Se ci fosse qualcuno come me

di Angelica Cicatrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il re dei giullari ***
Capitolo 2: *** Un trono per due sovrani ***
Capitolo 3: *** Ferisce più il violino che la spada ***
Capitolo 4: *** La festa dei Folli ***
Capitolo 5: *** Gocce di Sherry ***
Capitolo 6: *** Falce lunare ***
Capitolo 7: *** La Corte dei Miracoli ***
Capitolo 8: *** Il valore della fede ***
Capitolo 9: *** Fuoco ***
Capitolo 10: *** Lo specchio dei ricordi ***
Capitolo 11: *** Una maschera per il Re ***
Capitolo 12: *** L'amica preziosa ***
Capitolo 13: *** Schegge di memoria ***
Capitolo 14: *** Cuore impavido ***
Capitolo 15: *** Maschere strappate ***
Capitolo 16: *** Come il Sole e la Luna ***
Capitolo 17: *** Conto in sospeso ***
Capitolo 18: *** Il suono dell'amore ***
Capitolo 19: *** Pezzo della mia anima ***
Capitolo 20: *** Re e Regina ***
Capitolo 21: *** El tango de Roxanne ***



Capitolo 1
*** Il re dei giullari ***


                                                                                    Se ci fosse qualcuno come me                                                   
 
                                                                                                Il re dei giullari 
 
Un nuovo giorno stava nascendo a Parigi. L'aria era frizzante, il suono delle finestre che si aprivano, e i primi bambini, pieni di energia, che correvano fuori a giocare. Sembrava un giorno come tanti. Il solito profumo di pane appena sfornato, le persone che andavano a lavoro o al mercato, e ovviamente, il solito carrettino di legno, lì in un angolo della piazza. Vero, tutto era come sempre.
In fondo nessun bambino desiderava qualcosa di nuovo in quelle giornate. Il teatrino di pupazzi di Clopin, conosciuto da tutti come il giullare della piazza, era il più bello di tutta Parigi. I bambini adoravano i suoi spettacoli, e ogni giorno c'era sempre una nuova storia da ascoltare.
Lo zingaro dalla mascherina variopinta, con il suo sorriso smagliante e la voce incantatrice, era il menestrello dei più piccoli.
Neanche lui avrebbe voluto desiderare qualcos'altro nella sua vita. Nonostante la povertà, i sacrifici, e le responsabilità che solo un burattinaio (e re dei gitani) portava sulle spalle, lui non avrebbe cambiato nulla. A dire il vero, odiava i cambiamenti. 
In quel momento, un gruppetto di piccoli spettatori accerchiarono il carretto, ancora con le porticine chiuse.
Qualche bimbo cominciò ad essere impaziente e non vedeva l'ora che il teatrino aprisse. Pochi secondi dopo, proprio da quella porta uscì fuori un piccolo pupazzo in stoffa, con vestitini colorati e con una vocina dolce disse ai presenti:
-Bon jour! Mi dispiace ma stamane il grande Clopin non sarà qui per il suo spettacolo. Ma tranquilli, non fate quelle faccine tristi. Ci penserò io a intrattenervi, e vi assicuro che sono mille volte più bravo di quel tipo col nasone -. 
A quel punto, molti bambini risero a crepapelle, e prima che l'atmosfera gioiosa sfumasse, una mano avvolta nel guanto scuro picchiettò con un bastoncino la piccola bambola. 
- Zitto! - disse una voce maschile da dentro il teatrino, e in pochi secondi uscì allo scoperto un uomo alto, vestito con colori sgargianti, il capo coperto da un cappello blu cobalto con tanto di piuma dorata, e una maschera che gli copriva mezzo volto.
Il sorriso, dai denti laterali scheggiati, illuminò i volti dei piccoli, che dopo aver riconosciuto il loro giullare, cominciarono ad esultare come non mai. Vedere tutte quelle faccine sorridenti era la più grande soddisfazione per il re degli zingari.
Molto di più di una esilarante impiccagione di spie e intrusi. 
-Bon jour, mes ami! Scusate il ritardo, spero che il piccolo Clopin non vi abbia annoiati in mia assenza - cominciò, mentre riponeva dietro la schiena il pupazzetto. - Oggi vi racconterò una nuova storia, fatta di mistero, coraggio e amore. Un cavaliere e la sua dama. Uniti dai sentimenti, ma divisi dalle ostilità. Siete pronti? -. A quel punto un coro eccitato si elevò e Clopin non poté che esserne più orgoglioso. Eh sì, niente avrebbe voluto cambiare in quella sua vita. Assolutamente nulla. 
 
PV Clopin 
 
Lo spettacolino fu un successo, come sempre. Il davanzale in legno fu sommerso da varie monetine d'oro e d'argento. Feci un profondo inchino al mio amato pubblico (e anche il piccolo Clopin lo fece) e subito dopo, tutti quei piccoli corsero via, ognuno per una sua destinazione. Raccolsi le monete e le misi in un sacchetto di stoffa. Dopo di che, mi stiracchiai, e andai a sdraiarmi sul divanetto all'interno del carro.
Che strano, come quel carretto sembrasse così piccolo all'esterno, ma all'interno fosse grande quanto una stanzetta. Rilassandomi, mi tolsi momentaneamente la maschera. Non era ancora mezzogiorno e avevo già guadagnato abbastanza per poter comprare del buon pane caldo e della frutta. Avrei tanto gradito anche dell'uva, ma era troppo costosa.
Forse del vino, magari. In quel momento, una voce familiare mi fece tornare alla realtà. Sapevo benissimo chi fosse.
- Buongiorno, Clopin. Ti disturbo? - la voce calma e amichevole del campanaro si fece strada all'interno del carretto. Sollevai gli occhi e mi misi a sedere e mi rivolsi al nuovo arrivato.
-Buon dì, Quasi! No, tranquillo, da poco ho finito il mio primo spettacolo di questa giornata. Mi stavo rilassando- tagliai corto, mentre mi rimettevo con cura la maschera. Di solito non mostravo mai il mio viso quando ero nei panni da cantastorie. Nemmeno io riuscivo a spiegarne il motivo con chiarezza, ma forse perché faceva parte del mio personaggio. O forse, perché in qualche modo, quella maschera sapeva nascondere il mio altro " io" che non amavo mostrare ai bambini. Con loro, volevo sempre essere Clopin, il giullare della piazza, giocoso e amichevole. 
Meglio lasciare il sanguinario re degli zingari nelle profondità della Corte dei Miracoli. Dopo essermi avvicinato al davanzale, lasciando che i tenui raggi del sole accarezzassero il mio viso, cominciai a fare una bella chiacchierata con il mio amico Quasimodo. Era passato un anno da quando il campanaro di Notre Dame aveva posto fine alla sua prigionia, un isolamento forzato che era durato per ben vent'anni. Da quel giorno, tutto nella vita di Quasi era cambiato, lui compreso.
Anche se rimaneva ancora quella timidezza, che faceva parte del suo carattere, era diventato più sicuro di sé, più socievole, e non si preoccupava del giudizio delle persone quando lo incontravano la prima volta. Gli sguardi della gente non lo affliggevano più. Aveva trovato tanti amici, a parte me, Esmeralda e Febo. Nonostante questi cambiamenti, era comunque rimasto a vivere nel campanile, con un'unica eccezione: non era più la sua prigione, ma un posto che lui poteva chiamare casa.
In fondo, Notre Dame faceva parte di lui, era il suo mondo. E lui rimaneva pur sempre il campanaro della cattedrale. - Come mai da queste parti? Stai facendo qualche commissione? - gli chiesi. A dire il vero non era una novità, perché spesso Quasimodo usciva fuori per andare a lavorare. Eh sì, alla fine, sotto suggerimento di Esmeralda, Quasi aveva cominciato a sfruttare le sue qualità di artigiano per costruire statuine per poi venderle. Io stesso lo avevo aiutato a costruire il carretto dove trasportava le sue creazioni. Era così bello vedere come si impegnava.
Il mio caro amico mi sorrise compiaciuto, e pose sul davanzale un pacchetto che aprì, e tirò fuori varie statuine in legno, ben levigate, ma che non erano ancora dipinte. Erano fantastiche, ben curate nei minimi particolari. Ovviamente erano tutte raffigurazioni dei vari abitanti di Parigi. Una volta, esattamente poco dopo che diventammo amici, Quasi mi regalò una miniatura di me con tanto di carretto, e io ne fui entusiasta perché era un vero capolavoro. Chi l'avrebbe mai detto! E pensare che qualche tempo fa, intrattenevo i bambini con grottesche storie e favole su di lui, non sapendo invece quale meravigliosa persona fosse in realtà. Con occhi sgranati studiai attentamente tutte quelle meraviglie, e non potei fare a meno di dire: 
- Sono fantastiche! A quanto pare le ordinazioni stanno aumentando sempre di più, eh Quasi? - gli feci notare, facendogli l'occhiolino. Lui era visibilmente contento. 
- Sì, è vero. Non credevo che avrei avuto una vasta clientela. Ecco perché sono in giro, devo portare queste prime creazioni ai miei clienti, per sapere se sono soddisfatti, prima di passare alla pittura -. Annuì a quella notizia, e tornai ad osservare le statuine. Una, all'improvviso, catturò la mia attenzione. Era la statuina di una persona, ma non si riusciva a capire se fosse un uomo o una donna. Aveva i capelli lunghi al vento, e con addosso un vestito alquanto bizzarro, ma poco definibile. 
 - Ah questa - disse Quasi, notando la mia perplessità - non farci caso. Non è nemmeno una commissione, l'ho fatta stamattina durante la colazione -mi spiegò. 
- Chi sarebbe? - domandai. 
- Veramente non lo so. Stamattina, all'alba, poco prima di suonare le campane, mi sono affacciato ed è stato in quel momento che ho visto questa strana persona che saltellava per la piazza. Sono rimasto così stupito di vedere una faccia nuova, che mi è venuto spontaneo prendere gli strumenti e farne una statuina. Peccato non aver avuto modo di osservarlo con attenzione, che subito si è volatilizzato. Speravo che tu potessi saperne qualcosa, dato che conosci praticamente tutti -.
Rimasi un attimo in silenzio e osservai ancora un po’ quell'oggetto. Chissà chi era? Se doveva essere un nuovo arrivato, allora era il caso di saperne di più. Come re degli zingari era mio dovere essere diligente, e conoscere chiunque in città, per assicurarmi che non insorgessero nuove minacce per la mia gente. Il filo dei miei pensieri si spezzò appena Quasimodo mi fece notare che si stava facendo tardi, e doveva scappare per finire le sue faccende. A breve sarebbe stato mezzogiorno, e lui doveva trovarsi nel campanile per suonare le campane. Dopo aver riposto le statuine nella scatola, il campanaro mi salutò con un gesto della mano, e corse via, zoppicando come al suo solito. 
- Buona fortuna, mon amì - gli gridai dietro per farmi sentire. E mentre lo vedevo allontanarsi dalla piazza, decisi che anche io avrei dovuto rimettermi a lavoro. Ben presto, altri piccoli spettatori (quelli che si svegliavano più tardi) sarebbero giunti davanti al mio teatrino, e dovevo inventarmi una nuova storia da raccontare. Mentre mi preparavo, un pensiero mi percorse nella mente.
Chi era quella persona sconosciuta? 
 
- E fu così, che la principessa sposò il suo principe che l'aveva salvata dall'orco cattivo. E i due vissero per sempre felici e contenti -.
Ovazioni e applausi si scatenarono in un’unica esplosione di suoni. Mettendo da parte le marionette, accolsi quegli applausi e ringraziai.
- Mercì beaucoup -. Il mio cappello fu riempito di monete. Varie manine ne posero qualcuna. Fino a un'ultima, ma era troppo grande per essere quella di un bambino. Alzai lo sguardo e vidi che si trattava di Febo, il capitano della guardia reale. E non era solo, con lui c'era la mia amata sorellina, Esmeralda.
-Ma guarda chi c'è?! Che bella sorpresa! - dissi, regalando ai nuovi arrivati uno dei miei sorrisi migliori. 
Bene, bene, oggi è proprio il giorno delle visite, quelle belle. Pensai tra me e me.
-Buon pomeriggio, Clopin. Carino il tuo spettacolo di poco fa - disse l'omone dai capelli dorati, non sbilanciandosi di più se non con un  semplice " carino". Quando si trattava di me, era sempre pronto a stuzzicarmi. Tipico di mio cognato. Eh già, il capitano Febo aveva avuto la fortuna di sposare Esmeralda, la zingara più bella di tutta la Corte dei Miracoli. La cosa bizzarra, era che fu proprio lei a fare il primo passo, chiedendogli di sposarla, e lui accettò. Chiamalo scemo! - Come sta andando, Clopin? Speriamo di non disturbarti. Stavamo passeggiando da queste parti e abbiamo pensato di fare un salto qui - spiegò Esmeralda. Tra le sue braccia stringeva con cura un fagottino avvolto da uno scialle di lana. I miei occhi brillarono appena vidi il piccino che dormiva beatamente e mi sporsi di più dal davanzale per vederlo meglio. Il piccolo Zephyr, il figlio di Esmeralda e Febo, il mio adorabile nipotino di pochi mesi. 
- Avete fatto benissimo. Sono felice di vedervi - parlai piano, con la paura di svegliare il neonato. Ma quell'atmosfera dolce fu devastata appena mi accorsi che i miei cari si fecero taciturni e seri.
-Che succede? Qualcosa non va? - chiesi, guardando sia Esme che Febo. Dopo un attimo di esitazione, fu proprio lui a rompere il silenzio. 
- Clopin, a dire il vero siamo venuti per dirti una cosa - cominciò, con un tono molto serio. Febo era sempre stato così, ma quel tono mi fece intendere che ci fosse qualcosa di cui dovermi preoccupare.  Mille pensieri cominciarono a vagare nella mia mente.
- E' successo qualcosa alla Corte dei Miracoli? - chiesi subito, con una certa ansia. 
- No, no, stai tranquillo. Alla Corte va tutto bene. Il fatto è... - il capitano non riuscì ad andare avanti.
Stavo cominciando a perdere la pazienza.
Febo cercò disperatamente gli occhi di Esme, come a chiederle aiuto.
Con un mezzo sorriso e un sospiro, mia sorella si rivolse a me.
- Clopin, abbiamo da poco saputo, che è arrivato in città un nuovo cantastorie -. Appena terminò quella frase, Febo divenne nervoso.
Io invece, rimasi un attimo stupefatto. Un nuovo cantastorie, eh? Diversamente dai loro timori, la cosa non mi fece né caldo né freddo. Insomma, non era la prima volta che nuovi menestrelli e canzonieri tentavano la fortuna in quel campo.
Inoltre, nessuno di loro era arrivato al mio livello. - Tutto qui?!- esclamai, quasi sul punto di riderli in faccia. - Credevo che fosse una cosa più seria. Suvvia, perché quelle facce! E poi, l'importante è che non operi nel mio territorio, qui al piazzale di Notre Dame - dissi, e per me la questione poteva finire lì.
Ma in quel preciso momento, le facce dei due si fecero ancora più cupe. 
- Appunto... - aggiunse Febo, senza però dire altro. Io mi voltai e lo guardai con aria sospetta. 
- Appunto cosa? - il tono della mia voce si fece più profonda, e potei leggere la tensione negli occhi di mio cognato. Per essere un uomo grande e grosso, ogni volta che si trattava di me, e dei miei temperamenti, temeva sempre di farmi arrabbiare. Credo che sia per quella vecchia storia accaduta un anno fa, quando lui e Quasimodo si erano introdotti nella Corte dei Miracoli.
In quell'occasione, avevo messo la corda attorno al collo di Febo, ed ero sul punto di impiccarlo. Meno male che Esme mi fermò in tempo (erano tempi in cui loro due non erano ancora fidanzati ufficialmente). Quell'esperienza, nonostante finì bene, non fece dimenticare al coraggioso capitano quanto il re degli zingari potesse essere così pericoloso. Ancora una volta, Esmeralda venne in suo aiuto. 
- Il punto è che... temo che dovrai dividere il piazzale con il nuovo arrivato -. Esmeralda aveva appena finito di parlare, e io mi pietrificai peggio di un gargoyle della cattedrale. Non era possibile! Dentro di me mi sentì esplodere. Avrei voluto urlare come un pazzo, ma dovetti trattenermi, un po’ per il piccolo Zephyr, un po’ per mantenere salva la mia immagine rispettabile. Ma era davvero troppo. Febo cercò di tranquillizzarmi:
- Avanti, Clopin. Non penserai mica che un novellino da quattro soldi ti possa rubare la scena. Sorridi! - disse, con leggerezza snervante. Non potei che fulminarlo con lo sguardo. Odiavo, nonostante le sue buone intenzioni, che sminuisse la mia situazione. 
- Non capisci, non ho paura di essere oscurato da lui, e nemmeno che magari possa essere più bravo di me. Si tratta di una cosa più personale -.
In quel momento senza rendercene conto, il mio nipotino si svegliò. I suoi occhioni vispi, di un bel verde (ereditati da Esmeralda) cominciarono a vagare da una parte all'altra, fino a che non si puntarono su di me. In quel momento, il cuore mi si fermò e uno strano calore mi fece addolcire, e la rabbia momentanea finì col diminuire. Zephyr, riconoscendomi, emise un versetto gioioso, come a volermi salutare e come fosse contento di vedermi. Io non potei fare a meno di avvicinarmi di più e comincia a fare delle boccacce. In risposta, il piccolo rise tutto pimpante.
- Oh, Zephyr, mon petit, sei così carino! - dissi con una voce affettuosa. Con un gesto spontaneo, come se la mia mano si fosse mossa da sola, feci comparire il piccolo Clopin, la bambola di pezza, e la mostrai al neonato. 
- Eh meno male, almeno non ha preso niente dallo zio! - le feci dire con la voce modificata. Esmeralda e Febo, rilassandosi, si divertirono a vedere quella scena. Zephyr protese una manina verso di me, e avvicinai una mano. Lui afferrò il mio dito indice, in quella manina paffuta e tenera. 
Mi sentivo così bene, ma al tempo stesso mi sentivo morire. Ecco a cosa alludevo poco fa. Non mi importava nulla di perdere fama e denaro, non era quello il problema. I bambini, oltre al mio popolo alla Corte, erano la mia ragione di vita. Il motivo per cui ero diventato un buffone della piazza, e solo per loro riservavo fatica e lavoro. Il solo pensiero di perderli, di non poterli più vedere attorno al mio carretto, mi strappava il cuore. La mia cara sorella, come se avesse intuito la verità, con voce materna e rassicurante mi parlò: 
- Clopin, mio caro, lo so cosa stai provando. Ma non temere, le tue paure non diventeranno realtà. Se ami tanto il tuo lavoro, e i bambini che sono cresciuti con le tue storie, stai certo che non li perderai. Sei il giullare della piazza, e tutti loro ti adorano. Nessuno prenderà il tuo posto nel loro cuore -.
Quelle parole mi fecero quasi commuovere. Ma poi scrollai la testa e ricordai un dettaglio: non ero solo il giullare, ma anche il re degli zingari, che se voleva qualcosa riusciva a prendersela, senza "se" e senza "ma". Qualunque fosse stata la minaccia, l'avrei affrontata a testa alta, non solo per me, ma anche per il mio pubblico adorato. Con un ultimo sguardo diretto a Zephyr, mi feci la promessa che non mi sarei scoraggiato, ed ero pronto a qualunque eventuale battaglia. Proprio come i cavalieri e i principi nelle mie storie. Avrei affrontato la bestia che voleva ostacolarmi, in qualunque forma essa fosse.  
Le campane suonarono per sette volte, ormai era buio, in quella serata di gennaio. Anche per Clopin era arrivato il momento di tornare a casa. Dopo essersi cambiato, e chiuso il carretto a chiave, si diresse verso le buie stradine di Parigi, buttandosi alle spalle il piazzale di Notre Dame.
Non sapeva però, che l'indomani avrebbe trovato una sorpresa che avrebbe stravolto la sua vita. 
 
Angolo dell'autrice

Dunque, premetto che questo capitolo mi è uscito fuori dalla testa ieri notte ( e infatti non sono riuscita a dormire per tutte le idee che mi balenavano nel cervello O.O che sonno!! ). Ma Clopin è sempre stato il mio personaggio preferito nel film d'animazione, e ora sto scoprendo anche la storia originale ( e ho anche visto il musical di Cocciante ** e anche lì, il personaggio di Clopin lo adoro ). Mi sembrava doveroso provare a scrivere una storia tutta incentrata su di lui ( dato che nel film lui è messo troppo da parte, ma rimane un personaggio particolare e meritava di più, secondo me). Spero che vi sia piaciuta e siate giusto un po curiosi di sapere chi sia il nuovo personaggio x3 Al prossimo capitolo       

 

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Capitolo 2
*** Un trono per due sovrani ***


                                                                                                             
                                                                                 Un trono per due sovrani
 
Nella tenda color porpora, tra mille candele dalla cera consumata, sui cuscini in mezzo al tappeto, dormiva serenamente il re degli zingari.  Ma da lì a poco, tutta la Corte dei Miracoli si sarebbe svegliata. Il primo fra tutti, era proprio lui, Clopin Trouillefou.
Ormai non aveva più bisogno di essere svegliato da qualcuno, i suoi occhi si aprivano da soli appena sorgeva l'alba.
Tutta questione di abitudine. Risulta facile quando per una vita intera fai un lavoro che, nonostante i lati scomodi, rimaneva un qualcosa che ti piaceva fare, e tutto era più gradevole. Appena sveglio, si stiracchiò a dovere, come un gattone, sollevandosi dall'ammasso di cuscini che fungevano da letto. La prima cosa che fece fu riempire un catino con acqua fresca, per poi usarla per lavarsi la faccia. Ora sì che andava meglio! Dopo essersi vestito (con i suoi semplici abiti da gitano, tutti rigorosamente di colore violaceo) si guardò allo specchio.
Eh, Clopin, ormai hai 35 anni! Ti stai facendo vecchio! 
Pensò in cuor suo, fissando quelle piccole rughe ai lati della bocca sottile. Ma non aveva tempo per quello, doveva sbrigarsi.
Era un nuovo mattino, e voleva arrivare il prima possibile alla piazza nei pressi di Notre Dame. Prese al volo una focaccia al miele (giusto per non uscire con lo stomaco vuoto) la strinse fra i denti, e intanto afferrò il suo mantello viola scuro e se lo portò alle spalle. L'aria del buon mattino era molto pungente. Dopo aver superato le altre decine di tende dei suoi sudditi, attraversato le catacombe piene zeppe di scheletri veri (e quelli finti, cioè i suoi sottoposti camuffati che facevano la guardia), lo zingaro finalmente uscì fuori da una tomba, che era l'entrata segreta per la Corte.
Era anche quello il motivo per cui Clopin doveva uscire molto presto, in modo che nessuno lo potesse vedere e così scoprire il nascondiglio segreto. Nonostante non ci fosse più una minaccia che eguagliasse l'ormai trapassato giudice Frollo, e gli zingari si sentivano più sereni, la cautela non doveva mai venir meno. 
Una volta assicurato di aver richiuso per bene la lastra di pietra sulla lapide, si affrettò ad uscire dal cimitero, guardandosi attorno per essere sicuro che non ci fossero spie nei dintorni. Meno male, via libera. Clopin si incamminò così, a passo svelto, in direzione della sua meta. 
 
PV Clopin
 
Dopo aver camminato per quindici minuti, senza fermarmi, eccomi arrivato alla piazza. In giro non c'era quasi nessuno, l'unica a darmi il benvenuto era la sagoma della cattedrale, bella e imponente come una regina. Respirai a pieni polmoni l'aria fresca di Parigi, giusto per riposarmi un po’. Le mie narici catturarono un delizioso profumo di dolci, probabilmente sfuggito da una cucina lì nei paraggi. Desideravo tanto una fetta di torta alle mele, la mia preferita. Le mie orecchie udirono dei passi leggeri.
Mi voltai e vidi che si trattavano di due donne, di mia conoscenza, che mi guardavano e si scambiavano qualche parola.
Erano Giselle e Marie, due sorelle che in passato (quando eravamo ancora tutti giovani) mi facevano la corte ed erano state una buona compagnia per me. 
- Bonjouuuur, Clopin! - dissero all'unisono, come facevano da tanti anni.
Io, non da meno, mi tolsi il cappello con galanteria, e con uno sguardo ammaliato risposi:
- Bonjour, mie belle dame. La vostra grazia mi incanta ogni volta che vi vedo -. Le mie vecchie fiamme nascosero i volti, rossi di imbarazzo, con i fazzoletti ricamati, ridendo leggermente.
Erano rimaste zitelle entrambe, ma avevano conservato il loro spirito gioviale. 
Sorridendo compiaciuto, mi rimisi il cappello, e girai i tacchi per andare verso il mio carretto. Ma proprio quando stavo per cercare la chiave, un ricordo mi fermò. Il nuovo cantastorie. E se anche lui era arrivato lì, nel piazzale?
Con un brutto presentimento, mi girai attorno, cercando di scrutare qualcuno con una faccia nuova. Poi, vidi qualcosa, proprio dall'altra parte della piazza, parallelo al mio teatrino. Era un carretto simile al mio, fatto in legno massiccio.
Per un momento, mi sentì agitato e nervoso. Ma anche un senso di irritazione si fece largo dentro di me. Quel maledetto!
Comincia a camminare nervosamente avanti e indietro, tenendo sempre gli occhi fissi su quel carretto sbucato dal nulla. Perfino la sua semplice presenza, mi dava una sensazione di sfida. Andiamo, sennò perché proprio stabilirsi lì, in bella mostra.
Che spudorato! Ma, poi mi venne in aiuto la cara ragione, che spazzò via il mio tormento, facendomi riflettere.
Forse stai esagerando, vecchio folle. Di cosa hai paura? E poi, non conosci ancora questo nuovo arrivato.
Al di là di tutta questa situazione, chi ti dice che non sia una persona umile, per bene, e magari simpatico. Uno che ha dato la propria esistenza per il divertimento altrui, come hai fatto tu. Da quando sei diventato così prevenuto nei confronti delle altre persone? (ah, giusto, dimenticavo che sono pur sempre il re dei gitani, che la prima cosa che fa appena becca un estraneo in casa sua, lo condanna a morte col sorriso sulla faccia...). Beh ma questo era un caso diverso.
Alla fine, stanco di quella discussione con me stesso, decisi di dare una possibilità al mio ospite. L'amicizia con Quasimodo mi aveva insegnato di non giudicare un libro dalla copertina, e soprattutto di non passare a conclusioni affrettate.
E va bene, dato che non potevo stare lì a fare il muschio, i miei piedi mi portarono fino al nuovo carretto.
Intanto, il tempo passava, e ormai il sole stava facendo capolino oltre le colline. 
Dovevo sbrigarmi, ancora non avevo indossato il mio costume da giullare. Quando arrivai, davanti alla porticina del davanzale (molto simile al quella del mio teatrino) mi resi conto che era ancora chiusa. Ma io volevo vederlo in faccia.
Allora, con volontà, provai a bussare sulle porticine, sperando di ricevere almeno una risposta. Niente, il silenzio totale. Sbuffando, alquanto seccato, mi girai e tornai sui miei passi. Era stata una pessima idea. 
Non solo avevo perso tempo prezioso, ma non avevo concluso nulla. Ecco cosa succede quando dai una possibilità agli sconosciuti. Basta, non volevo pensarci. Volevo solo concentrarmi sul mio lavoro e dare ai miei piccoli spettatori un'esibizione coi fiocchi. Appena arrivai al mio carretto, aprì con un colpo la porta sul retro, la chiusi alle mie spalle, e mi affrettai e cambiarmi d'abito. 
 
- Bravo! Bravo! -. 
Quella mattina, dovevo ammetterlo, avevo superato me stesso. La storia che aveva scelto era molto diversa dalle classiche dei giorni passati. Un mostro spaventoso, che viveva nel bosco incantato, aveva fatto amicizia con un'elfa, e quest'ultima, scoprendo quanto fosse in realtà buono, lo aveva aiutato a sconfiggere lo stregone cattivo che lo aveva messo in cattiva luce al resto del mondo. Finale lieto, ovviamente. Non era affatto male come storia originale. I bambini erano completamenti su di giri. Mi tolsi la grossa maschera da mostro che mi ero messo in testa (il piccolo Clopin, povero lui, aveva dovuto fare la parte dell'elfa). Anche quel giorno, avevo guadagnato molto, e fui soddisfatto. Mentre raccoglievo le monete, i miei occhi scorsero una bambina in particolare, che si faceva strada in mezzo agli altri. Doveva avere più o meno 8 anni.
Era Cosette, la mia ammiratrice numero uno.
Praticamente non si perdeva mai un mio spettacolo ed era sempre la prima davanti a tutti. La salutai con un sorriso, e lei subito mi mise le braccia al collo.
- Oplà! Bonjour, mon cherì! -. Era passato solo un anno, ma era cresciuta di molto. Era diventata più alta, coi capelli color grano sistemati in due treccine, e appena la presi in braccio, notai che aveva messo qualche grammo in più.
Mi chiesi per un attimo, con un alone di tristezza, se quando sarebbe diventata una bella donna, avrebbe ancora ascoltato con gioia le storie di questo giullare vecchio e decrepito. Crescono così in fretta (sigh).
- Clopin, sei stato bravissimo! La storia l'hai inventata tu? Mi è piaciuta così tanto - disse lei, vomitando a raffica tutte le sue emozioni. Era così dolce e vispa. Chi fossero i suoi genitori, erano stati baciati dalla fortuna. Dietro la sua schiena fece capolino il piccolo Clopin;
- Ma come? Io ho fatto tutto il lavoro difficile, e lui si becca i complimenti. Non è giusto! - piagnucolò la bambola, coprendosi la faccia con una manina. Cosette rise, e accarezzò il povero Clopin (in effetti non aveva tutti i torti, eheh) e disse
- Non piangere, petit Clopin, sei stato molto bravo anche tu. Eri molto carino con le ali da elfa -.
Ci guardammo e scoppiammo a ridere. Scherzavamo spesso in quel modo. Ma lei non poté fermarsi a lungo, doveva andare a scuola, e dopo avermi dato un bacino sulla guancia, scappò via, tutta felice.
Se mai un giorno, avessi avuto in dono una figlia, avrei voluto che fosse proprio come la piccola Cosette (Certo! Alla mia età, credici!). 
Decisi di chiudere il carretto, avevo voglia di una pausa, e soprattutto bere qualcosa. Grazie al mio lavoro e all'affetto del mio pubblico, ero di ottimo umore. Nemmeno la minima cosa storta mi avrebbe rovinato quel momento di pura gioia. Detto fatto! Stavo per andare via, quando mi fermai, quasi congelato.
Avevo visto bene? Girai la faccia e guardai verso la porta sul retro che avevo chiuso poco fa. Inchiodata sul legno vi era in bella mostra una lettera di pergamena. Senza temporeggiare, afferrai quel messaggio e ne lessi il contenuto: 
 
" Bonjour, Monsieur Clopin, o re dei giullari. Come preferite che mi rivolga a voi? Mi presento, sono il nuovo cantastorie del piazzale, arrivato da poco in città. Sono lieto di avere come vicino un gran Maestro del vostro livello. Ho sentito molto parlare di lei. Sarebbe un onore per me incontrarvi di persona, avere qualche consiglio e aiuto. Sono comunque un novellino. Vi attendo con ansia e spero di vedervi presto durante uno dei miei spettacoli.
Il vostro umile servo, il cantastorie.
P.s: ho assistito al suo spettacolo poco fa. Niente male"
 
Mi sta forse prendendo in giro? pensai, stropicciando la lettera, con tanta rabbia in corpo. Re dei giullari? Cos'è, vorrà farmi anche l'inchino quando mi vedrà?! Come osa questo impertinente?
Accartocciai la pergamena infame, la ridussi in una pallina e la gettai via in direzione del carretto al di là della piazza, come se volessi colpirlo. Che tu sia dannato, cantastorie dei miei stivali! Vieni a rubarmi il lavoro, il territorio, e per giunta ti burli di me!
Ero così arrabbiato che qualche passante, guardandomi in faccia, si spaventò e accelerò il passo per allontanarsi il più possibile. Camminai frettolosamente verso la destinazione che avevo scelto, avevo bisogno di farmi una bella bevuta, e di sfogarmi. C'era un solo posto dove potevo andare: la taverna di Marcel.
Mi recavo sempre lì, ogni volta per una pausa o per puro diletto durante le serate. Appena entrai, andai a sedermi al solito angolino, vicino al bancone, su una botte. Il mio posto riservato. Picchiettai forte sul bancone da poco lustrato per attirare l'attenzione.  Subito fece capolino dalla porta di servizio un uomo di quarant'anni, con baffetti sottili e con un faccione simpatico. Marcel fu lieto di vedermi. Ci conoscevamo da quando eravamo ragazzi. 
- Clopin, vecchio mio! Scommetto che vuoi il solito, vero? - mi disse, entusiasta. Con tutta risposta, borbottai qualcosa, e lui capì subito che avevo una di quelle giornate " no". Prese un boccale e lo riempi fino all'orlo di birra e me lo servì senza dire una parola. Uno dei pregi di Marcel era quello di sapere cosa fare e dire al momento giusto, e sapeva che in quel momento avevo bisogno di bere, prima di sfogare tutto.  Buttai giù mezza birra, tutta d'un fiato, poi ripresi a respirare, prendendomi un po’ di tempo. Marcel, intanto, era rimasto lì vicino, facendo finta di essere occupato a pulire i bicchieri, ma in realtà stava aspettando. Lo faceva per non mettermi fretta e darmi disagio. Alla fine, lo guardai, e con aria seccata cominciai.
Gli raccontai tutto, a incominciare da quando avevo saputo la notizia del nuovo cantastorie, fino alla lettera provocatoria. Il mio buon amico ascoltò in silenzio, annuendo qualche volta, e si strofinò i baffetti scuri. Quando terminai di parlare, avevo anche finito tutta la birra, e stavo sul punto di ordinarne dell'altra. Con aria nervosa, picchiettai le dita sul bancone.
- Ti giuro, mi da un nervoso. Non ci siamo ancora incontrati e vorrei prenderlo a calci, facendolo ritornare da dove è venuto - dissi, quasi ringhiando. Ma Marcel venne in mio aiuto, come aveva sempre fatto ogni volta che avevo un problema.
- Clopin, ormai ti conosco da una vita, e so benissimo quanto tu valga come giullare della piazza. Te lo posso confermare io e chiunque metta piede nella mia taverna. Parigi non sarebbe la stessa senza i tuoi spettacoli. Quindi, ascolta il mio consiglio. Non dare corda a questo nuovo arrivato, sta facendo tutta scena solo per farti arrabbiare e farti perdere la pazienza.
Non stare al suo gioco, e vedrai che si arrenderà e non ti darà più fastidio. Sono sicuro che entro una settimana il tizio capirà con chi si è messo a confronto e scapperà via con la coda tra le gambe. Stai tranquillo - disse lui, dandomi una affettuosa pacca sulla spalla. Non ero del tutto sicuro delle sue parole, ma in effetti non aveva tutti i torti. Forse era solo una questione di tempo, e tutto sarebbe tornato come prima. Sospirai, e mi passai una mano sulla fronte, come nel volermi scrollare anche l'ultimo residuo di stress.
- E poi - aggiunse Marcel - cosa mai potresti fare? Sfidarlo a duello? Eheheh - rise allegramente.
Ma quelle parole generarono un'idea che mi trapassò la mente, come una spada che trapassa un cuore. Lo guardai esterrefatto, come se il mio amico avesse trovato la soluzione a tutto. 
- Hai ragione... sì, hai perfettamente ragione, Marcel! - dissi, mentre gli occhi mi brillarono e un mezzo sorriso comparve sulla mia faccia. Il mio amico mi guardò impietrito, capendo che forse aveva appena combinato un guaio a parlare a bocca larga.
- Aspetta un attimo, Clopin, io stavo solo scherzando. Era un modo di dire... - disse, preoccupato. Conoscendo la mia altra natura, quella sanguinaria e pericolosa, Marcel voleva cercare di sviare le mie intenzioni.
- No, no, hai proprio ragione. Mi hai dato un ottimo consiglio, mon ami. Sapevo di poter contare su di te -.
E dopo aver lasciato delle monete per la birra, presi cappello e mantello, salutando frettolosamente Marcel ( che cercava ancora di persuadermi ) e lasciai la taverna sbattendo la porta. Come una molla impazzita, corsi e saltellai verso la piazza.
Ora sapevo cosa fare. Avrei risolto la situazione a modo mio, e nessuno poteva fermarmi. 
 
Quando si dice, occhio per occhio, dente per dente. E Clopin aveva deciso di seguirlo per mettere in atto il suo piano. Avrebbe sfidato quel cantastorie con un duello che avrebbe deciso chi fosse il migliore. Un duello all'ultimo spettacolo.
Nel piazzale di Notre Dame c'era posto per un solo giullare di corte. Inchiodato alla porticina chiusa del carretto del novellino, sventolava un pezzo di pergamena con sopra scritto: 
 
" Mio caro nuovo arrivato, voi mi lusingate con tanta stima nei miei riguardi. Ma lasciate che vi dia un consiglio, dato che me l'avete chiesto. Il valore di un artista non si misura con le parole, ma con il proprio talento. E se credete di essere degno di questa piazza, e di poterci rimanere, allora dimostratelo. Sarò ben lieto di vedere di che pasta siete fatto. Io mi sono mostrato, ora tocca a voi. Il migliore tra noi due sarà il vero e unico giullare di questo piazzale.
Il vostro Maestro, Clopin il re dei giullari ".
  
Il re dei gitani fissò ancora un po’ quel messaggio, assaporando il momento in cui il suo rivale si sarebbe mangiato le unghie per la paura di quella sfida. Non vedeva l'ora che incominciasse. Con una mano fece sventolare il mantello violaceo, e si girò per poi incamminarsi per tornare alla Corte dei Miracoli.
Clopin, finalmente, avrebbe riavuto tutto per se il trono nella piazza che era suo di diritto. Mentre si allontanava, incurante di tutto il resto, lì al carretto apparentemente silenzioso, una porticina si aprì lentamente. Una mano uscì fuori per staccare il messaggio e portarlo con se all'interno del teatrino, emettendo un cigolio sinistro.    
 
Angolo dell'autrice

Ecco il secondo capitolo ^^ Clopin ha trovato pane per i suoi denti XD Comunque, man mano sto inserendo altri personaggi, inventati certo, ma che saranno utili per lo sviluppo della storia.
Cosette* la bambina che Clopin prende in braccio, in realtà è la bambina che si vede nel film ( quella che nel finale 
accarezza Quasimodo, e poi viene presa in braccio proprio da Clopin durante la canzone finale ^=^ ) ho pensato di inserirla, solo con qualche modifica dato che è più grande di un anno.
Che dire, spero che continuate a leggerla che nel prossimo capitolo scoprirete qualcosa in più di questo rivale misterioso X3
Lasciate pure le vostre opinioni che sono molto curiosa ^^ 

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Capitolo 3
*** Ferisce più il violino che la spada ***


                                                                                                                 
                                                                            Ferisce più il violino che la spada

Qualcosa di diverso nell'aria si stava diffondendo, lì nel piazzale di Notre Dame. Forse perché ben presto ci sarebbe stato il festival più esilarante e pazzo di tutto l'anno: la Festa dei Folli. O forse, perché il giullare più amato della città, aveva dato il meglio di sé, in quella mattinata. Si era svegliato ancor prima dell'alba, quando le botteghe erano chiuse e le strade ancora offuscate dalla nebbia. Dopo aver raccattato tutto il materiale che potesse servirgli, nastri, coriandoli, vernice, tele per fondali, e ovviamente stoffe di ogni colore, si era precipitato al suo teatrino mobile, e vi si era rifugiato lavorando come non aveva mai fatto in passato. Si stava preparando per il gran duello. Finalmente avrebbe avuto la sua vittoria contro quel nuovo cantastorie che aveva osato prendersi gioco di lui. Poco prima che il sole fece la sua comparsa per illuminare la bella Parigi, le porticine si aprirono e una nuvola di colore fuxia si dilatò, accompagnata da un suono che assomigliava a uno scoppio. Tutto ciò colse di sorpresa le persone che passavano da quelle parti, specialmente i più piccoli. Il pupazzetto dalle sembianze di Clopin fece la sua apparizione, muovendosi da una direzione all'altra.
- Benvenuti, madame e monsieur, alla corte reale di Clopin - annunciò il piccoletto, mentre le tendine del teatro si aprivano mostrando un fondale che lasciò a bocca aperta i bambini; un paesaggio colorato, con una collina su dove si ergeva un castello degno di un gran sovrano. Clopin fece la sua apparizione, nella maniera più festosa possibile. Stelle filanti volarono dappertutto e coriandoli di mille colori scintillarono come piccoli diamanti. Presentandosi con un lungo mantello dai bordi piumati e una coroncina dorata, il re dei giullari fu accolto da applausi scroscianti e urla entusiaste.
Lo spettacolo iniziò, e con la voce vellutata e soave del giullare, la storia prese vita con effetti scenici che non si erano mai visti prima, Il piccolo Clopin faceva la parte di un sovrano malvagio che voleva usurpare il trono dell'altro re, tanto amato dal popolo, e per questo si scontrarono in un duello all'ultimo sangue ( personaggi e situazioni sono puramente casuali e non rispecchiano la realtà, vero Clopin?).

PV Clopin

- Arrenditi, brutto impostore! Grazie alla fedeltà e all'amore del mio popolo, non sei riuscito nella tua malvagia impresa! -.
Così dicendo, colpì il mio piccolo "collega" con una spada finta e lui ansimante cadde a terra. Attivai la chiusura delle tendine color porpora, mentre avvertivo già i primi applausi. Quando le riaprì, mi mostrai nuovamente, mentre coriandoli piovevano dall'alto (che uscivano da un sacco che avevo posizionato in un incavo, sotto le tegole del carretto). Non si fecero attendere grida e urla del mio pubblico adorato, e ovviamente le monetine apparvero, saltando come grilli sul davanzale. Feci un profondo inchino e da dietro la schiena apparve anche il piccolo Clopin per raccogliere quelle attenzioni (era giusto che anche lui avesse la sua parte di gloria). Dopo aver ricevuto vari complimenti, i bambini cominciarono ad allontanarsi per recarsi in altri luoghi, e 
io potei rilassarmi e godermi i frutti del mio duro lavoro. Ero molto stanco, dato che mi ero svegliato prestissimo, e non avevo smesso di  lavorare nemmeno per un attimo. Mentre mi stiracchiavo sul mio caro divanetto dalla copertura in stoffa blu, diedi un'occhiata al davanzale e l'interno del mio teatrino: tutto era ricoperto di stelle filanti, coriandoli, e polvere colorata. Ahi, ahi, dovrò dare una bella pulita! Però, ne è valsa la pena, dai! Ero molto soddisfatto, alla fin fine. Sbadigliando rumorosamente, mi accoccolai meglio, abbracciando un cuscino, e lasciai che la quiete mi cullasse. Mentre lasciavo riposare gli occhi, sentì in lontananza il suono delle campane a Notre Dame. Il caro Quasimodo ci stava annunciando che era ora di pranzo.
A quel pensiero, il mio stomaco brontolò, e io non potei che essere daccordo con lui. Non avevo toccato cibo da quando avevo aperto gli occhi, quella mattina.
- E va bene - dissi ad alta voce - andiamo a mettere qualcosa sotto i denti -. Decisi di non cambiarmi (avevo ancora il costume da giullare) perché avevo troppa fame, e poco tempo a disposizione. Inoltre, ero molto curioso di vedere se il mio rivale mi avesse lasciato un altro messaggio di sfida. Uscii fuori dal carretto, e controllai sulla porta se c'era un foglio di pergamena.
Ma niente. Nessun messaggio. A quel punto, un sorrisetto si fece strada sul mio volto. A quanto pare devo averlo intimorito. Avrà capito dalla mia risposta di ieri che non sono un tipo con cui scherzare. Scommetto che si sarà così spaventato, che avrà tolto le tende, recuperato baracca e burattini e se la sarà data a gambe. Logico. Avevo una gran voglia di ridere a squarciagola, ma dovetti trattenermi. Mentre ridacchiavo dentro di me, sentì alcuni bambini correre lì nei paraggi, e qualcuno gridare: 
- Andiamo a vedere! Corri! -. 
Incuriosito, mi girai per capire cosa stesse succedendo. In effetti, c'erano dei bambini che correvano nella direzione opposta al mio teatrino, precisamente dall'altra parte del piazzale. Lì, dove il mio sguardo si posò, c'era ancora quel maledetto teatrino mobile, circondato da una folla notevole. Non ci posso credere...
Rimasi spiazzato quando mi resi conto che tutto quel trambusto era causato dal mio peggior nemico. Avvertendo applausi e fischi, compresi che stava per iniziare uno spettacolo. Strinsi i pugni per la rabbia, e senza rendermene conto le mie gambe si mossero e mi portarono in mezzo a quel gruppo di persone, così attente a guardare l'esibizione. Appena arrivai, mi accorsi che erano presenti non solo bambini, ma anche alcuni adulti. Un senso di fastidio mi martellava nel profondo del mio orgoglio. Mah, chissà cosa avrà di tanto speciale questo teatrino, sembra molto simile al mio, pensai. E in effetti era così, ma la mia certezza mutò quando accadde quel che vidi. Proprio come avveniva in tanti teatrini di marionette, ecco che sbucarono fuori due pupazzetti di stoffa, ben cuciti e definiti, dovevo ammettere. Ma ciò che era diverso, e che mi lasciò molto stupito, era che quelle marionette non erano controllate dalle mani, bensì dai piedi. Proprio lì, su un comune davanzale, di un comune teatrino, erano appoggiati due piedi fasciati dai due pupazzi. Ma nonostante ciò, si muovevano perfettamente e davano bene il senso della recitazione. Che stranezza, pensai. Il burattinaio non si vedeva, probabilmente era seduto su uno sgabello all'interno del teatrino, e nella penombra si scorgeva giusto la sagoma, ma non i dettagli. Solo le gambe, lunghe e affusolate in una calzamaglia, e i piedi con i pupazzetti, erano ben visibili. Poi, mentre mi stavo grattando la testa, sentì un suono dolce, melodioso, ma anche vibrato. Un violino. 
- Che bella musica! - sentì dire in mezzo alla folla. Per un attimo mi sono sentito strano, quasi rapito da quella melodia, così dolce e malinconica. A passo di musica, le due marionette, che dovevano rappresentare una coppia, cominciarono a ballare, simulando una romantica scena d'amore. Una donna, che si trovava a qualche centimetro da me, stava guardando la scena ed emise dei sospiri. Diedi un'occhiata generale a quel gruppo. Tutti, sia bambini che adulti, erano con gli occhi incollati a quella strana esibizione. 
Cosa c'è di così bello? Io mi sto annoiando! Dissi nella mia mente. Una ridicola e schiocca scena sdolcinata. Mah, che noia!
Proprio quando avevo finito di lamentarmi, ecco che tutto ad un tratto, la musica cessò. Un suono stridente del violino mi fece venire i brividi.  I  pupazzetti smisero di danzare. I piedi del giullare scattarono in un gesto per far volare via quelle marionette, per poi scoprire che sotto ce ne erano altre due del tutto diverse. Erano due animaletti, forse due caprette. La musica si scatenò in modo più festoso e frizzante. Le caprette ballarono a ritmo di musica, e a quella scena i bambini, che erano rimasti calmi, cominciarono a saltare e a ridere divertiti. Gli adulti, non da meno, battevano le mani, come per accompagnare quella stravagante musica. Ma cosa...? Solo io rimasi interdetto, con le braccia che mi cascavano ai lati, e gli occhi rivolti a quella esibizione insolita. Non riuscivo a capire le mie emozioni. Trovavo tutto così strano e inusuale, ma non potevo fare a meno di rimanere lì, a guardare la scena. Ero come ipnotizzato. Significava che in fin dei conti mi stava piacendo? Intanto, la musica terminò, i pupazzetti, grazie ai movimenti dei piedi, fecero il loro inchino (wow, che elasticità!). La folla sembrava impazzita. Ci fu un applauso che durò per tanto tempo. Per non parlare delle monete d'oro che riempirono completamente il davanzale. 
- Ancora! Ancora! - gridò un bambino davanti a tutti. Insieme a lui, altri si unirono alla richiesta. Se quel pubblico festante aveva le bocche spalancate per gioire, la mia era scesa fin giù a terra per l'incredulità. Ma davvero?! Volevano anche il bis? Senza neanche una pausa?
Ggrrr! Ringhiai sottotono, come un cane che non poteva nemmeno arrabbiarsi. Era tutto così assurdo. In un solo spettacolo era riuscito a conquistare un buon numero di persone e a crearsi un pubblico che già lo adorava. Mentre il mio cervello stava andando in fumo dalla collera, aspettai lì, senza muovermi.
Almeno potrò finalmente vederlo in faccia. Ora davvero dovrà mostrarsi per forza, per presentarsi a tutti.
Forza, ti sto aspettando.
Ma diversamente dalle aspettative della folla, e dalle mie, il cantastorie non uscì allo scoperto. Ritirò indietro le gambe, ma rimase nell'ombra. Una nuvola di fumo rosso, con tanto di brillantini, scoppiò e si dilatò. Le tendine e le porticine si chiusero, mentre dei foglietti colorati volarono verso la folla. I bambini fecero a gara a chi riusciva a prenderne uno, mentre gli adulti già stavano commentando con note positive lo spettacolo. 
- Peccato, mi sarebbe piaciuto vederne subito un altro. Questo nuovo cantastorie è davvero fantastico - sentì dire da alcuni di loro. Tutti sembravano felici e divertiti, e man mano ognuno si allontanò da quello spazio. Solo io rimasi. Non riuscivo più a percepire nulla. Perfino la fame di poco fa si era dissolta. Emozioni contrastanti mi frullavano dell'animo. Ma la mia testa era lucida, e mi riportò sulla giusta via. Ritrovata la razionalità, gonfia il petto e mi avvicinai con decisione alle porticine del teatrino. Basta coi giochetti, pensai. Bussai forte sulla superficie legnosa, e aspettai un po’. Nessuna risposta.
- Lo so che ci sei - gridai, appoggiando le labbra alle porticine per farmi sentire bene. - Cos'era quello? Un vero artista di strada dovrebbe portare rispetto al suo pubblico, e come minimo mostrare la propria faccia. Parlo con te! Non avevi detto che volevi incontrarmi di persona? Mantieni la tua parola, da vero uomo e artista! - conclusi, tutto d'un fiato. In quel preciso momento, una delle porticine si aprì leggermente, giusto uno spiraglio, in modo che un foglietto di carta uscisse fuori, per poi richiudersi velocemente. Fissai per un attimo quel pezzo di carta di colore verde. Sembrava proprio uno di quelli che aveva lanciato sulla folla. Ma mi stava prendendo in giro? Afferrai quel foglietto e ne lessi il contenuto:
" Grazie per essere venuti. Vi aspetto al prossimo spettacolo". Ne avevo abbastanza. Non riuscendo più a resistere, emisi un grido di rabbia. Strappai in mille pezzetti il foglio e gettai tutto per terra, calpestando in mezzo alla polvere.
Dovevo assolutamente allontanarmi da lì, altrimenti avrei fatto qualcosa di cui pentirmene. Ma dopo qualche passo, mi voltai nuovamente verso il teatrino del mio rivale, che era tornato silenzioso come sempre. Con un dito puntato dissi a voce alta.
- Ti sei messo contro l'uomo sbagliato! Giuro che te ne farò pentire! -. E senza aspettarmi nessuna reazione, tanto ne ero sicuro, ritornai sui miei passi, dirigendomi verso la mia destinazione. Non avevo voglia di andare a ubriacarmi da Marcel, e nemmeno disturbare Quasimodo. Volevo solo  vedere lei. 
Il sole si stava andando a nascondere dietro a un cumulo di nuvole grigie. Forse stava per venire a piovere. Ancora con il costume da giullare addosso, mi precipitai dall'altra parte del piazzale, in un angolo dove era stata montata una grande tenda rossa che conoscevo bene. Senza indugiare vi entrai.
- Esmeralda, ci sei? - chiesi, con voce pacata. Da dietro un separé intravidi una sagoma seduta. 
- Clopin. Sì, sono qui con Zephyr - mi annunciò lei, con un tono di voce basso. Prima che potessi andare avanti, mi soffermai e chiesi piano.
- Ti ho forse disturbata? -. La sua ombra si mosse, e capì che si stava alzando dalla sedia. Dopo qualche minuto, lei si materializzò da dietro il separé. Si stava sistemando meglio l'apertura della vestaglia color blu. Con un sorriso mi accolse e mi invitò a sedersi vicino a lei su dei cuscini.
- Tranquillo, sei arrivato al momento giusto. Da poco Zephyr ha fatto la poppata. Si è addormentato subito - mi spiegò con naturalezza. L'avevo immaginato.
Anche se eravamo fratello e sorella, e lei era sempre così naturale, come se non provasse disagio, io riservavo sempre per lei dei modi rispettosi. Era pur sempre una donna, e rispettavo la sua privacy, lasciandola sola nei momenti più delicati della sua maternità, come quello dell'allattamento. Lei lo aveva capito, e mi accarezzò la mano come a volermi tranquillizzare e ringraziare allo stesso tempo. La mia sorellina era il mio bene più prezioso.
Era sempre stata con me, fin da bambina, da quando sua madre era morta. L'avevo sempre protetta e l'avrei fatto anche in futuro. Nonostante i primi dubbi sull'unione tra lei e Febo, fui davvero felice di dare la mia benedizione, sia come fratello che come re degli zingari. Lui mi aveva dimostrato che amava Esme più della sua stessa vita. E ancora oggi, la rendeva una donna e una moglie felice. Dando un'occhiata ai miei vestiti mi chiese:
- Sei in pausa? Tornerai presto a lavorare, immagino. Come mai allora sei qui? -.
In quel momento, ricordai il motivo per cui ero corso da lei. Volevo tanto sfogarmi e raccontarle cosa era successo. Avevo bisogno di sentirmi dire da una persona a me cara, che andava tutto bene. Mi bastava solo quello. Ero sul punto di iniziare, quando da dietro il separé sentimmo un pianto improvviso. Zephyr si era svegliato. Doveva aver sentito le nostre voci. Esmeralda si alzò subito e corse dal suo piccolo. Poco dopo tornò da me, con in braccio il mio nipotino. Esme lo teneva alzato, con la testolina appoggiata sulla sua spalla, e con la mano gli dava piccoli colpetti sulla schiena. 
- Questo è quello che succede con le poppate abbondanti - rise lei, tornando a sedersi vicino a me. Essere madre era una bella responsabilità, pensai. Fu in quel momento che le mie intenzioni cambiarono. Non potevo dare altre preoccupazioni o pensieri alla mia Esmeralda. Già era dura prendersi cura di un neonato, e lei cercava comunque di essere sempre presente per me e per gli altri. Non mi sembrava giusto farla stressare ulteriormente.
- Allora, volevi dirmi qualcosa? - disse alla fine. Ma io avevo già preso la mia decisione. Con un sorriso rassicurante, scrollai la testa, e risposi:
- Nulla, cherì. Volevo solo vedere come stavate te e il piccolo. Con tutto il lavoro che c'è, a volte non riesco a passare nemmeno un po’ di tempo con voi - spiegai. In effetti, avevo lavorato un po’ troppo ultimamente (chissà perché ...). Mi alzai dai cuscini, diedi un bacio sulla fronte di Esme, e lei mi ricambiò con un sorriso pieno d'affetto. Accarezzai piano la testolina di Zephyr, che intanto si era del tutto calmato. Li avrei protetti, a qualsiasi costo.
- Ora devo proprio andare, il mio pubblico mi aspetta - dissi, e mi voltai per avviarmi verso l'uscita. Ma subito Esme mi richiamò. 
- Aspetta, Clopin, a dire il vero c'è una cosa che devo dirti io - mi spiegò, mentre teneva ancora in braccio Zephyr in quel modo. Io rimasi fermo a guardarla e aspettai. Era un po’ titubante, ma dal tono capì che non era niente di allarmante. 
- Sai che dopodomani è la Festa dei Folli - cominciò. Giusto! La festa! Me ne ero completamente dimenticato. Ed era grave, dato che anche per  quell'anno sarei stato io a presentarla. Dopo questa illuminazione, annuì a mia sorella, e le feci cenno di proseguire. 
- Ecco, credo che per quest'anno io ne farò a meno - concluse, volgendo lo sguardo di lato, in direzione del piccolo.
Ah, ecco! Da quando Esme era diventata mamma, da poco per giunta, il suo istinto materno era cresciuto e non perdeva mai di vista il suo bambino. In effetti, pensandoci, non era il caso per lei di stancarsi troppo, e al tempo stesso avere in continuazione la preoccupazione per Zephyr, anche se fosse rimasto al sicuro con una balia. 
- Non preoccuparti, mon cher, capisco perfettamente - le dissi, tranquillo - Vorrà dire che farò tutto da solo quest'anno - aggiunsi con ironia. 
- Oh, no. Non sarai da solo. Ho trovato una sostituta degna per l'evento - disse. Una sostituta? Di solito non mi fidavo di gente nuova e sconosciuta, faceva parte del mio carattere. Ma se era Esmeralda a dirmelo, mi fidavo ciecamente. Dopo un momento di silenzio, acconsentì.
- Va bene, l'importante è che sia brava - dissi, mentre mi preparavo per uscire fuori dalla tenda. Si stava facendo tardi e dovevo muovermi.
- Molto brava. L'ho conosciuta stamane, si è offerta personalmente di sostituirmi, e ho avuto modo di vederla all'opera. Sarà perfetta, vedrai - mi assicurò lei. Era deciso. I miei occhi si alzarono verso il cielo che si stava annuvolando sempre di più. Speriamo che il tempo sia bello nel giorno della festa.
- Ah, e si chiama Roxanne - mi disse ad alta voce Esme per richiamare la mia attenzione. Mi voltai e ripetei 
- Roxanne? - 
- Sì, si chiama così - mi confermò.

Lasciata la tenda rossa, il re dei giullari si diresse verso la cattedrale di Notre Dame. Voleva fare visita al suo amico campanaro per chiedergli di aiutarlo con i preparativi per la festa. Si era così tanto ridotto all'ultimo minuto che da solo non ce l'avrebbe mai fatta. Ma Clopin non era l'unico ad avere tutta quell'ansia per l'evento più importante dell'anno. Nel carretto delle marionette, che quel giorno aveva avuto tanto successo, vi era una persona che si stava esercitando. Due menti così speciali, due cuori così pieni di vita, si stavano preparando alla fantastica e pazza Festa dei Folli. E forse, sarebbe stato il giorno più folle della loro intera vita. 

Angolo dell'autrice:
mi dispiace per averci messo più tempo del solito, ma sono tornata da poco dal Rimini Comix ( fiera cosplay ), e non ho avuto mai tempo per poter continuare a scrivere ^^'' Non vedevo l'ora di pubblicare questo nuovo capitolo. Ammetto però che volevo far uscire allo scoperto il nuovo cantastorie proprio in 
questo capitolo, ma c'era giustamente volevo prima mostrare la prima fase del duello, prima di passare alla rivelazione ( almeno per clopin, che tanto già  si è capita la cosa XD). Comunque se siete arrivati fino a qui, allora vedrete nel prossimo capitolo - La festa dei Folli - cosa accadrà, la reazione di Clopin e tutto il resto. Mi metterò subito a lavoro, che ho tutto stampato in mente **
Alla prossima
Ditemi pure la vostra e quanto siete curiosi di scoprire i prossimi capitoli <3     

                                                                                                     

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Capitolo 4
*** La festa dei Folli ***


                                                                                                     
                                                                               La festa dei Folli

Il cielo era ricoperto da un manto grigiastro che non prometteva nulla di buono. Se fosse scoppiato lì per lì un temporale, sarebbe stato un vero disastro.  Quel giorno, in fondo, lo aveva atteso l'intera città parigina. Inoltre, non si poteva rimandare, dato che era tutto pronto. I nastri con le bandierine erano stati fissati ad ogni palo e appiglio nella piazza, i tendoni colorati erano montati in vari angoli del luogo, e perfino il palco era stato costruito per l'occasione.
La festa dei Folli non poteva aspettare.

PV Clopin

- Mettete quei festoni laggiù. Lì deve andare il trono del re dei Folli. Ci vogliono altri barili di birra. -
Asciugandomi la fronte, imperlata di sudore, andavo avanti e indietro per dare le ultime direttive per i preparativi.
Ero così carico di lavoro che non avevo notato il tempo che passava velocemente. Odiavo fare le cose all'ultimo minuto.
Non erano ammessi errori o intoppi. Quel giorno, la festa doveva essere perfetta. Sempre se il cielo lo avrebbe permesso, pensai, mentre scrutavo i nuvoloni grigi, che si addossavano l'uno all'altro. 
Ti prego, ti prego, non oggi. Non rovinare tutto. Mentre formulavo quella silenziosa preghiera, osservai alcuni zingari, sudditi della mia  Corte, che stavano martellando sui chiodi del trono per il re dei Folli. In quel momento, mi tornarono in mente le parole di Quasimodo.
Due giorni fa.
- Non sarò presente alla festa, quest'anno. Mi dispiace, Clopin - mi disse, con aria molto turbata.
Ogni anno, come da tradizione, il re dell'anno precedente si doveva presentare per poi fare spazio a quello nuovo. E dato che Quasi, l'anno scorso era stato il re dei Folli, era logico che si sarebbe dovuto presentare. Ma come avevo sospettato, il mio caro amico non se la sentiva di partecipare nuovamente, dopo quello che gli era successo quella volta. Come dargli torto. Era stata l'esperienza più umiliante della sua vita. Nonostante fosse passato del tempo, e lui si sentiva a suo agio col mondo esterno, non aveva però dimenticato quel giorno. 
- Mi limiterò a guardare dall'alto - aggiunse, mentre dava un'occhiata fuori, oltre il suo tavolo da lavoro.
Rispettai la sua volontà,  soprattutto dopo avermi promesso che sarebbe venuto quella sera alla taverna di Marcel, per continuare a festeggiare nel post-festival. Meno male. Pensare che sarebbe rimasto rinchiuso nel campanile per tutto il giorno, mi avrebbe lasciato una gran tristezza.
Si stava facendo tardi. Era quasi mezzogiorno e io dovevo correre al mio teatrino per cambiarmi. Clopin, il re della piazza, doveva essere pronto per presentare nuovamente la festa più pazza dell'anno. Mentre saltellavo in mezzo al piazzale, canticchiai la solita canzone dell'evento. Ormai la conoscevo a memoria. Appena arrivai alla porta sul retro del mio carretto, come in automatico, diedi un'occhiata nella direzione opposta. Spalancai gli occhi sorpreso. Il carretto del nuovo cantastorie, che aveva preso posto negli ultimi giorni e che mi aveva fatto precipitare nell'ansia, non c'era più. Dissolto nel nulla. Come se non fosse mai esistito. Dove era finito? Da quanto tempo? Perché?
Ma sinceramente, quelle domande non avevano bisogno di risposte. Non mi importava di saperlo. 
Ciò che contava era che fossi nuovamente io il solo e unico giullare della piazza. Sollievo e soddisfazione mi riempirono il petto.
Comincia a saltellare come una molla, su e giù, tanto che qualcuno osservandomi, pensava che stessi anticipando i festeggiamenti del giorno. Perché no? Quello era un giorno perfetto per fare festini e divertirsi come non mai. L'unica spiegazione a quella improvvisa sparizione è che dopo la minaccia verbale lanciata due giorni fa, il mio presunto rivale, intimorito, aveva raccolto baracca e burattini e se l'era data a gambe. Ecco cosa succede quando ci si mette contro ad uno come me. Mi ero liberato di quel presuntuoso novellino senza fare chissà cosa. Sprizzavo felicità da tutti i pori e non vedevo l'ora che la festa iniziasse. Avevo una gran voglia di divertimenti, birra, e magari la compagnia di qualche bellezza femminile. Senza perdere altro tempo, aprì la porta del teatro, e dopo aver ispirato a fondo l'aria fresca, mi rintanai al suo interno.  

-Ehy voi, di qua! Vai, lasciate ogni mestier, è arrivato il grande dì -.
Come al solito, il lungo corteo delle voci del coro, tutti col mantello e cappuccio nero, si fecero largo al centro del piazzale. 
E anche io ero al mio solito posto, lontano dagli sguardi degli spettatori. 
- Ehy, voi, si può! Oggi non esiston più regole e schiavitù. Oggi è il giorno in cui, siiiii...-
-Puòòòòòòò!- la mia voce si innalzò in mezzo alle altre, nel preciso momento in cui uscì allo scoperto.
Mentre un boato di urla, fischi e applausi si elevò con vigore, fui circondato da coriandoli dai mille colori, e tende e drappi si aprirono alla mia presenza.
Uno spettacolo mozzafiato. Se non avete mai partecipato alla festa dei Folli, non potete lontanamente immaginare la grandezza di tale evento.
Il piazzale era gremito di persone di ogni genere: uomini, donne e bambini.  La musica, che proveniva dal gruppo di musicisti,
esplose e mi diede la carica per cominciare la mia esibizione. Come un lampo, cominciai a fare acrobazie e salti mortali.
- Una volta all'anno ormai chi non lo sa. Noi buttiamo all'aria tutta la città. Ogni re potrebbe ritrovarsi un clown. Oggi comandiamo solo noi -.
Cantai senza sbagliare neanche una nota, e intanto mi guardavo attorno. Era un vero peccato, che non c'erano ne Esme ne Quasi a condividere con me quella giocosa festa. Nonostante avessi capito le ragioni di entrambi, dentro di me, mi sentivo un po’ triste. Anche il cielo, così grigio, sembrava rispecchiare il mio stato d'animo. Ma volevo continuare a cantare e a muovermi, per intrattenere gli altri, e per mantenere il mio buon umore. Ovviamente non mancavano le solite mascherate più bizzarre. Quel gioco di colori e di forme erano l'anima della festa stessa, dove per un giorno potevi essere quello che volevi. Ma io rimanevo anche in quell'occasione il giullare dal costume variopinto coi campanelli. E mi bastava così. 
- Tutto quanto è sottosopra! Sottosopra! - cantarono in coro con me tutti i popolani. In mezzo a un gruppo di bambini, tra gomitate e spintoni, riuscì a farsi avanti la piccola Cosette, che corse veloce verso di me. La presi in braccio, facendola volteggiare nell'aria.
- Resti a casa chi non ce la fa... - canticchiai mentre tenevo Cosette in aria, e lei prontamente terminò la frase, con la sua vocina
 - a mandare all'aria la città! -.
Perché non era lei la mia nuova partner quel giorno? Era la degna erede come regina delle feste! 
Giusto, mi ero dimenticato della sostituta. La mia partner. Si stava avvicinando il momento che tutti aspettavano. Mi chiedevo però, come avrebbero reagito i baldi giovani non vedendo la loro amata ballerina. La bella Esmeralda.
- Di qua! Ehy, voi! L'occasione è questa qua per scoprire la beltà! - feci vibrare la mia voce e a quelle parole, un gran numero di persone, soprattutto uomini, circondarono il palco dai drappi rossi. 
- Per voi, c'è lei! Della Francia è un'entità per bellezza e rarità! - gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di me, e sapevo che di lì a poco sarebbe scoppiato l'entusiasmo maschile generale. O forse, ci sarebbe stato un boato di delusione generale?...
- Ecco a voi. Roxaaaaaaaaaaaaaanne, qua! - e feci scoppiare una nuvola fuxia, il solito diversivo per poter sparire indisturbato, sotto al palco, tramite una botola. 
Lì sotto, potei sentire chiaramente... il nulla! Il silenzio assoluto. Inizialmente, avevo percepito i primi cori festanti, nel preciso momento in cui ero svanito per dare spazio alla mia partner. Ma ora, niente fischi, niente schiamazzi, nemmeno un piccolo battito di mani.
Cosa stava accadendo? La risposta avvenne tramite dei passi decisi sopra la mia testa, sul palco in legno massiccio. Qualcuno stava camminando. Camminare? E il ballo? Era quello che mi aspettavo, insieme agli schiamazzi impazziti! Non quiete e tacchi sul legno!
Cosa stava combinando la mia partner?! Poi, lo sentì. Un suono vibrato, dolce e armonico. Qualcosa di alquanto familiare al mio orecchio. Dove avevo già sentito quella melodia? Avvicinai la testa il più possibile alla botola per ascoltare meglio. Il suono si elevò, e divenne più stridulo e potente, come un essere celeste che sale su verso il cielo. La folla era ancora ammutolita, e riuscì a percepire qualche sospiro. Poi, la melodia tacque. Ero troppo nervoso, ma anche curioso, e volevo assolutamente controllare la situazione. Alzai lentamente la botola e cercai di sbirciare. Vidi facce di uomini che erano rimasti come incantati. Non sbattevano neanche le palpebre. Ma che? All'improvviso, un nuovo suono si fece largo, rompendo quel silenzio assurdo. Era una melodia più forte, acuta e movimentata. Un boato gioioso ed eccitato che veniva dalla folla mi fece quasi sobbalzare. La tanto sperata reazione che mi aspettavo, era esplosa in quel momento.  Tip tap, tip tap. Facevano le scarpe su quella superficie. Stava ballando!
A ritmo di quella musica frizzante e contagiosa, la mia partner si stava esibendo in una folle danza che io, sfortunatamente, non stavo assistendo.
- Eppure, questo suono... aspetta, ma è un violino! - mi dissi. E quella melodia di poco fa, così familiare. Dentro di me crebbe uno strano presentimento. Non poteva essere...Quell'ansia mi portò ad aprire la botola prima del previsto. Non dirmi che...
Appena mi ritrovai nuovamente all'aperto, sul palco, davanti a me la folla stava donando monete d'oro a vagonate.
Ebbi il tempo di spostare lo sguardo al centro, e lì, dandomi le spalle, vidi la mia nuova partner, Roxanne.
Devo confessarvi un dettaglio: per il troppo lavoro, non avevo mai avuto occasione di vederla e di conoscerla, mi ero solo affidato alle parole di Esmeralda. Ma ora era lì, al centro del palco, che accoglieva le attenzioni della folla. Aveva fatto una spaccata perfetta, con una mano reggeva il violino, mentre l'altra era alzata in aria. Senza pensarci troppo, mi avvicinai a lei, con il cervello che mi martellava le parole: " Andiamo, hai ancora dubbi su chi sia?! ".
Le presi la mano con delicatezza, per aiutarla ad alzarsi. Una volta in piedi, sì girò e finalmente ci guardammo negli occhi per la prima volta. Attraverso le fessure di una maschera, mi fissavano due gemme dal colore indefinito e incorniciate da lunghe ciglia folte. Rimasi imbambolato, senza riuscire ad aprire bocca.
- Monsieur Clopin? - disse la sua voce, velata come un battito d'ali.
Come se avesse intuito il mio disagio da pesce lesso,  lei diede un'occhiata alla folla, mi fece l'occhiolino, e sfregò nuovamente l'archetto sulle corde producendo un nuovo suono. La folla tacque.
- Gente, si balla! - disse ad alta voce per farsi sentire. Dopo di che una nuova musica cominciò, grazie anche al gruppo dei musicisti che avevo ingaggiato. Tutti formarono delle coppie, e iniziarono a ballare riempendo l'intero piazzale. 
- Eh? Aspetta un momento! Questo non era in programma! - pensai a voce alta, risvegliandomi dal torpore di poco fa.
In tutta risposta, quella violinista, che ancora faticavo ad accertarmi della sua identità, con delle perfette piroette, mi si avvicinò. Quando fu abbastanza vicina da percepire il suo fiato sul collo, mi sussurrò :
- Avanti, Maestro, allunghi il braccio e si unisca alle danze -.
Un nuovo brivido mi percorse la schiena. Per quanto ingenuo fosse, quel gesto mi parve così sensuale. Guardandola negli occhi, lei mi fece segno di accingerle il braccio sul suo fianco libero. Non avevo scelta, anche perché lo spettacolo doveva continuare. Smettendo di fare la bella statuina, feci ciò che dovevo, mentre lei si limitava a suonare il violino. I nostri sguardi si incatenarono, mentre io prendevo il ritmo per accompagnarla nella danza, e saltellando iniziammo a girare su noi stessi, cambiando qualche volta lato. Di colpo, tutto mutò, e mi sentivo stranamente bene. Come se anche la più piccola briciola di malinconia fosse svanita, lasciando posto solo all'entusiasmo e all' euforia.
Era forse la misteriosa Roxanne, a farmi quell'effetto?
Perfino il sole, che si era nascosto per tutto il tempo, aveva deciso di partecipare a quel momento così divertente. Grazie ai raggi solari, potei studiare meglio i lineamenti della mia partner. Nonostante la maschera fatta in merletto chiaro, notai che aveva un viso ovale e dalla carnagione lattea. I capelli lunghi erano di un nero dalle sfumature rosso mogano, che svolazzavano morbidi nel vento.
Ciò che però mi lasciò senza fiato, furono quelle preziose gemme, che ora potevo dire con certezza, erano di un verde vermiglio, con pagliuzze dorate che sembravano monete d'oro appena forgiate. Il suo vestito assomigliava al mio, ma ovviamente con una gonna, fatta in tulle rigido. Le braccia e le gambe snelle erano fasciate da guanti e gambali, con fantasie a rombi e linee. I colori erano rosso vinaccio e nero. Mentre al collo portava una mantella color pergamena, con tanto di campanelli che tintinnavano ad ogni suo movimento. Era così bella e brava. Era...un giullare al femminile!
Un giullare...
Troppe incertezze per poter andare avanti. Dovevo sapere. Anche a costo di strapparle la maschera*.
- Ci conosciamo?...- dissi a bassa voce, approfittando di una lenta giravolta. Lei sorrise, quasi divertita. Quelle labbra che ricordavano due petali di rosa rossa, si mossero: 
- Beh, diciamo di sì. Ma non ci siamo mai presentati di persona -.
A quella affermazione, i miei sospetti si stavano facendo sempre più certi. Dopo avermi regalato un altro sorriso ammaliante, lei si staccò da me, fece una piroetta sollevando una gamba, e mantenendo l'equilibrio sull'altra (wow che elasticità!) facendo vibrare le corde per gli ultimi secondi fino a che la musica cessò. La danza finì e tutti gli abitanti applaudirono soddisfatti e divertiti. Un vero successo!Io ne approfittai per fare profondi inchini, e così fece anche lei, sollevando un lembo della gonna. Mentre il chiasso generale era ancora acceso, lei mi passo accanto, e molto lentamente (mi sembrò quasi che il tempo stesse rallentando) il suo volto si girò verso di me. Senza emettere un filo di voce, lessi su quelle labbra la verità che tanto ambivo, e molto di più. Quella violinista dal volto angelico, quella Roxanne, ora lo so, era il mio peggior nemico. Il giullare che con i suoi trucchi mi aveva sfidato, sconfitto, e con tanta delizia, mi stava dando il colpo di grazia.
- Piacere di conoscerti, re dei giullari... - 

Ormai, il povero re della piazza, usurpato del suo trono, aveva compreso tutto solo alla sua gloriosa caduta.
Il cantastorie, senza volto e senza nome, con la sua astuzia aveva superato il suo rivale, con le sue grazie e il suo talento aveva conquistato il popolo. Con passo felpato, la nuova regina del piazzale avanzava vittoriosa in mezzo alla folla, mentre un Clopin scioccato la seguiva con lo sguardo, in un misto di ammirazione e vergogna.
 

 Angolo dell'autrice:
Ed eccoci con il quarto capitolo! Eh sì, tanto lo avevate già capito, che il nuovo cantastorie era proprio Roxanne XD Ma non il nostro Clopin, che ora si trova in una situazione scomoda, con emozioni contrastanti. E il bello, è che siamo solo all'inizio. Comunque, vi svelo che il personaggio di Roxanne inizialmente era nato come semplice forma femminile di Clopin ( avevo fatto un disegno ) ma poi, alla fine ho deciso di aggiungerla in una fan fiction e farla intereagire con il nostro eroe ^^ Spero che Roxanne vi stia piacendo ( è una tipetta 
molto folle e bizzarra, ma anche dolce...poi vedrete nei prossimi capitoli). Alla prossima!
* strapparle la maschera inteso simbolicamente, ovvio XD il nostro Clopin è pur sempre un gentlman con le donne XD

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Capitolo 5
*** Gocce di Sherry ***


                                                                                                         
                                                                                         
                                                                                            Gocce di Sherry
 

6 Gennaio 1483. La festa dei Folli, che la città di Parigi aveva a lungo atteso, stava quasi per giungere al termine. Ormai, anche il re era stato incoronato, portato sul trono, e accolto con festeggiamenti in mezzo alla piazza. Di certo, aveva fatto di tutto per risultare orrendo agli occhi del pubblico (un grosso monociglio sopra gli occhi, marcati dalle occhiaie, e qualche dente ricoperto con della pece per dare un effetto marcio). Sì, la corona se l'era meritata assolutamente. Tutti erano ancora nel pieno del  divertimento, mentre alcuni gruppetti avevano assalito le botti di birra, svuotando boccali interi. Anche Clopin si era munito di boccale e se ne stava in un angolo, vicino alla sua tenda personale, dove aveva tutto per se un barile di birra, ancora pieno.Il re degli zingari era stato sempre il primo a dare il via a gare di bevute, alzando facilmente il gomito, e nessuno riusciva a superarlo in questo. Ma quel giorno sembrava che della cara, vecchia, amica bionda voleva proprio farne a meno.

PV Clopin

Guardando sul fondo del mio boccale, ancora vuoto, i miei pensieri vagavano senza sosta.
Ero stato proprio un ingenuo. Avrei dovuto capirlo fin dall'inizio cosa stava accadendo. Un nuovo cantastorie nel piazzale.
Una sostituta per la festa dei Folli. Diamine, era fin troppo una coincidenza, anche se non così scontata.
Sbuffando, chinai di più il capo, che per poco il mio cappello stava per cadere a terra. Mi sentivo così stupido, e il solo pensiero di essere stato giocato di nuovo, mi faceva venir voglia di sprofondare giù sotto terra. Mentre mi tormentavo, sentì dei passi nella polvere che si avvicinavano, e prima che me ne potessi accorgere, un boccale di birra strapieno si presentò davanti alla mia faccia. 
- Posso offrirti da bere? - disse una voce dolce e vellutata.
Alzai lo sguardo dal boccale, e con grande sorpresa vidi che me lo stava porgendo Roxanne.
La mia nuova partner. Il mio rivale del piazzale. Non sapevo più neanche io come considerarla. 
Appena la vidi, sobbalzai come se mi fossi ridestato da un sogno ad occhi aperti. Lei ebbe una reazione preoccupata.
- Tutto bene? - mi chiese. Non riuscivo nemmeno a guardarla negli occhi (in quelle stupende pietre preziose), e cercando di fare il disinvolto, feci finta di guardare il cielo e risposi:
- Ah, sì tutto bene...mi stavo solo rilassando - Dopo di che, per non sembrare scortese, accettai il boccale di birra, e senza pensarci vi tuffai praticamente la faccia, riempiendomi di schiuma corposa. Che goffaggine!
Lei emise un risolino, e a quel punto dovetti guardarla, staccandomi dal boccale. In tutta risposta, lei rise ancora di più.
Infilò le dita all'interno della piccola scollatura, tra il corpetto e la mantellina coi campanelli, e ne fece uscire fuori un fazzoletto di seta rosso accesso. 
- Noto che la birra ti piace molto - disse con ironia, mentre si prese la libertà di asciugarmi il mento e le guance.
Rimasi ammaliato da quel gesto spontaneo, e lei mi donò uno dei suoi solari sorrisi. Avrei voluto dirle grazie, ma non riuscivo a esprimermi, perché mi sentivo ancora a disagio. Non sapevo come comportarmi, e i miei sentimenti erano così confusi.
Una parte di me avrebbe voluto dirle tante cose, mostrarle simpatia e calore, ma l'altra parte, quella dettata dall'orgoglio ferito, voleva cercare di ignorarla per evitare qualsiasi tipo di contatto. Così tornai nuovamente al mio boccale, cercando di prendere tempo. Ma quella violinista aveva intuito, e infatti subito si fece seria e mi chiese:
- Qual'è il problema? Per caso, è perché hai scoperto chi sono? -.
Non pensavo che quelle parole sarebbero arrivate così presto.
Lasciai perdere la birra, riposi il boccale su uno sgabello accanto al barile, e con coraggio mi rivolsi a lei.
- Un po’. Non fraintendermi. Il fatto è che non mi aspettavo che tu fossi...- non riuscì a terminare la frase, ma le mie mani si mossero e parlarono da sole. Facendo il gesto di modellare delle curve femminili, mi resi conto che l'imbarazzo era troppo e dovetti smetterla.
Perché mi trovo in questa situazione?! Avevo il viso paonazzo, e lo coprì con una mano, maledicendomi per sempre. 
- Sei uno spasso! - disse lei, in mezzo alle risate. Non so, ma quella reazione mi diede una sensazione di sollievo. Mentre si sistemava una ciocca di capelli fuori posto, la osservai e ovetti ammettere quanto fosse elegante e aggraziata.
Con quel costume da giullare, pieno di pizzi e merletti. Solo allora, notai che sulla sommità del capo portava una fascia con rose rosse, piccole piume nere, e fili di perline che scendevano a un lato della testa. In mezzo al bouquet, una mascherina in miniatura faceva la sua bella figura. Era una donzella insolitamente bellissima.
- Sei esattamente come ti hanno descritto. Clopin, il re del piazzale. Ed è per questo che desideravo conoscerti - confessò lei e si avvicinò di più. Eravamo a pochi centimetri l'uno dall'altra, tanto che avrei potuto abbracciarla e stringerla a me. 
Lei si fece nuovamente seria, ma anche un po’ titubante, come se mi stesse per rivelare un segreto che solo io dovevo sapere.
- Temo, però, di aver esagerato con i miei modi, perché sono riuscita solo a farmi detestare. Davvero, non avevo alcuna intenzione di recarti disagi e fastidi. Volevo solo conoscere il grande Clopin di cui avevo tanto sentito parlare, durante il mio viaggio qui a Parigi. Ma non dovrai più preoccuparti, perché ormai ho spostato e portato via il mio teatrino. Così il piazzale sarà tutto tuo, di nuovo -
Si fermò per recuperare fiato e parole, e senza indugio, mi guardò negli occhi. Era una mia impressione o stava cercando di scusarsi?
- Non posso rovinare la reputazione di un artista così in gamba, e che ama tanto il suo lavoro. I suoi piccoli spettatori ne soffrirebbero -. Roxanne fece un sospiro, poi qualche passo indietro, e recuperò il suo inseparabile violino. 
- Parigi è così grande. Troverò di sicuro il posto che fa per me - aggiunse, facendo un sorriso rassicurante. 
-Addièu, Monsieur Clopin. Potrò raccontare nei miei spettacoli di aver avuto l'onore di ballare con il re della piazza -. 
Sì voltò, facendo volteggiare i lunghi capelli, diretta verso una metà a me sconosciuta. Mi sentivo così strano.
Mi sentivo...in colpa.
Avevo capito, solo in quel momento, che avevo odiato il nuovo cantastorie per i motivi sbagliati. Sì, perché Roxanne non aveva mai pensato di rubarmi niente.
" Volevo solo conoscerti ". Stupido, presuntuoso e narcisista Clopin! Non solo quella ragazza mi aveva dimostrato il suo talento, superandomi del tutto, ma era stata anche così umile da farsi da parte.
Una saggezza e lealtà che non avrei riscontrato nemmeno in mille artisti come me.
A quel punto, l'inutile orgoglio che mi aveva manovrato come un pupazzo, lo cancellai facendo posto al mio genuino istinto. 
- Roxanne, aspetta! - la chiamai, prima che lei potesse sparire dalla mia vista, per sempre. Lei si fermò, e mi rivolse la sua attenzione. Appena la raggiunsi non ebbi esitazioni.
- Non ce n'è bisogno. Insomma, c'è abbastanza spazio per tutti e due. Così...- cercai di spiegarle.
Le stavo dando il permesso di rimanere a lavorare, lì nello stesso piazzale. I suoi occhi sembravano quasi sul punto di inondarsi di lacrime, e fece una riverenza, degna di una vera principessa.
- Oh, grazie! Monsieur Clopin, tu non puoi sapere cosa hai appena fatto per me. Ne ero sicura, che avevi anche un cuore nobile. Ti sarò sempre riconoscente - poi alzò leggermente lo sguardo, per vedere la mia reazione, per poi aggiungere
- Grazie di cuore, Maestà -.
Una risata, la prima di quel giorno, mi scappò di bocca, e insieme a me si unì la mia ex rivale. Che stupenda sensazione. 
Passammo praticamente il resto del pomeriggio insieme, scambiandoci commenti e opinioni sulla festa, sul nuovo re dei Folli, e sulla qualità della birra. Da parte mia, stranamente, non toccai altri boccali oltre a quello che mi aveva offerto lei stessa.
Bastava la sua presenza, simpatia, e senso dell'umorismo a distrarmi. Era come una cascata di fonte fresca capace di dissetarmi. Ma quando le prime scie colorate del tramonto si fecero largo all'orizzonte, mi resi conto che si stava avvicinando l'ora stabilita. 
- Io devo cominciare ad avviarmi. Ho una serata che mi aspetta alla taverna di Marcel, sai per continuare i festeggiamenti. Qui non si smette fino a mezzanotte - le spiegai, tutto felice. Roxanne sembrava incuriosita, probabilmente perché non conosceva bene le nostre tradizioni. Mi venne allora spontaneo farle una proposta:
- Se stasera non hai nulla da fare, potresti partecipare anche tu. Potrei accompagnarti io stesso alla taverna -.
Non avevo ancora finito, che il suo viso si illuminò, e con entusiasmo mi rispose:
- Davvero posso? Sarebbe meraviglioso. Sono arrivata da poco e ancora non ho fatto nuove conoscenze -.
Sembrava una ragazzina eccitata al suo primo evento mondano. Quella reazione mi fece sorridere. Alla fine ci demmo appuntamento alle 19 in punto, vicino ai gradini di Notre Dame. Ci salutammo e ognuno prese la sua direzione.
All'interno del mio carretto, mi guardai allo specchio. Avevo indossato i miei soliti vestiti da zingaro, con la casacca e la mantella sui toni del viola, ma non ero soddisfatto.
Perché non ho altro da mettere per l'occasione? Ma la vera domanda era, perché mi stavo facendo tutti quei problemi.
Dentro di me, immaginavo il motivo di quell'ansia. Nah, Clopin, vecchio mio, non è la prima volta che passi una serata con una donna!
Mi accontentai di ciò che avevo, presi il mantello e uscì dal teatrino, chiudendolo a chiave. Camminai a lunghi passi verso la mia metà. Intanto l'oscurità della sera aveva coperto ogni cosa. Il piazzale in quel momento era diventato meno affollato, e potei facilmente scorgere una figura snella proprio vicino ai gradini. Spero di non essere in ritardo, pensai.
Riconobbi i lunghi capelli corvini, e così non ebbi alcun dubbio che fosse proprio lei. 
- Spero di non averti fatta aspettare - le dissi, per attirare la sua attenzione. Lei si voltò e rimasi di sasso.
Ovviamente anche lei si era cambiata (non poteva certo tenere il solito costume ); portava un corpetto di velluto nero e rosso scuro, la gonna in tulle nero era accompagnata dallo stesso scialle, con i cammei dorati, che aveva indossato quella mattina. Le gambe erano coperte da una calzamaglia color vinaccio e le braccia erano fasciate da guanti neri. Sulla pettinatura c'erano rose scarlatte e nastrini che brillavano d'oro. Che splendore! Roxanne mi accolse con un radioso sorriso, e per un momento mi sembrò che le sue gote erano diventate rosse. Il suo volto. Senza la sua mascherina, potevo ammirare completamente quel viso immacolato e incorniciato dai ciuffetti sbarazzini scuri. Sul suo zigomo sinistro c'era un neo, che giustamente non avevo notato fino ad allora. Le donava un fascino ancora più sensuale e attraente. 
- Clopin? - mi chiamò lei, facendomi tornare alla realtà. Chissà che faccia da pesce lesso avevo fatto...?
- Ah, pardòn. Per un attimo non ti avevo riconosciuta - mentì, sperando che lei non si fosse accorta di nulla.
Le offrì il mio braccio, da buon cavaliere, e lei accettò appoggiandosi. Ero sempre stato un tipo galante, ma quella sera mi veniva così spontaneo. Solo in quel momento, mentre eravamo l'una accanto all'altra, notai che Roxanne era di qualche centimetro più bassa di me. Io ero alto 1.75 cm. Per ingannare l'attesa durante il cammino, decisi di farle qualche domanda. 
- Quindi tu da dove vieni? - chiesi sinceramente curioso. Dopo tutto quello che era accaduto tra noi, finalmente potevamo conoscerci meglio. 
- Marsiglia. I miei genitori vivevano lì, ma ci spostavamo spesso in vari paesini, per portare i nostri spettacoli. Sai, il carretto è un eredità di mio padre. Era un artista di strada che sapeva fare tutto, e lavorava anche il legno. Invece, mia madre mi ha insegnato l'arte del violino e del ballo. Ho iniziato a fare salti e acrobazie all'età di 7 anni - mi raccontò.
C'era fierezza e tenerezza nelle sue parole, e compresi che i suoi genitori, sicuramente non più in vita, l'avessero amata tanto, e lei ne era molto orgogliosa. Mentre camminavamo, mi accorsi che l'aria della sera si stava facendo più fredda, accertandomene dalle nebbioline di vapore che uscivano dalle labbra rosse di lei. Senza pensarci troppo, mi sfilai via il mantello viola scuro e lo usai per coprirle le spalle nude.
- Mercì - fece lei, notevolmente stupita dal mio gesto, per poi riprendere col racconto - Una volta abbiamo persino passato un anno a lavorare in un circo - aggiunse, con una nota divertita.
Io la ricambia rispondendo:
- Ah, perfetto! Ora si spiegano molte cose, tipo la tua abile elasticità coordinata negli spettacoli -.
Ridemmo insieme e nello stomaco avvertì una piacevole sensazione. Quando sorrideva sapeva contagiarti e non potevi fare a meno di essere di buon umore. 
Mi stava giusto raccontando dei numeri che faceva al circo, ( aveva fatto esibizioni anche come cavallerizza, suonando il violino in equilibrio sul dorso dei cavalli ) che arrivammo a destinazione. Aprì la porta della taverna, ma non avevo preso in considerazione un piccolo dettaglio. Eravamo gli ultimi arrivati. Sulla soglia restammo interdetti, perché trovammo un cumulo di persone che, appena ci videro entrare, ci fissarono silenziosi. Non era una novità, perché ero famoso in città, e quella taverna era quasi casa mia.
Questo silenzio è così imbarazzante...ho paura che Roxanne possa sentirsi tesa e...
- Bonsoir, gente! C'è abbastanza da bere anche per noi? - esclamò ad alta voce la mia dama, con una confidenza quasi disarmante. Dopo un attimo di esitazione, l'intera folla, uomini nella maggioranza, alzarono in aria i boccali e risposero:
- Certo! Benvenutiiii! - gridarono in coro. Roxanne era davvero incredibile. Nonostante fosse la nuova arrivata, era così socievole e vivace, che era capace di rompere il ghiaccio e fare amicizia. Una volta chiusa la porta, la mia amica si tolse il mantello, mostrando così il suo corpo fasciato dalle vesti gitane. Tenendola sempre sottobraccio, la accompagnai verso il bancone, in fondo. Con la coda dell'occhio, scrutai molti baldi giovani che al nostro passaggio, ci fissarono. Ovvio che non era per me. Spogliare con gli occhi una donzella, era proprio quella la descrizione adatta a loro. Che fastidio, grrr!
Come avevo immaginato, tutti i posti al bancone erano occupati. L'unico libero era il mio posticino riservato; la botte all'angolo. Marcel, come al solito, era stato vigile. Proprio in quel momento, fece la sua apparizione. Aveva un'aria stanca e affaccendata. Poi mi vide, e subito scattò da me.
- Clopin, finalmente ce l'hai fatta! Temevo che non ci avresti fatto l'onore della tua presenza - mi disse, mentre stava già preparando un grosso boccale per me. Dopo aver scaldato la voce, presentai Roxanne a Marcel, come mia amica e nuova arrivata in città.
- Piacere di conoscerti, cara. Gli amici di Clopin, sono anche amici di Marcel -  le disse, con aria disponibile e mansueta. Di sicuro, anche lui era rimasto ammaliato dalla grazia della violinista.  Subito dopo, offrì il mio posto a Roxanne, dato che non ce ne erano altri. Lei esitò, ma io istintivamente la presi delicatamente alla vita, sollevandola e facendola sedere sulla botte. I cammei dorati del suo pareo nero, tintinnarono dolcemente.  
- Grazie mille, Clopin. Sei molto gentile - mi disse lei. Mentre era distratta, vidi sott'occhio la faccia di Marcel, una di quelle che dicevano: Eeeeeeeeh, bravo, vecchio volpone!
Spalancai gli occhi e feci segno col capo di levarsi dai piedi. Lui sghignazzò piano e alzando le mani in segno di resa, sparì per tornare alle sue ordinazioni. In mezzo a quel baccano, era necessario parlare ad alta voce per comunicare.
Lei mi stupì, quando ordinò dello Sherry, una prelibatezza costosa, direi. Ma dopo aver mostrato un sacchetto pieno di monete sul bancone, affermò: 
- Sai com'è, in questi primi giorni ho guadagnato abbastanza... - e si sforzò di non curvare le labbra in un sorrisetto divertito. Touché.
Naturalmente si fecero vivi anche Esmeralda, Febo e Quasimodo. Fu una bella sorpresa quando scoprimmo che era proprio Roxanne il soggetto misterioso che Quasi aveva visto in piazza. La violinista, dal canto suo, aveva subito fatto amicizia con lui, e lo trattava come se fosse stato un vecchio amico di infanzia. 
- Quando finirai la statuina vorrei assolutamente vederla. Sono curiosa - disse al campanaro. In un momento libero, rivelai piano ai tre la vera identità di Roxanne, che era proprio il nuovo cantastorie, e rimasero con un palmo di naso.
- Ma tu guarda che scherzi può farti il destino! - esclamò a voce alta Febo, e per poco non ebbi l'impulso di strozzarlo, mentre la mia bella amica cullava teneramente il piccolo Zephyr. Ci furono momenti esilaranti, come ad esempio, dopo aver bevuto abbastanza, io e Febo circondammo Quasi, cercando in tutti i modi di convincerlo a bere un sorsetto. Ma lui, astemio convinto, con difficoltà cercava di sfuggirci. Esmneralda e Roxanne, che sembravano due amiche inseparabili, risero divertite.
Era ormai la mezzanotte. Quasimodo doveva tornare al campanile. Esmeralda e Febo anche loro dovevano ritirarsi, specialmente per Zephyr. Dopo averci lasciato, mi resi conto che la sala era quasi vuota. Roxanne era ancora seduta sulla mia botte personale, con le gambe accavallate, che giocava col calice dove aveva bevuto lo Sherry. Io, seduto a uno sgabello libero, appoggiato sul bancone, rimasi a contemplare la sua figura.
Mi fermai a osservare le sue gambe, snelle e armoniose, come quelle di un gatto. Man mano alzai gli occhi e arrivai a incrociare il suo sguardo. Rimanemmo a fissarci per qualche secondo, poi fu lei a rompere il silenzio. 
- Non crede di aver bevuto troppo, Vostra Maestà? - mi schernì, divertita. Cominciava a piacermi quel modo in cui mi chiamava.
- Naaaah! Tranquilla, di solito sto messo molto peggio di così - risposi, con la voce impastata dalle note dell'alcol.
Non ero ubriaco fradicio, ma di certo un po’ brillo. Infatti, ero abbastanza lucido nel ripescare nella mente una domanda che volevo farle da tempo.
- Come mai non ti sei mai mostrata a me? Intendo, tutte quelle volte in cui c'era l'occasione di incontrarci - feci, con tono serio.
La sua espressione divenne cupa. Scivolò via dalla botte e si avvicinò di  più a me. Si stava tormentando le dita e poi prese fiato.
- Forse perché...avevo paura di essere giudicata. Se tu avessi saputo fin dall'inizio che ero una donna, mi avresti sottovalutata. Quale donna sarebbe così folle a fare un mestiere del genere? Di solito, siamo tutte più accettabili ballando per strada, mostrando la nostra sensualità e grazie prosperose. Non volevo prenderti in giro, mi sono solo difesa, perché non ti conoscevo bene. Insomma, temevo di non piacerti...- mi spiegò nervosa.
Aveva altro da dire, ma compresi il nocciolo della questione. In effetti, essere una donna in quella società, così maschilista e molte volte ingiusta, non era cosa facile. Specialmente per chi, come lei, voleva distinguersi con un talento particolare.
Non so, se erano gli effetti dell'alcol o di qualcosa che non capivo, ma la mia mano le prese il viso.
Lei, stupita, mi guardò.
- Oh, cherì! Se solo qualcuno fosse tanto folle nel giudicarti male, sarebbe l'ultima cosa che farebbe, perché io gli taglierei la lingua. E se quel folle fossi proprio io, me la strapperei a morsi... - le dissi, accarezzandole lo zigomo dove si mostrava quel puntino scuro.
Forse dovevo scegliere una frase più delicata e meno macabra, (il mio lato oscuro da re degli zingari si stava risvegliando, ahimè ). Ma le gote di Roxanne si tinsero di rosso, come una mela matura, e i suoi occhi brillarono in maniera languida.
Prese la mia mano, e la tenne ferma sul suo viso, e lessi sulle sue labbra scarlatte:
- Clopin...-.
Oh, chissà se su quei petali rossi avrei sentito il sapore dello Sherry! Ero così tentato.
Ma tutto divenne confuso. I contorni si offuscarono, i colori annebbiati e infine caddi sul bancone, in un sonno profondo. 

- Oh no! Di nuovo! Amico, così è troppo! - gridò Marcel, che appena vide il suo amico giullare fare la fine di una pera cotta, cercò di risvegliarlo, scuotendolo. Non era la prima volta che accadeva. Roxanne si avvicinò al suo nuovo amico, ma capì che tutto era dovuto alla cara golosa birra. La ragazza, sospirando, accarezzò i capelli scuri del re dei giullari, e intanto percepiva ancora quel calore che le aveva infuocato il volto. Ma non era il momento, perché era urgente trovare un modo per riportare il sovrano al suo baldacchino reale.
 
Angolo dell'autrice:

Credo di ave superato il mio record, un capitolo al giorno! Questo dovevo assolutamente scriverlo, perchè finalmente abbiamo dei nuovi risvolti nella trama. Clopin e Roxanne stanno cominciando a frequentarsi, e già si è notato che c'è della chimica tra loro due <3
Ho scelto lo Sherry come alcolico preferito di Roxanne, perchè credo che rispecchia moltissimo il suo carattere; dolce, corposo ma con delle note forti e calienti. In fin dei conti, anche lei come il nostro giullare ha una doppia figura, un lato dolce e frizzante, e uno sensuale e ammaliante. Premetto inoltre, che prima di scrivere mi sono informata che lo Sherry aveva già origini antiche e che nel 1400 divenne famoso e si diffuse man mano dalla Spagna ad altri paesi, quindi fattibile per il periodo storico ^^
Spero che vi piaccia e che continuate a seguire la storia, che nel prossimo avremo il PV di Roxanne ^^
Grazie a chi legge <3

  
     
 
  

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Capitolo 6
*** Falce lunare ***


                                                                                                                
                                                                                                 Falce lunare

Le prime luci dell'alba risplendevano per dare il buongiorno ai cittadini di Parigi. Come al solito, l'aria nel mese di gennaio era bella frizzante e i più mattinieri potevano assaporarla ispirando a pieni polmoni. Prima fra tutti, la bella Roxanne, che aveva recuperato il suo carretto e riportato al piazzale di Notre Dame. Dato che il suo nuovo amico e maestro, il re dei giullari, le aveva dato il permesso, poteva continuare a esibirsi senza regole e restrizioni. Ripensando a ciò, la cantastorie si sentiva fortunata. Lavorare in quella piazza, così grande e maestosa, era il sogno della sua vita, perché così avrebbe mantenuto una promessa fatta tempo fa. Roxanne si pettinò i lunghi capelli corvini, indossò il suo costume da giullare, e mise la mascherina sul viso. 
Mentre finiva di prepararsi, i suoi pensieri tornarono alla sera precedente, quando Clopin l'aveva portata alla taverna di Marcel. 

PV Roxanne 

" Clopin è davvero un tipo strambo, ma anche simpatico e molto divertente " pensai, mentre annodavo il pareo con i cammei dorati attorno alla gonna in tulle.
" Fin dall'inizio avevo capito che era un tipo particolare " dissi, ridendo "  ma nei giorni prima della festa l'avevo osservato per bene, senza che lui se ne accorgesse, e avevo visto il suo grande affetto nei confronti dei bambini e la passione che ci metteva nei suoi spettacoli. Ecco perché si era sentito così minacciato dall'arrivo di un nuovo contendente nella piazza ". Ero sincera, non lo avevo mai odiato, perché avevo compreso bene i suoi sentimenti, che non erano affatto mossi dall'avarizia o dalla sete di successo.
In quel bizzarro uomo c'era solo amore e orgoglio per la sua arte, e per le persone a lui care.
Lo ammiravo ed ero molto contenta di averlo come vicino di piazza. 
- Vorrei tanto rivederlo - confessai ad alta voce - grazie a lui ho anche fatto delle nuove amicizie. Inoltre, ripenso ancora a quelle parole...prima che lui cascasse dal sonno -. Quel dettaglio mi fece sorridere. Ma ogni volta che rivedevo Clopin che mi guardava con occhi dolci, accarezzandomi e dedicarmi parole di conforto, sentivo il viso accendersi di imbarazzo.
" Ha una voce così soave e vellutata, capace di farti sciogliere come neve al sole ". 
Peccato che il tempo stava passando, e non potevo lasciarmi inebriare da quei ricordi. Una nuova giornata di lavoro stava per iniziare. Stavo quasi per dimenticare una cosa importante; la mascherina in miniatura che portavo sempre sul capo, insieme alle rose scarlatte. Aprì un cofanetto di colore nero, e dentro c'era la mascherina. Con un sospiro malinconico, accarezzai la superficie in pura ceramica, decorata a mano.
- Spero che siate fieri di me - dissi a bassa voce, come a voler tenere solo per me quelle preziose parole.
Ovviamente tutto andò alla grande. Lo spettacolo fu un successo, accompagnata dalla melodia del mio strumento musicale, e gli spettatori mi ripagarono con monete d'oro e applausi scroscianti. Ciò che mi dispiaceva, era che non riuscivo a mostrarmi completamente (usavo ancora il trucco dello sgabello, nascondendo il viso nel buio). Temevo troppo di essere giudicata dagli altri, e di essere ignorata o presa sotto gamba. Già in passato, quando ero ancora giovane e inesperta, ero stata etichettata e molti mi dicevano " non è una cosa adatta a una fanciulla. Torna a ballare per le strade, è meglio per te".
Potevo anche ignorare tali giudizi, ma le parole possono pesare quando sono troppe. Ero così travolta da quei pensieri, che non avevo avvertito un bussare alla porta sul retro del carretto. Solo dopo una seconda bussata, più forte, mi alzai e andai verso la 
porta in legno. Ma subito mi fermai. Chi poteva essere? Mentre rimanevo immobile senza sapere che fare, sotto la porta scivolò un foglietto di carta colorata. Era uno di quelli che spargevo sulla folla, dopo ogni spettacolo. Girandolo vidi una scritta che diceva: 
Vostra Maestà vi chiede l'onore di essere ricevuto, Madame.
Sorrisi entusiasta. Era lui. Senza perdere tempo, e dopo essermi spolverata il vestito con le mani e aggiustato i capelli (non sapevo nemmeno io perché lo stessi facendo...) aprì finalmente la porta. Mi trovai davanti il re del piazzale, con il suo costume variopinto, e l'inseparabile mascherina fuxia-violacea. Lui mi donò un sorriso smagliante (con quei denti scheggiati che non mi disturbavano affatto, anzi) e infine, con un inchino profondo fece:
- Bon jour, mon Madame, spero di non disturbarvi - Io soffocai una risata, poi feci una riverenza, allargando la gonna.
- Affatto, Vostra Maestà. Sono lieta di avere la vostra presenza nella mia umile dimora - dissi, con un tono plateale e stucchevole. Mi resi conto che ormai quel gioco di ruolo era diventato il nostro modo preferito per stuzzicarci e divertirci insieme. Era troppo spassoso. E con Clopin, era tutto così facile. Lo invitai ad entrare e a sedersi su alcuni cuscini sul tappeto, mentre io mi accomodai sullo sgabello. Ero un po’ nervosa, perché nessuno fino da allora era mai entrato nel mio teatrino, che per me era tutto il mio mondo. Lui si guardò attorno, incuriosito, per poi affermare:
- Che bel posticino! Così accogliente e intimo -. Mentre studiava una cesta piena di pupazzetti, cominciai a chiedergli della notte precedente.
- Allora, come stai? Insomma, dopo che ti sei addormentato...- mi fermai, mentre lui mi lanciò un'occhiata furbetta e allungò il sorriso. 
- Tranquilla, alla fine mi sono ritrovato nel mio letto, grazie all'aiuto di alcuni miei amici - mi spiegò - Però, sai, quando stamane ho fatto un salto veloce da Marcel, mi ha detto che voleva farti scortare fino a casa, ma tu hai rifiutato e sei andata via da sola -.
In quel momento il suo viso si fece serio. Cominciai a pensare che ci fosse rimasto male. Giocando con una ciocca dei miei capelli, risposi: 
- Sì, perché non volevo dare fastidi. Non devi preoccuparti, Clopin, sono una donna che sa difendersi da sola -.
Stavo cercando di sorridere per addolcire quell'aria tesa. Non mi stavo giustificando, era la pura verità. Ma mi rendevo conto che lui avesse tutti i buoni motivi per stare in quel modo. Deve essersi preoccupato per me. In quel momento lui mi guardò negli occhi.
- Ma...io mi sono preoccupato lo stesso - disse, cogliendomi di sorpresa - Avevo paura non solo che ti fosse accaduto qualcosa, sola a tarda notte. Ma anche che stamane, arrivando qui, non avrei visto il tuo carretto. Che te ne fossi andata via, per sempre -.
Che stava cercando di dirmi? Sentì un tuffo al cuore quando terminò di parlare. Mi sentivo così strana, e allo stomaco avvertivo una sensazione nuova, ma che non mi dava fastidio. Sorrisi lievemente, mentre mi tormentavo i capelli, facendoli arricciare tra le dita.
- Strano. Qualche giorno fa avresti di certo gioito, se fossi sparita nel nulla - dissi, cercando di fare dell'ironia. Speravo in una risata, anche piccola, ma Clopin si alzò dai cuscini e in pochi secondi mi fu davanti. Mi sembrava così alto, con quel cappello blu cobalto.
- Ora è diverso...Roxanne - disse con fermezza, guardandomi negli occhi. Perché tutto ad un tratto, nonostante fosse gennaio, sentivo così caldo?
Ebbi la certezza che Clopin mi stesse osservando un po’ troppo, e non era certo ubriaco. Lui forse se ne accorse e distolse lo sguardo.
- Il fatto è, che solo da quando ti ho conosciuta mi sono reso conto di quanto fosse monotono e desolato questo piazzale, senza qualcuno con cui dividerlo - spiegò alla fine. Io mi rilassai, e fui felice di sentire quelle parole. Voleva dire che ormai mi considerava davvero una collega, una sua pari. E che eravamo amici. Mi intenerì quella rivelazione, e scivolai dallo sgabello, mi sollevai sulle punte, per colmare quei pochi centimetri e guardarlo in faccia. 
- Beh, come vedi, sono ancora qui. E non credo che me ne andrò così presto - gli dissi, facendogli l'occhiolino. Dovevo ammettere una cosa; per quanto quella maschera gli desse un'aria misteriosa e attraente, trovavo Clopin più bello a volto scoperto. Potevo vedere ogni suo singolo dettaglio. Chissà se era lo stesso per lui, nei miei confronti?
Mi avvicinai a uno specchio appeso al muro, e mi diedi un'occhiata. Quel giorno decisi di indossare il mio gioiello più
bello. Mentre lo cercavo, guardai il riflesso di Clopin nello specchio e dissi: 
- Per la cronaca, ieri notte non ho dovuto camminare molto, dovevo semplicemente tornare qui - confessai, aspettando la sua reazione. Lui corrugò la fronte.
- Qui? Nel carretto? Cioè, vuoi dirmi che tu abiti proprio qui? - mi chiese, incredulo. Immaginavo quella faccia, e risposi:
- Esatto. Ti presento la mia cara dolce casa. Ti racconterò i particolari fuori. Andiamo in giro, che sto morendo di fame - dissi, mentre mi stavo mettendo un orecchino dorato a cerchio (il classico gioiello di noi zingari). Non era un semplice orecchino come altri, perché portava appeso un ciondolo a forma di mezza luna. Era il simbolo della famiglia di mia madre, e lo avevo ereditato il giorno della sua morte. Non lo indossavo mai perché temevo di perderlo, e ci ero molto affezionata.
Ma per quel giorno volevo sfoggiarlo. A dire il vero, desideravo mostrarlo al mio nuovo amico. Clopin era già pronto ad aprirmi la porta e io sorrisi, ammirando la sua galanteria. Infine uscimmo. 
Il re della piazza mi aiutò ad uscire dal carretto in modo silenzioso e furtivo, per evitare che i passanti si accorgessero di me. Mentre passeggiavamo al centro del piazzale, lui si rivolse a me, con tono premuroso:
- Un giorno dovrai mostrarti per quello che sei, cherì. Comprendo i tuoi timori e tutto quello che hai dovuto fare per arrivare fin qui. Ma mi  sembra anche giusto che tu abbia davvero il tuo posto nel mondo, alla luce del sole -. Lo ascoltai, poi udimmo il suono delle campane. Quasimodo ci stava salutando a modo suo, con quel gradevole suono che si estendeva per chilometri. Clopin stava volgendo lo sguardo verso il campanile. 
- Sai, anche Quasi viveva nell'ombra, lontano da tutti. Ha vissuto così per tanti anni, con la paura di essere giudicato. Ma poi ha affrontato tutto e tutti, e solo perché ha avuto coraggio che è stato accettato dal resto del mondo, ed ora è una persona del tutto nuova - mi raccontò.
Non sapevo di questa cosa riguardo a Quasimodo, ma capivo perché il mio amico me ne stava parlando. Era bello vedere come una persona, dopo tanto tempo di solitudine, si preoccupasse tanto per me. Rimasi un attimo in silenzio, poi risposi:
- Ci penserò. Te lo prometto -. Lui annuì, e mi offrì il suo braccio, come aveva fatto la sera prima.
Mi trattava come una regina, e io rimanevo ogni volta incantata dai suoi modi gentili. Che sia chiaro, non ero così ingenua. Avevo notato, quelle poche volte, in cui gli occhi di Clopin erano arrivati sulle mie curve, sulle gambe e forse sulla mia scollatura. Era una cosa che facevano molti uomini. Ovvio che la cosa mi disturbava, e non poco. Ma con Clopin era diverso. Nonostante i suoi sguardi, aveva sempre riservato per me un rispetto e un contegno difficile da trovare in tutti.
Di certo, non si era mai permesso di mettermi le mani addosso, nemmeno quella sera che aveva esagerato col bere.
Poi, diciamolo, era pur sempre un uomo, ed ero consapevole di essere una donna che faceva girare la testa ai maschietti. Modestamente. Quindi, sì, con lui mi sentivo perfettamente a mio agio e allo stesso tempo lusingata delle sue attenzioni.
Arrivammo nei pressi di un panificio, e del buon profumino mi fece venire l'acquolina. Torta di mele! La mia preferita.
- Non pensavo che anche tu la adorassi - disse stupito lui, mentre prendeva una tortiera grande, da dividere per due. Avevamo trovato un'altra cosa in comune. Teatrino, costume da giullare, e torta di mele. Fantastico! Ci fermammo e ci sedemmo su un muretto. Sotto i nostri piedi scorreva la Senna. Avevo così tanta fame che mi fiondai sulla mia parte della torta, riempiendomi le guance che quasi stavano scoppiando. Clopin mi guardò, spalancò gli occhi per lo stupore, e quando mi voltai verso di lui, scoppiò in una risata.
- Mon cher, sembri uno scoiattolo! - esclamò, cercando di prendere fiato. Masticai e ingoia, giusto in tempo per rispondere con:
- E tu invece? Il tuo pizzetto sembra una scopa che ha appena spazzato via le briciole - lo informai, ridacchiando. Infatti era così. Senza pensarci, con le dita solleticai quel pizzetto ben disegnato, per togliere via le briciole. Mi piaceva. Ero convinta che se Clopin si fosse rasato, avrebbe fatto sparire ciò che lo rendeva così...così affascinante. Lessi nei suoi occhi che lo avevo preso di sorpresa, poi si ricompose e mi ringraziò. A volte sembrava così spontaneo, ma altre volte così imbarazzato dai miei gesti. Mi chiedevo se si comportasse così con tutte le donne. In quel momento mi balenò un quesito:
 " chissà se era impegnato con qualcuna? ".
Stavo scacciando via quel pensiero, quando mi accorsi che lui mi osservava. Precisamente stava guardando l'orecchino. Fui felice che se ne fosse accorto. 
- Non ho mai visto un orecchino così particolare. Un cimelio di famiglia? - mi chiese. Io girai il capo di lato per mostrarglielo meglio. Ne andavo molto fiera.
- Sì, apparteneva al clan di mia madre. Venivano chiamati i "gitani della falce lunare". Ecco perché c'è questo ciondolo a forma di mezza luna - gli spiegai.
Lui studiò il gioiello, incuriosito. 
- Deve essere molto prezioso per te - aggiunse. Io annuì e gli dissi che l'avevo ereditato quando morì mia madre.
Non avevo fratelli o sorelle, quindi automaticamente il simbolo della famiglia era passato a me, come unica erede di tale clan. Finimmo entrambi il nostro dolce. Avevo lo stomaco pieno.
Il re dei giullari si stiracchiò e dopo avermi aiutata a scendere dal  muretto, mi chiese:
- Ti va di venire con me? C'è un posto speciale che vorrei mostrarti -. Mi chiedevo se fosse una buona idea, dato che dovevamo tornare a lavoro. Ma lui mi assicurò che per quel pomeriggio potevamo prenderci una pausa. In fondo avevamo guadagnato molto, tutti e due, e potevamo concederci un po’ di libertà. Allora feci un cenno col capo, accettando l'invito
- Fantastico! - festeggiò lui, saltellando come una molla. Dopo esserci uniti nel solito sottobraccio, lo seguì lungo una strada che portava alle porte di Parigi.

PV Clopin

Una volta usciti dai portoni della città, camminammo per parecchi minuti. Il luogo dove eravamo diretti era parecchio lontano. Ma il tempo non ci pesò affatto, dato che la mia bella amica mi raccontò dei lunghi viaggi che lei e suo padre facevano, per diffondere i loro spettacoli e guadagnarsi il pane quotidiano. Da lì capì il perché Roxanne non avesse una casa fissa, e che vivesse nel carretto di suo padre.
Lei vomitava ricordi colmi di gioia, di momenti che l'avevano forgiata nella persona qual era. 
- Quando mio padre morì avevo appena compiuto 18 anni. Si era ammalato di polmonite. Da quel momento mi sono ritrovata da sola e ho mandato avanti il lavoro dei miei genitori. Ho continuato a viaggiare per tutta la Francia, per plasmare il mio talento. Oltre a suonare il violino, mi sono esibita cantando, recitando poesie, e man mano ho imparato a creare storie e spettacolini con le marionette. Dopo aver visitato molti luoghi, alla fine sono giunta qui - disse, finendo così di raccontarmi. Avevo ascoltato attentamente ogni singola parola, ed ero rimasto sbalordito. Per una ragazza che era rimasta sola al mondo, senza sostegno di alcun tipo, era davvero dura, ma lei era stata così forte e coraggiosa nel riuscire a superare gli ostacoli della vita.
Quel racconto mi aveva fatto scoprire quanto Roxanne fosse una donna stupenda. Le accarezzai la mano, mentre continuavamo nel nostro cammino.
- Sono certo che sia tuo padre, che tua madre, sarebbero stati molto fieri di te - le dissi, con estrema convinzione. Lei mi sorrise, commossa.
- Lo penso anche io - mi rispose, e sollevò l'altra mano libera per afferrare la mascherina in miniatura che portava al centro del capo. Lei me la mostrò e disse:
- Questa è una delle creazioni più riuscite di mio padre. Sai, lui non era francese, ma italiano, esattamente era nato e cresciuto a Venezia. E non era neanche uno zingaro, ma un umile falegname che aveva la passione per il teatro -.
Mentre mi raccontava, presi dalle sue delicate mani la maschera. Era fatta di ceramica, dipinta con tenui colori che andavano sul lilla e il celeste. Il disegno di chissà quale città, con cupole e tetti maestosi, era dipinto con linee nette, mentre attorno alle fessure e sulle labbra luccicava una pittura dorata.
Che meraviglia! Una vera opera d'arte.
Sapevo che Venezia fosse la città delle maschere più belle del mondo, e in quel momento ne ebbi la conferma. 
- Quando decise di costruirsi un teatrino mobile era molto giovane. Viaggiò verso la Francia per cercare fortuna, arrivato a Marsiglia incontrò e si innamorò di una bella gitana. La sposò ed ebbero una figlia che chiamarono Roxanne - aggiunse, marcando una nota d'orgoglio nelle ultime parole. Sorrisi mentre le restituivo la sua preziosa mascherina, che con cura la ripose incastrandola in mezzo alle rose tra i capelli. Intanto, non mancava molto, eravamo quasi arrivati.
Dopo esserci gettati alle spalle per vari metri le porte di Parigi, arrivammo in un sentiero isolato, dove difficilmente carri e carrozze potevano percorrere. In pochi minuti ci trovammo in un piccolo boschetto, che man mano diventava sempre più fitto. Gli alberi si aprivano al nostro passaggio, con i rami e le fronde ancora colmi di foglie rosse, nonostante la stagione fredda.
Per fortuna quel giorno era abbastanza soleggiato, e con i nostri costumi eravamo ben protetti.
Roxanne ammirava lo splendore del posto, mentre la guidavo verso le rive di un ruscello, dall'acqua limpida. Lei si sedette su un masso sporgente.
- Clopin, ma questo posto è meraviglioso! - disse, mentre presi posto vicino a lei. 
- Questo è il mio nascondiglio personale. Ci venivo sempre da bambino, e a volte portavo con me Esmeralda, così potevamo giocare felici e spensierati, senza pensare alle difficoltà della nostra vita -. Ripensai allora, i bei tempi, quando io ed Esme giocavamo a nasconderci, improvvisavamo delle piccole recite oppure passavamo le ore a raccogliere sassolini nel ruscello.
Che nostalgia! Almeno quel posto era rimasto lo stesso. La mia amica si guardava attorno, perlustrando con lo sguardo ogni cosa. Mi sembrava davvero emozionata.
- Ho sempre adorato i boschi. Sono così ricchi di vita, energia positiva, e ti fanno sentire così bene. Se potessi vivere in un posto fisso, sceglierei proprio un bosco - affermò lei, respirando a fondo l'aria profumata che sapeva di erba bagnata e fiori selvatici. Non potevo che essere d’accordo con lei. Anche a me sarebbe piaciuto vivere in un posto così tranquillo, in mezzo alla natura. Peccato che non fosse una cosa possibile.
- A proposito, non mi hai ancora detto dove vivi. Non dirmi che anche tu lavori e dormi nel carretto, vero? - scherzò lei. Per poco non mi soffocai con la mia saliva. Roxanne non sapeva ancora che vivevo alla Corte dei Miracoli, e non sapeva che ero addirittura il re degli zingari di Parigi. Sono sincero, era una cosa a cui non avevo ancora pensato. Solitamente quando ero fuori dalla Corte, non aprivo bocca su quei particolari che, seriamente, dovevano rimanere segreti. Proprio perché avevo la completa responsabilità della mia gente, non potevo fidarmi di nessuno, e di conseguenza non mi passava minimamente l'idea di dare certe informazioni. Però, sentivo che Roxanne fosse una persona affidabile. Ma forse, era ancora troppo presto per rivelarle tutto. Schiarì la voce, e infine risposi:
- Vivo in una tenda tutta mia. Ma credimi, è molto meglio il tuo carretto. Quasi quasi ci sto facendo un pensiero e trasferirmi nel mio teatrino mobile. Così almeno non rischio di fare tardi a lavoro ogni mattina - risi, sperando che lei non avesse sospetti. Di solito, ero molto bravo a mentire, ma se mi capitava con persone a cui provavo affetto, mi risultava più difficile. Con mio sollievo, la vidi annuire, abbozzando una risatina.
Ci fu un attimo di silenzio, e Roxanne stava fissando le sue scarpette nere. 
- Forse non è stata una buona idea venire qui con i nostri costumi addosso. Dovevamo cambiarci - mi fece notare. In effetti non aveva tutti i torti. In quel momento un'idea mi fulminò la mente. La violinista mi aveva appena dato un modo per stuzzicarla a dovere. Con tono ironico, la fissai con aria canzonatoria, e le dissi:
- Cosa c'è, Madame, ha forse paura che con un po’ di fanghiglia il suo bel vestito si possa rovinare ? -.
Lei mi guardò, con aria stupita. Poi girò lievemente il capo, strinse gli occhi vermigli in due fessure, come a voler dire:
" Mi stai sfidando? ".
E avvenne una cosa che davvero non mi aspettai. Roxanne si alzò di scatto, cominciò a correre verso il ruscello. Mentre lo raggiungeva, si tolse le scarpe, sfilò i guanti e la mantella coi campanelli. Con due occhi spalancati la vidi entrare nel ruscello, bagnandosi la calzamaglia. Lei si girò verso di me e con un'aria beffarda mi urlò:
- Cosa c'è, Vostra Maestà? Avete paura che con un po’ d'acqua il vostro abito regale si possa rovinare? - mi schernì, rigettandomi indietro la battuta.
Eh no, questo è troppo! Una strana forza interiore mi fece scattare. Gettai per aria il cappello, e senza togliermi altro (in fondo era una sfida) corsi verso di lei. Ebbi il tempo di vedere le sue gemme verdastre spalancarsi per lo stupore, fare qualche movimento per sfuggirmi che, ovviamente, fu del tutto inutile. L' afferrai prendendola per la vita, e tra un misto di risolini e urletti, la sollevai facendola volteggiare. Fu un  momento meraviglioso. Era la prima volta che mi sentivo in quel modo.
Volteggiamo per qualche secondo, mentre schizzi d'acqua cristallina volarono di qua e di là. Il mio piede scivolò su un sasso e caddi all'indietro, trascinando con me anche la mia amica. Eravamo completamenti bagnati, io specialmente.
Lei, sopra di me, rideva come non mai. Poi, disse:
- Sei un pazzo! -. Era così bella anche in quella situazione. Io, intanto, avevo perso la mascherina, ma non ci badai.
Non mi importava che il costume fosse bagnato, stare lì in quella circostanza con lei mi faceva ridere ed eccitare al tempo stesso. 
- Allora siamo in due, cherì!- la canzonai, passandomi una mano tra i capelli bagnati. Stranamente lei non si mosse. Era rimasta immobile, a cavalcioni su di me, come un'abile amazzone. Scrutandola negli occhi, sentì di nuovo quel calore provato la sera scorsa. Allungai una mano e le tolsi la mascherina in merletto. Mentre facevo ciò, notai il suo seno che si alzava e abbassava per il respiro che diventava più veloce. La tentazione di stringerla a me era troppa.
- Non avresti dovuto provocarmi... - le dissi, quasi sussurrando, mentre le scostavo delle ciocche bagnate sulla scollatura. Sulla pelle, candida come un fiore d'arancio, scivolavano piccole gocce d'acqua. Ero sul punto di toccarla, ma riuscì a controllarmi, così abbozzai un mezzo sorriso e le dissi: 
- Su, è meglio andare, altrimenti conciati così ci beccheremo un malanno -. Sollevandomi un po’, la aiuta ad alzarsi. Aveva un'aria piuttosto stralunata, come se fosse rimasta intrappolata in due realtà diverse. Recuperammo le nostre cose ( la mia mascherina la ripescai con disperazione, dato che la corrente la stava portando via ), e ci incamminammo per tornare indietro. Lungo il tragitto, ci fu un silenzio imbarazzante. Sperai che lei ricominciasse a parlare per rompere il  silenzio, come faceva spesso.
Invece rimase ammutolita, gettandomi nella completa confusione. Avevo forse fatto qualcosa che l'avesse turbata?
Ero sul punto di chiederle se stava bene, quando uno strano rumore che proveniva dai cespugli mi diede un'improvvisa ansia. Prima di scoprire cosa fosse, misi una mano sulla corda alla vita, dove era legato il mio pugnale. 
- Stai dietro di me - le ordinai, tirandola per un braccio e nascondendola dietro di me. I miei sospetti erano fondati. Due loschi individui, dall'aria poco raccomandabile, uscirono fuori. Uno di loro aveva già estratto un coltello. Da come erano vestiti capì che erano zingari, ma della peggior specie. Erano quelli che macchiavano di disonore tutta la nostra razza, rubando e uccidendo senza farsi scrupoli. Mi davano la nausea. Uno di loro, quello non armato fu il primo a parlare:
- Signori, non dovete avere timore. Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male. Certo se voi collaborerete - precisò, suscitando le risate del suo compare.
- Che cosa volete?! - chiesi, con tono rabbioso. Ah, se solo avessi avuto con me i miei sottoposti, li avremo trucidati in pochi secondi, senza pietà!
- Da te niente, amico. Ma la tua amichetta potrebbe essere così gentile da donarci quello splendido monile che porta all'orecchio destro - disse l'altro zingaro armato di coltello. Sentì Roxanne stringersi di più a me, era evidente che fosse spaventata. Cercai di tranquillizzarla, stringendole con fermezza il braccio.
L'avrei protetta anche a costo della mia stessa vita. Fulminandoli con lo sguardo dissi:
- Vi conviene andarvene il più lontano possibile, o ve ne pentirete! -. A quelle parole, lo zingaro armato, il più impaziente, si fiondò verso di me. Solo allora sfoderai il pugnale, e con velocità deviai il colpo e ferì il braccio dell'aggressore. Il suo complice, agitandosi, fece anche lui un tentativo, ma con un calcio lo allontanai. Potevo tenerli facilmente a bada, ma dovevo pensare a Roxanne.
- Scappa, corri! - le gridai, mentre mi preparavo per il prossimo attacco. Ma avvertì un grido e mi voltai di scatto.
La mia amica era intrappolata da un altro uomo, grande e grosso, che la minacciava con una spada alla gola. Doveva fare parte del gruppo, probabilmente era il capo. Erano più furbi di quanto immaginassi. Lo zingaro che mi aveva attaccato per primo, forse per vendetta, mi colpì e mi ferì la spalla destra. 
- Clopin! - gridò lei, preoccupata a morte. I due ladri mi tenevano fermo, e io impotente caddi in ginocchio. Fissai il loro capo, e ringhiai.
- Vigliacchi, lasciatela libera! Prendetevela con me! -. Sperai davvero che quei maledetti avrebbero accettato la mia offerta, ma lo zingaro rispose:
- Taci, pagliaccio! Faremo esattamente quello che vogliamo! - annunciò, mentre i suoi occhi vagavano sul corpo di Roxanne. Brutto schifoso! 
- Lo sapevo, che sarebbe stato troppo facile, con una donna in mezzo - disse il capo, che ormai aveva la situazione in pugno. 
- Ne sei sicuro? -. Era stata proprio Roxanne a parlare. - Credi davvero che una donna non sappia difendersi...-. In una velocità assurda, la mia amica diede un calcio all'indietro, facendo zoppicare il suo aguzzino. La vidi esibirsi in una danza fatta di calci e colpi violenti, riuscendo a tenere testa a quel omone grosso come un armadio. Rimasi con la bocca a penzoloni. Anche gli altri due zingari erano rimasti pietrificati, e ne approfittai per scattare in piedi, prendendoli a pugni, e dopo aver recuperato il pugnale, lasciai che la mia indole sanguigna si scatenasse. Senza indugi, ferì mortalmente uno dei due, mentre l'altro ebbe la sfortuna di ritrovarsi con la gola tagliata dal mio pugnale. Mi voltai e corsi verso Roxanne, che ormai aveva steso il suo nemico. 
Sperai che non fosse ferita. Ma quando mi fermai per riprendere fiato, lei guardò nella mia direzione. Lessi il terrore nei suoi occhi e urlò:
- Clopin, attento! -. Tutto avvenne troppo velocemente. Roxanne che si fiondava verso di me, che mi stringeva, facendomi girare e infine un suono sordo.
Zampilli di sangue bagnarono il terreno, mentre un pugnale, che non avevo mai visto prima, perforava il petto dello zingaro che poco fa credevo di aver ferito mortalmente. Il tizio cadde, morto stecchito. Roxanne mi aveva appena salvato la vita. Mi affrettai e comincia a chiamarla per nome. Ma i suoi occhi, che erano sempre così pieni di vita, erano spenti e vuoti. 
- Roxanne, stai bene?...- le chiesi, afferrandola per le spalle e scuotendola, come a volerla risvegliare da un brutto incubo. Battendo le palpebre, finalmente mi rispose: 
- Clopin...si, tranquillo sto bene - mi rispose, e mi fece un mezzo sorriso per rassicurarmi. I suoi occhi, tornati alla normalità, si posarono sulla mia spalla destra. Avevo completamente dimenticato che ero stato ferito. Lei si allarmò, e senza perdere tempo, recuperò il suo personale fazzoletto rosso. Lo usò per fasciarmi la ferita, anche se per me era soltanto un graffio.
- Presto, torniamo al piazzale, dobbiamo medicarti per bene - disse alla fine. Ovviamente, lasciammo quelle carcasse inutili a marcire in mezzo alle erbacce. Quando vi passai vicino, sputai per terra, disgustato.
E pensare, che io stesso, Clopin il re degli zingari, avevo potere in tutta Parigi su quella categoria di gentaglia. Arrivammo alla piazza dopo il tramonto. La violinista era molto in pena per me, ma io continuavo a dirle che non era nulla di grave. Decidemmo di raccattare ciò che ci serviva e ci barricammo nel mio teatrino. Ci cambiammo i vestiti ( i nostri costumi erano ancora fradici). Roxanne, si stava cambiando dietro allo schienale del mio divano, mentre io stavo accendendo varie candele per dare luce e calore. Quando fu pronta, ci accomodammo sul divano, e lei armeggiò con ago e filo per sistemarmi la ferita. Non senti troppo dolore, aveva una buona mano ferma. Mentre mi stava fasciando nuovamente la spalla, la osservai. C'erano troppe cose che volevo sapere e non riuscivo più a trattenermi.
- Dove hai imparato? - le chiesi, facendomi coraggio. Lei mi guardò, come se non avesse capito bene. 
-Insomma, dove hai imparato a combattere così? Mi hai lasciato di sasso - dissi, facendo una smorfia nell'ultima frase, cercando di farla sorridere. Lei rimase seria, e dopo aver annodato il fazzoletto di stoffa, cominciò a spiegarmi:
- Mio padre. Fu mio padre a insegnarmi il combattimento corpo a corpo. Ma solo per difendermi - mi spiegò, mentre si appoggiava sullo schienale del divano. - Dopo la morte di mia madre, lui divenne molto apprensivo nei miei confronti. E quando si rese conto che stavo crescendo, all'età di 15 anni, mi diede un pugnale, che avrei sempre nascosto sotto la gonna, e mi incoraggiò a usarlo contro un sacco pieno di paglia. Con pazienza e calma mi spiegava come muovermi, come disarmare e come attaccare. Tutto questo perché sapeva che non poteva proteggermi per sempre, in un mondo dove le donne vengono schiacciate dalla stessa società -.Si fermò un attimo. Si stava tormentando i capelli, e io ne approfittai per dire la mia:
- Tuo padre è stato un ottimo insegnante. Sei stata formidabile -. In quel momento, vidi il suo viso incupirsi. Poi prese la mascherina in miniatura e se la passò fra le mani. Con voce lieve disse:
- Se oggi ce l'ho fatta, è solo grazie a lui. Sul suo letto di morte, non aveva paura di morire, ma di lasciarmi sola. Io, sorridendogli, gli promisi che me la sarei sempre cavata, in ogni situazione. Così...se ne sarebbe andato...senza preoccuparsi ulteriormente per me... - la sua voce divenne all'improvviso tremante e rotta dal pianto. Su una guancia scese una lacrima.
Fu la prima volta che la vidi in quel modo, e il cuore mi si spezzò. 
Aprì le braccia, e la strinsi a me. Lei cercava di soffocare il suo pianto, come se si vergognasse. Le sussurrai all'orecchio:
- Tranquilla, cherì. Ci sono io con te. Ci penserò io a proteggerti -. Se fosse esistito davvero un Dio, avrebbe dovuto gettarmi all'inferno, se quelle parole non fossero state sincere.
- Non ho avuto paura per me... - disse, con la voce ancora sgretolata dal pianto - ma per te. Non volevo ucciderlo, ma se non avessi fatto nulla, avrebbe ucciso te...Non lo avrei sopportato...- mi confessò tra i singhiozzi. Il cuore mi prese a galoppare, sia per il dolore di vederla in quello stato, sia per un qualcosa che stava nascendo dentro di me. La cullai tra le mie braccia, non staccandomi da lei neanche per un attimo.
Man mano, si stava calmando, con la testa poggiata sul mio petto. La mia bella, frizzante, e coraggiosa violinista, si stava addormentando stretta a me. Intanto, fuori dal carretto, regnava la calma, e la notte era da poco giunta. L'idea di rimanere lì, a dormire nel teatrino, mi sembrava strano. Ma con Roxanne tra le braccia, non era poi così malvagio. Allontanai di poco
la testa, e la osservai, mentre aveva gli occhi chiusi. Nella luce fioca delle candele, sembrava un angelo. Le accarezzai lo zigomo, dove c'era quel neo che risaltava il suo volto. Aveva avuto paura per me. Beh, anche io avevo avuto molta paura...di perderla.
- Roxanne...- pronunciai il suo nome, con un lieve sussurro. Lei non era ancora addormentata, ma era tra la veglia e il sonno, perché mi rispose:
- Ouì...-
- Mi prometti che non te ne andrai?...Posso tenerti con me?...- le chiesi, mantenendo lo sguardo su di lei.
- Ouì...- rispose, con gli occhi ancora chiusi. Non mi importava se quella risposta era dettata dalla coscienza, o un vago borbottio involontario per il sonno. Volevo solo sentirmelo dire. Ormai, ne ero sicuro. Roxanne mi piaceva. Mi faceva un effetto che nessun'altra donna aveva avuto su di me. Di solito, ero sempre stato io l'ammaliatore, ma non in quel caso. L'avevo capito in quel pomeriggio, quando le ho detto che temevo per la sua assenza, o quando al ruscello, l'avevo presa e sollevata, o quando poco dopo avevo temuto che me la portassero via. Soddisfatto di ciò, poggiai le mie labbra sulla sua fronte. 
Fu un bacio casto, innocente, ma pieno di passione, perché rimasi per più di cinque secondi incollato alla sua candida pelle. Come a voler suggellare un forte legame che non si sarebbe mai spezzato, e che avrebbe mostrato al mondo intero che in qualche modo lei fosse mia.

Clopin passò le ore successive a guardarla, godendosi quel momento, tutto per se. Poi, avvertendo i primi sbadigli, si sdraiò, portando con se anche la violinista, che nel sonno si accoccolò di più a lui. Il re dei giullari si addormentò contento, avvolto dal calore del corpo perfetto di lei. Infine anche le ultime candele si spensero, e il carretto fu coperto dall'oscurità e dal silenzio di una dolce notte di gennaio. 
 
Angolo dell'autrice:

Bene bene, gente, le cose si stanno facendo serie tra i due giullari. e stiamo scoprendo sempre di più di Roxanne. Il fatto che sia italo-francese è una cosa che mi è venuta in mente molto dopo aver creato il personaggio. Inoltre, ammetto che in questo capitolo ci sono diversi punti ispirati a scene di film
( voglio vedere se ne scoprite qualcuno XD). Spero che la relazione che si sta creando vi stia piacendo, in fondo sto andando per gradi ( per le la fase del corteggiamento-frequentazione della coppia è sempre importante, e quella che preferisco di più raccontare) ^^ Direi che il nostro Clopin abbia avuto parecchie 
sorprese oggi, ma tranquilli, anche Roxanne scoprirà delle verità nascoste su di lui ( infatti ancora non sa che lui è il re degli zingari XD)
Al prossimo capitolo <3 
 

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Capitolo 7
*** La Corte dei Miracoli ***


                                                                                                                   
                                                                                        La Corte dei Miracoli

Nel teatrino mobile regnava ancora l'oscurità e il silenzio. Il re del piazzale dormiva beatamente, con il respiro regolare e un lieve russare che riempiva l'atmosfera. Con il cappello che gli nascondeva gli occhi, se ne stava sdraiato sul divanetto in una posizione alquanto bizzarra. Aveva una gamba che cadeva a penzoloni dal divano, mentre l'altra era appoggiata sullo schienale, per non parlare delle braccia che stringevano uno dei cuscini, come se fosse stata la cosa più vitale del mondo.
All' improvviso, da fuori, si sentì il rimbombo delle campane a Notre Dame. Erano le 6 del mattino. 
Le orecchie del giullare si mossero lievemente, e bofonchiando qualcosa di incomprensibile, con una mano si tolse il cappello dalla faccia. 

PV Clopin 

Con gli occhi ancora impastati dal sonno, cercai di mettere a fuoco lo spazio che mi circondava. Dove mi trovavo? Feci vagare lo sguardo attorno a me. Non c'era abbastanza luce per capirlo subito, ma man mano che gli occhi si abituarono, mi resi conto che ero nel mio carretto.
" Giusto, ora ricordavo " mi si illuminò la mente e mi stiracchiai, o almeno ci provai, perché avvertì un leggero dolore alla spalla destra. Eh sì, ricordavo anche quello. Ci diedi un'occhiata, e vidi il fazzoletto rosso che fasciava la ferita. Era stata lei e ripensai a cosa fosse accaduto dopo. Avevamo passato tutta la notte, insieme, su quel divanetto, abbracciati stretti. Una sensazione di piacevole calore mi invase. Ma mentre sospiravo, mi accorsi che mancava qualcosa, anzi qualcuno. Proprio la mia Roxanne.
Mi accorsi che stavo ancora stringendo il cuscino, e dopo averlo lanciato per aria, cominciai a scrutare in giro.
Fuori doveva essere ormai giorno, dato che dalle fessure delle porticine filtravano alcuni fasci di luce.
Dove era andata? pensai mentre una certa ansia mi fece agitare. Ma proprio quando stavo per scattare in piedi, senti la porta sul retro aprirsi con un cigolio. 
- Oh, bon jour, Vostra Maestà. Ha dormito bene? -. La voce pimpante e allegra di Roxanne mi diedero un senso di sollievo e di gioia. Meno male, era lì.
Dopo quello che era successo il giorno prima, mi sarei preoccupato ogni volta che l'avessi persa di vista.
Cavolo, doveva piacermi davvero per farmi questo effetto! Le sorrisi, mi passai una mano tra i capelli e dissi:
- Dove eri andata? Non ti trovavo più -. Lei si affrettò a rientrare, ma lasciò la porta aperta per far passare un po’ d'aria fresca. 
- Mi sono svegliata presto, e dato che eri ancora nel mondo dei sogni, ne ho approfittato per uscire di corsa e andare a comprare qualcosa da mangiare - mi spiegò, mostrandomi un fagotto di stoffa annodato e bello pieno.
Mi raggiunse sul divanetto e si sedette accanto a me. Appena sciolse i lembi del drappo e aprì il fagotto, un buon profumo invitante mi risvegliò l'appetito.
Pane caldo. Roxanne sfilò il coltello da una fettuccina che portava attorno alla coscia sinistra (lo stesso che aveva usato per salvarmi la vita, il giorno prima) e cominciò a tagliare il pane. Con mia sorpresa vidi che aveva comprato anche della gelatina rossa, probabilmente confettura, e ne mise in abbondanza sulle fette di pane. 
- Spero che la confettura di fragole ti piaccia. - mi disse. Non ne andavo pazzo, ma in quel momento avrei mangiato anche i sassi, perché avevo una fame da lupi. Cominciai a divorare metà del pane mentre lei mi controllava la spalla.
Era così premurosa e attenta, che mi sentivo quasi un bimbo che si era fatto male durante un gioco con gli amichetti.
Dopo avermi pulito la ferita, controllato i punti, e fasciato la spalla con un nuovo fazzoletto rosso, ( doveva piacerle 
molto quel colore ), tornò vicino a me, finendo di gustarsi la colazione.  
- La ferita si sta rimarginando, per domani potremo togliere i punti - mi informò. In quel momento, ripensando alla spiacevole esperienza vissuta, smisi di abbuffarmi, e le dissi:
- Non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita, cherì - feci, e mi tuffai nuovamente in quelle pietre preziose così rare.
Lei mosse la testa leggermente e con un mezzo sorriso mi rispose:
- Non dirlo nemmeno, Clopin. Tu avresti fatto lo stesso per me -. Ed era così. Avrei ucciso chiunque avesse cercato di toccarla con un dito. Quell'atmosfera seria sfumò appena la vidi addentare il suo pezzo di pane. Era divertente vederla mangiare, perché sembrava un animaletto vorace e carino. 
Della polpa rossa era rimasta su un angolo della sua splendida bocca. Feci una risata soffocata e lei mi guardò con un punto interrogativo stampato in faccia. 
- Ferma così... - le dissi, e mi avvinai di più. Dopo essermi sfilato il guanto, con un dito pulì via quella macchia, per poi cacciarmelo in bocca. La parte più audace di me, avrebbe voluto usare un altro metodo. Ma quella alternativa sarebbe stata troppo...intraprendente, e al solo pensiero mi provocò un brivido nelle viscere. Se la colazione fosse sempre stata in quel modo, avrei gustato volentieri confettura di fragole per il resto della vita. Lei, intanto, era rimasta un attimo stranita, ma poi si leccò l'angolo delle labbra. Oh no, ecco un altro pensiero lascivo! Basta così! 
- Tutto bene, Clopin? - mi chiese e tornai coi piedi per terra. Oh, se solo avessi avuto il coraggio di dirle che effetto mi faceva ogni volta che era con me...! Mi chiedevo come avrebbe reagito, se l'avessi stretta a me, e le avrei rubato un bacio. Mi avrebbe respinto?
Ma eravamo da poco diventati amici, e quel nostro legame ricco di intesa era troppo bello per essere rovinato dal fuoco che ardeva in me.
- Sto bene, tranquilla - le risposi. No, non potevo rischiare di rovinare tutto! Dovevo reprimere i miei impulsi e continuare a portare la maschera, cosa che in effetti mi riusciva molto bene. A proposito di maschere, si stava avvicinando l'ora, e io dovevo tornare a lavoro. Non potevo far attendere i miei piccoli spettatori.
- Forza, è ora di sbrigarci. Ci siamo fin troppo rilassati, quindi torniamo a lavoro! - annunciai, mentre mi accingevo a controllare i nostri costumi. La sera prima, Roxanne li aveva messi ad asciugare, attaccati a una corda fuori, vicino al carretto.
- Clopin, sicuro di riuscire a lavorare oggi? - mi chiese all'improvviso la mia amica. Era ovvio che fosse preoccupata per la spalla. Chiusi la porta sul retro e con un sorriso smagliante le risposi:
- Tranquilla, cherì. Non sembra ma ho la forza di un leone. E poi si tratta di una piccola ferita, niente di allarmante.
Ne ho vissute di peggiori, credimi - cercai di rassicurarla. Ma nonostante i miei sorrisi e i movimenti che facevo per convincerla, lei sembrava ancora incerta. 
- Pensavo, che magari almeno per oggi, potrei assisterti - mi disse, mentre si guardava in giro. Scovò il piccolo Clopin, il mio fidato collega, su un comodino, e subito lo afferrò per poi aggiungere - Potrei manovrare io il piccolo Clopin, così tu non dovrai sforzarti troppo con le spalle -. 
Da quando ero diventato il giullare della piazza non mi ero mai sognato di avere un'assistente. Amavo la mia autonomia, e sinceramente preferivo non avere altra gente in mezzo durante i miei spettacoli. Come sempre, odiavo i cambiamenti.
Ma mi resi conto che Roxanne aveva ragione. In quelle condizioni non avrei potuto dare il massimo. Alla fine accettai, e lei ne fu contenta. Ma sì, sarebbe stata una novità da provare. Poi, si trattava pur sempre di lei.
Cosa ti sta succedendo, Clopin? Non ti riconosco più. Dopo aver deciso, lei scattò tutta pimpante e afferrò il suo costume. Poi mi guardò con una certa titubanza.
- Ehm, potresti fare a meno di guardarmi? - mi chiese. Alzai un sopracciglio. Come potevo non guardarti, sei così bella! 
- Perché? - chiesi abbozzando un mezzo sorriso. Le sue guance si  colorarono di rosso, alzando poi il costume rosso e nero, come per nascondersi.
Solo allora capì, e mi voltai subito. Che stupido, era una cosa così ovvia! Anche la sera prima si era cambiata nel mio carretto. Ma ero così indaffarato e preso da altre cose, che non ci avevo dato tanto peso.
In quel momento ero davvero tentato nel voltarmi, ma ovviamente non lo feci. Avrei voluto vederla, anche solo per un secondo, senza vestiti, e ammirare il suo corpo bianco come il latte. Accertarmi della perfezione delle sue forme, degne di quelle di una scultura marmorea. Scrollai il capo per darmi una regolata. Ma che avevo quella mattina? Sarà stato per via della notte 
trascorsa insieme? Decisi allora che da quel momento mi sarei concentrato solo sullo spettacolo, così mi sarei distratto. 
- Sono pronta - mi avvisò lei. Mi voltai, e la vidi nel suo costume da giullare che le fasciava ogni curva e metteva in risalto le gambe nel aderente calzamaglia. Quella sarebbe stata la giornata di lavoro più difficile da gestire della mia vita
Meno male che tutto andò per il meglio. Sinceramente fu più divertente di quanto mi aspettassi. Roxanne era una vera maestra con i pupazzi. In fin dei conti, io stesso l'avevo vista all'opera, manovrando vari pupazzetti solo con l'aiuto dei piedi. Dal canto mio, grazie a lei, non mi sforzai neanche un po’, e la spalla non mi diede alcun problema. Quando lo spettacolino finì, i bambini ci ripagarono con monetine e applausi. Sapevo che Roxanne non desiderava farsi vedere durante gli spettacoli, per paura del giudizio altrui. Ma la sua audacia mi sbalordì, quando decise alla fine di mostrarsi. Uscì fuori, sporgendosi dal davanzale e aprì le braccia verso il piccolo pubblico.
- Io sono Roxanne! - annunciò, con una voce squillante. Non mi sembrava affatto tesa, e aveva un modo abbastanza spontaneo. I bambini spalancarono gli occhietti per lo stupore, e qualcuno di loro gridò:
- La conosco, era alla festa dei Folli! Il giullare col violino! Ti prego, suonaci qualcosa -. In un attimo il davanzale del teatrino fu attaccato dalle manine di quei piccoli, e potei scorgere i sentimenti sul volto della mia amica. Era così felicemente sorpresa da quelle attenzioni, che si mise una mano sul petto per l'emozione. Brava, cherì, hai fatto il primo passo.
Le poggiai una mano sulla spalla, per farle sentire la mia vicinanza, in quel momento così importante.
- Ragazzi, ho capito! Clopin si è trovato la fidanzata! - disse ad alta voce uno dei maschietti del gruppo. Rimasi a bocca aperta come uno stoccafisso.
- Clopin si sposerà! Evviva! - esultarono altri bambini e io mi senti morire dall'imbarazzo. La mia faccia doveva essere diventata rossa come una mela matura.
Prima che potessi dire qualcosa per smorzare quel malinteso, il piccolo Clopin si fece avanti agitando le braccine.
- Assolutamente falso, bambini! Questa donzella è impegnata con me. Sarò io il fortunato a sposarla. Fateci gli auguri! - disse il pupazzo, con la voce di Roxanne modificata. La guardai con la coda dell'occhio. Stava cercando di trattenere le risate, e poi si voltò verso di me, facendomi l'occhiolino. Sforzai un sorriso di gratitudine, mentre il gruppetto di bimbi era rimasto quasi deluso dalla notizia. A volte sapevano essere dei veri demonietti.
Richiamati dai genitori, i nostri spettatori si dileguarono, e così potei rilassarmi all'interno del carretto. Mi lasciai cadere sul divanetto e feci un sospiro profondo. Mi tolsi il cappello e cominciai a sventolarlo per farmi aria. Mamma mia, che caldo!
- Avanti, cos'è quella faccia? Non dovrai mica sposarmi per davvero, sai! - disse lei, cogliendomi alla sprovvista. Ci guardammo e ridacchiammo per qualche secondo. Mi chiedevo se si fosse accorta del vero motivo del mio imbarazzo.
Chissà se lei sospettava qualcosa?
- Ovvio, cherì. E poi, ormai sei ufficialmente promessa a petit Clopin. Come posso competere con uno come lui? - le dissi, allargando un sorriso di scherno.
Lei, che aveva ancora il pupazzetto in mano, lo mosse e lo fece parlare:
- Esatto, collega. Se ci tieni tanto sei invitato alle nozze -. Roxanne si coprì la faccia con l'altra mano, divertita. Era troppo bella quando rideva. Forse...troppo bella per me. Di certo erano in molti gli ammiratori che facevano la fila, e molti più belli e fascinosi di un giullare col nasone.  Non avevo speranze con lei. Ad un tratto il filo dei miei pensieri fu interrotto da un'allegra vocina che veniva da fuori. Mi sentì chiamare. Mi affaccia e vidi che si trattava della mia piccola Cosette. Era dalla festa dei Folli che non la vedevo. Subito corsi fuori per poterla prendere in braccio.
- Mon petit! Che bello rivederti! Mi sei mancata! - dissi, stringendola a me. Roxanne rimase a guardarci, con lo sguardo intenerito. 
- Cosette, ti presento una nuova amica - dissi, portando la bimba vicino al davanzale. - Lei è Roxanne -. 
La violinista mise da parte il pupazzetto, e con un sorriso porse la mano alla bambina. Che tenerezza, tutte e due!
La mia piccola amica piegò il capo da un lato, come se stesse studiando meglio il giullare in gonnella.
- Ti ho già vista da qualche parte - disse Cosette. Era normale, insomma tutta la città aveva visto la violinista quel giorno sul palco, durante la festa. Ma la bimba ci spiazzò nel momento in cui ci rivelò:
- Sei il nuovo cantastorie del piazzale! -. Come aveva fatto a scoprirlo? Roxanne aveva agito sempre nell'ombra, e nonostante si fosse mostrata alla festa col violino non si poteva dare per scontato che fosse proprio lei il misterioso cantastorie. Io stesso non ne ero sicuro, fino a quando non è stata lei a confessarmelo. Allora era vero, che i bambini capiscono molte più cose, meglio di noi adulti.
La mia amica dalla mascherina in merletto, fece una dolce espressione di resa e ammise:
- Oui, petit, sono io -. Avevo il presentimento che in pochi giorni la copertura di Roxanne sarebbe crollata. Il castello di carte che aveva costruito sarebbe stato spazzato via con una sola folata di vento. Gli occhi della piccola Cosette si allargarono dall'emozione.
- Che bello! Quindi anche le ragazze possono diventare dei giullari? - esplose, in un misto di felicità e sorpresa. Roxanne rimase immobile, mentre Cosette continuava, questa volta rivolgendosi a me
- Clopin, da grande potrò diventare anche io un giullare come te e Roxanne? Davvero posso? -.
Quel quesito mi lasciò interdetto. Ma poi volsi lo sguardo verso la mia amica violinista. Aveva gli occhi che lasciavano trasparire tenerezza e commozione. Forse, Cosette le ricordava lei stessa, da bambina. Con fermezza mi rivolsi alla piccola:
- Certo, mon petit. Se lo desideri tanto, puoi diventare ciò che vuoi. Non importa se sembrerà impossibile o strano -. Mentre la piccola batteva le mani eccitata, tornai a guardare Roxanne. Si stava coprendo le labbra con una mano, e i suoi occhi erano lucidi. La fissai intensamente, e le donai un sorriso dolce e rassicurante.  Dopo aver salutato Cosette, che ci promise che sarebbe tornata a trovarci, rimanemmo a guardarla mentre si allontanava. Solo in quel momento, presi la mano della mia amica e le dissi:
- Per la cronaca, quella frase era rivolta anche a te, cherì -. Roxanne mi guardò, e con una smorfia mi fece:
- Lo so, l'avevo capito -. Le sue mani accarezzarono la mia, e nonostante il tessuto dei guanti, riuscivo a percepire un dolce calore. Mi distaccai subito, con la scusa di stiracchiarmi. Dovevo cercare di non stare troppo a contatto con lei, se volevo tenere a bada il mio lato impulsivo, Ad un tratto, ebbi una brillante idea. 
- Pensavo, che ne dici di festeggiare? Sai, per il successo del nostro spettacolo e per il tuo primo, grande passo, verso il tuo sogno realizzato - dissi, facendo delle giravolte come se fossi un carillon impazzito.
Lei fece una strana faccia, come a dire " ma davvero? ". 
- Hai sempre voglia di fare festini tu, eh? - mi schernì. Provai a giustificarmi, alzando le mani:
- Solo nelle grandi occasioni. E se c'è del buon vino da dividere -. Ridemmo insieme.
Lei si aggiustò la mantella coi campanelli, che tintinnarono.
- E dove vorresti festeggiare? Alla taverna di Marcel? - mi chiese mentre si arricciava le punte dei capelli con le dita.
- No. Ho in mente un luogo più suggestivo e particolare. Ma è una sorpresa -. 

PV Roxanne

Io e Clopin stavamo camminando da 15 minuti ormai. Ci eravamo allontanati dalla piazza di Notre Dame e lo avevo seguito verso alcuni vicoli isolati. 
- Quanto è lontano questo posto segreto? - gli chiesi, mentre camminavo sottobraccio con lui. Prima di avviarci, mi aveva consigliato di cambiarmi, e indossare i miei abiti normali. Lui mi guardò in maniera misteriosa e mi rispose:
- Presto lo scoprirai, cherì -. Ero troppo curiosa. Chissà che tipo di posto avrei trovato. Cercai di pazientare ancora un po’, ma dopo avergli chiesto per la seconda volta dove eravamo diretti, lui finalmente vuotò il sacco:
- E va bene. Posso dirti almeno che stiamo andando a casa mia -. Se ben ricordavo, Clopin mi aveva detto che viveva in una tenda, nei pressi del piazzale. Al solo pensiero che ci saremo trovati nella sua tenda, provai una dolce emozione. Nella mia testa si formò una scenetta, dove io e lui cenavamo insieme, a lume di candela, seduti sui cuscini. Due cuori e una tenda. Mi sembrava tutto così romantico, e la cosa mi fece arrossire. Erano successe tante cose da quando avevamo dato il via al nostro " duello", che alla fine si era trasformato in una dolce amicizia. 
Con lui sentivo che potevo essere me stessa, senza temere giudizi da parte sua. Inoltre, era sempre lui che cercava di tirare fuori il meglio di me, e mostrarlo agli altri. Era un vero buon amico. Già, un amico...
Quei pensieri mi accompagnarono fino a quando non ci trovammo davanti a un cancello arrugginito, semiaperto.
Eravamo arrivati a un cimitero. Con grande perplessità, gli chiesi:
- Ehm, si trova qui la tua tenda? -. Clopin aveva intuito i miei dubbi e mi rassicurò.
- Tranquilla, ben presto capirai -. Fidandomi di lui, passammo vicino ad una scia di vecchie tombe, alcune scheggiate, altre che non avevano né croci né epigrafi. La sera stava calando, e quel posto faceva davvero paura. Clopin si fermò davanti a una grande tomba. Sulla lapide c'era un simbolo, una croce per l'esattezza, con delle scritte, probabilmente di una lingua antica.
Vidi poi il giullare spostare con sforzo la lastra di pietra che copriva la lapide.
Un senso di ribrezzo mi fece rabbrividire. Una volta spostata, mi affacciai e scoprì che c'era una scalinata che portava sottoterra.
- Clopin...- feci, con voce incerta. Non voleva mica portarmi là sotto? Lui finalmente mi guardò con serietà, e dopo aver ripreso fiato cominciò a spiegarmi:
- Roxanne, non devi aver paura. Quando ti ho detto che vivo in una tenda, dicevo la verità. Ma con l'unico particolare che si trova proprio qui. In questo cimitero, al di sotto di questa tomba - fece una pausa per arrivare poi al nocciolo della questione.
- Qui sotto vi è la mia casa. La casa di tutti gli zingari che sono perseguitati dalla società; la Corte dei Miracoli -.
Quella rivelazione mi fulminò in testa. La Corte dei Miracoli! Avevo già sentito parlare di quel luogo. Incredibile!
Pensavo che fosse solo una leggenda o un racconto per bambini.
Clopin cominciò a mettere un piede su uno dei gradini, per poi farmi segno di seguirlo.
- Non devi temere nulla, fino a quando starai con me non ti accadrà nulla di male -. Mi porse la mano per aiutarmi, e dopo qualche esitazione, la afferrai e mi lasciai guidare, scendendo quella scalinata, che sembrava portare giù nell'oltretomba.
Clopin accese una torcia che si trovava piantata al muro. Finalmente un po’ di luce. Peccato che dopo qualche passo ci ripensai, preferendo l'oscurità. Quel posto, freddo e cupo, era pieno di scheletri umani, tutti accatastati l'uno all'altro. Un brivido di pura paura mi percorse la schiena, e mi strinsi di più al mio amico. Lui mi avvolse nel suo mantello, e mi accoccolò al suo fianco. 
- Va tutto bene, cherì. Si tratta di pochi metri e arriveremo a destinazione - mi disse amorevolmente. Affondai il viso sul suo petto, mentre mi guidava verso una meta a me ignota. Il mio corpo tremava ancora, per il freddo e per la paura.
Meno male che Clopin cominciò a parlarmi.
- Avevi mai sentito parlare della Corte? - mi chiese, tenendomi ancora stretta a sé. Io mossi il capo, annuendo.
Senza distaccarmi da lui, risposi:
- Mentre viaggiavo con mio padre, spesso incontravamo zingari che si univano a noi per il pranzo o per accompagnarci in qualche villaggio. Ci raccontavano che venivano da Parigi, e che la Corte dei Miracoli esisteva davvero.
Ma non ci hanno mai voluto dire esattamente dove si trovasse -.
Clopin ascoltò e subito dopo mi fece altre domande sulla questione. Molto probabilmente con la scusa di saperne di più, stava cercando di distrarmi. 
- Sai, mio padre, poco prima di ammalarsi, mi confessò che desiderava venire qui a Parigi. Voleva vedere il piazzale di Notre Dame, e magari, avere la fortuna di trovare la Corte dei Miracoli - terminai. Mentre aspettavo una risposta, i miei occhi si mossero di lato. Cos'era quell'ombra? Ero sicura di aver visto qualcosa muoversi. Emisi un gemito soffocato, che sembrava un sussulto. Ma il mio caro amico mi tranquillizzò.  
- Non temere, sono alcuni zingari, camuffati in scheletri per mimetizzarsi. Fanno la guardia per assicurarsi che non entrino intrusi indesiderati -.
Sospirai sollevata, fidandomi ciecamente di lui. Finalmente, dopo altri dieci passi, arrivammo davanti a una porta, nascosta da un tendaggio vecchio e logoro.
- Benvenuta alla Corte dei Miracoli - mi sussurrò, aprendo quella porta che custodiva il grande nascondiglio dei gitani.
Uscì fuori dal mantello di Clopin, perché lo spettacolo che avevo davanti era meraviglioso. Tutta la paura e la tensione di qualche istante prima avevano lasciato posto a meraviglia e stupore. Per essere un posto sotterraneo era davvero bello e accogliente.
C'erano carretti e carrozze ovunque. Mille tendaggi, dai vari colori e stoffe, decoravano le pareti in pietra, mentre alcune tende erano montate in giro, come delle sorti di bancarelle. C'era molta luce ad illuminare il luogo, grazie alle torce e ai falò che donavano una piacevole atmosfera. Nell'aria si percepiva un dolce profumo di spezie, stufati e vino.
Era semplicemente meraviglioso. Dopo avermi dato il tempo di ammirare tutto, Clopin mi prese la mano e mi disse piano:
- Tuo padre avrebbe gradito? -. Con quella domanda sentì il cuore riempirsi di una dolce malinconia. Annuì, senza riuscire ad esprimermi.
- Allora, in un certo senso hai realizzato tutti i suoi desideri. Non solo sei arrivata a Parigi, guadagnandoti un posto nel piazzale. Ma sei anche qui.  Sono certo che sarebbe orgoglioso della sua bambina - mi disse infine. 
Senza rendermene conto, abbracciai il re dei giullari. Aveva ragione. Sentivo la voglia di piangere, ma mi trattenni.
Ero troppo felice. Lui mi tenne stretta per qualche secondo, accarezzandomi la schiena, poi ci distaccammo, pronti per proseguire. Cominciai a capire perché Clopin e gli altri zingari tenessero così segreto quel posto.
Era l'unico luogo che potessero chiamare casa, senza essere cacciati o perseguitati.
- La mia tenda è laggiù - mi informò, indicando un punto in fondo, al di là di altre tende e carretti. Mi sentivo così emozionata. Mentre camminavamo, potei vedere molti abitanti della Corte. C'erano soprattutto donne e bambini. Alcuni piccoli corsero verso di noi, felici e festanti.
- Clopin, sei tornato! Più tardi ci racconti una storia? - dissero in coro. Il giullare li accolse tutti con un abbraccio di gruppo, e promise a loro che dopo cena avrebbe fatto uno spettacolino. Dopo di ché, una donna si avvicinò e si rivolse a lui.
Gli stava chiedendo il permesso di prendere alcune provviste in più dalla tenda comune, dove tenevano tutto il cibo per la popolazione. Che strano, perché lo stava chiedendo proprio a Clopin?
E poi altre persone, che incrociammo sul nostro cammino, salutarono calorosamente il mio amico. Cominciai a pensare che Clopin avesse un ruolo molto importante lì alla Corte. Quando riuscimmo ad entrare nella sua tenda, mi accorsi di quanto fosse bella spaziosa. Era quasi più grande del mio carretto. C'era un tappeto enorme che copriva tutto lo spazio, con alcuni cuscini ben imbottiti e con rifiniture dorate. Un catino e uno specchio ovale erano vicino a un tavolino in legno scuro. E mille candele, ognuna con la propria sfera di vetro, erano pronte per essere accese per donare calore. Mi sembrava un posto 
troppo lussuoso per un semplice zingaro. Sentivo che Clopin doveva ancora dirmi un'ultima verità. Possibile che...
- Cherì, vieni qui. Sarai stanca dopo la lunga passeggiata - mi disse lui, invitandomi a sedere sui cuscini. Lo raggiunsi, e mi accomodai vicino a lui. 
- Dunque...da quanto tempo sei il capo della Corte? -. Quella domanda stupì perfino me. Mi era uscita così all'improvviso. Gli occhi di Clopin si spalancarono e io mi rannicchiai con le gambe al grembo, ridacchiando. Avevo fatto centro.
Lui si rilassò, si tolse il cappello e scoppiando in una risata, si lasciò cadere sui cuscini. 
- Oh, cherì, non ti si può proprio nascondere nulla! - disse, e lo osservai godendomi il momento di vittoria.
- Beh, ovvio, si era capito dalla grandezza della tua tenda. Poi, ho notato che gli altri zingari ti portano un gran rispetto - gli spiegai. Lui annuì, passandosi una mano tra i capelli. Mi era chiaro tutto, anche il motivo per cui gli zingari, quelli camuffati in scheletri, non si fossero scagliati addosso a me (che ero pur sempre un'estranea). Perché ero accompagnata dal loro capo ed era una garanzia per lasciarmi entrare.
- E a quanto pare, sei molto ammirato dalle belle donne - aggiunsi - Ho notato come ti guardavano alcune fanciulle, mentre arrivavamo qui -.
Se dalla mia voce risultava un modo per schernirlo, dentro di me avvertivo un senso di fastidio. Lui mi diede un'occhiata.
Cercai di sembrare spiritosa.
- Nah, sono solo delle amiche - mi disse. Si stava forse giustificando? All' improvviso, piombò uno strano silenzio. Clopin allungò un braccio, e appoggiò la mano sulla mia guancia sinistra. Quel tocco era così caldo e piacevole. Dal suo sguardo mi parve preoccupato.
- Sei arrabbiata con me? - mi chiese. Corrugai le sopracciglia. - Mi dispiace di non averti detto tutta la verità. Su di me. Sulla Corte dei Miracoli - terminò alla fine. Rimasi immobile, a contemplare quelle parole, ma non avevo dubbi. Il re dei giullari, anzi, il re degli zingari, aveva la responsabilità di un'intera popolazione. Doveva essere davvero cauto, e di certo non poteva rivelare alla leggera certi segreti. Nemmeno a me, che mi aveva conosciuto solo di recente.
Capivo perfettamente la situazione. Anche io mi sarei comportata in quel modo.
- Sei proprio come me - gli dissi, mentre gli sorridevo e presi la sua mano nella mia. Confuso da quella frase mi chiese:
- Che vuoi dire? -
- Che anche tu, come me, hai dovuto portare una maschera per nascondere una parte di te che non potevi mostrare al resto del mondo. Ma lo hai fatto per il bene della tua gente, Un gesto nobile degno di un vero sovrano -. Ammiravo così tanto quell'uomo, lo stesso che qualche tempo fa, avrebbe difeso con le unghie e con i denti il suo ruolo da giullare, e che al tempo stesso dava anima e corpo per proteggere la sua gente. Le due facce della stessa medaglia.
Gli occhi neri di Clopin si fecero più teneri, e con voce ammaliante mi rispose:
- O forse, mi sono nascosto, perché...- cominciò, alzandosi dai cuscini e avvicinandosi al mio viso - ...temevo di essere giudicato...di non piacerti -. 
C'era un briciolo di ironia in quella affermazione, dato che erano le stesse parole che avevo usato io, quella volta nella taverna. Ma in quel momento non riuscivo a ridere o a rispondere a tono. La voce e gli occhi di Clopin mi avevano del tutto rapita.
Cosa sarebbe accaduto se in quel preciso momento, un’adorabile capretta di nome Djali non fosse entrata nella tenda, belando rumorosamente? Sentì una voce femminile molto familiare. Esmeralda comparve nella tenda, intenta a recuperare la sua capretta e quando mi vide esultò:
- Ah, Roxanne! Finalmente mio fratello si è degnato di portarti qui -. Il tutto finì con la faccia del re degli zingari, alquanto irritata, in direzione di Esme. 
Ovviamente, dato che si era fatto tardi, fui invitata a cena. Avevo una gran fame e il buon profumo di stufato di verdure mi fece sbavare. Ci ritrovammo tutti dentro una tenda color fuxia, seduti a una tavola piena di leccornie, pane, formaggio e vino.
Tutto era squisito, e feci la conoscenza di altri abitanti della Corte. Fui accolta con una gran gentilezza, come se fossi stata un'ospite d'onore, e mi sentì a mio agio come a casa. Quella sera c'era anche Febo e Quasimodo. Fui felice di parlare di nuovo col campanaro, che mi raccontò un po’ della sua vita nel campanile. Provavo un sincero affetto nei suoi confronti, non solo per la sua condizione, ma anche perché mi ricordava il fratello che non avevo mai avuto.
Lo stesso valeva per Esmeralda, che la consideravo la sorellona buona e protettiva che tanto desideravo da piccola.
Tra chiacchiere e risate, la serata stava trascorrendo tranquilla. Clopin aveva preso posto accanto a me, e mi divertì molto con lui. Ci dividemmo un boccale di vino rosso (così da evitare che lui si ubriacasse) e mangiammo dalla stessa forma di formaggio. Fingendo di guardare altrove, notai che Febo, seduto accanto a Clopin, allungò il braccio e portò il cognato tanto vicino da potergli sussurrare qualcosa. Doveva trattarsi di una battuta irritante, perché Clopin lo fulminò con lo sguardo. 
Quei due non facevano altro che punzecchiarsi a vicenda. Erano spassosi! La cena terminò con una bella torta di mele che divorammo entrambi come scoiattoli affamati. Dopo che il re delle feste terminò il suo spettacolo improvvisato per i bambini, mi resi conto di quanto fosse tardi, e dovevo tornare al mio carretto. Ma Clopin, insieme ai suoi cari, mi convinse a passare la notte alla Corte. Anche Quasimodo fu invitato a dormire lì, così non doveva tornarsene da solo a quell'ora così tarda. Diedi la buonanotte ai miei amici, e Clopin mi accompagnò alla sua tenda. Mi chiese se per me andasse bene dividerla con lui, dato che era bella grande. Io accettai, anche se una certa ansia mi fece agitare.
Dopo essermi cambiata dietro a un separé, indossai una vestaglia blu notte, un prestito da parte di Esme.
Tolsi le rose e i nastri dai capelli. Clopin intanto, stava sistemando alcuni cuscini che avrebbero fatto da letto per quella notte. Il viso mi si fece di fuoco appena lo vidi con solo i pantaloni, e a torso nudo. Non aveva chissà quali muscoli (di certo non aveva la corporatura di un vigoroso soldato, come Febo). Il suo corpo era esile e asciutto, ma nonostante ciò provai comunque imbarazzo. Cercai di calmarmi proprio nel momento in cui mi rivolse la parola.
- Beh, prima della nanna, ti va il goccetto della buonanotte? - mi chiese, senza tener conto che in quello stato mi aveva colta di sorpresa. Annuì, cercando di fare la disinvolta. Basta che ti allontani un attimo da me, giusto il tempo per riprendermi!
Mi lasciai cadere sui cuscini, facendo un lungo respiro. Il mio amico tornò con due calici e una bella bottiglia. Mi spiegò che era un vino fruttato, molto dolce e difficile da reperire. Ne beveva un po’ solo nelle occasioni speciali. Il semplice fatto che io fossi una di quelle rare occasioni, mi fece sciogliere come burro. Quando ebbi il calice pieno, ne bevvi avidamente un sorso.
Era davvero dolce, e sapeva di frutti rossi, con quella leggera nota alcolica. Un rivolo rosso scivolò via dalle mie labbra, e stava scendendo verso il mento. Che imbranata! Stavo giusto per pulirmi con le dita, quando avvertì una mano che mi prendeva il viso, e il fiato di Clopin sulle labbra. Tutto avvenne velocemente, ma in quell'istante il tempo sembrava essersi fermato.
Rimasi imbambolata, e non sapevo più se vivevo in un sogno o se fosse tutto reale. Lui si staccò da me, con un'espressione preoccupata e si voltò dall'altra parte.
- Mi dispiace...è stato un momento...- farfugliò, tormentandosi il collo, come se avesse commesso un peccato mortale.
Mi passai le dita sulle labbra. Era stato un bacio delicato, puro. Una parte di me, quella più profonda, mi stava incoraggiando a pretendere di più. Mi mossi verso di lui, e dopo aver sussurrato il suo nome, gli girai il volto con una mano, e assaporai nuovamente la sua bocca. Fui talmente audace che lo presi di sorpresa, ma anche abbastanza dolce da farlo crollare e unirsi a me a quel piacere. La sua lingua sapeva di vino dolce, e io volevo ubriacarmi delle sensazioni che mi stava donando.
Rimanemmo stretti l'uno a l'altra, mentre sentivo il cuore galoppare e il viso andare in fiamme.
Infine, il mio re si staccò e fissandomi negli occhi fece:
- Forse non è stata una buona idea... il goccio della buonanotte...-. Con le dita, accarezzai il suo volto, e allungando un sorriso risposi:
- Invece è stata un'ottima idea -. Non smettendo di guardarmi, affondò le dita tra i miei capelli, dandomi una piacevole sensazione.
- Ho desiderato questo momento dal primo giorno che ho capito...che mi piacevi da matti - mi rivelò. Quella confessione mi riempì di gioia.
- Se si tratta di quella sera, alla taverna di Marcel...allora siamo in due, Vostra Maestà - ammisi, mentre strofinai il naso con il suo.
Ridemmo all'unisono, e la fioca luce delle candele stava diventando sempre più debole.
- Sai, Febo stasera mi ha detto una cosa in privato - mi annunciò, con una nota seria nella voce. Capì a quale momento si riferiva.
- Mi ha detto: ti conviene farti avanti, altrimenti altri baldi zingari ci proveranno, e te la porteranno via -. Risi divertita, ma al tempo stesso arrossì. Dovevo ringraziare quel soldato con l'armatura dorata. Lo avrei  chiamato affettuosamente Febo Cupido, da quel momento. Non avevo mai sperato in un finale simile. L'amicizia con Clopin era diventata così unica e importante per me, che non mi ero resa conto che si fosse già trasformata in qualcosa di più. E lui provava lo stesso.
Con la felicità nel cuore, emisi un risolino che fece incuriosire il mio amato. Lo guardai e dissi:
- Che guaio! E adesso chi glielo dice? -. Clopin aggrottò la fronte e insospettito mi chiese:
- Di chi stai parlando? -. 
- Del povero petit Clopin. Glielo dici tu che il matrimonio con lui è saltato? - terminai, soffocando una risata. Lui rise dolcemente, e con un altro bacio, ci sdraiammo sui cuscini. 

Due cuori e una tenda. Bastava davvero poco per essere felici. E in quella tenda color porpora, nel cuore della Corte dei Miracoli, il re e la sua dama. Passarono l'intera notte abbracciati, dedicandosi carezze e baci, fino a quando non crollarono dal sonno. La luce sfumò sempre di più, le fiammelle si spensero una dopo l'altra, lasciando che una dolce oscurità si diffondesse per nascondere i due amanti, stretti nel loro abbraccio. 
 
Angolo dell'autrice:

Eccomi, gente. Questo capitolo è stato parecchio difficile da mettere su ( e credo che sia palese, dato che segna una svolta non indifferente ). Inizialmente avevo in mente che il primo bacio dovesse avvenire al piazzale, sotto un cielo stellato. Ma poi ripensandoci, ho capito che non era fattibile, e che era meglio creare tutto all'interno della Corte dei Miracoli. Comunque voglio specificare che qui, nonostante la scena, i nostri due giullari non si sono detti " Ti amo" che è una cosa del tutto diversa, da quello che loro stanno provando per il momento. C'è intesa, attrazione, ma è ancora presto nel dire che sia amore vero. Mi sembra giusto così. Comunque staremo a vedere. Fatemi sapere se questa scena era come ve la immaginavate e avevate pensato a un altro modo o situazione ^^
                                                                                                   

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Capitolo 8
*** Il valore della fede ***


                                                                                                                    
                                                                                              Il valore della fede 

Nel piazzale di Notre Dame si respirava uno strano cambiamento. Ma non si trattava del clima, in fin dei conti era ancora il mese di gennaio, e la primavera era lontana. Eppure, c'era qualcosa di insolito. Anche i cittadini di Parigi lo avevano notato.
Era passato qualche giorno dalla memorabile Festa dei Folli, e nonostante le bandierine e gli striscioni erano stati rimossi, compreso il palco, l'aria festosa e allegra era ancora viva. La verità è che la causa di quella sensazione era l'esuberanza e l'euforia del re del piazzale. Sembrava che per lui ogni giorno fosse una festa, e non perdeva tempo
nel rendere i suoi spettacolini più divertenti del solito. Cosa gli era successo? Era diventato completamente folle?

PV Clopin

Quanto era dolce e frizzante la vita! Incredibile come a volte i cambiamenti, per quanto io li avessi sempre odiati, potessero rendere tutto così colorato e meraviglioso. Ogni giorno mi svegliavo con l'ansia di arrivare subito al piazzale, scorgere il carretto, quello dall'altra parte della piazza, per poi sperare che le ore passassero in fretta. Intanto, preparavo i mie spettacoli e i miei piccoli spettatori erano più vivaci che mai. Cercavo di superare me stesso e di dare il meglio. Mai come in quei giorni ero così felice di essere il giullare della piazza di Notre Dame. Forse, perché avevo trovato un motivo in più per voler essere lì, e in nessun altro posto della Terra. Il mio spettacolo terminò, e con un sorriso smagliante ringraziai il mio piccolo pubblico. 
Com'erano squillanti quelle vocine, come se fosse stata la prima volta che le udivo. Mentre i piccoli si allontanavano, sentì uno sbattere di mani, lento ma deciso.
- Ma bravo! Bravo! - fece il capitano delle guardie, con un sorriso divertito e soddisfatto.
Febo si avvicinò al davanzale del teatrino, e lo guardai con sospetto. Chissà cosa voleva?
Che sia chiaro. Io non avevo niente contro mio cognato. Lo ammiravo e rispettavo, specialmente per come trattava mia sorella.
Qualche volta ci punzecchiavamo, ma era diventata un'abitudine ormai. Ma a volte le sue battute sapevano irritarmi un po’. Appena mi fu davanti, decisi di rilassarmi. In fondo, ero troppo di buon umore per iniziare un battibecco con lui. 
- Ma salve, signor capitano! Come mai da queste parti? - chiesi, con il tono più gentile possibile.
Lui si tolse l'elmo, e lasciò che il vento scompigliasse la sua bella chioma bionda. Dovevo ammettere che nonostante tutto, Febo era anche un bell'uomo. Ero abbastanza onesto da ammettere certe cose, ma nel pensiero.
- Sto facendo un giro di perlustrazione. Di recente abbiamo avuto alcune lagne da parte degli abitanti. Alcuni incendi sono stati appiccati in giro per le campagne, fuori le porte di Parigi - mi informò Febo.
In effetti, anche io avevo udito alcune voci su quella questione. 
- Forse sono i soliti vandali, o semplicemente piccole vendette tra famiglie nemiche. Spesso succede quando c'è di mezzo qualche terreno da spartire - dissi la mia. Ma il capitano, scosse il capo.
- Non credo. Giusto stamane abbiamo raccolto un'altra denuncia. Questa volta la vittima è un cittadino di Parigi. Nel suo negozio di strumenti musicali è scoppiato un lieve incendio. Abbiamo la certezza che ci sia un collegamento. Solo che non ci sono tracce da seguire - terminò lui.
Mi strinsi tra le braccia. Che situazione bizzarra! In effetti Febo aveva ragione. Cominciai a sospettare che questi non erano semplici vandali. Doveva trattarsi di un gruppo di criminali che volevano divertirsi a seminare il caos. Ma per quale motivo?
- Stai molto attento, Clopin - mi consigliò Febo - Finché non capiremo chi sono questa gentaglia, non abbassare la guardia -. 
Erano in quei momenti che avevo la conferma del valore di quell'uomo vestito di latta dorata. Febo era davvero una persona di cui potersi fidare. Feci un cenno col capo, per ringraziarlo.
- Grazie, Febo. E sappi che potrai contare su di me e sui miei uomini - dissi alla fine.
Anche se non era affare mio, sentivo che dovevo dare il mio contributo, se ce ne sarebbe stato bisogno.
Febo mi sorrise e si portò la mano al petto ed esclamò:
- Agli ordini, Vostra Maestà! -. Era sempre il solito. A volte avevo dei dubbi; doveva provare a fare lui il buffone al mio posto, avrebbe di certo guadagnato più di me. Ma a quelle parole, "Vostra Maestà", mi tornò in mente solo Lei. Avrei voluto fissare la nuova regola, che soltanto  Roxanne dovesse avere il permesso di chiamarmi in quel modo. In quel momento, ripensando a quella notte, di qualche giorno fa, mi sentì sciogliere come neve al sole. Probabilmente avevo sospirato rumorosamente, e il soldato mi fissò con aria sorpresa.
- Ehi, Clopin, ti senti male? - fece lui, passando una mano sul mio sguardo perso nel vuoto. Ero ancora come intontito, ma mi risvegliai del tutto appena sentì una voce in lontananza chiamarmi. Era lei. Non so cosa mi prese all'improvviso.
Scattai subito dal davanzale e i miei occhi erano rivolti solo alla persona che si stava avvicinando. Febo si accorse di quel repentino cambiamento, e con una faccia di uno che aveva capito tutto, mi punzecchiò con il gomito.
- Aaah, adesso mi è tutto chiaro!- bisbigliò al mio orecchio e mi pietrificai.
Mentre lo guardavo come un bambino smarrito, lui nascondeva un risolino con una mano. Roxanne ci raggiunse e diede il buongiorno a tutte e due. Era sempre bellissima, con quel suo costume nero e rosso, dalla fantasia a rombi e la mantella con i campanelli.
- Bon jour, Febo, sono felice di vederti - disse lei, donando un solare sorriso al capitano.
Lui si ricompose, e con galanteria si inchinò a lei:
- E' un piacere anche per me, Roxanne. Ma ora devo proprio andare, devo fare gli ultimi giri di ronda - disse.
Ecco bravo, vattene, lasciaci soli!
- Capisco. Salutami Esme, e dai un bacio al piccolo Zephyr da parte mia - canticchiò lei.
Lui annuì e si rimise l'elmo sul capo. Stavo tirando un sospiro di sollievo quando, con la scusa di salutarmi calorosamente, mi sussurrò piano:
- Mi raccomando, eh...non fate troppo i piccioncini! -.
Grrr, maledetto! Avrei voluto strozzarlo con solo l'aiuto dei miei nastri colorati.
Il capitano se ne andò, raggiungendo a pochi passi il suo cavallo bianco di nome Achille. Certo che fantasia! Febo, Achille...
Nella famiglia di mio cognato doveva esistere qualche strana passione per la mitologia greca. Una prova concreta era stata la scelta del nome Zephyr per il mio nipotino.
- Ho per caso interrotto qualcosa? - mi chiese Roxanne, facendomi tornare alla realtà.
La guardai stranito, ma poi subito la rassicurai:
- Figurati! Sai com'è Febo, ha sempre voglia di prendersi gioco di me -. Lei annuì, e subito tornò ad essere serena.
Mi raccontò dello spettacolo che aveva fatto poco fa. Era evidente che era felice e soddisfatta. Ascoltai e mi unì alle sue grida di gioia. Roxanne si era esibita senza nascondersi e alla luce del giorno. Ormai, era confermato che fosse riuscita a mostrarsi completamente, senza avere alcuna paura.
- Dovevi vederli, Clopin, erano tutti entusiasti. All'inizio sono stati i bambini i primi ad accettarmi, ma era inevitabile. I bambini non hanno pregiudizi. Poi, alla fine, anche gli adulti si sono avvicinati, e mi hanno fatto vari complimenti -.
Non potevo che essere tanto felice per lei. Stava realizzando il suo più grande sogno, e non solo per lei, ma anche per suo padre.
- Uff, avrei tanto voluto esserci per assistere a tutta la scena - dissi io, un po’ dispiaciuto.
I suoi occhi, verdi con le pagliuzze dorate, si addolcirono. Mi prese le mani fra le sue e disse:
- Ma tu c'eri. Eri qui...e qui -. Portò una mano prima sul lato del capo, e poi sul petto.
Un calore improvviso mi scaldò il cuore, come una potente fornace carica di legname. 
- Oh, cherì...- sussurrai, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.
Il suo sguardo vagò per un secondo intorno, come se volesse controllare lo spazio circostante. Mi stavo chiedendo cosa stesse guardando, quando si alzò sulle punte e le sue labbra riuscirono ad arrivare alle mie. 
Fu un bacio fulmineo. Era stato così veloce che non me ne ero neanche accorto. Rimasi con gli occhi spalancati, mentre sulle gote di Roxanne si  stava estendendo un lieve rossore. Anche io sentivo il viso così caldo.
Quella ragazza non smetteva mai di cogliermi di sorpresa.
- Suvvia, non fare quella faccia - disse a bassa voce.
Con le dita solleticò il mio pizzetto. Lo faceva spesso nei nostri momenti di dolcezza. Ero sicuro che le piacesse tanto.
- Non ti è piaciuto? - mi chiese, risollevandosi sulle punte per sussurrarmi quelle parole.
Un brivido di piacere mi percorse lungo la schiena.
- Certo che sì... ma è stato troppo veloce...- le risposi con un risolino, avvicinandomi di molto al suo viso.
Avrei voluto ricambiarla, e afferrando la sua mano gliela bacia, come solo un vero gentiluomo poteva fare nei confronti di una dama. In quei giorni, dopo averci rivelato quanto fossimo presi l'uno dall'altra, avevamo deciso di non dire ancora nulla agli altri, né di rendere la nostra relazione qualcosa di ufficiale. Eravamo ancora agli inizi, e sinceramente era una cosa nostra, solo nostra e che quindi doveva rimanere tale, fino a che non saremo stati pronti.
Anche se ero il giullare della piazza, quando si trattava della mia vita privata, ero molto riservato e non mi piaceva andare in giro a parlare dei miei affari personali. Perfino con Esmeralda ero sempre stato attento a non confidarle tutte le mie storie passate, con tante donne diverse. Non perché me ne vergognassi, ma solo perché ero fatto così. Amavo la mia riservatezza, dove nessuno doveva metterci il naso. Inoltre, e non so come spiegarlo, ma ciò che stava accadendo con Roxanne era qualcosa di diverso e di cui ero particolarmente geloso. Lei...era diversa da tutte le altre donne con cui ero stato.
Rimanemmo per qualche altro minuto lì, a parlarci della mattinata trascorsa, fino a quando non udimmo le campane di Notre Dame. Ora di pranzo.
- Ho una fame da lupi! - annunciò lei, massaggiandosi l'addome con le mani.
In effetti, anche io sentivo lo stomaco brontolare. Con il suono delle campane che si estendeva in tutto il piazzale, ebbi un'idea. 
- Che ne dici di andare a trovare Quasimodo? - le chiesi.
Lei fu subito contenta dell'iniziativa, e mi affrettai a prendere il sacchetto di monete, e a uscire dal carretto.
Le proposi di andare prima a comprare della frutta, così avremo potuto pranzare con lui.
- Che fantastica idea! Sono sicura che a Quasi farà molto piacere - disse lei, colma di gioia.
E così, non perdemmo tempo. Ovviamente non ci cambiammo d'abito, dato che saremo tornati a lavorare nel pomeriggio. Andammo da una buona donna che vendeva sulla sua bancarella della frutta fresca. Mele e arance. 
Dopo di che entrammo nella cattedrale. Roxanne rimase colpita dalla bellezza delle vetrate, con i fasci solari che attraverso il vetro creava giochi di luce colorata, che danzavano sul pavimento in marmo. Osservando con lei quei spettacolari riflessi di luce, mi ricordai un dettaglio particolare che riguardava il suo scialle che portava sopra alla gonna. I cammei dorati erano impreziositi da piccoli ritratti dai mille colori, che davano proprio l'idea di piccole vetrate. Molto probabilmente, anche quei monili dovevano far parte dell'eredità dei suoi genitori. Salimmo su per una scala a chiocciola che portavano ai piani alti del campanile. Appena arrivammo a delle scalette di legno, lanciai una voce per avvisare della nostra presenza:
- Quasimodo, mon ami. Siamo noi! -. Mentre aiutavo Roxanne a salire e a portare il cesto pieno di frutta, riuscì a udire dei passi. Appena Quasi ci vide ci salutò, colmo di sorpresa e vitalità:
- Clopin! Roxanne! Che bello rivedervi -. La giullare corse verso il campanaro e lo abbracciò, come se non si vedessero da tanti anni. Ero contento di vedere come la mia dolce amata si fosse già affezionata ai miei amici, soprattutto nei confronti di Quasimodo. Meno male che non ero un tipo geloso. Forse.
Una volta spiegata la natura della nostra visita, e mostratogli il bel pranzetto, lui fu davvero contento di preparare la tavola.
Era un tavolino piccolo per tre persone, ma andava comunque bene. Inoltre, il nostro amico, per non essere da meno, ci offrì dei pasticcini al miele, comprati stesso quella mattina. Come al solito, la violinista si riempì le guance con quelle delizie, e sia io che Quasi non riuscimmo a trattenere le risate. Era così buffa, ma anche tanto dolce. Durante il pranzo, Roxanne raccontò a Quasi del successo del suo spettacolo. Lui ne fu davvero felice, e le promise che un giorno sarebbe andato a vederla. Ci raccontammo praticamente delle nostre giornate di lavoro, e fra una chiacchiera e l'altra, ci trovammo con gli stomaci pieni. Mentre noi maschietti ci rilassavamo, Roxanne non riusciva a stare ferma, e andando avanti e indietro, esaminava ogni spazio e arco di quella 
stanza. Sembrava una bimbetta curiosa che perlustrava una casetta fatta di dolci. Poi, la sua attenzione fu catturata dal banco di lavoro, con il davanzale che affacciava sul panorama del piazzale. Lì sopra, c'era una miniatura della piazza stessa. 
- Che bella questa miniatura di Notre Dame! Ha perfino le vetrate colorate! - disse, con occhi colmi di meraviglia.
Quasimodo sorrise compiaciuto.
- E anche tutte queste statuine. Questa è la signora con la bancarella dove abbiamo comprato la frutta! Sono davvero magnifiche! - 
- Eh sì, Quasi, oltre ad essere il campanaro della cattedrale, è un abile scultore. Infatti ha una clientela tutta sua -
affermai, dando una leggera pacca sulla gobba del mio amico. Qualche tempo fa, quel gesto gli avrebbe dato fastidio, ma da quando eravamo amici lo prendeva come segno di affetto.
- Clopin, vieni a vedere, ci sei anche tu! Con il tuo teatrino! - mi avvisò, saltellando dall'eccitazione.
Io e Quasi ci alzammo dai nostri posti e la raggiungemmo. In effetti, un me in miniatura era in un angolo del piazzale. Riconobbi quella statuina. La stessa che poco tempo dopo aver stretto amicizia, il campanaro aveva intagliato apposta per me. Ma concordando con il mio amico, decisi di lasciarla lì, in mezzo alle altre statuine. Era il suo posto.  
Inoltre, il piazzale in miniatura aveva bisogno del suo re dei giullari. In quel momento, Quasi scattò via, come se si fosse ricordato di una cosa importante. Con aria interrogativa, lo vedemmo tornare di corsa. Aveva tra le mani una nuova statuina.
- Ti avevo promesso che l'avrei terminata, ed eccola. Proprio adesso la pittura si è asciugata - disse lui, riprendendo fiato.
Quasi aprì le sue grosse mani e ci mostrò la statuina che tempo fa aveva iniziato. E pensare che allora aveva una forma irregolare. Ma adesso era ben definita, con dettagli e colori curati. Una Roxanne in miniatura. Aveva perfino il suo violino personale. Era perfetta, come l'originale del resto. Roxanne emise un sussulto, appena la vide. I suoi occhioni dietro la mascherina si spalancarono, e portò le mani giunte alle labbra. 
- Quasimodo, ma è bellissima! - disse, con la voce colma di emozione.
Mentre osservavamo quella piccola opera d'arte, Quasi disse:
- Se vuoi, puoi portartela via, per me non ci sono problemi. Mi fa già piacere sapere che hai gradito -.
Praticamente, così come aveva fatto con me, Quasi voleva suggellare la loro amicizia con quel dono speciale. Solo una persona come lui, così sensibile, era capace di simili gesti genuini e profondi. 
Roxanne lo guardò, un po’ indecisa sul da farsi. Poi i suoi occhi tornarono a posarsi su quel piazzale in miniatura. Alla fine, prese la sua decisione.
- Credo invece, che il suo posto sia proprio qui, nella piazza di Notre Dame - disse, e posizionò la statuina sul tavolo, esattamente vicino alla mia.
- Ecco! Così il Clopin in miniatura non si sentirà più solo, e la Roxanne in miniatura ha trovato il suo posto a Parigi - terminò, mentre continuava a fissare quella coppietta fatta in legno e vernice. Quando poi si voltò verso di me, rimanemmo a fissarci per qualche secondo, e sentì il cuore battermi forte. Per quanto quelle parole fossero strane, io le compresi bene. Quanto erano vere! Avvertì solo troppo tardi lo sguardo indagatore di Quasimodo, che trovandosi in mezzo a noi, spostava gli occhi da me a Roxanne, più di una volta.
- Coof! - tossì Quasi, anche se si notava che era una finta.
Guardandolo mi accorsi di quanto lui avesse visto e quanto magari avesse compreso.
Anche se un po’ ingenuo, il campanaro non era stupido e molte cose le percepiva meglio di chiunque altro.
Con un sorriso imbarazzato, lui accolse la scelta di Roxanne. Avrebbe vegliato lui sulla statuina, e avrebbe fatto in modo che i due giullari della piazza fossero sempre insieme.
- Sarebbe un vero peccato se venissero separati...- aggiunse, e mi lanciò un'occhiata di intesa.
Oh, ora ci si metteva anche lui! Dopo averlo salutato (ormai si era fatta ora di tornare sui nostri passi), e avergli promesso che saremo tornati nuovamente a pranzare con lui, scendemmo le scalinate che portavano al piano di sotto. Prima di varcare la soglia, Roxanne mi prese la mano.
- Voglio fare una piccola preghiera alla Vergine Maria. Puoi accompagnarmi? - mi chiese, con voce bassa.
Rimasi un attimo senza parole. Roxanne era credente?
Non che ci fosse qualcosa di male, conoscevo alcuni zingari che credevano in Dio e a volte pregavano. Sarà che fino a quel momento non avevo mai pensato a quel dettaglio, e lei non me ne aveva mai parlato. Io le risposi gentilmente di sì, e lei si avviò con me a un lato della chiesa, dove c'era la bellissima statua della Madonna. Appena ci trovammo davanti al suo cospetto, la mia amica si inginocchiò, e giunse le mani in segno di preghiera. Forse per solidarietà, feci lo stesso, ma non pregai.
Rimasi semplicemente a contemplare in silenzio il viso dolce e amorevole della statua. Sono sincero; non ero credente.
A dire il vero, non lo ero mai stato nella mia vita. In quel momento, mi chiedevo cosa avrebbe pensato lei se le avessi confessato che non ero un uomo di fede. Il modo in cui pregava mi faceva sentire in difetto. Chissà cosa stava chiedendo?
      
PV Roxanne

" Grazie, Madre Maria, per tutto quello che hai fatto per me. Benedici tutti i miei cari, e proteggi chi ne ha più bisogno. E... " 
Con la coda dell'occhio, guardai verso il mio re, che non curante, stava osservando la statua marmorea. Feci un mezzo sorriso, beandomi dei pensieri che erano rivolti solo a lui. Volevo ringraziare la Madonna per avermi portato sul cammino Clopin, perché solo il disegno divino, così benevolo, poteva avermi mandato tale dono.
Ma terminai la preghiera con un semplice " Amen ". Ero comunque sicura che sia Dio che la Vergine conoscevano ciò che avevo nel cuore. Feci il segno della croce, e mi alzai. Clopin mi seguì a ruota, e insieme uscimmo dalla chiesa. Quel giorno il tempo era stato soleggiato, ma dopo pranzo si erano formate delle nuvole vaporose, che impedivano al sole di splendere come al solito. Non vedevo l'ora che arrivasse la primavera. Anche se la mia stagione preferita rimaneva sempre l'autunno. Con quei bei mulinelli d'aria che trascinavano le foglie rosse e gialle. Mi accorsi che il mio amico giullare era silenzioso. 
- Temi che Quasimodo si sia accorto di qualcosa? - gli chiesi a bassa voce, per non farmi sentire da orecchie indiscrete.
Lui mi guardò spiazzato. Ma poi scosse la testa:
- No, no...cioè. Beh sì, penso proprio che se ne sia accorto - confessò, con un'espressione di resa, ma comunque rilassata.
Che quella situazione lo preoccupasse?
Avevo capito che Clopin voleva che le cose tra noi andassero con calma, e per me era lo stesso. Ma... 
- Ti dà molto fastidio se le persone ci vedono in situazioni particolari? - volli sapere.
Lui come risposta, mi prese per un braccio e mi trascinò nel mezzo del piazzale, fino a chiudersi con me nel suo carretto.
Era arrabbiato con me? Avevo detto qualcosa di sbagliato?...
Ero sul punto di fare domande, ma lui, dopo aver chiuso il carretto a chiave, mi prese tra le braccia, e mi guidò sul divanetto. Arrossì immediatamente.
- Ascoltami bene, cherì...- mi sussurrò, avvertendo il suo fiato sul collo - Non mi importa assolutamente nulla di cosa la gente possa dire o pensare di noi -.
Lui mi strinse ancora più forte, e io feci lo stesso, beandomi di quell'abbraccio e di quella voce. Poi, i nostri sguardi si incontrarono. Il giullare si tolse la maschera e fece scivolare via anche la mia, come a voler legare le nostre anime con quel contatto. Mi baciò con passione e io ricambia, avvertendo un gran calore al basso ventre. Avrei voluto che il tempo si fermasse, e che quel momento durasse per sempre. Lui si staccò da me e guardandomi, con occhi ancora languidi, mi disse sulle labbra:
- Sono troppo geloso della nostra storia per mostrarla agli altri. Tutto ciò che abbiamo e facciamo, è solo nostro -. 
Nostro. Quella parola mi fece accelerare il battito del cuore. Anche se non eravamo ancora una coppia ufficiale, sentirmi dire quelle cose mi fece sperare in qualcosa di più, in futuro. Mi passò una mano tra i capelli. Una piacevole sensazione si impadronì di me, e desideravo di essere nuovamente baciata. Lui se ne accorse, perché subito mi accontentò, dischiudendo le labbra e lasciando che la mia lingua prendesse il controllo nella sua bocca. Ero ancora inesperta, (non avevo avuto molti ragazzi nella mia vita) ma lui mi lasciava libera di sperimentare, e questo mi fece eccitare.
Senza rendermene conto, per la troppa passione, mi ritrovai sopra di lui a cavalcioni (come accadde quella volta al ruscello). Ma quando capì di quanto ci stavamo spingendo oltre, mi staccai da lui, riprendendo fiato. Sentivo le guance andare in fiamme, e uno strano formicolio mi tormentava nelle viscere. Era tutto troppo nuovo per me. 
- Clopin...- sussurrai il suo nome, mentre lui, disteso sul divano, ansimante e con gli occhi colmi di una strana luce, stava aspettando la mia prossima mossa. Ero troppo imbarazzata per andare avanti. Era ancora troppo presto. Per quanto una parte di me desiderasse essere toccata, baciata, e scoperta nella profonda intimità, il mio buon senso mi frenò.
Allora, una sola cosa, la più stupida che mi venne da dire in quel momento, fu:
- ...Hai bevuto della birra, vero?...-. Mon, Diè, ma come mi era venuto in mente?!
Mi tappai la bocca con le mani, mentre lui mi fissò perplesso.
Ci fu un attimo di silenzio, ma lui scoppio a ridere, rompendo quell'atmosfera di disagio.
Lui si alzò sui gomiti, mi accarezzò una guancia e disse-
- Oh, cherì, sei una fonte inesauribile di sorprese! -.
Rimasi un attimo interdetta, ma lui mi abbracciò teneramente, per poi darmi un bacio sulla fronte:
- Ma attenta, un giorno di questi mi farai diventare pazzo - mi avvisò dolcemente, poggiando la fronte sulla mia.
Era così tenero. Che avesse capito tutto?
Se fosse stato un altro uomo, vile e meschino, vedendomi così vulnerabile in tale situazione, di certo mi avrebbe strappato i vestiti e avrebbe fatto di me ciò che voleva, che io fossi d’accordo o no. E se mi sarei ribellata, mi avrebbe incolpata, perché ero stata io a provocarlo. Ma lui, il mio re dei giullari, era troppo un signore per potermi fare una cosa del genere.
Un rispetto sconfinato, un cuore così nobile, nelle vesti umili di un buffone di piazza.
Rimanemmo ancora un po’ abbracciati, concedendoci sguardi ammalianti e dolci carezze. Feci scivolare le dita sul pizzetto ben curato, indugiando sui dettagli definiti dalla rasatura. Ormai era un mio modo per coccolarlo. 
- Ho di nuovo delle briciole sul mento? - mi chiese lui, con tono dolce e ironico.
Ridendo, ripensai alla prima volta, quando aveva affondato letteralmente la faccia nella torta di mele.
Fu un momento così divertente e tenero. Lui, intanto non faceva altro che tenermi tra le braccia, contemplando il mio viso. 
- Cosa hai chiesto alla Vergine Maria, se posso sapere? -. Non mi aspettavo che me l'avrebbe chiesto. Ma ero comunque contenta che si fosse interessato. 
- Ho ringraziato Maria per tutte le cose belle che mi sono successe in questo periodo - dissi, mentre con una mano gli sfioravo la pelle del viso - e delle tante persone meravigliose che mi ha fatto incontrare -. Lo sguardo del mio amato re si addolcì, capendo a chi esattamente mi riferivo.
- E tu, cosa hai chiesto? - gli rigirai la domanda. Ero così curiosa di saperlo.
In un istante la sua dolcezza negli occhi svanì. Mi sembrò turbato.
- A dire il vero...niente - fu la sua risposta secca.
Corrugai la fronte, incredula. Mi guardò indeciso sul da farsi, ma poi mi spiegò:
- Vedi, io...non sono credente. Sono ateo -. Si morse le labbra, mentre non riusciva a mantenere lo sguardo sul mio.
Dato che ero rimasta zitta lui aggiunse:
- Sei delusa?...-. Feci sbattere le palpebre. 
- No, affatto. Sono un po’ sorpresa. Davo per scontato che anche tu fossi credente. Dato che hai partecipato con me alle preghiere -.
- Più che partecipare, ti ho solo fatto compagnia. Mi sembrava il minimo - mi spiegò, ancora un po’ timoroso da una mia possibile reazione negativa.
Io annuì, ma nella mia testa c'era ancora qualcosa che non riusciva ad accettare tale verità. Clopin non credeva in Dio. 
- In cosa credi allora? - gli chiesi, in maniera spontanea.
Lui finalmente mi guardò negli occhi, con una certa determinazione.
- Nella ragione. Nella forza che l'uomo ha per far suo il destino e gli eventi. Non centrano niente gli angeli o i demoni, in questo mondo, cherì - affermò.
Rimasi a riflettere su quella risposta, che in essa in effetti c'era del vero. Ma la mia fede era molto forte e volevo dimostrarglielo.
- Forse hai ragione. Ma sai, a volte la fede può aiutarti ad andare avanti. Specialmente nei momenti bui - dissi, accarezzandogli una guancia.
Lui afferrò la mia mano, e senza distaccare gli occhi color carbone dai miei, mi rispose:
- Forse. Ma, mon cher, il mondo è pieno di crudeltà perché io possa credere che ci sia un Dio misericordioso. Non credo in una giustizia ultraterrena. Credo nella giustizia umana, concreta, reale. Una giustizia che solo noi uomini possiamo attuare. Nient'altro -. 
Appena terminò, la mia mente fu invasa da tanti pensieri. Clopin doveva aver avuto una vita molto difficile. Non mi dava fastidio che lui non fosse credente, ma mi dispiaceva sentire quelle cose, che mi facevano pensare a un'esistenza segnata da dolori e pene orribili. In fondo, non conoscevo quasi nulla del suo passato. A quel punto avrei tanto voluto chiedergli qualcosa a riguardo. Ma non ne ebbi il tempo. Le campane suonarono le 15, e dovevamo tornare subito a lavoro, tutte e due.
Mi baciò dolcemente una guancia e mi aiutò ad alzarmi.
- Sù, cherì, si sta facendo tardi. Si torna a lavoro - mi disse, e dopo aver recuperato la sua mascherina, mi porse la mia.
Avremo avuto modo di parlare nuovamente, pensai. Mi accompagnò al mio teatrino e dopo esserci salutati, mi preparai per lo spettacolo imminente. Il tempo volò in un istante, e non mi accorsi che era già pieno pomeriggio. Riflettei sulla condizione di Clopin, sulla sua mancanza di fede e del suo presunto difficile passato. In fin dei conti, ero anche io una gitana, ed ero pienamente consapevole di quale esistenza conducessero persone come noi. Vero, il mondo poteva essere un luogo pieno di crudeltà, non potevo negarlo. Ma proprio per questo avevo scelto di affidarmi a Dio. Mio padre mi aveva
insegnato ad avere fede e pregava con me ogni giorno. E anche dopo la sua dipartita non ho mai smesso di cercare il Signore tramite la preghiera. Quando terminai lo spettacolo, raccolsi le monete sul davanzale in fretta e furia, perché volevo prepararmi per uscire e andare dall'altra parte della piazza. Mi ero da poco tolta la maschera, che sentì bussare alla porta, sul retro del carretto. Incuriosita, andai ad aprire e trovai Clopin sull'uscio. Notai che si era cambiato, e indossava i suoi soliti abiti da gitano: una casacca violacea che si abbinava al cappello, e al posto della mantella coi campanelli ce n'era una più cupa e logora.
- Bonsoir, collega - disse lui, entrando e prendendomi in braccio.
Mi fece volteggiare, e colta di sorpresa emisi un gridolino divertito:
- Clopin, mettimi giù! - gli dissi, ma lui mi sembrava troppo felice.
Dopo essersi calmato, mi rubò un bacio sulle labbra e con un sorriso esclamò:
- Sei stata bravissima, cherì! Ti ho vista mentre facevi lo spettacolo. Dovevo assolutamente vederti all'opera - mi spiegò.
A quelle parole, arrossì e allora lo abbracciai contenta. Ecco il motivo per cui mi aveva conquistata.
Era sempre pronto a farmi sentire speciale e mi incoraggiava in ciò che mi impegnavo.
- Davvero ti sono piaciuta? - gli chiesi, mentre roteavo con lui in un girotondo.
Lui annuì, poi con una mano libera, la portò a un lato della mia testa, e come per magia, fece comparire una rosa rossa.
Aveva quel colore che adoravo tanto, e che si avvicinava al velluto cremisi. 
- Per la regina del piazzale - mi disse, porgendomela.
Grazie a quel gesto così romantico, tutti i miei dispiaceri e dubbi di poco fa stavano sfumando. Non volevo rovinare quel momento facendo il terzo grado al mio giullare, quindi pensai che fosse meglio rimandare le domande personali. Clopin mi propose di andare a trovare Esmeralda, e subito accettai. Era la giornata delle visite, pensai. Dopo avermi lasciata sola nel carretto per potermi cambiare, uscì e lui mi offrì il braccio, come al solito. Il tempo stava man mano peggiorando, e fui certa che ben presto sarebbe caduta la pioggia.
- Magari, più tardi potremo andare alla taverna di Marcel. Ci manchiamo da parecchio - proposi. 
- Ottima idea! - rispose lui. Avevo una gran voglia di un goccetto di Sherry, e questa volta Clopin mi avrebbe fatto compagnia. 
Dopo esserci allontanati dal piazzale, curvammo in un vicoletto, e una volta passato, ci trovammo in un altro viale, non tanto spazioso ma comunque pieno di gente. La tenda di Esmeralda doveva trovarsi da quelle parti. La stessa tenda rossa dove mi trovai a passare per caso, qualche giorno prima della festa dei folli. Quando la conobbi per la prima volta e le proposi di sostituirla. E pensare, che in quella circostanza, non sapevo ancora che fosse la sorella del mio rivale. In lontananza udimmo il suono di un tamburello e lo sbattere di zoccoli sulla pietra. Proprio lì, vicino alla grande tenda rossa, c'era Esmeralda che danzava accompagnata dalla sua capretta Djali. Era così armoniosa e sensuale nei
movimenti, e molti passanti non potevano che fermarsi per ammirarla anche solo per un attimo. Dopo un po’ la musica si fermò, e gli spettatori applaudirono e lanciarono qualche moneta ai piedi della bella gitana. Io e Clopin ci unimmo a quelle ovazioni, per poi avvicinarci.
- La mia cara sorella non ha perso il ritmo. Sempre impeccabile - disse lui, quando ci trovammo davanti a lei.
Esmeralda ci accolse con un sorriso, mentre Djali mi venne vicino, belando e accoccolando la testa sulle mie gambe.
Da quando le avevo offerto delle erbe, la prima volta che entrai nella tenda, era diventata praticamente la mia ombra.
Era troppo carina e affettuosa.
- A quanto pare qualcuno vuole diventare il tuo animaletto preferito - ridacchiò Esme, mentre ero alle prese con Djali che desiderava essere presa in braccio.
Ci accomodammo tutti nella tenda, ed Esme ci offrì un buon infuso agli agrumi. A un lato, poco distante da noi, c'era il piccolo Zephyr che dormiva beato. Con quei riccioli dorati, sembrava proprio un angioletto. Dopo qualche chiacchierata sulle solite novità dei nostri spettacoli, a un certo punto Esme mi diede un'occhiata d'intesa. Poi prese una moneta d'argento che aveva guadagnato quel giorno e si rivolse a Clopin.
- Fratellone, potresti farmi un favore? Andresti dal droghiere e comprare del miele? - disse, lanciando la moneta verso di lui.
Afferrandola al volo, Clopin mi sembrò contrariato:
- Ma sta parecchio lontano da qui. Ti serve in maniera così ungente? - le chiese, quasi piagnucolando. Esme mise le mani sui fianchi, come gesto di rimprovero. Lui sospirò, arrendendosi all'idea di dover ubbidire. Mai far arrabbiare una donna, specialmente una sorella, mio caro. Così, dopo avermi assicurato che avrebbe fatto presto, partì come il vento e uscì dalla tenda. Ridacchiai vedendolo in quella situazione, ma quando tornai a guardare Esmeralda, subito smisi.
Mi stava fissando con sguardo profondo. Quei occhioni verde smeraldo, così intensi, mi misero un po’ in soggezione. 
- Ora che ci siamo liberate di lui, possiamo parlare tranquille - cominciò lei.
Non so il perché ma mi sentivo nervosa. Ma lei sorrise e poi chiese:
- Allora, che sta succedendo fra te e mio fratello? -.
Mon Diè! Esiste almeno una sola persona in questa città che non abbia già capito tutto?
E noi due, i giullari scemi, che volevano cercare di tenerlo in riserbo il più possibile! Complimenti a noi!
Ero sicura di avere la faccia paonazza.
Come risposta emisi solo qualche " Eh" " Ecco " " Noi ".
Esme rise, poi mi prese la mano tra le sue e con affetto cercò di tranquillizzarmi:
- Non preoccuparti, Roxanne, sarà il nostro segreto. Nessuno saprà di questa conversazione tra donne -.
A quelle parole, che solo una sorella o una mamma potevano dirti, mi rilassai. Si trattava comunque di Esme, la sorella dell'uomo che mi piaceva. Inoltre avevo bisogno di parlarne con qualcuno, e di avere supporto e consigli.
Potevo fidarmi solo di lei, dato che non avevo stretto altre amicizie così forti.
- Beh...posso solo dirti, che tuo fratello mi ha conquistata - cominciai - e solo con lui mi sento così a mio agio. Ma mi chiedo se per lui sia la stessa cosa o solo un fuoco di paglia - terminai.
Nonostante il re del piazzale mi avesse provato quanto io fossi speciale per lui, sentivo il bisogno di avere una conferma
in più, magari da chi lo conosceva da molto tempo. Esmeralda sorrise, e i suoi occhi si intenerirono a quel mio dubbio.
- Se temi che Clopin sia così superficiale, beh posso comprenderti. In fondo, lui ha avuto molte storie e di donne non gli sono mai mancate - mi informò.
Avvertì uno strano senso allo stomaco, una sensazione di disagio, come se avessi ricevuto una brutta notizia.
Clopin era un donnaiolo?!
- Però tranquilla. Ho visto come ti guarda, e non solo io l'ho notato. Anche poco fa, quando ti ha promesso che sarebbe tornato subito. Vedo in lui un cambiamento che non ho mai visto in passato. Da quando ci sei tu sprizza energia positiva da tutti i pori - mi disse. Rimasi impietrita a quelle parole.
- Tu gli piaci tantissimo, mon ami - aggiunse poi - tanto che ti ha permesso di dividere il suo "regno" con te.
Devi avergli fatto un incantesimo, mia cara - rise, mentre io sentivo il cuore accelerare di botto.
Poi, per la troppa felicità, afferrai le mani della mia amica e ridemmo insieme, condividendo quell'attimo di gioia.
Ma quel momento durò poco, perché sentimmo un grido in lontananza. Altre grida, e lamenti disperati. Poi, la tenda si scosse, e  riapparve Clopin. Aveva il viso paonazzo e sudato, come se avesse percorso tutta la strada di corsa.
Io ed Esmeralda ci preoccupammo moltissimo mentre lo vedevamo riprendere fiato.
- Cosa è successo, Clopin? - chiese sua sorella.
Prima di risponderle, lui si fiondò all'interno, prese un secchio vuoto e solo allora rispose:
- La taverna di Marcel...sta andando a fuoco! -.

Molte braccia e molti secchi furono mossi per cercare di salvare quel poco che rimaneva intatto. Le fiamme divorarono quasi tutto, ma meno male che nessuno rimase ferito. Clopin e gli altri fecero di tutto ma ormai della cara taverna, un luogo così accogliente e amichevole, ne era rimasta solo legname bruciato e vetro sbriciolato. Marcel era distrutto. Quello non era solo il suo lavoro ma anche la sua casa. Mentre il fumo si alzava da quelle rovine carbonizzate, copiose gocce di pioggia scesero dal cielo grigiastro. Roxanne, che era arrivata per ultima sul luogo, con occhi addolorati rimase a guardare quello spettacolo drammatico. Intanto, Febo stava spiegando qualcosa di incomprensibile alle orecchie di Clopin. Non era stato un incidente, qualcuno aveva appiccato il fuoco di sua volontà. Sporco di fumo e bagnato fradicio, il giullare, notando la presenza della sua amica, così turbata, si avvicinò a lei. Senza dirsi nulla, i due si abbracciarono, non curandosi degli sguardi altrui. - Nel mondo c'è davvero troppa crudeltà... - bisbigliava il re degli zingari, mentre diede un ultimo sguardo alle macerie. 

Nello stesso istante, Roxanne avvertì una fitta al cuore. Mai nella sua vita, la sua fede era stata messa così tanto a dura prova.
 
Angolo dell'autrice:
Eccomi! Anche con questo capitolo, ci ho messo più del previsto, ma perchè questo è un periodo un pò stressante per me, ( tante cose da fare, e stress in generale) e molte volte non riesco nemmeno a scrivere. Inoltre, anche in questo capitolo avevo avuto altri piani, ma alla fine ho fatto delle modifiche.
Comunque, tornando alla storia, come vedete, proprio ora che le cose tra i due giullari si stavano evolvendo, ecco che è comparsa una nuova minaccia a Parigi.
Ammetto che la scelta di far distruggere la taverna di Marcel non era pensata fin dall'inizio, e mi è anche dispiaciuto, ma serve per la trama e per il seguito. Pardòn, Marcel ç_ç
Nel prossimo capitolo ci sarà un altro avvenimento che vi lascerà senza fiato.
Alla prossima <3 

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Capitolo 9
*** Fuoco ***


                                                                                                              
                                                                                                  Fuoco

   
Alla Corte dei Miracoli si respirava aria di tensione e paura. Nelle ultime ore, esattamente dopo il disastro della taverna di Marcel, le notizie si erano diffuse in tutto il territorio, e ovviamente, anche nel regno degli zingari.
Nonostante la calma temporanea, tutti sapevano che era solo questione di tempo, e nuove disgrazie sarebbero avvenute. Chissà, forse sarebbe stato il turno di qualcun'altro. Il capitano Febo non aveva dubbi, e i suoi sospetti erano fondati; i colpevoli non erano dei semplici ladruncoli, ma una vera e propria banda di criminali, astuti e pericolosi. Avevano dato fuoco ad alcuni fienili e carri, nei pressi delle campagne fuori le porte della città. Poi, era toccata alla taverna di Marcel.
Ma per quale ragione? Perché proprio i poveri contadini? E Marcel aveva un nesso con gli altri incendi?
Se lo chiedeva anche il re degli zingari, che aveva deciso di prendere in mano la situazione e di fare un'assemblea per riunire tutti i suoi sudditi, per discutere sul da farsi.
 
PV Clopin
 
- La situazione è grave, fratelli e sorelle. Questi avvenimenti non sono semplici incidenti - dichiarai al mio popolo.
Il giorno dopo la triste vicenda di Marcel, avevo deciso di non andare a lavoro, e di riunire tutti gli zingari della Corte, proprio sotto il palco delle esecuzioni. Come loro capo, era mio dovere metterli in guardia e trovare una soluzione, per proteggere tutti da una possibile minaccia non ancora dichiarata.
- Io stesso ho visto con i miei occhi la distruzione della taverna del nostro amico Marcel. Un ennesimo incendio. Non è una coincidenza - affermai, camminando avanti e indietro per poter parlare a tutti i presenti. I miei sudditi rimasero in silenzio, qualcuno bisbigliava piano, e qualcun'altro si scambiava occhiate coi propri vicini. 
- Anche il capitano delle guardie mi ha confermato che sono incendi volontari, causati da delinquenti in carne e ossa. Non sappiamo ancora chi siano, ma d'ora in poi dobbiamo stare attenti. Se è vero che sono criminali senza scrupoli, domani potrebbe capitare una disgrazia anche ad uno di noi -.
In quel momento, la folla si agitò di più, tra sussulti di paura e sgomento. Uno degli zingari, in mezzo a un gruppo, si fece avanti e alzando la voce chiese:
- Cosa dobbiamo fare? -. Qualcun'altro si unì alla sua domanda, e fui pronto a rispondere.
- Ci divideremo in tre squadre, e pattuglieremo tutto il piazzale e le zone circostanti. Il primo gruppo ispezionerà l'area di giorno, il secondo nel pomeriggio, e il terzo di notte. Cosa importante, almeno nei prossimi giorni, cercate di non uscire dalla Corte. Non dobbiamo attirare l'attenzione e far sì che qualche spia scopra il nostro reame. - terminai, mentre cominciai a fare una lista dei miei uomini più fidati a cui dare le direttive per il mio piano.
Molti altri si fecero avanti per poter dare una mano, e fui felice di accettare, nonostante ormai fosse tutto deciso. Alcuni di loro erano giovani ragazzi, e ciò mi fece sperare per il nostro futuro da emarginati. Dopo aver finito, sciolsi l'assemblea promettendo a tutti che avremo fatto chiarezza su quella misteriosa situazione, e che la Corte dei Miracoli non sarebbe stata ne attaccata ne invasa. Qualunque fosse stata la minaccia. La folla si divise e gli abitanti si dileguarono, ognuno verso la propria tenda o carretto. Mi asciugai la fronte imperlata di sudore, e sospirai. Dopo aver dato gli ultimi indizi di perlustrazione al primo gruppo di quel giorno, mi avviai alla mia tenda, in fondo alle altre. Mi sentivo stanco e con la
Testa piena di dubbi. Appena vi entrai mi lasciai cadere sui cuscini al centro della stanza. Quella notte, dopo l'orribile tragedia, non ero riuscito a chiudere occhio. Troppa agitazione, ansia e domande che mi tormentavano.
Chi erano questi vandali maledetti? Perché avevano incendiato la taverna del mio amico? Mi passai la mano sugli occhi, come a volermi nascondere da tutti quei pensieri, e sprofondare in un luogo per trovare un po’ di pace. Ma per quanto mi sforzassi, altri quesiti mi balenarono in testa. E se questi criminali stavano seminando il terrore per una ragione sensata? Forse stanno cercando proprio la Corte dei Miracoli...La cosa non era da escludere, dato che anche in passato non solo il giudice Frollo, ma anche molti altri avevano provato a scoprire il nostro rifugio segreto. Ecco perché non avevo perso tempo nell'avvisare la mia gente. Non potevo abbassare la guardia. Meno male che avevamo Febo dalla nostra parte. Quel pensiero mi fece rilassare un po’, e il calore e la luce fioca delle candele mi invitarono a chiudere gli occhi, lasciandomi andare a un sonno ristoratore. Sentivo che mi stavo addormentando, finalmente. Intorno a me c'era solo una piacevole quiete. Di certo mi sarei appisolato, se non avessi percepito una presenza che si stava avvicinando. Le mie orecchie udirono un lieve respiro, e il mio istinto mi fece scattare come un gatto selvatico. Con una mano presi il coltello legato alla mia cinta, mentre con l'altra afferrai il polso dell'intruso. Con forza feci atterrare lo sconosciuto per terra, in mezzo ai cuscini, ed alzai la lama per minacciarlo.
Ma subito, quando i miei occhi misero a fuoco l'immagine, mi fermai.
- Clopin! - grido la voce di quella persona, che mi guardava con occhi sconvolti. La mia Roxanne! In quel momento mi accorsi che il mio pugnale era a qualche centimetro dalla pelle candida del suo collo.
Cosa stavo per fare?! Come avevo potuto alzare l'arma proprio su di lei?!
- Oh, cherì...! - dissi, mentre lanciavo via il pugnale, sconvolto dalla mia stessa azione. Senza pensarci, la raccolsi e la strinsi tra le mie braccia. 
- Perdonami, non volevo...credevo che fossi... - cercai di spiegarmi, ma le parole mi morirono in gola. Cominciai a maledirmi.
Cosa sarebbe successo se non mi fossi fermato in tempo? A quel pensiero, strinsi più forte la mia giullare, e lei fece lo stesso. A un certo punto, lei mi disse piano, con la sua voce dolce e vellutata.
- Stai tremando... -. Ci distaccammo, e mi guardò attentamente. Non avevo neanche il coraggio di guardarla negli occhi, mi sentivo così male.
- Hai un'aria così stanca - mi disse poi, mentre mi alzava il volto per guardarmi meglio - scommetto che non hai dormito stanotte - terminò. 
Quando mi decisi di guardarla in volto, mi resi conto di quanto fosse preoccupata per me. Era così adorabile anche in quei momenti. Feci un sorriso forzato, e con calma ripresi la parola.
- Hai ragione. Non ho dormito - confessai, con tono amaro. Lei annuì lievemente, e poi si accomodò meglio in mezzo ai cuscini, unendo le gambe da un lato.
Avevo del tutto dimenticato che Roxanne era lì, perché io stesso l'avevo convinta a rifugiarsi nella Corte. Non potevo permettere che si esponesse al pericolo, tutta sola nel suo carretto in piazza. Mentre pensavo a ciò, la vidi battere le mani sul suo grembo, come a volermi comunicare qualcosa.  La guardai, un po’ confuso, ma lei sorridendo mi disse:
- Su, sdraiati, e poggia la testa qui -. La cosa mi fece rimanere perplesso, ma lei con una mano mi guidò dolcemente sul suo grembo. Se inizialmente mi sentivo strano, appena avvertì le sue dita tra i capelli, provai un senso di pace e di benessere. Era così bello stare in quel modo!  Mi sentivo...protetto. Io, il re degli zingari, abituato a giustiziare gli intrusi, a sopportare le tragedie, e a tante altre cose, possibile che uno come me sentisse il bisogno di protezione? Che cosa assurda! Però, quel contatto, così genuino e spontaneo, risvegliava in me qualcosa che credevo sopito da tanto tempo. 
- Ti senti meglio? - mi chiese Roxanne, non smettendo di accarezzarmi i capelli. In tutta risposta, un pensiero mi colpì nella mente, e risi in maniera spensierata. La violinista, sorpresa, mi chiese il motivo.
- Questa situazione, mi fa molto ricordare quando ero piccolo - spiegai, mentre i miei occhi si chiusero, ritornando indietro nel tempo. 
- Mia madre mi teneva così, ogni volta che non riuscivo a dormire, e mi cullava cantando una ninna nanna - dissi senza nemmeno pensarci, per poi sentire l'imbarazzo devastarmi.
Ma come mi era venuto in mente di raccontare una cosa così? Adesso penserà che sono uno sdolcinato mammone!
- Davvero? - fece lei, indugiando con le dita sulla sommità del mio capo. Ero sul punto di alzarmi, per troncare quella situazione imbarazzante, ma mi soffermai nell'esatto momento in cui avvertì la voce soave e melodiosa di Roxanne. Stava intonando una melodia che non avevo mai sentito in vita mia. Ma era molto bella.
- Quando saremo grandi e capiremo un po’ di più, tutti saremo vicini e mai, mai, nemici* -.
Era una canzone così dolce e poetica, di certo una sorta di ninna nanna adatta per far addormentare i bambini.
Restai ad ascoltarla e rimasi al mio posto, sul grembo della mia Roxanne. Sembrava come se fossi stato catturato da quella voce.
- Quando saremo ricchi di sentimenti e di umanità, tutti sapremo vincere o perdere ma con umiltà* - 
Nonostante la dolcezza pura di quel canto, mi sentì il cuore colmarsi di una strana sensazione. Una lacrima mi cadde giù dagli occhi. Quelle parole, colme di speranza, rispecchiavano appieno ciò che avevo sempre sognato per la mia gente. Sarebbe stato bello vivere in un mondo dove tutti, compreso gli zingari, fossero tutti uguali e amici. Uguaglianza e fratellanza, parole che non potevamo nemmeno pronunciare nel mondo in cui vivevamo. 
Ecco perché, a differenza di Roxanne, non riuscivo ad avere fede in un Dio invisibile. Non potevo farne a meno. Tirando su col naso, il canto cessò, e la mia amica terminò di coccolarmi. 
- Clopin, tutto bene? - mi chiese, sporgendosi un po’ verso di me. Mi strofinai gli occhi, fingendo di sonnecchiare.
- Sì sì, mi stavo per addormentare - spiegai, e dopo essermi assicurato di avere il viso asciutto, mi girai verso di lei, rimanendo col capo sulle sue cosce. Cercai di sorriderle, nascondendo il mio disagio, ma avevo il presentimento che avesse intuito qualcosa. Odiavo mostrarmi fragile davanti alle persone. Per non parlare di piangere, di solito non mi accadeva mai. Da quando ero diventato il giullare del piazzale, creandomi una maschera vivente, era come se tutti i sentimenti negativi li avessi rinchiusi nell'angolo più profondo del mio cuore. Quindi, mi sembrava quasi strano e assurdo se i miei occhi si riempivano di lacrime, invece di sorridere e fare il matto come al mio solito. Roxanne mi osservò per qualche secondo, come se cercasse di scavare dentro di me.
- E invece c'è qualcosa. Sei preoccupato per questa situazione. Temi per la tua gente, che tanto vuoi proteggere. Anche a costo della tua vita - disse, con fermezza. Rimasi ammutolito a quelle parole, ma lei mi regalò un sorriso e riprese ad accarezzarmi la testa.
- Ecco perché sei così teso. Così tanto, che ti basta un semplice suono per metterti in guardia e usare il pugnale - aggiunse, con una punta di sarcasmo. 
Ovvio che si stava riferendo alla mia reazione di poco fa. Feci un sorriso nervoso, ma non potei che dirle:
- Scusami ancora. Ho una gran voglia di prendermi a schiaffi - confessai. Ma lei scosse il capo, facendomi capire che era tutto apposto.
- Non devi scusarti. In fondo questa è la tua famiglia. La corte dei Miracoli è la tua casa. Anche io farei lo stesso per proteggere ciò che ho di più caro. Sei un grande re e una preziosa guida, Vostra Maestà. E sono sicura che farai sempre la cosa giusta per il tuo popolo -. 
Anche se non si era accorta delle mie lacrime, Roxanne aveva comunque capito qual era la mia più grande preoccupazione. O forse, non voleva mettermi a disagio e portandomi a confessare le mie debolezze nascoste. Se era così, non potevo che esserne più ammaliato, e molto di più per le sue grazie e il viso angelico. La sua percezione e sensibilità verso l'animo umano, l'intelligenza di come affrontava le situazioni, anche quelle difficili, senza ferire gli altri in alcun modo, erano tutte cose di lei che mi stupivano e attraevano al tempo stesso. Non era una semplice ragazza che vestiva i panni di un giullare in gonnella, con le sue forme sinuose che catturavano gli sguardi di chiunque. Era una persona di talento, piena di vita, e capace di capirti in qualsiasi momento. Era davvero fantastica. Mentre ci guardavamo negli occhi, sentì per la prima volta il cuore battermi molto forte.
- Davvero sono così teso? - le chiesi mentre con una mano le accarezzai una guancia. Era bellissima, con quelle gemme vermiglie che guardavano solo me. Lei rise divertita e cominciò a solleticare il mio pizzetto:
- Sei così teso che potrei usarti come corda di ricambio per il mio violino -.
Era così bello vederla ridere, nonostante la tensione di pochi attimi prima. Le sue dita giocarono ancora un po’ col mio mento, per poi salire di poco e sfiorarono le mie labbra. Io, che non volevo essere da meno, feci lo stesso. Ma quel contatto sembrava averci catapultato in un mondo tutto nostro, dove solo noi due eravamo presenti. 
- Allora aiutami a sciogliermi un po’, mon cher... - dissi, quasi sussurrando, sporgendomi in avanti.
Il suo viso divenne rosso, e questo mi incoraggiò nell'essere più audace. La attirai a me e la baciai con una passione quasi frenetica, come se per me fosse stata l'unica cosa vitale. La mia iniziativa non sembrò sconvolgerla, al contrario, dato che in pochi secondi la trovai nuovamente sopra di me. Era l'ennesima volta che succedeva, e sinceramente non mi dispiaceva affatto. 
Nelle mie storie passate, quando mi sono trovato in momenti intimi, ero sempre io a dirigere la situazione e tutte le mie amanti si erano lasciate andare senza pretendere uno scambio di ruolo. Erano state tutte remissive nei miei confronti. Ma con Roxanne, era del tutto diverso. Poteva essere un caso, ma più andavamo avanti con la nostra relazione, più mi rendevo conto che in lei c'era una carica passionale pronta ad accendersi, e lei stessa avrebbe dato l'inizio alle "danze".
A un certo punto, ci staccammo e ci guardammo, e un senso di euforia mi pervase. La afferrai e la strinsi tra le mie braccia. 
Senza darle il tempo di capire cosa stessi per fare, con una spinta mi arrotolai per il pavimento insieme a lei. Appena ci fermammo, mi guardò a bocca aperta, per poi ridere e dire:
- Sei tutto matto! -. Le donai un largo sorriso, e sfiorandole il naso con il mio dissi: 
- No. Sono solo pazzo di te, cherì! -. Le rubai un bacio e ripartì rotolando nuovamente dalla parte opposta. Ridemmo come due matti per tutto il tempo, mentre continuavamo quella strana giostra. Ero troppo felice di stare con lei, di averla stretta tra le braccia. Cominciai a sospettare, in quel preciso momento, che ciò che provavo per la giullare della piazza non fosse una semplice infatuazione. O forse no? Ma in fondo, era importante? Sì, no, chissà? 
- Coof coof! -. Appena avvertì quel suono, io e Roxanne smettemmo di ridere e ci fermammo di scatto. I miei occhi si posarono sull'entrata della tenda e rimasi pietrificato per pochi secondi, mentre Esmeralda ci guardava con un sorrisetto furbo.
Da quanto tempo era lì, ad osservarci?
- Spero di non aver interrotto nulla - fece lei, cercando di nascondere un risolino malizioso. Dovevo essere diventato rosso come un papavero. Scattai subito in piedi, e aiutai Roxanne ad alzarsi. Mi sembrava abbastanza rilassata, a differenza mia.
- Potevi almeno avvisare prima di entrare - obbiettai, con un tono fastidioso. Lei ridacchiò per poi giustificarsi:
- Infatti, ma facevate così tanto chiasso che non mi avete sentita. Sono dovuta entrare -. La mia sorellina fece l'occhiolino rivolto a Roxanne, e quando mi voltai la vidi sorridere con le guance rosse come mele mature. Sembrava quasi che fossi vittima di un loro tranello. Balbettai qualche obbiezione, ma Esme si avvicinò e mi tastò la fronte con il palmo della mano.
- Fratellone, è meglio che ti riposi un po’. Si vede che hai bisogno di una bella dormita. Approfittane di qualche oretta, mentre porto Roxanne nella mia tenda -. disse, dando un'occhiata alla mia amica.
Con aria sospetta osservai mia sorella. Non me la contava giusta.
- Tranquillo, mi serve per prendere alcune misure. Voglio cucirle un abito nuovo - mi avvisò, e senza perdere altro tempo, prese Roxanne per mano. In effetti, una bella dormita non mi avrebbe fatto male. Anche se non lo avevo ammesso, mi faceva piacere vedere Esme e Roxanne andare così d’accordo.  
- Va bene. Ma mi raccomando, fate le brave! - le ammonì, ma le due donne erano già fuori dalla tenda per poi allontanarsi.
Rimasto solo, mi lasciai cadere sull'ammasso di cuscini, e in men che non si dica, mi rilassai e sprofondai in un sonno profondo. 
 
PV Roxanne
 
Io ed Esme passammo almeno un’oretta nella sua tenda. Il suo piccolo Zephyr si era da poco addormentato, e ne approfittammo per prendere sia le misure, che chiacchierare un po’ vicino a una bella tisana alle erbe aromatiche. Ovviamente, lei non perse tempo nel farmi notare che io e suo fratello sembravamo una bella coppia affiatata, mentre io cercavo di fare la vaga, guardandomi attorno. Non era la prima volta che mi trovavo in quel posto, poiché alla precedente visita alla Corte, già ebbi l'occasione di entrarvi.  Alla fin fine assomigliava alla tenda personale del mio giullare, solo che aveva qualche tocco femminile, come i fiori in un vaso, o semplicemente il dolce profumo alla lavanda che si espandeva. Una cosa che catturò la mia attenzione, fu un dettaglio che avevo già visto in passato: si trattava dell'immagine del sole, ricamato e decorato su un arazzo posto a un lato della stanza. Anche quel giorno, durante la Festa dei Folli, avevo visto quell'immagine, esattamente dietro alle mie spalle, quando mi ero esibita sul palco. Esmeralda notò il mio interesse e seguì il mio sguardo.
- Ti piace? L'ho cucito a mano e ci ho messo vari mesi per finirlo - mi spiegò lei -.
Rimasi un attimo ad osservarlo; era un lavoro ben curato, nei minimi dettagli. Perfino i contorni e le linee dei raggi luminosi erano ben ricamati. In quel momento giocherellai con il ciondolo a mezzaluna del mio orecchino.
- Si tratta del vostro stemma di famiglia? - le chiesi, curiosa.
Non poteva essere altrimenti, o doveva comunque essere qualcosa di molto importante.
- In un certo senso sì. Ma lo abbiamo adottato solo quando ci siamo trasferiti qui, a Parigi, dopo aver lasciato la nostra terra d'origine, l'Andalusia -.
Clopin stesso mi aveva accennato qualcosa riguardo al suo paese natale, e sul fatto che, come tanti altri gitani, sono stati costretti a emigrare in altre città. Ma c'erano ancora tante cose che mi erano oscure, e che non avevo avuto modo di approfondire con il re del piazzale.
- Deve essere stato difficile per voi, abbandonare tutto ciò che avevate nel vostro paese. So cosa vuol dire, dato che a bambina ho lasciato Marsiglia con i miei.  Inoltre, ci spostavamo in continuazione -.
A quel ricordo, mi sentì invadere dalla nostalgia. Non tanto per la mancanza del mio paese d'origine, ma per i miei genitori.
- Che sia stato difficile è vero, ma se devo esserti sincera non ricordo molto del mio paese, ero troppo piccola - mi disse lei. Infine mi raccontò di come la sua famiglia insieme ad altri amici zingari, per via della povertà causata dalla guerra da poco terminata, si erano trasferiti da quel luogo per trovare una nuova casa e un nuovo inizio a Parigi, in Francia.
Il sole rispecchiava non solo la rinascita, il sorgere della loro nuova vita, ma anche il calore e la luce che ricordavano la bellissima Andalusia, che avrebbero sempre portato nel cuore.
- Ero una bambina, ma Clopin si è sempre preso cura di me, ed è stato non solo un fratello, ma anche un ottimo maestro.  Nostro padre ci lasciò poco dopo aver creato questo rifugio, la Corte dei Miracoli -.
In pochi minuti, venni anche a sapere che il mio giullare aveva dovuto prendere le redini al posto di suo padre, il re degli zingari, e sulle sue spalle si sono riversate le responsabilità e le speranze di un intero popolo, nonostante avesse solo 14 anni. Proprio come avevo immaginato, Clopin era cresciuto con molti sacrifici. A differenza sua, ero stata mille volte più fortunata. Almeno avevo avuto l'affetto dei miei genitori fino alla maggiore età, quando ero ormai pronta a cavarmela da sola. Pensando a tutto ciò, sentivo di aver trovato il più prezioso dei tesori, e che non potevo chiedere di meglio. La stessa Esmeralda mi aveva dato la conferma.
Mentre ero immersa in quei pensieri, avvertì dei piccoli versi provenire da dietro il separé. Zephyr si era svegliato.
- Puoi prenderlo tu in braccio, Roxanne? - mi chiese Esme.
Annuì contenta, e subito mi precipitai verso il cestino di vimini, posto proprio dietro al separé.
Zephyr era così piccolo e delicato, che avevo quasi timore di fargli male. Mi fissava con i suoi occhioni verdi e io non potei che sciogliermi da tanta dolcezza. Lo cullai per un po’ mentre lo portavo da sua madre, che si stava preparando per allattarlo. 
- Guardati. Sono sicura che sarai una mamma perfetta in futuro - disse la mia amica, osservandomi con sguardo giocoso.
Le donai un sorriso di gioia. Non ci avevo mai pensato, ma ammettevo che i bambini mi piacevano, ed era un po’ il motivo per cui amavo fare i miei spettacolini.
- Non c'è bisogno che ti dica che Clopin adora tantissimo i bambini... - aggiunse poi, mentre prendeva dalle mie braccia il piccolo. Cosa?! Clopin?
Il mio viso si fece rosso ed Esme se ne accorse, dato che sorrise divertita. Farfugliai qualcosa, del tipo " ma come?" " ma dai" " ecco, io". 
- Andiamo, mon ami, l'ho capito ormai - disse guardandomi negli occhi - tu sei innamorata di mio fratello -.
Ebbi un colpo al cuore, e per un attimo mi sentì come se il pavimento sotto di me stesse crollando. Non riuscivo a capire ciò che mi turbava, se quelle semplici parole oppure una verità che nemmeno io avevo ancora scoperto. Il tempo era volato da quando avevo conosciuto il re del piazzale; avevo trascorso con lui ogni momento gioioso con spensieratezza, i momenti dolorosi stretta nei suoi abbracci rassicuranti, e tutto era avvenuto da sé. E solo in quell'istante, con Esme che me lo aveva fatto notare, cominciai a valutare quel sentimento più profondo. E se avesse avuto ragione? Se ciò che stava nascendo tra noi fosse amore?
- Non so nemmeno io se sia così, Esme. Non ho mai realmente pensato all'amore e alla realtà di essere amata - le confessai.
La verità è che gli ammiratori non mi erano mai mancati, fin da quando ero fanciulla. Molti mi avevano anche confessato di amarmi, ma li avevo sempre respinti per varie ragioni. A volte non era il momento giusto, altre volte non provavo gli stessi sentimenti. Certo, avevo avuto delle piccole cotte, ma erano tutte momentanee e, dato che ogni volta dovevo spostarmi da un paese all'altro, il fuoco del momento si estingueva in poco tempo, e per me non ne valeva mai la pena di sacrificare i miei viaggi per una semplice infatuazione. Ero sempre stata libera, come una piuma nel vento, mai legata a nessuno. Col passare del tempo, mentre riempivo le mie giornate con esercizi fisici e migliorando l'arte del violino, cominciai a pensare che non c'era posto per l'amore nella mia esistenza. Sarebbe rimasto un mistero per me, qualcosa che non avrei mai conosciuto o scoperto con qualcuno, e avrei vissuto in piena solitudine, senza rimorsi. E sinceramente non era una cosa che mi pesava. Ma non ne ero più così sicura.
Mentre ero immersa nei pensieri, la bella zingara aveva scoperto un seno e aveva cominciato ad allattare il piccolo Zephyr. 
Poi tornò a guardarmi e con tono dolce mi disse:
- Non è una cosa che si può programmare. Arriva da sé. Come l'istinto materno. Una volta che lo senti ti lasci guidare senza paura -. Quella spiegazione mi lasciò senza parole. Era così semplice, ma anche così vero. Forse non dovevo pensare, ma solo lasciarmi guidare dalle mie sensazioni, come avevo fatto fino a quel momento. Mi tormentai un po’ le dita, mentre guardavo nel vuoto. Ero innamorata di Clopin, o era ancora presto per dirlo?
- Segui solo il tuo cuore, cherì. Non avere paura di esternare i tuoi sentimenti, e andrà tutto bene. Una volta che avrai capito davvero, non esitare e vai avanti. Sono certa che anche lui farà lo stesso, perché ci tiene molto a te -.
Detto ciò, Esme tornò ad occuparsi del suo piccolo. Mi sentì subito meglio, e sospirando mi avvicinai alla mia amica e le diedi un bacio sulla guancia, ringraziandola. Cominciai a pensare che avere Esmeralda come futura cognata era già un buon motivo per prendere in considerazione la sua opinione. Ci salutammo con un " a bientot " e presa da uno strano senso di euforia, tornai subito alla tenda di Clopin. Morivo dalla voglia di rivederlo e stare tra le sue braccia. Ebbi una bella idea, lo avrei risvegliato con un dolce bacio, come se fosse stato vittima di un incantesimo di sonno profondo. Ma i miei piani furono ridotti in fumo, quando entrando, lo vidi già sveglio. 
- Clopin, che stai facendo? - gli chiesi. Si stava sistemando il pugnale sulla cinta alla vita, e avevo il presentimento che stesse per uscire. 
- Ho ricevuto un messaggio da uno dei miei uomini. A quanto pare hanno trovato qualcosa, una traccia magari. Devo raggiungere il gruppo nei pressi del piazzale - mi spiegò, mentre stava cercando il suo mantello violaceo.
Una sensazione di ansia mi pervase. Sentivo che dovevo andare con lui. 
- Vengo anche io - dissi convinta. Lo zingaro mi guardò con preoccupazione e con tono serio mi rispose:
- Assolutamente no. Meglio se rimani qui, insieme ad Esmeralda e Zephyr -. Quella reazione non mi piacque affatto. Ero decisa più che mai a seguirlo. Non potevo rimanere con le mani in mano, senza nemmeno tentare di dare il mio contributo nelle ricerche.
- Posso aiutarti, e non hai ragione di preoccuparti, posso benissimo cavarmela - tentai nuovamente. Ma lui sembrava non voler rinunciare.
- Ti ho detto che non se ne parla! E' troppo pericoloso per te, in questo momento! -.
La discussione si stava facendo sempre più tesa, ma Clopin non mi conosceva abbastanza da sapere che una volta presa una decisione, era difficile farmi cambiare idea. 
- Pericoloso per me? Perché sono una donna? E' questo il punto? - dissi, con tono provocatorio e duro.
Stavo cominciando a irritarmi. Essere sottovalutata solo perché non ero un uomo, e quindi vista come debole e indifesa, era la cosa che odiavo di più. Clopin aveva da poco indossato il mantello, poi si avvicinò a me.
- Non dire sciocchezze! Non è per questo, lo sai - fece lui, con fermezza.
Ma ormai ero troppo seccata da quella situazione e senza nemmeno rendermene conto, stavo alzando la voce contro il mio amato giullare.
- Ah no?! E cosa, allora? Dammi una ragione altrimenti ti seguirò, che ti piaccia o no! -.
Mi sentì afferrare per le spalle. Le sue mani, per quanto fossero magre e affusolate, mi strinsero così forte da lasciarmi senza fiato. 
- Non posso! - urlò, con un tono di voce che non sembrava il suo, mentre mi scuoteva come a farmi tornare in me.
Ci guardammo per un attimo negli occhi e il silenzio calò in quello spazio. In quelle perle, nere come la notte, lessi un'esasperata disperazione.
- Non posso... Ti prego, non farmi questo - continuò, questa volta con la voce ammaliante di sempre, ma tremante - Non mettermi nella condizione di farti rischiare la vita. Se ti accadesse qualcosa...non me lo perdonerei mai. Preferisco morire, piuttosto -. Quelle parole mi fecero stare molto male.
Tutta la mia sicurezza di poco fa era svanita, e un senso di colpa mi attanagliò lo stomaco. Clopin, voleva solo proteggermi, e io di certo non gli ero d'aiuto comportandomi in quel modo, anche se ero mossa da buone intenzioni. La mia voce si ammorbidì, e prendendogli il viso tra le mani, mi appoggiai alla sua fronte.
- Clopin...- sussurrai, mentre lui a sua volta mi accarezzava il viso. Percepivo il suo respiro caldo sulle labbra, e una strana sensazione prese il posto dell'ansia. Mi sembrava un turbinio di ali di farfalle che vorticavano nello stomaco. Era un qualcosa che avevo già percepito in altre occasioni, quando stavo con lui, ma in quel momento era decisamente più forte. Cosa mi stava accadendo? Forse era perché, data la situazione, temevo di perderlo?
Lui mi rubò un bacio, molto delicato, e io desideravo tanto che lui rimanesse con me. 
- Non temere. Tornerò presto, te lo prometto - mi disse, prendendo le mie mani e baciandole, come un cavaliere in guerra, che si congedava dalla sua dama. Avrei tanto voluto dirgli ciò che sentivo, ma non trovavo le parole adatte.
Ma cosa esattamente? Tanto non c'era più tempo, perché lui corse fuori dalla tenda, e io rimasi lì, sola con i miei confusi pensieri. Mi lasciai cadere sui cuscini imbottiti, mentre le candele che circondavano la stanza non cessavano di consumarsi. Sentivo la testa così pesante, che mi dovetti distendere sul tappeto. Non ti riconosco più, cara Roxanne, dissi a me stessa. Da quando sei diventata così lunatica? La Roxanne di sempre, non si sarebbe mai sognata di essere così impulsiva. Già, perché mi ero comportata in quel modo? Vero, in passato mio padre stesso mi aveva incoraggiato di farmi rispettare dagli altri, di far valere la mia opinione, ma mai mi era capitato di essere così risoluta e determinata. Perché? Forse, era il re degli zingari a farmi quell'effetto?
Aspetta un attimo, ora che ci pensavo, tutto in me era cambiato da quando avevo conosciuto Clopin. Ero diventata più sicura di me, e avevo sconfitto le mie paure e le mie ansie, ero uscita allo scoperto mostrando al mondo la mia arte senza maschere.
Ed era stato proprio Clopin a incoraggiarmi a fare ciò. Era stato grazie a lui se i miei sogni si stavano avverando, ed era sempre grazie a lui se ero diventata più forte di prima. Perché proprio lui? ...
La mia mente ritornò a qualche giorno fa, alla festa dei folli, quando in quel girotondo tempestato di coriandoli colorati, io e il re dei giullari saltellavamo in una danza frenetica, con i nostri sguardi incatenati tra loro. Tutto era partito da quel momento, e io non potei che arrossire.
- Ovvio...è semplicemente ovvio - pensai ad alta voce, mentre nel mio animo si stava realizzando una dolce certezza.
Senza perdere altro tempo, mi alzai e cercai il mio mantello. Ora sapevo cosa fare. Sarei uscita dalla corte per cercare Clopin.
E questa volta non era per semplice orgoglio femminile, né per far valere la mia indipendenza. Stavo solo seguendo il mio cuore, proprio come mi aveva detto Esmeralda. Non era un'azione dettata dalla mia mente, ma da ciò che per tutta la mia vita avevo sempre ignorato o messo in disparte. Indossai il mantello e mi coprì il capo col cappuccio. Esaminai prima la situazione, poi uscì dalla tenda e mi affrettai verso il cunicolo che mi avrebbe portata fuori dalla Corte.
Superare da sola le catacombe non fu così difficile. Per mia fortuna i guardiani camuffati in scheletri non erano presenti al loro solito posto. Con molta probabilità Clopin li aveva richiamati per farli unire ai gruppi di ricerca. Meno male. Ero certa che, vedendomi senza il loro capo, non mi avrebbero lasciata andare così facilmente. Più complicato fu spostare la lastra in pietra, che chiudeva il passaggio segreto. Ma con uno sforzo in più, e lentamente riuscì a sbucare fuori come un gatto sinuoso. Dopo aver lasciato il cupo cimitero, mi avviai a passo svelto verso la strada, diretta al piazzale di Notre Dame. Dovevo ringraziare la mia memoria di ferro, dato che riuscì a ricordare ogni singolo vicolo, dettaglio o qualsiasi cosa che mi era familiare. Ormai la sera stava calando sulla città, e un bel manto celeste-blu stava ricoprendo il cielo. Potevo già vedere lo splendido disco lunare, che illuminava con i suoi raggi le vie di Parigi. Se la situazione non fosse stata così urgente, sarei rimasta per vari minuti ad osservarla, contemplando la sua bellezza, e magari recitare dei versi poetici. Continuai a camminare, e intanto pregavo. Oh ti prego, Signore, aiutami a trovarlo. Proprio ora che so cosa fare e cosa dire, devo trovarlo. Qualcun'altro, forse, mi avrebbe suggerito di tornare sui miei passi, e che dovevo semplicemente aspettare il suo ritorno.
Ma io non potevo fare altrimenti, sentivo che dovevo cercarlo e confessargli i miei sentimenti. Sentivo che me ne sarei pentita se non lo avessi fatto.  Avere rimpianti era la cosa che mi spaventava di più al mondo. Mi ero negata l'amore per troppo tempo, e ora, che finalmente avevo trovato ciò che mi mancava, qualcuno come me e che mi completava, non potevo aspettare ancora. Non mi importava se mi avrebbe rimproverata perché non lo avevo ascoltato. Mi sarei gettata tra le sue braccia e senza paura e indugi, gli avrei detto quanto lo amassi. Il vento della sera era pungente, ma io non lo avvertì, anzi sentivo un caldo insolito.
Ero quasi vicina nei dintorni del piazzale, e l'ansia dentro di me cresceva ad ogni passo. Come mi aveva detto, doveva incontrarsi con i suoi uomini lì. Il suono delle campane risuonò nell'aria. Quasimodo annunciava le sette di sera. Dovevo sbrigarmi. Il mio sguardo si spostò dalla strada che stavo percorrendo verso il cielo. Le prime stelle stavano splendendo, come tanti piccoli diamanti su un manto di velluto blu scuro. Ma a un certo punto, proprio al di là dei tetti, notai qualcosa di strano. Il cielo da quella parte sembrava più nero del normale. Mentre scrutai in quella direzione, un urlo mi fece sobbalzare di botto. Una donna stava gridando nei pressi della piazza, sembrava disperata. In quel momento un brutto presentimento si fece strada nella mente. Corsi a perdifiato verso il piazzale, perché solo allora capì cosa stava succedendo, anche se speravo con tutta me stessa di sbagliarmi. Appena uscì fuori dal vicolo, mi ritrovai davanti uno spettacolo orribile. Una grossa nuvola nera si dilatava nell'aria, mentre lingue di fuoco divampavano nel bel mezzo della piazza. Il respiro mi mancò del tutto, quando realizzai cosa stava bruciando. Con terrore e il cuore che mi batteva a mille, corsi come una disperata verso quell'inferno, ma un uomo mi trattenne per un braccio.
- Siete pazza, donna! Allontanatevi da qui, è pericoloso! - mi urlò contro, ma io non lo ascoltai. Con uno strattone, mi liberai e senza pensarci mi buttai in direzione del carretto di burattini, che stava bruciando in quella palla di fuoco. 
- Clopin! Nooooooo! - gridai mentre le lacrime mi scivolarono via dagli occhi.
Senza badare al pericolo, mi feci strada nella cortina di fumo, e tutto divenne nero, come la morte...
 
Uomini e donne si diedero da fare per spegnere il fuoco, mentre il capitano delle guardie, Febo, era arrivato al galoppo sul suo cavallo bianco. Se inizialmente non aveva creduto alle sue orecchie, quando i cittadini lo avevano avvisato del disastro, in quel momento non riusciva a credere ai suoi occhi. Il carretto di suo cognato, il re del piazzale, stava bruciando davanti agli occhi di tutta la popolazione. Poi un'altra ansia lo fece scuotere, quando sentì alcuni zingari nei paraggi gridare: Clopin è ancora lì dentro! Ed è entrata anche una donna! 
Il cavaliere dall'armatura dorata saltò giù, e subito diede ordine alle guardie di prendere dell'acqua, dovevano assolutamente spegnere l'incendio. E mentre quel fumo nero continuava a salire verso il cielo notturno di Parigi, tutti, specialmente i bambini, pregarono che per il loro adorato giullare non fosse arrivata la fine.    
                
Angolo dell'autrice:
Uff, eccomi qui. Lo so, ci ho messo più tempo per questo capitolo, ma avevo troppe idee e non sapevo bene come incastrarle XD Poi questo è stato un periodo difficile per me... e non sto a elencare i vari intoppi altrimenti ce ne usciamo per domani. Posso solo dire che sto creando il cosplay di Roxanne e che lo porterò a Lucca Comics di quest'anno ^=^. Direi che questa volta ho voluto lasciare un finale aperto, a differenza degli altri che almeno avevano una conclusione. Non era nei miei piani, ma la mancanza di spazio per questo capitolo mi ha dato l'idea ^^ Spero che vi piaccia e che vi abbia fatto stare col fiato sospeso (e per le più romantiche, eh sì, Roxanne ha capito di amare il suo giullare... ma adesso come andrà a finire?) 
 
Nota* La canzone che canta Roxanne è " Quando" cantata dai Neri per caso, nei titoli di coda del film ^^ Una canzone così bella, che mette in luce il messaggio di tutta la storia, e che rispecchia anche ciò che prova Clopin, mi è sembrata degna per questa situazione ^^
 

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Capitolo 10
*** Lo specchio dei ricordi ***


                                                                                     Lo specchio dei ricordi

Tutto sembrava essere tornato alla calma totale. Il sole splendeva alto nel cielo, con i cinguettii degli uccelli, e l'aria frizzante di fine inverno. Eppure, nessuno, compreso gli animi più temerari, avrebbero dimenticato quel rogo nel bel mezzo del piazzale. Specialmente i bambini, che avevano assistito con terrore a quello scempio, si sentivano tristi e amareggiati.
Erano stati portati via gli ultimi pezzi di legno, completamente neri e carbonizzati, che un tempo facevano parte del teatrino mobile, e che ormai non c'era più. Era un giorno di lutto per i piccoli di Parigi. Una bambina di otto anni, con i capelli
color grano divisi in due trecce, si avvicinò al centro della piazza, osservando con occhi arrossati quel poco che rimaneva della cosa più bella e festosa dell'intera città. Cosette, ignorando i richiami di sua madre, raccolse per terra un oggetto che doveva essere un pupazzetto. Il petit Clopin era sporco di cenere, ma almeno era ancora integro. Allora, la piccina lo abbracciò mentre un'altra lacrima le scivolò sulla guancia. 
- Clopin, dove sei? - disse a bassa voce Cosette, guardandosi attorno, come se sperasse che il suo amico giullare sbucasse da un angolo, allegro e gioioso come sempre.

PV Roxanne

" Questo calore mi brucia la pelle! Mi sento soffocare...il fumo mi brucia gli occhi, e la gola chiede aria fresca...
Dove sono? Questo è l'Inferno?! Cosa sto cercando?...Di certo una cosa a me tanto cara...sì, Lui...tra le lingue di fuoco che danzano frenetiche, eccolo lì, privo di coscienza sul pavimento. Non curante del peso, lo trascino via con me, in un disperato tentativo di uscire da quella fornace. La mia voce, offuscata dalla tosse, cerca di farsi sentire, per attirare l'attenzione di qualcuno, fuori dal carretto in fiamme. Aiuto...aiuto!...Ma nessuno arriva...Allora finisce così?
Tutti gli attimi, tutte le emozioni provate, tutto ciò che abbiamo vissuto insieme. Tutto quel tempo prezioso in cui abbiamo coltivato, il nostro legame, verrà spazzato via, insieme alle nostre fragili vite. Ormai sento il calore del fuoco così vicino da bruciarmi la pelle. L'uscita mi sembra così lontana, nonostante sia a pochi passi da noi. Il fumo mi offusca la vista e non smetto più di tossire. Ancora qualche secondo e sento che perderò i sensi...ma non posso arrendermi ora...
No, proprio quando finalmente avevo trovato il coraggio di aprire il mio cuore a te...
Oh, Signore, sarebbe una vera ingiustizia abbandonarci proprio adesso...
Non c'è più tempo né per le preghiere, né per lo sconforto...usciamo insieme da questo Inferno...Andando praticamente alla cieca verso la salvezza, il mio piede finì nel vuoto, poi un dolore straziante, e una caduta che mi sembrò interminabile... infine, la mia coscienza mi abbandonò. Un suono particolare mi risuonava nelle orecchie, così acuto da farmi girare la testa. Era il belare di una pecora o di una capra"
I miei occhi si spalancarono, come se mi fossi svegliata da un incubo. Mi guardai attorno e per un primo momento non vidi altro che candele. Tante fiammelle che mi circondavano per darmi luce e calore. Sentì nuovamente belare, ma più forte stavolta.
Mi girai in direzione di quel verso e vidi una capretta saltare e dimenarsi come impazzita. Era Djali. Il rumore degli zoccoli era così forte da far accorrere qualcuno. Esmeralda.
- Djali, che c'è? Oh, Roxanne, mon ami, grazie al cielo ti sei svegliata! - disse la mia amica, che si precipitò subito da me.
Mi trovavo nella sua tenda, alla Corte. Cercai di muovermi e mettermi seduta, ma dei dolori atroci alle spalle e alla schiena non me lo permisero. Era in realtà, bruciore. Esme mi tenne distesa. Ero su una specie di brandina, probabilmente per evitare di farmi dormire sui cuscini, sul pavimento. 
- Non muoverti, cherì, sei ancora debole. Inoltre hai anche una caviglia slogata - mi spiegò, mentre mi metteva un fazzoletto di stoffa bagnato sulla fronte.
Cercai di capire cosa mi fosse successo, ma non riuscendo a vedere molto chiesi:
- Cosa mi è successo? Mi brucia tanto la pelle...-.
La zingara stava preparando delle bende, ma non tardò a darmi la spiegazione.
- Ieri sera ti sei gettata contro il fuoco, nel carretto di Clopin...ti sei presa delle brutte ustioni e sei probabilmente inciampata, mentre tentavi di uscire fuori. E' stato Febo a trovarti per terra lì vicino e ti ha portata via. Hai rischiato grosso, ragazza mia. Meno male che te la sei cavata e che hai avuto la forza di scappare, trascinandoti anche Clopin -.
Appena udì quel nome, una nuova ansia mi fece tentare di alzarmi dalla branda, ma la testa mi faceva troppo male.
- Dov'è...dov'è Clopin? E' vivo? - chiesi, come se fossi stata in preda a una sorta di delirio. Esme mi accarezzò la testa, e cercò di calmarmi, tenendomi distesa. 
- Stai calma. Non devi preoccuparti, anche lui è stato portato via. Ora è nella sua tenda, qui vicino. Se non fosse stato per te, Roxanne, se tu non ti fossi gettata in mezzo alle fiamme per portarlo via, non credo che lui sarebbe sopravvissuto - confessò Esmeralda, e per la prima volta, mi sembrò di vedere i suoi occhi colmi di lacrime. 
- Voglio vederlo, ti prego...- la supplicai, con la voce velata, come se non avessi abbastanza fiato. Ma lei scosse il capo.
- Non è possibile, mia cara. Ora non ti trovi nelle condizioni migliori per farlo. E mi sembra giusto dirti tutta la verità. Ha riportato molte più ferite di te, molte ustioni, e per questo ce ne stiamo occupando io e le guaritrici. Inoltre, ora come ora... - fece una pausa, stranamente titubante - lui non può né parlarti, né ascoltarti. Ha perso conoscenza e ancora non si è risvegliato -.
Ci fu un momento di silenzio, mentre nella mia testa rimbombava quella notizia. In me c'erano emozioni contrastanti; se da una parte ero sollevata che Clopin si fosse salvato ed era lì, a pochi metri da me, dall'altra ero così preoccupata. Ma Esme mi prese le mani e con un sorriso cercò di tranquillizzarmi. Mi disse che non dovevo temere nulla, e che di certo si sarebbe risvegliato prima del previsto. Cercai nuovamente di convincere la mia amica a farmi andare nella sua tenda, ma lei fu irremovibile. Prima dovevo guarire dalle mie ferite, specialmente la caviglia. In effetti, non aveva tutti i torti. Non potevo neanche mettere il piede per terra, figuriamoci camminare fino alla tenda di Clopin. Perciò mi rilassai, e seguì il consiglio della zingara. 
Lei soddisfatta, mi poggiò la mano sulla fronte e guardandomi con aria materna mi disse:
- Grazie...grazie davvero, amica mia. Hai salvato il nostro re e.. - fece una smorfia tenera prima di aggiungere - e l'uomo che tanto ami -. 
Feci un lieve sorriso e in quel momento mi sentì meglio. Vero, ciò che mi consolava in quella situazione era di sapere che lui fosse sano e salvo. Esmeralda mi lasciò sola per farmi riposare, ma Djali rimase vicino alla branda, come se volesse vegliare su di me. Intenerita la incoraggiai a saltare, e lei mi raggiunse, accoccolandosi al mio fianco, come un tenero cagnolino.
Man mano, chiusi gli occhi, e mi addormentai serenamente. 
Passò un intero giorno, e io già non ne potevo più di stare intrappolata su quella branda. Desideravo uscire, muovermi, mettermi in piedi. Peccato che, secondo Esme e la donna che mi veniva a cambiare le bende, non ero ancora in forze per lasciare lo stato di guarigione. Erano tutti gentili con me, questo era certo. Ma passavo praticamente tutto il tempo ferma, e le ore erano fatte tutte di cambi di bende, nuovi impacchi freddi per le ustioni, e fasciature per la mia caviglia dolorante. Ogni volta che poteva, Esme veniva a trovarmi sia per controllare la mia situazione, ma anche per farmi compagnia, con il piccolo 
Zephyr. Mi preparava le sue buone tisane alle erbe e ai fiori d'arancio, e cercava di distrarmi in ogni modo.
Per quanto riguardava me, la prima cosa che facevo appena la mia amica mi dava la sua presenza, era chiedere di Clopin, e soprattutto chiedevo se si fosse risvegliato. Ma ogni volta lei mi rispondeva che non c'erano novità, e mi sentivo più amareggiata che mai. Per non parlare della mia sfrenata voglia di vederlo. Sentivo che magari, con la mia presenza, o con solo la mia voce, poteva riprendersi del tutto. Ma cercai di essere paziente, in fondo mi bastava un altro giorno e la caviglia sarebbe 
migliorata così tanto da permettermi di lasciare la tenda. Intanto, avevo ricevuto visite. Tutti gli zingari e le zingare, seguite dai loro bambini, mi vennero a trovare, portando perfino dei doni, come cibo, spezie e monili di ogni genere. Alcuni si inchinavano addirittura, e mi dedicavano ringraziamenti lodevoli.
- Ti ringraziamo, Monmouselle Roxanne. Lei ha salvato il nostro capo e re da morte certa. Vale la stessa salvezza della Corte e di tutti noi -.
Tutta questa venerazione mi metteva a disagio. Sembrava quasi che mi trattassero come una regina, e io non sapevo cosa rispondere, se non un semplice:
- Non ringraziatemi. Ho fatto solo ciò che sentivo di fare -.
A parte gli abitanti della Corte, vennero al mio cospetto anche Febo e Quasimodo. Il primo, dopo essersi accertato della mia salute, dovette farmi delle domande riguardo la sera dell'incendio. Voleva sapere se avessi visto qualcosa o qualcuno di sospetto, prima di arrivare alla piazza, o durante il salvataggio.
- No, non ho visto niente di strano. A dire il vero ero così presa dalla situazione che non ho fatto realmente caso a nient'altro. Mi dispiace, Febo, se non posso esserti d'aiuto - dissi, sentendomi così inutile. Ma Febo scosse il capo, con aria comprensiva.
- Non dirlo nemmeno, Roxanne. Tu hai fatto tantissimo. Sei stata molto coraggiosa. Nemmeno un soldato si sarebbe gettato tra le fiamme, come hai fatto tu -.
Notai Esmeralda dare un'occhiatina furba a suo marito. Lui le rispose con uno schiarimento di voce, e un mezzo sorriso modesto. Sembrava che stessero nascondendo un segreto speciale, e che solo loro due riuscivano a comprendere, in maniera così intima e loquace. Come li invidiavo. 
Non dimenticai di ringraziare il capitano per avermi portata via, dopo la caduta fuori dal carretto. Intanto Quasi prese posto accanto alla mia branda. Passò molto tempo con me, facendomi compagnia mentre mi mostrava come intagliava il legno (lo faceva non per vantarsi, era solo un trucco per tenermi con la mente occupata). Djali rimaneva, anche in quelle occasioni, vicino a me, sulla branda. Il bello è che non si allontanava neanche di notte, e dormiva al mio fianco mentre sprofondavo il viso sulla sua pelliccia calda e soffice. Il campanaro, oltre a intrattenermi, era sempre pronto ad ascoltarmi, e ovviamente gli raccontai di quella maledetta sera nei minimi dettagli. Non ne avevo ancora parlato con nessuno, e avevo bisogno di sfogarmi. Esmeralda aveva già troppi pensieri, oltre a doversi occupare delle mie ferite, e quelle del fratello, aveva pur sempre suo figlio a cui badare. Raccontai della paura, del dolore e di tutto ciò che avevo provato in quel momento. Inoltre, pensai a come si sarebbe sentito a pezzi il povero giullare, quando avrebbe saputo che il suo teatrino mobile era completamente distrutto.
Anche se non conoscevo i dettagli del suo passato, ero sicura che per Clopin fosse molto importante. Altrimenti non sarebbe stato il degno giullare del piazzale. Quasi mi ascoltava e mi donava parole di conforto, rassicurandomi che tutto sarebbe tornato come prima, e che quella brutta esperienza sarebbe stato solo un brutto, lontano ricordo. 
- Vedrai, sono certo che oggi, oppure domani, aprirà gli occhi, e la prima cosa bella che vorrà vedere, sarai proprio tu, cara amica - mi disse infine.
Quelle parole, così cariche di speranza e affetto, mi fecero commuovere, ma cercai ti trattenere le lacrime.
- E magari...sarà il momento adatto per dichiararvi - aggiunse timidamente, giocherellando con il pezzo di legno tra le mani.
Ormai non mi sorprendeva più se Quasi, o Esme o addirittura Febo, sapessero dei miei sentimenti per Clopin, oppure viceversa. Avevamo goffamente cercato di passare inosservati, in quel breve periodo fatto di sguardi languidi e gesti teneri, e invece era stato tutto inutile. Era così evidente. 
Sorrisi al mio amico campanaro, e solo allora capì che stava cercando di incoraggiarmi, proprio come aveva fatto Esmeralda qualche giorno fa, prima del gran disastro. Ero davvero fortunata ad essere circondata da tutti quei amici. Gli amici miei e del mio amato re degli zingari. Passò un altro giorno e finalmente riuscivo a vedere i primi miglioramenti. Le ustioni erano quasi guarite. Non mi davano più tanto bruciore, ma solo un lieve fastidio. Esme mi stava controllando la caviglia, e con felicità mi resi conto che non sentivo più dolore. Riuscivo ad appoggiarla al suolo, e con cautela potevo anche camminare. 
Forse ci voleva ancora qualche giorno perché tornasse come prima, e di certo non potevo fare le mie solite danze frenetiche. 
All'improvviso, una giovane donna, una delle guaritrici, entrò tutta trafelata, in cerca di Esme. Aveva un'espressione agitata.
- Esmeralda, corri! Clopin si sta svegliando! -. Appena la donna annunciò quella novità, per un attimo mi dovetti sorreggere alla mia amica. Un tuffo al cuore mi fece sussultare. Finalmente, e con tempismo perfetto direi! Io ed Esme ci guardammo con occhi colmi di gioia, e lei già sapeva cosa desideravo. Mi offrì il braccio, mi appoggiai e insieme ci incamminammo piano verso l'uscita. Mentre facevamo il tragitto, la guaritrice spiegò ad Esme che Clopin non aveva ancora aperto gli occhi, ma aveva da subito chiesto dell'acqua, con voce molto debole. Povero caro, pensai fra me e me. Si trattavano di pochi passi dalla tenda di 
Esmeralda, ma per me furono un'eternità. Intanto, il cuore batteva all'impazzata, nello stomaco aveva ripreso quel vortice di sbattiti d'ali, e nella mia mente si stava creando una scena dolce e romantica. Non avrei aspettato altro tempo, e non mi importava se ci fossero stati altri occhi e orecchie. Per me contava solo lui, e il nostro amore. Sempre se lui mi avrebbe accettata come sua degna compagna. Con calma e pazienza, arrivammo ed entrammo nella tenda color porpora. Mi resi conto che all'interno erano presenti i nostri amici, compreso Quasimodo, Febo e le guaritrici ovviamente. Esmeralda mi accompagnò fino a una branda, posta dietro al separé, in fondo alla stanza. Appena mi accomodai su un lato della branda, finalmente potei rivedere il mio giullare. Giaceva supino, con dei cuscini posti dietro alla schiena e al capo. Le braccia e le gambe erano quasi del tutto fasciate, per via delle gravi ustioni. Aveva anche qualche graffio sul viso, ma niente di serio. I suoi occhi erano chiusi, ma le palpebre sembravano lottare per potersi aprire. Sentì il suo respiro, un po’ affannato. Nella tenda regnava un silenzio incredibile. Nessuno dei presenti osava dire qualcosa. Perfino la capretta Djali non emetteva alcun verso. Tutti ci stavano dando il nostro tempo, nel pieno rispetto. Intanto, Esme era rimasta dietro di me, con una certa distanza, anche lei con rispettoso silenzio. Presi la mano destra di Clopin, e con grande emozione, cercai di chiamarlo:
- Clopin? Mi senti? - dissi, con voce calma. Finalmente, lui aprì gli occhi, e dopo tanto tempo, mi potei rispecchiare in quelle pietre oscure.
Mi sembrava ancora stordito, ma era comprensibile. Gli sorrisi, e cercai di trattenere le lacrime dalla felicità. Volevo accoglierlo senza piagnistei.
- Bentornato...- dissi dolcemente, mentre gli stringevo la mano tra le mie. Lui non mi rispose, ma rimase ad osservarmi per qualche minuto. Con molta probabilità, stava ancora razionalizzando l'accaduto, e decisi di dargli tutto il tempo.
A un certo punto, però, fece sbattere per due volte le palpebre. 
La sua fronte cominciò a corrugarsi e i suoi occhi sembravano un misto tra confusione e stupore.
- Chi...chi sei, tu?.. -.

                                                   " Hai incontrato me, e ho guardato te. 
                                                  E' cominciato l'amore. La vita cambia noi,  
                                                   cambia le cose e ora so quanto si soffre*"


Nella tenda era calato un silenzio più rigido di quello di prima. Trattenni il respiro, mentre la mia mente non era riuscita ancora a dare un senso a quella domanda. Studiai lo sguardo di Clopin; era decisamente spento, impassibile, confuso, ma con una freddezza che mi fece spaventare.
- Sono io - dissi, pensando che fosse solo una crisi momentanea. Udii al di là del separé un bisbiglio del tipo:
- Poverino, lo shock deve essere stato troppo forte -. Sì, doveva essere per forza così.
Clopin continuava a fissarmi, e faceva vagare gli occhi su ogni lineamento del mio viso. 
- Non credo...di conoscerti - disse lui, con una voce debole, ma priva di calore. Sembrava non essere più lui. E perché diceva di non conoscermi?
All'improvviso, una terribile ansia si impadronì di me, mentre lui staccò via la mano dalle mie. Che freddezza! Per un attimo, mi girai verso Esme, che anche lei del resto, sembrava stupita quanto me. Ma io non volevo cedere. Tornai a guardare il mio giullare, e cercando di stare calma, con uno dei miei migliori sorrisi, ci riprovai.
- Certo che mi conosci. Sono Roxanne -. Mentre dissi questo, avvicinai le dita al suo mento. Per via del fuoco, buona parte del pizzetto si era bruciata. Cominciai a solleticarlo come facevo di solito.
- Che fai?...Quanta confidenza! -. Fu un attimo fulmineo, ma che mi spiazzò del tutto. Con una mano aveva allontanato le mie dita, colpendole con tanto sgarbo che rimasi atterrita, con gli occhi fissi nel vuoto. Non una parola, né una lamentela, neanche un sospiro uscì fuori dalle mie labbra. Mi sentì come se mi avessero colpita in pieno petto, e avevo giusto quei pochi secondi per razionalizzare che stavo per morire, cadendo a terra come una pera. 
In quel momento, la mia amica Esmeralda mi venne incontro, evidentemente shoccata anche lei. 
- Esme!...Oh, sorellina mia...meno male sei qui - disse poi Clopin, appena vide sua sorella. Avevo la testa confusa, ma non osavo dire nulla. Esme mi sussurrò all'orecchio " Vieni con me, dobbiamo parlare ". Poi fece un cenno a una delle guaritrici e questa si mosse subito raggiungendo la branda dietro al separé. Mentre mi lasciavo guidare dalla mia amica, percepivo gli sguardi di compassione, tristezza e confusione degli altri su di me. Esme mi riportò alla sua tenda e mi fece sedere sulla mia branda personale. Ero in uno stato quasi catatonico, ma ero comunque cosciente. 
Perché Clopin non mi riconosce? Esme si sedette sul tappeto e mi guardò con aria amareggiata. Cominciai a sospettare che sapesse cosa fosse accaduto.
- Cosa gli è successo?...Non è più lo stesso Clopin che conoscevo - dissi, dando finalmente sfogo ai miei pensieri. Rivolsi gli occhi verso la zingara, come se la stessi supplicando con lo sguardo di avere una spiegazione. Esmeralda non tardò, e dopo aver fatto un lungo respiro, cominciò:
- Roxanne, speravo tanto che i miei sospetti non fossero reali, ma temo proprio che Clopin abbia perso la memoria -. Cosa? Non era possibile...
- Per essere precisi, una parte della memoria. Quella collegata agli ultimi periodi che ha trascorso...con te -. Rimasi ammutolita, mentre la mia mente si rifiutava di accettare una simile situazione. Era tutto assurdo. Mi presi la testa tra le mani e sentivo che mi stava ricominciando a girare. 
- Come è potuto succedere?...- chiesi, mantenendomi la testa con entrambe le mani. Esme si alzò e mi fece sdraiare sulla branda, per evitarmi un ennesimo mal di testa. Dopo di che, rimase seduta al mio fianco.
- Una spiegazione sarebbe che, chi ha provocato l'incendio, lo abbia colpito con qualcosa sulla nuca. Questo spiegherebbe come mai lui si trovasse lì dentro. In fondo tu stessa lo hai trovato svenuto nel carretto. Questo deve avergli provocato la perdita della memoria - mi spiegò, mentre io mi tenevo la fronte con una mano. Per me era tutto confuso e assurdo. Ma ancor di più, trovavo tutto così surreale. Non riuscivo a crederci.
- Perché...? - dissi, coprendomi il viso con le mani, esasperata da ciò che speravo fosse solo un incubo. Esmeralda cercò nuovamente di aiutarmi, dicendomi che non dovevo disperare. Clopin avrebbe magari recuperato la memoria nei prossimi giorni, quindi c'erano buone speranze che si sarebbe ricordato di nuovo di me.
- Per il momento meglio lasciarlo riposare ancora. Anche se ha ripreso conoscenza si deve riprendere e le ferite rimarginarsi. Cosi, nel frattempo, anche tu potrai avere un po’ di tempo per te stessa, e guarire completamente -. 
Riflettei un attimo su quel consiglio, e in fondo non mi sembrava così malvagio. Mi ero preoccupata per Clopin perché non si era svegliato, ma almeno adesso potevo stare più tranquilla. Il resto non era di così vitale importanza. Avrei aspettato, almeno fino a quando non si sarebbe rimesso in piedi. Decisi allora che nei giorni seguenti avrei cercato di astenermi nell'andarlo a trovare. La mia presenza, cioè quella di una perfetta sconosciuta, lo avrebbe solo agitato. Così passarono altri tre giorni, e per me fu un vero calvario. Avevo ripreso a camminare come si deve, e riuscivo a fare le mie perfette piroette. Le ustioni erano scomparse, quindi potei rinunciare alle fasce. Ciò che però era rimasto immutato era il dolore nel mio cuore. 
Ogni volta che passavo nei pressi della grande tenda purpurea, avevo un gran desiderio di entrare, anche giusto per dare un'occhiata. La cosa che mi faceva tanto soffrire, era il fatto che eravamo così vicini, ma io non potevo avvicinarmi per evitare nuovamente qualcosa di spiacevole. La mente mi riportava a quel preciso istante, quando mi aveva allontanata con la mano, come se quello che avessi fatto gli avesse procurato solo fastidio. Per questo, non osavo entrare.
"Porta pazienza, Roxanne, e vedrai che tutto si aggiusterà" dicevo a me stessa. Nel frattempo, dato che non mi era possibile lasciare la Corte dei Miracoli per un po’, avevo pur sempre il mio teatrino (e pensare che era stato Clopin stesso a farlo portare lì, dopo l'incendio alla taverna di Marcel).
Avrei potuto fare dei spettacolini per intrattenete i bambini, e così facendo mi sarei distratta anche io. Trascorsi i tre giorni, stavo riprendendo il mio solito ritmo e dopo aver messo in scena il primo spettacolo, mi cambiai, e indossati gli abiti formali, uscii dal carretto. Vidi alcune donne fare il bucato, e altre che stavano preparando il pranzo. Pensai che fosse una buona idea aiutarle. Da parte loro non volevano recarmi disturbo, ma io insistetti. 
Da quando ero diventata l'eroina della Corte, tutti erano molto gentili, e mi trattavano sempre come un'ospite d'onore. 
- Sono comunque una zingara come voi, e credo che debba fare anche la mia parte - spiegai alle donne, mentre mi sfilai i guanti e mi preparai a stendere il bucato. Ammetto che lo facevo non solo per solidarietà, ma anche per tenere la mente occupata. Tutte le zingare mi guardarono con ammirazione.
- Siete così bella, e tanto buona, Roxanne - mi disse una di loro. Era una delle guaritrici che si era presa cura di Clopin nei primi giorni. Aveva capelli castani legati in una treccia lunga, carnagione olivastra e occhi color nocciola. Doveva avere più o meno 25 anni. Si chiamava Michelle. Io le risposi con un gran sorriso di gratitudine, e la aiutai nelle faccende. Dopo aver terminato, mi invitò nella sua tenda, di un bel colore giallo oro.
Accomodandomi, vidi che non eravamo sole; su un giaciglio di paglia c'era una capra adulta, con il manto nero, le corna ondulate, e gli occhi dorati. Stava mangiando alcune foglie verdi e fresche. Nonostante fosse una capra grane e grossa, sembrava davvero dolce e mansueta.
- Lei è Topazia - mi disse Michelle, mentre si avvicinava per coccolarla, abbracciandole il collo.
La capra belò, fissandomi, come se mi stesse salutando. Che dolce.
Michelle mi chiese se desideravo un po’ di latte, e io fui lieta di accettare. Subito vidi la mia nuova amica accarezzare la pancia della capra, e quest'ultima si alzò sulle zampe. Michelle allora, prese una ciotola e mettendola sotto il ventre di Topazia, cominciò a mungerla. Era la prima volta che vedevo una cosa simile, e mi divertì ad osservare con attenzione. Una volta finito, la zingara fece scaldare il latte, e poi ci aggiunse una goccia di miele. Mi porse la ciotola e assaggiando lo trovai delizioso. Passammo un po’ di tempo chiacchierando del più e del meno, e Michelle mi parlò della sua famiglia, in cui tutti, bene o male, erano guaritori. Quel racconto, mentre lasciavo che il calore del latte mi scaldasse, mi aiutò a distrarmi e a non pensare ad altro.
Ma non durò molto, perché sentì la voce di Esmeralda e di Febo, fuori la tenda. Stavano cercando me. Appena entrarono, vidi le loro facce alquanto serie.
- Roxanne, eccoti! Vieni con noi - mi disse Esme, facendo poi un saluto col capo rivolto a Michelle. Con una certa ansia mi alzai dai cuscini.
- Che c'è? Si tratta di Clopin? - chiesi, preoccupata. Febo intervenne con aria calma.
- In effetti sì, ma tranquilla, lui sta bene. Anzi fin troppo bene - cominciò a spiegare - vuole alzarsi dalla branda e andare al piazzale per lavorare -.
Rimasi sbigottita da quella notizia. Andare a lavorare? Per un attimo pensai di aver capito male.
- Ma non è possibile! A parte la situazione, come crede di fare, dato che... - non riuscì a terminare la frase che Esme mi bruciò sul tempo.
- Che non ha più il suo carretto. Il problema è che lui non lo sa ancora -. Spalancai gli occhi. Mon Diè, ed ora? Clopin doveva assolutamente sapere la verità.
I due mi presero con loro, e mentre ci avviavamo fuori, Esme mi disse:
- Non gli abbiamo detto nulla finora per evitargli emozioni forti. Ma adesso che si è ripreso dobbiamo farlo. Anche se questo mi spezza il cuore -.
Potevo capire cosa intendeva. Anche io non avrei avuto il coraggio di dare una notizia così devastante. Durante il tragitto verso la tenda reale, mi sentì sempre più ansiosa. Quando entrammo, davanti a noi c'era il re degli zingari pieno di energie e con le poche fasce sulle braccia, che cercava di liberarsene.
- Ehi, cognato, sei arrivato giusto in tempo. Sto per tornare a lavoro. Vuoi forse scortarmi al piazzale perché temi che dei sprovveduti possano farmi la pelle?- disse lui, con il suo solito modo frizzante. Vederlo in quel modo, mi fece sentire così sollevata. Nonostante ciò che aveva passato, era in piedi e pieno di vita. Non mi importava se mi stesse ignorando completamente, ero felice di vedere che stava bene. Febo tossicchiò e prese la parola: 
- Clopin, a tal proposito c'è una cosa che dobbiamo dirti. Vedi, durante l'aggressione, le fiamme hanno distrutto completamente il tuo teatrino mobile - disse tutto d'un fiato. Mi sembrò quasi incredibile come Febo fosse riuscito a confessare senza indugi.
I miei occhi erano fissi sul re degli zingari. Aveva appena smesso di tirare le fasce e aveva un'espressione persa. Poi tutto ad un tratto, ridacchiò, e guardando Esme disse:
- Tuo marito sta scherzando, vero?  -. 
Il mio stomaco si stava chiudendo per l'ansia. Povero mio adorato.
- No, mon cherì, è tutto vero. I tizi che ti hanno aggredito, hanno dato fuoco al tuo carretto. Non si è salvato nulla - proferì Esmeralda, con voce turbata. In quel momento lessi negli occhi di Clopin l'incredulità, smarrimento, e qualcos'altro. Dolore.
Si lasciò cadere sulla branda, e mentre era seduto, fissava nel vuoto, mantenendo la testa china. Io trattenni il respiro, poi guardai Esme; portò una mano sulle labbra, e potei vedere i suoi occhi verdi colmarsi di lacrime.
Anche io ero sul punto di piangere. 
- Clopin...- disse la gitana con la voce rotta da un pianto che sarebbe scoppiato lì per lì. Ma con mia grande sorpresa, lui alzò il capo, e con un'aria calma disse:
- Suvvia che sono quelle facce?! Era solo un carretto -. Pronunciò quelle parole con una spontanea tranquillità, che quasi mi spaventò.
- Posso sempre continuare a esibirmi per le strade, come in passato. Ho ancora le gambe e non ho certo perso la voce. Quindi, niente paura! - continuò, saltellando vistosamente sul posto. Se da un lato mi sembrava davvero tranquillo, avvertivo qualcosa di strano. Ero sicura che stesse sdrammatizzando tutto.
- Ma per te era così importante... -. Quella frase mi uscii dalle labbra come in automatico. Ma era ciò che pensavo. Gli occhi di Clopin, scuri come la notte, si posarono su di me. Un tempo avrei trovato tenerezza languida in quelle perle, ma lì in quel momento, c'era solo un misto di irritazione e fastidio. La tipica espressione di chi pensa " E tu che ne sai, piccola egocentrica ficcanaso? ". Mi morsi le labbra e cominciai a sudare freddo.
- Gentile Mademoiselle - cominciò, lentamente e con tono tenue - sono lieto di sapere che nonostante non ti conosca, tu abbia tanto interesse per il mio benessere. Ma come vedi sono perfettamente in grado di gestire la situazione. Quindi ti prego di non immischiarti nelle faccende che non ti riguardano -.
I miei occhi tremarono e mi sembrò che qualcuno mi avesse dato un sonoro schiaffo. Esmeralda emise un sussulto e poi intervenne per difendermi:
- Clopin! Sappi che se non fosse per questa donna, tu... -. Ma io la fermai, facendo sentire la mia voce seria.
- Non importa Esmeralda...ha ragione -. Avevo abbassato lo sguardo e non riuscivo a guardare nuovamente Clopin negli occhi. Tanto sapevo cosa pensasse di me. Per lui, ero solo una zingarella straniera, sbucata fuori dal nulla, così presuntuosa nel andare a dire in giro che era amica stretta del re dei gitani. Senza dire altro, mi voltai, e uscii dalla tenda. Senza badare al resto, cominciai a correre senza fermarmi. Appena arrivai al mio carretto, posto in un angolo, mi chiusi dentro, e cominciai ad ansimare. I miei occhi vagarono nello spazio, così buio e silenzioso. Ma la mia mente, plagiata dai sentimenti che provavo, mi fece vedere tutt'altro. Su quei cuscini, posti sul tappeto color vinaccio, rivedevo una me stessa tra le braccia di Clopin.
Lui mi cullava come avrebbe fatto con una bambina indifesa. E con parole colme d'affetto, mi sussurrava
" Posso tenerti con me? ". E allora non riuscì più a trattenermi.
Corsi e mi gettai in mezzo a quei cuscini, scoppiando in un pianto liberatorio.
Signore, perché mi hai fatto questo?
Perché mi hai donato una cosa così bella, e poi me l'hai tolta ancor prima di poter essere felice?
Clopin, non riuscirà più a ricordarsi di me. Mai più...
Piansi a dirotto per tanto, tanto tempo. Non avevo mai pianto in quel modo in vita mia. Nemmeno quando la mia povera madre morì e una parte di me se ne era andata. Forse perché, anche in quel momento, avevo perso un pezzo della mia anima. Passò il tempo, e quando non ebbi più lacrime da versare, mi sentì stremata e rimasi su quel tappetto, stringendo al mio petto un cuscino. " No, non voglio perderlo. Non posso e non voglio " mi dissi dentro il cuore. Gli occhi gonfi si chiusero e sentivo che presto il sonno mi avrebbe trascinata con lui. E nei miei sogni stavo rivivendo tutti gli istanti di gioia vissuti con il re del piazzale.


                                                        "È triste che le farfalle di felicità 
                                                               non volino più tra noi.
                                                          Ascolta il cuore e le sentirai.
                                                       Se mi manchi guardo lo specchio dei ricordi
                                                               e ti vedo col sorriso.
                                                               Il nostro primo bacio, 
                                                           eri timido ma me l'hai dato 
                                                         con brividi sulla pelle, e lo sai 
                                                    che nessuno non ti ruberà mai il ricordo di me*"


Per tutto il resto della giornata, nessuno rivide la violinista nei paraggi della Corte. Roxanne era chiusa nel suo teatrino, a fare sogni e a coltivare speranze. Risvegliandosi, si asciugò il viso e con fermezza si fece una promessa. C'è un tempo per piangere, ma anche un tempo per rialzarsi. C'è un tempo per sfogarsi e un tempo per reagire. Lei avrebbe reagito. Clopin le aveva insegnato di essere determinata nelle sue scelte, di combattere per ciò che desiderava. Quindi, avrebbe fatto di tutto per fargli tornare la memoria. Anche a costo di farsi odiare, non si sarebbe arresa. Sarebbe riuscita a riavere indietro il suo re dei giullari, e avrebbe portato a termine il suo sogno d'amore. Lo giurò in nome della sua famiglia, i gitani della falce lunare.
Strofinò quel monile a mezzaluna tra i polpastrelli, e pronunciò quella promessa con la voce dell'anima.   
  

Angolo dell'autrice:
Buonasera! Ecco un altro capitolo appena sfornato, e con tutto questo caldo direi XD Comunque...non so se sopravvivrò dopo questo, perché credetemi, non era nei miei piani la perdita della memoria di Clopin ^^'''. Ma poi mentre scrivevo il capitolo precedente mi son detta " ci vuole qualcosa di mooolto tragico, almeno per spezzare tutto questo romanticismo smielato" inoltre è anche un ottimo modo per aprire una nuova fase della storia; dove Roxanne dovrà cercare di far tornare i ricordi a lui, e sarà come un nuovo modo per conoscersi, approfondire il loro legame e scoprire molte cose dell'una e dell'altro che non hanno riscontrato prima. E nel frattempo, dovranno vedersela con questa banda di malfattori. Quindi... per chi sperava già in un bel finale dove i due giullari si sarebbero dichiarati e non so, sposati, perdonatemi ma dovrete aspettare ^^''' Vedrete, le cose si faranno più interessanti <3 Ce la farà Roxy a far tornare i ricordi al suo amato Clopin? 

Nota: Quei versi al centro del capitolo sono parte di una canzone - Lo specchio dei ricordi - di Gosia Andrzejewicz, una cantante polacca. E vi giuro, avevo prima scelto il titolo (perché volevo qualcosa che rispecchiasse la situazione e il desiderio di Roxanne di far riaffiorare i ricordi di Clopin) poi ho scoperto che in effetti esiste questa canzone, e ascoltandola mi son resa conto quanto parlasse dei sentimenti della nostra protagonista ** 
Coincidenze? Io non credo XD Comunque andate su you tube e cercate questa canzone, è molto bella e poetica, adatta a Roxanne.
                                     

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Capitolo 11
*** Una maschera per il Re ***


                                                                                     Una maschera per il Re

Era strano. Troppo strano, svegliarsi di buon' ora, e invece di udire il dolce cinguettio dei passerotti, o avvertire il buon profumo di pane caldo, trovarsi in un tipo di realtà ben diversa. Dentro al suo carretto, posto in un angolo, nella Corte dei Miracoli, la bella Roxanne si stava preparando con calma. Fuori le arrivavano le risate dei primi bambini appena svegli, che giocavano nei dintorni. Attraverso le fessure della finestrella arrivò un profumo invitante di pasticci, spezie come zenzero e curcuma, e stufato di verdure. "In fin dei conti, non è poi così diverso " pensò la giullare, constatando che quei suoni e profumi avevano qualcosa in comune con quelli che aveva sempre avvertito, lì nel piazzale. Doveva solo abituarsi meglio a quella situazione. Ma le mancava tanto quella sensazione di libertà, di vivere all'aria aperta, protetta all'interno di un semplice teatrino mobile. 
Roxanne capiva che non era possibile. Almeno non in quel periodo. Forse, un giorno le cose sarebbe cambiate, e tutto sarebbe stato come desiderava.
Già, tutto... 

PV. Roxanne

Prima di sistemare la solita acconciatura, mi pettinai i capelli corvini, e notai che erano cresciuti molto. Mi arrivavano ormai oltre l'orlo della gonna in tulle, quindi dovevano misurare 1.20 cm. Ricordai quante volte, da bambina, facevo i capricci mentre mia madre cercava di pettinarmi, ma io gridavo ad ogni singolo nodo che si incastrava nel pettine. Sorrisi con gran nostalgia, rivedendo l'immagine di mia madre, così bella e paziente. Mentre annodavo e sistemavo l'acconciatura, aiutandomi con pinze e nastri, ripensai alle parole di Esmeralda. Esattamente la sera prima, quando venne a trovarmi per sapere come stavo, dopo tutto quello che avevo passato... per Clopin. Mi disse che aveva cercato di parlargli, ma lui sembrava ancora diffidente nei miei confronti. La cosa mi fece rattristare, ma capì che per prima cosa, dovevo avere un contatto con lui. Un modo per restaurare l'inizio di un rapporto, di una nuova conoscenza. L'unico problema era come metterlo in atto. Esme ci pensò su per un po’, poi i suoi occhi, verde smeraldo, si illuminarono e mi sorrise.
- Ho in mente un piano - disse lei, trionfante. Non mi anticipò nulla, ma mi disse solo che il giorno dopo mi sarei dovuta far trovare nella sua tenda. Il resto sarebbe venuto da sé. Ed eccomi lì, pronta per uscire dal carretto. Dopo aver applicato il mio prezioso orecchino con la mezzaluna, aprì la porta sul retro, e uscendo mi avviai a buon passo verso la mia meta. Entrando nella tenda, vidi la mia amica sistemare qualcosa in un foglio di carta. Quando si accorse della mia presenza, lei mi venne incontro, e con serenità mi diede il buongiorno. Mi offrì una tazza di latte (di certo quello di Topazia, la capra di Michelle).
Mentre facevamo colazione insieme, io mi chiedevo cosa stesse tramando Esme. Perché era così rilassata? 
- Esmeralda, dov'è Clopin? - le chiesi, senza giri di parole. Lei, per rassicurarmi poggiò affettuosamente la mano sulla mia.
- Tranquilla. Sarà qui a momenti - mi rispose, con una certezza che mi lasciò allibita. Ma ad un tratto sentì dei passi che si avvicinavano. Il re degli zingari fece il suo ingresso, disinvolto e pieno di energie. Per un attimo, il cuore si fermò e mi stava andando di traverso il latte che stavo bevendo. Notai che aveva dei vestiti che non avevo mai visto prima.
Probabilmente quelli vecchi erano ormai inutilizzabili. 
- Bonjour, mon petit, dormito bene? - salutò sua sorella. Quando girò il capo verso di me, la sua espressione cambiò, in un misto di sorpresa e disagio. Avrei voluto dire qualcosa, ma mi limitai a chinare il capo come gesto di saluto. Che situazione pesante! Lui fece lo stesso, senza dire nulla.
Oh, Clopin, mi manca così tanto quel tuo modo di trattarmi, giocoso e tenero, ogni volta che mi donavi le tue attenzioni...
Infine, lui si rivolse di nuovo alla zingara seduta di fronte a me. Sembrasse avere una certa fretta.
- Bene, Esme, io sono pronto ad andare. Eh lo so, tuo marito mi ha già fatto una testa così con le sue raccomandazioni. Conosco bene la situazione che stiamo vivendo, ma proprio per questo devo uscire dalla Corte - iniziò lui, con fermezza. Proprio come mi aveva accennato Esmeralda, Clopin era intenzionato a tornare al piazzale di Notre Dame, per riprendere i suoi spettacoli. 
- Ricordati che io sono pur sempre il re degli zingari, ho dei doveri verso la nostra gente, e la responsabilità di questo posto. Inoltre, non posso abbandonare i miei piccoli spettatori, mi staranno aspettando. Perciò, Esme cara, se mi vuoi bene non tentare di fermarmi - terminò lui, intrecciando le braccia al petto. Esmeralda rimase ad ascoltarlo, senza cercare di obiettare. Infine annuì, come segno di approvazione e disse:
- Hai ragione, Clopin. Tu sei il re, e non possiamo ostacolare i tuoi piani. Poi non c'è da preoccuparsi, saprai comunque cavartela alla grande - detto ciò, Esme si alzò dalla sedia e prese il fagotto che stava preparando poco fa. Il giullare saltellò entusiasta.
- Oh, grazie, sorellina, sapevo che mi avresti capito - fece lui - allora, hai con te quello che mi serve? - chiese, con una certa impazienza. La zingara stringeva quell'oggetto a se, ma invece di porgerlo a suo fratello, lo strinse ancora di più e fece una smorfia.
- Aspetta un momento. Se ci tieni così tanto, devi accettare una condizione - annunciò lei, con tono serio - Che andrai a lavorare insieme a Roxanne -. Per un attimo credetti di essermi sognata tutto. Spalancai gli occhi e vidi che anche Clopin era stupefatto quanto me. Esme, ma cosa stai facendo?
- Cosa? Ma, Esmeralda perché dovrei? Spiegamelo - fece lui, e per un attimo i nostri sguardi stupiti si incontrarono. Esme, intanto, aveva già assunto la posa tipica della sorellona contrariata. Appoggiò la mano libera sul fianco ed ebbe un'espressione corrucciata.
- Perché, mio caro re, ti ricordo che sei rimasto senza il tuo carretto. Come pretendi di andare a lavoro come al solito? Potresti anche esibirti in mezzo alla strada con quel poco che hai, ma non sarebbe da te. Sbaglio o sei anche l'orgoglioso re del piazzale? -.  Esme fece una pausa, mentre lui si strofinava il collo con una mano. Sembrava che davanti a quella verità si sentisse un po’ umiliato. Ma la mia amica si ammorbidì e aggiunse.
- Ascoltami, Roxanne ha un carretto tutto suo. Potresti usarlo per esibirti per bene, e lei potrebbe farti da assistente. Mi sembra uno scambio equo. Inoltre posso confermarti che lei ha un gran talento, ti basta pensare che mi ha sostituita alla festa dei folli. Quindi che ne pensi? -. Clopin rimase in silenzio, come se stesse ponderando la sua decisione. In cuor mio stavo sperando in una risposta positiva. Poi lui, alzò gli occhi in alto, sospirò e disse:
- Come potrei dire di no, alla bella e saggia principessa della Corte -. Esmeralda, soddisfatta di quella risposta, gli cedette finalmente il pacchetto, e gli diede una tiratina affettuosa alla guancia destra. Ero così felice che avrei voluto gridare. Ma appena vidi Clopin avvicinarsi, scattai in piedi e dopo avermi osservata, mi porse una mano coperta dal guanto.
- Beh, spero allora che non sia un problema per te...ehm, Roxanne? - disse lui, un po’ titubante. Quella fu la prima volta, dopo giorni e giorni, che pronunciava nuovamente il mio nome. Non era esattamente come lo avevo immaginato, ma ero troppo di buon umore per vedere il bicchiere mezzo vuoto.
- Assolutamente. Sarà un onore per me - gli risposi, stringendogli la mano. Era un inizio scialbo, ma pur sempre un inizio. Le mie pupille si spostarono di poco e notai Esmeralda che mi faceva l'occhiolino. Mi era tutto chiaro. Grazie a lei, avevo ottenuto il modo per riavvicinarmi al mio amato. E capì anche il motivo per cui non mi aveva spiegato il piano; se Clopin avesse sospettato di qualche mia partecipazione, non avrebbe mai acconsentito alla condizione. Esme, la mia migliore amica, era davvero bella, saggia e molto furba. Il viaggio verso il piazzale fu un vero mortorio. Per tutto il tempo non ci scambiammo parola, e ci limitammo a camminare l'uno accanto all'altra, a una certa distanza. Io avevo cercato di rompere quel silenzio, ma ogni volta mi mordevo le labbra, e tacevo. Era come se avessi paura di parlare, di dire qualcosa fuori posto. Appena arrivammo a destinazione, il mio teatrino era al suo posto, come se fosse apparso per magia. Clopin, dopo tutto quel silenzio, mi spiegò che ci avevano pensato i suoi sottoposti a portarlo lì. Dopo aver congedato i suoi uomini con una piccola ricompensa, per aver fatto la guardia mentre ci attendevano, non perdemmo tempo ed entrammo nel carretto. Lui si guardò attorno, e io non potei fare a meno di ricordare quel giorno, in cui avevo ospitato il re dei giullari nella mia dimora.
- Niente male, questo posticino - fece lui, mentre esaminava un cesto colmo di pupazzetti fatti con varie stoffe. Sì, Clopin, quello è lo stesso cesto dove hai frugato quella mattina, lo stesso giorno che con dolcezza mi avevi confessato quanto temessi per una mia improvvisa scomparsa. Un mezzo sorriso si allungò sul mio viso, beandomi momentaneamente di quel ricordo. Ma presto dovetti tornare alla realtà, perché si stava facendo tardi, e Clopin voleva incominciare il prima possibile. Rimasi piacevolmente sorpresa quando mi diede la precedenza per cambiarmi d'abito, e uscì dal carretto per lasciarmi in piena privacy. 
Anche quel gesto mi fece ricordare il passato. Tutti quei modi gentili, che lo rendevano un perfetto gentiluomo. Mentre lui aspettava fuori, ed io indossavo il costume, stavo riflettendo in quale modo potevo far riattivare i suoi ricordi. Ora che ci trovavamo a lavorare spalla a spalla, dovevo approfittarne e agire. Mentre mi specchiavo, studiando ogni dettaglio del mio abbigliamento, ebbi l'idea. Se mi avesse visto con quel costume avrebbe incominciato a ricordare, magari proprio quel giorno alla festa dei folli. Non era proprio un granché, ma dovevo comunque provarci. Richiamai l'attenzione del mio socio, bussando alla porta per avvisarlo che ero pronta. Lui entrò e rimase per un attimo a fissarmi. Sentì il cuore galoppare, come un cavallo selvaggio che corre lungo la prateria. Senza dire nulla, si avvicinò e le mie gambe cominciarono a tremare. Ti prego, fa che si ricordi di me...dissi a me stessa. Ma lui era rimasto immobile, e strofinandosi il mento disse semplicemente:
- Curioso...-. Non mi aspettavo un commento simile, e le mie gambe si irrigidirono, mentre l'ansia mi stava logorando all'interno.
- Cosa? Cosa c'è di curioso? - domandai, e pregai che il mio intento fosse andato a buon fine. Lui mi guardò negli occhi per un attimo, per poi rispondere:
- No è che...è la prima volta che vedo una donna nelle vesti di giullare. Mi incuriosisce - mi spiegò. Mi sentivo strana e confusa. Non riuscivo a capire cosa Clopin volesse dire. Quella frase era una sorta di complimento, oppure no? Era ammirazione o una velata indifferenza? Non riuscivo a decifrarla. Ben presto mi trovai fuori dal teatrino, ad aspettare che il mio collega si cambiasse. Non va bene. Non va affatto bene. Dissi a me stessa, pensando a quanto fosse difficile. Forse avevo bisogno di più tempo. Non dovevo essere così impaziente. In fondo, la mente non è uno scrigno dove poterci mettere qualsiasi cosa per riempirlo e dargli un ruolo. La mente umana è molto più complessa. Mentre pensavo a ciò, avvertì un lamento e un tonfo all'interno del carretto. Senza pensarci due volte, spalancai la porta e vidi Clopin, col suo costume nuovo, per terra a gambe all'aria. Sbigottita mi precipitai verso di lui.
- Cosa è successo? - gli chiesi, mentre cercavo di aiutarlo a rimettersi in piedi mentre si massaggiava il fondo schiena.
- Ahi ahi, stavo provando qualche movimento per testare il costume, ma sono inciampato su queste scarpe nuove -.
Il giullare fece una smorfia, e si mise davanti allo specchio posto a un lato del carretto. Intanto, mi accorsi che sul pavimento c'era il foglio giallastro che Esme aveva usato per impacchettare quel misterioso dono.
 - Vorrei tanto sapere cosa aveva in mente Esme mentre cuciva questo...coso - disse lui, mentre fissava la sua immagine allo specchio. All'inizio non capì quale fosse il problema, ma quando me ne accorsi, ebbi l'impulso di sorridere. Approfittando della perdita del suo costume da giullare, bruciato insieme al carretto, Esme gli aveva cucito un costume nuovo, stesso modello e stessi colori. L'unica differenza era la fantasia a rombi e a linee verticali. Proprio come il mio. Anche quello era opera tua, vero amica mia? Faceva tutto parte del suo piano per farci riavvicinare. Lui sbuffò, ma io lo rassicurai con dolcezza.
- Suvvia, almeno abbiamo i costumi abbinati, dato che da oggi saremo colleghi. E devo ammettere che i rombi ti donano molto -. Cercai di essere più spontanea possibile, e lui mi donò finalmente uno sguardo genuino. Era sorpreso, ma anche un po’ imbarazzato. Infatti, dietro a quella mascherina color fucsia, ero certa che si celasse un lieve rossore. Finalmente stavo riuscendo ad abbattere quel muro di diffidenza che ci teneva lontani.
- Beh, alla fin fine è solo un costume - disse, guardando altrove. Quella situazione mi fece sperare che nonostante avessimo iniziato col piede sbagliato, con calma e dolcezza, sarei riuscita a farlo sciogliere. Dovevo solo non angosciarmi ogni volta che lui sembrava freddo e distaccato. 
- Su, ora che siamo pronti, meglio metterci a lavoro, altrimenti si farà notte - mi avvisò, sistemandosi meglio il cappello blu cobalto, con la piuma dorata che svolazzava ad ogni suo movimento. Non vedevo l'ora di iniziare. Avremo fatto di sicuro un gran spettacolo. Se solo fosse stato così semplice. Praticamente non riuscimmo a metterci d’accordo sul tema e sul modo di rappresentare la scena. Lui insisteva nel volere una storiella d'avventura con accenni
comici. Io preferivo un racconto fantastico, con tanto di morale e accompagnata dalle note del mio violino. La finestrella del carretto era già aperta da un pezzo, ma noi eravamo lì, a discutere ancora sulla questione. Alla fine la faccenda degenerò e arrivammo a questo:
- Sono io il re del piazzale, quindi dico che è meglio la storia d'avventura! - fece lui, gonfiando il petto come un piccione spennacchiato.
- E il carretto è mio! Quindi vediamo di metterci d’accordo - dissi, che non voleva assolutamente litigare, ma nemmeno cedere ai suoi capricci. Devo dire che nonostante tutto, il suo lato da bambinone stranamente non era andato in fumo, ed era rimasto intatto. Ricordavo quanto fosse più semplice collaborare con lui, come quella volta quando mi ero offerta di aiutarlo nell'esibizione. Ma in quell'occasione era tutto diverso. Stavamo continuano a discutere e non ci rendemmo conto che stavamo praticamente dando spettacolo, perché sotto al davanzale si erano riuniti il solito gruppetto di pargoli. 
Alcuni di loro, che conoscevano bene Clopin, cominciarono a gridare a squarciagola:
Quei piccoli, vispi e adorabili marmocchi, stavano letteralmente donando il loro calore e affetto al giullare della piazza, il cui volto si illuminò, quando si accorse di quella inaspettata accoglienza. Lo vidi allargare le braccia, sporgendosi il più possibile dal davanzale, per poter stringere le manine e donare qualche abbraccio al suo pubblico adorato. Eccolo! Eccolo qui il mio Clopin, quello che sto cercando e che ho sempre amato. Lo zingaro che non faceva il buffone per arricchirsi, ma per donare tutta la felicità ai bambini di Parigi. Mentre mi beavo di quella commovente scena, uno dei bimbi più grandi mi disse:
- Ehi, Roxanne, cosa stavate facendo? Era l'inizio di una commedia, quella di poco fa? -. Feci un sorriso nervoso, mentre Clopin sembrava non aver capito.
- Ma che dici? - fece un altro bambino, accanto al primo - era ovvio che stavano litigando. Cose da fidanzatini, sai -. Ebbi quasi un sussulto, e mi girai di scatto verso il giullare. Oh, Mon Diè, perché i bambini sanno essere così diretti?! Pensai, mentre vidi il viso di Clopin tramutarsi in una espressione confusa.
- Fidanzatini? - chiese Clopin. Ero sul punto di intervenire, ma una bambina, la più piccola del gruppo, pronunciò:
- No, non è vero! Roxanne sposerà petit Clopin, ve lo ricordate? - fece con una vocina dolce e piena di innocenza. A quella frase mi venne da ridere. Invece il mio collega era visibilmente basito. Si girò verso di me, con una faccia che diceva " ma cosa hanno mangiato a colazione?
Prima che la situazione degenerasse, mi porsi in avanti, allargando le braccia e afferrando i pomelli delle porticine della finestra.
- Bene, bene, piccoli, vi ringraziamo di essere venuti a trovarci, ma oggi faremo una pausa. Se non ci troverete oggi pomeriggio, vi attenderemo domani mattina. A bientot! -. Forse ero stata troppo affrettata, ma dovevo assolutamente fare qualcosa. Sospirai, mentre udì le vocine dei bimbi che ci salutavano e ci pregavano di tornare presto. Che sollievo, pensai. Ma quando mi girai, vidi Clopin proprio davanti a me. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio. Fu così improvvisa la sorpresa, che stavo quasi per saltare in aria, come un gatto colto alla sprovvista. Mi stava osservando con occhi indagatori, e mi sentì piccola piccola.
Perché mi stava guardando in quel modo? Con tono serio, ma anche un po’ canzonatorio mi chiese:
- C'è per caso qualcosa che dovrei sapere? -. Portò le mani ai fianchi, e il suo alito arrivò a sfiorarmi le labbra. Se avessi ascoltato la mia parte impulsiva, lo avrei baciato, lì all'istante. Lo desideravo tanto. Inghiottì il nodo che avevo in gola, e con una certa disinvoltura mi limitai a rispondere:
- Oh, no, niente -. A dire il vero, sì, mio caro Clopin! Ci sono tante cose che dovresti sapere, ma che purtroppo non ricordi più. 
- E allora, come mai poco fa i bambini ci hanno definito " fidanzati " ? - mi chiese, con aria sospetta. Vaglielo a spiegare, adesso! Forse avrei dovuto cogliere la palla al balzo, e confessare semplicemente che stavamo insieme. Ma non sarebbe stata certo la verità. Noi due non ci eravamo dichiarati, e prima del disastro, eravamo ancora due amici molto intimi, che avevano scoperto di provare attrazione l'una verso l'altro. Ma non potevamo definirci fidanzati. Inoltre, anche se ci avessi provato, Clopin avrebbe capito che stavo mentendo. Mi stava mettendo alla prova, forse? Mi sforzai di sorridere.
- Sai, come sono fatti i bambini. Viaggiano spesso con la fantasia - terminai, mentre mi mossi per potermi allontanare dal suo sguardo. Ma lui mi fermò, bloccandomi con una mano contro la porticina del davanzale. In quel modo, era in trappola.
Il cuore riprese a battermi fortissimo.
- Sai, io sono un grande osservatore. Ho imparato a studiare ogni singolo gesto delle persone. Quindi, so benissimo quando qualcuno mi sta nascondendo qualcosa -. La sua voce era calda e profonda. Sarebbe stata una dolce musica per le mie orecchie, se non fosse stata anche così seria. Clopin aveva forse capito tutto? Il pensiero di dovergli confessare ciò che provavo per lui, in quel modo forzato, non mi piaceva affatto. O forse, non era poi così male, magari sarebbe stata l'occasione giusta per fargli tornare la memoria. I suoi occhi, neri come il carbone, mi scrutarono, e mentre le gambe 
ricominciarono a tremarmi, lui riprese.
- Dimmi solo una cosa, Roxy... -. Eh, Roxy!? Come gli veniva in mente di storpiarmi il nome?
- Roxanne! - precisai, un po’ infastidita. Il giullare chinò poco la testa, in segno di scuse.
- Certo, Roxanne. Dimmi una cosa -. Stavo sudando freddo, ma ero pronta ad affrontarlo, quindi non staccai lo sguardo dal suo.
- Io e te...siamo stati a letto insieme? -. Un attimo di silenzio, che sembrò interminabile, calò su di noi. Avvertivo solo il mio cuore, che dopo una spaventosa corsa accelerata, sembrava che si fosse fermato di botto. Il mio cervello stava analizzando quella domanda, cercando di capire se fosse vera oppure un semplice scherzo della mia già provata sanità mentale. No, non ero pazza. E solo in quel momento, razionalizzando tutto, la mia voce si fece sentire.
- Ma sei cretino?! - lo spintonai, non preoccupandomi di aver usato troppa forza. Clopin agitò le braccia per non cadere all'indietro, e riuscì a mantenersi in equilibrio. Mi guardò esterrefatto, e allora aggiunse:
- Scusami, ma sai, Esme mi ha detto che ci conosciamo già dal giorno della festa dei Folli e che tra noi c'è stata intesa. Poi quella scenata di poco fa da parte dei bambini... - cominciò a giustificarsi, come un bimbo sorpreso a fare qualche marachella - Dato che non ricordo nulla, ho pensato che tu...-.
Non gli diedi neanche il tempo di continuare. Ma prima di uscire dal carretto, con la faccia paonazza, ebbi la forza di gridargli: 
- Assolutamente no! Non ci sono stata e non entrerò mai nel tuo letto! -. Dicendo così, spalancai la porta sul retro e mi fiondai fuori. La faccia mi bruciava, e sentivo la vergogna uscirmi da tutti i pori. Come gli era venuto in mente? Tra tante domande che poteva farmi, proprio quella doveva scegliere. Una cosa che non potevo tollerare, era che il re del piazzale mi potesse vedere come una sua vecchia fiamma, una donna con cui aveva condiviso poche ore per poi tornare alla solita realtà, come se niente fosse accaduto. Considerarmi una delle sue tante amanti passeggere. Non lo avrei sopportato. E pensare che stava procedendo così bene, non benissimo, ma stavamo sulla buona strada. La mia reazione doveva sembrare esagerata, ma davvero non potei farne a meno. Passai parecchie ore in giro per Parigi, senza fare nulla di particolare, e senza una metà precisa. Non avevo voglia di tornare da sola alla Corte dei Miracoli, e non volevo nemmeno andare da Quasimodo per lamentarmi di quello che era successo. Era troppo imbarazzante. Diamine, a letto insieme? Non sapevo nemmeno com'era farlo, figuriamoci...no, no basta, devo smetterla di pensarci! Va bene, lo dovevo ammettere. In fondo non ero una santa. Avevo detto " non entrerò mai nel 
tuo letto" ma solo perché ero fuori controllo. Quindi, non è che il pensiero non mi avesse mai sfiorato minimamente. Molte volte, infatti, quando ci eravamo trovati in momenti particolari, avevo avuto l'impulso di lasciarmi andare, proprio perché si trattava di lui. Ma desideravo arrivare al quel traguardo sapendo che c'era un legame profondo e sincero tra noi. Non per semplice lussuria del momento. Eh, no, per quanto fossi tentata, non sarei caduta così in basso. Appena si fece pomeriggio inoltrato, e mi ero schiarita le idee, decisi di tornare al carretto. Mi sentivo una stupida per quel che era accaduto. Ma non me ne pentivo, e a 
dire il vero, era lui che doveva chiedermi scusa. Quando ebbi il coraggio di entrare, scoprì che Clopin non era lì. Il carretto era vuoto. Strano. Mi diedi un'occhiata in giro, e notai un foglietto di carta colorata, inchiodato su una delle porticine del davanzale. Lo presi e lessi il contenuto. 
" Cara collega, sono andato a bere ". Davvero? Perfino in un momento simile, se ne andava in giro a ubriacarsi?
Pensai, mentre scossi la testa contrariata.
Comincia a chiedermi dove fosse andato. La taverna di Marcel era distrutta, e avevo saputo che ci avrebbero messo ancora del tempo per ricostruirla. I miei pensieri furono interrotti da un bussare sulla porta. Una voce d'uomo familiare risuonò all'interno.
 
PV Febo 

- Permesso? C'è nessuno? -. 
Dopo la dura giornata di perlustrazione, dando ordini ai miei soldati, mi ero ricordato che dovevo passare al piazzale per scortare Roxanne alla Corte dei Miracoli. Esmeralda mi aveva mandato un messaggio spiegandomi la situazione, aggiungendo che era riuscita perfino a riunire i due giullari nello stesso carretto. La cosa non mi stupì: mia moglie riusciva sempre a ottenere ciò che voleva, e perfino Clopin non poteva svincolarsi dal volere della sorella. Avevo sposato una donna fantastica.
- Roxanne, mia cara, sono qui per scortarti alla Corte. Non è sicuro tornare da sola, lo sai bene - dissi ad alta voce e appena vidi la zingara le feci segno di uscire fuori. Notai che aveva ancora addosso il suo costume da giullare. Quando mi fu vicina, ebbi l'impressione che la sua mente fosse altrove. Mi chiedevo se le cose tra lei e Clopin stessero filando lisce. Roxanne era una brava ragazza, oltre a essere bella, e dovevo essere sincero; dal primo momento in cui l'avevo vista insieme a mio cognato, fui certo che insieme formassero una bella coppia. Tra le tante donne che avevo visto accompagnare Clopin, lei era senza alcun dubbio la dama che meritava di stare al suo fianco. 
- Febo, tu sai dove Clopin va a bere, specialmente ora che Marcel non ha più la sua taverna? - mi chiese all'improvviso la violinista. Quella domanda mi lasciò per un attimo interdetto, ma capì subito. Conoscendolo, ero certo che mio cognato fosse andato in qualche locanda di basso borgo per affogare lo stress nell'alcol. 
- Credo che andrebbe al "Il focolare del re" -risposi, e il mio cavallo Achille sbuffò, come a voler dimostrare il suo dissenso. Anche a lui non piaceva quel posto. Roxanne mi sorrise e si fiondò nel teatrino, per recuperare un mantello. Non so, avevo un brutto presentimento. Quando infine mi rivelò che voleva dirigermi a quella locanda, le dissi in tono serio:
- Quel posto non è adatto per te -.
Non conoscevo le ragioni, ma non potevo permettere a Roxanne di esporsi ad altri pericoli. Aveva già rischiato troppo.
- Ti prego, Febo, ho bisogno di vederlo. Oggi non abbiamo avuto un primo giorno di lavoro sereno...e, abbiamo avuto un piccolo diverbio... -. 
Era la prima volta che si confidava con me, e mi sentì strano. In fondo, non avevamo un'amicizia così stretta. Ma i suoi occhi colmi di supplica mi disarmarono senza lasciarmi la possibilità di obiettare. Quella gitana doveva amare davvero tanto Clopin, e avrebbe fatto qualunque cosa per lui, e per riaverlo al suo fianco. Sospirando, montai a cavallo, e porsi la mano alla giullare. 
- Su, lascia almeno che ti accompagni, così sono sicuro che non correrai rischi - dissi, donandole un sorriso rassegnato, ma gentile. Con entusiasmo, lei afferrò la mia mano e con agilità, prese posto sulla sella davanti a me.  
Prima di partire, diedi ordini alle guardie di restare nei pressi del carretto, fino al mio ritorno. Dopo quello che era successo al teatrino di Clopin, non era più sicuro lasciare incustoditi altri carretti in giro per la piazza. Infine, spronai Achille al trotto, e con il rumore degli zoccoli sulla pietra, ci dirigemmo al di là del piazzale, in un labirinto di viottoli e vicoli bui. Appena arrivammo a destinazione, aiutai Roxanne a scendere, e per essere sicuro, la accompagnai anche all'interno della locanda. Il focolare del re, era decisamente una bettola, a differenza della bella taverna di Marcel. Nella piccola e angusta sala, c'era un po’ di folla, ma riuscimmo comunque a trovare facilmente il nostro uomo. La piuma dorata del suo cappello era visibile anche da lontano. A quel punto potevo ritirarmi e lasciare la violinista, che mi ringraziò col sorriso sul volto. 
- Buona fortuna! - le augurai, e mi congedai da lei con un baciamano. Appena chiusi la porta, salì in sella, pronto per ritornare al piazzale.
- Speriamo in bene, Achille, vecchio mio - dissi, accarezzando il collo del mio fedele destriero, per poi agitare le redini e ripartire. 
 
PV Roxanne
  
Prima di avanzare, mi feci coraggio, e mi avvia facendomi largo in mezzo alla folla. E ora cosa gli dico? Mentre mi chiedevo ciò, i miei occhi riuscirono a vedere non solo il profilo del mio giullare, ma anche quello di una donna. Una tipa provocante era seduta proprio accanto a lui. Con uno scatto felino, mi allontanai e nascosi il capo nel cappuccio del mio mantello. Mentre presi posto su un logoro sgabello, al bancone, cercai di spiare quei due. Chi era quella? Mi domandai, e una sensazione sgradevole mi salì dalle viscere. Come mi faceva rabbia, vedere quella donnetta, con i suoi occhioni azzurri e i capelli biondi, fare la civetta col mio Clopin! Era di certo una bella donna, ma alquanto 
volgare, pari a una prostituta di basso borgo. Chi era, un'altra delle sue dame da passatempo?! Grrr. Nell'aria della locanda, c'era un forte odore di alcool, ma ero troppo occupata per badarci. Ad un tratto, avvertì la presenza di qualcuno, dietro al bancone. Infine una voce profonda mi disse:
- Cosa le porto? -. Senza voltarmi, risposi con riluttanza, continuando ad osservare quella scena a pochi metri da me.
- Un doppio Sherry!...-. Ma il locandiere che mi aveva accolto, mi fece sobbalzare quando pronunciò il mio nome.
- Roxanne? Che ci fai qui? - disse pieno di stupore l'uomo senza volto e senza nome. Quel timbro di voce non mi era nuovo. Mi voltai e vidi il faccione di Marcel, a pochi centimetri da me. Spalancai gli occhi, e dopo essermi accertata che fosse lui, esclamai a voce bassa:
- Marcel?! -. Il mio amico mi spiegò in poche parole, che nel mentre la sua taverna veniva ricostruita, aveva chiesto a suo cugino, il proprietario della locanda, di assumerlo. Non poteva certo permettersi di rimanere disoccupato, e di soldi gliene servivano, eccome.
- Sai, inizialmente non ti avevo riconosciuta. E' la prima volta che ti vedo nelle vesti da giullare - mi spiegò, e in effetti non gli davo torto. Alla fine, per spiegargli il motivo della mia presenza, gli raccontai brevemente cosa era successo. Marcel aveva saputo dell'incendio, ma non era a conoscenza della perdita di memoria del suo amico gitano. Diede un'occhiata alla coppietta in fondo, e intuì cosa mi passasse per la testa.
- Mon ami, sono così dispiaciuto. Vorrei tanto poterti essere d'aiuto - mi disse, mentre si tormentava le mani. Della schiuma bianca, che era caduta dall’oscillare di un boccale di birra, stava scorrendo lungo il bancone. Nella mia mente si presentò un'idea. Sorridendo, mi rivolsi al mio amico, sussurrandogli all’orecchio: - In realtà, c'è qualcosa che potresti fare...-. 
Tutto era andato come avevo pianificato. Marcel aveva portato i boccali di birra ai due piccioncini. Facendo finta di inciampare, forse per uno sgambetto da parte di un tizio ubriaco, i boccali volarono, e tutto il contenuto finì proprio addosso alla povera accompagnatrice del giullare. In fondo, le birre si abbinano bene alle sgualdrine bionde. Dal suo viso scorreva il trucco ormai slavato, il vestito era inzuppato e i capelli incollati alla testa.
La tipa cominciò a strillare come un'oca, dando uno spettacolo penoso. Una finezza invidiabile, davvero!
Ridacchiai a quella scena, mentre vedevo quella volgare donnetta allontanarsi e uscire dalla locanda. Clopin era invece rimasto con una faccia interdetta. Marcel si scusò con lui, sinceramente mortificato (poverino, in quel momento mi sentì in colpa). Ma il giullare sospirò, e si lasciò ricadere sullo sgabello.
- Non fa nulla, Marcel. Forse è stato meglio così... - disse il re del piazzale, con aria scocciata. Solo in quel momento mi feci avanti.
- Posso farti compagnia? - canticchiai, mentre presi posto sullo stesso sgabello, dove poco fa si trovava quell’oca giuliva. Lui si voltò a guardarmi:
- Ah, ma guarda chi si rivede! - esclamò, con aria ironica. Dopo quel gran trionfo, non mi importava più cosa fosse accaduto quella mattina. Ero troppo felice di stare nel posto giusto, al momento giusto. Inoltre, notai che aveva assunto un atteggiamento più sciolto e spontaneo. Ripensando a quanto era stato freddo e distaccato fino a quel momento, mi sembrava una grande riconquista. Così, gli donai un sorriso giocoso, e feci dondolare le gambe ancora fasciate dalla calzamaglia a rombi rossi e neri. Lui sembrava piacevolmente sorpreso dai miei modi, e capì che non ero in collera con lui. Non più.
- Serata nera, da come ho notato - feci io, alludendo alla sua compagna che si era dileguata. Il giullare sorrise beffardo, e con leggerezza mi rispose:
- Naaah, cose che capitano, niente di grave. Non era chissà quale compagnia. E poi, aveva più trucco lei che un clown di strada -. Ridemmo insieme e l'atmosfera si fece più serena. Poi, mentre finiva la sua birra, il mio giullare mi fissò e con un tono canzonatorio disse:
- Dimmi una cosa... -. A quelle prime parole, lo guardai con sospetto. Lui se ne accorse e rise divertito. Alzò le mani per poi rassicurarmi.
- Tranquilla, non è come pensi tu, niente di imbarazzante. Dimmi, perché ogni volta che mi capita qualcosa di strano, ci sei sempre tu nei dintorni? -. Era ovvio che scherzava, ma compresi che si stava riferendo alle stranezze di quella giornata, come il nuovo costume, i commenti dei bambini e infine l'incidente dei boccali di birra. Canticchiai sottotono un motivetto, guardando altrove per metterlo sulle spine. Infine risposi:
- Non lo so, forse sei tu che ti metti in tali situazioni, e non dovresti starmi tra i piedi -. Lui trattenne una risata, ma nel farlo sputò la birra che stava sorseggiando, e tutto andò in faccia al povero Marcel, che stava passando in quel preciso momento. Mentre aiutavo l'omone con un fazzoletto, Clopin si scusò con il malcapitato. Dovetti richiamare tutte le mie forze per non ridere a quella situazione comica. 
- Ok, credo che adesso siamo pari, mon ami - disse Marcel al suo amico, sistemandosi i baffi bagnati. Dopo essersi ricomposto, ricomparve con un vassoio, dove portava due calici pieni di Sherry.
- Ecco, Roxanne, quello che mi avevi chiesto - fece il mio amico, e con uno sguardo di intesa, ci lasciò nuovamente soli. Gli dovevo un favore davvero grande. Il tempo passò piacevolmente, e io e il giullare, bevemmo e ci scambiammo qualche idea per lo spettacolo di domani. Dovevamo rifarci per la giornata persa. A quel proposito, si fece immediatamente serio, e senza giri di parole cominciò a scusarsi. Disse che era stato un perfetto idiota, e che non voleva mettermi in imbarazzo. Io fui molto contenta di quelle scuse, anche perché stavo nuovamente scoprendo il vero Clopin che desideravo riavere indietro.
- Tu non mi sopporti, vero? - gli chiesi, ripensando alla freddezza del primo periodo, in seguito al suo risveglio. Lui scosse la testa, facendo ondeggiare la piuma sul cappello.
- Non è così! - affermò con fermezza - il fatto è che... tutta questa situazione, la perdita della memoria...Mi ha reso così insicuro. Non riconoscendoti mi sono messo subito sulla difensiva. Ma ammetto una cosa. Il semplice fatto che tutti, e dico tutti, Esmeralda, Febo, Quasi, i bambini, e addirittura Marcel, ti conoscano...mentre io non riesco neanche a ricordare la prima volta che ti ho vista... è così snervante -. Clopin si massaggiò le tempie e allora cominciai ad avere il sospetto di aver sbagliato tutto. Fin dall'inizio credevo che gli fosse tutto indifferente, e che perfino dei suoi ricordi perduti non gliene importasse nulla. Invece, gli faceva così male quella sua condizione. Lui per primo stava soffrendo, ma non aveva mai voluto ammetterlo, e allora si era creato un muro tra noi.
- Io voglio ricordare... - disse poi, battendo i pugni sul bancone - perché sento di essermi perso qualcosa di troppo bello -.
 
Appena terminò quella frase, gli occhi del re del piazzale si posarono sulla violinista. Lei si tolse la mascherina in merletto, e i loro sguardi si legarono per un istante. Roxanne sentiva che la speranza era ancora viva, e le si stava proponendo un'occasione unica. 
- Allora per prima cosa, ripartiamo da zero - disse, prendendo il suo calice, mezzo pieno - La nostra conoscenza rinascerà da stasera, che ne dici? Senza fretta, e senza cercare di sforzarti nel ricordare, sono sicura che tutto verrà da sé. Ti chiedo solo di fidarti di me, Clopin - 
Lui come risposta le fece un sorriso sicuro, e facendo tintinnare i calici l'uno all'altro, suggellarono quella promessa. Mentre l'intenso calore dello Sherry le scaldava lo stomaco, Roxanne aveva realizzato una verità, quella sera. Nonostante avesse perso la memoria, Clopin, il re dei giullari, l'uomo matto e gentile di cui si era innamorata, era sicuramente lì, accanto a lei. Ma era ancora nascosto dietro alla maschera che lo rendeva cieco, dei suoi ricordi e dei suoi veri sentimenti.                      
                  
Angolo dell'autrice:

Salve a tutti. Uff, se c'è una cosa che odio più del caldo, è il mal di gola durante l'estate. Spero che mi passi subito O.O. Comunque, tornando alla storia, anche questo capitolo è stato parecchio difficile da scrivere, perché avevo parecchie idee, molte delle quali per motivi di spazio, ho dovuto tagliare. Altre, invece, sono risultate non adatte al contesto, e quindi ho dovuto fare varie modifiche. La cosa più difficile è stato come descrivere Clopin in questo spazio tra il post guarigione e il ritorno alla solita routine, e soprattutto il suo approccio con la nostra Roxanne. E' chiaro che Clopin ha dovuto passare un momentaccio non indifferente, ma dopo aver superato i primi dubbi e fidandosi un po’ di più, sembra che sia in corso un nuovo inizio per i due protagonisti.  Ma non fateci l'abitudine, che questa calma apparente sarà scossa in futuro da altri eventi che riguarderanno la banda di malviventi, e metteranno a dura prova i nostri eroi. Piccola nota, avrete notato che ultimamente non ho inserito il punto di vista di Clopin, solo quello di Roxanne. Beh non è a caso, dato che il nostro giullare non è più quello dei capitoli precedenti, ma non temete, col passare della storia tornerà a descriverci le sue sensazioni, soprattutto quando... eh no, non posso dirvi altro XD Spero che vi sia piaciuto e che lo abbiate trovato interessante e divertente al tempo stesso <3
Alla prossima ^^
Ultima nota, la scena dove Marcel fa il casino con i boccali, mi è venuta ricordando un vecchio videoclip, della canzone degli 883 - Come mai - dove il cameriere finge di inciampare e fa il disastro XD Adoro quella canzone, quel video, e anche i cari 883, nonostante tutto <3

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Capitolo 12
*** L'amica preziosa ***


                                                                                              L'amica preziosa

Nel carretto in legno massiccio, con i suoi tendaggi dai mille toni del rosso, vi erano tre splendide donne, che chiacchieravano animatamente. Una, con in braccio un neonato di pochi mesi, mentre la seconda aveva tra le mani una ciotola piena di latte di capra. In mezzo, c'era la giullare della Corte dei Miracoli. La bella Roxanne, in quella domenica di fine gennaio, aveva invitato le sue amiche più care, Esmeralda e Michelle.

PV Michelle

- Su, su, Roxanne, perché non ci racconti come è andata? - chiesi, con una certa impazienza. 
Roxanne, una zingara singolare che era da poco diventata mia amica, la potevo definire in mille modi. La giullare della Corte, la violinista della piazza, o semplicemente l'eroina che aveva salvato il re degli zingari. Provavo una grande ammirazione per lei e desideravo conoscerla meglio e poter diventare così sua grande amica.
- Vacci piano, Michelle, non metterla a disagio - disse Esmeralda, mentre cullava il piccolo Zephyr. 
Mi morsi le labbra, e mi resi conto che ero stata troppo invadente. Ero molto affezionata ad Esme, e la vedevo non solo come una sorella, ma soprattutto come un modello da seguire, quel tipo di donna che speravo di diventare un giorno. Per me contava molto il suo giudizio, quindi cercavo di imparare da lei. Dopo un po’, la nostra amica riuscì a raccontarci della sera precedente, e io risi soddisfatta nel momento in cui aveva fatto scappare quella sciacquetta. Infine, lei sospirò e ci disse:
- Io voglio sperare che un giorno lui riacquisti la memoria. Ma mi fa davvero male il fatto che, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, si sia dimenticato solo di me. Forse mi sto illudendo. I suoi sentimenti per me non erano poi così forti, altrimenti non mi avrebbe dimenticata -.
Quelle parole mi diedero una gran tristezza. Proprio come avevo sempre pensato, Roxanne era molto innamorata di Clopin. L'avevo capito quel giorno, quando il nostro re aveva ripreso conoscenza, e lei era al suo capezzale, con gli occhi che le brillavano dall'emozione.
- Non è così, mon ami - le dissi, con gentilezza - Io sono certa che lui ci tenesse davvero a te -.
Esmeralda rimase a fissarmi, sorpresa dalla mia azione.
Roxanne, invece, alzò lo sguardo verso di me, e mi chiese:
- Come fai a dirlo con certezza? -. A quel punto infilai una mano all'interno del mio corsetto e tirai fuori un fazzoletto rosso vivo. Mentre glielo mostravo le chiesi se fosse suo.
- Ma certo, è mio. L'avevo usato per fasciare la spalla di Clopin, quel giorno che fu ferito dai ladri. Me ne ero completamente dimenticata - mi disse.
Dopo di che, le spiegai:
- Ma evidentemente lui non l'ha dimenticato. Sai dove l'ho trovato? Mentre mi prendevo cura delle sue ferite, ero in cerca di bende nuove, e senza badarci ho aperto il suo scrigno dove ripone tutti i suoi monili preziosi. Era proprio lì dentro, lavato e ben piegato. Come se lo avesse custodito gelosamente. Credimi, cherì, lui non ha mai fatto una cosa del genere, per nessun'altra ragazza. E posso dirtelo io, che...sono stata una delle sue fiamme -. 
Quella rivelazione mi costò un po’, ma ormai era acqua passata, e io desideravo aiutare la mia amica. Esmeralda, ovviamente non si stupì, perché già conosceva quella vecchia storia, mentre la giullare rimase a bocca aperta.
- Tranquilla, tra me e lui è finita da tempo. Un'avventura di una notte, insomma. Ma con te, è davvero diverso. E questo fazzoletto ne è la prova -.
La giullare dagli occhi vermigli strinse a se quel pezzo di stoffa, e vedendola così emozionata aggiunsi:
- Vedrai, sono certa che anche i suoi sentimenti riaffioreranno e lo aiuteranno a ricordarsi di te -. Roxanne mi regalò un sorriso pieno di gioia, e provai un senso di benessere. Poi, mi ringraziò e mi abbracciò forte, mentre Esme assisteva con un'aria fiera e felice. All'improvviso sentimmo bussare.
- Roxanne, sei pronta? - disse la voce del re degli zingari.
Ma tu guarda, parli del diavolo! Subito Roxanne si alzò ai cuscini e andò alla porta.
Lo fece entrare e lui rimase sorpreso nel vedere me ed Esme.
- Ah, perdonate, ho interrotto una riunione di pettegolezzi tra donzelle? - domandò ironico. Cercammo di essere più disinvolte possibili, e tra una risatina e l'altra, io ed Esme ci congedammo, con la scusa di dover tornare alle nostre tende per le solite faccende. 
- Vedo che ormai non hai più bisogno delle mie cure - dissi rivolgendomi a lui - ma mi raccomando, attento la prossima volta, o non avrò abbastanza bende -. Il re della Corte mi salutò con gentilezza, e mi ringraziò per ciò che avevo fatto fino ad allora. Alla fin fine, nonostante tutto, eravamo rimasti buoni amici, e lui poteva sempre contare su di me. Non ero certo più la sua ragazza, ma ero rimasta la sua guaritrice. Dopo averci salutato, io e ed Esme uscimmo dal carretto e ci allontanammo in silenzio. A un certo punto, poco prima di arrivare alla sua tenda, lei mi prese per mano e disse con voce dolce:
- Brava, mon petit Michelle, sono così fiera di te. Si vede che sei cresciuta e stai diventando una splendida donna, altruista e saggia -. 
Arrossendo feci un sorriso, e allora capì, che non contava come fosse andata: l'esperienza con Clopin mi aveva forgiata in meglio, ed era la cosa più importante per me. Speravo solo che almeno per la mia nuova amica, sarebbe arrivato un epilogo migliore.

PV Roxanne

Clopin si accomodò come al suo solito, in mezzo ai cuscini sul tappeto, mentre io stavo terminando di pettinare e acconciare i capelli. Forse era una mia impressione, ma sentivo i suoi occhi indagatori su di me. Era un po’ strano, ma la sensazione di essere ammirata proprio da lui mi rendeva tanto felice. Anche in passato lo faceva spesso. Voleva dire che non gli ero più così indifferente. Poi mi girai e allora ne ebbi la conferma. 
- Che splendore - disse lui, cogliendomi di sorpresa, mantenendo lo sguardo concentrato. Il mio cuore mi stava saltando fuori dal petto e divenni rossa.
- Intendevo, il tuo costume, è splendido - specificò, e mi guardò con quella sua solita aria furbetta.
Una parte di me avrebbe voluto prenderlo a schiaffi e gridare " accidenti a te, mi hai fatto prendere un colpo per l'imbarazzo! - ma adoravo troppo quel suo modo di guardarmi.
- Oh, mercì! L'ho cucito io, modestamente - dissi, con aria un po’ altezzosa ma anche ironica. Dato che si stava facendo tardi, gli feci notare che dovevamo sbrigarci e andare al piazzale.
 - Certamente, quindi rilassati e mettiti comoda -. Lo guardai con aria interrogativa. Non riuscivo a capire, ma lui aggiunse:
- Esattamente tra pochi secondi ci avvieremo al piazzale, senza muoverci da qui - disse, rigirandosi i pollici con tutta tranquillità. Ero sul punto di chiedergli se mi stesse prendendo in giro, ma all'improvviso sentì un suono sordo, poi il carretto traballò, e capì che ci stavamo muovendo.
- I miei uomini ci porteranno al piazzale con tutto il teatrino. Così non solo prendiamo due piccioni con una fava, ma potremo goderci il viaggio senza fatica -.

- Hai avuto un ottima idea - dissi, mentre mi sistemavo sul tappeto, di fronte a lui. Un dolce dondolio ci cullava, accompagnato dal tintinnio dei nostri campanelli. Una sincronia perfetta. Clopin si stiracchiò come un gatto pigro, e tornò nuovamente ad osservarmi. Sembrava avere un'aria incuriosita.
- Posso farti una domanda personale? - mi chiese. Annuì e rannicchiai le gambe per stare comoda. 
- Quando e perché hai deciso di fare il giullare? -. Sinceramente aspettavo quella domanda con trepidazione, perché così avrei potuto parlargli di me. Era un ottimo modo per iniziare la nostra nuova conoscenza. Approfittai quindi di quel viaggio fino al piazzale, e gli raccontai tutto. Come i miei genitori si fossero conosciuti, lui veneziano e lei gitana di Marsiglia. Il matrimonio e i loro viaggi in giro per la Francia. Ovviamente non tralasciai la mia educazione, dalla creazione di pupazzi e storielle alle lezioni di violino e di balli acrobatici. Lui rimase ad ascoltare rapito, come un bambino incuriosito dalle fiabe narrate davanti a un falò. Poi gli mostrai il mio orecchino d'oro, con la mezzaluna che dondolava in bella mostra. 
- I membri della famiglia di mia madre venivano chiamati "I gitani della falce lunare" - gli spiegai - mia madre mi diceva sempre, ogni volta che ci dovevamo spostare da un paese all'altro, che era una tradizione tramandata da generazioni-.
Clopin osservò meglio il mio orecchino, e per un attimo sperai che lui ricordasse qualcosa. In fondo non era la prima volta che lo vedeva. Ma lui si limitò ad annuire, e comprese che si trattava di un cimelio di famiglia. Nulla di più. Pazienza, pensai.
Poi gli raccontai della morte di mia madre, i lunghi anni trascorsi con mio padre che mi fece da guida e maestro, la mia crescita fatta di esperienze, poi l'addio a mio padre e infine la mia ultima tappa, Parigi. E fu allora che gli dissi:
- Era il sogno di mio padre arrivare qui, esibirsi nella piazza più bella. E anche io ci tenevo, sinceramente - gli spiegai, mentre sfregavo il ciondolo tra le dita - desiderava far conoscere la sua arte più di ogni altra cosa -.
Il giullare ascoltò tutta la storia, senza provare a interrompermi, e poi mi sorrise.
- Tuo padre sarebbe fiero di te. Hai realizzato il suo sogno - disse. Mi stavo tormentando le mani, e infine dissi:
- Non ce l'avrei fatta senza di te...-. Clopin corrugò la fronte, perché giustamente non riusciva a capire cosa intendessi. Io mi feci coraggio e aggiunsi:
- Sei stato tu a permettermi di rimanere nel piazzale di Notre Dame. E sei sempre stato tu a incoraggiarmi e farmi conoscere a tutti -. 
Il re del piazzale rimase per un attimo senza parole, si grattò la fronte, come se stesse cercando di ricordare quel dettaglio. Poi tornò a guardarmi.
- Ho fatto davvero questo? - mi chiese, e io annuì sperano che un pezzo della sua memoria tornasse in vita. 
- Accidenti, evidentemente siamo subito entrati in sintonia. Di solito, per come sono fatto, non mi garba dividere il mio spazio con la concorrenza - affermò e nella mia mente balenarono i ricordi dei primi tempi della nostra " battaglia". Con un mezzo sorriso forzato mi limitai solo a rispondere " Eh già!".
- E tu, perché sei diventato un giullare? - gli chiesi. Era una domanda che avevo sempre voluto fargli, ed ero molto curiosa. Ma con mio grande rammarico, il volto di Clopin si indurì in un’espressione fredda, cupa. Rimanemmo un attimo in un strano silenzio, rotto soltanto dal dolce tintinnio dei campanelli.
- Mi piacciono i teatrini e le feste. Sono un tipo a cui piace divertirsi lavorando, niente di più - mi rispose, sollevando le spalle come se fosse la cosa più normale e ovvia del mondo. Non so, quella motivazione non mi convinceva. Per qualche motivo, sentivo che quella non fosse tutta la verità.  Purtroppo le nostre chiacchiere terminarono perché il carretto si fermò, facendo cessare quel frenetico dondolio. Eravamo arrivati al piazzale. Clopin si rimise in piedi e si stiracchiò. Io, dopo aver messo da parte i miei dubbi, mi sistemai la mascherina in merletto, e cercai il mio violino, appeso a una parete. Ma proprio in quel momento, un bussare insistente alla porta sul retro ci fece sussultare. Poi la voce di uno degli uomini di Clopin che diceva:
- Piccola, che stai facendo? -. Io e il mio collega ci guardammo per un attimo, con un punto interrogativo in faccia. Poi mi precipitai ad aprire la porta. Ebbi giusto il tempo di vedere una bambina dai capelli dorati, con un cestino di vimini, e dal viso familiare. Lo zingaro stava cercando di allontanarla da lì, ma io esclamai:
- Cosette! -. A quel punto, lo zingaro la lasciò andare, dato che l'avevo riconosciuta. La piccina mi abbracciò calorosamente.

PV Cosette:

Roxanne, la bella giullare, mi abbracciò forte forte. Ero così felice di vederla che avevo voglia di piangere. Lei intanto, assicurò quell'uomo grande e grosso, che era tutto apposto. Osservandola, nel suo costume rosso e nero, per un attimo pensai che stessi sognando. Era davvero lei!
- Roxanne, dove eri finita?! I miei amichetti mi hanno detto che ti hanno vista, ieri. E che c'era anche Clopin - dissi, ancora con il cuore che mi batteva forte. La mia amica mi sorrise contenta, e mi accarezzò una guancia. 
- Calma, mon petit. Come vedi è tutto apposto. Siamo tornati e siamo qui...tutti e due - mi spiegò, per poi girare di poco il capo. Al centro della stanza, c'era il mio giullare preferito, con un nuovo costume simile a quello vecchio, ma con una fantasia diversa. Era lì, con il suo bel sorriso e le braccia che si aprivano per accogliermi, come faceva da sempre. Se fino a quel punto mi ero trattenuta, non ce la feci più. Scoppiai a piangere e Roxanne mi lasciò andare, e corsi in braccio al mio amico variopinto. Lui mi strinse forte, mentre mi cullava per farmi calmare. 
- Cosette, mon petit, non piangere - mi disse, con la sua voce tenera - Povera piccola, ti ho fatto preoccupare così tanto. Perdonami -.
Clopin mi asciugò il viso con un fazzoletto di stoffa, e cominciai a sentirmi meglio. Lui mi tenne ancora tra le sue braccia, affusolate e forti. 
- Ho visto il tuo teatrino andare a fuoco - gli dissi, con la voce ancora rotta dai singhiozzi - e il giorno dopo, tu non c'eri più. Ho avuto tanta paura -.
Il giullare mi guardò con occhi affettuosi mentre Soffiavo il naso usando il suo fazzoletto. Intanto Roxanne ci raggiunse e mi accarezzò i capelli, come faceva la mia mamma.
- Non devi più aver paura. Clopin ha la pelle dura, e nemmeno le fiamme possono scalfirlo - affermò lei, facendomi l'occhiolino.
- Sei stata tu a salvarlo, Roxanne - dissi, riuscendo ad allargare un sorriso - grazie per averlo salvato. Sei la mia eroina!-. Con il sollievo e la gioia nel cuore, abbracciai sia Roxanne che Clopin, l'uno da un lato e la seconda dall'altro. Strofinai il mio faccino in mezzo a quello dei due giullari, e tutta la paura di poco fa svanì. Ad un tratto, quella bella atmosfera fu rotta dalla voce di mia madre. Mi stava cercando. Allora Clopin mi fece scendere, e Roxanne mi aprì la porta. Ma prima di andarmene, mi ricordai di una cosa importante. Frugai nel mio cestino di vimini, e feci uscire fuori un pupazzetto di stoffa.
- Ho cercato di ripulirlo. Spero che vada bene - spiegai, mentre porgevo il petit Clopin al giullare. Quel giorno, quando l'avevo trovato in mezzo al legname carbonizzato, era tutto sporco di cenere, e sembrava che si fosse bruciato un po’. Avevo passato gli ultimi giorni a lavarlo più e più volte. Purtroppo non era tornato come prima, ma almeno la cenere era scomparsa, ed erano rimasti pochi aloni scuri sul vestitino. Il re del piazzale prese tra le mani il suo vecchio amico di spettacoli, e fui certa che ne fosse rimasto contento. 
- Grazie, Cosette, per averlo riportato da me - mi disse lui, felice. Riconobbi quei denti scheggiati che rendevano unico al mondo il suo sorriso. Salutai i miei amici giullari, e con entusiasmo sbucai fuori dal carretto, per poi correre verso la voce di mia madre, che non smetteva di richiamarmi. 

PV Roxanne
 
Lo spettacolo di quel giorno andò molto bene. Alla fine avevamo usato lo stesso metodo di quella volta, quando aiutai il giullare a manovrare i pupazzi, solo che questa volta avevo usato anche il violino come sottofondo musicale. I bambini ci coprirono di applausi e di monetine. Era bello tornare a lavorare, specialmente in un luogo splendido come quello, e in compagnia del mio re del piazzale. Mancava solo una cosa per rendere tutto perfetto. Dopo essere corsa come un lampo al panificio, tornai al carretto con una bella sorpresa. Ero certa che Clopin avrebbe gradito.
- Torta di mele! La mia preferita! - esclamò, quasi sbavando, tutto felice. Io mi accomodai sul davanzale e cominciai a tagliarla usando il mio pugnale.
- Anche io ne vado matta, sai? - lo informai, facendogli un sorriso. Sì, Clopin, questa è una delle tante cose che abbiamo in comune.  
- Tu si che hai buon gusto, cherì - disse. I miei pensieri si soffermarono su quella frase, specialmente sull'ultima parola; cherì. Un piacevole calore mi invase, non solo per quella situazione che stavamo vivendo insieme, ma perché sentivo che ci stavamo riavvicinando pian piano. Proprio come quella volta, ci dividemmo la torta in due parti uguali. In quel momento, mentre stavo assaporando il primo boccone, mi venne in mente un'idea. Forse era stupido come modo, ma dovevo provarci. Cominciai a riempirmi la bocca di torta, fino a rendere le mie guance gonfie come quelle di uno scoiattolo. Lui mi guardò e pregai in qualche piccolo sviluppo. Rimase a fissarmi con aria confusa, ma poi ridacchiò e disse:
- Non scherzavi quando dicevi che ne andavi matta! -. Nulla. Sì, avevo scelto un metodo davvero stupido per stimolargli la memoria. Masticai e ingoiai, senza dire una parola. Clopin doveva aver notato la mia delusione, perché mi stava studiando con i suoi occhioni da cucciolo curioso.
- Che c'è? Vuoi sfidarmi a chi riesce a finirla per primo? - mi chiese tutto entusiasta - Ti avviso che sono un campione in questo -. Detto ciò, buttò letteralmente la faccia nella sua parte della torta, e ne mangiò avidamente. Spalancai gli occhi e rimasi a fissare quella scena. Ero sconvolta. Aveva quasi finito il dolce, ma si fermò e si girò nella mia direzione. Aveva mezza faccia sporca di briciole, e io non potei che ridere a crepapelle. Non era cambiato per niente, riusciva sempre a farmi ridere. Lui si pulì la faccia con una mano, ma erano rimasti alcuni residui sul suo mento.
- Beh, a quanto pare neanche tu scherzi - gli dissi, e con un gesto automatico, spazzolai le briciole dal suo pizzetto.
Negli ultimi periodi era ricresciuto e anche la mia mania di solleticarlo.

PV Clopin

In quel preciso istante, avvertì un dolore alle tempie. Nella mia mente si era materializzata una scena, identica a quella che stavo vivendo, ma ero certo che il paesaggio fosse molto diverso. Rividi quella mano che solleticava il mio mento, riprovai un brivido che mi percorse la schiena, e una forte emozione.
Quel tocco, così spontaneo e dolce, mi fu così familiare...

PV Roxanne

- Clopin, stai bene? - chiesi, un po’ preoccupata. Il mio amico aveva uno sguardo perso nel vuoto, e si massaggiava le tempie. Poi, afferrò la mia mano con uno scatto e la strinse. Rimasi sorpresa e quando finalmente mi guardò negli occhi, mi sentì parecchio a disagio. Forse ero stata troppo invadente. 
- Scusami, mi dispiace...- gli dissi, mentre ripensavo a quel maledetto giorno, in cui mi aveva allontanato con freddezza la mano dal suo mento. Ero stata una sciocca e dovevo aspettarmelo un'ennesima reazione del genere. Mi girai dall'altra parte e sfilai la mia mano dalla sua. Ma con mia grande sorpresa, lui, con molta delicatezza, la riprese e la racchiuse tra le sue mani.
- No, scusami tu...- mi disse, quasi sussurrando. I nostri sguardi si incatenarono. I pollici, ricoperti dal tessuto, accarezzavano la pelle della mia mano. Cosa stava accadendo? Mi sentivo confusa. Ma nemmeno lui sembrava tanto sicuro, e ci limitammo a guardarci. In quel momento arrivò di corsa un uomo, attirando la nostra attenzione. Era uno degli zingari che faceva parte del gruppo di ricerca che lo stesso Clopin aveva organizzato, per la questione dei misteriosi incendi. Appena ci raggiunse, potei notare la sua ansia sul volto.
- Clopin! Nuove notizie! Abbiamo trovato alcune tracce sui presunti malfattori - disse l'uomo, cercando di calmare il fiatone. Subito il mio giullare mi lasciò la mano, si cambiò velocemente nella penombra della stanza, e uscì dal carretto. Capì subito cosa stesse facendo, e non persi tempo nel dirgli:
- Aspetta, vengo con te! -. Ma lui mi guardò con un'aria severa e con fermezza mi disse che dovevo rimanere nel carretto, al sicuro.
- Se non tornerò entro le prime ombre della sera, fatti scortare dai miei uomini alla Corte dei Miracoli -. Non mi piaceva quella storia. Mi faceva fin troppo ricordare un'altra situazione, molto simile. Tutto era iniziato proprio con quella discussione, ed era finita in maniera tragica. Prima di poter dire altro, Clopin girò i tacchi e si allontanò di corsa con il suo sottoposto. Rimasi a fissare la sua immagine sparire in un vicolo, e la mia volontà fu scossa da varie incertezze. Cosa dovevo fare? Ascoltai il mio cuore e avevo una sola risposta: seguirlo. Sì, dovevo farlo. Dopo quel che era successo, sentivo che dovevo fare di tutto per proteggerlo, aiutarlo, altrimenti rischiavo di perderlo sul serio. Lui non poteva capirlo perché non riusciva a ricordare, ma io lo 
sapevo benissimo. Senza ulteriori indugi, feci la mia mossa. Sapevo che non potevo uscire dalla porta sul retro, dato che gli uomini di Clopin stavano facendo la guardia. Così, come prima cosa, mi sbottonai la mantella e la misi da parte. I campanelli sarebbero stati solo un impiccio. Senza fare il minimo rumore, scavalcai il davanzale, e con cautela saltai giù. Col timore che mi avessero sentita, corsi il più velocemente possibile, cercando di confondermi in mezzo alla folla. Correvo e correvo, senza voltarmi indietro. Mi diressi verso la stessa direzione che aveva preso Clopin. Poi arrivai al vicolo e vi entrai. Non ero sicura dove fosse andato, ma ero decisa a cercarlo. Chiesi a qualche passante lì vicino se lo avesse visto, e per mia fortuna mi indicarono la strada giusta. Era pur sempre il re del piazzale, e non passava mai inosservato, neanche con quei abiti da zingaro. Passai almeno qualche minuto buono nel percorrere il lungo vicolo, e intanto mi resi conto che il sole stava già tramontando. L'ansia cominciò a tormentarmi. Non tanto per me, e del fatto che mi trovassi in un luogo sconosciuto. Temevo per Clopin, e per l'eventualità che fosse stato aggredito dalla banda di malviventi. E se fosse stata una trappola? Se avessero lasciato delle tracce apposta per attirarlo e catturarlo? La paura mi stava uccidendo, mentre i miei occhi vagarono da un vicolo all'altro. Non 
potevo neanche provare a gridare il suo nome, perché sarebbe stato pericoloso. Più andavo avanti, più mi stavo gettando alle spalle le stradine affollate nei pressi del piazzale, per poi ritrovarmi in un labirinto oscuro fatto di vicoli stretti e isolati. Una zingara più saggia sarebbe tornata indietro, ma mi resi conto che avevo perso il senso dell'orientamento. Dovevo essermi spinta troppo oltre, perché lo spazio circostante si faceva man mano più scuro e poco rassicurante. La pietra che calpestavo non era più liscia, ma disconnessa e piena di sassi. Ero stanca e avvilita. Ammettilo Roxanne, ti sei persa, dissi a me stessa. Ero arrivata in un vicolo lungo e non vi era nessuno nei dintorni. 
Regnava solo un silenzio inquietante. Mi appoggiai al muro, per riprendere fiato. Nebbioline vaporose uscivano dalla mia bocca, ad ogni respiro. Cominciavo a sentire un freddo tremendo. Poi, all'improvviso le mie orecchie avvertirono un suono singolare. Sembrava un leggero grattare su una superficie dura. Era lieve ma ritmico. Prima di riuscire a capire di cosa si trattasse, il suono si fece più vicino, e infine udii un ringhio sinistro che mi fece accapponare la pelle. Mi voltai lentamente. La paura prese il sopravvento quando i miei occhi si posarono su un cane, grande e grosso, che mi scrutava con occhi minacciosi. Aveva il mantello corto e di un colore che si confondeva con l'oscurità della sera. Dalle mascelle possenti sbucavano zanne giallastre e 
gli occhi bruciavano di una fiamma rabbiosa. Fissai terrorizzata quella belva per niente mansueta, e ricominciò a ringhiare senza staccare lo sguardo da me. Sembrava una creatura demoniaca, pronta a sbranarmi per condurmi all'Inferno. Come un coniglio che risponde all'istinto di sopravvivenza, scattai e corsi come non avessi mai fatto in vita mia. Avvertì il cane abbaiare forte, e con terrore ebbi la certezza che mi stesse inseguendo. Non badando ai piedi doloranti, non mi fermai e continuai a correre, col cuore che mi stava scoppiando. Nonostante stessi riuscendo a mantenere una certa distanza, il cane mi stava alle calcagna e sapevo che di lì a poco mi avrebbe raggiunta. Con la coda dell'occhio scorsi una traversa con uno steccato non troppo alto, ma nemmeno così basso. Senza pensarci due volte, mi diressi in quella parte, e con le ultime forze feci una capriola e mi diedi la spinta necessaria per scavalcare lo steccato. Il cane poteva anche essere possente, ma non abbastanza agile da riuscire a saltare al primo tentativo. Appena mi ritrovai dall'altra parte, feci un respiro veloce, e poi ricominciai a correre. Sentivo il cane abbaiare e grattare contro il legno dello steccato, ma non mi fermai per accertarmi della situazione. Avevo da poco svoltato un altro vicolo, che una mano uscì fuori dal nulla e mi coprì la faccia. Lo sconosciuto mi attirò a se, in un vicolo stretto e buio. Sentivo il suo corpo schiacciarmi contro il muro, alle mie spalle, e non riuscivo minimamente a dimenarmi. 
- Zitta! - fece il mio aggressore, mentre mi teneva la bocca tappata con una mano. Ancora presa dal terrore, mi calmai un attimo. Avevo riconosciuto la voce; Clopin. Nel mio animo c'era ancora la paura del momento, ma anche il sollievo di averlo ritrovato. Lui mi lasciò la bocca libera, e respirai a fondo.
- Clopin! Meno male...- riuscì a dire, a bassa voce. In quel vicolo l'oscurità era soffocante, ma riuscivo a percepire i contorni del suo volto. 
- Ssssh! Non fiatare! - mi disse, e nuovamente mi zittii. Aveva tutti i motivi per essere così nervoso. Avvertì uno strano odore acre, e dato che lui mi teneva stretta a sé, la mia mano incontrò un liquido appiccicoso sul suo braccio destro. Lui cercò di soffocare un gemito di dolore, mentre io mi preoccupai.
- Sei ferito! - dissi, sussurrando. 
- Non è nulla. Tutta colpa di quella bestiaccia...- mi spiegò, digrignando i denti. Era stato morso dallo stesso cagnaccio che mi stava seguendo poco fa. Mi chiedevo da dove fosse sbucato fuori, ma un altro rumore mi fece rabbrividire. Clopin si strinse di più a me, come a volermi nascondere col suo corpo. Rimanemmo muti come due cadaveri, mentre un suono di passi e il respiro ansimante del cane si facevano sempre più chiari e vicini. Due ombre ben distinte si allungarono sulla parete del vicolo: un cane e un uomo.
Era ormai chiaro, ci stavano stanando come prede in una battuta di caccia. Con il cuore che non smetteva di battere, capì che ci avrebbero trovati di sicuro. Poi, mi accorsi che la mia mano era ancora sporca del sangue di Clopin, e mi venne un'idea. Era azzardata, ma dovevo rischiare. Con quella stessa mano, afferrai uno dei cammei dorati del mio pareo. Con uno strattone lo strappai via e lo sfregai per bene nella mano. Il cagnaccio stava seguendo l'odore del sangue di Clopin, questo era poco ma sicuro. Con gran timore del mio amico, feci la mia mossa. Lanciai per aria il cammeo, facendolo volare al di là del vicolo.
Un tintinnio fece eco e potei sentire il cane annusare l'aria. Le due ombre si dileguarono e quei sinistri rumori sfumarono del tutto. Pericolo scampato. Solo allora emisi un profondo sospiro di sollievo, e il mio cuore riprese a battere in maniera regolare.
- Stupida! - tuonò la voce del giullare - Ti avevo detto di rimanere al piazzale! Perché hai fatto di testa tua!? -. Quella reazione mi fece impallidire, per quanto fosse dura e severa. Riprendendo fiato, ebbi il coraggio di rispondere a tono:
- Perché ero preoccupata per te. Avevo capito che era una trappola e sono venuta a cercarti! - gli spiegai, mentre ero ancora tra le sue braccia.
- Potevi rimanere uccisa, lo sai!? - mi rimproverò ancora. I nostri visi erano così vicini, che riuscivo a sentire l'aroma di torta di mele sulle sue labbra. Era così strana quella situazione. Eravamo ancora stretti in quel vicolo, l'uno all'altra, e pensavamo solo a litigare.
- Oh, mi scusi se ho cercato di pararle il fondoschiena, Vostra Maestà! -.

PV Clopin

Nuovamente quel dolore e quel senso di intorpidimento alla testa. Vostra Maestà...Vostra Maestà...quelle parole, seppure fossi certo che nessuno le avesse mai pronunciate, mi sembrarono così familiari. Una voce dolce e piena d'amore continuavano a chiamarmi; Vostra Maestà...

PV Roxanne

Il re degli zingari scosse un po’ la testa, e anche se non riuscivo a vedere i suoi lineamenti, ero certa che si trovasse in uno stato confuso. 
- Ehi, tutto bene? - chiesi, e la mia voce si fece nuovamente calma e gentile. Lui rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò rumorosamente.
- Tranquilla, ho solo un leggero cerchio alla testa - mi rassicurò. Poi, dimenticando la nostra discussione di poco fa, cercai di cambiare discorso:
- Forse è meglio andare - e detto ciò, provai a muovermi. Ma con mio disappunto, mi resi conto che c'era un piccolo problema.
- Oh no...siamo incastrati! - lo informai. Il re degli zingari fece del suo meglio per scostarsi da me, con tentativi imbarazzanti e borbottii vacillanti. Il problema è che più noi cercavamo di districarci, più sembrava che i nostri corpi aderissero senza alcun scampo. Il mio seno era del tutto schiacciato contro il suo petto. Ero così grata di quella oscurità, perché il mio viso si stava facendo rosso come un papavero. Clopin poggiò le mani sul muro, alle mie spalle.
- Beh, è vero che dovevamo ricominciare ma... temo che ci stiamo conoscendo un po’ troppo, cherì...-. 
Nella sua voce c'era una nota velata di ironia e malizia. Questo mi fece arrossire ancora di più, ma lui rise piano.
- Volevo solo sdrammatizzare - disse. Anche la mia risposta fu ironica, ma con una nota di rimprovero:
- Bravo, usi sempre questi metodi sopraffini per conoscere le donzelle? O è solo il tuo modo personale per rimorchiare? -. Riuscì a zittirlo per un secondo, poi lo sentì ridere. 
- Touché! - rispose - A parte gli scherzi, dato che sei stata così brava a toglierci dai pasticci, hai qualche altra idea geniale anche adesso? -.
Certo che ce l'avevo, ma mi imbarazzava troppo per dirglielo. Con una mano cominciai a sciogliere i lacci del corpetto. 
- I nostri vestiti fanno attrito tra loro e con i muri alle nostre spalle...L'unica soluzione...è che mi sfili via il corpetto -.
Il re degli zingari ammutolì e dato che non ricevevo alcuna reazione da parte sua aggiunsi:
- Guai a te se sbirci! Mantieni gli occhi chiusi - dissi, con tono serio. Ero sul punto di sbottonare il corpetto che lui rispose:
- Tranquilla, tanto anche se volessi, non riuscirei a vedere nulla, con questo buio -. Quella frase mi suonava come una lagna di delusione. Fu una questione di pochi secondi; sbottonai il corpetto da un lato, scivolai via e finalmente ci liberammo da quella trappola. Nonostante non ci fosse tanta luce, mi coprì il seno scoperto con le braccia, mentre Clopin reggeva con una mano il mio indumento. Sentivo freddo, ma il calore della vergogna era più forte.
- Allora, intendi restituirmelo, o vuoi semplicemente rimanere lì a guardarmi? - gli dissi, sperando che tutto terminasse al più presto.
- Esagerata! Magari riuscissi a vedere qualcosa... - fece lui porgendomi il corpetto. Dandogli le spalle, mi rivestii, e mi sentì decisamente meglio. Che esperienza! Non me la sarei dimenticata mai, neanche se mi avessero dato una botta in testa. Senza perdere altro tempo, ci allontanammo da quel posto e con il buon senso dell'orientamento del giullare, riuscimmo a tornare al piazzale in pochi istanti. La squadra di ricerche fece rapporto al suo capo; nessun incendio, nessun atto di vandalismo. Ma tutti eravamo certi che il cane rabbioso che ci aveva attaccati era collegato alla presunta banda. 
Clopin ordinò alla nuova squadra di cercare nei dintorni; se avrebbero trovato il cane, allora avrebbero trovato anche quei criminali. Sotto consiglio dei suoi stessi sottoposti, il giullare sarebbe rientrato alla Corte, insieme a me. Il viaggio nel carretto fu monotono e silenzioso. Il suo braccio ferito era stato fasciato da un pezzo di stoffa troppo piccolo, e di certo non bastava.
- Hai bisogno di una nuova fasciatura - dissi, mentre mi accingevo a cercare dell'acqua e delle erbe medicinali. Ne avevo sempre una scorta per le emergenze. Quando mi accomodai su un cuscino, vicino a lui, mi lasciò fare, e procedetti con calma. Dopo aver lavato la ferita, e posizionato le erbe, presi il mio fazzoletto rosso. Lo stesso che mi aveva restituito Michelle, quella mattina. Lo stesso che avevo usato in passato per fasciare la spalla del mio amato.
Chissà se tutto ciò che sto facendo possa davvero servire a qualcosa? dissi a me stessa, con un senso di tristezza e paura. 
- Non ti ho ancora ringraziato - disse ad un tratto Clopin. Alzai lo sguardo e notai che mi stava guardando con occhi sinceri. Intanto annodai il fazzoletto.
- Mi hai salvato la vita, per ben due volte - ricominciò, senza staccare lo sguardo da me - Quindi, grazie, per tutto quello che hai fatto -. Rimasi con la testa china, fingendo di sistemare meglio la fasciatura. Non riuscivo a guardarlo negli occhi, perché temevo che mi avrebbe scrutato all'interno dell'anima. Ma lui mi alzò il mento con una mano, e mi costrinse a guardarlo in faccia.
- Ascolta, lo so cosa stai cercando di fare. E mi dispiace non riuscire a ricordare. Ma sappi che sono lieto di avere una collega come te al mio fianco, così coraggiosa e altruista -. La sua mano accarezzò la mia guancia e io la trattenni come se fosse stata la più dolce delle ricompense. Poi, il suo sguardo si posò sul fazzoletto rosso che gli fasciava il braccio e aggiunse:
- Con un'amica così preziosa nella mia vita, non sarà poi così terribile non riavere più i miei ricordi - disse con un sorriso amichevole. 

Roxanne si lasciò cullare dal dondolio del carretto, diretto alla Corte dei Miracoli. Un'amica preziosa. Forse in un'altra circostanza, quella confessione le avrebbe fatto piacere, specialmente nei primi periodi della loro conoscenza. Ma in quel momento, le dava solo un profondo sentimento agrodolce. Non sapeva se era più sgradevole essere ritenuta una probabile amante passeggera, o una semplice "preziosa" amica. La violinista chiuse lentamente gli occhi, stanca per la dura giornata vissuta. E prima di lasciarsi trasportare dalle braccia del sonno, si chiese se i suoi sogni d'amore per Clopin erano destinati a 
tramutarsi in cenere, dopo essere stati infranti completamente da una delusione distruttiva. Oramai, non si trattava più di una questione di memoria. Ma di riuscire a riconquistare il cuore del re dei giullari.

Angolo dell'autrice
E' mezzanotte e tutto va bene!!! Sì, è mezzanotte, vero, ma nulla va bene XD Ho appena terminato questo capitolo, e già sento le bestemmie da parte vostra. Clopin ha friendzonato Roxy!!! Ecco le torce e i forconi pronti...Calma, calma, non scaldatevi! Siamo ancora agli inizi ed è tutto un punto interrogativo. Almeno una cosa positiva è che alcuni frammenti di memoria sono saltati fuori, molto offuscati, ma comunque ci sono. E tranquilli, ne vedremo molti altri, nel prossimo capitolo, che si intitolerà " Schegge di memoria ". Inoltre ci addentreremo sempre più nel passato di Clopin (volete sapere come è diventato
un giullare, vero?). Beh, abbiate pazienza, perché ci devo lavorare ancora molto. Detto ciò, spero di non svegliarmi domani mattina e di scoprire la mia casa circondata da una folla inferocita, tipo nel film Frankenstein XD Alla prossima <3
Nota: avete notato che ho aggiunto i punti di vista di altri personaggi, ebbene sì, sotto consiglio della mia amica Deamereby per renderlo più ricco. Grazie carissima <3 
                                     

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Capitolo 13
*** Schegge di memoria ***


                                                                                            Schegge di memoria

Le campane della cattedrale suonavano per dare il buongiorno alla città di Parigi. L'aria sembrava più dolce e per niente fredda, come se l'inverno avesse già deciso di lasciare posto a una primavera anticipata. Infatti, il sole splendeva e riscaldava più che mai, riuscendo a farsi largo tra le nuvole. Quel giorno in particolare, il campanaro aveva ricevuto una visita speciale. La violinista era seduta vicino al tavolo da lavoro, intenta a cucire qualcosa. Era un costume in miniatura, dalla fantasia a rombi dai toni giallo, blu e fucsia. Il piccolo Clopin avrebbe avuto qualcosa di decente da indossare, dato che il suo era ormai da buttare, dopo la brutta esperienza dell'incendio. Mentre era concentrata sul suo lavoro, il gobbo la raggiunse, per poter fare colazione con lei. Sul tavolo, a parte le statuine, c'era un cesto pieno di mele e dolcetti fumanti.

PV. Quasimodo

Appena mi trovai vicino alla mia amica, lei alzò lo sguardo e mi donò un sorriso dolce. Non mi aspettavo la sua visita, e per di più, senza Clopin. Mi faceva strano vederla da sola. Di solito erano sempre insieme, come due anime inseparabili. Ma ero comunque contento di averla lì.  Mentre prendevo una mela rossa dal cestino, buttai un occhio sul suo lavoro.
- Che bel vestitino! Fammi indovinare, è per petit Clopin, vero? - le chiesi, e diedi un morso alla mela.
Lei annuì, poi tagliò il filo con i denti.
- Proprio come il suo padrone, aveva bisogno di un costume nuovo - mi informò lei, mentre mi mostrava per bene il lavoro finito. Era davvero carino.
- A proposito, dov'è il tuo giullare? Possibile che non si sia alzato questa mattina? - chiesi, cercando di essere ironico. Non so come spiegarlo, ma avevo la vaga sensazione che Roxanne fosse turbata, nonostante mi sorridesse tranquilla. Forse era solo una mia impressione. 
- Invece si è alzato molto presto, e oggi niente lavoro. Sta facendo una riunione con tutti gli uomini della Corte per fare alcune indagini. Sai, per la faccenda del cane che abbiamo incontrato ieri. Se riescono a trovare una buona pista, potremo rintracciare i colpevoli - mi spiegò, e prese un dolcetto alle noci e mandorle. Quelle parole sembravano avere un tono apatico e triste. Dall'ultima volta che avevo visto Roxanne, erano passati alcuni giorni. Febo mi aveva tenuto aggiornato sulla situazione. Povera amica mia, doveva essere dura per lei vivere tutto questo, e rimanere a guardare, sperando che le cose tornassero come prima.
- Ci sono stati sviluppi di recente? - chiesi, e mi accomodai sullo sgabello, mentre finivo la mia mela. Come risposta, lei scosse lentamente il capo.
- Purtroppo no. Ma la cosa più brutta è che lui mi abbia già presa in considerazione come " migliore amica" -. In quel momento, mi sentì molto vicino alla violinista. La capivo perfettamente, e sapevo per esperienza quanto fosse dolorosa una cosa del genere. Quando scoprì che Esmeralda amava Febo, e che mi avrebbe visto sempre come un buon amico, quel giorno il mio cuore si spezzò e soffrì tantissimo. Ovvio che alla fine ho superato la delusione, in fondo tenevo troppo all'amicizia di Esme per poterci rinunciare solo perché non mi aveva ricambiato. Ma la situazione di Roxanne era molto diversa. Molto più triste.
Aver "perso" qualcuno a cui tenevi, proprio nel momento in cui stava nascendo qualcosa, è molto più doloroso che avere la certezza di un amore non corrisposto.
- Scusa se sembro invadente, ma non sarebbe meglio che tu gli dica la verità? Intendo...tra voi due e di come eravate prima dell'incendio - suggerì, sperando di averle dato la soluzione al suo dilemma. Mi sembrava anche piuttosto logica come cosa.
- Non posso - rispose lei, abbassando lo sguardo sul dolcetto ancora integro - Non posso, e non voglio. Lo so, sarebbe molto più facile così. Ma per me non sarebbe giusto -.
Mentre ascoltavo, corrugai la fronte. Non capivo quale fosse il problema. In fin dei conti, si trattava della pura verità.
- Perché? - le chiesi semplicemente. Lei girò e rigirò il dolcetto fra le mani, poi mi guardò con occhi decisi, ma anche colmi di una triste impotenza.
- Perché se lo facessi, non farei altro che influenzare la sua scelta. E' facile portare dalla tua parte la persona che ti interessa se non ricorda nulla, ma proprio per questo non voglio. Desidero che lui mi scelga non perché deve affidarsi a una realtà che ha dimenticato, ma solo perché lo vuole lui. Capisci?-.
Rimasi senza parole. Roxanne era davvero coraggiosa e fui certo in quel momento che amasse davvero Clopin. Lo avrebbe amato anche a discapito della sua felicità.
- Sì, capisco. Allora incrocerò le dita per te. Posso solo dirti di restargli vicino e mettercela tutta. Sono sicuro che i tuoi sentimenti gli faranno tornare la memoria - la incoraggiai, e lei mi rivolse un sorriso colmo di gratitudine, per poi voltarsi verso le due statuine col carretto, in mezzo al piazzale in miniatura. E nonostante non ne avessi la conferma, sapevo benissimo cosa stesse pensando. Una volta finiti i dolcetti, mi salutò abbracciandomi e mi diede un bacio sulla guancia. Intimidito le feci gli auguri, e dopo avermi promesso che sarebbe tornata per darmi nuove notizie, la vidi scomparire al di sotto delle scale. Il silenzio e la monotonia tornarono in quello spazio che chiamavo casa. 
- Dici che se la caverà? - disse una voce alla mia destra. Hugo aveva già riempito la sua bocca larga con le ultime mele rimaste nel cesto.
- Spero di sì. Quella giullare in gonnella mi è così simpatica. E' bella e brava - aggiunse Victor, che era sbucato alla mia sinistra. 
- Tutto andrà a buon fine, se lotterà per i suoi desideri. E comunque vada, almeno non avrà rimpianti, vero Quasi? - fece Laverne, con il suo solito modo di fare, così materno e saggio. Io annuì, e sorridendo ai miei compagni di pietra, mi rimisi a lavoro, con legno e utensili. 

PV Roxanne

Scesi giù per le scale, per poi ritrovarmi nell'ala centrale. La messa mattutina era ancora in corso. Silenziosamente mi avvia verso l'uscita, dopo essermi fatta il segno della croce. Signore, dammi la forza per combattere e andare avanti. Le parole di Quasi mi avevano rincuorata, e dato che per natura ero ottimista, sentivo che dovevo usare tutto il tempo che avevo a disposizione, per passarlo con lui. Sì, dovevamo passare più tempo assieme, creare nuove occasioni per condividere mille cose, situazioni già vissute e che potevano far riaffiorare ricordi. Anche se, dovevo ammettere, che tutte le volte che ci avevo provato, sembrava che non funzionasse. Nemmeno con la torta di mele ci ero riuscita. Ma non volevo darmi per vinta. Feci un respiro profondo e sentì che la motivazione e la buona volontà stavano crescendo in me. Avanti, ora vai a cercarlo e fai del tuo meglio! Appena mi trovai fuori dalla cattedrale, ebbi l'impulso di correre e saltellare verso il piazzale, in cerca del mio giullare. Doveva trovarsi ancora nel mio teatrino mobile, a discutere sulle ricerche con i suoi sottoposti. Gli avrei proposto di andare in giro a cercare testimonianze. Così gli sarei stata utile. Proprio in quel momento, la porta sul retro del carretto si aprì. Ah bene, avranno già finito. Tempismo perfetto! Vidi Clopin scendere gli scalini. Aveva i suoi soliti abiti da zingaro, dal viola scuro, al viola indaco. Il mio cuore accelerò e alzai una mano mentre correvo verso di lui. Stavo per chiamarlo quando vidi qualcosa che mi fece sprofondare nell'angoscia totale. 
Dal carretto uscì fuori una ragazza, che si fece aiutare da Clopin a scendere. Era abbastanza giovane, di certo più di me. Doveva avere 22 o 24 anni. I capelli biondi e ondulati le scendevano sulle spalle. Portava un vestito color crema, aderente al corpo sinuoso, con una gonna lunga che si apriva da un lato, mettendo in mostra la gamba snella e armoniosa. Un senso fastidioso cominciò a bruciare dentro di me. Clopin finalmente mi vide, salutandomi da lontano. Guai a te se ti avvicini con quella là! Pensai nella mia testa, che stava andando in fumo. Ma no, lui ovviamente mi venne incontro, sottobraccio con quella 
bella ragazza, che in confronto a me sembrava una dea scesa in terra. Rimasi pietrificata dov'ero, e ben presto me li trovai davanti. Da vicino, la nuova arrivata era ancora più bella. Solo in quel momento potei constatare che aveva anche un seno prosperoso.
- Bonjour, mon ami! Sei andata a far visita a Quasi? - fece lui, con un buon umore che mi dava sui nervi. Chissà perché era così contento?! 
- Sì...sai, si aspettava di vedere anche te...- gli risposi, cercando di sembrare normale. Intanto, la sua dama sbatteva le lunghe ciglia e gli occhi di un bel viola grigio erano fissi sul mio giullare. Ma chi è questa?! 
- Ah, beh, lo immagino. Ma lo sai, ero impegnato - si giustificò lui. Ma che faccia tosta! 
- Sì, sì, lo vedo anche adesso...che sei molto impegnato...- gli feci notare, mentre la mia voce si faceva più cupa. Calmati, Roxanne, stai calma!
- Ah, giusto. Roxanne questa è Odette. Odette lei è la mia collega Roxanne - fece le presentazioni, dandosi arie galanti con la sua dama. 
- Piacere - disse lei, facendo un leggero inchino, sollevando un po’ la gonna. Lo ammetto, era leggiadra e aveva una voce delicata come il suono di un'arpa.
- Non credi che sia meglio tornare alle indagini, adesso? - chiesi al mio collega. Lui annuì e si rivolse a Odette.
- Pardòn, cherì, il dovere mi chiama. Spero di rivederti presto - disse, e le baciò la mano. La rabbia era salita alle stelle. Ero sul punto di strozzarlo con le mie stesse mani, perché un cappio non sarebbe bastato. Odette gli sorrise, e assunse un'aria da santarella innocente che arrossisce per così poco. Mentre lei si allontanava, diedi un'occhiata alla faccia del re del piazzale. Aveva un'espressione da ebete colossale. Tossicchiai rumorosamente per attirare la sua attenzione. Lui sembrò essersi appena svegliato da un dolce sonno e mi guardò stupito. Dico io, ti sembra questo il momento di rimorchiare?!
- Vedo che ti stai impegnando molto sulle indagini - dissi, incrociando le braccia al petto, con aria contrariata. Lui fece un sorrisetto ruffiano e disse:
- Beh, abbiamo terminato presto. Mentre ti aspettavo ho incontrato Odette. Non trovi che sia aggraziata come un cigno? -. Di nuovo quello sguardo da cretino, con gli occhi da pesce lesso. Ci mancava solo la bava alla bocca e poteva vincere il premio per la miglior faccia da demente della storia.
- Oh, e come se ho visto! Ho visto fin troppo bene...- risposi, e girai i tacchi per allontanarmi. Ne avevo abbastanza! Ero troppo irritata.
- Cherì, dove vai? - mi chiese, rimanendo di sasso. Ah, riesci ancora ad accorgerti che esisto anche io!? Complimenti! 
- Non sono affari tuoi! - risposi, mentre acceleravo il passo. Non volevo nemmeno voltarmi e guardarlo. Sentì che mi stava seguendo.
- Non andartene in giro da sola, lo sai che è pericoloso! - mi avvisò, aumentando il passo per starmi dietro.
- Non disturbarti! Posso badare a me stessa. Vai pure in giro a fare il barbagianni con le signorine...!-. Ormai non sapevo nemmeno io cosa stessi dicendo.
- Ehm, credo che si dica " Don Giovanni" - mi corresse, mentre mi seguiva a ruota. Gonfia le guance ed esplosi.
- Fa lo stesso!!!-. Cercai di sfuggirgli come potevo, ma lui mi rimase incollato come un ape su un fiore. Desideravo solo essere lasciata in pace. Tutta la mia buona volontà di poco fa era svanita del tutto. Perché dovevo impegnarmi tanto se alla fine era ovvio che era tempo sprecato? 
Per un attino, mi sembrò di non avvertire più i suoi passi, dietro di me. Aveva forse gettato la spugna?
- Cherì, aspetta! - mi urlò dietro, con il fiatone - ma che cos'hai? -. Quanto era insistente! Non mi fermai e continuai a camminare senza avere una meta.
- Non chiamarmi cherì...e poi cosa te ne importa di me?! - dissi, imboccando vicoli su vicoli. Ad un tratto sentì una mano afferrarmi il polso. 
- Smettila! - tuonò il giullare mentre mi tratteneva. In quell'istante non riuscivo ancora a guardarlo negli occhi. Ero troppo arrabbiata e frustrata.
- Perché ti comporti così? Ti ho offesa in qualche modo? - mi chiese, con una gentilezza che mi fece sentire in colpa. Era ovvio, non avevo motivo di essere gelosa. Ero solo la sua cara amica. Il mio comportamento, in teoria, non era sensato. Sentendo la ragione prevalere, scossi il capo, ma senza riuscire a voltarmi. Passammo qualche minuto senza dirci nulla, e per me sembrò un'eternità. Desideravo sprofondare giù nel sottosuolo e sparire.
- Ti era caduto questo - disse poi, e mi mostrò il costumino per petit Clopin. Dovevo averlo perso durante quella scenata. Il mio viso andò in fiamme per la vergogna. Il re dei giullari ammirò quel pezzo di stoffa con fantasie a rombi, e con tono soddisfatto affermò:
- L'hai fatto tu? Hai le mani d'oro, cherì - disse, e solo in quel momento ebbi il coraggio di guardarlo.
- Sono sicuro che al mio "collega" piacerà - aggiunse, e mi donò un sorriso solare. Tutto ciò mi diede la forza di rispondere.
- Sono felice che ti piaccia -. Poi feci un passo verso di lui, aggiungendo - Mi dispiace, per prima -. 
" Sì, sono gelosa di te. Ma purtroppo non sono la tua donna, e chissà se potrò esserlo un giorno" era ciò che volevo tanto dirgli. Ma non potevo. Durante quella mia confessione silenziosa, chinai la testa nuovamente, ma lui mi sollevò il mento e tornò a guardarmi.
- Che matta che sei! - disse, donandomi un sorriso beffardo. Quel gesto mi fece stare meglio, e scostando il viso con decisione risposi:
- Chi è più matto? La matta, o il matto che dà della matta alla matta? -. Quel giro di parole lo prese alla sprovvista, e dopo aver sbattuto le palpebre per due volte, scoppiò a ridere. Mi lasciai andare e mi aggiunsi alle sue risate. A quel punto, mandai al diavolo la mia gelosia, e decisi di godermi quel momento, solo nostro. Avevamo un intero giorno da passare assieme.
Gli proposi così di andare in giro a cercare prove e testimoni per il caso. Lui accettò entusiasta.
- Allora andiamo, Mademoiselle? - disse, porgendomi il braccio destro. Il mio fazzoletto rosso era ancora ben stretto, sulla ferita che il cane feroce gli aveva procurato la sera prima. Ebbi un attimo di esitazione.
- Sicuro che non ti faccia male? - gli chiesi, e ricordai che poco prima, Odette era appoggiata al suo braccio sinistro.
- Certo. Proprio perché sei tu, sono sicuro che starò bene - affermò, ammiccando. Un calore mi invase il petto, e con delicatezza accettai. Era così bello, stare sottobraccio con lui, come facevamo in passato. Per un attimo, finsi che niente fosse accaduto, che lui non avesse perso la memoria, e mi illusi che eravamo nuovamente la coppietta di giullari del piazzale. Volevo solo godermi quelle piacevoli sensazioni, anche solo per pochi istanti.
- Comunque, guai a te se scegli di nuovo il mio carretto per portare le tue nuove conoscenze - lo ammonì, cercando di non sembrare troppo dura.
- Ah, ora capisco! Hai ragione, in fin dei conti è pur sempre il tuo carretto - disse, passandosi una mano sul collo - Ma tranquilla, non ho fatto nulla di sconveniente. Solo chiacchiere. Sono pur sempre uno zingaro gentiluomo - terminò, facendomi un sorriso innocente. Ma tu guarda! Devo però ammetterlo: il pensiero che non fosse accaduto nulla con quella nuova conoscenza, mi diede un gran sollievo.
- Ma che bravo! Beh, per questa tua buona condotta, se capiterà un'altra occasione e mi chiederai il permesso, potrei anche cederti il mio teatrino per un "appuntamento speciale" -.
Era una battuta ironica, ma sperai che lui non l'avesse presa sul serio. Alla fine ci trovammo nei pressi del mercato, e Clopin cominciò a fare domande ad alcuni paesani. Dovevamo sapere se qualcuno di loro avesse visto il grosso cane inferocito. Bastava anche una sola testimonianza. Ma purtroppo nessuno aveva visto niente. Sembrava proprio che il misterioso animale fosse apparso dal nulla. Era così surreale. Con un sospiro, mi rivolsi al mio compagno.
- Che ne pensi?-. Stavamo camminando in una traversa ben illuminata dal sole, tanto che mi dovetti proteggere gli occhi con una mano.
- Sto cominciando ad avere dei sospetti. Una banda di criminali che provoca incendi. Un cane rabbioso che appare e scompare. Credo di sapere cosa stia succedendo - disse lui, grattandosi il mento. Le risate e le corse dei bambini che correvano vicino a noi non sembravano scalfirlo, tanto che era immerso nei suoi pensieri.
- Ma dovrei parlarne con Febo. Forse anche lui sta arrivando alla mia stessa conclusione - aggiunse, e solo in quel momento tornò a darmi attenzione. Osservai alcuni bambini che si divertivano a rincorrere un cagnolino. E pensare che a quell'ora dovevamo essere nel carretto per lo spettacolo. 
- Abbiamo saltato un giorno di lavoro, purtroppo. A te non dispiace? - gli chiesi. Sapevo bene quanto Clopin ci tenesse. Lui si passò la mano sul collo.
- In effetti sì. Odio quando non posso esibirmi. Spero che i bambini non ci siano rimasti male -. Una cosa positiva in quella situazione, è che potevamo stare tranquilli per il mio carretto, perché l'avevamo lasciato in piazza, ma ben osservato dalle guardie di Febo. Mentre continuavamo a passeggiare, mi tornò in mente l'argomento che aveva incominciato qualche giorno fa. Avevo sempre l'impressione che Clopin non fosse del tutto sincero con me. Se ero davvero la sua amica preziosa, 
poteva almeno confidarsi, anche solo un po’. Alla fine mi feci coraggio e mi feci avanti:
- Clopin, hai sempre desiderato fare il cantastorie, ed esibirti nel piazzale per i bambini? -. Avevo pronunciato la domanda in modo diverso, ma in fondo il quesito era lo stesso. Volevo sapere il vero motivo per cui era diventato giullare. Allora mi guardò con sguardo offuscato, come se non stesse davvero guardando me, ma una parte profonda del suo animo.
- Da piccolo sognavo di fare il re - mi rispose, allargando un mezzo sorriso. Rimasi un attimo interdetta. Fare il re?
- Mio padre era il capo di una grande carovana di zingari. A quei tempi vivevamo in Spagna, nella calda Andalusia - cominciò a raccontare. Ricordai che Esme mia aveva anticipato qualcosa sulla loro terra natale. La mia attenzione era tutta per lui. Si stava aprendo con me, finalmente.
- Mia madre morì quando avevo solo 5 anni. Mio padre, che era ancora giovane, si sposò con un'altra zingara, e dalla loro unione nacque Esmeralda - disse.
Ah, quindi Clopin ed Esmeralda erano fratellastri? Beh, era logico che Esme non lo avesse specificato, era un dettaglio di poca importanza. Anche se erano nati da due madri diverse, non era un ostacolo ed erano cresciuti amandosi come due fratelli affiatati.
- Quando ci siamo trasferiti qui, a Parigi, mio padre fondò la Corte dei Miracoli. Ero un bambino molto vispo e attivo. Beh, non che sia cambiato tanto da 
allora - disse, ridacchiando - La corte era per me un regno favoloso, come quello dei re e dei principi. Per me era un gioco pieno di fantasia, ma per mio padre era una triste realtà. Lui era diventato il re degli zingari per necessità, io sognavo di fare il re solo per divertimento. Quando lui morì, avevo 12 anni e il mio sogno si avverrò. Ma a quale prezzo... posso almeno dire che se oggi mio padre fosse ancora vivo, sarebbe soddisfatto del mio ruolo. O almeno spero -.
Rimasi a contemplare quel racconto. Percepivo un qualcosa di amaro in quella storia, vagamente chiara. Cominciai a pensare che Clopin non solo era cresciuto troppo in fretta, diventando il capo di un'intera popolazione. Ma che per via di quella realtà, la stessa che lui aveva ammirato da bambino, lo avesse schiacciato duramente, e che la maschera da giullare lo avesse aiutato a sopportare un tale peso.
- Ecco perché sei diventato un giullare? Per rifugiarti nel tuo mondo da fanciullo? - gli chiesi. Per un attimo rimase in silenzio.
- C'è sempre un bambino in ognuno di noi, cherì. Non c'è niente di male in tutto ciò - mi spiegò, senza però darmi una risposta concreta. Decisi di non insistere e intanto nella mia mente si stavano formando varie teorie. Forse, diversamente dalle apparenze, Clopin non era davvero felice della sua condizione. Essere il re degli zingari poteva sembrare un ruolo potente e invidiabile, ma di certo ti poneva davanti a tanti limiti, responsabilità e preoccupazioni. Inoltre, amava tanto i bambini, e lui stesso era un bambinone, per questo si sentiva a suo agio fare un lavoro simile. Con loro poteva essere completamente se stesso.
- E tu, ami tanto questo lavoro, o è solo per onorare la memoria di tuo padre? - mi chiese il re del piazzale. Che strano, era una cosa che nessuno mi aveva mai chiesto. Di solito le persone si interessano solo se lavori o come guadagni nella vita. Nessuno si era mai interessato se fossi contenta di quello che facessi.
- Ammetto che in primis è stato per onorare mio padre. Già ti ho raccontato la mia storia. Però ne sono molto felice. Mi piace. Sarà perché i miei genitori mi hanno trasmesso la passione per la musica e la recitazione. Quindi, sì, amo il mio lavoro - spiegai, con gran soddisfazione. 
- Fantastico - mi disse - questa sì che è una cosa che abbiamo in comune! - specificò, facendomi l'occhiolino. Era adorabile quando faceva così. Passammo parecchio tempo a perlustrare le zone, e ne approfittammo per comprare cibo e altre cose per la Corte. Clopin aveva anche questo compito; procurare le giuste provviste d'emergenza per la sua gente. Tutti loro lavoravano per guadagnarsi il pane, ma in momenti difficili, come quello che stavamo vivendo, bisognava essere pronti per i giorni di magra. A un certo punto ci trovammo in una piccola piazzetta, dove c'era un gran via vai di persone. Proprio vicino a una fontana, vi era seduta una vecchia signora, con un bambino che poteva avere 5 o 6 anni. Tutti e due avevano l'aria stanca e affamata. Un gran nodo allo stomaco mi fece star male, solo a vedere quelle due persone, così malnutrite. Notai poi, che ai loro piedi c'era un piatto di metallo per l'elemosina. Ma era vuoto, nemmeno l'ombra di una monetina. Clopin stava osservando la scena con me, e cominciò a frugare nelle tasche, ma si rese conto che non aveva altro denaro. In quel momento ebbi un'idea, ma mi ricordai che non avevo con me il violino. I miei occhi tornarono su quel piatto vuoto, e allora ebbi un colpo di genio. 
- Clopin, puoi prestarmi il tuo cappello? - gli chiesi con ansia. Lui alzò un sopracciglio, ma fidandosi me lo porse. Corsi subito verso la fontana. Mi avvicinai ai due poverini, presi il piatto e al suo posto misi sottosopra il cappello. Forse non era come un vero tamburello, ma potevo arrangiare. Ripensai alle danze di Esmeralda, così sensuali e leggiadre, e cominciai a far ondeggiare le mie curve. I cammei del mio pareo tintinnarono, e insieme al suono sordo del piatto contro le dita, producevo una musica insolita, ma molto accattivante. Non ero abituata a quel genere di esibizione, ma cercai di fare del mio meglio. Imitai una specie di danza del ventre, e volteggiai come una leggera farfalla, facendo aprire i veli della mia gonna. Il bambino, che era rimasto fermo vicino alla donna, fu attratto da quella strana musica, e incoraggiato dalla danza, si alzò e cominciò a ballare insieme a me, saltando come un capriolo di montagna. Ben presto, avvertì le prime monetine che finivano nel cappello. Evviva, stava funzionando! Quella situazione mi fece ricordare le domeniche del passato, quando mio padre recitava le preghiere prima del pasto, e alle prime luci del tramonto mia madre si esibiva per puro diletto nelle sue danze acrobatiche. Il mio ballo si fece sempre più frenetico, con piroette veloci, e salti larghi. Mentre tamburellavo sul piatto, alzai una gamba in senso orizzontale, mostrando così le cosce ben fasciate nella calzamaglia aderente. Mi stavo così divertendo che mi ero dimenticata del mio giullare. Rallentando un po’, incrociai il suo sguardo. Mi stava fissando con occhi spalancati e la bocca semiaperta. Che buffo! L'euforia mi portò ad allungare un braccio verso di lui, facendogli segno di unirsi a me. Lo zingaro sbatté le palpebre e rimase indeciso sul da farsi. Per fortuna, il bambino capì le mie intenzioni, e corse da Clopin, tirandolo per l'orlo della casacca. Ovviamente, il re delle feste non poteva fare a meno di seguirlo e presto ci trovammo l'uno di fronte all'altra.
Sorridendogli, gli cinsi un fianco con una mano, e sollevandomi sulle punte gli sussurrai: 
- Avanti, Vostra Maestà, non mi faccia fare brutte figure -. 

PV Clopin

Roxanne mi incoraggiò a prendere parte a quella danza, o meglio a quell'esibizione improvvisata. Sì, perché senza rendermene conto, grazie alle sue grazie e al suo talento, si era creata una notevole folla, che ci osservava e ci accompagnava con battiti di mani. Dopo aver lasciato i fagotti della spesa da una parte, mi lasciai trascinare da quella musica, fatta solo di tintinnii e battiti sul metallo. Io e Roxanne girammo su noi stessi, saltellando e alternando di lato. Era la prima volta che vedevo la mia collega e amica esibirsi in quella maniera. E dovevo ammetterlo: aveva una sensualità così esotica, ma anche giocosa.
Sembrava la seduzione e l'allegria al tempo stesso. Questo mi fece vibrare di un'emozione indescrivibile. Era come se in quel preciso istante, stessi scoprendo una parte di Roxanne che non avevo ancora visto. Forse, quella che avevo conosciuto in passato e che purtroppo non riuscivo a ricordare. Mentre ballavamo, ebbi la sensazione che avevamo già danzato in quel modo. Avevo uno strano senso di deja vù. Coriandoli dai mille colori e tendaggi che si aprivano sullo sfondo, mentre sul palco della festa dei Folli ci stavamo scatenando, tra applausi e grida festanti. Quella frenetica danza era così travolgente, che mi lasciai 
prendere dall'istinto. Afferrai la mia giullare ai fianchi, e la sollevai di peso. Era leggera come una piuma, e senza fatica, la feci volteggiare in tondo, e i suoi capelli corvini volarono nell'aria. Tra tintinni e risate, avvertì di nuovo quella sensazione familiare. Mi sembrava di rivedere me stesso, nei pressi di un ruscello, che faceva volteggiare una ragazza, allegra e folle quanto me. Un senso di vertigine mi martellò in testa, e mettendo un piede in fallo, caddi per terra. Ahi ahi, che male! Mentre mi massaggiavo la testa, sentivo il dolce calore delle candele, un tepore al petto, e aprì gli occhi. Roxanne era a cavalcioni sopra di me, nella mia tenda color porpora, alla Corte dei Miracoli. Mi guardava con occhi dolci e penetranti. Nell'arco di pochi secondi, lo scenario cambiò mille volte, ma ciò che rimaneva intatta, era l'immagine della violinista, in quella posizione. La testa mi stava scoppiando, e serrando gli occhi emisi un grido rauco. Cos'erano quelli? I miei ricordi che stavano tornando a galla...?

PV Roxanne

- Clopin, cosa ti succede? - dissi preoccupata al mio giullare, che si teneva la testa tra le mani. Non era la prima volta che gli accadeva, e mi chiesi se fosse un sintomo positivo o negativo. Cominciai a sentire l'ansia crescere, mentre mi sollevavo e lo aiutavo a rialzarsi. In quel momento, dato che avevamo smesso di ballare dopo quella caduta, avvertì applausi e schiamazzi. Clopin fu come destato da quel suono e guardandosi attorno sembrò stare meglio. Gli chiesi nuovamente se stesse bene, e lui mi guardò un po’ spaesato. Ma con un debole sorriso mi rassicurò:
- Certo, certo, e che tutto quel volteggiare mi ha fatto girare la testa -. Quella risposta mi calmò, ma avevo ancora qualche dubbio. La nostra attenzione fu catturata dal bambino che aveva condiviso con noi la danza. Ci stava mostrando il cappello violaceo colmo di monetine d'oro e d'argento. Io e Clopin fummo così felici di vedere che il nostro intervento era servito a qualcosa. Dopo aver raccolto il denaro in un sacchetto Clopin recuperò il cappello, e porse il denaro alla signora seduta, che aveva assistito alla scena. Inoltre, le donammo un po’ di frutta che avevamo comparto al mercato, e sul suo viso scesero delle lacrime di commozione e gioia. 
- Grazie, re Clopin - disse la signora, che lo aveva riconosciuto. Le sorridemmo, e il bambino, con una vocina dolce disse:
- Grazie...mamma e papà -. Io e il giullare ci guardammo stupiti, mentre la signora rise e intervenne.
- Sì, ha ragione il mio nipotino. Siete una bella coppia e dei bravi futuri genitori -. La mia faccia si fece rossa, e quando mi girai verso Clopin, mi accorsi che mi stava guardando, e giurai di aver notato del rossore sul suo volto dalla pelle ambrata. La cosa mi fece sorridere dolcemente. Dopo aver recuperato la nostra spesa, salutammo la signora e il bambino, decisamente più felici di quando li avevamo trovati. Stavamo superando le stradine per ritornare al piazzale di Notre Dame, e dato che c'era un silenzio fastidioso tra noi, decisi di prendere l'iniziativa.
- Beh, Vostra Maestà, non avremo fatto progressi nelle indagini, ma abbiamo reso possibile una buona azione, oggi - affermai, avvertendo ancora quelle piacevoli sensazioni, durante l'esibizione. Per un attimo, mi era sembrato di essere tornata alla festa dei Folli, dove tutto era iniziato.
- Ti sei divertito, vero? - gli chiesi, punzecchiandolo con il gomito. Ne ero sicura, l'avevo capito dalla sua esuberanza e da come mi aveva sollevata da terra, cogliendomi di sorpresa. Avrei ballato con lui per ore e ore, senza avvertire la minima stanchezza. Lui annuì, e mi prese una mano. Un nuovo tuffo al cuore mi fece quasi sussultare.
- Tutto merito tuo. E' stato un gesto davvero nobile e generoso - mi disse, mentre mi teneva la mano nella sua. Feci un sorriso nervoso.
- Nulla di che. Chiunque avrebbe fatto lo stesso - risposi, guardando altrove. Il re della piazza mi accarezzò i capelli, procurandomi un brivido sulla pelle.
- Ti sottovaluti troppo, cherì - mi disse, con un tono di voce serio, ma tenero. Fu un momento così raro e puro. MI chiedevo spesso cosa gli passasse per la testa, ogni volta che mi guardava in quel modo, che poteva dire tutto, ma anche niente. In quel momento avvertì un galoppare in mezzo alla strada. Una nuvola di polvere si alzò mentre un cavallo bianco si stava avvicinando. Il cavaliere fece fermare la cavalcatura proprio vicino a noi, e si tolse l'elmo dorato. Ovviamente era Febo, accompagnato da uno zingaro, anche lui in groppa a un cavallo.
- Clopin, meno male che ti ho trovato. Devi venire con me, subito! - disse il capitano con agitazione, e lo zingaro a suo seguito scese dal cavallo porgendo le redini al suo capo. Clopin non fece domande, come se avesse già capito tutto. Afferrò le redini e salì sulla sella del cavallo. Poi si rivolse a me.
- Torna al piazzale, cherì. I miei uomini ti condurranno col carretto alla Corte. Non avere pensieri per me, tornerò presto - disse, mentre guidava il cavallo verso la direzione opposta. Mi resi conto che in quella occasione non potevo fare altro che ubbidirgli. Non dovevo fare la testarda e oppormi, non mi sembrava né il caso, né tanto meno necessario. Così, dopo avergli assicurato che avrei fatto ciò che mi aveva chiesto, lui incitò il cavallo, e insieme a Febo sparirono dalla mia vista. Lo zingaro mi aiutò a portare le provviste fino al piazzale, poi dopo essermi accomodata nel mio carretto, fui riportata alla Corte, come una principessa che tornava al suo palazzo scortata dalle guardie. Per tutto il tragitto non feci altro che pensare al giullare, e sperai che sarebbe 
tornato presto. Quando arrivai alla Corte, ringraziai i due zingari con della frutta e chiesi loro di lasciarmi sola. Per ingannare l'attesa decisi di mettere in ordine il teatrino. Spolverai tutti gli accessori, rattoppai i buchi dei pupazzetti, e feci altre faccende che forse non erano necessarie. Dovevo mantenere la mente occupata. Era giunto ormai il tramonto, e di Clopin neanche l'ombra. Sospirando cercai di non pensarci. Roxanne, approfittane per rilassarti, dissi tra me. Così, mi recai alla fontana dove l'acqua veniva raccolta e usata per le necessità primarie, come cucinare e lavare vestiti. Ne riempì due secchi. In un pentolone sul fuoco riscaldai l'acqua, e mentre aspettavo, sciolsi i capelli che caddero come una cascata sulle spalle e sui fianchi. Li pettinai con cura e pazienza. Quando l'acqua fu pronta, la raccolsi con una ciotola e riempì man mano un grosso catino che potevo usare per il bagno. Dopo di ché, ci aggiunsi alcuni boccioli essiccati di rosa (le stesse che usavo per la mia pettinatura) e qualche goccia di oli profumati. Mi spogliai delle mie vesti, e andai dietro a un separé dove avevo sistemato il catino. Non era un granché, ma almeno riuscì a entrarci rannicchiandomi e piegano le gambe, con le cosce strette contro il seno. Mi rilassai, poggiando la testa sul bordo del catino, dove lunghe ciocche di capelli erano sparse intorno, come una gran ragnatela. L'acqua calda e il profumo di rosa mi cullarono e mi invitarono ad appisolarmi. 
Feci un sogno particolare. Lo facevo spesso nell'ultimo periodo. Il paesaggio maestoso a me tanto caro, i tramonti e le albe della bella Marsiglia. Un cielo stellato dove una luna nuova passava il suo ciclo di rinascita, da luna crescente a luna piena, fino a interrompersi nel suo stadio di luna calante. Fu allora che quella falce, così splendente, si unì a un altro astro, altrettanto potente. Un disco solare, dalle lunghe lingue fiammanti che lo circondavano, come una corona reale. Strano. Cosa voleva dire? Ad un tratto, sentì una voce flebile, come se provenisse da lontano.
- Cherì...cherì...-. Mi svegliai di soprassalto. L'acqua schizzò fuori dal catino, e con gli occhi ancora impastati dal sonno, mi guardai attorno. L'acqua era diventata quasi fredda, e capì che era passato molto tempo. Poi, il mio sguardo si posò di fonte a me. Dietro al separé faceva capolino la testa del mio giullare che mi guardava stranito. 
- Clopin! Sei tornato! - esclamai felice. Ma poi mi ricordai in che condizioni mi trovassi e arrossì come una fragola al sole. Anche se in quell'angolazione, in quel punto dove si trovava, non poteva vedere le mie curve scoperte, mi allarmai coprendomi con le braccia:
- Non guardarmi! - gli gridai contro, e lui si affrettò a tornare dietro al separé.
- Tranquilla! Non ho visto niente... - mi assicurò - Ho bussato varie volte alla porta, ma non mi hai risposto. E così sono dovuto entrare - mi spiegò, come se cercasse di giustificarsi per un brutto guaio commesso. Perché avevo sempre l'impressione che si comportasse come un bambinone, in quei momenti?
Mentre il rossore mi stava arrivando fino alla cute dei capelli, mi guardai attorno, in cerca di un telo per coprirmi. Niente teli ne vestaglie.
- Va bene, ma adesso passami un telo - gli dissi, con il tono di voce ancora imbarazzato. Lo sentì muoversi, un po’ impacciato per la stanza. Ma ben presto, vidi un suo braccio ondeggiare fuori, con il dito indice alzato che mi dava cattive notizie.
- Niente teli, da questa parte -. Oh, fantastico! pensai, alzando gli occhi al cielo. Avevo pensato a tutto, tranne che chiedere qualcosa per asciugarmi ad Esmeralda o a Michelle. 
- Torno subito, vado a prenderti qualcosa - disse, e vidi la sua ombra oltre il separé muoversi. 
- Aspetta! - lo richiamai - Non ho fretta. Rimani pure lì, mettiti comodo -. L'ombra del giullare si mosse nuovamente, ma questa volta si fermò sul pavimento. Rimanemmo in quella maniera, a parlare sulla situazione. Lui mi informò che le guardie di Febo avevano trovato un indizio. Sul muro di una casa, tra i vicoli più isolati del quartiere, era stata scritta una frase, di colore rosso, che recitava: “L’uomo non sarà mai libero fino a quando l'ultimo re non sarà strangolato dalle budella dell'ultimo prete ". Quella frase mi fece rabbrividire più dell'acqua fredda nel catino.
- Inizialmente sembrava un messaggio diretto al re di Francia, da parte dei soliti rivoltosi - cominciò a spiegarmi - Ma non è così. Quella scritta era rivolta a un altro re, senza corona e scettro. Anche Febo è arrivato alla mia stessa conclusione -. Fermandosi per un attimo, vidi la sua ombra avvicinarsi alla parete del separé che ci divideva. Anche io mi avvicinai di più, per cercare di diminuire quella distanza. 
- Cherì, ormai è così chiaro. Questi vandali, criminali, quel che sono, vogliono trovare la Corte dei Miracoli. E sono certo che non si fermeranno fino a quando non mi vedranno penzolare da una corda - mi rivelò, senza però dare accenni di paura o esitazione.
- Ne sei davvero certo? - gli chiesi, avvertendo un'ansia mai provata prima. Lui confermò, poi la sua ombra si mosse allontanandosi dalla parete.
- Cherì, è meglio che per un po’ di tempo non ci vediamo - disse all'improvviso, con un tono di voce spento e amaro. Il mio cuore si fermò di colpo, e non riuscì a credere alle mie orecchie.
- Cosa? Perché? - gli chiesi, fissando la sua ombra che sembrava allontanarsi man mano. 
- La situazione sta degenerando. Avrei dovuto capirlo da quella sera, quando il cane mi stava stanando per uccidermi. Capisci, mi stanno dando la caccia.  Se tu continuassi a starmi vicino...è troppo rischioso per te - mi spiegò con pazienza - Per alcuni giorni dovrò stare lontano dalla Corte, e devo cercarmi un altro posto per rifugiarmi. Ho bisogno di isolarmi per continuare le ricerche senza avere il timore che qualcuno si faccia male per via della mia presenza -. Mentre ascoltavo le sue parole un gran dolore mi attanagliava il cuore. Non riuscivo a sopportare quella notizia, non proprio ora che qualcosa si stava smuovendo tra noi.
- Portami con te! Ti giuro che eseguirò tutti i tuoi ordini, e ti sarò utile! - gli dissi, con voce alterata. Ma come temevo, lui mi rispose:
- Assolutamente no! Non posso esporti continuamente al pericolo. Questa è gente che non scherza, non lo capisci? -. I miei occhi si riempirono di lacrime, e seguendo l'istinto, mi alzai e uscì fuori dall'acqua. Mi precipitai e corsi verso di lui, che mi dava le spalle. Lo abbracciai da dietro, affogando il viso sulla sua schiena. 
- Sei tu che non capisci...non capisci niente! -. Soffocai il pianto sulla stoffa del suo vestito, mentre i capelli umidi ricadevano sulle mie curve bagnate. Per il pianto e la vergogna, avevo il viso in fiamme, ma non mi importava se ero ancora nuda. In quel momento, avrei voluto spogliarmi anche della maschera che mi ero imposta, e liberare i miei più profondi sentimenti.
- Cherì...ma che fai? - disse lui, evidentemente scosso dalla mia reazione. Le mie braccia avvolgevano il suo torace, il mio seno era premuto contro il suo corpo, e il mio cuore palpitava così forte, che anche lui stesso poteva udirlo.
- Tu...sei così importante per me - riuscì a dire. Il re del piazzale si mosse di poco, poi riuscì a svincolarsi dalla mia presa, e si voltò. Ebbi un sussultò da quel gesto improvviso, e non fui pronta per farmi vedere in quello stato. Ma con mia grande sorpresa, notai che aveva gli occhi chiusi, per evitare i guardarmi in quelle condizioni. Il suo rispetto nei miei confronti non era cambiato per niente. Con le mani coperte dai guanti, cercò il mio viso, come un non vedente. Quando lo trovò, mi asciugò le lacrime e mi accarezzò le guance. 
Rimanendo con le palpebre chiuse, lui allargò un sorriso.
- Oh, cherì. Proprio per questo, devi starmi lontano. Proprio perché tu mi sei così preziosa, che devo sparire. Sei così forte, coraggiosa, buona come la torta di mele, e bella... - mi disse, e si soffermò un attimo per far scivolare le dita sui miei capelli. Ne prese una ciocca e la portò sulle labbra, per poi baciarla.
- Non solo bella, ma tanto cara - e terminando, avvicinò il volto al mio. Vederlo così vicino, arrossì di più, e le sue labbra lasciarono un segno sulla mia fronte. Un bacio casto, puro, pieno d'affetto, e privo di malizia. Rimasi ferma, mentre lui si allontanava pian piano da me, accarezzando i miei lunghi capelli.
- Sono felice di averti conosciuta, Roxanne. Se tutto andrà bene, ci rivedremo presto - disse infine, e quella frase mi suonò come un addio. Poi, si voltò, aprì la porta sul retro, e uscì chiudendola alle sue spalle. Un silenzio, che era più oscuro della stessa morte, era calato nel teatrino e nel mio cuore.
 
La violinista, priva di tutto ciò che l'aveva tenuta in forze, come una guerriera in una battaglia, si lasciò cadere sui cuscini. Nuda e indifesa, spogliata di tutto il coraggio, la motivazione, e delle sue ultime speranze, non aveva neanche più la forza per piangere. Tutto era stato vano. Doveva arrendersi. Sapeva che fin quando il re degli zingari fosse rimasto con lei, forse c'erano ancora possibilità. Ma lontano, per molto tempo, di certo il miracolo non sarebbe mai avvenuto. E lei, non aveva altro tempo. Anzi, sapeva che era già scaduto. Mancava poco al 28essimo giorno che si trovava a Parigi. Il suo rito si sarebbe consumato, per poi risorgere come ogni mese della sua vita. 

Angolo dell'autrice

Mamma mia che casino! Sì, questo capitolo è stato più lungo degli altri, ma c'erano tante cose che volevo scrivere che non ho potuto farne a meno. Ammetto che le cose stanno diventando sempre più complicate, e che la povera Roxanne sta soffrendo moltissimo (mi dispiace per lei ç_ç). Eh, lo so, magari per qualcuno è snervante la situazione, e che sta aspettando che tutto abbia una svolta positiva per i nostri giullari, ma tranquilli ci arriveremo XD Non odiatemi ç_ç
Comunque fatemi sapere cosa ne pensate anche di Odette (nuovo personaggio, che devo decidere se farlo comparire di nuovo). La scena che mi ha divertito di più è stata quando Roxanne si è ingelosita a bestia, e quella botta e risposa con Clopin XD Ci farò di sicuro una vignetta. Detto ciò, alla prossima <3 
      

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Capitolo 14
*** Cuore impavido ***


                                                                                          Cuore impavido

Il mese di gennaio stava giungendo al termine. Il tempo era rimasto incerto in quel periodo. Sembrava che il sole cercasse in tutti i modi di sconfiggere il manto nuvoloso, ma tutto rimaneva grigio e sembrava che la pioggia sarebbe caduta, da un momento all'altro. Ma questo non era un pensiero per gli abitanti della Corte dei Miracoli. Situati nel sottosuolo, lontano dal maltempo, potevano stare tranquilli. Inoltre, un semplice temporale non era certo preoccupante.
La vera tempesta era di altra natura. Tutti avevano capito la gravità della situazione, specialmente da quando il loro sovrano aveva lasciato il rifugio.  Nessuno sapeva dove si fosse nascosto, neanche la bella Esmeralda, che essendo la sorella, doveva conoscerne l'ubicazione più di chiunque altro. Quel giorno era nella tenda di Michelle. Erano le prime ore del pomeriggio. La zingara era in pensiero, non tanto per Clopin, ma per la sua amica dagli occhi vermigli.

PV Roxanne

Esmeralda mi aiutò con l'acconciatura, e dopo aver sistemato i ferretti e i nastri tra le ciocche ben pettinate, mi offrì una bella minestra calda. Avevo passato due giorni interi nel mio carretto, senza voler vedere nessuno. Non avvertivo più né fame e sete. Provavo solo una grande amarezza. Quel giorno, dopo pranzo, Esme era venuta a cercarmi, e quando mi vide, tutta disordinata, stretta ai cuscini sul tappeto, mi aveva quasi costretta a uscire. Nella tenda di Michelle c'erano altre due donne, che dovevano avere più o meno 40 anni. La guaritrice dalla lunga treccia bruna, mi abbracciò forte appena mi vide, e mi sentì carica di calore e affetto. Una cosa certa era che, se e quando avrei lasciato Parigi, mi sarebbe mancato tutto, soprattutto le persone che mi avevano accettata in quella dimora, e in quella grande famiglia. Al solo pensiero mi si spezzava il cuore. Ma fra qualche sera sarebbe sorta la luna calante e con ciò voleva dire che il mio tempo stava terminano. Intanto, Esmeralda e Michelle cercarono di distrarmi, e le altre due donne sembravano molto simpatiche e a modo. Zephyr si svegliò, e anche lui partecipò alla serena riunione, a suo modo, con vagiti allegri e gesti teneri. Tenendolo tra le braccia non riuscì a resistergli e cominciai a giocare con lui. La tristezza e l'ansia mi diedero un attimo di tregua. Perfino Djali, che fino a quel momento dormiva vicino al ventre di Topazia, la capra di Michelle, volle farmi compagnia, strofinando la testolina tra le gambe. Ci stavamo godendo quel momento spensierato tra donne, quando però udimmo delle voci allarmate, fuori la tenda.
- Esmeralda! Esmeralda! - gridarono alcune persone.
La zingara si alzò di scatto, e mentre cercavo di capire cosa stesse accadendo, la tenda si aprì.
Entrarono due donne, le amiche guaritrici di Michelle, che sorreggevano un uomo, coperto da un mantello.
Sembrava così stanco da non riuscire a stare in piedi.
- Cosa succede? - chiese Esme, presa dall'agitazione. Le due donne strapparono via il mantello dall' uomo, e solo in quel momento capimmo che si trattava di Andrè, uno zingaro della Corte, uno degli uomini migliori di Clopin. Appena lo vidi soffocai un gemito di puro shock. Era completamente sporco di sangue, e aveva una ferita profonda sul petto. Anche Esmeralda rimase sconvolta, ma subito si precipitò accanto a lui, mentre le donne lo adagiavano sul tappeto.
Esme guardò la terribile ferita, e poi rivolse lo sguardo alle due donne. Senza dire nulla, scossero il capo, amareggiate.
In quel momento capì che nemmeno le guaritrici potevano fare qualcosa per lui, e che le cure non sarebbero state sufficienti per salvarlo. Aveva perso troppo sangue. Sarebbe morto lì per lì. Allora la zingara si fece più vicina ad Andrè per potergli parlare. 
- Andrè, cosa è successo? - gli chiese, scandendo bene le parole per farsi capire. L'uomo respirava a gran sorsi, mentre il sangue scarlatto non smetteva di scorrere. Inizialmente non disse nulla, ma appena le pupille trovarono quelle di Esmeralda, mosse le labbra.
- Siamo...stati attaccati...i vandali...- cercò di dire Andrè, con un filo di voce. Esme aveva praticamente l'orecchio vicinissimo alle labbra del moribondo. Il mio cuore cominciò a battere come un tamburo. Era ciò che avevo temuto fin dal principio.  
- Dove sono tutti gli altri, e Clopin? - chiese poi la zingara, agitandosi ancora di più. Mi feci più avanti anche io, per poter udire. L'uomo era quasi al limite delle forze. Del sangue cominciò a uscirgli dalla bocca.
- Tutti...morti...- rispose a bassa voce, e in quell'istante mi pietrificai. Non era possibile! No, non riuscivo a crederci! In quel momento, mi resi conto che molte altre persone erano presenti nella tenda di Michelle. Tutti gli abitanti della Corte erano accorsi, probabilmente attirati dalle grida di disperazione di poco fa. Alcuni erano dentro insieme a noi, altri si stavano accalcando fuori, e ognuno cercava di farsi largo nella folla per vedere cosa succedeva.
- Tutti?! Anche Clopin?! Ti, prego Andrè, resisti - lo incitò Esmeralda, prendendogli il viso tra le mani - Anche Clopin è rimasto ucciso? -. Andrè, che non sembrava più lucido, guardò la zingara per l'ultima volta, mosse leggermente le labbra, ma non uscì neanche una sillaba. Dopo aver esalato l'ultimo respiro, Andrè chiuse gli occhi e si lasciò morire. Un silenzio tombale era sceso tra noi, e la mia angoscia si fece più massacrante. Mon Diè, dimmi che non è vero!
Esmeralda aveva una mano sul petto, e quando cercò di alzarsi, le sue gambe cedettero, e rischiò di svenire e finire a terra. Michelle, meno male, la sorresse.
- Esme! Mon ami, che hai? - disse, mentre le altre donne corsero ad aiutarla. Mai avevo visto la mia amica, così forte e tenace, in quello stato. Mentre Michelle e le due guaritrici si occupavano di lei, alcuni zingari coprirono il corpo senza vita di Andrè e lo portarono via. Mi feci il segno della croce mentre lo vedevo sparire fuori dalla tenda. Esmeralda era adagiata sul cumulo di cuscini, semi cosciente, con il sudore che le scendeva sulla fronte.
- Tutto questo stress deve averla sfinita. E lo shock del momento ha fatto il resto - spiegarono le donne, mentre cercarono di farla riprendere. Mi sedetti vicino a Esmeralda, mentre continuavo a cullare Zephyr. Era davvero stremata, e si massaggiava la testa. Poi aprì gli occhi e si rivolse a tutte noi.
- Dobbiamo fare un'adunanza. Adesso -.

PV Esmeralda

Nel giro di pochi minuti, l'intera Corte si radunò sotto il palco del patibolo. Nonostante tutto il malessere di quei ultimi giorni, le notte insonne per Zephyr, e lo shock subito, ebbi la forza di salire sulla piattaforma in legno, per fare un annuncio alla mia gente, che aspettava con ansia le mie parole. Lasciai in un primo momento vagare lo sguardo su quella folla silenziosa, e con fermezza cominciai a parlare.
- Fratelli e sorelle, figli della Corte dei Miracoli, voi sapete benissimo cosa sta succedendo in quest'ultimo periodo -.
Feci una pausa per riprendere fiato. E pensare che qualche tempo fa al mio posto c'era ancora il mio fratellone, che con decisione e forza di nervi, guidava il popolo gitano. 
- Per garantire la sicurezza e il benessere di tutti noi, Clopin ha lasciato la sua casa, in modo che i criminali, gli stessi che hanno preso di mira Parigi,  potessero stare lontani dal nostro rifugio. Il nostro re ha sempre fatto di tutto per tenerci protetti e farci vivere lontano dai pericoli. Ma adesso, è lui che ha bisogno di noi -
Un vociare si mosse in mezzo alla folla, e molti sembravano preoccupati per la faccenda. Uno di loro alzò la voce:
- Cosa ci stai chiedendo? Di uscire da qui, ed esporci tutti a un serio pericolo? -. Qualcun'altro intervenne:
- Sei sicura che sia la cosa giusta? Clopin ti avrebbe lasciato fare ciò? -. E qualcun'altro ancora disse:
- Hanno ragione. E se fosse una trappola? Non siamo neanche certi che Clopin sia sopravvissuto -.
Udendo quelle frasi mi sentì annebbiare dalla rabbia e dall'amarezza. Come potevano parlare così? Potevo comprendere i loro dubbi, ma non potevo sopportare che si stessero rifiutando di dare il loro aiuto. Si trattava pur sempre del loro sovrano. La realtà e che avevano tutti paura. Quando si è spaventati, quell'istinto di sopravvivenza e l'egoismo prendono il sopravvento, si chiama natura umana. Dopo qualche secondo, dopo aver lasciato parlare il popolo, feci dei passi in avanti, alzai le braccia al cielo per avere maggiore attenzione e ripresi la parola. 
- Vi pongo un quesito, e lo faccio anche a nome di mio fratello. Dopo aver passato una vita intera, in mezzo alla polvere e al fango. Dopo aver ricevuto l'etichetta come "ladri". Dopo aver subito le peggiori ingiustizie solo per il nostro ceto sociale, abbiamo avuto la forza di ribellarci a un mostro come Claude Frollo -.
A quel nome, i gitani rimasero immobili e senza emettere alcun fiato.
- Dopo tutto questo, volete davvero lasciare che un branco di criminali, venuti a seminare il caos nella bella Parigi, ci tolgano la nostra libertà? Ricordate mio padre? Ha costruito questo rifugio per noi, non perché diventasse la nostra prigione eterna, ma un posto che potessimo chiamare casa -. 
I miei occhi, in maniera spontanea, si riempirono di lacrime. Ripensai al mio caro padre, il re degli zingari, che con la sua sete di giustizia ci aveva dato la vita. E dopo lui, Clopin aveva preso il suo posto, che con altrettanta forza e tanti sacrifici, ci aveva donato la sua guida. Potevo anche essere una donna, ma volevo eguagliarlo, specialmente in quel momento in cui eravamo spogli della sua presenza.
- Lo so che avete paura, e so quanto possa essere rischioso. Ma io non voglio tornare a vivere come una povera emarginata, che ha paura di mettere il piede fuori, solo perché un'altra persona ha deciso così. Sono una zingara. Ma voglio essere una zingara libera, col mio posto di diritto in questo mondo -.
Un silenzio colmo di ammirazione e rispetto governava in quell'istante. All'improvviso una voce si alzò, rompendo il ghiaccio:
- Vive la liberté! - e insieme a quella, si unirono tante altre voci, fino a creare un boato glorioso e sconfinato.

PV Roxanne

Un'emozione mi fece rabbrividire e sentivo che anche io volevo unirmi a quel coro. Avevo visto in Esmeralda quella stessa sete di giustizia che avevo letto negli occhi del mio Clopin. Sembrava una vera regina degli zingari, coraggiosa e tenace. Dopo aver calmato la folla, la mia amica riprese a parlare.
- Se allora siete con me, voglio organizzare una squadra di soccorso. Voglio i migliori uomini e ragazzi della Corte per andare a cercare Clopin -. 
Non aveva ancora finito, che salirono sul palco alcune persone. Tutti uomini dai 20 ai 40 anni. Erano almeno una decina. 
- Conta su di noi, principessa Esmeralda - disse un uomo, alto e con i capelli bruni. Mentre lei annuiva soddisfatta, ebbi l'impulso di fare la mia mossa. Per tutto quel tempo ero rimasta in disparte, nell'ombra. Ma le parole di Esme mi avevano dato nuova forza. Inoltre, era la mia occasione per andare a salvare Clopin.
- Anche io! - dissi, aggregandomi alla squadra, mentre avvertivo versi di sgomento in mezzo alla folla. 
- Cosa!? Una donna nella squadra? Non si è mai visto! -. Sentendomi toccata nel vivo, girai di scatto la testa, e fulminai con lo sguardo l'uomo che aveva parlato. Lui rimase interdetto, e non parlò più. Come odiavo essere così sottovalutata! Poi tornai a guardare la mia amica.
- Esmeralda, lasciami andare con loro - cominciai, usando un tono fermo e deciso - Non posso rimanere qui senza far nulla, sapendo che là fuori Clopin sta rischiando la vita per tutti noi. Sei stata tu a dirmi che devo seguire il mio cuore. E io sento che devo andare a cercarlo. Anche in capo al mondo -.
Dietro di me, gli uomini si stavano sussurrando cose che non riuscivo a comprendere, ma non me ne curai. Intanto Esme era rimasta a riflettere. 
- Ma è troppo pericoloso per te, signorina Roxanne! - disse poi un ragazzo, che doveva avere 25 anni. Aveva un tono gentile, in fondo - Inoltre nessuno di noi sa dove andare a cercare Clopin! Potrebbe essere andato chissà dove! -. In effetti non aveva tutti i torti. Il tempo era limitato, e noi dovevamo essere sicuri della strada da percorrere.
- L'ultima cosa che lui mi ha detto, prima di partire, è stata che si sarebbe diretto " verso il luogo a lui tanto caro " - intervenne Esme. Rimasi a riflettere su quella frase. Pensa, Roxanne, dove andrebbe Clopin, a parte la Corte dei Miracoli, e il piazzale di Notre Dame? Dove? Poi, un'idea mi passò nella mente. 
- Io so dov'è! Sì, credo di saperlo! - esclamai, guardando tutti i presenti. Sussulti di stupore si alzarono dalle bocche del popolo gitano.
- Lo credi solo, o ne sei davvero sicura? - tuonò una voce, dietro alle mie spalle. Un uomo grande e grosso, che non avevo mai visto, si era unito al gruppo. Mi fissava con occhi di un bel color ambra dorata, e i capelli scuri scendevano lunghi sulle spalle e il petto. Aveva un'aria molto seria.
- Lo so, e basta! - risposi, cercando di non farmi intimorire. Poi, la mia amica si avvicinò, mi prese le mani e mi disse:
- Se è quello che tanto desideri, cherì, e sei sicura di poterlo ritrovare, allora mi metto nelle tue mani -. Esmeralda mi donò un sorriso, e per un attimo mi sembrò che mi stesse supplicando.
- Sarai tu, a guidare la squadra. Conducili nel posto segreto di Clopin, e promettimi che tornerai sana e salva, con o senza di lui -. 
Tutti i presenti rimasero con un palmo di naso. Compresa io. Dovevo guidare la spedizione? Ma superata la sorpresa iniziale, non mi tirai indietro e accettai. 
- Esmeralda, perdonami, ma sei sicura di questa scelta? - chiese un altro zingaro del gruppo. Ma questa volta intervenne l'uomo grosso di prima, con gli occhi dorati.
- Non mettere in dubbio gli ordini della principessa. Inoltre, Esmeralda deve rimanere qui come vice-capo della Corte, e noi abbiamo bisogno di una guida - mentre diceva ciò, lui tornò a guardarmi, e mi fece un'occhiata furba.
- Non dimenticate, che costei è la giullare che ha salvato il nostro capo. Portatele rispetto, o vi taglierò la gola senza neanche pensarci -.  
Tutto fu preparato nei minimi dettagli. I volontari per la spedizione avevano sistemati varie armi da taglio, dai pugnali alle spade, e c'erano anche fiaschette contenenti ogni genere di veleno. Per quanto riguardava me, mi munì del mio inseparabile pugnale, legato alla coscia con il cinturino in cuoio. Michelle mi diede una gran scorta di erbe medicinali, fasciature, e ago e filo. Anche le altre guaritrici mi diedero molte cose utili, e io ne fui davvero grata.  Eravamo fuori dalla Corte, e due cavalli dal manto nero erano stati sistemati per trasportare il teatrino mobile. Esmeralda ne caricò l'interno con ogni genere di cibo, vino e coperte. Dopo di che, mi abbracciò forte e a lungo. Mi sentivo come se stessi andando in guerra. Ma non avevo paura.
Dopo aver terminato i saluti, gli uomini presero posto all'interno del carretto, e io mi arrampicai al posto di guida, insieme all'omone dagli occhi ambrati. Appena furono incitati i cavalli con un colpo di frusta, mi voltai per un’ultima volta, e salutai con un gesto della mano la mia migliore amica, accompagnata dalle straordinarie donne della Corte. Mio Signore, veglia su di loro, pregai in silenzio.
- Hai già cambiato idea, violinista? - disse in tono duro il mio compagno di viaggio. Mi girai verso di lui, e incrociando le braccia al petto dissi:
- Assolutamente no. Non mi pento della mia decisione -. Perfino io ero stupita di quel mio comportamento. Ma sentivo che era quello che desideravo di più. Trovare Clopin e riportarlo a casa. Sperando solo che fosse ancora vivo...
Quando partimmo il cielo si era già dipinto dei tipici ma spettacolari colori del tramonto. Durante il viaggio rimasi in silenzio e mi godetti quel favoloso paesaggio. Anche il mio amico, accanto a me, rimase in silenzio. Che tipo serio e scorbutico, pensai. Eravamo diretti, secondo le mie direttive, alle porte di Parigi, e una volta lì dovevamo cambiare strada. Il carretto dondolava così freneticamente che dovevo stare attenta a non trovarmi sbattuta fuori dal mio 
posto. I cavalli erano molto forti e andavano a un passo notevolmente veloce. Non ero abituata a quel nauseante sbattimento.
- Tutto bene, violinista? - mi chiese lui, che aveva notato il mio disagio. Con tutto quel movimento sentivo la minestra di verdure salirmi su dallo stomaco.
- Sì, sto bene - dissi, poco convinta. Non volevo fare la figura della donnicciola fragile che non sapesse tenere a bada degli stupidi malesseri. Con la coda dell'occhio, vidi il suo viso compiaciuto, per poi tornare a concentrarsi sulla guida. Grazie a quella velocità, riuscimmo a superare la città, e ci lasciammo alle spalle le porte di Parigi in pochissimo tempo. Da lì, diedi nuove indicazioni al mio compare sulla strada che dovevamo percorrere. In un primo tratto non avevamo avuto problemi, ma a un certo punto dovettimo fermarci. La strada si stava facendo più stretta e non facilmente percorribile con un grosso carretto.
Avevo dimenticato quel dettaglio. Io e lo zingaro scendemmo giù dai nostri posti e scrutammo la zona. Ormai era sera inoltrata, e c'era poca luce.
- Dobbiamo andare da quella parte - lo avvisai, indicandogli un sentiero che si allungava in mezzo a un boschetto, pieno di cespugli e alberi. Lui annuì, e dopo aver radunato i suoi uomini, ordinò alla metà di stare di guardia al teatrino, mentre il resto sarebbe venuto con noi. Il gruppo si munì di vari pugnali, che nascosero negli incavi degli stivali e dei guanti. Io tenni pronto il mio pugnale personale.
- Credo che ti servirà qualcosa di meglio, violinista - mi canzonò il mio amico, e mi porse un pugnale più grande e affilato. Sull'elsa aveva in rilievo la testa di un ariete, con grandi corna attorcigliate. Mi sembrava alquanto antico e prezioso.  
- Non serve, grazie - gli risposi, tornando a fare ciò che stavo facendo. Non volevo sembrare antipatica o sgarbata, ma volevo solo dimostrare che ero in grado di gestire la situazione. Avevo scelto liberamente di andare con loro, e non volevo essere né un peso né una povera donzella da proteggere. Appena fummo pronti, mi misi a capo del gruppo, per poterli guidare nel tragitto. L'omone rimase di fianco a me, per ogni evenienza. Con il favore delle prime ombre della sera, ci stavamo muovendo lentamente, in maniera furtiva, e senza emettere alcun rumore. Poteva esserci qualche spia o qualche membro della banda
nemica nei paraggi. I cespugli ci aiutarono a nasconderci, mentre ci avvicinavamo sempre di più al cuore del boschetto. Finalmente, raggiungemmo il ruscello. Quel posto, anche se nella completa penombra, mi suscitò un tornado di dolci ricordi ed emozioni. Era quello il posto tanto caro a Clopin. Ricordai ancora con quanta nostalgia mi avesse parlato dei suoi momenti felici legati a quel luogo così ricco di vita. 
- Sarebbe questo il rifugio segreto del nostro re? - chiese a bassa voce il più giovane di tutti. Gli altri lo zittirono, mentre il mio compagno di viaggio mi chiedeva conferma, guardandomi negli occhi. Io annuì decisa, e dato che sembrava proprio che non ci fosse nessuno nei paraggi, uscimmo fuori allo scoperto. 
- Uomini, ispezionate la zona circostante. Cercate ogni traccia, indizio, qualunque cosa - ordinò lo zingaro agli altri, e tutti eseguirono alla lettera ciò che era stato chiesto. Io mi guardai attorno, cercando di studiare ogni parte. Ero sicura che Clopin fosse lì, o che almeno ci fosse passato. Ma di lui neanche l'ombra. Cominciai a sentirmi frustrata e ansiosa. E se mi fossi completamente sbagliata? Poi, mentre ero nei pressi di un albero, qualcosa catturò la mia attenzione. Su un ramo coperto di spine vi era un pezzo di stoffa lacerato. Lo afferrai incuriosita, e lo studiai per bene. Con la poca luce riuscì a riconoscerlo. Il mio fazzoletto rosso!
Clopin lo portava ancora al braccio ferito, quella sera quando ci eravamo parlati per l'ultima volta. Non c'erano dubbi. Era una traccia.
- Cosa hai trovato? - mi chiese lo zingaro, e si avvicinò per guardare. Gli spiegai di cosa si trattava, e lui come me arrivò alla seguente conclusione.
- Clopin è stato qui, questo è certo. Avevi ragione, violinista! - mi disse, con una certa nota di soddisfazione - Temo però che sia avvenuto qui l'attacco da parte dei vandali -. Mentre lui mi spiegava la sua teoria, uno degli uomini tornò da noi, tutto trafelato.
Nei suoi occhi non lessi nulla di buono. 
- Venite, presto! - ci incalzò, con la voce bassa. Lo seguimmo di corsa lungo un piccolo sentiero, che conduceva dietro a un mucchio di cespugli e piante rampicanti. Lì, trovammo una grossa fossa che era stata probabilmente scavata da molte mani. Mi affacciai per poter vedere e avvertì un tanfo orrendo. Fino a quel momento non avevamo torce accese, per evitare di rivelarci da probabili occhi nemici. Infine, lo zingaro fece luce con un fiammifero. Bastò quella fiammella per farci scoprire cosa si celasse in quel grosso buco. Almeno una decina di uomini, tutti zingari della Corte, erano ammucchiati e senza vita, in quella tomba in comune. C'era un forte odore di sangue e di carne in decomposizione, mentre dei topi orrendi si stavano cibando delle carcasse. 
- Non guardare! - mi ammonì il mio compare, afferrandomi da dietro, e coprendomi gli occhi con una mano. Se ero riuscita a trattenermi durante il viaggio traballante, non potei fare lo stesso in quel momento. La puzza insopportabile e la scena cruda mi fecero rivoltare lo stomaco e vomitai. 
- Oh, per Diana! Ragazzi, vi affido tutto il lavoro. Appena finito raggiungeteci al carretto -. Sentì lo zingaro dare tali ordini, poi, senza preavviso, mi sollevò in braccio e mi porto via. Ero ancora cosciente, ma avevo voglia di svenire per quanto stessi male. Mai nella mia vita avevo visto una cosa del genere. Mi portò all'interno del carretto, mi fece sdraiare sui cuscini e cominciò a bagnarmi la fronte con un panno freddo. Cominciai a sentirmi meglio.
- Si vede che sei cresciuta nella bambagia, violinista - disse lui, come se mi stesse prendendo in giro. Nonostante lo stato in cui mi trovassi, feci una faccia storta e risposi a tono:
- Non sono cresciuta nella bambagia! Cosa ne sai tu di me? -. Mi dava un gran fastidio essere giudicata in modo superficiale, e avevo imparato a non sopportare più tali situazioni. L'amicizia con Clopin, Esmeralda e gli altri mi avevano cambiata, e di molto. Lo zingaro sorrise, per niente scosso, e riprese:
- Ne so abbastanza da poter dire che nella tua vita non hai mai visto la morte nuda e cruda. Perché sei cresciuta nel tuo mondo felice, umile ma pur sempre felice. Ecco cosa intendevo con "bambagia" - mi spiegò lui, mentre continuava a rinfrescarmi la fronte. In quel momento mi rilassai. In fin dei conti, era un brav'uomo. E dovevo ammettere che se non fosse stato per lui, gli altri del gruppo non mi avrebbero accettata con facilità. Era duro e schietto, ma non cattivo.
- Non conosco ancora il tuo nome - confessai, e rimasi in ascolto. Lui mi guardò con i suoi occhi d'ambra dorata, e poi rispose:
- Zacarias -. 
Dopo che tutti gli uomini si erano riuniti di nuovo a noi, fummo pronti a ripartire. Non volli sapere cosa ne avessero fatto di quei poveri cadaveri. Non ci tenevo. Pregai profondamente per le loro anime, mentre ero ancora seduta al solito posto, accanto allo zingaro. Avvertivo i suoi occhi addosso.
- Lo sai, che non serve a nulla pregare - mi disse, col suo solito tono serio. Non rimasi offesa, perché avevo capito che non parlava con cattiveria.
- Ognuno ha il bisogno di credere in qualcosa, Zacarias. Anche in un qualcosa che è invisibile ai nostri occhi -  gli risposi, con calma e pazienza. Poi, dato che stavamo parlando, gli raccontai che la mia condotta veniva dall'esempio di mio padre. Un uomo veneziano di fede cristiana, e che nonostante avesse sposato mia madre, una zingara francese atea, non aveva mai smesso di pregare. La preghiera e la fede erano i valori che mi univano ancora al ricordo dei miei cari. Lui ascoltò senza interrompermi, mentre continuava a guidare i cavalli. Notai che aveva rallentato l'andatura, da quando ci eravamo rimessi in viaggio.
Che lo avesse fatto per me? Il cielo si faceva sempre più scuro, mentre le stelle cominciarono a splendere e la luna irradiava i suo raggi argentei.
- Chi erano i tuoi genitori? - mi chiese poi Zacarias. Gli risposi che mio padre era un artista di strada, mentre mia madre proveniva da una famiglia gitana di Marsiglia chiamati " i gitani della falce lunare". Lui aggrottò le sopracciglia, e cominciò a grattarsi il mento.
- Questo titolo non mi è nuovo - disse alla fine - ma, forse è solo una mia sensazione. Comunque è tardi, meglio se ti riposi un po’, violinista -.
In effetti, dopo tutte le emozioni e gli avvenimenti vissuti in quella giornata, mi sentivo distrutta. Ma prima di accettare quel consiglio precisai:
- Va bene, ma sappi che anche io ho un nome, se non te ne sei accorto. E' Roxanne -. Lui rise piano, e indispettita, mi appoggiai allo schienale.
- Certo, certo, come vuoi, violinista -. Ma allora era un vizio! 
La notte passò in fretta, e alle prima luci dell'alba i miei occhi si aprirono. Ancora un po’ stordita, mi resi conto che ero accoccolata sulla spalla possente di Zacarias, e addosso avevo un mantello di stoffa pesante color verde muschio. Doveva appartenere a lui, di certo. Mi sentì un po’ imbarazzata.
- Buenos dias, mi violinista - fece lo zingaro, donandomi un bel sorriso. Stropicciandomi gli occhi, rimasi stranita da quella sorta di saluto.
- Eh? Cosa hai detto? - gli chiesi, avvolgendomi di più nel mantello. L'aria era molto fredda.
- E' spagnolo. Vuol dire " Buongiorno, mia violinista " - mi spiegò, facendo poi una risata. Oh no, anche in spagnolo, no! Ma quella novità svegliò in me la curiosità. Cominciai a fargli varie domande. Come ad esempio, se anche lui era originario dell'Andalusia. Mi rivelò che, prima di arrivare alla Corte, aveva passato parecchio tempo in Spagna, ma la sua vera terra d'origine era la grande India. Fui sbalordita da quella scoperta, e mi interessai appassionatamente alla sua storia. Notai che gli altri zingari non erano così socievoli con lui. Preferivano starsene tra loro sia nel carretto, che quando facevamo qualche sosta. Ma in verità, era proprio Zacarias che si isolava dagli altri, e se ne stava per i fatti suoi. Doveva essere un lupo solitario, pensai. Ma per qualche motivo, nonostante il suo carattere, mi sentivo più in sintonia con lui. Inoltre, più il tempo passava, e più capivo che la sua era solo apparenza. Anche lui, indossava una "maschera". Eravamo ancora in viaggio, e il mio compare mi rassicurò che stavamo andando nella direzione giusta. Stava seguendo il suo istinto da zingaro.
- Spero davvero che riusciremo a trovarlo - confessai a voce alta. Zacarias scrutò il mio volto di profilo. Chissà cosa stava pensando?
Una domanda, poi, mi sorse spontanea.
- Come fai ad essere sicuro che stiamo seguendo la strada giusta? -. Ero sicura che non ci fossero alcun tipo di tracce, né impronte, né altro che potesse condurci a Clopin, a parte il fazzoletto rosso che avevamo trovato nel boschetto. Zacarias distaccò lo sguardo da me per tornare a concentrarsi sulla via.
- Conoscendo bene Clopin, so più o meno cosa farebbe - mi confidò, e io mi incuriosì. 
- Siete buoni amici? - gli chiesi, mentre il sole cercava di mostrarsi, in quel cielo nuvoloso e grigio.
- Non esattamente - mi rispose, con tono serio - Quando suo padre morì, nei primi tempi lo presi con me, e cercai di educarlo. Era un ragazzino molto esuberante, pieno di energia e molto difficile da tenere a bada -. Mentre il dondolio del carretto ci accompagnava, sentivo la voglia di saperne di più. 
- Quindi, sei stato una specie di mentore per lui? -. Non mi sarei mai aspettata, che quell'uomo grande e grosso, così schivo e solitario, fosse in realtà così vicino al re degli zingari. 
- Se vuoi metterla così. Diciamo che ci ho provato  - disse semplicemente, facendosi sempre più misterioso. Corrugai le sopracciglia e lo guardai con aria interrogativa.
- Cioè, che vuol dire? - gli chiesi ancora. Lui si grattò la testa e si spettinò qualche ciocca di capelli. Sembrava un po’ a disagio.
- Tu fai troppe domande, violinista - rispose alla fine, tagliando corto. Detto ciò, decisi di non indagare oltre. Quella situazione mi fece ricordare il mio giullare, e di come anche lui aveva sempre cercato di tenere all'oscuro alcune cose del suo passato. Che strano. Sembrava che, per un motivo a me sconosciuto, certi dettagli della sua vita dovevano rimanere chiusi e sepolti. Ben presto ci fermammo per sgranchirci le gambe, e per far riposare un po’ i cavalli. Come al solito, il gruppo si riunì per parlare e bere vino, tutti tranne Zacarias, che se ne stava in disparte. Io ne approfittai della sosta per allenarmi.
Eseguì le mie solite mosse acrobatiche e salti mortali, alternando con calci e pugni strategici. Dovevo essere pronta per eventuali attacchi da parte dei nemici. A un certo punto, avvertì dei passi dietro di me. Mi immobilizzai di colpo e mi girai di scatto, allungando un calcio. Ma una mano, grane quanto il mio piede, afferrò la mia scarpa e con forza mi fece cadere a terra.
- Troppo lenta - mi disse una voce, mentre mi ritrovai in mezzo all'erba - Hai delle buone tattiche, ma puoi fare di più -. Zacarias mi sollevò da terra, e cominciò a darmi qualche lezione per attaccare in maniera fulminea, migliorando così i miei riflessi. Tutto ciò mi fece tornare in mente quando mio padre mi insegnava la lotta a corpo a corpo, tanto tempo fa. Quel momento mi fece sorridere, e riprovai nuovamente quell'emozione, di un tempo ormai andato.
- Insegnavi come combattere, a Clopin? - gli chiesi, appena finì la sua lezione. Zacarias si allontanò, facendo finta di non avermi sentito. Lo seguì a ruota ma senza proferire parola. Ci stavamo avviando verso il carretto, dato che era giunto il tempo di ripartire. Poi si rivolse a me.
- Ricorda la regola principale: non dare neanche un secondo di vantaggio al tuo nemico. E' stata la prima cosa che il tuo giullare ha imparato -.
A quella frase, che valeva come risposta di conferma alla mia domanda, sorrisi contenta al mio compagno di viaggio. Era pieno pomeriggio, quando ci trovammo nei pressi di una foresta. Zacarias radunò nuovamente gli zingari, e decidemmo di dividerci in tre gruppi, per perlustrare meglio la zona. Secondo l'istinto del mio amico, Clopin poteva trovarsi lì, da qualche parte. Io e Zacarias rimanemmo l'una accanto all'altro, mentre due dei nostri compagni ci guardavano le spalle.
Avevo i nervi a fior di pelle. Ogni piccolo suono, fruscio, mi metteva sull'attenti, e l'ansia mi faceva venire un nodo allo stomaco. Nonostante ciò, sembrava tutto tranquillo. Quando arrivammo in una zona dove l'erba era alta, seguì l'esempio dello zingaro, e mi trascinai per terra, in mezzo ai fili verdi che mi solleticavano il corpo. Poi, proprio lì, vicino a un cespuglio, impigliato tra i rovi, vidi un cappello violaceo. Lo riconobbi subito. Il cappello di Clopin!
Ero sul punto di avvicinarmi, ma Zacarias mi trattenne. Mi disse che non si fidava di quella situazione. Poteva essere una trappola. Poi, si pietrificò di colpo. Annusò l'aria, fece vagare lo sguardo nei dintorni, e sembrava in stato di allerta. All'improvviso, avvertimmo un guaito. Sembrava il verso di un cane da caccia, quando avverte il suo padrone che ha trovato la preda. Un cane? Un momento, non poteva essere... Zacarias mi sollevò da un fianco e gridò 
- Correte! Un agguato! -. Accadde tutto troppo rapidamente. I nostri compagni si dileguarono, ognuno verso una direzione diversa. Una pioggia di frecce cadde dall'alto, e solo allora capì che ci avevano preparato un'imboscata. Ero sicura che quel verso era del cane inferocito dell'altra volta. Doveva aver sentito il nostro odore. Zacarias mi tenne stretta a se, portandomi con l'aiuto di un solo braccio. Riuscimmo ad arrivare dietro a una grossa quercia, e mi lasciò andare solo quando fummo al sicuro. 
- Maledetti! Ora capisco perché non hanno ucciso subito Andrè. Era tutto un piano per attirarci qui, ma facendo in modo che non potesse rivelarci altro - disse lui, ringhiando come un lupo arrabbiato. Mentre cercava qualche arma nell'incavo dello stivale, mi accorsi che aveva una freccia sulla spalla.
- Zacarias, sei ferito! - dissi, ed ero già in procinto di occuparmi di lui. Con tutta la forza che avevo, gli tirai via la freccia, e cominciai a fasciare la ferita con uno dei miei fazzoletti. Dovevo almeno far fermare l'emorragia. 
- Non è niente. Maledetti bastardi! Dove avranno preso tutto questo armamento? - disse lo zingaro. I nostri nemici non ci davano tregua, e intanto sentivo le urla dei nostri compagni, che molto probabilmente erano stati feriti gravemente in mezzo alla pioggia di frecce. Come avrei voluto soccorrerli!
- Prendi questo, striscia sotto i cespugli, dove il fango è più denso, così quella bestiaccia non sentirà il tuo odore. Appena raggiungerai il carretto, scappa il più lontano possibile - mi disse Zacarias.
Mi stava porgendo il grosso pugnale che mi offrì il giorno precedente. Lo guardai, e non potei crederci che dicesse sul serio.
- E tu che farai? Non posso lasciarti qui! - gli dissi, mentre terminai di legare la fasciatura. Lui si fece più serio del solito.
- La mia priorità era di accompagnarti in questa missione evitando di farti ammazzare, e la tua è quella di rimanere in vita per trovare il nostro re - disse e mi gettò tra le mani il pugnale - Ora mantieni il tuo ruolo, violinista! -. Un senso di smarrimento mi invase la mente e il cuore. Non avevo avuto tutto il tempo di conoscere bene Zacarias, ma sentivo che era già diventato un amico prezioso per me. L'unico zingaro, a parte Clopin, che aveva avuto fiducia in me.
- Sei troppo buona, Roxanne - fece, pronunciando per la prima volta il mio nome - Ma tu devi lottare per ciò che ti è davvero caro...e per la persona che davvero conta nella tua vita - aggiunse, e mi donò uno sguardo pieno di calore, quasi paterno. Memorizzai nella mente quegli occhi color ambra dorata, come per poterli portare con me per darmi coraggio. 
- Non ti dimenticherò mai...- dissi infine, prima di voltarmi e sparire tra i fili d'erba. Feci esattamente ciò che mi aveva detto Zacarias, lasciando che il fango mi sporcasse i vestiti e la pelle. Sentivo ancora il rumore della battaglia, ma non mi voltai indietro nemmeno un istante. Dopo aver strisciato per un po’, ero arrivata al teatrino mobile, che meno male, era ancora lì ad aspettarmi. Senza perdere tempo, salì sul posto di guida, e spronai i cavalli a partire. Il carretto corse come una giostra impazzita, ma non potevo rallentare. Dovevo allontanarmi assolutamente da quel luogo. Se non lo avessi fatto, avrei reso il sacrificio del mio amico completamente vano. Forse era per via dell'aria fredda che mi sferrava sul viso, perché alcune lacrime volarono via dei miei occhi. Mi asciugai il viso con una mano, e dopo aver spronato ancora i cavalli con le redini, mi strinsi al collo il mantello verde muschio.
" Zacarias, troverò Clopin non solo per me, ma anche per te " promisi tra me e me, mentre mi lasciavo alle spalle quel massacro.

Le lingue di fuoco che stavano bruciando all'orizzonte, diedero un colore vivace che sfumava dal giallo-arancio al rosa-violaceo. La foresta sarebbe stato un luogo perfetto per ammirare lo splendido tramonto di quella sera. Ma purtroppo era invasa da un gruppo di uomini incappucciati, armati fino ai denti, che stavano distruggendo ogni cosa sul loro cammino. Per l'ennesima volta avevano messo in atto il loro spregevole piano. Senza scrupoli stavano scavando una buca profonda che avrebbero riempito con i resti delle loro vittime. In disparte, vicino a un cavallo dagli zoccoli larghi, c'era il loro capo, che assisteva la scena.
In quel momento, un cane enorme dal mantello nero si avvicinò a lui, e gli porse un pezzo di stoffa di colore rosso. Soddisfatto, l'uomo accarezzò la testa del segugio e prese tra le mani quel pezzo.
- Tutto sta andando secondo i piani. Ancora qualche ora e vedremo la luna calante. E finalmente saremo riuniti.
Non è così, Roxanne Roux? -.

Angolo dell'autrice
Ecco a voi il nuovo capitolo <3 Come potete vedere è molto diverso dagli altri, (ci ho inserito un po’ più di azione, e momenti un po’ crudi, e questa volta la romanticheria è messa più da parte). Vi starete chiedendo che fino abbia fatto Clopin, beh temo che dovrete aspettare, intanto ho inserito un nuovo personaggio. Ammetto che mentre scrivevo, non ero certa che tipo di ruolo dovesse avere Zacarias, ma una cosa certa è che, come Roxanne, più andavo avanti, più mi affezionavo a lui <3 In poco tempo si è ritrovato a fare da mentore e un po’ "surrogato padre" per la nostra giullare, che non è facile per lei stare in mezzo a un gruppo
di soli uomini che l'hanno subito sottovalutata. Fatemi sapere che ne pensate di lui, e se vi dispiace (perché è così, ditelo) di averlo subito fatto uscire di scena. E per ultimo, il cattivone si è "mostrato", ma è giusto un anteprima. Secondo voi che collegamento ha con Roxanne? (Perché sembra di conoscerla bene, dato che ha pronunciato anche il suo nome e cognome O.O). Spero che vi stia continuando a piacere, e abbiate pazienza che ci stiamo avvicinando alla fine.
Grazie mille a tutti <3

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Capitolo 15
*** Maschere strappate ***


                                                                                       Maschere strappate

I primi leggeri spifferi della sera si facevano sentire. I frenetici e ritmici versi dei grilli risuonavano come un'orchestra nel bel mezzo della foresta. Il tramonto stava per giungere al termine, e presto il sole sarebbe scomparso dietro alle colline. Il carretto, che fino a qualche istante fa, sfrecciava come una scheggia, con i cavalli che correvano al galoppo, aveva rallentato e procedeva con cautela lungo il sentiero. Nonostante la calma apparente, la giullare era in stato di allerta, cercando di non sottovalutare la situazione. Ormai, era sola, senza scorta, senza compagni, e doveva cavarsela da sola. Non era la prima volta che le succedeva, ma la questione era più delicata, più spaventosa, di quando si trovava a viaggiare per conto suo. Quella sensazione snervante, il timore di essere presi da un momento all'altro, che ti porta a girare di scatto la testa ad ogni rumore, dietro ai cespugli, non la lasciava neanche un attimo.

PV Roxanne

Ero molto lontana dal quel punto della foresta, dove era avvenuto l'agguato. I cavalli avevano corso fino a quel momento, e per più di un motivo avevo deciso di farli rallentare. Anche loro, come me, erano stanchi e affaticati. Inoltre, senza Zacarias, non sapevo esattamente da che parte andare. Fin quando c'era stato lui, mi ero affidata al suo istinto, ma in sua assenza, mi sentivo persa. Ripensando al mio caro amico, e al suo sacrificio per me, il cuore mi si strinse. Se almeno fossi riuscita a capire dove Clopin si fosse cacciato. Cominciai a temere che non avrei mai più rivisto il re degli zingari, che fosse ferito a morte o che lo avessero rapito. Cosa avrei fatto a quel punto? Cosa avrei fatto io, da sola, senza nemmeno un compagno? L'intera squadra di soccorso era stata decimata, insieme a Zacarias. Maledetti criminali! Desideravano così tanto la Corte dei Miracoli fino a quel punto. In quel momento, arrivai a una teoria. Non era possibile che Clopin fosse stato ucciso. Anche se lo avessero trovato, prima di tutto dovevano farsi dire da lui dove si trovasse il rifugio della Corte. Non aveva senso ucciderlo subito. E dato che ci avevano attaccato, sterminando i miei compagni, voleva dire due cose: Clopin era ancora vivo, e loro lo stavano cercando nei dintorni. O semplicemente, gli avevano già estrapolato la verità, e lungo il cammino verso le porte di Parigi, stavano facendo strage di tutti i suoi sudditi. Mon Diè, quest'ultima era davvero terribile! Signore, fa che non sia così! Quel pensiero mi fece rabbrividire, più dell'aria fredda che entrava nella fessura del mantello verde muschio. Mentre cercai di coprirmi meglio, mi accorsi che i miei vestiti erano ancora sporchi di fango. Perfino il mio viso presentava macchie e polvere di fanghiglia. Come mi aveva suggerito Zacarias, ero strisciata sul terreno fangoso, per evitare che il segugio, il cane rabbioso della banda, riuscisse a trovarmi seguendo l'odore. " Forse, dovrei fermarmi " pensai tra me. Allora, tirai le redini e feci fermare i cavalli. Sembravano felici di quella sosta. Appena scesi giù, li guidai tirandoli verso un lato boscoso. Decisi di nascondere il carretto in uno spazio erboso, circondato da cespugli carichi di foglie, e con tanti alberi che facevano da barriera. In quel punto, era difficile scorgere a primo impatto il teatrino. Fatto ciò, mi diressi verso una zona piena di foglie secche, e avvertì un odore di erba fresca. Sperai che da quelle parti ci fosse almeno un ruscello o un torrente. Per mia fortuna, trovai un corso d'acqua che scorreva in mezzo a un tratto del luogo. Mi bastava anche quello per le mie necessità. Mi accuccia sulla sponda ed ero sul punto di iniziare, quando avvertì un fruscio proprio in mezzo ai cespugli, dietro di me. Le orecchie vibrarono a quel suono, e mi pietrificai. Il mio senso di allerta si riattivò, e mentre stavo già facendo scivolare la mano sul manico del grande pugnale, mi rimbombavano in testa le parole di Zacarias: non dare neanche un secondo di vantaggio al tuo nemico. Così, senza nemmeno aspettare di accertarmi di cosa si trattasse, saltai sul posto e mi voltai. Fu un attimo carico di ansia, ma anche di adrenalina pura. Sfoderai il pugnale e mi gettai letteralmente nel cespuglio, facendomi largo tra i rovi e le foglie. Proprio come avevo sospettato, c'era un losco figuro che mi stava spiando. Se avessi indugiato oltre, quel tizio mi avrebbe colta di sorpresa, afferrandomi per le spalle e tagliandomi la gola. La lama del mio pugnale sferrò in un stridio contro quella del mio ospite indesiderato. Era stato molto veloce, dovevo ammetterlo. Avevo ancora il capo coperto dal cappuccio del mantello, ma riuscivo a vedere bene la figura di quell'uomo. Era vestito tutto di nero, con un mantello scuro e il cappuccio che gli copriva il capo. Inoltre, metà volto era coperto da una benda nera, e così non potevo vedere i suoi lineamenti. Ma ero sicura che doveva trattarsi di uno degli uomini della banda nemica. Dovevo assolutamente disarmarlo, o almeno ferirlo, per potermi far dire chi fosse il suo capo. Magari, sapeva anche dove si trovasse Clopin. Tutti quei pensieri scorsero come un lampo al ciel sereno, e cercai con tutte le mie forze di sovrastare il mio nemico. Ma lui mi diede un calcio dritto allo stomaco, che mi fece volare all'indietro, atterrando sul suolo. Riuscì lo stesso ad alzarmi, giusto in tempo per ritrovarmelo di nuovo addosso. Feci ruotare il mio corpo di lato, per evitare il suo attacco e fui pronta a controbattere con un affondo. Lui mi afferrò il polso e mi attirò a se, per tenermi ferma. Peccato che non aveva fatto i conti con i miei calci rovesci, che lo fecero zoppicare non poco. Se pensava di riuscire a prevalere su di me, allora gli avrei dato una bella lezione che non avrebbe mai dimenticato. Passammo almeno vari minuti a darci colpi su colpi, alcuni riusciti, altri deviati. Ma mi resi conto che nessuno dei due voleva mollare. Eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Solo chi avrebbe resistito di più avrebbe vinto. Continuammo quella danza combattiva fino a quando i nostri piedi giunsero al limite di un dirupo. Lui stava rischiando proprio di finire giù, ma io non volevo che finisse in quel modo. Dovevo prima farlo parlare. Mentre le lame delle nostre armi sfregavano tra loro, in una lotta di forza e resistenza, avvicinai il volto al mio avversario.
- Parla, e magari non ti farò precipitare! - dissi con voce aggressiva - Chi è il tuo capo, e che fine ha fatto Clopin Trouillefou, il re degli zingari? -. 
L'uomo misterioso, senza alcun motivo apparente, distaccò il coltello dalla mia arma, come se avesse deciso di rinunciare alla lotta. Quello scatto lo fece barcollare e perdere l'equilibrio. Era sul punto di cadere e io allungai una mano per afferrarlo. Il suo peso, mentre cadeva all'indietro, mi trascinò inesorabile insieme a lui. I nostri corpi si unirono nella caduta. Mi accorsi in quel momento che quel dirupo era tutto in discesa. Se non fosse stato così, ci saremo rotti l'osso del collo e la morte sarebbe stata assicurata. Rotolammo insieme lungo la discesa, fino a quando non ci fermammo su uno spazio erboso bagnato dalla rugiada. Mi sollevai e scoprì che ero a cavalcioni su di lui, per mia grossa fortuna. Anche se un po’ stordita, non persi tempo e cercai il pugnale. Ma era sparito. 
Dannazione! Dovevo averlo perso durante la caduta. Avevo il capo scoperto, e realizzai che il mio mantello si era slacciato. Ma poco importava, perché il mio avversario si stava riprendendo, scuotendo la testa. Non potevo farmi trovare impreparata. Mi avrebbe uccisa subito. Allora, ricordai che sotto la gonna, attaccato al cinturino, c'era ancora il mio vecchio pugnale. Con un gesto fulmineo lo recuperai, mentre il tizio mi guardava esterrefatto. Sollevai il pugnale in alto, pronta a ferirlo per evitargli sia di uccidermi, che di scappare.
- Cherì! Ferma! - tuonò la voce dell'uomo, protendendo una mano verso di me. Mi bloccai di botto, rimanendo in quella posizione. La sua voce era profonda e coperta dalla stoffa che gli copriva la bocca. Abbassai il pugnale e rimasi a fissarlo, mentre si sbottonava il mantello, scostava il cappuccio e si toglieva la fascia dal viso. Ebbi un sussulto al cuore. Riconobbi la pelle imbrunita dal sole, i capelli corvini, e quel pizzetto sul mento che tanto adoravo. 
- Clopin...- dissi con un filo di voce. Sentivo il nodo alla gola che si ingrossava sempre di più. La felicità e l'ansia mescolarsi tra loro. La paura di vivere in un sogno da cui non volevo svegliarmi. 
- Roxanne! Sei proprio tu? - chiese lui, con la sua solita voce vellutata, e allora non ebbi più dubbi. Davanti a me c'era proprio il re degli zingari. Il mio giullare. Gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime, il groppo alla gola mi stava uccidendo, e dopo aver introdotto il primo singhiozzo, mi lascia andare in un pianto fortissimo.
- Clopin! - gridai, fiondandomi sul suo petto, lasciando che le lacrime scivolassero via e diedi sfogo a tutto ciò che avevo nel cuore. Sentì le sue braccia, snelle ma forti, che mi abbracciavano con tanta protezione. Le sue mani affondarono tra i miei capelli con dolcezza. La sua voce, la stessa che mi aveva cullato nei momenti difficili, risuonò come una dolce melodia all'orecchio:
- Va tutto bene, cherì -. Sapevo che stava cercando di calmarmi, ma quel gesto mi fece piangere ancora di più. Mi era così tanto mancata quella voce, quei gesti pieni di calore, e il solo pensiero di averli di nuovo, mi rendeva così felice. Ma al tempo stesso avevo bisogno di sfogare tutta l'ansia e la paura accumulata di averli perduti per sempre. Sarei rimasta volentieri su quel petto per tutto il tempo, ma a un certo punto, Clopin mi costrinse ad alzare il viso, per guardarmi. In un certo senso, sembrava che anche lui avesse bisogno di accertarsi che fossi io, come se per lui tutto fosse un'illusione. Poi allargò un sorriso. Quei denti scheggiati, che facevano capolino ai lati della dentatura, erano i segni particolari che caratterizzavano il mio re del piazzale. Con un lembo del suo mantello cominciò a pulirmi la faccia sia dalle lacrime, che dai residui del fango.
- Oui, sei proprio la mia Roxanne, in carne ed ossa - disse donandomi un'espressione ammaliante capace di farmi sciogliere, come nessuno era riuscito a fare.
- Aspetta, però, che diavolo ci fai qui? - disse, cambiando del tutto tono. Evidentemente, era rimasto così scosso dalla mia reazione di poco fa, che si era dimenticato di tutto il resto. Mi sollevai di poco, per guardarlo meglio. Aveva gli occhi seri, e avevano una nota di rimprovero.
- Come, cosa ci faccio? Sono venuta a cercarti - gli spiegai, e lui sembrava ancora più serio. Anzi, sentivo che stava per arrabbiarsi, e di brutto.
- Cercarmi? Ma allora sei proprio di coccio, tu? - mi rispose, corrugando le sopracciglia in un'espressione contrariata. Rimasi interdetta. Capivo che fosse irritato perché non avessi ubbidito al suo volere, ma non era certo la reazione che mi aspettavo, o di cui avessi bisogno in quel momento.
- Alla Corte abbiamo saputo che tutti i tuoi uomini erano stati uccisi. Esmeralda stessa mi ha lasciato andare, con una squadra di soccorso, per venirti a salvare - gli spiegai, cercando di non perdere la pazienza. Lui fece una faccia sorpresa, per poi dire:
- Non c'era tutto questo bisogno, potevo cavarmela da solo -. Quella uscita mi fece irritare. Ma quanto poteva essere stupido il suo orgoglio?!
Allora mi alzai in piedi, lasciandolo per terra. 
- Va bene, allora faccia pure tutto da solo, Vostra Maestà! - lo canzonai, con una nota infastidita. Feci per andarmene, ma giusto per recuperare il mantello e il pugnale che erano in giro in mezzo alle foglie. Poi lo sentì piagnucolare alle mie spalle. 
- Ahi, ahi...- fece lui, e lo vidi ancora per terra. Sembrava che non riuscisse a muoversi. Preoccupata mi avvicinai. 
- Che cos'hai? - gli chiesi, mentre lui si era poggiato sui gomiti al suolo. Con una smorfia di dolore, mi spiegò:
- La schiena...ho una grossa ferita che non smette di dolermi -. A quelle parole mi agitai. Con molta cautela, lo aiutai a girarsi per ispezionare la ferita. Era davvero grande, al centro della schiena, e stava perdendo un bel po’ di sangue. C'erano bisogno dei punti. Lo aiutai ad alzarsi, sorreggendolo per un braccio attorno al mio collo. Mentre lo conducevo al carretto, mi spiegò che era stato aggredito da alcuni uomini, probabilmente alleati della banda nemica. Si era salvato per miracolo e se l'era cavata giusto con quella ferita sulla schiena. La sera era arrivata, e con essa anche il buio. Appena ci barricammo nel teatrino, accesi delle candele per fare luce e mi affrettai a cercare ago e filo. Clopin intanto, si stava spogliando, molto lentamente, di quelle vesti che non erano sue. C'erano tante cose che volevo chiedergli, ma prima di tutto, dovevo occuparmi della sua ferita. Appena trovai tutto il materiale di cui necessitavo, tornai da lui e ci accomodammo sul tappeto. Quel posto mi sembrò nuovamente così caldo e intimo, ora che c'era anche lui. 
- Su,  sdraiati sui cuscini - gli dissi, e senza fare storie ubbidì. Vederlo a torso nudo, mi fece rimembrare quel momento in cui, mentre lui si mostrava con una disinvoltura sfacciata, io sudavo dall'imbarazzo come una ragazzina. Anche in quel momento mi sentivo così accaldata, me ero troppo concentrata su ciò che dovevo fare per badarci. Dopo aver lavato la ferita con acqua fredda, tamponai la ferita con alcune erbe medicinali, le stesse che Michelle mi aveva fornito prima di partire. Poi, feci un respiro profondo, dato che era arrivata la parte più difficile. Con fermezza usai ago e filo per chiudere la ferita. Erano pochi, ma ad ogni punto trattenni il fiato. Clopin, dal canto suo, non emise neanche un gemito. La sua sopportazione al dolore mi sorprese e feci più in fretta possibile. Dopo aver finito, lui rimase sdraiato ancora per qualche minuto. Poco dopo, tornai con un po’ di cibo da offrirgli: del pane e del buon latte caldo. Avevo notato che il suo viso era più magro del solito, molto probabilmente non si era nutrito per bene in quei giorni. Si fiondò sul cibo come un coyote affamato.  Lo guardai sollevata e divertita, mentre stavo lucidando la lama del pugnale. Quell'oggetto era diventato una specie di cimelio di famiglia per me. Il dono da parte di un uomo che si era sacrificato per salvarmi. Lo avrei custodito gelosamente. 
- Hai conosciuto Zacarias? - sentì la sua voce, e quando alzai lo sguardo, vidi i suoi occhi color carbone che fissavano il pugnale con la testa di ariete sul manico.
- Sì...l'ho conosciuto - gli risposi. Stavo per aggiungere " era un brav'uomo " ma non ebbi ancora il coraggio di confessargli della sua morte. Non sapevo come Clopin l'avrebbe presa, quindi aspettai per il momento. 
- Mi ha detto che eravate amici, in passato. Che è stato il tuo mentore - gli dissi. In quell'istante il suo viso si fece più duro, e fissandomi negli occhi sentì un brivido percorrermi la schiena.
- Cos'altro ti ha raccontato? - mi chiese, con un tono serio e indagatore. 
- Niente. Mi ha solo detto che dopo la morte di tuo padre si è preso cura di te - gli spiegai, con un po’ di timore. A quel punto, il mio giullare sembrò rilassarsi, e provai un senso di frustrazione. Per l'ennesima volta il suo passato tornava a tormentarlo, mentre io dovevo rimanere all'oscuro di tutto. Anche Zacarias mi aveva dato quella certezza, e aveva fatto di tutto per non farsi sfuggire altro, come se...volesse proteggere il segreto del suo ex pupillo. 
- Clopin - cominciai, avvicinandomi un po’ a lui - Non ci vuole molto per capire che stai evitando da sempre, fin da quando ci siamo conosciuti, di parlarmi meglio del tuo passato -. Mi fermai, e alzai lo sguardo sul suo volto. Apparentemente sembrava apatico, ma ero certa che dietro a quella maschera tremasse di un'emozione forte. Pensavo che non avrebbe aperto bocca, e invece le sue labbra si schiusero.
- Meglio che tu non lo sappia. Mi odieresti, lo so - fece lui, distogliendo gli occhi, come se si vergognasse.
- Qualsiasi sia la verità, non sarà così dura o terribile da shoccarmi, credimi - lo rassicurai, con tono dolce - Non mi importa chi eri o cosa hai fatto, io continuerò ad esserti vicina, e non smetterò di vedere la bella persona che sei oggi -. Avevo sempre tenuto per me quelle parole, perché speravo di avere un'occasione come quella per poterle usare. Clopin sembrava ancora titubante. Per fargli sentire la mia presenza, gli presi una mano e l'accarezzai con affetto.
- Non posso, Roxanne...inoltre, non saresti mai dovuta uscire dalla Corte - disse, distaccando la sua mano dalla mia. Quel gesto mi diede un colpo al cuore.
- Perché? - gli chiedi. A dire il vero la domanda era riferita a tutte e due le questioni. Non riuscivo a capire quel suo atteggiamento.
- Perché...date le circostanze, poco prima di ritrovarti, stavo prendendo la scelta di lasciarmi ammazzare...-. 
- Cosa hai detto?...- chiesi, mentre dentro me qualcosa di strano e violento stava ribollendo. Lui si girò e finalmente mi guardò in faccia.
- Che volevo farmi ammazzare... -. SOCK!
Non gli diedi neanche il tempo di finire, che gli mollai uno schiaffo sulla guancia, abbastanza forte da farlo girare di lato. Come poteva dire quelle cose?! Non riuscivo a tollerarlo!
- Non osare dirlo mai più! Non hai pensato ad Esmeralda? Alla tua gente? A ...- mi soffermai e ripresi dopo un secondo - I tuoi uomini sono morti per proteggerti! Zacarias è morto per te, perché io potessi venirti a cercare! -.
Ero così arrabbiata e amareggiata. Clopin mi volse lo sguardo, con aria sconvolta.
- Zacarias è morto?! -. Allora gli fu chiaro come mai avessi con me il suo pugnale. Qualcosa in lui stava crollando e mutando di nuovo.
- Roxanne...io...- lui cercò la mia pelle con una mano, ma si fermò, intimorito - ciò che volevo era solo di proteggere tutti, anche a costo della vita - mi disse infine. Ero consapevole del suo valore, del fatto che fosse così coraggioso e che avrebbe fatto di tutto per la sua gente. Ma non poteva dire con tanta leggerezza quelle cose. Anche noi, Esmeralda, Febo, Quasimodo, e soprattutto io, tutti eravamo stati in pensiero per lui. Lo amavo così tanto, e lui non lo capiva, non lo sapeva...
- Io sono stanca di portare maschere... -. Mi accorsi poco dopo che stavo pensando ad alta voce. 
- Cosa? - fece lui. Tornai a guardarlo negli occhi, e nella fioca luce delle candele, mi resi conto che non aveva capito nulla.
- Niente...- risposi, con una debole convinzione. Ci fissammo per qualche secondo, senza fiatare. Poi, mi alzai, ponendo fine a quella ridicola scena. Dopo aver recuperato alcune cose da un baule, mi avvolsi nel mantello ed ero pronta a uscire.
- Dove stai andando? - mi chiese il giullare, un po’ stranito.
- Al fiume. Ho bisogno di stare da sola - gli risposi - Meglio che ti riposi, adesso -. Forse ero stata troppo fredda, ma non potevo fare altrimenti. Senza rivolgergli alcun sguardo, aprì la porta del carretto e uscì fuori. Un attimo prima ero al settimo cielo per averlo ritrovato, ma in quel momento ero così triste per il suo atteggiamento, che mi sentivo vuota dentro. Intanto la luna stava sorgendo, e almeno la sua presenza mi avrebbe rincuorata un po’.     

PV Clopin

Mi massaggiai la faccia con una mano. Che sensazione strana. In tutta la mia vita non avevo mai ricevuto uno schiaffo da una donna. Roxanne era davvero una fonte piena di sorprese. Ero così felice di averla ritrovata, ma mi sentivo strano, perché la sua presenza mi rendeva così...fragile. Incerto. Ogni volta che ero con lei mi sentivo bene, ma anche in balia di tante emozioni. Come una zattera sbattuta tra le onde del mare. Inoltre, avevo notato che da quando me ne ero andato dalla Corte, quei strani flashback, quei momenti in cui la mia mente era scossa da scene di un tempo passato e che non riuscivo a rimembrare, 
avevano smesso di palesarsi. Era evidente che: in tutti quei pezzi di memoria, Roxanne era lì. E tutto accadeva sempre quando stavo con lei. Forse, quel distacco dalla Corte mi aveva servito a capire una cosa importante. Roxanne era la chiave dei miei ricordi perduti. Non era una semplice comparsa della mia monotona vita. Era qualcuno, che a partire dalla festa dei Folli, aveva giocato un ruolo fondamentale. Era diventata molto importante per me. Altrimenti, perché l'istinto mi avrebbe condotto al ruscello nel boschetto? Come se il mio inconscio mi avesse condotto lì, per cercare qualcosa di tanto caro che volevo recuperare. A quel punto, un pensiero mi ridestò da quel torpore. Idiota, mentre tu sei qui a fare pensieri profondi, lei è uscita da sola, in mezzo al nulla! Se le fosse accaduto qualcosa, avrei avuto una ragione in più per farmi ammazzare! Così, senza sforzarmi troppo, per evitare di far riaprire la ferita, presi il mio mantello nero, giusto per coprirmi un po’, e uscì dirigendomi a quel piccolo corso d'acqua dove ci eravamo scontrati. Mentre camminavo in mezzo alla vegetazione, sorrisi, perché non riuscivo ancora a credere che io e la mia amica ci eravamo battuti in uno scontro a corpo a corpo, all'ultimo sangue. 
Ripensandoci, mi aveva dato parecchio filo da torcere. Per essere un giullare in gonnella, ci sapeva proprio fare. Appena arrivai nei pressi del luogo, cominciai a preparare il discorso che le avrei fatto. Non volevo giustificarmi, volevo solo chiederle scusa per quella mia condotta. Dovevo ammettere che aveva ragione. Inoltre, quella sua reazione mi aveva scosso, e avevo capito che anche Roxanne mi stesse nascondendo qualcosa. Si trattava di certo di un segreto molto personale, che riguardasse lei...e me. Era una domanda che mi facevo da un po’ di tempo, esattamente dopo quella sera, quando lei mi abbracciò, spogliata di ogni cosa, svelandomi che ero troppo importante. A quel ricordo avvertì una piacevole sensazione che mi percorse il corpo. Che lei provasse qualcosa di speciale per me? Avrebbe spiegato molte cose del suo atteggiamento, che a volte sapeva essere così lunatico. Se fosse così, come mi sarei dovuto comportare?
"Caro, Clopin, la domanda è un'altra. Tu cosa provi per Roxanne?" Già...fino a un certo punto, l'avevo sempre vista come una buona amica, se non la migliore. Ma nell'ultimo periodo, avevo visto in lei delle doti, delle qualità e delle virtù che mi avevano stupito. Anche quel pomeriggio, quando con compassione e generosità, aveva ballato per guadagnare i soldi per quella vecchia e il suo nipotino. Era stato l'atto più nobile che avessi visto fare da una persona, da una donna. Il suo gesto altruista mi aveva conquistato, così tanto che nei giorni successivi avevo spesso ripensato a quell'episodio, e avevo sentito molto la mancanza della mia violinista. Ero ormai arrivato a destinazione, ma appena scostai le foglie di un cespuglio, dovetti ritirarmi nuovamente. Cercai di non fare il minimo rumore. 
Roxanne era ai piedi della sponda di quel piccolo fiume. Aveva abbandonato le sue vesti e si stava lavando via i residui di fango rimasti sul corpo. Sbirciai di poco, e non potei fare a meno di rimanere incantato dalla scena che mi si presentava. Con la luce della luna che illuminava le sue curve, sembrava una ninfa dei boschi, con la pelle chiara e i capelli lunghissimi, neri e dai riflessi violacei. Era bellissima. Non ero così vicino da vedere ogni dettaglio, ma mi bastava per poter ammirare le sue grazie sinuose. Anche quell'ultima volta l'avevo sorpresa mentre faceva il bagno, ma lì non ero riuscito a vedere proprio nulla. 
"Clopin, che stai facendo? La stai spiando come un maniaco guardone! Proprio lei, la tua migliore amica, vergognati!" 
La mia razionalità mi fece ragionare, e piano piano, senza farmi notare, scivolai via da quel luogo per tornare al carretto.
"Già, la mia migliore amica..."
Appena mi ritrovai nel teatrino, feci volare per aria il mantello e mi lasciai cadere sui cuscini. Cercai di rilassarmi e di non pensare a Roxanne. Piuttosto, ripensai a quello che mi aveva accennato e dovetti ammettere con amarezza che le cose stavano peggiorando. La banda di vandali aveva massacrato la mia squadra, e anche altri uomini della Corte. Io, stranamente ero riuscito a cavarmela. Per non essere catturato, avevo ucciso uno di loro e mi ero camuffato con i suoi vestiti. Avevo bisogno di tempo per escogitare un piano, ed è stato in quel momento che avevo trovato Roxanne, che inizialmente non avevo riconosciuto, credendo che fosse una spia del nemico. Cosa potevo fare? Come avrei fatto a fermare quei maledetti, senza rimanere ucciso e al tempo stesso proteggere chi amavo? Io, non volevo che altre persone perdessero la vita per colpa mia...come era successo a Zacarias. Al solo ricordo del mio vecchio amico, mi sentì malissimo. Credevo che, dopo tanto tempo, a lui non importasse più nulla di me. Dopo quello che accadde quel giorno..."Oh, amico mio, perdonami..."
Chiusi per un attimo gli occhi, e sentì che ero entrato in uno stato di dormi-veglia. Desideravo un attimo di pace, e liberarmi di tutti quei pensieri. Non so quanto tempo passò, ma ad un tratto avvertì la presenza di qualcuno. Il mio naso catturò un profumo di rose selvatiche. Come era dolce e penetrante! Gli occhi si aprirono e mettendo a fuoco, vidi una figura snella che mi osservava immobile. Per un attimo, non riuscì a distinguere i contorni ma la luce delle candele venne in mio aiuto. Roxanne era seduta accanto a me, e se ne stava lì, illuminata dalla luce gialla delle fiammelle che danzavano nella stanza.
- Buon risveglio, Vostra Maestà - mi accolse lei, con tono pacato. Guardandola in viso avevo l'impressione che fosse più calma e mansueta. Da quanto tempo mi stava aspettando? Mi stropicciai gli occhi, e cercai di sollevarmi un po’, su un fianco. La ferita alla schiena non mi faceva tanto male, ma avvertivo quella sensazione fastidiosa del sangue che si coagula in uno strato secco. La salutai con uno sbadiglio e cominciai a studiarla in ogni piccolo dettaglio. 
Con mia sorpresa scoprì che non aveva più addosso i suoi soliti vestiti. Portava, invece, una gonna lunga di tessuto nero, una camicia di un bel rosso scuro, che lasciava nude le spalle e con maniche lunghe e vaporose. La vita era modellata da un corsetto nero rigido, che metteva in risalto la forma del seno, non troppo prosperoso, ma con curve piacevoli agli occhi. I capelli erano acconciati come al solito, con le ciocche che le ricadevano sulle spalle, ma al posto delle rose, portava una fascia rossa attorno al capo. L'orecchino con la mezzaluna dorata era al suo posto, all'orecchio destro, mentre il pareo con i suoi cammei era allacciato attorno ai fianchi. Vestita in quel modo, sembrava una gitana della Corte, e non la giullare del piazzale. 
Ma la trovavo comunque affascinante e particolarmente bella. 
- Tutto bene? Ti fa ancora male la ferita? - mi chiese, facendomi tornare alla realtà. Io scossi la testa e la rassicurai. Chissà se aveva notato quanto la stessi mangiando con gli occhi.
Dovevo smetterla! Potevo fare il cascamorto con qualunque donzella, della Corte o del piazzale, ma non con lei.
Allora perché sentivo il mio istinto guidarmi sempre di più verso di lei? Perché non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso?
Mentre facevo quel monologo interiore, lei mi fece segno di rimanere dov'ero e si alzò allontanandosi un attimo. In un angolo stava preparando un vassoio, e tornò con due calici e una bottiglia di vino rosso. Mandai al diavolo i miei pensieri seri e lasciai che il mio entusiasmo prendesse il sopravvento. Mi ci voleva proprio un goccio, dato che avevo la gola secca. Mentre mi raggiunse, notai solo in quel momento che aveva i piedi nudi, e attorno a una caviglia portava un braccialetto dorato, che tintinnava ad ogni suo passo.
- Ho avuto una buona idea? - mi chiese, appena si rimise a sedere accanto a me. Stappò la bottiglia e ne fece scivolare un po’ nei calici. Quel nettare era rosso come il colore della sua camicia. Io le sorrisi e annuì convinto. Appena bagnai le labbra mi lasciai invadere dal calore e dall'aroma del vino. Nuovamente avevo la sensazione di aver già vissuto quel momento. Ma non ci badai, ero troppo impegnato a gustare quell'ambrosia e ad ammirare la dea che me l'aveva offerto. 
- Questi vestiti ti donano molto - le confessai, senza mezzi termini. Aveva appena sorseggiato il vino, e colta di sorpresa trattenne il fiato.
- Grazie, è stata Esmeralda a darmeli, per eventuali necessità - mi spiegò, e vidi le sue gote colorarsi di rosso. Che fosse per l'alcol o per le mie parole, poco contava. La trovavo adorabile. Cambiando discorso, mi chiese cosa fosse accaduto durante quei giorni. Le raccontai tutto, a incominciare dalla mia partenza improvvisa. Di come ero riuscito a mettermi in salvo durante l'attacco dei nemici, nel boschetto dove scorreva il ruscello. A quel punto mi soffermai e le chiesi come avessero fatto, lei e la squadra, a capire dove mi ero rifugiato. Solo ad Esme avevo accennato qualcosa, poco chiaro per di più.
- Perché in passato, sei stato tu a portarmi in quel posto. Mi avevi confidato che era il tuo rifugio personale da ragazzo - mi spiegò, mentre giocava col calice, facendolo ruotare insieme al vino. Fissai quel dettaglio, e anche in quell'istante ebbi una sensazione di deja vù.
- A quanto pare, il vecchio me stesso si fidava molto di te, fino a tal punto... - le dissi, facendo un mezzo sorriso. Roxanne rimase ferma nel suo mutismo. Sembrava indugiare, come se temesse di rispondermi. Era comprensibile, dopo tutte quelle volte che, quando si toccava quell' argomento, mi chiudevo a riccio, usando anche modi poco gentili. Allora, con una certa audacia, le accarezzai una spalla con le dita, per rassicurarla.
- Deve mancarti molto... - feci, posando gli occhi sulle sue gemme vermiglie, con le pagliuzze dorate che brillavano alla luce delle candele. Lei si rilassò al mio tocco e con voce messa mi rispose:
- Sì, molto...-. La sua espressione sembrava una supplica velata - ...mi piacerebbe tanto rivederlo - aggiunse poi, prendendomi la mano. In quel momento, pensai che dopo tutto quello che lei aveva passato, e in particolare per me, aveva dimostrato più di una volta di essere degna della mia fiducia. Aveva mostrato coraggio da vendere, un animo sensibile, ed era incredibilmente testarda, e folle. Proprio come me.
- Prima hai detto: sono stanca di portare maschere - le dissi - Perché? Anche tu hai qualche segreto che non mi puoi rivelare? -. In quel momento, lessi negli occhi di Roxanne un'ansia e un timore sospetto. Lei cercò di allontanare la mano dalla mia presa, ma io la trattenni. 
- Beh...diciamo di sì - riuscì a dire, molto incerta. Io presi quell'occasione al volo. Accarezzai con le dita quella mano candida e gli proposi.  
- Facciamo un patto. Io ti svelerò il pezzo della mia vita che porto dentro da tanto tempo. Un qualcosa che non ho raccontato a nessuno - cominciai - dopo di ché, sarà il tuo turno. Così saremo pari. Che ne dici? -. Roxanne tentennò per pochi secondi, ma subito accettò chinando il capo.
Sospirai a fondo e dopo aver mandato giù tutto il vino nel mio calice, feci una pausa per sistemare le idee.
- Spero che, dopo aver finito, tu non abbia intenzione di non avere più a che fare con me. In quel caso, non potrò fare a meno di capirti - le dissi, e lei mi diede tutta la sua attenzione.

In quel preciso momento, le campane di Notre Dame risuonavano le 9 di sera. Il piazzale sembrava tranquillo, e tutti i popolani si stavano affrettando a rientrare nelle loro abitazioni. Il capitano Febo aveva istituito il coprifuoco, dopo le ultime vicende violente negli ultimi tempi. Un gruppo di guardie si sistemò in riga e presentarono le armi, appena arrivò il capitano, sul suo stallone bianco. Era da poco tornato da una delle sue missioni, per conto del Re. Una guardia lo raggiunse in fretta appena lo vide, porgendogli un pezzo di pergamena. Febo lo aprì e lo lesse. I suoi occhi si spalancarono, ma prima di poter dire qualcosa, un'altra guardia si avvicinò di corsa, portano con sé una seconda pergamena. Il capitano lesse il messaggio, e sconvolto, non perse tempo. Doveva assolutamente smuovere il suo esercito, recuperare una mappa e agire prima che fosse troppo tardi.

Angolo dell'autrice:

Salve a tutti. L'autunno sta tornando, e io sono super felice, perché proprio come Roxanne, è la mia stagione preferita! Ci sono stati i primi temporali e l'aria sta diventando più fresca. Ma bando alle ciance, avete visto? Clopin è rientrato in scena (qualche mia amica, nel capitolo precedente, già lo reclamava, ma era già nei miei piani farlo tornare subito) <3 Sembra che sia riapparso al momento giusto, dato che la nostra giullare era rimasta sola, e avevano...come dire, una questione in sospeso :3 Nel prossimo capitolo vedrete ciò che di sicuro per molti aspettavate. Siete ansiosi, vero? Credo che sarà anche una buona occasione per Roxanne di farsi avanti, chissà ^^ Cosa vi aspettate nella prossima parte? Non indugiate a farmi sapere le vostre opinioni <3 Per il momento è tutto, (spero che arrivi un nuovo temporale, perché mi servirà come ispirazione per scrivere il capitolo successivo **). 
Alla prossima <3  

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Capitolo 16
*** Come il Sole e la Luna ***


                                                                                  Come il sole e la luna

Un cielo notturno si stava oscurando man mano che passavano i minuti, con nuvole nere che si ammassarono l'una a l'altra, nascondendo gli splendidi diamanti e l'astro brillante. I primi lievi bagliori di un temporale si stavano cominciando a scatenare, dando così l'allarme ai piccoli animaletti del bosco dell'arrivo del pericolo imminente. L'aria era diventata fredda, con quella leggera nota di terra bagnata, tipica delle giornate di pioggia. Gli scoiattoli e le lepri si rifugiarono nei buchi e negli incavi degli alberi, mentre uccellini tornavano nei loro piccoli nidi, e qualche volpe si intrufolava in una piccola dimora sotterranea, ben scavata. Per gli animali bastava poco per sentirsi protetti e al caldo, ma per gli esseri umani, di taglia più grande e con esigenze maggiori, ci voleva di più. Ma anche un modesto carretto, con tetto e mura di legno, poteva essere un ottimo rifugio. Almeno per due giullari poco esigenti e che riuscivano ad adattarsi a situazioni anche meno favorevoli. Roxanne e Clopin si trovavano nel teatrino mobile, al riparo, nascosti tra i cespugli del bosco, ma in un momento delicato, che avrebbe cambiato il loro rapporto, in bene o in male. Il re degli zingari era pronto a svelare un pezzo del suo passato che aveva sempre celato dietro alla sua vita, fatta di feste colorate e spettacoli stravaganti.    

PV Clopin

Tutto ebbe inizio quando mia madre morì di una strana malattia, che nessun stregone o guaritrice riuscì a sconfiggere. Era il 1453, un periodo di sollievo per la fine della guerra, ma di sconforto per la mia perdita. La povertà, causata da anni e anni di conflitti, ci aveva portati a prendere in considerazione di lasciare la calda Andalusia, e di trasferirci in Francia, ormai libera dai coloni inglesi. Per noi, Parigi era una terra fertile dove poter ricominciare da capo e vivere serenamente. Ma dovettero passare due anni prima del grande cambiamento. Intanto, mio padre, il capo famiglia, aveva scelto una nuova sposa, e nacque una bambina a cui dettero il nome Esmeralda. Quando partimmo, mi sentivo pieno di entusiasmo, e presi quel viaggio come una bella avventura. Peccato che, una volta a Parigi, le cose furono più difficili di quanto avessimo sperato. In città era stato da poco eletto un nuovo funzionario di giustizia, un giovane uomo di nome Claude Frollo, che sembrava tutto fuorché clemente e giusto. Ciò che ci fece dubitare di una vita migliore, fu proprio il suo innato odio verso gli zingari. Non eravamo liberi di vivere nei carretti o nelle nostre tende per le strade, perché venivamo sempre braccati e cacciati come la feccia più orrenda del mondo. L'influenza di Frollo era così forte, da aver innescato pregiudizi anche tra la brava gente comune. Se provavo ad avvicinarmi a qualche bambino della mia età, per fare amicizia e giocare, venivo sempre allontanato, come se fossi stato una temibile minaccia. Per questo motivo, mio padre decise di trovare un luogo adatto per noi emarginati. Insieme ad altri gitani, non solo della nostra famiglia, ma altri della strada che appoggiarono la sua idea, scavò un tunnel proprio sotto un cimitero abbandonato. Un luogo dimenticato da Dio e dal resto della città, proprio come noi. Così nacque la Corte dei Miracoli. 
Un posto che potevamo finalmente chiamare casa. Mio padre diceva che aveva scelto quel nome per due motivi: la "Corte" cioè il regno di cui ne era divenuto il re, e " Miracoli" perché era il solo luogo dove anche gente schiacciata dalla società come noi, poteva essere libera e felice. Quel miracolo che non avremo mai visto in mezzo alle strade della bella Parigi. Per quanto riguardava me, la Corte era il mio regno dei balocchi. Giocavo a fare il re e tutto mi sembrava un gioco, facendo partecipare spesso la mia sorellina, dolce e ingenua. Mio padre cercò in tutti i modi di impartirmi i giusti insegnamenti. 
Come voleva la tradizione, io, il figlio maggiore, avrei ereditato il suo ruolo. Ma ero un ragazzino testardo, vivace, che per puro divertimento disubbidiva agli ordini. La cosa peggiore, è che a un certo punto cominciai ad adottare il vizio di rubare, che fosse cibo o denaro. Il solo pensiero di dover sudare per guadagnarmi da vivere, non mi passava proprio per la mente. Ovviamente facevo di tutto per non farmi beccare e tenere mio padre all'oscuro di tutto. Avevo da poco compiuto 12 anni, e il re degli zingari si ammalò, e sul suo letto di morte mi fece promettere che sarei stato all'altezza del compito. Forse, per via del dolore, di tutto quel peso e delle responsabilità, non riuscì a svincolarmi dal mio brutto vizio, e lo usai addirittura come sfogo per sopportare quella situazione che era troppo grande per me. Neanche le regole di Zacarias, che cercò di essere sia un mentore che un fratello maggiore, mi aiutarono a seguire la giusta strada. Ero solo un marmocchio superficiale ed egoista. Inoltre, mi prendevo gioco delle guardie personali del giudice Frollo. Ogni volta che lo vedevo passare, con quella sua aria altezzosa, non resistevo nel fare delle boccacce e a dedicargli pernacchie, per poi scappare di corsa, ridacchiando. Non mi importava di nient'altro, mi bastava divertirmi e non avere altri pensieri. Due anni dopo, quando anche la madre di Esme ci lasciò, dovetti fare un'altra promessa, ma molto più importante. Mi sarei preso cura di quella bimbetta di 9 anni. In poco tempo, tutto il mio mondo fatto di giochi e spensieratezza si stava sgretolando. Non ero affatto pronto per una cosa simile, ma volevo tanto bene ad Esmeralda. Purtroppo, i buoni sentimenti non mi fecero migliorare subito. Ricordo ancora quel maledetto giorno. Zacarias ci aveva portato al mercato per fare un po’ di spese. C'era molta gente che si accalcava tra le bancarelle, e allora il tarlo del vizio si fece sentire. Approfittai di un momento di distrazione del mio tutore, e mentre tenevo Esme per mano, allungai l'altra per rubare un sacchetto di monete che portava un uomo alla cinta. Era andato tutto liscio, e stavo per nascondere il mio bottino. 
Ma una mano, grande e grossa, mi afferrò per la veste e mi trascinò via. Tra sgomento e stupore della folla, fui portato da una guardia al cospetto del giudice Frollo. Fui accusato di borseggio, e dato che il giudice mi aveva riconosciuto, per tutte le mie marachelle, di sicuro aveva una gran voglia di farmela pagare. Ero spaventato, ma non avevo alcuna intenzione di chiedere perdono e pietà davanti a quel mostro. Allora mi fu data la punizione da scontare: una decina di frustate. Non avevo mai avuto tanta paura in vita mia. Ma Zacarias intervenne e si inginocchiò ai piedi di Frollo, chiedendo scusa al mio posto. Poteva finire lì la questione, ma il giudice non fu comunque soddisfatto, e gli sembrò giusto che la pena fosse applicata. Il mio mentore fu portato via e rinchiuso in una cella, dove avrebbe subito più di dieci frustate. Finalmente libero, ero ancora terrorizzato per ciò che era appena accaduto, ma le grida di Esme mi scossero ancora di più. La mia sorellina corse ad abbracciarmi e scoppiò in lacrime. 
" Ho avuto paura che mi stessi abbandonando anche tu..." disse lei tra i singhiozzi. Quella reazione mi fece precipitare in un senso di colpa, che tutt'ora porto con me. Potevo sopportare qualsiasi cosa, ma non la mia Esmeralda, l'unica persona che mi era rimasta e che faceva parte del mio mondo felice, nella più cupa sofferenza. Con gli occhi straziati, abbracciai la piccola e le feci una promessa. Una vera e sincera promessa; mai più avrebbe sofferto. Mi sarei davvero preso cura di lei, rendendola forte, indipendente e valorosa. Ma soprattutto, una persona onesta. Io stesso sarei stato il cambiamento. E grazie al mio esempio, lei sarebbe cresciuta felice e non avrebbe più versato lacrime, specialmente per colpa mia. E così fu. Passarono gli anni. Da quel giorno avevo smesso di rubare, e invece di bighellonare, cominciai a lavorare sodo, esibendomi per le strade di Parigi. All'età di 20 anni ero ormai re a tutti gli effetti, e potevo prendere tutte le decisioni, anche quelle più difficili e delicate. Zacarias, da parte sua, mi osservava da lontano, senza intromettersi. Da quell'esperienza, fui certo di averlo deluso, perché poneva grandi aspettative su di me. Man mano, smettemmo di parlarci e non lo vidi più. La mia Esmeralda stava crescendo in fretta, e mentre lei ballava per la piazza col tamburello, io pensai che avrei dovuto marcare la promessa facendo qualcosa di più. Non solo per me o per lei. Con i soldi risparmiati, costruì il mio teatrino mobile. Anche se ero il re Clopin, mi mancava il mio altro me, quello che amava divertirsi e che viveva in un mondo tutto suo. Fu allora, che decisi di indossare le vesti di un giullare. Avrei portato le mie storie fantastiche in giro per Parigi, donando gioia e spensieratezza ai più piccoli. Questo avrebbe reso felici sia loro, sia la mia sorella preziosa. Grazie al mio ruolo, ben presto ottenni la fiducia di chi mi circondava. La gente comune, come il caro Marcel, cominciò a conoscermi meglio, e non vedevano solo lo zingaro, ma il buffone di piazza, socievole e amichevole. Avevano smesso di evitarmi. Tutto era perfetto. Di giorno, quando indossavo la maschera, ero Clopin il giullare, e quando tornavo la sera alla Corte, ero nuovamente Clopin, il re degli zingari. Avevo ovviamente smesso di schernire il giudice Frollo, ma mi era concesso almeno in quelle occasioni speciali, come la festa dei Folli, e ne approfittavo per fargli qualche burla. D'altronde, non avevo dimenticato quel giorno, e sapendo come si comportava con il resto dei miei simili, in me crebbe sempre di più una gran voglia di farlo fuori. Il mio lato selvaggio e sanguinario nacque proprio per quel motivo, e lo manifestai su chiunque, spia e soldato, villico o ricco che provasse a intrufolarsi nel mio reame. Ecco perché ero diventato un giullare. Vorrei tanto poter affermare che fu solo per la passione, per i miei sogni di fanciullo, o per il mio lato infantile. No, per quanto amassi quel mio ruolo, e che non avrei mai rinunciato, dovevo ammettere che era il mio modo, surreale e festoso, di scontare una colpa che mai si sarebbe esaurita.

Avevo da poco terminato quella storia che tanto mi era costata, e sentivo un gran dolore al petto. La bottiglia di vino era ormai vuota, e Roxanne aveva dovuto aprirne un'altra. Non ero ubriaco, ma sentivo già gli effetti dell'alcool darmi alla testa. Avevo il viso tra le mani, e sentì le lacrime che mi invadevano gli occhi. Era come se quel capitolo della mia vita, così doloroso, l'avessi rimosso proprio perché non solo mi faceva male, ma anche per via di un gran senso di vergogna. Non ne avevo parlato mai con nessuno, e per me quell'evento doveva rimanere sepolto nel passato. Sentì Roxanne che mi accarezzava la schiena con una mano. Fino a quel momento, mi aveva lasciato raccontare, senza pormi domande.
- Clopin...- disse, infine. Mi girai di lato. Una lacrima uscì fuori dagli occhi e cercai di schiarirmi la voce.
- No, Roxanne. Non voglio che tu prova compassione e pietà, per uno come me - cominciai, combattendo contro il groppo alla gola e mantenendo la voce chiara.
- Non è pietà. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace molto. Non potevo immaginare una cosa simile - aggiunse la violinista e mi accarezzò di nuovo la schiena, evitando il più possibile la zona della ferita. Quel tocco, sulla mia pelle, era così delicato e tenero. Ma io mi sentivo uno schifo.
- Adesso lo sai...Dillo pure. Sei delusa, vero? - le chiesi, mentre mi asciugavo quelle lacrime silenziose. Roxanne tacque per un secondo, poi avvertì la sua mano tra i capelli, e infine la sua voce così dolce e rassicurante.
- Delusa? Cosa dici? Non lo sono per niente. Come ti ho già detto, qualunque fosse stato il tuo segreto, non sarebbe cambiato nulla - mi rispose convinta. Sentivo che quelle parole erano davvero sincere, ma non sarebbe bastate per cancellare ciò che avevo fatto.
- Cherì, ma ti rendi conto di quello che ho fatto? - dissi, mentre cercavo di guardarla con la coda dell'occhio - Non solo ho fatto soffrire Esmeralda, ma ho deluso il mio mentore, che si era offerto di prendersi cura di me, come un padre...e io, l'ho ripagato mettendolo nella situazione di sacrificarsi, per colpa della mia condotta superficiale e immatura. Ecco perché alla fine mi ha evitato -.
Mentre pensavo al mio amico Zacarias, mi ricordai che ormai lui non c'era più, e il groppo in gola mi fece singhiozzare.
Dovetti coprirmi nuovamente il volto con le braccia, come un bambino rassegnato a una punizione.
- La cosa peggiore...è che non solo non potrò mai ricambiargli il favore...ma che, di nuovo per colpa mia, lui...- le lacrime caddero copiose, mentre le parole mi morivano in gola - ...e questa volta, non tornerà mai più...- terminai, e la vergogna di farmi vedere in quello stato mi devastò l'anima. In quel momento, delle braccia mi accolsero e mi strinsero con dolcezza, come una morbida coperta che ti scalda nelle notti d'inverno. 
- Non dirle nemmeno queste cose - disse Roxanne, con una voce commossa, ma sempre dolce - gli errori del passato ci aiutano a crescere. E tu, Clopin, hai imparato dal tuo passato. Sei diventato una persona splendida. La migliore che io abbia conosciuto. Lo vedo ogni volta, in ogni singolo momento, che ti dedichi agli altri, soprattutto ai bambini -. La mia amica fece sciogliere l'abbraccio, si mosse di un po’ dal suo posto, e cercò di alzarmi il viso. Detestavo mostrare la mia debolezza, ma dato che si trattava di lei, la lasciai fare. Con le guance che mi andavano a fuoco, la guardai in quei splendidi occhi vermigli.
- Poi, non darti nuovamente la colpa per quello che è successo a Zacarias. Lui ha scelto di sacrificarsi non solo per te, ma anche per me. E' stata una sua libera scelta -. Mentre mi diceva ciò, passò le dita sul mio volto, per asciugarmi via le lacrime. Era così amorevole.
- E questo mi dà la certezza che non solo lui non fosse deluso, ma che in tutto questo tempo non ha mai smesso di stare dalla tua parte - terminò, donandomi un sorriso per consolarmi. Tirai su col naso, e lei fece scivolare le dita nella sua scollatura, e ne fece uscire fuori uno dei suoi fazzoletti rossi. Ebbi un altro deja vù. Dopo aver accettato quel pezzo di stoffa, la guardai e per spezzare il momento triste, le dissi sorridendo:
- Ma quanti fazzoletti hai lì dentro?! -. Lei divenne paonazza, e la cosa mi fece sorridere con piacere. Era bella anche in quei momenti. Dopo essermi soffiato il naso, presi le sue mani con affetto, racchiudendole nelle mie. Ripensando a quelle sue parole mi sentivo meglio. Inoltre, dovevo ammetterlo, confidandomi con lei, era come se mi fossi tolto un macigno dal cuore. Una sofferenza silenziosa che pesava da troppo tempo.
- Grazie, cherì - le dissi - grazie per tutto, davvero -. Mentre le accarezzavo le mani, i miei occhi si posarono su di lei. In quel preciso istante ebbi la certezza che qualcosa dentro di me stava sbocciando, e non desideravo altro che stare in quel posto, accanto a lei. Poi, le mie orecchie captarono uno strano suono, che proveniva a pochi centimetri tra noi due. Lo stomaco di Roxanne reclamava il cibo quotidiano.
- Cos'era quello? Il rimbombo del tuono?! - feci io, prendendola in giro. La giullare si coprì la pancia, e gonfiò le guance imbarazzata. Scoppiai a ridere. Con cautela mi alzai in piedi. Lei mi ammonì di restare fermo, ma la rassicuri che stavo meglio, e che la ferita non mi faceva tanto male.
- Adesso, rimani tu qui. Torno subito - dissi, e mi diressi verso un lato del carretto, dove c'era il cesto delle provviste. Cercai di non barcollare e di non dare l'impressione di cadere. Anche se ero abbastanza lucido, il vino mi stava giocando brutti scherzi. Come un perfetto gentiluomo, preparai un vassoio pieno di buone cose, come piccoli panini dolci e grappoli di uva scura. Quest'ultima fece gola perfino a me, perché doveva essere molto dolce. Mentre decoravo il tutto con delle foglie, prese in prestito da alcune mele, sentivo fuori dalla finestrella che ben presto il temporale ci avrebbe fatto l'onore della sua presenza. Presi il vassoio e lo portai alla mia giullare, che mi stava aspettando con l'acquolina in bocca. Appena le offrì la cena, lei rimase piacevolmente sorpresa da quel gesto, seppur piccolo, ma per lei così grande. Mentre divorava i panini, io ne approfittai per bere dell'altro vino. Non avevo fame, ma in qualche modo volevo farle compagnia, e io del nettare rosso non ne ero mai sazio. A un certo punto, pensai che fosse arrivato il suo turno, per completare il nostro patto. 
- Beh, ora che hai saputo del mio segreto personale, tocca a te, cherì - le feci notare, e lei si bloccò, mentre aveva la bocca piena di cibo. Le diedi il tempo di ricomporsi, e prima di iniziare, prese un chicco d'uva e lo mangiò. Aspettai con pazienza, intanto le versai del vino nel calice, e mi misi comodo.

PV Roxanne

Fin da quanto riesco a ricordare, i miei genitori erano così diversi l'uno dall'altra. Mia madre era una zingara nomade, originaria di Marsiglia. Mio padre era un semplice artista di strada, originario di Venezia. Avevano colori della pelle diversi, così come il colore degli occhi e dei capelli. Inoltre, mio padre era molto credente, mentre mia madre era atea. Lui era un uomo molto tranquillo e pacato, mentre lei era sempre vivace e attiva. Erano come il sole e la luna. E a proposito di questo, mia madre proveniva da una famiglia chiamata " i gitani della falce lunare" e come simbolo avevano una mezzaluna. Ricordo una volta, mentre eravamo accampati nei pressi di una brughiera, durante una delle innumerevoli soste quando viaggiavamo. Il cielo era ricoperto da mille stelle e la luna a forma di falce sembrava la regina di quel mondo. Allora chiesi a mia madre da dove provenisse lo stemma della nostra famiglia, e perché proprio il simbolo della mezzaluna. Davanti a un bel fuoco, mia madre si mise comoda e cominciò a raccontare. Secondo una leggenda molto antica, tramandata da generazioni, la luna e il sole furono generati per avere ognuno il proprio ruolo nel mondo. Ma dato che erano molto diversi, la prima sarebbe sorta durante la notte per illuminare il cielo ed essere una guida per i viaggiatori, mentre l'altro sarebbe sorto durante il giorno, e avrebbe riscaldato i campi per il raccolto. Potevano ritenersi fortunati, perché avevano un compito molto importante ed erano venerati dagli uomini come divinità. Ma il sole e la luna, per quanto diversi, si erano segretamente innamorati l'uno dell'altra e viceversa. Il sole era sempre così timido, o molte volte faceva finta di niente, mentre la sua amica luna, provava in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Ma il loro era un amore impossibile. Non si sarebbero mai incontrati per potersi amare come desideravano. La luna, in particolare, soffriva tanto, mentre vedeva gli umani che dedicavano poemi romantici su di essa, e a lei era negato di poter 
vivere l'amore. Il cielo, suo padre, aveva anche cercato di spezzare la sua tristezza, creando delle piccole amiche, che furono chiamate stelle. Per un po’ di tempo funzionò, ma la luna continuò ad amare profondamente il sole. Per questo motivo, alla fine si riuscì a trovare una soluzione. In alcune occasioni speciali, il sole e la luna si sarebbe trovati finalmente faccia a faccia, una sorta di appuntamento, chiamato " eclissi". In quei momenti, i due amanti si sarebbero potuti incontrare e amarsi come volevano. E tutt'oggi, quando vi sono le eclissi, si consiglia di non guardare in modo diretto l'evento, poiché il loro amore è troppo abbagliante. Quando mia madre terminò di raccontare, i miei occhi di bambina brillavano ancora di emozione.
" Mamma, quindi tu e il papà siete come il sole e la luna?" chiesi, con tanta innocenza. Mia madre sorrise, e annuì, accarezzandomi i capelli. 
" Un giorno, anche tu troverai il tuo Sole" aggiunse, mentre guardava con occhi innamorati mio padre, seduto poco distante da noi. Infine, mi spiegò che da sempre la nostra famiglia venerava la luna come una guida spirituale. Come il sole, che simboleggiava il calore e la forza maschile, la luna era simbolo di grazia femminile, di cui i talismani donavano forza e benessere sessuale. Non a caso, il ciclo lunare durava 28 giorni, e anche questo era legato alla figura intima di ogni donna. Per questo motivo, sempre attraverso le tradizioni della famiglia matriarcale di mia madre, ci spostavamo da paese a paese, e le soste 
duravano tanto quanto un ciclo, che da luna crescente arrivava a luna calante. Questa tradizione l'ho portata avanti io stessa, dopo la morte dei miei cari genitori. Sapevo che, specialmente per mia madre, era molto importante. Quindi, secondo i calcoli, il giorno seguente sarei dovuta partire...

- Stai dicendo sul serio?! - mi chiese a un certo punto il giullare. Intanto, avvertì uno strano rombo in lontananza. Il temporale era ormai vicino.
- Sì, è così - risposi, mentre bevvi un altro sorso di vino. Non mi ero neanche accorta che quello era il mio terzo bicchiere. Avvertivo un dolce calore che mi invadeva lo stomaco, mentre le guance si stavano accaldando. Non ero abituata a bere tanto, ma l'ansia e il nervosismo della situazione erano troppo pesanti e sembrava che il nettare rosso riuscisse a distrarmi. 
- Come ti dissi in passato, sono giunta a Parigi per realizzare il sogno di mio padre. Ma ero già consapevole che, una volta giunta al 28esimo giorno, sarei dovuta ripartire. E' la tradizione, ed è tutto ciò che mi lega alla mia famiglia - non avevo ancora finito, che Clopin mi afferrò per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi. Il mio bicchiere mi scivolò dalle dita e rotolò sul pavimento. Per miracolo non si era rotto.
- Non voglio! -. Il suo alito aveva un forte odore di vino, e solo in quel momento, guardandolo bene in faccia, mi resi conto che aveva le gote rossastre. Quel gesto mi prese alla sprovvista. Mi teneva stretta e sembrava non voler mollare la presa.
Con un po’ di imbarazzo, ebbi la forza di chiedergli:
- Cosa? -. Lui si bagnò le labbra, come se un caldo immaginario gli stesse seccando la pelle. Un altro rimbombo si scatenò in lontananza.
- Non voglio che te ne vada - confessò - Non puoi lasciarci così. Non hai nessun motivo che ti invoglia a rimanere? -. Quella domanda mi rese cupa e triste.
- In un certo senso, sì...- risposi, mentre i miei pensieri tornarono agli eventi felici, prima del terribile incendio nel piazzale - Ma adesso, non ne sono più sicura -.
Il motivo era semplice. Avevo sperato fino all'ultimo che Clopin ritrovasse la memoria, ma ormai era troppo tardi. Non solo non avrebbe mai più ricordato, ma i suoi sentimenti per me sarebbero stati invariati. Ero andata a cercarlo solo perché volevo accertarmi che fosse vivo e vegeto. L'indomani mattina, una volta tornati alle porte di Parigi, gli avrei detto addio, e tutto sarebbe tornato come prima. Era la cosa migliore per tutti e due, e nessuno avrebbe sofferto ulteriormente.
- Ormai il mio compito è concluso... - aggiunsi, mentre cercavo di svincolarmi dalle braccia del mio giullare - inoltre, non sono riuscita a farti tornare la memoria -.
Detto ciò, pensai che la questione fosse chiusa, ma lui mi trattenne. Il re degli zingari mi prese il mento con una mano e mi guardò.
- E' davvero così importante per te, che io recuperi i ricordi? - mi chiese, con un'espressione seria. Con un po’ di esitazione, annuì col capo.
- Allora chiudi gli occhi - disse, quasi sussurrando. Quella proposta mi diede una sensazione strana.
- Perché? - gli chiesi, mentre sentivo la pelle d'oca e i brividi lungo la schiena. Cosa stava succedendo? 
- Chiudili e basta...- mi ordinò, e dopo un momento di titubanza, decisi di ubbidire. Non avevo la minima idea di cosa gli passasse per la testa. Beh, sarà per via di tutto il vino che si è scolato, pensai. Proprio in quell'istante, avvertì un calore sulle labbra e incuriosita, riaprì leggermente gli occhi. Ebbi giusto il tempo di vedere il suo volto vicinissimo al mio, per poi baciarmi. Un lampo squarciò il buio, e tutto si illuminò nell'arco di un secondo, e il tuono mi fece sussultare, distaccandomi dal giullare.
- Che fai?! - esclamai, mentre sentivo l'imbarazzo crescere. Poi, ricordandomi della situazione aggiunsi, un po’ seccata - Sei ubriaco... -. 
- Può darsi - mi rispose, tenendomi nuovamente stretta - ma sono più che lucido, cherì -. Le mie orecchie avvertirono il fruscio della pioggia che stava cadendo, ticchettando sul tetto del teatrino mobile. Un altro lampo si scatenò, inseguito poco dopo da un tuono che esplose con un suono assordante. Per lo spavento, mi accucciai sul petto del giullare, come una bambina terrorizzata dal suo primo temporale. Era il mio punto debole. Clopin rise, mentre mi accarezzava i capelli per tranquillizzarmi. Mi sentivo così stupida.
- Questa sì che è una novità! Così forte e coraggiosa, e hai paura dei temporali! - mi schernì lui. Infastidita, mi scostai e lo allontanai.
- Non prendermi in giro! - dissi, gonfiando le guance come uno scoiattolo. Lui sembrò essere piacevolmente divertito, ma mi afferrò le mani e disse:
- Non lo farei mai, cherì, e comunque - riprese, cercando di riavvicinarsi - non è vero che non ricordo più nulla. Ho capito che, stando accanto a te, i miei ricordi si stanno risvegliando. Ed è per questo che, poco fa, mi sono permesso di essere così audace -. Quella confessione mi fece sciogliere, e il giullare ne approfittò per avvolgermi di nuovo tra le sue braccia. Il cuore cominciò a martellare impazzito, e il respiro si fece più veloce.
- E sai una cosa? Ho fatto bene, perché ho rivissuto il nostro primo bacio. Eravamo nella mia tenda, alla Corte. Indossavi una vestaglia blu, e avevi da poco bevuto del vino -. 
Non potevo credere alle mie orecchie. Clopin aveva ricordato! In quel momento, la speranza che credevo perduta, stava risorgendo dalla sue ceneri.
- Perché non me l'hai detto subito? - gli chiesi. 
- Perché non ero del tutto sicuro, in fondo erano piccoli attimi, come allucinazioni. E tu invece, perché non me l'hai detto? -. Non capì a cosa si riferiva.
- Che cosa? - gli chiesi, mentre lui mi guardava con il suo modo furbo, come se celasse i suoi pensieri più vispi e maliziosi.
- Che avevamo un rapporto così speciale - rispose semplicemente. La vergogna salì alle stelle e allora non potei che sputare il rospo.
- Non volevo influenzare la tua libertà di vivere il nostro legame. Sarebbe stato come costringerti a tornare a quei momenti, invece di viverli davvero -.
Il re del piazzale sorrise teneramente, quasi commosso dalle mie parole. Mi bacio sulla fronte e tornò a concentrarsi su di me.
- Era questo che mi stavi nascondendo, vero? Il tuo grande segreto - disse, con voce vellutata - Adesso, però, dimmelo chiaramente. Cosa sono, per te? -.
La tempesta si stava facendo sempre più forte, come se stesse accompagnando i battiti del mio cuore, in balia delle forti emozioni.
- Tu sei...- incominciai, facendo vagare gli occhi sul volto del mio amato - ...sei il mio Sole -. Quelle semplici, piccole parole, erano tutto ciò che provavo per il re degli zingari, perché non serviva un papiro intero per descriverlo. Clopin rimase quasi spiazzato dalla mia risposta. Ma la sua mossa non tardò a lungo, e dopo avermi donato uno dei suoi sorrisi, mi baciò con passione, togliendomi il respiro. Il nostro abbraccio si fece più stretto, e dopo tanto tempo, tra ostacoli e sofferenza, vedevo finalmente un vero miracolo illuminare la mia vita. Avevo aspettato quel momento con tale pazienza che perfino io stessa ne fui stupita. Il nostro bacio si stava facendo più intenso, e avvertivo sulle labbra di Clopin le note forti del vino. Ci distaccammo per riprendere fiato.
- Sei davvero ubriaco - lo schernì, rimanendo stretta a lui. 
- Allora siamo in due, cherì - mi rispose, bisbigliando a pochi centimetri dalle labbra. Una piacevole sensazione mi fece sorridere, e realizzai.
- Ricordi anche quello? - gli chiesi, e mi afferrò per i fianchi e mi sistemò su di lui.
- Certo. Eravamo appena caduti nel ruscello, e tu eri a cavalcioni sopra di me - mi spiegò, e non potei che esserne felice. Questa volta fui io a baciarlo per prima, e lui ricambiò. Il temporale si stava facendo sempre più violento, ma stranamente non mi faceva più paura, al contrario. Mi sembrava quasi sopportabile, e che donasse addirittura un'atmosfera romantica. Sarà stato l'effetto del vino, o la grande euforia del momento, ma mi sentivo così piena di passione. Quei baci non mi bastavano mai, e ne reclamavo sempre di più. Clopin, dal canto suo, non era da meno, e le sue mani vagarono sulla mia schiena. Mi scostò i capelli da un lato, e senza averne il sospetto, distaccò le labbra dalle mie, per poi baciarmi il collo in quel punto. Quel gesto improvviso mi fece vibrare tutto il corpo, e mi scappò un gemito di sorpresa, ma anche di piacere. Clopin si ritrasse, rendendosi conto della situazione.
- Perdonami, sto esagerando. Meglio se mi fermo, altrimenti ti salterò addosso...qui nel tuo carretto - disse, passandosi una mano tra i capelli, e fece sciogliere l'abbraccio che ci univa. Un qualcosa in me mi spinse a fare un passo in avanti, che nemmeno io mi sarei aspettata.
- Chiedimelo - gli dissi, mentre la mia faccia si stava facendo paonazza. Una parte di me mi diceva di moderarmi, ma quella più selvaggia e impulsiva, mi stava incoraggiando, e che dovevo cogliere quell'occasione così intima e rara. In fondo, anche in passato avevo avvertito quel desiderio.
- Eh? - fece Clopin, come se non avesse capito. Mi sbottonai il corsetto, sciolsi i lacci, e mi liberai di quel pezzo di stoffa rigida. Subito, la scollatura della camicia si fece più profonda, e le prime curve del seno si mostrarono con facilità. Feci molta fatica a guardarlo negli occhi.
- Ricordi? Per la tua buona condotta di qualche giorno fa, se me lo avresti chiesto, ti avrei concesso il permesso di usare questo spazio per...- mi fermai subito. Lui intanto, era rimasto con lo sguardo fisso sulla mia scollatura, per poi sollevare lo sguardo. 
- O forse, preferisci le donzelle bionde e con i seni prosperosi? - aggiunsi, facendo riferimento a una certa persona. Mi stavo coprendo il petto con le mani, come se stessi per cambiare idea. Il giullare mi prese il viso tra le mani, ed non ero più certa su cosa sarebbe accaduto in seguito. Ma fu grande la mia sorpresa, quando abbracciandomi mi sussurrò all'orecchio:
- Cherì, posso avere l'onore di diventare tuo? -. Quella richiesta così dolce e sensuale mi bastò, abbastanza da farmi decidere di scoprirmi del tutto. Feci scivolare giù la camicia. Era la prima volta che lasciavo che un uomo guardasse la mia pelle nuda, e a quel punto non sapevo come comportarmi. Allora, come se avesse intuito il mio disagio, Clopin si limitò a baciarmi di nuovo, levigando dolcemente la mia pelle con le mani. Mi fece sdraiare sui cuscini, e dopo avermi sfilato la gonna, ed essersi liberato dei pantaloni, si concentrò solo su di me. Passammo parecchio tempo a coccolarci, con baci e carezze, mentre in sottofondo c'era lo scroscio della pioggia, e il tintinnio dei cammei del pareo, ancora intorno ai miei fianchi. Quando mi sentii pronta, divaricai le gambe, e lui procedette con cautela. Aveva capito che era la mia prima volta, e con pazienza e dolcezza ci unimmo l'uno a l'altra. Passato quell'attimo, che mi sembrò uno strappo, si assicurò se stessi bene, prima di continuare. La nostra danza iniziò, con gemiti e respiri colmi di piacere. Gli occhi color pece del mio giullare brillavano di desiderio, mentre la sua voce non smetteva di pronunciare il mio nome e ripeteva ogni volta quanto fossi bella. A un certo punto, rallentò per chiedermi se doveva fermarsi, preoccupandosi per me. Come risposta mi sollevai, gli rubai un bacio, e lo spinsi giù, per poi ritrovarmi sopra di lui a cavalcioni. Quella posa, cosi familiare, mi diede scosse di desiderio maggiore. Colto inizialmente di sorpresa, il mio re mi lasciò il pieno comando, e con premura mi diede il tempo necessario per trovare il ritmo giusto. Era come una delle nostre danze che avevamo condiviso, ma più intima e focosa. Nonostante fossi ancora inesperta, Clopin mi lasciò libera di essere la parte dominante, come se quello scambio di ruoli non gli dispiacesse affatto. Non so quanto tempo passò, ma quando i tuoni cessarono, avevamo raggiunto insieme il culmine del piacere, e ben presto ci trovammo accoccolati sui cuscini. La cera delle candele si stava consumando. Una lieve luce riusciva a illuminare i nostri corpi nudi e uniti. La tempesta fuori si era placata, e si udiva solo il leggero sgocciolare dalle tegole del tetto. Esausti, ci stavamo godendo quel momento di dolce estasi, osservandoci negli occhi. Poi, lui si alzò su un fianco, sorreggendosi la testa su una mano.
- Non avevi detto che " non saresti mai entrata nel mio letto"? - mi chiese, lanciandomi un'occhiata ironica e furbetta. Risi divertita, mentre la mente vagava a quel giorno tanto imbarazzante, ma che in quel momento mi faceva solo sorridere. Con una nota di sarcasmo, mi avvicinai al suo viso e risposi:
- Appunto! Sei tu che sei entrato " nel mio letto" -. Allargando un sorriso, il giullare mi accarezzò la pelle del viso, per poi baciarmi nuovamente. Alla fine crollammo addormentati, l'una nelle braccia dell'altro. Prima di quel momento, avevo pianificato di rispettare la tradizione, e di partire il giorno dopo. Ma, forse, i miei cari mi avrebbero perdonata, specialmente mia madre. Perché avevo ritrovato il mio giullare. Avevo riavuto il motivo per poter restare. 
La Luna, che tanto aveva sofferto per amore, si era finalmente unita al suo amato Sole, nella prima luminosa eclissi.

La notte lasciò spazio all'alba, e come ogni giorno, la luce solare illuminò la terra, donandole colori di ogni genere. L'aria era ancora frizzante, ma all'interno del carretto regnava ancora un dolce tepore. Il re degli zingari era sveglio già da un'ora, e se ne stava lì, sdraiato sui cuscini, accoccolato dietro alla sua giullare, che dormiva beatamente. Con un leggero tocco per non svegliarla, le stava accarezzando le punte dei capelli. Mentre la osservava amorevolmente, i suoi lineamenti del volto si indurirono in un'espressione seria. Senza fare alcun rumore, lo zingaro si alzò e si vestì velocemente. Afferrò il suo pugnale e lo sistemò legato alla cinta. Dopo aver preso cappello e mantello, si voltò verso la sua bella amata, che dormiva ancora ignara di quello che stava accadendo. Con occhi pieni di amarezza, Clopin fece un sospiro, e con una mano fece volare un bacio in direzione di quella meravigliosa creatura che gli aveva donato tutta se stessa. Dopo di che, molto lentamente, aprì la porta sul retro, uscì, e richiuse la porta a chiave. Rimase per un attimo a riflettere, infine decise di infilare la chiave nella fessura, sotto la porta, in modo che Roxanne potesse trovarla. Fino a quando non si sarebbe svegliata, sarebbe stata al sicuro. Fatto ciò, il giullare si allontanò a passo svelto, scomparendo nel folto del bosco, senza voltarsi indietro.

Angolo dell'autrice:
Rieccomi, finalmente sono tornata con un nuovo capitolo. Ci ho messo un po’ perché questo era uno dei più importanti e difficili da rendere ^^' e capirete il perché <3 mi sono dovuta trattenere e stare attenta a non rendere questo capitolo motivo per modificare il rating da giallo ad arancione XDD Ma ci tenevo, sono sincera, ad aggiungere una scena amorosa di quel tipo nella storia (cioè, dai, per uno come Clopin, e per tutto il tempo che Roxy ha dovuto aspettare, mi sembrava il minimo XD). Beh, la cosa importante è che il re degli zingari abbia ritrovato alcuni pezzi dei suoi ricordi, (recuperando quello più importante di certo <3) e che si sia accorto di Roxanne. Però, manca ancora qualcosa. La vera resa dei conti. Secondo voi cosa accadrà? Preparatevi che ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine, e di colpi di scena ce ne saranno <3
Grazie a tutti per l'attenzione <3  

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Capitolo 17
*** Conto in sospeso ***


                                                                                          Conto in sospeso

Le foglie secche scricchiolavano sotto le suole delle scarpe, mentre il mantello nero svolazzava tra le folate del vento. Il sole era sorto da alcuni minuti, e la foresta sembrava così tranquilla, come se niente avrebbe disturbato quella quiete apparente. Il re degli zingari si muoveva come una pantera nascosta in mezzo alla vegetazione, con passo furtivo senza emettere il minimo rumore. Si spostò da un cespuglio all'altro e stava osservando alcune impronte lasciate sul terreno fangoso. Era certo che fossero tracce della banda nemica. Nei giorni successivi, dopo che i suoi uomini erano stati trucidati, aveva ispezionato  buona parte della zona, per cercare ogni indizio, anche il più piccolo, che lo avrebbe potuto condurre al rifugio di quei vandali assassini. Dopo aver ritrovato Roxanne, e aver riscoperto il suo legame con lei, dentro di se aveva sentito crescere un motivo in più per continuare a combattere. Avrebbe scovato quella banda e finalmente avrebbe messo fine a quella storia. Giustizia fatta, tutto sarebbe tornato come prima, e lui sarebbe ritornato alla Corte dei Miracoli con la sua bella giullare. Clopin stava assaporando quel dolce momento, quando si rese conto che le impronte si stavano allungano verso una direzione a lui 
sconosciuta. Senza indugiare, si fece largo tra i folti cespugli, mantenendo lo stato di allerta e caricandosi di tutto il coraggio che possedeva.

PV Roxanne

Un dolce fascio dorato, che penetrava da una fessura della finestra, mi stava scaldando il viso. Feci sbattere le ciglia per alcuni secondi, dando agli occhi il tempo di abituarsi alla luce solare. Stiracchiai le gambe e sbadigliai. Avevo il sospetto che fosse già mattino inoltrato. Di solito mi svegliavo sempre all'alba. Ma ripensandoci era comprensibile, dopo l'indimenticabile notte che avevo passato col mio giullare. Sorridendo maliziosa, mi girai dall'altra parte.
- Se ogni notte sarà così, potrei prenderci gusto, sai...- non terminai la frase perché mi resi conto che non c'era nessuno. Clopin, che aveva dormito sdraiato accanto a me, era svanito. Coprendomi col mantello, mi guardai in giro per la stanza.
Tutto era esattamente come la sera prima; il vassoio con i grappoli d'uva, il calice di vino sul tappeto, e perfino le briciole di pane secco erano ancora sparpagliate sui cuscini. Ma di Clopin neanche l'ombra.
- Clopin! - lo chiamai con la voce ancora impastata dal sonno. Nessuna risposta. Mentre cominciai a recuperare le mie vesti, mi accorsi che mancavano quelli del mio amato: allora fui certa che fosse uscito, ma mi chiedevo dove fosse andato. Perché non mi aveva svegliata? Cominciai ad agitarmi. Conoscendolo, sapevo quanto fosse imprevedibile e che era capace di qualsiasi cosa. Mi vestì in fretta e furia. Indossai la gonna lunga con il pareo, la camicia rossa e il corsetto nero. Dopo aver indossato le scarpe e il mantello verde muschio, afferrai la maniglia della porta per girarla. Ma con mio gran stupore, la porta non si aprì. 
- Ma cosa?...- feci ad alta voce. Provai nuovamente a girarla, ma la porta sembrava bloccata. Possibile che l'avessi chiusa a chiave ieri sera? Mi accorsi però che anche la chiave era scomparsa. Cosa stava accadendo? Il mio piede, muovendosi in avanti, fece tintinnare qualcosa sul pavimento. Abbassai lo sguardo e la vidi; la chiave in ottone che stavo cercando.
Perché si trovava lì? Afferrandola, collegai quel mistero all'assenza di Clopin. Che fosse opera sua? Possibile che mi avesse chiusa nel carretto con l'intento di...tenermi lontana da lui? No, non è possibile. Perché avrebbe dovuto farlo?
Ma non ci volle un genio per capire la questione, e una nuova ansia mi pervase l'animo. Era ovvio, che volesse tenermi lontana da qualcosa di rischioso. Con il cuore in gola, infilai la chiave nella serratura, e con un solo giro, la porta si sbloccò. Prima di uscire, presi sia il piccolo pugnale da legare sotto alla gonna, sia quello grande donatomi da Zacarias. Chiusi il carretto e posi la chiave all'interno della scollatura della camicia. Dopo di che cominciai a perlustrare la zona in quei dintorni. Non avevo bisogno di farmi altri quesiti inutili: Clopin voleva trovare da solo la banda di criminali e risolvere il problema, senza coinvolgere nessun'altro. Specialmente me. "Dannazione, Clopin!" pensai mentre mi facevo largo tra i cespugli colmi di rovi.

Pv Clopin

Le tracce mi portarono nel folto più sperduto della foresta. In quel punto, i rami degli alberi erano così colmi di foglie, che neanche un piccolo raggio di sole riusciva a penetrarvi. Mentre continuavo la mia indagine, i miei pensieri volarono alla mia Roxanne. Mi chiedevo se si fosse svegliata. Avevo preso la decisione giusta? Il mio me, il giullare della piazza, aveva desiderato rimanere al suo fianco, baciarle la spalla nuda ogni tanto per svegliarla dolcemente. Ma l'altro me, il re della Corte, sapeva che dovevo approfittarne per chiudere quella faccenda scomoda, e tenere la propria amata al sicuro. Per quel motivo, avevo addirittura cancellato le mie orme lungo il tragitto. Conoscendo Roxanne, sapevo che mi avrebbe cercato, quindi dovevo fare in modo di non essere reperibile. Avevo promesso a me stesso che avrei risolto tutto in poco tempo, così sarei presto tornato indietro, da lei. Non potevo nuovamente metterla in pericolo. Lei era troppo importante per me, ormai lo sapevo. Non era solo una questione di consapevolezza, del fatto che lei facesse parte del mio passato. Nonostante non avessi recuperato tutti i ricordi, avvertivo qualcosa di più, che era nata e cresciuta dalla nostra seconda conoscenza, ma ancora non capivo cosa fosse. Quel monologo interiore si interruppe appena mi trovai in un vicolo cieco. Che strano, eppure le tracce mi portavano lì. I miei sensi da gitano mi misero in allerta, e presi il pugnale, guardandomi attorno. Rimasi ad osservare ed ad ascoltare l'intera natura che mi circondava. Dovevo stare attento. Potevo essere preso alle spalle e attaccato da un momento all'altro. Ma diversamente dalle mie aspettative, non accadde nulla. Neanche un leggero fruscio tra i cespugli. A quel punto, mi mossi verso la parete di pietra che mi ostacolava il passaggio. Seguendo l'istinto, feci scorrere la mano lungo quella parete. Spostandomi di lato, arrivai vicino a una specie di siepe, che copriva la parete, come a voler nascondere qualcosa. Senza temporeggiare, presi il pugnale e sradicai alcuni arbusti e scoprì che c'era una fessura, larga abbastanza per poterci entrare. Forse avevo trovato ciò che stavo cercando. Caricandomi di coraggio, entrai in quella strana grotta, camminando di lato. Passarono più o meno cinque minuti e mentre proseguivo mi resi conto che lo spazio intorno si stava allargando. Finalmente potevo muovermi con facilità. Man mano che mi addentravo nel luogo, cominciai a intravedere le prime ombre delle pietre e delle pareti rocciose. I miei occhi si abituarono a quelle sfumature di colori che variavano dal grigio fumo al grigio sfumato. 
" Se è questo il loro nascondiglio, potrò coglierli di sorpresa. Non si aspetteranno un'azione in pieno giorno " pensai, mentre mi muovevo nel buio, cercando di essere silenzioso. Procedetti strusciando contro le pareti, plasmando le rocce con le mani e muovendomi a quattro zampe per familiarizzare col posto. Vivere alla Corte dei Miracoli, facendo a volte la guardia nei tunnel oscuri, mi aveva aiutato a perfezionare gli altri sensi, come l'udito e il tatto. Riuscivo a spostarmi con facilità senza aver bisogno della luce per poter vedere. Mentre trattenni il respiro, a un certo punto i miei occhi intravidero due fiammelle rosse nell'oscurità. Erano piccoli tizzoni ardenti e sembravano avvicinarsi sempre di più. Come un fulmine, afferrai il pugnale, ma un brivido mi percorse la schiena quando vidi quelle piccole luci scagliarsi su di me, veloci come il lampo. Quella strana cosa che si stava fiondando, emise un ringhio rabbioso, e allora feci oscillare il pugnale. Qualcosa di grosso e possente mi venne addosso, e capì che si trattava di un animale furioso. Nonostante il buio, riuscivo a percepire in anticipo i suoi attacchi, e solo in quel momento realizzai che doveva trattarsi del cagnaccio che mi aveva braccato quella sera. Le fauci della bestia avevano serrato il mio braccio sinistro. Anche se era protetto dal guanto, avvertì comunque un dolore acuto, per non parlare della sua 
presa, così forte da scuotermi del tutto. Col pugnale lo attaccai varie volte, ferendolo sul corpo e dove immaginavo ci fosse la gola. L'animale emise qualche guaito di dolore, e man mano sembrava perdere il controllo della lotta. Dopo altri interminabili secondi, rotolando nella polvere, affliggendo altre ferite profonde, riuscì ad avere la meglio sul cane. Non era mia intenzione ucciderlo, ma non potei fare altrimenti. Mi accorsi che tutto era finito quando i guaiti cessarono e la mascella della bestia aveva smesso di massacrarmi il braccio. Mentre quella povera belva giaceva senza vita a terra, io ansimai cercando di darmi il tempo di riprendermi. Anche se si era trattato di un animale, ero abbastanza stanco e scosso. Poi, avvertì un suono.
Clap clap! Battiti di mani. 
Mi girai di scatto verso la fonte del suono, ma era troppo buio per vedere qualcosa. 
- Bravo! Bravo! - disse una voce cavernosa. Ero così concentrato su quella situazione, che non ebbi il tempo di capire cosa stesse accadendo. Quattro mani mi afferrarono per le braccia e le gambe. Una trappola? Mi dimenai come un pazzo per cercare di liberarmi, ma ero ancora esausto per la lotta di poco fa. Mentre continuavo in quel disperato tentativo di liberarmi, sentì dei passi avvicinarsi, intanto i miei polsi venivano legati dietro alla schiena. 
- Uno spettacolo favoloso! Non potevo aspettarmi di meglio dal re degli zingari di Parigi - disse ancora quella voce.
Ero furioso e frustrato.
- Bastardi! - imprecai verso quella voce misteriosa - usare un povero animale incattivito come arma per aggredire e uccidere. E' una cosa da barbari! -.
Ringhiai contro il nuovo arrivato che, molto probabilmente, doveva essere il capo della banda. Mentre me ne stavo in ginocchio, con mani e caviglie immobilizzate, avvertì il bagliore di alcune luci che aumentarono man mano. In poco tempo, la caverna fu illuminata, tanto bastava per poterne studiare lo spazio. Era un vero e proprio rifugio segreto, ma senza tendaggi o carretti, ma solo con il minimo indispensabile per sopravvivere. Mentre mi guardavo attorno, il mio ospite si mosse e uscì fuori dall'ombra. Finalmente avevo dinanzi a me l'artefice di tutto.Come tutti i suoi sottoposti, era vestito di nero, con mantello e cappello, e una fascia che gli copriva mezzo volto. Ero certo, però, che non fosse il suo vestiario personale.
Era uno zingaro, come me, ma della razza più viscida che non potevo tollerare. 
- Il mio fedele segugio è stato un sacrificio prezioso - disse lui, mentre si inginocchiava accanto alla carcassa del cane - Inoltre, questo era il suo ultimo compito, e mi ha dato una gran soddisfazione; mettere a dura prova il grande Clopin Trouillefou. Il mio cucciolo è stato addestrato per questo -.
- Ora basta! Si può sapere chi sei?! - tuonai, con una sensazione sgradevole che mi saliva dallo stomaco. La luce giallastra che le torce emanavano, illuminavano quella figura che pian piano si alzò e mi si avvicinò con fermezza, mentre alcuni gitani portarono via la belva morta. 
- Come, non ti ricordi di me? - mi chiese, e si tolse la benda per mostrare completamente il volto. Scrutai quei lineamenti così duri e aspri. Due occhi, chiari come il ghiaccio, erano marcati da un velo di crudeltà, mentre il mento era delineato da una barba fine che si univa ai contorni dei baffi. Ero certo di non averlo mai visto prima di allora, e quelle sensazioni si riversarono nei miei occhi confusi. Lui lo capì, e ridendo ricominciò:
- Oh, cielo! Quella botta in testa deve averti recato un gran danno, maggiore di ciò che mi aspettavo -. Aggrottai la fronte e i miei pensieri andarono a quella sera...quando tutto era incominciato. Il motivo per cui ero svenuto nel mio teatrino...e le fiamme che divamparono subito dopo. Ma soprattutto, la causa della mia perdita di memoria. Sollevai lo sguardo.
- Tu...- dissi, sconcertato dalla rivelazione. In quel momento, avevo la sfrenata voglia di ammazzarlo.
- Esatto, io! Ma sappi una cosa, non era nei miei piani, credimi - disse, in tono canzonatorio - Intendo, non volevo che le cose finissero così...io ti volevo morto -. Quella verità non mi sorprese più di tanto. In quel momento capì che tutti i miei sospetti erano fondati. Allargai un sorriso e dissi:
- Peccato che sono stati i tuoi piani ad andare in fumo...- non avevo smesso di finire la frase, che uno dei sottoposti mi diede un colpo sulla schiena. Avvertì un dolore atroce, e già sapevo che i punti della ferita si erano aperti. Ma nonostante ciò, non potei fare a meno di ridacchiare.
- Hai fegato, pagliaccio, a prenderti gioco di me - disse poi l'uomo dagli occhi di ghiaccio. Sollevai nuovamente lo sguardo, e senza timore aggiunsi:
- Se ti infastidisce tanto, allora hai l'occasione giusta per rifarti -. Non ci tenevo, certo, a morire. Ma non avevo alcuna paura di rischiare. Mi ero preparato a tale evenienza, fin dal giorno in cui mi ero allontanato dalla Corte. L'unico mio rammarico, sarebbe stato non poter rivedere Roxanne...
- Visto che sei stato così vigliacco da sacrificare il tuo animaletto domestico per intrappolarmi qui, allora accomodati pure, sarà molto facile -.
L'omone rimase esterrefatto per qualche secondo. Era ovvio che non si aspettava quella mia offerta. In realtà, era un altro dei miei tentativi per proteggere la Corte e la mia gente. Se mi avesse ucciso, non avrebbe avuto modo di scoprire il mio reame. Poteva anche torturarmi, ma non avrei ceduto. Mai!
- Quanto sei stupido, mio caro re! - esclamò il mio nemico, sfoggiando un sorriso diabolico. Tra la fila dei denti superiori, brillava un incisivo d'oro.
- Pensi davvero che abbia orchestrato tutto ciò solo per farti fuori? - fece lui, col volto a pochi centimetri dal mio - Se ora ti uccidessi, non potrei realizzare il mio sogno di gloria -. 
Era ovvio che quel maledetto voleva farmi sputare il rospo. Mi avrebbe usato per condurlo alla Corte dei Miracoli. 
- Credi di farmi paura? Potrai usare ogni metodo, ma ti avverto, non ti dirò mai dove si trova il mio regno. Anche a costo di impazzire - dissi con decisione.
- La Corte dei Miracoli? - chiese lui, mentre lo fissai con aria di sfida. Ciò lo fece sghignazzare, e si unirono anche i suoi odiosi compari. Cosa avevano da ridere?
- Ora capisco perché nel tempo libero ti esibisci come pagliaccio di strada - mi prese in giro lui. Quella situazione era così irritante. Sembrava che quel tizio mi conoscesse bene, eppure io non riuscivo a ricordarlo. Unica spiegazione, era che mi avesse spiato per tanto tempo, a mia insaputa.
- Per quanto mi accattivasse l'idea, almeno in principio, posso tranquillizzarti, Maestà - confessò - Non mi importa un accidenti del tuo reame da quattro mura. Ciò che voglio...sarai tu stesso a darmelo. Stando semplicemente legato e buono lì, come un tenero cagnetto -. 
Cosa stava tramando? Se non desiderava scoprire la Corte, allora cosa cercava di ottenere? Era tutto così assurdo. In quel momento, avvertì un verso provenire da un angolo in penombra della caverna. Sembrava un richiamo di avviso, un segnale indirizzato al capo della banda.
- Bene, bene. Finalmente...- disse lo zingaro con voce addolcita. Poi lo vidi allontanarsi verso uno spazio buio, come a volersi nascondere. Un paio di mani mi bendarono bocca e occhi. Non potei fare altro che subire, dato che le corde che mi stringevano erano troppo spesse. Un dolore acuto mi straziò l'orecchio sinistro. Qualcuno di loro mi aveva strappato via, con violenza, l'orecchino a cerchio. Le mie grida di dolore rimasero soffocate dalla benda che mi tappava la bocca.    
- Stai calmo, mio sovrano. Dobbiamo accogliere come si deve la nostra preziosa ospite. Quindi non farci fare brutte figure -.
Con quelle parole, ebbi un brutto presentimento, e sperai con tutto il cuore che non fosse come temevo...

PV Roxanne

Percorrendo una zona della foresta che non avevo mai visto, stavo seguendo delle orme di animale. Non ne avevo la conferma, ma pensai che potessero essere tracce lasciate da un cane, magari lo stesso cane che aveva braccato Clopin, quella sera. Non poteva essere una coincidenza. Pregai allora, che quella belva non lo avesse aggredito, e a passo svelto mi trovai in un vicolo cieco. Uno spazio erboso, pieno di cespugli e arbusti. Guardandomi attorno, mi assicurai che non ci fosse anima viva, a parte me. Perlustrai quel posto, che mi aveva lasciata allibita. Le orme si fermavano proprio su un punto, dove il terreno fangoso 
era secco e ricoperto di foglie gialle. A un certo punto, i miei piedi calpestarono un pezzo di terreno, troppo duro e che emetteva uno strano suono. Ticchettai con le punte delle scarpe e il suono sembrava quello del bussare a una porta di legno. Inginocchiandomi, spostai il cumulo di foglie e scoprì che c'era una botola, come una di quella del palco allestito durante la festa dei folli. Portava un anello di ferro arrugginito e sporco. Lo afferrai e tirai con tutte le mie forze, finché la botola non si aprì, facendo espandere un mucchio di polvere. Agitando una mano, i miei occhi cercarono di scrutare in mezzo all'oscurità che si presentava all'interno di quel nascondiglio sotterraneo. Se le tracce si fermavano proprio in quel punto, non c'erano dubbi. Quella botola portava di sicuro al covo dei vandali, e forse avrei anche trovato Clopin. Ma ebbi qualche esitazione. Mentre ero combattuta se fiondarmi là sotto, avvertì un fruscio alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e feci vagare gli occhi per qualche secondo, tenendo stretto il manico del grosso pugnale. Ma non accadde nulla. Nessuna figura sospetta e minacciosa uscì fuori e quindi, senza pensarci ancora, mi decisi a scendere per quella apertura. Appena mi trovai dentro mi accorsi che si trattava di un tunnel ben scavato e che si apriva abbastanza da sembrare un corridoio a grandezza d'uomo. Dovevano averci lavorato un sacco di mani e per tanto tempo, pensai. L'aria, almeno quel poco che potevo avere, era fredda e sapeva di terriccio. Con mia sorpresa notai che, nonostante il luogo sotterraneo, c'era una lieve luminosità necessaria per poter rendere visibile la via. Tuttavia, avevo un dubbio; mi chiedevo se stavo facendo la cosa giusta e se intrufolandomi lì dentro avrei trovato davvero Clopin. E se non avesse proprio scovato il trucco della botola? Forse si trovava altrove. Mentre continuavo a camminare, tenendo gli occhi  puntati dritto, i miei piedi incontrarono qualcosa. La punta della scarpa aveva scalciato contro un oggetto metallico, il cui suono prodotto si ripeté in un profondo eco. Abbassai lo sguardo e a qualche centimetro da dove ero, vidi un orecchino d'oro a cerchio. Dopo averlo recuperato lo analizzai con occhi attenti. Era l'orecchino di Clopin! Il cuore cominciò a battermi forte e per un momento mi sentì mancare l'aria. Con un sorriso dolce-amaro, realizzai che stavo proseguendo nella giusta strada e che dovevo sbrigarmi per andare a cercare il mio amato. Conservai quell'oggetto infilandolo nella scollatura, e ripresi il tragitto lungo il tunnel. A un certo punto mi trovai davanti a un bivio. Due nuove strade che si diramavano, così uguali con due destinazioni altrettanto misteriose. Quale delle due era quella giusta? Con l'ansia che cresceva di più, guardai prima l'una e poi l'altra, entrambe avvolte da una lieve oscurità. Mi mossi leggermente verso quella che portava a destra, e allora il tintinnio dei cammei sul mio scialle mi diede un'idea. Mi sciolsi il pezzo di velluto nero e rimasi un attimo a riflettere. Il solo pensiero che mi martellava mi dava una profonda amarezza, ma era l'unica soluzione. Dopo che fui pronta, finalmente presi la via di destra e avanzai con decisione, soffermandomi ad ogni dieci passi. Trovai un altro bivio subito dopo, e decisi di prendere il tunnel a sinistra. Mentre proseguivo, mi resi conto che l'oscurità stava diminuendo, e un certo chiarore si faceva largo nel tunnel, dandomi maggiore speranza di avanzare con più sicurezza. Ero ormai arrivata alla fine di quel piccolo labirinto, e una strana luce giallastra mi stava invitano a venir fuori di lì. Senza avere fretta, mi appoggiai alla parete e provai a sbirciare. Quello che vidi fu; uno spazio che dava l'idea di una tana spoglia, con alcune torce appese al muro che donavano un blando bagliore. Mentre stavo pensando che ero arrivata alla giusta meta, i miei occhi si posarono su una figura, proprio al centro del posto. Ebbi un sussulto quando capì che si trattava di Clopin. Notando che non c'era nessun altro nei paraggi, mi avvicinai silenziosa in quel punto. 
- Clopin...sono io - gli sussurrai nell'orecchio. Guardandolo da vicino, notai che era stato imbavagliato sia alla bocca che agli occhi. Appena udì la mia voce, lui si dimenò freneticamente, ostacolato dalle corde ai polsi e alle caviglie. Gli staccai il bavaglio agli occhi e dalla bocca per lasciarlo parlare.
- Vattene! Corri via! - urlò il giullare, e solo in quel momento un altro, forte bagliore mi prese alla sprovvista. Un paio di braccia mi afferrarono e mi costrinsero a mettermi in ginocchio. Cori e grida rimbombarono per tutta la caverna, mentre l'ansia e la paura si impadronirono di me. 
- Lasciateci andare! - gridai, cercando di non mostrare paura nei confronti di quei barbari. I due uomini mi tennero stretta e mi legarono con una spessa corda. Intanto, una decina di uomini, tutti diversi di aspetto, ma con il medesimo sguardo assassino, ci circondarono muniti di pugnali e coltelli. 
- Benvenuta nella nostra dimora, bellezza - disse uno di loro, che si avvicinò così tanto da avere il suo alito puzzolente sulla faccia. Cercai di dimenarmi come potevo, ma era impossibile, la corda sembrava dura come il marmo. I miei occhi allora si posarono di lato. Il mio re del piazzale aveva il volto livido di rabbia e lanciava occhiate di disprezzo ad ogni membro della banda. A un certo punto, si sentì un battere di mani. Gli schiamazzi cessarono. Un silenzio tombale ricoprì l'intero spazio e non capì cosa stesse accadendo.
- Branco di sciagurati! Non vi ho insegnato niente? - disse una voce profonda, pacato ma con una nota di rimprovero - E' questo il modo di trattare una dama? -.
Subito dopo, gli stessi uomini che mi avevano legata tagliarono la corda che mi imprigionava. Ebbi un momento di smarrimento, mentre la schiera di furfanti si mise da parte. La prima cosa che feci, appena tornai lucida, fu accovacciarmi vicino a Clopin, per accertarmi che stesse bene.
- Clopin, ti hanno fatto del male? - gli chiesi, mentre ero già intenta a controllare la ferita sulla schiena. Lui scosse la testa, e mi guardò.
- Non preoccuparti per me, cherì... - mi disse, ma notai sulla sua espressione il grande rammarico del fallimento. 
- Tranquilla, mia cara, il tuo pagliaccio sta meglio di me. Lo abbiamo trattato coi guanti - sentì ancora quella voce. Mi alzai in piedi e richiamato il mio coraggio, avanzai di qualche passo verso un punto annegato nell'oscurità. Era da quella parte che proveniva la voce misteriosa.
- Chi sei? Il capo della banda, vero? - chiesi mantenendo il sangue freddo. In quell'angolo buio, riuscì a intravedere un'ombra alta e massiccia.
- Se qui ci fosse un capo, quello sarei io - rispose l'uomo. Il suo atteggiamento mi fece innervosire e facendo qualche passo in avanti dissi:
- Allora mostrati invece di nasconderti nel buio -. A quel mio ordine, lui emise una risatina che metteva i brividi.
- Da che pulpito viene la predica! - fece poi - Proprio tu, una giullare lavora di strada che lavora in incognito, e che pretende di essere presa sul serio.
Patetico! -. 
Quella affermazione mi fece rimanere di sasso. Chi era quell'uomo? Sembrava che mi conoscesse bene. Mi girai verso Clopin e anche lui sembrava confuso.
- Comunque, dato che ci tieni così tanto, ti accontenterò, mia cara - disse, e quell'ombra si mosse, uscendo fuori allo scoperto.
Quando il capo dei criminali si mostrò, i miei occhi si spalancarono man mano che la mia mente mi riportò a quel fatidico e spaventoso incontro.
- Tu...- riuscì a dire, e feci qualche passo indietro. Gli occhi di color ghiaccio, colmi di malizia e crudeltà, mi stavano fissando intensamente.
- Roxanne, conosci questo tizio?! - mi chiese il giullare, evidentemente sorpreso. Lo guardai e capì che non poteva ricordarselo. Ma io non avevo dimenticato.
- Certo che mi conosce, vero, Roxanne? - disse con voce ammaliante lo zingaro. Lo stesso maledetto brigante che quel giorno mi aveva minacciata con la spada.
- Purtroppo sì... - tagliai corto, mentre la rabbia mi stava salendo dalle viscere. Quel giorno, mentre io e Clopin ci stavamo allontanano dal ruscello, due loschi figuri ci bloccarono la strada, e mentre il mio amato cercava di proteggermi, ero stata immobilizzata da quell'uomo grande e grosso. Grazie alla mia agilità ero riuscita a liberarmi e a stenderlo, dopo una frenetica lotta corpo a corpo. Non pensavo che lo avrei incontrato di nuovo.
- Quindi ci sei tu dietro a tutto questo? - chiesi, rimanendo fredda e distaccata - Hai diffuso il caos a Parigi, piccato incendi e devastato la vita di tanti innocenti... per cosa? Per trovare la Corte dei Miracoli? O volevi forse vendicarti di Clopin? -.
Anche se non lo conoscevo, trattandosi di un malvivente del genere, rimaneva pur sempre uno zingaro che era stato umiliato da un altro della sua razza, e non mi sarei sorpresa se quel tizio ne avesse fatto una questione di principio, arrivando addirittura a dare fuoco e fiamme un'intera città. I gitani potevano essere molto vendicativi, se gli toccavi l'onore o cose che ritenevano preziose. Lo zingaro fece una smorfia, come se non condividesse le mie parole. Si sbottonò il colletto del mantello, che lo fece svolazzare per aria senza curarsene più di tanto. 
- Beh, una parte di ciò che hai detto è vera. Ma la questione è molto più...complessa - cominciò a spiegare con calma - Ma abbiamo abbastanza tempo per raccontarvi tutto. Sono sicuro che anche il re dei pagliacci sarà lieto di ascoltare la storia. Di certo, sarà migliore delle sue favolette per poppanti -.
Uno strano suono, come quello di nocche che scricchiolano, mi arrivò alle orecchie. Clopin era in evidente stato di puro nervosismo. Era ovvio; sentirsi così umiliato senza poter controbattere era per lui un colpo basso. Intanto l'uomo davanti a noi si mise "comodo", sedendosi per terra.
- Da quel pomeriggio, dopo aver subito una dura umiliazione, ho cominciato a ponderare una vendetta. Inoltre, volevo accertarmi di una cosa che mi stava a cuore. Dato che mi trovavo nei pressi delle porte di Parigi, ho pensato allora di mettere su un gruppo di modesti compagni. Non è stato difficile, sai, mio caro re? Non tutti gli zingari della tua città ti ammirano e sono disposti a ubbidirti. Molti di loro si lamentano del tuo modo di governare -. 
Volgendo lo sguardo al mio amato, vidi i suoi occhi accendersi di una rabbia spaventosa. Non avevo mai visto Clopin in quello stato.
- Ovvio, se lo sapessi questa gente si ritroverebbe con un cappio al collo. Sono i veri parassiti che vivono al di fuori del mio regno. Solo un lurido verme come te poteva attirare questi schifosi opportunisti -. 
Lo zingaro fece l'impassibile, fingendo di non aver udito nulla, e così proseguì.
- Prima di ciò, mentre giravo per le strade di Parigi, ho avuto modo di ascoltare voci riguardo un giullare di nome Clopin, uno stravagante personaggio dal costume sgargiante che si esibisce al centro del piazzale. Con quelle poche informazioni, fui certo che si trattava di una mia "vecchia conoscenza". Ma sai, la vera sorpresa è stata quando ho saputo che lo stesso pagliaccio era anche il re degli zingari, capo della tanto chiacchierata Corte dei Miracoli. Pensa un pò! -
L'omone fece una pausa e si lisciò con le dita i baffi che si incurvavano verso la barba.  
- In quel momento mi son detto: però, non sarebbe male dare una lezione a quel buffone di strada, per aver ucciso i miei uomini più fidati. Ma al tempo stesso avrei anche eliminato il grande Clopin Trouillefou, il re degli zingari di Parigi. Avrei preso due piccioni con una fava e mi sarei costruito una bella reputazione. Inoltre, una volta fuori gioco, magari avrei preso io il tuo posto, o per lo meno avrei esercitato la mia influenza su tutti i gitani del paese -.
- Così hai cominciato a dare fuoco alle campagne, bruciato la taverna di Marcel, e alla fine hai distrutto anche il mio carretto...- disse Clopin, con tono aggressivo, come un lupo in gabbia. Anche io sentivo la collera che mi stava divorando l'anima. Tutto ciò che stavo udendo era insopportabile.
- Esatto. Ma non fraintendermi. Come ti ho accennato prima, non avevo alcuna intenzione di darti noie, come la questione della memoria. Io ti volevo semplicemente carbonizzato. Per essere precisi, i primi incendi sono stati opera dei miei uomini. Puoi capire anche tu, che sei un capo, a volte i sottoposti possono esagerare quando si annoiano -. 
Dalla cerchia di zingari, alle nostre spalle, si levò un coro di risate divertite. Al contrario, io e il mio amato eravamo disgustati da quel racconto. Quel'essere ripugnate era senza cuore, e non si rendeva conto del male che aveva seminato, delle vite innocenti che aveva coinvolto in quella assurda vendetta. Il solo pensiero che dei poveri bambini potevano rimanere uccisi in qualche incendio, come la piccola Cosette, mi fece tremare sia dalla paura che dall'ira.
- Ma non soffermiamoci in queste sciocchezze, arriviamo alla sera fatidica. Grazie alle mie spie, ero venuto a conoscenza dei tuoi piani per indagare sulla faccenda e dei tuoi gruppi di perlustrazione. Sfruttando la tua indole da zingaro giustiziere, avevo creato un diversivo per farti uscire allo scoperto. Sapevo che ti saresti esposto e così ti ho attirato al piazzale, con delle false tracce. Appena sei entrato nel teatrino, col favore delle ombre, ti ho tramortito alla testa, facendoti perdere i sensi. Avevo una gran voglia di ucciderti quando eri nuovamente cosciente, ma non c'era tempo. Così, ho dato fuoco a tutto. Ero sicuro di aver raggiunto i miei scopi...peccato che, il giorno dopo, sono venuto a sapere che ti eri salvato per miracolo -.
Quel ricordo, così angosciante, mi ritornò alla mente. Se solo non mi fossi gettata in mezzo al fumo...se non lo avessi fatto, davvero Clopin non avrebbe avuto via di scampo. Mi sentì osservata, e con la coda dell'occhio mi accorsi che Clopin mi stava osservando. Sembrava dirmi " sei stata tu, il mio miracolo" e per un breve secondo, i tratti del mio volto si addolcirono. Poi, tornano alla storia, ricollegando gli eventi, mi tornò in mente il cane.
- Anche quel cane, quindi, era uno strumento per uccidere Clopin. Quel pomeriggio, hai usato un altro diversivo per attirarlo ed eliminarlo - affermai, mettendo man mano insieme tutti i tasselli del mosaico. Lo zingaro allargò un sorriso, fece segno di applaudire soddisfatto ed esclamò:
- Brava! Hai indovinato! Ma c'è un dettaglio che dovrei precisare. Il mio cucciolo era riuscito a trovarti e ti aveva anche azzannato, vero pagliaccio? Ma poi sei riuscito a scappare e a nasconderti. Non ero preoccupato, poiché ero certo che seguendo l'odore del sangue, il segugio ti avrebbe scovato in pochi minuti. Ma con mia grande sorpresa, qualcosa era andato storto... -. I suoi occhi di ghiaccio si spostarono da Clopin a me. Quelle gemme così fredde mi fissarono e non potei fare a meno di rabbrividire. 
- Un altro miracolo o semplicemente fortunato? No...Qualcuno doveva averti aiutato...e ne ho avuto la certezza, quando il cane mi ha portato a questo - spiegò lui, e dal taschino del vestito tirò fuori un qualcosa di luccicante. Quando lo mostrò, davanti ai nostri occhi, mi pietrificai. Era uno dei miei cammei dorati. Lo stesso che quella volta, per distrarre il cagnaccio, lo strappai via dal pareo, sporcato col sangue di Clopin, e infine gettato oltre il vicolo.
- E' stato in quel preciso momento che ho realizzato un elemento importante: la zingarella con l'orecchino a mezzaluna era ancora con te. La mia preda preferita - disse l'uomo, facendo un sospiro piuttosto lascivo, che mi fece contorcere le budella. Mentre cercavo di riprendermi avvertì il mio amato farsi avanti.
- Quindi, cosa vorresti dire? Che da quel momento i tuoi piani sono cambiati? -. Lo zingaro annuì senza fare troppe cerimonie.
- Esattamente. Se in principio volevo vendicarmi di te, farti la pelle e tante altre cose, i miei piani si sono mutati. Sapevo ormai, che tu e la giullare avevate una forte amicizia, e così, per tua fortuna, da preda sei diventato un'esca infallibile - terminò lo zingaro, con una risata cavernosa. In quel momento tutto mi fu chiaro. Tutto ciò che era successo negli ultimi tempi erano collegati solo e soltanto a me. Ero così occupata a far tornare la memoria a Clopin, che non avevo neanche sospettato di una cosa simile. Ma in fondo, chi ci avrebbe mai pensato? Mon diè, tutte quelle persone, gli uomini e 
abitanti della Corte...Zacarias...tutti erano morti solo per colpa mia!...Ma perché?! Perché proprio io?...
Insieme al dolore, la rabbia stava salendo sempre di più. I miei occhi si offuscarono da un velo di mille emozioni, troppo forti da celare. 
- Cosa c'è, mia cara? Oh, ti senti forse in colpa, adesso? - cominciò a prendersi gioco di me, con una gran faccia tosta - Non guardarmi in quel modo. Niente sarebbe successo se tu mi avessi dato il colpo di grazia. La prossima volta assicurati di eliminare il tuo avversario, è un consiglio da buon amico - disse  con tono canzonatorio.
- Hai ragione, ma tu non sei mio amico! - esclamai, serrando i pugni. Lo zingaro si avvicinò allargando un sorriso, mentre rimanevo ferma, come segno di sfida.
- Oh, ma possiamo esserlo, mia cara Roxanne Roux...-. A quelle parole, mi senti trafiggere nell'animo, come se una freccia mi avesse colpita in pieno petto.
- Oh, scusami, forse dovevo dire Roxanne Carraro? -. Anche con quel' ultima frase mi sentì spiazzata.
- Roux...Carraro? - ripete alle mie spalle Clopin, con voce confusa. 
- Già. Voglio sapere la tua, re degli zingari, qual'è migliore? - chiese il furfante - Sarai daccordo con me che sia Roux. Senti come suona bene! Invece, Carraro, che razza di cognome è?! -.
- Taci! E' il cognome di mio padre, e ne vado fiera! - urlai con rabbia, non riuscendo a tollerare quell'umiliazione. Mentre la mia voce riecheggiava in ogni angolo della caverna, i miei occhi, che ardevano di una fiamma nuova, erano incollati a quelli esterrefatti del mio nemico.

Nella grotta tutto divenne calmo e tranquillo. Neanche un sospiro o un lieve fiato uscì fuori dalle bocche dei presenti. Solo il leggero danzare delle lingue di fuoco, che bruciavano sulle torce, osava farsi sentire. Il re dei giullari, ancora legato e in ginocchio, era rimasto senza parole. Ma ancora non sapeva di tutta la storia che riguardava la sua bella giullare...e lo zingaro assassino. Che legame c'era tra loro due?
Roxanne, con il petto gonfio di orgoglio, e con gli occhi vermigli che brillavano colmi di fierezza, sembrava una nobile creatura, coraggiosa e giudiziosa.
- Io sono Roxanne Carraro, figlia di Lorenzo Carraro e Yolèn Roux...- detto ciò, con una mossa fulminea, fece svolazzare la gonna, afferrò il pugnale legato alla coscia, e lo puntò verso quell'essere immondo.
- E adesso, mi dirai chi sei e come fai a conoscermi...- 

Angolo dell'autrice:
Rieccomi, finalmente! Gente, non potete neanche immaginare come sto in questo periodo O.O Tra varie cose, faccende quotidiane, cosplay da terminare in tempo ( tra poco di sarà il Lucca Comics ** uff sono così ansiosa, anche perchè porterò Roxanne <3) e quindi ho ritardato di moooolto questo capitolo. Ne sono consapevole ç_ç Comunque finalmente tutti i tasselli cominciano a incastrarsi: avete capito chi è il cattivone, ovvio XD E pensare che non era nei miei piani farlo ricomparire ( vabbè ma ormai tutto quello che succede in questa storia non era in origine nei miei piani XDD ).
Non ve lo aspettavate, vero? ^^ Beh, non rilassatevi perchè ci sono ancora parecchie cose da sapere, e spero che il prossimo capitolo vi faccia rimanere a bocca aperta XD 
Mi dispiace molto per Roxy, perchè adesso si sente così in colpa per tutta la faccenda ( scusami, cara, ti sto facendo patire le pene dell'inferno ç_ç). Ad ogni modo, fatemi pure sapere che ne pensate, perchè sono curiosa <3
Alla prossima, grazie a tutti <3
 

  
    
  
    
           


    
         

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Capitolo 18
*** Il suono dell'amore ***


                                                                                      Il suono dell'amore

- Io sono Roxanne Carraro, figlia di Lorenzo Carraro e Yolèn Roux. E adesso, mi dirai chi sei e come fai a conoscermi... -.
In quella grotta, che faceva da covo segreto della banda di criminali, era calato un silenzio surreale. Nessuno aveva il coraggio di muovere un solo passo.  Perfino lo zingaro dagli occhi di ghiaccio se ne stava immobile, limitandosi a fissare la violinista mentre lo minacciava  col pugnale. Quella mossa inattesa lo aveva sorpreso più di ogni altra cosa. Roxanne, nonostante la scomoda situazione, non dava alcun cenno di debolezza. Le sue gambe erano ben salde sul terreno e il braccio ben teso non tremolava. Nei suoi occhi, verdi con le pagliuzze dorate, c'era solo una forte fermezza. Intanto, Clopin, esterrefatto da 
quell'assurdo spettacolo, stava anch'egli aspettando delle risposte dalla medesima persona. Dopo qualche secondo, l'atmosfera cambiò di colpo, perché l'uomo sorrise, con un misto di divertimento e malizia.

PV Roxanne

- Accidenti, sei proprio uguale a tua madre...- disse quel maledetto, con il sorriso più odioso che avessi mai visto - anche lei sapeva essere caparbia -.
- Risparmia il fiato per ciò che ti ho chiesto. Allora, come fai a conoscere me e i miei genitori? - lo interrogai di nuovo, mentre mi guardavo attorno. 
Ero stata molto impulsiva: avevo avuto il fegato di affrontare il capo della banda, senza però riflettere prima sulle possibili conseguenze. Per mia fortuna, nessuno di quei tirapiedi aveva provato a gettarmisi addosso e farmela pagare. Nonostante apparissi calma, in realtà avevo i nervi a fior di pelle. Mentre tenevo gli occhi fissi e il pugnale rivolto verso di lui, lo zingaro si accarezzò i sottili baffi, neri come l'ebano.
- Sono lieto di vedere che hai ereditato addirittura il sangue freddo di Yolèn, invece della goffaggine insignificante di Lorenzo... - aggiunse poi, e quell'ultima uscita mi fece esplodere dall'ira. Aveva ancora il coraggio di prendersi gioco del mio defunto padre! Seguendo l'istinto, mi fiondai verso di lui. Ero sul punto di ferirlo sul torace, ma riusci a deviare, mi afferrò il polso con forza, e dovetti lasciar cadere il pugnale. 
- Ahi, ahi, che ragazza cattiva! - mi canzonò lui. Le sue braccia muscolose mi trattenevano saldamente, e per ciò non riuscivo a liberarmi. Era evidente che,  dopo quella volta, lo zingaro sapeva che non doveva sottovalutarmi e quindi cercò di limitarmi ogni tipo di movimento. Intanto, il resto della banda esultava con cori eccitati.
- Lasciala libera, maledetto! - urlò Clopin, che a quel punto, ritornò a dimenarsi per cercare di sciogliersi dalle corde. Ma fu tutto inutile. 
- Tranquillo, mio sovrano, non ho alcuna intenzione di farle del male - precisò lo zingaro, dietro alle mie spalle. Avvertì il suo alito caldo sul collo, e dei brividi corsero fulminei sulla mia schiena. 
- Anzi, dovrei chiederle scusa, sono stato troppo maleducato - aggiunse, e il suo tono di voce si fece meno irritante - ma, con il tuo permesso, mon cherie, devo confiscarti questo... -.
Con un cenno del capo, uno dei suoi uomini si avvicinò e recuperò il pugnale che avevo lasciato cadere. Poi, il tizio mi fissò con aria indagatrice, e il capo gli ordinò di tornare al suo posto.
- Nessuno ti toccherà, tranquilla, a meno che tu non mi dia altri problemi - riprese a parlare, mentre continuava a stringermi in quella trappola fatta di muscoli -  Spero per te che non hai altre armi, nascoste chissà dove...ma, voglio fidarmi, e non oserò controllare. Come vedi, sono un gentiluomo -.
Il mio corpo era teso e percepivo ogni singolo muscolo indolenzito, per via della costrizione e per l'ansia. 
- Quindi, se mi prometti che farai la brava, io ti racconterò tutto ciò che vorrai sapere -.
In quella situazione, capovolta a suo favore, dovevo cercare di rimanere tranquilla. Se il prezzo da pagare per farmi dire la verità, era di sottomettermi non potevo fare altro che stare al suo gioco, almeno per il momento. Perciò, annuì con la testa, e lui mi lasciò finalmente andare. Con aria soddisfatta, mi invitò a sedere, facendo un cenno col braccio. Senza dire nulla, mi accucciai proprio vicino a Clopin. Ero preoccupata per la sua ferita e gli posi una mano sulla schiena. Capendo subito al volo, mi fece un cenno per tranquillizzarmi. Avrei voluto tanto tagliare quelle corde, usando il pugnale di Zacarias, che tenevo ancora nascosto sotto il pareo. Ma ero consapevole che se solo ci avessi provato, sia io che il mio giullare, ci saremo ritrovati con le gole tagliate. Eravamo solo in due contro una decina di uomini, senza scrupoli e pericolosi. No, era meglio non rischiare, e aspettare il momento giusto. Intanto, il nostro nemico si era nuovamente messo comodo, sedendosi proprio davanti a noi. 
- Dunque, penso che la prima cosa da fare, siano le dovute presentazioni - cominciò lui, con molta calma - Io sono Armànd, Armànd Fontain -.
Tuffandomi nei meandri dei ricordi d'infanzia, qualcosa di familiare tornò a galla e quel nome non mi fu così nuovo. Lo avevo già sentito, forse da mia madre. Ma oltre a quello, nulla di più. Allora, era vero. Quel matto assassino era un conoscente dei miei genitori...
- Scommetto che Yolèn non ti ha mai parlato di me - ricominciò - beh, la cosa non dovrebbe sorprendermi, anche se mi da comunque un dispiacere -.
Non so come descriverlo, ma in quella frase sentivo un pizzico di sentimento, che poteva essere sia tristezza che ironia. Non riuscivo a comprenderlo.
- Quindi, tu e mia madre, eravate amici?...- chiesi, mentre la mia curiosità stava crescendo, anche se mi sembrava tutto così bizzarro. Lui sospirò e rispose:
- Sì, mon petit. Eravamo amici d'infanzia -. In quel preciso istante, rimasi pietrificata. Stavo per obiettare ma Armànd mi fermò in anticipò.
- Lascia che ti racconti tutto... è una lunga storia - mi spiegò, e per un attimo vidi nei suoi occhi un velo di malinconia e amarezza. 


La mia famiglia era composta da gitani di un lignaggio medio-alto, dato che alcuni nostri antenati erano imparentati con i popoli dell'India. Da quella terra bruna, dalla vegetazione rigogliosa e dai corsi d'acqua limpidi, era nata e cresciuta la prima vera razza gitana, da cui poi si sono sviluppate tante unioni con altri popoli locali. Man mano, il sangue prezioso di quel popolo primario, generatore di tutti noi, si mescolò fino a perdere la sua reale identità. Noi, i " nomadi del fascio di diamanti ", il cui simbolo era una stella a 4 punte, eravamo i pochi discendenti, se non forse gli ultimi, di quella razza così rara e ormai estinta. Per riuscire a mantenere quel poco del suo valore, molti miei parenti, come cugini e cugine, si sposarono tra di loro. Proprio come molte famiglie gitane, ci spostavamo da un paese all'altro, e alla fine ci trovammo a Marsiglia. Avevo solo 10 anni, quando incontrai Yolèn Roux. Era l'unica figlia femmina di una delle famiglie più famose e ammirate tra gli zingari. Anzi, si poteva affermare senza alcun dubbio, che i " gitani della falce lunare ", il cui colore regale era proprio il rosso, fossero i diretti discendenti dei perduti popoli dell'India, e per questo avevano anche mantenuto il loro lignaggio alto e senza macchia impura. Da subito, la mia famiglia e quella di Yolèn entrarono in buoni rapporti. Inoltre, vista la necessità, i due capofamiglia decisero di attuare un piano per noi piccoli, ancora ignari di tutto; un matrimonio combinato tra me e Yolèn. Grazie a tale evento, la mia famiglia si sarebbe riscattata tornando al suo antico splendore. Per non parlare, della grande ricchezza che avremo goduto, dato che la famiglia Roux possedeva grossi bottini accumulati nel tempo. Non era un segreto,infatti, che la famiglia di Yolèn era famosa e così ben voluta, non solo dagli altri zingari, ma perfino da altri membri della società, come gli stessi nobili. Comunque, quando seppi la notizia, ero davvero felice. Anche se ero ancora un bambino, non mi dispiaceva sapere che la mia migliore amica sarebbe divenuta la mia sposa. Yolèn e io eravamo inseparabili e passavamo tanto tempo insieme. Sembrava che fossimo fatti l'uno per l'altra. Il tempo passava, e i giorni divennero anni. Da parte mia, ormai ventenne, sentivo che i sentimenti per Yolèn erano cresciuti e maturati. Desideravo ancor di più sposarla. Era diventata così bella, con la pelle ambrata, i capelli lunghi e dai riflessi ramati, e gli occhi che sembravano due gemme preziose vermiglie con piccoli topazi scintillanti. Che ne fossi innamorato? Probabilmente. E lei era mia, mia soltanto. Eravamo stati promessi da piccoli e quindi ci saremo sposati ben presto. Eppure, c'era qualcosa in lei di diverso. La nostra amicizia era ancora solida, ma sembrava che la mia futura sposa si stesse allontanando da me. Cominciai a sospettare che non provasse i miei stessi sentimenti. Ne ebbi la conferma, quando un giorno, mentre eravamo per le vie di Marsiglia, incontrammo un giovane italiano che stava allestendo il suo teatro mobile. Si chiamava Lorenzo Carraro, veniva da Venezia, e faceva il cantastorie usando pupazzi e marionette creati dalle sue mani. Non era uno zingaro, ma un semplice ragazzo di umili origini, che amava fare l'artista di strada. Un poveraccio, insomma, senza onori ne meriti. Eppure, la mia Yolèn, perse completamente la testa per lui. Quella rivelazione mi fece scoppiare dalla gelosia; non le avrei permesso di lasciarmi e diventare la moglie di un inutile e insignificante cantastorie. Sarebbe stata mia anche a costo di usare la forza. Inoltre, le avevo dimostrato quanto tenessi a lei. Non ne andavo fiero, ma pur di averla, avevo accettato tutte le regole della sua famiglia. I Roux avevano una tradizione 
matriarcale, dove tutte le donne esercitavano il potere sull'intero clan, e una volta che una di loro convolava a nozze, automaticamente il cognome della sposa subentrava e così anche i futuri figli lo avrebbero ereditato. Avrei fatto anche questo per lei, sottomettermi a tale legge e sminuire il mio stesso potere e ruolo di marito. Ma lei non lo capiva...Pensavo, però, che le cose sarebbero andate come nei piani, perché anche i suoi genitori non approvavano quell'interesse clandestino. Ero certo che allora, la stessa Yolèn avrebbe capito che era una causa persa, e avrebbe sposato me. Qualche giorno prima del grande passo, scoprimmo che era 
scappata via con il suo amante italiano, sul suo carretto. Ero così furioso, frustrato e umiliato. L'ultima volta che vidi Yolèn, fu quella sera, che dopo averle confessato il mio amore, lei mi rispose semplicemente:
" Armand, non potrai mai essere il mio Sole, perché sei la mia preziosa, amica Stella... -.

- Tua madre era piena di virtù. Ma una cosa che non le ho mai perdonato è stato il suo tradimento - continuò Armand, dopo aver finito il racconto - Io l'amavo così tanto, e lei mi ha pugnalato alle spalle... -.
In quel momento, rimasi in silenzio nei miei pensieri. Avevo emozioni contrastanti, ma ero certa di una cosa. Potevo anche un pò capire la sofferenza di Armand. In fondo, anche un uomo come lui poteva provare sentimenti come amore e gelosia, ma questo non giustificava la sua condotta. Inoltre, a parte amarezza e odio, non percepivo affatto amore. Come poteva continuare a ripetere che amava mia madre, se nei suoi occhi leggevo un grande disprezzo? 
- Dimmi, Roxanne, a cosa stai pensando? - mi chiese all'improvviso lo zingaro, che aveva notato il mio stato di mutismo. Ero un pò incerta sulle parole, ma sapevo cosa rispondergli. Prima di aprire bocca, però, sentì Clopin ridacchiare piano. Mi voltai verso di lui, al mio fianco, e teneva la testa china, mentre le spalle si muovevano al ritmo della sua risata.
- Sei davvero uno sciocco! - esclamò il giullare, e finalmente alzò gli occhi verso Armand - Si vede che non ci sai fare con le donne. E tu vuoi davvero farci credere che amavi la madre di Roxanne con tutto il cuore?! Che avresti addirittura fatto dei " sacrifici" per lei? Non farmi ridere!-.
Rimasi stupita da quell'intervento. Cosa stava cercando di fare? Sperai che non volesse attirare l'attenzione per farsi ammazzare...
- Se la famiglia Roux fosse stata così prestigiosa come hai detto, dovevi solo sentirti onorato di farne parte, altro che " sacrificio" - riprese Clopin, gettando occhiate beffarde allo zingaro - Se l'amavi davvero, con coraggio e umiltà le avresti dato la libertà di scegliere. Il tuo era solo possesso...-.
Il re del piazzale non ebbe il tempo di finire che Armand si alzò in piedi con uno scatto. Osservandolo, aveva il viso paonazzo dalla rabbia. Ebbi un attimo di timore, perché sentivo che se Clopin avesse continuato, lo zingaro avrebbe perso la pazienza e sarebbe stata la fine. Ma dovevo ammettere che quelle ultime parole mi stupirono. Il succo morale che il re degli zingari poneva combaciava perfettamente con quello che stavo pensando poco fa. 
- La libertà è puro amore - aggiunse poi Clopin, per niente intimorito dalla reazione del suo nemico - Ah, un consiglio tra maschietti; sono le donzelle che ci scelgono, e per di più sono sempre loro a decidere dove e quando portarci a letto...fidati, io me ne intendo! -.
Spalancai gli occhi e mi portai le dita alle labbra. Clopin ma che dici?! Rimasi a fissarlo per qualche secondo e lui mi donò uno sguardo d'intesa. Era riuscito in una sola mossa a umiliare il cattivo e a lanciarmi una frecciatina maliziosa. Anche se non era il momento adatto, provai una sensazione mista di imbarazzo e divertimento. Non c'era niente da fare, solo Clopin era così folle da riuscire a creare dell' umorismo anche in situazioni spiacevoli. Quell'atmosfera così bizzarra sfumò quando Armand, ormai livido dalla rabbia, fece tuonare la voce verso i suoi tirapiedi:
- Fatelo tacere! -. In men che non si dica, uno di loro diede uno strattone sulla schiena di Clopin. Dalle sue labbra uscì un grido di dolore e si lasciò  cadere sul mio grembo. Mentre tutti gli altri ridevano all'unisono, io mi allarmai e dopo aver controllato, realizzai che la ferita sulla schiena si era riaperta. Mi strappai via il foular rosso dai capelli e lo usai per tamponare per evitare il paggio. 
- Ti avverto, pagliaccio, posso benissimo ucciderti senza ripensamenti, dato che non mi servi più! Quindi, se ci tieni a respirare per i prossimi minuti, tieni la bocca chiusa! - disse Armand, con tono minaccioso e pieno di collera - E per la cronaca, sei tu che non conosci le donne, dato che ti sei lasciato prendere per il naso così facilmente -. 
Rimasi interdetta a quell'ultima frase. Cosa stava dicendo? Dopo un po sentì il giullare muoversi leggermente per poi alzare la testa. Era incredibile che nonostante il dolore riuscisse ancora ad essere lucido. Armand fece un cenno con la mano come se stesse attirando a sé una presenza invisibile. In un angolo della grotta, immersa nell'ombra, uscì fuori una giovane donna. Riconobbi quella chioma bionda e il seno prosperoso. 
- Odette! - dissi ad alta voce, con tono incredulo. Quella fanciulla dal corpo sinuoso mi ricambiò con occhi beffardi e un sorriso divertito. Appena si trovò accanto ad Armand, lui le fece un baciamano.
- Ti do anche io un consiglio, mio re: mai fidarti di una bella donna che al primo incontro mostra subito interesse nei tuoi riguardi - disse lo zingaro. Clopin era rimasto senza parole, e mentre lo aiutavo a rimettersi seduto, riuscì a pronunciare solo una domanda.
- Perché?... -. Odette alzò le spalle, con quella sua falsa aria da innocente, per poi rispondere:
- Niente di personale, caro. Solo una questione di guadagno...-.
La cosa non mi sorprese, dato che esistevano tante ragazze che pur di avere qualche soldo in più, erano disposte a tutto. 
- Mi era stato detto che dovevo solo avvicinarti. La tua fama da donnaiolo mi ha aiutata molto e quindi la cosa mi è stata molto facile. Spero solo che non ci sei rimasto troppo male.Ma gli affari sono affari - spiegò lei, facendo finta di essere dispiaciuta - Tutto questo per accertarmi chi fosse la tua amichetta giullare -.
A quel punto, Odette spostò lo sguardo su di me, con aria superba e piena di sé. Quella verità mi fece rimanere di sasso. Anche quella messinscena era stata creata solo per me. Quella storia mi sembrò così assurda, e avevo la testa ancora colma di enigmi.
- Io davvero non capisco... - intervenni - Perché tutti questi piani, macchinazioni...solo per trovare me? Hai fatto tutto questo solo per poter conoscere la figlia della donna che ti ha spezzato il cuore? -.
Armand si avvicinò e si inginocchiò davanti a me, ignorando completamente la presenza del re degli zingari. Non sapevo che tipo di risposta aspettarmi, ma ero pronta a tutto.
- Forse sì, forse no - disse, e aggrottai la fronte - Ammetto che ero molto curioso. Non ho mai saputo che esistessi. Quando tua madre scappò, i tuoi nonni materni mi diedero la possibilità di andarla a cercare per riportarla indietro. Ma non ci sono mai riuscito, dato che lei e Lorenzo si spostavano tempestivamente da una città all'altra. E dopo tanto tempo, venni a sapere che una certa Yolèn Carraro era deceduta. Avevo fallito il compito, e fui escluso e allontanato dalla famiglia Roux. Fu allora che sono diventato un fuorilegge, un pò per diletto e un po per necessità. Ma quando ti ho vista la prima volta, in quel boschetto, sentivo che c'era qualcosa di familiare in te. Anche per via di quello -. 
Armand mi stava indicano l'orecchino con la mezzaluna che portavo all'orecchio destro. 
- Il simbolo della famiglia Roux. Non potevo crederci. Mi chiedevo chi fossi, dato che Yolèn era morta e l'intero clan della sua famiglia si era estinto. Dovevo assolutamente conoscere la tua identità. La giullare dalla mascherina in merletto che portava il simbolo dei gitani della falce lunare-. 
Lo zingaro mi guardò con occhi penetranti per poi aggiungere:
- Non potevi che essere sua figlia. L'ultima discendente dei Roux. L'unica gitana in possesso del magnifico tesoro...-. 
In quel momento la mia mente stava per esplodere dallo stupore e dalla confusione. L'ultima discendente...il tesoro? 
- A proposito, Armand, dov'è la mia parte? Avevamo un patto, ricordi? - intervenne Odette, visibilmente seccata, come se avesse fretta di andarsene.
- Vero, capo, anche a noi spetta una parte del tesoro! - si aggiunsero anche i suoi sottoposti. Io intanto ero ancora confusa e non riuscivo a capirci niente.
- Abbiate pazienza, ormai il nostro bottino è a portata di mano -  li rassicurò Armand, mentre continuava a fissarmi. Era come se stesse aspettando una mia reazione, una risposta o chissà cosa. 
- Coraggio, Roxanne, tu sai cosa vogliamo - disse, con voce profonda lo zingaro, facendo finta di essere gentile.
- Non so di cosa tu stia parlando. Quale tesoro? - chiesi, mentre Clopin stava assistendo alla scena, altrettanto confuso e sorpreso. 
- Lo sai benissimo! - alzò la voce Odette - te li ho visti addosso quello stesso giorno. Sono sicura che li tiene nascosti, proprio sotto il mantello -.
Non ebbi il tempo di obiettare che fui trascinata via. Alcuni zingari della banda, i più aggressivi, mi afferrarono e mi strapparono il mantello di dosso.
- Che volete farle!? Fermatevi! - sentì gridare il mio giullare, che purtroppo non poteva fare altro che stare a guardare. Provai a dimenarmi, ma erano in troppi. Ad un tratto avvertì una voce rabbiosa che fece tremare le pareti della grotta.
- Guai a voi se la toccherete di nuovo! Stupidi sciacalli, vi ucciderò tutti se oserete disubbidirmi! -. Per lo spavento, gli uomini si allontanarono e sparirono, come se temessero per la loro stessa vita. Mentre Armand mi raggiunse, i miei occhi cercarono quelli di Clopin: mi stava fissando, e potevo leggere la sua frustrazione nel non potermi aiutare. Intanto, lo zingaro mi studiò per bene, come se stesse controllando qualcosa.
- Li hai con te, non è vero? - mi chiese, mentre mi mostrò nuovamente il cammeo dorato che una volta era cucito sul mio pareo.
- I cammei? Non li ho con me, te lo assicuro - dissi, cercando di non tradirmi con la voce. Erano quei pezzi d'oro che stava cercando?
- Non farmi perdere la pazienza, Roux - mi avvisò Armand, e sentì il suo tono indurirsi di più. Ma dato che negai di nuovo, l'uomo mi afferrò il pareo che portavo ai fianchi, e lo strappò via lacerandolo. Emisi un grido di sorpresa e perdendo l'equilibrio caddi a terra. Con quel pezzo di stoffa strappato, anche il pugnale di Zacarias uscì fuori allo scoperto. Armand gettò via quel che rimaneva del mio pareo in velluto, e mi fissò con occhi crudeli.
- A quanto pare non mentivi... Ma mi tenevi comunque nascosto questo - mi canzonò, e prese il grosso pugnale dal manico lucente. Meno male che non avevo niente di rotto, ma sentivo le gambe e il fianco indolenziti e feci fatica a rialzarmi. 
- Roxanne, stai bene?! - mi chiese Clopin, che stava ancora lottando contro le corde. Lo guardai e lo rassicurai con un mezzo sorriso.
- Credevo di essere folle, ma tu lo sei decisamente di più! - esclamò il giullare, rivolgendosi ad Armand - arrivare a tal punto solo per un pugno di monili luccicanti? Sei un pazzo! Non sei un criminale, sei semplicemente matto da legare! -
Armand fece una smorfia contrariata e mentre contemplava la lucentezza del cammeo rispose:
- Sei tu che non capisci niente, pagliaccio. Non puoi sapere quale favolosa fortuna si cela in questi medaglioni, così colmi di mistero. Quando l'ho trovato, quella sera, ho scoperto il mio nuovo obiettivo. Nonché il vero motivo per il quale scoprire l'identità della tua giullare  -.   
Lo zingaro stava ammirando ammaliato il cammeo, come se ne fosse ipnotizzato, poi si rivolse a me:
- Non fare l'ingenua con me, Roxanne. Lo sai meglio di chiunque altro che questi cammei, fatti in puro oro zecchino, nascondono un segreto -.
Poi si girò nuovamente verso Clopin per spiegare anche a lui la questione.
- Ognuno di questi dieci pezzi porta raffigurata una vetrata colorata, tutte diverse, l'una dall'altra -. 
Ripensandoci, tra le varie cose che possedevo, come la mascherina e l'orecchino, quei cammei li avevo ereditati da mia madre. Ma fino a quel momento, non sapevo cosa significassero quei dipinti colorati. L'unica cosa che sapevo era che si trattavano di un regalo di nozze, realizzati da mio padre. Niente di più.
- Un cammeo per una vetrata. Una vetrata per una città di Francia. Dieci città sparse nel territorio, dove i gitani della falce lunare si accampavano per i loro spettacoli - riprese Armand - Perché la famiglia Roux era così ricca, pur apparendo umile? Perché i membri si esibivano alle corti dei nobili. La loro fama era così grande che venivano accettati ovunque, a differenza di noi poveri emarginati. Guadagnavano così tanto, che una parte del denaro lo nascondevano nei pressi di una chiesa. In questo modo, il clan poteva prosperare ed essere sicuro di avere qualche bottino di riserva. Chi possiede questi cammei, potrà trovare il favoloso tesoro della famiglia Roux, e diventare ricco, famoso e potente, al pari del re di Francia -. 
Ascoltai con attenzione tutto, e fu come se in realtà, non avessi mai conosciuto per bene i miei genitori, le mie origini, e tutto ciò che faceva parte di me. Ma mi chiedevo se tutto ciò fosse vero, o solo una bugia ignobile inventata da quel pazzo. Non sapevo cosa pensare, ma una cosa sicura, era che a quel punto non potevo dirgli dov'erano i cammei. Non doveva averli. Ma, forse avrei potuto giocare la mia ultima carta, anche se voleva dire rischiare grosso. 
- Allora, sai già tutto...speravo di tenere ancora nascosto tale segreto - cominciai a dire, cercando di mantenere un'aria sconfitta.  
Armand si voltò verso di me, e sembrava esserci cascato.
- Ah, ora si che ragioni, Roux! - esclamò Armand, sorridendomi compiaciuto. Clopin era rimasto sbigottito e cercò il mio sguardo, come se volesse una conferma di quel mio comportamento. Intanto, Odette tirò un lungo sospiro esasperato, poi si rivolse al suo compare:
- Finalmente, ci voleva così tanto?! Allora, dove sono i cammei? -. Se non fosse stato per quel momento molto delicato, avrei preso a schiaffi quella vipera.  
- Non li ho con me, li ho dovuti nascondere in un posto sicuro - spiegai, mentre recuperavo la chiave in ottone - Sono nel mio teatrino, chiuso a chiave -.
Lo zingaro rimase un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo per quel mio atteggiamento di resa. Tratteni il respiro, e pregai che non si fosse accorto di nulla. Mentre mi fissava, cercai di far rilassare i muscoli, e di non dare l'impressione che fossi nervosa. Poi mi si avvicinò, scrutandomi negli occhi.
- Chi mi dice che mi stai dicendo la verità? - fece lui, con una nota di sospetto. Il suo sguardo glaciale non mi spaventò, e invece di tremare, lo affrontai a testa alta.
- Se non mi credi, puoi controllare tu stesso. Potrai anche denudarmi, ma non troverai niente - dissi, con voce decisa - Inoltre, sarò io stessa a portarti nella foresta, fino al mio carretto, così sarai sicuro -. 
Dopo qualche secondo di indecisione, lo zingaro annuì e sembrava molto soddisfatto. 
- Roxanne, non fare idiozie! - gridò Clopin, attirando la nostra attenzione - Non devi farlo! Non è giusto! -. 
Con rassegnazione, scossi la testa e fingendo di essere amareggiata risposi:
- Non ho altra scelta, Clopin. Ormai hanno il coltello dalla parte del manico, e se questo servirà a porre fine  a tutto, così sia -.
Il mio giullare rimase a bocca aperta, incredulo a quella mia resa improvvisa. Probabilmente, si aspettava che avrei lottato con le unghie e coi denti, che non mi sarei mai sottomessa al volere di quel vigliacco assassino. Ma una cosa che il mio re del piazzale non sapeva, era che esistevano vari tipi di coraggio. E quello che stavo sperimentando, era di certo il più grande e difficile che avessi scelto. Perché sapevo cosa sarebbe accaduto quando Armand avrebbe scoperto l'inganno. In quel momento, Odette non ce la fece più ad aspettare, e così alzò i tacchi e si stava dirigendo verso l'uscita della grotta.
- Armand, non perdere altro tempo e sbrigati a raggiungermi! Non ne posso più di stare in questo terribile posto! - disse, e prima di sparire mi lanciò un'occhiata di sufficienza. Invece, Armand si accinse a recuperare il mantello che aveva lasciato cadere, ed era già pronto per la partenza.
- Allora possiamo andare, mia cara, non abbiamo a disposizione tutto il giorno - disse, e mi porse la mano, fingendo di essere gentile.
- Aspetta un attimo! - dissi, facendo un passo indietro - dato che ti sto cedendo il mio tesoro di famiglia, voglio che tu faccia una cosa per me -.
Lo zingaro spalancò gli occhi dalla sorpresa, ma poi rise divertito. Scosse leggermente la testa e rispose:
- Ora capisco, mi sembrava strano che ti fossi arresa così presto. E di cosa si tratta? -.
Girai il volto verso il giullare, e non ebbi dubbi in proposito. Era la ragione per cui avevo indossato la maschera della rassegnazione. Da quando avevo riavuto il mio Clopin, mi ero promessa che avrei abbandonato le maschere, che grazie a lui e per tutto quello che aveva fatto per me, avrei mostrato la me stessa all'intero mondo. Che non avrei più avuto timore di mostrami per ciò che ero. Ebbene, quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei usato la maschera,
solo e soltanto per salvare lui. Con fermezza, esposi la mia condizione ad Armand.
- Verrò con te e ti darò i miei cammei, ma tu devi lasciare libero Clopin -. 
Armand sbatté le palpebre per varie volte, e si strofinò il mento, con aria sorpresa. Probabilmente si era aspettato qualcosa come una spartizione del tesoro.
- Solo questo? Allora è vero che hai un debole per questo pagliaccio di strada - disse lui, spostando il suo sguardo da me a Clopin.
- Solo questo, non ti chiedo altro - risposi, sperando che Armand avrebbe accettato lo scambio. Ma lui mi sembrava ancora indeciso.
- Non so. Non vorrei che dopo averlo liberato, sua Maestà non venga a cercarci. Sarebbe un vero fastidio - spiegò lui. 
- Ti assicuro che non accadrà, se glielo chiederò io. Inoltre, sbaglio, o hai una decina di uomini a guardarti le spalle? Non dovresti comunque preoccuparti -.
Quella mia osservazione fece convincere del tutto l'uomo. Dopo aver preso un coltello, si avvicinò a Clopin e tagliò le corde strette ai polsi.
- Va bene. Ma per sicurezza gli lascerò legate le caviglie. Senza una lama è molto difficile, ci vuole troppo tempo per sciogliere questi nodi -
disse lo zingaro - Ti saluto, mio sovrano, chissà magari ci incontreremo di nuovo, ma temo che sarai tu a doverti inchinare al mio cospetto, quel giorno. Dato che sarò lo zingaro più ricco e famoso dell'intera Francia -.
Armand scoppiò in una risata fragorosa, ed era impaziente di uscire dalla grotta. Ormai, il mio destino era segnato, ma non avevo rimpianti.
- Prima di andare, ti prego, lasciami cinque minuti per dirgli addio - aggiunsi, mentre i miei occhi si riempirono di un dolore sincero. Lo zingaro sbuffò, un pò seccato, ma alla fine mi diede quella possibilità.
- Fai presto, e guai se farai mosse false. Ti terrò d'occhio, Roux - mi avvisò, con modo aggressivo. Feci un cenno col capo per dirgli che avevo capito, e infine mi avvicinai e mi inginocchiai davanti al mio giullare. Nei suoi occhi color carbone, c'era ancora una grande incredulità che mi rattristò.
- Sei incredibilmente ostinata! Lo so perché lo stai facendo. Beh, sappi che preferisco mille volte morire che vederti andare via con quell'essere ripugnante - disse Clopin, ma quella frase di rimprovero, tipica quando era arrabbiato con me, si trasformò in una dolce supplica. Con le mani libere, mi abbracciò forte, come non aveva mai fatto prima.
- Ti prego, cherì, non farlo...anche se così mi salveresti la vita, morirei lo stesso...senza di te -. 
Quelle parole colme di passione, erano più forti ed eterne di una meravigliosa dichiarazione d'amore. Ricambiai con la stessa dolcezza quell'abbraccio, e sapendo che poteva essere l'ultimo, lo assaporai con tutta me stessa. Camminare verso un destino incerto e oscuro, non mi faceva così paura, se avrei portato con me quei dolci momenti. Anche se sarei andata incontro alla morte, non avrei avuto ripensamenti. Per me, contava solo lui e la sua salvezza.
- Non possiamo tornare indietro - cominciai - In fondo, è quello che ho sempre cercato di fare. Ma non è possibile, questa volta -.
Dopo essermi staccata da lui, con malavoglia, i nostri sguardi si incatenarono. Anche se non aveva il suo costume variopinto, per me rimaneva sempre il mio re del piazzale di Notre Dame. Con voce amara, che decifrava una debolezza disarmante, Clopin mi strinse le mani alle sue.
- Come posso lasciarti andare, proprio adesso che ti ho finalmente ritrovata...-. 
- Forse era destino che dovevamo separarci prima o poi - dissi a bassa voce. Desideravo che solo lui ascoltasse quelle parole.
- Non so se è stato il fato o Dio a farci incontrare. So solo che, grazie a te, sono diventata una persona più coraggiosa -.
Una triste tenerezza illuminò gli occhi scuri del giullare, ed ebbi l'impressione che si stessero colmando di lacrime. 
- Per me, sei stato la cosa più bella che mi potesse capitare - aggiunsi, sussurrando a pochi centimetri dal suo viso - temo però, di essere stata la causa di troppi spiacevoli cambiamenti. Magari, sarebbe stato meglio se fossi scomparsa definitivamente quel giorno, alla Festa dei Folli -. 
- Roux, datti una mossa! - tuonò all'improvviso Armand, che stava perdendo la pazienza. Il mio tempo era scaduto. I miei occhi si inumidirono, ma cercai di non far scendere alcuna lacrima. Dovevo essere forte, per lui. Avevo spesso pianto tra le sue braccia, in passato, ma non sarebbe più accaduto. Non in quel momento. Prima di separarci del tutto, c'era un' ultima cosa che lui doveva sapere. Qualcosa che sarebbe stato solo suo e per sempre. Lo baciai sulle labbra con dolcezza.
- Je t'aime - confessai, e dopo essermi avvicinata al suo orecchio gli diedi definitivamente il mio addio.
- E' stato un piacere conoscerti...re dei giullari...-. 

PV Clopin

Quel dolce sussurro mi risuonò nell'orecchio come la più soave delle melodie. La mia mente, debolmente offuscata, registrò quella frase insolita e qualcosa dentro il mio cervello si stava dimenando. Era come se un ennesimo deja vu mi avesse colpito, ma questa volta come un dolce battito d'ali. Roxanne fece allontanare il viso dal mio, e potei ammirare nei suoi occhi le pagliuzze dorate, lucenti come monete d'oro. Il contorno di quelle gemme, con le ciglia voluminose, era marcato dalle fessure di una mascherina in merletto bianco. La giullare, nel suo vestito rosso e nero, mi sorrideva in modo spontaneo.
Poi sì alzò, girò i tacchi e si avviò nel bel mezzo della piazza, gremita di persone che festeggiavano. E solo lì realizzai, che quella Regina dei piazzale che mi aveva conquistato, stava nuovamente per uscire dalla mia vita...e questa volta per sempre...
Avvertì una strana sensazione. La mia volontà, scossa da quel ricordo che era appena sorto dalle ceneri, mi fece vibrare i muscoli. I nervi e i tendini delle caviglie lottarono con uno sforzo sovrumano. Il dolore che le corde mi procuravano, non era nulla in confronto a ciò che mi stava martellando nel petto. Era qualcosa di più forte, travolgente e indistruttibile di una corda ben salda. La figura della giullare si stava allontanando sempre di più, e presto sarebbe svanita nelle tenebre, insieme al mio nemico. Allora, richiamai tutte le forze che mi erano rimaste, a costo di segarmi la pelle e le ossa. 
" Roxanne..." la richiamai nella testa, perché lo sforzo mi aveva soffocato la voce. Ma all'improvviso, la corda cedette, le mie caviglie si divisero in uno strappo violento. Come se il mio corpo si stesse muovendo da solo, respirai a fondo e mi diedi la spinta necessaria per saltare in piedi. Ebbi giusto il tempo di vedere la mia giullare scomparire nell'ombra dell'uscita della grotta.
- Roxanne, aspettaaaa! -.

Angolo dell'autrice:

Ok, respiro profondo... questo capitolo è stato un vero parto. Tra tutti quelli scritti, questo è stato decisamente il più difficile. C'erano molte cose da spiegare, ma in maniera molto sintetica, senza usare troppi paroloni o troppi elementi che rendessero tutto troppo pesante. Comunque che ne pensate? Alla fine i cammei, che li avevamo sotto gli occhi per tutto il tempo, si sono rivelati un elemento molto importante. E non tanto per la questione del tesoro della famiglia, ma proprio come pezzo mancante della vita di Roxanne. Potrei dire che su questo potrei costruirci una storia a parte, per descrivere meglio le origini di questi cammei. Ma chissà, vedremo. La parte in cui Roxanne confessa il suo amore a Clopin ( in maniera diretta) l'ho scritta ispirandomi alla scena del film " Edward mani di forbice"  quando Kim dice - Ti amo - al protagonista ( adoro quel film **). E niente, nel prossimo capitolo avremo altri colpi di scena che chiuderanno questa parte, e vedremo che fine farà il cattivone ^^ Per ultimo, state tranquilli che non sarà l'ultimissimo capitolo XD
Alla prossima <3   

 

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Capitolo 19
*** Pezzo della mia anima ***


                                                                                                Pezzo della mia anima

- Roxanne, aspettaaaa! -.
Il feroce grido del re degli zingari rimbombò tra le pareti spoglie della grotta, e per un momento sembrò che perfino le pietre tremassero a quel richiamo. Clopin non aveva mai sospettato di potersi trovare in una situazione del genere. Eppure, nella sua vita da emarginato, ne aveva passate tante e aveva superato molti ostacoli grazie al suo sangue freddo. La sua forza era sempre sfociata dall'istinto selvaggio e sanguinario da gitano della Corte. Ma in quel preciso istante, quella sua tenacia, quasi animalesca, era esplosa per via di un qualcosa di ben più grande, capace di spezzare le catene di ogni male. Riconquistando quell'ultimo ricordo, il giullare del piazzale aveva scoperto la vera forma del sentimento che lo legava a Roxanne. Dopo essersi rimesso in piedi con uno dei suoi mirabolanti salti acrobatici, si fiondò verso quell'uscita oscura. Lo zingaro non ebbe modo di fare un passo in più, che il gruppo di vandali, rimasti nascosti fino a quel momento, gli si trovò addosso per fermarlo.

PV Clopin

- Prendetelo! - gridarono in coro alcuni zingari. I cani da guardia di Armand, sporchi vigliacchi, erano rimasti nascosti tra le ombre del luogo per tutto il tempo. Come ratti affamati, pronti ad attaccare la preda, stavano per aggredirmi per farmi la pelle. Facile per loro, dieci contro uno. Ma lo svantaggio di numero non mi spaventò, anzi, mi diede lo stimolo necessario per scatenarmi e dare inizio a una battaglia senza precedenti.  Il primo del gruppo ricevette un mio sonoro calcio in faccia, e cadde intontito per terra. Altri due, che cercarono di bloccarmi in due lati, si scontrarono tra di loro, perché li avevo evitati con una capriola aerea sul posto. Nonostante fossero armati e agguerriti, erano troppo lenti e per niente agili, rispetto a me.
Ora chi è il pagliaccio di turno? pensai, soddisfatto di me stesso. Dovetti poi vedermela con altri tre, che dopo avermi accerchiato, erano pronti a farmi a striscioline con i loro coltelli. Ma anche in quella situazione riuscì a cavarmela. Sicuri di tenermi in trappola, mi attaccarono al'unisono. Allora feci una verticale e con un' elasticità pazzesca degli arti, girai su me stesso divaricando le gambe. La descrizione giusta era che sembravo una trottola impazzita. I tre furono colpiti varie volte in faccia e in pochi secondi caddero al suolo come mele marce. Essere un buffone di strada ti da più vantaggi di quello che immagini. Dopo ciò, ero ormai stufo di quella lotta e desideravo solo raggiungere Roxanne. Ma proprio quando mi ricomposi atterrando sul terreno, fui letteralmente bloccato dall'ammasso del resto del gruppo nemico. Evidentemente avevano finalmente realizzato che non dovevano sottovalutarmi, e quella era l'unica soluzione per sconfiggermi. Il mio corpo esile avvertiva dolori ovunque e il respiro diventava sempre più debole. Maledizione! 
- Tenetelo fermo, ragazzi! Adesso gliela faremo pagare cara - disse qualcuno, mentre gli altri mi bloccavano per terra.
Il freddo della pietra mi indolenziva il volto, e non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Dimenarmi era del tutto inutile. In quel momento disperato mi venne in aiuto un solo pensiero: la mia giullare. Se mi fossi arreso, senza provare a fare uno sforzo in più, sarebbe stata la fine. Credevo che perdere i ricordi, il mio adorato carretto, e il mio orgoglio di unico re delle feste, fosse stata una pura tragedia, qualcosa di insopportabile. Ma mi resi conto che niente di tutto ciò equivaleva a quello che avrei perso di lì a poco. E non si trattava della mia vita. Ero nato per rischiare la pelle, in ogni attimo. Ciò che non 
potevo perdere era Roxanne. Non si trattava di semplice egoismo, desideravo solo riaverla sana e salva. Poterla ammirare di nuovo nelle sue esibizioni ed elogiare il suo talento invidiabile. Desideravo poter udire ancora una volta il suono vibrato del suo violino. Osservare il sorriso colmo di gioia sul suo candido volto.  Non potevo lasciarla nelle grinfie di Armand. Proprio lei, che per tutto quel tempo aveva cercato di proteggermi, anche a costo della sua vita. Se mi fossi lasciato andare, il suo sacrificio sarebbe risultato vano.
" Roxanne, mia Roxanne..." mi martellarono quelle parole nella testa e nel cuore. Non so come spiegarlo, ma una forza sovrumana mi scorse lungo i muscoli delle braccia, e senza rendermene conto stavo riuscendo a farmi spazio sotto quel peso umano. La mia mano, magra e affusolata, riuscì a muoversi e a sfilare un piccolo pugnale nascosto tra le pieghe della casacca di uno dei vandali. Ciò che avvenne dopo fu troppo impressionante, almeno per chi è sensibile di natura.
Squarciai la pancia del primo zingaro che mi intrappolava. Con ferocia pugnalai il petto ad altri due malcapitati e creparono in poco tempo. Il seguente disgraziato non ebbe neanche il tempo di fare la sua mossa. Era in evidente stato di shock, e per pena gli sferrai un semplice pugno in pieno volto, rompendogli il naso. Mentre quest'ultimo cadde in ginocchio sanguinante, lanciai uno sguardo inferocito all'ultimo rimasto. Ero così fuori di me che la mia parte razionale non mi poneva alcun dubbio; se tutto ciò fosse per pura vendetta o per altro. Quei bastardi avevano recato troppo male alla mia gente, a Parigi...e a Roxanne.
Sì, forse era per lei che combattevo e distruggevo tutto ciò che minacciava la nostra felicità. Lo zingaro rimase indeciso sul da farsi e mi guardava con aria sbalordita. Infine riuscì a smuoversi e pronunciò le seguenti parole:
- Tu...cosa diavolo sei? -. 
Senza farmelo ripetere, lo accontentai subito, mentre mi pulivo via il sangue dalla faccia con la mano.
- Dovresti saperlo...Sono Clopin Trouillefou. il re degli zingari - dissi, con una nota d'orgoglio. Il mio avversario si irrigidì, e riprendendo coraggio alzò per aria il grosso coltello affilato e corse verso di me. Per via della stazza possente, mi difesi e mi parai come potei. Il peso dello zingaro mi fece cadere all' indietro e mi ritrovai quel gigante addosso. Atterrando con la schiena mi feci sfuggire un gemito di dolore: la ferita stava peggiorando e sentivo che ormai stavo perdendo molto sangue. L'uomo, sentendosi già vittorioso, ghignò ed era sul punto di uccidermi. Per l'ennesima volta, la forza di volontà mi aiutò e con uno sforzo sovrumano spinsi con le gambe sul torace dello zingaro, facendolo volare sopra di me. Come una volpe mi rimisi all'erta, e bloccai il nemico che era rimasto a terra, con la faccia rivolta sul terreno. Il mio lato oscuro prese il sopravvento, e dopo averlo tirato per i capelli, misi la lama sotto al suo mento, sulla gola.
- Grazie per la bella azzuffata, è stato divertente...- gli sussurrai ironico e potei vedere nei suoi occhi il terrore di chi già sapeva come sarebbe finita.
Senza indugi, mossi il pugnale in orizzontale, premendo con decisione. Un grido e uno zampillo di sangue, infine il silenzio assoluto. Intorno a me vi erano le carcasse del gruppo nemico, tutti morti o feriti, chi più, chi meno. 
- Clopin! - sentì gridare il mio nome, e subito alzai lo sguardo in direzione dell'uscita immersa nelle tenebre.
Avevo riconosciuto la voce e corsi verso quel punto. 
- Fermo dove sei! - fece una seconda voce e capì che si trattava di Armand. Dall'ombra sbucò fuori lo zingaro dagli occhi di ghiaccio e teneva stretta a se Roxanne. Ciò che mi fece vibrare dalla collera fu il grosso pugnale, che una volta apparteneva a Zacarias, all'altezza del collo della giullare. 
- Pessima mossa, mio sovrano! - ricominciò lui - Sono stato fin troppo generoso con te, accettando il patto con la tua adorata zingarella. E cosa ne ricavo? La carneficina dei miei uomini -.
Aveva legato i polsi di Roxanne dietro la schiena in modo che non potesse reagire e liberarsi. Conosceva bene le sue qualità nel combattimento, e quelle erano le giuste precauzioni.
- E' proprio vero che non ci si può fidare di nessuno, perfino della propria razza - continuò a blaterare - ma questa volta basta coi compromessi. Basta patti e condizioni. Si farà a modo mio! -.
Rimanere lì, immobile e impotente, osservando quello spettacolo indegno mi fece digrignare i denti. Non potevo tollerarlo.
- Lasciala libera, maledetto bastardo! Se vuoi sfogarti, prenditela con me! - gridai verso di lui, e feci qualche passo avanti.
- Non avvicinarti di più, o altrimenti...! - rispose Armand, ed ebbi un attimo di pura paura. La lama del pugnale era premuta su quella pelle candida e sembrava che lo zingaro avesse tutta l'intenzione di fare sul serio. Il cuore mi si fermò di colpo mentre vedevo il terrore negli occhi vermigli di lei.
- Non...non oserai...- dissi, barcollando con le parole ed Armand allungò un sorriso malefico. Nei suoi occhi non c'era neanche un briciolo di pietà.
- Chissà, tutto dipende da te, mio re - rispose e intanto cominciò a muoversi verso l'uscita della grotta, trascinandosi con se la mia amata.
- Non fare quella faccia spaventata, Mi fai quasi tenerezza - mi prese in giro - In fondo, non è la prima volta che vedi questa scena...ma giustamente non puoi ricordarla. Non importa, tanto il finale sarà diverso, questa volta. Basta che tu non ci segua e ci risparmi altri grattacapi -. 
Cosa potevo fare? Ero praticamente con le mani legate. Non potevo rischiare di fare un altro piccolo passo, altrimenti me ne sarei pentito amaramente. Non potevo neanche contare su qualcuno, perché tutti i miei uomini erano stati uccisi. Ero solo e incapace di fare qualsiasi cosa. Ma dovevo tentare.
- Ascolta, se mi lascerai venire con voi per accompagnarvi al carretto, ti prometto sul mio onore che mi sottometterò al tuo volere - cominciai, cercando di sembrare il più sincero possibile - Ma Roxanne, lasciala libera. Non c'è tutta questa necessità di portarla via con te, ormai i cammei sono tuoi e potrai benissimo trovare le ricchezze da solo -. 
Le mie speranze di poter salvare Roxanne furono spazzate via nell'esatto momento in cui Armand scosse il capo con decisione.
- Non ci penso nemmeno! - esclamò e tenne ancora più stretta la giullare, come se quella mia offerta minacciasse di portargliela via. Era stato tutto inutile e mi sentì frustrato, pieno di collera e di amarezza. - Vedrai, mi prenderò cura io della "nostra" Roxanne. Viaggeremo per tutta la Francia e vivremo mille avventure. Romantico, non credi? - Quella spudorata sceneggiata mi stava facendo ribollire il sangue nelle vene. Ma non volevo mollare ed ero sul punto di obbiettare.
- Clopin, lascia perdere! - disse Roxanne, suscitando l'attenzione mia e di Armand. Ci osservammo per un breve secondo negli occhi, poi lei aggiunse:
- Va bene così...davvero -. Quelle semplici parole mi lacerarono il petto, come una lama affilata che ti colpisce e ti toglie il respiro.
- Hai sentito, Vostra Maestà? E' la dama che sceglie! -  disse trionfante quello schifoso verme. 
Infine accadde qualcosa che mi fece impazzire.
  Armand prese Roxanne per i capelli e la tirò per farle piegare la testa all'indietro. Non curandosi dei suoi gemiti di dolore, lo zingaro mise in bella mostra il collo immacolato e lo sfiorò con il suo alito. Gli occhi di ghiaccio si accesero di una strana luce, ambigua e per niente rassicurante, mentre vagarono sulla pelle di Roxanne.
                                        
                                                             " His eyes upon your face
                                                               his hand upon your hand
                                                              his lips caress your skin
                                                             It's more than i can stand" *

- Sono sicuro che io e lei ci divertiremo come matti. In fondo, non posso lamentarmi...è la copia esatta di sua madre... - disse lui, con voce quasi sussurrata che mi fece venire i brividi. Un senso di voltastomaco mi scosse le viscere, e la rabbia, il disgusto, tutto ciò che di negativo potesse esistere, mi stavano uccidendo. Ma il colpo di grazia lo ebbi un secondo dopo. Roxanne riuscì a inclinare il capo di lato, e potei scorgere l'ombra di una lacrima silenziosa, scenderle sul neo dello zigomo sinistro. Tutto ciò, mi stava facendo diventare...matto...
Non sopportavo più di vedere quelle mani viscide sulla sua pelle, gli occhi perversi che la stavano spogliando, e tanto meno quella orrenda bocca che stava lì per lì per marchiarla con il suo lurido tocco. Una forza bruciante, la stessa che avevo provato qualche attimo prima, ma più devastante, mi scosse dalla testa ai piedi. Cominciai ad ansimare forte, come un cavallo agitato e nervoso sul punto di imbizzarrirsi. Stavo perdendo il controllo.
- Cosa c'è, mio re? Vi è forse familiare questa scena? - mi canzonò il bastardo. Ma io non risposi, con la testa abbassata in uno stato apparentemente calmo e mansueto.
- Abbiamo perso fin troppo tempo! Addièu, re dei matti! Ti manderemo una lettera! - disse infine Armand, sentendolo ridere soddisfatto.

                                " Why does my heart cry?
Feelings i can't fight
you're free to leave me
but just don't decieve me
And please believe me when i say:...!"

Tutto in me esplose. I forti sentimenti e le emozioni in contrasto mi fecero crollare tutte le barriere che tenevano a bada il mio istinto. Senza rendermene conto, le mie gambe si mossero in automatico. Fui veloce come il lampo e devastante come il fulmine. Dimenticando del tutto quello che era accaduto poco prima,  non riuscì a frenarmi e mi gettai addosso al mio nemico. Lo zingaro non se lo aspettò e fu colto di sorpresa dal mio gesto impulsivo. Il mio pugnale sfrecciò nell'aria e colpì il braccio dell'uomo, lo stesso che teneva stretta la giullare. La ferita non era profonda ma fu abbastanza per far scuotere la presa, e 
così Roxanne riuscì a liberarsi. Ne approfittai allora per afferrarla per un braccio e tirandola a me, per poi spingerla dietro la mia schiena, per tenerla al sicuro finché non avessi finito con quel suino. Armand mi fissò con occhi accesi di collera e per la prima volta lo vidi ringhiare in maniera furiosa, come un cane da caccia bastonato.
- Quante volte dovrò cercare di ucciderti, pagliaccio...!? - esclamò lui, mentre si tappava la ferita con una mano.
In risposta, mi misi in posa di duello e gli mostrai il pugnale sporco di sangue. 
- Uccidermi? Con chi diavolo credi di parlare?! Almeno io so come sporcarmi le mani, a differenza tua - lo provocai, sputandogli addosso quella verità pungente.  Armand spalancò gli occhi e con una forza feroce si scagliò verso di me, armato del grosso pugnale. Ci scontrammo in un duello senza esclusioni di colpi, e nonostante fossi munito di un piccolo pugnale me la stavo cavando. Ciò che mi fece rimanere stranito era il temperamento di Armand. Ad ogni colpo che sfoderava, gridava e boccheggiava, come se fosse in uno stato di pura pazzia. Sembrava un mostro indemoniato. A un certo punto avvertì un capogiro. La troppa perdita di sangue sulla schiena mi stava giocando brutti scherzi. Approfittando di quel momento di debolezza, lo zingaro mi fece lo sgambetto e scivolai per terra, proprio di schiena. Un dolore allucinante mi fece soffocare il respiro, come se una corda mi stesse stringendo intorno al collo. La vista era annebbiata, e mi sembrava che l'intero mondo mi girasse attorno. Provai a sollevarmi ma subito dovetti rinunciare. Avvertì la voce di Roxanne, ma mi sembrava così lontana. 
Intanto, Armand mi stava fissando, con i suoi occhi stralunati. Infine, sentì il suo peso sopra di me, e sfoggiò la lama del pugnale sulla sua testa.
- Clopin, nooooo! - gridò la mia giullare.
Girai il volto di lato, e cercando di mettere a fuoco vidi la sagoma di Roxanne, ancora con i polsi legati. Senza esitare, corse verso Armand e cercò di spintonarlo via per salvarmi. Ma l'uomo, grande e grosso, la spinse lontano, facendola cadere come un sacco di farina. 
" No, ti prego...fai tutto quello che vuoi...uccidimi pure, ma non toccarla..." cercai di dire, ma le mie labbra si mossero senza emettere un suono. Ormai le forze mi stavano abbandonando. Non riuscivo più a muovere neanche un dito. La testa mi girava e i contorni si stavano sfocando sempre di più. Poi, stremato, chiusi gli occhi.
- Armand, non farlo! - sentì ancora gridare.
- E' tutta colpa tua, Yolèn... - gridò lo zingaro, con un tono di voce cavernoso. Perché la stava chiamando con il nome della madre?... 
- Tutto questo non sarebbe accaduto se tu avessi scelto me... -. 
Nonostante lo stordimento, riuscivo a seguire il discorso, e la mia mente aveva conservato quel barlume di lucidità per capire cosa stava accadendo. Armand era impazzito. Ebbi la forza di riaprire gli occhi e in quel momento vidi la lama brillare sopra la mia faccia. E il volto di Armand rivolto a Roxanne.
- Finalmente ti darò ciò che volevi, no? Vederlo morire davanti ai tuoi occhi... il tuo artista di strada -.
Un grido di donna. La voce di Roxanne mi sembrò prolungarsi per minuti interi. Sapevo cosa mi attendeva...ma non ero ancora pronto. No, non ancora...
Oh, Mon Diè, non c'è mai stata fede e preghiera da parte mia... ma ti prego, se esisti davvero, donami un vero miracolo...
Giudicami come vuoi,la mia vita è tua... ma salvala, Roxanne... il pezzo della mia anima...
Ma stranamente qualcosa cambiò. Avvertì uno strano suono. Armand era immobile su di me, ancora con le mani che stringevano l'elsa del pugnale. Un rivolo rosso gli fuoriuscì dalle labbra e scese giù per il mento. Lo zingaro cascò via, atterrando sul terreno sollevando la polvere. Cosa era successo?
Sentì alcune voci, ma erano così distanti. Poi, come se mi fossi destato da un brutto sogno, vidi il volto di Roxanne. Era così preoccupata. Si stava agitando e sembrava chiamare qualcuno lì vicino. Vedevo le sue labbra muoversi, ma non udivo più alcun suono. Sentivo che era arrivata la mia ora. Quindi, allungai la mano e accarezzai quel volto angelico. Appena Roxanne mi diede di nuovo la sua attenzione, provai a sussurrarle qualcosa: 
" ...mia Luna ".
Ero così felice. Sapere che la mia giullare era viva avrei portato con me il ricordo di quelle splendide gemme preziose. Che dolce modo di morire...
Mentre socchiudevo gli occhi, allargai un sorriso e per la prima volta nella mia vita ringrazia quel Dio misterioso che tanto avevo ignorato. Ero pronto a incontrare la Morte, la degna regina, come l'avevo sempre immaginata, col suo mantello nero, la falce e una maschera inquietante che le nascondesse le fattezze cadaveriche. Non avevo mai avuto paura di lei, e l'avrei salutata e accolta come una cara sorella, mia pari. Perché anche io, il re della Corte, avevo sempre amministrato la fine di moltissime vite umane. Ero stato l'avvocato, il giudice, e il boia in ogni singola esecuzione. Finalmente era arrivato il mio turno... e non avrei avuto rimpianti...perché ero morto solo per lei... mia Roxanne...

I miei occhi si aprirono e sentivo le palpebre pesanti. Mi ci volle un pò per abituarmi all'atmosfera, con una luce soffusa che proveniva da mille candele. Le pupille vagarono da un angolo all'altro, e realizzai che mi trovavo proprio nella mia tenda personale. Ero alla Corte dei Miracoli. 
- Ben tornato tra noi, Clopin! - disse una voce maschile.
Corrugai la fronte ed ebbi l'impressione di conoscere quel timbro vocale. Girai il volto di lato e appena scoprì chi era il mio ospite ebbi un sussulto:
- Zacarias!...- esclamai, con un filo di voce. Il mio ex mentore, con il suo solito sguardo serio, era proprio lì, seduto vicino alla branda dove ero sdraiato.
- Ma...tu non eri...- non ebbi il tempo di finire, che lo zingaro mi bruciò sul tempo. Probabilmente voleva evitarmi di sprecare fiato.
- Morto? Beh in effetti - disse, e dopo essersi schiarito la voce riprese - Ma sai com'è, dovresti conoscermi. Ci vuole ben altro per farmi fuori -.
Zacarias gonfiò il torace con modo fiero, ma io ero ancora confuso. Così mi raccontò brevemente cosa gli era successo. In sintesi, dopo essersi separato da Roxanne, trovandosi con le spalle al muro, aveva finto di essere morto. I vandali lo avevano recuperato e sepolto nella fossa comune, insieme agli altri zingari. Per sua fortuna, era riuscito a scavare la terra e a uscirne vivo. Dopo di che aveva mandato un messaggio al capitano Febo, che gli chiedeva aiuto e rinforzi. Infine, dopo aver scovato il carretto nel bosco, si era messo sulle nostre tracce. Era stato proprio lui a uccidere Armand, pugnalandolo alle schiena. Era stato lui a salvarmi. 
In quel momento fui scosso da un senso di disagio. Lui, l'uomo che mi aveva preso in custodia, che mi aveva protetto, alla fine mi aveva salvato più di una volta. Mentre invece, io... Zacarias mi guardò, mentre ero chiuso nel mio mutismo, e mi chiese.
- Cosa ti prende, Clopin? -. Ebbi un attimo di esitazione, ma decisi di sfogare ciò che avevo taciuto per troppo tempo.
- Zacarias, lo so che dopo tanto tempo non possa significare granché, ma volevo dirti... mi dispiace, per ciò che ti ho fatto - mentre parlavo, rimasi a fissare un punto della spalla scoperta del mio amico. Lì era visibile una cicatrice, una delle tante che gli erano state inflitte in passato.
- E grazie, per tutto quello che hai fatto per me - terminai, e i miei occhi affrontarono quelli scuri del mio ex mentore. Seguì un momento di silenzio, ma il suo volto si illuminò con un largo sorriso. Quasi mi spaventai a quella reazione, dato che era sempre così serio. Lui scosse la testa.
- Non dirlo neanche, ragazzo mio - disse, con un tono paterno che mi era mancato da anni e anni. Quel suo modo di chiamarmi, così nostalgico, mi fece crollare dall'emozione, e gli sorrisi. Poco dopo, si ricompose e tornò a essere quello di prima. Ci teneva a non sembrare sdolcinato.
- Comunque, non devi ringraziare me - aggiunse - ma solo quella bella violinista -. 
Stava parlando di Roxanne? In quel momento, come se fossi stato folgorato, alzai la testa dai cuscini e chiesi:
- Roxanne? Dov'è?! -. Un forte dolore alla schiena mi costrinse a rimettermi al mio posto. Zacarias mi fece segno di non muovermi assolutamente. Mi spiegò che avevo rischiato davvero di morire, poiché avevo perso molto sangue. Meno male che poco dopo il suo arrivo, nella grotta, erano giunti anche Febo e i suoi soldati.  Con il loro aiuto erano riusciti a soccorrermi e a riportarmi in tempo alla Corte dei Miracoli. Ovviamente, tutti si erano mobilitati per curarmi.
- Prima fra tutti, la tua giullare - mi spiegò nello specifico - Come ti stavo dicendo prima, se non fosse stato per lei e il suo stratagemma, non sarei mai arrivato in tempo per salvarti. Quella grotta era un vero labirinto, sai? -. 
- Quale stratagemma? - chiesi, incuriosito. Ma in quel preciso istante, sentì che qualcuno era entrato nella tenda. Da dietro al separé era apparsa un'ombra.
- Zacarias?...- sentì quella voce, dolce come un battito d'ali. Era lei. Roxanne. Zacarias mi fece l'occhiolino e mi rispose piano.
- Chiedilo alla diretta interessata - e detto ciò si alzò, per scomparire da dietro il separé. Lo sentì perfettamente dire: 
" Vai, violinista, il tuo re ti sta aspettando ". E infatti, subito dopo, sbucò fuori la mia bellissima Roxanne. Una forte emozione mi devastò appena la vidi. Era tornata a indossare le sue comuni vesti da zingara, col corpetto nero e rosso, le rose tra i capelli e la calzamaglia vinaccio che le modellava le gambe. L'unica cosa che mancava all'appello era lo scialle con i cammei. Chissà che fine avevano fatto? Dopo esserci legati con lo sguardo, Roxanne si avvicinò e notai che portava un catino e varie bende. Appena si accomodò accanto a me, cominciò a parlare.
- Hai dormito per tre giorni interi, sai? -.
Nel tono della voce, così pacato, mi accorsi che in lei c'era qualcosa di strano. Sembrava quasi che stesse trattenendo uno sfogo troppo grande, ma che per la mia serenità lo tenesse nascosto. Riuscivo a capirlo dai suoi modi meccanici. 
- Tutta la Corte ha temuto che non ti riprendessi più. Ed eccoci qua, nuovamente come l'ultima volta - riprese, mentre stava preparando le bende di ricambio. 
Quella frase era riferita sicuramente a quando mi risvegliai, dopo la tragedia dell'incendio. E proprio come quella volta, mi trovavo sulla stessa branda. Mi limitai ad osservarla, e per me era già un'enorme fortuna. Credevo di essere spacciato, e trovarmi ancora vivo, accanto a lei, mi sembrava un sogno ad occhi aperti. La signora Morte mi aveva fatto un grande dono, davvero. Ma tornando sui miei passi, volevo sapere cosa era accaduto. Quando le chiesi spiegazioni sulla faccenda, smise di occuparsi delle bende, e mi diede tutta la sua attenzione. In pratica, quando aveva capito che il covo della banda era una sorta di labirinto, non era sicura di potercela fare. Anche se fosse riuscita a trovarmi, probabilmente non avrebbe più ricordato la strada
per il ritorno. Così aveva usato i suoi cammei. La giullare mi mostrò un sacchetto di stoffa verde, e appena lo aprì tintinnarono quei preziosi gioielli. Mi spiegò per filo e per segno tutto. Che aveva staccato i cammei dallo scialle e li avesse seminati durante il cammino, in modo da formare una scia di segni dorati che indicassero la strada giusta. A quel punto capì molte cose. E ancor di più perché non poteva cederli ad Armand. Erano l'unico modo, per me, per uscire fuori da quella trappola. 
- Ecco perché, alla fine, ti eri sottomessa ad Armand - le dissi.
Roxanne annuì, per poi riprendere il racconto. Proprio come mi aveva accennato Zacarias, grazie a quel trucco, il mio amico ci aveva trovati in tempo. Aveva seguito la scia dei cammei che, riconoscendoli, non aveva perso altro tempo e ci aveva raggiunti. Tutto poi, era andato a buon fine grazie anche all'intervento di mio cognato, che con le sue guardie ci avevano portato via e scortati a Parigi. 
Mentre mi raccontava, rimasi a fissarla, e man mano avvertivo una piacevole sensazione. Era pura ammirazione nei confronti della mia amata. Nessuno avrebbe avuto un'idea più geniale di quella. Nuovamente stavo riconoscendo il grande coraggio che la rendeva unica. Il sacrificio che aveva patito solo per salvarmi. Ne ero certo. Nessun'altra donna mi aveva dimostrato una lealtà, fiducia e amore come solo Roxanne aveva riservato per me. La mia ex rivale, amica e amante, era parte della mia anima. 
Ciò che avevo temuto di perdere più della mia stessa vita. Quel pensiero mi fece rimembrare quei momenti orribili e ansiosi. Quanta paura avevo avuto... 
Con un gesto impulsivo, le afferrai le mani e lei tacque. Con uno sforzo mi sollevai dai cuscini, volevo vederla bene negli occhi. Lei mi raccomandò di stare comodo, ma non lo feci. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio. Le mie braccia la avvolsero e mi lasciai andare completamente. E desideravo che anche lei facesse lo stesso.
- Clopin... - disse in un sussurro - che hai... stai piangendo -.
Era proprio così. Mi ero sempre vergognato delle mie lacrime. Odiavo passare per un lagnoso.
Ma quelle erano lacrime di felicità. Con lei, non avevo bisogno di usare una maschera per sembrare una persona migliore. Mentre lasciavo che quelle gocce cristalline mi rigassero il viso, le donai un sorriso e le baciai le mani. 
- Sì, cherie. E ne vado fiero - le spiegai, mentre mi tuffavo in quelle due pozze d'acqua verdi - perché sono la prova di quanto sono felice e fortunato da quando la vita mi ha dato te -. 
Le labbra rosse di Roxanne tremarono leggermente e i suoi occhi brillarono di una luce profonda. Sentivo che la sua barriera di forza si stava rompendo.
- C'è una cosa importante che devo assolutamente dirti - ripresi, e la strinsi tra le mie braccia - e devo farlo ora, prima che qualche altro imprevisto me lo neghi -. 
Mentre le sorridevo ironico, lei si lasciò andare e smise di essere tesa. Il tocco delle mie dita sulla pelle la fece rilassare, e a quel punto feci la mia mossa. La baciai sulle labbra, per poi distaccarmi leggermente per sussurrarle quella confessione. 
- Je t'aime... -. 
La mia giullare rimase senza parole, come in uno stato catatonico. Sembrava incredula, allora le dichiarai tutto ciò che avevo nel cuore.
- Ti ho amata come non ho mai amato nessun'altra. Anzì, credo di non aver mai amato davvero, prima di conoscerti. Amo il tuo talento, la tua forza, il tuo animo nobile, il tuo coraggio. E sai? - feci una pausa, per formulare al meglio le seguenti parole - Ne sono certo, perché ho scoperto di essermi innamorato di te...per ben due volte. Neanche una perdita di memoria può tenerci separati, mon cher -.
Detto ciò, Roxanne mi sorrise, e finalmente dai suoi occhi scesero calde lacrime. Ci baciammo ancora, con più passione. Le asciugai le guance con i miei baci, e le sussurrai parole dolci per confortarla. Quel pianto liberatorio, misto a tensione e felicità, la fece sentire meglio. Avevo capito fin da subito, da quando si era presentata al mio cospetto, che stesse nascondendo la paura e l'ansia per tutto quello che era accaduto. Ma come al solito, per il mio bene, aveva taciuto tutte quelle emozioni e io non potei che ammirarla e amarla di più. Dal canto mio, il calore delle sue labbra era così intenso da farmi dimenticare persino la ferita e il dolore alla schiena.
- Tu sei il primo e unico uomo che abbia donato tutto di me - mi disse, poggiando la fronte sulla mia - e non potrò amare nessun'altro. Mai -. 
Quelle parole mi colmarono di gioia e un nuovo desiderio si fece largo dentro di me. Ero sicuro della mia scelta e morivo dalla voglia di pronunciarlo.
Accarezzai il volto della mia amata, e mentre ci donavamo sguardi languidi, pensai a cosa dire.
- C'è un'altra cosa che devo dirti. O meglio, chiederti - le sussurrai e i suoi occhi si aprirono mostrando stupore.
- Un'altra? Non sarebbe meglio aspettare che ti rimetta in sesto? - mi disse, per poi sorridermi divertita. Le pizzicai la guancia con le dita.
- No, non posso aspettare - la informai - o rischierei di morire prima di poterlo fare -. 
Nonostante la battuta agrodolce, ridemmo insieme e infine lei aspettò con una certa curiosità. Avrei tanto voluto inginocchiarmi, come un vero gentiluomo, ma nelle mie condizioni non mi era possibile. Pazienza. Ciò che stavo per proporle era qualcosa che mai avrei pensato di fare, fino a quel momento. Ma era tutto ciò che desideravo, e non sarei mai più tornato sui miei passi. Con un profondo respiro, la guardai negli occhi e dissi:
- Roxanne Carraro, figlia di Lorenzo Carraro e Yolèn Roux, mi faresti l'onore di diventare la mia sposa? -. 
A quella richiesta la mia giullare rimase impietrita, come se le avessero lanciato un incantesimo. I suoi occhi divennero così grandi e maestosi.
- Vuoi passare il resto della tua vita al mio fianco, essere la Regina della Corte dei Miracoli, e regnare con me per il resto della tua vita? -.
Ero così emozionato, eppure riuscì a spiccicare l'intera frase che mi scorreva nella mente, come un fiume in piena. Passarono secondi che per me furono ore intere, prima che Roxanne mi rispose.
- Ouì, ma a una condizione...che non smetterai di essere il mio partner di carretto. Il povero petit Clopin non sopporterebbe un drastico cambiamento -.
Quell'insolita risposta mi lasciò di sasso, ma come mi era capitato altre volte, finì per strapparmi un sorriso e risi spensierato insieme a lei. Non c'erano dubbi. Roxanne era la donna più bella, forte e matta ( proprio come me ) che potessi desiderare al mio fianco. Non l'avrei cambiata per tutto l'oro, le esecuzioni, e le feste cittadine dell'intero mondo. 

Nella tenda color porpora del re dei gitani, si respirava un'aria intima e piena di dolcezza. Nessun altro ancora sapeva la bella notizia, e almeno per un po sarebbe rimasto un dolce segreto tra i due giullari. Dopo tutto quello che avevano superato, era giusto che Roxanne e Clopin avessero il tempo giusto per godersi quell'attimo, che apparteneva solo a loro. Il re del piazzale abbracciò la sua futura sposa e la fece sdraiare sopra di lui. Adorava tenerla in quel modo e passò minuti interi ad ammirare i lineamenti del suo viso. Quella situazione gli fece ricordare quella sera, quando si trovavano nel suo carretto. Erano accoccolati sul divanetto e Clopin aveva da poco capito quanto quella violinista fosse speciale. Allora, forse per suggellare nuovamente quella promessa, il giullare sussurrò alla sua amata:
- Posso tenerti con me, per sempre, mia Luna? -
- Oui...-. gli rispose lei, solleticandogli il pizzetto con la punta delle dita. Un bacio pieno di vero amore li unì con quel voto infrangibile, mentre le fiammelle delle candele, uniche testimoni, bruciarono intensamente come a voler donare maggiore calore ai due amanti prossimi alle nozze.

Angolo dell'autrice

Eccomci quà! Sono passati vari giorni dopo l'ultimo capitolo pubblicato, ma sappiate che dopo il Lucca comics ( dove ho presentato il cosplay di Roxanne) non ho fatto altro che scervellarmi per rendere questo ennesimo capitolo degno delle vostre aspettative. E credetemi se vi dico che non è stato affatto facile...
Ora sono le 1.25 di notte, e solo ora posso tirare un sospiro di sollievo. Comunque, pensiamo alle cose belle! Finalmente siamo giunto al lieto fine, e come avete potuto vedere i due giullari hanno avuto il loro momento importante ( Clopin finalmente si è dichiarato **) e avremo un matrimonio <3 Il prossimo capitolo infatti sarà più leggero da scrivere, e non avrò tutta questa ansia da scrittrice XD Spero solo che vi piaccia, e che vi abbia lasciato anche di stucco ( eh non ve lo aspettavate che Zacarias fosse ancora vivo XD). Detto ciò, sono stanca morta, e evo pubblicare subito il capitolo. Alla prossima <3 
Nota* La strofa in inglese fa parte della celebre canzone dei The Police - Roxanne - ( guarda caso XD). Ho pensato che rispecchiasse appieno quello che Clopin stesse provano in quella situazione ( e poi adoro quella canzone **) 

    

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Capitolo 20
*** Re e Regina ***


                                                                                       Re e Regina 

Era passato del tempo, da quel fatidico giorno, in cui la disavventura dei giullari era giunta al termine, con un lieto fine per fortuna. Clopin, per via della brutta ferita che era stata ricucita, dovette rassegnarsi e rimanere per parecchi giorni fermo sulla branda. La stessa Michelle, che si era occupata della medicazione e dei punti, era stata categorica: almeno per due settimane il paziente doveva muoversi il meno possibile. Altrimenti, la situazione poteva solo peggiorare. Il re della Corte sbuffò appena ricevette la notizia, ma un pensiero lo rincuorò: Roxanne sarebbe rimasta nella sua tenda per tutto il periodo di guarigione. Quindi, non sarebbe stata una vera tragedia. Sapendo ciò, Esmeralda era serena e non ebbe alcun motivo di preoccuparsi: suo fratello era in ottime mani. In seguito al suo risveglio, il re degli zingari aveva ricevuto varie visite, come quella del suo amico campanaro, che non vedeva da molto tempo. Quando Quasimodo aveva saputo che il giullare aveva rischiato grosso, aveva pregato tanto a Notre Dame, e quando il peggio passò, si era precipitato subito alla Corte. Quel gesto d'amicizia fece commuovere Clopin, e rassicurò il gobbo che presto lo avrebbe rivisto al piazzale come al solito, e che sarebbero tornati a scambiarsi chiacchierate durante la pausa pranzo. Anche Febo non fu da meno, e quando rivide il cognato che aveva ripreso conoscenza, tirò un sospiro di sollievo. Il capitano gli portò due buone notizie: una, nessun membro della banda di Armand si era salvato ( alcuni rimasti feriti, si trovavano ormai nelle prigioni) e che la sua complice, Odette, era stata subito scovata e arrestata. Due, quella più inaspettata, che il Re di Francia in persona, dopo aver saputo della dipartita di Armand, uno dei fuorilegge più ricercati, 
desiderava conoscere gli eroi che avevano reso possibile la salvezza dell'intera città. Tutti rimasero senza parole, specialmente la coppia, che già immaginava quel giorno in cui si sarebbero trovati al cospetto del sovrano. Ma una'altra meravigliosa notizia, la più bella in assoluto, era racchiusa nei cuori dei due amanti. Avevano deciso di comune accordo di tacere per qualche giorno, giusto per godersi, in privato e in tranquillità, quei momenti di consapevolezza del loro felice avvenire. Era il loro più intimo segreto. Per loro due, che sapevano, era così bello guardarsi negli occhi, durante le ore del giorno, e captare la felicità segreta che li univa. Poi, dopo la prima settimana, approfittando di una riunione con tutti nella tenda, la coppia vuotò il sacco e la sorpresa e la gioia dei presenti fu immensa. Per via della situazione di Clopin, si decise di fissare la data per il 3 Marzo, quindi c'era ancora parecchio tempo per organizzare tutto. Ma i due cantastorie erano già ansiosi di coronare quel sogno di puro amore.

PV Roxanne

Il mese di Febbraio passò in un attimo. Nonostante i giorni trascorsi alla Corte dei Miracoli, senza vedere la luce del sole, fui contenta e piena di vitalità. In fondo, ero troppo occupata per pensare alla mia voglia di poter uscire e tornare alla vita in superficie. Passavo la maggior parte del tempo accanto a Clopin,  che era inchiodato su quella branda. Non mi pesava affatto, anzi, era un bel pretesto per stare con lui il più possibile. Ogni giorno gli cambiavo le fasce, facevo controllare la ferita a Michelle, e mi occupavo del pranzo e della cena. Mi sentivo già una novella mogliettina. Nel frattempo, Esme e tutte le donne 
andavano e venivano nella tenda, fin troppo impegnate ad aiutarci nei preparativi della cerimonia nuziale. O meglio, delle due cerimonie. Oltre al tipico rituale gitano, che conoscevo perfettamente, prima di tutto ci saremo uniti sull'altare di Notre Dame. Il mio giullare stesso aveva espresso quella volontà e io ne fui piacevolmente colpita. Era la prova che Clopin rispettava i miei valori e non voleva schiacciarli solo perché non li condivideva. Un vero e puro gesto d'amore. Quando il tempo di guarigione arrivò agli sgoccioli, finalmente il mio giullare era pronto per lasciare la branda e tornare alla normalità. Quella mattina, Esmeralda mi svegliò di buon ora, e mentre Clopin era assistito da alcuni zingari ( con Febo che cominciava già a dargli consigli) io mi ritrovai nella tenda di Michelle. Topazia, la capra dal manto nero, belò entusiasta appena mi vide. Per la cerimonia in chiesa non ci sarebbe stato alcun bisogno di nuovi abiti: avremo indossato i nostri costumi da giullari. Il piazzale era il nostro reame delle feste, e desideravamo che anche in quel giorno speciale il nostro lato giocoso e frizzante fosse acceso. Tutti avrebbero ricordato il burattinaio e la violinista, gli stessi che si erano sfidati e infine amati, uniti in matrimonio in quella stessa piazza.
- Sei bellissima come sempre, Roxanne - disse Michelle, dopo avermi applicato le rose rosse sulla pettinatura.
Ero così emozionata che non facevo altro che guardarmi allo specchio per essere perfetta, ma alla fine mi fidai delle parole della mia amica. Mentre mi sistemavo la mascherina sul volto, Esme mi guardava con occhi colmi di emozione. Potevo ben capire quanto fosse felice per me, per noi due, e infine mi disse:
- Roxanne cara, non c'è bisogno che ti dica  "ti lascio la felicità di Clopin nelle tue mani". Ma voglio che tu sappia che da oggi in poi, non solo sarai la sposa di mio fratello e la degna regina della Corte, ma farai parte della nostra famiglia a tutti gli effetti. Quindi, non indugiare in futuro a chiamarmi "sorella" -.
Una sensazione di calore piena di gioia mi invase, poi la zingara mi accennò che più tardi mi avrebbe mostrato una bella sorpresa. Detto ciò, uscimmo dalla tenda. Clopin era stato già accompagnato da Febo, in groppa al suo cavallo Achille, al piazzale. Mi avrebbe aspettata sull'altare come voleva la tradizione. Fui scortata, insieme ad Esmeralda, nel mio personale carretto. Affacciandomi dalla finestra potei constatare con piacere che era una bellissima giornata. Il sole splendeva luminoso e caldo. L'aria ere fresca e profumata. Sembrava che la primavera si fosse anticipata per donarci l'atmosfera giusta per rendere quel giorno indimenticabile. Quando arrivammo a destinazione, potei notare con sorpresa una notevole folla. Ovviamente, tutti erano lì per assistere al grande evento. Specialmente i più piccoli, che sembravano quelli più felici ed emozionati. Tra loro sbucò la piccola Cosette, che portava in un cesto di vimini un mucchio di petali di rosa bianca. Infatti, la piccina mi precedette, e quando entrò in chiesa percorrendo la navata, lasciò cadere quei petali candidi. Prima di fare il mio ingresso, Zacarias mi raggiunse e mi offrì il braccio. Quell'uomo, che in un certo senso mi aveva trattato come una figlia, qualche giorno fa mi aveva 
confessato che sarebbe stato un onore accompagnarmi all'altare. " Sei pur sempre la sposa del mio pupillo" si era giustificato, ma io ero certa che non fosse solo per quello. Zacarias era troppo orgoglioso da ammettere il suo affetto per me. Così, l'uomo che aveva posto fin dall'inizio la sua fiducia in me, mi condusse verso il mio promesso, che mi aspettava con ansia. Appena i nostri sguardi si legarono avvertì già gli occhi inumidirsi. L'arcidiacono era al nostro cospetto, mentre Febo ed Esmeralda ci osservavano a una lieve distanza, nel ruolo di testimoni. Per tutto il tempo le mie mani furono  strette a quelle del giullare, e non smettemmo mai di guardarci negli occhi. Poi, giunse il momento più importante.
- Clopin Trouillefou, giullare della piazza di Notre Dame, vuoi prendere questa donna come tua sposa? - pronunciò l'arcidiacono. 
- Lo voglio - rispose Clopin, e con i pollici accarezzò le mie mani, come a darmi prova del suo sincero amore.
Fu poi il mio turno.
- E tu, Roxanne Carraro, violinista della piazza di Notre Dame, vuoi prendere quest'uomo come tuo sposo? -.
- Lo voglio - fu la mia risposta, e sentì una leggera lacrima scivolarmi dagli occhi. 
- Ciò che Dio ha unito, uomo non osi separare - aggiunse l'arcidiacono - Con questo sacramento vi dichiaro marito e moglie, nel nome del Padre, del Figliolo, e dello Spirito Santo. Amen -.                
Infine, col cuore che mi martellava nel petto, avvertì la frase più bella che tanto stavo aspettando.
- Puoi baciare la sposa -.
Clopin fece sciogliere le mani dalle mie, e con delicatezza mi tolse la mascherina dal volto. Io feci lo stesso, scoprendo il suo viso dalla maschera fucsia. Sollevandomi leggermente sulle punte delle scarpe, il mio sposo mi strinse a se e mi donò un bacio caldo e dolce. Dalle splendide vetrate filtrò un fasciò di luci colorate e nella cattedrale riecheggiò la melodia delle campane, suonate apposta per noi da Quasimodo. Sembrava che la stessa benedizione del Signore fosse calata sui nostri capi, e sapevo che da qualche parte nel mondo dei Cieli, c'era qualcuno che ci osservava con tanta felicità. Distaccandoci a malavoglia,  io e Clopin ci dirigemmo all'uscita, e appena ci presentammo al resto della folla, applausi scroscianti ci accolsero, mentre fiori dai mille colori e gemme di grano volarono su di noi. Tutti gli abitanti di Parigi ci fecero gli auguri e a un certo punto, in mezzo a tutta quella confusione, si fece largo Marcel. Avevo saputo che finalmente la sua taverna era stata ricostruita, ed era tornato al suo lavoro. Il nostro amico sembrava molto eccitato.
- Amici miei - cominciò a parlare, mentre la folla taceva - a nome di tutti i presenti, vi porgo i più sinceri auguri, e che la vostra felicità duri per sempre. Per tutto quello che avete fatto, per noi e per Parigi, abbiamo un regalo di nozze speciale per voi. Da parte di tutti noi, speriamo che gradirete -.
E così terminando, Marcel si voltò e fece un cenno col braccio. In mezzo al piazzale, c'era qualcosa di enorme coperto da un telo bianco. A quel segnale, il telo fu tirato via e scoprimmo che si trattava di un grande teatrino mobile, nuovo di zecca, fatto in legno d'acero, e tutto decorato con finestre di vetro rosso, tendaggi viola e bandierine svolazzanti. Ciò che mi colpì fu il drappo di colore blu-indaco, posto proprio sul davanzale, con sopra ricamato un sole e una luna uniti in un solo astro, di colore oro. Quello stemma mi fece ricordare lo strano sogno che avevo fatto qualche tempo fa, e che mi aveva lasciata con mille domande. In quel momento mi fu tutto chiaro. Invece Clopin, al ricordo del suo teatrino andato distrutto, osservando quella meraviglia, non potè trattenere le lacrime e ringraziò di cuore Marcel, abbracciandolo con calore. Ma presto, l'allegria tornò quando il nostro amico ci invitò tutti ad andare alla sua taverna. Una volta lì,  dovetti ammettere che era ancor più bella e spaziosa. Ciò che catturò la mia attenzione fu una grossa botte, posta all'angolo della sala. Marcel non aveva dimenticato il posto riservato al re del piazzale. Senza pensarci, il mio sposo mi fece un inchino e mostrandomi la botte disse " il suo trono, mia Regina ". Sorrisi divertita, e mi colse di sorpresa sollevandomi per la vita e facendomi sedere sulla superficie in legno. Fu un momento così meraviglioso. Poi, mentre tutti gli altri bevevano dai boccali di birra, Marcel ci offri due calici col prezioso Sherry, che già in passato ci aveva accompagnato nei nostri dolci istanti. Ci venne allora naturale rimembrare le situazioni comiche vissute nella vecchia taverna, e ne approfittai nel rivelare al mio amato i miei disperati piani, di quella sera, per riavvicinarmi a lui. Ridemmo come due matti per tutto il tempo, e non ci rendemmo conto che era già pomeriggio. Dovevamo sbrigarci a tornare alla Corte. Dopo aver raccolto gli ultimi auguri e alcuni piccoli regali, come cesti di frutta, mazzolini di fiori, e sacchetti di spezie, io e Clopin, tornammo al piazzale e decidemmo di usare il nuovo carretto, mentre il mio lo avrebbero trasportato gli zingari e lo avremo utilizzato per i spettacoli speciali alla Corte. L'interno del teatrino era più spazioso di quanto immaginassimo, e vi era tutto il necessario e le comodità che richiedevano due artisti come noi. A parte il separé, fatto di cartone color rosso scuro, c'era un lungo divanetto con l'imbottitura viola damascata. Al centro della stanza, un tappeto con vari ghirigori dorati, con tanto di cuscini di varie forme e colori. Decidemmo così di rilassarci su quel mucchio di stoffa morbida, mentre il dondolio del  carretto ci cullava. Il mio amato ne approfittò per tenermi tra le sue braccia e riempirmi di attenzioni. Passammo tutto il tempo del viaggio a scambiarci dolci ricordi del passato, da quando ero arrivata al piazzale fino alla fine della nostra avventura pericolosa. Clopin, in quel mese di guarigione, mi aveva raccontato di tutte le visioni e i ricordi tornati alla luce. Era così bello parlare con lui di tutti i nostri momenti felici e importanti che avevamo vissuto insieme.
- Sono convinto di una cosa - aggiunse poi, mentre il suono dei nostri campanelli riempiva l'aria - che se dovessi nuovamente perdere la memoria, grazie al tuo amore riuscirei sempre a tornare da te. Eravamo destinati l'uno all'altra, mon cher. E tra pochi minuti sarai ufficialmente la mia regina -.
Quelle parole mi sciolsero del tutto, ma un pensiero un pò malinconico mi fece incupire. Il mio sposo se ne accorse e mi chiese il motivo.
- Mi dispiace solo che " loro" non siano stati presenti. Lo so, di certo mi avranno guardata da lassù, ma oggi mi sono mancati tantissimo, in un giorno tanto speciale - cominciai a spiegare, e una mia mano scivolò sullo scialle spoglio, attorno ai fianchi - Non ho avuto neanche il tempo di ricucire i cammei sulla stoffa. Ma forse è stato meglio così... -. 
Dopo aver scoperto il segreto di quei gioielli ereditati da mia madre, e di quanti guai avessero procurato, non ero più così sicura di mostrarli nuovamente al resto del mondo. Per me erano molto importanti, certo, ma ciò che mi aveva rivelato Armand mi frullava ancora nella mente, e troppe domande erano rimaste senza risposte. Esisteva davvero un grande tesoro che la famiglia Roux aveva nascosto tra le città della Francia? I dieci cammei erano la strada per una grande fortuna? Ma la cosa che mi stava più a cuore, era se i miei genitori avessero a che fare con quella storia, e perché mi avessero tenuto nascosto tutto? 
A un certo punto, i miei pensieri furono interrotti da Clopin, che dopo avermi accarezzato i capelli con dolcezza mi disse:
- Cherie, sono certo che i tuoi genitori vorrebbero solo che tu sia felice. Specialmente dopo tutte le sofferenze che hai patito. Inoltre - e dopo aver fatto una pausa, il mio sposo frugò in un sacchetto di stoffa legato alla cinta.
- Era un regalo di nozze per te, anche se arrangiato, ma sono sicuro che siano troppo preziosi per essere lasciati in un cassetto - e detto ciò, dal sacchetto uscì una lunga catena d'oro, da cui erano fissati i miei splendidi cammei. Con sorpresa ammirai quella meraviglia che luccicava e tintinnava dolcemente tra le mie dita. Clopin doveva averli recuperato di nascosto, e riunendoli li aveva applicati per crearne una catena.  
- Ascolta, neanche io so esattamente come siano andate le cose. Immagino tutta l'incertezza e la confusione che hai avuto da quando hai saputo una realtà che ti è stata nascosta per tutta la vita - riprese lui, cercando di usare le parole giuste - Ma nonostante tutto, cosa cambia? I tuoi genitori ti hanno cresciuta e amata con tutto il loro affetto. Ti hanno insegnato i valori più belli, e per questo sei diventata la persona meravigliosa che ho tra le braccia -.
Concludendo, strinsi tra le mani quei cammei e compresi che il mio amato aveva perfettamente ragione. Quel piccolo tesoro, quel dolce ricordo fatto di metallo e vetro colorato, racchiudeva tutto l'amore che i miei defunti genitori mi avevano donato. Erano una parte di me e non potevo separarmene.
- Sai, penso di aver capito una cosa - dissi, mentre mi asciugavo una piccola lacrima - che in un certo senso, tenendomi nascosta quella verità, hanno cercato di proteggermi. Mi hanno regalato una vita così semplice e umile, ma molto felice. E solo io posso dire con certezza chi fossero i miei genitori -.
Sollevando la testa per guardare Clopin negli occhi, allungai un sorriso di gioia ritrovata e lui mi baciò donandomi calore e brividi al tempo stesso.
- Grazie, mon cher - gli sussurrai sulle labbra, mentre le mie guance andarono a fuoco. 
Quando arrivammo alla Corte, Esmeralda mi trascinò nuovamente con se, ma questa volta nella sua tenda, dove ci attendeva Michelle. Le due donne mi svestirono e mi fecero un bel bagno caldo; Esme mi passava un pezzo di stoffa profumata sulla pelle, mentre Michelle mi lavò e pettinò i capelli. Mi sentivo in imbarazzo ma le mie amiche mi spiegarono che era nella norma, specialmente se si trattava della sposa del Re. Quando terminammo, mi aiutarono ad asciugarmi e fu allora che Esme mi presentò la sorpresa di cui mi aveva accennato quella mattina. Incuriosita attesi con ansia. 
- Ricordi quella volta, quando ti presi le misure per un nuovo vestito? - mi chiese, e vagando nei ricordi, annuì convinta
- Ebbene, per via di quel periodo pieno di disgrazie, rimandavo ogni giorno. Ma durante l'ultimo mese, sono riuscita a mantenere l'impegno -.
La zingara mi mostrò un vestito meraviglioso, formato da una lunga gonna color indaco con riflessi argentati. La camiciola era di colore viola scuro, e aveva maniche svasate e trasparenti. Il corpetto era di un tessuto perlaceo con ricami floreali sul nero e il grigio. Sussultai dall'emozione e non avevo parole per descrivere la mia felicità e riconoscenza. Le gitane mi aiutarono a indossarlo, e potei notare che mi fasciava alla perfezione. Poi, le mie braccia e caviglie furono ornati con vari bracciali dorati, e al collo scorreva una catenina che brillava come un filo dorato. I miei capelli furono pettinati e lasciati sciolti. Avvertì un delizioso profumo e mi accorsi che Michelle aveva poggiato sul mio capo una coroncina fatta di foglie e fiori selvatici. 
- Per questa cerimonia, è tradizione che la futura regina debba indossare gli abiti del colore regale del nostro clan; il viola - mi spiegò Esme - Ti dona moltissimo! Sono sicura che lascerai Clopin a bocca aperta, sorella mia -. 
Sorridendo con un pò di imbarazzo, mi guardai allo specchio e dovetti ammettere che quel vestito mi stava a pennello. Poi ricordai una cosa importante. Recuperai la catena di cammei, il dono del mio sposo, e decisi di inaugurarla indossandola proprio sopra il corsetto, attorno alla vita. Quella catena era il simbolo del nostro amore, così unico e indistruttibile.

PV Clopin 

Nella mia tenda, dietro al separé, mi stavo liberando delle mie vesti da giullare, mentre mio cognato, il capitano Febo, non smetteva di ciarlare. Era da quella mattina che mi aveva riempito di chiacchiere, tra consigli e dritte per rendere quel giorno perfetto. Ma ne avevo abbastanza. In quel momento stava cercando di far "placare" la mia ansia per la cerimonia imminente. In verità era lui quello nervoso e non smetteva di camminare avanti e indietro. 
- Non preoccuparti, Clopin, vedrai che tutto andrà alla grande! - diceva, mentre litigavo con la calzamaglia che non si voleva proprio sfilare - Sono sicuro che la rottura del vaso sarà una passeggiata. I pezzi saranno così tanti che non riusciremo neanche a contarli tutti -.
Ero sul punto di gridargli di lasciarmi solo, quando qualcuno entrò nella tenda. Era Zacarias, il mio ex mentore. 
- Clopin sei pronto? - mi chiese lo zingaro, e Febo aveva smesso di assillarmi. Finalmente! 
- No! Perché a quanto pare qualcuno mi sta facendo venire l'ansia da prestazione, perfino nel togliermi una semplice calzamaglia...- risposi, e allora sentì mio cognato schiarirsi la voce, e dopo essersi congedato lasciò la tenda, dandosela a gambe. Sentì Zacarias fare un leggero risolino, poi si accomodò sui cuscini. Ebbi la quiete necessaria per schiarirmi le idee e vestirmi con calma. Anche se cercavo di non darlo a vedere, ero molto emozionato. Già con la prima cerimonia, avvenuta in chiesa, avevo avvertito sensazioni mai provate in vita mia. E la mia Roxanne, con quelle gemme vermiglie, risplendeva di una luce che la rendeva ancora più bella. Era evidente che fosse emozionata quanto me. Appena terminai di vestirmi, ( purtroppo non avevo abiti nuovi per l'occasione) uscì fuori allo scoperto e Zacarias mi porse una scatola che portava con se. Quando l'aprì, scoprì che il contenuto era una catena con un ciondolo in oro zecchino. La gemma che splendeva alla luce delle candele era uno smeraldo, di un bel verde scuro. Zacarias mi spiegò che quel gioiello apparteneva alla sua famiglia ed era stato ereditato da padre a figlio, per tanti anni. Ricordai, allora, che in effetti il mio mentore e grande amico di mio padre, aveva anch'egli origini regali. I suoi antenati, proprio come quelli di Roxanne, venivano dalla lontana e sperduta India. Il verde muschio era il colore regale del suo clan.
- Ho indossato questo ciondolo il giorno delle mie nozze - continuò lo zingaro - Speravo tanto di vederlo al collo del mio primogenito, durante il suo matrimonio. Ma...-.
Non avevo bisogno di sapere altro, conoscevo il resto. Purtroppo, tanto tempo fa, sua moglie aveva scoperto di non poter avere figli, e qualche anno dopo morì. Zacarias era così legato al ricordo della sua sposa, che decise di non risposarsi e così non poté mai coronare quel sogno di paternità.
- Non ho mai avuto figli miei, ma ho comunque avuto l'opportunità di essere una figura paterna per questo mio re, che oggi mi renderà ancora più fiero di quanto pensassi - aggiunse lui, e mi accorsi che il suo lato serio si stava smorzando - Perciò, desidero che sia tu a portarlo. Per oggi e per sempre -.
Quando Zacarias prese il ciondolo dalla scatola e me lo mise al collo, rimasi pietrificato. Avvertivo il peso di quel gioiello e mi sentì così strano. 
- Zacarias, ne sei davvero sicuro? E' troppo prezioso, non posso accettarlo - dissi, titubante, ma lui scosse il capo e mi abbracciò, lasciandomi di stucco.
- Ragazzo mio, non sei nella condizione di obiettare. E' un regalo del tuo vecchio mentore - mi canzonò un po, per poi staccarsi e dandomi una piccola pacca sulla spalla - E sappi, che anche tuo padre sarebbe orgoglioso di te, come lo sono sempre stato io -. 
Quel bel momento lo stampai fisso nella mente, e lo avrei portato con me fino al giorno della mia morte. Proprio come aveva detto Roxanne, Zacarias non aveva mai smesso di volermi bene e non mi aveva mai perso di vista. Così, alla fine accettai con onore quel prezioso regalo, e uscimmo insieme dalla tenda. Ormai era tutto pronto. Era stata montata una grossa tenda di colore violaceo, proprio al centro della Corte, e molte candele illuminavano lo spazio circostante. Nei dintorni si era già riunita tutta la Corte, tra donne, uomini, anziani e bambini. Tra di loro riuscì a scorgere la folta capigliatura di Quasi e alzai la mano per dargli un cenno di saluto. Meno male che era arrivato in tempo per la cerimonia. Mentre Zacarias si avviò alla tenda per prepararsi ( avrebbe fatto lui da cerimoniere per il rito) alcune ragazze e donne, tutte mie vecchie fiamme, si avvicinarono per farmi gli auguri. 
- Abbiamo perso il miglior partito del nostro reame! Roxanne è una donna fortunata! - dissero alcune di loro, le più sensibili e facili al pianto.
Ma nonostante quei piagnistei, si vedeva che erano felici per me. Dopo averle ringraziate con garbo, Michelle attirò la mia attenzione e mi avvisò che Roxanne era pronta. Ecco di nuovo quella sensazione mista ad ansia e impazienza. Cercando di non sembrare impacciato, raggiunsi il tendone, dove Zacarias stava preparando il libro con le scritture per il rito. Rimasi immobile, in una posa distinta, testa alta e petto in fuori. Quello era uno dei pochi consigli utili che mi aveva dato Febo. Intorno alla tenda si erano riuniti gli abitanti e anche loro aspettavano l'arrivo della sposa. Lungo il tragitto che separava la tenda di Esme a quella che avevamo attrezzato, correva un tappeto viola scurissimo, ricoperto da fiori e piume. Finalmente la tenda in lontananza si aprì, e la mia sposa fece la sua comparsa come una visione ultraterrena. Ammirandola, tutti rimasero col fiato sospeso. I miei occhi si spalancarono man mano che quella dea in carne ed ossa si stava avvicinando. Eppure era avvero la mia Roxanne. Riconobbi i capelli lisci, neri e dai riflessi rossi, così lunghi da sembrare un telo di velluto. Ad ogni passo, la seta della gonna color indaco brillava di colpi di luce argentei, come raggi lunari. Appena mi fu più vicina, potei ammirare il seno accentuato 
dal corpetto, e proprio lì, dove il mio sguardo arrivò, vidi la catena coi cammei attorno alla vita ben fasciata. Solo allora la guardai negli occhi, e ci scambiammo un'occhiata di intesa. Era splendida con quel vestito, e quei colori risaltavano la sua bellezza. Anche se dovevo ammettere, che il rosso rimaneva il colore che le donava di più. Proprio come avevamo fatto in chiesa, ci tenemmo strette le mani, l'uno rivolto all'altra. Zacarias si schiarì la voce, e dopo qualche secondo di silenzio iniziò a recitare le antiche scritture. Se quelle dell'arcidiacono parlavano della guida e della volontà di Dio, quelle del rituale gitano parlavano della forza spirituale di ogni essere vivente, che fosse uomo, animale o vegetale. Gli spiriti della terra, del fuoco, dell'acqua e del vento avrebbero guidato il nostro cammino verso un futuro sereno e felice. Ma ero certo di una cosa: solo io e Roxanne, con la forza del nostro amore, avremo reso il nostro domani così meraviglioso. Appena Zacarias terminò, fu il nostro turno. Dovevamo recitare una promessa eterna. 
- Roxanne - cominciai, togliendomi il cappello - fin dal primo giorno che i nostri occhi si sono incrociati, in quella gioiosa festa dei Folli, le nostre vite si sono incatenate. Il nostro legame è stato così forte da sopravvivere a tutti gli ostacoli che abbiamo trovato sulla via. E questo mi da la prova che il  nostro amore non solo è vero, ma che durerà per sempre. Roxanne Carraro, io ti chiedo di essere mia moglie e regina -.
Detto ciò, sollevai una mano della mia amata, e la bacia con delicatezza. Intanto, già avvertivo in mezzo alla folla qualche singhiozzo. Mi chiedevo se Febo fosse riuscito a trattenere il commovente pianto. Roxanne, che aveva gli occhi che le brillavano, fece un lieve respiro e iniziò:
- Clopin, nella mia vita ho sempre cercato il mio posto nel mondo. Ma quando ti ho conosciuto ho scoperto un nuovo desiderio. Avere il posto speciale nel tuo cuore. Perché solo grazie a te sono diventata una persona migliore, coraggiosa e valorosa. Hai saputo tirare fuori il meglio di me. Clopin Trouillefou, voglio che tu sia mio marito e il mio unico amore -.
Il tuffo al cuore mi fece tremare le ginocchia e avevo una gran voglia di prendere in braccio quella creatura e farla volteggiare con me. Le donai un sorriso e lei mi rispose con occhi colmi di lacrime. Il belare di Djali ci fece distrarre, e vidi la capretta avanzare piano verso di noi. Sulla sua groppa c'era il piccolo Clopin, che era stato posizionato in maniera dritta, e sulle braccine ondeggiavano due cerchi dorati. Giusto, lo scambio degli orecchini! Quando Djali ci fu vicino, accarezzai il ciuffetto sotto al suo mento, per poi recuperare i due preziosi monili dal mio fedele collega. Grazie, amico mio. 
Alla fine, l'aveva presa bene. Insomma, gli avevo rubato la donna che doveva sposare...
Da come mi aveva accennato Esmeralda, per gli orecchini ci aveva pensato lei e tutti gli abitanti della Corte. Ogni suddito aveva donato almeno una moneta d'oro, per forgiare quei due gioielli. Vedendoli per la prima volta, notai che i due cerchi avevano dei piccoli medaglioni, dove era disegnato in rilievo un sole e una luna. I simboli delle nostre rispettive famiglie. Mi sembrava giusto, infatti era stata una mia piccola richiesta. I Roux, che erano sempre stati una famiglia matriarcale, mentre la mia, i Trouillefou, erano di tipo patriarcale. Con la nostra unione ci sarebbe stato un gran cambiamento. Sia la moglie che il marito poteva prendere decisioni importanti, far valere la propria opinione, nel rispetto dell'uno e dell'altra. E quello, sarebbe stato 
il simbolo di tale impegno. Inoltre, quello stemma mi ricordava con piacere la leggenda d'amore che mi aveva raccontato Roxanne. La mia giullare si illuminò di entusiasmo e subito si cambiò l'orecchino; il suo, quello con la mezzaluna, lo avrebbe conservato nei suoi oggetti personali. Feci lo stesso anche io, e l'orecchino d'oro che era appartenuto a mio padre lo lasciai in custodia a Zacarias. Non ero abituato a quel genere di monile, con quel ciondoletto che ondeggiava, ma ero troppo felice di condividerlo con la mia sposa. Poi, arrivò il momento più atteso della cerimonia, e anche quello che premeva di più a mio 
cognato. La rottura del vaso. Secondo la tradizione gitana, durante la cerimonia i sposi dovevano gettare per terra un vaso di terracotta. Il matrimonio sarebbe durato tanto quanto il numero dei pezzi lasciati a terra. Appena Esmeralda ci porse il vaso, io e Roxanne ci guardammo negli occhi, e con decisione lo lasciammo cadere. Ero certo che Febo si fosse coperto gli occhi per non guardare. Ma con nostra grande sorpresa, il vaso si era frantumato in tanti piccoli pezzettini. Per contarli ci voleva troppo tempo, così Zacarias decretò che la nostra unione sarebbe durata per molto tempo e aggiunse:
- Fratello, questa è tua moglie - formulò toccandomi la fronte e fece lo stesso con Roxanne - Sorella, questo è tuo marito -.
La cerimonia terminò, e dopo aver donato un bacio sulla fronte alla mia regina, esplose un fragoroso applauso che fece tremare l'intera Corte dei Miracoli. I festeggiamenti proseguirono con un banchetto abbondante e pieno di allegria. C'erano tutti i miei piatti preferiti, come la zuppa di funghi, lo stufato di carne, e ovviamente la torta di mele. Io e Roxanne, seduti alla parte centrale della tavolata, mangiammo dalle stesse ciotole. Era anche quella un'usanza, ma per noi era solo un gesto spontaneo, per condividere tutto insieme. Mentre la cena andava avanti, alcuni musicisti suonarono in nostro onore, e a un certo punto
la mia sposa non poté resistere, e si unì a loro con il suo violino. Più tardi, Esmeralda la raggiunse, e le due cognatine si esibirono in danze esotiche e sensuali. Mentre osservavo ammaliato la mia giullare, Zacarias mi fece alzare dal mio posto, e mi spinse in mezzo alla danza. Io e Roxanne danzammo con una serie di girotondi e piroette, come quel giorno alla festa dei Folli. Il tempo trascorse in maniera piacevole, e nessuno sembrava avvertire la minima stanchezza. Mia sorella, giustamente, dovette ritirarsi a una certa ora, per riportare Zephyr in tenda per la nanna. Invece Febo rimase ancora un pò, stuzzicando il povero 
Quasi per convincerlo a bere una birra o a fare una gara a braccio di ferro. Nonostante fossi tentato, decisi di non toccare più di un bicchiere. Volevo mantenermi lucido per un buon motivo. Volevo rendere quel ricordo vivo nella mia mente, e niente e nessuno me l'avrebbe impedito. Mentre pensavo a quel dettaglio, mi girai verso la mia regina. Nella debole luce delle candele, il viso era modellato dalle ombre mentre gli occhi scintillavano come due stelle. il cuore riprese a battermi forte per quanto fosse bella. Sentendosi così osservata, mi sorrise lievemente e mi schernì:
- Cosa succede, Vostrà Maestà? Vi hanno mangiato la lingua? -. 
Con un desiderio bruciante, le avvicinai il volto e la baciai con passione. Come a voler rispondere alla provocazione, accarezzai le sue labbra con la lingua avida, e Roxanne mi ricambiò con trasporto. Era come se il resto del mondo attorno a noi fosse svanito, e fossimo rimasti solo noi due.
- Wooooooooow!- ululò Febo, ubriaco come una spugna e attirò l'attenzione degli altri - Ehy, voi dueee! Trovatevi una tendaaaaaa! -.
Nel chiasso generale, tra fischi e battiti di mani, ci distaccammo, rossi in volto. Ringhia come un cane innervosito, mentre Roxanne rise divertita. Quella sua reazione mi contagiò così tanto che lasciai perdere mio cognato. Ero troppo felice per arrabbiarmi. Quando anche la mezzanotte passò, ci congedammo dalla tavolata, e lasciammo i nostri amici a finire di festeggiare. A differenza di ciò che si aspettavano tutti, io e la mia sposa ignorammo la mia tenda color porpora, e ci barricammo nel nuovo teatrino. Quella sarebbe stata la nostra prima notte di nozze, e anche per quel motivo avevo rinunciato a ubriacarmi. Volevo godermi ogni singolo attimo di ciò che avremo fatto, quella stessa notte. Dietro al separé dalle pareti color vinaccio, c'era la mia regina che si stava preparando, mentre io la stavo aspettando già svestito, accomodato sul divanetto con una coperta di cotone viola. Nonostante non fosse la nostra prima volta, ero comunque eccitato come non mai, e stavo morendo dall'impazienza. Mi aspettai di vederla con le sue curve nude, pronta solo per me. Ma con mia grande sorpresa, quando si mostrò, rimasi con gli occhi fuori dalle orbite. Si era liberata delle vesti, ma il seno era parzialmente coperto dalla mantella coi campanelli. I fianchi erano nascosti da uno scialle rosso vivo dove correva la catena d'oro con i cammei. Petali di rosa rossa impreziosivano i lunghi capelli e sul suo volto c'era la mascherina in merletto. Quella visione, così insolita ma intrigante, mi fece impazzire più di quanto avessi immaginato. Le feci un cenno con la mano per attirarla a me, e quando mi raggiunse con passo suadente, la feci posizionare sopra di me, desideroso di farla nuovamente mia, e di essere suo.  Avevamo da poco iniziato la nostra danza, che lei si tolse la maschera e mi donò i suoi sguardi colmi di piacere, mentre la sua voce sussurrava il mio nome, 
portandomi all'estasi totale. La nostra " eclissi" durò per molto tempo, tra una pausa e l'altra, poiché non eravamo mai sazi l'uno dell'altra. Quando il sonno prese il sopravvento, ci ritrovammo accoccolati sui cuscini, scaldati dalla coperta e dai nostri corpi ancora accesi di passione. Prima di lasciarci trasportare nel mondo dei sogni, passammo gli ultimi minuti a guardarci e a sussurrarci ogni cosa che ci passava per la mente. Da quella notte avremo avuto tutta la vita davanti, e ci aspettavano tanti eventi che ancora non conoscevamo. Non vedevo l'ora di iniziare quella nuova avventura insieme a lei.
- Je t'aime - le dissi, baciandola sulla fronte, mentre lei si lasciava cullare dai battiti del mio cuore. Infine, tutto tacque, e ci addormentammo, l'una nelle braccia dell'altro.  

Il giorno seguente, la coppia di giullari si svegliò alle prime luci dell'alba. Roxanne diede il buongiorno al suo re, solleticandogli il pizzetto come faceva da sempre. Clopin le rispose donandole un sorriso, mostrando i suoi denti scheggiati. Infine, prima di iniziare il primo giorno della loro vita da novelli sposi, il re del piazzale si sollevò dai cuscini e rivolgendosi alla sua amata disse:
- Credo di avere un motivo in più per essere il re della Corte dei Miracoli. Perché finalmente ne ho avuto uno reale. Sei tu il mio miracolo, cherì -.
E da quel momento, i due giullari, innamorati follemente, non smisero mai di amarsi e furono i migliori sovrani che Parigi avesse mai visto in quella piazza. Questa è la storia. Una storia che parla di maschere. Di piccoli e grandi miracoli. Di scelte importanti e di prove da superare. Ma soprattutto, una storia d'amore. Il re dei giullari. Un uomo segnato dal doppio ruolo e dalla maschera. Un re senza scettro e corona, ma ricco nel cuore.
Ebbene sì, questa è la mia storia. Lo devo ammettere; ho sempre posto quesiti agli altri, aspettando comodamente il responso. Ma mai avrei immaginato di trovarmici come protagonista in uno di essi. Esiste, in questo folle mondo, qualcuno come me? Credevo che fosse impossibile, ma per mia fortuna, è divenuto reale. Scommetto che adesso vorrete sapere altre cose, altri avvenimenti e tutto ciò che la vita ha riservato a me e a Roxanne. Beh, in effetti c'è tanto altro da raccontare, ma questa è un'altra storia. Posso solo dirvi che da quel giorno, la mia vita è cambiata. Ho potuto assistere a un vero miracolo.  
Ora ponetemi pure un'altro quesito; può un cambiamento, così travolgente, da renderti una persona del tutto nuova? Rinunciare alla propria maschera o sfruttarla per il bene della persona amata?
Beh, credo che la risposta sia nel mezzo. Lo abbiamo imparato, io e la mia giullare. 
Ho sempre odiato i cambiamenti, ma lasciate che mi sveli una dolce verità: incontrare Roxanne, stravolgendomi col suo amore e coraggio, è stato il cambiamento più bello che potesse mai capitarmi.
Fine ( forse...)

Angolo dell'autrice:
Ed eccoci alla fine, miei cari! Non posso ancora crederci...e sento di non essere ancora pronta per dire che sia tutto finito. Infatti, avremo un capitolo extra ( perché ci sono ancora troppe cose da dire, e cose che ho tralasciato apposta ^=^) anche se in sintesi, questa è un finale vero e proprio. Non so se farò un sequel, ma di certo, se l'ispirazione mi aiuterà, scriverò anche dei capitoli che riguardano "momenti tagliati" che nella storia ho trascurato ^^ Spero che come idea vi piaccia <3 Detto questo, cari lettori e lettrici, spero con tutto il cuore che questa storia vi sia piaciuta, e ringrazio mille e mille volte tutti quelli che l'hanno seguita <3 <3 <3 Spero in seguito, di renderlo un libro, se tutto va bene. Incrociate le dita per me <3
Alla prossima carissimi ( e lasciate pure una vostra opinione finale <3 ) 

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Capitolo 21
*** El tango de Roxanne ***



                                                                         Capitolo Extra
                                                               El tango de Roxanne


Nonostante fossero passati due giorni dalla splendida cerimonia nuziale del 3 Marzo, i cittadini erano ancora carichi di euforia per omaggiare la novella coppia. Non era una cosa insolita, anzi, era nella più antica tradizione prolungare i festeggiamenti di un lieto momento come quello. E per tale motivo, in quei giorni, il piazzale di Notre Dame si riempì di gioia e allegria, con tanto di banchetti che durarono per ore e ore. Ovviamente. i due giullari fecero del loro meglio per far divertire tutti con i loro spettacolini, dove partecipò anche la piccola Cosette come personale assistente. In fondo, era il suo sogno poter diventare un'abile giullare, seguendo così l'esempio della coppietta. Manovrando i due pupazzetti, il petit Clopin e la petit Roxanne ( quest'ultima un regalino da parte della bambina ) venne raccontata l'avventura dei due eroi che tutti conoscevano. Perfino i più scettici e diffidenti nei confronti degli zingari, avevano cambiato opinione e imparato ad ammirare i due cantastorie. Questo era certo per la gente comune, ma ben presto anche per qualcun'altro, di alto lignaggio,  avrebbe scoperto il valore di quei due artisti, che vivevano solo di semplicità e umiltà. Tutto iniziò poco dopo la fine dei festeggiamenti di quel giorno, quando le prime luci infuocate del tramonto si accesero lungo l'orizzonte. Il capitano Febo, da poco tornato al piazzale, raggiunse il carretto e bussò alla porta. 
- Febo, che piacere!  Ci sei mancato oggi! - disse Roxanne invitandolo ad entrare - ti sei perso un grande spettacolo  -. 
- Cioè? La vostra esibizione con i pupazzi? - chiese incuriosito l'uomo dall'armatura dorata. 
Roxanne rise divertita e dopo essersi messa da parte, gli mostrò la risposta che cercava.
- Ohi, ohi...Febo, ti voglio bene e lo sai, ma ti prego abbassa il tuo vocione...mi scoppia la testa -.
Il re del piazzale era disteso sul divanetto, ancora col costume variopinto, e si manteneva sulla fronte un fazzoletto di stoffa bagnata. Dal tono della voce e dalla faccia, Febo capì subito a cosa si riferiva la violinista, e rise piano, tappandosi la bocca per non fare troppo baccano.
- Puoi essere fiero di lui. Ha vinto il primo posto alla gara "Tutto d'un fiato". Li ha stracciati di brutto - lo informò lei, bisbigliando. 
Il capitano si rilassò su uno sgabello di legno, e dopo aver consegnato un delizioso mazzo di fiori alla novella sposa, disse con voce bassa.
- Mi dispiace di non essere stato presente, ma ho avuto una giornata molto impegnativa. E sono qui non solo per farvi visita, ma perché ho un messaggio importante. Da parte di sua Maestà, re Luigi XI -.
Finalmente l'invito ufficiale da parte del sovrano, che aveva annunciato qualche tempo fa lo stesso Febo, era arrivato. Il capitano spiegò che il re si trovava a Tours, una piccola cittadina dove era solito fermarsi durante i viaggi, specialmente per riposarsi dato che aveva una certa età. 
- Il re spera che possiate raggiungerlo a Tours. Altrimenti dovreste aspettare ancora chissà quanto tempo prima del suo ritorno. E lui ha una grande ansia di conoscervi - terminò l'uomo dai capelli dorati, mentre aspettava un resoconto da parte della giullare.
Roxanne non poteva prendere quella decisione senza averne prima parlato con Clopin. Ammetteva però che il pensiero di fare un viaggio verso un nuovo posto,  sola col suo novello sposo, non le dispiaceva affatto. Dopo averci pensato su, la giullare fece un mezzo sorriso al capitano e rispose:
- Ne parlerò con lui appena si sveglierà. Ti faremo sapere il prima possibile, se non stasera, domani mattina -.
Detto ciò, Febo si alzò dal suo posto e si accinse ad uscire dal teatrino.
- Ah, quando avrà sfumato la sbornia, digli da parte mia " Questo è quello che succede quando non ci sono io. Se fossi stato presente, lo avrei lasciato a bocca asciutta, con i barili vuoti - sentenziò il capitano, con un tono basso ma beffardo al tempo stesso. 
Roxanne lo salutò con un risolino divertito e quando la porta si chiuse, si affrettò a cambiarsi d'abito. Quando le campane suonarono le otto di sera, la giullare era intenta a preparare la cena. Era avanzato parecchio cibo dalla tavolata di quel giorno, quindi era già tutto pronto. Nell'aria si diffuse un buon profumo di minestra alla zucca e carote, e ciò fece destare il re degli zingari. Avvertendo i suoi mugugni, Roxanne si avvicinò al divano con in mano una ciotola colma di acqua fresca. Appena gli occhi si aprirono, Clopin si passò una mano sul volto per togliersi la mascherina.
- Oh...è un angelo quello che ho davanti a me? - disse, ancora con la voce marcata dalle note dell'alcol.
- Impossibile - rispose sua moglie, ridendo - Tu non credi agli angeli -.
- Non ne sono più così sicuro, cheri... - aggiunse lui, per poi attirarla a se per baciarla con trasporto. 
- Sei ancora ubriaco... - disse lei, sussurrandogli sulle labbra. Clopin poteva anche essere un tipo passionale, ma era anche Roxanne, con quei modi sensuali e sfuggenti, a infuocare sempre di più il suo desiderio. Sembrava che lo facesse quasi apposta, per provocarlo.
- Forse...ma non di te, mon cher... -.
La situazione si stava facendo sempre più ardente, ma la giullare si ricordò della visita di Febo e a mal voglia dovette fermarsi.
- Placa i tuoi bollori, adesso. Dobbiamo parlare - disse infine lei, ricomponendosi sul divano.
Clopin rimase per un attimo confuso, chiedendosi cosa ci fosse di così urgente da interrompere quel momento così intimo tra loro.
- Devo preoccuparmi? - fece lui, allargando un sorrisetto ironico, mentre cercava di rimanere lucido e attento.
- Non esattamente - rispose la sua sposa, donandogli un'occhiata divertita e misteriosa.
Durante la cena, gli raccontò tutto ed espose la sua opinione in merito. La giullare riteneva che quell'incontro con il sovrano di Francia fosse molto importante e quindi non potevano rinunciarci. Insomma, non capitava tutti i giorni di ricevere un simile invito, per due gitani come loro per giunta. Vero, sarebbe stato tutto più semplice se l'incontro fosse avvenuto alla corte di Parigi, invece di affrontare un lungo viaggio fino a Tours.
- Vedila così: ci siamo da poco sposati, e abbiamo pensato a tutto tranne a un possibile viaggio di nozze. Sarebbe l'occasione giusta per noi - spiegò la violinista, mentre terminava la sua zuppa cremosa. 
Clopin ascoltò con calma, rigirando il cucchiaio di legno nella sua ciotola ancora piena. In effetti, sua moglie non aveva tutti i torti. Clopin era un po  restio ad allontanarsi nuovamente dalla Corte dei Miracoli, specialmente dopo tutto quello che era accaduto. Ma era anche vero, che da quando Armand non c'era più, la pace era tornata in città. Inoltre, poteva sempre contare sull'aiuto di suo cognato Febo. Il giullare stava ancora riflettendo sulla decisione,  ma guardando la sua Roxanne si rese conto che quel viaggio significasse davvero tanto per lei. Anche se si era adattata a quella vita, tra il piazzale e la Corte, dimostrando di essere degna del suo ruolo di regina, Roxanne rimaneva pur sempre una gitana nomade che aveva passato l'intera vita spostandosi da un posto all'altro. Forse, sentiva la mancanza di quello stile di vita e della sensazione unica di essere uno spirito libero.
- Sai che ti dico? - rispose finalmente il giullare - Credo proprio che dovremo prepararci per domani. Partiremo il prima possibile, cherì -.
A quel punto, il viso di Roxanne si illuminò di gioia e si gettò tra le braccia del suo sposo, con il rischio di fargli rovesciare la zuppa.
- Grazie, mon cher! - disse ad alta voce la giullare col cuore che le batteva forte. 
Dopo aver svuotato la ciotola, Clopin la strinse a se, facendola sdraiare sul divano. Col torace che premeva sul suo seno, non resisteva più dalla voglia di riempirla di carezze e baci, ma prima aveva una domanda che gli frullava in testa.
- Dimmi un po, ti ha detto qualcos'altro il mio cognatino? -.
Al solo ricordo, Roxanne si fece sfuggire una risatina, mentre attorcigliava le dita tra i capelli corvini del suo amato.
- In effetti sì. In poche parole, che se oggi fosse stato presente anche lui, ti avrebbe sconfitto alla gara - gli rivelò.
- Tsk, tutta invidia la sua! Lo sa benissimo che sono il migliore in fatto di svuotare boccali - proferì il giullare, con aria altezzosa.
- Davvero? - fece la sua sposa, con tono canzonatorio - E in cos'altro saresti il migliore? -.
- Lo capirai presto... - rispose Clopin in un bisbiglio, e solo in quel momento si lasciò andare, donando un bacio che fece sciogliere la sua violinista. 
Quella notte, non sarebbero tornati alla Corte dei Miracoli, poiché sarebbe stato un vero peccato rinunciare a quel cielo colmo di stelle, al suono delle campane e all'atmosfera così magica che solo il piazzale di Notre Dame poteva donare.

Pianificare e organizzare tutto per il viaggio non fu poi così difficile. Il giorno dopo, all'alba, i due giullari radunarono le prime cose essenziali e quando Febo ed Esmeralda andarono a trovarli, con il piccolo Zephyr, diedero a loro la notizia. I due sposini sarebbero partiti ancor prima di mezzogiorno. Li aspettava un viaggio molto lungo e non potevano perdere altro tempo. Intanto, il capitano scrisse una lettera per il re, dove avvisava dell'arrivo dei suoi ospiti, e fu mandata in maniera urgente usando un falco addomesticato dalle guardie.
- Mi raccomando fate molta attenzione - disse la zingara dagli occhi color smeraldo, dopo aver abbracciato calorosamente suo fratello e sua cognata.
- Anche voi. E tranquilli, torneremo presto - la rassicurò Clopin, per poi dare una carezza al suo nipotino che sgambettava tutto pimpante. 
- Portate i nostri saluti a tutti gli abitanti della Corte e avvisate i piccoli del piazzale del nostro viaggio - chiese Roxanne, rendendosi conto che per qualche giorno i bambini avrebbero sentito la loro mancanza. Quello era uno dei motivi per cui le dispiaceva dover lasciare Parigi, anche se per poco tempo. Prima di partire, decisero di fare una capatina veloce al campanile per salutare Quasimodo. Lì, sul suo tavolo da lavoro, in mezzo al mini piazzale, c'erano ancora le due statuine con le loro fattezze. Il campanaro rimase un pò dispiaciuto per quella partenza improvvisa. 
- Il piazzale non sarà più lo stesso, senza di voi - disse amaramente il gobbo. 
La coppia gli promise che sarebbero tornati il più presto possibile e gli avrebbero raccontato tutto di quella nuova avventura.
Ormai era arrivato il momento di partire, e dopo aver caricato l'interno del teatrino con tutto il necessario, i due sposini spronarono i cavalli e si lasciarono alle spalle il piazzale e infine l'intera città di Parigi. Secondo i calcoli ci avrebbero impiegato almeno cinque giorni per arrivare a Tours. Il viaggio era da poco iniziato e i due giullari si stavano già godendo dei momenti allegri e spensierati. Quando calarono le ombre della sera, si accamparono nei pressi di una brughiera e accesero 
un falò per cuocere lo stufato e scaldarsi. Com'era bello il paesaggio di quella serata! L'aria profumava di erba bagnata e il cielo notturno era tempestato di stelle luminose. Roxanne aveva vissuto varie volte quell'esperienza, sia con i suoi genitori che da sola. Ma era tutta un'altra sensazione in compagnia del suo giullare. Rimasero per tutto il tempo davanti al fuoco, l'una accanto all'altro, ammirando le stelle e la luna su quel mantello nero chiamato cielo.
- Ne senti la mancanza? - chiese a un certo punto Clopin, mentre osservava lo spicchio lunare. 
Roxanne lo guardò con aria interrogativa, ma seguendo il suo sguardo comprese ciò che intendeva. La giullare girò il volto del suo sposo nella sua direzione, facendo tintinnare l'orecchino a cerchio dove dondolava il ciondolo del sole e della luna. 
- La verità, un po sì - affermò lei - ma davvero, non ho alcun rimpianto. Se dovessi tornare indietro, farei nuovamente la stessa scelta -. 
Da quando aveva accettato di sposarlo e diventare la regina degli zingari, spesso Clopin si era chiesto se quella era la vita che la sua amata desiderasse. Sapeva quanto fosse grande l'amore per lui,  ma forse la Corte dei Miracoli era troppo piccola per lei. Si chiedeva se tutto ciò fosse giusto. Clopin si lasciò invadere dal calore di quella pelle candida, per poi aggiungere con una nota malinconica:
- Sai, pensandoci, avrei potuto portarti a Marsiglia, la tua terra d'origine. Quella sì, che sarebbe stata la metà perfetta per un viaggio di nozze -.
Il giullare conosceva bene sua moglie ed era certo che uno dei suoi desideri più profondi, fosse tornare un giorno in quella splendida città del sud della Francia, bagnata dal mare azzurro e dalle coste baciate dal sole.
- Vorrei poterti dare di più - confessò infine il giullare, sospirando impotente.
La violinista gli sorrise dolcemente. Ecco perché si era innamorata di lui ed ogni volta sentiva di amarlo sempre di più.
- Mi hai già donato la cosa più bella del mondo - disse lei, accoccolandosi tra le braccia dello zingaro - Non c'è nient'altro che io desidera. Fin quando ci sarai tu la mia vita è meravigliosa -.
A quella confessione, Clopin strinse più forte la sua sposa, gettandosi alle spalle tutti i dubbi che lo avevano turbato. Ciò che aveva detto Roxanne valeva anche per lui. La sua vita non avrebbe avuto più senso se non ci fosse stata lei. Il mondo era una grande commedia, fatta di maschere e finzione, ma da quando si era follemente innamorato della giullare, aveva cominciato davvero a vivere. Non importava quanto fosse difficile, insieme a lei sentiva che era capace di superare ogni cosa. L'aria della notte si stava facendo più fredda e allora lo zingaro prese in braccio la sua amata, cogliendola di sorpresa.
- Che fai?! - rise lei, con le braccia attorno al collo di lui.
- Vi conduco nella nostra alcova, mia Regina. Non posso permettere che vi venga un malanno - rispose Clopin, con un'espressione furbetta e ammaliante.
Era proprio vero. Bastava essere in due, con un piccolo carretto e un amore così grande, per essere felici.

I giorni seguenti furono tranquilli. Il viaggio non ebbe ne incidenti ne imprevisti. I due sposini non persero mai di vista la strada ma allo stesso tempo coglievano ogni occasione per passare qualche momento spensierato. Come ad esempio, durante una sosta, Roxanne sfidò il suo giullare in una corsa fino a un prato ricoperto di fiori. Il perdente che sarebbe arrivato per ultimo, avrebbe guidato il carretto per tutto il resto della giornata. Il povero Clopin si ritrovò con il fiatone e la penitenza da pagare. Ma per sua fortuna, ci furono anche momenti molto piacevoli. Quando arrivarono nei pressi di un fiume ( che li avrebbe guidati fino a Tours) la violinista scese dal carretto e dopo essersi liberata delle vesti, entrò in acqua, invitando suo marito a raggiungerla. Naturalmente, Clopin non se lo fece ripetere due volte. Il loro primo bagno insieme. Nonostante l'acqua fredda, il calore dei loro corpi abbracciati bastò per fargli vivere con piacere quell'esperienza. Peccato che non poterono soffermarsi troppo a lungo. Era il quinto giorno e dovevano presentarsi al re prima che tramontasse il sole. Finalmente arrivarono alle porte della città di Tours, e con loro grande sorpresa, una notevole folla si accalcò vicino al carretto. Evidentemente la loro fama da eroi di Parigi li precedeva, dato che gli abitanti li accolsero con omaggi ed elogi. Alcune guardie dalle uniformi reali guidarono la coppia verso il castello dove li attendeva il sovrano. All'interno del palazzo tutto era arredato con mobili antichi e quadri che raffiguravano membri dell'alta nobiltà. L'atmosfera sembrava alquanto tenue, ma Roxanne si sentiva molto emozionata. Ciò che però la preoccupava era lo stato d'animo di suo marito. Conoscendolo, sapeva che i membri di alto rango non gli suscitassero molta simpatia. Forse, era anche per quel motivo che fin dall'inizio aveva esitato ad accettare l'invito. Il valletto che faceva strada alla coppia si fermò sull'uscio di una porta aperta. I due giullari si fermarono a loro volta e attesero. 
- Vostra Maestà vi presento Clopin Trouillefou, giullare del piazzale di Notre Dame a Parigi, e la sua consorte Roxanne Carraro Trouillefou -.
I due giullari, allora, fecero il loro ingresso nella stanza, cercando di mantenere un'aria serena e rilassata. Davanti a loro, seduto su un divano pomposo, c'era un uomo dall'apparente età si 60 anni, di corporatura tozza, capelli grigi, e con un naso a patata. Sembrava un placido vecchio, ma i suoi occhi stretti e scuri rivelavano una gran forza d'animo. La coppia si era fermata a pochi metri da quel divano, e Roxanne fu la prima a fare una riverenza, abbassando il capo. Clopin rimase per qualche secondo immobile, poi fece un leggero inchino senza sforzarsi troppo. Lo zingaro non conosceva personalmente quell'uomo, ma aveva sentito varie voci sul suo conto. Luigi XI, detto anche " il prudente" per via del carattere scettico. Era nota a tutti la sua diffidenza nei confronti di chiunque non contribuisse al proprio dovere civico e che fosse causa di disordine sociale. Una diffidenza rivolta anche verso gli zingari. Schiarendosi la voce, il sovrano cominciò a parlare:
- Siate i benvenuti a Tours, mia devota cittadina e luogo di riposo. Spero che abbiate fatto buon viaggio e che la vostra permanenza sia di vostro gradimento -.
La voce del sovrano sembrava così calma e gentile. Magari, non era così male come persona.
- Grazie, Vostra Maestà - fece Roxanne, piacevolmente colpita da quella accoglienza - siamo così onorati del vostro invito -. 
Il re rimase ad osservare per un pò la figura della violinista, squadrandola dalla testa ai piedi. La giullare provò un improvviso senso di disagio.
- Roxanne Carraro, vero? Ho sentito parlare molto di voi - proferì infine il sovrano - come ad esempio, che nelle vostre vene scorre il sangue dei Roux. " I gitani della falce lunare ". Il mio caro nonno ebbe contatti con i vostri antenati, e ne ha sempre portato un piacevole ricordo -.
Nonostante quegli occhi indagatori fossero così cupi, Roxanne non distolse lo sguardo, e con fierezza fece un cenno col capo. Poi, il re si rivolse a Clopin, che era rimasto ad osservare la scena con aria vigile.
- Clopin Trouillefou. Mi hanno riferito che siete molto famoso a Parigi, ma tutti si rivolgono a voi in tanti modi. Il giullare di Notre Dame. Il re del piazzale. Il mago delle feste...titoli degni di un "vero re" - disse il vecchio, marcando il tono della voce sulle ultime parole.
Lo zingaro serrò gli occhi color carbone. Lui sa benissimo chi sono, disse fra sé. Non era un segreto che Luigi fosse a conoscenza della situazione a Parigi,  e che la popolazione dei gitani avesse creato quel rifugio conosciuto come la Corte dei Miracoli.
- Non sono i titoli a rendere Re una persona, sire, ma le scelte e le azioni giuste verso il popolo - rispose lo zingaro - e se ciò basti a fare di un semplice giullare un sovrano, allora sono lieto di poter parlare al cospetto di un mio pari, seppur di grado superiore al mio -.
Il re rimase per un attimo ammutolito da quelle parole, che mai si sarebbe aspettato di udire dalla bocca di un misero zingaro.
- E proprio perché vi ritenete "un mio pari" che avete eliminato uno della vostra razza? - chiese a un certo punto il sovrano. 
Roxanne sentì che quella era una domanda scomoda e si girò verso il suo giullare. Come a volerla rincuorare, suo marito le prese la mano.
- Ho solo fatto ciò che ritenevo giusto, sire, e per proteggere chi amo - rispose, stringendo di più la mano della sua amata - Vorrei anche precisare, che Armand non faceva assolutamente parte della "mia razza". E nonostante non sia stato il mio coltello a porre direttamente fine alla sua vile esistenza, lo avrei comunque cancellato dalla faccia della terra. Voi, probabilmente, avreste agito nello stesso modo se un traditore del vostro popolo avrebbe minacciato la vostra vita o quella dei vostri cari. E vi parlo non da Re, ma da semplice uomo che esige giustizia -.
Udendo ciò, il sovrano rimase colpito dal carattere fiero e sincero di quel gitano che, ormai ne era certo, si trattasse davvero del re della Corte dei Miracoli. Ma la sua natura scettica rimase ancora intatta, e allora mise all'opera il suo piano.
- Sono d'accordo con voi, Monsieur Clopin. In fondo, grazie a voi e alla vostra consorte, avete reso un gran favore sia a me che a Parigi. Quel fuorilegge ci stava causando parecchi grattacapi. Avevo anche posto una ricompensa in denaro sulla sua testa, ma di questo ne riparleremo nel dettaglio più tardi. Esattamente dopo cena e dopo la vostra esibizione -.    
Il sovrano aveva da poco terminato di parlare, che i due giullari rimasero di sasso e si scambiarono un'occhiata confusa.
- Perdonatemi, Vostra Maestà, avete detto " esibizione" ? - riuscì a dire Roxanne, rompendo quell'attimo imbarazzante.
- Certamente. Stasera saranno presenti tutti i nobili di Tours per festeggiare il vostro trionfo. Uno spettacolo nel vostro stile, di certo, delizierà i commensali - spiegò il sovrano, con una sicurezza disarmante che fece crollare nell'ansia la coppia.
- Ma...non ci è stato anticipato niente del genere dal vostro messaggio d'invito - aggiunse poi la giullare, cercando di mantenere un tono garbato.
Intanto Clopin avvertiva una sensazione fastidiosa salirgli verso la testa. Era ovvio che quel vecchio astuto li stesse mettendo in difficoltà.
- Suvvia, siete pur sempre artisti di strada. Sono sicuro che per gente come voi non sarà un problema - disse Luigi, che non aveva la minima intenzione di accettare obbiezioni. In quel momento, il re degli zingari, non riuscì più a trattenere la lingua.
- Per essere il re " prudente" mi sembra che poniate molta fiducia su " gente come noi" -.
Quella frase scivolò dalle labbra del giullare come un fiume in piena, ma era chiara come il cristallo. Il sovrano, che nonostante l'età aveva l'udito sano, fulminò con lo sguardo il suo ospite, mentre il valletto lì vicino trattenne il respiro.
- Come, prego? - fece Luigi, allungando la testa in direzione del giullare. 
"Oh, sì, avvicinati di più e userò quelle belle corde dei tuoi tendaggi per appenderti come so fare solo io! Vedrai che spettacolo ti daremo!"
Clopin era sul punto di accontentare quel vecchiaccio presuntuoso, ma la mano di Roxanne si fece più stretta come a volerlo calmare dalla foga del momento. Il giullare si rese conto che quello non era l'atteggiamento giusto e nemmeno quello più furbo. Seguendo l'esempio calmo di sua moglie, decise quindi di agire con astuzia, adottando uno spirito più moderato. Non sarebbe caduto in quel tranello, facendo così il gioco del sovrano.
- Mi sono espresso male - riprese così il cantastorie - Dovete capire, sire, proprio perché siamo umili artisti di strada, siamo disorientati da tanta fiducia da parte vostra. Non ci siamo mai esibiti a una corte come la vostra, e se non ci verrà data la possibilità di prepararci, potremo deludere le vostre aspettative. Vi preghiamo, dunque, di darci qualche ora a disposizione, giusto il tempo per organizzare tutto, così da assicurarvi un'esibizione coi fiocchi -.
Fortunatamente quella richiesta fu accolta dal monarca, e ordinò a una domestica di accompagnare gli ospiti nella loro camera personale, in modo che si potessero riposare dal lungo viaggio. Appena i due si trovarono soli nella grande stanza, il re degli zingari si lasciò cadere sul letto a baldacchino, sbuffando e serrando i pugni dalla rabbia. 
- Maledetto vecchiaccio! Che umiliazione! - ringhiò lui, senza badare alle coperte morbide e al calore che proveniva dal camino acceso.
Roxanne si tolse lo scialle dalle spalle, e si accomodò su un lato del letto, accanto a suo marito.
- Poteva andarci peggio, sai - gli fece notare lei - una parola di troppo e gli avremo dato il motivo valido per cacciarci fuori. O buttarci in cella -.
Anche se avvertiva ancora quella fastidiosa sensazione, Clopin doveva ammettere che la sua sposa aveva ragione. Quell'uomo li stava mettendo alla prova e aspettava un solo passo falso per dimostrare che la sua antipatia verso gli zingari era più che giustificata. Il re del piazzale fece un respiro profondo.
- E adesso cosa ci inventiamo?- chiese ad alta voce, mentre si toglieva il cappello violaceo e facendolo volare per aria.
La sua amata allungò un sorriso mesto per dargli coraggio, e cominciò a solleticargli il pizzetto.
- Qualsiasi cosa che ci verrà in mente. Siamo o non siamo artisti di strada? - tagliò corto lei, riuscendo a strappargli una lieve risatina.

Dopo essersi preparati, indossato mascherine e muniti di pupazzetti, i due artisti si presentarono nel salone addebito alle feste e ai balli. Ai lati e al centro della sala correva una lunga tavolata, imbandita e decorata con candele, calici d'argento, piatti di ottone, e tante pietanze che facevano venire l'appetito solo a guardarle. Il re Luigi li presentò ai suoi amici come ospiti d'onore. Molti nobili dimostrarono curiosità nei confronti dei due eroi di Parigi, mentre altri rimanevano un pò distaccati e preferivano non scambiare parola con loro. Invece, proprio come avevano deciso insieme, i due giullari mantennero un comportamento calmo e rilassato, rispondendo alle domande ed evitando commenti scomodi in qualche discussione. La cena fu ottima, e dopo aver soddisfatto gli stomaci, il sovrano era già in ansia per assistere a qualche spettacolo. Clopin, allora, approfittando che tutti i commensali erano ancora seduti, scivolò dal suo posto e si nascose insieme a Roxanne sotto il tavolo. Dal bordo della tovaglia sbucarono fuori quattro pupazzetti, guidati dalle mani del giullare e dai 
piedi della violinista. Misero in scena una commedia esilarante, e tutte le dame e i nobili risero di gusto. Anche il re sembrava apprezzare quella esibizione, ma cercava comunque di non risultare troppo divertito. Quando lo spettacolino terminò, i commensali riempirono l'atmosfera di applausi e qualcuno chiese addirittura il bis. La serata proseguì senza intoppi, e alla fine il re fece un'ultima richiesta. Una ballata in stile gitano. I due, allora, presero posto al centro della sala, dove tutti potevano assistere alla scena. Dopo un breve silenzio, Roxanne fu la prima a muoversi e sfregando l'archetto sulle corde del violino, un suono melodioso vibrò nell'aria. Clopin, a pochi metri di distanza, si esibì in una danza armoniosa, fatta di movimenti fluidi e giravolte ritmiche. Quei passi venivano dalla sua terra natia, la lontana e calda Andalusia. Invece, Roxanne, fece ondeggiare la gonna con le sue piroette, e i cammei dorati della catena tintinnarono come campanelli. Una danza che aveva imparato da sua madre e che faceva parte della tradizione dei Roux. Un miscuglio di due tradizioni diverse, ma che unite insieme stavano creando qualcosa di affascinante e irresistibile. Sotto gli occhi sbalorditi dei presenti, i due continuarono a danzare separati, fino ad avvicinarsi man mano, e i loro volti si incontrarono. Gli occhi del giullare si incatenarono a quelli della sua amata, e si fermarono per un secondo.
- Sei nervosa, cheri? - le domandò a bassa voce lui, approfittando di quel momento. Poi le cinse il fianco con un braccio.
- No...non più - gli rispose lei, mentre sollevava di un pò l'archetto per ricominciare a suonare.
Era ovvio. Dopo tutti gli ostacoli superati, i due giullari avevano imparato a vincere le proprie paure. Roxanne aveva smesso di nascondersi nella penombra per evitare il giudizio altrui. Clopin aveva smesso di nascondere i propri sentimenti e aveva accettato il passato per accogliere il futuro. E insieme, avrebbero superato anche quel traguardo senza indugi. Il violino emise una nuova melodia, più veloce e più travolgente. I due artisti, senza sciogliere il contatto visivo, girarono su se stessi. Quei passi li fece ritornare indietro, a quel memorabile giorno in cui avevano ballato per la prima volta. Clopin la prese per la vita 
e la fece volteggiare proprio come quella volta al ruscello. Dopo averla lasciata libera, il giullare afferrò una sedia vuota e la trascinò al centro della sala. Roxanne, con un movimento agile delle gambe, ci salì sopra e si esibì in equilibrio su una sola gamba, lasciando di stucco il pubblico. Infine, il giullare tirò fuori dal suo cappello una manciata di coriandoli che volarono in alto come minuscoli petali. A quel segnale, Roxanne saltò giù dalla sedia, e atterrò tra le braccia del suo amato. Clopin volteggiò con lei fino a quando la musica non sfumò e allora una vaporosa nuvola rossa esplose per poi espandersi. I due giullari erano spariti dalla vista di tutti, e ciò che rimase fu una manciata di coriandoli e della polvere colorata. Dopo un attimo di silenzio, il re Luigi fu il primo a battere le mani, e così anche il resto dei commensali si unirono all'applauso. Con grande sorpresa generale, i due artisti uscirono allo scoperto da sotto il tavolo centrale, dove si erano nascosti, e si inchinarono per raccogliere quelle attenzioni. Tutto era andato per il verso giusto, e Roxanne, raggiante come un astro splendente, donò un sorriso smagliante al suo giullare. Quello fu il ballo più bello e indimenticabile che avessero mai fatto insieme. Dopo aver ricevuto innumerevoli complimenti dai nobili, la coppia raggiunse il sovrano nel salotto privato per poter discutere indisturbati. 
- Un' esibizione molto originale - cominciò il re - Era da parecchio tempo che non mi emozionavo così tanto. E poi, voi Clopin, sapete bene come intrattenere gli ospiti -.
Quel giudizio inaspettato fece riempire d'orgoglio il re del piazzale e per un attimo dimenticò i momenti scomodi avvenuti qualche ora fa.
- Per tale motivo, miei eroi, lasciate che vi faccia una proposta: non solo vi pagherò la ricompensa per la dipartita di Armand. Ma desidero nominarvi miei cantastorie personali. Non dovrete più vivere in condizioni misere a Parigi. Avrete una stanza tutta vostra e un compenso fruttuoso ad ogni spettacolo che farete alla mia Corte. Potrete anche venire a vivere qui a Tours, se lo gradite. E' un'offerta vantaggiosa -.
Quando il sovrano pronunciò quella richiesta, i due giullari non potevano credere alle proprie orecchie. In effetti, quella era davvero una generosa offerta. Accettandola, la coppia poteva considerare il proprio futuro ricco e agiato, e avrebbero avuto una vita pari a quella delle ricche famiglie. Ma i due sposi non avevano bisogno di rifletterci a lungo, e dopo essersi scambiati uno sguardo di intesa, Clopin si rivolse al sovrano:
- Vostra Maestà, vi siamo davvero grati per la vostra generosità. Ma, non possiamo accettare -.
A quella risposta, il vecchio monarca aggrottò la fronte. Solo un folle avrebbe rinunciato a quell'occasione unica.
- Perché mai? - chiese, lievemente confuso.
- Sono certa che possiate capire, sire, che anche noi abbiamo delle responsabilità - prese la parola Roxanne - Anche se il nostro "reame" non è così vasto, abbiamo dei doveri nei confronti della nostra gente. Se non fossimo pienamente consapevoli del nostro ruolo, avremo accettato subito la vostra offerta. Inoltre, vogliamo rimanere i giullari di Notre Dame, per continuare a servire il buon umore ai bambini e alla povera gente. E' quello il nostro posto -.
In quel momento, negli occhi del sovrano, così cupi, si accese una luce piena di ammirazione. Con un mesto sorriso egli disse:
- Forse, sono stato troppo malevolo al nostro primo incontro, quando ho messo in dubbio la vostra "regale figura". Avevate proprio ragione, Re Clopin. La lealtà di un sovrano verso il popolo vale più di ogni altra cosa. E dietro a un grande re, c'è una grande regina -.
Gli occhi del monarca si posarono su Roxanne, e la violinista provò un gran senso di fierezza e gioia. Quella serata però, terminò comunque con una seconda proposta del sovrano, altrettanto vantaggiosa. Tra un mese Luigi sarebbe tornato a Parigi. Da lì, per celebrare la stagione dei balli, ogni terza domenica di ogni mese, i due giullari si sarebbero esibiti alla sua corte, ricompensati con cibo e denaro. In questo modo avrebbero mantenuto il loro stile di vita sia come regnanti della Corte dei Miracoli, sia come giullari del piazzale. Clopin e Roxanne accettarono con grande gioia e ringraziarono immensamente il re. Una volta tornati nella loro stanza, si rilassarono, cantando e ballando per la stanza, e sorseggiando vino rosso. 
- Oltre alla bella notizia, cosa racconteremo agli altri alla Corte? - chiese a un certo punto Clopin, mentre si sistemava sui cuscini del lettone.
Con tutto il da fare che avevano avuto per preparare lo spettacolo, non avevano avuto neanche il tempo di godersi quella stanza così lussuosa. Roxanne, seduta vicino a suo marito, fece vagare lo sguardo per la camera e dopo aver bevuto dell'altro nettare rosso rispose.
- Che abbiamo avuto il privilegio di dormire in una vera camera regale -.
Felici e spensierati, i due risero scambiandosi qualche occhiata, fino a quando rimasero in silenzio. Clopin mise da parte il calice mezzo pieno. 
- Già, dormire... - aggiunse con una nota maliziosa, mentre si allungava su di lei, intrappolandola col suo corpo e con lo sguardo. 
Con il viso rosso come una mela, Roxanne accolse sulle sue labbra il bacio imminente, mentre le mani del suo amato scivolarono sul seno e sulle gambe. Ad un tratto un leggero scoppiettio della legna, proveniente dal camino accesso, interruppe quel momento focoso. 
- Stai pensando a quello che sto pensano io, cherì?...- chiese Clopin, già intento a sciogliere i nastri del corsetto rigido di lei.
- Spero proprio di sì... - sussurrò Roxanne, con gli occhi vermigli che brillavano come gemme alla luce del sole.

Diversamente da come ci si potesse aspettare, i due giullari ignorarono il lettone e scelsero il tappeto davanti al camino. Quello spazio insolito era così familiare, e ricordava la loro prima volta nel carretto, in mezzo al bosco. La giullare aveva fin da subito preso il comando, nella sua posa da amazzone, sopra di lui. E pensare che quella posizione era ritenuta proibita da molti popolani religiosi. Ma a Clopin non interessava, sia perché non faceva parte di quella cerchia di fanatici, sia perché aveva scoperto di non poterne fare a meno. Avere la sua sposa in quel ruolo così attivo gli dava un piacere ineguagliabile. Ma a un
certo punto, forse per la troppa passione, il re dei giullari riprese il controllo e si ritrovò su di lei, donandole tutto il piacere che poteva offrirle. Quando la danza terminò, Clopin si rilassò poggiando la testa sul petto di sua moglie. Riusciva a percepire il cuore che martellava come fosse impazzito. Roxanne non riusciva a frenare la corsa dei suoi respiri e un leggero tremore scuoteva le sue gambe tese.
- Perdonami, mon cher... - si scusò lui, sollevando la testa per guardarla - forse sono stato troppo... selvaggio -.
La giullare cercò di regolare il respiro e affondando le mani tra i capelli di suo marito, posò gli occhi su di lui.
- Sto bene... - lo rassicurò, donandogli un sorriso che era un misto tra stanchezza e soddisfazione. Con le sue curve nude e i capelli lunghi che le incorniciavano il capo, sembrava una ninfa vergine che aveva da poco scoperto la passione nella sua forma carnale.
- E' stato meraviglioso... - confessò lei, accarezzandogli una guancia.
- No, tu sei meravigliosa, cherì - specificò lui, baciandole delicatamente la mano - Ti adoro -.
Quando l'ultimo pezzo della legna si consumò, i due giullari erano già addormentati accoccolati tra i cuscini. Il giorno dopo, quando erano pronti per ripartire, il re consegnò un sacco pieno di monete d'oro, sia per la ricompensa sia per la loro esibizione. Augurando un buon ritorno a casa, Luigi li salutò amichevolmente e il carretto si allontanò con un corteo festoso fatto di cori gioiosi. Dopo qualche giorno la coppia ritornò a Parigi e fu accolta festosamente da tutti gli abitanti del piazzale e della Corte. La soddisfazione e la gioia degli amici fu grande quando seppero le ultime novità, e fu un buon pretesto per tornare alla taverna di Marcel per condividere quella bella notizia. Dal canto suo, Luigi fu un uomo di parola, e quando fece ritorno in città, mandò il suo valletto al piazzale per invitare ufficialmente i suoi giullari prediletti. E così, come era stato stabilito, ogni mese ci fu una festa e uno spettacolo, che i due giullari vissero con allegria. Per di più, la fiducia e la stima del re nei loro confronti, crebbe così tanto che ci fu un proclama: il sovrano di Francia aveva stabilito una legge che proteggeva tutti gli zingari e i gitani che facevano parte della Corte dei Miracoli. Grazie a quella regola, molti zingari onesti non dovettero più nascondersi o temere la presenza delle guardie reali. In seguito, alcuni abitanti della Corte decisero di trasferirsi ai piani alti per una vita normale come tutti. Ma forse, c'era un motivo in più dietro a quella legge: assicurando la sua protezione, il sovrano poté invitare i suoi giullari preferiti a seguirlo nei suoi abituali viaggi, tra una città all'altra. E grazie a ciò, i due regnanti realizzarono un piccolo sogno che avevano addirittura dimenticato. Mantenendo il ruolo di re e regina, andarono a vivere nei pressi di quel ruscello, nel boschetto immerso nella natura che era stato testimone del loro amore. Con i loro sforzi, non solo la prosperità e la serenità resero migliore la vita del popolo gitano, ma avevano 
anche conquistato quella libertà che tanto desideravano. Ovviamente, non si dimenticarono di tornare spesso alla Corte per accertarsi della situazione e ogni mattina si presentarono nuovamente al piazzale per donare felicità e gioia al loro piccolo pubblico. E fu proprio una di quelle mattine, qualche tempo dopo, mentre Roxanne guardava il cielo con lo sguardo perso, che Clopin le annunciò con un sorriso solare:
- Nuove notizie! Luigi ci ha invitato a seguirlo in un nuovo viaggio. Indovina dove siamo diretti? -
- Dove? Su, dimmelo sono curiosa! - esclamò lei, scuotendolo per la mantella coi campanelli.
- Marsiglia -.  
La giullare esplose dalla gioia e gettò le braccia al collo del suo grande amore. Da qualche settimana si sentiva strana, più sensibile, più emotiva. Non ne era sicura, ma forse qualcosa di nuovo stava crescendo dentro di sé. Ma era ancora presto per dirlo. Con occhi languidi, i due giullari si baciarono, mentre l'aria primaverile si stava diffondendo nel piazzale e le campane risuonarono come un eco paradisiaco.
- Wooooooow - ulularono un gruppetto di bambini sotto al davanzale del carretto, cogliendo sul fatto la coppietta. 
I due giullari sorrisero un po imbarazzati, e dopo essersi ricomposti, con la loro solita allegria e vivacità, si affrettarono per quel pubblico di pargoli.
- Pronti per una nuova storia? - canticchiarono i due pupazzetti e in risposta si elevò un coro eccitato.
E fu così, che in quel giorno, nella grande piazza, un nuovo racconto stava prendendo vita nel carretto del re e della regina dei giullari. 

Angolo dell'autrice
" UN GRANDE SOSPIRO" Bene gente, e con questo capitolo extra ( o non so, finale alternativo, come volete definirlo...o capitolo 21 XD ) possiamo dare una fine a questa storia. Per essere un capitolo extra è stato più difficile degli altri, ( mah non lo so, sarà perché volevo cercare di non renderlo banale e mi sono incasinata parecchio, e per questo motivo ci ho messo un bel pò). Comunque ammetto che, come noterete, ci ho aggiunto varie parti, vaghi e non, dove i due piccioncini si " concentrano" molto su loro due <3 E voglio dire, ci voleva anche XD Inoltre, ora immagino che molti si chiederanno se Roxanne sia rimasta incinta di Clopin <3 Ma sapete, fin dall'inizio non avevo alcuna intenzione di terminare il tutto con un evento simile ( che ho visto e stravisto in altre storie. Non che ci sia qualcosa di male O.O) ma penso che il cambiamento, quello essenziale, lo abbiamo visto già nel capitolo precedente. E poi, una storia d'amore non deve per forza terminare con un bebè in arrivo, per quanto sia una bella cosa. Quindi, ho voluto lasciare la cosa molto vaga ( che può essere sì o no, lascio decidere a voi lettori XD) anche perché credo che Clopin e Roxanne abbiano già trovato la piena felicità insieme. Comunque, volevo informarvi che la prossima storia che scriverò sarà tipo un crossover, ma nel senso temporale. Sotto richiesta della mia amica Dreamereby, la trama sarà quella del film animato Anastasia ma i personaggi saranno quelli del gobbo di Notre Dame ( sì, ancora loro XD e il bello è che ci sarà anche Roxanne tra loro ). Come ultima cosa, se riuscirò, scriverò anche altri capitoli extra, un pò corti, dove descriverò nel dettaglio alcuni momenti "mancati" della storia tra i due giullari. Ultimissima cosa, vedrò di fare una versione più " originale" del racconto, in modo da poter sperare di farmela pubblicare ** Detto ciò, io vi ringrazio per aver seguito la mia storia e per avermi accompagnata in questo lungo viaggio. Per me è stato davvero importante.
Alla prossima <3 Vi voglio bene <3 

Note: Dovete sapere che nel Medioevo, la posizione sessuale dell'amazzone era ritenuta proibita perchè, almeno secondo i religiosi, portava la donna ( vista ancora come essere inferiore e più rivolta a peccare facilmente ) a sottomettere l'immagine dell'uomo, e quest'ultimo perdeva tutta la sua credibilità autoritaria e quindi superiore alla donna. ( ma quanti complessi si facevano >>! ). Ma meno male che Clopin non è così ( è ateo XD) e si dona con piacere alla sua Roxanne <3 Bravoooo! 
Per quanto riguarda la cerimonia nuziale, che la coppia fosse povera o ricca, i festeggiamenti potevano durare per giorni, e si organizzavano tavolate immense perfino dentro la chiesa. E se il cibo era troppo, bisognava cercare di mangiarne il più possibile ( sì, insomma, fino a farti scoppiare lo stomaco XD). 
Fonti: Vivi Everyday ( seguite i suoi video <3 )
Una curiosità su Luigi XI, era davvero detto " il prudente" per il suo scetticismo, e Tours era la sua cittadina preferita e devota. Inoltre, giusto per farvi sapere, morirà nell'agosto dello stesso anno che ha conosciuto i giullari, purtroppo ç_ç 

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