Amore raccolto

di Leotie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dolore ***
Capitolo 2: *** Severus Piton (Parte 1) ***
Capitolo 3: *** Severus Piton (Parte 2) ***
Capitolo 4: *** Destini ***
Capitolo 5: *** Litigi e chiarimenti ***
Capitolo 6: *** A non buttarsi si butta una vita ***
Capitolo 7: *** Morire ***
Capitolo 8: *** Pensatoio di ricordi ***
Capitolo 9: *** Salvezza ***
Capitolo 10: *** Piani falliti ***
Capitolo 11: *** Paure e gioie ***
Capitolo 12: *** Brutti sogni ***
Capitolo 13: *** Traguardi e rimproveri ***
Capitolo 14: *** Diagon Alley ***
Capitolo 15: *** La Notte Araba ***
Capitolo 16: *** La grande quercia ***
Capitolo 17: *** Battaglia interiore ***
Capitolo 18: *** Impotenza ***
Capitolo 19: *** Lacrime salvifiche ***
Capitolo 20: *** Scomparsi ***
Capitolo 21: *** Aggiornamento ***



Capitolo 1
*** Dolore ***


//Miei gentili lettori, mi preme avvisarvi che questa storia è in revisione e aggiornamento. Spero che la lettura sia gradita!
A presto.


Un gesto. Sarebbe bastato un semplice gesto per mettere punto a quella squallida vita che non meritava di essere vissuta come tale. Ma il piccolo bambino rinchiuso nell’armadio sotto le scale, unico posto che aveva considerato “casa” da quando aveva memoria di sé stesso, non poteva saperlo.

Era considerato comunemente strano che un infante ricordasse eventi o dettagli che, invece, altri non avrebbero rammentato. Harry, però, lo faceva.

Alcuni incessanti colpi diruppero all’interno dello squallido armadio, provocando il tremolio delle ragnatele lì annidate e svegliando l’occupante di soprassalto, il quale, di solito, non si addormentava mai così profondamente, vista la perenne allerta che intirizziva ogni centimetro del magro corpicino.
Allungò una manina verso i suoi occhi e li strofinò, scacciando via la sonnolenza che reclamava nuovo possesso, mentre tra le sue palpebre si faceva strada la fioca luce direzionata dalle fessure dei bordi di legno della porta, consumatasi a causa del continuo e violento sbattere dell’anta contro lo stipite.

Fece scivolare via con qualche spazzata di braccio la logora copertina scolorita, cui sopra erano disegnati una manciata di personaggi Disney, che suo cugino, Dudley, aveva cominciato a detestare dopo una settimana dalla ricezione del regalo. Harry, invece, la adorava ed era davvero felice che sua zia l’avesse donata a lui. Se ne prendeva cura come se fosse un grande tesoro (ed effettivamente, lo era, visto che il piccolo non possedeva altro).

La sua “cameretta” era uno spazio angusto: a terra giaceva un piccolo materasso, con buchi qua e là. Era sporco, con diverse chiazze gialle di pipì. A volte, i suoi zii non lo lasciavano uscire per giorni, nemmeno per recarsi in bagno. Cercava di trattenersi, ma l’urgenza era talmente troppa da non farcela più e lasciar andare. L’odore era sgradevole, ma Harry si era così abituato da essere diventato insensibile. Dopotutto, era lì da quando aveva imparato a camminare. E quella era stata una delle imprese più ardue. Non fu di certo una felicità: quello che doveva essere l’orgoglio di ogni genitore, per Harry era stato solo una sofferenza. Imparò nel modo più duro. Ginocchia sbucciate e sanguinati, qualche dente scheggiato per l’improvvisa caduta. Tutto solo. Non c’erano braccia ad afferrarlo. Non c’era nessuno. E lui lo ricordava molto bene.

Petunia Dursley, all'apparenza, dava di una donna ben curata: non lasciava mai casa se non vestita con abiti firmati, capelli lucenti, morbidi e boccolosi, manicure impeccabile, sia di mani che di piedi. Nessuno si sarebbe mai aspettato che una Mistress amichevole, perfetta moglie e adorabile madre potesse essere tanto insensibile e così senza cuore da lasciar dormire un bambino di sei anni in uno striminzito sgabuzzino. Lei era testimone e, alle volte, carnefice delle violenze fisiche e verbali subite dal nipote, delle botte, degli insulti, delle manipolazioni mentali; eppure, all’esterno era conosciuta come una madre premurosa: suo figlio, Dudley, era considerato il signorino di casa. Possedeva ben due camere da letto e troppi giocattoli per un solo bambino, di cui una bella manciata ridotti in rottami e pochi altri miracolosamente finiti tra le manine di Harry. Ogni sua richiesta era ordine e ogni suo capriccio prontamente servito da madre e padre. Spesso definito l’”orgoglio di famiglia”, cozzava con l’immagine dipinta del suo cuginetto, chiamato, invece, “mostro”. Nonostante incombesse un severo divieto sul capo dell’orfano, cantante il non toccare la roba altrui, Petunia e Vernon costringevano il piccolo a svolgere le più pesanti faccende domestiche.
Vernon Dursley, invece, era un tipico padre di famiglia: dipinto da molti come un grande lavoratore, in realtà i suoi soldi non erano, poi, così puliti come tutti credevano, cosa di cui l’uomo, però, non era a conoscenza, tontolone com’era. Orgogliosamente fiero della sua bellissima moglie e del suo intelligentissimo figlio, non alzava mai un dito per aiutare Petunia in casa, poiché considerava le faccende domestiche una “roba da donne” (e “da mostro”, ovviamente). Rincasato da lavoro, non faceva altro che stravaccarsi sul divano e guardare stupidi programmi di televisione, lamentandosi, di tanto in tanto, di avere fame e chiedendo con voce grossa quando la cena sarebbe mai stata pronta. Insomma, in casa Dursley, ciò era un must.

L’anta di legno sobbalzò ancora una volta e, dall’esterno, si levò una voce conosciuta, prematuramente isterica, contratta tra un ringhio ributtante e un sussurro noioso.

«Potter, alzati in questo istante e vieni a preparare la colazione prima che Vernon si alzi.»

Era Zia Petunia.

Harry non aveva ancora voglia di affrontare la giornata a venire, ma, diligentemente, infilò le consunte scarpine ai piedi e aprì la porta, sbattendo più volte le palpebre per fuorviare il probabile accecamento da sole. Si fece strada, silenzioso, per qualche metro, fino in cucina: non era un suicida e, anche se non sapeva ancora bene cosa significasse quella parola, era sicuro che lo scalpiccio dei suoi piedi avrebbe fatto arrabbiare ancora di più zia Petunia.

“Tanto è sempre arrabbiata con me” pensò il bambino e sulla boccuccia comparve un piccolo broncio: cercava sempre di seguire le regole e si sforzava così tanto per compiacerla, ma a lei non sembrava importare davvero.

“Forse oggi, se sarò bravo, sarà orgogliosa di me!”. Non ne era, però, così sicuro. Si domandò, quindi, se, con l'inizio della scuola, avrebbero potuto finalmente cominciare ad amarlo.

I suoi pensieri furono presto interrotti a causa del dolore pungente che si diffuse a macchia d’olio su tutta la nuca: sua zia gli aveva appena tirato uno schiaffo. Avvertì le lacrime pizzicargli gli occhi. Cercò di trattenersi, ma una goccia si ribellò alla sua volontà e decise di abbandonare il nido. La spazzò via velocemente, prima che la donna potesse accorgersene.

“Io sono un mostro…”

Quelle parole gli ronzarono per la mente per diverso tempo. Strinse le labbra con tutta la forza che aveva e raggiunse il frigo, che aprì: preparare la colazione sarebbe stata la faccenda più semplice tra tutte quelle che avrebbe svolto nell’arco della giornata.

Ma come avrebbe raggiunto le uova, che erano collocate a metà altezza dell’anta superiore del frigorifero? Harry era basso per la sua età: ne aveva preso consapevolezza il giorno in cui Dudley aveva afferrato un Kinder Pinguì con molta più facilità rispetto a lui.

Il bambino guardò sua zia per chiederle il permesso per l’utilizzo di uno sgabello. Bastò un semplice cenno del capo per far sì che tutto procedesse per il verso giusto, secondo gli standard della famiglia Dursley: contò sulle piccole dita quante uova avrebbe dovuto prendere. “Sei, sì!”. Le raccolse a coppie, per evitare di farle cascare in terra. Non fu così fortunato, però, con l’ultimo set.

“Vorrei mangiarne uno…”. Peccato che lui non fosse considerato un membro della famiglia: Harry era nutrito a pane e acqua, svezzato ormai da un bel pezzo.

Un crack ovattato lo fece rinvenire dal mondo dei sogni: con uno sguardo di puro orrore, si volse indietro, per dare un’occhiata al disastro: un uovo, crudo, era spiaccicato sulle mattonelle preferite di Zia Petunia. Strappò goffamente due pezzi di carta da cucina dal rotolo che riposava sul piano e tamponò il foglio assorbente sull’albume e sul tuorlo, viscidi, cercando di rimediare al disastro. Sperava che sua zia non avesse sentito o visto nulla, ma le sue speranze furono messe a tacere dalla visione della faccia bordeaux della donna, su cui risaltavano le labbra assottigliate e gli occhi socchiusi per la furia.

Nessun urlo si fece eco all’interno della stanza altrimenti vuota; invece, risuonò il rumore di uno schiocco e, poi, di un tonfo: Harry era sul pavimento; il segno rosso di una mano si stagliava sulla sua guancia sinistra. Poi, la donna lo afferrò per un braccio e lo gettò letteralmente nello sgabuzzino.
Questa volta, il bambino non riuscì a non piangere. Portò le gambe al petto e le cinse con le sue magre braccia: cominciò a dondolarsi sul materasso sporco, intonando, con voce bassa e spezzata dai singhiozzi, la ninna nanna che la sua mamma soleva sempre canticchiargli prima di dormire.

Prima di dormire, per sempre.

«La tua mamma è… è una far-farfalla... vola in cie... lo e... gioca l-lassù...»
Si addormentò così, immaginando di essere cullato dalla donna dai capelli rossi. Gli sembrò, per qualche istante, di poterne percepire il profumo, ma, forse, fu solo una allucinazione.

Harry spalancò gli occhi: era sicuramente nel suo armadio, certo di ciò grazie alla rassicurante presenza della copertina sulle gambe. Tutto era buio, non filtrava nemmeno un raggio di luce dalle fessure dell’anta. Che fosse già notte? Aveva dormito tutto quel tempo e nessuno era corso a svegliarlo? Forse si era addormentato come la sua mamma… ma perché era tutto così buio? Il bambino cominciò a tremare dalla paura, mentre il cuore batteva accelerato, risuonando forte nelle orecchie del piccolo.

D’un tratto, il soffitto tremolò, sbalestrando ragnatele e polveri. Dai rumori sordi provenienti dall’alto, sembrava che qualcuno stesse saltando sulle scale, proprio in direzione dell’armadio. Probabilmente era solo Dudley, eppure Harry si coprì il corpo e la testolina con la coperta.

Ci fu un forte scroscio: qualcosa gli cadde addosso e si fece sempre più pesante. Il bambino si sentì mancar l’aria.

Il soffitto era ceduto.

Una manina tirò via il nascondiglio di tessuto e Harry sbirciò: fu colto da un sussulto quando notò due occhi rossi a qualche centimetro di distanza dal suo viso, accompagnati da una fragorosa risata.

«Harry Potter» sibilò una voce serpentina, inquietante. «…sto arrivando...»


E, poi, così com’era iniziato, tutto svanì.
Harry si risvegliò nel suo armadio, raspando: i suoi polmoni cercavano aria. Si tastò il busto: il soffitto non era crollato.

«Uh oh» sussurrò.

Si era fatto la pipì addosso. Non era la prima volta che ciò accadeva: l’uomo dagli occhi rossi aveva sempre regnato i suoi incubi. In quel momento, più che mai, desiderò ci fosse qualcuno ad abbracciarlo forte; ma nessuno corse a raccoglierlo.

«Ti prego, Dio, fa che zia Petunia domani mi vuole bene e non mi sgrida. Non volevo fare la pipì sul letto… Farò il bravo bambino, promesso»
Incrociò le dita e ci posò un bacio, a sigillo di quella promessa.


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Capitolo 2
*** Severus Piton (Parte 1) ***


Erano passati diversi anni dal giorno in cui Severus Piton era stato costretto a prendersi le sue responsabilità e comportarsi da uomo. Apparentemente, però, nulla mostrava il pervicace cambiamento: la pelle del suo volto era rimasta pallida come la luna, i suoi capelli unti d’olio, gli zigomi affilati e gli occhi neri come zaffiri impassibili. Incontrare il suo sguardo non avrebbe significato alcunché, in quanto da esso non trapelava informazione, emozione, sentimento; incarnava l'immagine di un adulto vuoto, freddo, distaccato. Eppure, in Severus Piton ardeva una fiamma di angoscioso dolore, scoppiettante, incuneato nei più oscuri vicoli del suo corpo, in ogni nervo, in ogni articolazione.

Lily era il nome della sua sofferenza. Il nome dell'amore più puro, della gentilezza fatta carne, di una donna che era stata capace di amare i piccoli grandi difetti del suo sé giovanile e aveva visto la bellezza in ciò che era stata sempre ritenuta bruttura.

E come Severus Piton era fiamma nello spirito, Lily era fiamma nell'anima e nell'amore. Lily come Lilium, Giglio. Bianco, puro, candido, trascendente. Era riuscita a dissotterrare un bambino, un ragazzo e, poi, un uomo affamato d'affetto e a curarne le ferite con il balsamo del suo chiarore amorevole.

Le cicatrici di Severus non erano solo corporee: ne disseminavano l’anima. Bambino maltrattato da suo padre, fu spesso vittima dell'ira di Tobias, preda volubile delle cinghiate, dei pugni, dei soprusi; eppure, sua moglie era riuscita ad amare ogni centimetro della sua pelle. Lily, donna a lui fedele, sempre, nella gioia e nel dolore, in salute e malattia, colei che l'aveva onorato e amato come suo sposo tutti i giorni della sua vita. Fino alla fine, rendendolo marito e padre orgoglioso.

Frutto del loro amore era stato Harry, bambino voluto, desiderato, ma anche compianto.

Non passava giorno che non rimpiangesse le sue scelte, che non rivolgesse un piccolo pensiero alle Ragioni e Cause della sua vita: come Lily, anche Harry era stato strappato alle sue braccia, l'una dalla morte, l'altro da un bastardo manipolatore.

Non passava giorno che non desiderasse correre da suo figlio, stringerlo tra le sue braccia, baciargli il capo e sussurrargli all’orecchio che non lo avrebbe lasciato mai più. Mai più.

Ma ogni lacrima versata era stata vana, ogni preghiera e supplica non avevano ricevuto ascolto.

«Per il bene più grande.» era questa la dura frase pronunciata da Silente e che risuonava, come un mantra senza interruzione, nella testa di Severus. Eppure, quest’ultimo continuava a nutrire segretamente la speranza che, un giorno, sarebbe riuscito a trovare il suo bambino: senza di questa, avrebbe sicuramente posto fine alla sua vita. 

Quando fu posto il sigillo del vincolo matrimoniale, era pienamente consapevole che, fino a quando il Signore Oscuro non fosse stato fatto morire o decadere, non avrebbe potuto condurre una vita facile, ma non aveva mai effettivamente pensato che presto i sogni avrebbero ceduto il passo alla distruzione rapida e crudele della sua famiglia. Aveva sperato con tutto il suo cuore di riuscire a difenderla, a salvarla, a salvaguardarla per mezzo di misure estreme: aveva persino lasciato Lily nelle mani di quel Potter, solo per salvarla, solo per salvare lei ed Harry. Ma ciò non era bastato.

E ora, come segno di lutto, indossava solo nero, per onorare la morte della sua amata sposa. Le doveva ogni palpito di vita nel suo corpo.

Era l'unico a sapere davvero il motivo di quella scelta: Severus era l'ultimo e unico tesoriere di un gioiello più grande. Aveva ospitato in sé l'amore di e per Lily e Harry e il dolore per la loro scomparsa e li aveva trasformati in una forza che nessuno, mai, avrebbe potuto scalfire e distruggere.

Da bambini, la piccola strega era stata la sola a spingerlo sufficientemente sulla strada dei suoi sogni, prendendolo per mano e conducendolo su quella che era la ripida "salita" della Vita. Certo, ne aveva commessi di errori, e anche parecchi.

Flashback

«Lily!»

Il nome gridato da un giovanissimo Severus si fece incontro all’udito della ragazzina.

«Sev!»

Lily lo guardò con occhi vivaci. Il ragazzo dai capelli corvini non riuscì a non incontrare il suo sguardo.

«Sei bellissima…» sussurrò. La sua bocca socchiusa esternava stupore.

Le iridi smeraldine scintillavano e la felicità che si leggeva nelle loro smagliature le rendevano ancor più belle di quel che già erano. Severus scrutò il piccolo viso, le ciglia folte e rosse, la curvatura del naso, le labbra rosee segnate da pieghettature dal rosso policromatico, i capelli ramati, il collo di Venere, lungo e sottile, i lembi di pelle increspata dalla fresca brezza scozzese, il sorriso abbagliante che si allargò al complimento.

«Grazie…»

Seguì qualche secondo di imbarazzato silenzio.

«…e chiudi quella bocca prima che entrino le mosche, su!»

Parve che qualcuno avesse lanciato un Inflammare sulle gote del giovane Piton, tanto si erano fatte rosse. Serrò i denti di scatto, producendo un rumore schioccante.

«Senza spaccarti i denti però!» lo rimproverò Lily, ridacchiando.

«Sei sempre la solita.»

«Dai Sev! Non essere permaloso!»

L’adolescente fu sbalzato di lato di qualche centimetro.

«LIL! Non mi spingere!»

La ragazzina lo fece, di nuovo.

«Ah, così è?» tuonò Severus, con volto particolarmente serioso. La giovane quattordicenne ebbe timore di averlo offeso per davvero.

«No, Sev, non è c-»

«Allora…» la interruppe. «CORRI!»

Allungò le braccia verso di lei e la ragazzina, con un gridolino, prese a correre, seguita dal Serpeverde. Le diede vantaggio per qualche minuto, ma, alla fine, l’ebbe vinta lui: Lily fu catturata e fu costretta a contorcersi dalle risa, dal momento che Severus non si risparmiò dal farle il solletico

«S-SEE-EV, S-SMETTILA… LA….. SCIAMII!

«Mai così presto, ora che posso avere la mia vendetta!»

Un lampo divertito guizzò negli occhi del ragazzino. Lily si distese nell’erba e Severus fece lo stesso, ma non la solleticò più. Alzò il busto, poggiandosi sul gomito e allungò il collo fino a rendere i loro due volti simmetrici.

Erano così vicini.

Non sarebbe bastato molto perché le loro labbra si incontrassero.

La ragazzina aveva sicuramente notato la nuova improvvisa parvenza pensierosa del suo amico, tant’è che si ritrovo a domandargli: «Stai bene, Sev?»

Severus trattene il respiro.

«Ti amo» sussurrò velocemente.

L’adolescente non rispose.

Il petto gli bruciò. “Sciocco se pensavi che ti avrebbe detto lo stesso!”. Si allontanò da lei con un movimento brusco, senza fiatare. Non sapeva cosa dire.

Strappò un filo d’erba dal terreno, incerto sul da farsi.

«…ti amo anch'io»

La mano di Severus si bloccò a mezz’aria e il filo maciullato cadde senza troppe cerimonie sul tappeto dei suoi simili. Voltò il capo verso di lei, con gli occhi spalancati.

«C-co… potresti… ripetere? I-io non ho capito molto bene…»

Lily rise.

«Credo proprio che tu abbia capito benissimo, sciocchino!»

«Dici sul serio, Lil?»

La fiera Grifondoro sorrise e, quasi fosse un effetto domino, fece lo stesso il Serpeverde, il quale si avventò sul suo corpo e la baciò, cingendole i fianchi con un braccio.

Fine Flashback

Iniziò per Severus il periodo più bello della sua vita, composto di giorni, ore e minuti felici, scanditi dal ticchettio di quello che alcuni avrebbe chiamato fato, altri caso e altri ancora destino. Ma l’alpha e l’omega non erano state chiamate così per caso: tutto aveva inizio e ciascuno una fine, con l’unica clausola che a determinarne il tramonto non fosse la stessa persona che ne aveva disegnato l’alba. Il maestro di pozioni, però, l’infranse.

E il Vaso di Pandora s’aprì.

 

//Ecco a voi il secondo capitolo modificato! Ho notato come, dopo qualche anno, la mia scrittura sia diventata più matura. Non riuscivo a continuare questa storia senza ridisegnare l'intero suo profilo. E, quindi, eccomi qui! 

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Capitolo 3
*** Severus Piton (Parte 2) ***


Una fanciulla dai capelli ramati sedette ai bordi di un elegante pozzo. Una gamba, penzoloni, si librò nell’aria, scomponendo il lungo abito che le fasciava, morbido, il corpo.

Si sporse leggermente in avanti, per guardare in basso: i raggi solari illuminavano una limpida pozza d’acqua molti metri più in profondità.

Canticchiava sottovoce un’allegra melodia.

Strappò via la presa dalla corda, lasciando cadere il catino, legato a una carrucola, all’interno della fonte. Ma quando provò a tirarlo su, dovette far forza sui talloni, perché il peso del bacile sconfinava rispetto alla tempra che la invigoriva.

Inspirò.

Un rivolo di sangue le percorse i palmi di entrambe le mani.

- …chi è l’Uomo – sentenziò, - che osa pesare sulle spalle degli Dei? –

La voce contraddisse l’apparenza: era greve, svelata in un sussurro.

- Diacono – chiamò la fanciulla. Fu lesta la presenza del servitore mingherlino, il quale si inchinò al cospetto della Dea.

- Mia signora –

- Ho bisogno che l’altare sia pronto. Raccogli sette foglie di alloro e deponile ai suoi piedi. Mi assisterai durante il vaticinio –

- Come desidera, mia signora –

Il servitore, bruno di capelli, corse via. Certi ordini della Dea chiedevano celerità.

Qualche minuto dopo, la fanciulla fece il suo ingresso presso il luogo oracolare. Scrutò l’intero altare e la disposizione soddisfò le aspettative. Nonostante l’apparenza gentile, non ringraziò Diacono per il servigio. Si limitò a porgli nuovo ordine.

- Fa’ bruciare subito l’alloro! Non ti hanno insegnato nulla i tuoi maestri? –

Quelle parole furono dure. La Dea non scontava alcuno dal proprio caratterino. Avrebbe potuto essere tutto perfetto, ma lei avrebbe avuto sempre da ridire.

- Mi scusi, mia signora. Non era mia inte- -

- Risparmia le scuse. – lo interruppe e batté due volte le mani, con forza. – Forza! Al lavoro. –

Il tempo era denaro. Bastava un millisecondo per perdere la chiamata inoltrata. E lei, vista la sorte che le era capitata, non voleva perdere l’occasione per mostrare benevolenza agli umani.

Il fumo intrise lentamente la stanza. La Dea si avvicinò al catino, deposto sull’altare. Ne strinse i bordi con entrambe le mani.

- Νόμῳ πείθου [Obbedisci alla Legge] –

L’acqua, dapprima limpida, si increspò. Le piccole onde seguirono un moto che non era della Terra. Si unirono e si divisero, formando sagome che, via via, presero colore. E davanti agli occhi di Pandora, ecco presentarsi una scena.

Un uomo dai capelli corvini sedeva ad una scrivania. Le dita stringevano, tremolanti, un sottile pennino, con cui si prestava a scrivere brevi frasi su un ingiallito pezzo di pergamena.

Vediamoci al parco, domani, a mezzanotte.
Ti prego.
Tuo,
SP

Piegò il foglio e lo consegnò al volatile appollaiato su un trespolo.

L’uomo sospirò. Posò il pennino orizzontalmente rispetto all’apertura del calamaio. Si sistemò sulla sedia di legno e sollevò le mani, rivolgendo i palmi verso il cielo.

- Valde in vita homnium pretisa spes est, sine spe homines misere vitam agunt. Saepe sciens, dea spei. –

Poi aggiunse: - Sic fiat -.

E Pandora lo sentì, così forte da spezzarle il fiato: il dolore nella voce, così come nell’animo dell’uomo era straziante. Fu costretta a poggiare i gomiti sulla pietra per poter rimanere in piedi.

- Diacono! Passami i resti delle foglie d’alloro. E sbrigati! –

Fortunatamente per il ragazzo, la pianta era stata ridotta in cenere all’interno di due ciotole.

- Non disperare umano… - sussurrò la Dea, mentre raccoglieva una manciata della sostanza grigia. La gettò nell’acqua oracolare.

- …i tuoi desideri saranno esauditi –

Perché Pandora avesse deciso di donargli il suo aiuto nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza.

Severus attese, inconsapevole della simpatia attratta. Da Lily, però, non arrivò alcuna risposta.

Il giorno seguente, tuttavia, Severus apparve al parco. Pioveva a dirotto: tuoni e lampi squarciarono il cielo nero.

Si appostò sotto la chioma di un albero, scossa violentemente dal vento che tirava avanti: non avrebbe dovuto, sapeva quanto sarebbe stato pericoloso per la sua incolumità se, per cause a lui sconosciute, un lampo avesse colpito proprio quell’acero riccio.

Alzò il volto e ne osservò le fronde: l’arbusto aveva perduto gran parte delle sue foglie. Si riconobbe in quell’immagine: Severus Piton era stata persona radicata, proprio come il solido tronco su cui aveva poggiato la schiena; tuttavia, aveva perso gran parte dei frutti che avrebbero potuto nascere se non fosse stato per gli errori da lui commessi, come accaduto per il fogliame dell’albero. L’unica differenza consisteva nel fatto che l’arbusto non aveva meritato quel trattamento, mentre il maestro di pozioni sì.

Incrociò le braccia, a ridosso del petto.

Si odiava. Eccome se si odiava.

Se Lily avesse deciso di non raggiungerlo, lui l’avrebbe capita. Avrebbe fatto lo stesso al suo posto, perché si sarebbe detestato come non mai.

Non gli avrebbe fatto meno male, però.

Non avrebbe mai risposto a un messaggio freddo e breve come quello che le aveva mandato, ma Severus non avrebbe potuto fare altrimenti, nonostante, in realtà, il cuore gli comandasse di inviarle una lettera custodita gelosamente all’interno di uno dei cassetti della scrivania. Non aveva risparmiato sé stesso.

Cara Lily,
so bene quanto il mio nome in fondo a questa lettera possa già averti destabilizzata, soprattutto dopo tutto quello che ho combinato o, meglio, che non ho mai fatto. Per te.
Non ho cambiato me stesso, nonostante te, nonostante i tuoi baci, nonostante l’amore che so di non essermi mai meritato.
Non ho saputo comportarmi da amico, tantomeno da amante.
E mi dispiace profondamente che quel giorno io ti abbia chiamata… in quel modo.
Non lo scriverò.
Dopo quella volta, ho promesso di non ripetere mai più quella parola. Ti ho ferita e chiedo scusa alla piccola Lily che ancora dimora, ferita, negli abissi della tua anima. A discolpa del giovane Sev, non lo intendeva davvero.
Vorrei chiederti di perdonarmi, ma non lo farò, non perché io non creda in te: non mi perdono neanche io. E mai lo farò, perché non ho saputo desistere dall’incarnare il male, nonostante sapessi che, se avessi continuato a percorrere la via retta, tu mi avresti concesso venia.
Tuttavia, preferirei un tuo schiaffo piuttosto che la tua assenza, il tuo silenzio. Ho sempre odiato il silenzio.
Ti prego, Lily. Navigo nella notte più oscura e mi sembra di non reggerla più. Sei la mia ultima speranza, la mia ultima preghiera.
Domani sarò al parco a mezzanotte.
Ho bisogno di te.
Tuo,
Severus Piton

- Ti prego, Lil… - sussurrò, mentre la pioggia gli baciava il volto, silenziando la spezzata preghiera di supplica.

Passarono dieci minuti, poi venti, poi altri dieci. Neanche l’ombra di Lei.

Inconsciamente, Severus aveva nutrito la speranza che lei si sarebbe presentata. Dopo quarantacinque minuti, però, sapeva che non sarebbe comparsa. Sentì un bruciore pizzicargli gli occhi.

“Non potevi aspettarti diversamente… lo sapevi che non sarebbe mai venuta”

- Sono uno stupido… uno stupido, UNO STUPIDO! –

Un pugno si schiantò sul tronco dell’acero, macchiando un punto della corteccia di sangue, proprio delle nocche ferite. L’uomo lo puntò con gli occhi. L’avrebbe fatta finita presto, tanto valeva maciullarsi una mano.

Colpì l’albero una seconda volta. Poi, una terza. Ancora, una quarta. Senza darsi tregua. Senza dar tregua agli insulti che prendevano vita dal suo interno.

- SEVERUS! –

Era la voce di Lily.

No, non era possibile. Ora aveva anche le allucinazioni.

- SEI COSI DISPERATO… COSI’ DI-SPE-RA-TO! –

Puntellò ogni sillaba con una percossa verso la corteccia.

E un urlo straziato di rabbia e dolore lasciò le sue labbra.

Una mano gli strinse forte il braccio.

- LASCIAMI, NON MI TOCCARE. –

Ma quell’intruso preferì non ascoltarlo. Severus ne catturò il polso e si girò, pronto a prendersi la sua rivincita. E a fargliela pagare. E a sfogare la sua rabbia.

Invece, incontrò i suoi occhi.

- Lily… -

- Potresti… lasciare il mio polso? –

Il mago allentò la presa di botto, come se fosse stato scottato da quelle parole.

- …scusami. Non volevo farti male. Non… - seguì un attimo di silenzio. - …sai, di nuovo. –

La giovane donna si limitò a fissarlo, mentre si massaggiava il lembo di pelle ferito.

- Sono qui. Sono venuta, come richiesto. – affermò duramente. Lo sguardo domandava spiegazioni.

- Sì –. Severus si schiarì la gola. – Non volevo che tu vedessi la scenata di prima. Io avrei dovuto contenere me stesso –

- Non siamo qui per parlare delle tue scenate da ragazzino. –

Fu ferito leggermente da quelle parole.

- Non mi permetti neanche di esternare il mio dolore ora?! – rispose, mettendosi sulla difensiva.

- No, Severus. – controbatté ferocemente la donna. – Non sei tu quello che dovrebbe provare dolore. Avrei avuto tutto il diritto di non presentarmi questa sera! E, vedendo il tuo comportamento, credo di aver sbagliato a venire qui, visto che non sai neanche apprezzare lo sforzo. –

- Lily, ti prego, non cominciamo a- -

- Non dirmi cosa posso o non posso fare. Non sei nessuno, Severus. Non hai potere su di me da molto tempo. –

- Co- Mi stai dicendo che ho utilizzato potere su di te? Davvero dici?! –

Questa volta fu Lily a sospirare.

- Non volevo dire questo. Mi è uscito male –

- Mi sembra tutto il contrario. –

- Se mi hai fatto venire fino qui per giudicarmi, allora è meglio che me ne vada. –

La strega fece per girarsi, ma Severus la bloccò, posandole una mano sull’avambraccio.

- No! Aspetta, non andartene… per favore… -

Lily si voltò nuovamente verso l’uomo e incrociò le braccia, incitandolo con lo sguardo a parlare.

- Preferisco che tu legga questa –

Tese una busta, riempendo il vuoto che li separava.

- Leggerla ora, intendo –

La strega la strappò dalla presa del maestro di pozioni e l’aprì. Severus cercò di analizzare le espressioni sul suo volto mentre leggeva. Forse era colpa dell’emozione, ma non riuscì a individuare nulla, se non mera freddezza.

Le iridi smeraldine lo inchiodarono sul posto. Vi si leggeva solo durezza nei lineamenti.

- Mi sarei aspettata tutto, tranne che… questo… -

“Cosa vorrebbe dire?!” sussurrò la coscienza di Severus, ma l’uomo la costrinse a tacere. Abbassò gli occhi sul terreno fangoso.

- Non sono arrabbiata con te per l’offesa che mi hai rivolto un bel po' di anni fa, Sev… -

Il suo tono era decisamente più dolce. Al suono del nomignolo, il mago la guardò nuovamente, speranzoso.

- Ma sono incazzata, Severus. Sono incazzata nera. Avevo il diritto di offendermi, quel giorno, mentre tu… – gli puntò un dito contro. – Tu non avevi il diritto di prendere la strada che poi hai scelto. Non avresti dovuto farlo, non dopo tutto quello che ci siamo detti. Ti sei unito a un gruppo di coglioni che credono che i nati babbani e i mezzosangue non siano degni della magia! E io?! Il mio amore? Il nostro amore?! Non hanno mai contato per te. Come, allora, non hanno mai contato tutte le cose che mi hai detto. Forse ti sei solo approfittato di me. –

- No, Lily! Te lo giuro, io non mi sono mai approfittato di te. E tutte le parole che ti ho detto le ho sempre pensate! –

Lily lo fermò all’inizio di quel monologo, alzando un palmo aperto di mano.

- Vorrei poterti dire che da quando sono stata lontana da te, sono stata felice più che mai. Ma non è stato così… Ti odio Severus. Ti odio, perché mi hai fatto soffrire come nessuno mai ha fatto. –

- Non ti dirò di non farlo… hai tutto il diritto di odiarmi. Solo… vorrei solo che tu sapessi che mi pento di tutto. Non avrei mai dovuto unirmi a quella congrega. Sono pronto a costituirmi agli Auror e a offrirmi come collaboratore di giustizia. –

Gli occhi della donna brillarono alla luce della luna, accompagnati da un triste, seppur approvante piccolo sorriso. Poi, si avvicinò all’uomo e gli accarezzò una guancia bagnata.

- Non sai quanto queste parole mi facciano scoppiare il cuore di gioia, Severus –

- Quindi tu… mi credi? – domandò il mago, incredulo.

- Non sei mai stato bravo a mentire, ti ricordo! –

Lily ridacchiò e un angolo delle labbra di Severus si alzò.

- Conosco il tuo cuore. Lo conosco come le mie tasche; perciò, prima di prendere la decisione definitiva di costituirti, a mio parere dovresti parlare con Silente. Potrebbero esserci spie negli Auror, Sev –

- Sono il braccio destro del Signore Oscuro, Lily! –

- Eri! – lo corresse la strega.

- Si, ero. Dovrei averlo saputo, però, dell’esistenza di spie negli Auror! –

- Forse Tu-sai-chi non si è mai fidato fino in fondo di te –

- Impossibile! Me l’avrebbe detto se- -

- Non giocare d’ingenuità, Severus! Non ti si addice! Il Signore Oscuro ha sicuramente mantenuto dei segreti e, probabilmente, non solo da te. –

- …hai ragione… -

- Parlane con Silente. Sono sicura che lui ti darà una mano. E se temi che possa non crederti, ti farò da testimone. –

- Lo faresti davvero? – chiese Severus, con occhi spalancati.

Lily annuì, decisa.

- Non sai quanto valga per me questo… -

- Invece tu non sai quanto valga per me questo… – sentenziò Lily, prima di avvicinarsi al mago e sfiorare le sue labbra con le proprie, in attesa di un gesto d’assenso.

Severus poté sentire il suo respiro caldo, ansante e desideroso sulla bocca bagnata. Non tardò a darle risposta: intrecciò le dita tra i suoi capelli zuppi d’acqua, poggiando il palmo sul retro della sua nuca e si sporse in avanti di pochissimi millimetri, rendendo possibile l’atteso combaciamento di fiato. Si avvinghiarono l’uno all’altro, mordendo sentimenti di carne, di passione, non preoccupandosi dei vestiti fradici che entrambi avevano indosso.

Fu il freddo pungolante a costringerli a staccare la presa, ma, soprattutto, il tremolio del corpo di Lily, di cui il mago si rese conto prontamente.

- Stai tremando… - le disse, non appena ebbe modo di parlare.

- È solo la pioggia… e il freddo… credo che, in tutto il trambusto, ci siamo scordati di essere maghi! –

- Già… e ora è troppo tardi per far qualcosa. Con questa pioggia, poi! –

Si scambiarono un penetrante sguardo.

- Non è che… possiamo andare a casa mia, se vuoi… -

La strega sembrò pensarci, più a lungo di quanto il maestro di pozioni si sarebbe aspettato.

- Ha tutte le protezioni necessarie, non ci vedrà nessuno, se è questo che ti preoccupa! Se, poi, non volessi, non c’è- -

- Verrò. –

- Davvero? –

- Da quando sei diventato così diffidente di me, Severus? –

- No, ma… cosa pensi… non sono… -

- E anche incredibilmente insicuro! –

Lily gli rivolse un sorriso divertito.

- Non si cambia mai, eh! – replicò Severus, per poi porgerle una mano, che la strega raccolse saldamente.

Fu proprio in quella notte di pioggia che i due giovani amanti decisero di consumare il loro amore, facendo di esso seme di vita.

Lily, infatti, rimase incinta.

 

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Capitolo 4
*** Destini ***


- Pronto? –

- A dire la verità, no. –

Severus era nervoso: parlare con Silente era una priorità, ma non riusciva ad evitare la tensione da "possibile cattura da parte degli Auror".
Durante la notte, la sua mente aveva deciso di immaginarsi ogni possibile scenario. Non era stata granché d'aiuto.

- Sta tranquillo, ci sarò io. Se avrà da ridire, non avrò problemi a zittirlo –

- Non vuoi farlo davvero, Lily –

- Certo che lo farò! –

- È il più grande mago del nostro secolo! E il più forte. E, inoltre, è stato anche il nostro Preside, non molto tempo fa. –

- Da quando ti interessano gli status quo, Severus? – chiese Lily, sfidando l'ex mangiamorte a rispondere diversamente.

L'uomo corvino ribatté con un'occhiataccia.

- Mi interessa dal momento che so che stai per commettere una grande cazzata. –

- Uh uuh, Severus Piton che si presta a sproloqui! –

- Non sviare la conversazione! –

- Non la sto sviando, sto solo sottolineando un dato di fatto –

- Sei davvero antipatica quando fai così... -

- Antipatica o meno, vuoi il mio aiuto, Severus? Perché posso benissimo ritirare l'offerta e andarmene –

- NO! –

- No? – Lily domandò sarcastica, alzando un sopracciglio come presa in giro dell'uomo al suo fianco.

- No... preferirei rimanessi... io non voglio... -

- Risparmia il fiato! Non sprecarlo visto che te ne servirà molto tra ben... - guardò l'orologio – due minuti! –

Detto ciò, la ragazza sorpassò l'eterno indeciso e si fece strada fino al gargoyle in pietra, che la scrutò con sguardo malvagio, forse fiutando l'ignoranza rispetto alla password.

- Ho bisogno di parlare con Silente. -

La statua non fece alcun movimento.

- Era questo il tuo piano? –

La voce di Severus aveva, forse, allarmato qualcuno ai piani alti, perché il gargoyle balzò da parte, liberando l'ingresso di una scala a chiocciola che conduceva all'ufficio del Preside.

I due intrusi avanzarono, dopo essersi scambiati un'occhiata. Non fu difficile raggiungere la porta in legno, stranamente spalancata.
Silente sedeva alla scrivania. I suoi occhi erano rivolti nella direzione dei maghi in entrata.

- Qual sorpresa! Lily Evans e Severus Piton, due tra i miei ex migliori studenti di Hogwarts. Entrate, entrate! Non vi lascerò rimanere lì sulla porta. –

L'ex mangiamorte fece incedere Lily per prima.

- Potresti gentilmente chiudere la porta, signor Piton? Presumo che questa non sia una visita di cortesia e che vogliate discutere di argomenti di non poca importanza –

- Esattamente, Preside – rispose la giovane, mentre si accomodava senza alcun espresso invito. Severus la affiancò subito dopo.

Silente intrecciò le dita e osservò i due attraverso le lenti degli occhiali a mezzaluna. Le vesti frusciarono quando allungò, d'improvviso, una ciotola di caramelle verso i suoi ospiti, facendo gli onori di casa.

- Sorbetto al limone? –

- No, la ringrazio – ribatté Lily.

Severus era rimasto in silenzio per tutto il tempo, preferendo scrutare il vecchio mago. Non si aspettava, di certo, tale accoglienza: aveva immaginato di trovarlo con la bacchetta tra le mani, puntata contro la propria gola; invece, si era comportato come un adorabile nonnino visitato dai suoi nipoti.

"Forse la presenza di Lily lo ha tranquillizzato" pensò.

- Allora... cosa vi ha spinto a incontrare questo vecchio Preside? –

"O forse no"

L'ex mangiamorte si schiarì la gola, attirando l'attenzione su di sé. Non sapeva bene come iniziare. Si era preparato un discorso ma sembrava essersi smaterializzato dal suo cervello. Non c'era altra scelta da compiere se non quella dell'impatto diretto.

- Sono venuto qui per costituirmi –

Silente cercò un migliore posizione di seduta e si poggiò allo schienale della sedia. Fece cenno all'uomo dai capelli corvini di proseguire.

- Ho commesso l'errore più grande della mia vita unendomi a Tu-Sai-Chi e ne ho preso coscienza, anche se so che avrei dovuto farlo prima... –

- E dimmi, signor Piton, perché mai dovrei crederti? -

Il pomo d'Adamo di Severus oscillò: non poteva andare tutto a rotoli così. Lo aveva saputo sin dall'inizio che non sarebbe stata una buona idea parlargli. "Non avrei dovuto ascoltarla...".

- Perché stava per consegnarsi agli Auror, Preside! -

Silente fissò la nuova interlocutrice, la quale si drizzò, sfidandolo a contraddirla.

- L'ho costretto io a venire qui. Era ed è pronto ad andare ad Azkaban, ma non gli permetterò di farlo senza prima aver avuto una sana discussione con te, Albus! -

Il Preside aprì la bocca per ribattere, ma fu battuto sul tempo dalla giovane.

- No! Non mi dirai di silenziarmi per evitare di compromettere l'Ordine! -

- Quale Ordine? - domandò il maestro di pozioni, con fronte corrucciata. Fu fermato dal blaterare ancora dal palmo aperto di Lily che fu
piantato vicino alla sua faccia.

- Lasciami finire - ordinò la donna a Severus. - Conosco Severus meglio di te, Albus, molto meglio di chiunque altro. E posso assicurarti che le sue intenzioni sono reali; inoltre, le sue qualità potrebbero farci comodo: Tu-Sai-Chi non sa ancora del cambio di lato. Severus potrebbe spiare per noi. -

- Lily, ti esorto a ragionare! -

- L'ho già fatto, Albus! Ho parlato con Severus, l'ho già testato a sufficienza. -

- Mi hai testato?! - sbottò incredulo l'ex mangiamorte.

- Shh! Non ho ancora finito! -

- Va bene, calmi tutti ora. - intervenne Silente, zittendo i due ospiti attraverso il potere emanato dalla sua voce. Inchiodò lo sguardo di Severus.

- Prenderò in considerazione le parole della signorina Evans solo perché so di potermi fidare ciecamente di lei. Ora, però, signor Piton, ho bisogno che tu me ne dia conferma e ciò non può che avvenire se non per mezzo di un Voto Infrangibile. -

La voce del vecchio si era fatta seria. Il giovane pentito annuì.

- Sono pronto, signor Preside - affermò, senza alcun accenno a esitazione.

- Ti ricordo che il mancato rispetto del Voto conduce inesorabilmente alla morte -

Quello fu un ennesimo tentativo per sondare il terreno. Ma Severus non mostrò incertezza: porse la mano al Preside, che quest'ultimo strinse in una presa decisa, non distogliendo le iridi azzurrine da quelle scure del contraente.

- La signorina Evans farà da Suggello -

- Certo, Albus - rispose lei, brandendo la bacchetta di Salice contro le mani giunte dei due contraenti.

- Solo un'informazione - li interruppe Severus, guadagnandosi le occhiate curiosa di Lily e cauta di Silente. - Qualcuno sarebbe così gentile da spiegarmi cosa sia l'Ordine? -

- A questo ci penseremo dopo -. Il vecchio mago bloccò qualsiasi conversazione sarebbe seguita: Severus avrebbe potuto fingere di voler compiere il Voto Infrangibile per ottenere informazioni da consegnare a Voldemort. Si erano già esposti troppo: non potevano rischiare ulteriormente.

- Severus Piton, vuoi tu abbandonare le fila del Signore Oscuro? - cantò il Preside di Hogwarts.

- Lo voglio -

- Vuoi tu unirti all'Ordine della Fenice? -

- Lo voglio -

- Vuoi tu essere spia per l'Ordine della Fenice e consegnare quanto vivrai come finto mangiamorte ai membri della congrega d'appartenenza? -

- Lo voglio -

Ad ogni invocazione, una fune di fiamma brillante lasciò la bacchetta del Suggello per legare le mani dei due contraenti.

Silente posò una mano sulla spalla di Severus.

- Ben ritornato, ragazzo mio -

Era nervosa. Si torse le mani in un gioco vorticoso che le interessava. Come poteva dirgli del bambino? Quello non poteva che essere uno scherzo del destino.

Era troppo giovane per avere un figlio!

E se lui non l'avesse voluto?

- Porca puttana! – esclamò, sedendosi repentinamente sul divano del salotto della casa di Severus. Si prese la testa tra le mani, mentre la gamba cominciava a sobbalzarle in un tic nervoso.

Non era tanto lei stessa il problema: la strega lo avrebbe persino tenuto. Amava Severus e metter su famiglia con lui sarebbe stato un sogno, ma non poteva farlo in quelle condizioni.

"Mi lascerà!"

- Ti prego, sta zitta. Non è il momento di parlare! –. Mise a tacere la sua coscienza o, meglio, le paure che affioravano per mezzo della coscienza.

Il maestro di pozioni aveva accettato da poco l'incarico di infiltrato. Dirgli di essere incinta avrebbe rovinato tutto: Severus si sarebbe sentito sicuramente in colpa nel dirle che tenere il bambino in quelle condizioni avrebbe significato una separazione tra loro due. E Lily non voleva dargli il dispiacere di non poter fare il padre.

- Mi lascerà... mi lascerà, lo so! –

Alla fine, aveva ceduto alle sue paure e le aveva esternate.

- Chi ti lascerà? – domandò una voce maschile, all'improvviso.

- Severus! –

Lily si alzò dal divano e il mago corrucciò la fronte.

- Severus? Da quando mi chiami Severus? –

- Ecco... -

La giovane riprese a torcersi le mani.

- È successo qualcosa, Lil? –

- No, Sev, non è successo niente, stavo solo parlando tra me e me! –

- Sì, seduta sul divano, nervosa come un calderone sul fuoco. Basta dare un'occhiata alla tua gamba saltellante! –

Severus incrociò le braccia al petto.

- E poi non mi chiami mai Severus. E, inoltre- -

- Okay, ho capito! Non c'è bisogno di farmi l'elenco! –

La strega osservò l'uomo alzare un sopracciglio.

- Sono nervosa, va bene? –

- Ah, e anche ripetitiva! – la schernì il mago.

Lily gli si avvicinò e gli mollò un ceffone sul braccio.

- Ahia, Lily! –

- Così t'impari a deridermi! –

Il maestro di pozioni sbuffò.

- Se vuoi andare avanti a bambinate, fai pure! Ma rimarrò qui fino a quando non sputerai il rospo. –

- Non sono bambinate! – rispose Lily, mettendo su il broncio e incrociando anch'ella le braccia al petto.

- Ricapitolando, sei instabile d'umore e ti comporti come un'infante. Sono, allora, due le cose: o mi- -

- Sono incinta –

Severus si ammutolì, così come la sua amata, la quale continuò a guardarlo di sottecchi, pronta ad essere la testimone di una brutta reazione.

- ...sei incinta...? –

- Sei diventato sordo, per caso? –

- No, ma... cioè, tu... tu aspetti un bambino? Da noi? –

- Sì... ora chi sarebbe il ripetitivo? -

Severus non fece caso a quell'ultima battuta.

- Non... dici nulla? – affermò la strega, mentre il silenzio cominciava ad opprimerle il petto.

L'uomo si avvicinò e le raccolse le mani.

- Severus, tu... stai tremando. –

- Non potevi che rendermi l'uomo più felice del mondo con questa notizia –

Le sorrise, seppur accennando più tristezza che gioia.

- A me non sembra, Sev... -

- No, Lil, lo sono! Lo giuro sul nome di mia madre! –

- Ma? –

Il mago si prese il suo tempo per formulare l'incipit di una frase di senso compiuto.

- Ho sempre desiderato costruire una famiglia con te, Lily. Ho custodito questo sogno gelosamente nel mio cuore, anche quando non eravamo più vicini. Questo bambino... – le posò una mano sul ventre, - ...è solo più di quanto io abbia desiderato per il momento presente. –

- Sapevo che lo avresti detto... -

- Lasciami finire, Lil. –

La giovane donna drizzò il capo. Una leggera pressione formicolò lungo le sue dita. Severus continuò a tenerle le mani e cercò lo sguardo femminile.

- Ti amo. E amo nostro figlio... o figlia. Sai, però, che, ora, la situazione si farà più complicata... Ne parlerò con Silente e troveremo una soluzione. Te lo prometto –

Fece per baciarle la fronte, ma lei si scansò.

- No, Severus. Non ti permetterò di farlo! –

Il maestro di pozioni corrucciò la fronte, confuso. Aprì la bocca per parlare, ma Lily fu più veloce.

- Se pensi che ti permetterò anche solo di pensare all'aborto come soluzione, ti sbagli di grosso! Io lo voglio questo bambino! –

- Lily, calmati... -

- NO. NON MI DIRE DI CALMARMI. –

- Stai fraintendendo tutto! –

- LO SO, SEVERUS, COSA TI FRULLA PER LA TESTA E NON DIRE CHE NON L'HAI MINIMAMENTE PENSATO, PERCHE' NON TI
CREDERO'! –

Il mago, che di natura era un uomo irascibile, non riuscì più a trattener pazienza.

- VAFFANCULO LILY! –

- VAFFANCULO A TE, SEVERUS! –

Tutto tacque. E il maestro di pozioni lasciò la casa, sbattendo la porta dietro di sé, senza accennare a una sillaba.

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Capitolo 5
*** Litigi e chiarimenti ***


Il lembo orlato del mantello dell’uomo fu strascicato sulle pietre, rese scivolose dalla fitta nebbia che infradiciava le strade perpendicolari e parallele della città di Cokewort. Severus non si preoccupò di stringerlo a sé mentre sentiva l’umidità penetrargli le ossa stanche.

Con un passetto, salì il marciapiede, facendo attenzione a non mettere i piedi in fallo, e fissò la tenda bianca, appesa alla finestra più vicina, illuminata dalla vecchia lampada d’interno. Probabilmente, avrebbe trovato Lily addormentata sul logoro divano, con le guance chiazzate da lacrime ormai asciutte e l’aspetto stravolto, un po' come lui.

Non sentiva di avere il coraggio di entrare, ma avrebbe dovuto, per il bene di entrambi. Lily era fin troppo orgogliosa, ma ne aveva già seppellito un pezzo quando aveva deciso di perdonarlo. Ora, gli toccava.

Girò il pomello di una porta mai chiusa e avanzò, quasi inciampando quando le pagine di un libro aperto incontrarono la punta di una delle sue scarpe.
Il salotto era un disastro: le librerie erano state spogliate del loro contenuto, riverso disordinatamente sul pavimento in legno. La sedia, un tempo affianco al divano, era stata ribaltata.

Si fece avanti, calpestando alcuni frammenti di vetro di un vecchio quadro che aveva sempre detestato.

Lily non era lì. Gli guizzò in capo il pensiero che potesse essere stata rapita, ma sapeva che non era così: Lily era andata via, volontariamente, scossa da quel litigio e dal pensiero, seppur falso, che Severus l’avrebbe obbligata ad abortire, dopo che avesse parlato con Silente.

E l’ex mangiamorte si sentiva uno stupido.

Senza preoccuparsi del disordine, sedette sulla poltrona e si prese la testa tra le mani.

Davvero, come si poteva essere così stupidi?! Non avrebbe dovuto urlare contro di lei in quel modo: avrebbe dovuto saperlo meglio di così, invece, aveva preferito che vincesse la rabbia e la superbia.

In quel momento sì che avrebbe bevuto una birra o due, se ne avesse avuta qualcuna nel frigo, trasformandosi nell’egual copia di suo padre, uomo, un tempo, perennemente accasciato su quel divano, ubriaco fino al midollo, che non perdeva mai colpi quando si trattava di lanciare sentenze e bestemmie e di colpire sua moglie e il piccolo Sev.

Il solo pensiero gli fece salire la bile in gola: come avrebbe potuto crescere il bambino che Lily aveva in grembo se, con il cuore ferito, avesse reputato una bevuta come un sano passatempo cicatrizzante? Forse non era pronto per fare il padre ed era stato un bene che Lily l’avesse lasciato solo quella sera.

Lanciò un’occhiata all’orologio piazzato a muro, tra due librerie. Erano le due di notte e, nonostante potesse avere facoltà di mettersi a letto e farsi una sana dormita per schiarirsi le idee, decise di rimanere sveglio, perché sapeva non avrebbe chiuso occhio.

Così, raccolse un libro, a caso, e lo aprì. Non si preoccupò di riordinare il caos che lo circondava: era il rispecchio preciso della sua anima.

L’indomani, seduto in cucina, prese un sorso di un amaro caffè, preparato sul momento alla maniera babbana. Sobbalzò quando la lingua fu spiacevolmente colpita dal liquido bollente: che fosse fato o karma, la vita lo puniva per aver straparlato il giorno prima.

Il potente picchiettio sulla porta d’ingresso lo distolse da tossici pensieri. Che Voldemort avesse scoperto del suo tradimento? Cacciò fuori la bacchetta di betulla e, silenziosamente, si avvicinò al vano. Roteò lo spioncino e sbirciò all’esterno.

Lupin.

Invece di tirare un sospiro di sollievo, contrasse un muscolo della mandibola. Cosa diavolo ci faceva il lupo alla sua porta?

Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, quasi tachicardico. Strinse il pomello con mano tremante, lo roteò e aprì senza troppe cerimonie la porta, ritrovando Remus Lupin a un solo metro di distanza.

- Lupin. Qual dispiacere! – esclamò, osservando attentamente l’uomo di fronte. Aveva un aspetto terribile, probabilmente dettato dalla prossima luna piena.

- Cosa vuoi? – domandò Severus, alla ricerca di monotono che fu, però, sostituito da un vocalizzo rabbioso. Era pronto a sbattergli il vano in faccia: testimone ne era la mano sul bordo del pannello in legno.

- Mi fai entrare? – ribatté Remus, tentando un passo avanti, subito bloccato dall’ex mangiamorte.

- No. Non ti lascerò entrare in casa mia. –

Sillabò ogni parola per sottolinearne il valore intrinseco.

- Peccato che Silen- -

Una mano dalle dita lunghe fu piazzata bruscamente sulla bocca di Lupin, mentre un’altra lo tirava all’interno della casa per mezzo della collottola della camicia spiegazzata. Severus chiuse la porta e girò il chiavistello, chiudendola a estranei.

Scaraventò il licantropo contro una libreria, dal momento che non aveva alcuno spazio libero sul muro, e gli ficcò la punta della bacchetta contro la gola.

- Cosa è successo nel luglio tra il nostro quinto e sesto anno a Hogwarts? –

- Sirius ti ha fatto quasi uccidere da me e James ti ha salvato la vita – pronunciò Remus, con voce strozzata.

Fu rilasciato all’istante. L’ex mangiamorte si allontanò di due metri dal suo ospite e lo scrutò con occhi di falco, senza dire una parola.

- Non c’era bisogno di soffocarmi –

Remus massaggiò la gola con un cipiglio d’irritazione diffuso.

- Sette anni! Sette anni di istruzione e ti comporti ancora come uno scolaretto del primo anno? –

- Rimango della mia idea. –

- Ah, sì, dimenticavo che, invece che studiare, passavi le tue serate con quelle altre bestie da soma –

- Non ti permettere, Severus! -

- Non chiamarmi Severus! –

Il “lupo” alzò le mani in segno di resa.

- Non c’è bisogno di scaldarsi così tanto, Piton! Come vedi, è già fatto! –

- Cosa vuole Silente? – domandò il mago dai capelli corvini, cambiando argomento.

- Riunione dell’Ordine. Mi ha chiesto di passarti a prendere –

- Non muoverti – gli ordinò, prima di recarsi in camera da letto e darsi una aggiustatina veloce. Non avrebbe voluto lasciare il licantropo solo, soprattutto perché casa sua era tendenzialmente a rischio con siffatto “animale” all’interno, ma dovette concedergli fiducia.

Pettinò i capelli neri, ma non si preoccupò di legarli, nonostante fossero d’aspetto unto, dovuto ai suffumigi dei calderoni con pozioni in ebollizione su cui stava lavorando nell’ultimo periodo. Sciacquò il volto, nel tentativo di cacciar via ogni traccia di stanchezza, inutilmente; poi, raggiunse Lupin, il quale, con gran sorpresa di Severus, era rimasto al suo posto e aveva speso il suo tempo a rimirare l’angusto salotto.

Alzò lo sguardo quando udì le scale scricchiolare sotto i passi del maestro di pozioni e si schiarì la voce, pronto a dire qualcosa che non sapeva se avesse fatto piacere o meno al suo acido interlocutore.

- Prima di zittirmi comple- -

- Dillo e basta, Lupin! –

- Vorrei… ecco… scusarmi –

Piton alzò un sopracciglio.

- Sono stato uno stupido durante i miei anni a Hogwarts. Ho sempre saputo quanto fosse sbagliato prendersela con i più deboli e- -

- Se non fosse per la riunione – lo interruppe l’ex mangiamorte, - ti avrei cacciato da questa casa all’istante! Risparmia le scuse.

- Severus… -

Remus cercò la strada dell’intraprendenza, ma l’altro mago non glielo permise.

- Non ne ho bisogno, soprattutto non da una pecora come te! – sbottò, guidato del desiderio di ferirlo.

- No, Piton! Questa volta non starò zitto come ho fatto per tutti questi anni. E le tue offese non mi faranno cambiare idea! –

Severus sospirò irritato.

- Ebbene? – esclamò.

- Ho avuto modo di riflettere sul mio comportamento durante gli anni passati: nonostante sapessi cosa si provi a esser presi costantemente di mira da bulletti gradassi, non ho mai avuto il coraggio di ribellarmi a James e Sirius, oppresso dalla paura di esser escluso da primi amici della mia vita –

- Questo non giustifica il tuo comportamento. –

- No, non lo giustifica, ne sono consapevole. Comunque, per quanto terribile, è un tentativo di scuse –

- Ovviamente –

- E – si ritrovò ad aggiungere velocemente Remus – non mi aspetto, né chiedo il tuo perdono. Solo… accettale, okay? –

L’ex mangiamorte rimase impassibile: non pronunciò una sillaba, non sorrise, non si arrabbiò, non annuì. Niente di niente. E per il licantropo era alquanto preoccupante.

- …stai bene? – gli domandò, dopo un bel po' di tempo in cui l’uomo continuava a fissarlo.

- Dopo questa enorme perdita di tempo, possiamo andare? –

Remus avrebbe voluto sferrargli un pugno in faccia.

- Serve il caminetto – si limitò a dirgli, mentre serrava i denti dal nervoso.

Severus puntò prontamente la bacchetta verso il mezzo di trasporto e vi lanciò un rapido Incendio. Le fiamme divamparono.

- Il nome del luogo? –

- Salotto di Cottage Potter –

- Ah, Cottage Potter, il paradiso dei dilettanti e degli intrusi, a quanto pare. Non c'è davvero luogo migliore dove il mio umore possa essere
ulteriormente compromesso – farfugliò, sarcasticamente, con aria funerea.

- Se non ti dispiace, vado io per primo –

- Abbi pure l’onore! –

Severus si scostò e il licantropo, gettata una manciata di polvere volante nel focolare, vi entrò e scandì la destinazione. Sparì in un millisecondo. Il maestro di pozioni lo seguì nel giro di un minuto.
 

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Capitolo 6
*** A non buttarsi si butta una vita ***


Albus Silente aveva scelto Remus Lupin come confidente della nuova presenza tra le fila dell’Ordine della Fenice perché aveva imparato a conoscere il giovane uomo: alla notizia che Severus Piton sarebbe stato membro della segreta congrega, un sincero pentimento e un rinnovato spirito si erano fatti strada nelle iridi del lupo mannaro. La presenza dell’ex mangiamorte avrebbe riacceso vecchie battaglie e il vecchio mago era sicuro che Remus sarebbe stato un ottimo mediatore tra le due fazioni che, da anni ormai, si battevano l’una con e contro l’altra.

Dal canto suo, il lupo mannaro sapeva che non sarebbe stato affatto semplice presentarsi alla porta del giovane Severus. Irritazione e disprezzo, facili da captare nel tono di quest’ultimo, furono considerati una giusta punizione per l’omertà e il complice silenzio a cui Remus aveva dato spazio sin dal suo ingresso a Hogwarts.

Fu in quelle vesti che cercò di far la sua comparsa nel salotto della casa di James Potter, nonostante il ribollir del sangue a seguito dell’audace insofferenza e prepotenza dell’uomo dai capelli corvini.

- REMUS! –

Un vocalizzo entusiasto del nome del lupo riecheggiò tra le mura del salotto e Remus osservò chiaramente le figure dei suoi due migliori amici farsi più vicino, per salutarlo.

- Che fine avevi fatto? – domandò James, tirandogli uno scherzoso pugno sulla spalla, punto che la giovane vittima cominciò ad accarezzare con finta smorfia di dolore dipinta sul volto.

- Non c’è bisogno di essere così maneschi, James! –

- Suvvia, Rem, non fare il cucciolo indifeso! – intervenne Sirius, cingendogli le scapole con un braccio.

Un ammasso non proprio morbido colpì improvvisamente i polpacci e il retro delle ginocchia del licantropo, il quale cadde in avanti, faccia a terra, con un "Oof" spiazzato da quel colpo improvviso.

  - Maledizione! - gracchiò una voce maschile a tutti conosciuta, che lasciò nelle iridi di James e Sirius prima uno sguardo di incredulità, poi di cieca rabbia. 

  - MOCCIOSUS! - urlò il primo, tirando fuori la bacchetta e puntandola verso l'obiettivo.

Remus, nel frattempo, era strisciato in un angolino, tenendo stretto il ponte del naso da cui aveva cominciato a gocciolare del sangue. 

Severus, invece, non era affatto mortificato per quanto accaduto: non gli dispiaceva che quel doppia faccia si fosse rotto un osso del volto. Era, piuttosto, imbarazzato per quell'entrata rocambolesca.  

Si fece forza sui gomiti e, poi, sulle mani per tirarsi su. 

  - Nono, tu non vai da nessuna parte! -

  - Sirius, non è necessario -
  
  - Zitto, Rem, lasciaci fare il nostro lavoro! -

Una mano lo prese per la collottola e lo strattonò indietro. 

  - James- - 

Remus continuò il suo tentativo di far gettare la spugna ai due, ma fu presto zittito.

  - INCARCERAMUS! - 
  
  - SIRIUS! -

Sirius aveva cantato l'incantesimo con goduria più che accennata nel tono di voce. 
Una serie di corde forti si strinsero dapprima attorno ai piedi e alle mani dell'ex mangiamorte e, poi, fecero il loro corso lungo le gambe, il busto e, infine, il collo scoperto, premendo su di esso quanto bastava per mandar l'uomo in asfissia. 

Piton artigliò, con fare agitato, il cappio, cercando di distanziarne un lembo dalla pelle martoriata. I suoi occhi sbarrati videro nero. Era sovrastato dal battere delle pulsazioni del cuore accellerato.

  - Siri, basta! Lo ammazzerai! -

Era Potter.

Severus non aveva mai pensato di poter morire così, sotto lo sguardo divertito di colui che avrebbe dovuto combattere i mangiamorte, ma che ne avevano assunto gli stessi modi di fare, e quello pietoso di colui verso il quale il maestro di pozioni aveva già un debito di vita.

Crollò sui mattoni del pavimento della sala. 

Sirius sorrise.

 - Silente sarà più che contento del nostro bottino! - affermò, premendo il petto in fuori, compiaciuto.

James estrasse la bacchetta per fermare la vicina carneficina, ma fu anticipato da Remus.

  - FINITE INCANTATEM! -

L'aria piombò nei polmoni del giovane Severus mentre le corde si ritiravano e scomparivano nel nulla. 

  - MA CHE CAZZO- - urlò James, avvicinandosi con passo omicida verso Felpato, prima di essere interrotto perchè messo K.O. da un nuovo ospite del Cottage, che da poco aveva varcato la porta del salotto. Stessa fine fece Sirius. 

Nessuno si preoccupò di lanciare un incantesimo ammortizzante. 

Il tonfo di alcuni passi si fece sempre più vicino al maestro di pozioni e delle mani gentili e contemporaneamente ferme gli cinsero le braccia.

  - Su, Severus... -

Era una donna. Le forti braccia lo tirarono su, aiutandolo a mettersi seduto e a poggiare la schiena contro la spalliera del retro di una poltrona. 

Il caminetto doveva essersi azionato per permettere l'entrata di qualcuno, perchè Severus aveva udito nettamente l'aumento del crepitio delle fiamme. 

  - ...cosa è accaduto qui, Alice? - 

Silente. 

L'ex mangiamorte aprì gli occhi e voltò il capo verso l'anziano mago, il quale catturò il suo sguardo e, preoccupato, si avvicinò a lui.

  - Severus, stai bene? -

  - No, Albus. Non sta bene! Quei due lì - Alice indicò James e Sirius, stramazzati al suolo - l'hanno quasi ammazzato! -

  - Il signor Potter e il signor Black? -

L'utilizzo dei loro cognomi non era buon segno. 

  - Si, Albus! Io l'avevo detto che non sarebbe stata una buona idea far venire qui Severus, senza dar prima un avviso! -

  - Non è il momento di discutere, Alice -. Fu Remus a interrompere l'irato monologo: era ora in piedi, a due metri di distanza dalla donna. Aveva un aspetto terribile: la pelle pallida contrastava con il vivace rosso che umettava il naso, le labbra e il mento.  
  
  - Tu stanne fuori! -
  
  - Non puoi dire di starne fuori, visto che- -
  
  - BASTA! - urlò Silente, silenziando la stanza. - Qualcuno può spiegarmi cosa è successo? - domandò, rivolgendo una lunga occhiata ai tre presenti, vigili.

Remus si schiarì la voce per attirare l'attenzione. 

  - Sirius ha lanciato un incantesimo incarcerante su Piton, soffocandolo- -
  
  - Lo stava letteralmente ammazzando! -
  
 il licantropo continuò come se nulla fosse.

  - James ha provato a fermarlo, ma l'ho anticipato. Mancava cosi poco perchè lui- -

  - ...smettetela di... parla-re di me... come se non fossi qui... - gracchiò Severus, mentre cercava di alzarsi in piedi su gambe traballanti. Alice l'accostò presto e lo aiutò. Il sopravvissuto non oppose resistenza. 

Le fiamme del camino si accesero, colorandosi di verde, e sputarono fuori la figura aggraziata di Lily. La donna si guardò attorno e le sue iridi si soffermarono un momento di più su Severus. 

Quest'ultimo vi lesse malcelata preoccupazione. 

  - Cosa...? -
  
  - Non è successo nulla. - rispose Piton, prima che qualcun'altro potesse raccontare la verità. Lily era incinta e non voleva destabilizzarla.

  - Non dirmi cazzate, Severus. -
  
 L'ex mangiamorte le rivolse uno sguardo di supplica.

  - Per una volta, Lily... abbi fiducia in me... -

Fu una mossa sbagliata, perchè la donna, di tutta risposta, gli indirizzò un cipiglio truce. 

  - Ora come ora, non ho fiducia nelle tue parole. E non puoi chiedermi di averla quando hai appena mentito di fronte all'evidenza dei fatti! - ribattè, incurante della presenza di Lupin che osservava la scena con occhi stupiti e sbarrati. 
  
Severus Piton tacque. La sua mente non riuscì a pensare alcuna parola di smentita. 

Si intromise Remus, tentando di calmare le acque. Raschiò la gola perchè gli occhi fossero tutti puntati sulla sua persona e fece un passo avanti.

Lily alzò un sopracciglio. Il licantropo si chiese se l'avesse preso da Severus. 

Prima che la verità potesse venire a galla, il maestro di pozioni si alzò dal divano, aiutato nuovamente da Alice che era rimasta al suo fianco.

  - È meglio che tu ti sieda - disse alla fulva amata, guadagnandosi subito le sue proteste. 

  - Non mi siederò. Ditemi cosa cazzo è successo o vi maledirò tutti con l'incantesimo solleticante! E vi prometto che lo farò andare avanti fino a quando non sputate il rospo. -

L'incantesimo solleticante avrebbe potuto sembrare innocuo; in realtà, era assimilabile, per utilizzo pensato da Lily, alle torture cinesi applicate ai nemici prigionieri. 

  - Non c'è nulla di ridere, Albus! Ed essere il capo dell'Ordine non ti esula dalla minaccia! -

Silente alzò le mani in segno di resa. 

  - Allora?! -

  - Te lo dirò io, Lily. Magari, però, ci spostiamo in luogo più... appartato, che dici? -
  
Era Alice Paciock. Lei e la giovane erano legate da una profonda amicizia. 

La ragazza dai capelli ramati sapeva che non sarebbero state buone notizie. Annuì lentamente e con un - Andiamo -, si fece strada, sorpassando la sua amica, fino in una stanza attigua al salotto. 

 - Ebbene? - domandò Lily, chiedendo pronta risposta. Battè un dito lungo le braccia incrociate, impaziente.

Alice sospirò. Non sarebbe stato affatto semplice.

  - Nessuno sapeva sarebbe arrivato Severus, se non me e Remus. E, presumo, lo sapessi anche tu... -

  - Si. -
  
  - Non me lo hai detto... -

  - Non è il momento di contare cosa si è detto e cosa non si è detto, Alice! Se proprio vorrai parlarne, lo faremo in un secondo momento! -

La signora Paciock socchiuse gli occhi, irritata dal comportamento dell'altra presente.

  - Potrai scommetterci! - le rispose. 

Avevano entrambe un bel caratterino.

  - Te la faccio breve: Sirius ha lanciato un Incarceramus a Severus e per poco non lo ammazzava soffocandolo -

  - Co... cosa... come... -

  - Io ero in cucina, ho sentito delle urla e sono accorsa in salotto. James ha provato a fermare Sirius, ma Remus è stato più veloce lanciando un Finite e io ho provveduto a far perdere i sensi ai due - 

  - Dobbiamo portare Severus al San Mungo -

Lily fece per dirigersi verso la porta, ma Alice la fermò. 

  - Non possiamo farlo, Lily, e tu lo sai -

  - Ma lo hanno quasi ammazzato! E se si fosse fratturato qualcosa? Se fosse successo qualcosa? È necessario che un medico competente lo controlli! -
  
  - Severus sta bene, Lily! -

La signora Paciock le prese le mani e si accorse che la sua amica stava tremando.

  - Se fosse successo qualcosa, ci avrebbe avvisato, non credi? -
  
Lily annuì, seppur non fosse proprio convinta di ciò, e una lacrima le solcò una guancia. 

  - Quel bastardo... lo ucciderò io stessa non appena apre gli occhi al mondo! -

  - Lascerai che mi unisca a te? -
  
  - Non ti lascerei mai indietro, Alice! - 

  - Bene, perchè voglio che la paghi cara. -
  
La sua interlocutrice annuì, seria, prima di aggiungere:

  - Sono stata una stronza... non avrei dovuto trattare Severus in quella maniera prima... non sono stata molto diversa da Sirius... - 

  - Non dirlo neanche per scherzo, Lily! Si, sei stata un po' stronza, ma non sei stata tu a cercare di uccidere Severus. E, poi, sei ancora in tempo per rimediare! -
  
Strinse la presa in gesto di conforto.

  - Si... hai ragione... - 
  
  - Ora torniamo in salotto. Sono sicura che Severus stia facendo i salti mortali per vederti! -

Le sorrise.

  - Sicuramente... -

Lily spazzo via la lacrima e seguì Alice dove erano presenti gli altri membri dell'Ordine. Come previsto, trovò Severus che faceva pressione su Albus e Remus per passare. 

  - Sai che è un mio diritto vederla! -
  
  - Ragazzo mio, non è- -
  
  - Sono qui - si intromise Lily. Tutti voltarono lo sguardo su di lei, ma il più apprensivo era proprio quello del suo amato, che si fece avanti verso di lei. 
  
  - Stai bene...? -
  
  - Dovrei chiedertelo io, in realtà... andiamo di là? -

Severus accettò e i due si appostarono dove Lily aveva parlato con Alice pochi secondi prima. 

  - Siediti, Sev... -

Aveva utilizzato il diminutivo. Era buon segno.

  - Sto bene, Lily, non c'è bisogno che io mi sieda! -
  
  - Ho detto siediti. -

Lo sguardo che gli rivolse lo fece desistere dal ribattere. 

  - Va bene... mi siedo! - 

  - Ottima decisione -

 Lily lo affiancò, ma rimase in piedi. Estrasse la bacchetta dalla fondina inserita nella manica e cominciò a lavorare sul maestro di pozioni in religioso silenzio. 

Aveva imparato tempo prima le manovre diagnostiche e di cura di base frequentando un corso di formazione sul pronto soccorso. Lanciò un incantesimo diagnostico, per appurare se davvero Severus fosse illeso come aveva detto Alice. 

La pergamena apparsa tra le mani segnava solo un ematoma in generazione sulla pelle sfregiata dalla corda. 

  - Grazie a Merlino nessuna frattura o altro... - affermò, tirando un sospiro di sollievo. 

  - Sto bene, Lily. -
  
  - No, non stai bene Severus! Hanno cercato di ammazzarti -

  - Non c'è bisogno di ripeterlo, lo so. E, comunque, sono stato vicino alla morte più volte rispetto a quanto tu possa immaginare -

  - Non significa che stai bene, Sev. Sei pallido e stai tremando! Forse non è stata una buona idea farti venire qui... -
  
  - Quel che è fatto, è fatto, Lil. Non si può cambiare il passato -
  
  - Ma lo vorrei... - 
  
  - Anche io lo vorrei... ma si può sempre cambiare il presente... -
  
  - Si... -

Lily posò una mano sul petto di Severus e lo spinse dolcemente indietro fino a che la sua schiena non poggiò sullo schienale della poltrona; poi, si inginocchiò sul divano, sedendosi in grembo al giovane, attenta a non poggiarsi con tutto il proprio preso su di lui.

Chinò il capo fino a baciargli le labbra. 

  - Mi dispiace, Sev... -
  
Severus le appoggiò le mani sui fianchi. Lily si morse il labbro.

  - Non avrei dovuto trattarti in quel modo... -

  - Non devi scusarti -

  - No. Ti devo queste scuse. Ti ho trattato di merda, Sev. Non ti ho dato ascolto... di nuovo... ma ora voglio farlo, quindi... che ne diresti di ricominciare daccapo? -

  - Sono stato poco delicato nel pronunciare quelle parole ieri sera e mi dispiace... non sapevo bene come comportarmi. Questa notizia... bellissima, e lo sottolineo... mi ha preso alla sprovvista. Ma questo bambino lo voglio anche io, Lily! Non ti chiederei mai di disfartene, mai! - 

  - E allora perchè hai detto che c'è bisogno di trovare una soluzione? -

  - Perchè la nostra è una posizione delicata... se Tu-Sai-Chi scoprisse te e il bambino... -

Severus non terminò la frase. Deglutì e gli occhi gli si fecero lucidi. 

  - Non lo pensare... non lo pensare nemmeno... - rispose Lily, prima di baciarlo nuovamente, questa volta in maniera più passionale.
  
  - Non permetterei mai che succeda qualcosa al bambino e a me, Sev! -

  - So quanto tu sia coraggiosa... -
  
  - Non è coraggio. -

I loro sguardi si scontrarono.

  - È l'istinto di una madre -

Severus non disse nulla, rapito dalla luce nello sguardo della donna che amava. Lui non era stato così fortunato: non aveva avuto il dono di una madre disposta a tutto, anche a morire, pur di difenderlo dalle botte di Tobias. 

  - ...avrei voluto una madre come te... -

Gli occhi di Lily si addolcirono.

  - ...ti amo... - disse lei.

  - ...anche io... - rispose lui.

Non molto tempo dopo, Severus e Lily fecero capolino in salotto, curiosi di quanto fosse accaduto in loro assenza. 

James era tornato ai propri sensi ed era seduto sulla poltrona precedentemente occupata dall'ex mangiamorte. Giaceva tra le mani una tazza rossa fumante, intoccata. Lo sguardo del ventunenne si soffermò su Severus. Quest'ultimo ricambiò. 

Forse resosi conto non ci fossero danni permanenti o forse imbarazzato dal mostrarsi preoccupato per quello che avrebbe dovuto essere un nemico comune, Potter lasciò l'altro libero dal suo scrutinio

Di Sirius, invece, neanche l'ombra. 

  - Dov'è quel coglione, Albus? - domandò Lily, con voce fintamente calma.
  
  - Me ne sono occupato personalemente- -

  - ALBUS, NON TRATTARMI COME UNA RAGAZZINA! Dove cazzo lo hai messo?! Non lo starai mica proteggendo, vero? PERCHÈ IO LO TROVERÒ COMUNQUE E GLI FARÒ RIMPIANGERE DI ESSERE NATO! - 

  - Lily- -
  
  - Non ti intromettere, Sev! -

 Severus sospirò, irritato, e rivolse uno sguardo di supplica al Preside di Hogwarts.

  - Non lo sa nessuno, Lily, nè io, nè Remus, tantomeno James - si intromise Alice. 
  
  - Così è? -

Albus annuì. Si leggeva una fitta stanchezza negli occhi.

  - Allora, lascia che ti dica una cosa. -

Lily piombò su Potter come un avvoltoio. Poggiò le mani su entrambi i braccioli della poltrona, inchiodando il giovane su di essa. 

  - Tu e quel coglione avete rotto con tutta questa fottuta manfrina! Lo dirò solo una volta e non lo ripeterò: Severus non. è. un. mangiamorte. -

Fissò l'uomo sotto di lei.

  - Sono stata abbastanza chiara? - 

La nuova vittima annuì, incapace di pronunciare anche una sola parola. Tutti sapevano quanto Lily potesse essere pericolosa se si fosse fatto un passo falso.

  - Bene. -

Albus battè le mani. 

  - Ottimo, ragazzi miei! Sono contento abbiate trovato un buon compromesso! - affermò con fare da nonno.

  - Visti gli eventi di quest'oggi, la riunione dell'Ordine slitta a data da destinarsi -

  - Ci mancherebbe altro! - sentenziò Lily, con una smorfia disgustata dal teatrino che il vecchio si era sentito in dovere di mettere su. 

Severus le si avvicinò e le susssurrò: - Vieni a casa...? -

  - Si! Tu comincia ad andare, devo prendere giusto la mia borsa. -

  - Va bene... ti aspetto in camera da letto... - 

  - ...Seeev... shhh... -

Il maestro di pozioni le rivolse un sorrisetto malizioso e si congedò.

La borsetta era una scusa. Lily aveva già in mente un piano. 

  - Allora io vado. Conto che questa riunione si faccia a breve, visti i tempi... e i nuovi mangiamorte che prendono le fila dell'Ordine della Fenice. - 

Lanciò la metropolvere nel camino e vi entrò, non appena si colorò di verde. 

  - Ah, ancora una cosa prima che vada! -

Il suo sguardo si soffermò su James, pronto a cogliere una punta di gelosia. Lily sorrise internamente.

  - Io e Severus stiamo insieme - 

Si concesse abbastanza tempo per vedere le nocche di James farsi bianche mentre le dita si conficcavano nell'inbottitura del divano e le labbra assottigliarsi prima di cantare la destinazione a cui era promessa.

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Capitolo 7
*** Morire ***


Lily Evans era stata fortunata: la notte in cui aveva annunciato il suo fidanzamento con Severus, nel salotto di Cottage Potter non era stato presente Peter Minus, nè in forma umana, nè in forma di topo. 

Quella fortuna, però, era durata poco. 

- M-mio signore. -

Un uomo tozzo e goffo si inginocchiò alla presenza dell'essere che sedeva in una oscura sala del trono, annunciando così la sua presenza e la portata delle nuove notizie. 

Voldemort alzò lo sguardo, fissando i suoi occhi rossi sull’uomo.

- Codaliscia! Cosa ti porta così velocemente dal tuo padrone? - rispose Voldemort, il suo volto scheletrico adornato da uno spiacevole e pericoloso sorriso.

Peter Minus era per Tu-Sai-Chi un animaletto prezioso, che faceva a gara con l'amabilità di Nagini, solo che il topo era più facilmente manovrabile del serpente.

- M-mio Si-signore, nuov-ve notizie -  

L'animagus si torse le mani, nervoso. 

- Parla. - gli ordinò il maestro, con un cenno fintamente accondiscendente.

- S-si tratta di P-Piton, m-maestro. S-si è sp-sposato. -

La risata di Voldemort gli fece rizzare le carni. 

- Non credevo che Severus Piton potesse provare dei sentimenti per una donna. Dimmi, Codaliscia, chi è lei? Presumo sia una nobile Purosangue tra le mie fila -

Minus scosse il capo convulsamente e la fronte del suo maestro si corrugò. 

- È u-un sanguesporco, maestro. E-è in-incinta. -

Le nocche delle mani di Tu-Sai-Chi divennero più pallide di quanto la pelle contornante quei punti fosse mai stata. 

- TRADITORE! - urlò Voldemort, le labbra strette, quasi fossero una cerniera, gli occhi più rossi del normale, ardenti di rabbia. 

La sua pelle cenerina, tuttavia, non mostrò nessun segno d’ira, rendendo ancor più spaventosa quella che era la figura di Lord Voldemort. Le gote e le orecchie non si colorarono.

- C’è qualcos’altro che desideri dirmi, Codaliscia? -

Pettigrew fece un passo indietro, con gli occhi sbarratti.

- S-si, Mio Si-signore- -

- Allora… DATTI UNA MOSSA! - lo interruppe.

- S-si… -

- Legilimens - pronunciò il Signore Oscuro, ormai impaziente di sapere la verità e stanco del balbettio del suo stupido servitore. Era tutto buio, non vi era nemmeno una fessura da cui spiare. 

D’un tratto, però, senti una voce femminile parlare:

- Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese- -

E poi un silenzio di tomba. 

Con grande rabbia, si catapultò fuori dalla testa di Codaliscia, lasciandolo intrappolato nel suo dolore, a terra, ansimante.

- CRUCIO! -

E mentre le urla del suo seguace fendevano ogni traccia di “possibile” silenzio, decise di convocare Severus Piton al suo cospetto.


Severus era nel suo laboratorio di pozioni. Lily era al suo fianco. 

Lily. 

Sua moglie. 

Se si fosse varcata la soglia di tale stanza si sarebbe potuta assaporare una certa aria di concentrazione: erano intenti a preparare alcuni rifornimenti per l’ala dell’ospedale. Essendo l’uno Maestro di Pozioni, l’altra più che brava nel prepararle (sarebbe stata certamente una eccellente Maestra di Pozioni anche lei), i calderoni che gorgogliavano erano più di uno. 

Erano due figure in uno, in perfetto equilibrio e armonia, meticolosi e puntuali nel loro lavoro. 

Le loro braccia si appropriavano di movimenti del tutto sincronizzati, senza mai scontrarsi. 

Il piano da lavoro, un legno di abete, aveva su di esso ingredienti perfettamente organizzati, fiale, mestoli.

Severus raccolse una fiala di Sciroppo di Elleboro da aggiungere al Distillato della Pace. Secondo le regole della preparazione, lo sciroppo avrebbe dovuto essere versato nel momento in cui la pozione fosse diventata di color rosa e, poi, mescolato fino a far divenire l’intruglio di color turchese. 

Ma proprio nell’istante in cui stava per stillare il liquido, il marchio cominciò a bruciare intensamente. 

Severus lasciò cadere la fiala, che si frantumò in mille pezzi sul pavimento, e strinse il braccio con l’altra mano, nel tentativo di fermare il dolore. 

Lily lo guardò con gli occhi sbarrati dalla paura e accorse al suo fianco. 

- Severus- -

- Lily... vai da Silente... dì lui che sono stato convocato. Rimani lì... fin quando non ritorno. - disse Severus, guardando gli occhi di Lily, iridi preganti di stare attento. 

Le posò velocemente un bacio sulle labbra.

- ...sta attento, Severus.... - 

Si scambiarono un ultimo sguardo. Poi, prese le sue vesti e la maschera, raccolse la polvere volante e la gettò nel camino, dopo esservi inserito all’interno. E con uno strattone, fu gettato nel salotto di Spinner’s End, per poi apparire dove il Signore Oscuro voleva.

Cadde in ginocchio su un sentiero ciottolato di pietrine, alcune dalle punte acuminate, che gli ferirono le ginocchia. 

Tutto intorno una fitta foresta e all’orizzonte una vecchia casa in rovina. 

L’aspetto era uno dei più spettrali che Severus avesse mai visto. Ma quella tetraggine era resa perfettamente dal cielo che la incorniciava: l’oscurità delle travi di legno contrastava perfettamente il suo pallore. 

Il vento ululava nella sua velocità, portando con sé foglie, terra e nuvole, in un vortice confuso.

Severus strinse un pezzo del suo mantello nero, premendolo davanti al suo volto, per evitare di essere coinvolto in tale gazzarra. 

A passo svelto, raggiunse l’abitazione e spalancò la porta d’ingresso, ma si fermò presto sui suoi passi: al suo interno non c’era nessuno, nessun Mangiamorte, no Voldemort. 

Il cuore gli venne in gola. 

Si affrettò a salire le scale marcie, dall’aspetto non molto invitante, che pensava portassero a delle consumate camere da letto. 

Si ritrovò in un corridoio buio. Non filtrava nemmeno un raggio di luce. A sinistra e a destra vi erano una serie di porte. Provò a girare il pomello della prima, ma era chiusa. Della seconda, della terza, ma niente. Ne mancava solo una, ma su di essa non vi era nessuna impugnatura. Solo la serratura di una chiave. La porta era socchiusa. La spalancò. E quello che vi trovò per poco non lo fece svenire.

Legata alle colonne di un letto a baldacchino, le uniche a esser potute intravedere di tutta la sua impalcatura, nascosta da una serie di tende nere, pendenti dal soffitto, c’erano le mani e le caviglie di una donna, completamente nuda, con un mantello drappeggiato sulla sua testa per coprirle il volto e i capelli. La sua pelle pallida era in netto contrasto con il rossore crudo dei polsi. Il suo ventre era leggermente gonfio, la sua pelle screziata. 

Al suo fianco un uomo alto ed esile, dai capelli lunghi e neri, legati dietro la nuca in una coda di cavallo. Il suo aspetto era leggermente trasandato, la camicia a quadri verde e blu spiegazzata e le maniche arrotolate entrambe fino al gomito. Il braccio destro era piegato e celato dietro il busto, teso. Sembrava quasi nascondesse qualcosa di pesante. Un profondo odore di alcol impregnava la stanza.

I muscoli del corpo di Severus si tesero, qualcosa non sembrava giusto. 

Ma una voce conosciutissima lo costrinse ad alzare gli scudi della sua mente, in modo tale da apparire neutro, il suo sguardo freddo, vuoto e distaccato.

- Severus - sibilò Voldemort, - il mio più caro servitore -

Era seduto su una poltrona, posta in un angolo. Ai suoi piedi giaceva Nagini, con aspetto regale e fiero.  

Severus si inginocchiò, chinando il capo, la cortina dei capelli unti gli solleticò le guance.

- Mio Signore - rispose.

- Sai - disse Voldemort, alzandosi e avvicinandosi alla sua figura, - ho sempre pensato a te come un figlio, il figlio che tutti i padri vorrebbero: intelligente, accorto, obbediente. Nella mia mente ti ho sempre disegnato come il mio erede, l’unico capace di poter portare avanti quella che è la mia missione. Ho provato così tanto orgoglio quando hai deciso saggiamente di porre al mio servizio il tuo lavoro da Maestro di Pozioni. Mi hai reso così fiero, l’unico a credere così saldamente nei valori del suo Padrone… -. 

Pose la sua mano ossuta sul capo di Severus, accarezzandolo dolcemente per un istante.

A Severus non piacque per niente la via dove pensava stesse conducendo il discorso. 

Immediatamente, apparvero decine di Mangiamorte, tra cui la cerchia ristretta del Signore Oscuro. Tutti si prostrarono a terra, in adorazione. 

Un brivido percorse la schiena di Severus. Il suo corpo si tese, all’erta. Strinse le dita sulla sua bacchetta.

- Eppure, Severus - continuò Voldemort, - ora mi ritrovo molto dispiaciuto dal tuo comportamento. Hai deciso di sfidarmi sposando quella sudicia Nata Babbana, mettendola anche incinta! -

  - Mio Signore- -

  - TACI! - urlò e il maestro di pozioni si sentì morire.

- Mi hai deluso profondamente, Severus. E, ora, ne pagherai le conseguenze! -

Con un impercettibile cenno del capo da parte di Tu-Sai-Chi, Severus si ritrovò immobilizzato da grosse funi: tutto il suo corpo fu circondato. Cercò di opporre resistenza, ma i lembi strinsero ancora di più. Lo sfregamento stimolò la sua pelle tramite i suoi vestiti, procurando ferite non del tutto indifferenti: l’epidermide si lacerò, lasciando trapelare qualche rivolo di sangue. Le vesti furono intrise di macchie più scure del nero. 

Cercò la passaporta che era sempre nelle sue vesti, ma le corde non gli permisero di toccarla, come fecero per la sua bacchetta.  

Sentì i suoi capelli essere acciuffati in una manciata e tirati indietro, esponendo la sua gola pallida. 

Ormai non c’era più bisogno di difese, ogni centimetro del suo corpo era indifeso; ben presto, lo sarebbe stata anche la sua anima. 

Il pomo d’Adamo oscillò pericolosamente. 

Poi, fu trascinato per i capelli fino al muro di fronte la macabra scena della donna nuda e dell’uomo in maschera.

E, con uno schiocco di dita, tutti i suoi più cupi incubi furono trasformati in realtà: il mantello fu sollevato dal capo della donna, esponendo i suoi capelli ramati e gli occhi verdi spalancati.

- Lily… - sussurrò.

- LILY! No! Ti prego, ti supplico! Lasciala stare! No… Lily… UCCIDI ME… UC-CIDI ME, T-TI PREGO… - disse, piangendo e singhiozzando.

I Mangiamorte continuavano a ridere.

L’uomo al suo fianco si tolse la maschera, rivelando un naso adunco e occhi castani. 

Tobias.

L’orrore trapanò lo sguardo di Severus; il cuore, già puntellato d’angoscia, fu squarciato da un così profondo tormento che Severus si sentì svenire.

Tobias estrasse il braccio, una cinghia nella sua mano, chiusa in un pugno. La alzò e, con forza, cominciò a frustare Lily. Ai fruscii seguivano gemiti, urla soffocate dal bavaglio. Ma gli occhi di Lily non lasciarono mai quelli di Severus. Il verde nel nero. 

Il nero nel verde.

Quelle iridi, così graziose nella loro normalità, ora gridavano aiuto. Il dolore più grande era l’impotenza. Severus non poteva… non poteva aiutare. Dannazione! Le corde stritolarono tutto il suo corpo. I Mangiamorte ridevano, continuamente, senza sosta: alcuni erano piegati per lo sforzo del riso, altri con le lacrime agli occhi. Solo Voldemort non emetteva suono, solo un sorriso compiaciuto spuntava sul suo volto scarno. Evidentemente, non era abbastanza.

Le urla di Lily si trasformarono in singhiozzi, poi, in rantoli. La sua voce era rauca. La sua pelle, solitamente candida, era ricoperta di sangue, un sangue vivo, quasi zampillante, non incrostato. 

Ma Tobias continuava.

Il volto di Severus era salato di lacrime, i singhiozzi gli rompevano il fiato, accompagnati da spasmi. 

D’un tratto, però, le orecchie di Severus intercettarono ciò che era la maledizione preferita da Voldemort. 

Crucio. 

I suoi muscoli cominciarono a dolere tremendamente. I rantoli di Lily si trasformarono subitamente in nuove urla. 

Tobias, però, non urlava, non malediceva. 

Continuava a frustare e a frustare, un movimento meccanico, insistente. Era insolitamente silenzioso. Ma Severus non se ne accorse. I suoi occhi, le sue orecchie, i suoi gesti erano solo per Lily. Ma, nel momento in cui le urla raggiunsero il loro apice, assieme alle risa, un altro strido squarciò il rumore, evocando silenzio.

- AVADA KEDAVRA! -

Gli occhi di Lily si spalancarono in una vuota desolazione. Le sue pupille si restrinsero, le sue iridi persero il loro colore e la loro vivacità. Il corpo si afflosciò, la testa cadde in avanti, portando con sé i capelli ramati, ormai intrisi di sangue. Tobias fermò i suoi movimenti.

-NO! LILY! NOO! -

- E’ stato di tuo gradimento, Severus! Una così bella donna rovinata dalle mani di tuo padre. Uno spettacolo divertente! Non è così? - disse Voldemort, rivolgendosi ai suoi Mangiamorte. «Ma il nostro divertimento non è ancora finito. Lucius, Bella, qui! A voi l’onore di terminare le danze!».

«Exulcero!»-«Sectumsempra!» urlarono insieme. Il corpo di Severus fu ricoperto di irritazioni, ustioni e bolle rosse immediatamente tagliate da profondi squarci. La gola infiammata gli permise, comunque, di gridare in modo animalesco per il profondo dolore. 

Fu lasciato, così, supino, sul pavimento, una grande chiazza di sangue si diffondeva sulla superficie circostante. Severus voleva solo morire. Non valeva più la pena di vivere. Sua moglie e suo figlio erano andati per sempre. E lui voleva andare con loro. 

Il dolore fu così tanto che svenne. Il suo corpo si accasciò, incollandosi a quella che era una vecchia passaporta, che Severus portava sempre con sé, per qualsiasi emergenza.

- Ecco un bel regalino per Silente! - mormorò Voldemort, la frase seguita da una grassa risata. Lucius si avvicinò, posando due dita sul collo di Severus. Non si rese conto del debole battito. Così disse: - E’ morto! -. E la passaporta si attivò.

Severus si materializzò ai cancelli di Hogwarts. Il suo corpo fu fiutato da Fang, il cane di Hagrid, che, una volta vistolo, corse dal suo padrone in cerca d’aiuto.  Una volta lì, Hagrid raccolse il ferito e, con gli occhi pieni di lacrime, lo trasportò velocemente in infermeria.

- POPPY! - urlò, la sua voce più squillante del normale. 

Pose delicatamente Severus su un lettino. 

Le lenzuola bianche assunsero un profondo color bordò. Madama Pomfrey accorse correndo, inorridita alla vista. 

Lanciò prontamente un incantesimo diagnostico. 

Rabbrividì.

- Hagrid, prendi Silente! Sbrigati! -

Così fece.

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Capitolo 8
*** Pensatoio di ricordi ***


Era circondato dal buio, dal nero, dall’oscurità. Niente si profilava all’orizzonte. Forse, l’orizzonte neanche esisteva. Poteva benissimo essere morto e destinato ad un inferno senza fiamme; eppure, il suo corpo doleva.

Era immobile, non riusciva a muoversi. Solo le dita di una mano si piegavano al comando. Più di questo, niente.

Il capo martellava, un pulsare ininterrotto, intermittente, gli trapanava il cervello: avrebbe preferito l’inesistenza del pensiero che, invece di spegnersi, era più vivo che mai.

Poteva avvertire la leggerezza di una stoffa morbida, liscia, spiegata su tutto il suo corpo, ad eccezione del volto.

Provò ad aprire i suoi occhi, ma la luce lo investì. Richiuse velocemente le palpebre, mugolando. 

- Severus! -

Era una donna: possedeva una voce assolutamente familiare, ma non riuscì a focalizzare la persona.

Udì uno scroscio. Una mano gentile, levigata, si posò sulla sua guancia, accarezzandola dolcemente. Severus si scostò, quasi ne fosse stato bruciato. 

- Severus, apri gli occhi… -

Un peso gravoso gli si sistemò sul petto. Il caos di ricordi lo travolse.

Aprì gli occhi.

E lì, seduta sul suo letto, c’era l’esile e bellissima figura di Lily.

- …va via… - sussurrò Severus. 

- …Sev… - rispose Lily. Il suo sorriso si fece incerto e carico di preoccupazione. Cercò di posare le sue dita sul volto del giovane, ma questi si scansò
convulsamente, cacciò le lenzuola da un lato e cominciò ad urlare.

- VA VIA! VA VIAA! –

- Severus, calmati –

Questa volta, la voce di Lily assunse urgenza.

- VA VIA! VIA! –

Severus si tirò i capelli neri, così forte che tra le dita vi rimasero diverse ciocche. Indietreggiò rapidamente e inciampò sui suoi stessi piedi, impattando contro il muro dell’infermeria. Chiuse gli occhi e scosse freneticamente il capo. 

- BASTA, BASTA! TI SUPPLICO, BASTA! –

La porta dell’infermeria si spalancò con un botto e Poppy fece la sua frenetica comparsa.

- Lily, esci –

- Ma Severus- -

- Va’ fuori, Lily. Non gli sarai di alcun aiuto se rimanessi qui dentro. Va! Ti farò chiamare non appena le acque si saranno calmate –

La donna non se lo fece ripetere due volte: con le lacrime agli occhi, quasi correndo, uscì dall’infermeria, ma si appostò proprio al lato dell’ingresso di questa. Il corpo scivolò contro la parete che le ferì la pelle attraverso i vestiti, quasi fosse carta abrasiva.

L’intensa luce di quel pezzo di mondo contrastava con l’uragano impetuoso di dolore che la fece crollare in amari singhiozzi sul pavimento di pietra.

Alzò un braccio e fece ricadere la mano stretta in un pugno rovinosamente sul freddo mattone.

Udì le urla di suo marito che supplicavano pietà.

Sussultò. Ogni grido era una spada incandescente contro il suo cuore.

Abbracciò il ventre. In quel momento, il figlio del loro amore era unica consolazione.

Passarono quelle che le sembrarono ore prima che Madama Chips facesse la sua comparsa. Non appena vide la giovane donna sul pavimento, si precipitò da lei per aiutarla a rialzarsi.

- Oh, Lily… -

Le accarezzò amorevolmente i capelli.

- Alzati, tesoro… fa freddo sul pavimento e non farà del bene al bambino… tantomeno a te… -

Strinse la presa sull’esile braccio della ventunenne e le diede manforte fin quando non fu in piedi.

- Vieni… andiamo nel mio ufficio e prendiamoci un bel thè caldo… che ne dici? –

Lily annuì, ma non disse nulla: era stremata.

Seguì l’infermiera nel suo ufficio e quest’ultima le fece cenno di accomodarsi su una morbida poltrona. Non se lo fece ripetere due volte.

- Prendi, cara… -

Poppy le porse una tazza di the fumante e un piattino di biscotti al cioccolato.

- …ti faranno sentire meglio… -

- Cosa è successo a Severus? – domandò, interrompendo le smancerie dell’infermiera, la quale sospirò, dispiaciuta.

- Questo non posso dirtelo… ma sicuramente il suo comportamento è la conseguenza dell’esposizione a un fattore traumatico. Gli ho dato una pozione soporifera: spero che un po' di sonno lo aiuti…  –

Lily osservò il fumo sollevarsi dalla tazza. Non ebbe il coraggio di incontrare gli occhi della sua interlocutrice.

- …si riprenderà? –

- Sarà il tempo a deciderlo… ma io sono positiva: credo fermamente che lo farà. Severus è sempre stato un ragazzo forte! –

- Spero che sia come dici tu… -

La donna prese la mano della ventunenne.

- Puoi rimanere qui, se vuoi… così, se Severus si sveglierà, potrai essere la prima a saperlo –

- Grazie… -

- Ora riposa un po' – le disse, ma aggiunse velocemente un  - …per il bene del bambino… - quando vide Lily accennare all’inizio di una protesta
verbale.

Ci vollero ore affinché l’uomo riprendesse conoscenza. E sua moglie era già al suo fianco.

Quando Severus si mosse, il cuore cominciò a batterle all’impazzata e l’ansia le schiacciò il petto.

Apri gli occhi su di lei e fu per la giovane una martellata tra capo e collo.

- …Lily… -

- …Sev… -

Non lo toccò. Non voleva si ripetesse la scena di quella mattina.

- …tu sei… tu sei… -

La sua voce si spezzò, sprofondando in gemiti e singhiozzi di lacrime. La calma era l’ultima dei suoi pensieri.

Si mise a sedere e cominciò freneticamente a toccarle le braccia, i fianchi, il viso, i capelli, per essere sicuro che tutto ciò non fosse un sogno.  In
seguito, l’abbracciò, sgominandone la sua forza. Aggrappò le sue dita ai vestiti di lei, sgualcendoli bruscamente. Poi, si allontanò, duramente, come se
fosse stato colpito da un bolide. Ma la sua ostinazione si tramutò subitamente in dolcezza.

Adagiò la mano tremante sul ventre di Lily, carezzandolo. 

- Il bambino sta bene? -

- Si, Sev. Il bambino cresce sano e tranquillo… cosa ti ha fatto pensare altrimenti?» chiese Lily.

Severus scoppiò allora in un pianto isterico, abbracciando nuovamente la sua sposa. Fu proprio in quel momento che Poppy rientrò, uscendo dal camino. 

- Severus! - disse, allarmata.
Ma uno sguardo di Lily la fece tacere, chiedendole invece una bozza calmante. E con un “accio”, eccola nella sua mano. La stappò, dandola a Lily, che la posò sulle labbra di Severus. 

- Sev, devi bere questo. Ti farà stare meglio… -

Lui seguì le sue istruzioni, buttando giù quella che tutti dicevano una terribile pozione. I suoi occhi si rilassarono, come fecero tutti i suoi muscoli. I singhiozzi si placarono e tornò il silenzio.

Poppy lanciò un incantesimo diagnosticante. 

La figura di Lily fu, poco dopo, affiancata da quella di Silente.

Aprì la bocca per parlare ma la guaritrice lo frenò nel suo desiderio. 

- Preside - disse, richiamando l’attenzione di Silente. E poi, con un cenno del capo, entrambi sparirono nell’ufficio di Poppy. 

Severus guarì, ma il trauma rimase. Per un bel pezzo non volle staccarsi da Lily, troppo timoroso di perderla. E Lily rimase pazientemente al suo fianco. Lui era il suo amato marito, il suo brav’uomo, il suo Sev.

Nel frattempo, il bambino continuò a crescere, la pancia di Lily si gonfiò sempre di più, fino a quando le acque non si ruppero.

Iniziò il travaglio.

Era la mattina il 31 Luglio 1980. 



Lily inspirò ed espirò, distesa sul letto matrimoniale della loro camera nelle stanze di Piton ad Hogwarts.

Le contrazioni stroncarono quella che era stata una giornata tranquilla, in un misto di gioia e trepidazione, profonda attesta per l’arrivo del piccolo.
Mamma e papà non ne conoscevano il sesso, non sapevano se fosse un lui o una lei.  Avevano, di comune accordo, deciso di vederlo alla nascita.

 Di sottofondo, gli Allegri di Mozart.

- Ho paura, Severus! –

L’uomo strinse la presa sulla mano della giovane.

- Io sarò sempre con te, non ti lascio –

- No… no… non lasciarmi… -

Lily urlò e stritolò le dita di Severus.

- Inspira ed espira, Lil, segui me… -

Non fu un parto veloce: dovette aspettare diverso tempo perché fosse raggiunta la giusta dilatazione.

E il dolore portò la partoriente, come quasi tutte le donne, a crisi di nervi.

- SPEGNI QUEL CAZZO DI AFFARE, SEVERUS, O GIURO CHE LO BRUCIO! NON NE POSSO PIU’! –

Suo marito fece prontamente come richiesto.

- COME CAZZO TI È VENUTO IN MENTE DI METTERE GLI ALLEGRI DI MOZART?! –

- In realtà, sei stata tu a chiederlo, teso- -

- TESORO UN CORNO! –

Poppy e Severus lavorarono insieme, poiché il secondo possedeva tutte le conoscenze di base di un parto.

Il momento delle spinte fu il peggiore.

- Forza Lily, continua a respirare –

La ventunenne aveva perso il conto di quante volte glielo avessero ripetuto, così sbottò: - CAZZO, LO SO! -.

Poi, urlò.

- Ci siamo quasi… spingi! Ancora una volta… -

Ci vollero altre forti e faticose spinte, perché il bambino venisse alla luce. E nella testa di Lily continuò a frullare un solo convinto pensiero: “Mai più!”.
Il pianto agitato del piccolo, però, le fece ritrattare interiormente ogni idea.

- È un maschietto! - annunciò Poppy, con un sorriso, dopo aver preso il neonato tra le braccia, tagliato il cordono ombelicale e averlo consegnato alla madre avvolto in un asciugamano pulito.

L’emozione era palpabile.

Severus si avvicinò ai due, alla sua splendida famiglia. Alla vista di quel fagottino roseo, così minuscolo, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Allungò una mano e con un dito solleticò dolcemente la guancia del bambino, mentre con l’altra accarezzava i capelli di sua moglie. Il piccolo gorgogliò. 

- …lo vuoi prendere in braccio? – gli domandò Lily.

Suo maritò annuì e raccolse suo figlio tra le braccia.

- …ciao, piccolino… - disse piano. - …sei così piccolo… - 

- …quindi, Sev, confermiamo il nome? –

- Si, Lily, lo confermiamo… -

Severus le sorrise. Ne avevano discusso a lungo ed erano giunti alla conclusione che, se fosse stato un maschio, si sarebbe dovuto chiamare Harrison Severus Piton.

- …ciao Harry… il mio piccolo principe… - tubò Sev. 


L’equilibrio ritrovato, però, ben presto si ruppe: la carneficina di donne babbane o nate babbane dai capelli rossi e dei loro bambini si diffuse, chiaro monito per Severus, ma, soprattutto, per Lily. Il primo, profondamente preoccupato, si recò da Silente chiedendo di nascondere sua moglie e suo figlio.

Nonostante Hogwarts fosse ben protetta, avevano giustamente pensato che Voldemort l’avrebbe attaccata. Non avrebbe risparmiato luogo pur di trovare il traditore e la madre di colui che, secondo la profezia, l’avrebbe sconfitto.

Silente decise, così, di separare Lily da Severus, per nasconderla nella cittadina di Godric’s Hollow, fingendo un matrimonio con James Potter, in realtà uno dei più potenti Auror in circolazione.

Harry avrebbe dovuto cambiare nome e cognome in Harry James Potter.

Severus, comunque, avrebbe potuto visitare sua moglie, a condizione che indossasse un fascino, capace di eclissasse il suo vero aspetto. Era di vitale importanza insabbiare ogni possibile informazione.

Ma, ancora, Codaliscia entrò in azione. 


 
James e Lily erano su un tappeto, nel salotto, Harry di fronte a loro.

Decine di giocattoli erano sparpagliati, dando vita a chiazze di colori: pupazzi, macchinine, un cavallo a dondolo.

Harry aveva in una mano un cervo di pezza, dalla pelliccia morbida, nell’altra una macchinina, un angolo in bocca. James la tolse dalle manine del piccolo Harry, lo prese in braccio e gli solleticò la pancia, fino a quando non scoppiò a ridere. Ma il rumore di una porta che sbatte zittì ogni loro parola. 

-Lily, prendi Harry e nasconditi!» disse James, armeggiando con la bacchetta.

Lily raccolse il bambino e salì le scale silenziosamente, ma a passo svelto.

Pose il bambino nella culla, stringendo la sua manina tramite le sbarre. Poi la lasciò, per spingere un cassettone sulla porta cercando di opporre più resistenza possibile.

Avrebbe tanto voluto chiamare Severus, tuttavia la stanza era sprovvista di caminetto.

Si sentirono delle urla e dei tonfi e, dopo, solo una tranquillità sinistra. Dei passi sulle scale costrinsero Lily a prendere in una mano la bacchetta, nell’altra la mano di Harry. 

- Harry, piccolo mio, ricorda che la mamma ti vuole bene, papà ti vuole bene e noi saremo sempre lì con te. Non scordartelo mai, angelo mio… - sussurrò Lily, baciando la testolina del piccolo Harry. 

Un gridato Alohomora fece letteralmente volare il cassettone, facilitando l’apertura della porta. 

- Ah, Lily Evans… o forse dovrei dire Signora Piton. Che piacevole sorpresa! –

- No, ti prego, risparmia il mio bambino! Non fargli del male! –

- Stupida donna, credi che lascerò il bambino tutto solo? Oh, non preoccuparti per questo! Avada Kedavra! –

Un fascio di luce verde rimbombò nell’oscurità della stanza. E Lily morì, lasciando Harry in balia dell’Angelo della Morte, del Signore Oscuro.

Harry cominciò a piangere, chiamando la sua mamma. Ma la mamma non rispondeva.

- Oh, il povero piccolo Harry vuole la sua mamma? - disse Voldemort, con finta preoccupazione.

- Non preoccuparti - continuò, - la raggiungerai molto, molto presto -.

Cantò nuovamente la maledizione mortale, ma questa, con suo dispiacere, rimbalzò, aprendo una cicatrice sulla fronte di Harry e facendo svanire la figura di Voldemort con un tremendo urlo.

Il piccolo cominciò a singhiozzare, chiamando la sua mamma, poi il suo papà, ma nessuno arrivò.

 
Severus si materializzò alle porte di Godric’s Hollow, correndo affannato verso la casa dove si era consumato l’assassinio, non ancora noto.

Gli allarmi nei suoi appartamenti, nel suo laboratorio di pozioni e nell’ufficio di Silente avevano avvisato lui e il preside dell’improvviso attacco. Sperava di arrivare in tempo, per difendere sua moglie e suo figlio, e anche James Potter, se ne avesse avuto davvero bisogno.

Salì le scale e spalancò la porta con un botto. Vi trovò la figura immobile di James Potter, gli occhiali ancora sul viso, incornicianti ormai degli occhi vuoti.

I suoi pensieri gridarono orrore, ma furono ben presto interrotti dalle urla che provenivano dalla camera di suo figlio. Accorse lì, pregando tutti gli dei, Merlino o chiunque altro esistesse di far sì che sua moglie fosse viva. Ma Lily era distesa sul pavimento, una bacchetta nella sua mano, i capelli rossi sparpagliati. Anche i suoi occhi erano aperti, aberrati.

Le ginocchia di Severus cedettero, ferendosi accidentalmente nel movimento improvviso. Ma il dolore non importava. Lily era morta, questa volta per davvero. Lily, sua moglie, la sua bellissima moglie, la donna dei suoi sogni era morta.

Una lacrima sul suo viso aprì un varco per tante altre che lo immersero nella sua angoscia. Afferrò il corpo di Lily per il petto, abbracciandolo, stringendolo, singhiozzando.

Quando i suoi occhi furono placati, scorse la figura di Harry nella culla, rannicchiato, un pollice nella sua bocca.

Il povero piccolo piangeva ancora, qualche volta si poteva distinguere un “ma-ma” o un “pa-pa”.

Severus adagiò dolcemente il corpo di sua moglie e prese in braccio suo figlio, la testolina appoggiata sulla sua spalla.

Alla vista del suo papà, il bambino cominciò a piangere di nuovo. 

- Shh, mio piccolo principe, papà è qui adesso… - sussurrò Severus, le lacrime ancora nei suoi occhi. 

- Ma-ma… ma-ma… - 

- Shh… - 

D’un tratto apparve Silente, il quale aveva provveduto a chiamare l’Ordine. 

- Severus… - disse, poggiando una mano sulla spalla dell’uomo.  

- Sono molto addolorato per la tua perdita, per la nostra perdita. So che vorresti tenere il bambino -

- Albus, che cosa stai insinuando? Vuoi togliermi Harry? No, non puoi! Lui è mio figlio, Albus! – 

-Severus, ascolta, il bambino non sarà protetto se starà con te. Non voglio strappartelo, ma è l’unico modo per tenerlo al sicuro. –

- E dove lo lascerai?! - sputò acidamente Severus. 

- Da Vernon e Petunia Dursley. –

- No! Mi rifiuto di lasciare mio figlio nelle mani di quegli sprovveduti! – 

- Severus, ascoltami! Mettendo su delle solide barriere di sangue, niente e nessuno potrà sfondarle. Ma, per una maggiote precauzione, sarebbe
meglio affidare Harry alla sorella di Lily. - disse Albus, la sua voce autorevole. 

Il cuore di Severus affondò. Era in grande conflitto. La sua maggiore prerogativa era di tenere suo figlio al sicuro. Sapeva che sarebbe stato meglio dai
Dursley, ma non voleva lasciare il suo piccolo principe, il suo bambino. Alla fine, la ragione prevalse sull'istinto.

Dopo un ultimo bacio, pose il bambino tra le braccia spalancate di Silente. I suoi occhi erano infestati di un dolore profondissimo, accecante. Prima sua moglie, ora suo figlio. 

- Potrò vederlo qualche volta? - domandò improvvisamente. 

- Per il momento, sarebbe meglio di no. -

E fu così che Severus rimase solo, il suo bambino strappato alle sue braccia.

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Capitolo 9
*** Salvezza ***


Qualche anno dopo…

Dopo quelli che a Harry sembrarono giorni, Zia Petunia aprì la porta del suo armadio: aveva passato giorni rinchiuso in quello spazio angusto e buio, spossato dalla febbre. I suoi vestiti, se così avessero potuto essere chiamati, erano fradici di sudore, come i suoi capelli. Quella mattina, però, fu peggio che mai: si sentiva nauseato, troppo. Decise comunque di alzarsi, per non far arrabbiare sua zia.

Seguì l’abituale routine a cui era stato abituato sin da quando ne avesse ricordo: si recò in cucina e raccolse dal frigo sei uova e qualche striscia di bacon. Si avvicinò ai fornelli, prese il suo sgabello e vi salì sopra. Zia Petunia era intenta a preparare del porridge. Lo sfrigolio dell’olio nella padella lo esortò a raccogliere una delle uova. Allungò un bracciò, debolmente, ma l’acuto richiamo di sua zia lo fece bloccare.

Si girò e lo sguardo d’orrore nei suoi occhi lo costrinse ad abbassare la testa per la vergogna di qualcosa che non sapeva avesse fatto.

- Potter, come ti permetti di presentarti così nella mia cucina? Esci fuori, subito! Vai a diserbare il giardino, almeno non contaminerai il nostro cibo, piccolo ingrato! -

E con una spinta, Harry fu fuori, ruzzolando a terra. Emise un guaito. Qualche brivido scosse il suo corpo. Aveva freddo.

Strinse quei pochi stracci che aveva indosso attorno a sé e si alzò, barcollando. Semplicemente, gli veniva da vomitare. Serrò le labbra e camminò fino ad un angolo di prato, dove le erbacce spuntavano fitte.

Si inginocchiò, ma le gambe cedettero e fu costretto a sedersi, sporcando di terra i pantaloncini già bagnati. Acciuffò un loro gruppetto e, con tutta la sua forza, li tirò verso l’alto. Evidentemente non era abbastanza, perché le erbacce non furono affatto estirpate. Ci riprovò, ma lo sforzo fu talmente forte che vomitò. Stremato, cadde sull’erba. Il sudore imperlava la sua fronte. Voleva disperatamente che qualcuno lo aiutasse.

- Potter! -. L’urlo ovattato raggiunse le orecchie del piccolo. Riuscì a distinguere il cigolio di una porta e il borbottio di suo Zio Vernon.

- Piccolo moccioso, ingrato, perché diavolo ti ho mai preso nella mia casa! Ti ho dato un tetto sulla testa, cibo e acqua, e tu non riesci a muovere quel tuo culo pigro e fare per una volta ciò che ti viene detto? Muoviti, alzati da terra e rientra in casa. Subito! -

Ma Harry non riuscì ad alzarsi.

- …non riesco, zio Vernon… - sussurrò, innocente. Non era nemmeno sicuro di volerlo dire.

L’uomo, però, cominciò a sbraitare.

- Stupido mostro, ti insegnerò io una bella lezione che non scorderai mai. Poi vedremo se sarai di nuovo capace di tirare certi capricci infantili! - disse, enfatizzando le sue parole con un piccolo calcio al braccio di Harry.

Poi, lo prese per il colletto e lo trascinò con forza dentro casa. Ruotando il polso, fece girare Harry versò di sé. Lo rilasciò per un attimo e il bambino stava per tirare un sospiro sollevato, ma l’attacco riprese subito dopo. Vernon strinse gli avambracci del bambino, sbattendolo contro il muro. Non era la prima volta che accadeva.

- Cosa pensi di fare, EH? SEI UN MOSTRO! Quando ti diciamo che devi fare qualcosa, TU LA DEVI FARE! È COSI’ CHE RICAMBI I NOSTRI SFORZI? - disse, alzando un braccio e schiaffeggiando con forza la mano sul viso di Harry, lasciando su di esso una stampa rossa.

Harry cadde a terra, l’impatto fece chiudere il suo corpo a chiocciola per il dolore. Chiuse gli occhi e li tenne stretti, il braccio destro sul suo capo, per ripararsi dai colpi improvvisi. Udì il fruscio provocato dallo strisciare della cintura di suo zio sui pantaloni e il tintinnio della fibbia al movimento. Poi un dolore assordante e deciso sulla coscia.

«NO! AH! TI PREGO-» urlò Harry, ad ogni colpo. Le lacrime colavano su tutte le sue guance, sul naso, sulle labbra.

Quello che Harry non sapeva era che, quel giorno, suo padre aveva deciso di andare da Arabella Figg e appostarsi lì, alla finestra, per osservare suo figlio. Era una decisione che aveva preso poco dopo che il bambino era stato strappato alle sue cure, incapace di trattenere il dolore. Nessuno sapeva, nemmeno il grande Albus Silente. Era sempre rimasto risentito delle azioni dei Dursley, a un pugno dal fare il primo grande passo: raccogliere suo figlio e andar via. Ma aveva frenato ogni suo istinto paterno, perché credeva alle parole dell’uomo che gli aveva dato una seconda possibilità nella vita.

Un brutto sentore circoscrisse i pensieri di Severus: la sua mente presagì che qualcosa di brutto stesse per accadere. Era per questo motivo che aveva deciso di osservare Harry. L’aveva già avvistato, malato e pallido. Ma quando cadde a terra e quel grasso maiale aveva spinto un calcio sul magro corpicino, aveva visto nero ed era corso a prendere il suo bambino.

Nella sua ricerca spasmodica aveva calpestato le aiuole tanto amate dalla faccia di cavallo. Compiaciuto, spalancò la porta della villetta con un rapido Alohomora.

Quel che vide lo fece fermare per un istante. I ricordi lo avvolsero nella loro oscurità. Suo padre con una cintura nella mano. Le parole che ferivano peggio di una battitura. “Tu non sei mio figlio”. “Quella cosa in casa mia non devi farla!”. “Hai capito?”. “Mostro”. “Stupido”. Ma le urla di Harry lo riscossero.

Afferrando il braccio di Vernon, lo girò, collegando un pugno alla grassa faccia da tricheco. Vernon cadde con poca grazia sul pavimento, il naso gocciolante di sangue. Petunia urlò.

- TU! – esclamò, riconoscendo l’identità dell’intruso. - Lascia stare mio marito ed ESCI DA CASA MIA! -

Severus estrasse la bacchetta e la puntò sulla gola della donna: bastò un piccolo incantesimo non verbale per soffocarla. Era caduta nella morsa di un coltello affilato.

- Urla di nuovo contro di me, Tuney, e la tua vita finisce qui! - disse, la sua voce vellutata, sintomo della pericolosità delle sue azioni. Petunia inghiottì.

Ad un tratto, Severus sentì un fruscio. Rapidamente, bloccò quello che era un pugno di Vernon, stritolando le sue ossa. Vernon emise un guaito.

- Papà! - urlò Dudley, da poco affacciatosi al corridoio e ora nascosto dietro la gonna di sua madre.

Il maestro di pozioni non ci pensò due volte.

- Petrificus Totalus!- proferì e i tre Dursley caddero a terra, pietrificati.

Finalmente il silenzio. Solo il pianto e i singhiozzi di Harry lo rompeva, straziando il cuore di Severus. Si inginocchiò.

- Harry… - disse, con voce dolce, modulando la sua espressione.

- Non mi fare del male signore, ti prego… - sussurrò Harry, quasi impercettibilmente, e stringendosi ancora di più in una palla. Il braccio sinistro
avvolgeva le gambe piegate fino al petto, mentre la mano sinistra stropicciava gli occhi nel tentativo di fermare il pianto.

- Harry, non ti farò del male… - rispose Severus, appoggiando dolcemente un dito sulla guancia di Harry. Il bambino scottava! Harry si irrigidì e si ritrasse bruscamente.

Il maestro di pozioni senti ribollire il sangue nei confronti di quei… “MOSTRI!”. Si guardò, comunque, dal toccare suo figlio. Era bastata la paura che si era preso, non voleva aggiungerne una seconda!

- Tu chi sei? - chiese piano il bambino. I suoi occhioni verdi erano spalancati.

- …io sono il tuo papà… - disse Severus, gentile, senza altare il tono di voce, abbozzando un raro sorriso.

Harry lo scrutò. Non disse nulla e l’uomo pensò fosse meglio proseguire la conversazione senza provare a tirargli parole fuor di bocca. Tuttavia, proprio
quando suo padre aveva perso le speranze per una qualsiasi reazione, il bambino domandò, con circospezione: - …cosa… cosa succede adesso? –

- Adesso… ti porto in un posto dove potrai riposare e, dopo, giocare quanto vorrai… -

- …zia Petunia dice che non posso giocare… - rispose Harry, con innocente sincerità, e abbassò la testa contro il petto, dopo aver lanciato un’occhiata ai tre Dursley.

- Non tornerai più qui, Harry… ciò che ti ha detto tua zia non conta più. –

Era stata la frase più semplice che fosse riuscito a pensare, altrimenti avrebbe ceduto agli insulti e alle maledizioni, ma suo figlio ne aveva avute già abbastanza di tali visioni in quella casa.

Le iridi del bambino brillarono di speranza, luce che Severus notò non appena i verdi occhi si posarono sui suoi di ossidiana.

- …mai più? – domandò Harry, facendosi più piccolo di quanto già sembrasse.

Il maestro di pozioni non abbandonò di proposito il contatto visivo, per infondergli sicurezza.

- Mai più – sentenziò.

Allungò una mano verso il bambino, intimandogli con quel gesto di prenderla.

- Andiamo…? – chiese Severus.

Harry poggiò la fredda manina sul palmo di quella del padre e quest’ultimo gliela strinse dolcemente; tuttavia, il maestro di pozioni notò la riluttanza del seienne nell’avvicinarsi e la sua attenzione tutta puntata verso la bacchetta che giaceva inerme tra le dita dell’altra mano.

- Non devi aver paura… questa – pose la bacchetta davanti al bambino, anche se quest’ultimo spinse il proprio corpo contro il muro, - è una bacchetta.
Si possono fare tante magie, sai? –

- …tu sei un mago come Merlino nel cartone animato? –

Severus sorrise.

- Si, Harry, come Merlino! –

Il piccolo avvicinò l’indice allo strumento e lo sfiorò.

- …vorresti vedere una magia? –

- …si… -

Tracciò nell’aria un cerchio perfetto e cantò: - Saponem bullae -.

Una moltitudine di bolle di sapone fu sprigionata dalla punta della bacchetta e, scherzosamente, Severus ne diresse alcune sul volto di suo figlio, il quale cominciò a ridacchiare.

- Puoi anche fare dei giocattoli? –

- Si, anche dei giocattoli –

- E… - Harry si interruppe, non avendo coraggio di continuare la richiesta. L’uomo, però, annuì, spingendolo a finire la frase.

- …se vengo con te, posso avere un pupazzetto? –

- Puoi avere tutto quello che desideri, Harry… -

- …anche un gelato? –

- Anche un gelato! Ora, però, dobbiamo andare… ti prometto che ti porto a prendere un gelato dopo, che ne dici? –

In tutta risposta, il bambino allungò le braccia verso l’uomo, chiedendo di essere preso in braccio. Severus lo raccolse e il seienne poggiò la testolina sulla spalla di suo padre, mentre quest’ultimo gli accarezzava dolcemente la schiena. Lo avvolse nel suo caldo mantello.

- Stai comodo? – domandò il maestro di pozioni, un po' insicuro di sé stesso.

- Uh-uh –

Si sarebbe occupato dei Dursley più tardi. Uscì a grandi passi dall’abitazione: suo figlio si era addormentato velocemente tra le sue braccia, sfinito.

Così, Severus apparve ai cancelli di Hogwarts, ma non corse, per evitare di svegliare il bambino. Raggiunta l’infermieria, chiamò Poppy, mentre posava sul lettino il piccolo Harry. Era così fragile e leggero, sicuramente sottopeso per la sua età. Non aveva la statura di un bambino di sei anni, sembrava più di quattro. I suoi occhietti chiusi, cerchiati da profonde occhiaie nere, erano stretti in una morsa di dolore. Severus continuò ad accarezzargli i capelli.

- Severus! - chiamò Poppy, annunciando ansimante la sua presenza.

- Abbassa la voce, Poppy! – il maestro di pozioni indicò il bambino. - …si è appena addormentato… -

Detto ciò, l’infermiera ebbe premura di lanciare un incantesimo che silenziasse la loro conversazione.

- …chi è questo bambino, Severus? -

- Secondo te, Poppy?! - rispose e la voce fu incrinata da una nota acida.

Il dubbio si fece certezza, ma non disse nulla all’uomo nervoso. Si limitò a occuparsi del piccolo.

- …cosa è successo? - chiese l’infermiera, lanciando rapidamente su Harry un incantesimo diagnostico.

- L’hanno battuto, l’hanno affamato, l’hanno costretto a svolgere faccende come un maledetto elfo domestico, ecco cosa è successo! - rispose,
arrabbiato. Se un solo sguardo avesse potuto incenerire, Poppy era certa che l’intera infermeria sarebbe stata rasa al suolo.

Un rotolo apparve nelle sue mani e Severus la affiancò.

Una lunga serie di commozioni cerebrali, una frattura al polso, diverse contusioni, ferite, lividi, febbre, stomaco irritato, grave malnutrizione, forte stanchezza.

- Quei dannati babbani!! Avrei fatto meglio ad ucciderli subito, che lasciarli storditi sul pavimento. Ma dammi il tempo e io- -

- Severus! - lo interruppe Poppy, posando una mano sul suo braccio. - Non farai niente del genere! Ora il tuo compito è prenderti cura di Harry, non andare ad Azkaban! -

Guardò Severus con sguardo fermo. E dopo un suo cenno del capo, lo lasciò andare.

Convocò alcune pozioni e le diede all’uomo.

- Non puoi incantarle per metterle direttamente nel suo stomaco? –

Il maestro di pozioni ci provò, ma sapeva che il corpo, tramite assunzione di pozioni per via orale, avrebbe reagito meglio e più rapidamente. In realtà, non voleva svegliare il bambino.

- Sai che non posso farlo… - affermò Madama Pomfrey, rivolgendogli un triste sguardo di scuse.

Severus annuì e si sedette al bordo del letto.

- Harry…? – sussurrò, mentre accarezzata i capelli di suo figlio.

Aprì subito gli occhietti, abituato alle routine di casa Dursley. Si mise a sedere e tirò le lenzuola più in alto.

- …devo tornare da zio Vernon e zia Petunia? –

Lo sguardo di Severus si addolcì ancor di più.

- No, non tornerai dai tuoi zii. Ti ho svegliato perché devi prendere alcune medicine… -

Gli porse una boccetta, che Harry prese e analizzò.

- …è una medicina magica? –

- Si! In realtà si chiama pozione e ti aiuterà a sentirti meglio –

- Cosa è una po-pos- -

- Pozione – lo aiutò Severus.

- Cosa è una pozione? - ripeté Harry e un sorriso si allargò sul volto quando si rese conto di aver pronunciato correttamente la parola.

- Una pozione è un insieme di ingredienti che può guarirti o anche cambiare il tuo aspetto fisico. Può fare magia! - disse l’uomo, enfatizzando la parola “magia” modulando il timbro di voce in un sussurro e spalancando gli occhi come se fosse meravigliato. Harry rispose guardandolo con grande stupore
e curiosità.

- Mi faranno diventare un mago come te? - mormorò il bambino sottovoce.

- …tu sei già un mago, Harry… -

- …io sono un mago..? –

- Si, lo sei –

- Sicuro? –

- Al cento per cento! –

- E posso fare magie con il bastoncino? –

- Quando sarai un po' più grande, sì! –

Severus lesse sul suo volto una traccia di delusione, così provvide a cancellarla con la sua prossima mossa.

- Ho un regalo per te! Lo vuoi vedere? –

Senza attendere risposta, il maestrò di pozioni tirò fuori da una tasca un fazzoletto e lo trasformò in un familiare cervo di pezza. Lo porse a suo figlio.

- …è davvero per me? - chiese Harry, toccando il pupazzo delicatamente, come se potesse rompersi, incredulo.

- Si, per te! -

Harry comincio a piangere. Una lacrima scivolo sul viso. Abbasso il viso per la vergogna. “I mostri non piangono”. Voleva tanto il regalo del suo papà. Sapeva che non lo avrebbe lasciato solo e lo avrebbe difeso dal mostro con gli occhi rossi. Ma anche lui era un mostro. E i mostri non possono avere paura degli altri mostri. “I mostri non possono avere giocattoli!”.

- N-non posso accettarlo, signore… Zio Vernon dice che i mostri non possono avere giocattoli… - disse Harry, parlando troppo educatamente per un bambino della sua età.

Severus raccolse il mento del bambino nelle sue mani, costringendolo delicatamente a guardarlo negli occhi. Lo sguardo di Harry si riempì di paura.

- Harry… tu non sei un mostro. Sei un bambino speciale. E, poi, cosa ci siamo detti prima? Te lo ricordi? –

- …sì… -

- Non conta più quello che ti ha detto zia Petunia e nemmeno quello che ti ha detto Zio Vernon –

- Ma tu prima l’hai detto sui giocattoli! –

- Vero, ma ora vale per tutto quello che ti hanno detto, intesi? –

- …okay… -

L’uomo lasciò il pupazzo sulle gambe del bambino, il quale lo raccolse con attenzione, prima di stringerlo fortemente al petto.

- Grazie, signore… -

- Io non sono signore, Harry… -

- …si, lo so, tu sei… il mio papà… -

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Capitolo 10
*** Piani falliti ***


- …si, lo so, tu sei… il mio papà… -

Il cuore di Severus perse un battito per un istante

- Esatto, sono il tuo papà… -

Poi, pur di spezzare quella conversazione che lo feriva e gli ingarbugliava il petto, indicò al bambino la pozione.

- Bevi, Harry… la medicina ti farà addormentare per un po’, ma, quando ti sveglierai, potrai mangiare il gelato –

Il maestro di pozioni sentì la mano del piccolo posarsi sul suo polso.

- …stai qui con me? –

- Non me ne vado via. Sarò qui quando ti sveglierai, te lo prometto… -

- …va bene… -

Harry bevve la pozione e consegnò la boccetta vuota al suo salvatore. Poi, si stese e Severus rimboccò le lenzuola. Quest’ultimo prese a lambirgli i capelli, per aiutarlo a rilassarsi e addormentarsi più velocemente.

- …non combattere il sonno… sarò sempre vicino a te… - sussurrò.

E Harry cadde in un sonno profondo.

Poppy, nel frattempo, aveva lasciato in pace i due ricongiunti e si era ritirata nel proprio ufficio, consapevole della portata delle competenze di Severus in campo medico e pozionistico.

Fu poco dopo che la porta si spalancò ed un Silente dall’aspetto non minimamente turbato, docile, quasi fosse un leone addomesticato, entrò in infermeria. In realtà, dentro di lui infuriava una tempesta di rabbia. Il preside non poteva certo rivelare realmente i suoi pensieri, i suoi piani. Era un uomo subdolo, astuto come una volpe, pericoloso come un serpente dal veleno mortale. Le sue macchinazioni erano veleno che distruggeva e iniettava morte.

Silente aveva progettato ogni mossa da quando la profezia era stata rivelata a Voldemort.

Inizialmente, aveva separato Severus dal resto della sua famiglia, per forgiarlo nel dolore della disgiunzione; poi, dalla morte di Lily e James, aveva strappato il piccolo Harry dalle braccia del padre, affidandolo ai Dursley.

Conosceva profondamente la forza del bambino e aveva deciso di temprarlo facendolo crescere con uomini che non lo avrebbero amato.

Conosceva benissimo gli abusi subiti dal bambino, ma non aveva mai mosso un dito per aiutare Harry.

Silente era un lupo travestito da leone. Il suo motto “Per il bene più grande” era carta straccia: letteralmente, riassumeva bene quello che era il “contenuto” dei suoi piani, ma, in pratica, era tutta un’altra storia.

Severus e Harry erano due burattini da muovere come lui avesse disposto, per trarne vantaggio dalla guerra, ponendola a suo favore.

- Severus, ragazzo mio, cosa è successo? Un allarme mi ha avvisato che le barriere di sangue ai Dursley sono cedute. - disse Silente, lanciando un
Incantesimo Silenziatore.

Severus non si aspettava fino in fondo che quell’uomo facesse comparsa così presto.

Nonostante fosse sorpreso, prima di voltarsi, ripose su la maschera di lineamenti freddi e neutri. Grazie alle competenze che essere una spia gli aveva
fornito, era riuscito, a poco a poco, a comprendere l’ipocrisia del preside, la sua facciata perfettamente ingannevole.

- Albus – salutò, come sempre, mettendosi in piedi, per poi ribattere con voce melliflua: - Hai ragione, le barriere sono cadute. Questo perché io, e sottolineo io, mi sono interessato del benessere di mio figlio. Io l’ho tolto dalle mani di quei sudici babbani e io me ne prenderò cura d’ora in poi. -

Albus lo scrutò attraverso gli occhiali a mezza luna.

- Oh ragazzo mio, non dubito che tu abbia voluto e abbia tutt’ora a cuore il bene del bambino, ma non capisco perché tu stia insinuando che io non l’abbia desiderato per Harry, che considero come mio nipote. Non mi verrebbe mai l’idea di fargli del male! -

Severus aveva coperto con il suo corpo la visuale di suo figlio.

- Primo: Harry non è solo un bambino e di certo non un bambino qualunque. È mio figlio. Secondo:  come mi spieghi la tua grandissima indifferenza nei confronti dello stato di Harry in tutti questi anni? Ti sei mai degnato di controllarlo? Ti sei mai dannatamente degnato di toglierlo da quei mostri, QUANDO SAPEVI CHE VENIVA PICCHIATO, AFFAMATO, CHIUSO IN UNO SGABUZZINO, TRATTATO COME UN ELFO DOMESTICO? EH? Non fare il finto tonto Albus! -

- Severus, calmati-»

- NON DIRMI DI CALMARI ALBUS! CHI SEI TU PER DIRMI DI STARE CALMO?! –

Il volto del vecchio mago assunse un’aria tagliente, nonostante il tono di voce continuò ad essere paziente.

- Ti ricordo, Severus, che qualche anno fa sono stato io a far le veci di tuo padre e toglierti dai casini che ti eri procurato –

- Il debito è stato già ripagato e tu lo sai! –

- Dovresti saperlo che i debiti di vita non possono mai essere ripagati totalmente –

Il maestro di pozioni rise di amarezza mista a sorpresa.

- Ti facevo subdolo, ma mai così tanto… hai compiuto un passo falso, Preside. –

 Sottolineò l’epiteto.

- Pensavi, per caso, che non avrei scoperto i tuoi malvagi piani? Pensavi che non l’avrei capito?».

Severus non aveva realmente compreso cosa avrebbe davvero voluto fare Silente, ma aveva posto una tale domanda per far finalmente confessare il preside dei suoi crimini contro l’infanzia. Severus sapeva che Silente non aveva desiderato la morte di Lily, ma conosceva benissimo il lato caratteriale del vecchio mago e la tendenza ad approfittarsi di situazioni angosciose per trarne beneficio.

- Harry deve tornare assolutamente dai suoi parenti. -

- E io chi sono? Un fungo? Nel corso degli anni ho imparato a conoscerti, Preside, a comprendere ogni tua mossa, ogni tuo gesto. Ho osservato il tuo
linguaggio del corpo. Ogni volta che si parla di Harry o della mia famiglia i tuoi muscoli si irrigidiscono, tradendo ogni tentativo, fallito, di affabilità. E- -

- ORA BASTA! Prenderai tuo figlio e lo porterai indietro, oppure lo farò io stesso e non sarò tanto gentile con la tua posizione. –

Severus non si scompose. Alzò solo un sopracciglio.

- Ancora con le minacce? I tuoi tentativi di scoraggiare le mie azioni non mi faranno desistere dal compiere quel che ho deciso. Vedi di toglierti di mezzo, vecchio, o lo farò io stesso. -

Silente divenne rosso dalla rabbia.

- Se prendi il bambino ora, sarò costretto a doverti espellere, Severus, da questa scuola e da sotto la mia protezione. Come Capo del Wizengamot
posso facilmente esiliarti, cacciarti dal mondo dei maghi, renderti uno squib! -

- Certamente non mi faresti un torto. Ho vissuto così tanti anni come babbano che posso fare a meno della magia –

- Non dire sciocchezze, sai bene che non potrai nulla nel mondo babbano: nessuno ti assumerà, né sarai capace di trovarti un lavoro. Non hai alcuna competenza in alcun campo che sia non attinente alla magia! –

- Chi ti dice che io non le abbia? – rispose il maestro di pozioni, mostrando un sorrisetto furbesco e compiaciuto.

Albus mostrò una smorfia di tristezza.

- Non mi lasci altra scelta… -

I muscoli del corpo di Severus si tesero e contrassero, pronti a reagire a qualunque cosa Albus avrebbe dato seguito, e il suo volto abbandonò ogni espressione sfidante.

- …non ci provare, Silente. –

Il vecchio mago distolse lo sguardo, facendolo ricadere sul bambino, e mosse il polso velocemente, senza pronunciare alcuna formula. Il padre del
piccolo non riconobbe l’incantesimo lanciato.

- Che cosa hai fatto…? – domandò.

Il cuore gli comandò di girarsi, ma dar le spalle a quell’uomo potente significava mettere a repentaglio Harry ancora di più.

Decise di dar ascolto alla sua mente.

- COSA CAZZO HAI FATTO?! –

Silente incrociò le mani dietro la schiena.

- Vuoi il bambino? Ecco, prendilo, è tutto tuo! Solo… non ti aspettare che si svegli presto, Severus –

Vinse l’istinto paterno: cantò un Incantesimo Rigenerante sul corpicino di suo figlio, ma quest’ultimo non diede segno di rinvenimento. Il suo petto continuò ad alzarsi e abbassarsi ritmicamente.

- TU… TU SEI SEMPRE STATO UN BASTARDO E IO NON ME NE SONO MAI RESO CONTO! –

- Ohi, ohi Severus, non pensavo potessi rivolgermi parole così dure, non dopo che io ti ho salvato più di una volta… -

Il maestro di Pozioni avrebbe voluto scagliarsi contro Silente, prenderlo a pugni e ucciderlo, tuttavia si trattenne. I suoi arti tremarono dallo sforzo di
contenersi nei limiti della civiltà. Severus non avrebbe potuto nulla contro l’uomo, né fisicamente, né magicamente.

Consapevole che il vecchio non avrebbe fatto altro, Severus avvolse il bambino in una coperta e lo raccolse tra le braccia: il corpicino penzolava afflosciato… sembrava esser morto.

- …ti farò pentire di esser mai esistito. E questa è una promessa. –

Detto ciò, con voce mortale, entrò nel camino e si fece smaterializzare nella sua dimora a Spinners End, per evitare che Silente scoprisse il suo nascondiglio: un cottage che Severus aveva eretto a qualche km di distanza dal mare, nella speranza che un giorno il suo bambino fosse tornato a
vivere con lui.

Una fitta foresta si estendeva oltre la sabbia, simile alla Foresta Proibita, ma di diversa natura: in sé non comprendeva una energia malvagia, anzi, tutto
si formava e svolgeva in armonia ed equilibrio.

I fili d’erba si diradavano sempre più all’incontrar dei granelli dorati, confondendosi con essi. Il canto dei merli, la risata dei picchiarelli, il soffio dei barbagianni, il bubolio dei gufi incontravano dolcemente il garrito dei gabbiani, fondendosi con lo sciabordio delle onde schiumose.

L’aria salmastra riempiva i polmoni, cullandoli nella sua opulenza. Qualche metro più in là della linea di demarcazione tra erba e sabbia, si drizzava una piccola villetta bianca, a due piani.

Dopo un respiro profondo, portò il bambino in quella che avrebbe dovuta essere la sua camera da letto.

Depose il piccolo sotto le coperte e lanciò un incantesimo diagnostico, nella speranza che qualcosa facesse comparsa. La pergamena, però, non indicò nessuna anomalia, tranne che la febbre con cui il bambino era già arrivato in Infermeria.

- Maledetto Silente! – esclamò e tirò un pugno contro il muro. Lo strazio del cuore occultò il dolore fisico e l’ex mangiamorte non si rese conto dello scricchiolio delle sue ossa, né delle ferite sanguinanti sulle nocche.

Si passò nervosamente una mano tra i capelli. Cosa avrebbe dovuto fare? Mancava poco perché un attacco di panico si facesse strada e prendesse il sopravvento.

“Non è il momento per un attacco di panico.” si rimproverò. “Pensa lucidamente, maledizione!”

Avvicinò una sedia al bordo del letto e vi prese posto. Il primo passo per capire cosa fosse stato lanciato era osservare. E, così, Severus avrebbe fatto.

 
Per chi fosse arrivato fino a questo punto, avviso che questo è l'ultimo capitolo modificato (la storia è in riscrittura). Per non perdere aggiornamenti sulla pubblicazione del prossimo capitolo, seguitemi sul mio profilo instagram _emteeay_ 

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Capitolo 11
*** Paure e gioie ***


Lavorò sulla pozione per circa due ore quando l’allarme lo fece sobbalzare. Un fialetta gli cadde sul pavimento.
«Maledizione!»


Raccolse la sua bacchetta, stringendola tra le sue dita, e, dopo aver posto sulla pozione un incantesimo di stasi, prese un respiro profondo ed entrò in salotto. Il suo cuore correva. Al primo allarme se ne aggiunse un secondo. Harry era sveglio. Si avvicinò alle scale per andare a controllare suo figlio, quando vide il bambino in piedi, sulla soglia della porta della sua cameretta, tremante, con il suo cervo di pezza stretto al petto. Nei suoi occhi Severus poté leggere una profonda paura.
«Finite Incantatem!». Gli allarmi cessarono immediatamente di suonare.
«Harry» disse Severus, accorciando la distanza con suo figlio e inginocchiandosi per porsi alla sua altezza, «papà sta andando fuori, per controllare cosa ha fatto scattare l’allarme. So che sei un bravo bambino, quindi ora, mio piccolo principe, è più sicuro che tu rimanga nella tua stanza. Papà tornerà presto!».
Posò un bacio sulla testa di suo figlio, ma, proprio quando stava per alzarsi, Harry si aggrappò alle sue vesti.
«Papà… ho paura…»
«Se ti fa sentire meglio, piazzerò un incantesimo che non farà entrare nessuno, né dalla porta, né dalla finestra. Solo io e te.»
Harry annuì, lasciando piano la presa su Severus.
«Hostes repellere!». Un fascio di luce bianca impregnò i muri della camera di Harry. Il bambino rimase incantato, la paura temporaneamente svanita.
«Su, Harry, ora corri in camera tua. Papà deve andare!»
«Tornerai?»
«Si, Harry, tornerò!»
«Prometti, papà?»
«Lo prometto!»
E dopo un piccolo abbraccio ed essersi assicurato che Harry fosse entrato in camera, Severus chiuse la porta e si voltò, proseguendo il suo cammino verso l’esterno.  Setacciò ogni angolo all’interno delle barriere, ma non vi trovo niente e nessuno. Era veramente preoccupato. Se qualcuno fosse riuscito a superare le barriere, non poteva realmente garantire la sicurezza di suo figlio.
Decise di tornare, dopo aver rafforzato le barriere. Entrato in casa decise di andare a controllare Harry. Aprì la porta e trovò suo figlio rannicchiato sotto una coperta, con la testa anche nascosta. Poteva osservare dei tremolii e udire alcuni singhiozzi. Harry stava piangendo.
«Harry…»
«Papà!» urlò Harry, gettando le coperte e abbracciando suo padre. «I-io pensavo n-non tornassi più…»
«Oh mio piccolo principe, papà aveva fatto una promessa! E papà mantiene sempre le promesse!»
«Pensavo che il m-mostro dagli occhi rossi ti avesse p-preso… e… e n-non torn-navi p-più da me…»
«Sono qui, Harry, sono qui…» rispose Severus, abbracciando suo figlio. Aveva sentito bene del mostro dagli occhi rossi e aveva capito a chi si riferiva. Ma questa sarebbe stata una discussione per un’altra volta.
Raccolse Harry tra le braccia, la sua testolina nascosta nell’incavo del collo del suo papà.
«Come ti senti, Harry?»
«Stanco» disse, soffocando uno sbadiglio.
«Va bene, Harry, andiamo a letto!»
Lo posò sul letto, ma con molta difficoltà, in quanto Harry non voleva staccarsi dalle sue vesti. Harry non voleva essere lasciato da solo, aveva paura del mostro. Voleva il suo papà. Le lacrime gli punsero gli occhi. Sapeva che, essendo un mostro, non poteva né piangere, né fare richieste. Era già un miracolo che suo padre non si fosse arrabbiato prima.  Ma quando vide suo padre avvicinarsi alla soglia della porta, un singhiozzo gli sfuggì.
Severus si girò, il cuore affondò sentendo Harry piangere. Vide suo figlio sussultare al movimento e stringersi in una palla sempre più vicino alla ringhiera del letto, man mano che si avvicinava
«Harry… non ti farò del male…»
Harry continuò a piangere, ormai non poteva bloccare più le lacrime. Severus allungò una mano per dare una carezza. Harry alzò un braccio per difendersi dal colpo, che lui credeva che fosse.
«Harry, papà non ti darà uno schiaffo. Voglio solo farti una carezza.»
Per ottenere fiducia, Severus poggiò un mano sul ginocchio del bambino.
«Vedi?» disse, per ottenere l’attenzione di suo figlio.
Harry abbassò il braccio con lentezza. Severus, con molta calma, allungò un braccio e pose la mano sulla guancia di suo figlio, facendogli una carezza.
«Cosa c’è, Harry? Perché stai piangendo?»
«S-scusa signore, n-non potevo s-smettere, losocheimostrinonpossonopiangere-»
Nonostante il farfuglio veloce di Harry, Severus comprese alla perfezione ciò che aveva appena detto e decise di tagliarlo.
«Harry, chi ti ha detto che sei un mostro?»
«Z-zio Vernon, signore.»
«Zio Vernon ti ha detto una bugia, figlio mio. Non sei un mostro, lui lo è. Tu sei il più bravo bambino che io abbia mai conosciuto.». Gli occhi di Harry si illuminarono al complimento. Così Severus continuò, sorridendo: «Poi, Harry, non c’è bisogno di chiamarmi signore. Sono felice quando mi chiami papà!»
«Papà?» provò Harry.
«Si, Harry, papà. Bravo ragazzo!»
Ancora una volta, la felicità balzò agli occhi di Harry.
«Ora, Harry, vuoi restare con papà finché non ti addormenti?»
Harry annuì, stropicciandosi gli occhi. Severus lo colse in braccio, trasfigurò una sedia della camera di Harry in una sedia a dondolo e vi sedette.
«Papà…»
«Si, Harry?»
Harry si zittì, mordendosi il labbro e abbassando il capo.
«Harry, guardami…»
Harry alzò riluttante lo sguardo.
«Puoi dirmi e chiedermi qualsiasi cosa! Non devi aver paura, non ti farò mai del male. Non ti picchierò o batterò, Harry. Potrei darti una piccola sculacciata, Harry, ma solo con la mia mano, mai con una cintura o altro. Questo solo se ti comporti veramente male. Generalmente, potrei sequestrare i tuoi giocattoli preferiti per qualche ora o giorno o metterti in un angolo. Ma mai, Harry, mai, ti rinchiuderò in una stanza, al buio, mai ti picchierò. Promessa di mago!» disse Severus, con una mano sul cuore. Guardò suo figlio e vide che aveva una domanda, ma aveva paura di esprimerla.
«Harry, cosa c’è?»
«Puoi… puoi raccontarmi una storia?» disse con una vocina piccola piccola.
«Certo, mio piccolo principe!»
Con un “accio”, un libro illustrato volò nelle mani di Severus.
«C’era una volta un piccolo bambino, che un giorno…»
Il dondolio della sedia e la voce di suo padre, cullarono Harry in un sonno profondo. Quando Severus se ne rese conto, posò il libro sulla piccola scrivania, raccolse Harry e lo infilò sotto le coperte. Controllò la febbre. Non era ancora scesa. Con un bacio, lasciò la cameretta di suo figlio e raggiunse il laboratorio per continuare a lavorare sulla formula migliorata della pozione. Era immerso nei suoi pensieri. Come potevano quei dannati babbani rovinare così un bambino. Come poteva una madre essere crudele con un piccolo con gli stessi diritti degli altri bambini. Come poteva osservare e tacere ed essere anche il carnefice?! La rabbia lo sopraffece, tuttavia fu subito sostituito da un sentimento di paura. Ripensò all’allarme scattato qualche tempo fa. Qualcosa non era giusta. E Severus lo sapeva. Suo figlio doveva essere sempre sotto il suo vigile sguardo. Silente era pericoloso. Severus sapeva che il vecchio pazzo era in grado di ingegnarsi per la costruzione di qualche piano a suo sfavore. E aveva paura anche del “mostro dagli occhi rossi”. Voldemort li aveva sempre avuti. Forse erano solo un incubo, sperava fossero solo quelli. Sarebbe stato meglio per suo figlio. Ed anche per lui.
Con mille pensieri che frullavano nella testa, terminò la pozione. Decise di preparare uno spuntino, d’altronde suo figlio era troppo magro e piccolo per la sua età, sarebbe stato meglio fargli avere spuntini regolari. Optando per della frutta fresca, che non gli avrebbe inaridito ancora di più la gola, raccolse una pesca, la sbucciò e la tagliò a fette, disponendole ordinatamente su un piattino. Prese un pacco di cracker, pensando che, essendo leggeri, Harry avrebbe potuto assimilarli meglio, e versò in un bicchiere un succo d’arancia, che avrebbe dissetato il bambino. Mise il tutto su un vassoio e lo portò nella camera da letto di Harry, assieme alla pozione migliorata del riduttore di febbre. Lo lasciò sulla scrivania e si avvicino alla figura raggomitolata di Harry. Con qualche carezza, disse: «Harry, è ora di alzarsi…»
«Mmm…»
«Su, mio piccolo principe! Se continui a dormire adesso, poi non dormirai questa notte! Ti ho portato uno spuntino. Quando finirai di mangiare, se vuoi, puoi giocare con papà!»
Harry si alzò in un solo colpo, eccitato.
«Veramente?» disse, sgranando gli occhi.
«Si!». Severus sorrise. Mostrò ad Harry la pozione.
«Ora, Harry, prima di mangiare sarebbe meglio che tu prenda questa pozione. Ti farà abbassare la febbre e sentire meglio!»
«Okay, papà!»
«Bravo ragazzo!»
Harry buttò giù la pozione in un solo colpo. Severus gli porse il bicchiere con il succo, per lavar via il cattivo sapore. Poi prese il vassoio e lo posò sul comodino di Harry. Il bambino cominciò a mangiare. Era un gran piacere per Severus. Non diede neppure segni di nausea.
«Papà?» chiamò Harry.
«Si, mio piccolo principe?»
«Possiamo andare in spiaggia?»
«Se ti senti meglio Harry, perché no!»
«Grazie, grazie papà!» disse Harry, gettandosi su suo padre e dandogli un bacio sulla guancia. Il cuore di Severus si riscaldò. Scompigliò i capelli di suo figlio.
«Possiamo costruire castelli di sabbia? Possiamo giocare nell’acqua? Mi insegni a nuotare?-»
Harry si bloccò quando Severus rise. La sua risata era contagiosa. Iniziò a ridere anche lui. Severus, sentendo il bambino ridere per la prima volta, pensò che fosse il suo più bello del mondo.

Note dell’autrice: Ecco il dolce Sev. Credo che, in fondo, anche lui abbia avuto un lato carino. Harry chiaramente avrà ancora delle problematiche. I traumi derivati da abusi, di certo, non si risolvono con qualche parola.
Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 12
*** Brutti sogni ***


I giorni seguirono un ritmo costante: la febbre di Harry diminuì, dando al bambino più forza e più appetito. Severus si assicurò che prendesse tutte le sue pozioni regolarmente e ad orario stabilito. Essendo un Maestro di Pozioni e possedendo conoscenze di base sulla medicina babbana e magica, era un uomo molto severo in tali casi. Conosceva perfettamente ogni effetto collaterale che un ingrediente poteva avere se non era perfettamente bilanciato nel suo distacco con quello contenuto in un’altra pozione. E poi, essendo il padre di Harry, voleva solo il bene di suo figlio, rendendolo, così, più intransigente. Il suo piccolo principe non si comportava ancora come un bambino della sua età, ma stava facendo progressi, anche se la sua piccola mente era torturata dal mostro, dallo zio Vernon e dall’allarme che era scattato qualche giorno prima.
Flashback
Era nella sua stanza nel cottage, vi era un silenzio di tomba. Il bubbolio dei gufi rendeva l’atmosfera tutta più spettrale. Il grigio intrinseco delle pareti, dei mobili, delle lenzuola, proprio del buio, si confondeva con la visione sfocata di Harry. La finestra era spalancata, da cui entrava la pallida luce della luna, che non riusciva a illuminare nulla, se non il davanzale della finestra stessa. Harry poteva udire lo sciabordio delle onde del mare al tocco con la sabbia. Nonostante il buio, l’atmosfera conferiva una vaga sensazione di pace. Ad un tratto, però, un tonfo sordo echeggiò per tutta la cameretta. Harry si fermò, bloccando per un po' il suo respiro, cercando di cogliere anche il più fievole dei botti. Si ripresentò. DUM. Spaventato, con il cuore a mille, il battito risonante in tutta la sua cassa toracica, nella sua testa, nelle sue orecchie, cercò freneticamente i suoi occhiali, ma non trovò niente sul comodino accanto al letto, solo il legno liscio, lievemente impolverato. Le sue gambe erano ancora coperte da un lenzuolo dal tessuto leggero. Udì un debole sibilo, accompagnato dalla sensazione che le lenzuola si stessero muovendo piano piano. Abbassò lentamente lo sguardo, la paura in ogni sua vena: un corpo allungato e molto spesso strisciava sul materasso, avvicinandosi alle sue gambe e cingendole in una strinta letale. Le squame premettero il loro viscidume sui suoi polpacci, poi sulle sue ginocchia, ancora sulle sue gambe, risalendo lentamente il piccolo corpo. Harry si dimenò, cercando di liberarsi dalla presa del serpente. Goccioline di sudore imperlavano la sua fronte. Una voce, due voci, tre voci. “Uccidi”. “Devi morire”. “Ti troverò”. “SSei mioo”. “Harrry”. Il cuore di Harry saltò un battito quando a queste prime voci sussurranti si unirono le grida di Zio Vernon. “RAGAZZO!”. “PICCOLO MOCCIOSO”. “BUONO A NULLA”. “MOSTRO”. Le parole erano intervallate dello schioccare di una frusta, sulle pareti, sul pavimento. Un vaso si ruppe. Non lo vide mai, ma lo sentì. A loro, ancora, si unì l’allarme.
«Papà! PAPA’!»
Il serpente stritolò la sua gabbia toracica, impedendo al piccolo di respirare. Inspirò più che poté, ma l’aria non passava per il suo naso, né per la sua bocca. Non poteva portarsi nemmeno le mani alla gola, bloccato e stritolato com’era. Diverse lacrime scesero sul suo viso. E prima che cedesse all’oscurità, due occhi rossi impressero la sua visione.
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Severus dormiva beatamente, crogiolandosi in un sonno profondo. Si sentiva rassicurato. Lui e suo figlio avevano trascorso un bellissimo pomeriggio, costruendo castelli di sabbia, torri, fortezze e fossati. Alla vista dell’acqua scintillante e dei granelli di sabbia che solleticavano i suoi piedini, incastrati tra le sue dita, gli occhi di Harry si riempirono di gioia. Quegli occhietti generalmente spenti e tristi, a quella vista luccicavano, raccogliendo in essi tutta la vita che era mancata. Gli sguardi erano proprio come quelli di Severus racchiusi, però, nelle iridi di Lily. Era un bambino dall’aspetto principesco. Severus era sicuro che, se suo figlio fosse nato un secolo prima, sarebbe stato ammirato per la sua bellezza, soprattutto in giovane età, con mille donzelle alle sue calcagna. Era una delle prime notti a dormine tranquillo, senza un filo di preoccupazione. Il suo volto reggeva dei lineamenti sereni, senza una minima traccia di ombre scure sotto gli occhi o rughe di stanchezza. Dormiva silenziosamente, anche se qualche volta il silenzio era spezzato da un leggero russare. I capelli neri, lisci e immancabilmente puliti si sparpagliavano su tutto il cuscino. Il corpo era calmo, non più in allerta come una volta. Era sicuro che questo fosse un effetto della presenza di Harry. Se solo ci fosse stata Lily.  La sua figura affianco a lui avrebbe reso tutto molto più semplice. Qualche volte il suo animo si oscurava pensando a ciò che Silente aveva compiuto. Gesti malvagi, crudeli. Eppure era venerato come Capo della Luce. Ma Severus non era più sicuro di niente.
Questi pensieri si riversarono nei suoi sogni, come anche un allarme lontano, dai tratti indistinti, che man mano si fece sempre più forte.
Severus si sveglio di colpò.
«Papà! PAPA’!»
‘Harry!’ pensò. Indosso in tutta fretta le sue pantofole, raccogliendo la bacchetta in una mano. Corse in camera di Harry. Vide il bambino rigido, dal respiro sempre più veloce e affannato, i capelli e il viso tutti sudati, le lenzuola scaraventate un po’ di qua, un po’ di là. Severus si sedette al bordo e accarezzò il capo del bambino.
«Harry, svegliati, bambino mio! E’ solo un incubo!»
Ma Harry non sembrava accennare a svegliarsi. Qualche lacrima gli bagno il viso. Il cuore di Severus si strinse in una morsa: raccolse il bambino tra le sue braccia e lo pose sulle sue ginocchia, sfiorando costantemente con le dita i suoi capelli.
«Harry! Papà è qui! Su, piccolo principe, su!»
Il corpo di Harry finalmente si rilassò, le palpebre cominciarono a muoversi. Severus sentì allargarsi sui suoi pantaloni del pigiama una chiazza bagnata, seguita da un odore pungente. ‘Proprio quello che ci mancava’ penso Severus, ridacchiando tra sé e sé, ancora leggermente preoccupato per suo figlio. Doveva essere stato davvero un brutto sogno per farsi pipì addosso. A quel punto, Harry si svegliò.
«Papà…»
«Si, Harry, sono qui!»
Harry iniziò a singhiozzare, stringendo nei suoi pugni la maglietta del suo papà. Allarmato, Severus cominciò ad Accarezzare con una mano i capelli di Harry, mentre con l’altra la magra schiena.
«Oh, Harry… cosa c’è… shh, non piangere, mio piccolo principe, dì al tuo papà cosa è successo!»
Ma Harry non riusciva a smettere di piangere. Sentiva un dolore sordo al petto e una paura irrefrenabile. Voleva solo stringere il suo papà e non lasciarlo più andare. Alla fine i singhiozzi si placarono, permettendo al piccolo Harry di parlare.
«Papà, c’era un grande serpente che mi stringeva forte e… e… Z-zio Vernon che diceva le cose brutte e si arrabbiava… sentivo dei rumori e delle voci che mi dicevano che devo morire, che sta venendo a prendermi… n-non ri-riuscivo a respirare e-»
I singhiozzi ripresero.
«Harry… non piangere, sei al sicuro ora, sono qui… shh… fai un bel respiro profondo, mio piccolo principe. Bravo! Continua così… inspira ed espira… bravo ragazzo!»
Severus sapeva che i complimenti sarebbero stati utili per il bambino. I suoi vecchi guardiani avevano minato ogni suo brandello di fiducia e autostima e Severus era determinato a ricostruirli. Harry aprì la bocca per parlare, ma poco dopo la richiuse, abbassando lo sguardo sul pavimento.
«Harry, bambino, guardami…» disse Severus, «cosa c’è?»
«Io… niente, è sciocco…»
«Harry, niente di ciò che mi dirai è sciocco. Hai avuto un incubo ed è giusto che tu mi dica cosa hai sognato.»
Harry, però, non sembrava convinto delle sue parole.
«Vuoi sentire una storia Harry?»
Harry annuì.
«Ma mi prometti che se ti racconto la mia storia, tu mi dirai del tuo incubo?»
Harry annuì ancora. Severus iniziò.
«Avevo sei anni, proprio come te. Quella mattina, mia mamma aveva deciso di portarmi allo zoo. Mi ricordo che c’erano tanti animali e io, non avendoli mai visti, rimasi a bocca aperta. C’erano leoni, tigri, zebre, giraffe. Le giraffe erano simpatiche, sai? Mia mamma, dopo aver fatto il biglietto, mi prese per mano e mi condusse fino ad un trenino rosso, con delle grate di ferro su ogni apertura, a destra, a sinistra e sul soffitto. Aveva in mano due bustine con all’interno dei semi. Non sapevo ancora a cosa servissero. Glielo chiesi, ma lei mi rispose che avrei dovuto aspettare, in quanto era una sorpresa. Occupammo due posti, io a sinistra e mia madre a destra. Aspettammo che arrivassero altre persone. Nel frattempo mi guardai attorno: non c’erano solo tantissimi animali, ma anche molte bellissime giostre, sia per grandi che per bambini come me. Ricordo che ero felicissimo e chiedevo insistentemente a mia madre quando il trenino sarebbe partito. Alla fine, il mio desiderio si avverò. Mamma mi passò una delle bustine. Il trenino salì, salì e salì fino a quando non potemmo vedere tutta la panoramica dello zoo. Ad un certo punto un gruppo di scimmie si arrampicò sulle grate del trenino. Facevano uh-uh-ah-ah, grattandosi la testa e muovendosi su e giù» disse Severus, imitando il verso delle scimmie e facendo ridere Harry. «Allora mia madre mi disse di prendere un semino e di allungare la mano per darlo a loro. Così feci, ma quando la allungai, le scimmie mi tirarono uno scherzo. Una di loro prese delicatamente il semino che gli stavo porgendo, mentre, tutto ad un tratto, un’altra allungò la zampa per rubarmi tutto il sacchettino. Io scoppiai a piangere, mentre le scimmie ridevano, tutte entusiaste. Da quel momento ho paura delle scimmie!»
«Ma papà, era stupido piangere per quello!» disse, Harry, ridendo a crepapelle.
«Lo so, Harry. Ma, anche se mi imbarazza molto e so che è sciocco avere paura delle scimmie, io l’ho detto a te. Ora è il momento di ricambiare, signorino!»
«Eehm… va bene, papà!» rispose Harry, sorridendo. «Quando sogno c’è sempre un mostro dagli occhi rossi, mi fa tanta paura…»
«Un mostro dagli occhi rossi?» rispose Severus, impallidendo leggermente.
«Si, papà, un mostro dagli occhi rossi che mi dice cose cattive... Tu lo manderai via, vero papà?»
«Si, Harry, lo manderò via, te lo prometto!» disse Severus, alzando un mignolo e stringendolo attorno a quello di Harry, a simboleggiare un patto. Nonostante i suoi mille pensieri, costrinse la sua faccia ad essere assolutamente tranquilla. Poi, pensò che, forse, essendo un abile Legilimens, avrebbe potuto sondare la mente di Harry, anche se non al momento. Dopotutto, non poteva tener conto del “grande” Albus Silente.
«Papà…»
«Si, Harry?»
«Cos’è questa puzza e perché sono tutto bagnato?»
«Ops!» disse Severus, sollevando Harry dalla chiazza bagnata, con una smorfia gioconda. Le sue buffonate fecero ridere ancora di più Harry.
Severus lo portò in bagno e lo posò a terra.
Poi si inchinò e disse: «Sua Maestà piccolo principe, sarebbe opportuno che lei facesse un bagno e il suo umile papà una bella doccia. Cosa ne pensa?»
Harry rise ancora.

Fine Flashback

Note dell’autrice: Scusate per il ritardo nella pubblicazione e i tanti giorni d’attesa, ma sono partita in vacanza e non avevo giga per pubblicare. Cosa ne pensate di questo capitolo?
Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 13
*** Traguardi e rimproveri ***


Severus aprì il libro che aveva appena trovato sepolto tra gli altri volumi, nell’angolo più lontano della biblioteca di Spinner’s End. Ci era andato quando Harry dormiva, ponendo su sé stesso un fascino di disillusione, per questioni di sicurezza: se qualcuno fosse riuscito ad entrare, non l’avrebbe visto. Essendo stato una spia per molto tempo, i suoi passi erano leggeri come una piuma, nessuno scalpiccio, nessun avvertimento della sua presenza. Era quello il segreto per cui aveva fatto spaventare molti studenti.  Il libro era vecchio, in pelle, dai bordi screpolati. Sfogliava con curiosità le pagine ingiallite, qualcuna screziata o pastrocchiata, come se fosse stato utilizzato molto o qualcuno avesse voluto cancellare parole potenzialmente pericolose. La carta era sottile e molto fragile. Il libro non aveva titolo, ma vi era ogni sorta di incantesimi, alcuni dei quali Severus avrebbe definiti oscuri. Legilimanzia, Difesa, Trasfigurazione. Più Severus leggeva, più ne rimaneva affascinato e intrappolato come un ragazzino inesperto e avido di conoscenza. Ma sapeva che la distrazione sarebbe stata di un altro momento. Ora doveva pensare ad Harry, trovare qualcosa che potesse aiutarlo, tenerlo lontano da Voldemort, dalle visioni che lui gli mandava. Severus non sapeva ancora come, ma conosceva benissimo l’abile occlumanzia e legilimanzia del Signore Oscuro. Era per quello che lui stesso aveva deciso di padroneggiarli. Certo, poi si era rivelato naturale in tali faccende della mente, ma all’inizio non lo sapeva. Ricordava la profonda paura che scuoteva ogni angolo del suo animo ai primi incontri, ogni volta che l’Oscuro Signore gli rivolgeva la parola, che gli chiedeva “favori” o pozioni. Tracciava con un dito ogni nome, ogni titolo, leggendo e traducendo ogni parola latina, appropriandosi di contenuti preziosi. Il libro era aperto alla sezione di Legilimanzia. Conscidisti mentem. Adolebitque pontes grisei caudatolenticulares. Una cum mentium. ‘Mente Insieme’ pensò Severus.
«Una cum mentium…» sussurrò Severus.
Era un nome strano per un incantesimo, Severus lo ammetteva. Ma l’intreccio studiato lo incuriosiva fortemente.

Una cum mentium
Incantesimo legalo al campo della Legilimanzia. Può essere lanciato solo quando il Legilimens è nella parte più profonda della mente dell’altro. Consente l’unione delle due menti, proiettando i sogni e le visioni dell’Occlumens in quella del Legilimens, che siano essi in stato di veglia o di sonno. Il Legilimens sarà in grado di occludere la mente dell’altro o inviare messaggi. L’Occlumes potrà sentirlo, ma non rispondergli.
È un incantesimo dalla validità neutrale. Può essere usato per beneficiarne o per scopi oscuri. Una delle prime testimonianze risale al 1452: inventato probabilmente da una strega dell’età di circa 16 anni, Camryn O’Shea, fu da lei utilizzato per avere contatti con la sorella, Ainfean, entrambe accusate di stregoneria. Viceversa, la seconda lo lanciò sulla prima, per poter rispondere. Ainfean, poco prima che Camryn fosse arrestata, riuscì a scappare. Il collegamento, che poteva e può essere aperto o chiuso a seconda dei voleri del Legilimens, permise ad Ainfean di ascoltare le urla mentali della sorella, le sue grida d’aiuto, rivelandosi, così, una pura tortura, portando Ainfean alla pazzia.
Perciò, raccomando ogni Legilimens che intenda utilizzare tale incantesimo di essere cauto, valutando i suoi pro e i contro.

Severus rimase inorridito dalla lettura della storia delle due sorelle. Sapeva che la caccia alle streghe era stata un gran tormento, ma non poteva immaginare tale stato di ignominia. Nonostante la cruenta testimonianza, Severus pensò che sarebbe stato ottimo avere un collegamento con suo figlio, per poter occludere la mente nel caso in cui Voldemort fosse ritornato. Sapeva di dover utilizzare una certa parsimonia, dopotutto era sempre un bambino il destinatario. Solo che Harry non era un Legilimens, ed era comunque troppo piccolo per essergli insegnato. Quindi, Severus pensò che sarebbe stato meglio modificare la formula originale per consentire ad Harry di comunicare con lui. Sarebbe stato un duro lavoro, lo sapeva molto bene. Ma voleva solo che Harry avesse una infanzia normale.
Raccolse una pergamena e cominciò ad annotare tutte le informazioni che riteneva utili. Si rese conto, però, che il libro non conteneva nessuna informazione sul controincantesimo. Aveva bisogno di studiarlo meglio e, sicuramente, aveva bisogno di altri libri che non avrebbe mai trovato nella sua biblioteca o in quella di Hogwarts. Avrebbe dovuto raggiungere la Biblioteca Nazionale di Edimburgo, in Scozia, ma avrebbe dovuto lasciare Harry a qualcuno. Sapeva che ad Harry non piacevano i posti affollati. Sì, avrebbe dovuto spezzare questa paura, ma adesso il bambino era troppo fragile, aveva bisogno di più attenzione. Ora, però, si poneva un altro problema: di chi poteva fidarsi per confidare la posizione del cottage, senza che Silente o Voldemort lo venissero a scoprire? Poppy? Minerva?
Forse Poppy era la soluzione migliore. Era stata per Severus una figura materna, gli aveva dato sempre quelle attenzioni che a casa scarseggiavano, curando le sue ferite e, talvolta, viziandolo un po'. Non che non si fidasse di Minerva, ma era sempre meglio non dirle niente, per adesso, vista la sua profonda fiducia che nutriva per il preside. Nessuno si sarebbe mai aspettato che il grande Albus Silente fosse malvagio.
Poppy sapeva cose di cui Minerva non era a conoscenza. E Severus pensava non fosse ancora il caso farglielo sapere.
Il ticchettio dell’orologio lo riportò alla realtà, il mondo vorticante dei pensieri temporaneamente abbandonato. Raccolse il libro e la pergamena e li nascose sotto alcuni suoi vestiti, in uno dei cassetti del suo comò, non volendo che qualcuno lo aprisse e leggesse il suo contenuto, come un elfo domestico o, ancora, suo figlio. Sicuramente non avrebbe capito niente di ciò che vi era scritto, ma Severus sapeva fin dove potevano spingersi i bambini.
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Harry dormiva profondamente, tranquillo della sua sicurezza. Il suo volto era pacificamente angelico. E nel suo imperturbabile torpore, sentì una mano sfiorargli delicatamente i capelli.
«Harry, è ora di alzarsi… ci attende un’altra giornata di magiche avventure, piccolo principe…» sussurrò Severus nell’orecchio di suo figlio, sapendo quanto Harry si sentisse subito elettrizzato all’idea. Era consapevole di sollevare nel bambino un lato grifondoro, ma era ancora un bambino, doveva divertirsi come più gli piaceva, senza sotterrare la sua fantasia.
Harry sbatté le palpebre. Le tende erano aperte solo di qualche centimetro, permettendo alla luce di entrare con calma e di abituare a lei gli occhi assonnati. Harry pensò che suo padre lo sapesse svegliare bene. Gli diceva sempre frasi bellissime, che gli facevano venire voglia di abbandonare il suo letto, altrimenti ci sarebbe rimasto per tutta la mattinata. Sapeva che non poteva annoiarsi, suo papà non l’avrebbe permesso.
«Su, Harry, vieni, ti prendo in braccio e andiamo a fare una bella doccia. Che ne dici?»
«Uh-uh, papà. Posso giocare con il mio soldatino?»
«Si, Harry, puoi giocarci quanto vuoi.» disse Severus. Il soldatino era uno dei giocattoli che aveva trovato in soffitta, in un baule. Era in plastica, adatto ad un bambino. Se fosse caduto non si sarebbe rotto e Severus era felice di non dover costantemente riparare giocattoli rotti. Raccolse il bambino e lo portò in bagno. Lo posò sulla tavoletta chiusa del wc, in piedi. Procedette a svestirlo, poi lo raccolse di nuovo in braccio e lo fece sedere nella vasca. Gli insaponò i capelli e il corpo e provvide a sciacquarli, attento a non far andare il sapone negli occhi. Harry, a suo agio, continuò a giocare con il suo soldatino.
«Bene, mio piccolo principe. E’ ora di andare a vestirsi!»
Harry sorrise e allungò le braccia per essere raccolto. Quando lo fece, poggiò la testolina sulla spalla di Severus e avvolse le due braccia attorno al suo collo. Harry sentì suo padre accarezzargli la schiena. Era così rilassante.
Severus trasfigurò alcune tutine di Harry, che aveva conservato, in abiti che si adattassero al bambino. Decise di portarlo il giorno stesso a Diagon Alley per acquistare nuovi capi e riempire l’armadio di suo figlio, assieme anche ad alcuni giocattoli e libri per bambini.
Harry si lasciò vestire tranquillamente.
«Bravo bambino!» disse Severus, accarezzando la testa di Harry. Il piccolo sorrise, un luccichio profondo nei suoi occhi. Severus si perse ancora una volta nei suoi pensieri. Amava il suo bambino. Il suo bambino. Harry. Voleva per lui tutto il bene del mondo. Voleva dargli tutto quanto era possibile. Sapeva però che non poteva farlo se no avrebbe viziato il bambino come faceva Lucius Malfoy con il piccolo Draco.
«Papà.» chiamò Harry, tirando la manica del maglione del suo papà.
«Si, bambino?»
«A che cosa stai pensando?»
Severus sorrise.
«Stavo pensando che, siccome il mio piccolo principe è un bravo bambino, oggi andremo a Diagon Alley per comprare nuovi vestiti, giocattoli e libri. E se poi il piccolo principe desidera un gelato, il suo umile papà sarà pronto a comprarglielo. Cosa ne dice?» disse, con un inchino scherzoso.
Ormai padre e figlio avevano preso giocosamente le parti di un cavaliere e di un principe. Harry si divertiva, ma Severus sapeva di dover sempre staccare la finzione dalla realtà, poiché i bambini potevano confondere le due cose.
«Siii!!» strillò Harry, battendo le mani.
«Bene allora! Ora, tutti a fare colazione!!» rispose Severus, facendo il solletico ad Harry.
Scesero le scale e raggiunsero la cucina.
«Ora piccolo, papà farà la colazione e tu puoi giocare nel frattempo. Va bene?»
«Ma non ti posso aiutare?»
«No Harry,-»
«Ma papà, io so fare tante cose. So cucinare i pancake e le salsicce e il bacon…»
Harry continuò a parlare. ‘Ecco i primi capricci’ pensò Severus. Significa che si fida un po' più di me? E inizia ad assumere il carattere di tutti gli altri bambini? Severus sorrise internamente ma sapeva che era il momento di assumere un atteggiamento un po’ più severo.
«… Zia Petunia mi ha detto-»
«Harry.» Severus stoppò suo figlio, un cipiglio leggermente severo sul volto. Harry lo guardò, esitante, poi abbassò il capo. ‘Ecco, ora l’hai fatto arrabbiare. Stupido, stupido, stupido! Sono un mostro, proprio come diceva lo Zio Vernon, uno stupido mostro ingrato.’ pensò Harry, non accorgendosi di una lacrima che gli scendeva sul suo volto.
Il cuore di Severus saltò un battito alla scena. Non aveva intenzione di spaventarlo così. Si abbassò al livello di suo figlio e alzò con una mano il capo, prendendogli delicatamente il mento.
«Harry, guardami…» disse, più dolcemente.
Harry lo guardò.
«Harry, devi capire che se papà ti ha sgridato è perché vuole insegnarti qualcosa di importante. Ti stavo cercando di dire che non voglio che tu mi aiuti a cucinare perché voglio che ti diverta, che tu gioca prima di una giornata estenuante che forse ti toglierà il tempo al gioco. Se poi desiderò un po' del tuo aiuto ti chiamerò. E non voglio mai più sentire nominare ciò che diceva zia Petunia o zio Vernon. In questa casa non ci sono le loro regole. Ma le nostre. Capisci? E ancora una cosa. Se ti vedo pensare di te stesso certe cose che hai pensato prima, stai sicuro che mi arrabbierò di più di quanto ho fatto oggi. E’ chiaro?»»
Harry spalancò gli occhi, riempendosi di nuovo di lacrime, ma annuì. ‘Come può papà sapere cosa ho pensato prima?’ pensò.
Severus non voleva essere così severo, ma sapeva che doveva porre dei freni ai cattivi pensieri di Harry.
«Scusa papà!» disse Harry piangendo più forte, mentre annuiva con la testa, ammettendo di aver capito le parole del suo papà.  Sentì delle mani grandi abbracciarlo e dargli delle pacche dolci sulla schiena.
«Su Harry, non c’è bisogno di piangere. Non è successo niente di grave e poi dopo le scuse tutto è perdonato. Ok?»
Harry continuò a singhiozzare, stringendo il maglione di severus nei suoi pugnetti. Dopo un po', si calmò e riuscì a staccarsi da suo padre. Prima che potesse asciugarsi le lacrime e il moccio con la manica (‘come tutti gli altri bambini’ pensò Severus ironicamente), Severus gli porse un fazzoletto di carta.
«Grazie…»
«Prego, piccolo principe!» rispose Severus, scompigliando i capelli di Harry.
«Ora io andrò a cucinare qualcosa di speciale e tu andrai a giocare!»
«Posso uscire fuori, papà?»
«Si, ma non andare oltre le scale del cottage. Siamo d’accordo?»
«Si, papà!»
«Bravo ragazzo! Ora vai!!» disse Severus, mandando avanti Harry con un lieve colpetto burlesco sul sedere.
Harry corse fuori.
Assicuratosi che suo figlio avesse seguito le sue istruzioni, raccolse una ciotola e un mestolo. Aprì il frigo e, assicuratosi che ci fosse tutto il necessario, raccolse la bottiglia del latte, quattro uova e un cubetto di burro. Li poggiò sul piano del tavolo. Poi prese dal mobiletto della cucina farina, zucchero, sale e una bustina di lievito. Procedette a preparare l’impasto, sperando che i suoi pancakes fossero buoni come quelli di sua madre. Voleva fare una sorpresa speciale ad Harry. Nel frattempo che l’impasto lievitasse un po', raccolse delle fragole che aveva in frigo e le tagliò a pezzettini su un tagliere e raccolse un pentolino, facendo sciogliere un po' di burro sul fornellino. Purtroppo non aveva la padella adatta, si doveva arrangiare. Pronto il pentolino, versò un po’ dell’impasto, in modo da formare dei cerchi abbastanza perfetti. Quando si creavano bollicine sulla pasta, girava il pancake, permettendogli di cuocere anche dall’altro lato. Fece così per tutti gli altri. Ne ottenne sei dall’impasto. Ne condì tre con panna e fragole, gli altri tre con sciroppo d’acero. Prese due bicchieri e gli riempì uno con succo d’arancia e l’altro con caffè, dopo aver preparato anche la caffettiera. Posò tutto sul tavolo, provvisto già di posate e tovagliette per non sporcare il piano, come anche tovaglioli per ogni evenienza.
«Harry!!» urlò Severus, per avvisare suo figlio della colazione pronta.
«Arrivo, papà!» rispose Harry.
Severus vide correre suo figlio verso il tavolo, ma quando poggiò le mani sulla sedia per salire, Severus lo bloccò.
«Hai lavato le tue mani, Harry?» disse, sorridendo.
«No, papà. Mi sono dimenticato.»
«Per questa volta lancerò un incantesimo per pulirle, ma le prossime volte voglio vederti a tavola solo se avrai prima lavato le tue mani.»
«Va bene, papà!»
«Ora, piccolo principe, fammi vedere le tue manine!»
Harry le allungò e Severus puntò la bacchetta su di loro.
«Tergeo! Ora puoi sederti!»
«Papà, hai fatto i pancakes?» disse Harry, felice di questa notizia.
«Si, Harry!»

Note dell’autrice: Avevo intenzione di continuare a scrivere questo capitolo, ma volevo assolutamente pubblicare oggi, in vista della mia prolungata assenza precedente. La vicenda si infittirà sempre di più, ve lo prometto. Che ne dite di Camryn e Ainfean? Se siete interessati, potrei, dopo aver terminato questa storia, scrivere uno spin off su di loro, sempre in tema Harry Potter. Scrivete qui sotto per farmi sapere cosa ne pensate. Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.








 

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Capitolo 14
*** Diagon Alley ***


«Papà, hai fatto i pancakes?» disse Harry, felice di questa notizia.
«Si, Harry!»


Severus ne prese due con una spatola, uno allo sciroppo d’acero, l’altro con panna e fragole e li fece scivolare nel piatto di Harry. Poi ne prese due anche per sé. Osservò suo figlio, non sapendo se dovesse tagliare per lui la colazione. Ma quando si rese conto che il bambino fosse perfettamente capace (‘Ecco un’altra cosa che è precoce per un bambino di sei anni’), abbandonò le sue domande e preoccupazioni. Guardò ancoran una volta Harry, notando il suo masticare esitante, come se provasse i pancakes per la prima volta. Non che non fosse possibile, viste le condizioni in cui aveva vissuto.
«Ti piacciono, Harry?
«Si, sono buonissimi! Non li avevo mai assaggiati prima…»
«Adesso potrai dire di averlo fatto, piccolo principe!»
Harry sorrise, ma, dopo un po', Severus osservò suo figlio assumere un’aria pensierosa. Non gli chiese niente, voleva che fosse suo figlio a venire da lui al momento del bisogno. Chiaramente, se non si fosse fatto avanti, Severus avrebbe fatto il primo passo.
«Papà?»
«Si, Harry?»
«Andremo ancora a comprare i vestiti e i giocattoli?»
«Si, bambino. Perché me lo chiedi?»
Harry abbassò lo sguardo e borbotto sottovoce.
«Cosa, Harry? Non ho capito.» disse Severus, con voce più mite possibile. Sapeva di dover lavorare sugli atteggiamenti di suo figlio, ma lo avrebbe fatto con dolcezza. Non avrebbe mai emulato il suo padre bastardo.
«Io… io pensavo che tu fossi arrabbiato e- e-»
«Harry, prima ti ho detto che una volta finita la punizione o il rimprovero e hai capito il tuo sbaglio tutto è perdonato. Non significa che non faremo quello che abbiamo stabilito!»
«Quindi andiamo a Dia- Dai-»
«Diagon Alley» disse Severus con un sorriso.
«A Diagon Alley?»
«Si, Harry, ci andremo dopo aver finito la colazione- Harry, non mangiare così in fretta, mastica piano, se no ti strozzerai!»
«Scusa papà!» rispose Harry, impertinentemente.
Terminata la colazione, Severus raccolse due giacche leggere per il vento, un sacchetto con alcuni soldi, abbastanza da soddisfare i desideri del bambino.
«Ora, Harry, dovrò mettere su di te e me un fascino che cambia l’aspetto, come il colore degli occhi o i capelli. Sembreremo entrambi molto diversi, va bene?»
«Si, papà! Ma perché dobbiamo cambiare aspetto?»
Severus si inginocchiò per porsi all’altezza di suo figlio.
«Perché, Harry, stiamo giocando a nascondino! Tu vuoi giocare con papà?»
«Sisi, papà! Ma da chi ci nascondiamo? Dal mostro cattivo?»
«Si, Harry, dal mostro cattivo! Siamo delle spie che ci nascondiamo e nessuno deve sapere chi siamo. Cambieremo, infatti, anche i nostri nomi-»
«E’ fantastico, papà!» disse Harry eccitato. Poi continuò, sussurrando, con una mano a coppa al lato della bocca: «Ma giocheremo sempre a papà e figlio, vero?»
«Mio piccolo principe, noi siamo padre e figlio, non dobbiamo giocare su questo!» disse Severus, ridendo.
«Posso chiamarti papà?»
«Si, Harry, certo che puoi farlo.». Severus accarezzò i capelli del bambino, il quale si appoggiò al suo tocco. Era così piccolo e fragile. Severus lo sapeva. Ecco perché aveva preferito chiedere di giocare e non dire a lui la verità in forma esplicita. Dopo tutto aveva sei anni e non c’era bisogno di aggiungere più peso al fardello che già portava sulle spalle.
«Bene, figliolo, è tempo di cambiarci in spie!»
Con un gesto della bacchetta, i capelli di Harry assunsero una tinta più chiara, castano scuro, le iridi si fecero di un verde olivastro, con qualche striatura di marrone e grigio, le guance e il naso gli si riempirono di lentiggini. Suo padre mise un glamour sulla sua fronte affinché la cicatrice non fosse visibile. Severus, invece, accorciò i capelli, trasfigurandoli nello stesso colore di Harry, e fece assumere ai suoi occhi un colorito di ghiaccio. Sembravano ancora padre e figlio, anche se letteralmente diversi da quello che erano in precedenza.
«Stai benissimo papà!»
«Grazie, Harry, sono contento che ti piaccia! Anche tu sei molto bello, mio piccolo principe! Vuoi uno specchio per vederti?»
Harry annuì. Quando Severus gli porse l’ovale di vetro, il bambino spalancò gli occhi, stupefatto. Sapeva che la magia potesse fare cose grandiose, ma questo era qualcosa di meravigliosamente grande. Era veramente, veramente felice di avere un mago per papà!
«E’… E’ bellissimo…» sussurrò, toccandosi i capelli con le piccole manine, per constatare se il tutto fosse reale.
«Si, Harry! Ora, però, dobbiamo darci dei nomi diversi! Tu sarai Henry Evans, proprio come tuo nonno, il padre di tua madre. Io sarò Tobias Evans.» disse, l’ultimo nome con una smorfia.
«Va bene, papà!»
«Bravo bambino…».
Da quando Harry era tornato nella sua vita, Severus era tornato il suo solito io. Era dolce, premuroso e affettuoso, tutti attributi che nessuno gli avrebbe mai conferito. Non voleva cambiare per il suo Harry. Mai più! Non vedeva l’ora che questa guerra terminasse! Voleva per suo figlio solo una vita tranquilla, senza preoccupazioni. Sperava sarebbe finita presto!
Distogliendosi rapidamente dai suoi pensieri, strinse la mano di Harry e, messisi nel camino, furono trasportati fino al loro punto di arrivo: Diagon Alley. C’era un camino proprio in un vicolo adiacente la via principale, per coloro che viaggiavano per floo. Attorno ad esso era stato posto un incantesimo di privacy, per evitare che uditori impiccioni ascoltassero le mete di ogni viaggiatore.
«Bene, Henry, ecco Diagon Alley! Tieni sempre la mia mano, non allontanarti da papà, mi raccomando!»
«Si, papà, sarò buono.»
Severus sorrise e diede un bacio alla testolina di Harry.
«Sono certo che lo sarai, mio piccolo principe!»
Per prima cosa si diressero verso il negozio di Madama Malkin, per acquistare alcuni abiti da mago per Harry. porta. Madama Malkin era al bancone, un paio di occhiali da sarto sulla sua faccia, dallo sguardo molto concentrato.
«Buongiorno, signora.» salutò Severus, con Harry che gli fece eco. Il saluto presero alla provvista la donna, che sussultò.
«Oh! Che sciocca… buongiorno, cari! Dovete scusarmi! Cosa posso fare per voi?»
«Mi perdoni, signora, se l’ho fatta spaventare. Non era mia intenzione!» rispose Severus.
«Sciocchezze, sciocchezze. Sono io che devo scusarmi. Ero talmente presa dal mio lavoro che non mi ero accorta avessi clienti! Ora, chi è questo bel giovanotto?» chiese affabilmente, guardando Harry. Il bambino si nascosi dietro le vesti di suo padre. Quest’ultimo gli pose una mano sul capo, accarezzandolo lievemente, avendo sul bambino un effetto lenitivo.
«Questo è mio figlio, Henry Evans. Io sono suo padre, Tobias Evans. Perdonatelo, signora, è un po' timido. Su, Henry, vieni, non aver paura!»
Il piccolo bambino riuscì ad uscire dal nascondiglio improvviso, facendosi coraggio. Sapeva che suo padre non l’avrebbe lasciato.
«Signora Malkin, siamo qui perché Henry ha bisogno di alcune cose. Ecco qui la lista.»
 
Lista robe Harry
Sei vesti da mago semplici
Quattro vesti da mago per cerimonie
Dieci pantaloni casual
Dieci pantaloncini casual
Sei pantaloni eleganti
Sei pantaloncini eleganti
Dieci maglioncini
Dieci camicie
Quindici T-shirt
Dieci giacche primaverili/autunnali
Dieci cappotti invernali impermeabili
Dieci mantelli invernali
Dieci mantelli primaverili


«Una lista bella lunga! Dovrete aspettare fino a questa sera, signor Evans. Spero non le dispiaccia!»
«Oh, no, signora! Sapevo già che questa lista avrebbe richiesto del tempo. Non si preoccupi! Lei prenda tutto il tempo che le serve! Se sono un fastidio, potrei passare domattina a ritirare il tutto.»
«Lei è molto gentile, signore, ma non deve preoccuparsi! Dopotutto, questo è il mio lavoro. E poi, quando si presenta una sfida come questa, sono ben pronta ad accettarla. Ora, ho bisogno di prendere le misure di tuo figlio.»
«Vieni, Henry. Sali su questa pedana.»
Un metro incantato svolazzò attorno al corpo di Harry. Non si può dire che il bambino fosse spaventato, forse intimorito, ma ancora stupefatto. Lasciò che la sarta facesse il suo lavoro. Dopotutto, la misurazione fu rapida e indolore. Solo Harry sapeva che il metro gli aveva ricordato una sorta di flashback che, tuttavia, la mano di suo padre gli aveva subito cancellato. Si era sentito rassicurato.
«Signori Evans, se foste così gentili da seguirmi in magazzino, così potrò mostrarvi i colori delle stoffe e la loro consistenza.»
«Certo, signora. Grazie per la vostra pazienza!» rispose Severus.
Madama Malkin sorrise. Pensava che il giovane fosse veramente un brav’uomo e, da quello che aveva visto in precedenza, anche un buon padre.
Severus ed Harry si fecero strada in un localetto buio, piuttosto affollato: i muri erano coperti da alti scaffali in legno scuro, sui loro ripiani riposte numerose stoffe, di svariati colori e consistenze. Era abbastanza buio, ma un rapido movimento della bacchetta della piccola sarta illuminò avidamente ogni angolo. L’odore era fenolico, forte, chimico, impregnando l’aria di quello che era l’aroma dei capi nuovi, appena comprati.
«Allora, Signor Evans, quale materiale intende per i capi di suo figlio?»
«Certamente seta, ma, in realtà, preferirei un vostro consiglio, signora. Su ogni capo.»
«Può stare tranquillo, signor Evans. Allora, vediamo, da dove cominciare… direi dal primo della lista: sei vesti da mago semplici. Bene, per questi, Signor Evans, direi di farne tre in Charmelaine, un tessuto di lana, dalla trama granulosa. È molto resistente e caldo per l’inverno. I restanti tre sarebbe meglio, per l’estate, semplice cotone, molto fresco e assorbe molto bene il sudore. Per un giovane come il piccolo signor Evans sarebbe l’ideale! Abbiamo diversi colori. Questo è il catalogo.»
«Ecco, Harry, guarda! In quali colori ti piacerebbe avere le vesti invernali?»
Dopo una gran bella occhiata, Harry rispose timidamente, con una vocina sottile: «Questi, signore.»
Harry li indicò, sotto lo sguardo attento di suo padre. Chiaramente Harry non sapeva leggere. Per fortuna che c’erano i colori! Severus se n’era completamente dimenticato.
Quando suo figlio l’aveva chiamato signore, Severus si era sentito come il padre bastardo. Avrebbe parlato ad Harry più tardi. Suo figlio non doveva avere paura di chiamarlo papà in pubblico.
«Ad Henry piacerebbe il verde, il blu chiaro e il lilla scuro per le vesti invernali. Mentre, Harry, per quelle estive?»
Harry indicò rosso scuro, grigio chiaro e blu notte. Alzò lo sguardo in cerca dell’approvazione di suo padre. Non voleva ammetterlo, ma aveva ancora paura di fare uno sbaglio. Dopo che suo papà l’aveva salvato dalle grinfie dei Dursley, non era mai entrato in contatto con gente estranea. Non che l’avesse mai fatto con i suoi “zii”, dopotutto non l’avevano mai portato con loro in nessuna delle gite di famiglia. Poi la magia non la conosceva così bene e pensava potesse far qualcosa che sembrasse strano. Qualche volta le parole “mostro” o “strano” gli risuonavano nella testa, come una vecchia canzoncina. Ma quando ricordava le parole del suo papà, ovvero che l’avesse scoperto ancora a pensare così di lui stesso sarebbe stato più arrabbiato dell’ultima volta, quelle parole scomparivano, senza lasciare alcuna traccia di loro.
Il tempo da Madama Malkin scorse tra il lento e il veloce, un po' affannandosi. Ad Harry piaceva come il suo papà gli chiedesse sempre un parere su quale colore dovesse essere questo o quello. Era meravigliato da quanta roba stesse comprando per lui. Tutti quei colori e quelle stoffe l’avevano affascinato, come tutti i gomitoli e gli spilli in bella vista che si trovavano nel negozio.
Lasciarono Madama Malkin con la promessa di ritornare il pomeriggio alle cinque.
«Allora Henry, vedo che è passato un po' di tempo! Sono le 12 e mezzo, che ne dici di andare a pranzare e, poi, a prendere un bel gelato da Fortescue? Così potremo completare sani e forti le nostre compere.»
«Oh, sì papà! Ma sei sicuro che hai tanti soldi per prendermi tutte queste cose? Hai già fatto tanto nel negozio di prima…»
«Henry, bambino, tu non devi preoccuparti di quanti soldi spende tuo papà. È mio dovere darti tutto quello di cui hai bisogno. E poi, per il mio piccolo principe questo e altro!» disse Severus, solleticando il piccolo Harry. Harry rise a crepapelle. Quando entrò nel ristorante scelto da suo papà per pranzare, stava ancora ridendo. Fu solo quando si sedette che notò quanto fosse carino: ogni parete aveva un suo colore, azzurro, verde, rosso e giallo, rispecchiando i colori delle quattro case di Hogwarts (ma Harry non lo sapeva ancora).
I tavoli erano disposti a cerchio attorno al bancone, centrale. Le tovaglie erano a quadri, anch’essi colorati come le pareti e al centro di ogni tavolo c’erano dei pastelli in cera con cui colorare la tovaglia nell’attesa. Bisogna dire che le immagini prendevano vita, attirando le attenzioni dei bambini ed anche degli adulti: se disegnavi una persona, questa ti parlava; se, invece, sceglievi di rappresentare un pianoforte, una musichetta era suonata.
Era un locale grazioso. Severus aveva amato questo posto quando era più piccolo: ci veniva sempre con Lily. Sapeva che ad Harry sarebbe piaciuto.
«Buongiorno signori. Questi sono i nostri menù. Quando siete pronti per ordinare, fatemi un cenno e sarò subito da voi.»
«Grazie. Ecco Henry, vieni qui. Allora guarda: ci sono pesce e patatine, arrosto di carne, pollo al curry e altre spezie, pie con crema di funghi e pollo e contorno di puré di patate e verdure. Oppure ci sono gli hamburger. Cosa preferiresti mangiare?»
«Io… io non lo so. Non ho mai mangiato queste cose.»
«Allora facciamo una cosa: io prendo un piatto e lo condivido con te, così assaggi qualcosa di diverso. Invece, suggerisco di prendere qualcosa di un po’ più classico come un hamburger. Che ne dici?»
«Va bene, papà!»
Dopo una decina di minuti abbondanti, Severus chiamò la cameriera per ordinare. Harry prese un semplice hamburger e succo di zucca, mentre Severus pollo al curry e acqua naturale. Terminata l’ordinazione, l’uomo attirò l’attenzione di suo figlio, prendendo una matita e disegnando una piccola macchina. Terminato il disegno, quest’ultimo cominciò a muoversi fino alla mano di Harry. Harry era incantato. Prese anche lui una matita e cominciò a disegnare un gatto. Anche questo al suo termine si mosse e, con ancora grande sorpresa di Harry, miagolò.
Severus osservò come la lingua di Harry spuntasse fuori dalle piccole labbra per la concentrazione. Era sicuro che suo figlio stesse facendo del suo meglio per disegnare un bel gatto. Estrasse di nascosto una macchina fotografica che aveva portato con sé e scattò una foto. Poi chinò il capo per osservare il disegno di suo figlio. Era scioccato! Completamente scioccato! Spalancò gli occhi in segno di stupore.
«Harry…» disse, scordandosi di non pronunciare il suo vero nome, «è bellissimo. Non sapevo sapessi disegnare così bene!»
«Ehm… si…»
Harry arrossì ai complimenti di suo padre. Inaspettatamente, fu avvolto in un abbraccio feroce dal suo papà.
«Sono così orgoglioso del mio piccolo principe!» disse, non accorgendosi, però, di una donna, coperta da un mantello, con un cappuccio che nascondeva i suoi capelli, che li guardava con occhi sinistri e guardinghi.

Note dell’autrice: Perdonate la ripresa dei nomi inglesi ma, personalmente, non riesco a pensare ad alcuni negozi di Diagon Alley nella loro traduzione in italiano. Mi sembra un obbrobrio. Comunque la vicenda si infittisce. Chi sarà la donna mantellata? Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 15
*** La Notte Araba ***


«Sono così orgoglioso del mio piccolo principe!» disse, non accorgendosi, però, di una donna, coperta da un mantello, con un cappuccio che nascondeva i suoi capelli, che li guardava con occhi sinistri e guardinghi.

Il mantello diceva tutto su di lei: nessuno l’aveva mai veramente vista, ma ultimamente si aggirava spesso nei pressi di Diagon Alley. Era conosciuta come La Notte Araba: un velo color amaranto era avvolto attorno al suo capo, non lasciando intravedere nulla, se non gli occhi. Circolava voce che fossero verdi, in particolare verde giada, incastonato perfettamente con pigmenti cerulei e abbracciati dalla morbida forma allungata dell’occhio. Le sopracciglia erano sottili e scure, la pelle ambrata, bronzea, liscia. Solo se si osservava l’interno del polso, si poteva comprendere la sua carnagione pallida. Non era una donna dei paesi medio-orientali, no. Ma nessuno l’aveva capito. Il corpo sinuoso era avvolto da un abito borgogna, stretto per tutta la parte superiore del corpo, terminante in una gonna morbida, lunga fino ai piedi. In vita era decorato da un motivo etnico floreale. E poi c’era il mantello, quel mantello verde scuro che portava costantemente, di velluto. Il suo cappuccio copriva sempre il suo capo, già celato dal velo. Non li toglieva mai. Il suo sguardo era sempre chino, raramente lo alzava per guardare negli occhi una persona. Ma quando lo faceva, toglieva il fiato. Era una figura ammaliante e nascosta nello stesso tempo: appariva e scompariva come gli uccelli d’inverno. Non parlava con nessuno: si appostava silenziosamente nei pressi di un vicolo o di una colonna, sempre nell’ombra, aspettando qualcosa o, forse, qualcuno. Aveva la vista di un falco, non le sfuggiva nulla. Nessuno sapeva se fosse una strega, un auror o qualcos’altro. Era solo un mistero. Giravano delle voci su di lei, tante, troppe voci. Ogni qualvolta lei passava per le strade affollate di Diagon Alley, le signore la guardavano con sospetto, bisbigliando tra loro, probabilmente diffondendo pettegolezzi inventati. Gli uomini, invece, avevano un’aria meno sinistra e molto più curiosa.
Quel giorno, La Notte Araba aveva seguito l’uomo con il bambino. _______________________________________________________________________________________

Severus si stava divertendo con Harry. Era bello vedere suo figlio ridere per qualcosa, per quanto stupido fosse. Il bambino era veramente felice e se lo meritava. Era un suo pieno diritto.
«Guarda, papà!» tirando la manica di suo padre, distratto per un attimo, impaziente di attirare la sua attenzione. Severus abbassò il capo per guardare Harry, gli angoli delle sue labbra tirati in su, dando sfogo a un sorrisino.
«Guarda, papà!» ripeté il bambino. «Ti piace il mio disegno?».
Severus si concentrò avidamente sull’illustrazione, per cui Harry stava premendo tanto. Il petto gli si riempì di una sensazione ancora più calorosa di quella che provava. Sapeva di amare il suo bambino, lo sentiva. Ma dopo tanti anni di dolore e sofferenza, credeva di aver bisogno di una conferma. Aveva concentrato nei suoi tratti, alcuni sentimenti che non erano mai stati i suoi: l’odio, il disprezzo, il disgusto. Sì, c’era Voldemort a cui dedicare tutti queste percezioni, come i suoi seguaci, ma Lily l’aveva salvato. Eppure, con la sua morte e l’allontanamento di suo figlio, li aveva fatti emergere per salvarsi la pelle. E ora, doveva salvare sé stesso e suo figlio anche dal “Capo della Luce”. Ma quel disegno, quel disegno bellissimo e pieno di amore e dedizione che rappresentava sé stesso ed Harry in riva al mare, gli aveva dato la conferma che il suo amore non era mai stato offuscato da tali emozioni negative e che suo figlio ricambiava pienamente.
« Henry… ma è bellissimo! Aspetta, possiamo chiedere se ci possono regalare la tovaglia, così incorniciamo il tuo bellissimo disegno e lo appendiamo in casa. Chiaramente decideremo insieme dove metterlo. Che ne dici?»
Harry annuì, guardando Severus mentre faceva cenno ad una cameriera di avvicinarsi e facendo la sua domanda, il più educatamente possibile. La risposta fu positiva: la tovaglia con il disegno di Harry fu dato loro, con sorprendente facilità, per le opinioni di Severus. Suppose che tale disponibilità fosse dovuta al fatto che erano molti i genitori che portavano lì i loro figli, ponendo la medesima richiesta. Sorrise ed Harry fece lo stesso. Notò che il bambino aveva aperto la bocca, come per parlare, ma poi l’aveva richiusa, probabilmente ripensandoci. Severus lo guardò, con un sopracciglio alzato. A quella mossa, Harry ridacchiò.
«Per cosa stai ridendo, piccolo furbacchione?» chiese l’uomo,  solleticando suo figlio. Il piccolo rise ancora di più, fino alle lacrime.
«Ti prego- haha- basta, basta papà! Ti devo dire una cosa…»
Severus si bloccò, ancora sorridendo e facendo ad Harry un cenno per continuare.
«Io… io voglio dirti che…»
Il bambino si bloccò, un po' imbarazzato.
«Si, Henry?»
Dopo un altro sguardo di sottecchi, Harry parlò sottovoce, ma abbastanza forte da farsi sentire, prendendo alla sprovvista Severus.
« Ti voglio bene, papà!» disse, avvicinandosi a suo padre e avvolgendo le sue piccole braccia attorno alla sua vita. Severus rimare sbalordito ed estasiato allo stesso tempo. Suo figlio aveva fatto la sua prima mossa per un gesto d’affetto. Il bambino stava lentamente cambiando. E Severus ne era felice.
Ma mentre era lì, tra i suoi mille pensieri felici, sentì i suoi capelli rizzare sulla nuca, come i peli delle braccia, in una profonda pelle d’oca. C’era qualcosa di strano. Si voltò e vide una donna, coperta dalla testa ai piedi, intenta a fissarli. I loro occhi si incrociarono: Severus si raddrizzò, il suo sguardo si fece guardingo e severo. La donna sussultò, e abbassò subito il capo, non prima però di dare a vedere un lampo di riconoscimento. Dopo essersi ricomposta, pose una mano al di sotto del suo mantello, frugando per qualcosa: Severus vide, con la coda dell’occhio, che la donna aveva raccolto un foglio di pergamena, una busta la lettera, una penna babbana (‘Decisamente strano.’, pensò Severus.) e un timbro chiuso. Era intenta a scrivere qualcosa di importante, vista la concentrazione con cui si impegnava. Dopo aver chiuso la lettera e averla timbrata, si alzò graziosamente, ma sicura dei suoi passi, e si avvicinò ai due, tendendola all’uomo. Severus la guardò ancora una volta, poi rivolse la sua attenzione sulla busta davanti a lui: il timbro era un sigillo, come quello in ceralacca che utilizzavano tutte le famiglie purosangue. Erano raffigurati un serperte avvolto attorno alla figura di un leone, dal corpo di cerva, ma ancora conservante la sua folta criniera. Quella cerva fece saltare un battito al cuore di Severus. Il patronus di Lily.
Nel frattempo, Harry alzò lo sguardo, tingendosi per la prima volta dopo giorni di sincera paura.
«Papà…»
«Harry, non preoccuparti, sta tranquillo.» disse Severus, non accorgendosi del fatto che la sua lingua fosse scivolata sul vero nome di suo figlio. Harry si accoccolò ulteriormente vicino alle vesti di suo padre. Poi, Severus continuò, vestendo le sue parole di molta prudenza: «Chi sei, donna?». Ma la donna non rispose. Continuò solo a guardarlo e a tendergli la lettera. Con un cenno del capo, lo invitò ad afferrarla, addolcendo il suo sguardo per rassicurare l’uomo. Severus comprese il gesto, ma, prima, decise comunque di lanciare alcuni incantesimi non verbali per verificare che non ci fossero maledizioni. Confermato di no, raccolse la busta, guardando la donna girare brevemente lo sguardo su suo figlio e allontanarsi a passo svelto per uscire dal ristorante.
«Papà… chi era quella signora? Perché ti ha dato una lettera?»
«Non lo so, Henry. Non lo so…»
«Non la apri, papà?»
Severus fu distolto dal rispondere a quella domanda, come Harry, dall’arrivo dei loro piatti, fumanti, catturanti la loro piena attenzione, tranne quella dei pensieri di Severus.

La giornata passò tranquilla. Severus ed Harry continuarono le loro compere, ammucchiando un sacco di giocattoli per il piccolo Harry. Tornarono a casa pieni di pacchi e buste, sazi del pranzo e del gelato mangiato quella mattina. Nonostante ciò, Severus decise di preparare per Harry un sandwich: dopotutto, aveva bisogno di mettere su peso, tutto quel peso che aveva perso, anzi, non aveva mai avuto quando era dai Dursley. Dopo aver cenato e aver messo il bambino a letto, addormentatosi sul divano, sul grembo del suo papà mentre giocava con il suo soldatino, Severus raccolse la lettera dalla tasca dei suoi pantaloni. Tagliò la busta, raccogliendo la pergamena al suo interno. Quando lesse la breve nota al suo interno, il tremolio delle sue mani aumentò.

Severus, se ti stai chiedendo chi sia, credo dovresti ricordarti dei suoi occhi. Dei miei occhi. Non posso scrivere di più. Vediamoci alla grande quercia, a mezzanotte, domani.

‘No, non può essere’ pensò.

Note dell’autrice: Scusate l’assenza, ma per diverse questioni non ho potuto scrivere e aggiornare. È un capitolo un po' corto, lo so. Ma abbiate pazienza. Per impegni personali devo impostare un calendario di pubblicazioni: pubblicherò nuovi capitoli il lunedì, il mercoledì, il venerdì e la domenica.
Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

 

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Capitolo 16
*** La grande quercia ***


Severus, se ti stai chiedendo chi sia, credo dovresti ricordarti dei suoi occhi. Dei miei occhi. Non posso scrivere di più. Vediamoci alla grande quercia, a mezzanotte, domani.
‘No, non può essere’ pensò.


La sera seguente, Severus si ammantellò, con grande fatica. Harry si era ricordato della donna del giorno prima e aveva assillato suo padre con una serie di domande per tutta la giornata. “Chi era, papà?”. “Cosa voleva quella signora, papà?”. “Perché ci guardava?”. Continuava a chiedere perché di qua, perché di là, fino a quando Severus non stava incominciando a perdere la pazienza, anche se, alla fine, non successe. Era solitamente un uomo condiscendente, ma la lettera aveva teso la sua calma, facendolo sprofondare in una condizione di ansia assillante, che non regalava tregua. Era in un groviglio di emozioni: dubbio, rancore, tristezza, dolore. Sì, un dolore sordo, che mai era riuscito a superare. Forse un po’…  Gli occhi di Harry avevano certamente aiutato. Tranne oggi. ‘I suoi occhi. I miei occhi’ leggeva e rileggeva continuamente. Erano come una macchia d’inchiostro, che cade sulla pergamena rovinandola, impregnandola, e si espande fino a tergerne ogni fibra, rendendola glabra, liscia al momento, ma, poi, ruvida all’asciugatura. E se Severus Piton non fosse state un uomo, era certo che sarebbe stato carta, da scrivere, stracciare, incollare. Una carta di poco valore, con cui giocarci liberamente, appallottolarla e buttarla in un cestino. Ma lui sapeva che Lily non sarebbe stata d’accordo. E nemmeno Harry tra qualche anno.
Quella sera aveva riflettuto molto. Su sé stesso. Su Harry. Su Lily. Sulla Notte Araba. E in poco tempo, l’avrebbe conosciuta.
Dopo aver messo Harry a letto ed essersi assicurato che stesse dormendo, lanciò un incantesimo al bambino, in modo tale che, se si fosse svegliato, una moneta che aveva in tasca avrebbe bruciato. Rassicurato su questo punto, apparì all’origine della strada che conduceva alla grande quercia. Fermo com’era, alzò lo sguardo. Era una notte calma, dal cielo puntellato di piccole stelle, brillanti. Una lieve brezza accarezzava i volti di chi, coraggiosamente, si avventurava nell’oscurità. Il canto dei grilli rompeva il silenzio, che altrimenti sembrava cedere il passo alla morte. E il nero dei mantelli si arrendeva nella sua lucentezza, mescolandosi meticolosamente con l’ombra. Solo il pallido riflesso della luna consentiva di distinguere vaghe forme, rendendo il tutto così sinistramente misterioso. Ma, di lì a poco, il macabro sarebbe perito ai piedi della signora Meraviglia.
Al centro della strada ciottolata, si ergeva una grande quercia, vecchia di tanti anni. La sua vecchiaia la consacrava ad una regale sacralità, ricca di storie, di amori, di perdizione. E oggi, sarebbe stata l’unica testimone di ciò che stava per accadere.
I rami intricati danzavano, portando con essi le verdi foglie, ed erano fiocamente illuminati dalle lucciole gialline che giravano intorno, sillabando una musica dolce, naturale. Ai suoi piedi sporgevano alcune radici, nelle quali Severus sarebbe inciampato, se non fosse stato attento. Non si accorse della figura seduta al lato opposto del tronco scanalato, con le braccia che abbracciavano le gambe, legandole al petto, un lato del capo chino sulle ginocchia. Era così rilassata che non si accorse del velo scivolato sull’erba: i capelli rossi erano folti e fini, ricadendo sulle spalle in morbide onde ed emanando un profumo balsamico, caldo, dalle note orientaleggianti che incontravano la già familiare testa soliflore. Era un aroma delicato.
Il suo lieve respiro richiamò l’attenzione dell’uomo, che fece qualche passo avanti, circumnavigando l’albero, con la bacchetta stretta tra le dita. Il rumore crepitante di piedi sull’erba chiamò in allerta i sensi della donna, la quale scattò in piedi, chiamando un rapido Lumos. E fu tra i raggi di quella luce vibrante che lei vide lui. E lui vide lei. Ogni fibra del loro corpo sembrava essersi congelata, non avevano la forza di muovere nemmeno un singolo arto, né il polso, né le dita. Le loro labbra erano semiaperte, bagnate, e i loro volti in espressione di stupore. Non una singola parola, non un singolo suono. Solo due lacrime che, contemporaneamente, tramontavano su ogni guancia, offuscando la vista. Due anime affini, venerate da sguardi che si schiudono e si chiudono in una timida danza di baci, di labbra che si sfiorano, mani che si incontrano e lacrime che sfuggono a loro stesse, sfociando in singhiozzi tremolanti, che scuotono i due corpi, i due amanti. Sono bocche che mordono, si affogano nella dolorosa speranza di essersi ritrovati e di non separarsi mai più. Mai più. Stando insieme… per sempre.
«Severus…» chiamò Lily, ansimando.
«Lily… ma come puoi… come puoi essere qui? Tu… sei morta… sei stata colpita da un Avada Kedavra… Voldemort… lui-»
«Severus, Voldemort non mi ha mai ucciso… mi ha lanciato un forte incantesimo ed io sono svenuta. Probabilmente ho sbattuto la testa, perché quando ho ripreso conoscenza avevo un bernoccolo in testa. Io… Io ricordo di essermi svegliata lentamente. Avevo freddo ed ero con un gran mal di testa. E poi…-»
Un singhiozzo ruppe il respiro di Lily, interrompendo anche le sue parole, apparentemente calme, ma che celavano un profondo travaglio. Severus la strinse in un forte abbraccio e lei cedette ancora di più al dolore e a tutte quelle emozioni che l’avevano devastata in anima e corpo, per mesi, per anni.
L’uomo la tenne, aggrappata com’era al suo mantello nero, sussurrandole nell’orecchio parole di conforto. Severus sapeva che sua moglie doveva sfogare tutto il suo dolore: una pozione calmante l’avrebbe rosicchiata dall’interno, con tutto il veleno emozionale che scorreva nelle sue vene. Non poteva fare altro che tenerla stretta al suo petto, accarezzandole la schiena con quelle mani grandi, ma gentili.
«Shh, amore mio…»
«Lui-lui…»
 «Si, lo so… su, Lily, non piangere più. Ci sono io qui, non ti farà più del male…»
Dopo essersi seduti, rimasero avvinghiati l’uno all’altro, non potendo fare a meno di ogni tocco, carezza o bacio.
Alla fine, Lily si ricompose abbastanza da essere convinta da Severus ad apparire con lui nel cottage in riva al mare. L’uomo la condusse su uno dei divani, assicurandosi che fosse il più comoda possibile. Poi, dopo essersi seduto affianco a lei ed aver lanciato un muffliato, evocò un vassoio, su cui vi erano una teiera, una zuccheriera e due tazze, disposte su un piattino. Versò del tè e consegnò una delle due a Lily.
«Ecco qui, amore mio. Bevi, ti farà sentire meglio.» disse, osservando lo sguardo lontano di sua moglie.
Trascorsero alcuni minuti in un silenzio confortante, in cui l‘uno godette la presenza dell’altro. Ma, poi, Severus parlò.
«Lily… ho bisogno di sapere tutto quello che è successo.»
«Io… non ne voglio parlare, Sev!» disse, girando la faccia.
Severus le prese una mano e la strinse tra le sue.
«Lily, guardami.»
Così fece la donna.
«So che è doloroso ricordare, ma parlarne ti farà bene. Se vuoi, posso estrarre i ricordi e guardarli, ma poi te li restituirò e dovrai parlare con me. Io… io voglio solo che tu stia bene, amore mio.»
«Lo so, Sev, lo so.» disse Lily. Ma dopo qualche minuto di silenzio, riprese: «Sev…»
Al nome, Severus alzò lo sguardo, dandole la sua piena attenzione e aspettando che continuasse.
«Ti amo…» sussurrò, sporgendosi lievemente per sfiorare le sue labbra con un bacio.
«Ti amo anch’io…» rispose Sev.
Le sue mani toccarono i fianchi di lei dolcemente, per poi stringerli in una morsa che testimoniasse la sua presenza, il suo corpo, lei. Le labbra si unirono in un vortice caldo, fatto di morbidi colpi e gemiti.

Note dell’autrice: scusate l’assenza, ma questo periodo sarà un po’ così. Prometto, comunque, di non lasciare la storia incompiuta (detesto quando lo si fa). Comunque Lily ritorna in scena! Cosa ne pensate?    
Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 17
*** Battaglia interiore ***


Le sue mani toccarono i fianchi di lei dolcemente, per poi stringerli in una morsa che testimoniasse la sua presenza, il suo corpo, lei. Le labbra si unirono in un vortice caldo, fatto di morbidi colpi e gemiti.
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Severus aveva ceduto alle calde braccia del sonno. Sospirava, ma i lineamenti del viso erano più dolci, come non lo erano stati da tanto tempo: le rughe erano state spianate da una pelle più liscia, facendolo sembrare ancora più giovane e sereno. Ma quella serenità non apparteneva all’altra metà di quel letto: Lily. Conosciuta da tutti come una ragazza solare, estroversa e spensierata, aveva perso quest’ultima caratteristica da quando era stata rapita. Sì, l’avevano rapita. Non c’era stato nessun Avada Kedavra, nessun corpo ritrovato era stato il suo. Tutti i ricordi che Harry aveva, come Severus e Silente, erano memorie modificate, ricordi creati ad hoc per attuare un piano più grande. Ma lei non l’aveva ancora compreso. L’unica fortuna, in mezzo a tutte le torture, le maledizioni e gli insulti, erano i suoi ricordi, i suoi cari ricordi, che nemmeno la più odiata Bellatrix era riuscita a dirompere e sconquassare. Lily ricordava bene, molto bene, quella notte.
Flashback
«Lily, prendi Harry e nasconditi!» disse James, armeggiando con la bacchetta. Lily raccolse il bambino e salì le scale silenziosamente, ma a passo svelto. Pose il bambino nella culla, stringendo la sua manina attraverso le sbarre. Poi la lasciò, per spingere un cassettone sulla porta, cercando di opporre più resistenza possibile. Voleva tanto chiamare Severus, ma la stanza era sprovvista di caminetto. Si sentirono delle urla e dei tonfi e, dopo, solo una tranquillità sinistra. Dei passi sulle scale costrinsero Lily a prendere in una mano la bacchetta, nell’altra ancora la mano di Harry.
«Harry, piccolo mio, ricorda che la mamma ti vuole bene, papà ti vuole bene e noi saremo sempre lì con te. Non scordartelo mai, angelo mio…» sussurrò Lily, baciando la testolina del piccolo Harry.
Un gridato Alohomora fece letteralmente volare il cassettone, facilitando l’apertura della porta.
«Ah, Lily Evans… o forse dovrei dire Signora Piton. Che piacevole sorpresa!»
«No, ti prego, risparmia il mio bambino! Non fargli del male!»
Voldemort le si avvicinò e con un dito le sfiorò la guancia. Ma quando cercò di allontanarsi, il Signore Oscuro le strinse la mascella, costringendola a guardarlo negli occhi. Voldemort era tentato di usare la legilimanzia, ma decise che sarebbe stato meglio guardare un tale bocciolo crollare per sua mano, mentre era sotto tortura. Sì, sarebbe stato… piacevole.
«Signora, lei non deve preoccuparsi.» sibilò, per poi avvicinarsi ad Harry e accarezzagli la testolina. Il bambino pianse ancora di più. Voldemort continuò: «Al bambino non sarà fatto alcun male. Non sentirà niente. Un ‘puff’ e la sua anima sarà volata via.»
«No, no! Ti prego-»
Improvvisamente, la voce di Lily fu messa a tacere dal ‘Silencio’ cantato alle sue spalle. Una lieve brezza dietro la sua nuca e il suo corpo fu improvvisamente circondato da corde invisibili, che la stritolarono, rendendole quasi incapace respirare. Le sue labbra si tinsero di un blu violaceo. Una risata si fece eco nella stanza: Bellatrix Lestrange.
«Tut, tut» cantò, mettendo in mostra quella che era considerata la sua fanatica pazzia, che la contaminava in ogni suo gesto. «La povera, piccola Snape non riesce a respirare. Oh… sta anche piangendo…» continuò, strappandole con delicatezza malata alcune lacrime e segnandole le guance con striature rosse causate dallo sfregamento dei suoi polpastrelli.
Nel frattempo, gli occhi di Lily erano solo per suo figlio, la voce che strangolava, tramontando in nient’altro che rauche inspirazioni, in cerca d’aria. La scena fu consumata in pochi istanti: un lampo verde sfrecciò sul bambino, sfregiandone la fronte, ma non colpendolo, anzi rimbalzando. Avrebbe potuto uccidere Voldemort se non fosse stato per il fatto che quest’ultimo era apparso via, senza assicurarsi che il bambino fosse morto veramente. Bellatrix non guardò la scena davanti a sé, gli occhi intenti solo a guardare il suo padrone; solo Lily fu travolta dal sollievo che suo figlio non fosse morto e, contemporaneamente, dalla preoccupazione che fosse ferito. Lily non sapeva che Bellatrix avrebbe dovuto assicurarsi delle morte del bambino e, quando ne fu a conoscenza, fu veramente felice della negligenza della donna, che fu subito sottoposta a Cruciatus dal Signore Oscuro. Lei, invece, fu incatenata ad una colonna, che reggeva al centro il soffitto di una stanza rotonda, che poi Lily avrebbe capito fosse una torre. Di certo in quel momento la vista si stava annebbiando per la mancanza d’aria. Ma proprio quando stava per raggiungere l’apice, fu liberata alle corde invisibili, restando appesa per i polsi e le caviglie alla colonna. Furono numerose le maledizioni che seguirono, le torture fisiche e mentali, le minacce e la violenza fisica.

Fine Flashback
Lily rotolò su un fianco: aveva paura, molta paura. Stava combattendo contro sé stessa, contro una volontà imposta. Non voleva realmente ferire suo marito e suo figlio.
Flashback
«Crucio!»
Il silenzio non esisteva ormai da tempo in quella cella, come un pavimento di pietra immacolato, ora ricoperto da macchie di sangue secco. L’odore metallico era pungente, ma non disturbava i visitatori della vittima, o meglio, i suoi aguzzini. La donna appesa a quegli anelli, già esile, aveva assunto una fisionomia scheletrica. Avrebbe potuto morire subito, se non fosse stata per la scelta dal Signore Oscuro di lasciarla sopravvivere con un po' cibo ed acqua al giorno, condannata a essere vittima di confessioni estorte. Tutto questo fino al giorno in cui Voldemort decise che sarebbe stata meglio usata per un fine maggiore.
Si presentò sbattendo la porta ferrata. Il rumore non fece altro che aumentare il dolore alla testa che aveva tormentato Lily giorno e notte. Era così sordo il suo pulsare, che la fragile donna non era capace di comprendere le parole che le venivano rivolte. Il suo corpo era coperto di goccioline di sudore freddo, i suoi stracci inzuppati di vomito. La nausea la colpiva a ondate, il suo stomaco rigettava ogni cosa gli fosse immesso, anche quel po' d’acqua, contraendosi spasmodicamente e tormentando la povera vittima con dolori atroci. Le pupille si dilatavano e si richiudevano a un ritmo allarmante, martiri di luci abbaglianti e false droghe, che non venivano iniettate nelle vene e nemmeno inalate, solo sintomi fantasma, dalla parvenza di assunzione malata. L’aria era infetta ma, fortunatamente, non così tanto da causare infezioni. Il corpo era continuamente sbandierato dai venti d’altura, colpito spietatamente dalle piogge che infrangevano all’interno della torre. I capelli erano raggrumati in ciocche non pettinate, sporche di sudore, sangue e sporcizia. Le palpebre, perennemente chiuse, bruciavano così tanto da rendere impossibile il lacrimare e il loro aprirsi, per guardare il mondo esterno. Le corde vocali erano profondamente danneggiate.
«Oh, Signora Piton… ci rivediamo ancora?» disse Voldemort, la sua risata buia risuonò per tutta la torre.
Lily non rispose, non poteva rispondere. Seguirono il fruscio di qualcosa che lei non poteva vedere e, poi, il dolore e il bruciore di una mano ossuta sbattuta violentemente sulla sua faccia. Il movimento improvviso del capo sbilanciò tutto il suo corpo, ferendo i polsi e le caviglie ammanettati. Nonostante fossero passati anni, il suo corpo non era atrofizzato perché, quando i suoi aguzzini si stancavano di torturarla, la liberavano, lasciandola libera di muoversi per lo spazio angusto della torre. Incantavano i portici senza finestre per evitare che la vittima tentasse il suicidio. Qualche volta si prendevano la briga di ordinare elfi domestici, per ripulire i pavimenti dall’urina, dalle feci, sangue e sudore mischiati, come anche il corpo della donna. Il Signore Oscuro era stato molto chiaro: la donna doveva essere torturata, ma non potevano farla impazzire, né potevano dare spazio a infezioni o malattie. La donna gli serviva intera, soprattutto dal momento in cui prese una decisione importante.
«Brutta sudicia mezzosangue, vedo che il gatto ti ha mangiato la lingua. Quando ti faccio una domanda, Tu. Devi. Rispondermi. Comunque,» continuò, sibilando gioiosamente, «ho preso una decisione. Per tutti questi anni ho cercato di farti parlare, di capire e scoprire qualsiasi cosa potesse essere utile nella mia missione di Salvatore del Mondo. Ho dovuto nascondermi dal mondo magico, avendo la stessa reazione di uno stupido babbano che ha paura della magia, per rendermi forte, sempre più forte, fino a quando non arrivasse il momento di uscire allo scoperto. E questo momento, mia cara, è quasi arrivato. Ora, la mia decisione ricade su di te. Perché tu, feccia mezzosangue, avrai l’onore di aiutarmi a rendere gloriosa questa missione. Sarai la mia spia, la mia bellissima piccola spia. Troverai quel traditore di tuo marito e quel tuo figlio bastardo, conquisterai i loro cuori, solo come un caro ricordo può fare e, poi, darai loro da bere un veleno mortale, che li farà soffrire lentamente, fino a quando non esaleranno il loro ultimo respiro. E una volta datoglielo, li porterai qui, per godere appieno del loro tormento. E poi, mia cara, un volta finito, sarò così indulgente da rendere veloce la tua morte e consentirti di raggiungere i tuoi cari parenti all’inferno!»
Voldemort rise, rise così forte che Lily entrò in panico. La donna cominciò a scuotere furiosamente la testa, un rivolo si sangue che colava sul suo mento, dopo che il Signore Oscuro aveva artigliato la sua guancia, ripetutamente.
«Si, piccola puttana, lo farai. Lo farai! Ma visto che non vuoi collaborare, utilizzerò le maniere forti… Imperio!»

Fine Flashback
Ma non ebbe la meglio. Lily si sedette sul bordo del letto e si alzò. In punta di piedi raggiunse le sue vesti, allungò la mano e frugò nelle tasche del suo mantello, fino a quando non trovò due fiale. Le sollevò al chiarore della luna, il verde pallido brillava intensamente nella sua pericolosità. Era il momento giusto. Il momento giusto per ucciderli.

Note dell’autrice: Scusate per il ritardo. Sto studiando per un test dell’università e non ho potuto più di tanto dedicarmi alla scrittura. Ecco il nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 18
*** Impotenza ***


Il respiro si fece più veloce. Il sudore cominciò a imperlargli la fronte, accompagnando il battito incessante che, cupo, percuoteva il petto fragile e pesante. Le palpebre, già accolte da tempo dall’oscurità, erano costrette in una morsa sonnifera spietata, intrappolate in un giro di immagini vorticose. Poteva percepire un sentore sinistro. Il suo corpo era immobile, come se fosse circondato da corde, ghiacciato. Il freddo cominciò a insinuarsi nel caldo torpore, invadendo uno spazio di comodità che stava cedendo il passo a un incubo. Un letto. Inspira. Notte. Espira. Luna. Inspira. Due fiale. Espira. Inspira. Bum. Capelli ramati. Espira. Inspira. Bum-bum. Una mano pallida. Espira. Inspira. Bum-bum. Espira. Inspira. Labbra semiaperte. Bum-bum. Espira. Inspira. Bum-bum. Espira. Inspira. Una goccia. Bum-bum. Bum-bum. Bum-bum. Un rantolo. Bum-bum. Un tonfo. Bum. Bum. Bum…
«No!»
Si alzò di scatto, gli occhi impauriti e spalancati. Girò lo sguardo. La luna illuminava pallidamente un pezzo di letto. Vuoto. Le coperte erano perfettamente ripiegate. Lily. Non poteva… non poteva essersene andata. Non di nuovo.
«Lily!» chiamò Severus.  Nessuna risposta.
«LILY!» urlò, in preda al panico.
«Severus…»
Lily apparve sulla soglia della camera da letto, leggermente piegata, un braccio che stringeva la pancia, mortalmente pallida e gli occhi vitrei.
«Lily… cosa c’è? Non ti senti bene?» Severus si alzò, affiancando sua moglie e aiutandola a raggiungere il letto.
«No, no-». Lily strinse le palpebre, come se dovesse sforzarsi per qualcosa. «-Sì.»
«Lily, cosa-»
«Papà…»
Harry era in piedi sulla soglia, con le guance bagnate. ‘Ha pianto…’, pensò Severus. ‘Come mai non ho sentito l’allarme?’
«Harry… cosa ci fai in piedi?» Severus si avvicinò al bambino, prendendolo il braccio, accarezzando la testolina del piccolo. Ma Harry non rispose alla domanda: i suoi occhi erano puntati verso la figura dai capelli rossi nel letto del suo papà.
«Mamma…». I suoi occhietti si offuscarono nuovamente per le lacrime.
Lily guardò il bambino, sorridendogli leggermente. Harry si sbracciò per scendere dalle braccia di suo padre e raggiungere sua madre, ma Severus lo bloccò.
«No, Harry! Devi-»
«Ma io voglio andare dalla mamma!». Harry cominciò a piangere e a muoversi convulsamente, facendo male a suo padre. Severus era pronto a rimproverarlo, troppo preoccupato per sua moglie per avere pazienza con suo figlio.
«Severus, fai venire Harry qua. Non preoccuparti, sto bene!»
Riluttante, Severus poggiò Harry sul lettone, il quale corse a rannicchiarsi vicino alla mamma. Lily cominciò ad accarezzargli i capelli, ma l’uomo notò quanto il gesto fosse meccanico. Il corpo di sua moglie era rigido e le lenzuola bagnate, come anche il volto. Il respiro si fece sempre più affannoso. Harry alzò la testolina.
« Mamma… »
Severus non sapeva cosa fare: il bambino non poteva restare lì. Doveva affidarlo a qualcuno. Ma chi? I Weasley? Malfoy? A chi cazzo lo doveva lasciare? ‘Arabella!’, pensò. Si poteva fidare di lei, sì.
« Harry, vieni. Papà deve controllare la mamma. »
Obbedientemente, il bambino si lasciò trasportare via. Severus si chiese il perché non avesse fatto capricci. Ma non era il momento di pensarci. Si accovacciò e prese per le spalle il bambino.
«Harry, ascolta papà. Questo è molto serio. Devo lasciarti per un po' da Arabella-»
«La signora dei gatti?»
«Si, Harry, la signora dei gatti. Ora, vieni, ti prendo in braccio, ma prima ti infiliamo il cappotto e andiamo da Arabella. Okay?»
«Okay, papà!»
Severus accarezzò i capelli di suo figlio.
«Bravo bambino!»
L’uomo aiutò il bambino ad indossare il cappotto.
«Papà, posso prendere la mia copertina?»
Lo sguardo di Severus si ammorbidì.
«Certo Harry!»
Dopo essersi assicurato di aver preso tutt9o, raccolse il bambino e, raggiunto il punto fuori i reparti anti-materializzazione, si smaterializzò davanti alla porta di Arabella Figg. Bussò con veemenza. Poco dopo, la porta si spalancò: una Arabella spettinata e in vestaglia da notte, con un cipiglio sul volto, era sulla soglia.
«Severus! Ti sembra per caso il mo-»
«Scusami Arabella, ma ora non ho il tempo di ascoltare le tue ramanzine.» rispose Severus, entrando in casa e poggiando Harry sul divano. Poi, si girò verso la donna.
«C’è stata un’emergenza. Devo scappare e ho dovuto portare mio figlio qui.»
«Ma Severus… e se Silente viene qui, o un Auror-»
«Metterò dei reparti anti-materializzazione e bloccherò il camino.»
Così fece. Poi si avvicinò a Harry e si inginocchiò.
«Harry, mio piccolo principe, ora devo andare. Papà verrà a prenderti domattina. Mi raccomando, comportati bene!»
«Si papà!»
Severus gli sorrise e gli scompigliò i capelli. Poi si alzò e si avvicinò alla porta d’ingresso, ma fu fermato dai suoi passi dalla voce di Harry.
«Papà, la mamma ha preso la medicina. »
«Harry, quale medicina?»
«La medicina verde nel tubo di vetro, come quelli che hai tu, papà!»
La comprensione investì i lineamenti del suo volto, rendendolo pallido.
«Grazie, mio piccolo principe.» disse, avvicinandosi al bambino e accarezzandogli il capo. «Ora dormi… la mamma starà meglio, te lo prometto!»
Assicuratosi per un’ultima volta che suo figlio stesse bene, si riavvicinò alla porta di ingresso. Prima di andare, si voltò verso Arabella.
«Prenditi cura di Harry. State attenti e non aprire a nessuno!»
«Certo Severus.». Arabella vide nell’uomo che aveva imparato ad amare come un figlio la preoccupazione. «Non preoccuparti. Harry starà bene.»
Con un cenno del capo, Severus si smaterializzò. Raggiunta la piccola casa, corse in camera sua e si avvicinò a Lily: aveva gli occhi chiusi, il volto contorto in una smorfia di dolore. Severus allungò un braccio per scuoterle la spalla, abbastanza forte per farle aprire le palpebre.
«Lily. Lily, apri gli occhi!»
Lily gemette dolorosamente, ma non accennava a voler mostrare i suoi occhi.
«Oh, per l’amor di Merlino… Lily, per favore, apri gli occhi. Ho bisogno che tu mi guardi, per aiutarti.»
Severus notò le palpebre tremolanti, come se Lily stesse facendo un grande sforzo per aprirli. Ma non lo fece ancora. E urlò.
‘Merda!‘ pensò Severus.
«Lily, ecco, prendi la mia mano.»
Severus fece scivolare una delle sue mani all’interno di quella di Lily.
«Ti farò delle domande. Per dire no stringimi la mano due volte, per un sì solo una volta. Va bene?»
Lily strinse una volta. ‘Bene’ pensò l’uomo.
«Hai bevuto un veleno?»
Una stretta.
«Quale veleno?»
Lily non strinse questa volta. Continuava ad agitarsi tra le lenzuola, tremando e piagnucolando sommessamente.
«Lily, rispondimi! Quale veleno?»
L’urgenza nella voce di Severus era palpabile. Ma Lily non strinse, anzi, urlò forte. Molto forte. ‘Merda!’
«Sei sotto Imperio?»
Un’altra stretta, qualche secondo dopo.
« Lily, ascoltami, tesoro mio!» le disse a fatica, facendosi strada tra le sue urla e accarezzandole il capo. «Devi combatterlo. Utilizza l’Occlumanzia, la stessa forza. Su, amore mio, ce la puoi fare!»
Le urla di Lily cominciarono a cessare, cedendo il posto a singhiozzi e rantoli. Ma solo per pochi secondi.
‘O cazzo. Cazzo. MERDA!’. Severus si passò una mano fra i capelli: era un veleno. Ma quale veleno? Non poteva preparare nessun antidoto se non avesse saputo di quale animale fosse il veleno. Solo le lacrime di fenice l’avrebbero potuta aiutare. Ma come cazzo faceva a prenderne una? Maledetto Silente! Fanculo!

Note dell'autrice: Ecco un nuovo capitolo. Cosa ne pensate? Se vi va, lasciate una breve recensione.Sono ben accetti consigli. Buona lettura.

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Capitolo 19
*** Lacrime salvifiche ***


‘O cazzo. Cazzo. MERDA!’. Severus si passò una mano fra i capelli: era un veleno. Ma quale veleno? Non poteva preparare nessun antidoto se non avesse saputo di quale animale fosse il veleno. Solo le lacrime di fenice l’avrebbero potuta aiutare. Ma come cazzo faceva a prenderne una? Maledetto Silente! Fanculo!

Severus si inginocchiò e prese la mano di Lily nella sua, stringendola. Le accarezzò i capelli.
«Amore mio, ascoltami. Devo tornare ad Hogwarts. Tu aspettami. Non morire.»
Lily gli strinse debolmente la mano.
«Torno, amore mio. Tornerò!»
Le lasciò le dita e raccolse un mantello. Tastò la manica per vedere se la bacchetta era con lui e chiamò con un rapido movimento di polso una pozione Polisucco. Scese le scale e si avvicinò al camino, entrandovi con un pugno di polvere floo. Fece un respiro profondo. Poteva farcela. Ce la doveva fare.
«Le camere di Severus Piton!». E con quella sensazione di strattone allo stomaco, ecco ritrovatosi catapultato nelle sue camere.
Era tutto straordinariamente ordinato, ma tutto così caotico: niente era al posto in cui Severus aveva lasciato le scartoffie, i divani, le sedie. Ogni cosa aveva un nuovo assetto. Le pile dei saggi, precedentemente in fila, erano ora dismessi, qualcuna con un orecchio, qualcun’altra con macchie di inchiostro. Il calamaio, infatti, era buttato giù, riposando su una delle sue pance laterali, la boccuccia aperta, unta di rosso, che dilagava e aleggiava in una grande pozza sui fogli, come fosse sangue. Tutti i cassetti erano chiusi, tranne uno, aperto e mancante dei suoi tesori. La sedia su cui abitualmente sedeva era gettata a terra, in modo tale da riposare sulla spalliera, e sul pavimento si ergevano due strisce di pietra consumata. I due divani, che prima riposavano davanti al caminetto, ora erano ammucchiati al centro della stanza, i libri sparsi sul tavolino, qualcuno aperto e segnato di nero, con appunti al margine. Severus non voleva immaginare lo status della sua stanza. Era sicuro che qualcuno stesse mettendo mani tra le sue cose. Ma per scoprire cosa?
Si rese conto di quanto fosse stato tutto estremamente silenzioso al suo arrivo. Un sentore sinistro si fece strada nel suo petto. Estrasse la bacchetta dalla manica e la punto davanti a sé.
«Homenum Revelio» recitò sottovoce. Si guardò attorno e, da dietro una delle pareti, vide sporgere una sagoma d’uomo, immobile ed estremamente silenzioso. Silente. Sotto il Mantello dell’Invisibilità. Puntò immediatamente la bacchetta contro il suo avversario.
«Puoi togliere quel maledetto mantello, Silente. Ora capisco perché hai sempre difeso Potter e la sua banda. Accio Mantello dell’Invisibilità.»
Il mantello volò nelle mani di Piton. Silente aveva assunto quella sua espressione da bonaccione, i suoi occhi scintillanti. Ma non avrebbero tradito Severus.
«Severus, ragazzo mio. Vedo che finalmente hai deciso di concedere una visita a questo povero vecchio.»
«Non sei né povero né vecchio, Albus. Mi chiedo da dove sia derivata quella tua preferenza nei confronti di Grifondoro. Tu, che sei così Serpeverde da far invidia anche a Tu-Sai-Chi.», disse Severus, la sua bocca che sputava così tanto odio da pungere persino il più inflessibile nemico,
L’espressione di Silente cambiò. I suoi occhi si fecero oscuri, il suo corpo si irrigidì, emanando un’aura di nera potenza. La sua bacchetta fu puntata verso Piton.
«Cosa vuoi, Severus?»
«Niente che tu possa darmi, Albus. Expulso!»
Silente scansò rapidamente l’incantesimo, dimostrando una agilità che mai sarebbe stata attribuita a un uomo della sua età. Severus notò un live movimento di polso.
«Protego!» urlò, e l’incantesimo si schiantò duramente sul suo scudo. Ma non vacillò: Silente poteva essere considerato il più potente dei maghi, ma non sapeva che Severus ne uguagliava la forza in termini di magia.
Quest’ultimo, infatti, conosceva più incantesimi di quanto ci si aspettasse. E Silente di certo non sapeva della sua innata abilità a crearne facilmente di nuovi. Ma non era solo questo: era un Serpeverde e aveva l’astuzia necessaria per battere un vecchio, anche se fosse quello più temuto da Voldemort. Dopotutto aveva ingannato Voldemort per anni. Ma fu sbalzato fuori dai suoi pensieri quando vide il proprio corpo sollevarsi da terra ed essere gettato sul freddo pavimento di pietra delle segrete con un forte tonfo. Un dolore acuto attraversò parte della sua schiena e del suo braccio destro. ‘Maledizione!’, pensò. Guardò Silente: sul suo volto era intonacato un sorriso ghignante e, lentamente, i suoi passi avanzavano sulla pietra sgombra, avvicinandosi pericolosamente. Severus gettò un rapido sguardo alla sua destra: la sua bacchetta era a qualche centimetro dalle sue dita, nascosta per ¾ da uno dei divani lì ammucchiati. Ma non poteva attirare l’attenzione su di essa. Doveva rimanere concentrato e recuperare la bacchetta il prima possibile, senza che l’uomo se ne accorgesse.
Man mano che Silente avanzava, Severus arretrava di un passo, cullando in grembo il braccio ferito. Il vecchio lo guardò con aria rassicurante e gentile.
«Qual è il problema, ragazzo mio? Non dirmi che hai paura di me, dopo tutti questi anni!»
«Io non ho paura di te, vecchio!»
«E allora spiegami, Severus: perché, ogni volta che faccio un passo verso di te, arretri? Sai che non ti farei mai del male. Ma, forse, Severus, tu hai paura di me perché sai di aver sbagliato e hai paura che io non ti perdoni…»
Ma, mentre l’uomo discorreva, Severus era riuscito ad avvicinarsi un poco al divano, tanto da raccogliere la bacchetta con la mano sinistra e, in tutta fretta, ad urlare: «Glacius!».
Gli arti di Silenti si ghiacciarono, così come tutto il corpo: aveva gli occhi spalancati e la bocca semi aperta. Non aveva intenzione di ucciderlo, ma di consegnarlo alle autorità e riprendersi tutto quello che gli era stato sottratto, secondo giustizia.
Severus lo guardò senza battere ciglio e, dopo aver bevuto una pozione antidolorifica, gettò un po’ di polvere floo, gridando a voce alta: «Ufficio di Albus Silente!»
L’ex Mangiamorte non si occupò minimamente di spazzare con lo sguardo la stanza, concentrandosi invece sul trespolo di Fawkes. La fenice si era già accorta di lui: Severus sapeva che l’uccello non era come il suo padrone. Aveva un’indole buona, come tutte le fenici.
«Salve, Severus. Come posso aiutarti?», sentì l’uomo dire nella sua testa. Si allarmò.
«Non preoccuparti, uomo della Luce. Se mi senti parlare nella tua testa è perché mi hai liberato dalla schiavitù che il mio padrone mi aveva imposto. Ora sei tu il mio padrone. Cosa posso fare per te, Severus?»
«Ho ritrovato Lily, ma ha bevuto un veleno mortale. Ho bisogno di un po' delle tue lacrime. Per favore, potresti darmele?» chiese Severus, accarezzando le piume della bellissima fenice.
«Non preoccuparti, Severus. Avrai tutto ciò che chiederai da me. Verrò con te, se me lo permetti, così potrai ricevere più di una lacrima. Anche tu ne hai bisogno, per quelle butte ferite che ti ha inflitto il mio vecchio padrone.»
A quelle parole, la speranza di Severus si rianimò. Raccolse Fawkes tra le braccia e, dopo aver detto la destinazione, uscì in gran fretta dal camino del salotto e raggiunse, zoppicando, la camera da letto. Ignorò le fitte di dolore che correvano lungo il suo braccio e la sua schiena. Guardò Lily, mortalmente pallida e tremante. Poggiò Fawkes sulla spalliera di una sedia e raccolse una provetta.
«Ecco Fawkes. Potresti, per favore, darmi una lacrima, così da poterla dare a Lily.»
«Certo, Severus. Ma prima bevine una tu, così da guarire ogni tua ferita.»
Così fece. L’uomo si sentì subito meglio. Raccolse un’altra goccia e si avvicinò a Lily, poggiando l’apertura della provetta alla bocca semiaperta di sua moglie, mentre le cardava i capelli con una mano.
«Bevi, Lily. Ti sentirai meglio. Su, tesoro mio!».
Versò il contenuto nella bocca della donna, che, con riflesso, deglutì. Ma il respiro ansante non si calmò, anzi, si fece sempre più frequente.
«Severus…» sussurrò Lily, con voce flebile. «Dammi un… secchio…».
L’uomo evocò il secchio, come ordinato, e lo porse a sua moglie, la quale cominciò a vomitare, liberandosi di ogni goccia di veleno nel suo sistema.

Note dell’autrice: Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Se vi va, lasciate una breve recensione. Sono ben accetti consigli. Buona lettura. 

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Capitolo 20
*** Scomparsi ***


Era tarda mattinata quando Lily finalmente si addormentò, pur non conservando un sonno privo di incubi: mormorava, infatti, parole confuse che rimandavano a tutto l’inferno che aveva vissuto. Il colorito pallido della carnagione si scontrava vigorosamente con il rosso fuoco dei capelli sfibrati, seppur con qualche chiazza bianca. Il dolore della perdita le aveva provocato anche una leggera calvizie.
L’attenzione dell’uomo fu attirato nuovamente da un lamento che proveniva dalle labbra della donna: pensò bene che avrebbe dovuto ottenere al più presto un guaritore della mente, per lo meno quando si fosse stabilizzata fisicamente e avesse smesso di avere un colorito così pallido da sembrare morta, se non fosse stato per il movimento regolare del petto che indicava in lei la vita. Severus sapeva, comunque, che Lily ce l’avrebbe fatta: l’uomo ringraziò mentalmente Fawkes e le lacrime della fenice. Non voleva lasciarla da sola, ma doveva andare a prendere Harry da Arabella. Decise di approfittare del legame che aveva stretto con l’ex familiare di Silente.
«Fawkes» sussurrò, per non svegliare sua moglie. «Devo andare a prendere mio figlio, Harry. Ho bisogno del tuo aiuto: potresti vegliare su Lily mentre vado via per un po'? Ho paura a lasciarla sola, ma so che posso fidarmi di te.»
«Non preoccuparti, Severus. Veglierò io su di lei mentre sarai via. Sarà al sicuro, te lo prometto, uomo della luce.»
«Ti ringrazio» disse Severus, con voce dolce, una sfumatura che non lo aveva accompagnato da tanto tempo, ma che ora usciva allo scoperto.
Fawkes raggiunse la spalliera del letto, appollaiandosi lì, gli occhi puntati sulla donna che aveva ricominciato ad avere incubi. Severus, che era sulla soglia della camera da letto, guardò la Fenice emettere dolci trilli, quasi cantasse una ninna nanna. A quei versi, Lily si acquietò nuovamente. Soddisfatto, Severus raggiunse il caminetto e, dopo aver raccolto un pugno di polvere floo, la gettò nel camino e urlò: «Casa di Arabella Figg!».
Balzò fuori dal caminetto con passo aggraziato, ancora in piedi, dopo anni di “addestramento”. Spolverò le vesti e raggiuse la cucina. Era tutto stranamente silenzioso.
«Arabella?» chiamò con forza, ma non sentì il tacchettio delle scarpe della donna, né lo stropiccio dei piedi di suo figlio. Perlustrò ogni angolo della casa, dalle stanze singole alle scalinate.
 «Harry? Arabella?» riprovò, ma nessuna voce gli venne incontro.
Il cuore, già provato da mille paure, cominciò a battere con forza contro il suo petto, turbando altrimenti il quieto silenzio delle sue orecchie. Ma un suono più forte, uno che non avrebbe mai voluto sentire, spezzò qualsiasi incantesimo lo tenesse come legato dall’orrore.
«Papà!»
Si lanciò in una corsa sfrenata verso la porta d’ingresso, spalancandola violentemente.  Quasi fosse un sesto senso, diresse il suo sguardo al numero 4 di Privet Drive. Il suo respiro si bloccò in gola. Sulla porta di ingresso, c’era Vernon Dursley con una cintura in mano che picchiava brutalmente suo figlio, mentre Arabella Figg era a terra, una ferita sulla testa, sanguinante. Rantolava. Il bambino urlava, urlava per suo padre.
«Ti prego, zio, no!»
Piangeva, anzi, singhiozzava amaramente.
«Papà, aiutami!»
Una folla di persone si stava radunando attorno alla scena, incuriosita dalle urla. Molti vicini uscirono dalle loro case e parecchi uomini si avvicinarono, prendendo Vernon Dursley dalle spalle. Ma quando questi continuò ad inveire contro il nipote, uno tra quelli gli sferrò un pugno alla mascella, facendolo cadere a terra dal dolore.
«Fate spazio, lasciatemi passare!» disse Severus, frenetico. Si fece largo tra la massa di persone e raggiunse il bambino, che era raggomitolato in una palla, con le spalle tremanti dalle lacrime convulse. Ripeteva come un mantra la parola “papà”, quasi ossessionato.
«Harry! Harry, sono qui.» disse il padre, prendendo tra le mani callose il viso del figlio, accarezzandolo e poi stringendolo in un forte abbraccio. Harry cinse il collo del padre, singhiozzante sulla sua spalla. Severus evitò di accarezzarlo, la maglietta del piccolo era bagnata da qualche macchia di sangue. Osservò i paraggi e vide un uomo essere al telefono e parlare con un agente della polizia. Petunia Dursley era sulla soglia di casa, con una mano sulla bocca e l’altra che stingeva suo figlio, il quale aveva piantato la testa nel ventre della madre, come fosse impaurito. Non era stato permesso loro di avvicinarsi al parente svenuto.
La signora Figg era, invece, assistita da quello che sembrava un medico, fortunatamente nei paraggi.
Severus fu assalito da una miriade di gente.
«Come sta?»
«Sta bene?»
«Povero piccolino, speriamo si riprenda.»
L’uomo rispose con calma pazienza.
«Vi ringrazio del vostro aiuto. Ora, gentilmente, lasciatemi passare, porterò mio figlio in ospedale. Grazie.»
Subito i passanti si fecero da parte, consentendo il passaggio al padre col bambino singhiozzante in braccio. Severus sussurrò all’orecchio del bambino: «Shh, Harry, papà è qui! Ora torniamo a casa, dalla mamma e vedremo di farti curare quelle ferite. Si?»
Harry alzò lentamente lo sguardo, gli occhi lucidi.
«La mamma?» domandò con voce piccina.
«La mamma sta bene, Harry, sta bene…»
Il bambino sorrise e posò nuovamente la testa nell’incavo tra il collo e la spalla. Severus, raggiunta la casa di Arabella, entrò nel caminetto, con una manciata di polvere, e urlò: “Stanze di Severus Piton”.

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Capitolo 21
*** Aggiornamento ***


Buonasera. Mi rivolgo soprattutto a coloro che hanno cominciato a leggere “Amore raccolto” e che, ad un certo punto, non hanno ricevuto più alcuna notizia sul seguito. Sono consapevole del mio ritardo, ma vorrei annunciarvi che, a breve, riprenderò la scrittura dei capitoli successivi (modificando leggermente i precedenti)!
Ho pubblicato, inoltre, il primo capitolo della mia nuova storia Severitus, "I am and I'm not ashamed". Spero che possa piacervi! Pubblicherò le mie storie anche su Wattpad: il mio nickname è EmTeeAy
Vi ringrazio per l’attenzione – e non dimenticate di lasciare un commentino, che è sempre ben accetto. A presto!

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