Un amore di fuoco

di Francesca_Silvia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Faceva caldo, un caldo quasi soffocante, di quelli che fanno attaccare i vestiti alla pelle e che rendono il respiro affannoso. Forse quel caldo era voluto, forse serviva per aumentare la tensione nell’aria, l’eccitazione, il desiderio di lasciarsi andare e di non pensare più a niente. O forse era solo il prodotto di quel groviglio di corpi appiccicati tra loro, che si muovevano come fossero uno solo tra le luci stroboscopiche così abbaglianti da farti girare la testa.

Qualunque fosse la ragione, a lei quel caldo piaceva. Nel locale, in mezzo a tutti quei corpi in movimento, con la musica così forte da farti vibrare le ossa nel petto, lei si sentiva a suo agio.

Capelli biondo platino lunghi fino ai fianchi, così lisci da sembrare quasi fatti d’acqua; due occhi chiari come il cristallo, contornati da un ventaglio di ciglia scure e folte; una bocca carnosa e invitante, curvata in un sorriso dolce ma che non raggiungeva mai gli occhi; un fisico perfetto e slanciato, come quelli che si vedono solo sulle riviste di moda. Era consapevole di essere bella, sapeva il modo in cui gli altri la guardavano e sapeva come usare questo a suo vantaggio.
Non cercava l’amore, aveva smesso di crederci, ma voleva la passione, il contatto con un altro corpo, delle mani che la stringessero e delle labbra che la baciassero, senza dire troppe parole o fare troppe domande. Anche quella sera, in quell’anonima discoteca di periferia, l’obiettivo era lo stesso: cercava solo qualcuno che la stringesse.

Aveva già bevuto alcuni drink e iniziava a perdere lucidità, ma non era un problema visto che avrebbe preso un taxi per tornare a casa. Ballava da sola da un bel po’ ormai, ma continuava a rifiutare chi le si avvicinava: non sapeva perché, ma quella sera non voleva accontentarsi del solito ragazzo carino, eppure uguale a tutti quelli che incontrava ogni volta. La stanchezza però iniziava a farsi sentire. Erano circa le 3 del mattino e a breve sarebbe dovuta tornare a casa, altrimenti avrebbe passato il giorno successivo a letto, con i postumi della sbornia e il corpo dolorante.

Decise di uscire dal locale per prendere una boccata d’aria, pensando che per lo meno le sarebbe un po’ passato il crescente mal di testa. Il parcheggio era affollatissimo, invaso da auto e persone di tutti i tipi. Non che fosse una sorpresa, comunque: era sabato sera e lì l’alcol costava veramente poco.
Come lei, anche altri si erano allontanati dal casino nascosto che c’era appena oltre le pesanti porte nere. Diverse persone erano sparse fuori dall’ingresso, strette in piccoli gruppetti per proteggersi dal freddo, raccolte sotto un paio di lampioni e circondate da nuvole di fumo, mentre alcuni si allontanavano diretti verso casa o più probabilmente verso qualche macchina parcheggiata lì vicino.

Si accese una sigaretta, un vizio che teneva nascosto a tutti quelli che conosceva e che riservava per alcuni momenti particolari, di estrema noia o di estrema tristezza. E così, mentre decideva se concludere la serata e tornare a casa oppure no, si accorse di essere osservata.
Testa alta, aria spavalda e uno strano sguardo negli occhi, annoiato e distaccato, ma allo stesso tempo ipnotico e intrigante. Tutto in lui urlava sicurezza: dal modo in cui se ne stava appoggiato con noncuranza a una macchina non sua, con quei tatuaggi scuri che spuntavano dalle maniche del giubbotto, fino al modo in cui la guardava, come se sapesse già che quella sera lei sarebbe stata sua.

Perfetto

Buttò a terra la sigaretta e gli si avvicinò, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quei due occhi inquietanti e attraenti allo stesso tempo.

"Piacere, Ione"

"Xander"

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Vi siete mai sentiti come se vi stesse per esplodere la testa? O come se qualcuno vi avesse infilato degli spilli sotto le palpebre? Il tutto insieme a una nausea pari a quella di una donna incinta? Se la risposta è sì, allora certamente sapete di cosa sto parlando, altrimenti vuol dire che siete delle persone migliori di me e che non vi siete mai ubriacati il sabato sera.
I postumi della sbornia non mi erano nuovi, ma questa volta c’era qualcosa di strano. Prima di tutto era ancora mattina ed ero già sveglia - cosa mai successa prima - in più erano almeno 10 minuti che la splendida voce di Ed Sheeran risuonava da sotto le mie coperte…

Aspetta un attimo…Perché Ed Sheeran è sotto le mie coperte?!

Ovviamente Ed Sheeran era in realtà il mio telefono, che vibrava impazzito accanto alla mia gamba, mentre sullo schermo era comparso il nome “Sarah” e la foto di due ragazzine di 15 anni vestite di rosa da capo a piedi.

“Pronto?”, sospirando ributtai la testa tra i cuscini e mi preparai a sentire la voce squillante della mia migliore amica trapanarmi le orecchie la domenica mattina.

“Non usare quel tono con me! Dov’eri finita ieri sera? Sapevi che Michael aveva organizzato una festa a casa sua e pensavo di trovarti lì con tutti gli altri come sempre! Invece tu eri chissà dove e io ho dovuto passare la serata con Jenny, che non la smetteva di parlare del nuovo cavallo che ha comprato la settimana scors-”

“Vuoi dire il cavallo che suo padre le ha comprato”

“Sì sì, è lo stesso. E lo sai che Michelle Clarke è riuscita ad avere le nuove Louboutin, quelle che non sono ancora uscite nei negozi? Ha passato tutta la sera a parlarne e te lo giuro avrei voluto rovesciare il mio bicchiere di vodka su quelle dannate scarpe. Hai presente di chi sto parlando, no? Quella bionda, con la madre che lavora per Vogue. Tra l’altro, non capisco come sia possibile che sua madre lavori per Vogue, ma che lei non sia neanche capace di abbinare un paio di scarpe. Mi spiego?”

Io e Sarah ci conoscevamo da sempre ed eravamo diventate migliori amiche all’età di 6 anni, esattamente da quando lei aveva versato il suo frappè alla fragola sulle mie ballerine di Dolce&Gabbana e i suoi genitori avevano invitato la mia famiglia a cena per scusarsi. Quella sera, superata l’iniziale diffidenza tipica di due bambine costrette a passare del tempo insieme senza conoscersi, scoprimmo che entrambe adoravamo i film Disney e che entrambe avevamo due odiosi fratelli maggiori. Nella testa di due bambine di 6 anni questo voleva dire essere praticamente sorelle e da lì eravamo diventate inseparabili.

“Ehi Ione, ma mi stai ascoltando?”

“Ti ascolto sempre Sarah, ma non me ne frega niente delle scarpe di Michelle Clarke! In più è domenica mattina e lo sai che amo dormire, specialmente la domenica mattina!”. Mi rigirai tra i cuscini e, mentre Sarah ridacchiava dall’altra parte del telefono, ripresi: “Comunque scusa se non ti ho avvisata ieri sera, ma i miei genitori mi hanno chiamata all’ultimo minuto e mi hanno trascinato a una noiosissima cena con loro. Ero così di fretta che mi sono completamente dimenticata di avvisarti”

Non avrei mai voluto mentire alla mia migliore amica, ma ormai lo facevo da mesi ed era troppo tardi per iniziare a dire la verità. Avrei dovuto spiegarle troppe cose e sarebbe stato troppo complicato… o almeno questo era quello di cui cercavo di convincermi. Il problema, inoltre, non era solo che le bugie continuavano ad accumularsi l’una sull’altra, ma anche che non sarei mai stata capace di spiegare a Sarah perché volevo passare il sabato sera in una discoteca sconosciuta, ad ubriacarmi in compagnia di ragazzi che non avrei mai più rivisto. Per non parlare del fatto che, per quanto ne sapeva lei, io detestavo le feste.
In realtà c’era una ragione più profonda che mi spingeva a mentire alla mia migliore amica, l’unica persona che c’era sempre stata nella mia vita, ma dalla quale ultimamente non mi sentivo più capita: lei amava la sua vita, la nostra vita. Io la odiavo. E andare in posti dove nessuno conosceva il mio nome e dove potevo comportarmi come non avrei mai avuto il permesso di fare, era ormai l’unica via d’uscita da una vita che mi soffocava ogni giorno di più.

“Non ti preoccupare, tesoro. So come funzionano queste cose”, rispose lei con un tono molto più calmo rispetto a prima. “Stasera però ci sei, vero? C’è un’altra festa a casa di Michael e prima che tu dica qualcosa, ti avviso che non puoi rifiutare e che passerò a prenderti alle 9 in punto, che tu lo voglia o no!”

Trattenni a stento un sospiro, sapevo di non poter dire di no questa volta.

Io e Sarah avevamo passato la vita a partecipare a cene, feste ed eventi di ogni genere, dove avevamo imparato non solo come mangiare, come sorridere o come parlare, ma anche quali persone frequentare e quali no. Non so se per volere nostro o dei nostri genitori, ma alla fine eravamo diventate parte di un gruppo di ragazzi “dell’alta società” e negli anni avevamo iniziato a uscire sempre con loro, finché era diventato normale andare ogni giorno alle feste a casa di quello o alle cene organizzate da quell’altro.
Forse a un certo punto mi ero anche divertita, ma ormai erano mesi che cercavo di evitare quelle persone il più possibile.  

Poco dopo chiusi la chiamata e mi abbandonai tra i cuscini, cercando di non pensare al momento in cui mi sarei dovuta alzare dal letto.

Perché ho bevuto così tanto ieri sera?

*
Alle 9 in punto ricevetti un messaggio da Sarah e mi affrettai a prendere la borsa. Prima di chiudere la porta, lanciai un’ultima occhiata allo specchio per controllare che fosse tutto in ordine: indossavo un vestito blu scuro, un paio di stivali neri alti sopra il ginocchio e un cappotto di lana nero. Sul viso una spessa linea di eyeliner mi esaltava gli occhi, mentre avevo lasciato i capelli sciolti in modo che mi ricadessero lungo la schiena. Soddisfatta, chiusi a chiave il mio appartamento e uscii.

Avevo chiesto di andare a vivere da sola non appena diventata maggiorenne e i miei genitori mi avevano subito accontentata, contentissimi di liberarsi anche di me dopo che mio fratello se n’era andato qualche anno prima. In realtà era stata una vittoria da entrambe le parti: io finalmente potevo fuggire da quell’atmosfera tesa che aleggiava nell’aria fin da quando ero piccola, mentre loro potevano smettere di far finta di essere una famiglia e odiarsi senza cercare di nasconderlo ai figli.

Uscita fuori dall’ingresso, vidi che Sarah mi aspettava al volante della sua inseparabile Porsche bianca.

“Muoviti tesoro, o arriveremo in ritardo!”, urlò abbassando il finestrino. Sarah aveva l’abitudine di chiamare tutti “tesoro” e mentre lo avrei odiato da parte di qualsiasi altra persona, detto da lei mi faceva sempre sorridere.

Salita in macchina notai che entrambe avevamo scelto un vestito a maniche lunghe e un cappotto pesante, probabilmente perché eravamo in pieno inverno e sembrava dovesse nevicare da un momento all’altro. Entrambe avevamo un fisico tonico e slanciato, frutto di una buona genetica e di tante ore passate in palestra, ma lei a differenza mia era perennemente abbronzata e aveva i capelli tinti di nero, cosa che faceva risaltare ancora di più i suoi occhi verdi.

Io e Sarah abitavamo poco fuori da Londra, in una cittadina che però veniva considerata da tutti un quartiere della grande città. Era una zona molto tranquilla, verdeggiante e piena di case bellissime, molto diversa dalla Londra caotica e piena di smog, e per questo abitata solo da famiglie molto ricche.
Anche Michael abitava lì, dunque il viaggio non fu molto lungo. La sua casa era la tipica villa da famiglia ricca che si vede nei film: bianca, alta tre piani, con delle grosse colonne di marmo di fronte all’ingresso. In realtà, era molto simile a quella in cui moltissime persone presenti quella sera erano cresciute, me compresa. Già dall’esterno riuscivo a sentire la musica altissima e dalle finestre vedevo diverse persone che ballavano con in mano bicchieri pieni di qualche tipo di alcol. Avevo già deciso che quella sera non avrei bevuto, sia perché avevo ancora i postumi della notte precedente sia perché ero sicura che Sarah avrebbe ceduto e si sarebbe fatta qualche drink di troppo.

Una volta entrata, Sarah mi trascinò in mezzo alla pista e notai che le persone continuavano a voltarsi per guardarci, alcuni perché volevano avvicinarsi a noi e altri perché cercavano solo un motivo per sparlare alle nostre spalle. Sapevo che molti in quella casa ci vedevano come delle celebrità, ma sapevo anche che era per via del nostro nome e perché facevamo parte del gruppo “giusto”. In realtà nessuno aveva mai provato a conoscerci, ma tutti si fermavano alle apparenze, basandosi su quello che avevano sentito dire di noi.

Anche per questo Sarah era la mia unica amica.

Dopo un paio d’ore passate a ballare, decisi che ne avevo abbastanza e che anche Sarah aveva bisogno di rallentare, visto che stava quasi barcollando tanto era ubriaca. Decisi allora di salire al piano di sopra, dove sapevo che c’era una stanza che veniva usata come studio.
Troppo ubriaca per mettersi a chiacchierare con me, Sarah si diresse subito verso uno dei divani in pelle posizionati al centro della stanza e io la lasciai fare, ben sapendo che si sarebbe addormentata lì nel giro di qualche minuto. Stavo andando anch’io a sedermi accanto a lei, quando mi bloccai alla vista di Michael che mi veniva incontro con uno strano sorrisetto stampato sulla faccia.

Figuriamoci se potevo passare un’intera serata senza drammi…

So che Michael era il padrone di casa e l’organizzatore della festa, e che quindi sarebbe dovuto essere normale vederlo in giro e parlare con lui, ma non era così: di solito si faceva vedere per i primi dieci minuti, finché non trovava una ragazza disposta a passare con lui il resto della serata e spariva con lei in qualche camera senza farsi più rivedere. Quindi non solo era strano vedere Michael alla sua festa, ma era ancora più strano vederlo venire verso di me, visto che mi odiava con tutte le sue forze. Il motivo, in realtà, era molto semplice: ero probabilmente l’unica ragazza che non era mai riuscito a portarsi a letto.
Ci conoscevamo fin dall’infanzia ed eravamo stati amici da bambini, ma crescendo lui aveva iniziato a usare le ragazze come fossero usa e getta, diventando sempre più arrogante e viscido. Io non ero mai stata ai suoi giochetti e lo avevo rifiutato più volte, finché lui aveva deciso che sarebbe stato divertente cercare di rovinarmi la vita. Da lì erano iniziate a circolare le dicerie su di me, tutte storie inverosimili inventate da lui, finché non si era stancato di darmi fastidio e aveva iniziato a odiarmi da lontano.

“Che sorpresa vederti Ione, stavi per caso cercando la mia stanza?” ovviamente, le solite battutine scontate. Non mi diede neanche il tempo di rispondere, che subito riaprì bocca e quello che disse mi ghiacciò il sangue nelle vene: “O forse stai cercando quella di Aiden?”.

Aiden
Aiden
Aiden

Non sentivo quel nome da mesi ed ecco che improvvisamente mi rimbalzava nella testa, ricordandomi la forma dei suoi occhi, il suono della sua voce, il suo bellissimo sorriso… il modo in cui riusciva a trasformarlo in una smorfia crudele che gli distorceva il volto e mi faceva venire i brividi. Lui. Noi. Quello che aveva fatto. Quello che mi aveva fatto.

Tutto quel dolore.

Mi imposi di restare impassibile, anche se dentro stavo iperventilando. No, non era possibile che lui fosse qui e soprattutto non era possibile che Michael sapesse. Dovevo solo stare calma e mostrarmi disinteressata come sempre.

“Quale Aiden?”

“Massì Aiden il tuo fidanzatino, quello che ti ha abbandonata da un giorno all’altro ed è partito per chissà dove senza avvisare nessuno”

Ed ecco che il tumulto che avevo dentro si trasformò in una tempesta. Aveva veramente detto “il tuo fidanzatino”? Come faceva a sapere?! Perché Aiden tutto a un tratto aveva deciso di raccontare di noi? Qualcosa non andava, ma ero troppo terrorizzata in quel momento per tentare di ribattere.

“L’ho visto entrare poco fa dalla porta principale, devi essertelo perso per pochi secondi. Strano che tu non abbia sentito i gridolini emozionati della metà delle ragazze presenti…”

Fissavo Michael e la sua bocca che si muoveva mentre mi raccontava qualche stronzata su Aiden e una biondina al piano di sotto, ma era come se le sue parole non riuscissero a raggiungere veramente il mio cervello. Riuscivo a pensare solo una cosa:

Aiden era qui.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dovevo uscire da quella casa. Immediatamente.

Non so nemmeno come ma in pochi secondi mi trovai al piano terra, con lo sguardo puntato sulla porta d’ingresso e i capelli spostati in avanti a coprirmi il più possibile il viso. Sapevo che non sarei mai passata inosservata in una casa piena di gente che conoscevo, ma speravo almeno che nessuno mi fermasse mentre cercavo di andarmene. Mentre cercavo di farmi largo tra la gente e di raggiungere l’uscita, mi imposi di mantenere gli occhi fissi davanti a me: sapevo che se avessi alzato lo sguardo lo avrei visto, ne ero sicura.

Ma la tentazione era così forte.

Non lo vedevo da circa un anno e sapere che in quel momento lui era lì, mi faceva sentire in modo strano. Avete presente quando si dice avere le farfalle nello stomaco? Molti la considerano una cosa carina, ma in realtà è come dire che hai dei grossi insetti pelosi e con le ali, che volano dentro la tua pancia e sbattono contro il tuo stomaco facendoti venire voglia di vomitare.
Ecco, io mi sentivo esattamente così: come se stessi per vomitare.

Ero ormai a due passi dalla porta, quando un idiota all’improvviso mi venne addosso barcollando e ridendo, forse spinto da qualcuno o forse perché era semplicemente ubriaco. Mi girai verso di lui e lo fulminai con lo sguardo, squadrandolo dall’alto in basso.

“Levati di mezzo.”

Immediatamente sbarrò gli occhi e smise di ridere, poi annuendo si voltò e sparì di nuovo tra folla con la coda fra le gambe. Ma bastò quello. Mi bastò ruotare leggermente la testa mentre quello sconosciuto si allontanava, per vedere due occhi di ghiaccio che mi fissavano da non molto lontano: Aiden aveva visto tutta la scena e mi guardava con aria divertita.

Non potei fare a meno di fermarmi a osservarlo, per vedere se tutto quel tempo lontano da me lo aveva cambiato o se era rimasto lo stesso ragazzo con cui ero cresciuta. Il fisico muscoloso era quello di sempre, fasciato in una delle camicie bianche che tanto amava indossare, così come il sorriso mozzafiato e quel ciuffo di capelli biondi che non riusciva mai a far stare in ordine, nonostante le ore passate davanti allo specchio a sistemarlo. Notai che era leggermente abbronzato e inconsciamente mi chiesi se recentemente fosse andato in qualche paese caldo, magari a Miami dove i suoi genitori spesso passavano le vacanze.
E quegli splendidi occhi azzurri, così chiari da sembrare trasparenti e per questo così simili ai miei. Anche in quel momento quegli occhi mi tenevano prigioniera, così come era successo tante altre volte in passato, fin dal momento in cui ci eravamo conosciuti.

*FLASHBACK*

Ero a una festa insieme alla mia famiglia ed ero molto contenta perché indossavo il mio vestito rosa preferito, quello con la gonna morbida e i fiori rossi sul colletto. Mia mamma non voleva che lo indossassi perché lo avevo già messo per una cena qualche mese prima e secondo lei non era elegante usare lo stesso vestito più di una volta, ma alla fine aveva ceduto dopo aver ascoltato le mie suppliche per tutta la mattina.
Eravamo andati fino al centro di Londra quella sera e il viaggio mi era sembrato infinito, immerso nel silenzio e con solo qualche piccolo sorriso da parte di mio fratello. Ci
ero abituata però, i miei genitori non parlavano molto quando erano insieme e io pensavo che fosse giusto così.


Avevo passato tutta la serata con la mia migliore amica Sarah, che in quel momento mi stava raccontando di un nuovo gioco che aveva inventato con le sue bambole, quando vidi i miei genitori che si avvicinavano sorridendo, accompagnati da altre due persone e un bambino che non avevo mai visto prima. Sapevo che volevano presentarmi quelle persone, quindi dissi a Sarah di aspettarmi e andai loro incontro sorridendo, con i capelli che ondeggiavano leggermente a ogni mio passo.

“Tesoro, questi sono i Jones, si sono appena trasferiti da Boston” disse mia madre indicando le persone accanto a lei.

“Buonasera signori Jones, io sono Sarah”

Notai lo sguardo di approvazione con cui mio padre guardava la mia mano protesa verso quegli sconosciuti, mentre mia madre osservava discretamente il mio vestito e i miei capelli, per accertarsi che nulla fosse fuori posto.

“Ma che bambina adorabile!”, esclamò la signora di fronte a me, che si abbassò per stringermi la mano. “Io sono Martha, questo è mio marito Brad e mio figlio Aiden, anche lui ha 10 anni come te”

Feci un sorriso all’uomo che si trovava alla sinistra di Martha e mi voltai verso il bambino, Aiden, che invece era alla sua destra. Così come molti altri bambini quella sera, Aiden indossava una camicia bianca, con anche un piccolo papillon grigio chiaro perfettamente annodato. Aveva i capelli biondi come il padre, ma gli occhi erano azzurri come quelli della madre e furono proprio quelli a catturare la mia attenzione.
Tutti nella mia famiglia avevano gli occhi azzurri, ma erano di un azzurro come quello del cielo d’estate, mentre io ero l’unica ad averli chiari come il ghiaccio. Avevo sempre pensato di essere speciale per quello, ma adesso vedevo un altro bambino con gli occhi come i miei, e la cosa mi infastidiva e mi incuriosiva al tempo stesso.


“Ciao”

“Ciao”, mi rispose lui con un piccolo sorriso.

Mi sembrava un bambino molto simpatico e speravo sarebbe piaciuto anche a Sarah, così noi tre avremmo potuto giocare insieme. Sembrava un po’ timido, ma probabilmente era solo perché si era appena trasferito e non conosceva nessuno.
Gli chiesi di venire a giocare con me e lui rispose subito di sì.

*FINE FLASHBACK*

Da lì eravamo diventati grandi amici e crescendo i miei sentimenti per lui erano diventanti sempre più profondi. Era stato il mio primo amore e io il suo, ma ora era tutto diverso. Erano successe troppe cose tra di noi, io avevo visto dei lati di lui che non pensavo nemmeno esistessero e ormai il ricordo di quel dolce bambino dagli occhi azzurri sembrava appartenere a un’altra vita, a un’altra me.

Vederlo lì quella sera faceva male, perché mi faceva tornare in mente tutti i momenti belli che avevamo passato insieme e tutti i modi con cui mi aveva spezzato il cuore, finché non se n’era andato senza dire una parola, lasciandomi sola e con più problemi di quanti riuscissi a gestire. Non volevo parlargli, non volevo stargli vicino, non volevo nemmeno guardarlo. Non volevo avere niente a che fare con lui.
Ma sapevo che quella sera era lì per un motivo e che non mi avrebbe lasciata andare tanto facilmente, perciò non appena vidi che si muoveva per venirmi incontro mi girai e uscii correndo dalla porta.
Continuai a correre per tutto il viale, maledicendo i genitori di Michael per aver deciso di comprare una casa con quel giardino enorme, che più che altro sembrava un parco, e maledicendo anche me stessa per non aver preso la mia macchina. E per aver indossato i tacchi. Non avevo nemmeno chiamato un taxi e i passi dietro di me mi fecero capire chiaramente che non potevo fermarmi e aspettarne uno. No, avrei dovuto continuare a correre e sperare che prima o poi Aiden si stufasse di seguirmi.

Superato finalmente il lunghissimo viale, girai a destra e continuai a correre lungo il marciapiede, che procedeva leggermente in discesa. Mi trovavo in uno dei quartieri più belli della città, quindi non avevo paura ad andare in giro da sola ed ero sicura che non mi sarebbe successo niente. Pensai che al massimo avrei urlato e qualcuno mi avrebbe sentita.

Dopo pochi - ma infiniti - minuti mi sembrò di non sentire più nessuno dietro di me e di getto svoltai in un piccolo vialetto a lato della strada, nascondendomi velocemente dietro una staccionata. Era buio e nessuno mi avrebbe vista da quella posizione, mentre io dovevo solo alzare di poco la testa per vedere la strada.
Non c’era traccia di Aiden e in generale sembrava non ci fosse nessuno in giro, ma pensai che sarebbe stato meglio restare nascosta ancora per un po’.

Accovacciata per terra, mi girai verso la casa accanto a me, quella delimitata proprio dalla staccionata che avevo scelto come nascondiglio. Era una villetta bianca abbastanza anonima, con il tetto scuro e un giardino ben curato, uguale alla maggior parte delle case che si vedevano lì intorno.
Mi stavo per voltare nuovamente verso la strada, decisa finalmente a chiamare un taxi e tornare a casa, quando con la coda dell’occhio vidi un’ombra passare dietro una finestra poco lontano da me. Era stato solo un attimo, ma ero sicura di aver visto qualcuno muoversi dentro la casa, anche se tutte le luci erano spente e non si sentiva nessun rumore.
Incurante dei campanelli dall’allarme che suonavano nella mia testa, mi avvicinai silenziosamente a una finestra. Ci volle un po’ per riuscire a distinguere qualcosa nella penombra, ma non appena i miei occhi si adattarono alla mancanza di luce, capii che quello che stavo vedendo era una specie di studio e che davanti a me c’era una persona di spalle che frugava in un armadio.

Aprii la bocca per urlare, quando qualcuno mi afferrò da dietro e mi spinse una mano contro la bocca, impedendomi di chiamare aiuto.

Il cuore iniziò a battermi subito all’impazzata e sentii le lacrime formarsi velocemente nei miei occhi. Non mi ero mai trovata in una situazione del genere e non sapevo cosa fare. Non riuscivo a muovermi e non riuscivo quasi a respirare, mi sembrava di soffocare con quella mano enorme che mi copriva la bocca e parte del naso.
La persona che mi aveva afferrato mi trascinò lontano dalla finestra e si diresse verso la strada deserta, spingendomi contro un pick-up nero parcheggiato a pochi metri dalla casa, completamente mimetizzato in mezzo alle altre macchine. Una fitta di dolore mi attraversò la schiena quando andai a sbattere contro la portiera e la maniglia mi si conficcò all’altezza dei reni, ma per lo meno potevo respirare di nuovo liberamente e potevo guardare in faccia il mio assalitore, che mi stava fissando a sua volta.
Era vestito totalmente di nero, ma nonostante la felpa e il giubbotto pesante si capiva chiaramente che quel ragazzo aveva un fisico tutto muscoli e steroidi. Dovetti piegare leggermente il collo per guardarlo negli occhi ed era tutto dire, visto che indossavo i tacchi e già di mio ero alta un metro e settanta.
Aveva il volto parzialmente coperto dal cappuccio della felpa, ma riuscii comunque a capire che aveva i capelli  e gli occhi scuri, e i tratti del volto decisi e spigolosi. In generale, emanava quell'aura misteriosa e minacciosa che ti aspetteresti da uno che va in giro di notte a rapire la gente. 

Mi resi conto che quel ragazzo non aveva intenzione di tapparmi di nuovo la bocca, dato che aveva incrociato le braccia ed erano passati già un po' di secondi da quando mi aveva lasciata andare per spingermi contro la macchina. Forse pensava che io fossi troppo spaventata per urlare, ma in quel caso si sbagliava di grosso. 
Fermamente convinta che qualcuno mi avrebbe sentita, aprii di nuovo la bocca per chiamare aiuto, ma mi uscì solo un verso strozzato perché improvvisamente avevo una pistola puntata contro.

Sapevo che avrebbe sparato e questa consapevolezza soffocò subito tutto il coraggio che avevo raccolto per chiamare aiuto. Chiusi la bocca, mi appoggiai alla macchina dietro di me e strinsi forte gli occhi, cercando di non pensare alla situazione in cui mi ero cacciata, al fatto che ero sola, in balia di un possibile assassino e che avevo una pistola puntata contro. 

Stavo cercando di fare dei respiri profondi e di non andare nel panico, per paura di peggiorare ulteriormente la situazione, quando una voce tagliò il silenzio che aleggiava nell'aria da parecchi minuti.

"Cosa succede qui?"

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Di scatto aprii gli occhi e intravidi una figura ferma alle spalle del mio assalitore. La voce era quella di un ragazzo e capii che era stato lui a parlare, ma se per un secondo avevo sperato che fosse lì per aiutarmi, quella speranza si spense non appena mi resi conto che arrivava dalla stessa casa in cui stavo sbirciando poco prima e che era vestito completamente di nero proprio come l'energumeno che mi aveva aggredita.

"Scusa Boss, era nascosta dietro una finestra"

Boss

Ok, le mie speranze erano appena state completamente distrutte.

"Una spia?"

"Non credo, solo una troppo stupida per capire quando farsi gli affari suoi"

Aspetta aspetta, sbaglio o mi aveva appena definita "stupida"? E perché stavano parlando di me ignorando il fatto che io ero lì presente e che stavo ascoltando tutto?! Se c'era una cosa che proprio non sopportavo era la mancanza di rispetto e non avrei certo lasciato che due ladruncoli da quattro soldi parlassero di me in quel modo, nemmeno se uno di loro aveva una pistola in mano.

"Forse qui quello stupido sei tu, visto che a quanto pare avresti dovuto sorvegliare la casa e invece non sei riuscito a fare nemmeno quello! E tu" aggiunsi rivolta a quello che tra i due era il capo "probabilmente sei ancora più stupido, per aver messo uno così a fare la guardia" dissi indicando l'ammasso di muscoli e niente cervello che stava impalato di fronte a me.

Mentre parlavo mi accorsi che quello che aveva in mano la pistola aveva iniziato a stringerla così forte da avere le nocche bianche. Nel guardare la pistola sentii un brivido corrermi lungo la schiena, ma cercai di fare finta di niente e di nascondere la paura: li avevo appena definiti stupidi, di certo non potevo mettermi a tremare come una foglia subito dopo. 
Ancora una volta la tensione venne tagliata dal "boss", che improvvisamente scoppiò a ridere, facendomi trasalire visto che quella era l'ultima reazione che mi sarei aspettata.

"Ha ragione lei Bull, sei proprio stupido!" Subito tornò serio e aggiunse: "Ora sparisci dalla mia vista e torna a fare il tuo lavoro, se non vuoi ritrovarti con un proiettile in mezzo agli occhi"

Dal tono che aveva usato capii che la minaccia era reale e a quanto pare anche Bull pensava lo stesso, visto che senza esitare si voltò e tornò verso la casa in silenzio, nascondendo nuovamente la pistola nel giubbotto. Non avevo più un'arma puntata contro, ma mi sentivo ancora meno al sicuro ora che ero da sola insieme a uno che aveva appena minacciato di uccidere un suo compagno di rapine... O qualsiasi cosa fossero quei due! Per non parlare del fatto che si era messo a ridere dopo che lo avevo definito stupido! Chi è che reagisce così a un insulto?!

Non appena Bull sparì dentro la casa, il capo puntò di nuovo lo sguardo su di me e in un secondo me lo ritrovai così vicino da sentire il suo respiro sul viso. Finalmente potevo vedere meglio il volto che si nascondeva sotto il cappuccio e mi bastò un'occhiata veloce per trattenere il fiato: aveva uno sguardo talmente freddo e vuoto che capii che avrebbe potuto uccidermi facilmente anche senza una pistola a disposizione. 
Allo stesso tempo, però, quello sguardo terrificante risultava talmente magnetico che non riuscivo più a guardare da nessun'altra parte: essere attratta dallo stronzo pericoloso di turno era una costante della mia vita e sembrava che anche in quell'occasione il mio corpo avrebbe fatto di testa sua, ignorando totalmente il buon senso. 
Notai che aveva anche delle labbra carnose e perfettamente rosee, un piercing al sopracciglio e dei tatuaggi scuri che spuntavano da sotto i vestiti risalendo su per il collo. Mi sembrò di scorgere qualcosa di familiare tra quei disegni, ma non riuscivo a capire dove avessi visto dei tatuaggi simili prima.

Ecco, vedete cosa intendo? Perché stavo fantasticando su quanto fossero sexy i tatuaggi di quel tizio, invece di capire come uscire da quella situazione?!

"Se hai finito di mangiarmi con gli occhi, puoi iniziare a raccontarmi esattamente cos'hai visto lì dentro"

"C-cos..."

"E forse, se sarai brava, potrai fare di più che mangiarmi solo con gli occhi"

Lo aveva detto con un tono di voce così basso che ero riuscita a sentirlo solo grazie al completo silenzio che ci circondava, ma non mi ero persa nemmeno una sillaba. 
Se sarai brava... Ecco di nuovo quell'atteggiamento! Evidentemente il "boss" era abituato a comportarsi come se tutti gli altri fossero inferiori a lui, ma poteva scordarsi di rivolgersi a me in quel modo! Crescendo in una famiglia come la mia era scontato pensare di essere migliore degli altri e anche se da tempo ormai non la pensavo più così, il modo in cui veniamo cresciuti ci resta sempre un po' attaccato. Ecco perché il rispetto era una cosa che pretendevo sempre e comunque!

"Senti un po', tu" gli puntai un dito contro il petto "non so chi pensi di essere, ma sappi che stai parlando con Ione Vaughan e che nessuno, ripeto NESSUNO, si rivolge a me in questo modo! Non mi interessa se i tuoi scagnozzi ti chiamano boss, non puoi trattarmi come un cane o come una qualunque che incontri per strada!"

Nonostante il suo sguardo continuasse a essere freddo e disinteressato, capii che era rimasto stupito dalla mia reazione e mi sembrò di vedere anche un certo interesse, forse per le parole che gli avevo detto o per il fatto che sembravo non aver paura di lui. Ero abituata ad avere a che fare con persone che si mostravano sempre distaccate ed ero diventata molto brava a capire cosa si nascondeva dietro la facciata.

"Ti conviene iniziare a rivolgerti a me come si deve e, se sarai bravo, ti dirò cosa ho visto dentro quella casa"

Lo avevo fissato dritto negli occhi per tutto il tempo e anche lui non aveva mai distolto lo sguardo, nemmeno quando avevo smesso di parlare e su di noi era calato il silenzio. Fin da quando mi si era avvicinato non avevo smesso di guardare dentro a quelle due orbite nere, quegli occhi così profondi e ipnotici che sembravano pronti a ingoiarmi per non lasciarmi andare mai più. 

Alzò leggermente un angolo delle labbra e senza che io me ne rendessi conto mi afferrò i polsi, mi fece voltare di scatto e mi spinse con forza contro la macchina, incurante del fatto che la mia testa rimbalzata contro il finestrino provocandomi una fitta lancinante al collo. Avevo il corpo completamente schiacciato contro la macchina e sentivo tutto il suo peso sulla schiena, mentre i miei polsi erano ben stretti tra le sue mani. Non potevo muovermi e questa consapevolezza mi riempì di paura.

"Ammiro il tuo coraggio e sì, so chi sei miss Ione Vaughan" una risata a malapena trattenuta gli fece vibrare il petto "so anche che tu non hai la minima idea di chi io sia e ho tutta l'intenzione di far restare le cose così come sono. Stai attenta a quello che esce da quella bella bocca però, perché se lo volessi potrei schiacciati come un insetto e tu non saresti in grado di fare assolutamente nulla per fermarmi"

Le sue parole mi spaventarono e mi incuriosirono al tempo stesso. Il buon senso mi diceva di tacere e scappare a gambe levate, ma c'era una parte di me che invece voleva saperne di più su questo ragazzo, scoprire perché pensava di essere così potente da potersi comportare come il padrone del mondo. Inoltre, il fatto che in quel momento ogni parte del suo corpo era premuta contro di me e che le sue labbra continuavano a sfiorare il mio collo, non aiutava per niente.

Mentre pensavo alla posizione in cui ci trovavamo, il suo respiro mi solleticò nuovamente la pelle, provocandomi una scarica di brividi che mi fece venire la pelle d'oca. Lentamente allontanò una mano dai miei polsi e la appoggiò sul mio fianco, fasciato da un vestito che iniziava a sembrarmi fin troppo sottile.

"Sei ancora più bella di quanto ricordassi"

Non riuscii a soffermarmi sul significato di quelle parole, perché mentre le diceva con le dita si stava inflilando sotto il mio vestito, per poi spostarsi leggermente in avanti e iniziare ad accarezzarmi l'interno coscia. Ormai mi teneva i fianchi anche con l'altra mano e questo voleva dire che le mie braccia erano libere di muoversi, ma qualcosa in me mi impediva di sfruttare l'occasione per scappare.
Mentre continuava la sua lenta tortura, mi morse leggermente il lobo dell'orecchio e io mi feci sfuggire un gemito. Non avevo più il controllo sul mio corpo e il mio cervello era andato completamente in tilt, incapace di formulare un pensiero coerente.

"Non so se fai finta di non ricordare o se eri davvero così ubriaca da avere un vuoto totale, ma sappi che poche persone nella mia vita mi hanno tenuto testa come hai fatto tu e per questo motivo so con certezza che ci rivedremo presto"

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