delicatezza- Hilary si fece avanti. -E in ogni caso, dovrei farlo io- alzò il mento, -devo farlo io.-
-Sì? E cosa gli dirai Hilary –se non sono indiscreto- una volta che ti troverai davanti lo sguardo di un diciannovenne che ama il lavoro di squadra, crede nell'amicizia incondizionata più di qualsiasi altra persona al mondo, ha un debole per le abbuffate, ha sempre lottato per la giustizia e e ha appena pugnalato a more un essere umano?-
Hilary si sentì sommersa di ogni singola parola che si riversò dalla bocca del nippo-russo, come una cascata di acqua bollente, come un labirinto senza uscite.
-Voi conoscete Takao, ma lo conosco anch’io. Inoltre, so cosa si prova e non gli mentirò. Non fingerò che sia una cosa da niente, fingerò che si possa andare avanti.-
Max scambiò uno sguardo carico d'intesa con Rei.
Era fin troppo chiaro. Fin troppo spaventoso.
Da certe cose non ti riprendi.
Da certe cose non ti riprendi mai più.
Lasciano solchi profondi nella pelle, graffiano il cuore, deturpandolo per sempre.
Afferrano l'anima e la lacerano come branchi di bestie affamate, fino a quando non è rimasto più niente, niente di umano a cui aggrapparsi.
Niente che valga la pena.
-Takao andrà avanti perché si è leggittimatamente difeso, e noi dovremo fare lo stesso. Se ci blocchiamo per questo non ci muoveremo più.-
-Per questo? Ti sembra roba da poco??- sbottò Mao, incrociando le braccia.
-Questo è niente.- Rei scorse negli occhi di Kai ciò che aveva visto innumerevoli volte nel corso degli anni: fuoco e fiamme.
Non sarebbe stato facile.
La strada era ancora lunga, il cammino incerto, la certezza della fine vana.
Annuì, prima che chiunque altro potesse intervenire, annuì.
-Conosci Takao tanto quanto lo conosciamo noi, se non di più. Ci fidiamo di te, lo sai.- guardò Kappa. -Noi nel frattempo cercheremo di imparare qualcosa sulle tecniche di difesa personale, vero Professore?-
-Eh? Sì sì…- Kappa annuì meccanicamente, senza avere la benché minima intenzione di farsi prendere a pugni dai russi, divertiti dai suoi ridicoli tentativi di lottare con l’aria.
Forse Sergej non avrebbe riso di lui, ma la sua stazza era quella di una piccola montagna e lui, con la punta dei suoi capelli, gli arrivava a metà coscia.
Kai entrò nel soggiorno e chiuse la porta dietro di sé.
Il più piccolo era piegato sul tavolino tra il camino e le poltrone, scrivendo qualcosa su un quaderno.
Le ametiste negli occhi di Kai vennero immancabilmente catturate dal camino spento, e resistette all’impulso di appiccare il fuoco a quei tocchi di legno che se ne stavano freddi e muti.
Il nippo-russo si sedette sul divano, prendendo il tabacco e gettando un paio di cartine sulle gambe, iniziando a rollarsi una sigaretta, un passatempo in cui aveva lanciato se stesso dopo aver visto Boris farlo un minimo di dieci volte al giorno nelle ultime tre settimane.
Preferiva da sempre le sigarette, più comode e veloci, nonché più belle esteticamente, ma ultimamente qualsiasi cosa potesse occupare cinque minuti del suo tempo, distraendolo dai pensieri in cui si rintanava la sua mente e dai flashback che minacciavano di divorarselo vivo, aveva tutto il suo supporto.
Takao stava riassumendo un paragrafo di un libro universitario con velocità frenetica; Kai sapeva bene che il fumo lo faceva diventare matto (più del solito).
Lo avrebbe guardato.
Due boccate di fumo, due espirazioni e l’avrebbe guardato per intimargli di spegnere “quel coso”.
Continuò a fumare in silenzio, osservando svogliatamente come la luce del lampadario giocava sui contorni del suo anello blasonato, godendosi la libertà di poter fumare in casa senza che suo nonno gli piovesse addosso come un’arpia inferocita.
-Kai.-
Come non detto.
Il più grande si stiracchiò indolente, spalmandosi sul bracciolo e allungando una mano per far penzolare la cartina fumante tra un tiro e un altro.
Spirali di fumo si librarono nell’aria, angeli dalle ali d’argento.
Kai li osservò perdersi nell’aria, inghiottiti nell’invisibile, prima che il suo nome venne pronunciato per la seconda volta, con più stizza.
-Kai.-
Il più grande inspirò un’altra volta.
-Mmh.-
-Spegni quel coso.-
-Che stai facendo di così importante?-
-Non importa. Sai che mi da fastidio.-
-Mmh.-
Takao posò lentamente la penna sul tavolino.
-Non puoi fumare da qualche altra parte?-
-Questo era il mio soggiorno una volta.-
Uno scatto del busto.
Takao scattò come una molla.
-Allora me ne vado io!- Si alzò bruscamente. –Basta dirlo!-
Kai lo guardò in silenzio (continuando a fumare) mentre chiudeva il libro, prendeva il quaderno, andava a passo di marcia verso la porta, la aprì, la chiuse e tornò esattamente dov’era prima, rigido in piedi, con una mano sul fianco e una sulla fronte.
Kai gli indicò con un cenno del capo di sedersi accanto a lui e spense la cartina, gettandola nel posacenere.
Takao si sedette, più spossato di quanto fosse mai stato, più provato di quanto Kai l’avesse mai visto. E Kai l’aveva visto nei suoi momenti peggiori.
Questa volta sembrava semplicemente senza via d’uscita: mancava la classica, salvifica porta d’emergenza di Takao Kinomiya, che conduceva in qualche discorso positivo, in qualche sua battuta alleggerisci-tensione, in un sorriso coraggioso, nella certezza che a tutto c’è una soluzione.
Questa volta Kai avrebbe dovuto fare del suo meglio, perché Takao non aveva mai avuto bisogno di consolazione, né di discorsi a tu per tu sotto un cielo stellato, ma di battaglie a cielo aperto e discorsi sfrontati.
Perché questa sera non faceva freddo, ma Takao tremava.
Guardava fisso davanti a sé, le mani strette sulle ginocchia, gli occhi immobili sullo specchio dorato sopra il camino, che non vedeva davvero.
Avrebbe mai avuto il coraggio di guardare il suo riflesso?
-Non avrei mai creduto di dover affrontare questo discorso con te- sospirò Kai. –E’ irreale, come se Max si fosse messo a sparare a cuccioli di Panda.-
Takao si limitò a guardarlo.
-Non una risata, né l’accenno di un sorriso… E’ più grave del previsto.-
-Tu che dici? Ti sembra una cosa da berci una birra sopra Kai? Quante persone hai visto morire in vita tua?- Takao scosse la testa. -Non rispondere.-
Kai notò la schiena dritta dell’altro fino allo spasimo, le vertebre che rischiavano di sbriciolarsi su loro stesse tanta era la foga di restare dritti sotto al peso dei ricordi.
Conosceva questa sensazione.
Si fece schioccare le dita. –So cosa si prova Takao, e so anche che non servirà a niente dirti che ti sei difeso, e che quella donna altrimenti ti avrebbe ucciso. Ti avrebbe ucciso, Takao.-
I riflessi blu sui capelli del ragazzo catturarono la luce quando scosse la testa, desiderando più di ogni altra cosa dimenticare quella parla: “uccidere”.
-E se avessi avuto l’occasione l’avrei uccisa prima io.-
Il compagno avvertì tante piccole fitte nei palmi delle mani, tanto stava stringendo le dita.
Che forma hanno le unghie quando incidono la pelle?
-Come puoi dire una cosa del genere così?- sbottò Takao.
-Perché è la verità, ed è la vita. O lei o te, o io o Garland, o Boris o MingMing, o Rei o Mystel, o noi o Brooklyn, o Yuriy o Vorkov. E’ stato così ieri e sarà così domani. Queste sono persone che vogliono renderci tutti schiavi, credi che mi rammaricherò della loro morte? No. Credi che dormirò la notte? Nemmeno. Non ho più dormito davvero dalla prima volta che qualcuno è morto sotto le mie mani. Vuoi sapere cos’ha fatto Yuriy dopo la prima volta? Non riusciva a frenare le lacrime.- Kai annuì, mentre Takao non credeva alle proprie orecchie. –Ha pianto una notte intera. All’alba del giorno dopo tutte le lacrime si erano diseccate, e non ha pianto mai più.-
Kai abbassò lo sguardo sulle mani contratte dell’altro.
-Rilassa quei pugni, si sopravvive. Anche se sei Takao Kinomiya si sopravvive.-
Takao inspirò profondamente, ma i respiri non avevano lo stesso sapore.
La stessa leggerezza.
Era diventato improvvisamente difficoltoso mettere un piede davanti all’altro, voltare la testa, parlare.
-Questo non ti ha reso un essere umano peggiore, Takao. Ti ha reso un essere umano, con i suoi incubi e i suoi rimpianti.-
Il più piccolo si prese la testa tra le mani.
Kai rivide se stesso, in quella notte di un po’ di anni fa, quando il mondo sembrò implodere.
E’ sempre la stessa voragine alla bocca dello stomaco, sempre lo stesso urlo in gola, pronto a varcare la soglia delle labbra e manifestare l’orrore ma che, alla fine, se ne rimane in silenzio.
-Non credo di potercela fare.-
Kai giocò con il secondo buco sul lobo dell’orecchio destro, dov’era incastonato un piccolo rubino. Vero, ovviamente.
In fondo, se l’aspettava.
Se l’aspettava davvero, che Takao si arrendesse?
Avrebbe mai potuto prevedere un avvenimento del genere?
Annuì. –D’accordo. Se non vuoi continuare Takao, se non vuoi farne parte lo capirò. Tutti noi lo capiremo.- Kai si sollevò dal divano e si piegò sulle gambe dinnanzi a lui, in modo da guardarlo in faccia.
-Ma se vuoi andare avanti dovrai accettare il cambiamento. Dovrai mettere in conto che non sarai mai più lo stesso, che nessuno di noi dopo tutto questo sarà più lo stesso, e che ricapiterà di vedere sangue, efferatezza, e persone cadere davanti ai nostri occhi. Se non sei pronto a dire addio alla persona che eri, quella che dormiva sonni tranquilli, aveva sempre una parola di conforto e separava bene e male con una linea netta e invalicabile, fermati qui.-
Kai aveva parlato senza distogliere neanche per un attimo gli occhi di porpora scura da quelli blu notte dell’altro, cercando di leggervi la risposta all’interno.
Takao era troppo buono per tollerare tutto questo.
Ma in fondo, non lo erano stati tutti?
-Devo… devo capire- mormorò Takao.
Cosa, ancora non lo sapeva.
Ma sentiva di dover restare solo per un po’, per capire se avrebbe mai trovato la forza di perdonare se stesso.
Kai si raddrizzò. Lo osservò per un attimo, prima di andare verso la porta.
-Con che cosa hai acceso la sigaretta?-
Kai si fermò, voltandosi.
-Con l’accendino.-
-Ne sei sicuro?-
Il nippo-russo si frugò nelle tasche, sfiorando l’accendino con le dita.
-Sì, è qui, mi sembra di averlo usato per accendere.-
-Ti sembra?-
-Takao, eri tutto assorto dai tuoi mulini mentali, come cazzo hai fatto a vedere se ho usato o meno l’accendino? E poi, chi se ne frega?-
-Kai- Takao si voltò verso di lui, restando saldo sul divano come se il minimo movimento potesse fargli dimenticare ciò che stava per dire. –Tu non hai usato l’accendino per accendere quella dannata sigaretta. Ne sono convinto, non l’hai usato. Non l’hai proprio tirato fuori dalla tasca.-
 
 
***
 
 
-Pravilno, fai così. Porti le mani davanti al viso, una più in alto e una più in basso, perché se ti colpiscono alla gola hai… quanta probabilità hai di morire, Borja?-
Boris riemerse con la testa dal pacco gigante di patatine che era andato a comprare al supermarket più vicino (Hiwatari era un salutista di merda) e bonfonchiò: -90%!-, poi si mise seduto godendosi la scena.
-Esatto, hai il 90% di probabilità di morire, quindi tieni la guardia sempre alta.-
Kappa deglutì, mentre il suo cervello iniziava a calcolare addizioni ed equazioni complesse per aggrapparsi a quel cruciale 10%. Ma non era una questione di calcoli.
Il suo erudito sapere non avrebbe potuto far molto, e non aveva i riflessi abbastanza pronti da utilizzarlo per elaborare strategie.
Non aveva niente di abbastanza pronto al momento, avvertiva solo i battiti del cuore nelle orecchie e le guance accaldate.
E non era nemmeno un vero combattimento.
Serjei era enorme in confronto a lui (beh, in confronto a chiunque altro, Rick lo eguagliava e soltanto Moses lo superava) e le spalle erano immense, piazzate e dure come roccia.
No, Kappa non aveva nessuna intenzione di toccarle, o essere toccato da loro, o da qualsiasi altra parte del corpo di quel russo dai capelli biondo platino e la mascella squadrata.
-Pronto?-
Kappa annui, saltando da una parte all’altra come gli aveva mostrato almeno quindici volte.
Secondo il parere di Serjei lui avrebbe dovuto puntare tutto sull’agilità e sulla velocità, essendo minuto e leggero.
Avrebbe preferito essere grosso e pesante, con qualche muscolo definito come i suoi: uno dei suoi polpacci conteneva più massa muscolare di quanta ne avesse Kappa in tutto il corpo.
Serjei venne avanti e il diciannovenne indietreggiò di scatto.
-Aspettaaspettaaspetta!-
Sospirò, richiamando alla mente il corso di Yoga.
Estraniarsi dall’ambiente circostante, respirare a fondo, trovare il proprio baricentro…
-Ehi moccioso!- lo chiamò Boris. –Dovremo aspettare ancora molto per vederti con qualcosa di rotto? Sto finendo le patatine!-
Kappa espirò profondamente: poteva svenire da un momento all’altro.
Sarebbe svenuto da un momento all’altro.
Non era colpa sua se il contatto fisico lo terrorizzava!
-Ehi cazzone!- Rei guardò Boris. –Stai zitto o vai a comprare un altro pacco di patatine, e questa volta non dimenticare la confezione intelligenza in omaggio.-
Boris lo guardò in cagnesco, il mite verde foglia dei suoi occhi si trasformò in due accette affilate, assordanti come motoseghe in funzione.
-Cinesino… attento, non spingerti dove non puoi arrivare.-
-Ci sono arrivato una volta- sorrise Rei, mentre Max cercava di zittirlo, –e ho vinto.-
Il volto nordico di Boris si accartocciò su se stesso, poi rischiò di esplodere come una bomba a orologeria.
-Ti ricordi bene Kon. E ricordi anche come sei finito in ospedale o vuoi che te lo faccia provare di nuovo?- ringhiò.
Il pericolo lampeggiava nei suoi occhi come un faro in mezzo a una tormenta di vento.
Ma Rei non sembrò notarlo, o fece finta di non vederlo.
-Quando vuoi, Boris- rispose con quel tono ragionevole che mandava puntualmente il russo fuori di testa. -Non ho avuto paura allora, non vedo come tu possa farmene ora.-
Boris faceva paura, eccome.
Con muscoli vistosamente in rilievo, le sopracciglia arcuate come unghie di falco, negli occhi fredde distese di erba gelida e un paio di labbra che diventavano sottili come il vento che sguscia sotto ad una porta chiusa, faceva tremare le viscere alla sola illusione di essere sfiorati da una delle sue nocche consumate da anni di pugni.
Ma Rai se ne stette lì, perfettamente fermo, stabile sulle gambe fasciate da un pantalone di tuta bianco, insolito nell'abbigliamento sportivo, con gli occhi felini che riflettevano le costose auto di Kai, lì nel vasto deposito-auto in cui era stato allestito quel mini ring.
Perfettamente padrone di se stesso.
Boris arricciò la bocca in una smorfia gelida, come una crepa sull'asfalto.
-Le cose cambiano.-
Rei scosse pacatamente la testa.
-Certe cose non cambiano mai.-
Si sentí tirare dalla manica e si voltò, incontrando i limpidi occhi di Max.
-Vogliamo ripescare i ricordi del passato proprio oggi? Eddai.- mormorò, guardando Boris di sottecchi.
-No, infatti. Io e Boris stavamo solo discutendo di vecchi rancori. Ora siamo tutti dalla stessa parte,- Rei lanciò un'occhiata obliqua al russo, -o sbaglio?-
-Cosa stai insinuando?!-
Questa volta la ruggine gli graffiò sonoramente in gola.
Boris era a tanto così dal perdere le staffe.
E Boris non perdeva le staffe.
Era un freddo calcolatore, uno stratega dall'autocontrollo inviolabile.
Provocava, sbuffava, faceva stronzate, giurava amore eterno a un minimo di tre ragazze ogni sera e si sbronzava alla grande, pagandone le conseguenze il giorno dopo in mal di testa e conati di vomito, ma non perdeva la testa.
Ma niente, niente lo mandava in escandescenza come quel cinese.
Yuriy li osservò da lontano, con il fondoschiena poggiato al cofano di una delle Porsche di Kai.
Boris era abituato a incutere timore, con la sua natura aggressiva e il carattere forgiato da anni di torture fisiche e psicologiche; Boris era abituato a vedere i suoi nemici stramazzare al suolo o farsi sotto nelle mutande non appena roteava il collo per farselo schioccare, ma Rei era resistente, troppo resistente per i suoi gusti.
E coraggioso.
E reggeva al dolore in modo innato, un'abilità che Boris era stato costretto ad acquisire.
Yuriy ricordava ancora come la lama di un coltello gli facesse dolere lo stomaco dalla paura, come i tagli sanguinavano e sanguinavano e sembrava non dovesse finire mai, che mai si sarebbe abituato al dolore.
Ma la goccia che cade sempre sullo stesso punto consuma la roccia, la lama che taglia sempre lo stesso punto tempra la pelle.
Fino a non provare più niente.
Fino a salutare il dolore come un vecchio amico.
Fino a volerlo come una madre, a desiderarlo come si desidera il corpo di una donna, perché ti mostra che non ci sono limiti che possano trattenerti, nessun steccato che tu non possa fare a pezzi con la forza di un calcio.
-Non insinuo nulla, ma questo atteggiamento ostile mi fa pensare. Temo che dovremo collaborare se vogliamo avere anche solo una possibilità di vincere.-
Boris avrebbe senz'altro trovato altro da dire nonostante la diplomazia di Rei e la granitica logica delle sue osservazioni se Kappa non fosse caduto di botto, con la schiena spalmata a terra come marmellata su un toast.
-Sì! Vai Professore! Una caduta da maestro!- sbraitò Daichi comparendo accanto a Max.
-But.. che stai dicendo?- gli domandò quest'ultimo.
-Sostengo gli amici, nei buoni momenti e in quelli sfigati. Questo mi sembra uno di quelli sfigati... Forza Professore! Ma... é morto?-
Boris scoppiò a ridere.
Kai si materializzò dall'altro lato del garage.
-Serjei! Ti avevo avvertito di andarci piano.-
-Ma se ho fatto pianissimo...- Si piegò sul corpo steso del Professor Kappa. -Ehi, mi senti?-
Kappa sbatté le palpebre un paio di volte.
E questa fu tutta la sua reazione.
Kai si avvicinò, saltò agilmente sul ring e gli tastò il polso.
-Beh, è vivo.-
Si alzò scuotendo le spalle.
-Forse dovreste sollevarlo da terra Kai?- suggerì Max, grattandosi una tempia.
Il nippo-russo guardò a terra, verso il corpo in via d'estinzione di Kappa, poi di nuovo Max. -Dici?-
Serjei lo sollevó il più delicatamente possibile.
-Tu non partecipi alle missioni fisiche, tu stai davanti al computer e dirigi le operazioni, O K A Y ?- gli disse Serjei, articolando ogni sillaba come se fosse sordo. -Se qualcuno ti attacca, tu lanciagli contro il computer, O K A Y ?-
Kappa sbatté di nuovo le palpebre, ma per una volta sola, segno che stava per morire.
-Io lo porto di la prima che collassi.-
Max e Daichi se lo presero a braccetto. -Professore adesso ci facciamo una bella tazza di the caldo con i biscotti che prepara la cuoca di Kai, io sopra ci metto la maionese, tu una bella bustina per il mal di testa e passa tutto eh? Magari anche un po' di ghiaccio.- constatò, toccandogli la nuca in cerca di ferite.
-WOW,- Boris gettò il pacco vuoto di patatine in un porta rifiuti -la salvezza del mondo è in una botte di ferro.-
Yuriy soffiò una risata sul collo della bottiglia di Vodka che reggeva in mano.
-Non è un po' troppo presto per bere? No, dico, sono giusto le..- controllò l'orologio -le dieci del mattino.-
-Allora è tardi.-
Julia si sistemò sul cofano dell'auto accanto alla Porche dove stava poggiato Yuriy, osservando Kai, Boris e Serjei che discutevano di qualcosa al centro del ring.
-Fanno sempre così?- Non ricevette risposta, perciò continuò. -Rei e Boris.-
-È una storia lunga.-
-Takao me l'ha accennata.-
-Allora ripassala, che poi t'interrogo.-
-Sei sempre così acido?-
Il rosso fece schioccare la lingua al sapore di pesca.
-Aspro como un limón.- riprese lei, quasi rammentandolo a se stessa.
Yuriy bevve un sorso. -Cosa vuoi Julia?-
-Non la sai la regola di non bere prima delle dodici? E soprattutto, di non bere a stomaco vuoto? Tu hai fatto colazione... vero?-
-Ushi vyanut...- bofonchiò lui.
-Eh??-
-Mi si stanno avvizzendo le orecchie.-
-Ah.-
Cinque secondi di perplesso silenzio e...
-Eh??-
-È un modo di dire, porca miseria. Come a dire "mi stai annoiando". Non si usa da te?-
-Qué va, hombre, para nada.-
-...Eh?-
Julia scoppiò a ridere.
La sua risata era una musica leggera e contagiosa, come i campanellini che suonano quando si entra in un negozio, come le strade di Cuba.
Incrociò le gambe avvolte nei jeans attillati, con un motivo floreale sulla coscia destra.
Anche così chiunque poteva facilmente scorgere la sinuosità delle gambe.
Chiunque tranne Yuriy, che da quando era comparsa non l'aveva guardata neanche per sbaglio.
-D'accordo hombre, che ne dici allora di rendere la conversione più interessante? Insegnami a combattere.-
-Sto facendo i salti di gioia.- commentò il russo, portandosi la bottiglia alle labbra.
-Oh, vamo..- Julia si bloccó quando dal trio al centro del ring qualcuno esclamò: -Ecco dov'è sotterrato il cane!-
La madrilena spalancó gli occhi.
-Altro modo di dire.- puntualizzò Yuriy, sollevando la Vodka nella loro direzione.
Boris gli fece "OK" con i pollici.
-Ma che razza di modi di dire avete?! Cosa vorrebbe significare?-
-Significa che sono arrivati a capire dove sta il problema.-
-Que problema?-
-Il nodo cruciale della questione.-
-Que questione?-
-Diamine, come faccio a sapere di che stanno parlando se sono qui con te?-
-Aiaiaiaia... non hanno avvisato il capobranco?-
-Non devono dare conto a me. Non sono Vorkov.-
-Lupi una volta, lupi para siempre.-
Questa volta Yuriy la guardó, e con irruenza.
-Ma che dici? Tu non sai niente di noi, non c'eri al primo campionato mondiale e non c'eri al monastero, quindi che t'interessa a fare?-
-Mi interessa perché non mi piace lottare contro i fantasmi, e Andrew mi ha raccontato muchas cosas, e lui non ha questa grande stima di te. Però me dijo todos quello che sa.-
-Esci con lui ora?-
-Che t'interessa a fare?- rispose lei con lo stesso tono del russo.
-Non m’interessa, voglio solo conoscere i punti deboli degli individui con cui mi alleo. Se Andrew McGregor sarebbe ben contento di spiattellare il segreto dell'immortalità al primo paio di belle gambe che gli passano davanti, voglio saperlo.-
Julia alzò gli occhi al cielo. -Pensi sempre al peggio, vero?-
Yuriy si passò un sorso di Vodka tra le guance, prima di guardarla di nuovo negli occhi. -E non sbaglio mai.-
-Peró hai anche ammesso che ho delle belle gambe.-
-Non mi sembra.-
-È così.-
-No.
-Sí.-
-No.
-Claro.-
-Net.-
-Claro que sì.-
-Claro que net.-
-Mi insegni a combattere?- ripeté la madrilena, passando una mano tra i lunghi capelli ondulati.
-Perché dovrei?-
-Perchè sono tua alleata.-
-Chiedi a Boris, è più bravo.-
-Ma io ho visto combattere te.-
-Hai visto anche Boris.-
-Embè?-
-Chiedi a Kai allora.-
-Tz! Kai mi manda fuori di testa peggio di te! Due minuti con lui che mi dice che sono una frana in qualcosa e lo mando al Paraíso! No, gracias.-
-Serjei.-
-Troppo differenza di stazza per una principiante.-
-Ivan- suggerì Yuriy, osservando il sedicenne unirsi al gruppo dei connazionali al centro. -Ivan è
scattante, agile, veloce e terribilmente astuto,- le gettó un'occhiata quasi sdegnata, -e penso proprio che tu dovrai puntare sulla velocità se vorrai imparare qualcosa.-
Julia ebbe il fremente impulso di spaccargli la bottiglia di Vodka in testa.
-Voglio che m'insegni tu.-
Una dichiarazione. Netta e precisa.
Senza preamboli, né giochi di ruolo, né mezze frasi sussurrate al vento, con la speranza che l'altro non senta.
Voleva lui perché, nonostante la luce sadica negli occhi e nonostante il "crack" delle ossa di quell'uomo gli rimbombasse ancora tra le pareti della mente come un'eco infinito, era esattamente quello il modo in cui voleva imparare a difendersi: senza temere il contatto, senza temere di esser toccata.
Senza temere il peggio.
Quando Yuriy combatteva si estraniava completamente dalla realtà circostante, come perdersi tra i tasti di un pianoforte: solo che lui lo faceva con il sangue dei nemici.
Non pensava minimamente che qualcuno potesse colpirlo, era una possibilità che non considerava mai, troppo esperto e troppo sveglio.
Chi lotta per sopravvivere ha la stessa brama di rispetto negli occhi, la stessa fame di vita.
In questo non erano diversi.
Julia lo ammise allora, stravaccata sulla carrozzeria di una macchina di lusso, a guardare il profilo tagliente del rosso.
Yuriy non l'avrebbe ammesso a se stesso, figuriamoci dirlo ad alta voce a lei.
E rispose, come chi non ha nulla da perdere.
-L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re, querida.-
La spagnola scese con un saltello dall'auto.
-Fortuna che io soy una regina.-
-Però qui non ci sono sudditi.-
Lei arricciò il naso come una bambina e si allontanò, ma non prima di aver pronunciato con astio: 
-Quanto sei antipatico Ivanov.-
 

 

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Capitolo 6
*** Scommessa. (Pt.1) ***


Ho dovuto separare il sesto capitolo in due capitoli distinti perchè altrimenti sarebbe stato troppo lungo, e già vi torturo abbastanza così. 
Grazie a tutti i lettori.

(Un ringraziamento particolare gentilissima Aky ivanov che trova sempre il tempo e la voglia di farmi sapere cosa ne pensa.)


 


This is my kingdome come.



 

6. 

Scommessa.







-Ancora.- 
Julia non era ancora certa di come si fosse ritrovata in questa situazione, con le ciocche di capelli ramati incollate alla fronte imperlata di sudore e ogni singolo centimetro dei muscoli dolorante.
Era una circense e una blader allenata, riusciva facilmente a sopportare ore di stretching straordinario, piegando la schiena come se non avesse colonna vertebrale e saltando sui trapezi come se volesse, sostenendosi con le braccia resistenti a mezz'aria, acclamata dal frenetico applauso del pubblico che la mandava in delirio; ma fare lotta corpo a corpo, farlo con uno che l’aveva imparata per pura sopravvivenza e che pretendeva dai loro corpi la completa inibizione di tutti i limiti, era tutta un'altra storia.
-Anc-ancora?-
Il russo per tutta risposta si rimise in posizione.
Che diamine aveva al posto delle gambe, due protesi di acciaio?
-Fernandez, io non perdo tempo con i deboli. Hai detto di riuscire a varcare le mie difese o sbaglio?-
Già, come dimenticarlo? 
Julia si sarebbe presa a schiaffi da sola. 
L'impulsivitá e l’orgoglio l'avevano colta totalmente alla sprovvista in quel locale, un mese prima, quando aveva avuto la brillante idea di stuzzicare il cane che dorme. O per meglio dire, il lupo.

L'aroma fruttato dei cocktail, i liquidi ambrati, azzurri e rosa in bicchieri volteggianti nella penombra psichedelica, divanetti come troni per re e regine improvvisati di una sera di divertimento e oblio e Mao, con la sua fragola ricoperta di cioccolato fondente fra le labbra a forma di cuore, il vestitino blu elettrico dalla corta gonna di velo e una miriade di brillantini cosparsi sul corpetto, che tentava di non versarsi il drink addosso.
-Non è che ti ubriachi?- fu a quel punto la domanda di una preoccupata Hilary, infilata in una gonna di paiettes dorate e un'aderente maglietta nera dal collo a impero che le lasciava scoperte le spalle magre. 
-Hihihihi... macché.-
Julia, in mezzo alle due, guardò prima Mao e poi Hilary lanciando a quest'ultima un'occhiata eloquente: "tra poco la portiamo via."
Fu in quel momento che la musica si alzò di volume, cambiando genere.
Una canzone dai tratti spagnoleggianti irruppe del grande spazio, trascinando con sé i corpi dei presenti sulla pista da ballo.  
Julia sentì l'impulso di unirsi a loro, richiamata dalla musica delle sue terre, così vivaci e impetuose. 
-Andiamo a ballare?- 
-Scusami Julia ma non ce la faccio, questi tacchi mi stanno uccidendo.- 
Julia si volse verso Mao, ma la ragazza aveva abbandonato la testa sullo schienale in pelle e contava le stelle in un locale notturno al chiuso nel centro di Tokyo. 
Decise di lasciar perdere.
-Tu vai se ti va, i ragazzi di prima sarebbero molto contenti se li onorassi della tua attenzione. Se vedo che fanno qualcosa di male vengo e ti trascino via.-
-Va bien. Sei sicura di no..- spostò lo sguardo su una figura in movimento e si accomodò meglio sul divanetto, lisciandosi le pieghe del suo vestito a balze morbide dai colori più sgargianti e alzò una mano, schioccando le dita. -Sai Hil, ho cambiato idea. DISCULPE!- urlò per sovrastare il rumore della musica. 
L'amica la guardò sconcertata. 
-Ma cosa...- 
Quando vide un ragazzo avvicinarsi a loro credette di essere troppo brilla per vederci bene, ma il colore del fuoco di quei capelli e la corporatura slanciata difficilmente potevano essere confuse.
-Tu lo sapevi?- bisbigliò Hilary.
-Ti do un consiglio: si vuoi saber qualcosa fai ubriacare Rei cuando está stressato.-
Hilary sbatté le palpebre un paio di volte prima che il russo le raggiunse. 
-Yuriy, che sorpresa.-
-Sì Yuriy che... che ci fai qui?-
-Ci lavoro.-
Hilary si irrigidì sul posto, temendo che il moscovita non avrebbe voluto far sapere qualcosa che non aveva rivelato a nessuna delle tre. 
In realtà Yuriy non parlava delle sue cose e basta, non gliene interessava un accidente di mandare avanti la conversazione senza avere nulla di utile da dire, rimpiazzando i vuoti con informazioni sulla sua vita privata.
-Ah. Beeeh...- (si sentì maledettamente simile a Takao) -sembri bravo. Nel senso... sembra tu l'abbia fatto altre volte.-
-Facevo questo a Toronto quando i due scagnozzi di Vorkov mi hanno trovato.- 
Perché la ragazza giapponese gli parlava come se fossero grandi amici? 
Ah sì, era l'effetto Takao che come una pestilenza si diffondeva in chiunque gli stesse attorno. Il russo sospettava che anche Kai ne fosse affetto, in fondo.
Molto infondo. 
Continuò a fissare Hilary per due minuti buoni, impassibile come una statua di marmo, senza aiutarla minimamente. 
Alla fine chiese, con il gelo sulla lingua: -Cosa ti porto.-
Non pareva una domanda, ma la ragazza balbettò il nome di qualche cocktail giapponese. 
-Come hai fatto a trovare lavoro qui così velocemente? Non che ci sia qualcosa di male... nel senso, sono contenta. Mi fa piacere. Non nel senso che... cioè, non c'è niente di ma..- 
-Me la so cavare.-
La voce di Hilary si spense come un cerino al vento, vagliando l'ipotesi di seppellirsi nel bicchiere del drink non appena lo avesse avuto in mano. 
Non capiva come alla stessa specie umana potessero appartenere due esseri così diversi come Takao e Yuriy.
Non solo non avevano neanche una caratteristica fisica in comune, ma anche le loro personalità erano distanti anni luce, come se provenissero da due pianeti di due sistemi solari differenti. 
L'uno con la sua forma slanciata e la lunghezza delle gambe, la pelle nivea e i capelli rosso cremisi, gli occhi come lastre ghiacciate, un modo di muoversi che ricordava un animale pericoloso nella giungla selvaggia, con la diffidenza di chi sa che sono tutti nemici fino a prova contraria e l'altro con due iridi blu come il mare al tramonto e brillanti altrettanto, la voce dell'ottimismo e l'incarnazione del lavoro di squadra, logorroico e impulsivo, con i lisci capelli scuri e la pelle color sabbia che era capace di mettere chiunque a proprio agio. 
Con Takao non doveva preoccuparsi di apparire, lui mirava direttamente all'essere. 
Non la faceva sentire a disagio, non la guardava male se diceva qualcosa di sciocco ma, anzi, rideva con lei. 
Era distratto certo, e testardo, e immaturo se voleva avere ragione, e se si metteva una cosa in testa non c'era anima viva capace di fargli cambiare idea, zuccone com'era, ma era una di quelle anime pulite, oneste, messe in bella vista.  
Con Yurij invece era come giocare alle scatole cinesi. 
Come una Matrioska dagli zigomi affilati e lo sguardo inquietante. 
Ma Julia non sembrava pensarla allo stesso modo, o almeno non sembrava crearle gli stessi problemi. 
-Io non so cosa voglio. Sorprendimi.-
Un gruppo di ragazze attendevano al bancone di essere servite. 
Julia notò con cipiglio divertito che avevano aspettato l'esatto instante in cui l'altra ragazza che serviva gli alcolici si era allontanata. 
Il russo restò impassibile, poi guardò Mao che era passata a contare le costellazioni con due occhi assottigliati come mezze lune. 
Fece un gesto seccato come a dire "a lei lasciamola perdere" e andò al bancone. 
-Verremo a prenderli noi, non ti scomodare a mandare nessuno, graciaaas- esclamò Julia, osservando nuovamente le ragazze in minigonne e top corti. 
-Anche io assumerei un barman come Yuriy se fossi il proprietario di questo posto- mormorò Hilary con gli occhi sullo stuolo di clienti che si rigiravano ciocche di capelli biondi tra le dita e sbattevano lunghe ciglia imbevute di mascara nero e viola. 
-Vorrei una Vodka per favore... anzi no, un cocktail con Vodka dentro- disse una ragazza dal forte accento slavo, alta come una Valchiria e con un fondoschiena invidiabile. Il tubino nero le fasciava le curve come la coda di una sirena.
-Cosa mi consigli?- Il tono civettuolo, in ogni caso, nessun accento avrebbe potuto celarlo. 
Yuriy le diede le spalle per prendere una bottiglia e le rispose in russo. 
Fu allora che Julia si alzò, fece schioccare le dita e si diresse verso il bancone del bar, assalito dalle rapaci biondo platino. L’ampia gonna colorata del vestito le ondeggiava attorno alle cosce bronzee, in netto contrasto con la pelle pallida delle nordiche.
-Querido, hai ripensato a ciò che ti ho detto l’altro giorno?-
-Non penso mai due volte alla stessa cosa- rispose automaticamente il ragazzo con indifferenza, tra una frase in russo e l’altra. La Valchiria che non gli toglieva gli occhi di dosso era di Kiev.
-Peccato sai…- riprese la spagnola, poggiando svogliatamente i gomiti sul bancone lucido, -porque avevo una propuesta da farti.-
-Addirittura- disse il russo, questa volta senza preoccuparsi di nascondere il sarcasmo.
Julia fece una smorfia.
Aveva avuto a che fare per tutta la vita con uomini che la sottovalutavano, prima nella vita, poi nel tendone del circo e infine nel Beyblade.
Non perché fosse una donna. Non perché fosse giovane.
Perché aveva quel visetto d’angelo, dai grandi occhi verdi e le labbra piene come quelle dei quadri. Perché odorava di pesca e sole e la voce squillante, limpida non scendeva mai troppo in basso.
Ma da Yuriy non se l’aspettava, in fin dei conti lui ne aveva viste troppe per lasciarsi ingannare dall’apparenza.
O forse, proprio per questo -perché si era imbattutto in ogni genere di essere umano sulla ruvida strada del suo inferno personale- non riteneva una comune ragazza spagnola con le rose sul vestito degna di nota.
Ma c’era una cosa che Julia non avrebbe mai permesso.
Era il suo vizio, la sua più grande fissazione: doveva sempre provare qualcosa a qualcuno.
E no, non gliene importava niente degli impavidi discorsi di Hilary sull’infischiarsene dei giudizi altrui, sull’essere consapevoli della propria luce nonostante il buio del mondo: lei voleva vincere.
Era in competizione perenne.
Con chi, ancora non l’aveva capito.
Fu per il suo personale senso di rivalsa, per la mano della Valchiria che indugiò un tantino di troppo su quella di Yuriy quando chiese una cannuccia (che ora si rigirava in bocca come una ridicola parodia di sensualidad) o forse per il modo in cui Yuriy le mise davanti il suo cocktail e quello di Hilary, come se non la conoscesse affatto, con una freddezza che avrebbe fatto sembrare i ghiacciai del Polo Nord degli stupidi dilettanti, che si schiarì la voce, scosse i lunghi capelli e alzò il mento.
-Pensavo ti piacessero le scommesse, non credevo che ne avessi paura.-
Yuriy si irrigidì impercettibilmente.
Ma Julia ormai era sulla pista da ballo, “e allora balliamo”.
-Forse quella donna aveva ragione infondo.- Julia si sedette su uno degli sgabelli, accavallando le gambe. –Tienes paura.-
-Io non ho paura.-
-Forse tienes paura di starmi troppo vicino.-
Se Yuriy non fosse stato Yuriy avrebbe alzato gli occhi al cielo.
Invece si limitò a shackerare un drink alla Vodka e cocco alla Valchiria.
Quest’ultima non gli toglieva gli occhi di dosso.
-Forse ho paura che tu sia troppo debole per riuscirci.-
Julia incassò magnificamente il colpo.
Giocherellando con uno degli orecchini si esibì in una smorfia ironica.
-Allora non avrai problemi a scommettere con me. Io scommetto…- il verde vivo dei suoi occhi si agghindò del più sfacciato bagliore di sfida, -che riuscirò a penetrare le tue difese.-
Yuriy sbuffò sarcastico, prima che potesse impedirlo.
Finalmente”, pensò Julia, “qualcosa di umano.
-Bene.-
Il rosso annuì, più a se stesso che a qualcuno in particolare.
Julia non era davvero sicura di vincere, nonostante la posizione dritta della schiena e il mento all’insù.
Quando il russo pronunciò le parole che seguirono, ne divenne assolutamente certa.
-Non vincerai mai. Scommetti qualsiasi cosa su questo, scommettici anche la testa.-
-Ah no Ivanov! Quella mi serve, altrimenti cómo farò a vedere la tua faccia quando vincerò?-
-Se vinci tu?- chiese Yuriy, con il tono di chi sa che non accadrà mai.
Julia fece ticchettare una delle unghie laccate di rosso sul labbro inferiore, ricordandosi troppo tardi che aveva un appariscente velo di rossetto sulle labbra. Accennò un sorriso.
-Se vinco io… mmh… dovrai rivelarmi tre segreti, tre cose che non hai mai detto a nessuno.-
Yuriy passò tre bottiglie di vetro trasparente a una ragazza che indugiò un tantino di troppo con i gomiti puntellati sul bancone e la scollatura in bella vista.
-E’ Vodka purissima, vero?- chiese con una vocina da fiaba, mentre le amiche ridacchiavano eccitate più lontano.
-Da.-
Proprio quando Julia iniziava a credere che non avesse sentito, lui la guardò.
-Perfetto.-
-Se vinci tu invece? Cosa…-
-Posso offrirtene un goccio? Sai… io e le mie amiche non siamo abituate alla Vodka pura e sarebbe meglio se non bevessimo tre bottiglie intere…-
Julia notò che sbatteva le ciglia arcuate ad arte con così tanto impegno da dare le vertigini.
E notò anche come si piegò in avanti quando prese una cannuccia, rigirandosela tra le labbra carnose.
La madrilena scosse la testa, incredula.
Yuriy diede loro la schiena per afferrare un bicchiere mentre alla tigre famelica (indossava un top tigrato che certamente non sarebbe passato inosservato a uno zoo o a una sfilata di moda) gli occhi balzavano in basso, dove il jeans nero del ragazzo non riusciva a nascondere due curve allettanti.
Gli occhi risalirono velocemente quando il rosso si voltò.
-Nalivayesh.-
La ragazza lo fissò perplessa, o momentaneamente incantata.
Julia sbuffò sonoramente e Yuriy fece un cenno verso la bottiglia.
-Ah. Aaaaaah… capito capito- versò, con il movimento esperto di chi l’ha fatto altre volte, l’alcol nel bicchiere del ragazzo e nel suo, poi lo sollevò con una risata cristallina.
-Alla tua!- e ne bevve due sorsi pieni, arricciando le labbra con gusto.
-Vashe zrodovye.- Yurij si buttò direttamente tutto il liquido in gola.
-Mm.. ma sei davvero russo allora! Come hai detto? Mi fai sentire qualcosa in russo? Qualcosa con la ‘r’, mi piace troppo la vostra ‘r.’-
-Mmmh mmmh… mira leonessa, estábamos hablando. Hai rinfrescato l’aria con le ciglia, hai brindato, hai bevuto, ahora potresti farci finire la conversación se non ti è di troppo disturbo? Graciaaaas-
Prima che l’avvenente fanciulla potesse anche solo scollare le labbra, Julia aveva già ucciso qualsiasi tentativo di parola.
-Allora Ivanov, se vinci tu? Cosa vuoi?-
-Io niente.-
Ma poi un lembo delle labbra si tirò all’insù, come se un burattinaio crudele avesse tirato proprio quel filo bislacco.
Il suo non era un sorriso: non era neanche lombra di un sorriso.
Era un ghigno fatto e finito, rivestito di quel sarcasmo sfacciato che sa esattamente dove andrà a parare.
-Ma Boris in effetti voleva venire a letto con te, solo che tu hai fatto la difficile- incrociò le braccia al petto, poggiando il fondoschiena al bancone con strafottenza, -a quanto mi ha detto lui. Se vinco io, dovrai andare a letto con Borja. Ci stai Fernandez?-
Julia spalancò la bocca, indignata.
-Sei… siete tutti uguali! Ma cosa avete nella zucca voi uomini, un criceto rimbambito?!- Saltò giù dallo sgabello, atterrando sui tacchi vertiginosi. –Estoy dentro, Ivanov, e ti farò rimpiangere todo lo que è uscito dalla tua orribile bocca russa, a ti y a esa mierda soviética.-
Ogni singolo esemplare femminile nelle vicinanze la guardò come se avesse qualche rotella fuori posto (orribile bocca russa dove?), ma lei afferrò i due cocktail, sollevò lo sguardo smeraldino, fece ondeggiare le belle onde di miele dietro la schiena e si allontanò a testa alta.
 
Julia provò a colpirlo, ma invano.
La sua mano affondò nel vuoto mentre, con un sibilante spostamento d’aria, Yuriy l’aveva evitata scartando di lato.
La ragazza provò di nuovo e di nuovo, ma nessuno dei suoi attacchi lasciava il segno.
Era da un mese che si allenavano cinque ore al giorno e lei era riuscita a bloccare al tappeto Rei, a far cadere Johnny e persino a prendere Kai in contropiede, con una finta e una ginocchiata nella pancia, ma con Yuriy non c’era storia.
La leggerezza con cui si piegava e le girava attorno la faceva andare fuori di testa, come se lei non fosse dotata di muscoli e sangue ma fragili foglie accartocciate dal vento.
Un mese di continui allenamenti, e il freddo che albergava negli occhi del russo non si era incrinato di un millimetro.
Neanche per un secondo, neanche per sbaglio.
-Sei prevedibile, Fernandez.-
Julia poggiò le mani sulle cosce, piegandosi per riprendere fiato.
-Cosa posso… fare oltre a… cercare di colpire l’avversario?-
-Devi studiarlo.- Yuriy le si fermò davanti. –Non iniziare mai per prima, fai fare sempre all’altro la prima mossa. Tu seguine i movimenti del corpo, analizzane la corporatura, il modo di respirare.- Fece un passo in avanti, e poi un altro ancora. –Guardalo negli occhi, è tutto scritto lì.-
Julia non voleva perdere la scommessa, non voleva dover andare a letto con Boris per colpa della sua lingua lunga, ma leggere qualcosa negli occhi del rosso era umanamente impossibile.
-Guardami.-
Il respiro di Yuriy le solleticava il viso, gli occhi non si mossero dai suoi.
Si raddrizzò.
Julia avrebbe voluto guardare altro: il modo in cui i muscoli del ragazzo si contraevano quando avvertivano il colpo, una delle vene visibili sul lato destro del collo, la diffidenza con cui abitava il mondo, come se si aspettasse di venire pugnalato da un momento all’altro, le cicatrici sulle clavicole, segno che qualcuno l’aveva pugnalato per davvero.
Le ombre scure attorno agli occhi, come monito di una stanchezza perenne, primordiale, che non lo abbatteva mai.
Julia non leggeva niente negli occhi di Yuriy, ma dopo un mese aveva capito che c’erano altri modi per varcare le difese di qualcuno.
E la luce di un’idea le balenò negli occhi, come un raggio di sole che si riflette nel mare.
Il russo se ne accorse, annuì e socchiuse le palpebre.
-Gotovy?-
Julia annuì a sua volta. Aveva imparato cosa significava: “Pronta?
No, non era pronta, ma varcare le difese significa anche raccogliere i barlumi di vita che qualcuno non è riuscito a nascondere e farci una corda per strangolarlo.
Rabbrividì al suono di quel pensiero, che non pareva neanche suo.
Qualcosa si era scheggiato dentro di lei, rafforzandosi.
Diventando più duro nel punto di rottura.
Non avrebbe permesso più a nessuno di fare ciò che quei bastardi avevano cercato di fare con lei in quel vicolo di Mosca, nessuno avrebbe più giocato con lei come si fa con una bambolina di porcellana.
Lei voleva una pelle come quella di Yuriy, bianca come porcellana sì, ma crudele come l’inverno.
Solo che la sua era d’oro, e quando una mano le afferrò il braccio destro, immobilizzandoglielo dietro la schiena, ricordò perchè l’inverno faceva male.
Strinse i denti e gli serrò il collo con l’altro braccio.
Yuriy mollò la presa, indietreggiando.
-¿Pensasteque sarebbe stato tan fácil?-
Sorrise beffarda.
E Yuriy ricambiò il sorriso, uno specchio sinistro e distorto.
Julia non ebbe il tempo di prepararsi che le fu addosso.
Rotolarono per metri, la spagnola riuscì a sgusciare dalla sua presa, la spalla pulsava dolorante ma lei le ringhiò mentalmente di stare zitta, che non era il momento, che Yuriy aveva negli occhi due eclissi di luna.
Si trascinò via, fece per alzarsi ma lui le afferrò una gamba e la tirò indietro.
Fu allora che Julia seguì l’istinto, come i rapaci in picchiata, come le cascate in caduta libera.
Magari si sarebbe sfracellata su qualche pietra. Magari no.
Uno scatto repentino del busto, la mano di Yurij a bloccarle i polsi, l’altra sulla gola, un ginocchio tra le gambe di lui.
Dentro la polvere del suo respiro Julia avvertì un mancamento, come un battito che non arriva alle labbra.
La sorpresa.
L’inaspettato.
Solo quando gli occhi di Yuriy si allargarono impercettibilmente la ragazza si rese conto che avrebbe pagato qualsiasi cifra per vedere un’altra volta quella corazza creparsi, a far entrare la luce.
-Allora?- mormorò Julia, con gli occhi persi da qualche parte fra le sue labbra schiuse e le ciglia rosse, i polsi nella sua presa, inchiodati al suolo, il collo fra le sue dita gelide, la gamba di Julia a esercitare una lieve pressione sul suo inguine, a ricordargli che sarebbe bastato poco.
Davvero poco.
Yuriy inarcò un sopracciglio. –Altrimenti?-
Le sfiorò la gola con il pollice, come una minaccia velata.
-Usted no está en condiciones de hacer estas preguntas- rispose lei, con un sorriso divertito.
Una ciocca di capelli cremisi sfuggì all’elastico, scivolando sulla guancia del russo come una rivolo di sangue.
-Come?-
-Non sei nella posizione di fare queste domande, Ivanov.-
Julia scoppiò a ridere, non riuscendo più a sopportare la tensione della lotta, l’adrenalina dei corpi che si scaldano, delle mani del russo su di lei.
Il nervosismo a quella pressione s’insinuò nei singulti d’ilarità e la ragazza cominciò a ridere ancora più forte, gettando indietro la testa, cercando ossigeno che non avesse l’aroma della pelle di Yuriy, che la lasciasse libera e neutrale.
Il suo basso ventre era scosso da una danza selvaggia.
Il russo si immobilizzò. Gliela stava per dare vinta, nonostante tutto.
“Cazzo” maledì mentalmente, alzandosi.
-Sapevo che eri… un uomo anche tu… in fondo.-
Yuriy fece schioccare le dita delle mani.
-Io invece ancora non riesco a capire se sei una donna o meno.-
Julia incassò il colpo con filosofia, risparmiandosi una risposta pungente soltanto perché aveva vinto la scommessa.
-Mmh… come primo segreto voglio sapere come ti sei fatto tutte queste cicatrici.-
-Non sono cose che ti riguardano.-
-Eh no querido, ricordi cosa abbiamo messo in palio? Mi devi tre segreti chico.-
Yuriy inarcò un sopracciglio.
-Una sola. Scegli quella che ti pare, ma una- disse con tono irremovibile, indietreggiando per andarsene.
-Non me la fai scegliere?-
Julia sorrise candidamente, una delicata corolla d’innocenza a sfarfallarle tra le folte ciglia.
Yuriy cadde completamente dal pero.
Probabilmente sarebbe stato il momento adatto per una battuta maliziosa, ma se Julia, in quel frangente, in piedi su un ring improvvisato, con le guance rosse, il collo sudato, la lunga coda in disordine ebbe un secondo fine, il rosso non lo capì.
Si sfilò la canottiera nera, senza mezzi termini, e sperò che si desse una mossa.
Ma la spagnola non aveva fretta.
Iniziò a girargli attorno con lentezza, studiando ogni curva dei muscoli sull’addome, proiettando lo sguardo su ogni anfratto e avvallamento, come si fa quando si osserva un paesaggio.
Si soffermò sulla spalla sinistra, dove un gruppo di piccoli nei si era accalcato attorno a una cicatrice. Eppure lei, caparbia, era visibile come un dispetto.
Si perse fra il bianco dell’incarnato del russo e la sensazione di allarme che il suo corpo le suscitava, perché sembrava forgiato per essere solo bello alla vista, ma in realtà era fatto per uccidere.
Allarme perché, nonostante ogni dettaglio le suggerisse di non lasciarsi blandire dalla forma elegante del collo e dalla pelle che pareva una costellazione di neve, come se ogni granello vi fosse incastonato come un piercing, una sottile, persistente urgenza le si materializzò nello stomaco.
Di toccarlo.
Di toccare quel corpo da qualche parte tra il segno di un profondo graffio sulle costole e la lunga cicatrice pallida che tagliava trasversalmente la schiena, unendo le scapole.
Yuriy se ne stette immobile, chiedendosi perché ci mettesse tanto, che cosa ci fosse di tanto speciale da studiare così attentamente.
E quando Julia alzò una mano, sfiorandogli la cicatrice in mezzo alla spalle con la punta di un’unghia, desiderò di essere stata più veloce.
Il russo si voltò con una prontezza inaudita, afferrandole bruscamente il polso.
-Mai venirmi dietro e toccarmi alla schiena, potrebbe essere l’ultima cosa che fai.-
La madrilena rimase di sasso per la sorpresa. Il formicolio nella pancia aumentò.
-Correrò il rischio.-
Il respiro di Yuriy era lento, il suo stomaco si alzava e si abbassava con placida noncuranza, ma quando lasciò la presa la sua mano fece uno scatto repentino.
-Questa.-
Il verde negli occhi di Julia venne catturato da un segno sulla clavicola destra del moscovita, un antico serpente dal corpo lungo, sbiadito ma non abbastanza. Era così lunga da arrivare a toccargli anche la gola.
Questa volta la toccò.
Era davanti a lui, avrebbe potuto farla cadere con uno spintone, non c’era motivo per cui non potesse farlo. No?
No.
Evidentemente i motivi c’erano, a giudicare da come Yuriy seguì il delle dita con gli occhi.
Quando il russo avvertì polpastrelli della spagnola sulla pelle, a seguirne la forma, il più leggera possibile, ogni fibra del corpo si era attorcigliata attorno a un brandello di tensione.
-Hai occhio.- Fece un passo indietro, più freddo che mai.
-Ma non ora. Non domani. Questo fine settimana andiamo in qualche posto, ci sediamo a un tavolo, ci beviamo una cosa e io farò finta di avere la voglia di dirtelo. Bene? Bene. Privet.-
Julia lo vide infilarsi la canottiera, prendere il pacchetto di cartine che aveva lasciato a terra e allontanarsi senza darle il tempo di replicare.

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Capitolo 7
*** Scommessa. (Pt.2) ***


Aky ivanov: innanzitutto grazie come sempre per la puntualità e la pazienza con le quali commenti i miei capitoli. 
Rispondendo alle tue parole, Yuriy "tonto" nelle questioni amorose è un po' la tendenza di una larga parte delle fanfiction, soprattutto quelle con Julia, probabilmente a causa del suo passato, del suo carattere freddo e del suo reprimere i sentimenti.
La JuliaxBoris non ricordo di averla mai letta (o forse sì) e, anche se non mi fanno impazzire insieme, non disdegno mai qualcosa di ben scritto.
I tuoi sospetti sono esatti, la mia quiete è sempre il preludio alla tempesta. 
Spero che continuerai a seguirmi, 
Pachiderma Anarchico

P.S.: grazie ad ogni singolo lettore.

 



This is my kingdome come.



 

6. 

Scommessa.
(pt.2)







Kai finì di abbottonare la camicia blu notte, lo sguardo perso nella penombra della stanza.
Il rosso nei suoi occhi parve nero quando vide nel riflesso dello specchio due braccia scure cingergli il collo.
-Cosa dice Vorkov?-
-Cosa dice Yuriy?-
Kai piegò il collo per guardarla.
-Non ti fidi?-
-Dovrei?-
-No.-
Ming Ming sorrise, le labbra carnose atteggiate in una smorfia provocante.
-Quindi fuori da questa stanza mi uccideresti?-
-Perché no?-
Kai seguì la linea delle sua bocca, suo malgrado.
Aveva avuto una moltitudine di ragazze nella sua vita, una più insignificante dell'altra.
C'era la norvegese che era brava a letto ed era durata qualche giorno in più delle altre, la cubana dalla pelle al profumo di cocco, la finlandese con il suo accento strano e gli occhi color cannella, la coreana con la forma minuta e il carattere esplosivo, ma nessuna glielo faceva diventare duro come Ming Ming, con il temperamento di una regina e le movenze di una squillo, la voce al miele e le unghie da strega nere opache, i boccolosi capelli corvini dalle punte cobalto e l'intimo in pizzo viola.
Gli orecchini di swarowski rosa e gli occhi allungati da gatta.
Ming Ming non gliela dava vinta mai.
E Kai adorava vincere.
-Non lo faresti.- sussurrò la ragazza, sfiorandogli il mento con un dito.
-Non sottovalutare le cose che farei.- ribatté il nippo-russo, respirando il suo profumo costoso.
-Potrei tradirti in ogni momento, lo sai? Con Vorkov, con i tuoi amici...-
-Potrei ucciderti in ogni momento, lo sai? E farla passare per autodifesa. Pensi che non mi crederebbero? È una guerra, e siamo su fronti opposti.-
Ming sorrise. -Sei macabro.-
-Sono disposto a tutto.-
-É questo il problema di chi sta dalla parte dei nobili di cuore- proseguì lei, insinuando la mano nel collo della camicia, allungandosi fino ad arrivare a toccargli il petto.
-Non puoi essere disposto a tutto. Hai dei limiti.-
Il nocciola nei suoi occhi si scontró con il porpora di quelli di Kai quando penetrò nel suo sguardo.
-E il Kai che conosco non ha limiti.-
Le loro labbra si avvicinarono per la centesima volta in quella notte senza luna.
Kai le sfioró con lentezza, Ming gli prese voracemente il mento con due dita e lui la spinse sul letto.
-Il punto è che non conoscete Kai. Nessuno di voi.- Posò le mani ai lati della sua testa, guardandola fisso negli occhi come un rapace che ha puntato la sua preda dall'alto.
-Io potrei essere qui e non esserci, sopra e sotto, sincero o meno. Magari sto giocando...- soffió sulla sua guancia. -Magari no.-
-Credi di avere il controllo?- Con un colpo di reni Ming Ming intrecciò le gambe attorno alla vita del ragazzo e rivoltò la situazione, issandosi sopra di lui.
-Non questa volta.-
Kai si puntelló sui gomiti per strapparle un morso dalle labbra, ma lei scattò in piedi.
-Mi aiuti?- chiese.
Conosceva già la risposta quando infilò il tubino corallo e scostò i capelli dalla parte alta della schiena per permettere alle dita di Kai di alzare la zip.
Prese un rossetto dalla borsa e osservò il loro riflesso nello specchio.
-Passa dalla nostra parte.-
Kai allacció il Rolex al polso.
-Mi hai preso per uno stupido?-
-Ti ho preso per un condannato a morte.-
-Pensi che essere il burattino di Vorkov e di mio nonno sia meglio della morte?-
Ming Ming infilò gli orecchini sbuffando d'impazienza.
-Non ne uscirete vivi. Non lo capisci? Vorkov è troppo forte. Se non siete con lui siete contro di lui, e non lascerà mai che un potere come il vostro vaghi sul suo regno nascente a meditare vendetta.-
-Quale potere?-
La ragazza osservò la schiena del nippo-russo nello specchio mentre metteva il rossetto sulle labbra piene.
-Mi passeresti le sigarette e l'accendino? Sono nella tasca interna della borsa.-
Kai allungò una mano, aprendo la cerniera all'interno della Chanel di Ming Ming.
-Qual è il tuo vero nome?-
La ragazza sorrise e si voltò per prendere le sigarette e l'accendino che Kai le porgeva.
-Grazie.-
Kai la osservò inarcando un sopracciglio.
-Fragolina87.-
-Divertente.-
-Vuoi lasciare qui le chiavi della tua auto? Sai, mi piacerebbe una Porche.-
Kai si avvicinò pigramente.
Fu allora che Ming Ming partì all'attacco.
Con uno scatto delle dita l'accendino partorì la sua fiamma.
L'avvicinò velocemente alla mano di Kai.
Nonostante i riflessi pronti, era chiaro che il fuoco non aveva lasciato tracce sulla sua pelle.
Ming Ming avrebbe giurato che non si fosse spostato neanche per il dolore.
-Che cazzo fai?!-
-Lo sapevo...-
-Cosa, che sei una pazza? Guarda, lo sapevo anche io.-
Ming Ming proruppe in una risata che sapeva di vittoria.
-Non fare il finto tonto con me, per tua sfortuna non sono stupida. Non ti bruci eh.. il fuoco non ti fa nulla.-
Kai si passò le mani tra i capelli prima di tornare a sedersi sul letto.
Ming Ming non aveva mai visto neanche l'ombra di un'agitazione così intensa sul volto del nippo-russo.
-Non puoi dirlo a nessuno o mi uccideranno.- Sollevò improvvisamente lo sguardo. -A meno che tu non voglia proprio questo.-
-Credi che Vorkov e tuo nonno ti ucciderebbero con un potere del genere tra le mani? Farebbero di tutto per portarti dalla loro parte.-
-Ma io non sarò mai dei loro, e farebbero di tutto per togliermi di mezzo.- concluse alzandosi.
-Quindi non puoi dirlo a nessuno.-
-Magari sputerò il rospo non appena varcherò la soglia di questa porta.- Ming Ming sbatté folte ciglia con fare innocente, come una bambina colta con le mani nel barattolo dei biscotti.
-Non lo farai.- Kai neanche ci provava a sembrare innocente.
-Mmh... e perché no?-
-Perché sono la migliore scopata della tua vita.-
Le loro labbra si parlavano addosso.
-Pensi che non possa trovare di meglio?-
-Dimmelo tu.-
Ming Ming fece schioccare le labbra rosse. L'aroma alla ciliegia del suo lipstick danzò nell'aria.
-Posso trovarne altri dieci come te.-
-Ah sì?- Kai prese la giacca. -Io invece credo di no.-
-Cosa te lo fa pensare?-
-Perché sei qui- Kai si rigirò le chiavi dell'auto attorno all'indice, -con il nemico, rischiando di perdere quella testolina all'odore di zucchero filato che ti ritrovi.-
-Se scoprono me scoprono anche te, sweetheart.- La ragazza gli passò accanto, ancheggiando con fare provocante. -I tradimenti si fanno sempre in due.-
Il vestito aderente si sollevò di qualche centimetro, scoprendo una voglia colore caffè latte a forma di goccia sulla coscia sinistra.
Kai la afferrò da un braccio, costringendola a guardarlo negli occhi.
-Attenta a ciò che dici. Se parli siamo entrambi rovinati, ma io sono un Hiwatari e prima di uccidermi ci penseranno tre volte. Tu non vali quanto me, dolcezza.-
 
 
***
 
Julia entrò nella Jacksonville bianca dal motore acceso, che la figura appollaiata sul posto di guida faceva rombare rumorosamente.
-Ti stai divertendo aquí?-
Yuriy premette un pulsante su un piccolo dispositivo metallico che ricordava un comune telecomando, solo quattro volte più tecnologico.
La porta del garage si sollevò.
-E’ una bella auto.-
-No creo que a Kai interessino le macchine, lo fa più per una questione di…-
-… reputatsii.-
-reputación- dissero nello stesso istante.
Julia ridacchiò, aggiustandosi meglio sul sedile in pelle.
-E tu? Eres appassionato di motori?-
-Di solito quello che rubava le auto era Ivan ma…- tirò un colpetto sullo sterzo, -Kai li sa spendere i suoi soldi.-
-Questo secondo te è bianco antico, avorio, latte, navajo, floreale o fantasma?- Julia iniziò a toccare la rifinitura in pelle dello schienale, il cruscotto, la striscia di separazione tra i due sedili in legno, lo screen touch super-sottile.
Yuriy le lanciò un’occhiata attonita.
-Sono fissata con i colori.-
-Io devierei verso il manicomio.-
-Come siamo spiritosi stasera.- commentò la spagnola accendendo lo screen con un doppio touch.
-Woa, credevo funzionasse solo nei film.-
-Io credevo che "credevo funzionasse solo nei film" lo dicessero solo nei film.-
Julia gli rispose con uno sfarfallare fintamente scocciato di ciglia e riuscì a collegarsi a internet.
-Che canzone metto? Questa, es vecchia però me gusta mucho.-
Le note incalzanti di "Te amo" si diffusero nell'abitacolo, seguite dall'avvolgente voce di Rihanna.
-Ti piacciono le canzoni ballabili.-
-Then she said Te amo, then she put her hand around my waist, I told her no, she cried Te amo
I told her I'm not gonna run away, but let me go
...-
Yuriy cambiò la marcia e si inserì nel traffico variopinto della sera di Tokyo.
-Se ondeggi un altro po' si stacca il sedile.-
Julia scoppiò a ridere con un colpo secco, come quello di una pistola carica.
-Que estupido.-
Si poggiò alla portiera per guardarlo meglio.
-Chi ti ha insegnato a guidare?-
Yuriy non si curò di dissimulare l’esitazone.
-Perché?-
-Così.-
Il russo sospirò.
-La sorella di Ivan.-
Illuminò lo schermo del cellulare per dargli un'occhiata.
-É una tua amica?-
Yuriy accennò un sorriso con gli occhi puntati sul telefono.
-É come se fosse mia sorella.-
-Una sorella con cui sei andato a letto?-
Il moscovita la guardò.
-Oh vamos chico, so riconoscerlo lo sguardo di un uomo che parla di una donna con cui è stato a letto, per chi mi hai presa?-
Yuriy chiuse il cellulare e suonò il clacson.
-Perché nessuno sa guidare nelle grandi città...?- borbottó sottovoce.
Julia seguì il modo in cui il maglione verde militare si sollevava sul polso quando stringeva lo sterzo con entrambe le mani.
L'incarnato della pelle faceva a gara con il bianco della macchina, e stava vincendo.
Le eleganti dita delle mani sfioravano con indolenza lo sterzo, come se non stesse davvero prestando attenzione, e le vene sottopelle se ne stavano in rilievo senza sforzo, segno che, per quanto a primo impatto paressero le mani di un pianista, non era un musicista.
-É bella?-
-Ivanka?-
Julia ridacchiò.
-Già il nome dice tutto.-
-Tutti i nomi russi sono così... intensi. Ma lei non è come te la immagini.-
-É come me la immagino?-
-Alta, bionda, occhi azzurri, forme voluttuose, tacchi rosso fuoco, vestiti che spaziano dal rosa confetto al verde pastello e passo da regina.-
Julia fece per protestare, poi chiuse la bocca.
Era proprio quello che pensava.
-E invece?-
-E invece è come me.-
Julia giocherelló con i grandi orecchini che aveva messo, dorati come la collana a fiori sul vestito in lana.
-In che senso?-
-Pratica, nocche sfregiate, anfibi, capelli legati e cicatrici. La più abile giocatrice di Poker che abbia mai conosciuto.-
Julia si passò una mano tra i capelli.
-Ah, in questo senso.-
Yuriy sfiorò il touch per avviare il navigatore.
-Diamine, è in giapponese, col cavolo che lo capisco. Dove vuoi andare?-
-Mi fai anche decidere? Che galantuomo.-
-Perché, avresti accettato di non essere interpellata?-
-Per niente.-
Julia si stiracchiò.
-Peró... eres el príncipe azzurro.- lo stuzzicò la spagnola fingendo di guardare i grattacieli stratosferici della capitale.
Le insegne luminose dei locali notturni brillavano come accecanti costellazioni.
Yuriy alzò gli occhi al cielo.
-Decido io.-
-Sushi.- Julia si voltó. -Siamo a Tokyo, in Giappone, approfittiamone. Te gusta il Sushi vero? Dime que che te gusta, me vuelva loco.-
Yuriy osservò una macchina nello specchietto retrovisore.
-Chiama Takao, fatti consigliare qualche ristorante di Sushi.-
-Takao? Estas seguro? Mangia qualsiasi cosa abbia vagamente l'aria commestibile. Provo con Kai.-
-Kai non avrà mai provato un ristorante per noi comuni mortali in tutta la sua vita, ha uno status da raffinato ricco ereditiere da mantenere. Prova con Max.-
-Max, quello che mette la maionese sulla pasta al sugo.-
-...Giusto.-
-Rei.-
Il russo annuì.
-Rei.-
-Anche se non è giapponese è stato qui tantissime volte, sa cucinare, ha praticamente ingoiato una guida culinaria ed è pure caliente. Bueno.- La madrilena batté le mani soddisfatta e sfoderò il cellulare come un'arma.
-Non so, Mao si deve preoccupare? Sembra che tu debba chiedergli altro, non un locale.-
Julia fece una smorfia.
-Mucho caliente. Non l'acqua congelata in stalattiti dopo un giorno di pioggia a zero gradi.- ribattè lei, cercando il numero di Rei in rubrica.
Yuriy accennò un sorriso.
-Sí, Sì... Sì... Ah! Dovremmo esserci. Tra poco... Strada laterale... Gira... GIRA! Escusame, a destra. Dovrebbe... ecco. Sì, Nabu Tokyo . Graciaaas Rei, muchas besos.-
Chiuse la comunicazione e abbottonò la giacca bordeaux.
-É questo.-
-L'avevo capito.- Yuriy scese dalla macchina.
Julia gli fece una linguaccia alle spalle e lo seguì nel ristorante.
Si sedettero a un tavolo e Julia si massaggiò le mani protette dai guanti tagliati a metà dito.
-Fa freddo in questa città a gennaio.-
-Stai parlando con uno che ha le Converse a gennaio.-
Julia sbirciò sotto al tavolo.
-Ma sei pazzo?!-
-Sono russo.-
Julia si sforzò di trovare qualcosa da rispondergli, poi si arrese giocando con una bacchetta.
Si guardò attorno sfilando il soprabito e i guanti.
L'ambiente era confortevole, investito di una calda luce gialla che si specchiava sui tavoli in legno. Il lieve aroma di pera e cannella aleggiava nell'aria e i separé di carta di riso recavano classiche raffigurazioni orientali di leggende in cui i draghi vincevano sempre.
Una cameriera dai capelli colorati di un biondo platino legati in tante piccole trecce si avvicinò con i menù e un sorriso di circostanza sulle labbra.
Quando vide Yuriy poggiato allo schienale di una sedia nel suo locale il suo sorriso divenne improvvisamente sincero.
Julia rispose cortesemente alle sue domande e chiese una birra, indicandola a caso sul menù.
-Chi sa come sono le birre giapponesi..-
Yuriy né ordinò un'altra e sfogliarono per due minuti i menù in silenzio, fino a quando il russo non avvertì una presenza addosso.
Alzò lo sguardo dai nomi delle pietanze.
Julia lo stava spudoratamente fissando.
-Ora Boris avrebbe esordito con una roba simile a: "Sai che io non sono sul menù, vero?"-
La madrilena sbarrò gli occhi e sotterrò la bocca nel fazzoletto per impedire alla sua risata di evadere.
-Lo imiti... in una... mani-maniera pazzesca!- Tossì e scosse i lunghi capelli ondulati.
-E in ogni caso no, non mi interessi tu Ivanov, ma i tuoi orecchini- Indicò la cartilagine dell'orecchio sinistro. -Non ricordo di averteli mai visti.-
-Perché non esistevano, fino a ieri.-
Julia si portò il boccale di birra alle labbra mentre la stessa cameriera di prima ci metteva ottocento anni in più per poggiare l'altra davanti a Yuriy.
-Noia, Boris, vodka. Devo aggiungere altro?-
Julia sorrise scuotendo la testa.
-Ti ricordi almeno di averli fatti?-
-Macché, stamattina mi sono svegliato con questi cosi all'orecchio. Volevo ucciderlo.-
-Non ricordi nulla?-
-Ricordo vagamente di averli fatti a Boris e lui, Kai, Ivan e Sergej devono averne fatto uno a testa a me.-
Yuriy si toccò il lobo dell'orecchio.
-Il disco nero è sicuramente di Kai, l'anello argentato di Boris, l'anello più piccolo con la pistola pendente di Ivan e la fascia più sopra Sergej, ci scommetto.-
-Da soli? Li avete fatti da soli? Anche Sergej?-
-Non riesce davvero a restare fuori dal divertimento.- rispose Yuriy con un ghigno.
-Ma non potevate barcollare fino a uno studio per piercing?-
-E il divertimento dove sarebbe stato?-
Julia scosse la testa e chiamò un cameriere per ordinare.
-Voglio esto, esto, esto y…esto. Ah, y esto, gracias.- sorrise amabilmente, poi guardò un'ultima volta gli orecchini del russo, evidenti grazie alla coda in cui lui aveva legato i capelli.
-Ti sei fatto male?-
-Figurati, per quattro buchi, che vuoi che siano.-
Julia aspettò che la cameriera carina posasse i piatti sul tavolo e girasse i tacchi prima di ricominciare a parlare.
-Ah, tu non mi dovevi una scommessa?-
Yuriy prese la forchetta.
-Cosa volevi sapere?-
-Come ti sei procurato la cicatrice lunga sulla clavicola.-
Se l'inverno fosse stato una persona Julia avrebbe giurato che si fosse appena seduto al loro tavolo.
Esattamente tra di loro.
Yuriy era capace di trasformare l'atmosfera attorno a loro con la sola posizione del corpo (rigida), con il solo cambiare della luce negli occhi, ora guardinghi.
La madrilena attese in silenzio, decisa a dargli tutto il tempo, ma anche ad andare fino in fondo.
-Vorkov ci faceva combattere quasi tutti i giorni, ma c'era una volta all’anno in particolare in cui era fondamentale vincere.-
Julia continuò a guardarlo mentre prendeva le bacchette e si serviva di Teramaki e roll di riso, salmone, curcuma e menta.
-Ci faceva lottare a coppie, in tre o quattro per valutare chi fosse abbastanza forte da meritare ancora le sue “attenzioni” e chi no.- Bevve un sorso di birra. -Non c'erano regole, pause, pietà, non c'era niente fino a quando non ne rimaneva solo uno in piedi.-
-E chi perdeva?-
-Moriva.-
Julia si bloccò con le bacchette a mezz'aria.
Non sapeva se fu l'impossibilità con cui lo disse, l'assoluta neutralità del suo volto o il concetto in sé.
Come se stesse parlando del tempo.
Come se avesse vissuto a fianco della morte per così tanti anni da non fargli più nessun effetto.
Quasi ci avesse fatto l'amore, con la morte.
-... Como...?-  deglutì. –Come moriva?-
-Colpo di pistola se eri veramente fortunato. Di fame e sete se lo eri così e così. Dissanguamento se non lo eri.-
Yuriy si distrasse un attimo a osservare un giovane thailandese che mostrava un anello nuovo di zecca alla sua fidanzata. Quella si portò le mani sulla bocca, gli occhi lucidi di felicità.
Anche questo non gli faceva effetto.
-Io non ho perso mai, per questo sono qui.- Bagnò un Futomaki nella salsa di soia.
-Una delle ultime volte mi scontrai con il fratello maggiore di Sergej. Si portò dietro il vetro di una bottiglia rotta e mi sfregiò la clavicola in perpendicolare fino al collo. Andò in profonditá, ricordo che i medici dopo dissero che se fosse andato solo un paio di millimetri più su avrebbe tagliato la carotide. Persi più sangue di quello che avevo in corpo ma rifiutai di arrendermi, e il combattimento non poteva finire. Mi accasciai al suolo. Non ricordo neanche il dolore, solo le vertigini e l'odore di ferro ovunque... ovunque.- Yuriy si poggiò allo schienale della sedia, passandosi le nocche sulle labbra.
Poteva sentirlo anche adesso l'odore del sangue, come cascate.
Poteva vederne il colore come tende cremisi dietro le palpebre.
-Mi venne addosso e sentì come se mi avessero aperto in due il petto. Ero certo che quelli fossero i miei ultimi respiri e li usai. Li usai male.- La mano sul tavolo ebbe uno spasmo.
-Malissimo.-
Julia l'ascoltava immobile. Non era sicura di poter ascoltare ancora, ma sapeva di non poter smettere.
-Lui allungò un braccio per infilare le dita nella ferita e io usai l’attimo in cui il suo avambraccio si trovò vicino alla mia faccia per morderlo. La bocca era l’unica cosa che riuscivo a muovere. Lo morsi con tutta la forza che mi rimaneva, con la sensazione che la spalla e il collo mi si staccassero dal corpo. Riuscì a beccare una sua vecchia ferita mai completamente guarita.-
Yuriy si guardava le dita delle mani con insistenza.
-Il morso di un lupo. Lo morsi nello stesso punto in cui l’animale l’aveva morso anni prima. Lui allentò la presa delle dita sul coccio di vetro e io glielo piantai in mezzo agli occhi.-
Tutta la difficoltà nel parlare era svanita.
Tornò a guardarla, neutrale come un robot.
Sguardo assente, voce controllata, alti e bassi nei punti giusti, preciso, conciso e veloce.
Ma la mano, impercettibilmente, continuava a tremare.
-Il fratello di... e Sergej ti è rimasto accanto lo stesso?-
-O io o lui. O io o loro. O io o la morte. E Vorkov non mi avrebbe mai graziato con una pallottola nel cranio, sarei stata la sua più grande delusione.- Per la prima volta dopo quelli che sembrarono secoli si fece guardare negli occhi.
-Invece sarò il suo più grande errore.-
Julia non si era resa conto di aver contratto le gambe per tutto il racconto. Le sciolse lentamente.
L'unica cosa che non riusciva a sciogliere era la durezza dei suoi occhi.
Vedeva riflesso in esso la bottiglia rotta, gli anni di buio, la sofferenza e la solitudine. Il dolore. Un immenso dolore. I suoi occhi erano come gallerie infinite, asfissianti a tratti, che si richiudevano su loro stesse e su di te, se cercavi di attraversarle.
Ma anche la rabbia, l'odio, la violenza.
Bellissimi e inumani.
Bellissimi e insopportabili.
Non era giusto.
Non era giusto per due occhi così riflettere il buio, e non la luce.
Julia gli strinse di slancio la mano con la sua.
Yuriy sobbalzò.
Una torcia si aprì improvvisamente in quelle gallerie oscure.
Flebile come una candela, ma vera.
Calore vero.
Il ragazzo aggrottò appena le sopracciglia.
-Non è colpa tua se sei bravo a sopravvivere, Yuriy. Non è colpa tua se non volevi morire, non sei stato tu ad aver scelto tutto questo. Sei stato gettato nel bel mezzo del gioco e hai dovuto giocare meglio di chiunque altro.-
Julia non si rese conto di cosa aveva fatto, ma chiunque avesse conosciuto Yuriy avrebbe capito che non era estate da molto, moltissimo tempo nell'anima del russo e che, quella sera, per la prima volta dopo anni, la tempesta si attenuò.
-Avrei potuto decidere. Avrei dovuto decidere di morire.- disse tagliente.
-E adesso magari non ci sarebbe nessuno a tentare di fermarlo.-
-Chi se ne frega se ho fatto il suo gioco per anni.-
-Hai imparato così bene le regole del suo gioco tanto da poterle usarle contro di lui.- Julia gli strinsi di più la mano con la sua per farsi guardare.
-Tu vuoi fermare questa ruota, vuoi impedire che altre persone debbano subire ciò che hai subito tu. Eri solo un bambino che ha dovuto sopravvivere all'inferno, e ci sei riuscito, sei qui, sulle tue gambe. Ti sembra poco?-
Yuriy si concesse di sentire il calore di quel contatto nato dall'impulso per due secondi. Non appena iniziò a goderselo ritirò bruscamente la mano.
Julia sospirò mettendosi dritta.
Fece schioccare il collo, avvertendo una fitta alla spalla per la tensione.
-Comunque... es una vergogna che tu sappia costruire una bomba a mano ad occhi chiusi e non mangiare con le bacchette.-
Il russo respirò pesantemente spalmando la schiena contro la sedia. Poggiò il mento sulla mano e la guardò.
Un'estremità delle labbra si sollevò in un sorriso.
-Vie' qua, te enseño.-
Julia gli ficcò le bacchette in mano e prese le sue.
-Non si può mangiare il Sushi senza bacchette, neanche la cameriera carina ti guarderebbe più se ti vedesse infilzare il salmón. Segui i miei passi.-
Yuriy inarcò un sopracciglio, ma il sangue aveva ripreso a circolargli nel corpo.
-Metti quella superiore aquí... poggiata al medio e al pollice. Non deve muoversi! Mi raccomando. La bacchetta di sotto fa todo. Sono come gli uomini e le donne. Voi fate il minimo sforzo in todo tranne nel rompere le scatole, e noi facciamo tutto, rompere le scatole compreso. E lo facciamo meglio. Mi segui?-
Yuriy la imitò, tenendo le bacchette come lei, che barcollavano pericolosamente.
-Ora, abbassa... muovi la donna... stringi, sollevi, en la boca, oplá! Abbassi, muovi la donna, stringi, sollevi, intingi nella salsa di soia, en la boca, oplá! Entendiste todo?-
Yuriy sbatté le palpebre un paio di volte, cercò in tutti i modi di afferrare qualcosa ma le bacchette s'incrociavano fra di loro e distruggevano il riso.
-Mi sento impedito. No... è una questione di principio.-
Aggiustò le bacchette con l'altra mano.
Ci riprovò e riprovò ancora, ma al settimo tentativo “l’uomo” quasi non gli volò nella toilette dall’altra parte della sala, mentre Julia se la rideva sotto ai baffi.
-Cambio mano. Aspetta. Sono ambidestro, non impazzito. Ecco... ecco. Ho vinto. No cazzo! L'ho buttato nella salsa di soia, sta affogando! Che cosa ridi, aiutami. Ho appena ucciso un Nigiri e tu ridi.-
-La tua faccia è troppo... hahahahahahahahahahahahahaha... non ci credo che sei così impedito.-
-Dici a me? Non stai parlando con il tuo amico Takao.-
-Ah Takao è giapponese DOC e ti assicuro che le bacchette le sa usare e molto bene anche. Aspetta.-
La madrilena si alzò e gli andò alle spalle, piegandosi fino ad avere le labbra all'altezza del suo orecchio.
Non si rese conto di essersi avvicinata tanto fino a quando non parlò.
-También.-
Posò le mani sulle sue, aggiustando la presa e facendo pressione nel modo giusto.
Yuriy sollevò un Gunkan con le mani di Julia ancora sulle sue e lo avvicinò alle labbra della ragazza, seguendolo con gli occhi.
Julia gli diede un morso, lentamente.
Abbastanza lentamente perché Yuriy non si perdesse neanche un solo movimento delle labbra rosse.
Come si arricciarono, come i solchi color fuoco parvero mappe per un altro destino.
L'odore di Julia era quello della Vigilia di Natale nelle case delle famiglie felici, quando i biscotti di pan di zenzero uscivano dal forno e i colori della carta regalo parevano luccicare.
I momenti che Yuriy aveva sempre osservato dall’esterno, nella neve, attraverso il vetro di una spessa finestra.
Si alzò, facendo un passo indietro.
-Ho voglia di Doraiaki. Vieni.-
Uscirono nella notte affollata, Julia coperta fin quasi a metà viso dalla spessa sciarpa color crema, Yuriy con le converse bianche che si preparavano a staccarsi dal suolo.
-Pronta?-
-Para que?-
-Per attraversare.-
Julia non ebbe tempo di fargli notare che la strada era larga, trafficata, bombardata di clacson e taxi, che erano a Tokyo, capitale del Giappone, nella notte brava di un venerdì gennaio movimentato, che il russo era già volato sull'asfalto tirandola con sé.
Zigzagarono a velocità folle tra le auto, alcune inchiodarono bruscamente, qualcuno li mandò al diavolo in un giapponese furioso.
Yuriy si fermò di botto e Julia gli sbatté contro, col fiato corto e le guance arrossate.
-TU ESTAS LOCO!-
Yuriy incrociò le braccia con un ghigno venato di strafottenza pura.
-Ti scaldi tanto per una corsetta? E io che ti facevo una tipina coraggiosa.-
Il russo era certo che il toro della corrida di Madrid avesse le stesse sembianze della ragazza davanti a lei in quel momento.
-Uno, io sono calda di mio; dos, "tipina" lo dici a qualcun'altra e tres, sono così coraggiosa da prenderti a schiaffi in faccia di nuovo!-
-C'è stata una prima volta?-
La beffarda calma del moscovita la irritò ancora di più.
-Sí! Non fare finta che non sia successo solo para salvarti la faccia. A Mosca, nella Piazza Rossa!-
-Aaah... Ma quello non era uno schiaffo, era appena appena la carezza di una bambina di cinque anni.-
-Ma se ti ho fatto girare la cabeza cuatro volte.-
-Sí eh? Allora riprovaci. Dopo mesi di allenamento corpo a corpo sarai bravissima.-
-Questa volta te la faccio girare anche cinco volte IVA- si spiaccicò una mano sulla bocca, zittendosi di botto.
-Ringrazia che ho voglia di zuccheri querida.- Sollevò il mento in una mossa che pareva appena uscita dal manuale d'istruzioni "Come diventare Kai Hiwatari in 10 iconiche pose".
-Ma guarda tu questo... che antipatico de mierda.- mormorò tra sé e sé raggiungendolo. -In ogni caso io e Hilary l’altra volta siamo state in un posto dove vendono el mejor Doraiaki del sud di Tokyo, però li fanno solo d'asporto. Se ti vanno dovremo mangiarli in macchina, fa troppo freddo fuori.-
-La macchina è di Kai.-
-...e lo zucchero appiccica.-
-e il cioccolato macchia...-
-...e la macchina è nuova...-
Si guardarono nello stesso istante e due secondi dopo erano in macchina, Julia inseriva il nome del piccolo bar sul Google Maps del suo cellulare e Yuriy metteva in moto.
-Se ci cade qualcosa possiamo scavarci la tomba da soli.- commentò la spagnola, senza riuscire a nascondere l’ironia nella voce.
-Noi in quel caso negheremo fino alla morte.-
Quando giunsero a destinazione Julia insistette per comprarli, visto he Yuriy aveva pagato la cena.
Cinque minuti ed era già appollaiata sul sedile, con un vassoio di cartone in grembo pieno zeppo di piccoli dischi color miele al profumo di vaniglia e cioccolato.
-Questi sono i classici al cioccolato, questi allo sciroppo d'acero, questi al pistacchio e questi al cioccolato bianco.-
Si erano fermati con la Jacksonville nel parcheggio di un grande cinema, ora quasi interamente deserto.
Le macchine scorrevano veloci sulla strada dietro di loro, finalmente libere dall'ingorgo del centro città.
Nel silenzio il rumore delle auto in corsa spargeva nell'aria polvere di euforica malinconia.
Yuriy ne prese uno classico, Julia sollevò delicatamente quello al pistacchio.
La superficie morbida della pasta era gonfia di ripieno.
-Okay... uno, dos, tres... vámonos.-
Diedero entrambi un morso.
-Mierda! Mi sta cadendo!- Julia si leccò forsennatamente le labbra fermando con la mano un grosso rivolo di crema verde in caduta libera.
Yuriy bofonchiò qualcosa mentre sollevava il Doraiaki in modo che la piccola cascata di cioccolato centrasse la sua bocca.
-Mmmh... son muy buenos. Vale la pena rischiare l'ira di Kai.-
Uno dopo l'altro, giunsero agli ultimi due superstiti senza problemi.
Ne era rimasto uno allo sciroppo d'acero e uno al cioccolato bianco.
-Tu quale vuoi?- chiese Julia. -Per me è uguale.-
Yuriy prese quello allo sciroppo, Julia sollevò l'altro e leccò lo zucchero a velo prima di dargli un morso.
Il russo si guardò attorno.
-Non posso crederci che non abbiamo sporcato nul...- il cioccolato bianco parve cadere a rallentatore. -JULIA!-
La ragazza sobbalzò, mulinò le braccia, perse la prea sul Doraiaki che, con la velocità di una bomba nucleare, si andò a spiccicare sul finestrino dietro di lei.
Yuriy si bloccò.
Julia perse un battito.
-Quanto grave es...?-
La ragazza si voltò.
Yuriy fece schioccare le dita, senza distogliere lo sguardo.
Pareva l'opera d'arte di un Picasso ubriaco, sotto anfetamine, infuriato perché la fidanzata lo aveva appena mollato per un venditore di banane alle Hawaii.
Il disegno di un disco di pasta tondeggiante con il segno di un morso sul lato destro e una schiera di raggi al cioccolato bianco intorno.
-Pensa, se qualcuno lo vedesse da fuori crederà che...- Julia si morse l'interno della guancia per sedare l’eruzione di risa che le stava nascendo nel petto..
-Pensa se Kai lo vedesse da fuori.-
Yuriy mise in moto, Julia preparò la fotocamera del suo cellulare.
-Facciamoglielo vedere.-
I due si guardarono e scoppiarono a ridere come se non ci fosse stato un domani.
E Yuriy non era certo che il domani ci fosse davvero, ma in fondo, per quella sera, non gli importava.

 
 

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Capitolo 8
*** Festa o Tempesta ***


Innanzitutto grazie per la pazienza, siamo giunti al cap. 7 e le meravigliose recensioni, sapere che siete ancora siete qui a sostenere questa storia, nonostante non possa garantirvi un lasso di tempo ben definito tra una pubblicazione e l'altra, mi riempie di gratitudine. 
Altri due capitoli circa sono pronti (se non contiamo la rilettura e la mia pessima organizzazione del mio tempo), dunque spero di non farvi aspettare enormemente.
Detto ciò, mi auguro che questo settimo tassello vi piaccia e che continuiate a seguirmi, dal prossimo si entra nel vivo dell'azione.
Pachiderma Anarchico

P.S.: grazie ad ogni singolo lettore.

 



This is my kingdome come.



 

7. 

Festa o Tempesta.







Yuriy si massaggiò le tempie doloranti.
Era rimasto sveglio fino a tardi a vagare nel maniero, insonne, mentre ogni sussurro sembrava avesse la
consistenza del passato, e in ogni angolo si aspettava che la Memore prendesse le sembianze delle ombre per riempirgli la testa di quei vaghi arcani. 
Ad un certo punto della notte si era ritrovato in un supermarket aperto 24h su 24h a comprare Vodka da uno scaffale impolverato. 
Il cassiere dalle palpebre pesanti e l'aria annoiata aveva raggiunto l'apice del disappunto quando Kai voleva pagare quattro bottiglie di Vodka con la carta di credito. 
Se n'erano usciti con l'alcol tra le mani e la voglia di dimenticare il mondo. 
-Quindi il fratello di Takao è ancora dalla loro?-
-Non me lo ricordare- aveva risposto Kai. -Per Takao è una ferita mai rimarginata.-
-E per quanto riguarda ciò che ha detto quell'invasata? delle dinastie e tutto il resto?-
Kai si fermò in un vicolo deserto, poggiando la schiena al muro.
-Se ti riferisci a me e Garland non me ne fotte un cazzo. Il mio pro pro pro zio o che so io è riuscito a scindere il potere dei Siebald, prendendo il fuoco.-
-Rubando il fuoco.- Il sorriso provocatorio di Yuriy era una fila di denti bianchi nel buio.
-Prendendo il fuoco... ma non ho intenzione di ridarglielo adesso.-
-Quindi lui ce l'ha più con te che con me. Che consolazione-commentò Yuriy aprendo una bottiglia.
-Quindi questa sete di potere che si ritrova è meglio che la soddisfi con altro. È comunque più forte di me, la luce
è tutto, il fuoco solo una parte. Non può competere.- 
Yuriy deve schioccare le labbra. 
Il lampone della Vodka gli danzava sulla lingua. 
-Non puoi competere tu con lui o lui con te?- Il rosso si passò una mano tra i capelli sciolti. -Da come lo dici non
si capisce bene sai. E il Kai che ricordo non avrebbe ammesso una roba del genere neanche sotto tortura.- 
-Il Kai che ricordi avrebbe mandato tutto a puttane dopo cinque minuti, se ne sarebbe altamente sbattuto delle conseguenze e fatto ciò che più gli garbava. Il Kai di ora è un vecchio rimbambito che pensa a consolare gli amici e a farsi pippe mentali prima di fare qualsiasi cosa.-
Yuriy fischiò. -Sei messo male.- 
Kai fece un eloquente gesto con le sopracciglia e si scolò metà bottiglia. 
-Peró ti ricordi come si beve, punto per te. Dunque, fammelo segnare sul calendario, hai detto davvero che Garland è più forte di te?- 
-Io ho detto che la luce è più forte del fuoco, non ho mai detto nulla di me e Garland.-
Il moscovita scosse la testa con un ghigno e spaccò una delle bottiglie contro il muro. 
Yuriy sentiva che i cerchi scuri attorno agli occhi che solitamente banchettavano sulla sua pelle quella notte
rischiavano di mangiarseli totalmente, come buchi neri.
Fece per raccogliere i capelli, poi ricordò che aveva lasciato l'elastico nella stanza di Boris, e se lo sarebbe andato a riprendere se non avesse trovato Ivan sveglio nella stanza che condivideva con lui, in un contesto tanto assurdo da fargli dimenticare qualsiasi cosa stesse pensando di fare.
Sì, perché la serata non era finita con Kai e la Vodka, ma aveva trovato un innaturale svolgimento quando aveva aperto la porta della sua camera, trovando Ivan seduto sul letto a discutere con Kappa di congegni elettronici, haker, tecnologia e segreti informatici. 
Yuriy non manifestò tutto lo sbigottimento del caso, si limitò a sbattere le palpebre un paio di volte per poi chiudersi la porta alle spalle e prendere una maglia dalla poltrona antica accanto al letto. 
-Oh. Io-io sto andando via.- 
-No... puoi restare, credo- diede un'occhiata a Ivan che gli fece "OK" con i pollici. 
Non lo vedeva così sveglio da quando avevano fatto saltare le rotaie di una stazione abbandonata in Siberia. 
Lunga storia. 
-Metto la sveglia.- 
Non era una domanda, anche se mentre sbadigliava con una mano spalmata sul viso e Ivan confabulava di codici criptati con un Kappa che sembrava essersi improvvisamente dimenticato tutta la soggezione che soffriva non appena aveva nel raggio di tre chilometri uno dei russi, ebbe seri dubbi che sarebbero riusciti a svegliarsi ad un orario decente. 
Yuriy prese i vestiti per la notte -una maglietta nera a mezze maniche e un pantalone di tuta grigio- e andò nel bagno del corridoio a cambiarsi. 
Quello stesso riflesso stanco, il mattino seguente, gli suggerì di darsi una rinfrescata. 
Si sciacquó il viso per la seconda volta e decretó che le undici erano un orario più che decente buttare Boris giù dal letto. 
Ivan continuava a ronfare nel letto coperto fin sopra ai capelli, ma Ivan non aveva il suo elastico. 
Il russo uscì dal bagno e proprio allora Sergej spalancò la porta della stanza, con l'aria di chi sta sfuggendo dalla peste nera.
-Ser.- 
-No, guarda, fai tu- e lo lasciò lì, a chiedersi se non fosse il caso di organizzare una gita dallo psichiatra. 
Entrò nella stanza senza bussare, trovando un involucro di coperte semoventi e il letto che ballava il tango. 
Sbatté la porta. 
La testa di Boris emerse dalle lenzuola come una suricata dal terreno. 
-Oh Yu, ciao!- 
-Che c'è?- 
Una seconda testa dai capelli nero-blu scarmigliati emerse accanto alla prima.
-Aia aia aia, il rosso. Vuoi unirti a noi?- 
-Ma che dici? Io sto girando come una giostra dalle dieci di ieri sera, lui è fresco fresco di giornata e siamo in squilibrio.- Boris la guardò come se una possibilità del genere non si mettesse neanche in discussione.
-Che vai dicendo? Sei un toro impazzito, non ti fermi più.- 
-Hai capito Yu?- Boris lo guardó con un sorriso malizioso e le sopracciglia eloquentemente sollevate. 
-Sono un toro impazzito.- 
-Che sei impazzito l'avevo capito anche io- rispose Yuriy avanzando nella stanza come se niente fosse e accomodandosi sulla scrivania.
Il letto a baldacchino era di fattura orientale e le coperte porpora ricordavano lo stemma degli Hiwatari. 
-Oh cazzo, ma è la Vigilia di Natale!- Mariam si spalmó un cuscino sulla faccia con uno sbuffo. 
-Oh no, oh no! Ma i giapponesi festeggiano il Natale?! Ditemi di no vi prego.- Boris si guardò attorno allarmato, aspettandosi di trovarsi Max e Takao nell'armadio, pronti a trascinarlo con loro per le decorazioni natalizie. 
-No, ma Hilary e Mao blateravano qualcosa a proposito di festeggiare perché siamo tutti insieme e alcuni lo festeggiano e "sarebbe carino" e... ammazzatemi.-
-Oh cazzo.- Boris si schiaffò una mano sulla fronte. -Non li reggo durante le feste. Aspetta Yu, noi abbiamo mai festeggiato il Natale?- 
Yuriy alzò le spalle. 
-Se per festeggiare intendi bere Vodka, fumare canne e rubare preservativi sì, abbiamo festeggiato.- 
Mariam spalancò gli occhi, improvvisamente interessata. 
-Rubavate preservativi?-
-Ehi, abbiamo rubato di tutto, almeno i preservativi servivano a qualcosa. Non avrei mica voluto trovarmi incastrato a vita con  qualche marmocchio con il mio temperamento e una madre incazzata.
E poi io non vedo questo stronzo da sei anni- continuò, puntando l'indice accusatore contro il rosso appollaiato sulla scrivania con le gambe incrociate, una cartina piena di tabacco su una coscia e l'accendino sull'altra.
-Succhiamelo Bo.- 
-Uuuuh, e che è questa volgare eloquentia? Cosa ne penserá Julia?-  
-Cosa c'entra la spagnola adesso?- chiese Yuriy con disinteresse, continuando ad arrotolare la sua sigaretta. 
-Dimmelo tu. Come cazzo hai fatto a perdere la scommessa? Volevo assaggiarla. Okay, probabilmente poi mi avrebbe tirato un calcio, ma almeno le avrei strappato un bacio.- 
-Ha fatto una cosa che non mi aspettavo. Sono fuori allenamento anche io.- 
-Cazzate. Sei sfuggito a tre scagnozzi di Vorkov da solo, hai messo K.O. quattro coglioni dei sottoborghi e una pollastrella inesperta dai grandi occhi verdi e il fisico di una ballerina di Cha cha cha "ha fatto qualcosa che non ti aspettavi"?-
-E' davvero una ballerina di latino-americano.-
-Sei comunque un bugiardo pessimo.- 
-Ho mentito a Vorkov per la bellezza di dieci anni per pararti il culo quando sgattaiolavi fuori dal monastero di notte, ingrato pezzo di merda.- 
Yuriy afferró il cuscino che era sulla sedia accanto alla scrivania e glielo scaraventò in faccia.
-E infatti è strano che sia ancora vivo.-
La risata strafottente di Boris venne attutita dal colpo. 
-Nego tu... cazzo piccola, quanto lecchi.- 
Mariam lasció una scia di baci umidi per tutto il collo del russo fino all'orecchio. 
-Ti da fastidio?- sussurrò, sinuosa come una serpe in una cesta di vimini. 
-A me?- Boris sorrise, un lampo negli occhi verdi. -Macchè.- 
Una delle mani affusolate della ragazza si insinuò sotto le coperte.
-Mariam, giusto?- Yuriy le lanciò un'occhiata fugace.  -Ecco Mariam, temo che mio fratello debba proprio alza..- 
-Portate quei quattro neuroni in croce che avete fuori da questa stanza e venite a sorbirvi i calcoli di Hilary sulla perfetta inclinazione di una ghirlanda di agrifoglio! Se sentirò un'altra parola a riguardo diventerò matto...- borbottó un Kai irritato e stremato attraverso il legno della porta, allontanandosi con la stessa stizza con cui era comparso. 
-Appunto.- Yuriy accese la sigaretta, fermandola tra le labbra. 
-Ma perché Kai non si fa una dose di Valium?! Che vuoi che stia succedendo, al massimo Ivan si sarà attaccato al lampadario, Max avrà fatto scoppiare il forno, Reistarò facendo il funerale alla ciotola di perfetta insalata che Daichi e Takao avranno fatto cadere lanciandosi cicchi di melograno.-
Mariam si fermò di baciarlo a un passo dal capezzolo destro. 
-Certo che ne avete di problemi.- 
-Io Yuriy ne abbiamo da vendere, tutti di ottima qualità. Un po' usurati dal tempo, ma ancora funzionanti.- 
Marian gli morse il capezzolo come uno squalo fa con la sua preda, ottenendo da Boris un grido sospeso. 
-Che femminuccia.-
-Femminuccia a chi?- Il russo flesse i bicipiti, si issó su di lei e la bloccó col suo corpo muscoloso. 
-No, no, no! Dobbiamo andare, ricordi? O Kai verrá a farti un servizietto.- 
-Non voglio servizietti da Hiwatari- ribatté Boris, imbronciato. Poi sorrise di botto, facendole l'occhiolino mentre lei sgusciava fuori dal letto. -Peró quello che mi hai fatto tu stanotte...- 
Yuriy sfilò la sigaretta dalla bocca. 
Lui e Boris fischiarono nello stesso momento. 
-Che deficienti stratosferici.-
La ragazza si piegò per prendere i vestiti da terra, donando ai due russi una visione in 3D del suo fondoschiena bianco e perfetto. 
-Capisci?- mugolò Boris a mezza voce, incapace di distogliere lo sguardo. 
-Beh.- Yuriy alzò le spalle e tornò a fumare, inclinando all'indietro il corpo e poggiando il peso sulle mani.
-Che cos'è quel suono? "Beh"- gli fece il verso Mariam. 
Si infiló il reggiseno e fece qualche passo avanti con indolenza, le curve del corpo che la seguivano come tende di luce lunare sulla pelle liscia. 
-Pensi di essere tanto intoccabile Ivanov?- 
Yuriy sollevò lentamente lo sguardo sul suo volto. 
-Lo stai dicendo tu.- 
Mariam accennò un sorriso e gli sfiló la sigaretta dalla bocca. Fece un tiro.
-Hai un buon sapore.- 
Si sfiló dal polso un elastico nero e si avvicinò tanto da baciarlo. 
Yuriy la lasciò fare, schiudendo le labbra quel poco che bastava per sentire sulla lingua di Mariam la menta delle chewing gum di Boris.
La ragazza gli leccò lentamente il labbro inferiore, tracciandone il contorno con la punta della lingua. Le sue mani chiare finirono nei capelli del moscovita, tirandoli indietro e fermandoli in un piccolo codino. 
La porta si aprì con un tonfo.
-Venite o no? Ma... che state facendo? Non potevate dirmelo?- Sergej scosse la testa. 
-Sì, così avresti fatto il padre di famiglia e ci avresti rimproverato.- 
Boris cercó tra le lenzuola qualcosa da lanciargli. 
-Signorina, l'hanno importunata?- porse la mano a Marian, la quale si gettò addosso la maglietta e la afferrò ridendo, con le gambe ancora nude. 
-Sergej ma... come parli?- Boris allargò le braccia. 
-Come un galantuomo. Yu smetti di fumare in casa, se Kai ti scopre non lo spegni più. E togli i piedi dal tavolo. Hop hop!- batté le mani e uscì. 
-Yu.- Boris si volse verso il rosso con l'aria di chi avrebbe preferito piantarsi una cannuccia negli occhi.
-Erano adesivi di Natale quelli che ho visto penzolare dai suoi capelli?- 
 

 

***


 
-IL SALE!- 
-Il sale...- 
-IL PEPE!-
-Il pepe...-
-IL CORIANDOLO!- 
-Il coriandolo…-
-IL SAKE'!- 
-Il... che?- Mao si fermò con la mano a mezz'aria.
Rei si voltò versò la ragazza con la delicatezza di una bambola assassina.
Olivier sollevò il mento, compiaciuto di poter dare sfoggio alla sua immensa cultura culinaria. 
-Il Sakè o Sake è una bevanda alcolica tipicamente giapponese ottenuta dalla fermentazione di riso, acqua e del fungo Koji, per questo motivo viene chiamato anche "vino di riso".- 
-Non capisco perché non abbiamo lasciato fare al cuoco di Kai mentre noi ce ne stavamo stravaccati su quei bei divani- esclamò un Gianni particolarmente interessato al fondoschiena di Mao.
-Ma dai Gianni! È bello che ognuno prepari qualcosa del suo paese, è come un collante. In psicologia del gruppo sto studiando che condividere il...- 
-Condivideremo il cibo ma non i tediosi discorsi sul tuo studio, Hilary- sbottó Rei, il quale tentava con ogni fibra del suo essere di non prendere Gianni a testate per come stava palpando con gli occhi la sua ragazza.
Hilary spalancò la bocca.
-Rei non ti riconosco più! Takao, difendi la tua donna o no?-
-Quale donna? Oh, tu? Certo. Però devi ammettere che i tuoi discorsi sulla Psicologia sono una palla al piede Hil.-
-Vi ammazzo. Giuro che vi ammazzo tutti.- 
Rei non l'ascoltava: ogni scusa era buona per sfiorare Mao sul polso, sulla spalla, sul collo, e "Oh, ti è caduto un capello!", e "Aspetta, questa è una ciglia nell'occhio?"
Il cinese aveva sperato che la decisione della ragazza di tornare al suo colore naturale di capelli, una vibrante tonalità castagna, potessero distogliere l'attenzione di Gianni e di una moltitudine di ragazzi prima di lui dall'attraente figura della fidanzata, ma invano.
-Ti è mai passato per la testa- proruppe Kai, posizionatosi alle spalle del cinese come voce della sua coscienza, -che forse i ragazzi s'interessano a Mao perché ha delle forme ragguardevoli, un volto accattivante, un temperamento "dominante", se vogliamo, e non per il colore dei capelli?- 
Rei avrebbe voluto infilarsi uno dei mestoli in gola. 
-Guarda... guarda come gli si avvicina. Me lo sta facendo apposta.-
-Gianni?- 
-Mao!-
-Che hai fatto?-
-Che cosa non ho fatto. Non ho ancora parlato con Lai, e lei ha perso la pazienza.-
Kai prese una fragola dalla scorta di Hilary per preparare una torta e la affogó nel cioccolato fondente con cui Rei stava decorando un altro dessert.
-Fai l'uomo allora.-
-Pensi che sia facile parlare con Lai? della sorella? di me e la sorella? insieme? Conosci Lai, e per di più mi considera un fratello, noi siamo la sua famiglia e crede che anche tra me e lei l'affetto sia solo e soltanto fraterno.-
Kai prese un'altra fragola.
-Non capisco tutti questi problemi del... piffero, Rei. Non è meglio che la sua adorata sorellina minore stia con te che con chiunque altro sulla faccia del pianeta? Onestamente, non esiste nessuno al mondo più affidabile di te.- 
Rei sbatté le palpebre, il cucchiaio intonso di cioccolato vagante nell'aria mentre i suoi occhi d'ambra si fissarono sul nippo-russo.
-....Kai.- 
Quello sollevò le mani. 
-Non è gentilezza, è un dato di fatto.- 
Kai alzò le spalle con noncuranza e si allontanò dal cinese, cercando lo sciroppo al caramello e maledicendo chiunque gli passasse a tiro per l'apocalisse che era scoppiata nella sua splendente cucina al profumo di limone e zenzero prima che farina, macchie di cioccolato, cucchiai imbrattati di paprika e l'odore pungente del curry non avessero distrutto  quell'isola felice e pulita
-Quanti giorni pensi che ci metta il biondino a eruttare lava incandescente di gelosia e testosterone?- 
Yuriy sfilò l'ennesima sigaretta della giornata dal pacchetto di Kai e ne passò una a Ivan, in quel momento impegnato a scandagliare Max con i suoi grandi occhi inquieti.
-Di cosa stai parlando?-
-Ma dell'americano naturalmente- rispose Ivan.
"Naturalmente"? L'unico che Yuriy non riusciva proprio a immaginarsi coinvolto in qualcosa che non fosse la salvaguardia dei pinguini del Polo Nord era quel biondino dal volto angelico e le Converse bianche. 
-Non sta facendo nulla se non accorrere in aiuto di Olivier e del suo Kari Rassu..-
-Karee Raisu, con allungamento della e.- 
-Correggimi un'altra volta francesino e ti ritroverai Karee Raisu scritto in testa con un cacciavite.-
L'intera cobbricola si voltó nello stesso istante, con i coltelli nelle verdure e i nasi macchiati di crema tranne Kai, Boris, Serjei e Ivan, abituati a ben altro.
Yuriy alzò le spalle. 
-Era solo un'ipotesi.-
Nel frattempo Kai si era scocciato di aspettare e aveva strappato un costoso champagne cercando di fare sbronzare Takao, al terzo bicchiere; Boris intratteneva Mariam con le sue discutibili opinioni su chi rifiutava di mangiare la carne (lei era vegetariana) e Serjei scuoteva la testa ogni due minuti d'orologio, l'unico dei russi che effettivamente sapeva cucinare una pietanza più complessa dei noodles cinesi già conditi (Boris), del caffè (Yuriy) e del petto di pollo arrostito (Ivan). 
Con in mano un coltello accettava carne di manzo come se non avesse fatto altro per tutta la vita, facendosi assistere da un Daichi quanto mai inutile per la situazione. 
-Di nuovo, cosa stai preparando?-
-Il manzo allo Stroganoff, un piatto russo, Yuriy potresti essere più delicato la prossima volta che minacci qualcuno?-
-Ma chi lui?- sbuffò Daichi.
-Ma chi, io?- gli fece eco Yuriy. 
-Olivier sta solo cercando di cucinare in questo pandemonio, perché tu e i tuoi compari non fate qualcosa?- 
-I compari saremmo noi?- Boris roteó gli occhi, scettico. 
-Perché parla così?- mormorò Hilary.
-Perché è diventato un signorino per bene, vero Serjei?- Con un ghigno Yuriy buttó l'ultimo residuo di sigaretta fuori dalla finestra, la chiuse e si avvicinó al tavolo. 
-D'accordo.- 
Prese un coltello, ne porse un altro a Boris. 
Le lame da carne parevano infinitamente minacciose tra le loro mani, e scintillavano come un nero presagio. 
-Allora- i due russi si avvicinarono a Olivier, intento a infilare una teglia di bocconcini ripieni nel forno, -cosa facciamo, Chef?- 
Quando Olivier si sollevò, il suo viso impallidì come se avesse visto il Triste Mietitore e la sua fedele spalla. 
Boris passava i polpastrelli sulla lama con nonchalance e Yuriy se lo rigirava tra le mani come un giocattolo. 
-Ehm... ehm... potete... potete...- e sospirò, accartocciandosi su se stesso come un pacchetto di patatine vuoto, -..potete allontanarvi, s' il vous plaît!-
-E finitela!- Sergej si mise in mezzo, con il sottofondo dei loro schiamazzi divertiti alle spalle. 
-Oh santa madre Vodka... non ci posso credere...- Boris si asciugò una lacrima con le nocche. -Vado... vado ad apparecchiare la tavola va- HAHAHAHAHA!- con la bocca spalancata seguì Mao, Gianni e Andrew (che seguivano Mao) nella sala da pranzo.
Rei a quella vista non ci mise molto tempo a fare 2+2, rendendosi conto che non era proprio un'ottima mossa lasciare la sua fidanzata, quel dongiovanni da strapazzo e lo scozzese arrogante da soli, con Boris per giunta, e si fiondò appresso al terzetto, brandendo i coltelli buoni di Kai per le cene eleganti.
-Qualcuno oggi morirà accoltellato- commentò Daichi con la serenità di chi sta parlando del tempo. 
-Non si mettono tanti animali diversi nella stessa stanza, eh.-
-Secondo me sarà l'americano- rispose Ivan, con un sorriso di grande aspettativa stampato sul volto. 
-Ancora con questa storia?- s'intromise Yuriy prendendo un pezzo di carne e iniziando a pulirlo col coltello.  
-Sei tu che non capisci.- 
Yuriy quasi non sospirò pesantemente. 
Perché non se n'era stata dall'altro lato della cucina a giocare alla cuoca? 
-Allora, di grazia, illuminaci.- 
Sorriso falso come l'oro placcato, labbra tirate e dita che strappavano il grasso dal rosso del manzo come brandelli di anima. 
-Riesci a fiutare il pericolo e la paura como un cane ma estas cieco como una talpa cuando los sentimientos  ti vengono sbattuti in faccia.-
Ivan soffocò una risata mista a pollo fritto nel primo tovagliolo pulito che riuscì ad afferrare, Daichi quasi non si strozzò con un pezzo di sushi e Yuriy si grattò una guancia, nervosamente. 
Non solo gli aveva dato del cane, ma anche della talpa e per di più cieca! 
Dove cazzo la trovava questa confidenza non l'aveva capito, ma se avesse continuato per questa strada la spagnola sarebbe finita nelle sabbie mobili della sua già decimata pazienza. 
-Sto aspettando- disse invece, con molta calma. 
-Boris y Mariam tienen un affare in corso, ¿no? Non so  qué sia -io e le altre estamos tratando de cavare fuori qualcosa da Mariam- ma la loro complicidad rende Max coléricoy es solo cuestión de tiempo prima che faccia una scenata.-
-Perché dovrebbe essere... com'è che hai detto? colérico.-
-Oh Dios, davvero non te ne sei accorto? Max está geloso.-
-Negli ultimi sei anni Max e Mariam sono stati fidanzati, lei circolava spesso in America quando Max lavorava lì a quel centro di ricerca per spocchiosi..-
-Il PPB.- Serjei annuì.
-Esatto, quello. Noi non l'abbiamo vista spesso. L'anno scorso però si sono lasciati, ma Max non l'ha mai dimenticata.- Daichi drizzò la schiena, sentendosi improvvisamente un grande saggio al centro dell'attenzione. 
-Il dramma. Avete presente la tragedia greca? Uguale. È stato uno strano miscuglio tra la guerra di Troia e Titanic, con notti insonni, casa di Takao come uno studio di psicoterapia e messaggi di addio che ricominciavano il giorno dopo.-
-Ma Mariam? Prova ancora qualcosa per Max? Usa Boris per attirare la sua attenzione? Cerca di dimenticarlo con un altro? Ha avuto relazioni serie nel frattempo? Per quale motivo si sono lasciati? Si sono rivisti dopo quel giorno?-
-La risposta è "non lo so" a tutto, ma mi è passata la voglia di guardare anche solo per sbaglio le ragazze.-
-Stronzate, tu la guardi per portartela a letto, loro ti guardano per portarti a letto, e se nel frattempo succede qualcosa metti subito in chiaro che non vuoi storie serie e che non devono fracassarti le palle.- 
Julia lo guardò nauseata. 
-Ma ti hanno allevato i lupi?!- 
Yuriy inarcò un sopracciglio, Ivan sghignazzò divertito. 
-Esattamente, chiquita.- 
Daichi sussultò, con le stelle negli occhi verdi. Ivan seguì a ruota il suo sguardo.
-Oh, oh, oh! Ma quella è la torta di Olivier con cinque strati di cioccolato?? Dobbiamo andare.- 
Olivier non ebbe nemmeno il tempo di togliere la torta dal forno e posarla sul bancone che i due sedicenni gli furono addosso, assillandolo su dove avesse messo il ciottolato rimasto e continuando a seguirlo come segugi per tutte le stanze, implorandolo di fargli almeno leccare il cucchiaio. 
-Ho detto no. Quel chocolat diventerà una fondue. Siate civili.-
-Eddai Olivier, non vogliamo leccare quello di Hilary, è una cuoca pessima.-
Dalla sala da pranzo si levò un famigerato grido di guerra.
-CHE COSA AVETE DETTO!? TAKAO, DIFENDIMI!-
Julia ridacchiò, scuotendo lievemente la testa a ritmo di una canzone che aveva in mente.
-Come se Hilary avesse bisogno di protezione.- 
Yuriy fece una smorfia eloquente, come a dire "chi vi capisce è bravo".
-Sì sovietico da strapazzo, probabilmente uno schiaffo de Hilary ti fa girare la cabeza cinque volte in più rispetto a un calcio de Takao, pero es bello sentirse protetti, es una sensación tan rara potersi fidare completamente di qualcuno que cuando la encuentras quieres sentirla en ogni momento.-
-Chi fa da sé fa per tre, non te l'hanno insegnato?-
-Sí, e non esistono più le mezze stagioni. Vamosdime qualcosa che stoni con tutta la… collezione di freddezza autunno-inverno che hai addosso Ivanov.-
-Perché dovrei?-
-Porque almeno mi ricrederó sul sospetto che no tienes idea de como hablar con una donna.-
-Lo farò quando ne incontrerò una.-
La mascella di Julia finí nella padella. Voleva la sorpresa? Voleva essere impressionata? 
Eccola accontentata. 
Oh, avrebbe volentieri chiuso la mano a pugno, lasciando che i grossi anelli sul medio e l'anulare facessero il resto, ma non poteva semplicemente iniziare a prendere a pugni uno che le avrebbe staccato il braccio come carta velina; anche se questo uno era un cocciuto, apatico, scontroso, aggressivo pezzo di...
-Eres un selvaggio- ammise infine, scartando dalla lingua tutte i gradevoli appellativi che stava per schiaffargli su quella faccia pallida. 
-Chi ha mai detto il contrario?- 
Era così dunque. 
Quando meno se l'aspettava, proprio quando una risposta pungente o un commento offensivo sarebbero stati lo svolgimento naturale della conversazione, quel russo se ne usciva con mezze confessioni e placida accettazione degli angoli più appuntiti del suo carattere. 
Julia lo osservò per un attimo prendere una sigaretta dalla tasca.
-Ogni sigaretta sono dodici minuti de vida in meno.-
Il moscovita sollevò lo sguardo, impassibile come un dipinto, e s'infiló una seconda sigaretta tra le labbra.
Julia fece una smorfia.
-Fammi un fischio quando cresci. Ven aquí, ti faccio provare una Paella come si deve. Hai mai provato la Paella?-
-Solo quella d'asporto da quattro soldi a Toronto.-
-Ma... che cosa aspetti? Devi rimediare subito! Ah, ahora ci pensa Julia a fartela assaggiare, es una experiencia divina. El original de Madrid eh, non quelle versiones tutte strane con curry o pomodoro.-
La madrilena avvicinò un cucchiaino pieno di riso dorato alle labbra del moscovita, con le mani ancora impegnate tra la tagliata di manzo e il coltello.
Yuriy lo prese tra le labbra, e subito l'avvolgente aroma dello zafferano, unito a quello gustoso del pesce e al profumo del pepe nero presero possesso della sua bocca. 
-Ahorate gusta?
Il russo annuì. 
-Dove hai imparato a cucinarla?-
-La preparavo sempre per gli altri al circo. Quando avevano voglia di Paella si fidavano solo di me. Raul l'adorava.-
Un'ombra scura incrinó per un attimo la spensieratezza della ragazza, alterando la luce negli occhi di smeraldo.
Come un fantasma che passa dinnanzi ad una finestra.
-Julia, dov'è Raul?-
Yuriy lo chiese con noncuranza, ma di sottecchi la stette a guardare.
-Raul? Oh, è rimasto in Spagna con il circo.- 
Sorrise.
-Beh, ahora il mio partner di ballo non fa che chiedermela, especialmente quando siamo in viaggio per le gare.-
-Sei sicura che ti chieda la Paella? Non è che è interessato ad altro?-
Julia lo spinse con una mano sulla spalla. 
-Coglione. Y tu? No es pericoloso lavorare in un locale affollato como el in cui sono stata con Mao y Hilary, en el centro de Tokio? Se hanno fatto evadere Hito Hiwatari sono già qui. Non sarebbe meglio mantenere un basso profilo, nascondersi?- 
Yuriy scosse la testa, gli occhi come vetro azzurro fissi sulla carne. 
-Mi sono nascosto per sei anni, e a cosa è servito?-  Caló il coltello come una mannaia. 
Julia sobbalzò impercettibilmente. -Per quel che ne so potrebbero uccidermi in qualsiasi momento, anche ora, proprio qui. Ma non mi nasconderò mai più. Vorkov sa dove sono. Che venga a prendermi.- 
Era una sfida, Julia ne avvertí l'odore nell'aria. 
Nonostante il tono perennemente misurato delle parole, vi era sempre qualcosa fra le venature della sua voce che tradiva l'acredine, il dolore, la rabbia e, in particolare, una tendenza alla ribellione mai veramente domata.
Una provocazione, lieve come un fiocco di neve che non si scioglie al sole. 
Yuriy andava ripetendo che non aveva alcuna capacità particolare, che era soltanto bravo a rompere nasi e tirare avanti, che le leggende erano racconti di invasati a cui Kai voleva credere per puro spirito narcisista. 
Ma non riusciva a nascondere la vena combattiva del suo carattere, nè l'olio bollente in gola.
Neanche l'autocontrollo di ferro e la freddezza del ghiaccio del Nord potevano niente contro il rancore. 
Contro il dolore. 
-Nessuno vuole ucciderti, non qui.- 
La voce le uscì più morbida del previsto, come quando si addenta quello che sembra un biscotto di dura frolla e in realtà è una cremosa pasta di zucchero.
Il rosso la guardò impassibile.
Ma la guardò.
E Julia non sapeva di desiderare quello sguardo su di sé fino a quando non fu troppo intenso per sopportarlo.
-Quella è la torta de Olivier...?- 
La madrilena indietreggiò di qualche passo con aria furba.
Yuriy si avvicinò al lavandino senza rispondere e cercò negli sportelli sottostanti del sapone, poi fece scorrere l'acqua proprio quando Julia si avvicinava all'allettante dessert: una circonferenza di profumato pan di spagna all'arancia ricoperto da crema alla gianduia, granella di pistacchio e sbuffi di panna alla vaniglia. 
-Dios, è davvero bravo il francese. Sarà anche buona?- 
-Se la sfiori anche solo con un'unghia gli verrà una sincope- disse il russo dandole le spalle.
-Che c'è, ahora Yuriy Ivanov ha scrupoli?- lo stuzzicò lei. -O forse il lupo es realmente un cane che teme l'ira di.. AH!- 
Tempismo e vaniglia nello stesso istante.
Una cicatrice di panna sul collo di Yuriy, una spruzzata di lentiggini d'acqua sulle guance di Julia. 
-Ma che... oh Dios!- 
La madrilena scattò all'indietro, sgusciando via dalle mani del russo che cercavano di afferrarla.
Fece un giro intorno al tavolo, prese un po' di cioccolata col dito e si preparò ad attaccare con un sorriso battagliero.
-Non ti avvicinare... non ti avvicinare Yuriy. Ah! Hahahahaha...-
Il russo si piegò in avanti e lei corse via. 
-Fernandez di' le tue ultime preghiere perché tanto ti prendo.- 
Julia si abbassò e gli lanciò addosso dello zucchero a velo. 
Yuriy cercò di evitarla ma una pioggerella bianca finí comunque sui suoi capelli.
-Questa me la paghi.-
Julia si nascose dietro una sedia. 
-No, no! Perdónperdón!- 
Si riparó dietro l'isola della cucina e il russo, saltando oltre, le fu addosso in un lampo.
-Tiempotiempo! Hahaha...hahahahahaha no... vamos hombre! Non il solletico... no!- 
Julia si dimenó tra le braccia di Yuriy, contorcendosi e soffocando dalle risate. 
-Chiedi umilmente perdono- ordinò il russo con un mezzo ghigno, continuando a tormentarla.
-Hahahaha... mai.-
Quando Yuriy ricominciò a tartassarla Julia non aveva più fiato in gola. 
Si ritrovò ad essere scossa dai singhiozzi, piegandosi contro il corpo del moscovita e la sua determinazione.
-Avanti querida, non ti lascio altrimenti.- 
-N-no HAHAHAHAHA! t-ti picchio Yu... Yu... te pido perdón! Te pido perdón! Mis disculpas. Mis... urca...- 
Yuriy la lasciò all'istante abbandonando le braccia lungo i fianchi, ma la madrilena non aveva bisogno di sentire le sue mani su di sé per avvertire il calore del suo corpo. 
Erano troppo vicini. 
Uno aveva il respiro affrettato, l'altra ansimava, cercando di racimolare qualche particella di ossigeno e tentando di relegare nei recessi della sua mente la consapevolezza di poter distinguere ogni aroma nel respiro di Yuriy.
Menta, una punta di nicotina e qualcosa a cui non riuscì a dare un nome: una nota dolce, vellutata, come il cioccolato caldo nelle serate d'inverno. 
Sì, Julia se lo disse ancora, erano troppo vicini.
Ma non fece nulla per allontanarsi, né per ricomporsi. 
Anzi, alzò una mano, così, con naturalezza, come se l'avesse fatto altre mille volte, e la avvicinò al collo del russo. 
Solo quando lui affiló lo sguardo, seguendone il percorso come un animale braccato e irrigidendo i muscoli delle spalle la madrilena si accorse di cosa stava per fare.
Avrebbe davvero avuto il coraggio di passare il polpastrello sulla sua giugulare e afferrare quel poco di panna vanigliata per leccarla via dal dito dinnanzi a lui? 
Sì, certo che sì, davanti a chiunque sulla faccia della Terra, ma non davanti a lui.
Abbassò il braccio e si raddrizzó. 
Fece per dire qualcosa di banale per liberarsi dall'incastro, con il ripiano in marmo grigio contro la schiena schiena e quel fascio di muscoli glaciali davanti, quando invece le sue parole presero una piega ben diversa. 
-Tienes los ojos más hermosos que he visto en una persona.-
Il moscovita incrociò le braccia, aggrottando le sopracciglia.
-Come?- 
Julia fece per aprire bocca ma entrambi scattarono sull'attenti nello stesso istante, recidendole le parole in bocca.
-Ragazzi venite subito!- la testa di Mao fluttuò nel loro raggio d'azione, poi scomparve nel corridoio. 
Il cuore di Julia batteva all'impazzata come se fosse stata colta sulla scena di un crimine, con un cadavere insanguinato ai piedi e macchie cremisi sulle dita. 
Yuriy uscì senza voltarsi. Lei respirò un paio di volte prima di seguirlo.
La scena che si trovarono davanti pareva la quarta stagione di American Horror Story, "Freak Show" e l'Apocalisse cristiana insieme. 
-Chicos! Quando siete arrivati?- chiese Julia, sorridendo spaesata agli americani e ai cinesi. 
-E soprattutto, perché.-
Kai afferro un bicchiere di cristallo, uno di quelli del servizio preziosissimo di sua nonna con il manico a spirale e la coppa sfaccettata, e si versò una generosa quantità di vino da una delle bottiglie sul lungo tavolo.
-Abbiamo un hotel prenotato Kai- rispose Michael con un sorriso fin troppo largo per i gusti del nippo-russo. 
-Guarda, anche volendo -e non voglio- capisci che la mia situazione è già satura così.- 
Con un ampio gesto del braccio indicò la marasma chiassosa degli ospiti ormai accasati fra le sue mura. 
-Hello guys. Ragazze, da quanto tempo!- 
-Hilary, Mao, non mi avevate detto che Emily e gli altri sarebbero venuti!- Julia atteggiò un broncio allegro mentre correva ad abbracciare l'amica americana.
-Da quanto tempo. Como estas?-
-Oh, subito una ricognizione, devo aggiornarvi su una marea di cose!- esclamò Mao andando a salutarli.
Lai l'abbracciò. 
-Allora Mao, come ti sta trattando il nostro Rei?- 
-Benissimo.- La ragazza sorrise al fratello, scostando in fretta i capelli color castagna dagli occhi. -Anzi, Rei voleva proprio dirti una cosa.-
Rei fremette. La pelle del volto sbiancò di due tonalità, arrivando a competere con quella di Yuriy. 
Il collo era un fascio di nervi e lo stomaco un grumo di tensione repressa. 
Mao lo scrutava con l'attenzione di una leonessa.
-Ehm... ... Com'è andato il viaggio?-
Marim trattenne a stento una smorfia divertita e versò anche alla cinese un bicchiere di vino. 
Mao schiaffeggiò Rei con lo sguardo, poi si sedette accanto all'egiziana e non lo ritenne più degno d'attenzione per il resto della cena.
Boris arraffò uno zuccotto al cioccolato bianco e bonfonchiò, con il cucchiaio in bocca: -Che in testa?- 
Yuriy si sciolse i capelli. -Niente-, ci passò le mani attraverso, -in cucina c'è un casino.- 
-Stasera pigiama party. Kai, fai restare Emily vero??- Hilary si rivolse al giovane Hiwatari, lanciandogli una nocciolina per impedirle di ignorarla. 
-Takao ha una brutta influenza su di te.-
-Eddaaaaaaiiiiiiiii- cantilenarono le tre ragazze in coro, Hilary con gli occhi di un barboncino, Mao con le mani giunte a pregare San Kai e Julia lanciandogli ammiccanti baci dall'altro capo del tavolo. 
Kai le guardò, un tic al sopracciglio sinistro, l'allarmante pulsare di una vena sulla tempia, gli occhi di rubino spiritati come se fosse stato appena investito da un tir. 
La sciarpa bianca gli pesava sul collo come un cappio. 
-Dove... dove avete intenzione di metterla? Non ci sono più letti disponibili.-
-Puó dormire con me e Mariam- risposte Julia. -No es un problema.-
-Come?- Mariam si volse verso di lei. -Es un problema, es un problema eccome. Non siamo due bambine Julia, siamo due donne belle e fatte con... le situazioni al posto giusto e certe necessità di tanto in tanto, come pensi di farci entrare un'altra persona?-
-Concordo sul "belle"- commentò Boris.
-Oh vámonos, sarà come un viaggio insieme, tutte nella stessa stanza a mangiare schifezze e parlare male degli altri.-
-Almeno evitate le calunnie sul mio conto visto che siete tutti in casa mia a strisciare le suole delle vostre infime scarpe sui miei pavimenti splendenti.-
-Kai- Takao gli posò una mano sulla spalla, -sei esaurito.-
-Allora è un sì?- Hilary battè le mani. -Sapevo che potevamo contare su di te Kai.-
-Io lo sapevo che dovevo restarmene con Vorkov durante il primo campionato mondiale. A quest'ora o ero morto o vi avevo uccisi tutti.-
Boris soffocò la risata nella quarta fetta di cheesecake e Yuriy prese due sigarette dal porta tabacco del nippo-russo, adagiato su un tavolino in rovere. 
-Dieci minuti alla mezzanotte, andiamo a farci un tiro prima va.-
-Veramente dovrei...- iniziò Hilary.
-Ma Boris, di' qualcosa a Julia! Interessa anche a te che la stanza in cui ho il letto non sia affollata Altrimenti te la sogni d'ora in poi.
-Ma chi, io?- Boris constatò che la ragazza stava dicendo sul serio e con suo sommo rammarico posò la forchetta sul piatto. 
Prese un tovagliolo e, tamponandosi le labbra, raddrizzó la schiena, alzando il mento e atteggiandosi a gran signore.
Afferrò pure un lembo della sciarpa di Kai e se lo girò in testa come un turbante.
Kai, dietro di lui, prese lo scrigno del porta sigari in ottone, pronto a tirarglielo in testa. 
Yuriy gli abbassò le braccia sorridendo silenziosamente mentre Boris iniziava il suo comizio.
-Ritengo che la questione debba essere affrontata nei toni più civili possibili, ascoltando l'opinione di tutti e scendendo a compromessi con le varie esigenze. Julia, Mariam comprende benissimo le tue nobili intenzioni e l'entusiasmo nel rivedere una vecchia amica, ma ci terrebbe a porre l'attenzione sulla mancanza di spazio nel letto matrimoniale che condividete, essendo le vostre figure importanti e... voluminose. Dunque cerchiamo di guardarci con serenità negli occhi e fidarci che l'altro voglia solo il nostro bene.-
Daichi cadde dalla sedia.
Gli americani dimenticarono di respirare.
I cinesi lanciarono un'occhiata sospettosa al vino, credendolo avvelenato.
Takao si nascose dietro Hilary e Max iniziò a credere che quello in realtà non fosse il vero Boris ma un robot con le sue sembianze; Rei e Mao erano la rappresentazione dell'urlo di Munch.
Ma i più sconcertati erano Ivan e Serjei: il primo era il ritratto della diffidenza, come se quello che aveva davanti fosse un impostore; il secondo quasi commosso da sì fatta, inaspettata, insospettabile delicatezza.
Kai aveva persino dimenticato il suo proposito di ucciderlo, chiedendosi chi cazzo fosse quello e cosa ne avesse fatto di Boris. 
Soltanto Yuriy reagì in tempo relativamente breve, lacerando l'idillio con la facilità di uno spintone alla spalla e un: 
-ma falla finita, coglione, come diamine parli? Hai ingoiato un vocabolario? L'americana resta.- 
-Cosa?- 
-Como?-
Mariam e Julia lo guardarono nello stesso istante. 
-E che cazzo Yu, ti ci metti pure tu? Io ora avevo fatto il mio exploit intelligente, tanto impegno non può andare a puttane così- sbottò Boris.
-Fernandez c'è da prima, ha accolto Mariam senza battere ciglio, una notte in tre non ucciderà nessuno. Fine ai drammi da quattro soldi.-
Kai si ricordò in quell'istante perchè era utile avere Yuriy attorno quando cercavano di trascinarlo nei loro battibecchi di condominio.
Julia quasi non ci credeva che avesse preso le sue difese. 
Certo, non era una questione di vita o di morte, e il tono era stato piuttosto sbrigativo e disinteressato come se parlarne fosse ridicolo in sé, ma lo avrebbe silenziosamente ringraziato se il russo l'avesse degnata di uno sguardo. 
Invece fece un cenno a Kai e si avviò verso la porta della stanza.
-Aspettate, ecco... io e Takao... noi... volevamo dirvi una cosa, adesso che ci siamo tutti.- 
Hilary si alzò dalla sedia.
Mao fece scrocchiare il collo, Daichi, Boris, Rick e Gao lottavano come rinoceronti inbufaliti per la conquista dell'ultimo pezzo di budino e Takao si versò una generosa dose di alcol.
E lui non beveva mai. 
Soltanto Kappa si rese conto che non era da Hilary essere nervosa.
Probabilmente non l'aveva mai vista così nervosa in tutta la sua vita.
-Io e Takao... beh, ci sposiamo.-
In quel momento scoccò la mezzanotte.
Il boato che salutò il nuovo anno non fu niente in confronto a quello che accolse la notizia, con vigorose pacche sulle spalle che spinsero Takao dall'altra parte del tavolo, giro di calici e parole di augurio gettate alla rinfusa, risolini eccitati di Emily, Mao e Julia, che iniziarono a chiedere del vestito, della proposta, dell'anello, della location, se avesse risposto subito sì, come avrebbero dovuto vestirsi, dove sarebbero andate a fare shopping. 
Olivier era in un brodo di giuggiole: adorava i matrimoni, mentre Ralph, rientrato in quel momento, perse dieci anni di vita e tutta l'austerità quando lo coinvolsero in un tripudio di abbracci collettivi mezzi sbronzi e da spaccare le ossa. 
-Hai capito il giapponese...- fischió Boris, mentre Ivan saltò su una poltrona per appendersi al collo del futuro sposo e tentare di strangolarlo.
In realtá sarebbe stato un gesto d'affetto, se non fosse stato che lui era abituato a Sergej, che aveva il collo grosso quanto la coscia di un essere umano, duro come la roccia e decisamente diverso da quello di Takao.
-Gra-grazie ragazzi... gra.. sì, sì. Eddai Max smettila di fare quella faccia da pesce lesso. Qualcuno faccia riprendere Max!-
Rei sarebbe stato molto più felice se Mao non avesse incominciato a guardarlo come si guarda una busta di plastica abbandonata sull'autostrada. 
-Sono molto contenta per te Hilary, tu  che stai con un vero uomo!- 
Boris scoppiò a ridere, lo spumante gli andò di traverso e Lai dovette prenderlo a schiaffi sulla schiena. 
-Fatecelo arrivare almeno al matrimonio- proruppe Kai, tirandosi Takao addosso senza tante cerimonie. 
-Ora, per commemorare questo triste giorno -sappiamo tutti che il matrimonio è la morte di tutte le gioie- fatti il primo tiro ad una canna. Prego.- 
Accese l'estremità del sottile involucro di tabacco e erba che reggeva in mano e glielo passò. 
-Per l'occasione l'accendo anche in casa, poi non dire che non faccio niente per te.-
Takao, paonazzo per l'alcol, le botte gioiose e l'euforia, osservò con diffidenza la pseudo sigaretta, tenendola tra indice e pollice, e se l'avvicinó alle labbra.
​L'ultima cosa che ricordó prima di rimettere l'anima (come al solito aveva infilato nello stomaco qualsiasi cosa di vagamente commestibile e in quantità umanamente spropositata) e lasciare che il sipario della sua consapevolezza, fu un furtivo bacio sulla guancia tra Mariam e Max.
 
 

***

 
 
Tre giorni dopo Takao era nuovamente al centro dell’attenzione, nel mezzo di uno dei grandi soggiorni del Maniero, quello con i mobili stile impero e i sontuosi tappeti cremisi e filigrana d’oro sul parquet scuro.
-Devo dirvi una cosa.-
Gli americani e i cinesi erano impegnati in una estenuante partita a Monopoli che andava avanti da ore.
Johnny, Olivier e Gianni non avevano colto l’invito di giocare perché, a detta loro, “quelle cose le possediamo già nella vita reale.”
Michael, all’entrata di Takao, sollevò distrattamente lo sguardo.
-Sì Takao, sappiamo già che ti sposi.-
-No, è un’altra cosa, e non sono sicuro che questa volta vi piacerà.-

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