The Eldritch Truth Of A Pearl Slug

di seavsalt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


<È nato! È nato!> Le acclamazioni dei cavalieri e i vagiti del neonato risuonavano mescolandosi per tutte le stanze del castello. Nobili, uomini o donne che fossero, accorrevano da tutte le parti, attraversando un'infinità di corridoi e salendo un egual numero di scale, fino a giungere nell'angusta stanza dove i cavalieri più fidati della regina sorvegliavano sia il piccolo nato che i medici di corte, che lo avevano appena estratto dall'utero della madre. Si trattava d'altronde del figlio della regina stessa, quel primogenito che cercava da anni e che i cavalieri avevano il compito di farle avere, dal momento che la loro signora non aveva un re al proprio fianco. O, almeno, non più. Erano tutti accalcati fuori dalla porta dalla stanza, tenuti a bada dai cavalieri che dovevano impedire che entrassero e disturbassero il lavoro dei medici. La folla si trovava in uno stato di trepidazione, in ansia di conoscere la risposta alla domanda più problematica di tutte: il bambino era un maschietto oppure no? Rimasero con il fiato sospeso quando videro uno dei cavalieri voltarsi verso l'interno della stanza, mentre uno dei dottori si avvicinava al suo orecchio per pronunciargli il fatidico responso. I corridoi e le scale si riempirono di silenzio e di passi non appena, due secondi dopo, lo stesso cavaliere si girò verso la folla per annunciare solennemente, ma con voce leggermente spezzata, che si trattava di una bambina. Ogni singola persona tornò da dove era venuta, compresi i cavalieri; uno di questi, un giovane uomo con indosso un mantello ricoperto di piume di corvo, il più caro e il più fidato della regina, venne fermato da uno dei medici. < Vieni, > gli dissero < la regina ti aspetta >. Ella era distesa su un letto e avvolta in candide coperte di lino: era maestosa e perfetta anche nella condizione in cui si trovava. Il cavaliere si inginocchiò ai suoi piedi, mostrandole un gesto di riverenza a cui ormai era fin troppo abituata. < Corvo > pronunciò con voce ferma, ma flebile < ho un compito per te >. Il cavaliere alzò leggermente la testa, richiusa all'interno di un elmo argentato e ricoperto da innumerevoli ghirigori estremamente sopraffini. < Vostra maestà, eseguirò qualsiasi cosa mi ordinerete di fare >. La regina accennò un sorriso. < Bene. Dunque, non gettare la bambina nella fossa come tutte le sue altre sorelle. Tienila con te. Allevala ed educala come fosse tua figlia e io la accoglierò come nobile alla mia corte >. Il Corvo era in grande confusione a causa della richiesta della propria signora. Si apprestò ad alzarsi, ma prima di congedarsi si azzardò a farle una domanda. < Vostra altezza, ogni vostro desiderio verrà da me esaudito, ma se mi permettete vorrei chiederle il perché di tale ordine, mia signora >. Ella volse lo sguardo fisso nell'elmo del cavaliere, come se avesse potuto attraversare il copricapo metallico e guardarlo negli occhi. Egli fu percorso da un brivido e da una strana sensazione. La regina parlò. < Sanguesmunto >. Sul castello calò di nuovo il silenzio.

 

 

 

"Oh, sì... Il Sanguesmunto... Bene, hai raggiunto il luogo giusto... Yharnam è la sede dell'infusione del sangue. Tu devi solo svelare il suo mistero. Ma da dove può partire chi ignora tutto, come te? Calma. Quando avrai un po' di sangue di Yharnam... Prima, però, dovrai siglare un contratto."

 

 

 

Un freddo da congelare sin nelle ossa fu la prima sensazione che ebbe al proprio risveglio. Il lettino su cui era sdraiata era estremamente rigido e scomodo e quando fece per alzarsi un dolore lancinante le colpì la schiena. Gli occhi dall'iride insolitamente viola ebbero difficoltà a focalizzare ciò che si trovava intorno a lei e ad abituarsi all'illuminazione della stanza. La testa le faceva male e si sentiva come stordita. Ma la cosa peggiore era che aveva completamente perso la memoria. Non aveva la minima idea di dove si trovasse né cosa stesse facendo là. Guardandosi intorno le pareva di essere all'interno di una qualche sorta di clinica tenuta non troppo bene, viste tutte le fiale e le boccette rovesciate e gli strumenti chirurgici ancora sporchi di sangue di chissà quale paziente. E quei vestiti? Erano stati sempre addosso a lei? Il braccio sinistro era avvolto con delle bende e le faceva un po' male. Osservando la flebo non troppo distante da lei giunse alla conclusione che dovesse essersi appena conclusa una trasfusione di sangue nel suo corpo. Ma perché non riusciva a ricordare? Intrecciò una candida mano tra i capelli, lunghi fino alle spalle, ondulati e bianchi, con dei riflessi quasi lilla, per poi massaggiarsi la nuca, mentre l'altra mano si tese a raccogliere un paio di occhiali rotondi posati su un tavolino lì accanto. Probabilmente l'unica cosa che ricordava era che quegli occhiali erano suoi. Anzi, c'era un'altra cosa che sapeva: il proprio nome. < Eira > ripeteva a voce alta mentre continuava a massaggiarsi la testa. < Il mio nome è Eira. Questo lo so >. Con fatica si diresse verso una grande porta di legno non troppo massiccio e la aprì lentamente. La luce arancione del sole che penetrava attraverso una finestra situata in alto, davanti a lei, le colpì gli occhi, stordendola ulteriormente. A malapena riuscì a scendere una rampa di scale, che la portò al piano inferiore. Non sapeva dove stesse andando, ma sentiva che dovesse proseguire da quella parte, senza conoscerne il reale motivo. Poi, di colpo, il sangue le si congelò nelle vene. Ciò che aveva davanti era uno degli spettacoli più raccapriccianti che avesse mai visto. Non che ricordasse diversamente. Gli occhi della giovane ragazza erano fissi su di un lupo enorme, dal pelo folto e nero, che divorava con le sue grandissime fauci un pover'uomo. Non avrebbe dovuto muoversi, lo sapeva. Ma il suo istinto la portò a fare l'opposto. Non poté fare a meno di avvicinarsi di soppiatto dietro di lui, per poi affondare la mano destra nelle sue carni, come se fosse stata una lancia. Guardava il corpo ormai morto del lupo cadere straziato a terra, mentre del sangue le finiva inevitabilmente addosso, macchiandole una guancia e parte dei suoi vestiti. Ansimò affannosamente senza sapere come avesse fatto. Teneva la mano distante da sé. Non conosceva più neanche se stessa. Andò avanti, piano, calpestando una pozza di sangue, e in lontananza vide una porta che sembrava dare sull'esterno. Voleva uscire. Quel posto le metteva i brividi e il non sapere perché lei stessa fosse dentro di esso la tormentava ancora di più. Arrivò davanti alla porta, che spalancò senza pensarci due volte. Fuori, attraversò un giardino che pareva più un cimitero, tante erano le tombe conficcate a terra, e davanti a lei si stagliò un enorme cancello di ferro. Era pesante, ma questo non bastò a fermarla dall'aprirlo, sebbene avesse dovuto impiegare una grande forza per farlo. All'improvviso una sferzata di vento freddo le attraversò il corpo e si ritrovò a tremare. Davanti ai propri occhi il paesaggio di una grande città dagli alti palazzi veniva illuminata dalla calda luce di un sole prossimo al tramonto, anche se quei raggi non scaldavano affatto le sue membra infreddolite. Semplicemente voltandosi a destra poteva vedere un via vai di poveri cittadini che trascinavano carrette, o che portavano dei sacchi in spalla. Non sapeva se essere contenta nel vedere degli esseri umani: chiunque le passava accanto la guardava di sottecchi e poteva sentirli dire, sottovoce: < Vattene, straniera >. In mezzo a quelle strade Eira si sentiva persa, confusa, non accettata: si sentiva davvero una straniera. Tutto intorno a lei cominciò a girare vorticosamente e non ci volle molto prima che il proprio corpo cedesse, cadendo a terra privo di sensi, sotto gli occhi disgustati degli abitanti. Mentre sui propri occhi calava un velo nero, sentì una voce calma e rassicurante dire qualcosa, senza sapere né di chi fosse, né da dove provenisse, né cosa intendesse dire. Quella frase continuò a ripetersi nella sua mente negli attimi in cui stava perdendo i sensi e la percezione di dove si trovasse.

 

"Ah, vi siete trovati un cacciatore..."

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il suolo non era scomodo, forse un po' ruvido, ma di sicuro non era freddo come si aspettava. Si sollevò da terra con fatica facendo leva con le braccia e la prima cosa che riuscì a distinguere fu la nebbia, una densa foschia che la avvolgeva trasmettendole una sensazione di calore. Prima che potesse anche solo muovere un dito essa si diradò con la stessa velocità con cui era comparsa. Quello che si parò davanti ai suoi occhi fu tutt'altra cosa. La città inospitale lasciò posto a un luogo completamente accogliente, ricco di gigli bianchi che fiorivano da ogni parte e su cui si stagliava, in cima a una collinetta, un edificio in legno. Le sue guglie, la cui altezza veniva raggiunta solo da arbusti molto probabilmente secolari, spiccavano gloriosamente su un cielo quasi surreale. E proprio lì, in mezzo alla volta celeste, la luna splendeva di una luce abbagliante. Eira pensò che quella luna fosse proprio strana, le sembrava così diversa dal resto del paesaggio da apparirle come se stesse per staccarsi dal cosmo da un momento all'altro. Il satellite era ciò che rendeva quel luogo inquietante; questo, e anche il fatto che tutto ciò che la circondava non poggiava su nulla, o almeno quella era l'impressione che le dava. Guardando l'orizzonte, infatti, non vi erano che chilometri e chilometri di fitta nebbia sormontata dal cielo inaspettatamente azzurro e interrotta ogni tanto da pilastri grigi che spuntavano da chissà dove. Vedeva dei piccoli esserini bianchi, impossibili da descrivere per quanto erano mostruosi e dolci allo stesso tempo, che spuntavano da alcune vasche e anche dal terreno, ed ebbe la sensazione che l'avessero guidata dal momento in cui aveva messo piede nella clinica dopo il proprio risveglio. E poi vide le lapidi; le lapidi erano ovunque. Per un momento credette di essere morta e di trovarsi all'altro mondo, fin quando non sentì una voce provenire dalle proprie spalle, una voce che credeva di aver già sentito da qualche altra parte; ma aveva perso la memoria e non avrebbe saputo dirlo con certezza.

"Salve, buona cacciatrice".

Eira si voltò di scatto e la figura di una donna, alta, vestita con degli abiti molto graziosi, le sorrideva con aria calma e paziente. La sua carnagione era pallida, fin troppo effettivamente, le ciocche che spuntavano da una graziosa cuffietta erano di un biondo chiarissimo, quasi bianco, mentre le palpebre sbattevano in modo innaturale sugli occhi di un azzurro limpidissimo. Fu soltanto osservando meglio che lo notò; le sue dita erano come quelle di una bambola. Cercò di parlarle, ma dalla bocca non le uscì nemmeno un filo di voce e la giovane donna continuò a parlare, immobile, con lo stesso sorriso.

"Sono un automa, veglierò su di te in sogno".

La ragazza sentì il cuore fermarsi. Un sogno. Tutto questo era un sogno. Magari era già morta, tra le strade di quella città, e sognava negli ultimi attimi della propria vita. I sogni hanno un grande potere, sì, questo lo sapeva. Qualcosa riaffiorò nella propria mente, delle parole, indistinte, indecifrabili, misteriose. Come il sogno in cui si ritrovava.

"Nobile cacciatrice, caccerai belve selvagge... E io sarò qui per te... A rinfrancare il tuo spirito malsano".

Non era una cacciatrice. Non aveva mai cacciato belve. Questo era ciò che la mente le diceva, ma la propria memoria era inaffidabile. E se il sogno le stesse rivelando dettagli dei suoi ricordi perduti? E se quell'automa fosse la propria coscienza? Eira era una cacciatrice, da quel momento. Lo aveva detto l'automa e lei le credeva, senza sapere il perché. Non sapeva nemmeno di cosa stesse parlando. L'odore del sangue le riempiva il naso, ma non le diede fastidio, anzi. Quel sangue caldo, quello del lupo che aveva ucciso a mani nude, stava così bene sulla propria pelle. Finalmente una tiepida sensazione di benessere. L'automa reclinò la testa da un lato.

”Hai parlato con Gehrman? Egli è stato un cacciatore, tempo fa, ma ora è un semplice consigliere. Egli è oscuro, invisibile nel regno dei sogni. Eppure egli è qui, in questo sogno... questo è il suo scopo"

le disse, guardando oltre le sue spalle, in direzione dell'edificio. Eira era curiosa, impaziente di parlare con il cacciatore che l'automa le aveva indicato, non solo perché significava un'altra presenza di vita all'interno del proprio sogno, il che lo rendeva ancora più surreale, ma perché quel nome le era stranamente familiare. Se i ricordi stavano tornando a poco a poco, sentiva che quello era il posto giusto per ritrovarli tutti, uno ad uno. Stava per fare un passo verso la grande struttura di legno, quando sentì uno strano calore avvolgerle il corpo e il paesaggio cominciò a farsi più lontano e indistinguibile, sfocato. Si voltò in direzione dell'automa tentando di raggiungerla, mentre diventava un tutt'uno con la nebbia, cercando di aggrapparsi all'unica figura di cui si fidasse in quel momento, ma lei non fece un passo, né cancellò il dolce sorriso dalle proprie labbra, che in quel momento si socchiusero per far uscire delle parole che tolsero ogni preoccupazione alla cacciatrice. Dopotutto, la voce della bambola la faceva sentire a casa. Il sogno era la sua casa, ora.

"Addio, buona cacciatrice. Che tu possa trovare la via nel mondo della veglia".

Il luogo del suo successivo risveglio era molto più comodo del precedente. Si trovava di nuovo su un letto, ma stavolta era un giaciglio morbido e caldo. Si mise seduta, mentre si guardava intorno e notava che aveva gli stessi vestiti macchiati di sangue addosso. Ma, passandosi una mano sulla faccia, si rese presto conto che quest'ultima era pulita. Non le servì molto tempo per capire che non aveva sognato. O almeno, non aveva sognato il proprio risveglio nella clinica, ma gli esserini bianchi e l'automa sì, li aveva sognati, ne era certa, ed era grata alla propria memoria per non averli dimenticati. D'altro canto, non era nemmeno morta. Si trovava in una piccola camera da letto molto spartana, eppure accogliente nella propria semplicità. Non sapeva se avrebbe voluto davvero alzarsi e scoprire cosa ci sarebbe stato oltre la porta della stanza, ma non ebbe il tempo di pensare che proprio quest'ultima si spalancò. Eira si agitò nel vedere una mano avvolta da un guanto bianco aggrappata alla maniglia e il tempo sembrò scorrere più lentamente mentre una figura vestita con una divisa blu avanzava all'interno della stanza. Dall'uscio fece capolino il volto di un uomo dai capelli biondi e lunghi fino alle spalle, il quale sgranò gli occhi sorpreso, rimanendo così per una manciata di secondi, lasciando Eira con il fiato sospeso. L'uomo si arrotolò i baffi biondi tra le dita guantate, pensieroso. < Beh, sono felice di vedere che sei viva, straniera > le disse con voce decisa, accennando un sorriso e avvicinandosi di più a lei. La giovane era terrorizzata, come se non sapesse più come approcciarsi a un'altra persona. < Chi sei? > fu l'unica cosa che riuscì a dire, mentre si copriva inutilmente con le lenzuola del letto, quasi nella vana speranza che la potessero difendere. Almeno la voce le era tornata, pensò. L'uomo ridacchiò divertito e fece un mezzo inchino prima di presentarsi. < Cielo, dove sono finite le mie buone maniere! Valtr. Incantato >. Eira non si fidava. Non percepiva la stessa sensazione che aveva avuto con l'automa e si ricordò anche degli sguardi scettici e di disgusto dei popolani della città. < Non mi sembra che gli stranieri qui siano trattati con tutto questo riguardo > sentenziò, senza preoccuparsi del fatto che l'uomo avrebbe potuto accanirsi su di lei in qualsiasi momento. Valtr alzò un sopracciglio, ma le sue labbra si curvarono in un sorrisetto quasi ironico. < E se ti dicessi che sono uno straniero anche io? > La ragazza rimase visibilmente senza parole e in imbarazzo, e si maledì per aver avuto un tale coraggio nel fare delle accuse senza delle basi certe. Diresse lo sguardo da un'altra parte, per evitare gli occhi azzurri dell'altro che la guardavano divertiti, e bofonchiò qualche scusa. < Eira... è il mio nome >. Valtr assunse un'espressione più rilassata nel sentire le parole della giovane. < È un bel nome. Dunque, Eira... cosa ci facevi accasciata per le strade di Yharnam? Non è proprio il posto migliore per riposarsi, sai. Soprattutto se sei una straniera >. Eira capì che Yharnam era il nome della città in cui si trovava, un nome che, al contrario di altre cose, non le risultava familiare. Guardò l'uomo, ancora più imbarazzata, da dietro le lenzuola, che ormai erano arrivate a coprirle anche metà del viso. < Io... Non lo so, in realtà. Devo essere svenuta dopo essere uscita da quella clinica >. Valtr si fece improvvisamente più serio. < Clinica... Intendi quella di Iosefka? > La ragazza scosse la testa. < Non lo so, forse? Mi sono risvegliata in un letto di questa clinica, senza alcuna memoria di cosa ci facessi lì. Non ricordo nulla che sia precedente al mio risveglio, in realtà... > L'uomo si avvicinò e si mise seduto sul ciglio del letto, mentre nel suo volto si poteva vedere un velo di preoccupazione. < Capisco... Quando ti ho, sai, raccolta dalla strada ho notato il tuo braccio sinistro. Hai fatto una trasfusione? > le disse, con un tono un po' più rilassato. < Sì, o almeno credo... > Eira non sapeva se avrebbe dovuto davvero dirgli le poche cose che sapeva sulla propria confusa esistenza, ma Valtr sembrava avere una genuina preoccupazione verso i suoi confronti. Magari l'avrebbe aiutata. < Perché ti interessa saperlo, comunque? > L'altro la guardò sorridendo. < Beh, voglio aiutarti. Quindi, se hai perso la memoria, immagino che tu non abbia nemmeno un posto dove stare, giusto? > Nel cuore della ragazza si accese un barlume di speranza. Valtr probabilmente non era una cattiva persona. < Giusto, ma- > non fece in tempo a finire la frase che l'uomo si alzò di scatto, mentre il suo volto si accese di pura gioia. < Ottimo! Allora ti permetterò di rimanere qui, ma a una condizione > esclamò sorridente. Eira aggrottò confusa la fronte. < Quale sarebbe? > Valtr ridacchiò felice, prima di riprendere a parlare. < Sei una cacciatrice, no? > A quella domanda non sapeva come rispondere in modo corretto. Gli avrebbe detto sia sì che no, visto quello che aveva appreso nel sogno, ma non voleva tirare fuori l'argomento. Quello del sogno era un segreto che avrebbe tenuto per sé, e per lei sola. Si limitò ad annuire scuotendo la testa. Ora gli occhi azzurri di Valtr risplendevano di orgoglio e il suo sorriso andava da un orecchio all'altro. < Allora unisciti al mio gruppo di cacciatori. Cacciamo le belve aiutandoci a vicenda, liberiamo la città dall'orribile piaga che la sopprime e dai parassiti che minacciano la popolazione. Molti di noi sono stranieri e così dimostriamo alla gente di Yharnam che non siamo malvagi, che non nascondiamo nulla, che in fondo possono riuscire ad accettarci. Magari riuscirai anche a ricordare qualcosa sul perché sei qui >. Lo guardò con ammirazione, pensando che non aveva torto. E poi, se sarebbe dovuta restare lì ancora per molto, tanto valeva farsi degli alleati. < Allora, che ne dici? > Valtr le tese la mano sinistra avvolta dal guanto bianco. Eira non sapeva che genere di piaga affliggesse la città di Yharnam, né a cosa servissero dei cacciatori, ma avrebbe eliminato qualsiasi ostacolo che le avesse impedito la strada verso il recupero della propria memoria. Ormai non aveva nulla da perdere. Sorrise e con forza afferrò la sua mano.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Il pavimento in legno del corridoio scricchiolava ad ogni passo che facevano. Eira si guardava intorno curiosa, ma non c'era molto da vedere: solo un numero indefinito di porte su entrambi i lati, tra cui anche la porta della stanza in cui lei stessa si era svegliata pochi minuti prima. Valtr la precedeva e la guidava lungo il corridoio, ma per camminare si reggeva ad un bastone che Eira era sicura di non aver visto quando lo aveva incontrato poco prima. Arrivarono a una rampa di scale, anch'essa in legno, che procedeva verso il basso e poi girava a destra. Valtr si voltò verso di lei all'improvviso, bloccandole il passaggio. < Aspetta qui > le disse, prima di scendere le scale e scomparire dietro un muro che le impediva di vedere cosa ci fosse oltre. Eira non poté che fare come l'uomo le aveva detto, non sapendo cosa pensare di lui né di tutta quell'assurda faccenda. La bionda testa di Valtr rispuntò dal muro, mentre la sua mano destra veniva agitata verso di lei per dirle che poteva proseguire. Le prime cose che Eira sentì non appena ebbe sceso qualche gradino furono l'odore pungente di tabacco, il brusio di persone che chiacchieravano tra loro e la dolce melodia di un pianoforte. Le scale lasciavano spazio a una sorta di terrazzino interno che dava sul piano terra, al quale si accedeva tramite un'altra rampa di scale. Eira si aggrappò al corrimano del terrazzino e guardò sotto di sé. Il piano inferiore era costituito da un enorme salone al cui centro si trovava un grande tavolo e intorno ad esso alcune persone, tutte vestite in modo diverso e particolare, stavano conversando. A un lato della stanza un uomo sedeva e suonava un bellissimo pianoforte con trasporto. Valtr, accanto ad Eira, sbatté il bastone a terra due o tre volte prima di attirare l'attenzione dei presenti, che subito interruppero ciò che stavano facendo - compreso il musicista – per guardare verso l'alto. La ragazza si voltò in direzione di Valtr, che, dopo aver inspirato con forza, cominciò a parlare con un tono decisamente alto. < Cacciatori! Dopo molto tempo un nuovo membro è entrato a far parte della nostra amata Lega. Accogliamo calorosamente la cacciatrice Eira! > declamò rivolgendo le proprie mani verso di lei. Eira percepì di avere mille occhi puntati addosso, che la squadravano da capo a piedi, e sentì i cacciatori bisbigliare tra loro. Aveva paura del loro giudizio. Valtr era stato gentile con lei e l'aveva accettata per come era, ma lo avrebbero fatto anche gli altri membri? I suoi pensieri negativi si fermarono non appena vide che ognuno di essi fece un breve inchino, per poi tendere il braccio destro in aria, la mano chiusa in un pugno, in un evidente segno di fedeltà. Anche Valtr eseguì lo stesso gesto, ma a differenza degli altri le dita della mano erano avvolte intorno al manico del bastone di legno con cui poco prima si reggeva per camminare. < Con questo gesto di lealtà promettete solennemente di accettare nel migliore dei modi il nuovo membro qui presente nella confederazione e di assicurarvi che riceva sostegno e aiuto nel momento del bisogno >. L'uomo si voltò poi in direzione di Eira, senza scomporsi di un millimetro, guardandola con espressione severa, ma gentile allo stesso tempo. < Tu, Eira, giuri lo stesso per i tuoi nuovi compagni e prometti di contribuire nell'eliminazione delle impurità a cui la città di Yharnam soccombe? > La giovane si guardò attorno, agitata, per poi decidere di alzare il braccio destro in aria compiendo lo stesso gesto di devozione che ogni persona in quella stanza sembrava essere troppo abituata a fare. < Lo giuro > aggiunse, con voce flebile. Valtr accennò un sorriso e si rivolse nuovamente ai cacciatori sotto di lui. < Per la Lega! > urlò, seguito da un coro delle medesime parole che gli altri confederati pronunciarono all'unisono. Eira non capiva se si fosse ritrovata in un gruppo di pazzi fanatici, ma quando Valtr si avvicinò a lei sussurrandole < Per fortuna mi ricordo ancora come si fa tutta questa roba >, pensò subito che poteva stare tranquilla, ridendo. < Perché non scendi e cominci a conoscere un po' di gente? Io intanto vado a prendere da bere. Bisogna festeggiare! > La ragazza decise che non era una cattiva idea e scese al piano terra, guardandosi intorno per cercare di apparire il più disinvolta possibile. Per fortuna qualcuno si avvicinò a lei prima che potesse anche solo pensare a come cominciare una conversazione con persone che non conosceva. Era un uomo alto più o meno quanto lei, dalla carnagione abbastanza scura e dalle rughe visibili, ma non marcate. I suoi capelli erano mossi, quasi riccioli, di un marrone non troppo chiaro, mentre gli occhi erano del colore del miele. < Ehilà! Eira, giusto? > La giovane cacciatrice sorrise in un leggero imbarazzo, scuotendo la testa per annuire. < Piacere, io sono Henryk >. Eira gli strinse la mano, mentre, guardandolo meglio, notava che si trattava dell'uomo che poco prima stava suonando il pianoforte in modo impeccabile. Probabilmente Henryk si rese conto che l'aveva riconosciuto, poiché subito dopo le disse ridendo: < Sì, quello che suonava il pianoforte >. < Già, ti ho visto, prima. Sei molto bravo >. L'uomo si grattò la nuca, ridacchiando imbarazzato. < Mi stupisco che tu sia riuscita a sentire il suono del pianoforte con tutta quella confusione. Comunque, non ti ho mai vista qua in giro. Sei di fuori? > Si aspettava che quella domanda sarebbe arrivata, prima o poi, ma non aveva paura di rispondervi, non dopo ciò che le aveva detto Valtr. < Sì, sono straniera. Anche tu? > Henryk annuì, senza smettere di sorridere. Il suo sorriso era come quello di Valtr, le trasmetteva una gioia sincera. < Esattamente. Anche se ormai vivo da così tanto tempo qui che non so più se considerarmi uno straniero o meno. Sono passati troppi anni da quando mi hanno cacciato di casa, eh sì >. Eira voleva sapere di più, ma non era il caso di mettersi a chiedere cose tanto personali a qualcuno di cui sapeva a malapena il nome. In cuor suo sperava di poter riuscire a ricordare qual era la sua casa, la sua vera casa. < Capisco > fu l'unica parola che riuscì a dire mentre guardava a terra. Di nuovo per sua fortuna Henryk salvò la situazione cambiando repentinamente argomento. Doveva essere dura anche per lui, pensò. < Aspetta, ti presento un altro membro. Gascoigne! Vieni qui! > urlò a gran voce il castano, chiamando il proprio compagno. Subito dal gruppo di cacciatori presente nella stanza si separò un uomo alto e robusto, dai capelli bianchi e lunghi fino al collo, coperti sulla nuca da un fedora nero, una sciarpa ricamata gli avvolgeva il collo. La sua stazza poteva incutere timore, ma ciò che aveva di più strano e inquietante erano le bende di lana bianca che gli oscuravano del tutto gli occhi. Eira non riusciva a credere nemmeno che ci vedesse, eppure si sentiva scrutata dalle pupille che, forse, si trovavano dietro gli strati di tessuto che gli fasciavano praticamente metà viso, tanto erano larghi. Il suo respiro era pesante e la povera ragazza non riusciva a dire una parola. Tutto d'un tratto le giunse alle narici un odore forte, aspro, ma dolce allo stesso tempo. Era un odore che Eira stessa aveva addosso fino a poco tempo fa: era l'odore del sangue. Non sapeva dire se fosse un sangue umano o meno, ma di certo proveniva dal colosso che le stava davanti. Era tentata di tapparsi il naso con una mano, non perché le desse fastidio, più per frenare degli impulsi che nemmeno credeva di avere. Henryk la distolse dai suoi pensieri. < Lui è Gascoigne. Non è di molte parole, ma è un brav'uomo >. Eira voleva credere ad Henryk, ma per quanto si sforzasse non ci riusciva. Allontanò lo sguardo, indirizzandolo verso il gruppo di cacciatori che stava accogliendo Valtr, tornato da poco con delle fiasche di vino in mano. < Quelli chi sono? > < Il resto dei membri, anche se manca qualcuno. Il biondo è Alfred > disse indicando un giovane uomo con un mantello bianco. < Faceva parte del gruppo dei carnefici, sottoposti diretti della Chiesa della Cura, prima che lo stesso fosse sciolto >. Eira sapeva della Chiesa della Cura. Valtr le aveva detto qualcosa a proposito mentre stavano attraversando il corridoio poco tempo prima. < Quello accanto, con il copricapo appariscente, è Brador > continuò, passando ad indicare un uomo la cui testa era completamente avvolta da un manto di pelliccia bianca, sormontata da un paio di corna, che le impediva di vedergli gli occhi. < Nessuno conosce bene da dove venga o cosa facesse prima di venire qua >. Henryk si avvicinò ad Eira, abbassando la voce. < È un po' strano >. Ormai la ragazza non si sorprendeva neanche più. < Infine c'è Djura. È il più anziano della Lega, ma se proprio devo dirti la verità è messo meglio di me! > aggiunse, scherzando. Anche l'uomo in questione aveva una benda bianca che gli copriva però solo l'occhio destro. Eira pensò ironicamente che fosse un tratto comune dei membri della Lega e per un attimo si chiese se non stesse ancora sognando, ma Valtr la riportò alla realtà dei fatti, urlando in modo molto poco ortodosso. < Eira! Unisciti a noi, dai! > La ragazza non si fidava ancora del tutto, ma non credeva che bere un po' con loro l'avrebbe uccisa. Più tardi Henryk tornò a suonare il pianoforte, mentre molti dei cacciatori si ritirarono nelle loro stanze per riposare. Eira guardò fuori dalla finestra: il sole era ancora abbastanza alto. Le si avvicinò Valtr, come se l'avesse letta nel pensiero. < A Yharnam si caccia di notte e si dorme di giorno >. La ragazza lo guardò, chiaramente confusa. < Non guardarmi in quel modo, è che prima di un certo orario le belve non compaiono. Non l'ho deciso io. Anzi, perché non esci a farti un giro ora che c'è luce? > Eira annuì, un'idea che rientrava esattamente nei suoi piani. Voleva tornare alla clinica in cui si era svegliata, magari avrebbe trovato qualche indizio in più sulla perdita della propria memoria. < Vieni, ho qualcosa da darti > disse all'improvviso Valtr, prendendola per mano e trascinandola nuovamente su per le scale, mentre nell'altra mano teneva ancora il bastone. Tornarono nella stanza in cui Eira si era svegliata non molto tempo prima, quella che da quel giorno in poi sarebbe stata la sua camera da letto, e l'uomo aprì un armadio che aveva l'aria di essere rimasto chiuso per molti anni, vista la nuvola di polvere che si sollevò all'apertura delle ante. < Ecco, è un po' impolverato, ma per te andrà bene > disse tra un colpo di tosse e un altro, tirando fuori dei vestiti. Si trattava di un paio guanti, un cappello e un cappotto di pelle nera, sotto al quale avrebbe dovuto indossare una camicia bianca, dei pantaloni scuri e degli stivali ai piedi. < È una tenuta da cacciatore piuttosto standard, protegge abbastanza bene da qualsiasi attacco di belva. Te la regalo, non puoi di certo girare per Yharnam con quegli abiti da straniera, e per di più insanguinati >. Eira lo ringraziò: trovava che i suoi abiti nuovi fossero davvero belli. Nel frattempo Valtr si era messo a rovistare di nuovo nell'armadio, tirando fuori quella che pareva una spada d'argento. < Dimenticavo, questa è tua >. La ragazza aggrottò le sopracciglia. < Mia? > < Non è così? Te l'ho trovata addosso quando ti ho portata qui... > Eira non capiva come fosse possibile, giurava di non aver avuto alcuna arma in quel momento, né di averla raccolta. Se avesse avuto una spada certamente non si sarebbe messa ad attaccare il lupo a mani nude, no? Poteva essere un altro scherzo tiratole dalla sua frammentata memoria? Valtr scrollò le spalle. < Oh, beh. Visto che comunque non hai di che difenderti, questa ora è tua. Detto questo, ti lascio libertà di girare quanto vuoi per Yharnam, ma vedi di tornare qui entro l'alba, d'accordo? > Eira annuì e si vestì non appena Valtr se ne andò dalla sua stanza, il quale farfugliò qualcosa sul sentirsi come un padre con la propria figlia. In men che non si dica Eira stava già camminando per le fredde strade della cittadina in cui si era trovata quasi per caso. Aveva alzato anche la mascherina, che faceva parte della sua tenuta da cacciatrice, a coprirle la bocca, e sotto il cappello decisamente particolare, ma elegante, si vedevano a malapena gli occhi viola attraverso le lenti dei suoi occhiali. La spada pendeva da un lato del cappotto, oscillando sicura nel fodero, mentre gli stivali producevano rumore ad ogni passo sul lastricato bagnato di pioggia. Eira si guardava intorno, tra palazzi in stile neogotico e statuette raffiguranti gargoyles, mentre i lampioni erano ancora spenti, i popolani raccoglievano le loro cose e si dirigevano nelle loro case, in vista della notte, durante la quale la presenza delle belve impediva loro di uscire. Per fortuna l'edificio in cui la Lega aveva sede non era molto lontano dalla clinica. Camminando in quella direzione, la sua attenzione fu attirata da alcuni forti colpi di tosse che provenivano da una casa lì vicino. Per curiosità, provò a sbirciare dalla finestra, ma non si sarebbe mai immaginata che l'uomo dentro di essa le parlasse, al posto di rimproverarla bruscamente una volta scoperta in atto di sbirciare dalla sua finestra. < Tu devi essere una cacciatrice > disse con voce flebile, tossendo invece con forza smisurata, < e straniera, per giunta. Io sono Gilbert, vengo da fuori come te >. Eira gli rispose, sorpresa dalla sua gentilezza. < Hai indovinato. Eira, molto piacere >. L'uomo tossì di nuovo dall'altra parte del vetro che li separava e che impediva ad Eira di scorgere le sue fattezze, tanto era opaco. < Non dev'essere stata facile per te, Yharnam non vede di buon'occhio gli stranieri >. La ragazza sorrise appena, colpita da tanta dolcezza. < Oh, in realtà ho avuto molta fortuna. Diciamo che sono stata trovata dalle persone giuste >. < Capisco, è una buona notizia. Comunque, non credo di poter fare molto, ma ti aiuterò in ogni modo possibile se mai ne avrai bisogno >. Gilbert tossì di nuovo, ma stavolta con meno forza. < Ti ringrazio, sei davvero molto gentile. Farò in modo di tenere lontane le belve da casa tua > rispose la giovane, premurosa, nel tentativo di ricambiare il gentile gesto dell'uomo. < Fa' attenzione >. Eira fece per andarsene, ma non appena diede la schiena alla finestra sentì delle parole che le fecero raggelare il sangue nelle vene, pronunciate come un sussurro dall'uomo dentro l'abitazione. < Questa città è maledetta >. Qualunque cosa Gilbert avesse compreso di tanto inquietante riguardo a Yharnam, Eira non voleva saperlo. Ignorò semplicemente le sue parole, dimenticandole. Forse non avrebbe dovuto farlo. Scese da una scala a pioli che si trovava accanto alla casa di Gilbert, abbandonando il piano sopraelevato della città, giungendo finalmente nei pressi della clinica. Oltrepassò nuovamente l'enorme cancello di ferro che conduceva al giardino antecedente l'ingresso vero e proprio della clinica, ma non le fu permesso di compiere neanche un passo in avanti che sentì qualcosa di freddo sul collo. Cercò di girare gli occhi il più possibile per capire cosa stesse facendo pressione sulla sua carotide, mentre la mano destra scivolava lentamente verso l'elsa della spada. < Non ti muovere > la avvertì una voce maschile proprio dietro di lei. Sul collo aveva puntata una lama.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Eira camminava senza sapere dove si stesse dirigendo, la lama a farle pressione sul collo, le proprie braccia come paralizzate. Non si poteva voltare per vedere chiunque la stesse minacciando in quel modo, ma avrebbe tanto voluto essere in grado di tirargli un calcio dritto sui denti. Avevano passato numerose strade ormai, così tante che la ragazza pensò ormai di non poter più trovare la strada di ritorno. Se fosse riuscita a fuggire, ovviamente. Salirono una scalinata enorme, quasi infinita, costellata sui lati da statue inquietanti in atteggiamento di preghiera e da recipienti appesi ai muri degli edifici che dondolavano nel vento, emanando dal loro interno un forte odore di incenso. Attraversarono un cancello di ferro gigantesco, molto più grande di quello della clinica, e si diressero verso una stretta via che andava verso il basso, dove la città appariva buia anche quando il sole splendeva ancora nel cielo. Si sentivano voci, urla, si calpestavano vetri di bottiglie ormai sfracellate al suolo; si trattava di un quartiere decisamente diverso da quello in cui la Lega aveva la propria sede. L'uomo che la guidava le disse di scendere alcune scale poco più avanti, in fondo alle quali si trovava una porta bassa e stretta. < Aprila > le intimò, mentre Eira non poteva fare altro che obbedirgli. Quello che si trovò davanti una volta che ebbe varcato la soglia non era esattamente ciò che si aspettava: si trovava in una piccola stanza interrata, illuminata da svariate candele e in mezzo alla quale vi era un piccolo tavolo rotondo di legno con delle sedie. Da un lato vide quella che sembrava una cucina, mentre dall'altro vi era un sofà sul quale poggiava una coperta. Tutto aveva un'aria inaspettatamente accogliente, anche se dava l'impressione di essere un ambiente povero. L'uomo le passò accanto, permettendole così di vederlo in volto e nella sua interezza: indossava un lungo cappotto grigio, che le pareva molto vissuto, dal momento che in più parti era come strappato o comunque rovinato, e da un fianco gli pendevano dei piccoli sacchetti. Sulle gambe e sulle braccia aveva delle fasciature, ai piedi portava una sorta di sandali aperti. Un cappuccio era tirato sopra la testa, a coprirla, mentre aveva gli occhi fasciati con delle bende che gli coprivano praticamente metà volto, quasi più di quanto coprissero le bende che aveva Gascoigne. A differenza di quest'ultimo, però, l'uomo che aveva davanti non le incuteva alcun timore né la inquietava, sebbene pochi secondi prima l'avesse trascinata lì con la forza, puntandole una lama affilata al collo; lama che, ora, teneva in una mano, mentre Eira notava che era ricurva e decisamente insolita, completamente diversa dalla propria arma. Sull'unica porzione di volto visibile aveva una barba incolta e baffi neri. < Chi sei? Cosa vuoi da me? > gli chiese Eira togliendosi la mascherina, ormai non più troppo spaventata come lo era poco tempo prima. L'uomo si diresse verso uno scaffale e prese un barattolo, dopo aver poggiato la lama sul tavolo. < Vuoi un tè? > le chiese subito dopo, senza rispondere alle domande. La ragazza lo guardò stupefatta, ma prima che potesse aprir bocca l'uomo riprese a parlare. < Non t'interessa, vero? > disse con un tono quasi scoraggiato, mentre si sedeva al tavolo. < Sono Simon. Mi scuso per averti minacciata per farti venire fin qui, ma di solito la gente non mi crede quando mi avvicino con buone intenzioni >. Eira lo fissava interdetta. Valtr le sembrava un po' strano, ma Simon lo superava senza alcun dubbio. < Potevi chiedermelo, sai... > obiettò ragionevolmente la ragazza, ma sempre con i sensi all'erta. L'uomo scrollò le spalle. < Comunque ho dovuto fare attenzione che non ci seguisse nessuno >. La sua ultima affermazione lo rendeva ancora più sospetto di quanto già non fosse. < Perché? Sei una sorta di ricercato? > chiese la cacciatrice con curiosità, senza preoccuparsi del fatto che non lo conosceva minimamente e tutta quella confidenza forse era sbagliata. Simon, nuovamente, non rispose alle sue domande, anzi, ne fece una a lei. < Sei un membro della Lega? > Eira non sapeva se rispondergli con sincerità, ma il suo esitare aveva fatto intendere all'uomo di fronte a lei la risposta. L'aveva messa in difficoltà e per questo motivo la giovane diffidava di lui un po' di più. < Immaginavo. Dopotutto sei una forestiera... giusto, Eira? > La ragazza sobbalzò al sentir pronunciare il proprio nome, ricordando bene di non averglielo mai detto. < Come fai a sapere tutte queste cose di me? > chiese in fretta, senza pensare che probabilmente Simon, ancora una volta, non le avrebbe risposto. Adesso aveva di nuovo paura e delle gocce di sudore cominciavano a imperlarle la fronte. < Questo non è importante. Ciò che importa è che tu faccia attenzione alla Lega >. Eira era sempre più confusa, ma non sembrava che Simon stesse mentendo o stesse provando a ingannarla. < Dico sul serio. Ti ho fatta venire qui per dirti che voglio aiutarti. Non vuoi che la tua memoria torni? Non vuoi sapere la verità? > Lui sapeva qualcosa. Aveva la conoscenza che lei cercava. Anche se fosse stato un briciolo di essa, sarebbe stato comunque importante. Il cuore le batteva così forte da uscire quasi dal proprio petto. < Ti prego, dimmi quello che sai! > lo implorò la cacciatrice agitata. Simon scosse la testa. < Prima devi credermi. Non parlare a nessuno di me. Non devono sapere che sono qui, né che ci siamo parlati. Me lo prometti, Eira? > La giovane doveva credergli. Simon le avrebbe quasi sicuramente dato le risposte che cercava. Non c'era tempo di domandarsi il perché di tutto ciò che le aveva raccomandato, avrebbe fatto come diceva. Finché c'era speranza per lei di recuperare la memoria, lo avrebbe seguito anche in capo al mondo. Forse era un giudizio troppo affrettato, eppure Eira sentiva che in lui c'era ciò che gli altri non avevano: la conoscenza, la verità. Quelle parole significavano molto per lei, anche se non capiva bene perché. < Te lo prometto. Non dirò a nessuno di te >. Simon accennò un sorriso, così enigmatico che Eira non capiva se fosse felice, soddisfatto o quant'altro. < Lo vedo, ti fidi di me. Troveremo la verità, tranquilla. Appena saprai qualcosa in più, anche qualcosa di piccolo, vieni qui, da me. Non ti basta che bussare e dirmi il tuo nome, ma assicurati che nessuno ti segua. È un segreto tra noi due. Ora va', Eira >. La ragazza avrebbe voluto sapere di più, avrebbe voluto che Simon le dicesse tutto ciò che sapeva a riguardo; invece annuì, girandosi lentamente in direzione dell'uscita, prima di fermarsi e voltarsi di nuovo verso di lui. < A presto, Simon >. Non capiva come riuscisse a fidarsi di lui così ciecamente all'improvviso, ma dentro di sé qualcosa le diceva che poteva considerarlo quasi un amico. Il sole cominciava a tramontare, lasciando posto alla notte. Quella sarebbe stata una delle tante notti di caccia che gettava Yharnam nel terrore e in cui solo i cacciatori potevano liberare le strade dalle belve mostruose che assalivano la popolazione. Mentre Eira tornava verso la Lega, poteva vedere che tutte le porte erano ben chiuse e che ormai non c'era più anima viva a camminare per le strade. Gli ultimi raggi del sole battevano sulle finestre e tutto si tingeva di un caldo color arancione. Eira entrò nell'edificio in cui ormai avrebbe cominciato a vivere, mentre all'interno vi era un gran trambusto. Valtr stava parlando al pianerottolo superiore con una figura che non aveva mai visto prima all'interno della Lega. Si avvicinò senza farsi notare e si mise ad ascoltare la loro conversazione. < Almeno sta bene. Speriamo che riesca a trovare qualcosa al più presto > disse il capo della Lega, rassicurato. L'altra persona era vestita con un manto di piume nere, probabilmente di corvo, e aveva un cappello nero in testa, ma era di spalle e per questo motivo Eira non riuscì a guardarla in faccia. Si sorprese molto quando sentì che la sua voce era quella di una donna, anche se sembrava una persona molto più grande: non aveva trovato fino a quel momento altre figure femminili, oltre a lei. < I corvi me l'hanno portata da poco > affermò, sventolando in una mano quella che appariva come una lettera, < perciò Yamamura non deve averla inviata da troppo tempo. L'avrà scritta questa mattina, quindi dovremo aspettare ancora un altro po' per avere altre sue notizie > comunicò la donna in modo preciso e sicuro al proprio superiore. < Sì, capisco... > Valtr a quel punto guardò in direzione di Eira, accorgendosi della sua presenza e dirigendosi immediatamente verso di lei con un sorriso stampato in faccia. La donna con cui stava parlando si voltò per guardarla, rivelando che il viso era nascosto da una maschera con un becco da corvo. La gente di Yharnam detestava parecchio rivelare il proprio volto per intero, pensò la ragazza. < Sei arrivata giusto in tempo, Eira! Uno dei membri che prima non hai avuto il piacere di incontrare è appena tornato > dichiarò voltandosi verso la donna-corvo. < Si chiama Eileen ed è un membro molto importante nella Lega > affermò con sincerità. Quella donna doveva essere una persona particolarmente cara a Valtr, per un motivo o per un altro. Ella si avvicinò a loro, ridacchiando, per poi unirsi alla conversazione. < Nonché unica donna della Lega. Anche se non più, mi sembra di capire... > Eira le sorrise imbarazzata, ma felice di poter finalmente parlare a qualcuno un po' più simile a lei. < Credi bene. Io sono Eira > disse, porgendole la mano, che subito Eileen strinse in una presa quasi amorevole. < Eileen. Come stava per dirti Valtr, non sono una semplice cacciatrice. Sono la messaggera della Lega. Ho dei corvi per tutta Yharnam, addestrati a rispondere a un semplice fischio, a prendere lettere e messaggi e a recapitarli a me, ovunque io sia. Questo è il compito che ho, oltre alla caccia alle belve >. La giovane la guardava con ammirazione. Non avrebbe mai creduto che qualcosa di simile fosse nemmeno possibile. Valtr spezzò il suo entusiasmo. < Mi dispiace interrompervi, ma è proprio l'ora della caccia, quindi scendete di sotto >. Eira si agitò nel sentire quelle parole: sarebbe stata la sua prima notte di caccia e non si sentiva affatto pronta, ma doveva farlo. Anche se avesse voluto fuggire, non aveva alcun posto in cui rifugiarsi e non sarebbe sicuramente sopravvissuta a delle belve affamate senza aiuto. Le due cacciatrici si recarono al piano terra assieme agli altri compagni, mentre Valtr dava loro direttive dall'alto. < Cacciatori! Inizia una nuova notte di caccia. Questa sera non ho ordini precisi: spargetevi per le strade di Yharnam e uccidete il maggior numero possibile di belve. Questo vale per tutti, eccezion fatta per Eira e Gascoigne. Voi due vi recherete alla zona del ponte e farete una ronda lì. Tutto chiaro? > La giovane cacciatrice avrebbe preferito chiunque a Gascoigne. Quell'uomo non la raccontava giusta, e sarebbe anche stato il suo primo compagno di caccia. Lo guardò da lontano, mentre lui era concentrato a seguire gli ordini del loro capo. Sperava solo che la notte finisse bene. < Buona caccia! > urlò Valtr sollevando il bastone in aria, dopo essersi assicurato che ognuno avesse recepito tutti gli ordini da lui impartiti. Scese le scale e si avvicinò ad Eira, porgendole un paio di sacchetti. < In questo c'è una campana che puoi usare per chiedere aiuto, ti basterà suonarla. Ma non dovrebbe servirti, non con Gascoigne > la rassicurò Valtr. La ragazza non sapeva se dubitarne. < Inoltre dentro ci sono anche dei marchi che ti servono per tornare qui se ne avessi bisogno. Li devi soltanto guardare e fissare bene nella mente, poi, quasi come se stessi sognando, ti ritroverai qui>. Sognare, eh? Ironico. E se fosse lo stesso principio per cui era riuscita ad accedere al sogno quando era svenuta? < E infine, in questo sacchetto ci sono delle fiale di sangue >. Eira prese la piccola sacca, titubante. < Sangue...? > Valtr sospirò profondamente, quasi con tristezza. < Serve a dare sollievo ai cacciatori feriti... usalo con parsimonia. È il sangue curativo che ci dona la Chiesa della Cura, e non è infinito >. Ebbe la stessa sensazione di quando uccise il lupo, o di quando sentì l'odore del sangue su Gascoigne: era una sensazione che la attirava, ma Eira era consapevole che fosse sbagliato lasciarsi catturare da quell'odore e da quell'istinto. Sapeva che ne sarebbe derivato qualcosa di spiacevole, eppure non desiderava altro se non infondere quel buon sangue nelle sue stesse vene. Scosse la testa, scacciando i propri pensieri, e ringraziò Valtr, che se ne andò, pronto per la notte di caccia, mentre si copriva la testa con uno strano elmo, il quale pareva più un secchio di ferro con un buco, fatto apposta per vederci attraverso. Si avvicinarono a lei Gascoigne ed Henryk, e quest'ultimo le mise una mano sulla spalla per confortarla. < Ti auguro una buona caccia, Eira. Vedrai che Gascoigne ti insegnerà a cacciare bene, non è così? > disse rivolgendosi all'amico, che grugnì in segno di approvazione. Henryk li lasciò soli e i due si incamminarono in direzione dello stesso ponte che Eira aveva visto dalla clinica, in silenzio. Erano compagni di caccia, eppure non fiatavano, eccetto qualche parola di Gascoigne che le diceva di fare attenzione ai lupi che si aggiravano da quelle parti. Giunsero ben presto a una piccola piazza con al centro quella che sembrava una fontana, senz'acqua da chissà quanto. Gascoigne si fermò e si voltò in direzione di un'abitazione lì vicino, chiusa da un cancello e che aveva l'aria di essere ormai disabitata. Se ne stava in silenzio, e sembrava che stesse in ascolto, in attesa di sentire qualche suono particolare. Eira lo lasciò fare, pensava che stesse ascoltando i versi di qualche belva lontana per poterla rintracciare, ma dopo un po' lo richiamò a sé, avvicinandosi a lui e sventolandogli una mano davanti. < Mi dici che hai? > L'uomo scosse la testa, come se fosse stato appena svegliato da un sogno ad occhi aperti e ricominciò a camminare a passo spedito. < Niente. Siamo quasi arrivati >. Non mentiva: pochi passi dopo si ritrovarono sull'immenso ponte che collegava la parte centrale di Yharnam con il suo cuore più interno, dove risiedeva anche la famosa Chiesa della Cura. Cominciarono a percorrere il ponte, disseminato di carrozze abbandonate e senza cavalli, fino a che un ululato non li fermò. Proprio come le aveva detto Gascoigne poco prima, due lupi di taglia eccessivamente grande si facevano avanti verso di loro, a denti digrignati e con aria minacciosa. L'uomo accanto a lei trasformò la sua ascia, allungando il manico, mentre Eira sfoderò con ansia la spada. In men che non si dica i lupi si gettarono su di loro, ma prima che la ragazza potesse prepararsi a rispondere all'attacco, l'altro cacciatore li fece fuori tutti e due con un solo fendente orizzontale della propria arma, terminando lo scontro in un bagno di sangue. Rimaneva così davanti a lei, dandole le spalle, ed Eira poteva sentire il suo respiro pesante e leggermente irregolare; ma Gascoigne non disse niente, anzi si ricompose e, facendo tornare l'arma al suo stato originale, si rimise in cammino. La cacciatrice gli accennò un "grazie", ma non era sicura che lui lo avesse sentito. D'improvviso, mentre si avvicinavano sempre più alla fine del ponte, delimitata da un enorme cancello chiuso e che probabilmente portava all'altra zona di Yharnam, Gascoigne si mise a parlare di un argomento che non avevano mai tirato fuori prima di allora e che non sembrava incastrarsi per nulla con l'atmosfera tesa né con la caccia. < L'elmo di Valtr non è stato sempre suo. Se lo passano di generazione in generazione i capi della Lega. Un giorno Valtr potrebbe venire da chiunque di noi e consegnare quel secchio al suo prescelto, e il cacciatore in questione saprebbe di essere il nuovo capo >. Eira lo guardò confusa, senza sapere che dire. < Grazie per avermelo detto, credo...? > Il cacciatore scosse le spalle. < Prima o poi te lo dovevano dire. E poi il silenzio mi dà fastidio >. rispose, senza voltarsi a guardare la cacciatrice. < Ma se sei tu che non parli mai > ribatté la giovane, indispettita. < Anche tu però non hai mai aperto bocca lungo il tragitto >. La ragazza rimase in silenzio, sapendo che effettivamente anche Gascoigne aveva ragione, da una parte. Forse aveva sbagliato a pensare male di lui. < D'accordo, hai ragione. È che... mi spaventi > gli rivelò, in modo sincero, sperando di chiarire la situazione. L'uomo fece un respiro profondo, quasi scoraggiato, mentre avanzavano in prossimità di un grosso arco che superarono l'attimo seguente. < Lo so. E mi dispiace. Non è colpa mia, devi perdonarmi > disse con tono pentito e sembrava che non stesse mentendo affatto. Eira sorrise, pensando che era stata una sciocca nel giudicarlo senza conoscerlo, quando un forte urlo scosse l'aria attorno a loro e li obbligò a fermarsi e a tapparsi le orecchie. Quel suono disumano era così acuto da poter far sanguinare i loro canali uditivi da un momento all'altro. Non appena terminò, Gascoigne afferrò in fretta l'ascia, aggressivamente, e si voltò verso di Eira. < Preparati, ne abbiamo uno grosso ora >. La ragazza lo sentiva a malapena, frastornata da quel suono. < Come? > Il cacciatore non fece in tempo a risponderle che il cancello alla fine del ponte fu scavalcato da un'enorme e imponente belva, avvolta in un pelo grigio sporco e con in cima alla testa un paio di corna, che sembravano proprio quelle che uno dei membri della Lega indossava sul proprio copricapo. Nonostante le dimensioni, si trattava di una belva dagli arti piuttosto magri e scarni, tanto che le sue ginocchia erano piegate per sorreggere il peso del resto del corpo e per permetterle così di stare su due zampe, mentre il braccio sinistro era più lungo e inspiegabilmente più peloso del destro. Dal muso spuntavano dei denti aguzzi e gli occhi non parevano avere pupilla, sebbene fossero così piccoli che Eira non riusciva a vederli bene. La giovane cacciatrice fu percossa da un brivido per tutta la schiena, impaurita di fronte a quell'abominio. < Cosa è... Gascoigne, cos'è quella? > disse, immobile, paralizzata dal terrore. < È un chierico. O meglio, era un chierico. Ne abbiamo fatti fuori a decine ormai, questo non sarà l'ultimo suppongo >. Eira non capiva cosa stesse dicendo Gascoigne, ma il suo cervello non riusciva in ogni caso a comprendere nulla che non fosse l'avere davanti quella belva enorme. Il cacciatore la scosse appoggiandole una mano sulla spalla. < Sta' tranquilla, non è un osso duro > le disse, per poi partire a corsa in avanti, verso le gambe della bestia, finendo in mezzo a esse prima che con una mano quest'ultima potesse scaraventarlo con violenza all'indietro, annullando lo spostamento di Gascoigne. La giovane cacciatrice cercò di farsi forza, pensò che doveva farcela; impugnò la spada e corse verso la mano che aveva appena cercato di colpire il suo compagno, ferendola, mentre Gascoigne, rialzatosi in piedi e avvicinatosi di nuovo, faceva perdere l'equilibrio alla belva cornuta, che adesso urlava di dolore. Essa balzò all'indietro per evitare di venire massacrata, perciò Eira credette di essere ormai fuori dalla portata dei suoi attacchi, ma non aveva fatto i conti con il suo braccio più lungo, tanto lungo da poter arrivare fino a lei per cercare così di schiacciarla. E sarebbe anche accaduto, se Gascoigne non si fosse gettato su di lei spostandola, mentre una parte del suo corpo subiva il potente attacco della belva, rimanendo gravemente ferito. La cacciatrice era preoccupata, ma non poteva perdere altro tempo: corse verso il braccio, attaccandolo ripetutamente con la spada, mentre la mano della belva la graffiò quando, cercando di colpirla, riuscì soltanto a sfiorarla. Eira si allontanò, mentre vedeva Gascoigne usare un paio delle fiale di sangue che Valtr aveva dato anche a lei, iniettandosele direttamente sulla gamba. Gli diedero la forza di reagire, poiché subito dopo il cacciatore si alzò da terra e urlando furiosamente corse di nuovo verso la belva, attaccandola con più forza di prima. Eira ne rimase sorpresa, mentre si univa all'attacco del suo compagno. Voleva provare anche lei quel sangue, ma poi si trattenne ricordando le parole di Valtr; dopotutto, non aveva subìto ferite gravi. La belva perdeva sempre più sangue, vacillava e molti dei suoi colpi andavano a vuoto. Gascoigne prese la pistola che aveva attaccato alla cintura dei pantaloni, mirando alla testa della bestia e centrandola in pieno con un solo tentativo. Quel colpo bastò a farle perdere l'equilibrio e a farla cadere in avanti, così che i due cacciatori in quel momento potevano finalmente attaccare anche il suo punto più debole: la testa. Eira corse verso di essa, ma Gascoigne vi arrivò prima di lei e, dopo aver gettato l'ascia a terra, infilò la mano nuda nel cranio della loro avversaria, che appariva così quasi morbido e fragile. La cacciatrice guardò la scena da lontano, stupita: era esattamente lo stesso attacco con cui aveva ucciso il lupo alla clinica tempo prima. Non era qualcosa che sentiva solo lei allora, quel richiamo del sangue e delle carni che le belve emanavano. Gascoigne ritirò la mano fuori, mentre la belva ricadeva all'inidietro, ormai dissanguata e incapace di poter fare qualsiasi cosa. Tornò il silenzio sul ponte, eccezion fatta per il respiro sempre più pesante di Gascoigne. Immerso nel sangue, la sua lingua uscì fuori, rivelando i suoi canini estremamente aguzzi, per leccarne via dal volto un po', ma prendendoci gusto, mentre Eira lo guardava inebriarsi di un folle piacere in un tale stato. Ci mise un po' prima di ricomporsi e di aggiungere a voce bassa e spezzata dal respiro affannoso: < Torniamo a casa >. La notte era già calata da un pezzo, ma loro non se ne erano nemmeno accorti, e pareva essere un orario piuttosto tardo. Eira sedeva sul tetto dell'edificio della Lega, dove Henryk le aveva detto di aspettarlo. Appena tornarono gli altri cacciatori, infatti, la ragazza si fiondò su di lui dicendogli che aveva una marea di cose di cui parlare. Non riusciva più a pensare ad altro che a quello scontro e all'esito che aveva avuto, ed Henryk sembrava l'unica persona con cui potesse parlarne a cuore aperto, per quanto si fidasse di Valtr. Quando gli dissero che avevano abbattuto una belva di quel genere, il capo della Lega rimase molto sorpreso, ma al contempo fu soddisfatto e orgoglioso di Eira, che aveva riportato meno danni rispetto a Gascoigne, anche se per ovvie ragioni. La cacciatrice, però, non riusciva a capire se dovesse davvero andarne fiera o no. Le parole di Gascoigne sul fatto che quella belva fosse un chierico le riecheggiavano nella mente, ma lei sperava non fossero vere. In quel momento sentì qualcuno salire sul tetto e voltandosi vide che Henryk la stava raggiungendo. < Allora, che mi devi dire di tanto importante? > disse con un sorriso, mentre si sedeva accanto a lei. < Ho saputo che la tua caccia, la tua prima caccia, è stata un successone! > continuò allegro, sicuramente più felice di lei. Eira annuì, senza però mostrarsi troppo entusiasta dell'accaduto. < Non mi sembri molto felice. Che succede? > domandò il cacciatore, con un velo di preoccupazione nella voce. < Gascoigne > fu la secca risposta di Eira, che lasciava poco spazio all'immaginazione. < Gascoigne? In che senso? > chiese l'uomo, fattosi più cupo e serio. < Lui... era strano. All'inizio si è fermato a guardare una casa abbandonata mentre andavamo al ponte, senza dirmi nulla, poi dopo aver abbattuto quella grossa belva il suo respiro si è fatto pesante e irregolare e... > < E...? > la spronava a continuare Henryk. < ...e si è leccato del sangue dal volto, quasi compiaciuto > terminò Eira, sconvolta al solo ricordare la scena. Si domandò se anche lei avrebbe mai potuto diventare così, una volta che avesse ceduto a quel dolce richiamo del sangue. L'altro cacciatore la guardò senza dire una parola, per poi voltarsi verso il cielo, in cui i colori bui della notte cominciavano a sparire. < Capisco >. Eira si girò verso di lui, arrabbiata. < Questa è l'unica cosa che hai da dire? > Henryk sospirò. Sorrideva, ma la ragazza percepiva un velo di tristezza dietro quel sorriso. < Vacci piano con Gascoigne, okay? Non è colpa sua > aggiunse, senza spiegarsi. < Questo me l'ha detto anche lui. Puoi spiegarmi che cosa significa? Cosa succede a Gascoigne? Dimmelo > lo implorò Eira, desiderosa di conoscenza. L'uomo si alzò in piedi, stiracchiandosi. < Non adesso. Non è il momento. E poi dovresti andare a dormire, sarà stato stancante >. Eira lo guardò, ancora seduta, sperando che cambiasse idea, ma si rassegnò ben presto. Si fidava di Henryk, anche se sperava che le desse qualche spiegazione al più presto. < D'accordo > rispose, espirando. < E tu? > le chiese l'altro improvvisamente. < Hai ricordato qualcosa? > Lei gli sorrise malinconicamente. < No. Però accadrà, prima o poi >. < Prima o poi > ripetè Henryk, prima di scendere di nuovo all'interno, salutandola con un gesto della mano. Eira voleva chiedergli del fatto che Gascoigne le avesse detto che quella belva era stata un chierico, ma era troppo tardi ormai: rimase là ancora per un po', a osservare la luna, così diversa da quella del sogno, che stava per svanire con l'avvento dell'alba, prima di scendere nella sua stanza e addormentarsi profondamente. Il cielo, quella notte, era senza stelle.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Eira aprì lentamente gli occhi, cercando di mettere a fuoco ciò che era intorno a lei. C'era la nebbia, quella che l'aveva avvolta il giorno prima, ma si stava già diradando rapidamente, lasciando spazio al paesaggio del sogno ormai a lei familiare. L'automa le era davanti, seduta sul muretto di mattoni. Appariva piegata su se stessa, spenta, forse più addormentata, dal momento che Eira ne sentiva chiaramente il respiro profondo e osservava come i suoi occhi fossero chiusi dolcemente. La cacciatrice avrebbe potuto svegliarla, ma era quasi un evento miracoloso vedere qualcuno dormire all'interno di un sogno, soprattutto se si trattava di una creatura come l'automa, perciò la lasciò riposare. Si ricordò delle parole che lei le aveva detto la scorsa volta che era stata lì. Osservò l'edificio che si stagliava sopra di lei: le porte erano aperte. Entrò timorosa, camminando piano. L'interno era accogliente, una calda fiamma bruciava nel camino, i libri occupavano completamente gli scaffali delle numerose librerie ed erano così tanti che alcuni di essi si trovavano persino sul pavimento. In fondo c'era la statua di una donna, mentre sulla parete destra si trovavano appese diverse armi, tra le quali riconobbe anche la propria spada. Mentre era intenta a guardare quel bizzarro arsenale, una voce che proveniva dalle sue spalle la colse di sorpresa. Girandosi, vide un uomo anziano seduto su una sedia a rotelle, che la guardava con un caldo sorriso sul volto solcato da innumerevoli rughe. Eira fece un mezzo inchino, scusandosi per non averlo notato prima – cosa alquanto strana a pensarci – e il vecchio continuò a parlarle.

< Ah, tu devi essere la nuova cacciatrice. Benvenuta nel sogno del cacciatore. Ora questa è la tua casa >

le disse in tono calmo e pacato l'anziano.

< Io sono... >

Eira lo guardò alzare gli occhi al cielo, pensieroso, indugiando il continuare il proprio discorso, come se avesse perso qualcosa.

< G...Gehrman, amico di voi cacciatori >

. Possibile che il vecchio avesse dimenticato davvero come si chiamava? La cacciatrice gli disse il proprio nome in risposta, aspettando che continuasse a parlarle. Doveva essere davvero anziano, poiché faceva fatica persino a far uscire fuori la voce.

< Di sicuro ora provi confusione, cerca di non pensare troppo all'accaduto. Vai là fuori e abbatti qualche belva. È per il tuo bene >

. Eira sorrise a quelle parole, pensando a come in realtà uccidere – anzi, veder morire delle belve le avesse portato solo più domande di prima.

< Sai, è questo che fanno i cacciatori! Ti ci abituerai... >

le disse ridacchiando il vecchio. Sembrava proprio che conoscesse molte, moltissime cose, e la cacciatrice non perse l'occasione. < Che posto è questo... "sogno del cacciatore"? > chiese, sperando in una sua risposta. Gehrman la guardò per un breve periodo di tempo prima di iniziare a parlare di nuovo.

< Un tempo, questo luogo era sicuro per i cacciatori. Un'officina dove i cacciatori rinforzavano armi e carni con il sangue >

. Eira deglutì. Il sangue, di nuovo il sangue.

< Non abbiamo tanti strumenti come un tempo, ma puoi usare tutto quello che trovi... >

. Eira lo ringraziò, nonostante fosse più confusa che confortata da quella conversazione. Voltandosi, iniziò a camminare verso l'uscita, quando il vecchio sussurrò altre parole, facendo rabbrividire la cacciatrice.

< ... anche l'automa, se ti facesse piacere... >

le rivelò, uno strano sorriso nel volto. Nel frattempo la nebbia l'aveva nuovamente avvolta prima che se ne accorgesse o prima che potesse rispondere a quelle parole che l'avevano convinta a diffidare di Gehrman: il suo tempo era finito, si stava svegliando. Non credeva di aver dormito tanto. Invece il sole era già alto nel cielo e i cacciatori della Lega erano tutti riuniti nella sala principale. Quasi ognuno di loro stava mangiando, mentre solo Henryk stava seduto al pianoforte ed Eileen lo ascoltava, in piedi accanto a lui. Valtr la vide scendere le scale e la invitò a unirsi a loro, ma Eira non aveva fame, così rispose che sarebbe andata nuovamente a farsi un giro per Yharnam. Ovviamente avrebbe fatto visita a Simon. La ragazza bussò alla sua porta e, subito dopo aver pronunciato il proprio nome, questa le venne aperta. Entrò, guardandosi attorno, per poi notare che Simon se ne stava su una sedia in fondo alla stanza, poggiando la fronte sulla mano, con fare pensieroso. < Ma come... chi mi ha aperto la porta? > domandò Eira, ancora più sorpresa rispetto alla prima volta che lo aveva incontrato. L'uomo alzò la testa verso di lei, assente; passarono alcuni secondi prima che tornasse alla realtà, assumendo un'espressione quasi stupita, come se si fosse accorto di lei soltanto in quell'istante. < Oh, Eira. Come stai? > la salutò l'uomo cordialmente. La cacciatrice fu intimorita dalla reazione di Simon, ma dopotutto sapeva che non avrebbe dovuto sorprendersi troppo per ciò che accadeva in quella città. < Proprio di questo volevo parlarti, Simon > gli rispose Eira, decisa a svelargli qualcosa sui suoi sogni. Se c'era qualcuno a cui poteva confidare di Gehrman e dell'automa, quello era proprio Simon. < Accomodati allora >. Eira si sedette sulla prima sedia che le capitò a tiro e guardò in direzione dell'uomo, che invece si alzò e si sistemò su un'altra sedia presso il tavolo, in modo da essere un po' più vicino a lei. < Questa notte c'era la caccia. Sei andata? > le chiese, curioso. < Sì. È stato abbastanza traumatizzante, direi. Il mio compagno ha ucciso una belva enorme >. A quel punto Simon ridacchiò divertito. < Non sarà l'ultima. Chi era con te? > continuò l'uomo, che in quel momento sembrava interessato soltanto a una semplice chiacchierata. < Gascoigne. Un uomo molto strano > rispose Eira in modo sincero. < Uno dei meno peggio, secondo me > rivelò Simon, ridacchiando. < In che senso? > gli chiese Eira, sperando di poter ottenere qualche informazione in più sul suo conto. < Non spetta a me dirtelo, non sarebbe giusto. Non volevamo parlare di te? > La ragazza aggrottò le sopracciglia, confusa. In fin dei conti aveva ragione. < Giusto. Vedi, Simon, sto avendo dei sogni ultimamente- > < Sogni? > la interruppe di colpo l'uomo, sobbalzando sulla sedia. Sembrava decisamente più interessato ad ascoltare ciò che aveva da dirgli. < Sì. La cosa strana è che non mi pare di star sognando, è tutto troppo reale. Quando mi sveglio, poi, mi ricordo tutto. C'è questo luogo strano, sospeso sul nulla, e ad un certo punto mi si è presentata un'automa. L'ultima volta che ho sognato – proprio questa notte – ho incontrato un vecchio. Si chiamava... > La cacciatrice cercò di ricordarsi il nome dell'anziano uomo del sogno, che allo stesso modo sembrava essersene dimenticato, mentre Simon la fissava curioso da dietro le bende. < Gehrman! Si chiamava Gehrman >. < Cielo! > urlò Simon, a sentire quel nome. < Gehrman! Ma sei sicura? > Eira inclinò la testa, stranita. < Non ti fidi di me? Ti dico che era quello il suo nome >. Simon si passò ripetutamente una mano sul mento, pensando a chissà cosa. < Quanto tempo che non lo sentivo. Tu sai chi è Gehrman? No, che dico. Non puoi saperlo. Gehrman è stato il primo cacciatore, anni e anni fa >. La ragazza sgranò gli occhi. < Quindi non me lo sono inventato. Te l'ho detto, non è un sogno! > disse la giovane cacciatrice, sempre più sicura che tutto ciò che le stava capitando non avveniva per caso. < Aspetta, Eira. Non può nemmeno essere reale. Gehrman è morto da tempo. Che strano. Tra tutti, ha scelto di mostrarsi a te in sogno > disse Simon subito dopo, togliendole tutto l'entusiasmo che aveva. < Non credo abbia scelto, > disse Eira, guardando a terra, < dal momento che ha detto di essere l'amico di 'noi' cacciatori. Forse sognano anche gli altri? > La cacciatrice si fece più seria, determinata nel dimostrargli che tutto quello non era un sogno. Non avrebbe mai potuto sognare qualcuno che non conosceva, tantomeno il nome. < A questo punto non saprei. Il mistero si infittisce. C'è una cosa che potresti fare, però >. La giovane sollevò lo sguardo verso di lui, in attesa che continuasse. < Hai mai sentito parlare di Byrgenwerth? > Eira scosse la testa in risposta. < È un antico luogo di studi. Dicono che lì sia stato scoperto il sangue curativo e quella che chiamano 'verità straordinaria'. Ora è in rovina e abbandonato e per giungervi bisogna attraversare una foresta, ma il passaggio è vicino, in una delle strade che partono dalla piazza qui sopra. Quando hai tempo, dovresti dare un'occhiata. Potresti trovare delle risposte – anzi, sono sicuro che ne troverai > le suggerì Simon, rivelandole qualcosa che le sarebbe potuto essere molto utile. < Byrgenwerth > ripeté Eira. < D'accordo, lo farò > annuì la cacciatrice, guardando la luce calda del sole che attraversava il vetro della finestra. < Per il momento devo tornare alla Lega. Grazie di tutto, Simon >. La ragazza si alzò e Simon la salutò con un cenno della mano. < Torna quando vuoi >. Eira si accorse di quanto tempo fosse passato quando, uscendo fuori, vide il sole sempre più vicino a tramontare del tutto. Anche alla Lega i cacciatori erano tornati nelle loro camere per prepararsi all'imminente notte di caccia; solo uno di loro si trovava nella stanza principale, a scaldarsi davanti al camino. Si girò verso di lei non appena la sentì entrare e la salutò facendo ondeggiare la mano allegramente, mentre il volto era solcato da un'espressione serena. Eira si avvicinò a lui, per nulla intimorita dal suo atteggiamento. Il cacciatore aveva dei capelli riccioli e dorati, che gli incorniciavano il viso con due folte basette. Era vestito con una lunga veste bianca e il suo mantello recava degli ornamenti che le ricordavano un po' la sciarpa di Gascoigne. < Alfred > le disse, allungandole una mano in modo che potesse stringerla. < Eira > gli rispose la ragazza, afferrando la sua mano e stringendola in modo deciso. < Non ci eravamo mai presentati. Come ti trovi qui? > chiese in modo gentile il biondo. < Non male, anche se devo ancora abituarmi, credo >, un sorriso tranquillo le apparve sul volto nel sentire la sincera preoccupazione dell'altro cacciatore. < Presto ci farai l'abitudine, vedrai > ridacchiò lui, senza sembrare meno gentile o cordiale. < Anche io le prime volte facevo fatica a- > non riuscì a finire la frase che un altro uomo si mise tra di loro, inchinandosi di fronte ad Eira e baciandole la mano sotto lo sguardo confuso di entrambi. < Brador! Che diamine stai facendo? Non vedi che le sto parlando? > Il cacciatore inginocchiato, Brador, questa volta senza lo strano cappuccio con le corna che Eira gli aveva visto addosso il giorno prima, si voltò verso il compagno guardandolo con gli occhi di un nero profondo. < Perdonami, amico, ma temo che questa creatura mi abbia accecato fin troppo con la sua bellezza. Non trovi? > concluse, girandosi di nuovo in direzione della ragazza, che nel frattempo capiva sempre meno le sue parole. Alfred, invece, si alzò da dove era seduto, stizzito. < Ma ti pare il modo di mettersi davanti a una fanciulla? La stai inquietando > lo rimproverò, con un tono serio è quasi sprezzante. Tra loro due evidentemente non correva buon sangue e quella piccola discussione non fece che alimentare l'odio reciproco. Brador, a quelle parole, si voltò verso il cacciatore, guardandolo in modo cupo, assicurandosi che la giovane non potesse vederlo, ma poi tornò a guardare lei, assumendo una falsa espressione preoccupata. < È così? Dovrai perdonarmi. In fondo non è colpa mia se sei così bella >. Nonostante le avesse rivolto molti bei complimenti, questi ultimi erano totalmente fuori luogo ed Eira non poteva reggere l'imbarazzo, così si alzò, allontanandosi senza nemmeno rispondergli. Da lontano si sentì Henryk urlare un "sei senza speranze" diretto a Brador, mentre la ragazza saliva le scale per dirigersi nella propria stanza. Voltandosi indietro, però, vide che sul corrimano del balcone interno era appoggiato uno dei cacciatori che Henryk le aveva indicato, un uomo per nulla giovane vestito completamente di grigio, ma di cui non ricordava il nome. La guardava salire le scale e andarsene ed Eira si chiese da quanto tempo fosse stato là ad osservarla senza nemmeno avvicinarsi a lei. Il cacciatore si voltò da un'altra parte non appena i loro sguardi si incrociarono e se ne andò al piano inferiore senza dire una parola.

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