Il fantasma di Versailles

di Jaiku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo Pt 1 ***
Capitolo 2: *** Prologo Pt 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo Pt 1 ***


Versailles era imponente da vedere.

Circondata dal bosco ed immersa nel verde, anche solo guardando il cancello si poteva benissimo capire che quello non era un mondo adatto a tutti ma solo per pochi eletti che si divertivano circondati dal lusso più sfrenato, concedendosi ogni tipo di piacere possibile e inimmaginabile. Minette questo lo sapeva; ogni giorno da ben due anni lavorava incessantemente per la nobilità francese, vedendoli crogiolarsi nella lussuria più sfrenata, sfamarsi dei cibi più deliziosi che non erano che un miraggio per gente come lei, indossare vesti sgargianti e divertirsi nella loro libertà. Li odiava, non perché fossero nobili ma perché ci erano nati con questa fortuna sopra il capo. Le sembrava di vederli riderle in faccia ogni volta che li guardava nascosta tra le colonne o dietro le pareti finemente decorate. Ma sebbene, molte serve come lei, le ripetevano che quel mondo era tutto tranne che benedetto lei ugualmente non ne voleva sapere e guardava con invidia e desiderio quella vita facile. Come quella sera che osservava  nascosta e accucciata quasi fosse un ladro, dietro la porta il ballo sfarzoso che aveva preparato quella mattina per soddisfare le esigenze del re. Teneva la porta aperta poco più di due dita; quel tanto che bastava per permetterle di vedere quegli abiti pregiati che aveva avuto l'onore di toccare solamente di nascosto quando entrava nelle camere delle nobildonne per pulire. La musica volteggiava per aria, accompagnava le movenze sinuose delle ballerine e dei loro accompagnatori. Si portò le mani alla bocca, nascondendo un sorriso  infantile e muovendo la testa come se dentro quella sala ci fosse anche lei, vestita di seta e merletti, con perle e piume tra i capelli.
-To'- qualcuno esclamò -abbiamo una sognatrice-
Minette spalancò gli occhi e si alzò  di scatto. Stirò la bocca colpevole come se avesse tra le mani una collana rubata. Le gambe cominciarono a formicolarle tanto da farle mordere la punta della lingua per il fastidio.
Davanti a lei, con lo sguardo genuinamente divertito e vestito con gli abiti più sgargianti fin'ora visti quella sera stava l'unica persona che ancora, nella mente,  Minette non aveva inserito nelle categorie in cui divideva i nobili (odiosi-da ingraziarsi): Filippo di Lorena, amante del fratello del re e persona frivola a livelli inimmaginabili.  Ancora si ricordava quando, a pochi giorni dal suo arrivo le diedero il compito preparare la vasca da bagno per lui e così anche le sette volte in cui aveva cambiato l'acqua perché prima era troppo fredda, poi troppo calda, poi non era stata versata nel modo corretto, per poi guardarla ed esordire con un "La prima volta che l'hai  riempita era alla temperatura giusta, ora che ci penso. Rimettila come prima".  Ciò aveva creato in lei un nervoso più grande di Versailles e l'ilarità generale degli altri servi.
Si inchinò impacciata, sia perché non era capace, sia perché ancora le gambe decidevano di non risponderle. -Chevalier-
-Sognavi un ballo?-
-No Chevalier, volevo solo assicurarmi che il mio lavoro fosse stato apprezzato- si morse la lingua subito dopo. Non era una frase da dire, non a chi era vicino al re o ad un suo parente. Lei aveva bisogno di quel dannato lavoro! Si preparò già a sentir dire cose come "Non sei più utile" oppure "penso che a Parigi ci siano dei nuovi lavori per una come te" ma Filippo di Lorena non rispose, forse perché troppo divertito da quella ragazzina impertinente, forse troppo annoiato dalla situazione e dalla sua invisibile presenza.
Minette si mordicchiò a disagio la bocca.
Filippo di Lorena non accennava a volersene andare anzi, rimaneva li a fissarla come se non avesse di meglio da fare come per esempio andare a ballare o a cercare giovani ragazzi con cui divertirsi e dimenticarne il nome il giorno successivo. Cominciò a boccheggiare, trattenendo il respiro. -Beh- disse con voce acuta -Le auguro una magnifica serata Chevalier- fece per superarlo, con lo sguardo basso.
-Aspetta- la richiamò cantilenando -Monsieur stasera è rimasto nei suoi appartamenti. Portali del vino e qualcosa da mangiare e digli che sono da parte mia- Poi sbattè il tacco sul legno che ricopriva interamente  il pavimento e se ne andò così come era apparso.
Minette sospirò inclinando la testa in avanti chiudendo gli occhi. Non conosceva Filippo di Lorena, solo quello che si sentiva mormorare tra la servitù cioè che era un narcisista arrogante, bello quanto infido e amante del fratello del re. Ma se c'era qualcosa sulla quale poteva mettere la mano sul fuoco senza rischiare era che, quando uno dei due amanti chiamava l'altro con gli appellativi nobiliari voleva solo dire che per giorni l'intera servitù sarebbe impazzita per assurde richieste fatte principalmente per innervosire l'altro.
Quasi strisciando i piedi andò nelle cucine a preparare tutto, così come per andare nelle stanze del principe Filippo.
Erano tutti deserti i corridoi, fatta eccezione per le guardie fuori dalle porte che la guardavano passare con il vassoio in mano. Bussò alla porta ma nessuno rispose; allora la aprì  leggermente. Il camino illuminava pacamente la stanza completamente  immersa nel silenzio. Entrò diretta verso il tavolino bianco e grigio, lei non me capiva nulla ma si trattava di marmo. Roba da ricchi e nobili, non certo per una come lei che al massimo sapeva riconoscere l'oro dall'argento ed era solo grazie al colore.
-Puoi anche portarlo indietro-
Sussultò nuovamente, serrando le mani nei manici argentati per non fare cadere il vassoio.
Oggi era il giorno in cui avevano deciso che sicuramente prima di domani avrebbe dovuto morire d'infarto!
Si girò spaesata guardando la stanza fiocamente illuminata, il vassoio saldamente tenuto tra le mani. Era impossibile non riconoscere quella voce; sia perché  era l'unica in grado di farsi sentire anche nelle cucine quando si trovava letteralmente dall'altra parte del palazzo, sia perché beh... Era nelle sue stanze. Lo notò solo dopo qualche momento e solo dopo che mosse pigro la mano. La cosa che esaltava di più in quella stanza erano gli occhi: sembravano innaturali e bui, come animati da un pessimo  nervosismo.
-Io... Io ho bussato- balletto a bassa voce.
-Ti ho sentita-
Minette si umettò le labbra improvvisamente secche -Mi manda Le Chevalier, dice che un buon vino può...- si bloccò improvvisamente quando vide qualcosa venire lanciato con furia verso di lei. Lasciò i manici del vassoio, prendendolo al volo: era un libro. Ne osservò la copertina ruvida, forse pelle, e fu attratta improvvisamente da quel cumulo di pagine riempite di parole sconosciute. Saper leggere era sempre stato il suo sogno.
Filippo invece chiuse gli occhi infastidito dal frastuono di cristalleria rotta e pesante argento ormai bollato che risuonò in tutta la camera . Si toccò  una tempia, stridendo i denti. -Presa ottima. Per i riflessi non direi proprio-
Minette alzò lo sguardo, un'espressione intontita si disegnò sul suo volto -Eh?-
Filippo indicò con gli occhi il pavimento pieno di cocci, vino versato e frutta ancora rotolante. La ragazza sgranò gli occhi così  rammaricata che per poco non fece cadere anche il libro nella pozza violacea ai suoi piedi -Mi scusi, non era mia intenzione!- esclamò  chinandosi per raccogliere tutto ciò che aveva rotto. Non prima di aver posato con cura il libro sul ripiano in marmo.
-Lascia stare- esordì il Principe d'Orleans -Non ho intenzione di farmi comprare-.
Si alzò, cominciando a gironzolare per la stanza gesticolando come se stesse parlando con se stesso o con qualcuno non presente. Minette, ancora accucciata sfigurò il viso ancora infantile con una smorfia tra il sorpreso e l'incredulo e dovette mordersi con forza la guancia sinistra per non far sfuggire anche il minimo  sorriso divertito. Che fosse  stravagante lo sapeva, tutti lo sapevano, che avesse come amante il Cavaliere di Lorena anche, che pendesse dalle sue labbra pure ma sul fatto che si atteggiasse da donna, beh quello non l'aveva mai completamente accettato perché  sembrava più  una di quelle frottole raccontate da Marie, la capo cameriera e moglie di uno dei cuochi della cucina, solita ad ingigantire molte delle voci che giravano a palazzo. Ma ora che se lo ritrovava lì, vestito con una sottoveste che con molta probabilità appartenente alla moglie, i capelli sciolti, e poteva giurare di aver visto anche dei tratti di trucco, non poté non esserne stupita.
Filippo si fermò a guardarla non appena si accorse che quella piccola cameriera sbadata lo stava fissando, poi aprì le braccia teatrale, alzò la testa e rizzò il collo -Cos'hai da guardare?-
Minette scosse la testa -Nulla, Monsieur-
Il principe rise di gusto -Ohhhhh... ho capito! Anche tu pensi che m'ingrassi!-
Per la fretta di rispondere in modo adeguato non si elaborò minimamentela frase appena sentita. Frase che, in circostanze normale l'avrebbe portata a piegarsi in due dal ridere. -No altezza, stavo pensando a come... come...- osservò quella sottoveste chiara e lucida, cercando di definirne il colore -come il grigio vi doni-
-Azzurro prego- corresse il Principe -il grigio lo trovo orrendo-
Minette sorrise, abbassando il capo -Vogliate scusarmi, i colori non sono una mia competenza-
-Oh lo credo bene!- esclamò -nessuno con un minimo di competenza abbinerebbe il rosso con il rosa-
D'impulso Minette ebbe l'istinto di guardarsi quei vestiti che le avevano dato non appena arrivata. Anzi, per la precisione i vestiti che si era procurata da sola con mille fatiche poiché quel tessuto era uno dei più pesanti e le impediva di tremare di freddo ad ogni inverno. Si strinse nelle spalle storpiando di poco la bocca come se la sua condizione fosse una sua scelta! Certo che avrebbe preferito indossare abiti pregiati dai mille colori e non un vestito con il corpetto molle, il tessuto  usurato e grezzo e con le toppe. Non rispose, e si riaccucciò nuovamente per pulire quel disastro che aveva creato.
-Ho detto lascia stare- replicò seccato sedendosi nuovamente sulla poltrona in velluto rosso -Fammi compagnia-
-Cosa?!- urlò Minette con occhi sgranati e voce spezzata pensando a mille cose. Si chiuse a riccio, come se questo potesse proteggerla da quella richiesta appena fattale. Era una serva, ladra in alcune occasioni e con milioni di problemi sulle spalle ma con una dignità. L'aveva sempre avuta e di certo non intendeva perderla per il primo nobile annoiato. Principe o meno.
-Mia moglie è con il mio adorato fratello a fare chissà cosa e Filippo di Lorena è l'ultima persona che voglio vedere- esordì, poi notò lo sguardo restio della giovane serva che continuava a guardare la porta decorata come se volesse scappare da un momento all'altro. Sospirò tra lo stanco e l'annoiato -E mi annoio a stare da solo. Già che sei qui e hai fatto un disastro cerca almeno di riparare all'errore. E non ti preoccupare, non sei tra le mie preferenze sessuali-
Minette scosse la testa, come se tutte queste cose avessero improvvisamente un senso; d'altronde lui non praticava il vizio italiano?*
-E... Cosa intendete fare?- chiese con voce secca, quasi arida.
-Di sicuro evitare di uccidere i miei occhi la prossima volta che ti vedrò con indosso degli abiti-
-Ma altezza, questi abiti sono gli unici che ho- esclamò veritiera la ragazza.
Il principe mosse la mano come se ciò non gli importasse -Siediti, cominciamo dalle basi-
Minette si sedette a pochi passi  da lui per terra e lo ascoltava in silenzio. Anche se inizialmente non le potevano interessare i colori poiché quello di cui si occupava lei era pulire ogni singolo angolo di quella reggia ancora in costruzione rimase pian piano ammaliata da quella inusuale spiegazione; sembrava davvero interessato a tutte quelle sfumature. Ogni tanto si alzava e tirava fuori dagli armadi i vestiti suoi e della moglie. Era divertente vederlo così eccitato nello spiegare una cosa tanto semplice quanto complicata come i colori, vestito da donna e con la pelle innaturalmente bianca e le guance rosa.

E mentre tra vestiti e colori, Filippo d'Orleans spiegava ad una mente bianca come quella di Minette l'importanza del colore, al ballo stava iniziando un gioco pericoloso, che presto o tardi avrebbe attirato anche loro

* all'epoca  le persone omosessuali si diceva avessero "le vice italien", il vizio italiano. E dato che storicamente vorrei attenermi ho deciso di mettere ugualmente questo termine. So che ad alcuni può dare fastidio ma diciamo che è  per una restare storicamente attinenti.




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Capitolo 2
*** Prologo Pt 2 ***


Esagerato.

Era questo che si poteva pensare una volta entrati nella sala da ballo, ma per quei nobili quella stravaganza ormai era diventata quotidianità. Niente, neppure le montagne di cibo alte quanto un braccio potevano impressionarli. Si divertivano a danzare, parlare dietro i ventagli sgargianti o ad un soffio dalle orecchie degli ascoltatori. Dame danzavano leggiadre accompagnate da sapienti ballerini e il vino scorreva a fiumi. Il re guardava il tutto con il petto gonfio di orgoglio: stava andando tutto bene.
Accanto a lui Enrichetta rideva, stava parlando con alcune dame. Aveva indosso un vestito confezionato a Venezia appositamente per lei; vestito che fasciava perfettamente quel corpo esile.
-Enrichetta, dov'è Filippo?-
La donna si girò e le due dame sparirono poco dopo andando a civettare con uomini. Erano entrambe sposate ma poco importava.
Sospirò leggermente -Ha deciso che non verrà-.
Lo sguardo del re si indurì. Aveva mandato Bontemps, il suo valletto, appositamente per fargli capire che quell'invito era obbligatorio, ma forse doveva aspettarselo. Filippo faceva quello che voleva nonostante tutto e tutti.
Non erano rari i suoi pazzi acquisti in vestiti od oggetti superflui, le sue scenate da primadonna nel bel mezzo delle sale, e la sua tendenza a non ascoltarlo minimamente nonostante fosse il re di Francia. Era stato cresciuto all'insegna del desiderio e del vizio: se voleva qualcosa bastava schioccare le dita, urlare o piangere ed ecco che lo otteneva.
-Non era trattabile- sibilò.
Enrichetta abbassò lo sguardo. -Si è seduto sul letto con una mia sottoveste, ha urlato e addirittura pianto perché c'era gente indesiderata-, non finì la frase ma il re la intuì comunque. Subito guardò Filippo di Lorena che stava beatamente parlando con dei nobili vicino alla grande vetrata. Avevano litigato o avrebbe visto il fratello al suo fianco pendere dalle labbra di quel nobile. Non gli piaceva, non era un segreto a Versailles, ma l'ultima volta che aveva provato ad allontanarlo dal fratello questo era andato da lui e gli aveva gettato addosso un vaso di cristallo italiano, per poi dare quasi fondo alle casse dello stato comprandosi vestiti e dando feste.
Enrichetta gli posò una mano sul braccio. Lo guardò con occhi dolci, riservati solo per lui. Filippo, suo marito, non li avrebbe mai visti. -Hai dato questa festa per divertirti. Non crucciarti con problemi. A loro ci penserai domani-
Luigi sospirò, un po' troppo forte poiché si accorse che alcuni nobili vicini sembrarono fissarlo, e annuì. Si, a suo fratello ci avrebbe pensato domani.
Con un cenno, più di ringraziamento che di saluto, si allontanò da Enrichetta venendo subito circondato da dame che altro non aspettavano di vederlo da solo per poterci parlare. Enrichetta sorrise velata: quanto erano stolte e cieche. Per Luigi c'erano solamente due donne: lei, Enrichetta d'Inghilterra che aveva dovuto sposarne il fratello, e Louise de la Vallière, colei che sviava l'attenzione delle dame da Luigi ed Enrichetta. Era bella, la stessa cognata doveva ammetterlo, con quei suoi morbidi capelli castani e quella pelle così bianca da essere invidiata da molte donne.
Si promise che quella stessa notte sarebbe andata nei suoi appartamenti, dopo la scenata del marito non voleva vederlo fino a domani pomeriggio inoltrato.

Luigi ascoltava quasi con noia le domande poste da quelle dame attorno a lui, e rispondeva con altrettanta lena. Elogiavano Versailles e il lavoro su cui stava investendo. Al re parve, se avessero mai cominciato ad aggiungere dettagli tecnici o sulla finanza, di parlare con i suoi ministri. Erano noiose nonostante cercassero in tutti i modi di nasconderlo con moine ed elogi. Osservava distratto la sala cercando di non far capire a quelle nobildonne quanto tediose fossero; la vide entrare. Era sicura sé, avvolta nell'abito rosso e camminava piano. Osservava la sala con sguardo alto e sorrideva serafica. Chi fosse lo sapeva, suo fratello gliela aveva presentata mesi fa quando a tutti i costi aveva voluto organizzare un ballo al Louvre.
-Mademoiselles, vogliate scusarmi- esordì cercando di essere il più cordiale possibile. Nessuna delle dame tentò di trattenerlo ma si vedeva benissimo quanto fossero infastidite.
Si aggirò nella stanza, parlò con alcuni suoi funzionari e le loro mogli, poi con altre dame. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, poteva benissimo avvicinarsi a quella donna e parlarci: dopotutto era il Re.
Nonostante tutto il tempo che ci mise, la vide sempre li, accanto al drappo rosso del tendone della finestra, che osservava distratta la sala.
-Non vi piace il ballo?- chiese non appena le fu vicino.
Lei si voltò sorridendo, vide i profondi occhi bruni luccicare. -Oh no, lo trovo divino. Ma vedete vostra moglie, la Regina, oggi si sente indisposta e non credo che divertirmi quando lei non ne è in grado possa essere considerato di buon costume-.
Luigi si guardò intorno: non si era nemmeno accorto che Maria Teresa d'Austria quella sera non si era presentata.
-Ma la regina non è qui e in quanto vostro re mi sentirei offeso, se non peggio, vedervi nascosta e non partecipare ad un ballo che aspetta solo voi-.
La dama rise di cuore portandosi una mano alla bocca -Se questi sono i vostri ordini altezza, posso dirvi che li accetto con gran gioia-.
Luigi sorrise. Françoise de Montespan era una di quelle dame carismatiche che difficilmente si trovavano. Non a Versailles per lo meno. Il fatto che poi fosse una dama di compagnia della moglie la rendeva una presenza quasi fantasma. Maria Teresa d'Austria raramente usciva dai suoi alloggi e pertanto le dame da compagnia rimanevano con lei chiuse tra quelle mura. Per Luigi era una donna noiosa.
Continuò a conversare con lei, forse troppo a lungo perché sia Enrichetta che Louise lo guardarono più di una volta tra una conversazione e l'altra.

Alexandre Bontemps reputava il suo lavoro di valletto come un privilegio divino. Tra migliaia di uomini il re aveva scelto proprio lui come confidente più fidato. Eseguiva il suo lavoro con irritante perfezione: ogni cosa doveva essere assolutamente svolta all'insegna della perfezione e la sia voce si riconosceva benissimo nelle sale. Alta, scandita e cristallina. Seguiva il re in tutto quello che faceva e ci parlava come pochissime persone, si contavano sulla dita di una sola mano, potevano fare.
Ma il re era il re e solitamente, anzi come una legge universale, ascoltava due volte su dieci.
Esattamente quelle sera quando esortarlo a raggiungere gli alloggi reali era sembrata una pessima idea a Luigi XIV.
-Andremo prima da mio fratello- esordì incamminandosi in direzione della sua scelta. Dietro di lui Bontemps si concesse di guardare per un lieve momento il soffitto finemente decorato ancora in fase di realizzazione. Il termine "parlare" non era propriamente corretto per i due fratelli: di certo parole come urla, insulti e maledizioni erano più consoni.
Poco prima di arrivare davanti alla porta volto di poco il viso non interrompendo però la camminata -Bontemps, non mi annuncerete a mio fratello stasera-.
Il valletto dietro di lui chinò il capo -Si, Altezza-.
Luigi avanzava. Avrebbe tanto voluto provare un senso di irritazione nei confronti del fratello ma non ci riusciva. Negli anni aveva dato fondo a tutte quelle sensazioni sgradevoli che poteva provare per Filippo e questo non faceva altro che aumentare la voglia di punirlo in qualche modo.
Si aspettava già di vederlo sdraiato nel letto, o peggio ancora per terra, a leggere un libro o a gettare uva tra le fiamme del camino cantilenando la sua noia sulla falsa riga di alcune canzoni che conosceva.
Entrò nella sua anticamera, ancora in fase di realizzazione come l'intera Versailles. Dalla porta semiaperta della camera di proiettava una lama di luce tremolante.
-E poi arriviamo, tieniti forte, al viola!-.
Luigi si fermò inclinando la testa quasi stupito da quella frase pronunciata dal fratello. Sentì una voce più bassa rispondere ma non capì né chi fosse né cosa disse.
Dalla porta semiaperta vide suo fratello che di muoveva compulsivamente avanti e indietro davanti al camino.
-Viola indaco. Il viola tendente al rosso, ma non lo trovo un colore degno di nota. Oh il viola del glicine è delicato ed è perfetto per le carnagioni chiari... ora che ci penso devo dire a mia moglie di prendersi un vestito di quel colore!- Luigi lo vide roteare gli occhi al cielo, appoggiandosi con un braccio al camino. Lo faceva spesso quando era pensieroso. -Se devi odiare un colore odia il viola melanzana. È orribile!-
"Ma che cosa sta facendo?!" Si chiese il re per poi rompere ogni indugio ed entrare nella camera.
Filippo lo guardò piuttosto sorpreso, Luigi XIV sorvolo su ciò che stava indossando quel preciso momento. Si concentrò sulla ragazza, una semplice sguattera a giudicare dai vestiti, seduta per terra. Non appena realizzò chi aveva davanti si mise in piedi talmente tanto velocemente da perdere l'equilibrio per qualche secondo. La ragazzina, che a detta del re non avrebbe avuto più di una ventina d'anni, chinò il capo; -Vostra altezza-
Luigi si soffermò sul volto. Era in penombra ma non sembrava una di quelle ragazze degne di nota. Anzi, l'avrebbe definita banale. Capelli raccolti in una crocchia disordinata, occhi spauriti e corpo dritto come un'asse di legno. ... O era la veste larga che lo faceva sembrare?
-Non sei venuto- si rivolse al fratello, anche per risposta incrociò le braccia.
-Non ero in vena di festeggiamenti- replicò. Poi indico quella ragazza di cui Luigi ignorava l'esistenza fino a qualche secondo fa -E ho trovato qualcosa di alternativo-
-Togliere ad una serva il proprio tempo per lavorare?-.
Minette, in disparte, non ci aveva pensato. Già si immaginava le lavate di capo del capo maggiordomo, il signor Boulé, se l'avesse vista tornare negli alloggia quell'ora tarda! Osservò il re di sottecchi: era rarissimo per persone come lei poterlo avere a qualche metro di distanza senza dover temere per la propria vita.
"Dovrei temerlo invece?" Si chiese. Dopotutto stava solamente ascoltando Monsieur in quell'assurda spiegazione. Ma davvero esistevano così tanti colori? A che cosa diamine servivano?
-Ma devi sempre farmi la morale?- sbottò il fratello delle incrociando le braccia. Poi si girò verso Minette. -Puoi andare-.
La ragazza fece un inchino e passando vicino al valletto  uscì dalla stanza. Si impose di camminare, ma non appena fu uscita dagli alloggi comincio a correre andando negli alloggi della servitù.
Luigi si voltò verso il fratello: -Non è una richiesta quando vieni invitato-.
Filippo rise: -Hai appena stravolto il significato stesso di 'invito'-.
Il re lo fissò severo, il pavimento in legno scricchiolò sotto i loro piedi.
-Avevo altro da fare Luigi. Ultimamente le tue feste sono sempre monotone- cercò di spiegarsi muovendo pigro una mano come per scacciare un fastidioso moscerino.
-A parlare con una sguattera?-.
-Ad allargare i suoi orizzonti, mon chère frère- puntualizzò Filippo sedendosi sulla poltrona in velluto verde. Vide per terra schegge di vetro e una macchia di vino. Osservò Luigi con scherno -E poi... ha un nome: Minette-.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


Dov'è che vorresti andare?- chiese Filippo d'Orleans inclinando leggermente la testa.
-A cavalcare, hai sentito- rispose il re senza indugiare troppo.
-Cosa ho combinato?-
-Nulla. Ma devi venire- replicò il re. Si era presentato li circa un quarto d'ora fa per convincerlo ad andare a cavalcare con lui, cosa che però suo fratello non aveva intenzione di fare.
-Allora che senso ha? Perché non chiami uno dei tuoi ministri o un nobile a caso? Darebbero il loro braccio destro per poter essere invitati- parlò con lingua tagliente, per nulla interessato a lasciare la camera. Forse più tardi sarebbe andato a giocare a carte nei salotti ma non era sicuro di voler vedere lui.
-Ho chiesto a te invece-
-Oh no mio caro Luigi tu stai pretendendo che io venga con te. E la mia risposta è no! Poi mi domando cos'è tutta questa tua improvvisa voglia di cavalcare. Ieri hai dato un ballo come minimo dovresti essere in camera tua a lamentarti della stanchezza-
Luigi chiuse gli occhi e sospirò pesantemente -Si da il caso, Filippo, che io non sia te e che guardacaso sia il re. Non ho il tempo per poltrire-
Filippo d'Orleans sorrise sinceramente divertito incrociando le braccia -Però il tempo di andare a cavalcare lo trovi-
La faccia del re si imporporò. Non di vergogna ma di rabbia misto seccatura -Non osare. Tu vieni con me-
-Ti ho detto di no!- replicò quasi urlando.
-Finitela entrambi!- la voce femminile di Enrichetta si levò alta nella stanza. Nessuno, a parte Bontemps, l'aveva vista arrivare. Il re le sorrise calorosamente mentre il marito storse il naso. Era palese dove aveva passato la notte ma almeno avere la decenza di non presentarsi davanti a lui in déshabille... No, Enrichetta aveva deciso di non curarsene.
-Cosa sta succedendo?-
-Luigi, il mio carissimo fratellino e tuo amante, vuole costringermi ad andare a cavalcare- spiegò Filippo d'Orléans con voce stona infastidito dalla sua presenza e sottolineando la condizione della moglie.
Enrichetta sospirò -Filippo è una cavalcata- disse lei tranquillamente non capendo il motivo che aveva nel non volerci andare.
-Oh perfetto... allora vacci tu. Te ne intendi- soffiò gelido.
-Sai, mio caro, tutto... questo- disse indicando lei stessa e il re -non sarebbe accaduto se solo provassi interesse per le donne- replicò Enrichetta senza cattiveria.
Voleva bene a Filippo e sapeva delle sue preferenze sessuali fin da giovane. Poi per costume la madre di Filippo, la regina Anna d'Austria, li aveva obbligati a convolare a nozze e Filippo aveva finito con l'accettare la relazione tra il fratello e la moglie; ma quando si accendevano i battibecchi tra i due raramente Filippo riusciva dal trattenersi dal tirare in ballo quella situazione. Non che davvero gli importasse visto che aveva una relazione con Filippo di Lorena e, anche se altalenante, la trovava molto appagante. -Dettagli- replicò con un pigro gesto della mano.
Enrichetta gli si avvicinò posandogli una mano sul braccio. -Filippo è solo una cavalcata per i giardini. Non un viaggio diplomatico- parlò con voce bassa e calma, il tono che riusciva a convincere Filippo ogni volta.
Il principe roteò gli occhi. Per quanto il loro matrimonio non fosse idilliaco Enrichetta rimaneva l'unica amica che aveva in quella gabbia dorata che stava costruendo suo fratello e, perché no, l'unica certezza. Filippo d'Orléans guardò il fratello portandogli un dito contro come per ammonirlo -Solo una cavalcata Luigi. Ho mal di testa-
Il re inarcò il sopracciglio, un sorriso vittorioso si disegnò sul volto -Non è vero-
-No- replicò veritiero Filippo -Ma sono sicuro mi verrà-.
Andò a chiamare i valletti per vestirlo.

Minette era da quando si era svegliata che non si era fermata un attimo. Susie, la sua compagna di stanza, l'aveva svegliata in modo brusco scuotendola e urlando che era tardi cosa che, tra parentesi, non era vero. Aveva pulito poi i camini dalla cenere di numerose stanze, compreso quello dove la sera prima c'era stato il ballo. Dentro aveva trovato anche un bigné e l'insulto che aveva tirato era riecheggiato all'interno della sala. Quello, si disse, era tipico dei nobili: l'assoluto menefreghismo per chi, come lei, doveva lavorare come un mulo per avere da mangiare. Per loro era tutto dovuto e il rispetto non sapevano che cosa diavolo fosse!
Dopo, visto che i nobili avevano finalmente finito di prepararsi, avrebbe iniziato il giro per pulire le camere e rifare i letti.
-Minette!-
Sobbalzò tirando fuori la testa dal camino. Davanti a lei c'era Marcel, uno dei maggiordomi. Aveva il viso che ricordava un topo, le orecchie a sventola e non parlava mai se non era necessario. Tutto il contrario di lei che di tenere a freno la lingua sembrava non esserne dotata.
-Sei tutta sporca- constatò storcendo il naso. Era anche insopportabilmente ossessionato dal pulito.
Minette si tirò in piedi -Beh sai com'è, la cenere fa questo- replicò prendendo poi in mano il secchio con le spazzole di ferro per pulire il camino -Hai bisogno?-
-La signora Dupaq ti vuole-
-Adesso?- esclamò guardandosi in giro -Mi mancano ancora sei sale-
Marcel scrollò le spalle e Minette sbuffò pesantemente raccogliendo il lenzuolo davanti al camino e andando verso il passaggio per la servitù nascosto dietro un quadro. Sia mai che i nobili vedessero una sguattera che lavorava.
-Che hai combinato?- gli chiese Marcel a voce alta.
Minette si girò allargando le braccia occupate dal secchio e dal lenzuolo -Sai benissimo che quella megera mi odia-
-Fai in modo che non ti senta- replicò per poi tornare al lavoro con un leggero sorriso.
Quando era arrivata davanti alla stanza della signora Dupaq si era fermata con la mano a mezz'aria chiusa in un pugno. Era la governante della reggia, si occupava di tutto il personale femminile e insieme al signor Boulè gestivano a dovere tutta Versailles. Non era vecchia, ma nelle tempie si vedevano file di capelli bianchi nascoste sotto la cuffietta. Ogni volta che camminava la sentivano; portava attaccata alla gonna un anello pieno di chiavi che tintinnavano ad ogni suo movimento. Susie lo definiva "il suono del tiranno" e non aveva tutti i torti: la signora Dupaq era nata senza compassione.
Deglutendo bussò ed entrò. La trovò seduta davanti al tavolino basso, stava rammentando un grembiule. -Mi volevate vedere?-
La governante la osservò da dietro gli occhiali sottili e vecchi -Si Minette. Siediti-
Brutto segno, pensò, bruttissimo. Con esitazione si sistemò a disagio sulla sedia davanti a lei.
-Mi è stato riferito dal Signor Boulè che una caraffa d'argento è stata rovinata e visto che ieri sera sei tornata nelle tue stanze a notte inoltrata non puoi che essere stata tu-
Minette fece un lungo sospiro, l'ansia le attanagliava lo stomaco -Ecco vede ieri sera Le Chevalier mi ha detto di portare da bere a Monsieur e quando sono entrata nella stanza... mi ha tirato contro un libro e io... mi dispiace non avrei dovuto fare cadere tutto-
La Signora Dupaq posò il grembiule -È la storia più assurda che io abbia sentito-
Minette sbatté più volte gli occhi incredula -Come?-
-Non per l'atteggiamento di Monsiur ma dal fatto Le Chevalier abbia chiesto a te di portare il vino a sua altezza il fratello del re, quando c'erano schiere di camerieri al ballo-
-Le sto dicendo la verità! Perche mai allora avrei preso la caraffa? Per giocarci?!- replicò sulla difensiva Minette. Lo sguardo di chi non poteva accettare di non essere creduta.
-Bada a fine parli Minette- esclamò la governante con voce dura -Parigi è piena di ragazze che possono sostituirti-
Mordendosi la lingua Minette sibilò delle scuse. Se solo avesse potuto dirle che cosa pensava di lei...
-Ammettiamo che sia successo...- disse la signora Dupaq come se stesse parlando di una cosa astratta a cui non credeva e mai avrebbe fatto -La prossima volta chiama un cameriere competente. E ora vedi di non rompere altri bicchieri o rovinare qualcosa quando porti il pranzo ai carpentieri-
Minette annuì e uscì andando nelle cucine a prendere i cestini. Un giorno sarebbe riuscita a mandarla la diavolo.

La cavalcata con Luigi era durata si e no un'ora. Poi era sceso da cavallo e si era messo a parlare con uno dei capi carpentieri lasciando Filippo impossibilitato nell'allontanarsi e obbligato a sentire dei noiosissimi discorsi su giardini, piante o fontane. Il tutto stava durando quasi più di due ore, un tempo lunghissimo per Filippo.
Sbadigliò senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca e tenendo le redini del cavallo salde nella mano destra, si guardava intorno. Luigi aveva preteso di non essere accompagnato da guardie e pertanto suo fratello era obbligato a tenere da sé le redini; Luigi invece le aveva dato a Bontemps che si accingeva a seguirlo con occhi pieni di orgoglio.
Annoiato si guardò in giro: carpentieri che finivano i lavori, personale di servizio che gli portavano da mangiare e a poco a poco il suono di zappe, carrucole e urla di ordini venne soppiantato dalla pace del giardino.
Mangiavano presto, saranno state quasi le undici o poco più, e li vide avventarsi sui cestini.
Socchiuse gli occhi finalmente trovando qualcosa di interessante dopo quelle noiosissime ore. Corpetto rosso, inguardabile, e gonna rosa, addirittura peggio del corpetto; erano i vestiti della ragazzina che ieri sera aveva imparato i rudimenti della nobile arte del colore. Distribuiva i cestini alternando piccolo sorrisi a degli sguardi persi. Ogni tanto si rivolgeva a una ragazza bionda e poi tornava al suo lavoro.
-Filippo ma mi stai ascoltando??-
Sbatté le palpebre più volte guardando poi suo fratello Luigi -Come dici?-
-Ti ho chiesto se mi stai ascoltando-
"Oh Luigi" avrebbe voluto dirgli "Sono quasi trentadue anni che non ti ascolto" ma, invece, gli sorrise serafico e si scusò dando la colpa all'interesse nel vedere i giardini che di bello avevano ben poco per via dei lavori.
Il re lo fissò -Riesci ad immaginarlo finito?- chiese con un spunta di eccitazione nella voce.
-No- replicò Filippo pacato -Hai cambiato idea sulla struttura dei giardini tre volte negli ultimi sei mesi-
-Devono essere perfetti-
-E lo saranno mon frère, ma se continui a cambiare idea tra dieci anni saremo punto a capo- constatò allargando le braccia fin troppo teatralmente.
Il re sorrise come per nascondere una leggera delusione -Non hai ascoltato una singola parola, vero?-
Filippo d'Orléans scrollò le spalle -Non mi interessano zolle di terra e fiori.-
Il re emise un verso strozzato. Stava cercando di rendere suo fratello partecipe al suo sogno ma di quelle tre ore, ora era palese, Filippo aveva passato il tempo a pensare chissà cosa. -Torniamo a palazzo-
-Era ora- sussurrò a se stesso Filippo salendo sul cavallo. Diede velocemente senza nemmeno pensarci, e domandandosi del perché lo avesse fatto, un'occhiata fugace dove prima aveva visto Minette. Non c'era più.

Arrivato a palazzo Filippo si stirò senza tante cerimonie. Alcuni nobili lo fissarono, altri lo ignorarono, o fecero finta. La cavalcata era stata noiosa se non peggio -Dannazione a me che do pure ascolto a mia moglie- sospirò.
-Oh eccoti qua!- una voce fin troppo familiare si rivolse a Filippo d'Orléans che per risposta si girò dalla parte opposta pronto per poterlo evitare. Scappare forse sarebbe stato più appropriato, ma quel vocabolo non sarebbe mai entrato nel suo vocabolario perciò l'espressione "Girarsi e contemplare la tenda sperando di non essere visti" diventava spesso e volentieri la sua sostituta.
-Filippo?-
Continuò a guardare la tende, di un orribile color verde bottiglia a suo parere, senza rispondere.
-Filippo... Filippo!- poco distante da lui Le Chevalier continuava a chiamarlo. Stava cominciando a spazientirsi e se Filippo d'Orléans si fosse girato avrebbe potuto vedere il biondo sopracciglio sinistro tremare leggermente per l'irritazione. Odiava essere ignorato, ancora di più se a farli era l'unica persona che all'interno di quelle mura significava qualcosa. Quasi in segno di disperazione sospirò -Mon amour sono due settimane che non mi rivolgi la parola-
-E intendo continuare- sbottò girandosi smettendo finalmente di ferire gli occhi guardando quel colore orribile. -E ora, se vuoi scusarmi mio fratello voleva vedermi-. Non era vero, che bugia colossale! Ma, se doveva scegliere tra due mali, avrebbe scelto di andare da Luigi. Con Le Chevalier non ci avrebbe parlato per un bel po': come aveva anche solo osato pensare che il vestito in broccato argentato che si era fatto confezionare appositamente da sarti viennesi non risaltava la sua figura? Aveva speso mille Luigini per nulla se lo si ascoltava.
Fece finta di incamminarsi per andare da suo fratello, poi al primo corridoio avrebbe deviato percorso e sarebbe andato con molta probabilità a giocare a carte. Oggi si sentiva fortunato.
Le Chevalier scoccò la lingua sul palato -Quindi immagino che le scarpe che ho fatto confezionare appositamente per te dovrò rimandarle indietro o regalarle a qualcun altro-
Filippo si fermò girandosi lentamente. Osservò il suo amante con occhio critico, quasi come se si aspettasse che ciò che avesse sentito fosse una bugia.
Le Chevalier nascose un sorriso trionfante dietro un'aria fintamente rammaricata -È un peccato, dopotutto si tratta di sera e oro-
Filippo storse la bocca in segno di resa e gli si avvicinò. Fino a trenta secondi fa non gli avrebbe dato nemmeno la speranza di poter rimediare a quelle parole che aveva pronunciato due settimane fa.
Ma per Dio, si disse, qui si parlava di scarpe!

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