AABBCC Magicphone prende anche Qui

di RedCrimson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Cellulari sono Arnesi del Demonio ***
Capitolo 2: *** Magic Nik ***
Capitolo 3: *** Benvenuti a MagicWorld ***



Capitolo 1
*** I Cellulari sono Arnesi del Demonio ***


cap 1
AA BB CC  Magicphone prende anche Qui



CAPITOLO I:

I Cellulari sono Arnesi del Demonio


Addio.
È la fine.
Di già.
E dire che ho appena cominciato...
«Ma che fai!»
Un promettente futuro stroncato così, che tristezza. Per uno stupido errore che neppure ho commesso io.
«Muoviti!!»
Oppure no, non deve per forza finire così! Potrei lottare! O scappare! Sì, decisamente meglio... correre via senza guardarmi indietro. Sfrecciare lungo il corridoio, tutto dritto, poi giù per le scale e continuare a correre a perdifiato... fino a sputare un polmone. E accasciarmi a terra. E morire agonizzante a seguito di un infarto.
Tutto sommato, stare fermi qui non sembra una così brutta idea. Certo, c’è il rischio che mi strappi le budella, ma vuoi mettere la fatica risparmiata? Sarebbe una morte decisamente più dignitosa. Più sangue, meno sudore.
«Dai, vieni!!»
Purtroppo, questa alternativa non mi è possibile. Mi tocca correre e seguirlo, visto che non sembra aver alcuna intenzione di mollarmi il braccio. Se non rallenta finirò per inciampare e atterrare di faccia (con la fortuna che ho e la mia innata coordinazione è alquanto probabile). Ma se rallenta la bestia ci prenderà e non ci resterà altro che sperare di perdere conoscenza il prima possibile.
«Ma vuoi correre?!?! Non ti posso trascinare anche giù per le scale!»
Io sto correndo,idiota! Glielo vorrei urlare, ma dubito sia in grado di emettere qualcosa di diverso da dei rantoli in questo momento.
In qualche modo riesco a scendere i gradini senza ruzzolare ed ecco la salvezza: una robusta porta di legno. Aperta, ovviamente. Se fosse stata chiusa tanto vale gettarsi a terra e tentare la tecnica dell’opossum (che non avrebbe comunque funzionato, anche se ci credesse morti si concederebbe di certo il piacere di devastare i nostri corpi).
Ci fondiamo dentro la stanza serrando subito la porta. Lui gira la chiave dentro la toppa mentre io mi lascio cadere mettendomi a sedere. L’infarto sembra scongiurato ma ho il respiro di una vecchia che ha passato gli ultimi cinquant’anni a fumare un pacchetto di sigarette al giorno. Quanto mi fa schifo correre. Non ho più il fisico per queste cose, non ce l’ho mai avuto.
Su su, dai, inspira, espira. Ecco così, prendi l’aria dal naso e falla uscire dalla bocca. Inspira, espira, inspira...
«Ehi,Giò, non mi sembra un buon momento per addormentarsi!»
«Sto cercando di respirare e calmarmi!»
Il tentativo è ovviamente fallito. Complice il fatto che riesco a sentire distintamente dei passi rimbombare lungo le scale. Ormai ci ha quasi raggiunti, e non sono sicura che basterà un pezzo di legno, per quanto solido, a farla desistere dal dilaniarci.
«Senti, mi dispiace...» blatera lui appoggiato contro la porta «Ecco, vedi, io non immaginavo… Cioè, ero curioso, non pensavo che…»
«Zitto.»
I suoi occhioni celesti si fanno ancora più mortificati. Se non ci pensa il mostro là fuori, giuro che ci penso io a cavarglieli.
«Ok, in parte è sicuramente colpa mia, però anche tu hai fatto un bel casino!»
«Ho detto zitto!»
Forse glieli strappo adesso, un’ultima soddisfazione prima di morire.
Lo vedo scattare come una molla lasciandosi sfuggire un urletto, ma dubito sia stato il mio sguardo minaccioso a spaventarlo. Più verosimilmente devono essere stati i colpi che stanno scuotendo la porta.
Ecco, come immaginavo, non basta di certo una porta chiusa a placare la sua sete di sangue. Sa che siamo qui dentro, riesce a fiutare la nostra paura, e non si fermerà finché non avrà banchettato con le nostre carni.
Mi rimetto in piedi e mi guardo attorno: zero vie di fuga. Oddio, anche se ce ne fossero, dubito che riuscirei a scappare da una finestra, le mie abilità atletiche sono più simili a quelle dell’orso Yoghi che a quelle di Lara Croft.
Sento di nuovo la sua mano sul mio braccio, questa volta non lo fa per strattonarmi, è un gesto di conforto.
«Che facciamo?»
Non ne ho idea. Magari se iniziassimo a invocare pietà, casomai autoflagellandoci, si accontenterebbe di qualche osso rotto...
I cardini scricchiolano, il legno vibra ma fortunatamente la porta non cede. Per il momento.
Ma come cavolo ho fatto a ficcarmi in questa situazione?
«Ehm,ragazzi, ottima mossa quella di chiudersi dentro a una stanza senza finestre e con una sola porta. Complimenti!»
Ecco come ho fatto, dando ascolto a questo maledetto aggeggio!
«Ti prego, dimmi che hai un suggerimento!»
«Dici che c’è un frigo ben fornito qui dentro?»
«Ne dubito» interviene l’altro retrocedendo di un altro passo dalla porta.
«Allora vi conviene scegliere quale braccio volete sacrificare, forse un po’ di carne fresca potrebbe calmarla.»
Molto utile. Stupido sarcastico strumento infernale.
«Ma non è mica una tigre affamata!»
Forse sarebbe stato meglio.
Ma come diavolo è successo...
Avevo una vita così tranquilla. Ordinaria.
Forse un po’ monotona ma di certo non c’era il rischio di venire rincorsi all’improvviso da esseri idrofobi.
Tutta colpa di quell’affare. Avevo capito fin da subito che mi avrebbe portato solo dei problemi, già dalla prima volta che l’ho visto. Giovedì, solo tre giorni fa. Quando quel coso è suonato nel momento meno opportuno…




Giovedì 11 febbraio 2016, ore 10:11
Cimitero Comunale di Solignano, Parma


«Fratelli e sorelle, siamo oggi qui riuniti per…»
Tono lento e solenne per parole altrettanto solenni, che però vennero interrotte da un suono che di solenne aveva ben poco: una fastidiosa suoneria di un cellulare.
Melodia monofonica, con note un po’ troppo acute, alquanto irritante. Senza poi considerare il contesto.
L’anziano prete interruppe l’orazione e scrutò il piccolo gruppo di persone sedute di fronte a lui con uno sguardo carico di disapprovazione poi, schiarendosi la gola con un colpo di tosse, riprese a parlare con più enfasi.
«Siamo qui riuniti per dare l’ultimo saluto alla cara Marcella Corvetti che ci ha lasciati lunedì all’età di ottantasette anni…»
Il cellulare ignoto, però, continuava imperterrito a diffondere il suo irrispettoso motivetto e un lieve chiacchiericcio si sparse lungo tutta la fila di sedie.
«Fratelli cari,» richiamò i fedeli il prete con tono vagamente seccato «in rispetto della memoria della qui defunta signora Corvetti, chiederei a tutti di spegnere i propri telefonini e di rimanere in silenzio.»
Che razza di persona non mette in silenzioso il cellulare durante un funerale? Povera signora Corvetti, costretta a riceve l’ultimo saluto con in sottofondo la musichina “Nokia Tune”.
Era una vecchietta così arzilla e solare. Fuori come un balcone, senza dubbio, ma estremamente gentile. Mi sarebbe mancato fare la spesa per lei ed aiutarla a cucinare. Mi sarebbero mancati anche i cinquanta euro che mi dava ogni fine settimana per farle le faccende di casa. Ah, chissà se avrei mai avuto un’altra vicina buona come lei! Era come la nonna che non avevo mai conosciuto… Accidenti, ma perché non si decidevano a spegnere quel cellulare?? La fu Nonna Marcella meritava un po’ più di rispetto!
«Giò, non mi dire che è il tuo cellulare che suona!» bisbigliò mamma, guardandomi con occhi fiammeggianti «Spegnilo subito
Era impazzita? Non avrei mai messo una suoneria così retrò!
«No, non è mio!»
«La musica viene dalla tua borsa!»
Era vero, quel suono fastidioso sembrava proprio avere origine all’interno della mia borsa nera.
Come fosse possibile non ne avevo idea.  
Fui tentata di lanciare la borsa il più lontano possibile da me, ma questo avrebbe solo peggiorato la situazione, così mi alzai dalla sedia e mi allontanai il più velocemente possibile sotto lo sguardo indignato di tutti i presenti. Che vergogna. Avevo voglia di farmi spazio nella bara della signora Marcella e farmi sotterrare anch’io.  
Dopo aver camminato per circa una ventina di metri verso la zona più isolata del cimitero, la musichetta si fermò. Aprii la borsa ed estrassi con cautela l’oggetto incriminato: un cellulare obsoleto dalla strana marca. Dall’aspetto sembrava far parte della vecchia serie dei Nokia e anche la suoneria sembrava confermare tale ipotesi, eppure, sopra il piccolo schermo, vi era inciso in stampatello non il nome della multinazionale finlandese bensì “MAKIA”.
Non era la prima volta che vedevo quel pezzo di antiquariato. Lo avevo trovato la settimana scorsa mentre pulivo l’appartamento della signora Corvetti. Visto che era scarico le avevo chiesto se lo dovessi mettere in carica ma lei mi aveva risposto di lasciare stare, intanto non lo aveva mai usato e non sapeva che farsene.
“Solo voi giovani sapete usare quella specie di arnese del demonio!” mi aveva detto dalla sua poltrona, intenta a leggere una rivista che teneva a un palmo dal naso. E anche così dubitavo riuscisse a distinguere qualche lettera. “Prendilo pure tu, figliola. Sarà più utile a te che a questa vecchia decrepita!”
Ecco svelato il mistero del perché avessi quello strano cellulare: lo avevo preso e messo in carica (anche se non ricordavo di averlo infilato in borsa), era stato uno dei tanti regali che la generosa vecchietta mi aveva fatto. Probabilmente non uno dei migliori, avrei apprezzato molto di più una delle sue crostate fatte in casa che quel reperto... Oppure dei biscotti, i suoi biscotti con zenzero e cannella erano fantastici, per non parlare di quelli con mandorle e cioccolato! La vita non sarebbe stata più la stessa senza quei biscotti... Certo, la mia linea ne avrebbe giovato, ma ritrovarmi al pomeriggio a sorseggiare una tazza di tè senza quei deliziosi manicaretti... mi avrebbe lasciato un sapore amaro e ipocalorico in bocca. Il sapore della tristezza.
Naturalmente mi sarebbe mancata anche la compagnia della vecchietta. Ogni volta che le preparavo del tè, prima di prendere la tazza tra le mani, mi dava un piccolo pizzicotto sulla guancia e mi faceva dei complimenti.
Anche la sera in cui è morta l’aveva fatto.   
“Adoro le tue guancione con le lentiggini! Ti voglio tanto bene, bambina mia!” mi aveva detto poco prima che uscissi dal suo appartamento. Ecco, quelle erano state proprio le sue ultime parole. Era molto carina come frase, chissà se me l’aveva detta perché sapeva che sarebbe morta nel giro di qualche ora, forse se lo sentiva.
L’aveva trovata mamma la mattina dopo. Era salita per portarle la posta e, visto che la porta dell’appartamento non era chiusa a chiave, era entrata. Mi aveva raccontato che la signora Corvetti era seduta in soggiorno, sulla sua poltrona, con un piccolo specchietto in grembo e la testa rovesciata sullo schienale. Le era sembrato tutto normale finché non l’aveva vista per bene in faccia, cosa che per poco non fece morire di paura la povera mamma. I corti capelli, solitamente lisci e candidi, erano stati arricciati e tinti metà blu e metà arancioni mentre il viso era ricoperto di un compatto strato di cerone bianco, con il naso tinto di rosso così come la bocca, su cui era stato tracciato un sorriso che arrivava quasi fino alle orecchie. Il dottore disse che doveva essere morta soffocata dalle sue stesse risate.
Eh, nonna Marcella era buona e gentile ma probabilmente non ci stava più tanto con la testa.
All’improvviso il telefono riprese a squillare, facendomi quasi perdere la presa per lo spavento.
Sullo schermo non appariva alcun numero, vi era soltanto il simbolo di una cornetta che oscillava.
Premetti il tasto di chiamata.
«Pronto?»
«Oh, finalmente!» esclamò una nitida voce maschile «Ce ne hai messo di tempo per rispondere, ragazzina!»
Dal timbro della voce non sembrava essere troppo giovane, poteva trattarsi di un uomo tra i trenta e i sessant’anni. Non mi veniva in mente nessuno a cui potesse appartenere.
«Mi scusi, con chi sto parlando?».
«Mi chiamo Machiavelli.»
Machiavelli? Come lo scrittore? Probabilmente se avessi conosciuto qualcuno con quel cognome me lo sarei ricordato.
«Mi spiace, signor Machiavelli, ma credo lei abbia sbagliato numero…»
«No, no, guarda che Machiavelli è il mio nome! Non il cognome!»
«Ah.»
Sicuramente se avessi conosciuto qualcuno con quel nome me lo sarei ricordato.
E io che mi lamentavo del mio…
«Allora, è già schiattata la vecchia?»
«Come, prego?»
«Ma sì, la vecchietta rimbambita!» continuò a parlare l’uomo lasciandomi sempre più allibita «Se ero nella tua borsa deve aver per forza tirato le cuoia!»
«Ma chi è lei??!»
Ora capivo perché nonna Marcella diceva che il cellulare era un arnese del demonio. Doveva essere colpa di quel pazzo che aveva il suo numero.
«Ti ho già detto come mi chiamo! Cos’è, sei un po’ ottusa anche tu, Giò?»
«Come sa il mio nome??»
Mi sforzai di mantenere il sangue freddo. Un pazzo sconosciuto mi aveva appena chiamata per nome ma ci doveva essere un’altra spiegazione logica oltre all’ipotesi di uno stalker psicopatico che mi spiava da mesi e che forse mi stava osservando anche in quel preciso istante… Forse si trattava solo di un amico burlone della signora Corvetti ed era stata proprio lei a parlargli di me…
«Beh, è semplice. È da più di un anno che entri ed esci dall’appartamento della vecchia, è normale che conosca il…»
Attaccai. La conversazione si stava facendo troppo inquietante per i miei gusti. Forse era il caso di liberarsi di quel telefono…
«Ehi! Hai cercato di zittirmi??»
Frenando l’impulso di urlare e lanciare il cellulare, spinsi ancora il tasto per chiudere la chiamata. Ero più che sicura di averlo già fatto un secondo prima ma forse non avevo pigiato bene, poi quel cellulare sembrava piuttosto vecchio…
«Guarda che è inutile che cerchi di chiudere la chiamata, io parlo lo stesso!»
No, non era possibile… Provai a cambiare tasto, spostando il pollice sopra quello di accensione/spegnimento.
«Inutile provare a spegnermi, solo io posso decidere quando stare zitto!»
Ci provai lo stesso ma non funzionò. Mi venne in mente che, fin da quando lo avevo trovato nella borsa, quel cellulare doveva essere spento… e allora come diavolo aveva fatto a squillare durante il funerale??
Forse quel giovedì mattina avrei fatto meglio a sbarazzarmi di quell’aggeggio buttandolo in una fossa che non era stata ancora riempita ma, invece, me lo portai all’orecchio.
«Chi sei?»
«Te lo ripeto un’altra volta ma tu vedi di aprire bene le orecchie e accendere i neuroni!» disse la voce maschile in tono seccato «Piacere, mi chiamo Machiavelli. Machia per gli amici.»
«Machia…?»
Quel nome mi diceva qualcosa…
«Beh, è un po’ presto per definirci “amici” ma, visto che ho iniziato io a chiamarti Giò, ti posso concedere di chiamarmi Machia.»
La soluzione di quell’enigma era così semplice da non accorgermi di averla proprio sotto il naso: “MAKIA”
«Senti, questo telefono è tuo, vero? C’è il tuo nome sopra.»
«Ma tu hai dei pesci rossi che nuotano dentro al cranio o cosa??!» mi urlò l’uomo nell’orecchio «Il telefono non è mio! IO SONO IL TELEFONO!!»
Sì, avrei decisamente dovuto sbarazzarmene.







Note dell’autrice: Buondì a tutti! Vi lascio giusto giusto un piccolo appunto su questa storiella (che non dovrebbe superare i nove/dieci capitoli rigorosamente non troppo lunghi, promesso). Qualche anno fa bazzicavo sul forum di EFP e avevo adocchiato qualche contest. Mi iscrissi a tre o quattro e con altri mi sono limitata ad osservarli curiosa e a buttare giù idee. Ovviamente non ne portai a termine nemmeno uno (dai no, uno sì, giusto una cosa che non supera le 500 parole). Però le idee (e pure qualche cosa di scritto!) sono rimaste, così ho deciso di andarle a rispolverare, rattopparle e infiocchettarle per bene. Ecco la prima, nata dal contest del 2016 o 2017 sul tema “maghette” (o almeno mi pare che di quello si trattasse). A presto (si spera entro la prossima settimana), RedCrimson.  

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Capitolo 2
*** Magic Nik ***


cap2 CAPITOLO II:
Magic Nik



«E tu saresti un cellulare parlante??»
«Sì, qualcosa di simile. In realtà la questione è un po’ più complessa.»
«Ma per favore! Senti, basta con questo scherzo, chiudi la telefonata e lasciami in pace!»
«Certo che sei cocciuta, eh? Sei quasi peggio della vecchia!»
Ormai era da cinque minuti che urlavo contro quel cellulare che affermava di avere vita propria. Per fortuna che quella mattina non c’era molta gente al cimitero o mi avrebbero preso per matta… E forse matta lo ero veramente visto che iniziavo a credere alle assurdità che Machia mi diceva. Vivo o meno, quel cellulare aveva sicuramente qualcosa di strano. Non solo non potevo spegnerlo, ma, quando lo aprii per provare a togliergli la batteria, scoprii che non ve n’era alcuna. Al suo interno c’era solamente quella che sembrava essere una SIM senza numero e con sopra disegnato un cuore. Assolutamente irremovibile (sì, nonostante il disegnino e le proteste del mio interlocutore, tentai subito di rimuoverla ma senza successo).
Disperata, decisi di arrendermi (per il momento) e sentire quello che aveva da dire.
«Va bene, Machia, facciamo finta che io ti creda. Che diavolo ci faceva un cellulare magico nel salotto della signora Corvetti?»
« Eh, me lo sono chiesto anch’io per molti anni…» fece il cellulare esalando quello che aveva tutta l’aria di essere un sospiro «È stato il mio padrone a consegnarmi alla vecchia.»
«Il tuo padrone…?».
«Sì, l’uomo che possiede il mio spirito. Quello a cui è intesta la cosa che tu hai chiamato “SIM”.»
In pratica stava parlando dell’uomo che pagava messaggi, chiamate e forse i giga di internet (ma dubitavo fortemente che quel coso che sembrava uscito alla fine dagli anni ‘90 avesse la connessioni dati).
«E chi sarebbe?».
«Un mago.»
Logico. C’era da immaginarselo. A chi poteva appartenere un cellulare parlante se non a un mago?
«E perché questo mago ti avrebbe consegnato alla signora Corvetti?»
«Perché quel vecchio pazzo voleva che l’altra pazzoide potesse essere sempre in contatto con lui.»
«Ma è un suo parente?»
«Oh no, no di certo.»
Ah! Uno spasimante!
«È suo marito??»
Il cellulare scoppiò in una fragorosa risata.
«Seee, certo! Al vecchio pazzo sarebbe piaciuto!»
Ok, probabilmente Machia non era un cellulare dallo spiccato spirito romantico e io fantasticavo troppo.
«Comunque,» riprese a parlare una volta terminato l’attacco di ilarità « non è che potresti riportarmi dal mio padrone?»
Seguire le indicazioni date da un cellulare vivo per incontrare il suo padrone mago? Mi avrebbe portata sicuramente in un Centro di Salute Mentale… e quella era l’ipotesi migliore. Non era ancora da escludere l’altra del serial killer psicopatico che lasciava in giro strani telefoni e poi chiamava le sue vittime inventandosi strane storie con lo scopo di incontrarle in un qualche edificio isolato, stuprarle e ammazzarle. Certo, c’era anche l’ipotesi più ottimistica, fantasiosa e assai meno probabile di conoscere un vero mago. Chissà se sarebbe stato un tipo più alla Harry Potter oppure alla Gandalf o Merlino… Da come parlava di lui Machia, era più probabile che assomigliasse a quest’ultimo. Versione disneyana, non quella della BBC.
«Allora, mi riporti o no da lui?» tornò a brontolare il telefono « Adesso che la vecchiaccia è morta, il mio compito qui è finito!»
Vecchiaccia... che cosa poco carina da dire al suo funerale... A proposito! Il funerale! Da quanto tempo mi ero assentata??
«Senti, adesso devo ritornare dagli altri ad ascoltare la fine dell’orazione. Tu sta zitto per un’ora o due e poi torneremo a parlare del tuo mago, ok?»
Lo sentii sbuffare poi mugugnò un “d’accordo” e si spense.
In generale non ho mai avuto un gran bel rapporto con la tecnologia, sapevo cavarmela discretamente con i computer ma con i cellulari era un altro paio di maniche. Dalla prima media ne ho avuti diversi, con alcuni c’è stato un certo feeling mentre con altri ho avuto una relazione un po’ più burrascosa ma mai avrei immaginato che sarei arrivata al punto di fare delle vere discussioni verbali, con tanto di compromessi, con uno di loro.
La situazione si stava facendo sempre più assurda.
Ma non potevo trovare un ipod o un ereader parlante? Mi sarebbero stati sicuramente più simpatici.




Giovedì 11 febbraio 2016, ore 17:24
Pieveottoville, Parma


Dopo aver convinto la mia adorata sorella maggiore a farsi un’ora di macchina per arrivare a un paesino disperso in mezzo alla campagna, arrivai nel luogo dove avrei conosciuto il mago: la Casa di Riposo Villa Principe.
Le probabilità di trovarsi davanti a un serial killer si erano ridotte notevolmente, in compenso si erano drasticamente alzate quelle di incontrare un vecchio rimbambito.
«Ma che ci vai a fare in una casa di riposo? Ti vuoi mettere avanti?» mi chiese Sara mentre scendevo dalla macchina.
«Ho promesso a un’amica che l’avrei accompagnata a trovare suo nonno» inventai di sana pianta.
«Tu hai degli amici??!»
Non sapevo se sentirmi offesa da quella domanda e dalla sua espressione stupefatta.
«Certo, Sara, anch’io ho degli amici» risposi in tono piatto con un sorriso falsissimo in faccia.
«Bah! Io non ti vedo mai uscire dalla tua stanza! Credevo che la tua unica amica fosse la vicina!»
“Cara sorella, ma perché non ti fai un po’ i cazzi tuoi? Io non ti rompo le scatole contando i tuoi ragazzi...” fortunatamente lo pensai e basta, se no sarei dovuta tornare a casa a piedi.
«Come vedi le tue preoccupazioni sono infondate, adesso sono fuori dalla mia stanza e sto per incontrare un’amica
«Sì, proprio il giorno del funerale della vicina. Meno male, così non resti sola.»
Appena avrò diciott’anni prenderò la patente.
«Te adesso che fai?» cambiai argomento prima che iniziasse ad uscirmi fumo dalle orecchie «Io dovrei essere pronta per tornare a casa tra un’ora, massimo due.»
«Qui vicino abita un mio amico, l’ho già sentito, andiamo a bere qualcosa da qualche parte.»
Come no. A bere la saliva l’uno dell’altra.
«Allora ti mando un messaggio quando ci sono.»
«Ok, ma non fare troppo tardi che tu domani hai scuola e io lezione.»
Tardi...? Ottimo, mi sarebbe toccato aspettare un’eternità.
«Veramente io pensavo di tornare a casa per cena.»
«Ah!» la vidi aggrottare la fronte con aria pensierosa, probabilmente si stava facendo un paio di conti «Va bene, va bene, allora per massimo le sette e mezza sono qui.»
Dopo un saluto veloce con la mano, rimise in moto la macchina. Speravo vivamente che questo suo amico non le interessasse più di tanto, non avevo idea di quanto ci avrei messo a parlare con il mago, ma dubitavo di avere molti argomenti di conversazione con un anziano in una casa di riposo.
«Oh, era ora che se ne andasse!» sbottò Machia dalla tasca dei jeans « Prima quella musica orrenda in macchina e adesso questa stupida conversazione, su dai, andiamo!»
Era davvero un cellulare insofferente.

Entrata nell’edificio, mi diressi subito alla reception.
«Buonasera, come ti posso aiutare, cara?» mi chiese cordiale la donna in piedi dietro al bancone.
«Salve, sono venuta a trovare uno degli anziani che tenete qui.»
La donna mi guardò perplessa. Ok, forse non mi ero espressa proprio benissimo.
«Come si chiama?»
«Giò Rossini.»
«Ok, fammi un attimo controllare se abbiamo qualche ospite che si chiama Rossini...»
«Ah no, Rossini è il mio cognome.»
Quanto odio dover parlare con gente alla reception. Perché mi doveva dare del “tu”?? Vado al liceo, ho sedici anni, ho diritto al “lei”!
«Allora mi potresti dire il nome del signore che stai cercando?»
«Ehm...»
Accidenti. Non lo sapevo. Effettivamente quella era una cosa abbastanza essenziale da chiedere al cellulare parlante.
Lo presi in mano e vidi che sullo schermo erano apparse delle lettere.
«Nik» lessi.
«Nik? Sta per Nicola?»
«Sì» confermai senza averne idea.
«Bene, di cognome come fa?»
Riabbassai lo sguardo sul cellulare.
«Boh.»
Ma che diavolo scriveva quel coso??!
«Come “boh”? Non sai il suo cognome?»
«Mi scusi un attimo.»
Mi allontanai dal bancone e mi portai il cellulare all’orecchio.
«Che vuol dire “boh”??!»
«Ecco, attualmente mi sfugge il suo cognome. È da un po’ che non lo sento.»
«Allora, razza di rudere tecnologico, adesso tu mi devi dire come si chiama il tuo padrone, nome e cognome, se no come cavolo faccio a trovarlo!»
Non potevo di certo andare da ogni anziano di quel posto chiedendo: “Mi scusi è suo questo cellulare? Non è che per caso lei è un mago?”. Non potevo e non lo volevo fare. Per quel giorno avevo esaurito le figure di merda.
«Scusa, bambina...?» fece una signora che mi si era avvicinata.
Portava un paio di occhiali dalle lenti tonde e montatura dorata, i capelli erano corti e grigi con qualche ciuffo più bianco. Doveva avere qualche anno in meno della signora Corvetti, forse addirittura dieci, ma era probabile che fosse una delle ospiti di quel posto.
«Mi è sembrato di sentire che stai cercando un certo Nik.»
«Sì.»
Anziana o no, la signora ci sentiva ancora bene.
«Non è che per caso cerchi il mago?»
...cosa?
«Ehm... sì.»
«Allora seguimi, cara.» disse sorridendomi cordiale «Si sta esibendo proprio adesso in quella stanza laggiù.»

La signora mi accompagnò davanti a una porta su cui era stato attaccato un cartello con sopra disegnato (in maniera abbastanza oscena) un cilindro, una bacchetta e due colombe. Tale accozzaglia di oggetti e volatili faceva da sfondo alla scritta “Magic Nik”.
La mia mente non riuscì a fare a meno (purtroppo) di immaginarsi un uomo sull’ottantina abbondante ma pompato come il peggior tamarro visto in palestra, a petto nudo con una cravatta che mette bene in mostra i pettorali incartapecoriti. Un canuto Babbo Natale “infisicato” con un cilindro in testa. Eew.
«È molto bravo, sai?» richiamò la mia attenzione l’anziana «Fa certi trucchi con quella bacchetta!»
La prego, signora...
Il cellulare iniziò a vibrarmi nella tasca. Machia era impaziente.
Entrai nella stanza e mi sedetti nella prima sedia libera che vidi. C’era un discreto pubblico: più di dodici sedie occupate, senza contare poi le carrozzine. Naturalmente l’età media si aggirava sui settanta-ottanta.
«Signore e i signori!» parlò un uomo dall’altro capo della stanza «Siete pronti per una nuova magia?»
Eccolo là. Magic Nik. Un ometto dai folti capelli grigi, vestito di tutto punto con frac, guanti e cilindro. Fortunatamente non assomigliava affatto all’immagine mentale che mi ero fatta. Anzi, era quasi l’opposto: bassettino e un po’ gracile.
L’ometto mostrò al pubblico un mazzo da gioco che teneva in mano, lo aprì e, invece di tirare fuori delle carte, ne estrasse la già decantata bacchetta. Nella sala stavano già battendo le mani.
La fece roteare velocemente tra le dita, passandola dalla mano sinistra a quella destra e viceversa. Poi, all’improvviso la bacchetta sparì sostituita da un fazzoletto rosso comparso da chissà dove (probabilmente dalla manica, posto dove anche doveva essere finita la bacchetta) e iniziò ad agitarlo, facendo ricomparire e sparire la bacchetta per circa un minuto. L’applauso diventava sempre più scrosciante.
Nik si fermò, accennò a un rapido inchino e, con un gesto della mano sinistra, invitò il pubblico al silenzio. Una volta tornata la calma, il mago prese il cilindro con la mano sinistra.
«Allora, signore e signori, cosa facciamo uscire questa volta dal cilindro?»
«Un coniglio!»
«Un fagiano!»
«Una bella tettona!»
Le richieste erano molteplici (e alcune di dubbio gusto).
«Lei, signore!» esclamò infine il mago indicando un uomo in seconda fila «Ci conosciamo?»
«Ma certo, Nik, ci conosciamo da anni!» rispose quello visibilmente confuso.
«Sì, lo so, Gianni... Ma ti ricordi cosa ripeto sempre prima di iniziare lo spettacolo? Come dovete rispondere voi del pubblico quando faccio questa domanda...?»
«Ah!» la bocca del signor Gianni si spalancò e gli occhi parvero avere un lampo di intuizione «No, no, Nik, io non la conosco, mai visti prima!» il tono era falsissimo.
«Benissimo... quindi è impossibile che io e lei ci siamo messi d’accordo prima dello spettacolo, giusto?»
«Giustissimo, impossibile! E questo è vero!»
«Ottimo. Allora, signore, cosa vuole che faccia uscire dal cilindro?»
L’uomo alzò lo sguardo e si portò una mano al mento, pensieroso, mentre tutt’intorno arrivavano suggerimenti. In mezzo a quel vociare, riuscivo a captare distintamente il consiglio “una bella figliola” di un qualche anziano furbacchione.
«Va bene, ho deciso!» sbottò dopo quasi un minuto «Voglio Marilyn Monroe!»
Silenzio in sala.
«Perfetto!» replicò il mago senza battere ciglio.
Stranamente, ero davvero curiosa di vedere cosa si sarebbe inventato.
Nik iniziò ad agitare la bacchetta sopra il cappello, tracciando in aria una spirale discendente.
«Il reclamo è stato detto, ora esci da cilindretto! Né rossa né mora gradisce, ma la bionda il signore preferisce! Guardate bene questa magia, stasera la bella Marilyn vi terrà compagnia!»
E dopo quel farneticare insensato, il mago sollevò lentamente la bacchetta. Sulla punta vi era appeso qualcosa... un dvd.
«Ecco a voi Marilyn Monroe nel suo famoso film “Gli uomini preferiscono le bionde”! Siete liberi di guardarlo dopo cena!»
Il pubblico era in visibilio.
Nik passò il dvd a una signora nella prima fila poi tornò a ricevere i meritati applausi facendo un inchino.
«E anche per questa sera lo spettacolo è concluso...»
«No, no, un altro!»
«Un’altra magia!»
«Bis!!»
Oh, questo Nik piaceva molto.
«E va bene, va bene.» concesse loro il mago portando le mani avanti per quietarli «Ma solo una! Che ne dite di un po’ di mentalismo?»
Si levò un coro di “sì”.
«Ottimo, allora mi serve un volontario.»
Il suo indice si mosse più volte da sinistra a destra, scorrendo sui possibili candidati, finché non si fermò nella mia direzione.
«Lei, la signorina in un’ultima fila. Si avvicini.»
«Io?»
Era ovvio che si riferisse a me, aveva detto “signorina”...
«Sì, sì, venga qui.»
Titubante mi alzai dalla sedia e camminai verso il mago. Odiavo quel genere di cose, mi sentivo osservata da troppa gente.
«Allora, proporrei un giochetto con le carte...» iniziò a dire estraendo un mazzo dalla giacca «Una cosa semplice semplice...»
«Nik, Nik, le domande! Non le hai fatto le domande!» urlò qualcuno dal pubblico. Forse il signor Gianni.
«Giusto, giusto... Mi scusi, signorina, come si chiama?»
«Giò.»
«Piacere, Giò. Lei mi conosce?»
«No.»
«Ci siamo mai visti prima?»
«No.»
«Perfetto, procediamo!»
L’ometto mescolò le carte con una certa abilità (di sicuro non soffriva di artrite) poi me le passò.
«Ora guardate bene questa busta!»
Tirò fuori dalla giacca (chissà se c’era altra roba lì dentro) una busta gialla, la sollevò in alto e la rigirò in aria davanti alla platea.
«Qui dentro è contenuta una carta misteriosa che riveleremo a breve... ma, nel frattempo, la tenga lei signora Rita.»
Detto ciò, la consegnò a una vecchietta in prima fila che se la strinse in grembo come se si trattasse di un tesoro. Dal suo sguardo sembrava pronta a difenderla a costo della vita.
«Ora, Giò, dividi a metà il mazzo e consegnami i due mazzetti.»
Feci quello che mi aveva chiesto, cercando di beccare la metà precisa, e glieli ripassai.
«Adesso scegli uno dei due mazzi.»
Indicai quello a sinistra. Lui me lo ridiede in mano e si mise in tasca il mazzetto destro.
«Ottimo, rifai la stessa cosa.»
Ripetemmo il procedimento finché non mi ritrovai in mano solo due carte (in qualche passaggio non dovevo aver diviso benissimo).
«Bene, Giò. Adesso guarda le due carte e scegline una, l’altra ridammela pure.»
Me le portai davanti agli occhi, stando attenta a che nessun altro le vedesse. Erano due regine, quella di quadri e quella di cuori.
Col cavolo che avrei scelto quella di cuori.
Mi tenni quella di quadri e riconsegnai l’altra al mago che se la mise in tasca insieme alle altre.
«Ora è giunto il momento di scoprire insieme la carta misteriosa! Signora Rita, potrebbe aprire la busta e mostrare la carta a tutti?»
La signora Rita non se lo fece ripetere due volte. Un istante dopo sventolava in aria la regina di cuori.
Ah! Fregato!
«E adesso vediamo un po’, cosa mai avrà scelto Giò! Un asso, un due o un tre, oppure un dieci o un re? Chissà se saranno picche o fiori, o forse proprio la regina di cuori!»
Ma che era quella cantilena? Non ci badai molto e girai tutta soddisfatta la mia carta.
Era la regina di cuori.
Il pubblico impazzì.
Io rimasi lì imbambolata con in mano una carta che in mano non ci doveva essere.
Come diavolo era possibile?
C’ero stata attenta! Io quella carta l’avevo vista bene! E non era la regina di cuori!
«E anche l’ultima magia è stata fatta!» riprese parola Nik «Bene, signore e signori, io vi saluto. Il vostro Magic Nik ritorna la prossima settimana!»
Piano piano (perché i legamenti delle ginocchia non erano più quelli di un tempo) le persone abbandonarono la stanza, lasciandomi da sola con il mago.
«Piaciuto lo spettacolo?» mi chiese con un ampio sorriso che metteva in mostra la dentiera perfetta «Posso esserti di aiuto, signorina?»
«Sì, ecco, io...»
«Nik, Nik! Come hai potuto abbandonarmi per più di quindici anni??!»
«Oh, Machia, sei proprio tu! Allora, ci avevo visto bene!»
Beh, almeno mi ero risparmiata domande imbarazzanti del tipo “conosce questo cellulare?”
«Perché non sei mai tornato a riprendermi??»
«Suvvia, non parliamone qui. Andiamo nella mia stanza che tra poco dovrebbero entrare per sistemare le sedie.»

Dopo aver girato un po’ all’interno della villa, mi fece accomodare in quella che doveva essere la sua camera.
«Allora, signorina, prima di tutto le presentazioni.» disse porgendomi la mano «Mi chiamo Niccolò.»
«Piacere.» risposi stringendogliela «Non mi dica che di cognome fa Machiavelli.»
«No, no, quello è il nome che ho dato al mio famiglio...»
«Il qui presente! E gradirebbe essere tolto dalla tasca! È stretta!»
«Il mio cognome è Cosini, Niccolò Cosini. E invece “Giò” per cosa sta?»
«Giusto, qual è il tuo nome per intero?»
Oh no...
«È Giò. Solo Giò.»
«Oh, andiamo, sarà sicuramente l’abbreviazione di qualcosa!»
«Posso provare a indovinare?» chiese l’ometto appoggiando il frac su una sedia.
«Guardi, lasci stare...»
«Facciamo che se indovino inizi a darmi del "tu". Io dico che “Giò” sta per...»
«Ma dai, sarà qualcosa con “Giorgia”, magari “Giorgina”!»
Il mago non gli diede ascolto, chiuse gli occhi e si portò le dita alle tempie.
«Gioacchina!»
«Pff! Stavolta l’hai sparata grossa!»
No. Impossibile.
«Come lo sa?» gli chiesi in tono funebre.
«Oh per Giove, è vero!»
«Be’, sono un mago, ho una dote per queste cose. In più, qualche giorno fa, ho ricevuto un messaggio dove mi informavano che il mio vecchio famiglio era passato di proprietà a una certa Gioacchina Rossini.»
«Gioacchina...accidenti, mi dispiace.»
Disse Machiavelli...
«Beh, non è mica così male, invece!» fece Nik mettendosi a sedere sul letto e sistemandosi i polsini della camicia «Gioacchina Rossini!» esclamò meditabondo.
«La prego, non lo dica più per intero. “Giò” basta e avanza.»
«Mai pensato di fare il conservatorio?»
«No
Ma perché mamma si era impuntata nel voler dare il nome dei nonni morti ai figli? Sara se nasceva femmina e Gioacchino se maschio. Peccato che abbia avuto due bambine... E sua sorella è stata la prima. Maledetta fortunata.
«Comunque, dimmi un po’, Giò,» riprese a parlare sorridendomi affabile «devi essere qui per tua madre, vero? Le assomigli così tanto!»
«Non credo lei possa conoscere mia madre...»
«Ah no? Marcella non è tua mamma?» lo sguardo dell’ometto si fece più indagatore «Mmm, quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Allora potresti...?!»
Qualsiasi cosa volesse dire, le possibili implicazioni mi facevano rabbrividire.
«Ripeto che la signora Marcella non è mia madre. E conosco bene anche mio padre.»
«Ah, bene bene, allora devi essere sua nipote.»
«La signora era una mia vicina.»
«Eppure le assomigli tanto!»
«Sinceramente spero di no.»
La signora Corvetti non era proprio una bella donna. Ok che i suoi anni d’oro erano belli che passati, ma mi era difficile da credere che la si potesse anche solo vagamente considerare attraente da giovane. Forse c’era stato un tempo in cui era un po’ meno larga che alta.
«Eh, aveva i tuoi stessi capelli rossi e il tuo nasino a patata!»
«Ma lei è sicuro di ricordarsi la signora Marcella?»
Perché non sembrava proprio. La vecchietta aveva capelli corti e bianchi che tanti anni prima erano stati neri, mentre il naso era sempre stato adunco.
«Forse la sua immagine si è sfumata un po’ nella mia mente...» disse sospirando «Sai, l’ho conosciuta vent’anni fa, era favolosa...»
Facendo un paio di conti, lei doveva avere sessantasette anni. Favolosa e già diversamente giovane. E probabilmente la sua forma si stava già avvicinando a quella di un barile.
«...ci innamorammo perdutamente. La portai a Parigi, le gite in barca sulla Senna... Eh, dopo solo quattro anni la dovetti lasciare, diceva che il suo cuore non voleva catene e non si voleva impegnare.»
La signora Corvetti? A quasi settant’anni non voleva impegnarsi? Forse era più probabile che non volesse questo tipo attorno.
«Però le lasciai Machia. Lo avevo appena trasferito in un cellulare di nuovissima generazione.»
«Infame.»
«Ehi, a quei tempi anche tu eri d’accordo. Che fine ha fatto quel bel telefono fisso che ti piaceva tanto?»
«Monique! Ah, Monique... aveva la più bella cornetta che avessi mai visto. Un così bel filo arricciato, il disco con i numerini dentro...»
«Che ne è stato?»
Dal cellulare iniziarono ad uscire suoni molto simili a lamenti disperati e singhiozzi.
«Una notte... Lei-lei smise di funzionare bene... Soffriva, si sentiva un fischio continuo nella sua cornetta... E così...co-così... due uomini la portarono via! Al suo posto misero un... un coso nero cordless senz’anima! Oh Monique, non incontrerò più nessuna come te!»
«Su su, vedrai che ne troverai un’altra! Hai visto i nuovi modelli di cellulare che girano? Visto questi iphone?»
«Non voglio avere niente a che farci con quelle lì!» sentenziò categorico «Piuttosto, perché tu in quindici anni non ti sei mai fatto vedere?!»
«Beh, ho provato a chiamare ma eri sempre spento. Poi non ricordavo né l’indirizzo né il cognome di Marcella. Era un po’ difficile rintracciarla.»
«Potevi usare qualche magia!»
«E tu perché non hai mai chiamato?»
«Perché la maledetta strega non mi ha mai messo in carica!»
«Suvvia, “strega”! Mi pare fosse una maga.»
«A me basta anche poca, pochissima energia, ma lei niente! Neanche una caricatina in quindici-sedici anni! Ho dovuto mettermi in una sorta di standby!»
«Ahem!» provai a schiarirmi la gola. Sembravano essersi totalmente dimenticati della mia presenza.
«Oh, scusa, Giò!» disse Nik tornando a guardare me e non il cellulare che tenevo in mano «Stavamo parlando della cara Marcella... A proposito, come sta?»
«È morta lunedì.»
«Oh.»
Forse avrei dovuto usare più tatto.
«Che cosa l’è capitato? Un incidente?» chiese incupendosi «O forse qualche brutto malanno se l’è portata via prima del tempo?»
«Sembra sia morta soffocata dalle sue risate dopo essersi vista allo specchio truccata da clown.»
«Ha senso.»
Ah sì?
«È sempre stata una mattacchiona, la mia dolce Marcella.» disse accennando a un sorriso «L’è sempre piaciuto far ridere la gente, per una volta avrà voluto far ridere se stessa.»
«E l’è stato fatale.»
«Forse n’è valsa la pena... Ti è sembrata felice quando l’hai vista, Giò?»
«Non me l’hanno fatta vedere.»
E nemmeno l’avrei voluta vedere. Il cadavere di una signora anziana con la faccia pitturata da clown? Sarebbero stati incubi assicurati per anni.
«Va beh, così va la vita.» decretò per poi sospirare «Il fatto che sia morta, spiega in parte anche perché Machia sia passato a te e io non me lo possa riprendere.»
«Cosa?!?!»
«Già, dal messaggio che ho ricevuto sembra che Marcella ti abbia ceduto alla nostra Giò.»
«Poteva farlo?!»
«Beh, io ti avevo regalato, per MagicWorld è come se d’allora tu fossi appartenuto a lei, quindi sì. E adesso sei il famiglio di Giò.»
«Ma lei non è né una maga né una strega, non può avere un famiglio!»
«Infatti. È per questo che credo che lei abbia passato alla ragazza anche il suo contratto magico.»
«Scusate, la ragazza vorrebbe capire di che state parlando.»
Che contratto? Anche la vecchia signora Corvetti era una maga?
Nik mi rivolse un sorriso smagliante (e anche leggermente inquietante).
«Congratulazioni, Giò, probabilmente sei diventata una maga.»




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Capitolo 3
*** Benvenuti a MagicWorld ***


cap 3 CAPITOLO III:
Benvenuti a MagicWorld



«...devo andare via di casa e frequentare una scuola con quadri parlanti e scale che si spostano?»
«No, no, niente di tutto questo!»
«Devo imparare a fare trucchetti con le carte?»
Io il cilindro non me lo sarei mai messo...
«Non serve, ma se sei interessata te ne posso insegnare qualcuno.»
«No, grazie.»
Quindi che diavolo voleva dire che ero diventata una maga?
«Guarda, mia cara,» riprese a parlare Nik dopo qualche colpo di tosse «in realtà la faccenda è molto semplice. Basta che vai all’ufficio “contratti” di MagicWorld e lì ti spiegheranno tutto.»
Ah beh, semplice. Semplicissimo.
«Che cos’è MagicWorld?»
«La società che si occupa della gestione della magia da circa cinquant’anni.»
«Una società? Niente ministeri segreti e roba così?»
«Un tempo c’era la “Corte della Magia” ma con gli anni si è osservato che gli uomini di affari sono molto più efficienti di nobili e politici.»
«Ah.»
«Non è saggio mischiare magia e politica...»
Per quel che ne so di politica, non è saggio mischiarla con niente.
«...per non parlare della religione! Fortunatamente ormai nessuno segue più la “Mistica Chiesa della Magia” con le sue dieci o venti divinità e tutti quei sottoculti strani...»
«Va bene, va bene,» lo interruppi prima che iniziasse a dilungarsi con la teologia «ma dove lo trovo questo ufficio contratti?»
«Ce n’è uno in ogni “Centro MagicWorld”.»
Molto utile.
«E dove lo trovo un “Centro MagicWorld”? Non mi pare proprio siano pubblicizzati!»
«Ah già, è normale che tu non li conosca visto che sono nascosti. Per caso nel tuo paese c’è un negozio che vende elettrodomestici e altri arnesi elettronici?»
«Sì, certo.» risposi confusa «Anche più di uno.»
«Sì, però quello che intendo ha un nome particolare, qual era pure...» prese a grattarsi la testa pensieroso «Mi pare avesse una scritta bianca su uno sfondo rosso, o il contrario...»
«...Media World?»
«Esatto! Dovrebbe essere proprio quello!»
Che diamine c’entrava il Madia World con MagicWorld? A parte finire entrambi in “world”, non riuscivo a trovare un collegamento valido tra un negozio di elettronica e una società “magica”. Però, forse non era stato un caso (di sfiga) se invece di un animaletto parlante (maledette maghette dei cartoni animati) mi sono ritrovata con un cellulare parlante (e obsoleto). In effetti, visto quello che riusciva a fare adesso la tecnologia, ci poteva essere dietro qualcosa di magico...
«Allora, domani mattina va subito al Media World del tuo paese. Fai un giro nei vari reparti, da qualche parte ci deve essere una porta o una botola. Occhi aperti perché di solito è ben nascosta, Machia ti aiuterà a trovarla.»
«Ehm ehm» si schiarì la voce, sentendosi interpellato. Che cosa assurda. «Questo, poi, lo decido io. Magari se la bamboccia me lo chiede in modo gentile.»
Ma perché quel vecchio aggeggio doveva avere dei modi così irritanti?
«Di solito un mago usa “per favore” per dare ordini al proprio famiglio?» domandai in tono mellifluo.
Il cellulare emise un suono stizzito.
«Punto uno: non si sa ancora se tu sia una maga e fino a che non ne avrò l’assoluta certezza io non mi considererò il tuo famiglio!»
«Machiavelli, comportati bene.» lo ammonì Nik con un’occhiataccia «Sii più galante con la signorina.»
Machia borbottò qualcosa ma non aggiunse altro. Bene, se avesse continuato a fare il bravo telefono, forse quella sera lo avrei messo in carica. Forse.
«Bene, sono quasi le sette.» disse il mago osservando l’orologio appeso al muro «Posso chiacchierare ancora per...mmm...una quarantina di minuti, poi devo andare a cenare con gli altri ospiti.»
«Se vuole posso andare, non voglio disturbarla.»
Intanto avevo capito che per avere informazioni utili sarei dovuta andare da MagicWorld... Lo stesso posto dove di solito compravo gli auricolari, ma dai. Magari lì mi cambiavano pure il cellulare.
«Ma che disturbo!» fece lui invitandomi con la mano a sedermi sulla sedia «Se tu non hai fretta, mi piacerebbe sapere qualcosa in più sulla futura padrona del mio Machia. E, per favore, dammi del “tu”. Dopotutto, sono riuscito a indovinare il tuo nome.»
Indovinare... lo aveva letto su un messaggio.
Va be’, mi sedetti. Dopotutto non è che avessi molto altro da fare, nella migliore dell’ipotesi avrei dovuto aspettare mia sorella per un’altra mezz’ora.
«Ok, va bene. Che cosa vuoi sapere?»
«Dunque, hai detto che hai sedici anni. Vai a scuola?»
«Sì, faccio il liceo classico, sono in terza.»
«Uh, il classico! E dopo cosa ti piacerebbe fare?»
Eccola là, la solita domanda odiosa che mi fanno da quando ho finito le medie. “Che cosa vorresti fare dopo?” Ma che cavolo ne so! Non sono nemmeno così tanto sicura di cosa voglio fare adesso, figurati tra due o tre anni.
«Ci sto pensando.»
Tradotto: boh.
«Università?»
E certo, percorso scontato. Dove lo vado a trovare un lavoro con il diploma del liceo classico?
«Forse.»
Mah.
«Non ti piacerebbe fare l’insegnante?»
Piuttosto mi unisco a una banda itinerante e imparo a ballare la polka.
«Non credo faccia per me.»
«E, invece, come vanno gli affari di cuore? Ce l’hai un fidanzatino?»
Cosa...??
«Un fidanzatino?»
«Ma sì, un ragazzo. Hai già trovato qualcuno di speciale?»
Eh?!?!
«Guardi, non credo siano affari suoi...» iniziai ad alzarmi.
«Eddai, Giò, sono solo un vecchietto curioso! Puoi confidarti, prometto che io e Machia non diremo niente a nessuno!»
Ok, forse avevo frainteso... Era solo un anziano invadente.
«Ma figurati se c’è qualcuno che se la piglia...»
Ehi!
«Machiavelli! Ma che maniere sono!»
«Dai, è oggettivamente bruttina. Poi hai visto quanto è sciatta?»
Simpatico. E per una settimana quel coso si è giocato il caricabatterie.
«Veramente al momento non sono interessata ai ragazzi» risposi gettando il cellulare dentro la borsa, incurante delle sue proteste.
«Oh, capisco.» constatò Nik aggrottando la fronte «Ti piacciono le ragazze?»
Che anziano moderno.
«No, no, neanche quelle. Al momento non sono proprio interessata a trovare qualcuno di speciale
«Ma come?!?!» esclamò sconvolto «Una ragazza della tua età che non cerca l’amore!»
Eew. Ma che piega aveva preso quella conversazione?
«Come puoi rinunciare adesso all’amore?!»
«Non ho detto che ci ho rinunciato, solo che adesso sto bene senz-»
«Un giovane cuore che non brama palpitare d’amore non è altro che un organo mutilato!»
Avevo scioccato una principessa Disney.
«Tutti hanno bisogno di qualcuno d’amare e da cui essere amati! Tu più di tutti!»
«Io?»
«Sì, tu! Adesso che il tuo spirito è ancora spensierato e non appesantito dall’esperienza! Non devi perdere la gioia pura e ingenua che l’amore sa trasmettere in questi anni!»
Wow. Non capivo se il suo scopo fosse spronarmi o deprimermi.
«Il formicolio allo stomaco, la testa improvvisamente leggera, il sorriso ebete sulla faccia...»
Sembravano gli effetti collaterali di un medicinale.
«Davvero, signor mago, sto bene così. Sono una ragazza bruttina e cicciottella che non interessa ai ragazzi e a me non interessano loro. Ho altro a cui pensar-»
«Sciocchezze!» sbottò battendo le mani sulle gambe secche «Tu troverai l’amore!»
 
 
Venerdì 12 febbraio 2016, ore 14:20
Solignano, Parma


«Ma dov’è questa porta?»
«Hai guardato nel reparto computer?»
«Ci siamo già stati, niente di niente. Ma non possiamo chiedere a un commesso?»
«Nah, quelli non sanno niente. Prova dagli elettrodomestici, apri qualche sportello.»
Ottimo. Avrei passato il pomeriggio, dopo sei ore di scuola, a ispezionare frigoriferi e a mettere la testa dentro a forni. E mi toccava pure tenere in mano, così, in bella vista, quel rudere tecnologico di Machia.
Maledetti film! Una poi si fa delle aspettative sulla magia, i maghi...e invece io mi ritrovavo con una specie di Nokia 3310 e un prestigiatore romantico un po’ ammattito!
«Ciao! Ti posso aiutare?»
Era apparsa una commessa selvatica, polo rossa e sorriso smagliante.
«Ehm... veramente stavo solo dando un’occhiata.»
«Oh...» aggrottò la fronte e il suo sguardo si abbassò sul telefono che reggevo. Non la potevo di certo biasimare. «Se stai cercando il reparto telefonia è lì sulla destra.»
Il cellulare iniziò a vibrare furiosamente.
«Mi scusi, mi stanno chiamando.»
Mi allontanai velocemente dall’efficiente commessa, portando il telefono all’orecchio con un finto “pronto”.
«Ma come si permette??! Io sono un signor cellulare! Non ho nulla da invidiare a quei cosi senza tasti, grandi come un libro e spessi come un fazzoletto!»
«Piantala di urlare! Mi sfondi un timpano!»
«Portami in quel reparto che li spacco tutti!»
No. Assolutamente no.
«Aspetta!»
Mi bloccai.
«Che c’è?»
«Ho avvertito qualcosa di strano. Cosa c’è alla tua destra?»
Mi girai in quella direzione. Due file di scaffali delimitavano una corsia totalmente deserta. Stranamente quella zona sembrava più buia e silenziosa rispetto al resto del negozio... Un luogo dimenticato che emanava desolazione.
Curiosa, quasi affascinata, presi un oggetto dallo scaffale alla mia sinistra. Vi soffiai sopra per rimuovere lo strato di polvere che lo ricopriva.
ABBA Gold: Greatest Hits
«È il reparto con i CD.»
«Mmm... potrebbe aver senso... Cerca qualche disco con la parola “magic” o simile.»
Sospirando mi misi al lavoro, rassegnata a impolverarmi le dita.
«Può andare “A Kind of Magic”?»
«Dei Queen? Nah, troppo famosi, cerca ancora.»
«E “Magic” dei The Jets?»
«Dei chi?»
«Boh, sono quattro tizi e tre tizie con vestiti molto anni ’80. Uno ha una pancera sopra la camicia...»
«Perfetto! Aprì la custodia!»
Tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla, feci ciò che mi aveva detto...solo che dentro non vi trovai alcun CD. Confusa, mi rigirai la custodia tra le mani.
«Ehi, qui c’è un bottone rosso!»
«Bingo!»
«Ma che vuol dire?»
«Premilo.»
«Ma non può essere collegato a un passaggio!»
«Tu premilo.»
«Ma se qualcuno comprasse il CD?»
«Vedi forse molta gente smaniosa di comprare dei dischi? E, soprattutto, di questi The Jets?»
«No, ma non si sa mai...»
«Gioacchina premi quel pulsante.»
Lo premetti e non mi sentii più il pavimento sotto i piedi.
Fortunatamente, la sensazione di cadere durò meno di un secondo, non ebbi neppure il tempo di urlare per il terrore. Mi ritrovai scioccata e con il cuore in gola, ma comodamente seduta su una soffice poltrona.
«Oh, eccoci qua!»
Con tutti i modi che potevano trovare... una scala nascosta, un ascensore seminvisibile... Perché optare per un sistema a rischio di infarto?? Volevano decimare i potenziali neomaghi??
Mi sfilai il telefono da sotto l’orecchio, tenendolo con la mano destra mentre nelle dita della sinistra continuavo a stringere “Magic”.
«Salve, posso aiutarla?»
Prima ancora che potessi guardarmi attorno, apparve una ragazza in tailleur, schiena ben dritta e capelli tirati indietro in uno chignon. Doveva essere abbastanza giovane, tra i venti e i venticinque anni, come la commessa del piano di sopra, però questa non esibiva alcun sorriso cordiale. Il suo sguardo era totalmente inespressivo.
«Se è una fan dei The Jets, la prego di seguirmi. La conduco subito alla cassa.»
«Dobbiamo andare all’ufficio contratti.»
«Capisco.» non sembrava minimamente sorpresa nel sentire un cellulare parlare «Allora vi porto da un nostro dipendente al momento disponibile. La prego, mi segua.»
Nonostante il suo gentile invito, quella partì spedita, senza nemmeno voltarsi per vedere se la seguissi effettivamente, così mi affrettai a mettermi in piedi e allungare il passo.
Attraversammo un lungo corridoio, formato da un pavimento di piastrelle grigie e due pareti bianche con numerose porte dell’identico colore. Non si vedeva anima viva, non si percepiva alcuna voce, ma dietro a quelle porte chiuse ci doveva essere qualcuno. Infatti, oltre al tacchettio che accompagnava la marcia della mia guida, sentivo distintamente il rumore di dita che lavoravano frenetiche su tastiere da computer.
«Arrivati» la ragazza si fermò davanti a una porta identica a tutte le altre, non c’era nemmeno un cartellino che indicasse la funzione della stanza o il nome di chi la occupava.
L’aprì senza perdere tempo a bussare.
«Nuovo cliente» annunciò in tono piatto.
«Avanti» rispose una voce femminile con lo stesso entusiasmo della collega.
Entrai titubante e, non appena misi entrambi i piedi nella stanza, quella che era stata la mia ospitale guida mi chiuse la porta alle spalle, abbandonandomi senza una parola di commiato.
«Prego, si sieda.»
La ragazza che mi attendeva dietro a una scrivania era un’esatta copia dell’altra: abito formale, capelli legati e sguardo privo di ogni gioia di vivere. A differenziarle c’era giusto un paio di occhiali dalle lenti strette e quadrate.
Mi accomodai sulla sedia di fronte a lei e appoggiai Machia sulla scrivania. Quella, dopo una rapida occhiata, tornò a concentrarsi sul suo computer portatile, iniziando a muovere velocemente le dita.
«Cognome?»
«Rossini.»
«Nome?»
«Giò.»
«Gioacchina.»
«Bene, Gioacchina Rossini... Mi faccia controllare... sì, qui risulta che la recente defunta maga, Marcella Corvetti, le ha lasciato in eredità il suo contratto prima di morire. Abbiamo ricevuto il modulo due settimane fa, firmato sia dalla signora Corvetti che da lei.»
«Da me?!»
«Sì, c’è la sua firma.»
«Ma non è possibile!»
«Aspetti che le stampo una copia del documento.»
Qualche colpetto sulla tastiera e la stampante alla sua destra si mise in azione.
«Ecco a lei.»
Presi il foglio che mi porgeva e lo analizzai con attenzione.


Impossibile.
«Non è quella la sua firma?»
«Sì, è la mia.»
E non sembrava neppure falsificata.
Allora mi tornò in mente ciò che era successo circa un mese prima...
“Giò, tesoro, hanno suonato al campanello. Potresti scendere giù tu? Dovrebbe essere il corriere con un pacco.”
Infatti, proprio del corriere si trattava. Il corriere più strano che avessi mai visto: una signora sulla settantina, con un berretto stile marinaio in testa, una tuta da lavoro blu e degli spessi occhiali dalle lenti scure. Sì, degli occhiali da sole. A gennaio.
Tra le mani reggeva il fantomatico pacco, dalle dimensioni di una scatola da scarpe.
“Mi serve una firmetta” mi disse dopo avermelo consegnato, allungandomi un foglio tutto ripiegato dove si leggeva solo la parola Firma seguita da dei puntini.
E io ho firmato.
Ed ecco cosa avevo firmato.
Era una maledetta trappola.
«Quindi adesso sono una maga...?»
«Adesso lei ha un contratto magico qui da noi, glielo abbiamo creato non appena abbiamo ricevuto la richiesta. Però, le devo prima fare qualche altra domanda per poterla dichiarare una “maga”.»
«Prego.»
«Allora, partiamo completando i dati... Luogo e data di nascita ce li abbiamo già.... residenza?»
«Via Fondovalle 34, Solignano.»
«E-mail?»
«Jo_Rossini@gmail.com»
«Bene, passiamo alle caratteristiche fisiche...»
«Il numero di telefono non serve?»
«No, useremo quello che a breve le verrà dato dalla compagnia Magicphone. Dunque... Occhi castani, capelli rossi, segni particolari lentiggini... porta occhiali o lenti a contatto?»
«No.»
«Mi può dire quanto è alta?»   
«Un metro e settantatré.»
«Le sue misure?»
«Prego...?»
«Misure del corpo: petto, vita e fianchi.»
«Non vedo a cosa le possa essere utile.»
«Questo è irrilevante. È un dato richiesto.»
«Però io non le so.»
«Allora per adesso lascio la casella in bianco. Appena le sa ce lo faccia sapere. Passiamo al resto... stato?»
Confuso...?
«In che senso?»
«Stato civile.»
«Ah! Single.»
«Nubile... professione?»
«Studentessa.»
«Bene, passiamo ai dettagli del contratto... Lei vuole diventare una maga o una strega?»
Ah, si poteva scegliere?
«Cioè, devo decidere se essere buona o cattiva?»
«Niente di tutto questo, a noi di MagicWorld non interessano i suoi conflitti morali.»
«Allora che differenza c’è tra maga e strega?»
«Essenzialmente le differenze sono due: la prima consiste nel costume che le recapiteremo ogni anno a casa il 31 ottobre. Un piccolo omaggio da parte di MagicWarld e Magicphone per festeggiare Halloween. La seconda sta nella formulazione degli incantesimi: maghi e maghe devono usare la rima baciata mentre streghe e stregoni quella alternata.»
«Sta scherzando?»
Ma la risposta gliela potevo già leggere nel suo sguardo spento come un camino in agosto.
«Affatto.»
«Ma posso scegliere di diventare una strega anche se la signora Corvetti era una maga?»
«Sì, non ci sono problemi.»
Dunque, visti i miei capelli rossi, diventare una strega poteva essere una scelta sensata... “Maga” faceva più cartomante o Maga Magò... Però, c’era il discorso non indifferente delle rime. La rima alternata forse era più carina, ma anche più complicata rispetto a quella baciata...
«Vada per maga.»
Massì, livello difficoltà: poesie delle elementari.
«Perfetto, quindi “maga”, magie “AABBCC”. Bene, passiamo agli incantesimi. Dato che lei è appena diventata una nostra cliente, per il primo anno avrà diritto solo alla nostra tariffa base, ovvero potrà usare un unico tipo di incantesimo per un massimo di mille volte all’anno. Allo scadere dell’anno, quindi il 12 febbraio 2017, ore 15:01, potrà tornare qui a cambiare il suo piano tariffario.»
«Cioè, per un anno ho diritto a un solo incantesimo?»
Che fregatura...
«Un solo tipo di incantesimo. Ad esempio, con il tipo di incantesimo “Suitcase”, anche detto “Hockety Pockety”, può far entrare qualsiasi cosa in un'altra, indipendentemente dalle dimensioni. Molto richiesto con l’avvicinarsi delle vacanze. Ogni volta che lo si usa, occorre cambiare la formula in base alla situazione, ma l’incantesimo resta sempre quello.»
«Capisco... tra che incantesimi posso scegliere?»
«Lei non può scegliere.»
«Perché?»
«Visto che l’è stato ceduto il contratto della signora Corvetti, è obbligata ad usare uno degli incantesimi lì presenti. Nell’ultimo anno di vita, la signora Corvetti ne aveva lasciato attivo solo uno.»
«Che sarebbe...?»
«L’incantesimo “Iocundo”, anche soprannominato “Pollon”.»
«Pollon?»
«Come la protagonista del cartone animato “Pollon”.»
«Perché è soprannominato “Pollon”?»
«Perché agisce in modo simile. Serve ad influenzare l’emozioni di chi la circonda e il suo scopo è, appunto, dare l’allegria.»
«Dare l’allegria...»
«Sì, rendere felici gli altri, spargendo allegria e inglobando tristezza.»
«E io questo incantesimo non lo posso proprio cambiare, vero?»
«Solo dopo il 12 febbraio 2017.»
Ma la signora Corvetti non poteva scegliere qualcosa di più utile? Quasi quasi era meglio l’Hockety Pockety...
«Scaduto questo primo anno, le potremo offrire molte altre opzioni tariffarie e potrà accedere alla nostra vasta gamma di incantesimi. Inoltre, potrà anche usufruire del nostro negozio di gadget magici.»
Mi sporsi in avanti sulla scrivania.
«Vendete anche gadget magici?»
«Sì, oggetti di ogni tipo. Penne col correttore automatico, occhiali con zoom variabile, bastoni incantati per fare selfies perfetti e, ovviamente, per gli amanti del vintage, abbiamo anche bacchette e scope volanti. Poi ci sono le varie collezioni “maghette e streghette della tv”.»
«Cioè?»
«Vendiamo lo scettro lunare di Sailor Moon funzionante.»
«Avete anche qualcosa di più recenti?»
«L’arco di Madoka.»
Oh mio dio.
«Avete anche i costumi?»
«Certamente.»
«Animali parlanti?»
«No, quelli non li possiamo più vendere. Abbiamo chiuso il settore anni fa a causa di un gruppo di streghe animaliste. Però può sempre rivolgersi a un altro mago o strega per fare un incantesimo all’animale che vuol far parlare.»  
«E poi diventerebbe un mio famiglio?»
«Non diciamo fesserie. Ci vogliono anni di esperienza e un esame per avere l’attestato di famiglio.»
Cioè, per diventare maghi bastava fare un contratto e per diventare gli “schiavetti” dei maghi bisognava fare un esame? Qualcosa mi sfuggiva...
«Esatto, il procedimento è più complesso. E visto che si sta parlando di famigli, potrebbe passarmi il suo?»
Spinsi il cellulare verso la ragazza che si rimise a pigiare sui tasti.
«Bene... Famiglio inorganico, forma cellulare, modello... mmm, che modello sarebbe?»
«MAKIA ’00. Non è in commercio, è stato creato apposta per me.»
Sì, prendendo un Nokia e cambiandogli solo il logo...
«Se vuole la possiamo trasferire in un modello più recente e funzionale. Al piano di sopra la possono aiutare a scegliere quel-»
«No.»
«Perfetto. Nome?»
«Machiavelli.»
«Forme precedenti?»
«Cane, taccuino e biro stilografica.»
«Numero precedente?»
«3343 274 9881»
«Lo cancelli e memorizzi il suo nuovo numero con Magicphone: 3353 649 8219»
«Fatto.»
«Bene, qui abbiamo quasi finito.» sentenziò spingendo indietro gli occhiali sul naso e riportando gli occhi vitrei su di me «Non resta che parlare del suo debito.»
Eh?
«Quale debito?»
«Il debito che ha con MagicWorld.»
«Ma quale debito? Io fino a ieri non sapevo nemmeno cosa fosse MagicWorld!»
«La signora Corvetti era indebitata con noi, quindi, cedendo il contratto, il suo debito è passato a lei.»
«Cosa??!»
«Lei attualmente ha un debito di quattro milioni, centodieci mila e cinquanta euro.»
«QUANTO??»
«Questo è l’ultimo aggiornamento ad oggi.»
«Ma è una cifra enorme
«La magia costa, signorina. Per essere precisi, a lei costa esattamente dieci mila e cinquanta euro all’anno, visto che ha attiva solo la tariffa base con un unico incantesimo della fascia economica.»
«E come pensate che io vi riesca a pagare??»
«Allo stesso modo delle altre persone: lavorando e/o rubando. Inoltre, lei può anche ricorrere all’uso della magia.»
«Posso usare un incantesimo che serve a rendere felice la gente! Lei crede che le persone sarebbero felici regalandomi dei soldi??»
«Non credo.»
«Nemmeno io!»
«Non si preoccupi comunque, ha tutto il tempo che vuole per ripagarci.»
«Ma non credo che mi basterà una vita intera se ogni anno devo spendere altri dieci mila euro!»
«Diecimila e cinquanta. Nel caso non le bastasse, vorrà dire che dopo lavorerà per noi, finché non avrà estinto il suo debito.»
«Dopo??»
«Dopo la sua morte. Finito il funerale il suo corpo verrà riportato in vita per lavorare negli uffici MagicWorld.»
«Zombificate le persone??»
«Si rimette in sesto il corpo privato di personalità e gli si affida un compito. Tutti qui dentro abbiamo subito quel processo.»
«Tu sei morta?!»
«Sì, parecchi anni fa.»
«Ma come?!»
«Incidente stradale. Avevo appena comprato il medaglione magico a forma di portacipria dell’Incantevole Creamy.»
«Com’è possibile che riportino in vita la gente??»
«Con la magia, naturalmente. Non ti lasciano morire finché non hai ripagato tutto il tuo debito. Alla fine degli anni Ottanta, i cartoni animati hanno aiutato molto a riempire MagicWorld di forza lavoro giovane.»
«Ma è terribile!»
«Molti, per evitare di lavorare, fanno come la signora Corvetti: cedono il proprio contratto prima di morire, così che tocchi a qualcun altro occuparsi di pagare.»
Maledetta vecchiaccia!!!
Mi accasciai sulla scrivania, tenendomi la testa tra le mani. Altro che dolce nonnina! Quella strega mia aveva fregata per bene! Prima tè e biscottini e adesso boom! Un debito di oltre quattro milioni!
«Posso cedere il mio contratto??»
«Sì, certo. Ma non quest’anno, deve sempre aspettare il prossimo 12 febbraio.»
Aaaaah!!!
«Se vuole un consiglio, cerchi di evitare situazioni pericolose in questo periodo.»
«Senz’altro» bofonchiai contro la scrivania.
«Inoltre, potrebbe esserle utile sapere che oltre ai soldi esiste un’altra forma di pagamento.»
«E quale??»
«Può attivare il sistema a punti e saldare il debito con quelli. Per ogni incantesimo che userà per aiutare qualcuno, le può venire assegnato un punteggio da 1 a 100.»
Tirai su la testa. Questo era interessante.
«E come funziona?»
«Le faccio un esempio: lei ha appena usato l’incantesimo Pollon per rendere felice una persona. A MagicWorld arriverà la notifica dell’incantesimo lanciato e, nel giro di un giorno, manderà un questionario alla persona che ha reso felice, con domande velate ma mirate per capire il suo grado di soddisfazione verso il suo incantesimo.»
«Oh, tipo una recensione.»
«Circa. Un punto equivale esattamente a un euro, attivare il sistema a punti non richiede costi aggiuntivi e lo può disattivare quando vuole, sempre gratuitamente. Dunque, vuole che glielo attivi?»
«Certo!»
Forse avevo qualche speranza di ripagare quel debito senza finire zombificata...
«Di solito il problema di questo sistema sta nel fatto che spesso la gente non ha voglia di rispondere ai questionari, cestina le e-mail e scaccia i nostri agenti in incognito...»
Maledetti!!!
«Va be’, ci proverò lo stesso.»
«Allora lo attivo. Ecco fatto. Direi che abbiamo finito.»
«Posso andare?»
«Prima le devo fare qualche raccomandazione: tra massimo un’ora invieremo le istruzioni sull’incantesimo Pollon al suo famiglio, le legga attentamente prima di usarlo.»
«Sarà fatto.»
«Le rammento che le formule per gli incantesimi devono essere in rima baciata, se no non funzioneranno. Non importa quanto siano lunghe (anche se noi raccomandiamo sei versi), l’importante è la rima.»
«Solo baciata, mai alternata.»
«Molto bene. Infine, noi di MagicWorld invitiamo sempre i nostri nuovi clienti ad essere creativi e a divertirsi.»
Detto con quel tono piatto e quello sguardo smorto (be’...del resto era davvero morta), non era per niente credibile...
«Mi faccia una firma qui e può andare. Le invieremo poi un’e-mail con in allegato una copia del contratto. E si ricordi di inviarci le sue misure, entro il 31 ottobre se vuole ricevere il suo costume.»
E chi se lo perde il costume... Probabilmente era una delle poche cose gratuite, bisognava approfittarne.
Analizzai scrupolosamente il documento che mi aveva avvicinato, controllando bene che non prevedesse altri addebiti di milioni di euro, e lo firmai.
«Congratulazioni, ora lei è una maga: il suo unico limite è la sua immaginazione.»
«E il mio conto in banca...»
«Esatto. Conto di cui ci dovrà dare accesso appena ne avrà uno.»
Il mondo della magia non mi era mai sembrato così poco magico.

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